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CHRISTOPHER

: AL.EXANDER NOTE 83 illustrazic

SULLA
SINTESI
DELLA
FORMA

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IL ~AGGIATOF
Christopher Alexander

Note sulla sintesi


della forma
Traduzione di Sergio Las

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",rea S.B.A.
Biblioteca Centrale
di Ingegneria

Il Saggiatore
© President and Fellow of Harvard College 1964
e Il Saggiatore, Milano 1967
Titolo originale: Notes on the Synthesis 01 Form
Il saggio in Appendice 3 è stato pubblicato
da « The Architectural Forum» (aprile-maggio 1965)
Copertina di Anita Klinz
Prima edizione: aprile 1967
Sommario

Introduzione
11 L'esigenza di razionalità

PARTE· PRIMA
23 Corretta rispondenza
36 La base deUa corretta rispondenza
53 Il processo non-autocosciente
61 Il processo autpcosciente

PARTE SECONDA
79 Il programma
89 L'attuazione del programma
98 Le <jo>finizioni
118 La soluzione

131 Epilogo

APPENDICI
Appendice 1
137 Un esempio sviluppato

Appendice 2
176 Trattazione matematica della scomposizione

Appendice 3
194 Una città non è un albero

223 Note
Note sulla sintesi
della forma

Alla mia carissima fan


La prima operazione, per mezzo d'uno sguardo d'insieme, implica la
capacità d'addurre a una sola idea l'indefinita dispersa molteplicità;
cosi, la singola unità specifica, esattamente definita, potrà dimostrar'
chiaro l'argomento sul quale si svolge la dimostrazione.

[La seconda è] l'operazione contraria; capacità cioè di poter suddivi-


dere per mezzo di specie minori, secondo i punti delle naturali arti-
colazioni. E stare attenti di non spezzar malamente nessuna parte,
come farebbe un cuoco inesperto. Platone, Fedro, 265 d-e
\
Introduzione
L'esigenza di razionalità

Queste note riguarda!l0 il processo della progettazione; ov-


vero dell'invenzione di oggetti che rivelano un nuovo ordine
fisico, una organizzazione, e una forma rispondente alla fun-
zione.
Oggi i problemi funzionali stanno diventando sempre meno
semplici. Ma raramente il progettista è disposto a ricono-
scersi impreparato a risolverli, e quando un problema non
si presenta con la chiarezza che è necessaria perché risulti
evidente quale ordine esso re~lmente esiga, si tende allora
a ripiegare su qualche ordine fOrmale scelto arbitrariamente.
Il problema, a causa della sua complessità, resta cOSI insoluto.
Si consideri un semplice esempio di progettazione, come la
scelta dei materiali da usare nella produzione in serie di
qualche normale oggetto casalingo: ad esempio, un aspira 4

polvere. Gli studi sui movimenti e i tempi di lavorazione


insegnano che, quanto minore è la varietà dei materiali im-
piegati, tanto l'iu efficiente è il montaggio in fabbrica. L'esi-
genza di uniformità che ne consegue contrasta però con II
fatto che il futuro buon funzionamento del prodotto è in
diretto rapporto con una scelta distinta dei materiali piu
adatti ad ogni specifico scopo. D'altra parte, la funzionale
differenziazione dei materiali comporta la necessità di appli-
care costosi e complicati giunti fra i vari elementi, capaci di
determinare poi particolari problemi di manutenzione. Inol-
tre, tutti e tre gli obiettivi indicati, semplicità, buon funzio-
namento ed efficace giunzione, difficilmente riescono a co~­
ciliarsi con il proposito di contenere quanto piu è possibile
l'incidenza del costo dei mareriali. Se infarri scegliamo il
materiale piu economico per ciascuno scopo separato, non
otterremo necessariamente una sufficiente semplicità, né un
oprimum di esecuzione, né materiali che possano essere uni-
ti in modo preciso e soddisfacente. Scrivendo un segno
« meno» di fianco ad ogni linea di conflitto ed un segno 11
«piu» di fianco ad ogni liOi~a di accordo, vediamo che anche
questo semplice problema presenta ben cinque direzioni di
conflitto.

giuntura
..l!.......~~+...~.,. semplicità

basso cosro

Questo è)lo tipico problema di progettazione; esso presenta


esigenze çJ1e devono essere soddisfatte; e si presentano in-
terazioni fra tali esigenze che le rendono piu difficili da sod-
disfare. Si tratta, comunque, di un problema relativamente
semplice, dato che può rientrare entro i normali limIti d'in-
tuizione di un solo uomo. Ma cosa capita con un problema
piti complicato?
Si consideri il compito di progettare un ambiente completo
per un milione di persone. L'equilibrio ecologico della vita
umana, animale e vegetale, deve essere regolatO con cura,
sia internamente che rispetto alle condizioni fisiche esterne
date. La gente deve essere posta in grado di vivere la vita
individuale che piti dçsidera. Non debbono insorgere condi-
zioni sociali che provochino una generale decadenza fisica o
l'infelicità personale, o cause di delinquenza. Il consumo ci-
clico di alimenti ed altri beni non deve .interferire con i rego-
lari spostamenti degli abita,nti. Le forme economiche che si
sviluppano non devono condurre alla speculazione edilizia
che distrugge la relazione funzionale fra aree residenziali e
aree industriali. Il sisJ:ema dei trasporti non deve essere or-
ganizzato in modo tale da intensificare la domanda fino alla
congestione. La gente deve essere in qualche modo resa capa-
ce di vivere in stretta cooperazione, ma al tempo stesso di
·seguire la piti grande varietà di i{lteressi. Le configurazioni
fisiche debbono essere compatibili con i prevedibili futuri
sviluppi regionali. Il contrasto tra la crescita della popola-
zione e la diminuzione delle risorse d'acqua, di energia, di
zone verdi I deve essere comunque p~eso in considerazione.
LJambient~, infirie, deve essere organizzato in modo che la
sua propria rigenerazione e ricostruzione:;: non interrompa di
continuo il suo sviluppo. Come nell'esempio piu semplice,
già considerato, ognuna di queste funzioni interagisce cqn
molte delle altre. Ma in questo caso ognuna. rappresenta a
sua volta un vasto problema; 'e ne risulta qubdi uno sche-
ma di interazioni enormemente complicato. La dilIerenza tra
i due casi ipotizzati è in realtà simile a quella che corre fra
il problema di sommare due piu due e quello di calcolare
la radice settima di un numero di cinquanta cifre. Il primo
si può risolvere mentalmente con facilità. Nel secondo sare-
mo bloccati dalla complessità del problema se non troviamo
un modo semplice di [[ascriverlo, che ci permetta di scin-
derlo in problemi piu piccoli. -
Oggi sempre di piu i problemi di progettazione vanno ap-
prossimandosi a insolubili livelli di complessità. Questo è
vero non solo per una base lunare, una fabbrica e una sta-
zione radio, la cui complessità è intrinseca, ma anche per il
piano di un villaggio e perfino per il disegno di un bricco
da tè. Malgrado la loro apparente semplicità, anche questi
problemi .han~o una base di esigenze e di attività che sta
diventando troppo ,complessa per essere afferrata intuitiva-
mente.
Per affrontare la crescente complessità dei problemi, si dispo-
ne di una mole sempre maggiore di informazioni e di espe-
rienze specializzate. Queste informazioni SODO difficili da uti·
lizzare; sono sparse, diffuse e disorganizzate. 1 Per di piu non
solo la quantità delle informazioni è al di là della portata
dei singoli progettisti, ma i vari specialisti che le forniscono
sono di vedute ristrette .ed estranei ai problemi specifici dei
creatori di forme, cosicché non è possibile stabilire in qual
modo il progettista dovrebbe consultarle e utilizzarle,' Co-
, me risultato, anche se idealmente una forma dovrebbe riflet·
tere tutti i fatti noti veramente rilevanti ai fini della sua
realizzazione, di fatto il progettista si limita a cogliere qual-
siasi informazione gli capiti, o a consultare di quando in
quando un esperto per affrontare particolari difficoltà, e infi- I3
ne a rivestire queste informazioni scelte arbitrariamente di
forme immaginate per altra via nelJo «studio di artista,)
che è la sua mente. Le difficoltà tecniche che s'.incontrano
nel raccogliere le informazioni effettivamente necessarie alla
realizzazione di una forma, sono molto lontane dalle possi-
bilità di un singolo individuo.'
I problemi non solo crescono in quantità, complessità e diI·
ficoltà; essi anche cambiano piu rapidamente di prima. Nuo·
vi materiali si creano continuamente, le strutture sociali si
alterano molto presto, la cultura stessa muta piti veloce·
mente di quanto non abbia mai fatto in precedenza. Nel
passato - anche dopo il rinnovamento intellettuale del Ri-
nascimento - il singolo progettista sarebbe stato in una
certa misura aiutato dal suo predecessore. E anche se ci si
aspettava'<he egli prendesse le proprie decisioni in modo
sempre piu personale, di mano in mano che le tradizioni si
andavano dissolvendo, restava tuttavia sempre qualche re-
siduo di tradizione che rendeva piu facili le sue scelte. Ora
gli ultimi residui di tradizione gli sono stati strappati e,
dato che le forze culmrali cambiano rapidamente, la lenta
evoluzione della forma diventa impossibile. Sconcertato, il
«creatore di forme» resta solo. Egli deve concepire con
chiarezza forme nuove senza tempo per provare e sbagliare.
Ora deve inventare radicalmente i limiti del suo impegno,
poiché ciò che una volta proveniva da molte generazioni di
graduale sviluppo, adesso deve essere compiuto da un solo
individuo.' Ma il carico di migliaia di anni pesa, sulle spalle
di un solo uomo, e questo carico non è stato ancora mate-
rialmente alleggerito. La soluzione intuitiva dei problemi
della progettazione contemporanea si trova decisamente oltre
le possibilità di una sintesi individuale.
Naturalmente non vi sono limiti definiti a queste, possibi-
lità (specialmente nei rari casi in cui un talento eccezionale
infrange ogni limite). Ma se noi osserviamo la mancanza
di organizzazione e di chiarezza delle forme che ci circonda-
no, è evidente che la loro progettazione ha quasi sempre
messo a dura prova la capacità dei progettisti. Dopotutto
non è tanto sorprendente che le facoltà inventive dell'uomo
siano limitate. In altri campi è stato ampiamente dimostrato
che vi sono limiti alle sue possibilità conoscitive e creative.
Vi sono ad esempio limiti di fronte alle difficoltà dei pro-
blemi di labotatotio che egli può risolvere; 5 di fronte al
numero di conseguenze che può considerare simultaneamen·
te; 6 alla complessità di una decisione che può prendere con
sicurezza.' Non sono, beninteso, in alcuno di questi casi limi-
ti assoluti e neppure esiste una scala ideale cui possano esse-
re rapportati; eppure è chiaro che in pratica certi limiti esi-
stono. Analogamente il frequenti.ssimo fallimento dei pro·
gettisti nel produrre forme ben organizzate, dimostra in mo-
do del tutto inequivocabile che vi sono limiti alla capacità
di progettazione individuale.

Sappiamo che limiti alla capacità individuale esistono nel- Prefigurazione logica
l'aritmetica. Per risolvere un intricato problema -di calcolo delle slrutlure
abbiamo bisogno di un metodo di esposizione che lo tenda
chiaramente esprimibile. Le ordinarie convenzioni aritmeti-
che ci offrono questo metodo. Due minuti con la matita sul
retro di una busta ci permettono di risolvere problemi che,
affrontati mentalmente, rimarrebbero insolubi·li, anche se
tentassimo per cento anni. Ma per quanto riguarda i pro-
blemi della progettazione non abbiamo ancora un mezzo
corrispondente di semplificazione. Queste note propongono
appunto un modo di rappresentate i problemi della proget-
tazione, che rende..piu facil,e la soluzione. È un modo pet
ridurre la sproporzione fra le limitate capacità del proget-
tista e la grande portata del suo compito.
La prima parte condene una relazione generale sulla natura
dei problemi della progettazione. Descrive il metodo con il
quale sono stati risolti questi problemi nel passato: prima,
in culture nelle quali i problemi nuovi sono tanto rari, da
non richiedere veri e propri progettisti; poi, viceversa, in
culture nelle quali i nuovi problemi si presentano continua-
mente, per cui debbono essere risolti dai progettisti coscien-
temente. Dal contrasto fra i due metodi, impareremo come
rappresentare un problema di progettazione in modo tale
da consentirne la soluzione.
La seconda parte descrive la rappresentazione stessa, ed il
tipo di analisi che la rappresentazione permette. L'appendi- 15
ce I mostra con un esempio come il metodo funziona in pra-
tica. Non esistono, si può dire, altri mezzi per analizzare
chiaramente i problemi della progettazione. Vi è una buona
dose di superstizione fra i progettisti riguardo ad un pre-
sunto effetto letale dell'analisi sulle loro intuizioni: con l'in-
felice risultato che ben pochi progettisti hanno tentato di
comprendere analitièamente il processo della progettazione.
Per poter ricominciare dal principio, lasciateci innanzi tutto
tentare di eliminare gli spettri che assillano i progettisti per-
suadendoli che l'analisi sia in qualche modo in contrasto con
il loro vero problema.
Non è difficile spiegare perché l'introduzione della matema-
tica nella progettazione possa irritare i progettisti. La mate-
matica, nella sua accezione popolare, si occupa unicamente
di grandezze. I progettisti sanno, a loro volta. che i calcoli
delle grandezze hanno una utilità limitatissima nell'inven-
zione di una forma, e sono quindi piuttosto scettici circa
le possibilità di basare un progetto su metodi matematici. 8
Essi però non si rendono conto che la matematica moderna
è implicata con questioni di ordine e relazione almeno quan~
te lo è con questioni di grandezza. E benché neppure que-
sto tipo di matematica possa essere considerato uno strumen-
to sufficiente per la prefigurazione della natura fisica delle
forme, esso tuttavia può diventare un potentissimo stru-
mento, se è usato per esplorare l'ordine concettuale e la
struttura di un problema di progettazione. ,.
Anche la logica, come la matematica, è considerata con so-
spetto da molti progettisti. In buona misura, questo sospet-
to si fonda su determinati preconcetti circa l'autorità che
può avere la logi.ca nei suoi pratici suggerimenti. Innanzi
tutto. la parola «logica» che circola fra i progettisti, è rife-
rita ad un certo tipo di formalismo particolarmente sgradito
e funzionalmente inefficace. 9 Per esempio, la cosiddetta logica
di Jacques François Blondel oppure del Vignola, riferita
come è alle regole secondo le quali gli elementi dello stile
architettonico possono essere combinati. 1O Come regole esse
possono dirsi logiche. Ma questo non conferisce loro alcuna
particolare validità se non esiste anche una relazione legit~
tima fra il sistema logico adottato e le esigenze e le forze
con cui ci scontriamo nel mondo reale. Inoltre, la fredda
visione «logica» dello scheletro di acciaio di una costruzio-
ne per uffici sembra orribilmente costretta e, se noi seria-
mente la consideriamo come una manifestazione di logica,
certo ci ritiriamo spaventati dai metodi analitici. li Ma in
pratica nessuna forma può essere piu delle altre il risultato
esclusivo dell'uso della logica ed è un non senso attribuire
alla rigidità della logica la rigidità di una forma fisica. Non
sarebbe possibile porre premesse, percorrere una sequenza
di deduzioni, e approdare infine ad una forma che sia logi-
camente determinata dalle premesse, se queste non conte·
nessero già in se stesse i semi di una particolare intenzione
plastica. Non vi è insomma alcun senso legittimo, secondo il
quale la logica deduttiva possa prescriverci determinate for-
me fisiche.
Ma parlando di logica non abbiamo bisogno affatto di trat-
tare i processi di inferenza. Mentre è vero che gran parte
di ciò che è generalmente noto come logica riguarda la dedu-
zione J la logica nel senso piu ampio si riferisce a qualcosa
di molto piti generale. Si riferisce alla configurazione di strut·
ture astratte, e viene chiamata in causa nel momento in cui
noj, traducendo in immagini la realtà,. cerchiamo di elabo-
rar~ 'queste r~ffigurazioni in modo da poter guardare piu
avanti e piti profondamente entro Ia realtà stessa. È compito
della logica inventare strutture puramente artificiali di ele·
menti e relazioni. Qualche volta una di queste strutture è
sufficientemente vicina alla situazione reale da consentirne
Ia rappresentazione. E allora, è proprio il rigore raggiunto
dal tracciato logico a svelarci una visione approfondita del-
Ia realtà, che prima ci _era preclusaY

L'uso di strutture logiche per rappresentare i problemi del- La perdita


Ia progettazione ha una conseguenza importante. Esso porta dell'innoc·enza
con sé la perdita dell'innocenza. Una configurazione logica
è piu assoggettabile a critiche di una immagine vaga, poiché
gli assunti su cui si fonda sono del tutto in evidenza. La sua
maggior precisione ci dà la possibilità di affinare la nostra
concezione di ciò che implica il processo della progettazione.
Ma una volta che quanto creiamo intuitivamente può essere 17
descrino e confrontato con i modi non intuitivi di operare
nella stessa direzione, allora non possiamo piti continuare
ad accettare il metodo intuitivo innocentemente. Se deci-
diamo di stare pro o contro la pura intuizione come metodo,
dobbiamo farlo per delle ragioni che possano essere aperta-
mente discusse.
Per quanto mi riguarda, desidero dichiarare con molta fran-
chezza la mia ferma convinzione circa questa perdita del-
l'innocenza, perché ci sono troppi progettisti che per quanto
mi risulta non sono disposti ad accettare tale perdita. Insi-
stono nel dire che la progettazione deve essere un processo
puramente intuitivo e che è inutile tentare di coglierlo con
la ragione, perché i suoi problemi sono troppo profondi. In
realtà è già accaduto nella recente storia della progettazione.
un tipic,9 caso di perdita dell'innocenza con la scoperta di
strumenti meccanici sostitutivi del lavoro artigianale. Un se-
colo fa William Martis, il primo uomo cosciente del cattivo
uso delle macchine, si ritra.sse di fronte alla perdila della
innocenza. Invece di accettare la macchina e cercare di capi~
re le sue implicazioni nella progettazione, propugnò un ritor-
no ai raffinati prodotti deU'artigianato.u Fin tanto che Gro-
pius non fondò la Bauhaus, i progettisti non vennero a patti
con la macchina e con la perdita dell'innocenza che ne de-
rivava. 14
Ora siamo ad un altro bivio. Questa volta la perdita della
innocenza è piu intellettuale che meccanica. Ma di nuovo
c'è chi tenta di illudersi che essa non abbia mai avuto luogo.
Enormi resistenze all'idea della riproduzione di processi siste-
matici nella progettazione, vengono da gente che riconosce
giustamente l'importanza della intuizione ma poi la trasfor-
ma in un feticcio che esclude la possibilità di porre que-
stioni ragionevoli. Vale la pena forse di ricordare che la
perdita della innocenz..a intellettuale è già avvenuta un'altra
volta. Già nel secolo XVIII, uomini come Carlo Lodoli e
Francesco Algarotti in Italia e l'abate Laugier in Francia,
non piu soddisfalti di accettare il formalismo delle accade-
mie, cominciarono ad avere seri dubbi su ciò che essi face-
vano e sollevarono proprio quel genere di questioni che 150
18 anni piu tardi avrebbero condotto alle moderne idee rivo-
luzionarie sulla forma. 15 Abbastanza stranamente, però, ben-
ché questi seri dubbi fossero esplicitamente espressi e cono-
sciuti da molti, l'architettura non si sviluppò nella direzione
indicata. I dubbi e le questioni furono dimenticati e nel-
l'Europa del tardo secolo XVIII troviamo testimonianze di
tutt'altro sviluppo: gli architetti presero a fondare le loro
invenzioni formali su regole derivate da una varietà di ma-
niere e di «stili» precedenti, dando vita a fenomeni come
il neotudor, il neoclassico, il neogotico e la chinoiserie. 16 È
possibile vedere in questo corso di eventi un tentativo clispe-
rata di tener lontani i dubbi della autocoscienza, per con-
servare la sicurezza dell'innocenza.
Lodoli e Laugier volevano capire cosa stavano facendo come
«creatori di forma ». Ma la ricerca di tale comprensione
rese solo evidente la difficoltà_ dei loro problemi- Piuttosto
che affrontare la responsabilità dei difficili interrogativi, i
progettisti preferirono rimettersi alla autorità degli «stili ì>
resuscitati. Le decisioni architettoniche prese entro uno stile
sono al sicuro <lalle difficoltà assillanti del dubbio, per la
stessa ragione per cui è piti facile prendere una decisione
sotto l'influenza di tradizioni e tabu, piuttosto che sotto la
prg.pria responsabilità. Non è una coincidenza, secondo la
mia opinione, che mentre il Rinascimento aveva permesso
ricomposizioni libere di elementi classici, il neoclassico che
lo sostitul si fermò il piu vicino possibile alla copia esatta
della Grecia e di Roma. Appoggiandosi alla correttezza, era
possibile alleviare il peso di una indecisione. Per rendere
effettivo il distacco dalla responsabilità, la copia deve esse-
re esatta. 17
Adesso pare che un secondo distacco dalle responsabilità sia
in atto_ Oggi non è possibile sfuggire alla responsabilità di
una azione cosciente operando entro il sicuro riparo fornito
dagli stili accademici. Ma il progettista che non è all'altezza
del suo lavoro, e non vuole affrontare le difficoltà, cerca di
conservare la sua innocenza in altri modi. II progettista mo-
derno si affida sempre piti alla sua posizione di «artista '>,
alla suggestione delle parole-chiave, agli idiomi personali e
all'intuizione, perché tutto ciò lo libera dal peso della deci-
sione, e rende piu facili i suoi problemi conoscitivi. Spin- 19
to dalle sue sole risorse, incapace di adeguarsi alla comples-
sità delle informazioni che dovrebbe ordinare, egli nasconde
la sua incompetenza in un delirio di artistica individualità.
Mentre la sua capacità di inventare forme chiaramente con~
cepite ed appropriate va progressivamente esaurendosi, sono
sempre piu esaltate la intuizione e la individualità. la
In questa atmosfera il dono piu grande del progettista, la
sua abilità intuitiva di organizzare una forma fisica, mentre
sta per essere ridotto a zer0 dalla dimensione del compito
che ha davanti a sé, viene frattanto sostituito da contraf~
fatti sforzi d'« artista ». Ciò che è peggio, in un'epoca che
ha estremo bisogno di progettisti capaci di inquadrare sin-
teticamente l'organizzazione del mondo fisico, il vero lavoro
deve essere svolto da ingegneri poco dotati, perché i pro-
gettisti -Soffocano le loro capacità in una irresponsabile pre-
tesa di genialità.
Dobbiamo affrontare la nuova si cuazione e riconoscere che
siamo alla vigilia di un'era in cui l'uomo sarà in grado di
ingigantire le sue facoltà intellettuali ed inventive, proprio
come nel XIX secolo egli aumentò le sue facoltà fisiche con
l'uso delle macchine. 19 Ancora, come allora, la nostra inno-
cenza è perduta. E ancora, naturalmente, l'innocenza una
volta perduta, non può essere riacquistata. La perdita esi-
ge impegno, non rinuncia.
Parte prima
1 I Corretta rispondenza

Oggetto finale della progettazione è la forma.


La ragione per c!-li le limatu re di ferro poste in un campo
magnetico assumono una configurazione ~ 0, come suoI dir~
si, hanno una forma - è che il campo nel quale si trovane
non è omogeneo. Se il mondo fosse interamente regolare
ed omogeneo, non vi sarebbero forze, e non vi sarebbero
forme. Tutto sarebbe amorfo. Ma un mondo non omogeneo
tenta di compensare le sue proprie irregolarità adattandosi
ad esse, e in tal modo prend, formaI D'Arcy Thompson è
giunto a definire la forma «diagramma delle forze», con
riferimento alle irregolarità. 2 Pili comunemente, si parla di
queste irregolarità come delle origini funzionali della forma.
Quanto segue è basato sulrassunto che la chiarezza fisica
non può essere raggiunta, in una forma, se non è stata pri-
ma ottenuta una sufficiente chiarezza programmatica nella
m~nte e negli atti del progettista; e che per rendere ciò
possibile, il progettista, a sua volta, .deve prima di tutto
ricondurre il problema di progettazione alle sue origini fun-
zionali ed essere capace di riconoscere in esse una struttura. 3
Tenterò di delineare un modo generale di esporre i proble-
mi· della progettazione che pone l'accento sulle origini fun-
zionali, e rende i loro schemi strutturali ragionevolmente
facili da individuare.
È basato sull'idea che ogni problema di progettazione inizia
con uno sforzo per raggiungere la rispondenza fra due enti-
tà: la forma in questione e il suo contesto. 4 La forma è la
soluzione del problema; il contesto definisce il problema.
In altre parole, quando parliamo di progettazione il vero
oggetto della discussione non è solamente la forma, ma l'in-
sieme che cO.Q1prende la forma e il suo contesto. La corretta
rispondenza è una proprietà desiderabile di questo insieme
che si riferisce a qualche particolare divisione dello stesso
in forma e contesto. s 23
Vi è una grande varietà di insiemi dei quali possiamo par-
lare in questo senso. L'insieme biologico formato da un
organismo naturale e dal suo ambiente fisico è il piu fami-
liare: in questo caso abbiamo l'abitudine di descrivere la
ri;pondenza fra i due come buon ambientamento.6 Ma lo
stesso genere di attitudine oggettiva si può trovare in molte
altre situazioni. L'insieme formato da un abito e da una cra-
vatta è un caso tipico; una cravatta s'intona perfettamente
con un certo abito, un'altra no. 7 Oppure, l'insieme potreb-
be essere una partita a scacchi, dove ad un certo punto del
gioco determinate mosse risultano preferibili ad altre perché
meglio rispondono al contesto delle mosse precedenti.8 L'in-
sieme può consistere in una composizione musicale. Anche
le frasi musicali devono infatti adattarsi ai loro conteSti:
pensate .alla meditata cura con cui un Mozart decide di col-
locare proprio quella frase in un determinato punto di una
sonata. 9 Se l'insieme è un camionista piu un segnale stradale,
la grafica del segnale deve rispondere alle domande che gli
pone l'occhio del conducente. Un oggetto comune come una
pentola per bollitura deve essere adatto al contesto del suo
uso, e al contesto tecnico del suo ciclo di produzione. lO
Nella ricerca urbanistica, l'insieme di fronte al quale ci tro-
viamo è la città e le sue consuetudini. Qui la base umana
cbe determina"'la necessità di nuovi edi6.ci e l'ambiente fisico
costituito dalle aree fabbricabili disponibili, creano un con-
testo chi: condiziona la forma della crescita della città. In
un caso estremo di questo genere, possiamo anche parlare
di una' cultura stessa come di un insieme nel quale le varie
usanze e i diversi prodotti si sviluppano secondo un lento
e continuo adattamento a tutto il resto. ll
La esattezza della forma dipende, in ognuno di questi casi,
dal grado in cui è rispondente al resto deli 'insiemeY
Dobbiamo anche tener presente che in nessun caso la divi-
sione ,dell'insieme in forma e contesto è l'unica possibile. La
rispondenza nell'ambito di tale divisione è soltanto un esem-
pio fra i tanti della coerenza interna dell'insieme. Molte
altre divisioni dell'insieme saranno ugualmente significative.
E veramente, nella gran maggioranza dei casi attuali, è ne-
24 cessario che il progettista consideri tante differenti divisioni
di un Insieme, sovrapposte una all'altra, allo stesso tempo.
Consideriamo un insieme formato da un bollitore piu ogni
cosa, del mondo fuori del bollitore, che riguardi l'uso e la
produzione di utensili casalinghi. Di nuovo qui sembra chia-
ramente riconoscibile una delimitazione fra il bollitore e il
resto dell'insieme, sempre che si avverta l'esigenza di rile-
varIa: considerato che il bollitore stesso è un tipo di oggetto
chiaramente definito.
Ma io posso facilmente operare .variazioni al contorno. Se
dico che comunque il bollitore è un mezzo sbagliato per
scaldare l'acqua potabile domestica posso rapidamente esse-
re condotto a riprogettare tutta la casa, e poi a continuare,
portando indietro il contesto a quelle cose al di fuori della
casa che influenzano la forma della casa stessa. Oppure, io
posso invece asserire che non _è il bollitore che deve essere
riprogettato, ma un certo modo di riscaldare proprio dei
bollitori. In questo caso il bollitore diventa parte del con-
testo, mentre forse è la stufa ad assumere il carattere di
forma.
Sono due gli aspetti sorto i quali può prendersi eventual- Forma e contesto
mente in considerazione una cosiffatta tendenza a cambiare come criteri
la .:.e\ef1nizione del problema. Da una parte, abbiamo l'idea- di delimitazione
lis~o astratto -di quei progéttisti che vogliono riprogettare
intere città e completi processi di fabbricazione quando vie-
ne loro richiesto di progettare semplici oggetti: molto spes-
so non è che un tentativo di uscire da vincoli difficili allar-
gando il limite forma-contesto.
D'altra parte, questa tendenza a mutare o estendere i limiti
del problema può invece riflettere la coscienza con cui il
buon progettista tiene. sempre presenti i possibili cambia~
menti in .ogni punto dell'insieme: in questo caso è vera-
mente. parte del suo compito, poiché, se sa quello che sta
facendo, egli è tenuto ad essere consapevole di vari proble-
mi di rispondenza simultaneamente presenti entro l'insieme.
Infatti, questa capacità di operare in modo coerente in di-
versi strati di delimitazione fra forma e contesto è parte in~
tegrante di ciò a cui alludiamo parlando del senso di orga-
nizzazione del progettista. La coerenza interna di un insie-'
me dipende da tutta una rete di tali rispondenze. In un 25
insieme perfettamente coererHe dovremmo aspettarci che le
due metà di ogni possibile divisione siano sempre rispon-
denti una all'altra. .
È vero, allora, che essendo in definitiva interessati all'insie-
me nella sua totalità non vi sarebbe ragione di limitarci ad
operare in esso una sola fra le molte possibili suddivisioni.
Dovremmo, piuttosto, progettare tenendo sempre presente
un gran numero di contorni forma-contesto inseriti uno nel-
l'altro e sovtapposti. In realtà la fotma stessa si affida alla
sua propria organizzazione interna ed alla rispondenza in-
terna fra le parti delle quali è composta pet controllare il
proprio integrale adattarsi al contesto esterno.
Tuttavia, dato che non possiamo sperare di capire questo fe-
nomeno altamente interrelato e complesso prima di aver
comprese come raggiungere l'adattamento in un singolo con~
torno scelto arbitrariamente, dobbiamo convenire di trattare
per ota solo il ptoblema piu semplice. Decidiamo che, per
la durata di ogni discussione, manterremo la stessa singola
divisione di un dato insieme in forma e contesto anche se
ammettiamo che la divisione è probabilmente scelta a caso.
E ricordiamoci pure, come corollario, che per ora non da-
remo grande peso all'organizzazione interna della forma co-
me tale, ma soltanto alla piu semplice premessa e al piu
semplice aspetto di questa organizzazione: vale a dire, quel-
la rispondenza che è residuo dell'adattamento attraverso
l'unico limite forma-contesto che scegliamo di esaminareY
La forma è una parte del mondo sulla quale abbiamo con·
trollo e che decidiamo di plasmare mentre lasciamo il resto
del mondo come è. Il contesto è quella parte del mondo
nella quale insorge il problema di questa forma; qualsiasi
aspetto del mondo che presenti una domanda di forma, è
contesto. La rispondenza è una relazione di reciproca accet-
tabilità tra i due termini. In un problema di progettazione
dobbiamo tendere a soddisfare le esigenze reciproche che i
due termini presentano l'uno nei confronti dell'altro, e a
porre il contesto e la forma in un contatto senza sforzo o
in una coesistenza senza attrito.
Ci proponiamo ora di illustrare, nei suoi caratteri, la rispon- Problemi di
denza di forma e contesto. Consideriamo un semplice caso verifica della
specifico. rispondenza
t pratica abituale, in ingegneria, se desideriamo creare una
superficie metallica perfettamente liscia e uniforme, farla
aderire alla superficie di un blocco campione in acciaio, già
livellata con precisione massima. Dopo avere inchiostrato la
superficie di questo blocco campione e strofinato contro la
superficie inchiostrata la faccia del metallo che stiamo lavo-
rando, se questa non è veramente piana si macchiano di
inchiostro solo i punti piu prominenti. Levighiamo allora
questi punti macchiati, e tentiamo ancora di adattate il no~
stra pezzo contro il blocco. La facciata può infine dirsi piana
quando aderisce perfettamente al blocco in modo che non
vi siano piu punti sporgenti.
Queste insieme di due superBci di metallo è tanto semplice
che non saremo distratti dalla possibilità di molteplici con-
torni di forma-contesto entro di esso. Solo uno di tali limiti
merita di essere discusso ad un livello macroscopico, quello
fra la superficie campione (il contesto) e la superficie che
stiamo tentando di livellate (la fOJma). Per di piu, poiché
il comesto è fisso, e solo la forma è variabile, il compito di
livellare una superficie di metallo serve bene come para-
digma del' problema di progettazione. In questo caso noi
possiamo distinguere sperimentalmente la buona dalla cat-
tiva rispondenza, inchiostrando il blocco «campione», met-
tendo la superficie del metallo contro di esso, e controllando
i segni che sono stati trasferiti. Volendo si può anche, in
questo caso, giudicare la forma senza parla effettivamente
a contatto con il suo contesto. Si può definire la levigatezza
in termini matematici, come limitazione della varianza che
è permessa sulla superficie, e quindi collaudare la forma
stessa, senza metterla a confronto col contesto.
Consideriamo ora un secondo esempio, un po' piu comples-
so. Supponiamo di inventare una disposizione di limature
di ferro che sia stabile quando è posta in una certa posi-
zione in un dato campo magnetico. È chiaro che si può con·
siderare questa ipotesi come un problema di progettazione.
Le limature di ferro costituiscono una forma, il campo ma· 27
gnetico un contesto. Anche in questo ca::iU, possiamo giu-
dicare facilmente la rispondenza deUa forma ponendo!a nel
campo magnetico, ed osservando se qualcuna delle limature
si muove sotto la sua influenza. Se esse non si muovono,
la forma è rispondente. D'altra parte, se desideriamo giu-
dicare l'idoneità della forma senza ricorrere a questo espe-
rimento, possiamo descrivere le linee di forza del campo
magnetico in termini matematici, e calcolare la rispondenza
o la mancata rispondenza. Come prima, l'opportunità di
valutare la forma quando questa è separata dal suo conte-
sto dipende dal fatto che noi possiamo dare una precisa
descrizione mat.ematica del contesto (in questo caso le equa-
zioni del campo magnetico).
Sfortunatamente, in genere non possiamo dare una descri-
zione adeguata del contesto con il quale abbiamo a che fare.
I campi dei contesti che troviamo nel mondo reale non p,os-
sono essere descritti nel modo unitario che abbiamo adot-
tato per la levigatezza e per i campi magnetici. Non esiste
tuttora alcuna teoria di insiemi capace di fornire una descri-
zione unitaria dei vari fenomeni che incontriamo nel conte-
sto urbano di una abitazione, per esempio, o in una sonata,
o in un ciclo di produzione.
Eppur.e abbiamo certo bisogno di un mezzo per valutare la
rispondenza di una forma, che non si basi sull'esperimento
di sottoporre effettivamente a prova la forma, nel contesto
del mondo reale. Il progettare con prova ed errore è un
metodo mirabile. Ma è proprio la prova-ed-errore del mon-
do reale che noi stiamo tentando di sostituire col metodo
simbolico perché la vera prova-ed-errore è un procedimento
troppo costoso e troppo lento.
L'esperimento di inserire una forma prototipo nel contesto
stesso è il miglior criterio per verificare la rispondenza. Una
completa descrizione unitaria delle domande poste dal con-
testo sarebbe a sua volta il solo criterio non sperimpntale
pienamente adeguato. Il primo è troppo costoso, il secondo
è impossibile: e allora cosa faremo?

