Relatore:
Prof.ssa Gloria Menegaz
Candidato:
Veronica Valdegamberi
Matricola VR055915
INDICE
Introduzione
Color Vision
11
1 La luce
15
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39
40
40
45
48
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4 Colorimetria
51
4.1 Spazi colore, modelli colore, sistemi colore . . . . . . . . . . . . . 53
3
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.7
II
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Color Naming
5 Lineamenti di una
5.1 Introduzione . .
5.2 Ottocento . . .
5.3 Novecento . . .
5.4 Conclusioni . .
55
56
58
60
64
64
68
70
70
71
72
75
77
storia
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secoli
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81
81
81
85
89
6 Le posizioni universaliste
6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2 Berlin e Kay: Basic color terms: their universality
6.3 Critiche al lavoro di Berlin e Kay . . . . . . . . . .
6.4 Il World Color Survey . . . . . . . . . . . . . . . .
6.5 Modifiche alla teoria di Berlin e Kay . . . . . . . .
6.6 Gli studi sulla prototipicit`a di Eleanor Rosch . . .
6.7 Studi recenti a favore delluniversalismo . . . . . .
6.8 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
91
. . . . . . . . 91
and evolution 91
. . . . . . . . 100
. . . . . . . . 106
. . . . . . . . 107
. . . . . . . . 116
. . . . . . . . 118
. . . . . . . . 125
7 Le posizioni relativiste
7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.2 La percezione categorica . . . . . . . . . . . .
7.3 Lo studio delle lingue berinmo e himba . . . .
7.4 Lo studio sullacquisizione dei termini himba
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129
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133
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143
143
148
151
152
152
158
8.6
8.7
8.8
8.9
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9 I dizionari di colore
9.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.2 Il sistema ISCC-NBS . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.3 Il sistema CNS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.4 Il sistema CNM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.5 Il modello proposto da Mojsilovic . . . . . . . . . . . .
9.6 Il sistema X11 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.7 Il sistema Hollasch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.8 Il sistema Resene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.9 Il sistema Crayola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.10 Dizionari nati da esperimenti sul web: il sistema CNE
9.11 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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171
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183
184
184
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forniti
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191
194
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di colori
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Conclusioni
201
Bibliografia
204
Introduzione
10
Parte I
Color Vision
11
13
14
CAPITOLO
1
La luce
1
T
2
T
Colore
violetto
blu
ciano
verde
giallo
arancione
rosso
Lunghezza donda ()
380-430
430-500
500-520
520-565
565-580
580-625
625-740
19
20
CAPITOLO
2
Il sistema visivo umano
2.1
La struttura dellocchio
e legamenti attraverso i quali modifica la curvatura e consente di mettere a fuoco nitidamente oggetti collocati a distanze diverse dallosservatore. Al fine di
adattare il potere risolutivo del sistema ottico alla distanza dalloggetto osservato, il cristallino diventa relativamente sottile e tende ad appiattirsi nel caso
di visione di oggetti distanti, in caso di visione da vicino invece diventa pi`
u
spesso e assume una forma pi`
u arrotondata. Tra la cornea e liride e tra liride e il cristallino si trova lumor acqueo, un liquido acquoso e trasparente che
rifornisce di sostanze nutritive queste strutture; nellinterno del bulbo oculare
si trova unaltra sostanza gelatinosa e trasparente, chiamata umor vitreo, il cui
compito `e quello di eliminare eventuali scorie che potrebbero interferire con la
trasmissione della luce. Il cosiddetto punto cieco si riferisce allunico punto sul
fondo dellocchio umano, unarea di 1,5 mm di diametro circa, in cui non si
trovano le cellule nervose preposte alle ricezione della luce (fotorecettori) perche
in questo punto gli assoni delle cellule gangliari si uniscono a fascio formando
il nervo ottico che invia le informazioni relative alla stimolazione della retina.
Questa regione della retina, proprio perche non contiene fotorecettori, non `e
sensibile alla luce, `e una zona senza informazioni e dove limmagine non pu`o
essere percepita, motivo per cui viene chiamata anche macchia cieca. Tuttavia
il cervello riesce a ricostruirla deducendola da ci`o che c`e intorno attraverso un
processo chiamato filling in (riempimento) e grazie alla visione stereoscopica.
2.2
I neuroni
I neuroni sono le cellule base di tutto il sistema nervoso. Sono unit`a fondamentali tutte simili tra loro, pur potendo differire per dimensioni e forma, che
generano e trasmettono impulsi elettrici tra di loro. In figura 2.2 `e possibile
osservare la struttura del neurone.
La parte centrale del neurone `e costituita dal corpo cellulare in cui risiedono
il nucleo e le altre parti deputate alle principali funzioni cellulari. Dal corpo
cellulare si dipartono da un lato molti prolungamenti brevi, detti dendriti, che
conferiscono al neurone le propriet`a di eccitabilit`a e conducibilit`a, dallaltro un
solo prolungamento lungo, lassone, che nellultimo tratto si ramifica. I dendriti
hanno diramazioni simili ad un albero e attraverso questi il neurone riceve il
segnale da neuroni afferenti e lo propaga verso il nucleo della cellula. Al polo
opposto ha origine lassone, un ottimo conduttore grazie alla sua composizione
chimica, che conduce i segnali verso i dendriti di altri neuroni. La parte finale
dellassone `e unespansione detta bottone terminale. Attraverso i bottoni terminali un assone pu`o prendere contatto con i dendriti o il corpo cellulare di
altri neuroni affinche limpulso nervoso si propaghi lungo un circuito neuronale.
I punti di congiunzione tra neuroni, attraverso cui comunicano, sono detti sinapsi.
Il funzionamento del neurone `e molto semplice: attraverso i dendriti il neurone
riceve in ingresso segnali dagli assoni di altri neuroni, se questi segnali di ingres22
2.3
Figura 2.4: Grafico rappresentante la sensibilit`a dei tre tipi di coni alle diverse
lunghezze donda della luce.
pure la minore densit`a delle cellule gangliari con le quali essi sono legati, spiega
il perche della diminuzione di acuit`a visiva in funzione delleccentricit`a. Nelle
parti pi`
u periferiche quindi non vengono distinti ne la forma ne il colore degli
oggetti, ma quando un oggetto entra nel campo visivo dellocchio, i bastoncelli determinano il movimento istintivo della testa e dellocchio stesso al fine di
portare limmagine nella zona centrale della retina, dove si ha la massima capacit`a di vedere. Al contrario, lassenza dei bastoncelli dalla fovea e la loro
presenza massiccia allesterno di essa spiegano perche la soglia per la percezione
di uno stimolo luminoso `e molto pi`
u bassa allesterno della regione della visione
centrale. Si riesce a vedere pi`
u facilmente un oggetto dai contorni incerti se si
evita di guardarlo direttamente, di fissarlo, in modo che esso possa rimanere
alla periferia del campo visivo.
Unaltra differenza tra i due tipi di fotorecettori `e il loro grado di convergenza su altri tipi di cellule presenti nella retina. Il sistema dei coni presenta
una convergenza bassa, nel centro della fovea `e facile che un singolo cono contragga sinapsi con una sola cellula bipolare che a sua volta contrae sinapsi con
una sola cellula gangliare. Il sistema dei bastoncelli invece ha una convergenza
decisamente alta: molti di essi contraggono sinapsi con una sola cellula bipolare
e molte cellule bipolari che ricevono segnali nervosi dai bastoncelli convergono
sulla medesima cellula gangliare. Anche se lalta convergenza rende il sistema
dei bastoncelli un buon rivelatore di luce, essa provoca allo stesso tempo una
diminuzione del potere di risoluzione spaziale, dato che la fonte di un segnale
trasmesso potrebbe trovarsi in un punto qualsiasi della retina. Per il motivo op27
po; sono sensibili quindi ai contrasti di luminosit`a. Esse rispondono in modo pi`
u
deciso a uno stimolo luminoso puntiforme indirizzato sul centro del campo recettivo o sulla sua periferia, piuttosto che a livelli assoluti di luce (illuminazione
uniforme). Ci`o che `e pi`
u importante nel segnale inviato dalla retina al cervello
non `e tanto il livello di illuminazione di fondo, quanto le caratteristiche salienti
dello stimolo visivo, in particolare il suo contrasto con lambiente circostante.
Lesistenza di due canali distinti per la trasmissione al cervello delle informazioni
relative alla luminosit`a significa che le variazioni di intensit`a della luce vengono
sempre comunicate da un processo eccitatorio anziche da diminuzioni di attivit`a
che, scendendo al di sotto di una soglia di riposo, si incaricherebbero di segnalare
una diminuzione del grado di luminosit`a. Tutto ci`o `e rappresentato in figura 2.6.
Figura 2.6: Risposta delle cellule gangliari a centro on e a centro off alla
stimolazione di zone diverse del loro campo recettivo. Lo stimolo luminoso `e
rappresentato con il colore giallo.
2.4
Oggi `e generalmente accettato un modello della visione dei colori basato su due
stadi, che concorrono entrambi alla determinazione finale del colore percepito:
il primo stadio, definito dalla teoria tricromatica (vi sono tre tipi di coni,
dalla cui azione combinata dipende la determinazione del colore in base
alla lunghezza donda della radiazione incidente);
il secondo stadio, definito dalla teoria dei processi opposti (la visione di
un colore dipende dallazione combinata di due canali cromatici, costituiti
ciascuno da una coppia di colori complementari antagonisti, pi`
u un canale
dedicato alla luminosit`a).
29
La teoria del fisiologo tedesco Ewald Hering (1834-1918) sulla visione del colore postula lesistenza di tre coppie opponenti di colori: bianco e nero, rosso e
verde, giallo e blu [7, 8]. Questi sei colori sono detti primari psicologici. Hering
sosteneva che i recettori retinici erano s` tre (come sostenuto da Helmholtz), ma
che ciascuno di essi inviava segnali corrispondenti a coppie di colori antagonisti
anziche a singoli colori. Si trattava quindi di tre meccanismi bipolari.
Gli studi di Hering indicano che le suddette coppie di sensazioni cromatiche sembrano essere in mutuo antagonismo fra loro da un punto di vista percettivo e
che laggiunta di due tipi di luci in antagonismo tende ad eliminare la percezione
cromatica e a produrre la sensazione di bianco, come se gli stati percettivi indotti dai due colori che formano la coppia fossero di segno differente. Se un
recettore relativo alla coppia giallo-blu viene stimolato, il messaggio che invier`a
corrisponder`a al giallo, se invece inibito, al blu, e cos` per le altre coppie.
Questa teoria prende il nome di teoria dei processi opposti (o teoria delle coppie di colori antagonisti) e nacque per spiegare alcuni fenomeni che riguardano
la visione del colore, come quelli del contrasto e delle immagini consecutive,
che paiono suggerire che per ogni colore esista un colore complementare e che i
colori di ogni coppia siano organizzati in modo antagonistico, che non potevano
essere spiegate alla luce della teoria di Young-Helmoltz. Questa teoria postula la
presenza di tre canali percettivi ad un livello di elaborazione successiva rispetto
ai coni (figura 2.7):
un canale specializzato nella visione alternativa del giallo e del blu. Quando leccitazione combinata dei tre tipi di coni produce la visione del blu
in una certa zona, `e inibita in quella stessa zona la visione del giallo, e
viceversa;
un canale specializzato nella visione alternativa del rosso e del verde.
Quando leccitazione combinata dei tre tipi di coni produce la visione
del rosso in una certa zona, `e inibita in quella stessa zona la visione del
verde e viceversa;
un canale specializzato nella visione della componente di bianco o di nero.
Questo canale non `e basato su meccanismi antagonisti, come i due precedenti, ma sul presupposto di una uguale stimolazione dei tre tipi di coni:
a stimolazioni di bassa intensit`a corrispondono grigi molto scuri; a stimolazioni della massima intensit`a corrisponde la visione del bianco.
Dopo decenni di roventi dibattiti tra le due fazioni, si arriv`o a capire che le
due teorie erano entrambe valide, ma andavano applicate a due stadi successivi
di elaborazione. Infatti i recettori retinici sarebbero s` sensibili a tre colori (e
non coppie), ma i segnali in uscita dai coni vengono organizzati in tre canali
separati che codificano le differenze tra bianco e nero, rosso e verde, giallo e blu.
A livello cerebrale, in pratica, si ritrovano meccanismi sensibili alle tre coppie
di colore previste da Hering.
30
2.5
Le vie ottiche sono essenzialmente i canali attraverso i quali limmagine registrata dallocchio viene trasmessa al cervello. Con il termine corteccia visiva si
intende quellarea della corteccia cerebrale deputata esclusivamente allelaborazione delle informazioni sensoriali provenienti dalla retina. In corrispondenza
di ciascuna stazione della via ottica principale si trovano singoli neuroni specificamente preposti al compito di estrarre dagli stimoli i diversi tipi di informazioni
visive per poi codificare tutte le informazioni ricavate. Man mano che si procede
nella via della visione le cellule rispondono a stimoli sempre pi`
u complessi.
Per comprendere come sono organizzate le vie ottiche `e necessario conoscere
alcuni concetti sul funzionamento del campo visivo (figura 2.8), cio`e quella parte
di spazio che ciascun occhio riesce a vedere restando immobile in una determinata posizione. Le informazioni sul mondo esterno arrivano ad entrambi gli
occhi con un elevato grado di sovrapposizione. Ci si pu`o render conto di ci`o se
si prova a chiudere un occhio, ed in tal caso ci si accorge che lampiezza della
visione nel rimanente occhio `e limitata principalmente dalla presenza del naso.
Immaginiamo di dividere ciascuna retina e corrispondente campo visivo con una
linea verticale e una orizzontale che si intersecano al centro della fovea, formando
quattro quadranti. La linea verticale divide la retina nel settore nasale (vicino
al naso) e in quello temporale (vicino alla tempia), mentre la linea orizzontale
la divide in settore superiore e inferiore. Per quanto riguarda lo spazio visivo,
due linee corrispondenti, una orizzontale e una verticale, si intersecano in corrispondenza del punto di fissazione e definiscono i quadranti del campo visivo.
Il passaggio della luce attraverso gli elementi ottici fa s` che le immagini degli
oggetti che si trovano nel campo visivo risultino capovolte e presentino uninversione destra/sinistra sulla superficie della retina. Quindi, nellocchio destro, la
retina nasale vede la met`a destra del mondo e la retina temporale vede la met`a
sinistra, per locchio sinistro vale il contrario. Per entrambi gli occhi la parte
31
superiore vede gli oggetti situati nella parte inferiore del campo visivo e viceversa. Bisogna inoltre notare che la retina nasale destra e la retina temporale
sinistra vedono praticamente la stessa cosa: tracciando una linea immaginaria
a partenza dal naso, esse vedrebbero solamente ci`o che si trova a destra della linea. Questa parte del campo visivo `e chiamata emicampo destro. Analogamente
lemicampo sinistro `e la parte del campo visivo vista dalla retina temporale destra e la retina nasale sinistra. Cos` ogni cosa che vediamo `e divisa in una met`a
destra e in una met`a sinistra. Ciascun occhio riceve linformazione da entrambi
gli emicampi. In questo modo ogni oggetto osservato viene visto da entrambi
gli occhi (e questo `e fondamentale per il senso di profondit`a) ma le immagini
cadono sulla retina nasale di uno e sulla retina temporale dellaltro.
La parte pi`
u interna del sistema visivo nasce dagli assoni delle cellule gangliari che escono dalla retina passando per una regione circolare detto disco ottico,
dove si uniscono a fascio formando il nervo ottico. In uscita dalla retina i due
nervi ottici, unendosi, formano una struttura ad X (chiasma) disposta sopra
unimportante ghiandola del cervello chiamata ipofisi.
Allinterno del chiasma, parte delle fibre dei nervi ottici si incrociano tra loro:
le fibre provenienti dalla parte nasale di ogni nervo ottico passano cio`e dal lato
opposto, mentre le fibre provenienti dalla parte temporale di ogni nervo ottico
rimangono dallo stesso lato. In questo modo ciascun braccio della X chiasmatica
`e formato dalle fibre temporali di un lato e dalle fibre nasali del lato opposto.
La parte posteriore di ogni braccio del chiasma viene chiamata tratto ottico
(sinistro e destro) e al suo interno le fibre nervose mantengono la stessa disposizione del chiasma.
I tratti ottici terminano a livello di zone del cervello chiamati corpi genicolati
laterali; da qui partono le radiazioni visive, ultima parte delle vie ottiche, costituite dalle fibre nervose che si separano a ventaglio e, percorrendo tutto il
cervello, arrivano alla corteccia visiva primaria, la parte di cervello localizzata in sede occipitale, cio`e a livello della nuca, cui vengono inviate tutti i vari
dettagli registrati dalla retina ottenendo cos` una visione dinsieme complessiva.
La corteccia visiva primaria `e divisa in una met`a destra e in una met`a sinistra;
ciascuna met`a `e poi ulteriormente suddivisa in una parte inferiore e in una superiore dalla scissura calcarina. Il percorso appena descritto `e visibile in figura 2.9.
Esistono poi le aree associative visive, direttamente connesse con la corteccia visiva primaria che aggiungono informazioni su un determinato oggetto. In
mancanza di queste aree tutto ci`o che noi vediamo rimarrebbe semplicemente
unimmagine priva di senso che non saremmo assolutamente in grado di capire
e di mettere in relazione con le altre parti della scena visiva.
32
Figura 2.8: Proiezione dei campi visivi sulla retina sinistra e sulla retina destra.
A) Proiezione di unimmagine sulla superficie della retina. B) I quadranti di
ciascuna retina e il loro rapporto con lorganizzazione dei campi visivi monoculari e binoculari, come si osservano dalla superficie posteriore degli occhi. C)
La proiezione del campo visivo binoculare sulle due retine e il suo rapporto con
lincrociarsi delle fibre nel chiasma ottico.
2.6
Le cellule gangliari della retina proiettano in modo ordinato sul corpo genicolato
laterale secondo una rappresentazione topologicamente organizzata in relazione
alla retina, ovvero al campo visivo: informazioni provenienti da regioni adiacenti nella retina proiettano su regioni adiacenti del corpo genicolato laterale. I
neuroni di questultimo, a propria volta, conservano questa organizzazione topografica anche nelle loro proiezioni alla corteccia visiva primaria. Le strutture
visive centrali, pertanto, rivelano una rappresentazione ordinata dello spazio vi33
Figura 2.9: Le vie ottiche centrali viste da una sezione del cervello.
sivo.
In precedenza avevamo visto che una prima divisione delle cellule gangliari
pu`o essere effettata in base alla modalit`a di risposta agli stimoli luminosi. Esistono infatti cellule a centro on e a centro off. Questa non `e lunica cosa che
le differenzia. In realt`a esistono diverse popolazioni funzionalmente distinte di
cellule gangliari, e ognuna di queste popolazioni si divide a sua volta nei sottotipi a centro on e a centro off.
Una distinzione importante `e quella tra cellule gangliari M e cellule gangliari P,
le prime hanno corpi cellulari pi`
u voluminosi e hanno un campo recettivo pi`
u
grande; inoltre i loro assoni hanno una pi`
u elevata velocit`a di conduzione degli
impulsi nervosi. Alla presentazione di stimoli visivi le cellule M rispondono con
unattivit`a transitoria mentre le cellule P rispondono in maniera prolungata,
inoltre queste ultime sono in grado di trasmettere informazioni riguardo ai colori in quanto il centro e la periferia del loro campo recettivo vengono attivati da
classi diverse di coni (da quelle sensibili al rosso, blu e verde). Nelle cellule M
invece sia il centro che la periferia non fanno distinzioni tra i tipi di coni dai
quali ricevono stimoli e vengono attivati da tutti i tipi di coni indifferentemente.
Le cellule M e P terminano in strati diversi del nucleo genicolato laterale:
le prime terminano negli strati magnocellulari, le seconde negli strati parvocellulari, da cui prendono i loro nomi. Le informazioni visive comunicate dalla
corrente parvocellulare sono cruciali per la visione a elevata risoluzione e per
lanalisi dettagliata della forma, dimensioni e colori degli oggetti; la corrente
magnocellulare comunica informazioni essenziali per analizzare il movimento
34
pi`
u importanti per la percezione della profondit`a. Le cellule vengono attivate in
massimo grado da stimoli che cadono su parti non corrispondenti delle due retine (cosa che avviene in quanto i due occhi vedono la realt`a da due angolazioni
leggermente diverse, e quindi gli oggetti che si trovano davanti o dietro il piano
di fissazione proiettano a punti non corrispondenti delle due retine). Alcuni neuroni si attivano in risposta alle disparit`a tra le immagini dei punti che si trovano
oltre il piano di fissazione, altri in risposta a quelle che si trovano davanti ad esso.
Anche riguardo alla percezione cromatica il sistema visivo dei primati `e caratterizzato da neuroni che rispondono a stimoli sempre pi`
u complessi man mano
che si prosegue lungo le vie ottiche. Ci`o avviene per qualsiasi altro tipo di
percezione visiva; ad esempio, nel caso della forma, nelle prime stazioni della
via ottica si trovano neuroni che rispondono a particolari orientamenti; proseguendo troviamo neuroni che rispondono a orientamento e lunghezza, fino ad
arrivare alle ultime stazioni dove i neuroni rispondono a forme complesse come
le facce umane.
Secondo la teoria tricromatica, la percezione del colore inizia dalla retina
con i tre tipi diversi di coni. I neuroni che rispondono allo stimolo pi`
u semplice deputati alla percezione del colore si trovano nel corpo genicolato laterale.
Questi neuroni sono caratterizzati da centro recettivo concentrico ad opponenza
cromatica semplice. Leccitazione del neurone avviene se il centro del campo recettivo viene colpito da un colore, mentre si ha uninibizione della risposta
36
quando la periferia del campo recettivo risulta colpita dal colore opposto (rossoverde, giallo-blu). A livello della corteccia visiva primaria troviamo neuroni con
risposte pi`
u complesse. Questi neuroni sono caratterizzati da campi recettivi
ad opponenza cromatica doppia. Un neurone di questo tipo viene eccitato ad
esempio da una luce rossa al centro e da una luce verde alla periferia, e viene
inibito da una luce rossa alla periferia e da una luce verde al centro. Questi
due tipi di cellule gangliari sono mostrati in figura 2.10. Un ultimo esempio di
neuroni che rispondono a stimoli luminosi riguardanti il colore sono i neuroni
complessi ad opponenza doppia che hanno le stesse propriet`a delle cellule semplici ad opponenza cromatica doppia ma sono indipendenti dalla localizzazione
del contrasto di colore a livello del campo visivo, ovvero non sono caratterizzati
da campi recettivi concentrici e rispondono in caso di contrasto cromatico.
2.7
Conclusioni
Una volta che il cervello ha ricevuto le informazioni relative allo stimolo visivo
entra in gioco il livello linguistico. In questa fase il cervello interpreta dal punto
di vista semantico gli stimoli ricevuti e assegna loro delle etichette linguistiche.
Il linguaggio ha quindi un ruolo decisamente importante in quanto ci permette
di comunicare informazioni relative al colore e di rendere condivisibile unesperienza del tutto soggettiva. La percezione dei colori e la relativa terminologia
cromatica sono strettamente connesse tra loro, e non solo legate sequenzialmente. Nella seconda parte della tesi, dedicata al lessico cromatico, si approfondir`a questo argomento. Mentre la percezione del colore sembrerebbe essere
comune a tutti gli esseri umani, il modo in cui questi esprimono linguisticamente
il colore mostra molte differenze. In riferimento al funzionamento del sistema
visivo umano affrontato in questo capitolo e per ulteriori approfondimenti si
veda [2, 9, 10].
37
38
CAPITOLO
3
La percezione del colore
3.1
Cos`
e il colore
Non tutti gli esseri viventi dotati di un sistema visivo vedono il mondo allo
stesso modo. Esso infatti appare in tinte diverse agli occhi di creature diverse.
Per questo motivo la domanda Di che colore `e/sono. . . ? non ha alcun senso.
Gli oggetti non sono colorati, il colore `e unesperienza del tutto soggettiva che
dipende da due elementi: la luce che gli oggetti riflettono e le propriet`a del sistema visivo di chi guarda. Tuttavia, normalmente il colore non `e considerato un
oggetto della percezione, ma piuttosto una caratteristica degli oggetti presenti
nel nostro mondo fenomenico, si presenta cio`e come oggettuale. Il colore viene
visto sulla superficie degli oggetti, ma appare come il colore di tutto loggetto, come una caratteristica del materiale di cui esso `e costituito. Una delle
prime funzioni del colore `e quindi quella di rivelare il tipo di materiale di cui
`e fatto un oggetto. Ci`o concorda con il fatto che normalmente le condizioni di
illuminazione e di ombra non vengono colte esplicitamente, poiche sono caratteristiche variabili rispetto alla costituzione degli oggetti. La luce viene vista
come qualcosa di contingente, del tutto irrilevante rispetto a ci`o che interessa
maggiormente, ovvero gli oggetti nella loro concretezza e stabilit`a. Le caratteristiche inerenti agli oggetti non risultano influenzate dal fatto che la luce sia
tanta o poca, pi`
u o meno cromatica.
Nonostante ci`o, fino a poco pi`
u di tre secoli fa si era convinti che il colore
fosse una indissolubile propriet`a degli oggetti. Fu Newton [1] a dedurre che
39
la luce bianca non fosse pura ma composta di colori diversi. Per essere pi`
u
chiari, non dobbiamo pensare che i raggi luminosi siano di per se colorati; il
colore `e invece legato alla capacit`a di certe radiazioni di produrre certe risposte
nel nostro sistema nervoso. Quando la luce del sole (luce bianca) illumina un
oggetto, si danno tre casi:
1. Tutto lo spettro viene riflesso; loggetto appare bianco.
2. Tutto lo spettro viene assorbito; loggetto appare nero.
3. Una parte dello spettro viene assorbita e laltra riflessa, e loggetto appare
del colore della luce riflessa. Ci`o che viene assorbito non raggiunge locchio
e quindi non pu`o essere percepito.
3.2
3.2.1
La legge di Weber-Fechner
La legge di Weber-Fechner fu uno tra i primi tentativi di descrivere la relazione
tra la portata fisica di uno stimolo e la percezione umana dellintensit`a di tale
stimolo. La relazione tra uno stimolo e la percezione che si ha dello stesso `e
stata studiata inizialmente da Weber (1795-1878) [12], e fu in seguito elaborata
sotto forma di modello teorico da Fechner (1801-1887) [13].
La scoperta della relazione esistente tra stimolo e percezione venne fatta da
Weber grazie ad un esperimento nel quale veniva chiesto ad alcune persone se
riuscissero a notare la differenza tra due stimoli (in questo caso dei pesi). Il
risultato fu che la pi`
u piccola differenza percepita (just noticeable difference,
JND) era allincirca proporzionale allintensit`a dello stimolo. Ad esempio, se
una persona riusciva correttamente a notare come un peso di 110 g fosse pi`
u
pesante di un peso di 100 g, allora essa avrebbe notato anche la differenza tra
40
1100 g e 1000 g.
In pratica Weber, scopri che se L rappresenta lintensit`a iniziale di uno stimolo
e L rappresenta il minimo incremento dellintensit`a dello stimolo necessario
a percepire una differenza, allora risulta che il rapporto tra L e L rimane
costante, formalmente:
L
= Costante
L
Le ricerche condotte su tutte le modalit`a sensoriali (tatto, udito, vista e cos`
via) hanno dimostrato la validit`a di questa legge ad un livello di approssimazione
decisamente soddisfacente, salvo che per i valori estremi delle scale di intensit`a.
Nel caso del sistema visivo umano, ad esempio, essa `e valida per quanto riguarda la percezione del colore o della luminosit`a. Per verificarla basta svolgere un
semplice esperimento psicofisico in cui viene mostrato ad un osservatore uno
stimolo come quello indicato in figura 3.1, sulla sinistra.
Figura 3.1: Sulla sinistra lo stimolo osservato dai soggetti, sulla destra la curva
risultante dallesperimento.
Lo schermo `e composto da uno sfondo uniforme di intensit`a L ed un piccolo
cerchio grigio di intensit`a L + L. Per ogni valore di L dello sfondo, viene
misurata il minimo incremento necessario a distinguere il cerchio (L/L). La
curva risultante `e mostrata in figura 3.1 sulla destra. Si pu`o notare che per
gran parte dei valori di L questa risulti costante, in accordo alla legge di WeberFechner. Questo significa che un incremento dell1-3% sullo stimolo luminoso
del cerchietto, `e sufficiente per essere percepito se lilluminazione dello sfondo ha
medi valori. In caso di sfondo molto scuro o molto chiaro (estremi del grafico),
ci`o non `e pi`
u vero. Ci`o non contraddice la legge che rimane semplicemente una
buona approssimazione di un fenomeno psicofisico. Formulando questa legge,
Fechner apriva un capitolo di notevole rilievo della scienza moderna, quello della psicofisica, che avrebbe poi dato luogo ad un numero altissimo di applicazioni.
41
Funzioni di sensibilit`
a al contrasto
Il modo in cui uno stimolo colorato appare ai nostri occhi dipende dalla sua
frequenza spaziale e temporale. I tre canali opposti hanno differenti risoluzioni
spaziali. Le caratteristiche del sistema visivo umano dal punto di vista spaziale
e temporale sono definite dalle Contrast Sensivity Functions (CSF). Le CSF
sono misurate presentando ad un osservatore uno stimolo che varia in modo
sinusoidale nel tempo o nello spazio (figura 3.2).