Comprendere il campo Osserviamo anzitutto, che non dovremmo veramente aspet-


del contesto tarci di poter dare una descrizione unitaria del contesto per
i casi complessi; se noi lo potessimo, non vi sarebbero pro-
blemi di progettazione. Il contesto e la forma sono com-
plementari. Ecco il fatto che sta dietro l'osservazione di
D'Arcy Thompson che la forma è un diagramma di forze."
Una volta che noi avremo tracciato il diagramma delle forze
nel senso letterale (avremo, cioè, descritto il «campo» del
contesto) questo descriverà anche l'elemeqto costitutivo del·
la forma in quanto diagramma complementare di forze. Una
volta, ad esempio, che avremo descritto la levigatezza del
blocco di metallo, o le linee di forza del campo magnetico,
non vi saranno difficoltà concettuali, ma solo difficoltà di
ordine tecnico nell'ottenere una forma adatta ad essi, per-
ché la descrizione unitaria del contesto è in entrambi i casi
anche una descrizione della forma richiesta.
I~ tali casi non vi è un vero ,e proprio problema di proget-
tazione. Ciò che rende la progettazione un problema nei
casi del mondo reale è che noi tentiamo di tracciare un dia-
gramma di forze il cui campo non comprendiamoY Capire
il campo del contesto e inventare una forma adatta ad esso
sono in realtà due aspetti dello stesso processo. Proprio per·
ché il contesto è oscuro noi non possiamo dare un criterio
diretto e completamente coerente per la rispondenza che
stiamo te~tando di raggiungere; ed è sempre la sua oscu-
rità che rende del tutto problematico il compito di plasma-
-re una forma idoneamente rispondente. Cosa facciamo di
fronte a questa difficoltà nei casi quotidiani? Idonea rispon-
denza significa qualcosa, dopotutto, perfino qualora non pos-
siamo disporre di un criterio completamente soddisfacente
come quello di «campo ». In che modo si attua la nostra
cosciente esperienza di una mancata rispondenza?

Se torniamo al procedimento di far collimare le superfici di Solo i casi


metallo contro un blocco campione e se pensiamo al modo di inidoneità
sono riconoscibili
in cui l'adeguata e~ l'inadeguata rispondenza ci si presentano,
ci accorgiamo di una proprietà piuttosto singolare: il pro·
cedimento non suggerisce alcun mezzo diretto e pratico per
identificare positivamente una idonea rispondenza. Noi rico-
nosciamo infatti un fenomeno di inidoneità ogni volta che
vediamo un punto sporgente segnato dall'inchiostro. E in- 29
,
vece percepiamo l'adeguata rispondenza, in. pratica, soltanto
da un punto di vista negativo, come nel caso~limite in cui
non appaiono macchie.
Nella vita stessa, di tutti noi, la distinzione tra la corretta
e la mancata attinenza ai modelli del comportamento socia-
le quotidiano, presenta caratteristiche simili. Se un uomo ve-
ste oggi un abito del XVIII secolo, o se porta i capelli giri
6.00 alle spalle, O costruisce un castello gotico, molto pro-
babilmente consideriamo strano il suo comportamento: non
si adatta al nostro tempo. Eppure sono questi allontana-
menti dalla norma che risaltano nella nostra mente, piutto-
sto che la norma stessa. La loro erroneità è in un certo
qual modo piu evidente che l'esattezza di comportamenti
meno eccentrici, e perciò stesso è piti stimolante. In questo
modo aache nella vita quotidiana il concetto di corretta
rispondenza, malgrado sia positivo nel suo significato, sem-
bra attingere molto largamente a confronti negativi; quelli
che attraggono ]a nostra attenzione, nella vita di ognuno,
sono proprio gli aspetti obsoleti, incongrui o stonati.
Lo stesso accade nella progettazione di una casa. Troverem-
mo quasi impossibile caratterizzare una casa che si adatti
perfettamente al suo contesto. Eppure è la cosa piti facile
del mondo nominare i tipi specifici di inidoneità che si op-
pongono, appunto, a un'idonea rispondenza. Una cucina diffi-
cile da pulire, una carenza di spazio per parcheggiare la
macchina, il bambino che gioca in un luogo dove può esse-
re investito dalle automobili, l'acqua piovana che entra, il
sovraffollamemo e la mancanza di intimità, una graticola al
livello degli occhi che spruzza grasso bollente, una maniglia
in plastica clorata che delude le mie aspettative e la porta
di ingresso che non riesco a trovare, sono tutti casi di man-
cata rispondenza fra la casa e le abitudini v.itali cui dovreb-
be attagliarsi. Queste inidoneità sono le forze che devono
plasmarla, e non è possibile cO.Qfonderle. Per il fatto stesso
che sono espresse in forma negativa sono specifiche, ed
abbastanza tangibili perché si possa parlarne.
La stessa cosa accade nella percezione. Supponiamo che ci
sia dato un bottone da appaiare, fra un assortimento di bot-
30 toni contenuto in una scatola. Come procediamo? Esaminia-
ma i bottoni nella scatola, uno alla volta; ma non cerchia-
mo immediatamente il bottone che corrisponde al primo.
Quello che facciamo, realmente, è di esaminare i bottoni,
scartando rutti quelli in cui notiamo qualche differenza
(questo è piu grande, questo è piu scuro, questo ha troppi
buchi e cosi via) finché non arriviamo ad uno per il quale
non riscontriamo alcuna differenza. Allora diciamo che ne
abbiamo trovato uno uguale. Notate che anche qui è molto
piu facile spiegare l'inidoneità di ogni bottone inadeguato
che giustificare la conformità di quello rispondente.
Quando noi parliamo di inadeguata rispondenza ci riferiamo
ad una singola proprietà identificabile di un insieme, che è
di esperienza immediata e descrivi.bile. Dovunque si pre-
senta un caso di inadeguatezza entro un insieme, siamo in
grado di indicare in modo spe.cifico ciò che fa difetto e di
descriverlo. Si direbbe che in pratica il concetto di idonea
rispondenza, descrivendo solo l'assenza di tali difetti e quin-
di lasciandoci senza nient'altro di concreto a cui riferirei
nella spiegazione, possa essere spiegato solo indirettamente;
in sostanza, è come se consistesse nello scarto progressivo
di tutte le possibili inidoneità. 16
Ciò premesso, vorrei dunque ricordare come dovremmo
sempre aspettarci di vedere il processo in cui si raggiunge
un buon ad~ttamento tra due entità nei termini di un pro-
cesso negativo che annulla le incongruenze o le irritazioni,
ovvero le forze, che determinano la non rispondenza. l7

Si obietterà che definire l'adeguata rispondenza come as- RispOl1denza


senza di certe qualità negative non è piu chiarificante che com.e assenza
indicarla come presenza di particolari qualità positive.1 8 Co- di qualità negative
munque, sebbene i due modi siano equivalenti da un punto
di vista logico, da quello fenomenologico e pratico sono
invece molto diversL '9 In pratica, parlare di idonea rispon-
denza come soddisfazione simultanea di svariati requisiti,
non sarà mai altrettanto naturale come identificarlo con il
simultaneo non verificarsi di altrettante e corrispondenti
disattitudini.
Supponiamo di avere veramente tentato di elencare tutte
le relazioni possibili tra la forma e il suo contesto, richieste 31
per un'adeguata rispondenza (un elenco simile sarebbe pro-
prio il tipo di elenco di requisiti che tanto spesso i peoger·
tisti tentano di redigere). In teoria, noi potremmo usare
ogni requisito esposto nella lista come un criterio indipen-
dente, ed accettare una forma come rispondente solo se
soddisfa simultaneamente tutti i criteri.
Comunque, pensato a questo modo, un tale elenco di requi-
siti è potenzialmente senza fine e richiede ancora una descri-
zione di «campo» per essere tenuto insieme. Pensate, ad
esempio, di tentare di specificare tutte le proprierà che un
bottone deve avere per essere appaiato con un altro. i\
presèindere dai caratteri che abbiamo già menzionato - mi-
sura, colore, numero di buchi, e cosi via - dovremmo anche
specificare il suo peso specifico, la sua carica e1ettrostarica,
la sua.Niscosità, la sua rigidità, il fatto che dovrebbe essere
rotondo. che non dovrebbe essere fatto di carta, ecc. ecc.
In altre parole, non dovremmo specificare solo le qualità
che lo distinguono da tutti gli altri bottoni, ma anche defi-
nire tutte le caratteristiche che lo fanno essere proprio un
bottone.
Sfortunatamente, l'elenco delle caratteristiche distinguibili
che possiamo annotare per i bottoni è in.finita. Esso rimane
infinito per tutti gli scopi pratici finché non scopriamo una
descrizione di campo del bottone. Senza la descrizione di
campo del bottone, non vi è modo di ridurre la lista degli
attributi richiesti a termini finiti. Siamo indotti perciò ad
economizzare quando tentiamo di specificare la natura del
bottone da appaiare, perché noi possiamo afferrare solo un
elenco limi taro (e per di piu anche molto ridotto). Natu-
ralmente, scegliamo di specificare quelle caratteristiche che
piu facilmente provocano difficoltà nella questione dell'ap-
paiare, e che sono perciò piu utili nello sforzo ·di distin~
guere tra gli oggetti che possiamo incontrare nella nostra
ricerca di bottoni. ìvla pet fare ciò, dobbiamo fare assegna-
mento sul fatto che un gran numero di oggetti non sarà
neanche preso in considerazione. Dopotutto si possono can~
cepire oggetti che sono bottoni da ogni punto di vista se
si eccettua il fatto che portano una carica elettrica di 1000
32 cOlilamb, per esempio. Eppure in pratica sarebbe comple~
tamente superfluo, come anche poco pratico, specificare
quale carica elettrostatica dovrebbe avere un bottone ben
appaiato. Abbiamo poche probabilità di trovare un bottone
che porti proprio quella carica e perciò ne ignoriamo la
possibilità. L'unica ragione per la quale abbiamo qualche
possibilità di appaiare un oggetto con un altro è che fac-
ciamo assegnamento su una grande quantità di informazione
non espressa, implicita nell'esposto del computo; e ne dia-
mo senz'altro per scontata una vasta porzione. 20
Nel caso di una questione di progettazione che sia vera·
j mente problematica incontriamo la stessa situazione. Non
abbiamo una descrizione di campo del contesto, e perciò
non abbiamo un mezzo intrinseco per ridurre a termini fini-
ti l'insieme potenzialmente infinito dei requisiti. Eppure, per
ragioni pratiche, abbiamo bisogno di un mezzo per enuclea-
re un insieme finito dall'insieme infinito degli insiemi pos-
sibili. Nel caso dei requisi ti, non si dispone di. alcun mezzo
ragionevole per scegliere questo insieme finito. Da un punto
di vista puramente descrittivo non abbiamo alcun mezzo
per sapere quali delle infinite relazioni tta la forma ed il
contesto inductere e quali escludere.
Ma se noi pensiamo ai requisiti da un punto di vista nega-
tivb, come a potenziali inidoneità, vi è un mezzo s'emplice
per scegliere un insieme finito. Poiché attraverso la non
rispondenza il problema si impone alla nostra attenzione.
Noi consideriamo solamente quelle relazioni tra la forma
ed il contesto che si impongono con maggiore violenza, che
richiamano nel modo piti evidente l'attenzione, che si appa-
lesano piti clamorosamente come errate. Non possiamo fare
meglio di cosi,21 Se vi fosse un mezzo intrinseco per ridurre
a poche voci l'elenco dei requisiti, avremmo, in sostanza, la
descrizione di campo del contesto; se cosi fosse, il problema
,di creare la rispondenza diverrebbe insignificante, e usci-
rebbe dall'ambito dei problemi di progettazione. Noi non
possiamo possedere una descrizione unitaria o di campo
del contesto ed avere ancora un problema di progettazione
che meriti la nostra attenzione.
Nell'ipotesi di un puro problema di progettazione, persino
la convinzione che esista un obiettivo quale il persegui- 33
mento della rispondenza, è singolarmente irrilevante e po-
co sostanziale. Ciò che cerchiamo è qualche tipo di armo-
nia fra due entità inafferrabili: una forma che non abbiamo
ancora progettato e un contesto che non possiamo descri-
vere propriamente. Le uniche ragioni che possiamo avere
per presumere che debba esserci qualche tipo di adattamen-
to da realizzare fra queste due entità è in rapporto alla
nostra possibHità di percepire in esse incongruenze o fattori
negativi.
In un insieme, le incongruenze sono i dati primari dell'espe-
rienza. Se ammettiamo di trattare la rispondenza come l'as-
senza di disatt.itudini, e di usare un elenco di quelle disatti~
tudini potenziali che piu probabilmente incontreremo, come
criterio per l'adattamento, la nostra teoria avrà almeno la
stessa. natura della nostra convinzione intuitiva che vi sia un
problema da risolvere.

Uso di variabili I risultati di questo capitolo, espreSSI 10 termini formali,


binarie sono questi. Se dividiamo un insieme in forma e contesto,
la rispondenza reciproca fra di essi potrebbe essere consi-
derata come una condizione ordinaria dell'insieme, soggetta
però a perturbazioni di varia natura, ognuna delle quali è
una potenziale disattitudine: ne sono esempi casi di man-
cata ,rispondenza fra una casa e quelli che la usano, citati
a pago 28. Possiamo" riassumere lo stato di ogni disattitu-
dine potenziale per mezzo di una variabile binaria. Se si
presenta la disattitudine, diciamo che la variabile assume
il valore 1. Se essa non si presenta diciamo che la variabile
assume il valore O. Ogni variabile binaria rappresenta quin-
di una possibilità di mancata rispondenza tra la forma ed il
contesto.22 Il valore che assume questa variabile, O o 1,' de-
scrive uno stato di cose che non appartiene né alla sola
forma né al solo contesto, ma si concreta nell'ambito di una,
relazione tra i due. Lo stato di questa relazione,' rispon-
denza o non-rispondenza, registra uno specifico aspetto del-
l'intero insieme. Condizione necessaria per l'armonia del-
l'insieme e il perfetto adattamento entro di esso è che non
venga in pratica a verificarsi alcuno dei possibili casi di
34 non~rispondenza. Possiamo rappresentare questa condizio-
ne dicendo che tutte le variabili assumono in ral caso
il valore o.
Il compito della progettazione non è di creare una forma
che soddisfi certe condizioni, ma di creare entro l'insieme
un ordine tale che tutte le variabili assumano il valore o. \
La forma è semplicemente quella parte dell'insieme sulla
quale abbiamo controllo. È solo attraverso la forma che pos-
siamo creare ordine nell'insieme.
2[ La base della
corretta rispondenza

Dobbiamo Ofa scoprire come dovremmo procl'c1<::re per otte·


nere un'adeguata rispondenza. Dove trovarla? Quale è la
car:~uerjstica dei processi che la perseguono con successo?
Si è molto spesso sostenuto (specie nell'ambiente degli
architetti) che le abitazioni proprie di civiltà piu semplici
delle nostre sono per certi aspetti migliori delle nostre case.!
Benché sovente simili affermazioni siano state esagerate, in
piu di un caso l'osservazione può dirsi sostanzialmenre giu-
sta. Tenterò di mostrare come i farti che la sostengono, se
interpretati correttamente, hanno conseguen:te pratiche im-
portanti per un processo di progettazione intelligentemente
concepito.
Consideriamo per un momento qualcuna fra le piu famose
costruzioni moderne, dal punto di vista della loro idonea
rispondenza. La casa Farns\Vorth di Mies Van der Rohe
sebbene sia meravigliosamente chiara e 0rganizzata sotto
l'impulso di alcune rigorose regole formali, economicamente
non è certo un trionfo, né può dirsi tale per quanto riguarda
la sua resistenza alle alluvioni dell'Illinois.' Le cupole geo-
detiche di Buckminster Fuller hanno risolto il grave pro-
blema di coprire spazi" ma è molto difficile inserirvi delle
porte. Anche la sua casa dymaxion, benché efficiente quanto
a imballo, rapida distribuzione e produzione in massa, de-
nuncia tuttavia una mancata considerazione di quale incon·
gruenza rappresentino singole case isolate poste di fronte
al tumulto acustico ed alla complessità dei servizi di una
città moderna. 3
Anche Le Corbusier nella Villa Savoie, per esempio, o negli
appartamenti di Marsiglia, raggiunge la sua chiarezza di for-
ma a scapito di certi servizi e comforts del tutto elementari. 4
Al profano piace talvolta accusare questi progettisti di aver
sacrificato la funzionalità nella ricerca della chiarezza, sem-
36 plicemente perché distaccati da questioni pratiche come queI~
le di una massaia, preoccupati come sono unicamente di
quanto loro personalmente interessa. Questa accusa è elusiva.
È vero che in un programma funzionale i progettisti spesso
sviluppano di piu una parte a scapito di un'altra. Ma lo
fanno perché l'unico modo in cui sembra' loro possibile di
organizzare chiaramente una forma è quello di progettare
guidati dalla forza di qualche concetto relativamente sem-
plice.
D'altra parte, se i progettisri non .mirano principalmente
ad una chiara organizzazione, ma tentano di considerare
egualmente importanti tutti i requisiti, insorge allora una
certa. anomalia all'estremo opposto. Prendiamo la casa me~
dia costruita da uno speculatore; essa è costruita tenendo
conto del mercato, e perciò, in un certo modo, si adatta
bene al suo contesto, anche se, superficialmente. Ma in que-
sto caso le varie richieste fatte sulla forma sono soddisfatte
separatamente senza nessun significato per l'organizzazione
globale di cui la forma necessita per poter contribuire inte-
gralmente al funzionamento dell'insieme.
Poiché oggigiorno nell'ambiente umano ogni cosa può esse-
re modificata da acquisti convenienti nei grandi magazzini,
effettivamente bisogna provvedere a molto poco nell'orga-
nizzazione base della casa. Invece di orientare con cura la
casa secondo il sole ed il vento, il costruttore concepisce
la sua organizzazione senza curarsi dell'orientamento: alla
luce, al calore e all'aereazione provvederanno ventilatori,
lampade ed altri espedienti estranei. Le camere da letto non
sono separate dalle camere di soggiorno nella pianta, ma
sono le une accanto alle altre: poi le pareti divisorie ven-
gono ·imbottite di materiali per l'isolamento acustico.
La protesta per la mancanza di una chiarezza macroscopica
in questi èasi non e··un capriccio estetico. Mentre è vero
che un problema individuale può essere .spesso adeguata-
mente risolto senza riguardo all'ordine. fisico fondamentale
che esso implica, non possiamo però risolv'ere casualmente
tutta una rete di tali problemi e riuscire a farlo impune-
mente. È inconcepibile che si possa riuscire ad organizzare
un insieme complesso come una città moderna finché non
si abbia una veduta abbastanza chiara dei problemi piti sem- 37
plici di progettazione con tutte le loro implicazioni nella
produzione di case che siano fisicamente chiare come orga-
nizzazioni totali.
E tuttavia attualmente, nella nostra civiltà, può dirsi in pra-
tica quasi sconosciuta qualsiasi forma di casa che sia orga-
nizzata con chiarezza e al tempo stesso sia soddisfacente da
tutti i punti di vista richiesti dal contesto.
Se invece guardiamo, per fare un confronto, un'abitazione
di contadini o un iglu o una capanna di fango africana,
allora è frequente di ritrovare combinati il buon adattamen-
to e la chiarezza.
Le abitazioni dei Si consideri ad esempio la capanna mousgoum, costruita dal-
primitivi sono le tribu africane delle regioni settentrionali del Camerun. 5
perfettamente A parte le differenze causate da leggeri mutamenti di loca-
idonee
lità e oècupazione, le capanne variano molto poco. Anche
un esame superficiale dimostra che esse sono tutte versioni
dello stesso unico tipo di forma e comunicano un forte sen-
so della loro adeguatezza e assenza di arbitrarietà.
Per coincidenza o no, la forma emisferica della capanna for-
nisce la superficie piu efficace per contenere in una misura
minima il passaggio di calore, e conserva l'interno ragione-
volmente ben protetto dai raggi del sole equatoriale. L'emi-
sfero è sostenuto da una serie di costole verticali di irrigi-
dimento. A parte il fatto che esse aiutano a sostenere la
struttura principale, queste costole agiscono anche come
canali per l'acqua piovana, e sono allo stesso tempo usate
dal costruttore della capanna come appigli per arrampicarsi
sulla parte superiore dell'esterno durante la costruzione. 6
Invece di usare impalcature asportabili (il legno è molto
scarso) egli costruisce l'impalcatura con parte della struttur;].
Questa «impalcatura» è ancora là quando il proprietario
ha bisogno di arrampicarsi per le prime riparazioni della
capanna. I Mousgoum non possono permettersi, come noi,
di considerare la manutenzione come una seccatura che è
meglio dimenticare finché non è il momento di chiamare
l'idraulico locale. Questa funzione è affidata alle stesse mani
di chi ha costruito, e le sue esigenze modellano probabil-
mente la forma come quelle primarie della costruzione.
38 Inoltre, ogni capanna si annida stupendamente negli avv:l:-
lamenti e negli anfratti del terreno. Essa deve farlo, perché
la sua materia è debole strutturalmente come la terra sulla
quale poggia, ed ogni estraneità o discontinuità causata da
una posizione errata impedirebbe alla costruzione di soprav-
vivere alle tensioni dell'erosione. Le fondamenta di cemen·
to armato che sfidano le condizioni atmosferiche e che per-
mettono l'arbitraria posizione dei nostri edifici. sono sco-
nosciute ai Mousgoum.
Il raggrupparsi delle capanne riflerte l'ordinamento sociale
dei loro abitanti. La capanna di ogni uomo è contornata
dalle capanne delle sue mogli e dei suoi dipendenti come
lo richiedono le consuetudini sociali. Inoltre, in tale modo
queste capanne sussidiarie formano anche un muro attorno
alla capanna del capo e con ciò proteggono questa e loro
stessi dagli animali selvatici <: dagli invasori. 7
Questo esempio dimostra come il sistema dell'operazione
di costruzione, il sistema di manutenzione della costruzione.
i vincoli delle condizioni circostanti ed anche lo schema del-
la vita quotidiana, sono fusi nella forma. La forma ha una
duplice coerenza. È coerente in relazione al suo contesto.
Ed è fisicamente coerente.
Questo genere di duplice coerenza è comune alle culture
semplici. Ma nella nostra cuIrura le sole forme che possono
essere paragonate a queste forme piu semplici per la chia-
rezza della concezione, sono quelle che abbiamo già men-
zionato, progettate sotto l'impulso di preoccupazioni molto
patticoIari. E queste forme, appunto perché derivano la loro
chiarezza dalla semplificazione del problema, non riescono
a soddisfare tutte le richieste del contesto' È vero che i
nostri standard funzionali sono superiori a quelli delle si-
tuazioni piu semplici. È vero, e importante da ricordare,
che le culture semplici non affrontano problemi altrettanto
complessi quanto quelli che affrontiamo noi nella progerta-
zione. Ed è vero che se esse li affrontassero probabilmente
non dimostrerebbero di essere meglio di noi. 9 Quando am-
miriamo le situazioni semplici per le loro buone qualità,
non significa che desideriamo regredire ad esse. L'illusione
di innocenza è per noi di poco conforto; iI problema di
organizzare. la forma sOtto vincoli complessi, è nuovo e tut- 39
to nostro. Ma nel loro proprio modo le· culture semplici
svolgono il loro compito meglio di quanto noi facciamo col
nostro. lo credo che solo un attento esame del loro suc-
cesso può suggerirei la prospettiva necessaria per risolvere
il problema della complessità. Chiediamoci, perciò, donde
venga tale successo.
Per rispondere a questa domanda tracceremo innanzi tutto
una netta e a-rbitraria divisione fra quelle culture che per con-
trasto vogliaJ1.1o chiamar~ <~ semplici» e quelle che vogliamo
classificare come « nostre ». Propongo eJi chiamare certe cul-
ture «non autocoscienti» per porle in contrasto con le altre,
inclusa la nostra, che propongo di chiamare « autocoscienti ».
Naturalmente, il contrasto qualitativo fra le forme prodotte
nei due differenti tipi di cultura non è cOSI evidente come
io dirò . .E nemmeno i due processi creativi della forma sono
distinguibili tanto nettamente quanto pretende questo testo.
Ma ho deliberatamente esagerato il contrasto solo per atti-
rare l'attenzione su certi fatti, che sono intrinsecamente im-
portanti ed illuminanti e che perciò dobbiamo sforzarci di
capire per arrivare ad affrontare la progettazione in modo
nuovo. È di gran lunga piti importante la comprensione del
contrasto particolare che sto tentando di mettere in eviden-
za, che non la descrizione minuziosa e dettagliata dei fatti
concernenti una data cultura. Questo non è un trattato di
antropologia ed è perciò meglio pensare a quanto segue
semplicemente come ad un confronto tra due diversi ordini
di per sé eloquenti, la cultura non autocosciente e la cultu-
ra autocosciente. lO
Le culture che io scelgo di chiamare «non autocoscienti»
sono state chiamate, in precedenza, con molti altri nomi
ognuno dei quali era stato scelto per chiarire quel partico-
lare aspetto del contrasto fra tipi di cultura che nel caso
specifico si voleva maggiormente porre in risalto. Cosi sono
state chiamate «primitive », per distinguerle da quelle in cui
la parentela agisce in modo meno determinante nella strut-
tura sociale; 11 «popolari», per separarle dalle culture urba-
ne,l2 «chiuse» per attirare l'attenzione sulla responsabilità
40 dell'individuo nella piti aperta situazione odierna; 13 «ano-
nirne» per distinguerle dalle culture in cui esiste ad esem-
pio una professione chiamata «architettura ».14
La particolare distinzione che intendo adottare riguarda solo Caratteri sociologici
il metodo di fare oggetti ed edifici. Parlando in generale, delle culture
possiamo distinguere fra la nostra propria cultura, che è non-autocoscienti
autocosciente délla sua architettura, della sua arre, e della
sua ingegneria, e cerri tipi di cultura che invece sono non
autocoscienti de.lle loro corrispondenti discipline. 's I fatti
principali che distinguono in senso architettonico le culture
non autocoscienti da quelle autocoscienti sono facili da de-
scrivere superficialmente. Nella cultura non autocosciente c~
si preoccupa poco di architettura o di progettazione come
tali. Vi è un modo giusto di fare edifici ed un modo sba-
gliato. Ma mentre vi possono essere provvedimenti general-
mente accettati per errori specifici, non vi sono principi ge-
nerali confrontabili a quelli dei trattati dell'Alberti o di
Le Corbusier. Poiché la divisione del lavoro è molto limi-
tata, qualsiasi genere di specializzazione è rara, non vi sono
architetti ed ogni uomo costruisce la propria casa. 16
La tecnologia della comunicazione è poco sviluppata. Non
vi sono testimonianze scritte o disegni architettonici, e lo
scambio culturale è minimo, Questa mancanza di testimo-
nianze scri tte e di informazione sulle altre culture e situa-
zioni, significa che la stessa esperienza deve essere conqui-
stata e riconquistata sempre di nuovo da ogni generazione -
senza possibilità di sviluppo o di cambiamento. Senza varie-
tà di esperienza, le persone non hanno la possibilità di ve·
dere le proprie azioni come alternative ad altre possibilità,
ed invece di diventare autocoscienti essi ripetono semplice.
mente i modelli della tradizione, perché questi sono i soli
che essi possono immaginare, In poche parole, le azioni
son? governate dal1'abitudine. 17 Le decisioni di progetta-
zione sono p'rese secondo le consuetudini piuttosto che se·
condo le nuove idee di qualche individuo. In efletti, poco
valore è attribuito alle idee di un individuo e nessuno pa-
gherebbe la sua inventiva. Il rispetto del rito e del tabu
scoraggia innovazioni e autocritica. Inoltre, poiché non
vi è qualcosa di simile all'architettura o alla progettazione
e nessun problema di progettazione è formulato astratta- 41
mente, tipi di concetto necessari per l'auwcritica archi-
tettonica sono troppo scarsamente sviluppati per rendere
possibile l'autocritica stessa; difatti l'architettura è raramen-
te concepita in modo tanto tangibile da poter venire criti-
camente esaminata.