C=
Lmax Lmin
Lmax + Lmin
Il contrasto `e quindi uguale alla differenza tra lintensit`a massima dello stimolo e lintensit`a minima dello stimolo diviso la somma delle due intensit`a. I
principali risultati di questo esperimento sono riassunti nei due grafici in figura
3.3. Osservando i grafici, la prima conclusione alla quale si giunge `e che i tre
canali opposti hanno sensibilit`a differenti: si noti la frequenza minore per il
canale yellow-blue rispetto a quello red-green dovuta al basso numero di coni S
42
Figura 3.4: Mescolanza additiva in media spaziale. Si noti come due colori
complementari, il giallo e il blu, diano origine ad un immagine grigia.
Meccanismi di adattamento
La definizione propria di adattamento dice che un sistema sensoriale varia il suo
stato di sensibilit`a in funzione della stimolazione cui `e soggetto. Ladattamento
`e un fenomeno che si sviluppa nel tempo, riguarda cio`e caratteristiche temporali
della percezione visiva.
Quando lorgano di senso `e stimolato a lungo e ad un alto livello di intensit`a,
la sua sensibilit`a diminuisce, la stessa stimolazione quindi provoca un effetto
minore e per avere lo stesso effetto ci vuole una stimolazione pi`
u intensa. Al
44
Figura 3.5: Nella figura di sinistra `e rappresentato lo schema classico della sintesi
` leffetto che si ottiene sovrapponendo tra loro tre raggi luminosi:
additiva. E
uno verde, uno rosso ed uno blu. Al centro, dove i tre raggi si sovrappongono,
appare il bianco. Il tipo di mescolanza additiva mostrata `e detto spaziale,
perche leffetto `e prodotto dalla sovrapposizione di luci su una stessa porzione
di spazio. Nella figura di destra lo schema classico della sintesi sottrattiva che
verr`a trattata in seguito.
contrario, quando lorgano `e poco stimolato la sua sensibilit`a aumenta e anche
uno stimolo debole provoca una forte risposta sensoriale. Detto questo risulta
chiaro il perche passando da un ambiente scuro a uno molto luminoso rimaniamo abbagliati: locchio `e abituato ad un livello basso di stimolazione, `e troppo
sensibile per stimoli cos` intensi e si satura facilmente. Si parla in questo caso
di light adaptation. Ritornando in un ambiente buio non ci si vede quasi pi`
u,
perche la sensibilit`a dellocchio `e troppo bassa e la stimolazione ambientale non
riesce a provocare una risposta sufficiente. In questo caso si tratta di dark adaptation. La principale differenza tra light adaptation e dark adaptation `e il tempo
che richiedono per essere completate. La prima `e molto pi`
u veloce richiedendo
meno di un minuto, la seconda richiede circa mezzora.
Lultimo tipo di adattamento `e il chromatic adaptation, che `e causato da simili
meccanismi fisiologici. Ad esempio, se si fissa un colore saturo per un p`o di tempo e poi si sposta lo sguardo su un foglio bianco, si vedr`a una debole immagine
di un colore diverso, allincirca del colore complementare a quello fissato. Queste
immagini consecutive vengono dette negative proprio perche sono del colore
complementare a quello osservato in precedenza (figura 3.6). Lesposizione anche brevissima a una luce molto intensa genera invece unimmagine dello stesso
colore, che viene detta positiva. Ci si riferisce a questi episodi con il nome di
fenomeno delle immagini consecutive (afterimages).
3.2.2
Costanza cromatica
La costanza cromatica `e un fenomeno per cui il colore percepito di un oggetto
tende a rimanere costante nonostante la composizione spettrale della luce che lo
illumina cambi, ovvero cambino le condizioni di illuminazione, e di conseguenza
45
Figura 3.6: Adattamento cromatico. Fissare il punto bianco nella bandiera per
30 secondi. In seguito fissare il punto nero nel riquadro bianco a destra. A
causa del fenomeno delladattamento cromatico, nel quadrato bianco apparir`a
una immagine uguale a quella del riquadro a destra ma in cui i colori originali
sono sostituiti dai rispettivi colori complementari. Apparir`a quindi la bandiera
americana.
anche la composizione spettrale della luce che loggetto riflette. Ci`o permette
di identificare oggetti in molteplici diverse condizioni di illuminazione.
Questo fenomeno `e mediato da meccanismi che operano a livelli diversi del sistema visivo, tra cui i meccanismi delladattamento cromatico (chromatic adaptation) e della memoria del colore (color memory), ed `e basato sullo sfruttamento inconsapevole di parecchi indizi. Il meccanismo del color memory `e legato al
fatto che noi sappiamo qual`e il normale colore degli oggetti o quali sono i colori
prototipici degli oggetti riconoscibili, la nostra percezione del colore `e quindi
influenzata da ci`o che sappiamo degli oggetti. Tuttavia la costanza cromatica
tende a verificarsi puntualmente anche con oggetti non familiari del cui vero
colore non possiamo avere idea.
La costanza cromatica `e prevalentemente un fenomeno relazionale. Le cose
che vediamo non sono isolate, ma circondate da altri oggetti. Fra lo spettro
della luce riflessa da un oggetto e lo spettro della luce riflessa dal suo sfondo
esiste una certa relazione che chiamiamo rapporto spettrale. Quando lilluminazione cambia i singoli spettri riflessi cambiano a loro volta, ma il rapporto
spettrale tra loro rimane invariato. I due oggetti riflettono lunghezze donda
in percentuale diversa, ma al variare dellilluminazione il contrasto locale, inteso come rapporto spettrale, resta invariato. Inoltre occorre precisare che la
costanza di colore `e mediata tanto da questo contrasto locale che dal contrasto
globale, ovvero dalle informazioni provenienti dallintera scena. Questo sistema
della costanza cromatica tuttavia a volte fallisce: il meccanismo si `e evoluto per
compensare le variazioni naturali nella composizione spettrale della luce solare,
non delle luci artificiali.
In figura 3.7 si osserva un esempio di costanza cromatica. Se nella prima figura
si osserva la maglietta della donna, questa ci appare chiaramente gialla. Nellimmagine centrale possiamo osservare limmagine originale non filtrata e la nostra
46
risposta viene confermata. Limmagine a destra rappresenta limmagine originale con solamente la maglietta filtrata (ovvero come ci appariva nella figura a
sinistra), la maglietta ci appare ora verde. A causa della costanza cromatica abbiamo correttamente visto la maglietta gialla anche se la sensazione che i nostri
fotorecettori hanno registrato era quella del verde.
3.2.3
C`e accordo generale sul fatto che le informazioni cromatiche vengano processate da meccanismi gerarchici: al primo stadio i segnali provenienti dai tre tipi
di coni, ognuno con il suo fotopigmento, vengono linearmente combinati per
formare i tre canali opposti al secondo livello. La natura interattiva di questo
secondo stadio `e ampiamente accettata e supportata da diversi esperimenti psicofisici. A partire da quel livello, il comportamento del sistema visivo umano per
quanto riguarda il trattamento delle informazioni cromatiche `e molto discusso e
lontano dallessere compreso e spiegato in modo soddisfacente. Stiamo parlando dei meccanismi visivi di ordine superiore (higher order color mechanisms),
ovvero di quei meccanismi che vanno oltre quelli di secondo livello [14].
La percezione della distribuzione spaziale del colore `e stata studiata per cercare di capire il grande numero di meccanismi che questo tipo di esperienza
implica. Osservando una scena colorata infatti vengono coinvolti una moltitudine di meccanismi che operano ad un livello post-recettorale (cognitivo).
Ad esempio, anche se il contrasto rispetto allimmediato background ha una
larga influenza sul modo in cui il colore ci appare, questo non `e sufficiente a
spiegare come il colore di un oggetto venga percepito in condizioni di visione
` stata infatti notata linfluenza di elementi cromatici remoti sulla
pi`
u naturali. E
percezione dei colori e si `e scoperto un effetto di induzione indipendente dalla
distanza. Gli effetti del contesto cromatico sono molto diversi dai cambiamenti
nel modo in cui i colori appaiono dovuti al contrasto cromatico immediato. Leffetto di induzione cromatica prodotto da background cromatici distanti dipende
dal contrasto, mentre il suo effetto sarebbe minimo quando non c`e contrasto
cromatico tra il test e il contorno immediato. Limportanza della variazione allinterno dello stimolo ai fini della determinazione del modo in cui questo appare
`e stata sottolineata da molti studi recenti.
Oltre a questultimo sono stati osservati un grande numero di fenomeni, ma la
maggior parte di essi sono difficili da capire e da modellare. Forse questo accade
perche non siamo in grado di determinare quali sono le componenti basiche del
48
49
50
CAPITOLO
4
Colorimetria
51
Per riuscire a dare una risposta alla necessit`a di rendere oggettivo il colore
`e nata la colorimetria, una disciplina che si occupa di standardizzare la misurazione del colore attraverso lo studio dei modelli di colore [10, 15, 16]. Il suo
obiettivo `e quello di associare uno o pi`
u parametri al determinato colore per renderlo misurabile in modo significativo, espressivo, consistente e riproducibile. Il
problema principale che questa scienza si propone di risolvere `e quello di cercare una corrispondenza tra una grandezza fisica misurabile ed oggettiva (fotoni
percepiti dallocchio) e una grandezza psicologica soggettiva e non fisicamente
osservabile (la sensazione che percepiamo); questa operazione `e detta specificazione del colore.
A questo proposito si sono mossi organismi internazionali quali la Commission
Internationale de lEclairage
(CIE) e lOptical Society of America (OSA). Ci
sono certe differenze nel giudizio del colore da parte dei singoli osservatori, e
proprio uno dei primi scopi della CIE fu quello di stabilire uguaglianze di colori
che possono essere accettabili per un osservatore medio, standard. Parleremo
di ci`o in seguito.
I colori si differenziano luno dallaltro sulla base di tre caratteristiche distinte:
1. Tinta (hue): `e quello che nel linguaggio comune si chiama semplicemente
colore, si riferisce a quella qualit`a che permette di distinguere il verde
dal rosso, dal giallo, dal blu e cos` via. Si chiamano cromatici i colori
che possiedono una tinta, e acromatici quelli che non la possiedono (bianco, nero e grigio). Una tinta non `e un colore ma una famiglia di colori.
Quando si cita una tinta, ad esempio rosso, non si intende parlare di un
particolare colore rosso ma dellintera famiglia dei rossi.
2. Chiarezza/Brillanza (lightness/brightness): questi due attributi si riferiscono a quanto il colore `e chiaro o scuro, e sono legati alla quantit`a di
luce riflessa fisicamente dalla superficie.
La brillanza (brightness) `e lattributo di una sensazione visiva secondo il
quale uno stimolo visivo appare pi`
u o meno intenso, o emettere pi`
uo
meno luce. Essa `e quindi legata alla quantit`a di luce riflessa da un oggetto, dipende dalla sorgente luminosa. La chiarezza o luminosit`a (lightness)
`e lattributo di una sensazione visiva secondo il quale uno stimolo visivo
appare pi`
u o meno intenso, o emettere pi`
u o meno luce in proporzione a
quella emessa da unarea similmente illuminata percepita come bianca.
Essa `e quindi la percentuale di luce riflessa da un oggetto. Si tratta cio`e
della brillanza relativa.
Un quadrato grigio su un pezzo di carta bianca, visto dentro una casa, ha
una certa brillanza. Alla luce del sole esso avr`a una brillanza maggiore.
La chiarezza invece, giudicata in relazione a quella del bianco della carta,
rimarr`a costante. Quindi la brillanza dipende dal colore e dalla luce che
illumina loggetto, mentre la chiarezza non ha legami questultimo aspetto. In realt`a i due termini vengono spesso confusi perche non esiste una
nomenclatura italiana standardizzata, ci`o `e tuttavia in corso di definizione.
52
4.1
Figura 4.1: Un punto nello spazio e due possibili terne di coordinate che lo
identificano.
(lightness), la saturazione (saturation) e la tinta (hue). Cos` `e, in effetti, per lo
spazio HLS, in cui per esempio, lo stesso viola RGB=[1, 0, 1] avr`a coordinate
HLS=[300 , 1, 1].
Un modello colore `e una rappresentazione matematica astratta che descrive
come i colori possano essere rappresentati come insiemi di numeri (tipicamente
3), detti componenti del colore. Quando un modello `e associato ad una descrizione precisa di come interpretare le componenti otteniamo uno spazio colore.
Allinterno dello spazio dei colori il sottoinsieme dei colori rappresentabili con
un certo modello di colore costituisce a sua volta una regione di colori pi`
u limitata che `e detta gamma o gamut.
La distinzione tra modello colore, spazio colore e sistema colore `e labile,
facciamo quindi un esempio per spiegarla meglio, prendendo il modello colore
RGB che descriveremo meglio in seguito. Abbiamo appena detto che questo
modello definisce un colore come una mescolanza additiva di rosso (R), verde
(G) e blu (B). Dati quindi i valori [0.3, 0.7, 0.1] il colore risultante sar`a creato
aggiungendo 0.3 di rosso, 0.7 di verde, e 0.1 di blu. Intuitivamente questo non
`e sufficiente per definire un colore perche rimane da specificare cosa voglia dire
0.3 di rosso e cosa voglia dire rosso, ovvero bisogna assegnare uninterpretazione alle tre componenti del colore. Questa interpretazione rende il modello
uno spazio.
Un sistema di colori invece rappresenta un colore con una terna di numeri senza
che questi abbiano nessun legame con alcun sistema di interpretazione del colore.
` quindi equivalente a prendere tutti i colori, ordinarli e numerarli in qualche
E
modo: le componenti colore non possono quindi essere interpretate semanticamente facendo riferimento ad attributi del colore. Loperazione principale da
svolgere quando si crea un sistema colore `e quindi quella di ordinare i colori
54
secondo un qualche criterio, per poterli poi associare a dei valori. In questo
capitolo verranno presentati tre sistemi di colori cosiddetti percettivi, molto
noti e usati in tutto il mondo: il sistema Munsell, il Sistema Naturale dei Colori
e il Sistema OSA-UCS.
Il termine spazio colore tende ad essere utilizzato anche per identificare un
modello colore visto che identificare uno spazio colore identifica immediatamente
anche il modello colore associato. Da questo momento utilizzeremo il termine
spazio colore sia per identificare uno spazio che un modello.
In letteratura esistono un centinaio di spazi colore comunemente utilizzati ed
esistono molti modi di classificarli, le principali propriet`a degli spazi colore sono
le seguenti:
Device-oriented : La rappresentazione del colore dipende dal dispositivo
utilizzato. Questi spazi colore sono limitati dal gamut, o gamma dei colori
che un particolare dispositivo `e in grado di riprodurre. Per fare un esempio
i vecchi televisori o monitor non erano in grado di riprodurre tutti i colori.
Esempi sono RGB, sRGB, CMY, CMYZ.
User-oriented : Questi modelli colore enfatizzano le nozioni di colore intuitive di luminosit`a, tinta e saturazione. Esempi di questi modelli colore
sono HSV, HSI e HSL.
Colorimetrici : Gli spazi colore colorimetrici sono basati sui principi della
tricromaticit`a e sono utilizzati da dispositivi che misurano e riportano i
valori del colore direttamente, sono quindi basati su misurazioni del colore. Permettono di predire se due colori appaiono in modo identico in condizioni di osservazione date. Un esempio di modello colorimetrico `e il CIE
XYZ, esempi di modelli colore percettivamente uniformi sono il CIELAB
ed il CIELUV. Gli spazi colore percettivi correlano i valori cromatici alle
risposte umane. In pratica richiedono che colori simili, che quindi hanno
simile risposta dal sistema visivo umano, abbiano valori cromatici (le tre
coordinate) simili.
4.2
Molti concetti della teoria del colore non possono essere pienamente compresi
senza una chiara definizione di alcune unit`a di misura radiometriche e fotometriche. Le unit`a di misura radiometriche sono relative alla radiazione elettromagnetica, ovvero la luce. Ad ogni grandezza radiometrica corrisponde una
grandezza fotometrica che `e la rispettiva grandezza radiometrica valutata secondo la risposta del sistema visivo umano; le prime quindi sono grandezze fisiche
ed osservabili, le seconde psicofisiche. Le grandezze fotometriche sono delle
misure definite a partire dalle grandezze radiometriche mediante pesatura con
la curva di risposta spettrale dellocchio umano. Vengono impiegate al posto
delle grandezze radiometriche in quanto queste ultime non sono direttamente
utilizzabili in scienza del colore, mentre le grandezze fotometriche quantificano
55
lemissione luminosa in termini della risposta del sistema visivo umano, il quale
presenta sensibilit`a non uniforme alle diverse lunghezze donda. A parit`a di
energia di due onde cio`e, il nostro sistema visivo risulta essere pi`
u sensibile ad
onde di particolari zone dello spettro della luce visibile.
Le principali grandezze radiometriche e le corrispettive grandezze fotometriche
sono riportate sono:
Energia radiante (radiant energy): `e lenergia trasportata da un qualunque
campo di radiazione elettromagnetica. Lunit`a di misura `e il joule. La
corrispondente unit`a fotometrica `e lenergia luminosa (luminous energy)
la cui unit`a di misura `e il lumens secondo.
Flusso radiante (radiant flux ): `e lenergia radiante nellunit`a di tempo,
` considerata la
ovvero quanta energia radiante arriva ogni secondo. E
grandezza radiometrica fondamentale, sulla base della quale sono definite tutte le grandezze successive. La sua unit`a di misura `e il watt.
La corrispondente unit`a fotometrica `e il flusso luminoso (luminous flux )
ovvero la quantit`a di energia luminosa emessa da una determinata sorgente
nellunit`a di tempo; la sua unit`a di misura `e il lumens.
Radianza (radiance): Energia totale emessa da una sorgente di luce, `e
misurata in watt per steradian per metro quadrato. La corrispettiva unit`a
di misura fotometrica `e la luminanza che esprime la quantit`a di energia
percepita da un osservatore. La luminanza (luminance) `e quindi una parte
della radianza di una sorgente di luce e viene misurata in candele per metro
quadrato.
4.3
Efficienza luminosa
Quando la luce entra nellocchio ed arriva alla retina, lenergia viene assorbita
dai fotopigmenti di coni e bastoncelli. La sensibilit`a luminosa, come discusso in
precedenza, `e soggettiva e varia se si cambia la lunghezza donda della radiazione luminosa.
Per misurare come variano le risposte dellocchio al variare della lunghezza donda bisogna trovare una procedura per determinare quando due luci monocromatiche di differente colore hanno la stessa luminanza. Per dare una risposta a
questo problema, Crawford condusse nel 1949 un esperimento nel quale proiett`o
su di uno schermo in un campo bipartito (figura 4.2), due luci monocromatiche
in condizioni di bassa illuminazione [17].
La prima luce fu detta luce primaria, la seconda luce di test. Il test
consisteva nel variare lintensit`a luminosa della sorgente primaria in modo da
risultare indistinguibile dalla luce di test al fine di determinare la sensibilit`a dei
bastoncelli al variare della lunghezza donda. Una volta ottenuto il match
vennero misurate le radianze delle due luci e venne calcolata lefficienza luminosa (o sensibilit`a luminosa) che indica quanta porzione della radiazione emessa
viene utilizzata (percepita) dal sistema visivo umano.
56
BIPARTITE FIELD
PRIMARY
LIGHT
TEST
LIGHT
4.4
Come si `e accennato allinizio di questo capitolo, la CIE, fin dagli inizi del 1900,
si rese conto di dover formalizzare alcuni standard sul colore e realizz`o una serie
di esperimenti e di studi che portarono alla creazione di spazi colore matematici
in grado di descrivere in modo oggettivo, ovvero indipendente dal particolare
dispositivo usato, tutti i colori visibili allocchio umano. Per far ci`o si serv`
delle curve fotopiche e scotopiche in modo da legare la percezione del colore a
fenomeni fisici.
Il metodo di lavoro adottato dalla CIE fu quello degli esperimenti di color matching. Lesperimento di color matching e le color matching functions calcolate a
partire da questo esperimento sono alla base di tutti gli spazi colore percettivi
esistenti in letteratura e della teoria tricromatica. Lobiettivo era quello di calcolare lanalogo di V () e V 0 () separatamente per tre stimoli colore predefiniti,
R, G, B. In pratica, data una luce monocromatica a lunghezza donda , si voleva capire la quantit`a percepita dei tre stimoli R, G e B.
Prima di spiegare lesperimento `e necessario introdurre le leggi di Grassmann
[18] che stabiliscono importanti propriet`a empiriche degli stimoli colore. Se A,
B, C e D sono distinti stimoli colore, e se il simbolo = indica uguaglianza visiva,
le leggi stabiliscono che:
a) Se lo stimolo colore A `e identico allo stimolo colore B, allora lo stimolo colore
B `e identico allo stimolo colore A. Questa `e la legge della simmetria.
b) Se A `e identico a B e B `e identico a C, allora A `e identico a C. Questa `e la
legge della transitivit`a.
58
figura 4.5. Questo grafico ci dice, fissata una lunghezza donda qualsiasi allinterno dello spettro visibile, con quale percentuale di R, G, B si ottiene un
colore uguale a quello monocromatico caratterizzato dalla lunghezza donda fissata. Valori negativi stanno ad indicare che la luce di quel particolare primario
va rimossa dal mix proiettato sul secondo semicerchio e va aggiunta alla luce
monocromatica proiettata sul primo.
4.5
Il triangolo cromatico
Immaginiamo che le tre luci R, G, B occupino gli angoli di un triangolo equilatero e che si irradino verso linterno, in tutta larea del triangolo stesso. Si
presuppone che agli angoli del triangolo la quantit`a della particolare luce colorata sia il 100% e che man mano che ci si allontana dallangolo la luce diventi
uniformemente pi`
u debole, in modo che quando raggiunge un punto qualsiasi
del lato opposto la sua intensit`a sia zero. Al centro del triangolo tutte e tre le
luci, avendo percorso uguale distanza, sono presenti in uguale quantit`a. In figura 4.6, le tre luci colorate sono indicate dai rispettivi nomi (verde, blu e rosso).
Al punto rosso la luce rossa `e al 100%, al punto C, sulla linea blu-verde, non
c`e pi`
u rosso come in qualsiasi punto lungo questa linea. Lo stesso vale per le
luci degli altri due angoli. Se lintensit`a delle tre luci `e scelta opportunamente,
60
leffetto dei colori combinati al punto O, al centro del triangolo, sar`a il bianco.
Se partiamo dal punto Y, dove non c`e traccia di blu, e ci spostiamo attraverso
il triangolo, vediamo che appena iniziamo a spostarci, veniamo a trovarci sotto
linfluenza di quantit`
a crescenti di luce blu che si diluisce sempre di pi`
u con gli
altri due primari. Continuando ad aggiungere blu si arriva fino a quello pi`
u
carico che si trova nellangolo relativo del triangolo. La stessa cosa avviene per
le altre parti del triangolo.
I colori lungo i lati del triangolo sono meno saturi dei colori simili dello spettro,
spettrali. Tutti i colori spettrali cadono entro il triangolo che si ottiene congiungendo questi tre colori primari irreali ipersaturi, e in questo modo non serve pi`
u
usare valori negativi. Nella pratica `e necessario per`o usare colori reali, quindi questi tre stimoli sono definiti per mezzo delle tre luci spettrali. Una volta
ottenuto un paragone con i colori reali, il risultato pu`o essere trasformato in
termini di X, Y, Z.
A questo punto quello che otteniamo non `e un triangolo equilatero, cosa che
sarebbe auspicabile per rendere pi`
u semplici i calcoli, ma una volta definiti gli
stimoli X, Y, Z `e possibile situare tali punti agli angoli di un triangolo equilatero.
I valori di questi tre stimoli possono cos` essere usati per i calcoli esattamente
come prima si usavano il rosso, il verde e il blu. Qualsiasi colore si trova su un
punto che ha determinati valori positivi rispetto ai tre stimoli X, Y, Z. Siccome
la somma delle coordinate in un triangolo equilatero `e uguale a 1, `e sufficiente
stabilire il valore di due sole coordinate per dedurre per differenza il valore della
terza. Cos` si `e trasformato questo triangolo in un triangolo rettangolo, in cui
si ha la possibilit`a di riferirsi soltanto a due stimoli primari X e Y.
Quando i valori tristimoli X, Y e Z vengono riferiti come coordinate di cromaticit`a, vengono indicati dalle lettere minuscole x, y e z che rappresentano
le proporzioni relative dei tre stimoli primari necessarie per definire un colore.
La forma del triangolo a cui si arriva, mostrata in figura 4.9, viene chiamata
diagramma cromatico CIE.
R
B
X
Figura 4.9: Il triangolo cromatico calcolato a partire dai tre colori primari teorici
X, Y, Z. Si noti come ora anche i colori non spettrali cadano allinterno del
triangolo.
63
Essendo il colore tridimensionale, manca un terzo fattore da prendere in considerazione affinche esso sia completamente definito. La tinta e la saturazione di
un colore sono completamente definite dalle coordinate cromatiche, che indicano
in quale punto del triangolo cada il colore, ma resta da specificare la luminanza.
Si trova utile uguagliare il valore di Y al fattore di luminanza. A questo punto
i valori tristimolo danno una descrizione completa del colore. Per descrivere in
maniera univoca il colore nel sistema CIE dobbiamo fornire i valori dei tre tristimoli, oppure esprimere la sua posizione nel triangolo fornendo le sue coordinate
cromatiche e il fattore di luminanza. Il risultato dellintroduzione dei tre nuovi
coefficienti tristimolo X,Y e Z furono le tabelle di Guild [21] e Wright [22] del
1931 che originarono le CMF x
(), y(), z() relative allOsservatore Standard
a 2 .
Il cambio di coordinate `e stato scelto in modo che tutti i colori visibili alluomo,
ovvero il suo gamut, sia totalmente riproducibile tramite valori positivi delle
color matching functions. I risultati che la CIE raggiunse nella creazione di
questo spazio furono i seguenti:
Le nuove color matching functions sono ovunque maggiori uguali a zero.
Nel 1931 tutti i calcoli venivano fatti a mano e questa specifica fu utile
per semplificare i calcoli.
Visto che tutta linformazione sulla luminanza fu posta in Y, y() risult`o
uguale alla curva fotopica V (). Anche questo risultato serv` per semplificare i calcoli.
Il bianco ad energia costante risulta essere in corrispondenza di x
= y =
z = 1/3.
Il gamut di tutti i colori spettrali giace nel triangolo di vertici [1 0], [0 0],
[0 1].
Dal momento che le CMF del 1931 e le loro varianti avevano una serie di
limiti che si manifestavano in condizioni di visione particolari, nel 1964 la CIE
fece un ulteriore esperimento di corrispondenza colori utilizzando un insieme
leggermente diverso di primari, chiamati ancora X, Y e Z [23].
Questa volta per`o vennero modificate le condizioni di visione delle persone del
campione allargandone il campo ottico a 10 . Inoltre si eseguirono gli esperimenti utilizzando particolari accorgimenti tecnici e correzioni al fine di evitare distorsioni visive. Vennero cos` create le CMF x
(), y(), z() relative allOsservatore
Standard a 10 .
4.6
4.6.1
X
X +Y +Z
y=
Y
X +Y +Z
z=
Z
X +Y +Z
La figura 4.11 mostra il diagramma di cromaticit`a che illustra alcune importanti propriet`a dello spazio colore CIE XYZ. Il diagramma di cromaticit`a `e una
proiezione dello spazio sulle coordinate x ed y e specifica come locchio umano
percepisca la luce di un dato spettro. Le caratteristiche di questo diagramma
di cromaticit`a sono le seguenti:
Il diagramma rappresenta tutte le cromaticit`a visibili dallocchio di un
osservatore standard. Le cromaticit`a sono mostrate tramite colori e questo
diagramma rappresenta il gamut della visione umana. Il limite del gamut
`e chiamato locus spettrale e corrisponde alle luci monocromatiche le cui
lunghezze donda sono mostrate in nanometri.
I colori meno saturi appaiono nellinterno della figura, il bianco si trova
per convenzione al centro.
65
aree molto differenti, ci`o significa che in alcune aree dello spazio colore, ad esempio nella zona del verde, sia necessario percorrere grandi distanze prima che
venga percepito un cambiamento nella tonalit`a, mentre in altre zone, ad esempio nella zona del rosso, venga percepito un cambiamento di tonalit`a ad uno
spostamento minimo nello spazio.
Per ovviare allinconveniente si attu`o unulteriore trasformazione del triangolo,
deformandolo ancora una volta in modo che alcune aree venissero selettivamente ampliate. Nel triangolo risultante, chiamato triangolo di cromaticit`a
uniforme, le distanze uguali rappresentano pi`
u fedelmente ci`o che locchio percepisce come uguali mutamenti di tinta e saturazione. Non esiste comunque una
esatta relazione tra la differenza visiva del colore e la distanza nel triangolo di
cromaticit`a uniforme.
Lo spazio colore CIELAB fu introdotto per cercare di risolvere questo problema.
Le tre coordinate del CIELAB rappresentano la luminosit`a del colore ( L = 0
indica il nero, L = 100 indica il bianco) e la posizione tra gli assi rosso-verde
(a ) e giallo-blu (b ) e la sua caratteristica principale `e quella di essere percettivamente uniforme. Cambiamenti uniformi nelle componenti dello spazio colore
L a b corrispondono a cambiamenti uniformi del colore percepito, in modo da
approssimare le differenze percepite tra due colori come la distanza euclidea tra
le tre componenti.
67
4.6.2
Lo spazio sRGB
Il modello colore RGB `e un modello di tipo additivo che si basa sui tre colori
rosso, verde e blu, dalle cui iniziali deriva il suo nome. Ci`o si rif`a alla stessa
struttura e funzione dei fotorecettori presenti nella retina dellocchio.
Per definire lo spazio sRGB (standard RGB) [25] `e necessario definire le esatte cromaticit`a di rosso verde e blu e del bianco di riferimento. Visto che la base
di tutti gli spazi colore `e lo spazio colore CIE XYZ, lo spazio sRGB definisce
queste quantit`a utilizzando i valori di cromaticit`a x, y e z. Ad esempio, questa
`e la scelta operata per le tre primarie:
Cromaticit`a
x
y
z
R
0.6400
0.3300
0.0300
G
0.3000
0.6000
0.1000
B
0.1500
0.0600
0.7900
4.6.3
Lo spazio HSV
Lo spazio colore HSV, o HSL `e una diversa rappresentazione di un punto nello
spazio colore RGB. In pratica `e semplicemente una trasformazione dello spazio
che fa corrispondere un punto [R, G, B] ad un punto [H, S, V] . Il gamut `e lo
stesso dello spazio colore RGB su cui poggia.
Questo spazio parte dal metodo usato dagli artisti per definire i colori, un pigmento puro pu`o essere reso pi`
u tenue aggiungendo del bianco e pi`
u scuro aggiungendo del nero. Infatti non `e facile ottenere un colore che si desidera mescolando
tra loro le quantit`a giuste di rosso, verde e blu (come nel caso dello spazio RGB).
Permette quindi di specificare un colore in maniera abbastanza naturale, non
essendo legato ad alcun dispositivo hardware di rappresentazione.
Si avvale di tre valori caratteristici, di cui due lineari ed uno angolare. Una
delle rappresentazioni spaziali di questo spazio colore `e il cono (figura 4.14).
Lasse verticale della piramide, V (value) in HSV o L (lightness) in HSL, porta
le informazioni relative alla luminosit`a del colore (tendenza al bianco o al nero)
e varia da 0 per il nero a 1 per il bianco ed i colori luminosi. H (hue), la
tinta, `e la coordinata angolare. Registra la rotazione attorno allasse verticale
in senso antiorario, necessaria per selezionare la tinta desiderata. Zero gradi
corrispondono al rosso, 120 gradi al verde e 240 gradi al blu. La coordinata S
(saturation) corrisponde alla saturazione, i colori desaturi assumono un valore
S uguale a 0, i colori massimamente saturi (puri) assumono un valore di 1.
4.7
I sistemi colore
I sistemi di ordinazione del colore si dividono in tre gruppi principali [10]. Quelli
presentati in questa sede sono quelli che si basano sui principi della percezione
del colore e sono talvolta chiamati per questo motivo color appearance systems o
70
sistemi percettivi. In essi uguali differenze in ogni regione dello spazio corrispondono a uguali differenze percettive. I sistemi di colore degli altri due gruppi si
basano sui principi della mescolanza addittiva e della mistura di coloranti.
4.7.1
Il sistema Munsell
Questo sistema [26] pone alla sua base il concetto di uguali differenze tra colori
contigui. Nel caso dei grigi, vennero messi in fila ordinata tutti i tipi di grigi
a disposizione in modo che la differenza percepita tra un determinato grigio
e quello che lo precede fosse uguale a quella percepita tra quello stesso grigio
e quello seguente. In questo modo i grigi nella scala creata sono spaziati da
differenze uguali tra loro. Essendo Munsell un sostenitore del sistema metrico
decimale, divise la scala dei colori acromatici dal nero al bianco in dieci gradini.
Egli pose il nero allinizio di questa scala (valore 0) in modo tale che i grigi pi`
u
chiari assumessero via via valori maggiori fino al bianco (valore10). In questo
modo si pu`o identificare un particolare grigio in base al numero dei gradini unitari che lo separano dal nero, ma non si dice nulla su come quel grigio appaia.
La grandezza che varia lungo questa scala dei grigi `e la lightness (scala chiaroscuro), e la sua misura `e stata chiamata value.
Un procedimento analogo a questo `e stato poi utilizzato da Munsell per numerare tutte le tonalit`a cromatiche contenute nel cerchio dei colori. Nellintero
cerchio individu`o 100 colori tutti equidistanziati dal punto di vista percettivo
uno dallaltro. Qui per`o era pi`
u difficile, trattandosi di un cerchio, individuare
un punto di partenza (che `e anche punto di arrivo). Individu`o cos` cinque colori
di un certo rilievo, in modo da definire per interpolazione gli altri cinque necessari per arrivare a dieci. Scelse il rosso come inizio della sequenza, poiche
risulta essere il colore che spicca maggiormente per le sue qualit`a cromatiche.
Divise quindi il cerchio in dieci parti, creando quindi cinque archi principali
(0-10, 20-30, 40-50, 60-70, 80-90) che si alternano con i cinque archi secondari
(10-20, 30-40, 50-60, 70-80, 90-0). Al primo arco viene attribuito il colore rosso,
e il colore in posizione 5 (5R), cio`e al centro dellarco, rappresenter`a il rosso
pi`
u rosso. Si trattava a questo punto di assegnare un colore agli altri 4 archi
principali: al terzo attribu` il giallo, al quinto il verde, al settimo il blu, al nono
il porpora. Questa grandezza si chiama hue.
Munsell non prest`o molta attenzione ai nomi utilizzati dato che secondo lui la
cosa pi`
u importante per identificare una tonalit`a senza ambiguit`a era localizzarla in una precisa posizione del cerchio; tutte le tinte sono infatti identificate
da un numero.
Lultima cosa da fare era organizzare e numerare i colori appartenenti ad una
stessa tinta. Prendendo tutti i colori di superficie che si possono raccogliere, isol`o
dei mazzetti di colori di uguale tinta che dovevano successivamente essere ordinati. Oper`o poi unaltra cernita allinterno di ogni mazzetto, per individuare
quei colori che apparivano della stessa chiarezza di un particolare grigio della
scala acromatica. In questo modo, per ognuno dei dieci livelli della scala bianco71
nero, si avr`a un certo numero di colori appartenenti ad una stessa tinta. Tra
questi venne scelto quel particolare colore che si differenziava dal corrispettivo
grigio in maniera uguale a quanto questo si differenziava dai due grigi immediatamente vicini. Estrasse quindi dal mazzetto altri colori in modo da formare una
sequenza equispaziata che, partendo dal grigio, si dirigesse verso colori sempre
meno grigi, cio`e pi`
u colorati. Ci`o che contava era la posizione di ciascun colore nella relativa scala. Munsell chiam`o chroma la variabile che caratterizzava
questa scala. Partendo dallo zero (colore acromatico) essa assume valori pi`
u alti
per colori sempre pi`
u lontani dal grigio.
Le tre grandezze individuate (value, hue e chroma) sono indipendenti e caratterizzano uno spazio tridimensionale nel quale la scala dei grigi costituisce un
asse verticale. Intorno ad esso si dispongono le diverse tonalit`a secondo il cerchio
cromatico, e per ogni livello di chiarezza valori crescenti di croma si allontanano
dallasse verso lesterno. Idealmente si andrebbe a formare un cilindro (qualora
per ogni livello di chiarezza il numero di gradini di croma fosse uguale per tutte
le tonalit`a), ma essendoci delle restrizioni naturali la forma concreta dello spazio
occupato dal sistema Munsell `e un albero irregolare, detto albero di Munsell
(figura 4.15). Il sistema Munsell non prevede che ogni colore formi con quelli adiacenti salti percettivamente uguali in tutte le direzioni dello spazio, ma
soltanto in alcune.
4.7.2
Questo sistema [27, 28] `e stato pubblicato dallIstituto Scandinavo dei Colori di
Stoccolma. Esso si basa sul modo in cui i colori vengono percepiti e sulle tre
72
Figura 4.16: In alto a sinistra il cerchio NCS. A destra il triangolo delle sfumature di una stessa tinta. Nel vertice superiore (W, white) si trova il bianco perfetto, nel vertice inferiore (S, schwarz ) si trova il nero perfetto e nellaltro vertice (C) la nuance di massima cromaticit`a per quella determinata tinta. Allinterno del triangolo si trovano tutti i colori che assomigliano
in grado diverso ai tre colori estremi, nelle proporzioni indicate dai numeri
a lato. In basso, solido dei colori del sistema NCS: se si dispongono tutti
i triangoli delle diverse tonalit`a intorno al comune asse dei grigi, si viene a
formare un solido regolare a forma di doppio cono. Immagini tratte dal sito
http://www.ncscolour.com/webbizz/mainPage/main.asp.
G, Y, R, B; in quanto la somiglianza con i relativi colori `e del 100%, non assomigliando a nessunaltra tinta.
Va ricordato che la quantificazione numerica usata da questo sistema esprime
diversit`a qualitative fra colori, ovvero somiglianze percettive, e non quantitative
in senso fisico. Quello che si misura `e una qualit`a percettiva. Nel caso della scala
bipolare bianco-nero, in cui il bianco ha valore 0 e il nero ha valore 100, i valori
crescenti nella notazione indicano la somiglianza con il nero. I colori nellintervallo vengono numerati in funzione della loro somiglianza con i due estremi.
In modo analogo a quanto visto finora `e possibile ordinare tutti colori disponibili di una certa tonalit`a (detti nuances, o sfumature) in modo da mettere vicini
colori che si somigliano. Lordinamento che ne risulter`a sar`a bidimensionale,
distendendosi su un piano con una forma triangolare (figura 4.16, in alto a de74
4.7.3
Il sistema OSA-UCS
Figura 4.18: I colori della bandiera svedese sono stati ufficialmente stabiliti in
NCS 0580-Y10R per il giallo e NCS 4055-R95B per il blu.
nella quale ogni colore `e circondato da dodici colori vicini, tutti percettivamente
equidistanti dal colore considerato. Le coordinate utilizzate sono L (lightness),
j (asse giallo-blu) e g (asse rosso-verde).
Questo sistema ha il vantaggio di organizzare i colori nello spazio in modo
percettivamente equo, il suo principale inconveniente `e tuttavia quello di non
estendersi a regioni molto sature. Questo sistema `e disponibile in forma di atlante, il quale contiene dei tasselli colorati che rappresentano, quando osservati con
illuminazione diurna (D65 ) e su uno sfondo grigio medio, i colori del sistema
OSA come specificati dalle coordinate CIE 1964 [23].
76
Parte II
Color Naming
77
79
80
CAPITOLO
5
Lineamenti di una storia degli
studi attraverso due secoli
5.1
Introduzione
Il problema della denominazione del colore nei suoi vari aspetti ha costituito
e costituisce ancora oggi un campo di osservazione privilegiato per linguisti,
psicologi e antropologi. Gi`a nel corso dellOttocento ci si inizi`o ad interessare e
a dedicare allo studio dei termini di colore. In questo capitolo si accenner`a per
sommi capi, data la vastit`a della relativa bibliografia, alla storia dei vari tipi di
approccio alla terminologia cromatica a partire dal diciannovesimo secolo fino a
giungere al 1969, con il lavoro di Berlin e Kay [32].
Questa scelta `e stata dettata dal fatto che il loro lavoro `e ancora oggi considerato
il pi`
u importante e decisivo in questo campo, e verr`a quindi analizzato in modo
separato e pi`
u dettagliato. Gli stessi Berlin e Kay fecero unoperazione simile
nel loro testo, delineando la storia degli studi condotti prima di loro, operazione
utile per rendere giustizia alla ricerca precedente, ma anche per collocare il loro
studio in una prospettiva storica.
5.2
Ottocento
in particolare, un appoggio e una conferma alla teoria che sosteneva. Lumanit`a preistorica, completamente cieca al colore e sensibile solo alla luce, avrebbe
lentamente sviluppato il senso cromatico che si sarebbe via via affinato nel corso
del processo evolutivo. Si contrapponevano a queste posizioni, che chiamiamo
evoluzionistiche, le posizioni culturalistiche. In questo stesso periodo, divenne
di conoscenza comune tra gli studiosi il fatto che i principali nomi di colore nelle
diverse lingue non erano perfettamente traducibili da una lingua ad unaltra.
Per alcuni questa era una prova dellesistenza di differenze percettive a base
biologica tra i diversi gruppi di esseri umani.
Il primo lavoro sullo sviluppo del senso cromatico di cui si ha traccia `e quello
di William Gladstone [33], studioso di Omero. Proprio studiando questa figura, egli si rese conto dellapparente mancanza di termini di colore astratti nei
suoi scritti. Riscontr`
o anche delle incertezze e inconsistenze nellapplicazione
e nelluso di questi termini che lo portarono a sostenere che i greci del tempo
di Omero non avessero una chiara nozione del termine colore e non avessero
ancora sviluppato pienamente una capacit`a di percepire i colori. Queste persone
possedevano a suo avviso abilit`a meno affinate rispetto alluomo moderno, pur
distinguendo tra gradi di luminosit`a, cio`e tra chiaro e scuro, oltre ad avere un
lessico poco sviluppato privo di termini veramente astratti e di termini specifici
per le lunghezze donda corte corrispondenti al verde e al blu.
Lazarus Geiger [34], in modo analogo, sostenne che la sensibilit`a delluomo al
colore non fosse stata cos` fine fin dallinizio della sua storia, ma che esistessero
un affinamento e uno sviluppo continuo nella capacit`a umana di percepire i
colori. Fu quindi il primo a sostenere lesistenza di una sequenza universale
nellacquisizione dei colori basici. Basandosi sulle sue dettagliate analisi di
vari testi scritti antichi, egli ipotizzava un periodo iniziale di vaga sensibilit`a
al colore nella storia dellumanit`a caratterizzato da una capacit`a di ricognizione
indifferenziata del colore, cui sarebbe poi seguita la possibilit`a di percepire grado a grado alcuni colori. Luomo avrebbe acquisito consapevolezza riguardo ai
colori nellordine in cui questi compaiono nello spettro, a partire dalla lunghezza donda pi`
u lunga. Propose sei periodi nello sviluppo della terminologia dei
colori:
1. vago concetto di qualcosa di colorato, non ci sono distinzioni di colore;
2. distinzione di nero e rosso;
3. aggiunta del giallo (che include al suo interno il verde);
4. aggiunta del bianco;
5. aggiunta del verde;
6. aggiunta del blu.
Una dura critica alle posizioni di Geiger e Gladstone arriv`o da parte di
Grant Allen [35]. Egli sosteneva che la scarsit`a di termini di colori nelle lingue
82
5.3
Novecento
Allinizio del ventesimo secolo la questione dellevoluzione del senso del colore
nelluomo venne riaperta da Rivers [39, 40] che offr` una revisione della relativa
letteratura. Egli studi`o il problema del rapporto tra percezione e denominazione
dei colori e della loro evoluzione con ricerche sul campo, soprattutto con una
spedizione etnografica compiuta tra il 1898 e il 1900 a Torres Straits in Nuova
Guinea. Una valutazione oggettiva di questo problema poteva essere raggiunta solo attraverso lo sviluppo di metodi sperimentali moderni. I suoi studi lo
portarono a identificare la presenza di vari stadi nellacquisizione della terminologia cromatica, corrispondenti a stadi di sviluppo culturale. In contrasto con
le posizioni di Magnus e Allen, Rivers riapr` la possibilit`a che i popoli primitivi
percepissero i colori in maniera diversa ritenendo che quando la confusione tra
verde e blu si manifesta a livello lessicale, si manifesta anche a livello percettivo.
Questa minore sensibilit`a per il verde e blu e conseguente confusione terminologica era secondo lui dovuta ad una forte pigmentazione della retina che
assorbirebbe la luce alle lunghezze donda corte. La denominazione, secondo
questo punto di vista, sarebbe subordinata alla percezione. Il lavoro di Rivers
fu lultimo tentativo di discutere levoluzione della nomenclatura del colore prima di quello di Berlin e Kay, che si colloca circa 70 anni pi`
u tardi.
In generale, tutti gli studi sui nomi di colore e sullarbitrariet`a o meno con
cui le lingue segmentano e codificano il continuum del colore, si collocano nella
pi`
u generale problematica del rapporto tra lingua e pensiero. Riguardo a questo
rapporto si oppongono storicamente due posizioni filosofiche, universalismo e
relativismo. Il primo sostiene che, per dote innata, gli esseri umani ragionino
tutti allo stesso modo. Le evidenti differenze che si riscontrano nella realt`a non
85
intaccano in alcun modo la sostanziale universalit`a degli essere umani. Il relativismo invece sostiene che la conoscenza venga acquisita attraverso lesperienza,
e di conseguenza se lesperienza `e diversa, anche il modo di pensare lo sar`a a
sua volta. Mentre nel diciannovesimo e nella prima parte del ventesimo secolo i ricercatori vedevano le differenze nei lessici delle lingue in una prospettiva
evoluzionistica, nella seconda met`a del ventesimo secolo si inizi`o ad opporsi a
spiegazioni di questo tipo e ad indirizzarsi verso la relativit`a culturale e linguistica. Nel campo della linguistica, le due visioni si tradussero nelle due teorie
linguistiche descritte nel seguito.
Relativismo linguistico. Le lingue modellano il modo di conoscere e concettualizzare il mondo, le operazioni cognitive sono dipendenti dalla lingua usata. Chi conosce linguisticamente il mondo in un certo modo, ne sar`a influenzato
di conseguenza.
Questa teoria `e conosciuta come ipotesi di Sapir-Whorf. Lorigine dellipotesi di Sapir-Whorf pu`o essere fatta risalire al lavoro di Franz Boas sulle lingue
amerindie [41]. Di origine tedesca, trasferitosi negli Stati Uniti venne a contatto
con queste lingue, appartenenti a famiglie linguistiche completamente diverse, e
si chiese se le differenze culturali e le differenze nello stile di vita si riflettessero
nella lingua parlata. Il lavoro di Boas fu continuato da Sapir [42], uno dei suoi
studenti pi`
u brillanti e da Benjamin Lee Whorf [43], a sua volta allievo di Sapir,
ai quali si deve il delinearsi di questa teoria. Ecco alcune loro citazioni che ci
illustrano i punti chiave della loro visione:
` unillusione immaginare che uno si adatti alla realt`a senza luso
E
della lingua e che la lingua sia meramente un mezzo incidentale per
risolvere specifici problemi di comunicazione. Il fatto `e che il mondo reale `e in larga misura costruito sulle abitudini linguistiche del
gruppo. Nessuna lingua `e sufficientemente simile a unaltra per essere considerata rappresentante della stessa realt`a sociale. I mondi in
cui vivono societ`a diverse sono mondi distinti, non meramente lo
stesso mondo con attaccate diverse etichette. Sapir [42].
Il principio della relativit`a linguistica [. . .] vuol dire, in termini informali, che gli utenti di grammatiche marcatamente diverse vengono
indirizzati dalle loro grammatiche verso tipi diversi di osservazioni
e valutazioni diverse di atti di osservazione esternamente simili, e
dunque non sono equivalenti come osservatori ma devono arrivare a
interpretazioni diverse del mondo. Whorf [43].
Noi sezioniamo la natura secondo le linee tracciate dalla nostra lingua madre. Le categorie e le tipologie che isoliamo dal mondo dei
fenomeni non sono evidenti e individuabili per qualsiasi osservatore;
al contrario, il mondo si presenta come un flusso caleidoscopico di impressioni che devono essere organizzate dalla nostra mente; e questo
86
ovvero le pi`
u frequenti e codificate con nomi di lunghezza inferiore, occupassero
i gradini pi`
u alti nella gerarchia cognitiva.
A questo scopo condussero degli esperimenti sulla ricognizione dei colori in rapporto alla loro maggiore o minore codificabilit`a, valutata secondo i diversi gradi
di precisione nel nominare e la lunghezza o il numero delle parole utilizzate.
I risultati dimostravano che tra le due variabili esiste una correlazione significativa. La codificabilit`a `e definita come misura dellefficienza con la quale
un colore pu`o essere codificato in una lingua data e viene messa in relazione
con la memoria; `e quindi legata ad un comportamento non linguistico misurato
attraverso laccuratezza della ricognizione. Sotto certe condizioni la memoria
del colore `e influenzata dalle abitudini di denominazione. Un colore che ha un
nome inequivocabile in una lingua ha migliori possibilit`a di essere riconosciuto
correttamente rispetto ad un colore meno facilmente denominabile. La precisione della denominazione sembra essere massima nei punti focali e diminuisce
allontanandosi da questi.
A questi studi di Lenneberg e collaboratori si ispirano alcune ricerche sul
lessico dei colori in soggetti bilingui, come [48]. Sembra infatti che parlanti
bilingui strutturino lo spazio colore nella loro lingua madre in modo diverso dai
monolingui. Nel caso del bilinguismo si assiste ad un fenomeno di interferenza
semantica, si ha cio`e un mutamento di significato dei termini sotto linflusso di
una seconda lingua. Ervin elabor`o un metodo di predizione della terminologia
cromatica dei bilingui. Vengono determinate quattro situazioni di conflitto:
1. Un termine per un referente `e di alta probabilit`a in una lingua e non lo `e
nellaltra;
2. Esiste una differenza nelle zone non focali nel caso di due categorie simili;
3. In una lingua vengono utilizzate due categorie per coprire una sola categoria dellaltra;
4. In una lingua si usino tre categorie per coprirne due dellaltra.
Le ricerche sulla relazione tra attivit`a cognitive e linguaggio sono state continuate da E. Rosch Heider e dai suoi collaboratori [4953] che si sono concentrati
sulla rilevanza dei colori focali rispetto a quelli non focali, e sul ruolo della rilevanza percettiva e cognitiva di certe aree dello spazio del colore nello sviluppo
e nel mantenimento dei significati fondamentali universali dei nomi di colore:
sono infatti i colori focali quelli che il bambino impara a denominare per primi.
Il dominio del colore sarebbe strutturato in categorie semantiche non arbitrarie
che si manifestano attorno a prototipi naturali percettivamente rilevanti. Sulla base di alcuni esperimenti sulla formazione dei concetti e sulla maniera in cui
si imparano le categorie cromatiche conclusero, in opposizione a Lenneberg [47],
che i fattori percettivi e cognitivi (rilevanza e memorizzabilit`a di certe aree dello spazio colore) possono influenzare la formazione delle categorie linguistiche.
Si parler`a ulteriormente degli studi di E. Rosch Heider nel capitolo successivo,
poiche si collocano temporalmente in anni posteriori allo studio di Berlin e Kay
88
[32].
Discostandosi dal relativismo culturale, Van Wijk [54] fu in qualche modo un
precursore di Berlin e Kay che tent`o di formulare una teoria transculturale dei
termini di colore. Egli propose che le differenze tra le strutture dei lessici cromatici nelle diverse lingue fossero basate sulla relativa importanza che ha, nella
percezione del colore, la dimensione della luminosit`a rispetto alla dimensione
della tonalit`a, importanza che dipende dalla posizione geografica delle comunit`a
linguistiche. Le societ`a vicino allequatore, dove lintensit`a media di luce `e pi`
u
alta, avrebbero lessici che si focalizzano sulla dimensione di luminosit`a, mentre
le societ`a vicino ai poli si focalizzano prevalentemente sulla tinta (influsso della
latitudine sulla percezione e denominazione dei colori). Secondo questa ipotesi quindi la percezione della luce (e di conseguenza del colore) `e condizionata
originariamente dalle propriet`a della luce.
Il punto principale che sfugg` a Van Wijk e che attir`o le critiche di Berlin e Kay `e
che la luminosit`a `e una dimensione di contrasto (la principale) presente in tutti
i sistemi linguistici di colore. Quando il sistema colore introduce il contrasto di
tonalit`a, il contrasto di luminosit`a non perde importanza ma semplicemente il
sistema diventa pi`
u complesso. Secondo la versione pi`
u raffinata di Berlin e Kay,
che aggiunge la variabile dello sviluppo tecnologico-culturale, i termini per la
luminosit`a sono i primi ad apparire in ogni lingua e a questi si aggiungono i termini di colore basici quando le comunit`a rispettive diventano tecnologicamente
e culturalmente pi`
u complesse. Ad unanalisi empirica, risulta che un numero
alto di culture relativamente semplici si trova ai tropici, mentre un numero alto
di culture complesse si trova in aree temperate. La conferma di ci`o sarebbe che
culture primitive in aree temperate (per esempio, Nord America) tendono ad
avere terminologie cromatiche relativamente semplici dominate dalla luminosit`a,
mentre culture complesse in aree tropicali (per esempio, Indonesia) tendono ad
avere terminologie cromatiche complesse dominate dalla tonalit`a. Quindi una
versione pi`
u corretta della teoria di Van Wijk potrebbe prevedere che i sistemi tropicali siano dominati dalla luminosit`a e che i sistemi temperati siano
dominati da luminosit`a + tinta.
5.4
Conclusioni
visione dualista, non `e difficile avere unimmagine che unisca le due posizioni
pacificamente e le trasformi in ununica visione.
90
CAPITOLO
6
Le posizioni universaliste
6.1
Introduzione
Sullo sfondo del relativismo linguistico si staglia il lavoro di Berlin e Kay del
1969 [32], che arriva a conclusioni in netto contrasto con questa visione. Da allora in poi questo studio costituir`a la pietra miliare allinterno di questo ambito
di ricerca. Esso scaten`o una fortissima ondata di interesse per largomento, e
ci`o provoc`o un moltiplicarsi di ricerche le quali miravano ad indagare la validit`a
o meno della teoria dei due studiosi.
In questo capitolo vedremo quindi nel dettaglio questo studio, seguito dalle
critiche che ha ricevuto e dalle modifiche che gli stessi autori ne hanno successivamente apportato. Si concluder`a con una presentazione degli studi pi`
u recenti
che portano prove a favore della visione universalista.
6.2
Questo studio sostiene che nel dominio del lessico dei colori esistano degli universali semantici che sembrano essere correlati allo sviluppo storico di tutte le
lingue in un modo da poter essere definito evolutivo.
Come gi`a visto la dottrina prevalente in quel periodo tra linguisti e antropologi, soprattutto negli Stati Uniti, era quella della relativit`a linguistica, dottrina
secondo cui ogni lingua `e semanticamente arbitraria. Secondo questo punto di
91
vista, la ricerca di universali semantici `e inutile e infruttuosa dato che ogni lingua segmenta il continuum del colore arbitrariamente e in maniera indipendente
rispetto alle altre lingue.
Berlin e Kay sostengono che, nonostante diverse lingue codifichino nel loro linguaggio diversi numeri di categorie di colore basici e lo facciano in modo diverso,
esista un inventario universale di esattamente undici colori basici, da cui ogni
lingua trae i suoi nomi di colore, il cui numero sar`a compreso tra due e undici. Questi termini, nelle diverse lingue, si riferiscono per`o alle stesse aree dello
spazio colore. Gli autori identificano queste undici categorie nei colori:
White, black, green, yellow, blue, brown, purple, pink, red, orange, grey.
Chiaramente, qualora una lingua abbia meno termini di colore, ogni termine
dovr`a denotare una gamma pi`
u ampia di colori, ovvero una porzione pi`
u ampia
dello spazio colore. La seconda scoperta cui arrivano `e che ci sono strette limitazioni riguardo a quali siano le categorie che una lingua codificher`a e allordine
con cui lo far`a, che non `e casuale. Le restrizioni di tipo distribuzionale di nomi
di colori sono le seguenti:
1. Tutte le lingue contengono termini per il bianco e il nero.
2. Se una lingua possiede tre termini, allora conterr`a un termine per il rosso.
3. Se una lingua possiede quattro termini, allora conterr`a un termine per il
verde o per il giallo (non entrambi).
4. Se una lingua contiene cinque termini, allora conterr`a termini sia per il
verde che per il giallo.
5. Se una lingua contiene sei termini, allora conterr`a un termine per il blu.
6. Se una lingua contiene sette termini, allora conterr`a un termine per il
marrone.
7. Se una lingua contiene otto o pi`
u termini, allora conterr`a un termine per
il viola, rosa, arancione, grigio o qualche combinazione di questi.
Questi fatti distribuzionali sono rappresentati nella tabella 6.1, in cui ogni
riga corrisponde ad una tipologia di lessico di colori basici. Solo le 22 combinazioni mostrate in tabella si riscontrano nelle lingue del mondo, su un totale
di 2.048 combinazioni possibili. Si tratta allincirca dell1%.
I 22 tipi mostrati in tabella 6.1 sono correlati tra loro in quanto generati da
una semplice regola che viene sintetizzata in figura 6.1, dove la seconda rappresentazione mostra un ulteriore affinamento. Date due categorie distinte (a, b),
lespressione a < b significa che a `e presente in qualsiasi lingua in cui `e presente
b e anche in qualche lingua in cui b non `e presente (secondo il concetto di implicazione utilizzato in logica).