Due criteri di Per essere sicuri che una tale distinzione tra culture non
apprendimento autocoscienti e autocoscienti sia ammissibile, occorre una
radicalmente diversi definizione che ci dica' se dobbiamo definire non·cosciente o
autocosciente una cultura sulla base dei soli fatti visibili
e riferibili. Troviamo una distinzione chiaramente visibile
quando osserviamo il modo con cui sono insegnate e im-
parate le arti della costruzione della forma, le istituzioni
per mezzo delle quali il mestiere passa da una generazione
alla sUG(essiva.
Poiché i modi in cui l'educazione può operare sono soltanto
due, essi possono essere distinti senza difficoltà.
Da una parte abbiamo un tipo di insegnamento basato sul·
l'esposizione graduale del mestiete, sulla abilità del novizio
di imitare attraverso ]a pratica, sulla sua reazione alle san-
zioni, alle penalità. o allo stimolo dei sorrisi e delle minac-
ce. Chiaro esempio di questo modo di imparare è il bam-
bino che apprende pratiche elementari. come quella di an-
dare in bicicletta. All'inizio cade goffamente. ma ogni volta
che fa una cosa in modo sbagliato. è riprovato; quando ac-
cade che la faccia bene, il suo successo ed il fatto che que·
sto sia riconosciuto rendono piu probabile una ripetizione
giusta. 18 Un esteso sistema di apprendimento di questo tipo
gli dà una sensibilità «totale» per la cosa imparata: si trat-
ti di andare in bicicletta o di nuotare, di costruire una
casa o di tessere. La caratteristica piu importante di questo
tipo di sapere è che le regole non sono esplicite, ma si rive-
lano, praticamente, attraverso la correzione degli errori. 19
Il secondo tipo di insegnamento tenta, in qualche grado, di
rendere esplicite le regole. In questo caso il novizio impara
molto piti rapidamente, sulla .base· di «principi» generali.
L'educazione diventa formale; fa assegnamento sull'istruzio-
ne e sugli insegnanti che istruiscono i loro allievi, non 50]-
42 tanto indicando gli errori, ma inculcando regole positive
ed esplicite. Un buon esempio è il salvataggio deUa vita,
dove la gente ha raramente la possibilità di imparare per
mezzo della prova ed errore. Nella situazione non formale
non vi sono «insegnanti» I poiché gli errori del novizio sa-
ranno corretti da chiunq"ue ne sappia piu di lui. Ma nella
situazione formale, dove l'imparare è un'attività specializ.
zata e non avviene piu automaticamente, vi sono «inse-
gnanti» specifici dai quali si impara il mestiere?)
Questi insegnanti, o istruttori, devono condensare la cono-
scenza che una volta era stata faticosamente acquisita dal-
l'esperienza, perché senza tale condensazione il problema
dell'insegnare sarebbe pesante ed intrattabile. L'insegnante
non può riferirsi esplici tamen te ad ogni singolo errore pos-
sibile, poiché se anche vi fosse il tempo di fado, lo stesso
elenco non potrebbe essere imparato. Un elenco necessita di
una struttura per essere ricordato. 21 Cosi l'insegnante inven-
ta regole che si insegnano facilmente entro le quali adatta
quanto può del suo ammaestramento inconscio: un insieme
di principi stenografici.
Nella cultura non autocosciente la stessa forma è ripetuta
sempre di nuovo; per imparare a creare forma la gente ha
bisogno solo di imparare a ripetere un singolo modello fisi-
co famigliare. Nella cultura autocosciente si presentano con-
tinuamente nuovi propositi; le persone che creano forme
devono costantemente trattare problemi che sono comple-
tamente nuovi 0, nel caso migliore, modifìcazioni di vecchi
problemi. In queste circostanze non è sufficiente copiare
vecchi modelli fisici. Petché la gente abbia la possibilità di
fare innovazioni e modificazioni secondo le necessità, si
devono introdurre idee sul come e sul perché le cose hanno
una loro forma. L'insegnamento deve essere basato su espli-
citi principi generali riferiti alla funzione, piuttosto che im-
pliciti e specifici principi di model1azione.
Chiamerò una cultura «non autocosciente» se la creazione
di forma è imparata senza regole, attraverso Fimitazione e
la correzione. E chiamerò una cultura « autocosciente» se
la creazione di forma è insegnata accademicamente, secondo
tegole esplicite." 43
Ora, perché le forme, neJJa cultura autocosciente, non sono
plasmate in modo altrettanto idoneo e chiaro quanto lo
sono quelle deIJa cultura non autocosciente? Nel primo caso
il processo del creare forma lo consideriamo buono, nell'al·
tro lo consideriamo cattivo. Ma cos'è che rende buono O
cattivo un processo creativo di forma?
Nei tentativi di spiegare perché il processo non autocoscien-
te è valido, quasi nessuno si era dato la pena, praticamente
fino ad oggi, di porre in dubbio il mito del genio primitivo,
presumente che l'artigiano non sofisticato sia enormemente
piu dotato della sua controparre sofisticata." Il mito del
darwinismo architettonico ha ora preso il posto di quello.2~
Eppure, sebbene questo nuovo mitO sia piti accettabile, nella
sua forma consueta non è realmente piu informativo del·
l'ahro. '"
Esso-dice, press'a.poco, che le forme primitive sono buone
in quanto sono un risultato di un processo di adattamento
graduale, in base al quale attraverso i secoli tali forme- sono
state gradualmente rese adeguate alle loro culture da serie
di cortezioni intermittenti ma persistenti. Ma questa spie-
gazione è solo UI) vago cenno. 2S Non ci dice infatti cosa im-
pedisce che tali adàttamenti avvengano con successo nella
cultura autocosciente, mentre invece è proprio questo che
vogliamo sapere con la massima urgenza. E dopotutto, co-
me spiegazione dell'adeguata rispondenza riscontrata nella
cultura non autocosciente, il concetto grezzo di adattamento
non è affatto soddisfacente. Se le forme in una cultura non
autocosciente rispondono idoneamente ora, è probabile che
.10 abbiano sempre fatto. Non conosciamo nessuna diffe-
renza notevole fra lo stato presente e gli stati passati delle
culture non autocoscienti; e questo assunto, che l'adatta-
mento delle forme in tali culture sia il risultato di 'aggiu-
stamento graduale (cioè, miglioramento) attraverso il tem-
po, non fa luce su quale dovrebbe essere attualmente un
processo dinamico nel quale forma e contesto cambiano en-
trambi di continuo, pur rimanendo sempre mutualmente
equilibrati. 26
Per cogliere nella sua natura il processo creativo della for-
44 ma, non è sufficiente rimettersi a quella conCisa, monover-
baIe, significazione del suo meccanismo che si raccoglie nel-
la parola «adattamento». Dovremo invece confrontare nei
suoi dettagli il funzionamento interno del processo forma-
tivo non autocosciente, con quello del processo autocoscien-
te, chiedendoci per qual motivo l'uno funziona e l'altro no.
In prima approssimazione, dirò che il processo non auto-
cosciente possiede una struttura che lo rende orneostatico
(vale a dire: organizzante sé medesimo), e che esso perciò
produce, in modo coerente forme sempre idoneamente ri-
spondenti, anche in presenza di qualsivoglia mutamento. E
dirò che invece, nella cultura autocosciente la struttura
omeostatica del processo è infranta, di modo che la produ-
zione di forme non adatte al loro contesto è non solo pos-
sibile, ma addirittura probabile."

Abbiamo stabilito nel capitolo precedente che pet descri- Funzionamento


vere la rispondenza e la non-rispondenza fra forma e conte- di un sistema
sto, dobbiamo compilare un elenco di variabiJi binarie, ognu- di variabili
na delle quali designa una potenziale disattitudine.
Nello sfondo del processo formativo, sia autocosciente che
non autocosciente, queste variabili di non-rispondenza sono
costantemente presenti: siano esse pensieri nella mente di
un progettista, o siano azioni, critiche, fallimenti, dubbi.
Solo il pensiero e l'esperienza di un possibile fallimento for-
niscono l'impulso a creare una forma nuova.
In qualsiasi momento di questo processo creativo, che la
forma sia in uso, o sia invece un prototipo, o anche soltanto
un abbozzo, oppure sia caduta nell'obsolescenza, per ognu-
na delle variabili si verifica comunque l'alternativa della
rispondenza o quella deJla mancata rispondenza. Possiamo
descrivere lo stato di tutte le variabili insieme per mezzo
di una fila di uno e di zero, una per ogni variabile: per
esempio, per 20 variabili, 00100110101110110000, sarebbe
uno stato. Ogni possibile fila di l e di O è un possibile
stato dell'insieme.
Mentre procede la creazione di forma, anche il sistema delle
variabili cambia di stato. Una disattitudine è rimossa, ne
interviene un'altra, e questi mutamenti a loro volta provo-
cano entro il sistema reazioni che influiscono sugli stati di 45
altre variabili. Mentre la forma e la cultura cambiano, a
uno stato ne segue un altro. La successione degli stati attra~
verso i quali passa il sistema è una registrazione o storia
dell'adattamento fra la forma e il contesto. La storia del
sistema mostra il processo formativo al lavoro. Per porre
a confronto i processi non autocoscienti con quetli auto-
coscienti, non abbiamo che da esaminare il genere di storhr
che il sistema di variabili può presentare nei due distinti
tipi. Come vedremo, la storia del sistema nei processi non
autocoscienti e in quelli autocoscienti rivela profonde dif-
ferenze.
Forse capiremo. meglio l'idea della storia di un sistema trac-
ciandone un semplice quadro. 1S (
Immaginiamo un sistema di 100 fonti luminose. Ogni fonte
può troyarsi in uno di due stati possibili. In uno stato è
accesa. Le fonti sono collegate in modo tale che qualsiasi
fonte ha sempre il 50 % di probabilità di spegnersi il se-
condo' dopo. Nell'altro stato la 'fonte luminosa è spenta. I
collegamenti fra le fonti sono costituiti in modo che qual-
siasi luce spenta ha il 50 % di probabilità di accendersi nuo-
vamente nel secondo successivo, a condizione che almeno una
delle fonti alle quali è collegata, in quell'istante sia accesa.
Se le fonti luminose alle quali è direttamente collegata sono
spente, non ha nessuna possibilità di accendersi, e resta
spenta. Se le fonti luminose sono tutte spente simultanea-
mente, allora resteranno spente definitivamente, poiché
quando non vi è una fonte accesa, nessuna fonte ha qualche
probabilità di essere riattivata. Questo è uno stato di equi-
librio. Prima o poi il sistema di fonti luminose raggiungerà
que'sto stato di equilibrio.
L'esempio delle fonti luminose ~i aiuta a capire la storia
del processo creativo della forma. Ogni fonte è una varia-
bile binaria, e come tale può essere considerata come una
variabile di disattitudine. Lo ~tato dell'essere spenta equi-
vale all'attitudine, o rispondenza; lo stato dell'essere accesa
equivale alla non-rispondenza. Il fatto, infine, che una fonte
accesa abbia la probabilità del 50 % di spegnersi ogni se-
condo, trova una sua corrispondenza nel fatto che ogniqual-
46 volta sopravvenga una disattitudine, ci si' adopera per cor-
reggerla. Il fatto che le fonti già spente possono essere riac·
cese da fonti ad esse collegate, corrisponde al fatto che per-
fino aspetti già ben adatti di una forma possono essere nuo-
vamente sconvolti da mutamenti che erano iniziati per coro
reggere qualche altra disattitudine, e ciò a causa dei colle-
gamenti che esistono fra le variabili. Lo stato di equilibrio,
quando tutte le fonti sono spente, corrisponde alla perfetta
rispondenza, o adattomento. È l'equilibrio nel quale tutte
le variabili di non rispondenza prendono il valore O. Prima
o poi il sistema delle fonti luminose finirà sempre per rag~
giungere questo equilibrio. L'unica domanda che resta è:
quanto tempo ci vorrà perché questo succeda? Non è diffi-
cile vedere che, a parte l'incidenza del caso, la risposta
dipende solamente dallo schema delle interconnessioni fra
le fonti.

Consideriamo due circostanze estreme. 29 Interrelazione


1. Da una parte, supponiamo che non vi sia alcuna inter- e adattamento
connessione fra le fonti luminose. In questo caso non vi è
nulla che impedisca a qualsiasi fonte di restare spenta defi-
nitivamente, appena si spegne. La media del tempo neces-
sario perché si spengano tutte le fonti è perciò solo un poco
superiore alla media di tempo necessaria perché si spenga
una fonte sola, precisamente 2' secondi ovvero 2 secondi.
2. D'altra parte, immaginiamo che esistano fra le fonti
interconnessioni tanto ricche che qualsiasi fonte ancora ac-
cesa possa riattivare rapidamente tutte le altre accendendole
di nuovo. Il solo modo in cui questo sistema può raggiun-
gere l'adattamento dipende dalla pura possibilità che tutte
le 100 fonti si spengano, per un ca"so, allo stesso momento.
Il tempo medio che deve passare prima che questo avvenga
sarà dell'ordine di 2 100 secondi, ovvero 10 22 anni.
Il secondo caso è privo di significato. L'età dell'universo è
solo di circa 1010 anni. Per qualsiasi scopo e proposito il
sistema non sarà mai adatto. Ma neanche la prima ipotesi
ha praticamente senso. In qualsiasi sistema reale infatti vi
è sempre fra le variabili qualche interconnessione che rende
impossibile ad ogni singola variabile di adattarsi in COffi- 47
pleto isolamento. Costruiamo dunque una terza ipotesi.
3. Supponiamo in questo caso che vi siano di nuovo inter-
connessioni fra le 100 fonti luminose, ma che sia possibile
discernere nel sistema delle interconnessioni, una decina di
sottosistemi principali, ognuno dei quali contiene lO fonti
luminose. 3D Le fonti comprese in ogni sottosistema sono col-
legate cOSI strettamente che, di nuovo lO devono spegnersi
simultaneamente perché restino tutte spente; eppure, allo
stesso tempo, i sottosistemi stessi sono reciprocamente indi w

pendenti a loro volta, in quanto entità unitarie, di modo


che le fonti di un sottosistema possono essere spente senza
essere riattivate da altre accese in altri sottosistemi. Il tem-
po medio che ci vorrà per spegnere tutte le 100 fonti è
press'a poco lo stesso che ci vuole per spegnere un sotto-
sistema, precisamente 2 10 secondi, vale a dire circa un quar-
to d'ora.

Naturalmente, i sistemi reali non SI comportano In modo


cosi semplice. Ma 15 minuti non è un tempo molto supe-
riore ai 2 secondi che occorrono per adattare una variabile
isolata, e l'enorme divario fra questa grandezza e i 10 22 anni
ci fornisce una lezione essenziale. Nessun sistema complesso
adattabile riuscirà praticamente ad adattarsi in una quan-
tità di tempo ragionevole, a meno che l'adattamento possa
procedere per sottosistemi, essendo ogni sottosistema rela-
tivamente indipendente dagli altri. 31
Questa è una situazione familiare e trova analogia diretta
nelle scatolette puzzles dei bambini, cosi divertenti e tanto
esasperanti. Il problema, in questi puz1.les, è di riuscire 3
formare certe configurazioni dentro la scatola, dando lievi
colpetti al perimetro deUa scatola. Pensiamo al piu sempli-
ce di questi puz1.tes dove sei palline variamente colorate
devono essere -collocate ciascuna in un foro di colore cor-
rispondente.
Un modo di affrontare questo problema può essete quello
di sollevare il giocattolo, dargli una energica scossa, C metter-
lo giu di nuovo, con la speranza che per caso la configura-
zione corretta si formi. Questo metodo del tutto-a-niente
48 può essere ripetuto parecchie migliaia di volte, ma è chiaro
che le possibilità di successo sono trascurabili. Il bambino
che non capisce quale è il migliore metodo per giocare segue
in genere questa tecnica. Ma il modo di gran lunga piu faci·
le - ed è infatti il modo che si adotta ragionevolmente - è'
di manovrare una pallina alla volta. La pallina una volta
che è nel foro vi resta inserita definitivamente, purché si
perqlOta con delicatezza; allora si comincia a manovrare la
-seconda e via di seguito lino ad arrivare alla configurazione
finale, passo per passo. Se trattiamo ogni pallina come un
sottosistema isolabile, e trattiamo i sottosistemi in maniera
indipendente, possiamo risolvere il puzzle.
Se ora consideriamo il.processo creativo della forma, scor-
giamo, alla luce di questi esempi, un modo semplice di
rendere esplicita la distinzione fra i processi che fUDzionan.o
e quelli che non funzionano. Qobbiamo ricordarci in quale
senso preciso vi può essere un sistema attivo in un proces-
so creativo di forma. Si tratta di un sistema puramente fit-
tizio. Le sue variabili sono le condizioni che devono essere
soddisfatte da un buon adattamento fra la forma e il con-
testo. Le sue interazioni sono i collegamenti causali che con·
nettano le variabili una all'altra. Se in una casa non vi è
abbastanza luce, si possono aggiungere altre finestre: il cam·
biamento può migliorare la luce, ma può .compromettere
l'intimità. Un altro modo per aumentare la luce può essere
quello di allargare le finestre ma con questo si potrebbe
far crollare la casa.
Questi sono esempi di collegamenti intervariabili. Se rap·
presentiamo questo sistema disegnando un punto per ogni
variabile di non-rispondenza e un legame fra due punti per
ciascuno dei collegamenti causali, otteniamo una struttura
che è press'a poco cOSI:

49
Adesso torniamo indietro alla questione dell'adattamento. È
chiaro che le variabili di non-rispondenza, essendo intercon-
nesse, non possono essere risolte indipendentemente, una
per una. D'altra parte, poiché Don tutte le variabili sono
connesse in modo ugualmente stretto (in altre parole non vi
sono solamente dipendenze fra le variabili, ma anche indi-
pendenze) vi saranno sempre dei sottosistemi come quelli
J

contornati qua sotto, che possono, in linea di principio, ope-


rare con una certa autonomiaY

Di conseguenza, possiamo rappresentare il processo creativo


di forma come l'azione di una serie di sottosistemi, tutti
concatenati, eppure abbastanza liberi l'uno dall'altro per
adattarsi indipendentemente in un periodo di tempo con-
veniente. Questa funziona, perché i cicIi di correzione e di
ricorrezione, che avvengono durante l'adattamento, sono cir-
coscritti ad un sottosistema alla volta.
In modo diretto, non saremmo capaci di vedere se i pro-
cessi creativi di forma, non autocoscienti e autocoscienti,
operano o meno attraverso sottosistemi. Dedurremo invece
i~direttamente i loro modi di operare.
Il maggiore indizio della struttura interna di qualsiasi pro-
cesso dinamico sta nella sua. reazione al mutamento. Una
cultura, naturalmente, non passa da un mutamento al suc-
cessivo con netti spostamenti. Si intessono continuamente
nuovi fili, che rendòno i mutamenti continui e uniformi. Ma
dal punto di vista del suo effetto su una forma, il muta-
50 mento diventa significativo nel momento in cui un faIli-
mento o una non-rispondenza raggiunge una importanza
critica: nel momento. cioè, in cui questa disattitudine è pale-
semente riconoscibile e la gente sente che la forma ha qual-
cosa di sbagliato in se stessa. È perciò legittimo, per il no-
stro scopo. considerare una cultura come soggetta a mutare
attraverso passaggi netti ed evidenti. 33
Desideriamo sapere, ora. come reagisce il processo creativo
della forma a un tale mutamento. Sia che sopravvenga un
disadattamento nuovo, prima sconosciuto, sia che uno già
noto torni a presentarsi, in ambedue i casi, dal nostro punto
di vista, qualche singola variabile cambia valore da O a 1.
Precisamente, cosa accade quando una variabile di disatti-
tudine assume il valore l? Come si comporta il processo
sotto questo stimolo?
Torniamo indietro per un mOf!lento al nostro sistema delle
100 Ionti luminose. Supponiamo che il sistema sia in uno
stato di adattamento: che, cioè, tutte le fonti siano spente.
Immaginiamo ora che ogni tanto una fonte venga accesa da
un agente esterno, anche se nessuna delle altre è accesa per
attivarla. Aspettando di vedere cosa avviene dopo, possiamo
molto facilmente dedurre la struttura int~rna del sistema,
anche se non possiamo vederla direttamente. Se la fonte
luminosa lampeggia sempre una volta, e poi si spegne anco-
ra e resta spenta, ne deduciamo che le fonti possono adat-
tarsi indipendentemente, e perciò non vi sono interconnes-
sioni fra le fonti. Se la fonte invece ne attiva qualche altra
ed esse lampeggiano insieme per un po', e poi si spengono,
deduciamo che stanno agendo dei sottosistemi di fonti inter-
connesse. Se la fonte lampeggia e poi attiva altre fonti fin-
ché tutte lampeggiano, e non si assestano mai piu, ne de-
duciamo che il sistema è incapace di adattarsi, sottosistema
per sottosistema, perché le interconnessioni sono troppo
ricche.
La fonte luminosa solitaria accesa da un agente esterno è un
caso di disadattamento occasionale. La re~zione del siste-
ma a questo « disturbo» corrisponde alla reazione del pro-
cesso creativo della forma a quella mancata rispondenza. Se
noi rileviamo la presenza attiva di sottosistemi in un pro-
cesso, possiamo allora arguire (come se fosse per induzione) 51
che questa è pienamente responsabile della buona rIspun-
denza deUe forme che sono prodotte dal processo. Poiché
se le buone forme possono sempre essere adattate corretta-
mente ogni qualvolta intervenga un lieve disadattamento,
allora nessuna sequenza di mutamenti distruggerà mai il
buon adattamento (almeno finch~ il processo mantiene que-
sto carattere); e purché vi sia stato buon adattamento in
qualche periodo del passato, non importa quanto remoto
(il primo termine dell'induzione) esso avrà persistito, per-
ché vi è una stabilità attiva in azione.3~ Se, d'altra parte, il
processo formativo è tale che un cambiamento minore di
culwra può rovesciare il buon adattamento delle forme che
produce, allora qualsiasi forma ben adatta che possiamo os·
servare in un periodo o in un altro è solo per caso rispon.
dente; e. la prossima deviazione culwrale potrebbe condur-
re ancora una volta alla produzione di forme inadatte.
È la natura interna del processo che conta. Il punto essen-
ziale che sta alla base della discussione seguente è che nelle
culrure non autocoscienti i costruttori di forma reagiscono
ai. piccoli cambiamenti in un mudo che permette pratica-
meme ai sottosistemi del sistema di non-rispondenza di ope-
rare indipendentemente; mentre, poiché la reazione autoco-
sciente al cambiail lento non può avvenire sottosistema per
sottosistema, le forme che ne scaturiscono sono arbitrarie.
3111 processo
non autocosciente

Rivolgiamo la nostra attenzione, innanzi tutto, alle culture


non autocoscienti.
Sarà prima necessario delineare le condizioni che influen-
zano la produzione delle forme nelle culture non autoco-
scienti. Noi sappiamo per definizione che l'esperienza co-
struttiva viene acquisita senza formalità e in assenza di re-
gole codificate.! Malgrado questa assenza (ma forse in real-
tà, come vedremo piu tardi, proprio per quest'assenza), le
regole no~ espresse sono molto complesse e restano rigo-
rosamente conservate. È stabilito con precisione un modo
di fare le cose, e un modo di non farle. Esiste una tradi-
zione .fermamente determinata, accettata senza discussione
da tutti i costruttori di forma, e questa tradizione resiste
con forza al mutamento.
L'esistenza di tradizioni cosi forti e l'evidenza della loro
rigidità si. manifestano già ad un certo livello in quegli
aspetti delle culture non autocoscienti che sono stati trat-
tati. È chiaro, per esempio, che le forme non restano inal-
terate per secoli senza diventare tradizione. Se le case egi-
ziane del Nilo hanno oggi la stessa pianta delle case rappre-
sentate nei geroglifìci,2 possiamo essere abbastanza certi che
i loro costruttori agiscono nella morsa di una tradizione. In
qualsiasi luogo ave le forme sono virtualmente le stesse oggi
come migUaia di anni fa, i legami devono essere estrema-
mente potenti.
Nell'Italia meridionale, né i trulli della Puglia, né le capan-
ne dei carbonai di Anzio vicino a Roma sono cambiati dai
ter,ppi preistorici. 3 Lo stesso è stato accertato per le case
nere delle Ebridi Esterne e per gli hogans dei Navaho'
La caratteristica piti evidente della tradizione architettonica
nelle culture non autocoscienti è la ricchezza di mito e di
leggenda che si ritrova nell'uso del costruire. Le storie di
rado si occupano esclusivamente di abitazioni, tuttavia de- 53
scrizioni della casa, della sua forma, delle sue ortglnl, ricor-
rono nei principali miti globali che si trovano proprio alle
radici della ctÙtura. Tutte le volte che questo accade, non
solo la tradizione architettonica diventa inattaccabile, ma è
sicura la sua costante ripetizione. Le tende nere, usate dai
nomadi dalla Tunisia all'Afghanistan, ricorrono piu di una
volta nell'Antico Testamento' E i racconti popolari della
antica Irlanda e delle Ebridi Esterne sono pieni di- riferi-
menti indiretti alla forma delle càse.6 L'età di questi esempi
ci dà un'idea di come siano forti e antiche le tradizioni che
agiscono nel modello non autocosciente delle forme di abi-
tazione. Ogni volta che la casa compare in un mito, essa
diventa subito parte di un ordine superiore, ineffabile, im-
mutabile, che non si deve cambiare. Se certi indiani delle
Amazzoni credono che dopo la morte l'anima si ritiri in
una casa posta alla sorgente di un fiume misterioso,' il solo
fatto che la casa sia associata ad una storia di questo gene-
re elimina ogni possibiJità di critica meditata alla sua form.l
standard e pone fuori questione il problema dei limiti della
sua «esattezza ».
I riti e i tabu legati all'abitazione sono ancora piu forti. In
tutta la Polinesia, la resistenza al cambiamento si fa sentire
in modo assolutamente inequivocabile nel fatto che la co-
struzione di una casa è una occasione di cerimonia.! Le fun 4

zioni dei sacerdoti e quelle dei costruttori, malgrado presen-


tino diversità da un'isola all'altra, sono sempre specificate
con chiarezza; e la rigidità dei modelli di comportamentq,
ancorati a una persistenza delle tecniche, conserva le forme
stesse e rende estremamente difficile il cambiamento. Quan·
to agli indiani navaho, essi pure fanno dei loro hogans l'Og4
getto di una esecuzione fra le piu elaborate. 9 Anche qui
l'importanza dei rituali, e la loro rigidezza, rende impossi-
bile il minimo cambiamento nelle forme.
La rigidità della tradizione agisce in modo ancora plU evi-
dente quando i costruttori della forma sono obbligati a lavo-
rare con limitazioni inequivocabili. Il samoano, se deve fare
una buona casa, deve usare il legno dell'albero dei pane. IO
Il contadino italiano che costruisce un trullo a Alberobello
54 può permettersi una certa libertà di espressione personale
solo nel blocco di stucco che corona il cono del tettoY Il
Wanoe ha un canto che gli prescrive minuziosamente la se~
quenza delle operazioni cui deve attenersi mentre costruisce
la sua casa." Il gallese deve fare i cruks che sopportano il
tetto ·seguendo precisamente lo schema della tradiiioneY La
forma dei tetti dei costruttori di Sumatra non deriva da
una esigenza strettamente strutturale, ma solo dal fatto che
quello è il modo di fare i tetti a Sumatra. 14
Ciascuno di questi casi è un esempio dello stesso fenomeno.
Le culture non autocoscienti contengono, come caratteristi-
ca dei loro sistemi di produzione della forma, una certa
intrinseca fissità, dovuta ai modelli del mito, della tradizione
e del tabu, resistenti ad ogni cambiamento volontaristico.
I costruttori di forma si concedono la libertà di una modifi-
ca soltanto in presenza di una ,forte costrizione, ave soprav-
vengano disturbi tanto potenti (e palesi), a carico delle
forme esistenti, da imporne la correzione.

Ora si tratta di stabilire quando insorgano tali perturba~ Agevole intervento


menti, e con quale rapidità la disattitudine della forma con- e rapido adattamento
duca all'intervento che la modifica. Forse dobbiamo prima
considerare quale sia la vicinanza dell'uomo alla terra in
ogni cultura non autocosciente, e pensare ai materiali che
usa quando costruisce la sua casa. L'affittuario di un pic-
colo podere delle Ebridi usa pietra ed argilla e zolle di erba
e paglia, perché trova questi materiali nell'ambiente circo-
sta'nte. 15 La tenda degli indiani era fatta con il cuoio del
bisonte mangiato. '6 Il pugliese usa come pietre da costru-
zione i sassi che ha tolto dalla terra per renderla coltiva-
bileY Questi uomini rivelano estrema perizia nel valorizzare
gli alberi, le pietre e gli animali che forniscono i mezzi per
.la loro sopravvivenza, il loro nutrimento, le loro medicine,
i loro mobili, i loro attrezzi. Per il membro di una tribu
africana, i materiali disponibili non sono semplicemente og-
getti, ma sono pieni di vita. 18 Li conosce completamente dal
principio alla fine; ed essi sono sempre a portata di mano.
Strettamente associato con questa immediatezza sta il fatto
che il costruttore è proprietario della casa che si costruisce,
che non soltanto ha creato la forro"a, ma ci vive dentro, sta- 55
bilendo con essa un contatto particolarmente stretto, che
conduce ad un costante riordinamento del dettaglio insod·
disfacente, a un costante miglioramento. L'uomo, già re-
sponsabile dell'originario configurarsi della forma, ne avver~
te costantemente ogni esigenza mentre l'abita. 19 E, ovunque
si richieda una modifica, l'intervento è immediato.
L'Abipon, che aveva una abitazione pitl semplice di una ten-
da perché era formata da due pali e una stuoia, scavava una
trincea per eliminare la pioggia se questa gli dava fastidio?)
L'eschimese reagisce costantemente a ogni cambiamento di
tempetatura dentto \'iglu aptendo buchi e cbiudendoli con
tappi di neve. 21 L'immediatezza molto particolare di queste
azioni può essere chiarita forse come segue. Pensiamo al
momento in cui la neve comincia a sciogliersi e gocciola dal
soffitto ..divenendo insopportabile. L'uomo deve rimediare
subitO all'inconveniente. Un provvedimento fra i piti proba-
bili ed immediati è allota quello di ptaticate un foto che
lasci entrare aria fredda. L'uomo si rende conto che deve
intervenire, e interviene; ma non lo fa perché ricorda una
regola generale e la applica (( quando la neve incomincia a·
scioglietsi, vuoI dite che fa ttOppO caldo ndl'iglu e petciò è
ala di ... »): semplicemente lo fa. E anche se le patOle pos-
sono accompagnare l'azione, esse non hanno un ruolo essen-
ziale. Questo~.è il punto importante. La deficienza o l'ina-
deguatezza della forma conduce direttamente all'azione.
L'immediatezza è dunque la seconda caratteristica cruciale
della produzione di forma del sistema non autocosciente.
Disattitudine e rimedio procedono fianco a fianco. Non esi-
ste riflessione tra il riconoscimento di una inidonehà e la
reazione ad essa. 21 L'immediatezza è anche accentuata tal~
volta dal fatto che il costruire e il riparare sono fatti di
tutti i giorni. L'eschimese, durante le cacce invernali, co-
struisce un nuovo iglu ogni notte. 23 La copertura della ten-
da degli indiani dura raramente piti di una stagione. 24 Le
pateti di fango della capanna dei Tallensi hanno bisogno di
frequemi impiastrature. 25 Perfino le elaborate abitazioni co-
muni delle tribti amazzoniche sono abbandonate ogni due o
tre anni e vengono costruite di nuovo.~ Materiali non per-
56 manenti e modi di vivere poco stabili richiedono costanti
ricostruzioni e riparazioni e questo fa si che il plasmare for-
ma divenga un compito perennemente presente agli occhi e
alle mani dell'abitante.
Se una forma viene ripetuta nello stesso modo parecchie
volte o addirittura lasciata semplicemente immutata, pos-
siamo essere quasi certi che il suo utente ha trovato poco
da obiettare in essa. Poiché i suoi materiali sono a portata
di mano, e il loro uso è sotto la sua unica responsabilità,
non esiterà certo ad agire appena insorga la necessità di
cambiamenti anche lievi.
Torniamo ora alla questione dell'adattamento. Il principio
fondamentale dell'adattamento dipende dal semplice fatto
che il processo verso l'equilibrio è irreversibile. La disatti~
tudine provoca sempre uno stimolo verso il cambiamento;
l'idoneità invece non lo provoca mai. In teoria il processo
è orientato verso il finale raggiungimento di ùn equilibrio
di forme perfettamente rispondenti.
Comunque, perché l'adattamento praticamente avvenga, de-
ve essere soddisfatta una condizione essenziale. Deve av~re .
il tempo di avvenire. Il processo deve essere capace di rag-
giungere il suo equilibrio prima che un ulteriore cambia-
mento di cultura nuovamente lo turbi. Esso deve realmente
avere tempo per raggiungere il suo equilibrio ogni qual
volta questo è perturbato; o, se consideriamo il processo
come continuo piuttosto che come intermittente, l'adatta-
mento delle forme deve procedere piu rapidamente dell'evo-
luzione del contesto culturale. Se non si verifica questa con-
dizione, il sistema non può mai produrre forme idonea-
mente rispondenti, poiché altrimenti l'equilibrio dell'adat-
tamento non sarà mantenuto.
Come abbiamo visto nel capitolo 3, la velocità dell'adatta-
mento dipende essenzialmente dal fatto che l'adattamento
possa o meno aver luogo in sottosistemi indipendenti e ri-
stretti. Malgrado non sia possibile discernere realmente e
direttamente questi sottosistemi nel processo non autoco-
sciente, si può però dedurre la loro attività proprio dalle due
caratteristiche del processo che abbiamo discusso: l'imme-
diatezza e la tradizione.
La reazione immediata è la retroazione del processo.27 Se il 57
processo deve conservare la buona risponèlenza delle forme
delle abitazioni, mentte lo sviluppo della cultura segue il suo
corso, esso ha bisogno di una retroazione abbastanza sensi-
bile per agire nel momento in cui si manifesta una delle po-
tenziali deficienze. La caratteristica essenziale della retroazio-
ne è la sua immediatezza. Perché solo attraverso un'azione
pronta essa può prevenire l'accumularsi di una serie di defi-
cienze che richiederebbero allora correzioni simultanee: un
compito che p.otrebbe, come abbiamo visto, occupare trop-
po tempo per essere assolvibile in pratica.
Comunque, la sensibilità deIla retroazione non è sufficiente
di per sé per condurre all'equilibrio. La retro3iione deve
essere controllata, e in certo modo contenuta,28 Un simile
controllo è fornilO dalla resistenza al cambiamento che la
cultura non autocosciente ha incorporato nelle sue tradizio~
ni. Forse potremmo dire, a proposito di queste tradizioni,
che esse rendono viscoso il sistema. Questa viscosità atte·
nua i cambiamenti fatti, e impedisce la loro estensione ad
altri aspetti della forma. Ne risulta che sono permessi solo
cambiamenti urgenti. Una volta che una forma risponda
idoneamente non si fanno piu cambiamenti finché essa non
venga nuovamente meno alla sua idoneità. Senza questo fre-
no della tradizione, le ripercussioni di un intervento pro-
vocato, inizialment~, dalla piu piccola deficienza, potrebbe-
ro ampliarsi sempre piu e finirebbero con il propagarsi trOp-
po rapidamente per essere corrette.
Da una parte l'immediatezza della reazione alla disattitudine
assicura che ogni deficienza sia corretta non appena si mani-
festi, e con ciò restringe il cambiamento ad un sottosistema
alla volta. E d'altra parte la forza della tradizione, oppo-
nendo resistenza ai cambiamenti inutili, mantiene ferme tut-
te le. variabili estranee al sottosistema in causa, e impedisce
che quei lievi disturbi fuori del sotlOsistema abbiano presa.
La tradizione rigida e l'azione immediata possono sembrare
contraddittorie. Ma è proprio il contrasto tra queste due
forze che rende il processo autoregolato. È proprio la rea-
zione rapida alle singole deficienze, completata dalla resi-
stenza a tutti gli altri cambiamenti, che permette al proces-
58 so di assumere serie di assestamenti minori, anziché intra-
prenderne di globali e spasmodici: si rende cosi possibile
operare su un sottosistema alla volta, consentendo che il
processo di assestamento si mantenga agile e piu rapido del
ritmo con cui si evolve la culturaj l'equilibrio sarà sicura-
mente ristabilito ogni qual volta avvengano lievi perturba-
zioni; e le forme non SODO semplicemente adatte al loro
contesto culturale, ma sono con esso altresl in un rapporto
di equilibrio attivo. 29

L'azione di un tale processo non grava quasi per niente Semplice correzione
sull'abilirà dell'artigiano individuale. L'uomo che crea la delle deficienze
forma è semplicemente un operatore, e molto poco è ri.chie-
sto a lui durante l'evoluzione della forma. Anche i cam-
biamenti piu involontari condurranno alla fine a forme ido-
neamente rispondenti, perché la tendenza all'equilibrio è
inerente all'organizzazione del processo. Tutto ciò di cui ha
bisogno un operatore è di riconoscere le deficienze quando
si presentano, e di reagire ad esse. E questo può farlo anche
l'uomo piu semplice. Poiché, mentre solo pochi uomini han·
no una capacità integrativa sufficiente per inventare forme
dotate di chiarezza, tutti invece sono capaci di criticare le
forme già esistenti,30 È importante comprendere e stabilire
che in un processo non autocosciente l'operatore non ha
alcun bisogno di forza creativa. Non ha bisogno di saper'
migliorare la forma, ma soltanto di introdurre qualche cam~
biamento quando rileva una deficienza. I cambiamenti pos-
sono non essere sempre per il meglio; ma non è necessario
che lo siano, poiché l'azione del processo assimila solo i mi· '
glioramenti.
Per rendere veramente chiara l'analisi precedente, la userò
per illuminare un fenomeno piuttosto curiosoY I contadini
slovacchi erano una volta famosi per la loro maestria nel
tessere scialli meravigliosi per colori e disegni, con filati che
erano stati immersi in tinture fatte in casa. All'inizio del
XX secolo, cominciarono a utilizzare tinture all'anilina e su~
bito la qualità estetica degli scialli decadde; non erano piu
tenui e delicati, ma grossolani. Questo cambiamento non
può essere attribuibile al fatto che le nuove tinture fossero
in qualche modo peggiori perché erano brillanti come le 59
altre e perfino superiori per varietà di colori. Eppure i nuo-
vi scialli finirono per risultare volgari e privi d'interesse.
Ora se, come sarebbe tanto piacevole supporre, coloro che
face~ano.gli scialli avessero posseduto un'abilità artistica in·
nata, se fossero stati -tanto dotati da essere assolutamente
«capaci» di creare comunque bellissimi scialli, sarebbe qua·
si impossibile spiegare la loro successiva goffaggine. Ma se
consideriamo la situazione in modo differente, è molto faci-
le spiegarla. Gli autori degli scialli erano solo capaci - co-
me lo sarebbero molti di noi - di distinguere gli scialli ma].
riusciti e di correggere i propri errori.
Indubbiamente; nel corso delle generazioni, gli scialli erano
riusciti spessò molto male. Ma ogni volta che se ne faceva
uno scadente lo si riconosceva come tale, e perciò non lo
si ripete:va. E sebbene nulla potesse garantire che il cambia-
mento sarebbe stato per il meglio, si trattava comunque di
un cambiamento. Quando poi i risultati. erano ancora insod-
disfacenti, si provve;deva ad ulteriori modifiche che pote-
vano continuare finché gli scialli non avessero riacquistato
la loro bellezza, facendo cosi venir meno lo stimolo a rie-
laborare il modellp.
Non oc<;orre dunque riconoscere a quegli artigiani doti di
straordinaria abilità. Facevano magnifici scialli rimanendo
entro una lunga tradizione, e operando lievi modifiche ogni
volta che qualcosa sembrava richiedere un miglioramento.
Ma quando si presentarono scelte piti complicate, la loro ap-
parente maestria e la loro stessa facoltà di giudizio scampar·
vero. Fallirono di fronte al compito complesso e poco fami·
liare di inventare forme dal nulla.
4111 processo autocosciente

Dall'analisi della cultura non autocosciente emerge uno sche-


ma chiaro: essendo autoregolata, la sua azione permette la
produzione di forme capaci di ben adattarsi e di restare in
equilibrio attivo col sistema.
Del tutto divetso è il modo di creazione delle forme nella
cultura autocosciente. Proverò a dimostrare che, proprio
come è una proprietà. del sistema non autocosciente quella
di produrre forme perfettamente adatte, C051 è una carat-
teristica del sistema autocosciente che le sue forme non ri-
spondano in modo idoneo.
È abbastanza facile immaginare che cosa comincia ad andar
male col manifestarsi della autocoscienza: le stesse caratte-
ristiche che abbiamo riconosciuto come responsabili della
stabilità del processo non autocosciente cominciano a sparire.
La reazione alla deficienza, una volta cOSI immediata, ora lo
diventa sempre meno. I materiali non sono piu a portata
di mano. Gli edi6.ci permangono piu a lungo; le riparazioni
sono meno frequenti e i riattamenti meno comuni di una,
volta. La costruzione non è plu nelle mani degli abitanti;
quando si presentano deficienze, devono essere varie volte
rifp.rite e descritte prima che lo specialista le riconosca e
faccia qualche accomodamento stabile. In tal modo la deli·
cata sensibilità della reazione alle deficienze che è tipica del
processo non autocosciente, in quello autocosciente risulta
decisamente attenuata e gli inconvenienti debbono essere
piuttosto considerevoli per provocare un intervento cor-
rettivo.
Ma anche la resistenza opposta dalla tradizione tende a sua
volta a dissolversi. La resistenza al çambiamento intenzio-
nale diventa piu debole, e il cambiamento in se stesso, una
volta deciso, è accettatO senza riserve. Le forme non si mano
tengono -costanti sotto ogni aspetto salvo uno, in modo che
la correzione possa essere immediatamente efficace, e il gio- 61
co reciproco dei cambiamenti simultanei è ora senza con-
trollo. La viscosi tà che induceva il processo non autocoscien-
te a fermarsi quando non vi erano piu deficienze, è sciolta
ora dall'alta temperatura dell'autocoscienza. E, come risul-
tato di ciò. la spinta del sistema verso l'equilibrio non è pitl
irreversibile; qualsiasi equilibrio trovi il sistema, ormai non
sarà piu permanente; quegli aspetti del processo che pote-
vano conservarlo sono stati perduti. E d'altra parte il pro-
cedere della cultura è divenuto cosi rapido da non conce-
dere all'adattamento quel tempo che una volta lo rendeva
possibile. Non appena un assestamento è cominciato, la cul-
tura con una nuova svolta impone una nuova direzione.
Nessun assestamento riesce mai a concludersi. E la condi-
zione ess~nziale del processo - che esso abbia il tempo di
raggiungete il suo equilibrio - è violata.
Tutto questo accade nella realtà, oggi. Nella nostra civiltà,
il processo di adattamento e di selezione che agisce nelle
culture non autocoscienti è chiaramente scomparso. Ma que-
sto, di per sé, non basta a spiegare il fatto che la cultura
autocosciente non riesca a produrre nel suo proprio modo
forme idoneamente rispondenti e organizzate con chiarezza.
Anche se può essere genericamente ragionevole il rendere
responsabile la nostra autocoscienza del presente insuccesso,
dobbiamo tuttavia scoprire quale male aflligga la produzio-
ne di forma autocosciente. La patologia della cultura auto-
cosciente è di per sé problematica e non può essere spiegata
semplicemente con il tramonto del processo non autoco-
sciente.
Qui non si vuole sottintendere che vi sia senz'altro un de-
terminato, unico processo di sviluppo in virru del quale le
culture autocoscienti possono farsi derivare da quelle non
autocoscienti. Ricordiamoci comunque che la distinzione fra
i due tipi è artificiale. E, per di piu, i fatti della storia sug-
geriscono che l'eventuale sviluppo dall'una all'altra può av~
venire in vari modi. 1 Dal punto di vista di questa specifica
argomentazione, è indifferente il modo in cui avviene lo
sviluppo. Ciò che conta, attualmente, è che prima o poi
quel fenomeno evolutivo che è il maestro artigiano comin-
62 cia ad assumere il controllo delle attività creative di forma.
Un esempio antico dell'autocoscienza in evoluzione si trova
a Samoa. Mentre le case dei samoani sono costruite dai loro
stessi abitanti, la tradizione esige che le cas~ per gli ospiti
siano costruite da carpentierLl Poiché questi carpentieri han-
no bisogno di trovare clienti, essi si offrono in qualità di
artisti; e cominciano a introdurre innovazioni personali e
cambiamenti col solo scopo di fatsi eventuali clienti che pos-
sano giudicare il loro lavoro per la sua fantasia. 3
L'affermazione deUa propria individualità perseguita dal Individualismo
creatore di forma è un caratteristico fenomeno della cultura e architettura
autocosciente. Pensate alle forme premeditate dei nostri a.r-
chitetti che operano alla luce della ribalta. L'individuo, la
cui esistenza dipende dalla fama che raggiunge, è ansiose
di distinguersi dai suoi colleghi architetti, di introdurre in·
novazioni, e di diventare celebre. 4
Lo sviluppo dell'individualismò architettonico è la manife-
stazione piu evidente della fase in cui l'architetto si volge
per la prima volra verso una disciplina autocosciente. E
l'individualismo dell'architetto autocosciente non è neanche
completamente voluto. È una naturale conseguenza della
decisione di un uomo di dedicare la sua vita esclusivamente
alla specifica attività chiamata «architettura ».5 È chiaro che
in questo momento per la prima volta l'attività diventa ma·
tura per la ,teoria e per il pensiero impegnato. Poi, quando
l'architettura si propone come disciplina e l'architetto indi-
viduale si afferma, intere istituzioni -si formano per dedi-
carsi esclusivamente allo studio e allo sviluppo deUa pro-
gettazione. Si istituiscono le accademie; e mentre esse si svi-
luppano, i precetti non formulati della tradizione cedono il
campo a concetti chiaramente formulati, le cui stesse formu-
lazioni stimolano la critica e il dibattito. 6 Gli interrogativi
conducono al dubbio, la libertà architettonica a ulteriori
prese di coscienza, finché risulta che (almeno finora) la
libertà del creatore di forma è stata pagata a caro prezzo.
La scoperta dell'architettura in quanto disciplina indipen.
dente, costa molti cambiamenti fondamentali al processo
creativo della forma. E in realtà, nel senso che mi propon-
go di descrivere, l'architettura può dirsi fallita nel momento
stesso del suo inizio. Con l'invenzione di una disciplina che 63
si può insegnare, chiamata «architettura », l'antico processo
del creare forma è stato adulterato e le sue possibilità di
successo distrutte.
La radice di questo male sta nell'individuo. Nel sistema non
autocosciente l'individuo è solo un semplice agente.7 Fa ciò
che s? fare come meglio può, gli si domanda molto poco
e non ha alcun bisogno di inventare forme. Tutto ciò che
si esige da. lui è che sappia riconoscere i disadattamenti e
reagire ad essi operando piccoli cambiamenti; e neppure
si richiede che si tratti di cambiamenti per il meglio. Come
abbiamo visto, poiché il sistema è capace di autoregolarsi,
trova il proprio equilibrio, alla sola condizione che ogni
disadattamento stimoli una qualsiasi reazione nell'operatore.
Le forme prodotte all'interno di questo sistema non sono il
lavoro -di individui. e il .loro successo non dipende dalPabi-
lità artistica di un qllalsiasi singolo uomo. ma solo dal posto
che' occupa Fartista dentro il processo. 8
Il processo autocosciente è dìverso. Il riconoscimento autd-
cosciente della propria individualità da parte dell'artista ha
un effetto profondo sul processo del creare forma. Ogni
forma è veduta ora come Papera di un solo uomo e il suo
successo avvantaggia "solo !ui. L·autocosdenza porta con sé
il desiderio di liberarsi. il gusto per l'espressione ind1vidua·
le. l'evasione dall.a tradizione e dai tabu. la volontà di auto-
determinazione. ~a lo slancio del desiderio è temperato dai
limiti dell'inventiva umana. Per compiere in poche ore al
tavolo da disegno ciò che una volta avveniva in secoli di
adattamento e sviluppo. per inventare improvvisam"ente una
forma che si adatti con chiarezza al suo contesto, la misura
dell·invenzione necessaria supera le possibilità di un proget·
. tis ta medio.
Un uomo che si impegna a compiere questo adattamento
in un solo balzo non è dissimile dal bambino che scuote
irritato il suo puzzle illudendosi di poter con un sol colpo
sistemare correttamente i pezzetti all'interno della scato1a.9
Il tentativo del progettista non è allidato al caso come
quello del bambino, ma le dillicoltà sono le stesse. Le sue
possibilità di successQ sono scarse perché è enorme il nume-
64 ro dei fattori ch~ devono andare simultaneamente a posto.
Ora, in un certo senso, la capacità limitata del progeuista
individuale rende superflua ogni ulteriore trattazione circa
·le deficienze dell'autocoscienza. Se la cultura autocosciente
conta sull'individuo per produrre le sue forme, e l'individuo
non ne è all'altezza, pare che non vi sia altro da dire. Ma
la cosa non è cosi semplice. L'individuo non è soltanto de"
bole. Nel momento in cui, di fronte all'enotme sfida di un
nuovo problema di progettazione, si rende conto della sua
debolezza, fa dei passi per superarla; e, piuttosto strana-
mente, proprio questi passi esercitano· un'influenza negativa
sul modo in cui sviluppa le forme. Vedremo, infatti, come
il mancato successo del sistema autocosciente non sia attri-
buibile tanto alla scatsa capacità dell'individuo in generale,
quanto al tipo di sforzi che egli fa, quando è autocosciente,
per superare la sua incapacità..

Esaminiamo meglio quale genere di difficoltà deve fronteg- Classificazione


giare il progettista. Prendiamo, per esempio, il ptogetto di dei requisiti
un semplice bollitore, Deve uscirne un bollitore che si adat·
ti al contesto del suo uso. Non deve essere troppo piccolo.
Non deve essete difficile da maneggiate quando è caldo.
Non deve essere facile lasciarlo cadere pet sbaglio. Non deve
ess~re difficile sistemarIo in cucina. Non deve essere difficile
farne uscire l'acqua, Deve consentire un agevole versamento.
Non deve permettere che l'acqua si raffreddi troppo presto.
I! materiale di cui è fatto non deve essere. troppo costoso.
Deve poter sopportate il calore dell'acqua bollente. Non de-
ve essere difficile pulirlo ~sternamente. Non deve avere una
forma difficile da fabbricare. Non deve avete una forma
inadatta al materiale che si sceglie per costruirlo, qualunque
esso sia. Non deve essere difficile fionrarlo, poiché questo
aggrava il costo delle ore lavorative. Non deve facilmente
corrodersi nei vapùri delle cucine. Il suo interno deve con-
servarsi libero da incrostazioni. Non deve essere difficile
riempirlo d'acqua'. Non deve essere poco economico scaI-
darvi, all'occorrenza, piccole quantità d'acqua che non lo
riempiano interamente. Non deve interessare soltanto una
minoranza tanto esigua da non poter essere appropriata-
mente fabbricato a motivo di una insufficiente richiesta. Non 65
deve essere COSI complicato da far temere che provochi in-
cidenti quando è adoperato da bambini o da invalidi. Non
deve far evaporare completamente l'acqua e arroventarsi
senza dare un segnale. Non deve essere poco stabile sul for-
nello mentre bolle.
Ho deliberatamente riempito una pagina con l'elenco di
questi ventuno requisiti o variabili di non-rispondenza lO
modo da precisare la natura amorfa dei problemi di pro-
gettazione che si presentano al progettista. Naturalmente il
progetto di un oggetto complesso, come è un'automobile, è
molto piu difficile e richiede un elenco molto piu lungo.
E non mi sembra necessario entrare ora nel merito della
lunghezza e deU'apparente disordine riscontrabile in un elen-
co atto "a definire adeguatamente il problema del progettare
un ambiente urbano.
In che modo può un progettista operare in presenza di coo- .
dizioni tanto disperse e amorfe, quando affronta il proble-
ma? Cosa farebbe uno di noi?
Poiché non possiamo riferirei alla lista completa ogni volta
che pensiamo al problema, inventiamo una notazione «ste-
nografica». Classifichiamo le voci, e poi pensiamo ai nomi
delle classi: poiché esse sono ovviamente meno numerose
delle voci, possiamo pensare ad esse molto piu facilmente.
Per usare un linguaggio psicologico, vi sono limiti al nume-
ro di concetti distinti che possiamo trattare in una sola vol-
ta in modo cognitivo, e perciò siamo costretti, se desideria-
mo avere una visione dell'intero problema, a ricodificare
queste voci. IO E cosI, nel caso del bollitore, potremmo clas-
sificare i requisiti che derivano dal processo di fabbricazio-
ne, quelli relativi alla sua capienza, quelli che garantiscono
la sua sicurezza, quelli che permettono un'economia nel
riscaldamento dell'acqua e quelli relativi al suo buon aspet-
to. Ognuno di questi concetti fornisce un termine generale
per un certo numero di requisiti specifici. Se avessimo 0101-
ra fretta (o se per qualche altra ragione fossimo obbligati
66 a semplificaro ulteriormente il problema) potremmo anche
classificare questi concetti a loro volta e trattare il problema
semplicemente in termini di (l) funzione e (2) economia.
In questo caso avremmo eretto un sistema gerarchico a 4
livelli sovrapposti, come nel diagramma seguente.

bollilOre

funzionalità economia

~f'à
produzione sicurezza uso costo manutenzione

~A\A\'~~
21 requisiti specifici

Costruendo una tale gerarchia concettuale per proprio uso,


il progettista è in grado di aver di fronte il problema tutto
in una volta. Egli raggiunge cosi una grande economia di
pensiero, e può con questi strumenti trovare una propria
strada attraverso problemi complessi che altrimenti non po-
trebbe affrontare. Se si pensa che la sistematizzazione posta
non sia tanto frequente in pratica, basta pensare a qualsiasi
manuale di ingegneria o catalogo di architettura; la gerar-
chia dei titoli e dei sottotitoli dei capitoli è organizzata
come è, proprio per comodità di comprensione. Il
Per superare le difficoltà ç1ella complessità, il progettista
tenta di organizzare il suo problema. Egli ne classifica i vari
aspetti: e con ciò gli dà forma e lo rende piu facile da ma·
neggiare. Ciò che piu lo disturba non è neppure la difficoltà
del problema. La maggior fatica è dovuta al peso costante
delia decisione: la responsabilità di cui si grava, una volta
liberato dalla tradizione, egli la evita dove può usando rego-
le (o principi generali), che formula in termini concettuali
di Sua invenzione. Questi principi sono alla radice di tutte
le cosiddette «teorie» della progettazione architettonica,ll 67
Si tratta di prescrizioni che alleviano il peso dell'autoco-
scienza e della eccessiva responsabilità.
È avventato, forse, considerare l'invenzione dei concetti e
delle prescrizioni come un tentativo cosciente di semplifi.
,care i problemi. In pratica essi si sviluppano come natu-
rale risultato della discussione critica sulla progettazione. In
altre parole, l'invenzione di concetti verbali e di regole non
deve essere vista in astratto come il presunto risultato di
un'attitudine categoriale individuale, ma può essere riscon-
trata ovunque si incontri il tipo di educazione formale che
abbiamo' chiamato autocosciente.
Un novizio, nella situazione non autocosciente, impara ve-
nendo corretto ogni volta che sbaglia: «No, non in quel
modo, in questo modo.»
Nessun tentativo è fatto per formulare astrattamente quanto
implica il «modo giusto ». Il modo giusto è ciò che resta
quando tutti i modi sbagliati sono stati eliminati. Ma in
un'atmosfera intellettuale libera dalle inibizioni della tradi-
zione, il quadro cambia. Dal momento che lo studente è
libero di discutere ciò che gli viène detto, e il valore è posto
sulla spiegazione, diventa importante decidere perché «que·
sto» piuttosto che «quello» sia il modo giusto, e cercare
ragioni generali. Si fanno tentativi per racchiudere in prin·
cipi gli specifici fallimenti e gli specifici successi che si sono
verificati. Ed ogni principio generale ora prende il posto di
molte ammonizioni specifiche e distinte. Esso ci dice in so~
'stanza di evitare questo tipo di forma, di preferire quell'al-
tro. Una volta definito ciò che rappresenta un errore e ciò
che rappresenta un successo, il tirocinÌo dell'architetto si
sviluppa rapidamente.
L'enorme elenco di possibili inidoneità o disattitudini, trop-
po complesso per essere assorbito astrattamente dallo stu-
de'lte, e per questa ragione afferrato di solito solo attraver·
so l èsperienza diretta, come avviene nella cultura non auto-
cosciente, può ora essere imparato perché gli è stata data
una forma. Le variabili di disadattamento sono schematiz·
zate in categorie (come ad esempio «economia» o «acu-
stica >.\) e, condensate in questo modo, possono essere inse-
68 gnate, discusse, e criticate. È a questo punto - quando cioè
si delineano nell'istruzione, e prendono corpo neIl'esercizio
deila professione, principi concettualmente determinati -
che comincia a manifestarsi l'effetto nocivo dell'autocoscien-
za sulla forma.

Tenterò ora di richiamare l'attenzione sulla particolare, e Sistemazione in


tanto dannosa, arbitrarietà dei concetti che vengono inven- un ordine di concetti
verbali che sono
tati. Ricordiamoci che iJ sistema di requisiti interdipendenti arbitrari
o variabili di disattittldine, attivo nell'insieme non autoco-
I
sciente, è tuttora presente sotto la superficie.
Supponiamo, come prima, di raffigurare grossolanamente j1
sistema disegnando un collegamento fra ogni coppia di re-
qaisiti interdipendentij otteniamo qualcosa che ha fonda-
mentalmente questo aspetto.