Questo non rappresenta solo una dichiarazione di distribuzione per le lingue, ma
anche un ordine cronologico che le lingue seguono nel codificare le categorie di
92
Type
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
No. of
basic
color
terms
2
3
4
4
5
6
7
8
8
8
8
9
9
9
9
9
9
10
10
10
10
11
black
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
red
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
green
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
yellow
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
blue
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
brown
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
pink
+
+
+
+
+
+
+
+
purple
+
+
+
+
+
+
+
+
orange
+
+
+
+
+
+
+
+
grey
+
+
+
+
+
+
+
+
Figura 6.1: La gerarchia implicazionale di Berlin e Kay [32]. Sotto, una sua
rappresentazione diacronica.
colore interpretato dunque come una sequenza di 7 stadi evolutivi. Non rappresenta quindi solo lo stato sincronico delle lingue, le quali, in un dato momento
storico, apparterranno ad un preciso stadio (anche se ci sono casi di transizione),
ma rappresenta anche lordine cronologico in cui queste codificano le categorie
fondamentali di colore, rappresenta quindi il loro sviluppo diacronico. La classe
[verde, giallo] corrisponde al terzo e quarto stadio piuttosto che ad uno stadio
singolo (ci`o `e evidente nella seconda rappresentazione in figura 6.1).
Riassumendo, due sono le scoperte pi`
u importanti:
I nomi dei colori basici di tutte le lingue sembrano essere tratti da un
insieme di 11 categorie percettivamente universali.
Queste categorie vengono codificate nella storia di ogni singola lingua
secondo un ordine fisso.
93
Sembrerebbe non esserci prova del fatto che differenze nella complessit`a del lessico di colori basici tra due lingue rifletta differenze percettive tra i parlanti delle
stesse due lingue.
La ricerca sperimentale venne condotta su venti lingue1 , geneticamente diverse
tra loro. Gli autori usarono 329 stimoli colore standardizzati forniti dalla Munsell Color Company; 9 di questi tasselli erano acromatici, gli altri 320 di tinte
equamente spaziate e con 8 livelli di luminosit`a, tutti alla massima saturazione.
I dati vennero raccolti in due momenti. In un primo momento venne stimolata
la produzione dei nomi dei colori basici, successivamente venne chiesto ad ogni
soggetto di collocare sia il punto focale che i confini di ognuno dei termini utilizzati.
Ogni lingua ha un numero molto ampio di espressioni che utilizza per descrivere le sensazioni di colore. Alcuni esempi in inglese sono: scarlet, blue-green,
blond, bluish, lemon-colored, salmon-colored ecc. Queste espressioni per`o vennero escluse dal novero dei nomi di colore basici, concetto che tuttavia non `e
del tutto chiaro. Proprio per questo motivo i due autori propongono 8 caratteristiche, 4 primarie e 4 secondarie, che devono essere soddisfatte da un nome
di colore affinche questo possa essere considerato un nome di colore basico. Nel
caso in cui le prime 4 non siano sufficienti per stabilire i termini basici di colore
(bcts, basic color terms) di una lingua, occorrer`a ricorrere agli ultimi 4.
1. Il termine `e monolessematico, cio`e, il suo significato non `e deducibile a
partire da quello delle parti di cui `e composto (come in bluish).
2. Il suo significato non `e incluso in quello di nessun altro nome di colore
(come in scarlet, che `e incluso in red ).
3. La sua applicazione non deve essere ristretta ad una classe di oggetti (come
in blond, che si applica solo al colore dei capelli).
4. Devessere psicologicamente saliente per i parlanti di quella lingua. Indizi che spingono a diagnosticare questa salienza possono essere molti, ad
esempio la tendenza a nominarlo allinizio di una lista di nomi di colori
stimolata, una certa stabilit`a tra parlanti e in varie situazioni duso, loccorrenza nellidioletto di tutti i parlanti di quella lingua.
5. La distribuzione morfologica deve essere simile a quella degli altri termini
basici (es. in inglese esistono i termini greenish e bluish ma non aguaish e
chartreusish).
6. Non deve essere anche il nome di un oggetto che ha quel colore come
caratteristico (es. gold, silver, ash). Questo criterio escluderebbe anche
1 Le lingue esaminate erano arabo (Libano), bulgaro (Bulgaria), catalano (Spagna), cantonese (Cina), mandarino (Cina), inglese (USA), ebraico (Israele), ungherese (Ungheria),
ibibio (Nigeria), indonesiano (Indonesia), giapponese (Giappone), coreano (Corea), pomo (California), spagnolo (Messico), swahili (Africa orientale), tagalog (Filippine), thai
(Tailandia), tzeltal (Messico del sud), urdu (India), vietnamita (Vietnam).
94
orange, qualora esso fosse stato ancora in dubbio dopo aver analizzato i
primi 4 criteri (ma non `e cos`).
7. Non deve essere un prestito recente da altre lingue.
8. Non deve essere morfologicamente complesso.
Il quarto criterio `e stato pi`
u volte messo in discussione in quanto, a differenza
degli altri, non `e un criterio linguistico, e il concetto di salienza psicologica non
sembra essere chiaro e univoco, ne misurabile in modo inequivocabile e scientifico.
Dopo aver stimolato verbalmente lelenco totale dei nomi di colore basici
per ogni soggetto, gli stessi vennero mappati sempre dal soggetto. Lo scopo era
di scoprire larea totale coperta da una categoria basica, e determinare i punti
focali o i membri prototipici per ognuna di esse.
Dopo aver mappato tutte le lingue, Berlin e Kay unirono tutti i risultati riguardo
ai punti focali di tutti i termini di tutte le lingue. I risultati di questa comparazione mostrano che i punti focali delle categorie sono simili tra le varie lingue
analizzate e che la categorizzazione dei colori non `e quindi casuale. Questo
smentirebbe la teoria relativista.
Un altro aspetto sollevato da questo studio e unulteriore prova a favore delluniversalit`a della categorizzazione `e data dal fatto che la locazione dei punti focali
varia leggermente di pi`
u tra parlanti della stessa lingua di quanto non vari tra
parlanti di lingue diverse. A causa di un difetto dello studio, il quale prendeva
in esame nella maggior parte dei casi solo un soggetto per ogni lingua, confronti
intralinguisitici furono possibili solo per la lingua tzeltal, unica lingua analizzata
in un numero pi`
u ampio di soggetti. Venne fatto un confronto interlinguistico
tra i punti focali di alcuni colori nei soggetti giapponesi, coreani e cinesi (un
soggetto per ognuna di queste lingue) e gli stessi punti focali nei vari parlanti della lingua Tzeltal. Le distanze interlinguistiche tra punti focali vengono
puntualmente superate da quelle intralinguistiche registrate nei diversi parlanti della lingua Tzeltal. La variabilit`a intraculturale `e almeno uguale a quella
interculturale, in ogni modo non `e maggiore ad essa. Ci sono quindi notevoli
differenze individuali tra parlanti della stessa lingua. A questo proposito si veda
anche [55].
In generale, nonostante ci`o, la localizzazione dei vari punti focali risult`o essere
molto attendibile, cosa che non pu`o dirsi per i confini tra categorie che risultarono molto instabili, anche in uno stesso soggetto. Ci`o risulta evidente anche
dalla facilit`a con cui i soggetti individuarono i punti focali, in contrasto con
le difficolt`a che incontrarono nello stabilire i confini tra categorie. I soggetti
hanno lunghe esitazioni nello svolgere questo compito, chiedono chiarificazioni
e istruzioni pi`
u precise, esprimono a parole il fatto di trovare difficile il compito.
` possibile che, a livello cerebrale, le procedure primarie di immagazzinamento
E
della realt`a fisica dei colori riguardino dei punti delle superfici, piuttosto che
volumi estesi. Processi secondari invece si potrebbero occupare dellestensione
95
a punti del solido che non sono inclusi nel punto focale.
Entrando pi`
u nel dettaglio, la seconda scoperta riguarda lesistenza di una
sequenza fissa di stadi evolutivi nellacquisizione dei nomi di colore basici. Ogni
lingua deve passare attraverso questa sequenza man mano che il suo lessico dei
colori basici si espande.
Dopo essere arrivati a questa conclusione gli autori ampliarono le lingue prese in
esame dalle 20 iniziali, analizzate sperimentalmente, e aggiunsero 78 lingue sui
cui sistemi di colore raccolsero dati e informazioni in modo indiretto, avvalendosi
di materiale tratto da fonti pubblicate e comunicazioni personali con linguisti
ed etnografi che possedevano conoscenze specifiche delle lingue in questione. I
gradi di precisione per ogni lingua erano quindi diversi.
La regola vista precedentemente riguardo allordine di acquisizione dei termini di
colori vale, oltre che per le 20 lingue iniziali, anche per quelle aggiunte successivamente. Se una lingua codifica delle categorie di uno stadio, allora codificher`a
anche le categorie appartenenti agli stadi precedenti. Gli stadi precedenti costituiranno quindi gli stadi precedenti di sviluppo di ogni specifica lingua, e lacquisizione o perdita di un termine da parte di una lingua seguir`a lordine dettato
dalla regola. In realt`a la perdita di termini, intendendo con ci`o la perdita vera
e propria e non la sostituzione con un nuovo termine, avviene molto raramente.
In ogni momento una lingua apparterr`a ad uno solo dei 7 stadi ed avr`a superato
nella sua storia gli stadi precedenti.
La distribuzione delle lingue del campione rispetto agli stadi proposti era di 9
lingue appartenenti allo stadio I, 21 appartenenti allo stadio II, 8 appartenenti
allo stadio III a e 9 al III b, 18 appartenenti allo stadio IV, 8 allo stadio V, 5
allo stadio VI e 20 allo stadio VII.
L emergere delle categorie verde e giallo segna due separati stadi di sviluppo,
e solitamente il giallo emerge prima del verde. Lo stadio III vede la comparsa
di una di queste due categorie, mentre lo stadio IV vede lemergere di quella di
queste due categorie che non `e apparsa nello stadio III. Nel campione preso in
esame si trovano lingue che possiedono uno di questi due termini ma non laltro.
Ci`o contrasta con lipotesi che i due termini appaiano simultaneamente.
Analizzando il primo e lultimo stadio, Berlin e Kay [32] notarono che non vi
era alcuna lingua in cui mancasse uno dei due termini previsti dal primo stadio
(bianco/tinte chiare, nero/tinte scure), ovvero che non esistono sistemi ad un
solo termine. Similarmente, per lultimo stadio c`e una forte tendenza per una
lingua che possiede uno di questi termini a possedere anche tutti gli altri.
Sembra esserci anche una correlazione tra complessit`a culturale/livello di
sviluppo tecnologico e complessit`a del lessico dei colori.
Tutte le lingue di popoli europei e asiatici industrializzati si trovano allo stadio
VII, mentre tutte le lingue che si trovano agli stadi I, II e III sono parlate da persone che appartengono a popolazioni esigue e con limitata tecnologia, situate in
regioni isolate. Non `e per`o possibile specificare meglio questa correlazione fino a
che i concetti di livello di sviluppo tecnologico e grado di complessit`a culturale
non saranno meglio capiti e misurati. Il vocabolario totale di lingue parlate
96
cui viene collocato in inglese. Il blu veniva riconosciuto come distinto. Per tutti
i parlanti di questa lingua era chiaro che il termine per verde includeva al suo
interno due centri percettivi distinti e importanti, verde e blu. Forse il contatto
con parlanti di lingua spagnola negli ultimi 400 anni aveva accentuato questo
aspetto che stava per emergere.
Lo stadio VII `e rappresentato da venti delle 98 lingue del campione. Nella
maggioranza dei casi le lingue che appartengono a questo stadio possiedono
tutti gli 11 termini di colore basici. Oltre a esserci lingue che ne possiedono di
meno, ci sono casi di lingue che possiedono pi`
u termini basici per uno stesso
colore, ad esempio in ungherese ci sono due termini basici per rosso. In modo
simile il russo possiede due termini per blu: sinij (blu) e goluboj (azzurro), e
ci`o avviene per molte altre lingue slave. Gli autori sostengono per`o che lo status
di goluboj non sia chiaro, in quanto sembra essere meno saliente e meno ben
compreso dai bambini russi rispetto agli altri termini di colore basici del russo.
Ipotizzano quindi che il termine goluboj sia un termine secondario e che sinij
contenga al suo interno due categorie secondo lo schema illustrato in figura 6.2.
Figura 6.2: Termini russi sinij e goluboj. Il secondo potrebbe essere un termine
secondario il cui significato `e contenuto nella categoria linguistica sinij.
Berlin e Kay riconoscono lesistenza di alcune eccezioni e casi problematici. Alcuni di questi problemi si riferiscono a casi in cui non risultava chiaro
quali termini dovessero essere classificati come basici. Per esempio, il soggetto
catalano considerava negre, nero, come una specie di gris, grigio, pur distinguendo black e grey in inglese. Ci`o indica che negre potrebbe non essere un
termine basico, e in questo modo il catalano mancherebbe di un termine basico
per nero, violando in questo modo la gerarchia.
Un altro problema riguardava il cantonese, che possiede termini per bianco,
nero, rosso, verde, giallo, blu, rosa e grigio, ma a cui manca un termine per
marrone, contravvenendo ancora alla gerarchia. In questo caso gli autori suggerirono che i termini per rosa e grigio fossero stati recentemente introdotti nella
lingua e che non fossero termini basici.
Altre lingue sono problematiche in riferimento alla gerarchia in quanto mancano
di un termine basico che avrebbero dovuto possedere, oppure perch`e acquisirono
un termine prima di aver raggiunto lo stadio che lo prevedeva.
Nei capitoli successivi parleremo di alcuni studi, tra cui [5659], condotti su
alcune di queste lingue che sembrano contenere un dodicesimo termine di colore
basico come il russo e lungherese, creando un problema allinterno di questa
98
teoria. Dato che solo una parte esigua delle lingue del campione presentava dei
problemi, Berlin e Kay non modificarono la loro teoria ma le considerarono delle
eccezioni.
Nella linguistica storica, la ricostruzione linguistica interna `e un procedimento comune. Gli autori si avvalgono di questa metodologia per affermare la loro
teoria evoluzionista dellacquisizione dei termini di colore basici. I presupposti
da cui partono sono due:
I termini di colori che appaiono come prestiti sono probabilmente pi`
u
recenti dei termini nativi.
I termini di colori che sono analizzabili sono probabilmente pi`
u recenti
di termini non analizzabili. In particolare, i termini vengono considerati
analizzabili se:
contengono affissi derivazionali;
contengono pi`
u di una radice;
contengono affissi o radici analizzabili;
contengono elementi con il significato colore, colorato, color di...
ecc;
contengono il nome (o sono anche il nome) di oggetti che sono tipicamente di quel colore.
Se la teoria evoluzionista `e corretta, i termini adottati negli stadi pi`
u avanzati
dovrebbero essere pi`
u recenti di quelli adottati negli stadi pi`
u primitivi. Questa
teoria viene corroborata quando i principi di ricostruzione interna sono applicati
ai dati raccolti. Ad esempio, in molti casi di lingue allo stadio II, il nome per
rosso deriva dal nome per sangue (ad esempio negli aborigeni del Queensland [39]), mentre i termini bianco e nero non presentano una tale origine.
Nella conclusione gli autori azzardano un parallelo tra lo sviluppo del lessico
dei colori e lo sviluppo della fonologia.
Gli stadi di sviluppo del lessico dei colori sembrano ai loro occhi essere paralleli
a quelli della teoria dello sviluppo fonologico proposta da Jakobson e Halle [60].
Sia il suono che il colore, daltra parte, sono fenomeni donda, lenergia totale
corrisponde nel suono alla sonorit`a e nel colore alla luminosit`a, la frequenza
corrisponde nel suono al timbro e nel colore alla tinta, la purezza dellonda corrisponde alla musicalit`a o compattezza nel suono e alla saturazione nel colore.
Come nel caso del colore, la fonologia inizia con due categorie e non con una,
come descritto dal labial stage di Jakobson e Halle. Ad esempio in /pa/ troviamo una occlusiva, che esprime la massima limitazione nellemettere energia,
e una vocale aperta che rappresenta la massima emissione di energia di cui
lapparato vocale umano sia capace. Si nota un parallelo con le categorie nero
(minima luminosit`a) e bianco (massima luminosit`a). Nel secondo stadio si aggiunge la dimensione della frequenza. Nella fonologia, dopo un primo stadio in
99
cui esiste solo un attributo, quello della sonorit`a, si introduce un altro attributo,
il timbro, e si stabilisce cos` la prima opposizione (/p/ e /t/). Nel campo del
colore si introduce la tinta, con larrivo del rosso. Dopo i primi due stadi, il
parallelo risulta essere meno perfetto. In entrambi i domini si assiste comunque
ad una scissione delle categorie esistenti.
Un problema che gli autori lasciano aperto nella conclusione `e quello dellordine di acquisizione dei termini di colore basici chiedendosi quale sia la spiegazione di quellordine preciso. Le conclusioni dei due autori riguardano solo il
problema della crescita numerica del lessico, ma non viene fornita alcuna spiegazione fisiologica della rilevanza apparentemente maggiore degli undici stimoli
di colore particolari. Inoltre non viene spiegato lordine nel quale i punti focali
verrebbero codificati universalmente nei lessici.
6.3
Questo testo, come gi`a accennato, ha avuto leffetto di una vera e propria
rivoluzione negli studi sulla denominazione dei colori. Molte sono state anche le critiche rivolte a questo studio e al metodo utilizzato per condurlo, che si
sono concentrate sulla dubbia qualit`a dei dati empirici usati.
Di seguito si cercher`a dapprima di sintetizzare i punti chiave delle critiche mosse
nei loro confronti, esaminando poi pi`
u nel dettaglio le critiche di Collier [61], che
critica il metodo utilizzato da Berlin e Kay [32], pur arrivando poi alle stesse
conclusioni universaliste, e di Lucy [62].
Molte delle fonti secondarie utilizzate sono del secolo precedente anche in
casi in cui ne sarebbero esistite di pi`
u recenti.
Per alcune lingue gli autori hanno usato molti informatori (ad esempio
per lo Tzeltal), mentre per la maggior parte solo uno, non si poteva
quindi essere certi che i risultati riflettessero la lingua nel suo insieme
o semplicemente lidioletto di quel determinato parlante.
Gli informatori provenivano principalmente dallarea di San Francisco ed
erano bilingui, i risultati potevano essere quindi soggetti allinfluenza della
lingua inglese. Ci`o senza considerare pi`
u nello specifico il rapporto tra
rappresentazione del colore e bilinguismo.
Gli intervistatori, per la maggior parte, non erano parlanti delle lingue
studiate.
Per uninchiesta lessicale vennero utilizzati campioni colorati artificiali: ci`o
pu`o essere considerato un metodo poco attendibile e potrebbe invalidare
i risultati.
Si trovano classificazioni confuse delle lingue e trascrizioni fonetiche errate
o erratamente ricopiate da altre fonti.
100
con altri aggettivi, sia in termini di sottogruppi interni. Queste differenze nel
potenziale contribuiscono e allo stesso tempo derivano dai significati dei termini
stessi. Guardando la tabella 6.2, ad esempio, ci si pu`o chiedere il perche della
mancanza di forme in -ing nei gruppi F e G: mentre gli aggettivi degli altri gruppi presentano la possibilit`a di creare forme in -ing, questa possibilit`a non esiste
per gli aggettivi dei gruppi F e G. Oppure, qual`e il motivo della mancanza di
forme in -en in tutti i gruppi da E a J? C`e sicuramente qualche differenza nel
significato lessicale che motiva il trattamento differenziato. Perche i termini del
gruppo B non sono considerati nomi di colori? Oltre a queste, sorgono molte
altre domande, ma il punto non `e la mancanza di risposte a queste domande,
dato che in molti casi `e possibile farlo. Il punto `e che tutti gli approcci ai termini
di colore mancano di una seria analisi comprensiva della dimensione grammaticale di queste forme, manca un intero livello di analisi, manca lattenzione alla
struttura e alla distribuzione che i termini di colore occupano nella lingua. In
questo modo si perdono degli importanti aspetti del significato di queste forme.
Lucy dice, riferendosi alla letteratura relativa a questo dominio, che non serve
avere alcuna conoscenza di lingue o di linguistica per leggere questa letteratura,
ne per condurre una ricerca allinterno di questa tradizione. Gli articoli che
studiano i termini di colore nelle varie lingue non parlano mai di quelle lingue,
non c`e alcuna investigazione sulla lingua e nemmeno sul valore strutturale dei
termini studiati. Ci si limita invece a estrarre dalla lingua i termini che interessano (nella fattispecie, termini di colore) che sembrano non fare parte di un
sistema linguistico, ma essere elementi isolati e autonomi.
Il secondo punto riguarda il confronto crosslinguistico tra categorie, ed `e
ancora pi`
u problematico in quanto `e proprio in sistemi diversi dal nostro che
dovremmo stare alla larga dalle intuizioni e che laffidamento a metodi formali
`e indispensabile. Quello che abitualmente accade `e che la nostra concezione del
colore limiti la nostra comprensione. Si guardano e analizzano le lingue del mondo attraverso le lenti delle nostre categorie, in particolare si raggruppano i lessici
delle varie lingue sulla base di quanto essi corrispondono al nostro. Questo tipo
di approccio preclude anche la possibilit`a di stabilire se un sistema di colore
esista effettivamente in una data lingua come dominio ben definito e saliente.
Conklin descrisse le sue difficolt`a nello stimolare la produzione di termini nei
soggetti. Chiedeva loro come ti appare questo?, e quando i soggetti rispondevano, chiedeva loro di evitare i tipi di termine che non gli interessavano, ad
esempio i termini di forma. Ma, considerando pure che tutti i termini che
vengano in mente ai soggetti riguardino solo attributi cromatici, potrebbe trattarsi di termini complessi, quindi lo sperimentatore non terr`a in considerazione
termini che riterr`a essere non basici e prender`a come buone solo le risposte che
incontreranno questi requisiti. Evidentemente lo sperimentatore sta cercando
delle forme come quelle della sua lingua e della sua cultura, tutto ci`o che si
allontana da questo non verr`a preso in considerazione. I nostri modelli grammaticali saranno lo standard sulla base dei quali si identificheranno forme di
colore appropriate. Questa procedura pu`o portarci a dire quanto il sistema
104
B
C
D
E
I
J
hard
rough
bright
light
dark
black
white
red
yellow
brown
tan
grey
green
blue
pink
orange
purple
blond
maroon
silver
beige
aqua
crimson
scarlet
violet
dry
clear
glossy
shiny
pale
vivid
brilliant
luminous
ruddy
lightish
darkish
blackish
whitish
reddish
yellowish
brownish
tannish
greyish
greenish
bluish
pinkish
orangish
purplish
blondish
harden
roughen
brighten
lighten
darken
blacken
whiten
redden
hardening
roughening
brightening
lightening
darkening
blackening
whitening
reddening
yellowing
browning
tanning
greying
greening
bluing
dark black
light white
dark/light red
dark/light yellow
dark/light brown
dark/light tan
dark/light grey
dark/light green
dark/light blue
dark/light pink
dark/light orange
dark/light purple
dark/light blond
dark/light maroon
dark/light silver
dark/light beige
dark/light aqua
dark/light crimson
dark/light scarlet
dark/light violet
drying
clearing
glossing
shining
palish
105
dei colori di quella lingua `e vicino e assomiglia al nostro, ma non come quel
sistema `e in generale, considerato isolatamente.
Detto questo, ci`o che meraviglia maggiormente `e che, nonostante lutilizzo di
metodologie cos` inquinate, vengano alla luce ancora cos` tante differenze tra sistemi. Hickerson [65] studi`o la terminologia dei colori nella lingua Zuni (U.S.A.)
e scopr` che essa possedeva due tipi di termini che si riferivano al colore: termini
astratti derivanti da verbi, e termini specifici derivanti da sostantivi. Mentre
questi ultimi sono forme nominali che si riferiscono a colori intrinsechi, specifici
di una sostanza o di un oggetto, i primi derivano da verbi i quali si riferivano a
processi di cambiamento, di divenire. I due tipi di termini quindi riflettevano due tipologie di esperienze diverse tra loro. Allo stesso tempo i significati
culturali e sistemici dei termini Zuni sono completamente diversi dai nostri e,
anche qualora ci fossero delle sovrapposizioni tra le loro categorie e le nostre, il
valore del significato resterebbe diverso.
In generale, i concetti di colore possono essere espressi da verbi, sostantivi, aggettivi, particelle libere e altro, e sebbene solitamente siano trattati come aggettivi
nelle lingue che hanno questa categoria, ci`o non deve essere affatto considerato
universale. Inoltre, non tutte le forme rilevanti devono necessariamente cadere
allinterno della stessa categoria formale in una stessa lingua.
In conclusione, Lucy sostiene che le conclusioni universaliste a cui arrivarono
Berlin e Kay siano costruite allinterno della metodologia e della concettualizzazione della lingua che vengono utilizzate in questa ricerca. Lucy parla di universalismo radicale, riferendosi al fatto che se si parte convinti di sapere quale
sia la realt`a, si scoprir`a esattamente quello che si pensava di scoprire, perche la
metodologia usata la presupporr`a in ogni suo punto. Le scoperte universaliste
sono gi`a impacchettate allinterno delle assunzioni del metodo di ricerca. Allo stesso modo, Lucy critica il relativismo radicale, ovvero quello che porter`a
certamente a scoprire che le lingue sono realt`a completamente diverse e inintelleggibili tra loro. Ci`o perche la metodologia di ricerca utilizzata presuppone che
ogni fatto formale corrisponda a una differenza nella realt`a.
6.4
Un sondaggio molto ampio dei sistemi di colore nelle lingue del mondo ha prodotto ampi dati di alta qualit`a che permisero di ottenere un quadro molto pi`
u completo dei sistemi di termini di colore di tutto il mondo.
Il World Color Survey (WCS) `e un sondaggio sui sistemi di termini di colore di
110 lingue minori realizzato da Cook, Kay, Regier [66, 67] grazie ai finanzia` un progetto di
menti della National Science Foundation (NSF) e altri enti. E
ricerca nato nel 1976, ideato per validare, invalidare, espandere ed eventualmente modificare le principali scoperte di Berlin e Kay [32], il cui studio era
limitato nel numero e nella tipologia di lingue esaminate. Si trattava infatti di
lingue scritte di paesi industrializzati, ed era difficile accettare la loro generaliz106
zazione, a partire da questo tipo di lingue, a tutte le lingue del mondo. A questo
fine, il WCS raccolse dati in loco sui nomi di colori in 110 lingue non scritte
di comunit`a non industrializzate, parlate su piccola scala. Lo studio di Berlin
e Kay pu`o in effetti essere considerato un progetto pilota che ha poi ispirato
questo studio su pi`
u ampia scala.
Alla fine degli anni 70 grazie alla collaborazione del SIL (Summer Institute
of Linguistics), che contava una buona rete di linguisti-missionari in giro per
il mondo, vennero raccolti in situ dati sui sistemi di colori di parlanti di 110
lingue non scritte rappresentati ben 45 diverse famiglie linguistiche.
Per ogni lingua si raccolsero dati da una media di 24 parlanti tra uomini e donne,
possibilmente monolingui. Ai soggetti veniva chiesto di dare un nome a 330 tasselli colorati prodotti dalla Munsell Color Company, mostrati in ordine costante
e casuale, e successivamente di indicare il migliore esempio (o i migliori esempi)
per ognuno dei termini basici che era stato utilizzato dallo stesso soggetto. Lo
scopo era di ottenere nomi, confini di categorie e migliori esempi dei termini di
colore basici in ogni lingua (i termini di colore basici erano definiti come il pi`
u
piccolo insieme di parole semplici con le quali il parlante pu`o nominare qualsiasi colore). La metodologia utilizzava prevalentemente coincideva con quella
utilizzata da Berlin e Kay.
Nel 1980 circa la fase di raccolta dati era terminata e questi vennero analizzati.
A partire dal 2000 si `e deciso di rendere disponibili questi dati attraverso un
archivio online2 . I file che si trovano in questo archivio riportano tutti i risultati
che questo studio ha dato, comprese le istruzioni originali che vennero fornite a
coloro che avevano svolto lindagine sul campo.
Parleremo ancora di WCS, poiche i dati che ha raccolto sono stati utilizzati
ed analizzati per alcuni degli studi pi`
u recenti che presenteremo nelle prossime
pagine. In particolare in [67] si presentano i risultati ottenuti grazie a questi
dati.
6.5
107
Per quanto riguarda la revisione della sequenza, egli ritenne che al primo stadio si trattasse non di sistemi a due termini in contrasto di luminosit`a (bianco
e nero), ma di sistemi che oppongono tonalit`a scure e fredde da una parte e
tonalit`a luminose e calde dallaltra.
Il punto focale blu sembrerebbe poter essere codificato prima o simultaneamente con il punto focale verde. Nello stadio III della sequenza, lelemento
operativo non sarebbe quindi verde o blu ma la categoria grue. Questa
categoria pu`o essere codificata prima o dopo la categoria giallo, ma non si
scinde mai in verde e blu e non viene codificata mediante due termini fondamentali se non dopo la codifica del punto focale giallo.
In questa versione rosso emerge da bianco e non in parte da bianco e in
parte da nero, come nella versione precedente. In figura 6.3 viene mostrata
la sequenza riadattata. Kay elenca le seguenti predizioni sulla variazione dei
Figura 6.4: Sequenza evolutiva dello sviluppo dei termini di colore. Tratto da
[70].
like the leaves, che dimostrano che i concetti blu e verde sono presenti
anche se non vengono espressi separatamente a livello terminologico. Queste
categorie quindi sono presenti cognitivamente per i parlanti di tutte le lingue,
indipendentemente dal fatto di essere codificate linguisticamente.
Nel primo esperimento, che conferma lipotesi relativista, i tre stimoli vengono
mostrati contemporaneamente. Essendo molto simili tra loro, `e difficile per i
soggetti esprimere un giudizio. Secondo Kay e Kempton, a livello cognitivo, il
soggetto ricorre alle etichette linguistiche per discriminare tra i diversi stimoli.
Questa strategia prende il nome di name strategy, e non `e disponibile per i parlanti tarahumara, i quali non hanno due etichette linguistiche diverse per gli
stimoli presentati. Questa strategia, inoltre, opera fuori dalla consapevolezza
del soggetto, e non pu`o essere tenuta sotto controllo.
Il secondo esperimento nacque proprio dallesigenza di designare un esperimento
in cui la name strategy non potesse essere usata, e per verificare se in questo
caso leffetto linguistico scomparisse. Gli stimoli erano gli stessi usati nel primo
esperimento, ma non venivano mostrati contemporaneamente. Essi venivano
mostrati a coppie. Nel mostrare la coppia A e B, lo sperimentatore faceva notare come il tassello A fosse pi`
u verde di B. Nel mostrare la coppia B e C faceva
notare come C fosse pi`
u blu di B. Dopo ci`o, si chiedeva al soggetto quale differenza fosse maggiore: quella tra i primi due tasselli mostrati, o tra gli ultimi
due. I soggetti potevano continuare ad osservare le coppie a loro piacere, ma
non i tre tasselli insieme. In questo modo si bloccava il ricorso alla strategia di
cui abbiamo parlato, e in questo secondo esperimento infatti leffetto del confine
di categoria lessicale osservato nel primo non si verific`o.
I risultati sembrano quindi confermare che le differenze linguistiche influen111
zano le differenze cognitive. Lipotesi della name strategy sostenuta dai due
autori non concorda con una forma radicale di determinismo linguistico, in cui
la struttura della lingua impone le sue categorie come le uniche nelle quali possiamo esperire il mondo. La versione relativista accettata qui `e una versione
attenuata, secondo la quale le lingue differiscono semanticamente, ma non senza limiti.
Bornstein [72, 73] studi`o i fattori fisiologici del sistema visivo che sottostanno alle differenze tra le terminologie cromatiche in rapporto anche alla loro
distribuzione geografica. Osserv`o i sistemi di denominazione dei colori di circa
150 comunit`a in diverse parti del mondo, constatando che con il maggior approssimarsi delle comunit`a allequatore i nomi di colore applicati alle lunghezze
donda corte si identificano pi`
u frequentemente luno con laltro o addirittura
con il nero. Questo fenomeno, chiamato identit`a semantica, consiste nellapplicazione di un termine di colore primario a due o pi`
u categorie rilevanti. I tipi
di identit`a pi`
u frequenti sarebbero: verde=blu, blu=nero, verde=blu=nero.
Bornstein opera con termini di colore primari, ovvero i termini pi`
u vecchi, pi`
u
inclusivi e pi`
u facilmente nominati dai soggetti nei test di riconoscimento. I
nomi secondari sono quelli apparsi pi`
u tardi, i derivati, le combinazioni di termini primari, le loro qualificazioni specifiche rispetto alla luminosit`a o alla saturazione ed i nomi di oggetti. Secondo Bornstein, i sistemi di denominazione dei
colori primari in varie parti del mondo riflettono le differenze nella quantit`a di
pigmentazione intraoculare delle popolazioni, differenze attribuibili ad un adattamento allambiente locale. La sensibilit`a ridotta alle lunghezze donda corte,
soprattutto nella zona blu-verde, sembra essere frequente nelle popolazioni con
una maggiore pigmentazione, quelle vicine allequatore. Il meccanismo che contribuirebbe dunque al crollo dei sistemi di denominazione dei colori `e organico.
La biologia del sistema visivo quindi precondizionerebbe la denominazione dei
colori. A livello primario dei sistemi di denominazione, le categorie biologiche
della tonalit`a eserciterebbero un controllo sulle categorie lessicali del colore.
Con lutilizzo dei dati del WCS, Kay e Maffi [74] produssero una nuova classificazione dei sistemi di termini di colore che modific`o la gerarchia originale di
Berlin e Kay in modo considerevole, pur continuando a mostrare che i sistemi
attestati sono solo un piccolo sottoinsieme di quelli logicamente possibili.
Kay e colleghi [67] notarono lesistenza di sei colori fondamentali (bianco, nero,
giallo, blu, rosso e verde) e che lordine di apparizione dei termini di colore basici
che non includono nella loro denotazione uno di questi colori `e meno prevedibile. La loro classificazione dei sistemi fu fatta considerando solo termini la cui
denominazione includeva almeno uno dei colori fondamentali. Poi questa veniva
semplicemente aumentata con una lista di quali altri termini basici esistevano
nella lingua. Tuttavia, Kay Berlin e Merrifield [69] notarono che mentre i termini viola e marrone potevano essere osservati in lingue che non avevano termini
separati per verde e blu, contrariamente alla gerarchia di Berlin e Kay, i termini per arancione e rosa non apparivano normalmente prima che la lingua non
avesse termini separati per verde e blu. Kay [68] aveva gi`a notato che il termine
112
grigio a volte appariva nelle lingue anche quando queste non avevano ancora
sviluppato termini per alcuni colori che secondo la gerarchia di Berlin e Kay
dovevano essere lessicalizzati prima del grigio.
La conclusione generale che possiamo trarre da queste scoperte `e che lordine in
cui questi termini emergono in una lingua non sembra essere del tutto prevedibile, anche se appare esserci una tendenza generale.
Unaltra differenza tra il lavoro di Berlin e Kay e quello di Kay e Maffi [74] `e
che, mentre i primi hanno classificato i termini solo in base alla locazione dei
loro prototipi, i secondi hanno prestato attenzione allintera gamma denotativa
dei termini. Classificarono infatti i termini in base a quali colori fondamentali
questi contenevano, piuttosto che solo in termini di quali colori fondamentali
corrispondevano al prototipo del termine, cosicche per esempio due termini che
avevano entrambi prototipi rossi sarebbero stati classificati differentemente se
uno veniva usato anche per nominare una gamma che includeva il giallo, mentre
laltro no.
Berlin e Kay, avendo notato lesistenza di lingue con due soli termini basici,
assunsero che questi sistemi dividessero lo spazio colore in colori chiari e scuri,
pur non investigando la questione in modo sperimentale. Tuttavia, nello studio
della lingua melanesiana Dani, parlata in Papua Nuova Guinea, Heider e Olivier
[52] scoprirono che i due termini dividevano lo spazio in modo che un termine
(mola) denotasse colori chiari ma anche tinte gialle e rosse di media chiarezza,
mentre laltro (mili ) denotava i colori scuri ma anche tinte blu e verdi di media
chiarezza. Le loro denotazioni risultavano quindi complementari, coprendo lintero spazio colore.
Ulteriori ricerche hanno dimostrato che tutte le lingue con due termini, estremamente rare, appartengono o a questo tipo che divide lo spazio in una categoria
bianco-rosso-giallo e una nero-blu-verde, o al tipo che semplicemente divide tra
chiaro e scuro, come sostenuto originariamente da Berlin e Kay. Inizialmente
si credeva che in entrambi questi sistemi un termine avesse il suo prototipo nel
bianco e laltro nel nero, ma Kay e colleghi [67] notarono che non era sempre cos`
e che questi termini compositi potevano avere il loro focus in corrispondenza
di un altro dei colori fondamentali, per esempio una categoria bianco-giallo-rosso
pu`o avere il suo prototipo in corrispondenza del rosso piuttosto che del bianco.
Nellesperimento di Berlin e Kay [32], molti tasselli colorati vennero lasciati
senza nome, e ci`o port`o a pensare che in alcune lingue (ad esempio il cinese
mandarino) alcuni colori non potessero essere espressi con nessun termine di
colore. Ci`o contrastava con lingue come linglese, per le quali la maggior parte
dei parlanti erano in grado di specificare un termine di colore basico per ogni
campione presentato, sebbene anche in inglese fosse difficile scegliere un nome
per alcuni campioni che si trovavano vicino ai confini di denotazione di due o
pi`
u termini basici. Sembra tuttavia che queste situazioni fossero un prodotto
del modo in cui alcuni linguisti che compivano gli studi stimolavano le risposte,
e che invece in quasi nessuna lingua esistano aree dello spazio colore che non
possono essere indicate con un nome basico.
113
Kay e colleghi [67] mapparono le aree dello spazio colore che potevano essere
nominate da ogni termine. Mostrarono che se molti parlanti della stessa lingua
venivano intervistati, e che se solo quei tasselli di colore che tutti gli informanti
ritenevano poter essere chiamate con un nome venivano mappati su un array
di Munsell, allora ci sarebbero tipicamente stati grandi intervalli tra le aree denotate da ogni termine. Ci`o in quanto non tutti i parlanti erano daccordo su
quale parola dovesse essere usata per nominare i membri pi`
u marginali di ogni
categoria di colore. Tuttavia, se il criterio per considerare un colore come interno alla denotazione di un termine viene ridotto al 30% di accordo tra parlanti,
gli intervalli tra i termini di colore nello spazio colore scompaiono per la maggior
parte.
MacLaury [75] not`o ancora come lampiezza dei confini di un termine tracciata
da un parlante dipenda dal tipo di istruzioni che vengono lui date. Mentre in un
primo momento gli informanti solitamente includono solo un numero abbastanza basso di tasselli allinterno della denotazione di un termine, se viene loro
chiesto se esiste qualche altro tassello che potrebbe essere chiamato con quel
nome, essi sono molto propensi ad aggiungerne diversi altri. Quindi sembra che
tutti i termini di colore basici di una lingua, insieme, coprano lintera gamma di
colori possibili, ma siccome alcuni colori sono solo esempi marginali di termini
basici, i parlanti potrebbero essere riluttanti nellincluderli nella denotazione di
un termine.
Kay e Maffi [74] non trovarono nessuna lingua nel WCS che lasciasse alcune regioni dello spazio colore innominate, sebbene per alcune di esse lattribuzione di
nomi fosse molto inconsistente tra parlanti e sebbene sia possibile che in alcuni
di questi casi i termini per alcune parti dello spazio non soddisfino i criteri di
Berlin e Kay per lo status dei termini basici.
Riconoscono per`o riconoscono lesistenza di una lingua, Yel Dnye (Papua Nuova Guinea), documentata da Levinson [76], che costituisce il primo esempio ben
documentato di lingua che lascia innominate alcune parti dello spazio colore e
a cui manca un insieme di termini basici che lo suddividano. Per essere pi`
u
chiari, questa lingua ha solo tre termini di colore basici (kpedekpede nero,
kpaapikpaapi bianco e mtyemtye/taataa rosso), la cui denotazione per`o, a
differenza di altre lingue simili, non si estende fino ad includere lintero spazio
colore, cos` che ampie aree di esso restano senza nomi capaci di esprimerle linguisticamente. Levinson precisa per`o che `e possibile formare delle espressioni
per descrivere altri colori. Questa lingua viene considerata uneccezione da Kay
e Maffi, che ritengono che praticamente tutte le lingue suddividano lo spazio
colore in modo che esista un termine per nominare qualsiasi colore; questultimo caso costituisce a loro avviso la regola. Levinson allo stesso tempo sostiene
che queste eccezioni siano molto pi`
u diffuse di quanto non venga riconosciuto
da Kay e Maffi.
Kay e Maffi specificano quali tipologie di sistemi lessicali di colore siano
attestati nel WCS. Propongono che le lingue evolvano da uno stadio in cui dividono in due soli termini lo spazio colore, aggiungendo gradualmente pi`
u termini
114
alcune lingue invece dividano il termine per rosso e giallo in due termini distinti, lasciando il termine nero-verde-blu ancora intatto. A questo punto, una
lingua pu`o prendere due strade. Una di queste prevede la divisione del termine composito nero-verde-blu in un termine per nero e uno per verde-blu. In
questo modo la lingua rientrer`a nella traiettoria con un sistema a cinque termini. Laltra prevede che il termine composito venga diviso in modo diverso,
cio`e producendo un termine per nero-blu e uno per verde. Successivamente si
divider`a il termine nero-blu in due termini distinti, rientrando nella traiettoria
principale.
In conclusione, alcune lingue del WCS sembrano non rispettare la teoria di
Kay e Maffi rappresentata in figura 6.5. Ad esempio, alcune lingue sembrano
aver saltato degli stadi intermedi previsti. In questi casi `e possibile che questo
fenomeno sia dovuto a cambiamenti molto rapidi nelle societ`a in cui queste
lingue sono parlate, dato che, in generale, appare esserci un correlazione tra il
livello di sviluppo tecnologico in una comunit`a e il numero di termini di colore
presenti nella lingua stessa. Quindi se il livello di sviluppo incrementa in modo
molto veloce, `e possibile che si verifichi un rapido incremento nel numero dei
termini; ci`o pu`o causare il salto di uno degli stadi della teoria.
6.6
Gli studi di Rosch (alcuni pubblicati con il suo nome precedente Heider) si concentrano soprattutto sullo studio delle propriet`a che si attribuiscono ai termini
di colore basici, in particolare la prototipicit`a. Rosch ha fatto dei colori focali
universali il punto di forza maggiore della sua spiegazione dellipotesi universalista.
La funzione centrale di un termine di colore `e chiaramente quello di identificare una serie di colori, cos` che il termine possa servire a distinguere questi
colori da quelli che quella parola non denota. Tuttavia, i termini di colore non
denotano solamente una serie uniforme di colori; alcuni colori sono membri della
categoria corrispondente a quel termine ad un grado maggiore rispetto ad altri.
Tipicamente, per ogni termine di colore ci sar`a un singolo colore che i parlanti di
quella lingua considereranno essere il migliore esempio di quel termine, e questo
colore viene definito colore prototipico. Spostandoci dal prototipo, i colori
diventeranno man mano esempi sempre meno buoni di quella categoria, diventando sempre pi`
u dissimili dal prototipo. Ad un certo livello di dissimilarit`a dal
prototipo, troveremo colori per i quali sar`a difficile determinare se appartengano
alla categoria in questione o se siano fuori dai suoi confini. Per questi colori non
`e chiaro se il termine possa essere usato per denotarli. Questa parte dello spazio
colore `e conosciuta come categorys fuzzy boundary, dove i limiti tra categorie
non risultano chiari [77].
C`e unimportante inconsistenza riguardo a dove le persone posizionino i limiti
di una categoria di colore; infatti se a diverse persone che parlano una stessa
lingua chiediamo di tracciare i confini di un termine di colore in un insieme
116
6.7
Gli studi condotti per portare conferme alla teoria originale di Berlin e Kay,
cos` come quelli condotti per smentirla, sono vasti e numerosissimi. Nellimpossibilit`a di presentarli tutti, nel seguito se ne presenteranno alcuni. Tra essi si
presentano studi condotti dallo stesso Kay in tempi pi`
u recenti, allo scopo di
rettificare la teoria iniziale.
In uno studio sulle differenze nelle strutture semantiche e percettive tra parlanti inglesi e cinesi [79], vennero comparati i giudizi di similarit`a tra gli otto
118
colori cromatici basici tra questi due gruppi di parlanti usando come stimoli sia
i nomi di colori stessi che campioni di colore (si veda figura 6.6). I soggetti erano
parlanti madrelingua cinesi mandarini e madrelingua inglesi.
In questo studio ogni partecipante complet`o quattro compiti: due compiti prevedevano la presentazione di coppie di campioni colorati o di termini di colore,
negli altri due gli stimoli colore (campioni o termini) venivano presentati in triadi. In tutti e quattro i test, ai soggetti veniva chiesto di esprimere dei giudizi
di similarit`a. Nei compiti a triade, ai soggetti venivano presentate tutte le 56
combinazioni triadiche possibili di termini di colore o di campioni colorati, con
listruzione di scegliere il colore (termine di colore o campione) pi`
u diverso dagli
altri due. Nei compiti di comparazione a coppie, ai soggetti venivano presentate tutte le 28 coppie possibili di termini di colore o di campioni colorati, con
listruzione di dare un giudizio di similarit`a tra di essi su una scala da 1 (pi`
u
diversi) a 7 (pi`
u simili).
Figura 6.6: Gli stimoli usati in questo esperimento. A sinistra i termini di colore
in inglese, a destra i caratteri cinesi e al centro le coordinate OSA dei campioni
di colori focali. Si noti come i caratteri cinesi terminino con una sorta di suffisso
che li identifica come termini di colore. Tratto da [79].
Le scoperte maggiori di questo studio indicano che persone che parlano
lingue diverse classificano gli otto colori basici e i relativi termini in modo simile
sebbene ci siano delle variazioni individuali significanti allinterno di ogni lingua. I partecipanti di lingua inglese e quelli cinesi giudicano la similarit`a tra
colori in modi molto simili. Non fa molta differenza se siano i nomi di colore o
dei campioni di colore ad essere usati come stimoli, o se, per raccogliere i dati,
si utilizzino triadi o coppie in cui i diversi colori vengono presentati. Non fa
119
che esistono forti tendenze universali sia nelle prime che nelle seconde. Uno dei
principali problemi sollevati dagli oppositori dellipotesi universalista `e infatti
la mancanza di test oggettivi volti a confermare lipotesi stessa.
Tra i tanti difetti che si contestavano a Berlin e Kay, cera il fatto che quasi
tutte le lingue da loro analizzate sperimentalmente fossero lingue scritte di societ`a industrializzate, e quindi non era lecito generalizzare da quelle ad altri tipi
di lingue. I risultati raggiunti avrebbero insomma lasciato aperta la possibilit`a
che la denominazione di colori fosse simile prevalentemente tra quelle lingue
legate le une alle altre da un processo globale di industrializzazione. Proprio
per questo motivo, Kay, Cook e Regier [66] avevano condotto il World Color
Survey raccogliendo dati su lingue non scritte di paesi non industrializzati.
La prova pi`
u pesante contro lipotesi universalista `e che ci sono lingue che sembrano non aderire ai modelli universali proposti. Interessante `e il fatto che
queste lingue sono tendenzialmente lingue non scritte parlate in societ`a non
industrializzate, e ci`o `e coerente con lidea che le similarit`a potrebbero essere
limitate nella loro portata cross-linguistica. La maggior parte di queste lingue
hanno un termine unico (grue) per esprimere i termini di colore verde e blu.
Altre si avvalgono di termini di colore che riflettono concetti extracromatici,
come ad esempio aridit`a e freschezza.
Queste differenze nei lessici del colore sono a volte correlate a differenze negli
aspetti cognitivi legati al colore, e ci`o ha portato a ritenere che le categorie
linguistiche possano essere costruzioni arbitrarie delle specifiche lingue, legate
tra loro solo da principi molto generici.
I due autori hanno affrontato la questione delle tendenze universali nel
dominio del lessico dei colori ponendosi e cercando di rispondere a due domande:
1. I termini di colore di diverse lingue nel WCS si raggruppano insieme nello
spazio colore ad un grado maggiore rispetto al caso?
2. I termini di colore del WCS, tutti derivanti da lingue non scritte di paesi
non industrializzati, cadono vicino ai termini di colore delle lingue scritte
di paesi industrializzati? I due insiemi di dati si somigliano pi`
u di quanto
ci si aspetterebbe se fosse dovuto al caso?
Cera quindi un confronto interno ai dati WCS, e un confronto tra quei dati
e quelli raccolti nello studio di Berlin e Kay [32].
Per quanto riguarda il primo punto, si rappresentarono i termini di colore
come punti nello spazio colore, utilizzando lo spazio CIELAB (era necessario
uno spazio in cui fosse possibile calcolare le distanze psicologiche), e poi si analizz`o quanto questi punti si raggruppassero nello spazio. Ogni termine di colore
T venne rappresentato in ogni lingua L dal suo centroide nello spazio. Per farlo,
per prima cosa si localizzava nello spazio il centroide di ogni parlante che usava
il termine T nella lingua L tra i campioni chiamati T da quello stesso soggetto.
Successivamente veniva fatta una media dei centroidi del termine in generale.
Alla fine il centroide ottenuto veniva ricondotto allo stimolo che pi`
u gli si avvici121
nava. Una volta ottenuti questi punti nello spazio per tutti i termini di colore
per tutte le lingue, venne testato se questi punti fossero pi`
u raggruppati (vicini)
tra le varie lingue di quanto ci si potesse aspettare se ci`o fosse dovuto al caso,
attraverso un test di Monte Carlo. Questo test richiede una misura del raggruppamento reale dei termini e poi unindicazione di quanto ci si aspetterebbe
che i termini si raggrupperebbero in modo casuale. Calcolarono la distanza tra i
termini nei dati del WCS, equivalente alla distanza nello spazio tra le rappresentazioni dei loro punti. Per farlo utilizzarono D, ovvero la misura di dispersione
dei termini. Bassi valori di D indicano raggruppamento, cio`e che si ha poca
dispersione. Per determinare D nel caso in cui questa fosse casuale, crearono
un insieme di dati casuale (attraverso simulazione al computer) e misurano D
anche in questo insieme. Per essere certi che questi dati ipotetici rispettassero i
principi naturali di categorizzazione interna delle lingue, partirono dai dati del
WCS e li fecero ruotare, fecero ruotare cio`e ogni termine centroide per ogni lingua nel piano a*b* (tinta) in modo casuale, lo stesso per tutti i termini interni
ad una lingua, ma in modo casuale diverso per lingue diverse. Questo processo
crea un insieme di dati ipotetici che preserva le strutture interne alle lingue,
mentre rende casuale la struttura cross-linguistica. I risultati mostrano che il
valore di D nei dati WCS `e ben sotto il livello pi`
u basso di D nellinsieme dati
ipotetico; mostrano quindi che nel WCS il raggruppamento `e molto pi`
u alto di
quanto ci si aspetterebbe per caso.
Per rispondere alla seconda domanda usarono unaltro test di Monte Carlo
in cui vennero creati 1000 insiemi di dati ipotetici a partire dai dati WCS usando
la tecnica precedente. In questo caso non si misurava la dispersione alinterno di
un unico dataset, bens` le distanze tra i due insiemi di dati che portavano a una
misura S della separazione tra i dati del WCS e quelli di Berlin e Kay. Per ogni
termine di colore c in ogni lingua l dei dati WCS, trovarono il pi`
u vicino termine
c in ogni lingua l nel dataset di Berlin e Kay e sommarono queste distanze per
ottenere S. Ci`o li port`o a concludere che i dati WCS sono significativamente
pi`
u vicini ai dati di Berlin e Kay di quelli del dataset ipotetico; il valore S nei
dati WCS `e molto pi`
u basso del limite pi`
u basso riscontrato nella distribuzione
ipotetica. Ripeterono poi lo stesso test eliminando dal set di Berlin e Kay i dati
delle poche lingue non scritte di societ`a non industrializzate (Ibibio, Pomo e
Tzeltal) e lo fecero rigirare. Ottennero in questo modo gli stessi risultati qualitativi. Questo risultato indica una similarit`a nel lessico dei colori tra le lingue
di societ`a industrializzate e non.
Entrando nel dettaglio dei nomi di colori e facendo un confronto tra linglese
e le lingue del WCS si nota come i termini inglesi blue, green, purple e brown
abbiano picchi molto vicini (tra inglese e lingue WCS). I termini inglesi yellow,
orange, pink e red hanno picchi che si trovano nelle vicinanze dei picchi nel
WCS. Nei dati WCS c`e un picco anche tra i termini inglesi green e blue, dovuto al fatto che quasi tutte queste lingue hanno il termine cosiddetto grue per
esprimere entrambi questi colori. Pink e orange mancano nella maggioranza di
queste lingue che includono il rosa nel rosso e arancione nel giallo.
122
a.
b.
c.
Figura 6.8: Corrispondenza dei confini media con dati WCS di varie versioni
ruotate del Berinmo (0=nessuna rotazione).
notarono molte similarit`a; ci`o li port`o quindi agli stessi risultati. Successivamente, confrontarono il berinmo e le altre otto lingue con sistemi di cinque
colori basici selezionate dal WCS (sette delle quali appartengono a sette diverse
famiglie linguistiche, mentre lottava `e una lingua isolata), come si vede nella
figura 6.9. Tutte queste lingue mostrano delle similarit`a tra di loro e con il
berinmo, indipendentemente dalla loro appartenenza genetica e geografica.
6.8
Conclusioni
Figura 6.9: Risposte dei parlanti berinmo e dei parlanti di otto lingue tratte dal
WCS, tutte con sistemi di cinque termini basici. La percentuale tra parentesi
indica la percentuale di corrispondenza con il berinmo.
condizionamento sulla base delle proprie categorie cromatiche, che nel nostro
caso potremmo identificare nelle categorie (linguistiche) del mondo occidentale.
Molte lingue lontane da quelle parlate nei paesi pi`
u sviluppati hanno dei sistemi di denominazione cromatica totalmente diversi dal nostro che classificano il
colore sulla base di dimensioni completamente diverse dalle nostre. Per comprenderle, sar`a necessario uno sforzo particolare che ci permetta di allargare i
nostri orizzonti.
Ancora, molti studi recenti si preoccupano di stabilire lesistenza o meno di
un dodicesimo colore basico in alcune lingue. Tuttavia si `e stati spesso riluttanti
a riconoscere lesistenza di pi`
u di undici termini basici, anche laddove ci fossero
prove molto evidenti. Ci`o in quanto lo studio di Berlin e Kay aveva stabilito in
undici il numero massimo di termini basici di colore che si possono trovare nelle
lingue. Tuttavia, successivamente, fu lo stesso Kay [70] a rettificare questa loro
dichiarazione, sostenendo invece che non esista alcun motivo per cui 11 debba
essere il numero massimo di termini basici codificabili. Le lingue sono vive ed
evolvono naturalmente, e termini che oggi non lo sono potranno divenire basici
in futuro.
Un altro aspetto da sottolineare `e dettato dai rischi che si corrono nel condurre un esperimento di produzione linguistica in cui vengono posti dei vincoli
per il parlante. Uno dei punti cruciali in esperimenti di questo tipo `e quello
di fare ricorso alle intuizioni che i parlanti nativi hanno riguardo alla propria
madrelingua e per fare ci`o le persone hanno bisogno di esprimersi liberamente.
Limposizione di vincoli rende il processo non pi`
u intuitivo ma ragionato, in
quanto il soggetto deve filtrare le sue intuizioni sulla base delle richieste specifiche dellesaminatore. Se il soggetto filtra la propria lingua, allora il prodotto che ne risulta non `e la lingua reale, ma per cos` dire un prodotto lavorato,
il quale ha solitamente caratteristiche diverse da quelle del prodotto di origine. Lesistenza di questo processo `e dimostrata dalle numerose difficolt`a che i
soggetti incontrano posti di fronte a compiti di questo tipo. Tipicamente essi
mostrano grandi incertezze e chiedono continue delucidazioni. Ci`o `e contrario
allenorme naturalezza con cui ognuno di noi parla la propria lingua.
127
128
CAPITOLO
7
Le posizioni relativiste
7.1
Introduzione
lingue, sia per le lingue imparentate che per quelle che non lo erano. I migliori
esempi di colore e i punti focali non coincidevano in lingue diverse, nemmeno in
quelle appartenenti ad una stessa famiglia linguistica come il finlandese e lestone, nei quali i prototipi di alcuni colori che sono indicati quasi con lo stesso nome
(es. punainen e punane, che significano entrambi rosso) non corrispondevano
luno allaltro. Questo fenomeno viene visto come specifico e relativo ad una
determinata lingua e cultura, evidenziando quindi una visione relativista.
Uninfluenza importante nella formazione del lessico dei colori viene riconosciuta anche alla cultura. Anche luniversalismo le assegna un ruolo cruciale, la
gerarchia descritta da Berlin e Kay infatti dovrebbe evolvere anche sulla base
della necessit`a di una lingua di esprimere i colori in modo pi`
u dettagliato. I
bisogni comunicativi riguardo al colore variano in modo molto ampio da cultura
a cultura e sembra esserci un rapporto di tipo implicazionale tra la complessit`a
culturale e tecnologica di una societ`a e la complessit`a della terminologia cromatica di cui quella societ`a dispone.
Molte lingue del mondo, soprattutto occidentale, possiedono undici categorie
linguistiche di colore. Queste potrebbero essere un ottimo insieme per i loro
bisogni comunicativi, data la vasta gamma di colori disponibili nel loro ambiente. Lutilit`a di un nome nel distinguere tra oggetti individuali di un insieme `e
attenuata dal contesto: nel caso in cui, ad esempio, tutti i funghi siano arancioni,
il termine arancione `e meno utile. Dallaltra parte, molte culture tradizionali
dispongono di meno di undici categorie, ognuna delle quali contiene unampia
gamma di esemplari e si estende a colori molto desaturi, con basso accordo
inter-individuale sulla locazione dei migliori esempi. Senza lintera gamma di
stimoli saturi che pu`o essere riprodotta artificialmente, le comunit`a tradizionali
potrebbero non aver bisogno di distinzioni categoriche pi`
u fini, che sono richieste
quando una variet`a pi`
u ampia di questi stimoli `e disponibile. Mancherebbe, in
questi casi, la motivazione a rendere pi`
u dettagliato il lessico dei colori.