Come abbiamo visto prima, le variabili di un tale sistema


possono essere ardi nate in modo da soddisfare le condizioni
stabilite in un tempo ragionevole, solamente se i suoi sotto-
sistemi sono ordinati indipendentemente uno dall'altro. Un
sottosistema, parlando approssimativamente, è una delle ov-
vie componenti del sistema, come le parti raffigurate con un
cerchio attorno ad esse. Se tentiamo di ordinare un insieme
di variabili che non costituiscono un vero sottosistema, le
ripercussioni di quest'operazione di ordinamento interesse-
ranno altre variabili o gruppi di variabili esterni all'insieme,
per il semplice fatto che quest'ultimo non è abbastanza in-
dipendente. Abbiamo visto, nel cap.itolo 4, come il proce· 69
dimento del sistema non autocosciente sia organizzato in mo~
do che l'operazione di ordinamento può aver luogo indipen-
dentemente in ognuno di questi sottosistemi. Questa è la
ragione del suo successo.
Nella situazione autocosciente, d'altra parte, il progettista si
trova di fronte simultaneamente tutte le variabili. Sappiamo
già dal semplice calcolo della pagina 40 che se egli tenta di
maneggiarle tutte in una volta non riuscirà a trovare una
forma adatta in un periodo di tempo ragionevole. Allora,
quando ptende coscienza di questa difficoltà, tenta di suddi-
videre il problema, e cOSI inventa concetti per aiutare se
stesso a decidere quali sotto-insiemi di requisiti deve affron-
tare indipendentemente. Ora cosa sono questi concetti, nei
termini del sistema di variabili? Ogni concetto identifica una
certa collezione di variabili. L'« economia» identifica una
parte del sistema, la «sicurezza» un'altra, 1'« acustica» un'al·
tra, e COS1 via.
L'obiezione che insorge a questo punto è la seguente. Tali
concetti non aiuteranno il progettista a trovare una soluzio-
ne adatta a meno che non accada che essi vengano a corri-
spondere ai sottosistemi del sistema. Ma poiché i concetti
sono nel complesso il risultato di arbitrari accidenti storici,
non vi è alcuna ragione di aspettarsi che essi corrispondano
ai sottosistemi. Possono altrettanto bene identificarsi con
70 qualsiasi altra parte del sistema, come in questo esempio:
Naturalmente questo dimostra solo che i concetti possono
facilmente essere arbitr~ri. Non mostra che i concetti ado~
perati in pratica sono sempre effettivamente tali. Invero, è
chiaro che la loro arbitrarietà può essere accertata solo in
casi individuali e specifici. Un'analisi dettagliata del proble.
ma di progettare case urbané famigliari, per esempio, ha
dimostrato che le categorie funzionali usualmente accettate,
come l'acustica, la circolazione e la comodità, sono inappro-
priate a questo problemaY In modo simile il principio del
«vicinato », uno dei vecchi caposaldi della teoria urbanisti"
ca, si è dimostrato un'inadeguata componente ideologica del
problema della pianificazione residenziale." Ma poiché tali
dimostrazioni possono essere fatte solo in casi speciali, si
tratta di cercare una ragione piti generale, che dimostri
come questi concetti verbali abbiano sempre un carattere
arbitrario.
Ogni concetto può essere definito e inteso in due modi com·
plementari. Possiamo considerarlo come nome unitario dato
ad una classe di oggetti o di altri concetti sussunti; oppure
possiamo mirare a ciò che esso significa. Noi definiamo un
concetto per denotazione quando specifichiamo tlltti gli ele-
menti della classe alla quale si ri!eriscè. E definiamo un
concetto per connotazione quando tentiamo di illuminare il
significato analiticamente e ne indichiamo le proprietà e gli
attributi ricorrendo a termini di altri concetti d~llo stesso
livello."
Per lo scopo dell'argomento ho trattato fino ad ora termini
qua.li « acustica ~> come nomi di classe, come un mezzo col-
lettivo per discutere un numero di requisiti piu specifici. 71
Lo stesso «vicinato », sebbene sia meno astratto e piti fisico, •,
è ancora un concetto' che riassume mentalmente tutti quei
requisiti specifici, come le scuole primarie, la sicurezza dei
pedoni, e la comunità, che un vicinato fisico si suppone
dovrebbe soddisfare. In altre parole ognuno dei concetti
« acustica» e «vicinato» ~ è una variaoile la cui estensione
di valore è uguale a quella data dalla congiunzione di tutte
le estensioni di valore rispettivamente delle variabili spe-
cifiche dell'acustica, o delle variabili specifiche della vita co-
munitaria. 16 Questa visione estensiva o denotativa del con-
cetto è opportuna per ragioni di chiarezza matematica. Ma
in pratica, i concetti non sono inventati e definiti per deno-
tazione; sono generati per connotazione. Si adattano, cioè,
concetti nuovi allo schema del linguaggio quotidiano met-
tendo in -<elazione i loro significati con quelli di altre parole
attualmente disponibili nella lingua che parliamo. Eppure
questo ruolo assunto dal linguaggio nell'invenzione di con·
cetti nuovi, malgrado sia molto importante dal punto di
vista della comunicazione e della comprensione, è quasi com-
pletamente irrilevante dal punto di vista della struttura di
un problema. n L'esigenza che un nuovo concetto sia defi-
nibile e comprensibile è importante dal punto di vista del-
l'insegnamento e della progettaziòne autocosciente. Prendia-
mo, per esempio, il concetto di «sicurezza». La sua esisten-
za come parola comune è conveniente e aiuta a insistere
sull'importanza veramente generale di introdurre nei proget·
ti la difesa dai pericoli. Ma è usata nell'esposizione di pro-
blemi fra loro totalmente differenti C'0me la progettazione
di un bollitore per il té o quella di un raccordo autostra-
dale. Il suo ~igniiìcato è pertinente ad ambedue. Ma in quan-
to all'andamento della struttura individuale dei due proble-
mi, sembra improbabile che una parola possa identifica~e con
successo un sottosistema componente principale in ognuno
di questi due problemi tanto differenti. Sfortunatamente,
malgrado ogni problema abbia la sua propria struttura e vi
siano molti problemi differenti, le parole che sono disponi-
bili per descrivere le componenti dei problemi sono gene-
72 rate da componenti del linguaggio, e non dai problemi stes-
I si; sono perciò piuttosto limitate in numero e solo in pochi
casi possono fornire una descrizione corretta. 18
l'rendiamo ancora l'esempio del bollitore. Ho fatto un elen-
co di 21 requisiti che devono riscontrarsi, entro limiti spe-
l cifici, in un bollitore progettato in modo accettabile. Dato
un insieme di n cose, vi sono 2n sottoinsiemi diversi di que-
ste cose. Ciò vuoi dire che vi sono 221 sottoinsiemi differenti
di variabili, ognuna delle quali potrebbe essere probabilmen-
te un importante sottosistema componente del problema del
bollitore. Per dare un nome solo ad ognuna di queste com-
ponenti ci accorrerebbero piu di un milione di parole diver-
se - piu di quelle che esistono, poniamo, nella lingua
inglese.
Un progettista può obiettare che il suo modo di pe1nsare non
è mai verbale come io ho insinuato, e che, invece di usare
concetti verbali, affronta il problema complicato diagram-
mandolo nei suoi vari aspetti. Questo è vero. Ricordiamoci,
tuttavia cosa esattamente il progettista tenta di diagramma-
re. Configurazioni fijiche quali quelle del «vicinato» o del-
lo «sc:bema- di circolazione» non hanno u!la validità piu
universale di quella dei concetti verbali. Esse sono altret-
tanto limitate dai condizionamenti ideologici di chi traccia
il diagramma. Una tipica sequenza di diagrammi che pre-
cede un problema architettonico includerà un diagramma di
circolazione, un diagramma di acustica, un diagramma sta~
tico della struttura, forse un diagramma per il sole ed il
vento, un diagramma dell'ambiente sociale. lo sostengo che
questi diagrammi sono adoperati solo perché i principi che"
li definiscono - l'acustica, la circolazione, la condizione del
tempo, il vicinato - fanno parte dell'uso architettonico cor-
rente, non perché essi abbiano una relazione fondamentale e
ben capita con ogni problema particolare indagato. 19
Cosi come stanno le cose, il procedimento della progetta-
zione autocQsciente non fornisce alcuna corrispondenza strut-
turale fra il problema ed i mezzi concepiti per risolverlo. La
complessità del problema non è mai del tutto districata, e
le forme prodotte non solo non riescono a soddisfare le
loro specificazioni come dovrebbero ma mancano anche del- 73
la chiarezza formale di cui godrebbero se l'organizzazione del
problema al quale esse sono adattate fosse capito meglio.
Rigidità dei Forse vale la pena di aggiungere, come nota a margine, un
concelli e loro punto di vista leggermente differente sulla stessa difficoltà.
influenza L'arbitrarietà dei concetti verbali esistenti non è il loro solo
svantaggio, perché una volta inventati, i concetti verbali
hanno ulteriori cattivi effetti su di noi. Perdiamo infatti la
capacIta di modificarli. Nella situazione non autocosciente
l'azione della cultura sulla forma è una questione molto
delicata, costituita da parecchie minute influenze concrete.
Ma una volta che queste influenze concrete sono rappresen-
tate simbolicam~nte in termini verbali, e queste rappresen~
tazioni simboliche o nomi sono compresi sotto categorie piti
vaste e ancora piti astratte per renderle trattabili dal pensie-
ro, esse ç,ominciano a menomare seriamente la nostra abilità
di vedete al di là di esse.»
Quando molte questioni sono prese in considerazione in una
decisione di progettazione, inevitabilmente quelle che pos-
sono essere espresse con maggior chiarezza hanno il mag-
gior peso, e si riflettono meglio nella forma. Altri fattori,
anche importanti ma espressi con minor chiarezza, non si
riflettono altrettanto bene. Imbrigliati in una rete di parole
da noi inventata, noi sopravvalutiamo l'imparzialità del lin-
guaggio. Ogni concetto, che al momento della sua inven-
zione è solo un modo conciso per afferrare parecchi pro-
blemi, finisce col diventare rapidamente un precetto. Fac-
ciamo troppo facilmente il passo dalla descrizione al criterio,
trasformando in una preoccupazione bigotta ciò che dappri-
ma è uno strumento utile.
L'attitudine dei romani verso la funzionalità e l'ingegneria,
non raggiunse il suo apice fino a che Vitruvio non ebbe
formulata la dottrina funzionalista. 2l Il Partenone poté esse-
re creato solo durante un periodo di preoccupazione per i
problemi estetici, dopo !'invenzione del concetto di «bel-
lezza» dei greci antichi. Gli slums a basso costo dell'In·
ghiltetra del XIX secolo futono concepiti solo quando ai
valori 'monetari fu data, esplicitamente, una grande impor-
tanza attraverso il concetto «economia» inventato non
74 molto prima. 22
In questo modo la comprensione dei problemi da parre del·
l'individuo auwcosciente è costantemente sviata. I suoi con-
cetti e le sue categorie, oltre ad essere arbitrari e inadatti,
sono resi auto-perpetuantesi. Sotto l'influenza dei concetti,
egli non solo costruisce oggetti da un punto di vista pre-
concetto ma li vede, anche, in modo preconcetto. I con-
cetti hanno il controllo della sua percezione di ciò che è
adatto e disadatto - finché alla fine egli non vede altro
che deviazioni dai suoi dogmi concettuali, e perde non solo
lo slancio ma perfino la responsabilità mentale necessari a
inquadrare i problemi in maniera piu appropriata.
Parte seconda
1 III programma

Ecco il problema. Desideriamo progettare forme chiaramen-


te concepite, che siano pienamente rispondenti a un dato
contesto. Abbiamo visto che perché ciò sia p~ssibile, l'adat-
tamento deve aver luogo indipendentemente, entro sottosi-
sterni indipendenti di variabili. Nella situazione non autoco-
sciente questo avviene automaticamente, perché il singolo
artigiano ha troppo poco controllo sul processo per scon-
volgere lo schema di adattamento implicito nell'insieme.
Sfortunatamente questa situazione non esiste piu; iI nume-
ro delle variabili è aumentato, l'informazione che ci si pre-
senta è diffusa e confusa, e i nostri tentativi di ricalcare
l'organizzazione naturale del processo non autocosciente in
modo autocosciente sono ostacolati, perché proprio i pen-
sieri che abbiamo, quando tentiamo di aiutare noi stessi,
distorcono il problema e lo rendono troppo oscuro per po·
terlo risolvere.
I! dilemma è semplice. Con il passare del tempo il proget-
tista raggiunge un controllo sempre maggiore sul processo
della progettazione. Ma cOSI facendo, i suoi sforzi per occu-
parsi dei crescenti oneri conoscitivi rendono sempre piu dif-
ficile che la reale struttura causale del problema si esprima
nel processo.
Cosa possiamo fare per vincere questa difficoltà? È difficile
immaginare come qualsiasi teoria sistematica possa in qual-
che modo alleviarla. Vi sono problemi, come alcuni di quelli
che si presentano in economia, nel gioco degli scacchi, nella
logica, o nell'amministrazione, che possono essere chiariti
e risolti meccanicamente.' Questo è possibile perché sono
compresi in misura sufficiente per venir trasformati in pro-
blemi di selezione.'
Per risolvere un problema attraverso la selezione sono ne-
cessarie due cose:
1. deve essere possibile esprimere per mezzo di simboli 79
una serie abbastanza ampia di possibili soluzioni alternative;
2. deve essere possibile esprimere tutti i criteri- risolutivi
nei termini dello stesso sistema semiologico.
Quando sono soddisfatte queste due condizioni, possiamo
confrontare l'una con l'altra, le alternative già ottenute tra-
mite il predetco ricorso a un codice di simboli, sperimen~
tandane l'efficacia in rapporto ai rispettivi criteri risolutivi,
finché ci appaghiamo di trovarne una che sia soddisfacente,
o ci spingiamo a raggiungere la migliore. È subito evidente
che dovunque sia possibile tale tipo di processo, non abbia-
mo bisogno di «progettare» una soluzione. Difatti perrero-
lno quasi dichiarare che un problema ha bisogno di una
progettazione (nel senso piu vasto della parola) solamente
quando la selezione non può essere usata per risolverlo. Sia
che accertiamo questo o no, l'opposto è vero in ogni caso.
Quei problemi della creazione di forme che sono tradizio-
nalmente chiamati «problemi di progettazione» esigono tut·
ti un'attività inventiva.
Vediamo perché è cosi. Prima di tutto, per quanto riguarda
le forme fisiche, non conosciamo alcuna via simbologica ge-
nerale realmente utile al fine di proliferare nuove alterna·
tive; o, piuttosto, quelle alternative che possiamo COS1 gene-
rare limitandoci a variare i tipi esistenti, non riflettono l'or·
ganizzazione radicalmente nuova che la soluzione di ciascun
nuovo problema di progettazione richiede. Questa può dun-
que essere conseguita solamente' attraverso l'invenzione. In
secondo luogo, ciò che è probabilmente pili importante,
non sappiamo come esprimere con sicurezza i criteri per con-
seguire il successo, nei termini di una qualsivoglia descri·
zione simbologica della forma. In altre parole, dato un nuo-
vo progetto, quasi sempre non esiste alcun mezzo per indur·
re meccanicamente, a partire dai puri e semplici disegni che
lo descrivono, un esatto giudizio sulla sua rispondenza o
meno ai requisiti. O dobbiamo .collocare l'oggetto finito nel
suo contesto reale del mondo fisico e verificare sperimentaI.
mente se in pratica funziona, o dobbiamo usare la nostra
immaginazione e la nostra esperienza del mondo per pre·
dire dai disegni se sarà in grado, o meno, di funzionare.
80 Non esiste un rapporto traducibile in simboli, fra i requisiti
e la descrizione della forma, che sia in grado di fornire un
appropriato criterio; e pertanto manca una via di verifica
della forma mediante linguaggio simbolico.' In terzo luogo,
anche se queste prime due obiezioni potessero essere in qual·
che modo superate, vi è una difficoltà realmente decisiva.
È la stessa difficoltà, precisamente, che incontriamo tentan-
do di costruire ipotesi scientifiche manipolando un determi·
nato numero di dati. I soli dati non sono sufficienti per
definire un'ipotesi; la costruzione di ipotesi richiede l'ulte·
riore introduzione di principi come la semplicità (il rasoio
di Occarn), la non arbitrarietà e la chiara organizzazione. 4
La costruzione della forma richiede anch'essa questi principi.
Al presente non v'è alcuna prospettiva di introdurre questi
principi meccanicamente vuoi. nella scienza, vuoi nella pro·
l

gettazione. Essi richiedono ancora invenzione.


È perciò impossibile sostituire le azioni di un progettista
esperto, con decisioni calcolate meccanicamente. E, nello
stesso tempo, la capacità inventiva di un progettista indi-
viduale è troppo limitata perché risolva con successo da solo
i problemi della progettazione. Se non ci si può aspettare
che la teoria da sola inventi la forma, com'è possibile far SI
che essa, invece, sia utile al progettista?

Incominciamo con lo stabilire in modo piu esplicito qual è Processo della


esattamente la funzione del progettista nel processo della progettazione
progettazione. Confronterò, schematicamente, tre possibili
tipi del processo di progettazione.
Il primo schema rappresenta la situazione non autocosciente
descritta nel capitolo 4. Qui il processo che plasma la forma
è una complessa interazione nelle due direzioni fra il con-
testo C, e la forma F I , nel mondo stesso. L'essere umano è
presente solo come un agente in questo processo. Reagisce
alle disattitudini operando cambiamenti; ma è poco proba-
bile che imponga qualsiasi concezione «progettata» alla
forma.
contesto forma

realtà oggettiva

contesto forma

EJ El realtà oggettiva


1;21· .1]]
t raffigurazione mentale

contesto forma

EJ El realtà oggettiva


[§]
t
El raffigurazione mentale


ffil4C .1]]
t espressione formale
della raffigurazione
mentale

Il secondo schema rappresenta la situazione autocosciente


descritta nel capitolo 5. Qui il processo di progettazione è
lontano dallo stesso insieme; la forma è plasmata non dal-
l'interazione tra le effettive richieste del contesto e l'effet-
tiva inadeguatezza della forma, ma da una interazione con-
cettuale fra l'immagine psichica del contesto, appresa o
82 inventata dal progettista, da una parte, e dall'altra le idee,
i diagrammi e i disegni .significanti la forma. Questa inte-
razione contiene tanto le prove con cui il progettista tenta
di far scaturire dal problema i suoi «risultati» piu impor-
tanti, quanto lo sviluppo di fotme che a lotO volta li sod-
disfino; ma la sua esatta natura non è chiara. s Nella pratica
attuale della progettazione, questo passo critico, durante il
quale il ptOblema è pteparato e tradottO in ptOgetlo, clipen-
de sempre da qualche specie cli intuizione. Sebbene la pro-
gettazione sia per sua natura immaginativa ed intuitiva,
tanto che potremmo facilmente credere in essa se l'intuizio-
ne del progettista fosse degna di fede, tuttavia, cosi com'è,
essa ispira ben scarso affidamento.
Nel processo non autocosciente non vi è la possibilità di
mal rappresentare la situazione: nessuno crea un'immagine
del contesto, e quindi l'imma~ine non può essere sbagliata;
ma il progettista autocosciente lavora completamente attra-
verso l'immagine che è nella sua mente, e questa immagine
è quasi sempre sbagliata.
II modo per migliorare questa condizione consiste nel creare
un'ulteriore immagine astratta della prima immagine del
problema, che elimini l'influenza di questa e ne trattenga
solo le astratte caratteristiche strutturali; la seconda imma-
gine può essere allora esaminata secondo operazioni preci-
samente definite, in modo che non sia soggetta all'influenza
del linguaggio e dell'esperienza'
Il terzo schema del diagramma rappresenta appunto un ter-
zo processo, basato sull'uso di tale configurazione. La vaga
ed insoddisfacente immagine delle esigenze del contesto, C"
che all'inizio si sviluppa nella mente del progettista, è segui-
ta da questa immagine matematica, Cl. In modo simile, ma
contrario, il progetto F1 è preceduto da un complesso ordi-
nato di diagrammi Fl . La derivazione dei diagrammi Fl da
Cl, malgrado sia ancora intuitiva, può essere chiaramente
capita. La forma è ora effettivamente modellata da un pro-
cesso al terzo livello, distante da C, e F,. È esplicita, e per-
ciò sotto controllo.

Questa terza immagine Cl è costituita da entità matematL- L'insieme e i


:he chiamate «insiemi». Un insieme, proprio come sugge· suoi elem~nti
risce il nome, è una qualsiasi raccolta di cose qualsiasi, seo·
za riguardo alle proprietà comuni, e non ha nessuna strut-
tura interna finché non se ne dà ad esso una. 7 Una raccolta
di indovinelli in un libro costituisce un insieme; un limone,
un arancio e una mela costituiscono un insieme di tre frutti;
una raccolta di relazioni come la paternità, la maternità, la
parentela di fratelli e sorelle costituisce un insieme (in que-
sto caso un insieme di quattro elementi). Gli elementi di
un insieme possono essere astratti o concreti, come si desi·
dera. Deve essere solo possibile identificarli in modo unico
e distinguerli uno dall'altro'
I concetti principali della teoria degli insiemi sono questi:
1. Si dice che un elemento x di un insieme S, appartiene
a quell'insieme. Questo si scrive x E S. Un insieme è defi-
nito unicamente dalla identificazione dei suoi elementi.
2. Si dice che un insieme SI è un sottoinsieme di un altro
insieme 52, se e solo se, ogni elemento di SI appartiene ad
52. Questo si scrive SI C 52. Se 52 contiene anche elementi
che non sono elementi di SI, in modo che 52 è «piu ampio»
di SI, allora si dice che SI è un sottoinsieme proprio di 52,
e scriviamo SI C 52.
3. L'unione di due insiemi SI e 52 è l'insieme di quegli
elementi che appartengono a SI o a S, (o ad ambedue, nel
caso che SI e 52 abbiano elementi in comune). Scriviamo
questo S, U S,.
4. L'intersezione di due insiemi SI e 52 è l'insieme di que-
gli elementi che appartengono ad entrambi, SI e 52. Scrivia·
ma SI n 52. Se SI e 52 non hanno elementi in comune que-
sta intersezione è vuota, e chiamiamo gli insiemi disgiunti.
Specifichiamo l'uso della teoria degli insiemi per rappresen-
tare i problemi della progettazione. Sappiamo già, dal capi-
tolo 2, a che cosa somiglia la concezione di un problema deI
progettista. Il problema si presenta come il compito di af-
frontare un numero di potenziali mancate rispondenze spe~
cifiche tra la forma e qualche contesto dato. Supponiamo
che vi siano m variabili di tali non-rispondenze: XI'" x m .
Queste variabili di disattitudine formano un insieme. Chia·
miamo l'insieme di queste m disattitudini M, COSt che pos·
siamo scrivere Xi E M (per ogni i, i = 1· .. m).9
La grande forza e bellezza dell'insieme, come strumento Utile impiego
analitico per i problemi della progettazione, è nel fatto che della teoria
degli Insiemi
i suoi elementi possono essere vari quanto necessario, e
non devono essere limitati solo ai requisiti che possono es-
sere espressi in forma quantificabile. In tal modo nel pro-
getto di una casa, l'insieme M può contenere l'esigenza della
privacy, la necessità di una rapida costruzione, la necessità
del comfort familiare e la necessità di una manutenzione
facile, ma anche requisiti facilmente quantificabili come l'esi·
genza di un prezzo di vendita basso e l'efficienza dell'ope-
razione finanziaria. In effetti, M può contenere qualsiasi
requisito.
Questi requisiti sono le condizioni individuali che devono
essere soddisfatte nel contorno forma-contesto, per preve-
nire la non rispondenza. La- struttura del campo forma-
contesto, non è neanche molto difficile da descrivere, dal
momento che il progettista ne è cosciente. Egli sa che le
disattitudini interferiscono una con l'altra quando tenta di
risolverIe, e cioè sono in contrasto; che altre hanno impli-
cazioni fisiche comuni, e cioè concorrono; e che altre ancora
non imeragiscono affatto. È la presenza e l'assenza di que-
ste interazioni che dà all'insieme M quel carattere di siste-
ma che è stato precisato nei capitoli 3, 4 e 5. 10 Noi rappre-
sentiamo le interazioni associando con M un secondo insie-
me L di elementi unidimensionali, senza direzione e contras-
segnati, chiamati legami, dove ogni legame unisce, due ele-
menti di M e non contiene altri elementi di M. Come ve·
drerno nel capitolo 8, i legami portano un segno negativo se
indicano contrasto, e un segno positivo se indicano concor-
renza, e possono anche essere segnati in modo da indicare
la forza dell'interazione.
I due insiemi M ed L, unitamente, definiscono una strut-
tura conosciuta come un grafo lineare o topologico l-com-
plesso, al quale ci riferiremo come G(M, L), o semplice-
mente G, per brevità. lI Ecco un grafo tipico.
Questo grafo serve come immagine di quella visione che ha
il progettista di uno specifico problema. È un'immagine
piuttosto buona, nel senso che i suoi costituenti, gli insie-
mi M ed L, sono accessibili introspettivamente senza troppa
difficoltà; e anche perché concentra la nostra attenzione, in
modo nitido ed astratto, sul fatto che l'insieme di mancate
rispondenze ha una struttura, o ~ come abbiamo detto nel
capitolo 2 - un campoY

Dobbiamo ora esplorare la struttura di questo campo. La


caratteristica strutturale piu importante e piu ovvia di qual-
siasi entità complessa è la sua articolazione - cioè, la den-
sità relativa Q l'aggrupparsi e il riunirsi dei suoi elementi
componenti. Potremo fare questa precisazione attraverso il
concetto di partizione o scomposizione.
In breve, la partizione di un insieme M nei suoi insiemi sus-
sidiari o sottosistemi è un intreccio gerarchico di insiemi
entro insi"emi, come è mostrato nel diagramma a lato,
Un diagramma piu usuale, che evidenzia il carattere ramifi-
cato - come un albero - della partizione, è mostrato in
basso, Si riferisce precisamente alla stessa struttura rappre-
sentata dall'altro. Ogni elemento della scomposizione è un
sottoinsieme di quei sottoinsiemi che nella gerarchia stanno
sopra di esso,

Formalmente definisco una partizione di un insieme di disat~


titudini M, come un albero (o un insieme parzialmente ordi~
nato) di insiemi, nei quali una relazione di immediata subor-
dinazione è definita come segue, e nella quale soddisfa le
36 seguenti ulteriori condizioni: 13
Un insieme SI, è immediatamente subordinato a un altro
insieme 52 se, e solo se,52 sussume propriamente SI
(SI C 52) e l'albero non contiene altro insieme 53, tale che
SI C 53 C 52. Inoltre l'albero deve soddisfare le seguenti
quattro condizioni:
1. Se Si ed Si sono due immediate subordinate di un insie-
me S, allora Si n Si = O.
2. Ogni insieme che ha insiemi immediati subordinati, è
l'unione di tutti questi insiemi.
3. C'è un solo insieme che non sia l'immediato subordi-
nato di qualche altro insieme. Questo è l'insieme M.
4. Ci sono solo m insiemi che non hanno alcun imme-
diato ~ubordinato. Questi sono gli insiemi di un solo ele-
mento, ognuno dei quali contiene un elemento di M.
Cosi, una tale partizione si riferisce solo all'insieme 'M.
L, l'insieme dei legami, non ha ruolo alcuno in esso. Ma è
facile vedere che l'esistenza di questi legami rende alcune
delle possibili decomposizioni molto piu ragionevoli di altre.
Qualunque grafo del tipo G (M, L) tende a riunire insieme
gli elementi di M in raggruppamenti naturali. Il nostro
obiettivo nel prossimo capitolo è di mettere a punto questa
precisazione, e decidere quale partizione di M- abbia piu
senso, una volta che si abbia un dato insieme L associato
con esso. Ogni sottoinsieme dell'insieme M che appare nel-
l'albero definirà allora un sottoproblema del problema M.
Ogni sottoproblema avrà la sua propria integrità, e sarà
indipendente dagli altri sottoproblemi, tanto da poter essere
risolto indipendentemente.
È molto probabile, ed anche verosimile, che il modo con il
quale il progettista vede inizialmente il problema, già si
fondi su una gerarchia concettuale non molto diversa in linea
generale da una partizione. 14 Tentando di mostrare che i le-
gami di L favoriscono una particolare partizione, cercherò
di dimostrare che per ogni problema c'è una partizione o
decomposizione particolarmente adatta, e che questa è ge-
neralmente diversa da quella mentale del progetti,ta. Per
questa ragione ci riferiremo a tale partizione come al pro-
gramma per il problema rappresentato da G(M, L). Lo chia-
miamo programma perché fornisce direzioni o istruzioni al 87
progettista indicando, per esempio, a quali sottoinsiemi di
M si riferiscono le «parti» significative di M stesso, e a
quali aspetti maggiori del problema il progettista dovrebbe
applicarsi.
Il programma, in definitiva, è una riorganizzazione del modo
con il quale il progeuista pensa al problema. 15
~
21 L'attuazione
\ del programma