Sono quindi le circostanze ecologiche e culturali ad incrementare la divergenza
delle categorie di colore in queste comunit`a. Lindustrializzazione pu`o sicuramente incoraggiare lintroduzione di nuovi termini e categorie, ai fini di incrementare sia il potere comunicativo, sia la discriminabilit`a. Esiste quindi un
principio di economicit`a: `e controproduttivo che un sistema sia pi`
u comunicativo di quanto serve ai suoi bisogni, e solo qualora se ne riscontri la necessit`a, un
sistema introdurr`a dei nuovi termini.
7.2
La percezione categorica
P dB2,G2
>
131
P dB1,B2
o
P dG1,G2
Figura 7.1: Quattro stimoli colore appartenenti a due categorie diverse divise
da una linea tratteggiata che rappresenta il confine tra le due. I due stimoli
a sinistra appartengono alla categoria B (blu), quelli a destra alla categoria G
(verde).
Se lipotesi relativista fosse esatta, la percezione categorica dovrebbe essere
funzione della lingua del parlante. Diversi ricercatori hanno studiato questo
fenomeno sia sul campo che in laboratorio per testare questa predizione, proponendo discriminazioni tra confini di categorie esistenti in una lingua presa in
esame ma non nellaltra.
Si pu`o indagare questo fatto attraverso un compito di ricerca visiva, in cui si
mostra ai partecipanti uno stimolo colore, chiamato target, e poi un insieme di
stimoli di colori diversi (distrattori). Il compito consiste nellindicare in questo
insieme di distrattori gli stimoli uguali al target. Ad esempio, nel caso in cui il
target sia blu e i distrattori verdi o viceversa, gli inglesi sono pi`
u veloci nello svolgere il compito rispetto agli africani. Ci`o perche blu e verde sono due categorie
distinte in inglese, ma appartengono ad una sola categoria (grue) nella maggior
parte delle lingue africane. Al medesimo risultato si `e giunti analizzando i dati
provenienti da soggetti turchi e inglesi: i turchi erano pi`
u veloci nel discriminare tra stimoli blu e azzurri, che in turco, cos` come in russo, costituiscono due
categorie linguistiche diverse, rispetto agli inglesi. I parlanti della lingua nella
quale il target e i distrattori appartengono a categorie diverse sono pi`
u veloci nel
discriminare rispetto a quelli che non possiedono questa distinzione nella loro
lingua. Le categorie linguistiche quindi influenzano la velocit`a in un compito di
discriminazione tra stimoli.
A questo punto verrebbe naturale dire che la natura categorica della percezione del colore non `e innata ma viene acquisita, eppure la ricerca condotta
sulla percezione cromatica nei neonati sembra smentire questa affermazione rivelando risultati contraddittori. Alcuni studi hanno messo in luce la possibilit`a
che i neonati percepiscano in modo categorico il colore, pur non avendo ancora sviluppato nessuna abilit`a linguistica. Allo stesso tempo altri studi hanno
132
portato a pensare il contrario. Forse gli effetti della percezione categorica nella
discrimazione del colore vengono effettivamente acquisiti molto presto, non solo
attraverso il linguaggio ma anche attraverso la percezione continua di categorie
cromatiche comuni che circondano i bambini sin dalla nascita (giocattoli, abiti
ecc.).
` possibile che parlanti di lingue diverse vedano i colori in modi diversi solo se
E
`e possibile che ci sia un reale cambiamento nella percezione del colore a bassi
livelli (primi stadi) del processo visivo. Se non `e possibile che la percezione cambi, non `e possibile che essa vari tra culture e lingue. La domanda da farsi quindi
`e: la percezione del colore negli adulti `e identica a quella dei neonati, o questa
pu`o subire delle modifiche? Una buona prova del fatto che la percezione pu`o
essere effettivamente modificata `e quella che viene chiamata apprendimento
percettivo (perceptual learning), che si riferisce ai miglioramenti che si possono ottenere mediante pratica ripetuta, in una determinata abilit`a percettiva.
Attraverso la pratica, le persone possono migliorare le loro performance in qualsiasi abilit`a percettiva e ci`o `e dovuto al fatto che il cervello `e un organo plastico
ed adattivo, in continuo cambiamento sulla base delle richieste dellambiente.
Questo `e specialmente vero e al suo massimo livello durante linfanzia, ma con` improbabile che la percezione del colore
tinua anche durante let`a adulta. E
faccia eccezione e sia un rigido meccanismo che rimane invariato.
7.3
Figura 7.2: Distribuzione media dei termini di colore basici nei parlanti berinmo
per i 160 tasselli dellarray di Munsell. I numeri nel grafico indicano il numero
di soggetti (su un totale di 25) che scelsero un particolare tassello come miglior
esempio della categoria. Tratto da [83].
una serie di accampamenti temporanei per trovare erba e acqua per il bestiame. Larea ha poche risorse naturali, quindi le case, gli abiti, gli strumenti e gli
artefatti sono costruiti con prodotti ricavati dal bestiame stesso.
Lhimba `e un dialetto della lingua herero, ma a causa di un lungo isolamento culturale negli ultimi cento anni sono nate delle profonde differenze culturali
e linguistiche con lherero, la cui cultura si `e negli ultimi anni aperta alla cultura occidentale, come dimostrano i prestiti dallinglese grine (da green) e pinge
(da pink ) che lhimba non usa. Il popolo himba ha una forte identit`a culturale tradizionale, ha mantenuto le sue tradizioni nel tempo e limita al minimo
i contatti con le altre culture. Per un buon numero di soggetti esaminati, lo
sperimentatore costituiva la prima persona bianca mai vista.
Non essendo presente nel WCS, gli autori innanzitutto identificarono i cinque
termini basici himba (figura 7.3) nei termini serandu (allincirca corrispondente
a rosso, arancione e rosa), dumbu (allincirca corrispondente a beige, giallo;
indica anche una persona bianca), zoozu (tutti i colori scuri e nero), vapa (tutti
i colori chiari e bianco) e burou, recentemente preso in prestito dallAfrikaans
attraverso lherero (allincirca corrispondente a verde, blu e viola) e notarono
luso ampio di termini secondari normalmente usati per descrivere il colore della
pelle degli animali. Le scelte dei migliori esempi erano molto diverse, ma questa
135
mancanza di accordo tra parlanti venne riscontrata anche tra parlanti berinmo,
dani e in molte altre lingue di paesi non industrializzati.
Una cosa interessante che venne notata fin dallinizio fu la minor consistenza
nelle risposte date dai parlanti himba rispetto ai parlanti berinmo. Potrebbero
avere contribuito a questo uso meno omogeneo dei termini tre fattori:
1. Il tipo di vita dei parlanti himba li vede vivere su ampi territori e ci`o
implica poca attivit`a cooperativa, ci`o contrasta con i parlanti berinmo che
vivono cacciando in comunit`a e svolgendo attivit`a di gruppo, formando dei
gruppi sociali ben uniti. Potrebbero essere diversi quindi sia le opportunit`a
che il bisogno di comunicare.
2. Leconomia himba `e centrata sul bestiame, ci`o potrebbe aver sviluppato
un ricco vocabolario di termini secondari che sono usati di frequente, ma
con poco consenso.
3. Mentre i parlanti berinmo sembrano essere attratti dalla sfida di fornire
delle descrizioni per ogni colore ed ogni oggetto intorno a loro, i parlanti
himba appaiono pi`
u reticenti e pensierosi e lasciano pi`
u frequentemente
gli stimoli innominati.
Svolgendo numerosi esperimenti su questi parlanti, simili a quelli condotti
nello studio precedente sul berinmo, gli autori arrivarono ancora una volta a
concludere che parlanti di lingue diverse codificano, ricordano e discriminano
stimoli in modi diversi. Per esempio, si analizz`o in questo caso la percezione
categorica su tre confini linguistici: i due confini appartenenti alla lingua inglese e berinmo utilizzati anche nello studio precedente (blue-green e wor-nol ),
e uno della lingua himba (dumbu-burou). I dati raccolti dalla lingua himba
diedero gli stessi risultati dei dati raccolti precedentemente sulla lingua berinmo. Nonostante le somiglianze tra le categorie linguistiche di colore tra queste
due lingue, sembrano tuttavia esistere degli effetti linguistici specifici. I soggetti
himba mostrarono vantaggi nella percezione categorica solo per le proprie categorie linguistiche e non per quelle berinmo ne per quelle inglesi.
Gli autori si posero due domande. La prima, quantitativa, `e: quanto devono
essere diversi due insiemi di termini prima che si abbiano delle conseguenze
cognitive di queste differenze per i loro parlanti? Secondo i risultati ottenuti
in questo studio, differenze piccole nella posizione dei confini tra categorie sono
sufficienti per portare a differenze cognitive osservabili.
La seconda, qualitativa, `e: le categorie devono essere definite dai migliori esempi
oppure dalla loro intera ampiezza? Quando ci si chiede se due categorie in due
lingue sono identiche, dovrebbe essere considerata lintero insieme di esemplari,
piuttosto che solo il centro della categoria. I confini delle categorie sono ritenuti
altrettanto salienti quanto i loro centri.
Un approccio alternativo potrebbe rispondere a queste domande concentrandosi
sulle similarit`a tra le varie lingue nei sistemi lessicali di colore piuttosto che sulle
136
differenze. Le somiglianze potrebbero a loro volta far rifiutare la visione relativista, specialmente perche queste somiglianze spesso si estendono a moltissime
lingue del mondo che si trovano in parti del mondo completamente diverse.
Gli autori precisano tuttavia che questi sistemi di codifica dei colori potrebbero
non essere cos` simili come potrebbe sembrare ad una prima analisi, e ci`o per
due motivi. Primo, la similarit`a tra himba e berinmo per gli stimoli saturi non
si estende agli stimoli a bassa saturazione, per i quali risultano meno simili tra
loro di quanto ognuno dei due non sia con linglese. Sia linglese che lhimba
usano un alto numero di termini secondari per nominare questi stimoli, mentre il berinmo estende prontamente i termini basici anche per essi. Laffidarsi
allattribuzione di nomi a soli stimoli saturi, in passato, potrebbe aver portato
a sovrastimare la similarit`a tra sistemi di colore. Secondo, per semplicit`a solo
i termini basici vengono considerati e utilizzati. Ma quando si lascia libert`a ai
soggetti nella scelta dei nomi senza imporre vincoli e si analizzano i termini non
basici le differenze aumentano in modo non trascurabile.
7.4
In seguito Roberson e colleghi [93] proposero tre ipotesi per cercare di dare una
spiegazione ai risultati ottenuti nei loro studi precedenti.
La prima ipotesi dice che tutti gli adulti potrebbero avere un insieme universale
di categorie cognitive che potrebbe essere determinato in modo innato e indipendente dai termini usati per descriverle. Nonostante ci`o, gli adulti potrebbero
sempre reclutare un sistema di nomi specifico ad una cultura, anche quando
danno dei giudizi percettivi sui colori, in modo che due oggetti chiamati con lo
stesso nome verrebbero sempre giudicati pi`
u simili di due oggetti chiamati con
due nomi diversi. Tuttavia questa opzione sembra improbabile agli autori che
non credono in un sistema di categorizzazione universale.
La seconda alternativa dice che tutti gli umani potrebbero essere nati con un
insieme universale di categorie cognitive che poi vengono distorte nel corso dellacquisizione dellinsieme appropriato di categorie nella propria lingua. Queste
distorsioni potrebbero aver vita se le categorie di colore acquisite attraverso la
lingua fossero mentalmente rappresentate da prototipi e queste rappresentazioni
si comportassero come dei magneti percettivi distorcendo lo spazio colore percepito. In questo caso si potrebbe parlare di acquisizione come perdita, gli
umani perderebbero linsieme universale a favore di un insieme specifico alla
loro lingua.
Lultima possibile spiegazione `e quella secondo la quale non esiste un singolo
insieme di categorie che sia universale e indipendente da lingua e cultura e secondo la quale tutte le divisioni del continuum di colore percepito devono essere
acquisite. In un caso del genere, gli individui che non hanno ancora acquisito linsieme di categorie appropriato alla propria cultura e lingua potrebbero
137
Figura 7.3: Distribuzione dei termini di colore in himba e scelte dei migliori
esempi per larray di 160 stimoli comparata alla distribuzione dei termini dellinglese per lo stesso array. Come nella figura precedente, i numeri rappresentano
il numero dei soggetti che hanno scelto un esemplare come migliore esempio di
una categoria. Tratto da [92].
raggruppare i colori secondo qualche principio come ad esempio quello di similarit`a, ma fallirebbero nel categorizzare secondo le linee dellinsieme universale
proposto.
Questa questione venne esaminata rivolgendosi ad unaltra fonte di prove:
lacquisizione dei termini di colore nei bambini. Le stime sullet`a in cui i bambini
acquisiscono un lessico minimo dei colori sono scese drasticamente dai 7-8 ai 2-3
anni. Nonostante ci`o, un uso competente di questi termini si riscontra relativamente tardi, soprattutto se comparato con termini relativi ad altri domini. Lo
stesso vale per bambini di lingua inglese, per i quali linsieme di termini basici da
acquisire sarebbe esattamente quello che si ritiene essere universale e presente
in ogni individuo in maniera innata, prima che venga acquisita la terminologia
relativa alla propria lingua. Bornstein [94] riteneva, allinterno di una cornice
138
universalista in cui esiste un insieme universale fisso e innato di categorie di colore, che fosse ancora pi`
u difficile acquisire questi termini per bambini che stavano
imparando una lingua in cui linsieme universale doveva essere sovrascritto da
un nuovo insieme, anche se questo comprendeva un numero di termini inferiore.
I bambini potrebbero dover assimilare le loro categorie universali in un nuovo
insieme di categorie linguistiche basate su unaltra dimensione, come ad esempio la chiarezza nel caso della lingua dani [52]. Lacquisizione di un insieme di
categorie diverso da quello che si presume essere innato e universale potrebbe
mostrare un modello di sviluppo diverso da quello dei bambini di lingua inglese,
i quali avrebbero un lavoro pi`
u facile da svolgere dovendo solamente attribuire
delle etichette linguistiche alle categorie cognitive che gi`a possiedono.
Roberson e colleghi [93] esaminarono sistematicamente comprensione, memoria, e assegnazione di nomi a stimoli colore su due gruppi di bambini, uno inglese
e laltro himba. Tra gli scopi dello studio cera anche quello di capire se lacquisizione dei termini di colore potesse o meno differire in parlanti di lingue diverse.
La conoscenza e la memoria di termini di colore da parte di tutti questi bambini
venne testata per un periodo di tre anni, ad intervalli regolari di sei mesi. Ai
bambini veniva chiesto di svolgere quattro tipi di test.
Il primo era un compito di produzione di un elenco di nomi di colori (dimmi
tutti i colori che conosci), il secondo un compito di attribuzione di nomi a
colori (che colore `e questo?), il terzo un compito di comprensione di termini di colore (ne vedi uno rosso?), infine lultimo era un compito di memoria/riconoscimento.
Nonostante considerevoli differenze ambientali, linguistiche ed educative tra i
due gruppi, le teorie universaliste della categorizzazione del colore predicono
che entrambi i gruppi di bambini avranno la stessa organizzazione cognitiva iniziale dello spazio colore (undici categorie) e che questa organizzazione cognitiva
rimarr`a per entrambi i gruppi di bambini, nonostante la sovrapposizione di insieme diversi di categorie linguistiche [78, 94].
A partire dai dati raccolti, Roberson e colleghi [92] presentano tre argomenti
principali contrari alla posizione universalista.
Il primo riguarda gli errori compiuti dai bambini nei compiti di riconoscimento. Anche la ricerca precedente con gli adulti [83] si era avvalsa degli errori di
memoria come il principale dato per confermare la relativit`a linguistica, anche
se quella procedura `e stata criticata in [95] in cui si sostiene che gli errori specifici ad una lingua potrebbero semplicemente derivare dal fatto che il soggetto
utilizzi un codice verbale per ricordarsi i colori, non contraddicendo necessariamente la teoria universalista.
Questi argomenti non possono essere applicati per`o a bambini che non conoscono
ancora alcun termine di colore. In entrambi i gruppi, questi bambini mostravano
dei modelli di errori di memoria molto simili tra loro, ma nessuno di questi due
modelli ricordava quello che deriva dalle categorie basiche dellinglese. Entrambi i modelli di errore si basavano sulla distanza percettiva piuttosto che su un
insieme particolare di categorie predeterminate, e non cera alcun vantaggio di
139
memoria per termini che erano focali nelle due lingue. Questo supporta lidea
che le undici categorie basiche dellinglese non siano universali cognitivi. Tuttavia il fatto che un grande numero di lingue del mondo abbiano lo stesso numero
di categorie cromatiche (undici) ha portato a pensare che sia la combinazione
ottimale per la discriminabilit`a e leconomia cognitiva per il riconoscimento e
la rappresentazione di un ampio numero di colori. Il fatto che possa essere la
combinazione ottimale, non implica per`o che sia innata.
Dopo un momento iniziale di appoggio sulle similarit`a percettive, osservabile
nei bambini che ancora non conoscevano termini di colore, divenne evidente un
vantaggio e una performance migliore per linsieme di colori focali appropriato alla propria lingua non appena i bambini acquisirono i relativi termini. La
conoscenza anche di un solo termine di colore sembrava far gi`a cambiare lorganizzazione cognitiva, e, da quel punto in avanti si riscontravano differenze
dipendenti dalla lingua tra i due gruppi; questa influenza linguistica nei compiti di memoria incrementava inoltre con let`a. Una volta che la conoscenza `e
acquisita, essa sembra ristrutturare lorganizzazione cognitiva del colore. Questa rapida divergenza nellorganizzazione cognitiva del colore per i due gruppi
suggerisce che le categorie cognitive di colore siano acquisite anziche innate.
Riassumendo, un continuum del colore inizialmente guidato percettivamente,
appare essere progressivamente organizzato in insiemi appropriati ad ogni lingua e cultura.
Il secondo punto riguarda la possibile esistenza di un ordine predicibile in
cui i termini di colore vengono acquisiti. Anche se questo si rivelava diverso a
seconda della misura usata e mostrava grandi variazioni individuali, in nessun
modo venne riconosciuto il modello predetto dalla teoria universalista secondo
il quale i colori primari (rosso, blu, verde e giallo) vengono acquisiti per primi.
Nel corso dello studio longitudinale, nessuna delle due popolazioni mostr`o un
ordine fisso e predicibile di acquisizione, e ci`o supporta altre scoperte precedenti.
Il terzo punto riguarda il ruolo particolare dei colori focali. Come abbiamo
visto, il vantaggio per i colori focali increment`o per tutta la durata dello studio. Quindi limportanza che Rosch [78] assegna alla focalit`a nello stabilire le
categorie sembrerebbe essere ribadita dai presenti dati, anche se va sottolineato
che, secondo gli autori, la focalit`a non `e universale ma language-dependent.
Nonostante le similarit`a nella traiettoria di acquisizione dei termini tra le due
popolazioni, i bambini inglesi acquisirono i loro primi termini di colore prima
dei bambini himba. Per i bambini inglesi questo fatto non meraviglia, dato
che questi sono semplicemente i colori che sono insegnati fin dalla pi`
u tenera
et`a e che pi`
u presto sono disponibili nei loro ambienti di gioco. La maggiore
esposizione ad oggetti colorati e la salienza culturale del colore, maggiore nelle
societ`a occidentali, potrebbero contribuire ad una comprensione maggiore del
colore dal punto di vista concettuale come una dimensione separabile.
Per i bambini himba la focalit`a `e determinata sulla base dellaccordo negli adulti
nel dare nomi. Ognuno dei cinque termini basici dellhimba contiene un numero
ampio di esemplari e si estende a colori molto desaturi e con poco accordo tra
140
gli adulti su dove si localizzino i migliori esempi delle categorie. I bambini himba non incontrano presentazioni costanti di colori altamente saturi, attraverso
stampe, immagini video o altro. Nel loro ambiente vedono solo colori naturali,
per i cui nomi gli adulti spesso non si trovano in accordo. Inoltre, i bambini himba potrebbero essere svantaggiati per il fatto di dover sovrascrivere un
insieme di categorie linguistiche, quello appropriato alla loro lingua, sopra a
quello di categorie cognitive universali fornitogli alla nascita. I bambini quindi
dovrebbero esser pi`
u veloci nellimparare quei colori che tutti gli adulti chiamano
con lo stesso nome, da qui i risultati pi`
u accurati per i colori focali. In effetti,
senza quellampia gamma di stimoli saturi che possono essere prodotti artificialmente, le comunit`a tradizionali potrebbero non aver bisogno di distinzioni
categoriche pi`
u fini, richieste invece quando una variet`a pi`
u ampia `e disponibile,
e cos` potrebbe mancare la motivazione a rendere pi`
u dettagliato il lessico dei
colori. Lacquisizione dei termini di colore appar` essere genuinamente lenta,
difficoltosa e produttrice di molti errori in entrambe le culture.
141
142
CAPITOLO
8
Altre tematiche relative al lessico
dei colori
8.1
Introduzione
8.2
Nello sviluppo del bambino lacquisizione dei termini di colore avviene tardi,
tanto da aver convinto in passato alcuni studiosi che i bambini fossero ciechi
al colore perche non erano in grado di applicare loro nomi adeguati ad unet`a
relativamente tarda.
Se allinizio del ventesimo secolo le stime di Binet e Simon riguardo allet`a in
cui il bambino disponeva di un lessico di colori minimo (4 termini) si aggiravano
attorno ai 7-8 anni [96], nel tempo questa si `e abbassata, scendendo gradualmente fino ad arrivare ai 2-3 anni di oggi [97, 98]: questo `e un evidente effetto
143
poraneamente. Nel caso dei nomi di animali si ha sempre una risposta certa
riguardo allappartenza o meno ad una certa categoria. I confini sono chiari
e non ci sono sovrapposizioni; ci`o porta alla conseguenza che ogni esempio di
questi termini cadr`a in una e solo una categoria.
La seconda domanda `e perche i modelli di risposta tra i due domini siano cos`
diversi (risposte errate nel dominio di colore, non so nel caso degli animali). In
questo caso la risposta `e che i termini di questi due domini possiedono tipi diversi di criteri semantici di applicazione. Si considera che i termini di tipo naturale
(come i nomi di animali) obbediscano allipotesi di Putnam [101] sulla Divisione
del Lavoro Linguistico, che in breve sostiene che esistano delle persone, allinterno di una comunit`a linguistica, che sono considerate degli arbitri riguardo a dei
sottoinsiemi del linguaggio (linguaggi tecnici). Ricorrendo a questa comunit`a
scientifica la persona normale ritiene di poter risolvere un dubbio sorto riguardo
ad un certo termine. Il singolo parlante pu`o non conoscerli personalmente e pu`o
non conoscere i criteri precisi per lapplicazione e luso di questi termini; nel
dubbio ricorrer`a a questa comunit`a di esperti. Come conseguenza, una risposta
del tipo non so `e semanticamente appropriata per questo tipo di termini, in
quanto riflette semplicemente la mancanza di informazioni da parte del parlante.
La semantica dei termini di colore `e invece diversa. I colori sono osservativi, si
pu`o definire il colore di qualcosa semplicemente osservandola, diversamente dai
nomi di tipo naturale. Proprio per questo motivo, i criteri per lapplicazione dei
termini di colore sono necessariamente disponibili a tutti, e non ad una ristretta
comunit`a di esperti. Qualsiasi parlante dovrebbe, in linea di principio, essere in
grado di determinare se si pu`o applicare un determinato nome di colore. Una
risposta del tipo non so, in questo caso, non indicherebbe una mancanza di
informazioni, bens` unammissione di indeterminatezza. Rispondere in quel modo potrebbe essere meno semanticamente appropriato rispetto al generare un
nome di colore errato.
La spiegazione semantica sembra essere consistente con i dati raccolti in
questo studio. Leffetto frequenza sembra derivare da due fattori:
Non avendo i colori confini netti, per un dato colore esistono spesso almeno
due alternative plausibili. Se c`e pi`
u di un candidato, si crea un conflitto
con la pragmatica dellattribuzione di nomi, che presuppone ci sia un
unico termine appropriato. Per questo motivo le asimmetrie tra termini
candidati si risolvono nella preferenza per un nome che di solito `e quello
di pi`
u alta frequenza.
La differenza semantica tra i due domini offre una spiegazione alle differenze negli errori commessi.
La spiegazione semantica predice anche che le difficolt`a sorgano soprattutto per
esempi che si trovano ai confini tra le categorie cromatiche, e non con esempi
centrali alle categorie stesse.
147
8.3
I modificatori
La maggioranza degli studi nel dominio del lessico dei colori si `e ristretta sui
termini di colore basici, cercando di isolare il pi`
u piccolo insieme di espressioni linguisticamente semplici di una lingua con cui i parlanti potevano nominare qualsiasi colore, escludendo quelli non basici. I risultati universalisti a cui
si `e giunti potrebbero essere il frutto di queste limitazioni e potrebbero aver
oscurato importanti differenze culturali. Le etichette lessicali che descrivono al
meglio le categorie cromatiche di una lingua e cultura potrebbero non essere
necessariamente quelle ritenute basiche. Nellesaminare questi termini prima
ignorati potrebbero quindi emergere delle differenze, laddove ad un semplice
esame dei termini basici erano state riscontrate delle somiglianze, anche perche
linfluenza della cultura si fa sentire maggiormente su questi termini rispetto
ai termini basici pi`
u astratti e pi`
u universali. Non `e quindi da escludere che
queste restrizioni imposte abbiano prodotto unapparenza di universalit`a maggiore rispetto a quella che effettivamente esiste, e ci`o `e possibile se nella vita
di ogni giorno le persone ricorrono a caratteristiche linguistiche che negli studi
sono state isolate ed ignorate.
Ogni lingua ha immense risorse per denotare sensazioni di colore. Per prima
cosa, ogni lingua pu`o creare in modo produttivo espressioni complesse che descrivono il colore di un oggetto indicando la sua similarit`a con un altro tipo di
oggetto che notoriamente presenta quel colore. In secondo luogo, molte lingue
possiedono termini che denotano il colore di una classe di oggetti molto ristretta.
In terzo luogo, molte lingue si avvalgono di processi morfologici e sintattici che
creano termini di colore complessi a partire da termini di colore semplici, come
ad esempio blu-verde o in inglese yellowish. Infine alcune lingue possiedono
molti termini linguisticamente semplici che denotano sottotipi o sfumature di
colori denotati da altri termini semplici, come ad esempio i molti termini che
esprimono specifiche sfumature del colore generico rosso come magenta,
cremisi, Borgogna ecc. Alcuni di questi termini non basici vengono talvolta
associati in modo metaforico, allinterno di alcune culture, a entit`a e credenze
morali, emotive, soprannaturali e ad altre entit`a non fisiche.
I modificatori, quelle parole utilizzate come aggettivi per modificare un termine
di colore, costituiscono una di queste risorse che le lingue hanno a disposizione
per creare nuovi termini. Tipicamente i modificatori si riferiscono alla saturazione o chiarezza (es. chiaro, brillante, vivo), ma possono riferirsi anche ad altre dimensioni (es. sporco, fluorescente).
In [102] viene presentato uno studio nel quale si investiga lo sviluppo dellabilit`a nel discriminare e nominare colori che variano in saturazione e chiarezza
per una stessa tinta e di esplorare come let`a influisca sulla percezione e linterpretazione dei modificatori.
Labilit`a di percepire e discriminare i colori si stabilisce durante linfanzia, infatti i bambini possono distinguere differenze di colore gi`a nelle prime settimane
di vita; tuttavia abbiamo visto il ritardo con il quale i essi sviluppano la capaci148
o sfumature di una stessa tinta. Pur in assenza di un lessico ricco per nominare
tutte le regioni dei piani della tonalit`a di colore, i primi due gruppi possono
classificare sei stimoli in modo simile al gruppo di controllo adulto. Gli autori
propongono quindi un ordine di sviluppo nellacquisizione dei termini modificatori in funzione dellet`a. Secondo questa proposta i termini bright, strong e dark
vengono acquisiti al livello della scuola elementare, pale al livello delle scuole
medie, e vivid solo a livello universitario. Il termine dull non ottiene consenso
nemmeno a livello adulto.
Alvarado e Jameson [103] conducono un esperimento spontaneo sulluso dei
modificatori in inglese e vietnamita, applicando a questi termini il metodo della
mappatura di termini nello spazio colore di solito usato con i termini basici,
e facendo poi un confronto crossculturale. Questo studio mette in luce delle
somiglianze e delle differenze crossculturali che gli studi limitati ai termini basici non riescono a cogliere. Dato che lesistenza di tendenze universali per i
termini basici `e gi`a stata scoperta, sembra ragionevole cercare questi universali
in condizioni che si avvicinano maggiormente alluso naturale del linguaggio.