La prima fase del processo di progettazione sta nel trovare


per un dato problema il giusto programma di' progettazione.
Si tratta, se vogliamo, 'della fase analitica del processo, Da
essa segue la fase sintetica, nella quale dal programma deri-
va la forma. Noi chiameremo questa fase sintetica la attua-
zione del programma.! Sebbene queste note siano dedicate
soprattutto alla fase analitica del processo e all'invenzione
di programmi che possano rendere ragionevole la sintesi del-
la forma, dobbiamo ora softermarci per un poco sul modo
in cui funziona la sintesi o attuazione. Altrimenti non po-
tremmo sapere come sviluppare i .dettagli deI programma.
I! punto di partenza dell'analisi è nei requisiti. I! prodotto
finale dell'analisi è un programma, che è un albero di insiemi
di requisiti. Il punto di partenza della sintesi è un diagram-
ma, il prodotto finale della sintesi è la attuazione del proble-
ma, che è u~ albero di diagr~mmi. Il programma è formato
dalla partizione di un insieme di requisiti in sottoinsiemi
progressivamente piu piccoli. La attuazione si ottiene co-
struendo piccoli diagrammi e unendoli insieme come indica
il programma, per ottenere diagrammi sempre piu comples-
si. Per fare questo dobbiamo imparare ad accoppiare ogni
insieme di requisiti nel programma con un diagramma cor-
ri'spondente. L'invenzione di diagrammi è familiare ad ogni
progettista. Qualsiasi schema che, essendo astratto da una
situazion~ reale comunica l'influenza fisica di certe esigenze
o forze, è un diagramma,
La famosa fotografia stroboscopica dello spruzzo di una goc-
cia di latte è, per certi fini, un diagramma dell'ordine se-
condo cui vanno le forze al momento dell'urto. A chi voglia
studiare quelle forze la fotografia dice molto perché astrae
le. loro conseguenze fisiche immediate dalla confusione "di
ciò che normalmente si vede quando cade una goccia di
latte. 2 89
La Ville Radieuse di Le Corbusier è un diag,ramma che espri-
me le conseguenze fisiche di due fondamentali e ass~i sem-
plici requisiti: quello di alloggiare gente ad un alto livello
di densità, e quello di assicurare a tutti un'uguale e massiw
ma possibilità di godere l'aria e la luce del sole.'
La sfera è un diagramma. Essa esprime, fra le altre cose, le
implicazioni fisiche dell'esigenza di richiudere il volume mas-
simo entro la minima superficie. Esprime anche le implica w

zio01 del requisito che un numero di cose siano equidistanti


da un punto. 4
La distribuzione dei bagnanti sulla spiaggia è un diagramma.
L'uniformità della distribuzione rivela l'esistenza di forze
che tendono a localizzare i gruppi familiari il piu lontano
possibile uno dall'altro, e a distanze uguali tra loro, invece
di favori-Fe una sistemazione casuale.
Una freccia è un diagramma, naturalmente, che comunica la
direzione. Molti problemi di correnti contengono requisiti
che possono essere riassunti per mezzo di frecce. s Solo occa-
sionalmente la figura cercata assume un aspetto fisico a far·
ma di freccia; come nel caso di un veloce aeroplano in cui
le esigenze aerodinamiche sono espresse in un progetto ad
ali slanciate.
La rappresentazione di Kekulé della molecola di benzene
(come atomi uniti da legami lineari) è ancora un diagram-
ma. Date le forze di valenza rappresentate dai legami, il
diagramma esprime l'ordinamento fisico degli atomi, nella
reciproca relazione che ad essi risulta dall'interazione delle
valenze stesse. 6
I disegni "De Stij1» di Van Doesburg, anche se fatti per
altre ragioni, potrebbero essere interpretati come diagrammi
che rappresentano le conseguenze rettilinee della esigenza
di strumenti meccanici e di un rapido montaggio di elemen-
ti prefabbricati.'
L'appunto preliminare dell'ingegnere per la struttura di un
ponte è un diagramma. Dopo aver fatto i calcoli iniziali,
l'ingegnere traccia alcune linee a ma tita per verificare in
prima approssimazione come le principali membrature del
90 ponte potrebbero rispondere in rapporto all'influenza della
gravità, alla luce richiesta, alla resistenza a trazione dell'ac·
ciaio che si vuole usare, e cOSI via.8
Rileviamo che questi diagrammi potrebbero avere due di-
stinte qualità oppure averle entrambe con diverso rilievo.
Da un lato, essi potrebbero riassumere aspetti di una strut-
tura fisica, presentando uno degli schemi costituenti la sua
organizzazione (come nel caso della fotografia di uno schizzo
di latte, o dei disegni pet la Ville Radieuse). Anche se è
spesso possibile dedurre una gran parte di ciò che riguarda
le richieste responsabili dello schema particolare che il dia-
gramma manifesta, esso resta soprattutto una descrizione
di caratteristiche formali. Chiameremo i diagrammi di que-
sto tipo, diagrammi di forma. Da un altro lato, si può inten-
dere che il diagramma riassuma un insieme di proprietà fun-
zionali o vincoli, come la frecçia, o la carta della densità di
popolazione. Questo tipo di diagramma è una annotazione
piu pertinente al problema, che alla forma. Chiameremo i
diagrammi di questi tipo, diagrammi eli requisiti.
Consideriamo gli esempi estremi di un diagramma di requi-
siti e di un diagramma di forma per un semplice oggetto,.
La proporzione matematica F = kv2 esprime il fatto che in
certe condizioni l'energia perduta per l'attrito da un corpo
in movimento dipende dal quadrato della sua velocirà. Nella
progettazione di una macchina da corsa, è ovviamente im-
portante ridurre questo effetto il piu possibile; in questo
senso la proporzione maternat~ca è un diagramma di requi-
siti. All'altrb estremo una veduta prospettica ad acquarello
di una macchina da corsa è anche un diagramma. Essa rias·
sume certi aspetti fisici dell'organizzazione della macchina
ed è perciò un legittimo diagramma di forma. Eppure è
chiaro che né l'equazione né l'acquarello sono molto utili
in loro stessi nella ricerca della forma.
Per essere utile, l'equazione deve essere interpretata, di
modo che si possano comprendere le sue conseguenze fisi-
che. Similmente il disegno deve essere fatto in modo tale
che le conseguenze funzionali della forma dell'automobile
siano chiaramente comprensibili. Consideriamo la question-e
in modo diverso. Un diagramma di requisiti diventa utile
solo se contiene implicazioni fisiche, cioè se ha in se stesso
91
gli elementi di un diagramma di forma. Un diagramma di
forma diventa utile soltanto se le sue conseguenze funzio-
nali sono prevedibili, cioè, se ha in sé gli elementi di un
diagramma di requisiti. Un diagramma che esprime i soli
requisiti o la sola forma non è di nessun aiuto nel realiz-
zare la trasformazione dei requisiti in forma, e non avrà
alcun posto costruttivo nella ricerca di una forma. Diremo
che un diagramma è «costruttivo» se, e solo se, è tutte e
due le cose in una volta: se, e solo se, è un diagramma
di requisiti e un diagramma di forma allo stesso tempo.
Consideriamo un esempio. _
Supponiamo che. due strade del centro di una città esistente
debbano essere allargate nel loro punto di intersezione e
intorno ad esso, per diminuire la congestione. Supponiamo
che l'uniJ:o requisito sia che il traHico attuale possa fluire
senza congestione. Il diagramma di requisiti consiste perciò
in questo caso nella informazione circa la quantità di traffico
che fluisce nelle ·varie direzioni, in ore diverse del giorr~o. È
possibile presentare tale informazione in un diagramma non
costruttivo semplicemente tabulando numericamente il flus-
so per ciascuno dei 12 passaggi possibili, nelle diverse ore
del giorno. È anche possibile, tuttavia, presentare questa
stessa informazione in forma condensata nel seguente gra.fico.
Qui abbiamo una carta stradale con frecce di vario spes-
sore che rappresentano il numero dei veicoli all'ora che flui-
scono nelle varie direzioni nelle ore di punta. In questo
modo il diagramma indica direttamente quale forma debba
assumere il nuovo incrocio. È chiaro che una freccia di rile-
vante spessore richiede una strada larga) cosi che tutto il
tracciato richiesto emerge direttamente dal diagramma. 9 Si
tratta quindi allo stesso tempo di un diagramma di requisiti
e di forma, cioè di un diagramma costruttivo.
Il diagramma costruttivo è il ponte tra i requisiti e la forma.
Ma la sua grande bellezza è che va molto piu in fondo. La
stessa dualità fra il requisito e la forma che il diagramma
costruttivo è capace di esprimere ed unificare, si rivela aJ
un secondo livello: la dualità è essa stessa caratteristica
della nostra conoscenza della forma.
12 Ogni forma può essere descritta in due modi: dal punro di
vista di quello che è e dal punto di vista di quello che fa.
Quello che è viene chiamato talvolta descrizione formale. Descrizione
Quello che fa, quando è messa a contatto con altre cose, è formale e descrizione
talvolta chiamato descrizione funzionale. funzionale
Ecco alcune descrizioni formali. Un impermeabile è lungo
3 piedi, fatto di politene dello spessore di mezzo millimetro,
le maniche sono tagliate in questo e questo modo, e cosi via.
Un cubo di sale è una sistemazione cubica di ioni alternati
di sadia e cloro. Un corpo umano contiene un cuore di que-
sta e questa dimensione, in questa posizione del torace, un
paio di reni piu in basso e piu indietro, e cOSI via. Queste
descrizioni specificano la dimensione, la posizione, la distri·
buzione, il materiale.
La corrispondente descrizione funzionale vi dice che cosa
succede quando questi oggetti ~ono posti in vari contesti nel
mondo. L'impermeabile resiste alla pioggia e si scioglie ad
alta temperatura. Il cristallo di sale è trasparente, conduce
poco l'elettricità, si scioglie nell'acqua ma non nell'olio, si
frantuma se picchiato con forza da un martello. e cosi via.
Il cuore batte piu forte a grandi altitudini, i reni funzio·
nano quando il corpo è nutrito.
In molti di questi casi troviamo difficile mettere in relazione
tra loro le due descrizioni, perché non comprendiamo gli
oggetti in modo abbastanza completo e non sappiamo, per
esempio. come la sistemazione degli atomi in un cristallo
si metta in relazione con la soluhilità dello stesso nei diversi
liquidi. Tuttavia, per qualche oggetto molto semplice, non
c'è virtualmente discrepanza alcuna fra le descrizioni fun-
zionali e quelle formali. Si prenda per esempio una bolla
di sapone, o una pellicola di sapone su una lamina. di me-
tallo. Il comportamento delle pellicole di sapone è cOSI pie-
namente capito che conosciamo le proprietà funzionali di
qualsiasi data sistemazione,' e sappiamo a quale forma e
dimensione delle bolle portano le diverse condizioni ester-
ne. 1O In questo caso le descrizioni formali. e le descrizioni
funzionali, sono solo diversi modi di dire la stessa cosa;
possiamo dire, se vogliamo, che abbiamo una descrizione
unificata della bolla di sapone. Questa descrizione unificata
è l'equivalente astratto del diagramma costruttivo; è scopo 93
della scienza dare una tale descrizione unitaria per ogni
fenomeno ed oggetto che conosciamo. Il compito della chi-
mica (ed ha avuto un notevole successo in questo) è di
mettere in relazione fra loro le descrizioni funzionali e for-
mali dei composti chimici, in modo che si possa passare
dall'una all'altra, senza perdere in comprensione. Il compito
della fisiologia è stato quello di mettere in relazione il com-
portamento funzionale del corpo con gli organi che si os-
servano nell'anatomia. Anch'essa ha avuto un notevole
successo.
La soluzione di un problema di progettazione è in effetti
solo un altro sforzo per trovare una descrizione unitaria.
La ricerca per la realizzazione attraverso diagrammi costrut-
tivi è uno sforzo per comprendere la forma richiesta tanto
pienamente da eliminare ogni discrepanza tra la sua specifi-
cazione funzionale e la sua configurazione.t'
In altre parole, un diagramma costruttivo, se è buono, con-
tribuisce alla conoscenza della specificazione funzionale che
lo origina. Abbiamo già visto nel capitolo 2, che in effetti
il progettista non comprende mai completamen~e il qmtesto.
Può conoscere, gradatamente, quello che il contesto chiede
per la forma. Ma non vede il contesto come un unico sche-
ma, un campo unitario di forze. Se è un buon progettista
la forma che egli inventa penetrerà il problema tanto pro-
fondamente non solo da risolverlo, ma da illuminarlo.
Una casa bene progettata, non solo si adatta bene al suo
contesto ma illumina anche il problema su ciò che è il con-
testo, e cOSI chiarisce la vita che essa rende confortevole.
Le invenzioni che Le Corbusier ha prodotto nel 1920 per
nuove forme di abitazioni, rappresentano veramente una par-
te del tentativo moderno di capire il nuovo modo di· vivere
del XX secolo."
La sezione a lama sottile dell'ala che permette agli aero-
pIalli di volare è stata inventata al tempo nel quale era
stato appena « provato» che nessuna macchina piu pesante
dell'aria può volare. Le sue proprietà aerodinamiche non
furono capite se non qualche tempo dopo che era stata mes-
94 sa in uso. In realtà l'invenzione e l'uso della lama sottile
ha contribuito fortemente allo sviluppo della teoria aero-
dinamica, piuttosto che ·viceversaY
Al tempo della sua invenzione la cupola geodetica non pote-
va essere calcolata con i sistemi di calcolo tradizionali. La
sua invenzione non solo ha risolto un problema specifico,
ma ha portato l'attenzione verso un nuovo modo di pensare
le strutture portanti. 14
In tutti questi casi, l'invenzione è b-asata su un'idea che ren-
de piu facile la comprensione del problema. Allo stesso
modo, un diagramma costruttivo può spesso precedere la
conoscenza precisa che potrebbe derivare da una sua espres-
sione in termini razionali.
Perciò è molto ragionevole pensare alla attuazione come ad
un modo di verificare la natura del contesto; oltre il pro-
gramma, ma parallelamente aq esso. E questo forse deriva
dalla recente tendenza dei progettisti a pensare i loro pro-
getti come ipotesi. 15 Ogni diagramma costruttivo è un assun-
to sperimentale circa "la natura del contesto. Nella sua qua-
lità di ipotesi, mette concettualmente in relazione fra loro
forze componenti un insieme poco chiaro, ed è in genere
migliorato dalla chiarezza e dall'economia della notazione. 16
Come ipotesi inoltre, non può essere ottenufo attraverso
metodi deduttivi, ma solo per mezzo della astrazione e del-
l'invenzione. E, ancora come ipotesi, è scartato quando pre-
senta discrepanze. e mostra di non tener conto di qualche
nuova forza del contesto.

Il diagramma costruttivo può descrivere il contesto e può Uso dei diagrammi


descrivere la forma. Ci offre un mezzo per verificare il con- per organizzare
testo, e un mezzo per ricercare la forma. Poiché tentà di la progettazione
perseguire questi due obiettivi contemporaneamente, ci of-
fre un ponte fra i requisiti e la forma, e perciò è uno stru~
mento molto importante nel processo della progettazione.
In tutti i compiti della progettazione, il progettista deve tra-
·durre ..gruppi di requisiti in diagrammi che sintetizzino le
loro implicazioni fisiche. In senso letterale questi dia~rammi
sono semplici stadi sulla via della specificazione di una for-
ma, come il diagramma della circolazione in un edificio, o
la carta della densità di popolazione prevista per qualche 95
regione di sviluppo. Essi specificano solo grossolani aspetti
schematici della forma. Ma la strada che da questi diagram-
mi conduce al progetto finale è questione di specifici parti-
colari. L'organizzazione fondamentale della forma è origi-
n3l:a proprio nei diagrammi costruttivi che precedono la sua
progettazione.
Dobbiamo ora considerare come il diagramma costruttivo
non sia soltanto utile per verificare gli aspetti piu avvii e
risaputi di un problema noto - come, ad esempio, la circo-
lazione - ma possa anche essere usato per esprimere le nuo-·
ve implicazioni che un problema nuovo ha appena rivelato.
Abbiamo vis~o che la estensione o denotazione di qualsiasi
problema può essere raccolta in un insieme generale di re·
quisiti, e che, a conferma di quanto affermato, qualsiasi
nuovo insieme di requisiti può essere viceversa riguardato
come"'}'evidenziazione di un nuovo problema. Andando un
passo piu avanti, vediamo che la connotazione (intesa come
significazione delle note fisiche) di un problema già cono·
sciuto può essere compresa entro un diagramma;·e - sempre
a conferma di quanto inizialmente detto - anche la conno-
tazione (quale determinazione intensionale) di qualsiasi,
finora sconnesso, insieme di requisiti, può essere a sua volta
sintetizzata attrav.erso un nuovo diagrammaY Il problema è
definito per mezzo di un insieme di requisiti chiamato M.
La soluzione di questo problema sarà una forma che con
successo soddisfa tutti questi requisiti. Tale forma potrebbe
essere sviluppata in tutti i suoi dettagli importanti, come
un unico diagramma costruttivo per l'insieme M, se non
fosse per la complessità delle interazioni interne di M (rap-
presentate da L) che rende impossibile trovare tale dia·
gramma direttamente. Possiamo trovarlo indirettamente? Ci
sono dei diagrammi piu semplici che il progettista può co-
struire, e che contribuirebbero sostanzialmente alla sua abi-
lità di trovare un diagramma per M? Ci sono, e il program-
ma ci dice come trovarli. Il programma è una gerarchia dei
sottoinsiemi piu signi6cativi di M. Ogni sottoinsieme è un
sottoprohlema con la sua propria integrità. Nel program·
ma, gli in~iemi piu piccoli si riuniscono in insiemi piu gran-
96 di; e questi a loro vblta in insiemi piu grandi ancora. Ogni
sottoinsieme può essere trasformato in un diagramma co-
struttivo. E ognuno di questi sottoinsiemi di M (poiché con-
tiene un numero minore di requisiti di quanti /ne contiene
M stesso, e un numero minore di interazioni fra i requisiti
stessi) è piu facile da trasformare in diagramma di quanto
non lo sia M. È perciò naturale cominciare dai diagrammi
costruttivi per gli insiemi piu piccoli prescritti dal program-
ma. Se, in accordo con la struttura del programma, costruia-
mo dei diagrammi composti da questi diagrammi piu seo:'-
plici, e componendo questi costruiamo ulteriori diagrammi,
otteniamo un albero di diagrammi. Questo albero di dia-
grammi contiene esattamente un diagramma per ciascun in-
J. sieme di requisiti che figura nell'albero del programma. Per-
ciò lo chiamiamo attuazione del programma. È facile· rilevare
il contrasto fra la natura agalitica del programma· e la na-
tura sintetica della sua realizzazione. Come vediamo l'albe-

Pro~ramma, composto di insiemi Realizzazione, composta di diagrammi

ro degli insiemi a sinistra è formato da successive divisioni


e partizioni. L'albero dei diagrammi a destra è formato da
successive composizioni e fusioni. Al suo apice è l'ultimo
diagramma che sintetizza tutte le implicazioni dell'intero
ptoblema ed è perciò il diagramma completo per la forma
richiesta_ Esempi dei due alberi sono dati nell'appendice l.

I
31 Le definizioni

Abbiamo visto, di massima, come sia possibile rappresen-


tare un problema di progettazione per mezzo di un grafo.
G (M, L); come per avere un programma sia necessario
scomporre il gruppo. M j e come infine il programma possa
essere usato come base per la costruzione di diagrammi dai
quali sia possibile sviluppare una forma. Esaminiamo ora
nei particolari i termini dell'analisi che determina il pro-
gramma e cominciamo, in questo capitolo, con lo stabilire
l'esatto..carattere dei gruppi M ed L che. insieme, ci forni-
scono il grafo G(M,L).
Il problema si presenta, all'origine, quando l'insieme è dato,
e quando è stato sce1ro iJ proposto limite tra contesto e
forma, nell'ambito di quell'insieme. A questo punto il prQ·
blema è definito solo entro limiti piuttosto ampi. Ecco alcu-
ni tipici esempi. Supponiamo di progettate un sistema di
strade principali per la città di New York; un bollitore da
usare nell'ambito tecnologico e socio-culturale metropoli-
tano degli Stati Uniti d'America nel 1965; una nuova città,
per 30.000 abitanti, a 40 miglia da Londra. Il contesto, in
questi casi, è fisso, e testerà costante per la durata del pro-
blema; può dunque essere descritto nel modo piu dettagliato
possibile. D'altro canto, la natura della forma richiesta è
indeterminata. Si può magari darle un nome, come « bolli-
tore» o «città», per rendere specifico il problema; ma uno
dei primi compiti del progettista sarà di spogliare il proble-
ma dai preconcetti che ogni nome introduce.
Ora, come già sappiamo, il gruppo M consta di tutti quei
possibili ·tipi di disadattamento, che possono verificarsi tra la
forma e il contesto; nel caso dell'insieme costituito dal rap-
porto fra il bollitore e il contesto sociologico metropolitano
degli U.S.A., questo gruppo include specifici limiti econo-
mici, requisiti tecnici di produzione, srandard di efficienza
98 funzionale, questioni di sicurezza e di morfologia, e COSI via.'
Per essere esatti, ogni elemento di M è una variabile e può Interazione di
trovarsi in uno dei due stati: essere adatto o disadatto. 2 È forma e contesto
importante ricordare che lo stato di queste variabili dipen-
de dall'intero insieme. Non possiamo decidere se un disa-
dattamento si è verificato guardando alla sola forma o al
solo contesto. Il disadattamento è una condizione dell'in-
sieme quale totalità, e nasce dalla insoddisfacente interazio-
ne della forma e del contesto.
Si prenda il costo in denaro. l'due stati della variabile sono:
«troppo costoso », e ciò rappresenta la disattitudine, e
«o.k. », che rappresenta la piena rispondenza. Se un bolli-
tore è troppo costoso, ciò descrive una proprietà del bolli-
tore piu il suo contesto, e ci<?è, il suo insieme. Fuori del con-
testo, il prezzo del bollitore può superare o no una cifra che
abbiamo stabilito; nulla di piti. Solo la sua relazione con il
resto dell'insieme lo rende «troppo costoso» o «o.k. ». In
altre parole tutto dipende da quanto possiamo permetterei.
Si consideri ora la capacità del bollitore. Se consideriamo il
bollitore per se stesso, tutto quello che possiamo dire è
che contiene una certa quantità di acqua. Non possiamo
dire se sia abbastanza, finché non vediamo cosa richiede il
contesto. Anche questa volta, il fatto che .il .bollitore non
contenga abbastanza acqua, -o che la contenga, è una pro-
prietà della forma piu il contesto, presi come un tutto. Que~
sto fatto, che la variabile si riferisce all'insieme nella sua
int,egrità, e mai alla forma soltanto, conduce al seguente im-
portante principio. In linea di principio, per decidere. se la
forma soddisfi o no un dato requisito, dobbiamo costruirla,
metterla in rapporto con il contesto in questione e osserva-
're l'insieme cosi formatò per vedere se si verifica in esso
un disadattamento oppure no. Solamente sollevandolo, po-
trete dire se un bollitore è abbastanza comodo da tenersi in
mano. E, come principio generale, potrete decidere se una
strada è abbastanza larga per guidare, soltanto quando
l'avrete costruita e avrete tentato di percorrerla in macchina
nèlle condizioni medie prefigurabili.
Naturalmente non ci atteniamo,
, nei fatti, a questo principio,
poiché sarebbe tanto poco conveniente da riuscire pratica-
mente impossibile. Se conosciamo in partenza la massima 99
larghezza dei veicoli che verranno usati nell'autostrada e
sappiamo anche che, al fine di ottenere una guida conforte-
vole e uno spazio adeguato per frenare a una certa velocità,
occorrono 2? e 6" in piu dall'una e dall'altra parte, possia-
mo dire subito se nell'autostrada si determinerà o meno un
disadattamento ai predetti requisiti. Possiamo fare questo
perché il carattere misurabile della proprietà «larghezza » ci
permette di stabilire una connessione tra la larghezza della
strada e la probabilità di cattivo funzionamento nell'insie-
me. Ciò che facciamo in tal caso, per semplificate il com-
pito della progettazione, è di stabilire uno standard di fun-
zionalità, specifì.canclo che tutte le carreggiate devono avere
almeno un passaggio largo circa Il '0" poiché le grandi auto-
mobili sono larghe 6'. Possiamo allora dire, con un ragio-
nevole grado di sicurezza, che ogni strada conforme a gue·
sto standard non provocherà alcun disadattamento del-
l'insieme.
Precostitulre Possiamo istituire uno standard di funzionalità per. ogni
uno standard variabi.le di disadattamento che presenti variazioni continue
di funzionalità lungo una graduatoria ben definita. Altri esempi tipici sono
l'isolamento acustico delle stanze (la sopportabilità del ru-
more può essere espressa in decibel), l'illuminazione per una
lettura confortevole (espressa in lumen per metro quadrato),
la capacità di sostenere carichi richiesta a una struttura come
garanzia ad un suo possibile cedimento (coefficienti di sicu~
rezza sono applicati ai massimi carichi previsti), ragione-
voli costi di manutenzione (espressi in dollari per anno).
Una volta che, per un requisito, è stata trovata una gradua-
toria, numericamente controllabile, è quasi sempre possibile
trovare una connessione tra la graduatoria stessa e qualche
intrinseca proprietà della forma. l Per cui, dato il progetto
di un edificio sul tavolo da disegno, è possibile calcolare i
probabili costi di manutenzione, la trasmissione di rumore
fra le stanze e cosi via. Naturalmente, allora, non è piti
necessario scoprire attraverso il procedimento per tentativo
ed errore se la forma mancherà di adattarsi al suo contesto.
Può essere stabilito in anticipo uno standard di funzionalità
determinato dal contesto per ciascun requisito considerato ed
100 ogni standard può essere usato come criterio di adattamento.
. Questa è la ragione per cui è crescente la tendenza a sta-
bilire scale e standard di funzionalità per il maggior numero
di requisiti possibile'
Tuttavia, l'esistenza di uno standard di funzionalità e l'as~
sociazione di una scala numerica con una variabile di disat-
titudine non significa' che la disattitudine sia piti intensa-
mente avvertita nell'insieme quando essa si presenta. Nat':l~
'ralmente vi sono moltissime disattitudini o mancate rispon-
denze per le quali non esistono scale. Alcuni esempi tipici
sono «la noia in una mostra », «l'impraticità di un manico
di bollitore », «l'insicurezza di; un catenaccio o di una ser-'
ratura », «l'insufficiente calore umano in un soggiorno », «la
mancanza di varietà in un parco ». Nessuno ha ancora inven-
. tato una scala per l'infelicità o la scomodità o l'inquietudine,
e non è perciò possibile isti~uire standard di funzionalità
per queste condizioni. Eppure sono queste mancate rispon-
denze quelle piÙ critiche in un problema di progettazione.
L'importanza delle' variabili non quantiflcabili è talvolta per-
duta nello sforzo di essere «scientifici ». Una variabile che
presenta variazioni continue è piti facile da trattare in tet~
mini m:;ttematici, e perciò sembra piÙ adatta per una tratta-
zione scie;ntifica. Ma anche se è vero che l'uso di standard
di funzio~alità rende me~o necessario al progettista di con-
fidare sull'esperienza personale, accade anche che il tipo di
ottimizzazione matematica che le variabili quantificabili ren~
dono possibile sta largamente irrilevante per il problema
della progettazione,
Un problema di progettazione non è un problema di otti-
mizzazione.' In altre parole non è il problema di soddisfare
qualsiasi requisito,° qualsiasi funzione di diversi requisiti,
ne! modo migliore possibile (sebbene talvolta si possa dire
con leggerezza che si tratta di Ottimizzare uno o due fattori,
come il costo o il tempo di costruzione). Per la maggior par-
te dei requisiti è importante soltanto che essi siano soddi-
sfatti ad un livello sufficiente a prevenire la mancata rispon-
denza fra forma e contesto, e che questo avvenga nel modo
meno arbitrario possibile. 6 La situazione è strettamente "bi-
naria, L'obiettivo è di portare ogni variabile binaria al valo-
re O (per variabili continue il valore O corrisponde all'intera 101
gamma di valori positivi dello standard' di funzionalità ri-
chiesto). È perciò importanre soltanto che ogni variabile
sia specifica e definita, al punto che ogni progetto possa es·
sere classificato senza ambiguità, come un adattamento o un
disadattamento. Per le variabili quanti6cabili questo è facile.
Un esempio ovvio, nel caso del bollitore, è l'esigenza di
una capacità adeguata. Dato che la capacità di un bollitore
può essere descritta quantitativamente, è possibile stabilire
facilmente"una capacità standard che riteniamo soddisfacen-
- te per i bollitori, per cui sia possibile considerare come
disattitudine una capacità minore di quella. Allora diremo
che la variabile .assume il valore O per i bollitori che hanno
capacità maggiore o uguale alla capacità critica, e il valore
1 per i bollitori che hanno capacità minore. La scala delle
misure c;li capacità fornisce la base oggettiva per dividere i
bollitori in due categorie: compatibili col contesto e incom-
patibili ceD esso in rapporto alla variabile considerata.
Per le variabili non quanti6cabili, la questione diventa me·
no facile. Prendiamo, ancora per il bollitore, la proprietà
dell'essere «co~odo da prendere ». Non vi è nessuna pro.-
prietà oggettivamente misurabile che si possa realmente
mettere in relazione con il comfort nel servire, secondo una
scala di «comodità». Tuttavia una variabile di disattitudine
come questa può ancora essere definita abbastanza bene.
È sempre possibile stabilire alcuni limiti comunicabili sui
quali un gruppo di esperti possa trovare un accordo. Si può
certo spiegare abbastanza chiaramente cosa si intenda per
comfort, nel linguaggio del senso comune, secondo l'accor·
do di un gruppo di persone che decidano quali bollitori
sono comodi da prendere e quali no. Questo permette alla
variabile comodità di divenire accetrabile per lo scopo della
nostra analisi.
Considereremo una proprietà dell'insieme (quantificabile o
no) come una variabile di disattitudine accettabile, purché
sia possibile associare ad essa un modo non ambiguo di sele·
zionare tutte le possibili forme in due classi: quelle per le
quali riconosciamo che si adattano a soddisfare il requisita
- nel quale caso diciamo che le variabili assumono il valo-
re O-, e quelle per le quali riconosciamo che non si adattano
102
a soddisfare il requisito - nel qual caso diciamo che le va-
riabili assumono il valore 1.

Questo ci porta a tre serie di dO,mande, alle quali può sem-


brare difficile rispondere:
1. Come possiamo ottenere un insieme esauriente di va-
riabili M per un dato problema; in altre parole come pos-
siamo essere certi di non aver tralasciato qualcosa di im-
portante?
2. Come possiamo essere certi che tutte le variabili inclu-
se nella lista M siano rilevanti per il problema?
3. Per qualunque variabile specifica, come decidiamo a
quale punto viene meno la rispondenza? o, se essa è una
variabile continua, come sappiamo quale valore attribuire
allo standard di funzionalità? In altre parole, in che modo
la condizione fin qui descritta'la riconosciamo come disatti-
tudine?
A queste domande è già stato risposto sostanzialmente nel
capitolo 2. Ricordiamoci del seguente principio fondamen-
tale. Qualsiasi stato c/.i cose ne!finsieme) che derivi da!fin-
terazione fra la forma e il contesto e causi stress ne!finsie-
me) è una disattitudine.

Questo concerto di stress o non rispondenza o disattitudine Naturale


è primario. Procederemo senza definirlo. Possiamo trovare intollerabilità
precedenti per questo nella pratica del diritto comune, della dello stress
psichiatria, della medicina, nell'ingegneria, dell'antropologia,
dove esso serve anche come un concetto primario non defi-
nito.? In tutti q~esti casi, si dice che si presenta stress
dovunque si possa dimostrare secondo il senso comune che
alcuni stati di cose sono in qualche modo dannosi all'unità
e al benessere dell'intero insieme. Anche nella progettazio-
ne, benché sembri difficile definire il concetto di stress in
teoria, in pratica è facile farlo. In architettura, per esempio,
quando il contesto è definito dal cliente, egli dirà in termini
non incerti quello che non vuole tollerare. Ed è pure ovvio
che un bollitore scomodo da prendere lcausa stress, poiGhé
il contesto richiede che esso sia comodo da prendere. Del
resto appartiene al senso comune il fatto che un bollitore 103
debba essere usato comodamente da mani umane. All'estre-
mo opposto se qualcuno afferma che l'insieme è sottoposto
a uno stress quando il bollitore non riflette radiazioni ultra-
violette, sarà ancora il senso comune a farci respingere l'af-
fermazione, a meno che non siano espresse in termini piu
precisi le ragioni che dimostrano i danni derivanti dall'as-
sorbimento dell'ultravioletto.