I soggetti di questo studio si avvalgono dei modificatori per descrivere propriet`a
degli stimoli che non vengono catturate dalle prime tre dimensioni del colore.
Ci sono infatti dimensioni di questa esperienza soggettiva che vanno oltre quella
classificazione, e il grado che questa esperienza riveste in una cultura pu`o influenzare il numero dei modificatori che la lingua parlata ha a disposizione. I
soggetti, tutti reclutati negli Stati Uniti, erano divisi in tre gruppi: monolingui
inglesi, monolingui vietnamiti, bilingui inglesi e vietnamiti testati in lingua vietnamita (gruppo di confronto). Nessun vincolo o restrizione veniva imposto sul
tipo di nomi da utilizzare nel dare nomi agli stimoli, tratti dallo spazio colore
OSA.
I risultati mostrarono subito delle importanti differenze tra i tre gruppi. I parlanti inglesi e quelli vietnamiti si avvalsero di strategie diverse nellattribuire
nomi ai colori e usarono in generale modificatori diversi. Gli inglesi disponevano
in generale di una maggior variet`a di termini, e facevano un uso maggiore di
termini composti da una sola parola (single-word color terms), specialmente di
quei termini che si riferiscono ad oggetti o contesti precisi, come olive e lilac
(che, come fanno gli autori, chiameremo object glosses). Nonostante questo
uso di termini monolessemici, gli inglesi mostrarono un lessico di modificatori
pi`
u ampio, e allo stesso tempo le loro scelte riguardo ai modificatori erano diverse rispetto a quelle dei vietnamiti. I vietnamiti mostrarono un uso maggiore
di termini composti (multiparola), termini con modificatori e termini di colore
combinati con object glosses. Ricorrevano in misura minore a termini semplici,
monolessemici, sia basici che non basici, e usavano meno object glosses monolessemici e altamente specifici dellinglese e pi`
u object glosses con modificatori
o come modificatori. Ci`o indica minor affidamento a termini di colore astratti. Quando il parlante ha meno termini monolessemici a disposizione, lo spazio
colore privo di nomi `e pi`
u ampio e sono necessari modificatori e nomi composti
per differenziare oggetti al suo interno. Questo potrebbe essere il motivo del pi`
u
ampio uso di modificatori nei vietnamiti, usati per nominare aree dello spazio
150
colore pi`
u estese. Minore `e il numero di termini monolessemici, maggiore sar`a il
numero di modificatori necessari. Ancora, i vietnamiti erano gli unici ad usare
la ripetizione di termini di colore (es. yellow yellow ).
Il caso dei bilingui `e interessante. Essi mostravano un comportamento a met`a
tra quello degli inglesi e quello dei vietnamiti, anche se pi`
u vicino a quello inglese, mostrando variet`a ridotte sia di modificatori che di termini monolessemici.
Ci`
o `e probabilmente dovuto ad una loro fluttuante fluenza nella lingua nativa
mentre lacquisizione dellinglese `e in corso. Questo mette anche in mostra
le difficolt`a nel condurre studi crossculturali usando popolazioni di immigranti
bilingui, come avvenne nello studio di Berlin e Kay. Gli autori notarono come
le object glosses altamente specifiche e i modificatori cadano in disuso prima dei
termini basici. I bilingui infatti mostravano maggiori somiglianze con il gruppo
degli inglesi che con quello dei vietnamiti. Quando gli stessi modificatori erano
usati da tutti e tre i gruppi, la frequenza di uso per i bilingui cadeva generalmente a met`a tra la frequenza degli inglesi e quella dei vietnamiti. Il gruppo
dei bilingui utilizz`o dei modificatori che non vennero usati da nessuno degli altri
due gruppi. Tutti e tre i gruppi ottennero maggior consenso per termini semplici costituiti da una sola parola, mentre i livelli pi`
u bassi di accordo vennero
ottenuti nel caso di modificatori e nomi composti.
8.4
Alcune lingue possiedono termini separati per blu e verde, mentre altre hanno
un solo termine composto che include al suo interno sia la denotazione del verde
che del blu. Solitamente questa categoria viene chiamata per semplicit`a grue,
o, in italiano, blerde.
Lindsey e Brown [104] propongono una possibile spiegazione dellesistenza e della distribuzione geografica di queste categorie che includono la denotazione del
blu in un termine che include anche il verde e in alcuni casi lo includono in un
termine che esprime i colori scuri come nero (in questi casi un unico termine
esprime la categoria verde-blu-nero).
Secondo questa teoria da loro proposta, che prende il nome di lens brunescence
hypothesis (LBH), i termini grue deriverebbero dallesposizione ad alti livelli di
radiazioni UV-B dalla luce del sole che porterebbero ad un ingiallimento accelerato delle lenti degli occhi e ad una conseguente distorsione dello spazio colore
percettivo, con le lunghezze donda corte che vengono filtrate sproporzionatamente, cos` che il blu appare come verdognolo (o un colore pi`
u scuro tendente
al nero in casi estremi) e viene quindi chiamato con il suo nome.
In supporto a questa loro tesi Lindsey e Brown dimostrano che la proporzione
delle lingue che presentano questi termini `e predicibile sulla base della quantit`a
di radiazioni UV-B provenienti dalla luce solare e che colpiscono le zone della
superficie terrestre in cui queste lingue sono parlate. Dimostrano anche che
soggetti di lingua inglese esposti a stimoli che simulano il risultato di questo ingiallimento della lente estendano il termine verde al punto da fargli includere
151
anche il blu. Questa teoria `e abbastanza controversa almeno per due motivi:
Ci sono prove che dimostrano che lingiallimento della lente potrebbe non
influenzare la percezione del colore nel lungo termine.
Ci sono prove che dimostrano che le lingue in cui manca il termine per
blu tendono ad essere parlate in societ`a con basso livello di sviluppo
tecnologico, e spesso queste societ`a si trovano nei tropici, dove i raggi in
questione sono pi`
u forti.
Questa ipotesi fa una predizione riguardo a quali siano i colori che dovrebbero
essere scelti come migliori esempi dei termini per grue. Se questi sono semplicemente termini per verde estesi al blu a causa di una distorsione percettiva,
allora dovrebbe esserci un singolo picco nella distribuzione dei migliori esempi
e questo dovrebbe cadere da qualche parte tra verde e blu. Se invece non
si trattasse di una distorsione percettiva, ma solo di una semplice astrazione su
verde e blu, i migliori esempi dovrebbero giacere in corrispondenza del verde o
del blu (o di entrambi).Sebbene Lindsey e Brown sembrano intuire che il secondo caso sia quello riscontrato maggiormente nella realt`a, non sembrano temere
che questo possa mettere in dubbio la loro ipotesi nel caso in cui ci`o venisse
dimostrato empiricamente.
Regier e Kay [105] vogliono verificare meglio questa ipotesi, e per farlo si avvalgono del World Color Survey. Si focalizzano su quei parlanti che diedero lo
stesso nome (grue) a tasselli che spaziavano dal verde al blu, esaminando poi le
scelte dei migliori esempi da loro effettuate. La distribuzione che ne conseguiva
suggeriva che i termini per grue tendevano a non essere distorsioni percettive
del verde, ma piuttosto astrazioni genuine su verde, blu e nero. Questi risultati
contraddicono quelli di Lindsey e Brown.
In risposta a questa critica, Lindsey e Brown [106] presentano unulteriore analisi
dei dati WCS. Questa conferma che le scelte dei migliori esempi di grue tendono ad avere dei picchi in corrispondenza dei punti focali del verde e del blu
ed `e contrario alla loro ipotesi. Tuttavia Lindsey e Brown sostengono che rimanga aperta la possibilit`a che ci sia un sottoinsieme di parlanti le cui scelte
dei migliori esempi si posizionino tra i punti focali universali del blu e del
verde. Questo sarebbe conforme alla loro ipotesi. Sono necessari altri studi
che approfondiscano maggiormente questo problema.
8.5
8.5.1
[32], i quali sostennero che lo status di goluboj non fosse chiaro e che si trattasse
probabilmente di un termine secondario e non basico.
Winawer e colleghi [56] si chiesero se questa differenza linguistica portasse
a differenze nel modo in cui le persone che parlano una lingua piuttosto che
unaltra discriminano tra colori.
Goluboj sembra essere meno saliente rispetto a sinij, ma per alcuni parlanti sembra che questo termine nomini una gamma di colori disgiunta, almeno in alcuni
contesti, da sinij, prova del fatto che entrambi dovrebbero essere considerati
basici. I due termini russi tendono ad essere acquisiti presto dai bambini russi
e condividono molte propriet`a di uso e comportamento con altri termini basici.
Non esiste una singola parola generica per blu in russo.
Infine, gli autori si avvalsero della misurazione implicita del tempo di risposta,
considerato un sottile aspetto del comportamento che i soggetti generalmente
non modulano in modo consapevole. Essendo le risposte di questo esperimento
sempre chiare e non ambigue, `e difficile che il soggetto decida di impiegare pi`
u
tempo in una risposta rispetto ad unaltra.
Laspetto da ricordare `e che questo esperimento testa i parlanti inglesi e russi
in un compito di discriminazione tra colori su un confine che esiste in russo ma
non in inglese. Vennero utilizzati stimoli che si estendevano sulla gamma del
sinij/goluboj russi. In alcune prove il distracter apparteneva alla stessa categoria russa del match (ad es. erano entrambi goluboj o entrambi sinij ). In
questi casi parliamo di within-category trials. In altre il match e il distracter
appartenevano a categorie russe diverse (uno era goluboj e laltro sinij ), si parla
in questo caso di cross-category trials. Per i parlanti inglesi, tutti i colori
mostrati appartenevano alla stessa categoria, blue. Se gli effetti linguistici sulla
discriminazione tra colori sono specifici delle categorie codificate nella lingua del
parlante, allora i parlanti russi dovrebbero discriminare pi`
u velocemente nelle
cross-category trials rispetto alle within-category trials. Per i parlanti inglesi non dovrebbe riscontrarsi alcuna differenza.
Inoltre, se i processi linguistici giocano un ruolo attivo in linea nei compiti
percettivi, allora un compito verbale svolto simultaneamente dovrebbe diminuire
il vantaggio per i parlanti russi, ma lo stesso non dovrebbe accadere nel caso di
un compito non linguistico. Per valutare questa possibilit`a, i soggetti vennero
testati in tre condizioni:
Visione normale, senza interferenze di alcun tipo.
Condizione di interferenza linguistica. Il soggetto, mentre svolge lesperimento, deve ripetere silenziosamente una serie di otto numeri. La sua
memoria viene poi testata facendogli scegliere tra la serie originale di
numeri e una diversa.
Condizione di interferenza spaziale. Il soggetto, mentre svolge lesperimento, deve tenere a mente uno schema visivo e alla fine deve mostrare di
ricordarlo.
In un loro lavoro non pubblicato, gli autori sostengono di aver scoperto che
le categorie linguistiche giocano un ruolo maggiore nei compiti percettivi pi`
u
difficili, che richiedono discriminazioni pi`
u sottili. Per mettere alla prova
questa scoperta, includono negli stimoli discriminazioni pi`
u facili in cui il target
e il distracter sono percettivamente dissimili (far-color comparisons) e altre pi`
u
complesse in cui il target e il distracter sono pi`
u vicini percettivamente (nearcolor comparisons). I soggetti, in generale, erano molto pi`
u veloci nelle far-color
comparisons che nelle near-color comparisons.
Per determinare il confine linguistico del soggetto allinterno della gamma dei
blu utilizzata nellesperimento, venne fatto svolgere ad ogni soggetto un compito
di classificazione al termine di quello percettivo. Quindi, ai soggetti russi veniva
chiesto di classificare ogni stimolo visto in goluboj o sinij, mentre ai soggetti
154
inglesi di classificarli in light blue e dark blue. Il confine proprio di ogni soggetto
era identificato come il punto di transizione nella sua classificazione. Questo
punto era quasi identico per tutti i soggetti.
I risultati dimostrarono che i soggetti russi hanno un vantaggio nel discriminare
due colori appartenenti nella lingua russa a due categorie diverse quando sono
testati senza interferenze. Questo vantaggio viene meno nel caso di interferenza
verbale ma non in caso di interferenza spaziale. Per i soggetti inglesi invece non
si evidenzia alcun tipo di vantaggio, in nessuna delle condizioni sopra descritte.
Inoltre, nei casi di discriminazioni pi`
u difficili (near-color comparisons) gli effetti del linguaggio sono pi`
u pronunciati.
Nonostante il vantaggio dovuto ad una categoria cromatica in pi`
u, i russi erano
in media pi`
u lenti degli inglesi, e ci`o potrebbe essere dovuto al fatto che essi
erano meno abili con luso del computer e con il prendere parte ad esperimenti. Non venne riscontrata nessuna differenza di vantaggio tra la condizione di
interferenza spaziale e la condizione priva di interferenze.
Questi risultati dimostrano che le categorie linguistiche possono influenzare la
percezione in un compito di discriminazione tra colori e che la performance in un
compito di questo tipo `e diversa da un gruppo linguistico ad un altro in funzione
delle particolari distinzioni che abitualmente vengono fatte in una determinata
lingua. Il caso del blu in russo suggerisce che distinzioni categoriche abituali o
obbligatorie presenti in una specifica lingua risultano in distorsioni categoriche
specifiche di quella lingua evidenti nei compiti percettivi oggettivi. La differenza
critica tra inglesi e russi non `e che gli inglesi non possono distinguere tra blu
scuro e blu chiaro, ma piuttosto che i russi non possono farne a meno: devono
farlo per parlare russo in modo convenzionale. Si tratta quindi di una sorta di
requisito comunicativo.
Anche Paramei [57] sostiene che in russo i termini sinij e goluboj non identifichino due diverse sfumature dello stesso colore, bens` due colori diversi e ben
separati. I russi appaiono sorpresi nellapprendere che, ad esempio, in inglese
esista un termine solo per questi due colori.
Paramei sostiene che la divisione in questi due termini non sia recente, ma presente gi`a a partire dallXI secolo. Il loro uso rivela uniniziale differenza riguardo
agli oggetti che venivano designati dai due termini. Inoltre, nella morfologia di
entrambi i termini `e possibile rintracciare dei significati acromatici, implicando
la loro opposizione lungo la dimensione semantica chiaro-scuro. Questo significato antico `e tuttoggi contenuto nei dialetti russi contemporanei. Nel russo
moderno entrambi sono usati per gli stessi oggetti, anche se il contesto semantico del loro uso e la loro collocazione cambiano.
Al di l`a della designazione diretta delle esperienze cromatiche, i due termini
vengono usati anche metonimicamente, invocando diverse connotazioni emotive. Inoltre hanno una semiotica distinta e specifica alla cultura, e non sono
intercambiabili per i parlanti nativi russi. Le due metafore espresse in inglese
con blue stocking e blue blood, per esempio, vengono rese in russo rispettivamente con sinij culok e golubaja krov. In generale, nelle metafore viene spesso
usato goluboj e raramente sinij.
155
Paramei riporta alcuni studi non molto conosciuti sul russo. Tra questi ci sono
gli studi di Frumkina [107109]. Come si vede in figura 8.3, da questi studi
emerge che i due termini vengono mappati dai soggetti come entit`a distinte che
non si sovrappongono. Larea coperta da goluboj, che ha maggiori incertezze
denotative, `e pi`
u ampia di quella coperta da sinij.
Figura 8.3: Mappatura dei punti focali di sinij e goluboj sullarray di Munsell
(su 100 partecipanti). Le croci indicano i migliori esempi dei due termini. Da
[109].
Gli studi di MacLaury [75] rivelano invece una sovrapposizione delle aree
denotative dei due termini. Per alcuni soggetti esaminati, sinij include nella
sua area denotativa anche goluboj, per altri goluboj include al suo interno sinij.
Ci`o `e contrario allidea di una mappatura diversa per i due termini, come quella
visibile in figura 8.3. Gli autori concludono che i due termini si trovano in una
relazione in cui sinij `e il termine dominante e basico, mentre goluboj `e quello
recessivo e non basico. Se goluboj fosse basico, il suo significato centrale sarebbe
diverso da quello di sinij, e ci`o non `e sempre vero.
La relazione in cui si trovano i due termini `e quella in cui due termini di colore
denotano approssimativamente la stessa gamma di colori, cos` da sembrare che
siano in libera variazione e che siano entrambi associati ad una singola categoria
di colore. Tuttavia, in questi casi, uno dei due termini, quello dominante, avr`a
il suo prototipo vicino al centro della categoria, mentre laltro, il recessivo, avr`a
il suo prototipo vicino ai margini. Inizialmente, quando si chiede agli informanti
di indicare lestensione del colore espresso dal termine recessivo, questi tendono
ad includere solo una gamma di colori abbastanza ristretta. Quando si chiede
loro di includere tutti i colori che il termine pu`o denotare, la gamma verr`a estesa
in modo da raggiungere quasi lo stesso numero di campioni associati al termine
dominante.
La ricerca del gruppo di Surrey (tra cui Corbett, Morgan e Davies) stabil` la
156
basicit`a di entrambi i termini sulla base del fatto che entrambi ottennero valori
molto alti in tutte le misure comportamentali prese in esame, tra cui la frequenza di occorrenza del termine, il tempo di risposta e la consistenza duso. Anche
per loro i due termini denotano aree non sovrapposte, a differenza di quanto
sostenuto da Berlin e Kay (secondo i quali goluboj era incluso nel dominio di
sinij ), anche se il termine sinij predomina a bassi livelli di luminosit`a e goluboj a quelli alti. In uno studio analogo [110] si arriv`o alle stesse conclusioni.
Questultimo venne compiuto utilizzando il sistema NCS, allinterno del quale
vennero mappati i termini di colore russi. Ci`o `e visibile in figura 8.4, dove si
vede chiaramente che i due termini non sono sovrapposti sebbene vicini tra loro.
Figura 8.4: Mappatura dei termini di colore russi sul piano cromatico del NCS.
Da [110].
Secondo Paramei [57] questi diversi risultati ottenuti sono dovuti alla diverse
metodologie e sistemi colore utilizzati. Esistono anche dei fattori cognitivi da
tenere in considerazione, come il fatto che luso dei termini pu`o variare tra diverse generazioni, classi sociali, origine urbana o rurale, livello di educazione e
vocazione dei soggetti. Anche il periodo in cui i dati sono stati raccolti `e importante.
Una base non linguistica per linclusione del termine goluboj tra i termini basici viene fornita dallinterpoint-distance model (IDM) [111, 112] che studia le
propriet`a relazionali tra le categorie degli spazi colore. La comparsa di questo
termine seguirebbe da una partizione naturale dellintervallo di colori senza
nome che troviamo tra il blu basico e il bianco, uno dei pi`
u lunghi che si possano trovare nello spazio colore.
Paramei considera goluboj basico dal punto di vista culturale, in quanto i russi
non possono designare alcune cose, come il colore degli occhi o del cielo, senza
usarlo. La descrizione del colore `e legata a referenti locali salienti, il significato
157
8.5.2
Il caso dellungherese
8.5.3
Berlin e Kay proposero solo il russo e lungherese come lingue che presentano
un dodicesimo colore basico, ma in seguito ne vennero scoperte altre come il
peruviano [116], lo spagnolo del Guatemala [117], il nepali [118] e il francese
[119]. Mentre le prime tre avrebbero, come il russo, un secondo termine per il
colore blu, il francese ne avrebbe due per il colore marrone (brun e marron).
Taft e Sivik [59] compirono uno studio su quattro lingue (inglese americano,
polacco, spagnolo e svedese) allo scopo di determinare se esistessero o meno
prove dellesistenza di possibili termini di colore derivati addizionali verificando
la salienza relativa dei termini di colore basici e non basici attraverso il metodo
del list task. Come indicatore di questa eventuale potenzialit`a di un termine
venne utilizzata la salienza psicologica, di cui vennero esaminati tre indici: apparizione allinizio di liste di nomi, stabilit`a di riferimento tra diversi soggetti e
in diverse occasioni, presenza nellidioletto di tutti gli informanti.
I termini derivati definiti da Kay e McDaniel [70] sono definiti dalle intersezioni,
o mescolanze, dei sei basici primari. Ne deriva che esistono quindici possibili
coppie di primari. Tuttavia, la teoria dei canali opposti pone dei limiti per quanto riguarda le coppie possibili (non pu`o esistere la mescolanza di rosso e verde,
ne quella di blu e giallo), e che rimangono tredici combinazioni possibili. Di
queste ne esistono solo cinque, nero-giallo (marrone), giallo-rosso (arancione),
bianco-rosso (rosa), rosso-blu (viola) e bianco-nero (grigio), ma in teoria, secondo il ragionamento fatto, dovrebbero esistere diciannove termini basici.
I termini basici primari risultarono essere i pi`
u salienti, seguiti dai termini basici
159
derivati e infine dai termini non basici. Tuttavia alcuni termini non basici raggiunsero in questo studio frequenze e salienza pi`
u alte rispetto ad alcuni termini
derivati.
Gli undici termini basici proposti da Berlin e Kay costituiscono solo una piccola
parte rispetto al totale dei termini di colore di cui una lingua si avvale, linglese
per esempio ha a sua disposizione circa 4000 termini di colore [120]. Alcuni
termini non basici vengono usati quasi con la stessa frequenza di quelli basici,
sebbene vengano utilizzati con minore consistenza e consenso degli ultimi. I
termini basici non sono solo pochi in relazione al numero dei termini usati comunemente, ma anche la loro copertura dello spazio colore `e minima. Chapanis
[121] stim`o per esempio che una persona non specialista pu`o utilizzare senza
confusione e senza sovrapposizioni circa 50 termini per coprire tutto lo spazio
colore. Inoltre la distribuzione degli 11 termini basici nello spazio colore `e molto
irregolare. C`e quindi disponibilit`a, dal punto di vista spaziale, ad accettare
nuovi termini, ma non `e chiaro quali siano questi termini.
160
8.6
Berlin e Kay [32] sostennero che levoluzione nel sistema dei colori non fosse
sempre lineare, ma che si potessero osservare fenomeni di regressione e successiva rielaborazione.
Alcuni dialetti italiani, ad esempio, sembrano possedere sistemi di colore semplificati, avvalendosi di meno termini di colore rispetto al latino classico. I dialetti
italiani mostrano alcune delle modalit`a di cambiamento diacronico dei sistemi
di colore.
Secondo Kristol [122], un elemento debole nella teoria di Berlin e Kay `e la
mancanza di informazioni diacroniche per arrivare alla conclusione che abbiamo
indicato, e si propone di completare questa loro teoria con un esempio trovato
nello studio diacronico dei sistemi di colori delle lingue romanze. Se `e possibile
dimostrare che il latino classico ha avuto a sua disposizione un sistema pi`
u ricco
di qualche lingua o dialetto romanzo suo successore, lipotesi della regressione `e
confermata. Il sistema lessicale dei termini di colore in latino venne studiato da
Andre [38], il quale concluse che esso possedeva un sistema di colori allo stadio
V. Per questo suo studio Kristol si bas`o sul materiale raccolto sul campo tra
il 1919 e il 1927 da Scheuermeier e Rohlfs per la creazione del Atlas of Italian
and Southern Swiss dialects (AIS), che venne poi pubblicato quasi totalmente
in [123].
Litaliano moderno standard ha un sistema di colori allo stadio VII, tuttavia
levoluzione dal latino allitaliano non fu lineare. La situazione linguistica in
Italia allinizio del 1900 e fino agli anni 30 era una situazione di estrema frammentazione dialettale ed eccellente preservazione dei dialetti locali, soprattutto
quelli delle zone rurali lontane dai centri urbani. Per secoli questi dialetti esistettero in modo pi`
u o meno indipendente e persino lunit`a politica dItalia non
influenz`o molto questa situazione. In questo modo un certo numero di dialetti
riuscirono a preservare strutture molto arcaiche e (di maggior interesse ai fini
della nostra trattazione) sistemi di colore arcaici. Una nuova indagine al giorno
doggi probabilmente non sarebbe pi`
u in grado di identificare questi vecchi sistemi: la scuola e soprattutto la nascita dei mass media a partire dalla Seconda
Guerra Mondiale hanno diffuso la conoscenza dellitaliano standard attraverso
tutta la penisola. I sistemi di colore si sono per cui di recente italianizzati.
Negli anni 20-30 per`o alcuni dialetti mostravano gi`a segni di co-esistenza di
sistemi di colore vecchi (pi`
u ridotti) e nuovi (pi`
u elaborati).
Lunico termine latino che fu perso e non immediatamente rimpiazzato fu il
blu, caeruleus. Ci`o coincide con losservazione che le comunit`a rurali primitive
possono facilmente fare a meno di questo termine che sembra avere poca utilit`a
pratica al di fuori di campi come la moda, larte e la letteratura. Nonostante
latlante contenesse i termini locali per blu per quasi tutte le localit`a analizzate
(373), la situazione per questo colore nei dialetti italiani risult`o cos` complessa
tanto da non essere poter mappato. Solo in 29 di queste `e stato riscontrato un
161
tratta di dialetti delle regioni Abruzzo, Molise, Lazio, Puglia, Campania e Basilicata.
162
8.7
ENGLISH
WHITE
RED
BLACK
BLUE
YELLOW
GREEN
BROWN
PURPLE
pink
orange
dark blue
yellow-green
light blue
GREY
silver
grey
gold
brown
khaki
beige
cream
lemon
emerald green
flesh
GREY
sky blue
dark brown
PINK
ORANGE
SALIENCY
97%
94%
92%
91%
81%
77%
60%
50%
43%
39%
26%
25%
24%
15%
14%
12%
12%
10%
9%
7%
6%
6%
6%
6%
5%
5%
5%
4%
4%
8.8
Anche il genere `e considerato un fattore molto importante nel dominio del colore ed `e un argomento che ha ispirato molti studi. Molti di questi, di cui non
ci si occuper`a in questa sede, si pongono come obiettivo quello di capire se ci
siano differenze percettive tra i due sessi, su cui i pareri sono discordanti. Altri
invece sono studi che indagano le differenze nel lessico del colore tra i due sessi,
anche se `e evidente che le differenze percettive potrebbero essere ci`o che causa in
un secondo momento differenze lessicali. Le due cose potrebbero essere quindi
strettamente legate. Ci`o che `e particolarmente interessante `e che i soggetti di
165
8.9
Conclusioni
gui, interessanti per studiare come la conoscenza di due lingue possa influenzare
le categorie linguistiche cromatiche, agli anziani, che, confrontati con altre fasce
det`a, ci possono dare unindicazione di come questa influenzi il lessico dei colori.
Lo studio di pazienti afasici pu`o invece aiutarci a capire quali siano i processi
cognitivi relativi a questo dominio.
167
168
CAPITOLO
9
I dizionari di colore
9.1
Introduzione
In precedenza si `e visto che esistono dei metodi per specificare il colore in modo numerico preciso e non ambiguo. Un altro metodo per specificare il colore
`e quello di ricorrere allutilizzo di termini appartenenti al linguaggio naturale,
avvalendosi di descrizioni linguistiche. Questo sistema di comunicazione `e ovviamente molto meno preciso, tuttavia `e il pi`
u diffuso e quello meglio compreso dalle
persone. Per molti aspetti `e quindi preferibile ad un metodo altamente preciso
ma difficile da usare.
Questo risult`o evidente in un esperimento [127, 128] in cui vennero comparati tre diversi sistemi di notazione del colore, due dei quali sono sistemi di
notazione numerica (RGB e HSV), mentre il terzo, il CNS, si basa sul linguaggio
naturale, nello specifico la lingua inglese.
Ad ogni volontario che partecip`o allesperimento venne assegnato in modo casuale uno di questi tre sistemi e chiesto di imparare ad usarlo. Successivamente
venne loro chiesto di dare una specificazione, avvalendosi del sistema assegnato, ad una serie di colori che vennero loro mostrati. Per ogni risposta data si
calcol`
o la distanza euclidea tra il colore che il soggetto avrebbe dovuto descrivere e quello corrispondente alla risposta effettivamente data: maggiore era la
distanza, meno accurata la risposta.
Si scopr` che gli utenti del sistema CNS erano significativamente pi`
u accurati
nella specificazione del colore, e ci`o dimostra che `e pi`
u efficace dare allutente
169
170
confronto tra questi dizionari presenti sul mercato, individuando i punti forti e
deboli che presentano. Alla luce di questo confronto si proporranno in conclusione le caratteristiche che dovrebbero essere presenti in un buon dizionario di
colore e quelle che andrebbero sicuramente evitate. Un altro problema relativo
ai dizionari `e il fatto che essi siano tutti in lingua inglese. Per questo motivo si
tenter`a di dare alcune indicazioni riguardo ad un possibile dizionario in lingua
italiana attraverso un esperimento di color listing che `e stato condotto e che
verr`a presentato nel prossimo capitolo.