Ogni insieme Il principio che lo stress o il disadattamento sia un concet-


di inidoneità to primario ha le seguenti c0nseguenze. Prima di tutto è
è incompleto chiaramente impossibile elencare esaurientemente tutti i tipi
e relativo
di stress che P9ssono presentarsi in un insieme, e perciò
impossibile sperare che M possa fornire una descrizione
completa di un problema. Un istante di riflessione ci con-
vincerà ç,he non siamo mai capaci di esporre un problema di
progettazione se non in termini di errori osservati nelle pre-
cedenti soluzioni di precedenti problemi. Anche se tentiamo
di progettare qualcosa per uno scopo del tutto nuovo, mai
prima affrontato, il meglio che possiamo fare per esporre il
problema è di prevedere come potrebbe probabilmente an-
dare male, esaminando mentalmente tutti i modi in cui altre
cose sono andate male nel. passato.
Il meglio cbe possiamo fare è, in altre parole, di includere
in M tutti quei tipi di stress che possiamo immaginare. L'in-
sieme M non può mai propriamente essere chiamato com-
pleto. Il processo della progettazione, anche quando è diven-
tato autocosciente, resta un processo di riduzione' di. errori,
e l'insieme M resta un elenco·' provvisorio di quegli errori
che sembrano esigere correzione.
I! fatto che il processo della progettazione debba essere vi-
sto come un processo di correzione di errore ha un'ulteriore
conseguenza. Gli errori che sembrano piu critici non' sono
mai gli stessi per persone diverse. Qualsiasi serie di errori
o disattitudini da eliminare include perciò necessariamen~e
una certa componente di un gusto personale.
Se chiediamo a diversi progettisti di esporre un problema
quale può essere quello di un abitato urbano, troveremo dif-
ficile anche raggiungere l'accordo i.otorno all'indicazione de-
104 gli elementi realmente importanti. Probabilmente ogni pro-
geuista ha il suo personale insieme di idee in merito alla
scelta di tali elementi, e in effetti è pienamente libero di
guardare al problema nella prospettiva che preferisce; rutro
ciò che possiamo sperare di ottenere è di inquadrare la sua
concezione secondo una struttura feconda. È per questa ra·
gione che M non può essere pensato come obbiettivamente
completo, ed è stato invece presentato nd capitolo 6 come
una possibile immagine della concezione che il progettista
ha di un problema.
Comunque, bisognerebbe porre anche in evidenza come, mal-
grado la naturale prefigurazione inevitabilmente portata con
sé da qualunque esposizione di un problema ad opera deI
progettista, sia tuttavia non meno vero che l'uso dell'insie~
me M quale strumento di rappresentazione ha in sé un rile·
vante potere di richiamo verso la neutralità. L'unico punto
sul quale i progetristi potrebbero trovarsi fra loro dissen·
zienti si riduce, in linea di massima, all'importanza rispet-
tiva dei diversi requisiti. Nella presente teoria, questo det-
taglio, qualora fosse stato preso in considerazione, avrebbe
potuto essere espresso mediante l'assegnazione di uno spe~
cifico, quantificabile valore alle divers~ variabili. Ad ogni
modo, saranno pochi i progettisti che all'atto pratico ·non si
troveranno concordi sulle variabili stesse; quanto meno, sul-
la loro elencazione. Mentre infatti la relativa importanza dei
diversi requisiti è, eventualmente, questione opinabile, la
decisione invece se un requisito sia, o no, realmente tale,
è assai meno personale. Uno stress generato da un'inidonea
rispondenza (o disattitudine), leggera o no, ha semplici tan~
gibili conseguenze che possono essere obiettivamente deter-
minate. Lasciando poi che il progettista calcoli la rispettiva
importanza dei diversi requisiti, a sua decisione e discre-
zione durante la fase diagrammatica del processo, si per~
mette cosi ai progettisti di accordarsi intorno al contenuto
dell'insieme M, siano essi d'accordo o no sulla loro relativa
importanza, poiché la sola inclusione di un requisito in M,
come tale, non attribuisce ad esso alcuno spedfico peso.

Prima di dire di piu intorno alle precise proprietà logiche


che le variabili di disattitudine devono avere, definiremo 105
ora le interazioni tra le variabili. Per fare questo dobbiamo
introdurre un nuovo elemento concettuale: e cioè il campo
specifico, o dominio, delle forme per le quali queste varia~
bili sono state precisate. Conveniamo di chiamarlo D; e
precisiamo subito che deve essere concepito, approssimata-
mente, come il complesso di tutte quelle "forme discrimina-
bili (buone e cattive) aventi la possibilità di venir poste
in rapporto con il contesto dato, per completare l'insieme.
I contenuti di questo dominio non possono essere specifi-
cati in modo preciso (se lo potessero, il problema della pro-
gettazione diventerebbe un problema di selezione); il domi-
nio in sé è immaginario, ma serve per fissare l'idea delle
connessioni intervariabili. Dovremmo pensarlo come la tota-
lità dell~ forme possibili entro le capacità conoscitive del
progettista. In altre parole, si tratta di un modo abbreviato
per parlare di tutte quelle forme discriminabili che un pro-
gettista può immaginare e progettare. 8
Ora, sappiamo per postulato che possiamo in linea di prin-
cipio decidere, per ognuna delle forme in D, quali requisiti
essa soddisfa e quali no. Questo significa che ogni variabile
di disattitudine x; taglia il dominio D in due: il gruppo del-
le forme adatte, e il gruppo di quelle che non lo sono. Sche-
maticamente, li rappresentiamo cosi:

Da due variabili otteniamo 4 insiemi, nel quali le forme


106 prendono i valori mostrati qui sotto.
Se sovrapponiamo tutte le m variabili, otteniamo una divi·
sione del dominio D in 2 m classi reciprocamente esclusive,
~gnuna contrassegnata da un ~ifIerente schema di valori per
Xl' .• x m • Chiameremo il quoziente di forme in D che non

soddisfa il requisito x, la probabilità del presentarsi della


disattitudine Xi. Scriviamo questo P(Xi = 1). (Naturalmen-
te O';; p(x; = l) ,;; 1.)
Allo stesso modo definiamo la probabilità di evitare la disat-
titudine Xi come p( Xi = O); e la probabilità di evitare en-
trambe Xi e Xi simultaneamente come P(Xi = 0, Xi = O), e
cosi via.
Se le variabili Xl' . . X m sono tutte a due a due indipendenti,
allora per un assioma della teoria della probabilità possia-
mo scrivere p(x; = =
O, Xj =
O) p(x;= O) . p(Xj= O)
per tutti gli i e j. E similmente se le variabili sono indipen-
denti a tre a tre, a 4 a 4, a n a n, allora queste relazioni
di indipendenza vengono considerate come probabilità con~
dizionali, e scriviamo, ad esempio, P(Xi = O, Xi = O I Xk =
= l) = =
p(x; =
O I Xk l) . p(Xj= O I x,= l) condizio-
nale su Xk = 1 e cosi via. 9 Dovunque le variabili non sono
indipendenti, le relazioni precedenti vengono a mancare. Es·
senzialmente, allora, parliamo di una dipendenza tra due va-
riabili dovunque P(Xi = O, Xi = O) sia notevolmente diver-
so da p (x; = O) . p (Xj = O) e analogamente per piu di
due variabili. Formalmente descriviamo queste dipendenze
per mezzo dei coefficienti di correlazione. 1O Il piti semplice
coefficiente di correlazione è quello per due variabili: 11 107
P(Xi=O,Xj=O) . p(xi=1,xj= 1) - P(Xi=O,Xj= 1) . P(Xi= 1,xj=O)
Cij
[P(Xi=O)P(Xj=O)P(Xi= 1 )p(Xj= 1))' .
Per qualunque coppia di variabili Xi e Xi, poi, possiamo di-
stinguere le tre seguenti possibilità:
1. Se Cij è notevolmente miJ.?ore di 0, Xi e Xi contrastano;
come «l'essere, il bollitore, troppo piccolo» e «l'occupate,
II bollitore, troppo spazio ». Quando cerchiamo una forma
che annulla XI diminuiscono le nostre probabilità di annul-
lare Xl.
2. Se Cii è notevolmente maggiore di O, Xi e Xi concorrono;
come <d'essere, il bollitore, incapace di resistere alla tem-
peratura dell'acqua bollente» e «l'essere, il bollitore, sog-
getto a corrodersi in cucine piene di vapore ». Quando cer-
chiamo materiali che evitino una di queste difficoltà, aumen-
tiamo l" probabilità di evitare l'altra.
3. Se Cij non è lontano da 0, Xi e Xi non mostrano intera-
zioni di alcun tipo degne di nota.

Rapporti Nel primo caso dovremmo scrivere un legame negativo tra


funzionali le variabili, nel secondo caso dovremmo scrivere _tra esse un
reciproci legame positivo, e nel terzo caso non dovremmo scrivere
nessun legame tra loro. Parlando grossolanamente: due re-
quisiti interagiscono e sono perciò legati se, in un progetto,
quel che si fa ìn funzione di uno di essi rende piu diflicik
o piu facile il fare qualcosa in funzione dell'altro." Quest'
suggerisce un modo semplice per valutare i legami, fondato
su un esame diretto delle forme esistenti conosciute. Sup-
poniamo di raccogliere un campione di tutti i bollitori re-
centemente prodotti e di esaminarlo dal punto di vista del-
le disattitudini Xi e Xi. Poiché abbiamo definito ogni varia~
bile di disattitudine i~ un modo tale che possiamo sempre
decidere quale valore essa prende (O o 1) in un progetto
dato, è facile ottenere il numero dei bollitori dove si è pre~
sentata solo Xi(Xi.-= 1, Xi = O), dove si è presentata so~
lo X;(Xi = O, Xi = 1) dove si sono presentate entrambe
(Xj = 1; Xi = 1) e dove né l'una né l'altra si sono presen-
tate (Xi = O, Xi = O). Se i campioni sono stati scelti atten~
tamente, quest'i numeri ci danno una buona valutazione del-
108 le probabilità che Xi, che Xj, che entrambe, che nessuna, ha
di presentarsi m un bollitore moderno scelto a caso. Da
queste valutazioni di probabilità associate a due variabili
potremmo calcolare la correlazione Cii e scrivere un legame
tra ogni coppia di variabili la cui correlazione fosse stati-
sticamente significativa. Potremmo usare lo stesso procedi-
mento per decidere delle correlazioni a piti variabili.
Però questo metodo, che è ba.sato su un campione dei bol-
litori esistenti, non serve pienamente ai nostri scopi. Se
riflettiamo attentamente, ci accorgiamo che le correlazioni
trovate empiricamente, hanno differenti gradi di validità.
Alcune sono quasi logicamente necessarie, come il contra·
st? tra l'esigenza di una sufficiente capacità del bollitore e
l'esigenza di una economia di spazio. Il primo richiede un
grande volume, il secondo uno piccolo. Questo CQntrasto
esiste quasi per definizione, almeno finché non si pensi a
modi di scaldare l'acqua assai -differenti da quelli consentiti
dai bollitori B
Altre correlazioni dipendono da leggi fisiche - come il con-
trasto tra l'esigenza di un materiale che trattenga il calore
dopo che nel bollitore l'acqua ba raggiunto il punto di ebol-
lizione e l'esigenza di un materiale che permetta di scaldare
economicamente l'acqua del bollitore. È difficile immaginare
un materiale la cui conduttività termica sia differente in di-
rezioni opposte; cosi ancora, sebbene vi siano modi per ag-
girarlo, il contrasto esiste per la maggior parte dei bollitori
che si possono immaginare.
Ma altre correlazioni dipendono solamente da contingenze
del gusto e del costume. Se guardiamo i bollitori nei negozi
di oggi, possiam~· osservare che quelli economici hanno ma-
nici di stagno, e potremmo c?ncludere che l'esigenza di sicu-
rezza nel sollevare un hollitore caldo (l'esigenza, cioè, di
avere un manico che non scotti) contrasta con l'economia
della produzione e con la necessità di tenere basso il prezzo
di vendita. Però, questa conclusione, che è basata su un
campione dei bollitori attualmente disponibili, cambierà ap-
pena cominceremo a pensare ad altri materiali e progetti.
Questo contrasto infatti, non sarà certo presente in tutti i
bollitori immaginabili.
Deliberatamente vogliamo evitare di mescolare questo ulti- 109
ma caso con gli altri due. Se dovessimo accettare il legame
che esso parrebbe suggerire, allora, con la logica essenziale·
dell'insieme, dovremmo anche congelare la ricerca entro i
limiti delle sue contingenze momentanee. Siamo invece inte-
ressati a quei legami fra le variabili che valgono per tutte le
forme che possiamo concepire (cioè per la totalità D). Pur-
troppo qu~lsiasi campione basato sulle possibili soluzioni
che sono già state realizzate è notevolmente influenzato dal
passato. Per superare questa tendenza, dovremmo esamina-
re in modo totalmente esauriente tutti i fattori di D, oppu-
re trovare una teoria che ci offra un criterio statistico impar-
ziale di campi9namemo di D. Nulla di questo è possibile
oggi.
Tuttavia, potremmo vincere questo stato di cose con altri
mezzi. Jnvece di cercare solo collegamenti statistici tra le
variabili, potremmo tentare di trovare le relazioni causali
fra esse. Ora, una fede cieca basata esclusivamente su una
regolari tà di frequenza osservata non può essere mai piena
ed appagante, perché non risulta da una connessione cau-
sale verificata. Ma se riusciamo a trovare una spiegazione
della correlazione fra le variabili, riferita a qualche sicura
matrice concettuale, possiamo essere piu facilmente disposti
a credere nel valore probatorio della frequenza e della rego-
larità, perché in t-al caso sappiamo anche quali tipi di circo-
stanze estranee hanno la probabilità di sconvolgere la rego-
larità e quali no. In questo secondo caso chiamiamo «cau-
sale» una correlazione, posto, appunto, che possediamo
qualche criterio di razionalizzazione o schema, le cui regole·
rendano conto di essa.
Per esempio, la conoscenza sicura della struttura molecolare
e cristallina dei materiali ci dà una buona ragione per cre-
dere che la conduttività termica di un materiale sia la stes-
sa in due direzioni opposte qualsiasi, e di qui che la neces-
sità di scaldare un bollitore in poco tempo contrasta con la
necessità di mantenere calda l'acqua una volta che abbia bol-
lito. In questo caso poiché comprendiamo la connessione
fra le due variabili la chiamiamo causale e le diamo un
peso molto maggiore perché siamo convinti che essa rende
110 conto di quasi tutte le possibilità concepibili.
La ricerca di relazioni causali di questo tipo non può essere
meccanicamente sperimentale o statistica, ma richiede una
interpretazione; per perseguir1a, dobbiamo adottare lo stes-
so tipo di ragionamento comune di cui siamo tenuti a far
uso continuamente nella parte induttiva della scienza. I puri
dati del metodo scienti6co non vanno mai oltre l'esposi-
zione delle regolarità. Noi immettiamo in queste una strut-
tura solo per- inferenza e interpretazione. 14 Proprio nello
stesso modo, i fatti strutturali relativi. a un sistema di varia-
bili in un insieme, verranno solo da una meditata inter-
pretazione delle osservazioni.
Diremo che due variabili interagiscono se e solamente se il
progettista può trovare una ragione (o' un modello concet-
tuaie) che abbia senso per iui e gli dica perché esse intera-
giscono. 15

Anche qui, come nella definizione delle variabili, ci imbat- Oggettività


tiamo nell'intervento di una componente personale e siamo e soggettività
tenuti a ricordare che L, come M, è una rappresentazione nel processo
di definizione
del modo in cui il progettista vede il problema, non una
descrizione' oggettiva del problema stesso. Se il progettista
vede un contrasto fra la necessità di avere allo stesso tem-
po in un bollitore una sufIìcient~ capacità e la necessità di
economizzare lo' spazio, egli lo fa perché ha alcuni precon-
cetti intorno ai tipi di bollitore possibili. Infatti sono con-
cepibili espedienti, non ancora inventati, per far bollire l'ac-
gua mentre esce dal rubinetto, e ottenendo quindi una occu-
pazione di spazio molto limitata. Ma finché il progettista
non assume questa possibilità, non serve dirgli che il con-
trasto è spurio; il contrasto, per quanto lo riguarda, esiste
realmente, e occorre risolverlo, e deve quindi essere inclu-
so in L e proprio nell'atto in cui si chiede se le due varia-
bili interagiscono realmente e perché lo fanno, il progettista
vede le possibilità di evitare il contrasto e cioè, vede il pro-
blema piu a fondo.
Il lettore può ben chiedersi come un tale processo - in cui
i requisiti e i legami tra i requisiti sono definiti dal pro-
gettista sulla base di cose già presenti nel suo pensiero -
possa giungere a un risultato che non è già presente nel !lI
pensIero del progettista. In altre parole, come può essere
realmente di aiuto questo procedimento? La risposta è che
poiché esso concentra l'attenzione sulla struttura, il processo
è capace di ricavare una totalità coerente, e quindi nuova,
da pa.rti incoerenti.
È vero che il progettista deve fin dall'inizio avere in mente
alcune idee fisiche, relarive al problema. Per definire i requi-
siti, egli deve essere cosciente delle implicazioni fisiche spe-
cifiche di ciascuno di essi. Per definire i legami fra i requi-
siti, egli deve essere cosciente dei molti modi in cui le im-
plicazioni fisiche hanno probabilità di essere in contrasto o
viceversa di concorrere. Ma le molte implicazioni frammen-
tarie di cui il progettista è cosciente non arrivano di per se
stesse alla forma. Egli è capace di definire la forma solranto
nel momento in cui le implicazioni fisiche si compongono
nella sua mente e assumono un aspetto organizzato. Il pro-
cesso che sto descrivendo, come vedremo, è di aiuto preci-
samente in quanto provoca l'organizzazione, entro partico-
lari specifici finora non organizzati, nel pensiero del pro-
gettista.

Esigenza di Indubbiamente lo schema di interazione in qualsiasi pro-


specificazione blema reale presenterà una grande varietà di forze diverse.
e dettaglio Può succedere che due variabili -contrastino cosi fortemente
da escludersi reciprocamente e da non poter mai assumere
contemporaneamente gli stessi valo;ti. Può anche succedere
che le due variabili presentino una tendenza a concorrere,
appena percettibile. Ma, mentre una prova esplicitamente
statistica dà alle interazioni una gamma continua.. di valori,
i metodi ad hoc del pratico senso comune difficilmente ci
permettono di assegnare loro una continua gamma scalata
in modo percettibile - questo soprattutto per il fatto che
i diversi individui che giudicano possono avere scale per-
sonali di valutazione incommensurabili e per il fatto che le
interazioni che scaturiscono da diversi tipi di sorgenti pos-
sono essere difficili da comparare. In pratica, nel migliore
dei casi, è possibile distinguere due o tre intensità di in-
terazione.
112 Sarà possibile, allora, dare a ciascuna coppia di. variabili
(Xi. Xi) un piccolo indice integr.ale. Vi;' uguale a O se non
c'è interazione. positivo se c'è accordo, e negativo in caso
di contrasto. Sarà ugualmente conveniente mantenere il
valore assoluto di Vii minore o uguale a un numero intero
fissato v. Al fine di una interpretazione fedele, assumiamo
che !'indice di legame Vij indichi una correlazione di SVii,
dove o è una costante arbitraria tale che ov :<:: 1. I valori
del Vii possono essere esposti in forma di matrice. La casella
alla coincidenza della i-esima riga j-esima colonna contiene il
valore Vii- La casella della prima riga e della seconda colon-
na (i = 1, i = 2) contiene vu. La matrice è simmetrica.
In questo modo:

x, x,

o 2 O

x, 2 O -1

x, O -1 O
x,

Da questa matrice si arriva a definire l'insieme L come un


insieme di legami associati alle variabili di M, come segue. 16
Per ogni coppia di variabili Xi e X;' ci sono I Vii l elementi
distinti di L che uniscono Xi a Xj. Questi elementi portano
lo stesso segno dell'indice Vii, negativo per il contrasto e
positivo per l'accordoY Gli insiemi M ed L congiuntamente
definiscono in modo completo il grafo G (M, L).18
.Le definizioni che abbiamo dato lasciano ancora senza ti·
sposta alcune questioni pratiche relative agli insiemi M ed
L. Ha qualche importanza, per esempio, il fatto. che due
variabili abbiano un significato molto vicino anche se leg·
germente differente? Quanto specifiche o quanto generali
devono essere? Come ci comportiamo in un caso di intera·
zione a tre variabili? Le risposte a qU(~ste domande di-
pendono da tre importanti proprietà formali del sistema
C(M, L), che ora esamineremo. 113
Innanzi tutto, se il grafo G(M, L) deve fornirci una rap-
presentazione accurata del comportamento delle variabili, è
necessario che l'insieme L descriva tutte le interazioni esi-
stenti fra le variabili. Dal momento che gli elementi di L
sono legami che rappresentano la correlazione a due varia-
bili, questo significa che le variabili devono essere scelte in
modo da essere libere da correlazioni a tre o piu variabili.
La trattazione matematica dell'appendice 2 è basata sulla
assunzione che le correlazioni di ordine superiore si annuI·
Iino. t9 Se non fosse cosi. un'analisi basata su L e M soltanto,
. darebbe certo risultati fuorvianti.
In secondo luogo, anche la correlazione a due variabili SVii
deve essere piccola per ciascuna coppia di variabili. Specifi.
camente, per quanto riguarda la trattazione matematica del-
j'appert"dice 2, dobbiamo avere /0 ~ l, dove / è il numero
totale dei legami in L'"
Terzo, l'analisi dell'appendice 2 è basata anche sull'assun-
zione di una certa simmetria semplice fra le variabili di M.
Essa richiede che p( Xi = O) sia la stessa per tutti gli i. 21
Ancora una volta, se non fosse cosl, l'analisi non sarebbe
valida.
Consideriamo ora le implicazioni pratiche di queste tre pro~
prietà formali che il sistema G(M, L) deve avere. Prendia-
mo per prima l'ultima. Essa richiede che P(Xi = O) sia la
stessa per tutti gli i, ovvero che la proporzione di tutte le
forme pensabili che soddisfano un requisito sia press'a po-
co la stessa per ciascun requisito. Ciò signiEca, nel linguag-
gio comune, che tutte le variabili debbono essere grosso mo-
do comparabili per quanto riguarda la loro pottata e il loro
significato.
Non possiamo ammettere che «economicamente soddisfacen-
te» sia un requisito e «mantenimento dei costi abbastanza
bassi» sia un altro. Chiaramente questi requisiti hanno dif-
ferenti gradi di significato poiché il secondo è parte del pri-
mo mentre il primo non è parte del secondo. Ogni proget-
tazione economicamente soddisfacente deve a fortiori con-
tenere i costi a un livello accettabile. Ma non è vero l'in-
verso. I progetti possibili che soddisfano il primo requisito
114 sono molti di piu di quelli che soddisfano il secondo, perché
il primo ha una portata e un signrncato molto pio ampi. Le
loro probabilità sono molto diseguali. In questo caso l'ine-
guaglianza è particolarmente chiara poiché il secondo requi-
sito è contenuto nel primo. Ma la differenza sarebbe pari-
menti grande se sostituissimo il primo con «funzionalmente
soddisfacente ». Questo nuovo requisito ha una portata ed
un significato ancora pio ampi del «mantenimento dei costi
abbastanza bassi» anche se ess~ non lo contiene. Se voglia-
mo usare «mantenimento dei costi abbastanza bassi» come
requisito, allora dobbiamo suddividere «funzionalmente sod-
disfacente» in requisiti piti piccoli e piu specifici, compara-
bili ad esso. II primo passo nella costruzione dell'insieme M
è di rendere tutte le sue variabili approssimativamente ugua-
li in «dimensione» o portata. 22
Consideriamo ora la seconda delle tre proprietà formali. In
pratica, naturalmente, la precisione di questa espressione
matematica è Senza senso, dal momento che noi giudichia-
mo le correlazioni «ad occhio» e non le ordiniamo nume-
ricamente. Essa significa tuttavia, praticamente, che dobbia-
mo essere soddisfatti di ottenere che tutte le variabili siano
tanto indipendenti quanto riusciamo a renderle tali. Un
esempio può servire a chiarire meglio. Supponiamo che le
seguenti due variabili appaiano nella nostra lista per il pro-
blema del bollitore:
1. «il bollitore deve riscaldare l'acqua abbastanza in fretta»;
2. «il bollitore deve conservare calda l'acqua una volta che
essa ha bollito ».
Queste due variabili sono chiaramente nient'affatto indi-
pendenti. Tuttavia esistono, nascosti dietro di esse, due
aspetti abbastanza indipendenti e basta solo trovarli. Un
modo per riuscirci consisterebbe nella seguente rielabora-
zione che copre piu o meno lo stesso campo della prima
coppia, ma consta di due variabili fra loro piu indipen-
denti;
3. «il bollitore deve permettere una trasmissione di calo-
re solo unidirezionale»;
4. «il bollitore deve avere una bassa capacità termica ».
Una notevole quantità di energia deve essere spesa nelle
fasi preliminari manipolando e rimaneggiando le variabili 115
in questo modo fino a che esse non divengano indipendenti
quanto piu è possibile. D
Dopo la terza e la seconda delle proprietà formali, veniamo
ora alla prima e piu difficile da ottenere: che le correlazio·
ni a tre o piu variabili fra gli elementi di M sia trascu-
rabili. Essa significa che la correlazione a due variabili per
ogni coppia di variabili deve essere indipendente dagli sta·
ti di tutte le altre variabili. Dal momento che lo stato di
una variabile con tanto maggiore probabilità influisce sul-
la correlazione fra le altre variabili, q'uanto piu ampia è
la sua portata, la cosa migliore da fare è quella di rendere
tutte le singole variabili quanto piu è possibile specifiche e
minute.
Questo metodo del rendere tutte le variabili altamente spe·
cifiche"'è importante per un'altra ragione. Per quanto si
cerchi di evitare le categorie esistenti, in pratica si debbono
sempre creare le variabili specifiche di M, attraverso fasi
intermedie. Il cervello non è fatto per pensare in modo
amorfo liste dettagliate. Ci piaccia o no, se pensiamo a una
variabile che ha a che fare con l'acustica, inevitabilmente
penseremo alle altre che Ci sembrano appartenere allo stesso
titolo o rientrare nella stessa area concettuale. È quindi per
una questione di psicologia pratica che noi non possiamo
evitare di -usare concetti di ordine superiore come «econo-
mia» e «acustica », quali passaggi intermedi nel compito di
elencare le variabili di disattitudine.
Nel migliore dei casi possiamo trattare questi intermediari
concettuali come parole.chiave, come etichette liberamente
concepite per i principali argomenti del problema, che do·
vremo poi suddividere ulteriormente in parti pili piccole per
ottenete un insieme di variabili M. Pili le nostre variabili
sono vicine a queste parole-chiave astratte e generali, piu il
nostro problema rimane suscettibile di quel tipo di distar·
sioni discusse nel capitolo 5. Quanto piu rendiamo spedii·
che e dettagliate le variabili, tanto meno C(M, L) sarà co~
stretto dalle precedenti concezioni, e tanto piu esso sarà
aperto a un esame dettagliato ed imparziale della sua strut-
116 tura causale.
Riassumiamo quindi le proprietà che gli elementi di M de-
vono avere. Essi devono essere scelti in modo da (1) avere
un'uguale portata, (2) essere tanto indipendenti l'uno dal-
l'altro quanto è ragionevolmente possibile, e (3) avere una
portata tanto piccola, e quindi essere tanto specifici e detta-
gliati e numerosi, quanto è possibile. 24 Un esempio di un
insieme M' è dato nell'appendice 1 unitamente al suo insie-
me associato L.
41 La soluzione

Abbiamo ora un grafo G (M, L) che rappresenta il proble-


ma della progettazione. Come abbiamo visto nel capitolo 6,
per risolvere il problema, tenteremo di scomporre l'insieme
M in modo tale che ci dia un programma utile per la pro-
gettazione. Considereremo ora quale criterio -ysare come
base per la scomposizione.
Come abbiamo osservato nel capitolo 6, un programma ci
fornisce una serie di sottoproblemi piti semplici, e ci dice
in che erdine risolverli. Prima di tentare di definire un cri-
terio di scomposizione possiamo discutere l'assunto che una
tale partizione possa essere di qualsiasi aiuto al progettista.
Il progettista come creatore di forma sta ricercando l'inte-
grità (nel senso della singolarità) j desidera formare una uni~
tà, sintetizzare, raccogliere insieme elementi. L'origine di
un programma di progettazione, d'altra parte, è analitica, e
il suo effetto è di frammentare il problema. Il contrasto fra
questi due scopi, l'analisi e la sintesi, ha condotto qualche
volta a sostenere che nella progettazione l'intelletto e l'arte
sono incompatibili, e che nessun processo analitico può aiu-
tare un progettista a comporre progetti unitari e ben orga-
nizzati.
Consideriamo piu attentamente questa obiezione. È comune
esperienza che i tentativi per risolvere prima ùna parte di
un problema poi altre, e cosI via,porta a" involuzioni senza
fine. Non si è ancora risolto un aspetto di un problema che
un altro diviene. oscuro. E quando si torna indietro per cor-
reggere, va storta qualche altra cosa. Gira e rigira non si
arriva mai a produrre una forma che sia completamente
giusta, perché non c'è nessun modo di integrare le parti rac-
colte separatamente. Questa è la grande argomentazione
contro i tentativi di risolvere i problemi della progettazio-
ne per scomposizione. Si dice inoltre che poiché nessuna
118 analisi per quanto acuta può mai risolvere queste difficoltà,
il progettista deve contare su di una forza creativa subcon-
scia che gli consenta di destreggiarsi con successo. In altre
parole, la mano e l'occhio devono essere tanto sicuri, da
condurlo al risultato piu rapidamente di quanto non possa
l'intelligenza. Se i problemi della progettazione fossero omo-
genei, questa raccomandazione avrebbe una sicura impor-
tanza perché allora qualsiasi suddivisione analitica agireb-
be, per cOSI dire, come elemento di rottura e ne sarebbe
distrutta l'unità. Ma in pratica i problemi sono tutt'altro
che omogenei. Sono pieni di nodi e fratture che rivelano
una struttura definita. Se si riuscisse a imparare a tracciare
le principali componenti strutturali del problema dal grafo
G(M, L) che lo rappresenta, le difficoltà scomparirebbero.
Ma come si possono riconoscere le componenti strutturali
separabili di un problema? Affrontiamo ogni giorno questo
tipo di compito, costantemente; anche quando non vediamo
.niente di piu complicato di un paio di arance su un tavolo,
una accanto all'altra e non un'arancia e mezza vicino a
mezza 'arancia, identifichiamo correttamente le componenti
strutturali. (Correttamente, e in modo praticamente verifi~
cabile, perché mentre possiamo raccogliere un'arancia e la~
~ciare l'alt~a dov'è, non possiamo raccogliere un'arancia e
mezza è lasciare mezza arancia dove ·sta.) Kohler e Werthei~
mer diressero l'attenzione sul fatto che anche un atto cono-
scitivo apparentemente semplice come questo, in effetti ri-
chiede un'operazione percettiva molto complicata. 1 Non do-
vremo sorprenderci constatando, nel simile ma piu astratto
compito di riconoscere le appropriate componenti struttu-
rali del sistema M, che la nostra istintiva percezione ed in-
tuizione ci tradiscono.
La traduzione in termini matematici di questa intuizione è
stata cercata in molti modi. 2 È importante esaminarne alcuni
se non altro per la bu"ona ragione che essi illustreranno e
approfondiranno la concezione dei nostri obiettivi. Qualcu-
no, che forse si avvicina a quello che vogliamo, divide sem·
plicemente M in una serie di sottoinsiemi collegati dal minot
numero possibile di legami L, lasciando cOSI il maggior nu-
mero possibile di legami entro i sottosistemi. 3 Tuttavia,
nemmeno questo né qualsiasi altro dei metodi esistenti si 119
adana esattamente alle condizioni che si presentano nel
nostro caso. Proverò ora a dimostrare come si possa svi-
luppare un criterio ben definito di scomposizione, pensan-
do semplicemente con cura alle relazioni tra il programma
di progettazione e la sua attuazione.