9.2
Il sistema ISCC-NBS
Figura 9.1: Rappresentazione del segmento relativo alla tinta purple, grazie al
quale possiamo osservare tutti i modificatori riferiti a questa tinta.
tinte intermedie, ad esempio yellow e green possono dare vita alla forma yellow
green, ma non a quella green yellow. Ancora, altri termini di colore non possono
essere accoppiati in questo modo con le tinte a loro adiacenti per formare tinte
intermedie, `e il caso di red, blue, violet, purple e pink. Un altro modo per definire
tinte intermedie `e quello di aggiungere il suffisso -ish in una coppia modificatoremodificato. Ad esempio, greenish blue `e un blu con una piccola percentuale di
verde al suo interno. Ci sono per`o molte eccezioni a questa regola. Ad esempio,
violet e olive non possono essere ne modificatori ne modificati, orange e pink
non possono essere modificatori, red modifica orange, purple e brown ma viene
modificato a sua volta solo da purple. I nomi acromatici possono essere combinati con nomi cromatici ma non esiste una sintassi sistematica: blackish red `e
valido ma non lo `e blackish brown.
Il principale problema di questo sistema `e quindi che non esiste una regola semplice per determinare quale termine di colore possa essere messo in coppia con
altri, possa modificare o essere modificato, e in che ordine debba apparire. La
sua sintassi `e quindi estremamente difficile da imparare.
Oltre al dizionario dei 267 centroidi di cui abbiamo parlato finora, lNBS
propone una tavola con 5411 nomi di colore, ad ognuno dei quali vengono attribuiti e fatti corrispondere alcuni dei 267 centroidi, talvolta uno solo, in altri
casi molti di pi`
u, fino ad arrivare a un totale di circa venti centroidi assegnati
ad uno stesso nome. A questo proposito si vedano gli esempi in figura 9.2.
Questo lavoro venne fatto prendendo tutti i termini presenti in unampia serie
172
9.3
Il sistema CNS
red
orangish red (brownish red)
red-orange or orange-red
(red-brown or brown-red)
reddish orange (reddish brown)
orange (brown)
yellowish orange (yellowish brown)
orange-yellow or yellow-orange
(brown-yellow or yellow-brown)
orangish yellow (brownish yellow)
yellow
greenish yellow
yellow-green or green-yellow
yellowish green
green
bluish green
green-blue or blue-green
greenish blue
blue
purplish blue
blue-purple or purple-blue
bluish purple
purple
reddish purple
purple-red or red-purple
purplish red
9.4
Il sistema CNM
Tominaga [132] propose in seguito unestensione del modello CNS che prese il
nome di Color-Naming Method (CNM). Tominaga utilizz`o un insieme predefinito di termini di colore nello spazio colore Munsell. Questi nomi vennero speci175
9.5
maggioparte dei casi corrispondevano a quelli presenti nel ISCC-NBS. La differenza principale tra questo dizionario e i nomi usati stava nei modificatori di
saturazione. I colori apparivano meno saturi ai soggetti, i quali generalmente
applicavano soglie percettive pi`
u alte quando anteponevano modificatori come
vivid, strong e grayish.
Per quanto riguarda le due liste di nomi generate dai due esperimenti di color
naming, va detto che i nomi presenti nel dizionario ISCC-NBS vennero modificati per riflettere lopinione della maggioranza dei soggetti. Tra le due liste si
riscontr`o un buon accordo, lunica differenza riguarda luso dei modificatori di
chiarezza. Lo stesso colore era spesso percepito pi`
u chiaro nel riquadro piccolo
rispetto che nella finestra pi`
u grande.
Per il dizionario finale Mojsilovic adott`o la lista di colori generata dal primo
dei due esperimenti di color naming, in quanto questi nomi sono stati generati
nellinterazione con altri colori e lautrice sente questa scelta come migliore
rappresentante delle applicazioni del mondo reale. Ecco la sintassi che genera
questi nomi:
< color name >
< chromatic name >
< achromatic name >
< lightness >
< hue >
< generic hue >
9.6
Il sistema X11
Figura 9.3: In alto varie rappresentazioni della stessa immagine, in basso una
tabella con i vari livelli di descrizione linguistica previsti dal modello e la
descrizione fornita dai soggetti. Tratto da [133].
Per quanto riguarda gli altri termini di colore, la struttura usata ricorre spesso alluso di numeri accanto alle descrizioni linguistiche. Oltre al nome base
(es. turquoise), esistono infatti nella maggiorparte dei casi altre 4 descrizioni
identiche del nome, ma con laggiunta di numeri da 1 a 4. Ad esempio, oltre a
turquoise, abbiamo turquoise1, turquoise2, turquoise3, turquoise4. Come `e evidente, queste descrizioni linguistiche appaiono assolutamente poco intuitive,
in quanto non risulta chiara la differenza tra la forma base e quelle successive
e a quale livello sia la differenza (saturazione, chiarezza, ecc).
Di tutti i termini singoli presenti nel dizionario, elencati qui di seguito, una
piccola parte, indicata nellelenco con un asterisco, non segue questo tipo di
struttura (forma base, forma base1, forma base2, forma base3, forma base4).
Non `e chiara per`o la ragione per cui 12 termini siano esclusi da questo trattamento.
179
turquoise
azure
snow
bisque
green
gold
khaki
wheat
honeydew
ivory
seashell
tan
cyan
aquamarine
chartreuse
orange
sienna
brown
yellow
thistle
red
orchid
blue
salmon
coral
tomato
pink
magenta
chocolate
purple
firebrick
maroon
plum
goldenrod
grey*
gray*
linen*
beige*
black*
white*
peru*
violet*
mocassin*
lavender*
navy*
gainsboro*
180
Blue
Sky blue, 1, 2, 3, 4
Steel blue, 1, 2, 3, 4
Slate blue, 1, 2, 3, 4
Green
Royal blue, 1, 2, 3, 4
Dodger blue, 1, 2, 3, 4
Cadet blue, 1, 2, 3, 4
Light blue, 1, 2, 3, 4
Alice blue
Cornflower blue
Medium blue
Dark blue
Midnight blue
Navy blue
Powder blue
Sea green, 1, 2, 3, 4
Spring green, 1, 2, 3, 4
Pale green, 1, 2, 3, 4
Dark olive green, 1, 2, 3, 4
Forest green
Lime green
Lawn green
Yellow green
Light green
Dark green
Tabella 9.2: Elenco dei termini relativi ai colori blue e green tratti dal dizionario
X11.
Per quanto riguarda luso dei modificatori, vengono utilizzati prevalentemente quelli riferiti alla chiarezza: light, medium e dark ; in un solo caso viene
usato dim, cosa che forse andava evitata: non ha senso introdurre del materiale
che rende pi`
u pesante la struttura per usarlo in un solo caso. In alcuni casi
vengono usati anche deep e pale, che si riferiscono sia alla chiarezza che alla
saturazione. Non vengono mai usati modificatori di saturazione.
Il loro utilizzo segue per`o una struttura molto irregolare, come si evince dalla
tabella in cui ad esempio troviamo dark olive green, ma non il livello base di
questo, olive green. Ancora, troviamo light green e dark green, ma non medium green. Allo stesso modo, per quanto riguarda il blu, slate blue si suddivide
in medium slate blue, dark slate blue e light slate blue. Tuttavia steel blue ri181
conosce solo light steel blue, mentre sky blue riconosce solo light sky blue e deep
sky blue. Il colore giallo riconosce un solo grado di chiarezza (light). Troviamo
anche light goldenrod yellow, senza che vi sia traccia di goldenrod yellow. La
decisione di ripetere tutti i termini di colore grigio due volte, utilizzando le due
varianti del termine, viene comunque disattesa. Slate gray infatti si suddivide
nei quattro sottogruppi (slategray1. . . slategray4 ), ma ci`o non avviene per slate
grey che presenta solo la forma base. Lo stesso vale per dark slate gray (dark
slate gray. . . dark slate gray4 ) e per dark slate grey. Probabilmente si tratta di
dimenticanze. Lutilizzo di nomi di colori come modificatori del colore base (es.
yellow green) non `e molto ampio. Si riscontra invece un alto numero di termini
poco formali come white smoke, burly wood, old lace, olive drab e molti altri. Va
per`o notato che questi termini vengono usati dalla maggiorparte dei dizionari
di colore.
9.7
Il sistema Hollasch
Il dizionario Hollasch comprende 190 termini di colore, anche se tra questi presenta un colore ripetuto due volte, ma che presenta due codici esadecimali diversi (goldenrod light e light goldenrod ). La prima cosa evidente `e che questo
dizionario utilizza nella maggiorparte dei casi laggettivo modificatore in seconda posizione anziche in prima. Si trovano quindi blue light, green pale ecc, ma
allo stesso tempo in alcuni casi viene mantenuta la struttura abituale, come in
dim grey, dark orange ecc. Il fatto di anteporre il termine modificato al modificatore, pur essendo agrammaticale nella lingua inglese, potrebbe essere dettato
dal fatto che in questo modo lelemento pi`
u importante, la tinta, possa essere
individuato per primo, o in tempi pi`
u brevi. Tuttavia questa scelta, qualora abbia una sua ragione di esistere, dovrebbe essere usata in modo coerente. Inoltre,
questo procedimento viene usato solo per i termini modificatori di saturazione
e chiarezza, e non per i termini di oggetti o per gli altri aggettivi che possono
precedere e modificare lattributo di tinta (es. chrome oxide green, venetian
red ).
I termini utilizzati sono prevalentemente quelli utilizzati nell X11. La maggiorparte dei composti nascono dallanteposizione di nomi di oggetti al termine
che denota la tinta, mentre i modificatori di saturazione e chiarezza sono usati
molto poco, cos` come lunione di due termini di colore.
I modificatori utilizzati sono medium, light, dark (chiarezza) e deep e pale. Anche in questo dizionario si riscontrano alcune irregolarit`a strutturali. Alcuni
esempi: troviamo cadmium red deep e cadmium red light, ma manca cadmium
red. Troviamo olive green dark, ma non olive green (anche se c`e olive). Anche
questo dizionario, infine, si avvale di un alto numero di termini fantasiosi e poco
formali.
182
9.8
Il sistema Resene
183
9.9
Il sistema Crayola
Anche la famosa azienda produttrice di pastelli a cera Crayola ha creato un proprio dizionario. Questo `e consultabile anche sul loro sito web2 , dove ogni colore,
in tutto 120, viene mostrato attraverso una sorta di scarabocchio su uno sfondo
bianco (ad eccezione di quello bianco che si trova su sfondo nero). Crayola non
d`a alcun dettaglio tecnico della loro metodologia di misurazione, ma `e chiaro che
il controllo del processo di colore non `e il loro obiettivo primario. I colori scelti
non sono uniformemente distribuiti nello spazio CIELAB, ma sono presenti zone
molto pi`
u rappresentate di altre. I termini di colore sono volutamente fantasiosi
trattandosi di un dizionario che non ha pretese scientifiche. Non vengono usati
modificatori di saturazione e chiarezza.
9.10
Nel 2003 Moroney [129] present`o il suo lavoro di creazione di un sito web 3 nel
quale i visitatori venivano invitati a sottomettere nomi per sette colori scelti
casualmente nello spazio sRGB. In figura 9.7 viene mostrata la grafica del test.
I nomi raccolti in questo modo vennero esaminati accuratamente e, dopo aver
calcolato la media, venne creato il dizionario CNE, da Color Naming Experiment. Lo scopo dello studio era di indagare sui vantaggi e gli svantaggi nelluso
di un esperimento visivo online nellesplorare il tema generale del color naming.
Moroney tenta questo nuovo approccio basato sul web per raccogliere nomi o
categorie di colore, allontanandosi da quello gi`a conosciuto dei test in ambiente
controllato che richiedevano un alto numero di osservazioni da parte di un basso
numero di osservatori, oltre a limitare le risposte a termini singoli e non composti.
Lesperimento mira a raccogliere un basso numero di risposte da un alto numero
di soggetti (possibilit`a offerta dalluso di uno strumento come Internet), facendo
uso della psicofisica distribuita. In essa la richiesta di tempo per ogni osservatore `e ridotta ad un minimo avendo un ampio numero di soggetti, nessuno dei
quali completa lintero test dando un nome a tutti i (216) colori test. Ci`o riduce
limpatto di ogni partecipante e offre un modo per ridurre leffetto di multiple
sottomissioni e di osservatori falsi, oltre a permettere di ottenere un lessico di
colori pi`
u ricco, che risulta dallalto numero di soggetti, che altrimenti sarebbe
stato difficile da raccogliere. Inoltre questo esperimento non limita ne restringe
le risposte in alcun modo.
Lanalisi dei colori focali si basa in questo studio sullanalisi statistica dei colori
che sono stati indicati con parole singole. Fa quindi uso della monolexicality
come criterio per lanalisi dei colori focali. Va detto che solitamente lanalisi dei
2 www.crayola.com
3 http://www.hpl.hp.com/personal/Nathan
Moroney/color-name-hpl.html
184
Moroney/color-thesaurus.html
186
Figura 9.5: Grafica relativa al dizionario dei colori con un esempio di nome di
colore.
tenza dei soggetti. A loro viene chiesto di giudicare lassociazione del colore nel
quadrato con il nome assegnato, assegnando a questa corrispondenza un valore
da 1, se i due non combaciano affatto, a 5 nel caso in cui la corrispondenza sia
ritenuta perfetta. Nel caso in cui invece il colore richiesto dallutente non sia
presente nel dizionario, gli verr`a offerta la possibilit`a di costruirlo attraverso
un dispositivo simile ad un telecomando, creato anche per rendere pi`
u interessante e divertente linterfaccia, che suggerisce un comportamento che ricorda
quello dei video games e che permette di proporre un colore premendo ripetutamente sui pulsanti colorati. Anche questo vale solo per la versione italiana.
Il dizionario presenta un numero di termini molto ampio (865 circa). Un colore
viene inserito nel dizionario solo quando un determinato numero di utenti lo
definisce con lo stesso nome. Tuttavia, pi`
u di 800 nomi di colore costituisce
un numero molto alto ed `e evidente che per arrivare a raggiungerlo `e necessario includere anche nomi molto poco usati. Per questo motivo, navigando
attraverso questo strumento scopriamo anche molti colori abbastanza insoliti.
` abbastanza particolare il fatto che i soggetti, posti di fronte ad un colore e
E
chiesto loro di attribuirgli un nome, abbiano pensato, o pensino, a nomi come
salad, dirt, hunter, happy, princess, clear ecc. Traducendo questi termini in
italiano risultano dei nomi che difficilmente useremmo per designare dei colori.
Probabilmente si tratta di termini che sono associati a determinati colori da un
gruppo linguistico che `e quello anglosassone, legati a fattori culturali diversi dai
nostri: il fatto di riscontrare il nome di colore rootbeer, nome di una bevanda
molto conosciuta e venduta solo in America, ne pu`o essere una prova. Il forte
legame con questi fattori culturali risulta dal fatto che non sono termini scelti
casualmente dal creatore del dizionario, ma sono invece termini che gli utenti
hanno identificato come quelli che meglio possono descrivere un determinato
` stata riscontrata la presenza di rouge e noir, oltre ai termini inglesi
colore. E
red e black. Le due coppie corrispondono per`o a colori diversi, essendo le coordinate che li identificano diverse. Ancora, nel dizionario troviamo i termini
187
hunter e hunter green, cos` come fern e fern green. Le coordinate di queste coppie sono quasi identiche, e anche percettivamente la differenza `e quasi invisibile,
quindi ci si potrebbe chiedere se abbia senso inserirli entrambi nel dizionario o
se ci`o non possa creare confusione o portare ad inserire del materiale inutile.
Risulta difficile credere che i parlanti madrelingua inglesi sentano una differenza
tra i due e abbiano la necessit`a di attribuirgli due nomi diversi. Quello che `e
apparso particolarmente strano sono state alcune associazioni tra il colore e il
nome, che risultano completamente errate. Ad esempio il colore ice, che normalmente assoceremmo ad un bianco sporco o tendente allazzurro, corrisponde
nel dizionario ad un verde militare/oliva abbastanza scuro.
Al di l`a di queste considerazioni, va per`o sottolineato che un dizionario di questo
tipo, cio`e che prende vita direttamente dalle intuizioni dei parlanti nativi di una
lingua, ha lindubbio vantaggio di rispecchiare in modo evidente la lingua vera,
piuttosto che delle convenzioni adottate in modo asettico e impersonale. Questi
nomi dovrebbero risultare molto pi`
u familiari e facili da comprendere per gli
utenti, rispetto a quelli scelti a tavolino per altri dizionari che nascono in modi
diversi.
Moroney e Beretta hanno creato allinterno di questo sito anche altri strumenti derivati, come Color Zeitgeist (figura 9.6), che `e stato implementato in
quanto lampio numero di dati a disposizione lo rende molto significativo. Per
usarlo, basta cliccare sul nome di un colore per visualizzare i dettagli su di esso.
La dimensione del nome `e proporzionale a quante persone lo hanno cercato,
in relazione a quante volte sono stati cercati gli altri. Per vedere le ricerche
di colori meno comuni `e sufficiente cliccare sui pulsanti pi`
u vicini alla dicitura
rare queries. Come `e evidente, le ricerche pi`
u comuni riguardano nomi di colori
familiari come rosso, verde, blu, giallo ecc. Man mano che le richieste diventano
pi`
u rare, i nomi diventano pi`
u lunghi ed `e meno probabile che si tratti di parole
singole.
Nel sito si trovano due ulteriori esperimenti inerenti il color naming. Il primo
`e un esperimento di confronto tra nomi di colori (Color Name Comparison Experiment) in cui vengono elencati 11 insiemi di tre colori ciascuno. Allutente
viene chiesto di selezionare il colore tra i tre che `e meno simile agli altri due.
Per esempio, se i nomi fossero peach, salmon e olive, una risposta appropriata
sarebbe cliccare su olive. Il secondo `e un esperimento sulluso linguistico nel
descrivere differenze di colore (Color Difference Description Experiment). Vengono presentate cinque coppie di quadrati colorati, in fianco ad ognuna delle
quali si trova unarea di testo in cui lutente deve descrivere al meglio la differenza tra i due.
9.11
Conclusioni
In questo capitolo abbiamo preso in considerazione una piccola parte dei numerosi dizionari di colore esistenti. Si sono osservati diversi metodi di at188
189
190
CAPITOLO
10
Esperimenti nellambito del lessico
dei colori
In questo capitolo verranno presentati due esperimenti di color naming eseguiti in due diverse condizioni sperimentali (in laboratorio e tramite web) e un
esperimento di color listing ideati presso le universit`a di Siena e di Verona.
10.1
test era oscurata da una tenda) e veniva chiesto loro di mantenere lo sguardo
fisso al centro dello schermo per far cadere limmagine proiettata, un quadrato
colorato di 80*80 px, al centro della fovea. Lo sfondo dello schermo era grigio per
evitare possibili influenze sulla percezione degli stimoli, i colori rimanevano presenti sullo schermo fino al momento in cui il soggetto non dava la sua risposta.
Dopo ogni risposta automaticamente veniva presentato lo stimolo successivo,
non sono stati registrati i tempi di reazione. La risposta del soggetto consisteva
nelletichettare il colore presente sullo schermo come appartenente ad una di 11
possibili classi ( il soggetto doveva digitare sulla tastiera il numero corrispondente alla classe scelta). Le 11 classi erano rosso, verde, giallo, blu, marrone,
rosa, arancione, viola, grigio, bianco e nero.
` da osservare che in generale il set di colori `e stato giudicato insufficiente dalla
E
maggior parte degli utenti, e in particolare tutti i soggetti hanno riportato di
aver sentito la mancanza di una dodicesima classe che permettesse di etichettare
i colori come celeste/azzurro.
Lesperimento appena descritto `e stato eseguito anche in condizioni ambientali tramite web. I soggetti accedevano on-line al test ed eseguivano il compito
direttamente con i propri computer, in ambienti con illuminazione non controllata e a distanze variabili dallo schermo. Gli schermi potevano essere sia LCD
che CRT.
Brevemente, quello che `e stato osservato confrontando i centroidi (fig.10.1) (i
quali erano ottenuti calcolando la media per tutti i campioni chiamati con un
particolare nome, pesata in base al numero di volte per cui quelletichetta era data) `e che i centroidi estratti via web sono mediamente vicini ai centroidi estratti
in laboratorio, le distanze sono riportate in tab. 10.1. Inoltre, come possiamo
osservare sempre dalla figura 10.1, i centroidi estratti via web sono spostati
verso valori di luminanza leggermente pi`
u alti rispetto ai centroidi estratti in
condizioni sperimentali di laboratorio.
Questi risultati portano ad ipotizzare che sia possibile raccogliere dati per
compiti di color naming anche somministrando ai soggetti il test via web, permettendo di raccogliere in minor tempo e con minori difficolt`a un numero
sostanzialmente maggiore di dati di quelli acquisibili avendo come unico canale
il set sperimentale di laboratorio.
Oltre allobiettivo sopra citato abbiamo voluto anche osservare se i centroidi
dei colori di consenso, questa volta analizzati solo per la condizione sperimentale
di laboratorio, fossero fisicamente vicini ai focali della stessa classe. I colori di
consenso sono quei colori che sono stati etichettati come facenti parte di una
stessa classe da tutti i soggetti allunanimit`a, i colori focali sono quei colori
ritenuti dai soggetti pi`
u rappresentativi di una determinata classe. I colori focali erano stati precedentemente determinati attraverso un altro test ad hoc, nel
quale si chiedeva ad alcuni soggetti di indicare, posti di fronte ad alcuni tasselli
di colori appartenenti alla stessa categoria linguistica, quale fosse il pi`
u rappresentativo di quel colore (es. quale di questi rossi secondo te `e il pi`
u rosso?).
192
Color class
red
green
blue
yellow
orange
purple
pink
brown
gray
white
black
Distanza euclidea
centroidi WEB VSG
3,68691304518080
0,840446372085484
0,686104302902497
4,75849967257250
7,48676615512987
5,41283261116589
5,58291749681806
4,53843911985220
7,41234944744014
2,52208292799188
7,57959756404318
Tabella 10.1: Distanza euclidea tra i centroidi ottenuti dai due diversi test.
Color class
red
green
blue
yellow
orange
purple
pink
brown
Distanza euclidea
centroidi focali VSG
13,6577604799244
34,6167050785017
34,0554392580362
18,0898208212270
22,8769536536956
33,5488898091992
16,8889966202634
10,9161029178886
Tabella 10.2: Distanza euclidea tra i focali e i centroidi nel test di laboratorio.
dello spazio, soprattutto laddove le distanze tra colori di consenso e colori focali
sono ampie.
10.2
10.2.1
Descrizione obiettivi
Figura 10.2: Rappresentazione delle distanze tra i colori focali (pallini grandi)
e i centroidi (pallini piccoli) per il test di laboratorio.
10.2.2
Metodo
I soggetti di questo esperimento sono 39 persone tra i 15 e i 62 anni, provenienti prevalentemente da tre regioni italiane (Lombardia, Toscana, Veneto). Ai
soggetti veniva chiesto di compilare un questionario. Questo era diviso in due
parti: la prima prevedeva linserimento di alcune informazioni personali, la seconda riportava listruzione del test. Le informazioni personali richieste erano:
sesso, et`a, livello di istruzione e tipo di studi compiuti, professione, provincia di
residenza ed indicazione di altre eventuali province in cui il soggetto ha risieduto per lungo tempo, conoscenza di lingue straniere o di dialetti italiani. Infine
veniva chiesto al soggetto se avesse particolari rapporti col colore per motivi di
lavoro o di interessi personali.
Tutte queste informazioni sono state raccolte in quanto si tratta di fattori che
potrebbero rivelare qualche influenza sui risultati raccolti. Listruzione data
per lesecuzione del test era di elencare tutti i nomi di colore conosciuti in piena
libert`a e senza vincoli di tipo e di numero. Veniva chiesto di svolgere il compito
in piena autonomia, concentrandosi solo su di esso e senza cercare indizi o idee
nellambiente circostante. Questo test `e stato somministrato sia personalmente
(in tutti i casi in cui ci`o era possibile) sia tramite posta elettronica. Non era
previsto nessun limite di tempo.
195
10.2.3
Risultati
verde chiaro
verde scuro
marrone chiaro
marrone scuro
grigio chiaro
bruno scuro
blu chiaro
blu scuro
giallo chiaro
giallo scuro
5
5
2
2
2
1
1
1
1
1
10.2.4
Genere. Come si `e detto nel capitolo 8, diversi studi hanno confermato come
le donne producano tendenzialmente pi`
u termini di colore rispetto agli uomini
in esperimenti di questo tipo. Per questo motivo si `e voluto verificare lesistenza
di una correlazione tra il sesso del soggetto e il numero di termini prodotti. I
soggetti si dividevano in 11 maschi e 28 femmine. La media dei termini prodotti
dagli uomini era di 22,63 mentre la media per le donne di 20,42. Per verificare
ulteriormente questo dato si `e calcolata la deviazione standard del parametro.
Essa consiste in una misura della dispersione dei dati dalla media. Pi`
u la deviazione standard `e bassa, pi`
u i dati saranno concentrati intorno alla media.
197
Media
Dev. Std.
Sesso
M
F
22,63 20,42
9,11
9,47
< 30
21,23
8,40
Et`a
30-45
17,07
6,70
> 45
25,33
12,22
Legame
Si
No
26,63 15,75
10,22 3,68
10.2.5
Conclusioni
198
Colore
BIANCO
ROSSO
GIALLO
NERO
VERDE
MARRONE
BLU
ROSA
ARANCIONE
AZZURRO
GRIGIO
VIOLA
LILLA
(GIALLO) ORO
(GRIGIO) ARGENTO
BEIGE
FUCSIA
(GIALLO) OCRA
CELESTE
TURCHESE
INDACO
BORDEAUX
(ROSSO) MAGENTA
(ROSSO) PORPORA
BLU OLTREMARE/OLTREOCEANO
TERRA DI SIENA (BRUCIATA)
VERDE SMERALDO
(BIANCO) PANNA
VERDE ACQUA
(ROSA) SALMONE
GIALLO LIMONE
AMARANTO
CIANO
CICLAMINO
AVORIO
(GRIGIO) ANTRACITE
ROSSO CARMINIO
BRONZO
(VERDE) PETROLIO
PESCA
VERDE PISELLO
BLU NOTTE
VINACCIA
CREMISI
NOCCIOLA
VERDE ACIDO
GIALLO CANARINO
VERMIGLIO
ROSA CIPRIA
VERDE OLIVA
(ROSSO) MATTONE
GRIGIO PERLA
ECRU
SENAPE
BLU DI PRUSSIA
ROSSO SCARLATTO
BRUNO
ROSA CARNE
PRUGNA
ACQUA MARINA
GHIACCIO
COBALTO
SABBIA
(VERDE) CROMO
GIALLO PAGLIERINO
VERDE MELA
GRIGIO TOPO
CREMA
Freq.
39
37
37
37
36
35
35
35
35
35
34
33
17
17
16
15
15
14
13
12
12
12
10
10
8
8
7
7
6
6
6
6
5
5
5
5
5
5
4
4
4
4
3
3
3
3
3
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Colore
VERDE PRATO
VERDE MARCIO
VERDE MILITARE
ROSA ANTICO
CORALLO
ROSSO SANGUE
BIANCO PERLA
RAME
GRIGIOVERDE
VERDEMARE
BIANCO SPORCO
TOPAZIO
GIADA
CARTA DA ZUCCHERO
TERRA
LAVANDA
VIOLETTO
GRIGIO FUMO
BLU AVIAZIONE
ROSA PALLIDO
VERDE MUSCHIO
VERDE VESCICA
VERDE MONTANO
INOX
OTTONE
NERO GRAFITE
NERO DI SEPPIA
BIANCO DI ZINCO
BLU GINEPRO
ROSSO BANDIERA
ROSSO RUBINO
GIALLO DI NAPOLI
VERDE BANDIERA
VERDE VAGONE
BLU NAVY
KHAKI
TESTA DI MORO
GRIGIO POLVERE
CASTANO
VERDE BOSCO
GRANATA
CASTAGNO
PERO
CILIEGIO
CARAMELLO
MENTA
GIALLO VIVO
GIALLO ARANCIO
ARAGOSTA
ROSSO VIVO
ROSSO POMPADOUR
BRUNO GIALLO
BLU DI SEVRES
BLU CINA
PERVINCA
VERDE FOGLIA
VERDE CINESE
VERDE IMPERIALE
VERDE NERO
VERDE GIALLO
VERDE FTALO
PORPORA ROSA
OCRA ROSSA
VERDE REALE
VERDE MIRTO
AZZURRO MARINO
VERDE FLUORESCENTE
VERDE PINO
Freq.
2
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
199
Tabella 10.5: Frequenza (Freq.) di occorrenza dei nomi di colore sui 39 soggetti.
200
Conclusioni
di uno schermo, erano undici e non includevano lazzurro. Essi hanno lamentato
a gran voce questa mancanza. Ancora, emerge come alcune aree dello spazio
colore, soprattutto quella relativa al verde, manchino di una rappresentazione
adeguata a livello linguistico: in questo caso, per`o, a differenza del caso del blu
che trova un valido aiuto nel termine azzurro, i parlanti non concordano su quale
termine possa ambire al ruolo. Non esistono infatti termini basici costituiti da
un solo lessema che possano ricoprire quella funzione.
La ricerca nel dominio del colore presenta attualmente numerose problematiche
ancora aperte che necessitano di ulteriori studi, sia relativamente ad aspetti di
natura fondamentale (quali per esempio percezione ed interazione tra percezione
e linguistica) sia di altro tipo. Si presenta quindi come un dominio molto
stimolante che apre molte possibilit`a e linee di ricerca in diverse direzioni.
204
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