Riflettiamo a ciò che la giusta attuazione del programma


richiede. Fondamentalmente, richiede che gli insiemi ne]
as, programma abbiano due tipi di proprietà, che possono esse-
re illustrati prendendo la tipica parte di programma mo-
strata sotto. SI ed 52 sono due diversi insiemi di requisiti.
53 contiene tutti i requisiti di 51 e 52_
Prima dobbiamo essere in grado di trovare i diagrammi co-
struttivi per SI e 52 separatamente. Questo significa che le
disattitudini che SI contiene devono in qualche modo essere
coerenti, e suggerire un aspetto fisico o una componente
della forma desiderata. Lo stesso vale per S,
In secondo lu~go, se la scomposizione deve servire a qual-
che utile proposito, non deve essere necessario costruire il
diagramma per S, fin dall'inizio. Invece deve essere possi-
bile dedurre un diagramma costruttivo per S" in qualche
semplice modo, dai diagrammi già costruiti separatamente
per S, ed S,.
Per semplificare, la prima di queste condizioni dipende dalla
struttura interna degli insiemi SI ed 52. mentre la seconda
riguarda le relazioni fra questi due insiemi.
Consideriamo, in quest'ordine, le due condizioni.

Nel diagramma Quale peculiarità della strutrura interna di qualsiasi proble-


hanno rilevanza gli ma lo rende difficile da risaIvere? I n nove casi su dieci.
aspetti fisici del non si può risolverlo perché non si può afferrarlo; non si
problema riesce a vedere. «a cosa conduce» la struttura interna. Lo
dimostrano chiaramente i sotto-problemi che stiamo consi~
derando, e che sono costituiti. dagli insiemi di requisiti iso-
lati dal resto del problema di progettazione cui apparten-
gono. Prendiamo a caso due problemi di rispondenza, «il
bollitore deve essere pratico da maneggiare» e «il bollitore
deve essere economico da scaldare)}. che noi dovremmo pro-
120 babilmente considerare come non interagenti. I due proble-
mi definiscono un sottoinsieme, a due elementi, di M per il
problema del bollitore. È difficile vedere, tuttavia, che cosa
hanno in comune questi due elementi o, piu esattamente,
se questo insieme, preso da solo, significa qualcosa.
Se l'insieme M contiene m disattitudini, ci sono 2m pqssibili
sottoinsiemi di" M e cosi 2m problemi supplementari. Qual~
siasi problema di progettazione di pratico interesse e di nor~
male complessità conterrà probabilmente almeno 100 varia~
bili, e varrà perciò 2 100 , cioè, approssimativamente, 103:)
. (1,000;000,000,000,000,000,000,000,000,000) diversi sot-
toinsiemi di variabili. Quasi ciascuno di questi sottoinsiemi
sarà difficile da afferrare, dal momento che già nell'esempio
del "sottoinsieme a due elementi appena dato, non è chiaro
che cosa «abbiano in comune» le sue piuttosto disparate
variabili.
La nostra prima, naturale reazione è di cercare l'integrità di
quei rarissimi insiemi di variabili nei quali le variabili «han~
no qualcosa in comune» in modo che gli insiemi acquistino
un senso.
L'uso di concetti verbali rappresenta un efficace mezzo artiH
ficiale per trovare gli insiemi che hanno qualcosa in comu~
ne. Succede infatti che certi risultati,' che appaiono nella
nostra analisi come sottoinsiemi di M, siano legati da parole
familiari. Chiunque diventi capace di manipolare questi
insiemi, può capire di che cosa si sta occupando, e può per~
ciò affrontare i significati che l'insieme rappresenta. Sfortu~
natamente però, gli insiemi di disattit~dini identificate attra-
verso concetti verbali non hanno alcuno speciale significato
funzionale, e non si prestano di solito ad una interpreta H

zione per mezzo di diagrammi costruttivi. Un diagramma


costruttivo richiede che i requisiti che esso rappresenta ab-
biano in comune qualche implicazione fisica. È facile quindi
costatare come non tutti i possibili sottoinsiemi di M siano
ugualmente facili da diagrammare costruttivamente. Possia-
mo forse esporre ciò in altri termini, dicendo cioè che certi
sottoinsiemi aprono delle possibilità fisiche piu facilmente di
altri. Alcuni insiemi di disadattamenti, considerando le loro
interazioni, sembrano appartenersi naturalmente; e presi co~
me unità, suggeriscono con molta evidenza una forma fisica. 121
Altri sembreranno non avere alcuna speciale ragione per es-
sere considerati insiemi, non sono particolarmente facili da
diagrammare, e veramente non «appartengono» al problema.
Per rendere sensibili i sottoinsiemi in questo programma,
dobbiamo ora chiederci esattamente quali insiemi di punti
possiamo considerare come i piu «diagrammabili ». Questo
dipende dallo schema di interazioni. Dov'è che, a conti fatti,
'si manifesta l.'interazione fra i requisiti? Essa scaturisce
dalla natura diilicilmente trattabile dei materiali da utilizzare
e dalle condizioni che governano la creazione della forma.
Due disattitudini sono considerate come interagenti solo
perché, almeno in un certo senso, riguardano lo stesso gene-
re di considerazione fisica. Se riguardassero aspetti comple-
tamente diversi, non ci potrebbe essere alcuna base né per
un contrasto né per una unione.
Nel costruire, la necessità di un isolamento acustico contra-
sta con la necessità di utilizzare materiali prefabbricati facil-
mente trasportabili. Queste due esigenze contrastano perché
la prima richiede massicci spessori di materiale inerte, men-
tre la seconda richiede muri leggeri. La caratteristica fisica
reale dalla quale dipendono le loro interazioni è la massa.
Ancora: in una superstrada la necessità di sicurezza nelle
curve contrasta con la necessità di mantenere bassa l'inci-
denza del costo del terreno, perché quanto piti larghe devo-
no essere le curve per ragioni di sicurezza, tanto maggiore
è l'area che si deve occupare. In questo caso l'interazione
fra i due requisiti dipende dal raggio della curva.
È proprio questo centro fisico di implicazioni - se posso
cOSI chiamarlo - che il p.t;"ogettista trova facile da afferrare.
Po'iché esso si riferisce ad una proprietà o entità fisica di-
stinguibile, può essere facilmente diagrammato, e può quin-
di fornire un possibile punto di attacco non verbale al pro-
blema. Se possiamo trovare insiemi di variabili nei quali le
interazioni sono particolarmente dense, possiamo presumere,
che la densità dell'interazione risiede in un aspetto fisico
chiaramente identificabile. Gli insiemi di questo tipo saran-
no i piu facili da afferrare costruttivamente. Come a lato.
Perciò se spezziamo il problema in modo tale che i suoi
gruppi di variabili siano interamente collegati nel modo piu
ricco, avremo il filo conduttore per quegli aspetti fisici del
problema che hanno il ruolo funzionale piu importante e che
perciò molto probabilmente forniscono una opportunità di
comprensione al progettista. Sono questi gli insiemi piu
facili da diagrammare.

Se dobbiamo risolvere il problema M aprendoci la strada Ricorso alla


attraverso il programma, risolvendo separatamente i diversi scomposizione
sottoproblemi, deve essere ovviamente possibile mettere in~
sieme in qualche modo i diagrammi risultanti quando li
abbiamo. Questa è la seconda condizione che un program-
ma favorevole deve soddisfare. Ma sarà possibile fondete
due diagrammi solo in particolari circostanze. Perché, per
esempio, non possiamo semplicemente comporre un dia-
gramma' per ogni singola vari!lbile, in modo da ottenere m
diagrammi, e poi sovrapporli tutti? La ragione è evidente.
Le cara~teristiche fisiche richieste da un requisito contrasta~
no con le caratteristiche fisiche richieste da un altro. Que-
sto è, in effetti, esattamente ciò che intendiamo dicendo che
due variabili di disattitudine contrastano. Lo stesso vale per
diagrammi piu complessi. Abbiamo già concentrato l'atten~
zione sul fatto che un sottoinsieme che contenesse tutte le
variabili economiche, e nessun'altra, sarebbe relativamente
inutile, perché le sue implicazioni economiche contrastereb-
bero troppo fortemente con le altre implicazioni del proble-
ma. Naturalmente se il diagramma per i requisiti economici
non fosse compatibile con quello dei requisiti di comodità,
non avrebbe senso costruire i due diagrammi indipenden-
temente.
Come affronteremo allora questa difficoltà? Non è possibile
evitare di incontrare contrasti in qualche parte nel program·
ma. Indipendentemente dall'ordine in cui vengono conside-
rati i requisiti, se si vuole trovare una forma che li soddisfi
tutti, si deve in qualche fase risolvere ognuno dei contrasti.
Ma se ci pensiamo, vediamo che la difficoltà di risolverli è
diversa nelle diverse fasi del processo di attuazione. All'ini-
zio del processo, gli insiemi di requisiti sui quali ci appli~
chiamo sono ancora sufficientemente ristretti perché le loro
implicazioni siano afferrate intuitivamente; e queste impli~ 123
cazioni non sono perciò ancora irrigidite in alcuna esplicita
forma diagrammatica; sono ancora sufficientemente flessibili
per essere integrate con successo malgrado i contrasti. Piu
procediamQ nel processo, piu· i nostri pensieri sulle implica-
zioni sono forzati dalia loro complessità a diventare con·
creÙ, sia diagrarnmaticamente che concettualmente; piu la
loro rigidità si oppone ad ulteriori modifiche. Come risul-
tato, quanto piu. tardi i diagrammi in contrasto debbono
essere integrati nel processo, tanto piu difficile è l'inte-
graZIOne.
Ne risulta che, siccome i contrasti prima o poi debbono es-
sere risolti, sarà opportuno affrontarli il piu presto possi-
bile nel corso del processo di attuazione, quando le idee
sono ancora flessibili. Da questo punto di vista, quanto mi-
nore è.oil numero dei legami tra i sottoinsiemi maggiori del-
la decomposizione, tanto meglio è. La situazione ideale, che
. generalmente non esiste in pratica, è quella di trovare una
prima divisione di M, come quella qui illustrata, nella quale
nessun legame è tagliato dalle scomposizionL4

La necessità di sottoinsiemi che si possano esprimere dia-


grammaticamente richiede insiemi di variabili dotati di inte-
razioni interne molto ricche. La necessità di risolvere i con·
trasti fra i diagrammi che da essi si ottengono, richiede il
numero piu piccolo possibile di interazioni tra i sottoinsie-
mi. È chiaro che questi due fatti sono compatibili; in realtà,
possono essere espressi unitamente nel modo seguente.
Consideriamo proprio quel livello della scomposizione nella
quale qualche in~ieme S deve essere diviso in sottoinsiemi
124 separati (5\, S" So· . ·5.). Vogliamo scegliere questi S. in
modo tale da poter trovare un diagramma costruttivo per
SI le cui implicazioni piu tardi non risultino contraddette
da un diagramma concepito indipendentemente per 'uno de-
gli altri S.. Lo sresso per S" S, ecc. Perché è difficile fare
questo in termini di comportamento delle variabili?
t diflicile perché qualsiasi variabile legata ad altte esercita
una mutua costrizione sulle loro reciproche condizioni. Se
fissiamo i valori delle variabili di S" i valori che le variabili
di Sg, possono assumere sono già vincolati in qualche modo
dai vincoli di probabilità che le legano a S,. In altre parole,
i valori che le variabili di S, assumono, dicono già qualcosa
intorno ai valori che possono assumere le variàbili di S'l;
essi forniscono una informazione. Quanto piu radi sono i
legami fra gli S. ranro meno i valori delle variabili in S,
possono dirci circa i valori in 52, ecc.; quanto minore è
l'informazione che i .legami portano attraverso la partizione,
tanto piu liberi siamo nel costruire un diagramma per S2,
una volta fissata la soluzione di S, nella nostra mente.
Se desideriamo prima costruire un diagramma per S" e poi
indipendentemente un diagramma compatibile per 52, vo-
gliamo essere liberi di manipolare i valori delle variabili in
52 senza che questa manipolazione sia vincolata dal fatto
che le variabili di SI sono state fissate nella nostra mente
dall'espressione diagrammatica inventata per esse. Per otte-
nere quesro, dobbiamo scegliere le S. in modo tale che le
variabili nei diversi sottoinsiemi della partizione, esercitino
la minor possibile costrizione reciproca di informazione.
Come si dimostra nell'appendice 2, le condizioni specificare
'nel capitolo 8 definiscono un'unica distribuzione di proba-
bilità p(),,) sulle condizioni di qualsiasi insieme di variabili.'
L'appendice 2 dimosrra inoltre che, data qualsiasi divisione
7t di un insieme 5 in sottoinsiemi, 7t{ 51' .. 51l } si può sta·
bilire una misura della trasmissione di informazione, o del-
la dipendenza informazionale, fra questi sottoinsiemi chia-
mara R(7t)' Poiché R(7t) è definita per turte le possibili
parrizioni di qualsiasi S, possiamo ottenere la scomposizio·
ne desiderata dell'insieme M attraverso la minimizzazione di
R( 7t) per partizioni successive di M e dei s~oi derivati,
Troviamo dunqu~ prima di tutto quella divisione di M, 125
n (M), per la quale R ( n) è mmima. Questo stabilisce il
primo livello della scomposizione, secondo la seguente rap-
presentazione.
A Applichiamo poi lo stesso metodo agli insiemi 511.: cerchia-
M
mo quella clivisione n(5 1 ) di SI, per la quale R(n) è mini-
ma, e similmente per S2' . " ottenendo cosi il secondo li·
vello della scomposizione. Continuiamo con questo procedi-
S, S3 s, mento iterativamente, finché raggiungiamo un livello di
scomposizione al qual€ tutti gli insiemi contengono unA
sola variabile. (Condizione 4 del cap. 1, parte II, pag, 82.)

Aderenza a finalità L'albero degli. insiemi dato dalla scomposizione è, entro i


fisiche, e funzionali limiti di questo libro, una completa decomposizione sttut·
turale del problema di progettazione definito da M; perciò
serve ç.ome programma per la sintesi di una forma che
risolva questo problema.
Ricordiamo ora le proprietà del programma:
1. L'albero, nella sua struttura gerarchica, corrisponde a
qualsiasi altra gerarchia di concetti - salvo che i concetti
sono qui definiti per denotazione" come insiemi di variabili,
piuttosto che per connotazione attraverso il significato.
2. L'albero particolare al quale siamo arrivati con il me-
todo descritto) dà una rappresentazione esplicita della strut-
tura implicitamente responsabile del successo e della sta-
bilità del processo l!0n autocosciente del creare forme.
3. L'albero dà la piti ampia scomposizione possibile del
problema senza interferire con l'obiettivo di sintetizzare le
diverse parti unificandole. Ogni problema accessorio che esso
definisce ha la sua propria integrità, ed è il piu indipen-
dente possibile dal resto del problema.
4, Dobbiamo ricordarei che la gerarchia degli insiemi defi-
niti dall'albero non sarà sempre facile da capire. Perfino
negli insiemi piu piccoli che contengono solo una mezza
dozzina di variabili, queste sovente sembreranno disparate,
e la loro giustapposizione risulterà strana. L'importanza di
ogni variaQile si può comprendere propriamente solo dopo
un esame accurato della sua relazione funzionale con le altre
variabili nell'insieme. Poiché la potenziale coerenza di que-
126 sto insieme di variabili deriva dalle sue implicazioni fisiche,
essa può essere afferrata solo graficamente, per mezzo di
un diagramma costruttivo che riveli proprio le implicazioni.
Ogni diagramma per un insieme S deve soddisfare due
esigenze.
Come diagramma di requisiti:
a. deve rivelare proprio quegli aspetti del problema che
sono importanti per l'insieme dei requisiti;
b. non deve includere alcuna informazione che non sia
esplicitamente richiesta dai requisiti.
Come diagramma èli forma:
a. deve essere tanto specifico da possedere tutte le carat·
teristiche fisiche richieste dai requisiti di 5;
b. allo stesso tempo deve essere tanto generale da non
contenere alcuna caratteristica arbitraria, e riassumere cosi,
astrattamente, la natura. di og,ni forma che potrebbe sod-
disfare S.
Il progettista, prima di tutto, deve resistere alla tentazione
di riassumere i contenuti dell'albero in termini di concetti
verbali noti. Non deve aspettarsi di poter rintracciare per
ogni S qualche paradigma verbale come «questo concerne
gli aspetti acustici delIa forma >}. Se tenta di farlo, e permet-
te ai preconcetti verbali di interferire nello schema che il
programma gli presenta, nega tutto il fine delI'analisi. Il
fine del programma di progettazione è nel fatto che ogni
insieme di requisiti si orienta verso un unico importante
risultato fisico e funzionale, piuttosto che verso qualche
risultato precostituito o verbale. In questo modo il proget-
tista è portato a consolidare le idee concrete appena germo-
glianti nella sua mente e a trasformarle in un ordine fisico.

Per finire questo capitolo, darò un esempio del modo in Una nuova idea
cui un insieme di requisiti, presi insieme, crea una nuova della. forma
idea di quelIo che dovrebbe essere la caratteristica princi-
'pale di una forma fisica. Prendiamo ancora in considerazio--
ne il progetto delI'ormai familiare bollitore a un becco. Il
becco singolo, largo e corto, corrisponde a un certo numero
di requisiti: tutti quelIi che si concentrano nel problema di
mettere e togliere acqua dal bollitore, di farlo con sicurezza
senza che cada il coperchio, di rendere la produzione piti 127
semplice possibile, di fornire un avvertimento quando il
bollitore bolle, e di consentire una facile pulizia dell'interno.
Nei vecchi. bollitori questi requisiti erano soddisfatti sepa-
ratamente da tre componenti: un becco per versare, un
buco in alto per riempire e pulire, e un coperchio che trat-
teneva il vapore e si 'agitava quando l'acqua bolliva. 1m·
provvisamente, quando divenne possibile mettere sul merca-
to metalli incorruttibili e poco costosi e di piu efficace disin-
crostazione, per cui non era piu necessario raggiungere l'in_
terno del bollitore per disincrostarlo, divenne chiaro che i
requisiti avevano in realtà un unico centro di implicazioni
fisiche e n~n· tre. Il becco largo può essere usato per riem-
pire, per versare, e come fischio, e non c'è piu bisogno di
coperchio, che può sempre cadere fuori e versare l'acqua
bolleRte sulle mani di chi usa il bollitore. L'insieme di re-
quisiti, una volta riconosciuta la sua unità, conduce ad una
singola componente fisica del bollitore.

L'attuazione del Il programma che rappresenta una scomposizione funzionale


programma definirà del problema, è un ìnezzo per identificarne gli aspetti fun-
fisicamente zionali piu importanti. Ma quale specie di forma .fisica può
la forma
veramente cercare di conseguire un progettista con l'aiuto
di tale programma? Consideriamo il problema della fotma
fin dalla sua origine.
L'organizzazione di qualsiasi oggetto fisico complesso, è di
tipo gerarchico. È verO che,'se vogliamo, possiamo rifiutare
questa· osservazione considerandola come un'allucinazione
del cervello umano, sempre propenso a percepire il mondo
in termini di articolazioni e gerarchie. Vi sono ruttavia buo-.
ne ragioni per credere alla suddivisione gerarchica del mon-
do come a u'n carattere og"gettivo della realtà. Infatti, molti
scienziati, nello sfol'zo di comprendere il mondo fisico, per
primo identificano le sue componenti fisiche; come del resto
io stesso ho fatto in queste;· note, per arrivare a isolare le
componenti astratte del problema che affrontavo. Per com-
prendere il corpo umano è necessario conoscere le sue prin-
cipali divisioni strutturali e funzionali. Non è possibile com-
prenderlo finché non si riconoscono come entità a se stanti
128 il sistema nervoso, il sistema ormonale, il sistema vasomo-
torio, il cuore, le braccia, le gambe, il tronco, la testa, e
cOSI via.? Non si può capire la chimica senza conoscere le
parti di cui sono composte le molecole. Non si può soste-
nere di aver ben compreso l'universo prima di aver rico-
nosciuto le galassie come sue parti fondamentali. Non si può
capire la città moderna finché non si sa che, pur essendo le
strade e la distribuzione dei servizi fisicamente intrecciate,
i due settori rimangono funzionalmente distinti.
Gli scienziati si adoperano per identificare le componenti
delle strutture· esistenti. I progettisti tentano di dar corpo
alle componenti di nuove strutture. Il piti grande compito
per i progettisti è congiuntamente la ricerca delle giuste
componenti e il modo giusto di trasformare queste comPlo-
nenti in forme. lo credo che il programma gerarchico usato
con intelligenza possa offrire la chiave di questo fondamen-
tale problema, possa cioè fornire le principali componenti
fisiche da cui dovrebbe derivare la forma.
Quando consideriamo i diversi tipi di diagrammi costrut-
tivi che possono essere suggeriti dai sistemi di requisiti, la
loro natura ci appare molto varia. Alcuni sembrano definire
le piti generali e piti schemat'che proprietà della forma,
come - per esempio - l'essere circolare, l'essere bassa piut-
tosto che alta, l'essere omogenea. Altri diagrammi sembrano
piti aggregativi che strutturali. Definiscono le parti che co-
stituiscono la forma, come nel caso in cui un diagramma
definisca la strada come parte della città, oppure il manico
come parte del bollitore, e COS1 via.
In realtà la distinzione tra diagrammi aggregativi e strut-
turali è piu apparente che reale. Prendiamo per esempio un
diagramma che rappresenti una pianta circolare. La circola·
rità può essere intesa come proprietà generale. Ma essa può
ancher essere riferita alla presenza di un muro di cinta o
di un qualsiasi contorno. In altre parole, è sempre possi-
bile tradurre una proprietà strutturale in un fatto concreto
che agisce come parte di un tutto: nel caso specifico, il
confine.
Si può dunque stabilire una regola generale: ogni carattere
di una forma, sia esso strutturale o aggregativo, può essere
inteso come configurazione di diverse componenti. Ogni og- 129
getto è una configurazione gerarchica di diverse componen-
ti, nella quale le maggiori specificano il modo di distribu-
zione di quelle piu piccole, e quest'ultime, malgrado il loro
carattere di frammenti, a prima vista evidentissimo, a loro
volta specificano la distribuzione di altre componenti ancora
piu piccole.
Ogni componente ha una duplice natura: è prima una uni-
tà, e poi una aggregazione, ed è ambedue le cose nello stesso
tempo. La sua natura, come unità, la rende una entità di-
stinta da ciò che la circonda. La sua natura, come aggrega-
zione, specifica la sistemazione delle sue proprie unità com-
ponenti. È il fine ultimo della progettazione di fare che ogni
diagramma sia allo stesso tempo una aggregazione e una
unità. Come unità si inserirà nella gerarchia di componenti
piu gtandi che si trovano sopra esso; come aggregazione
specificherà la gerarchia delle componenti piu piccole di cui
è formato.
La composizione gerarchica di questi diagrammi ci condur-
rà allora all'oggetto fisico, la cui gerarchia strutturale è
l'esatta controparte della gerarchia funzionale stabilita attra-
verso l'analisi del problema. Come il programma chiarifica
le componenti che costituiscono l'origine della struttura for-
male, cOSI la sua attuazione comincerà parallelamente a
definire le componenti fisiche della forma e la loro orga-
nizzazione gerarchica.
Epilogo

Il mio principale compito è stato di mostrare che esiste una


profonda e importante corrispondenza strutturale fra lo sche-
ma di un problema e il processo del progettare una forma
fisica rispondente a quel problema. lo credo che i grandi
architetti del passato siano sempre stati consapevoli della
analogia strutturale che si stabiliste tra problema e proces-
so, e che proprio il senso di questa analogia strutturale li
abbia condorti alla progetrazione di grandi forme.
Lo stesso modello di compor~amento è presente nell'azione
di produrre forme per via non autocosciente: ed è qui la
ragione del suo successo. Ma per noi, che siamo autoco-
scienti, la trasformazione di un problema in una -forma, ri-
chiede una prioritaria esplicitazione della struttura del pro-
blema. È necessario dunque, prima di tutto, inventare una
struttura concettuale ed è proprio questo che ho cercato
di (are neI presente studio.
Siccome mi rendo como che il mio sforzo può non essere
facilmente accettato, cercherò di rivedere la poca strada che
ho percorso riflessa nella parabola di una immaginaria so-
cietà deI passato.
Supponiamo che sia esistito nel passato un popolo privo di
una aritmetica formalizzata. Quando doveva affrontare una
qualsiasi questione che noi risolviamo in termjni aritmetici,
la afferrava per intuizione. Se, per esempio, qualcuno desi-
derava conoscere l'area di un campo di grano, misurava a
passi i due lati del campo (diciamò 6 passi per 10 passi),
e poi mescolava i due numeri.
Finalmente qualcuno giungeva a una risposta e diceva un
numero che dava una stima dei sacchi di grano necessari
per seminare quel campo.
Poteva dire 60, 61, 58, qualsiasi cosa gli venisse in mente.
(Se noi ci trovassimo nella stessa situazione faremmo il
prodotto dei due numeri, 6 X lO = 60, e arriveremmo do- 131
po a esprimere in rapporto all'area la quantità di grano
necessaria a seminare il campo.)
Non è difficile supporre che la gente di questa immaginaria
società potesse considerare inaccettabile. l'aritmetica forma-
le. Il loro metodo non li portava in genere troppo lontano
dal risultato esatto (del resto, il seminare grano in un con-
testo cosi libero, implicava che ciò che noi chiamiamo ine-
sattezza risultasse del tutto trascurabile) e, oltre tutto, c'era
qualcosa di quasi nobilmente magico nei veggenti che si as-
sumevano il compito del «calcolo ». Alcuni certo riuscivano
meglio di altri; alcuni avevano il potere di dare risposte
appropriate, altri davano risposte inesatte. Ma questo sem-
brava non avere importanza. Il potere di dare risposte era
considerato un grande dono umano e le persone che lo
possedevano erano onorate per la loro abilità. Sia i veg-
gemi che i loro ammiratori si opponevano duramente alla
introduzione di una aritmetica formalizzata. Non ne vede-
vano i possibili sviluppi e si occupavano soltanto di conser-
vare la loro propria limitata· capacità di calcolo.
Questa resistenza non era del tutto sciocca. C'erano anche
uomini saggi fra coloro che si opponevano alla aritmetica.
Essi prevedevano giustamente le implicazioni materialisti·
che che essa avrebbe comportato. Se fosse stata introdotta,
il suo primo risultato sarebbe stato di rendere piu precisi e
piti facili i calcoli e -quindi di risparmiare grano. E ben pre-
sto la dimensione, il numero e l'economia avrebbero domi-
nato l'essere umano.
Il bene immediato portaro dalla formulazione della aritme-
tica sarebbe .stato ben piccolo in confronto ai rischi che
comportava.
Tuttavia né i saggi, né i veggenti, prevedevano lo sviluppo
miracoloso cui la formulazione aritmetica avrebbe piti tardi
condotto. Comprendendo il meccanismo della tecnica che
produceva il risultato, l'uomo acquisi. maggiore intuizione.
Scopri. che non è importante solo il risultato, ma anche il
processo che conduce ad esso. Non solo l'espressione dei
risultati, ma la qualità del percorso che si compie per rag-
giungerli. Constatando le basi della geometria e i processi
132 della dimostrazione geometrica Riemann inventò quel tipo
di geometria che piu tardi dive~llle il fondamento della teo-
ria della relatività di. Einstein. Molii grandi teoremi SOD.O
oggi .possibili perché un tempo sono state inventate la mol-
tiplicazione e l'addizione: Dalla meditazione dell'uomo sui
processi apparentemente ovvii che sono alla base della arit-
metica è derivata la matematica, e da queste forme di ardi·
ne ancora piti alto, forme matematiche di grande eleganza e
di piena comprensione.
Naturalmente le configurazioni' della matematica sono astrat-
te e le configurazioni dell'architettura concrete e umane.
Ma la differenza è irrilevante. La qualità cruciale di una
configurazione, non importa di che tipo, sta nella sua orga-
nizzazione; e quando la pensiamo in questi termini la chia-
miamo forma. La sensibilità umana per le configurazioni
della matematica si è svilupp~ta parallelamente alla sensibi·
lità per i processi di dimostrazione. lo credo che la nostra
sensibilità per la forma architettonica non potrà mai conse·
guire un analogo ordine dì sviluppo finché' non si sarà rag-
giunta una analoga sensibilità per il processo della proget-
tazione.
Appendici
\Appendice 1 .
Un esempio sviluppato

Questo è un esempio sviluppato, preso da uno scritto re-


cente, La determinazione deLLe componenti per un villaggio
indiano. Il problema trattato è il seguente: un villaggio agri-
colo di seicento persone deve essere riorganizzato in modo
da soddisfare le presenti e futllre condizioni che si svilup-
pano nell'India rurale.
L'insieme M, che segue, contiene tutte le variabili di non
adattamento che riguardano l'organizzazione del villaggio.
Esse sono definite nella loro fgrma positiva; cioè, come ne·
cessità e requisiti che devono essere positivamente soddi-
sfatti in un villaggio che funzioni perfettamente. Tuttavia,
derivano da affermazioni intorno a carenze potenziali: ognu-
na rappresenta qualche aspetto del villaggio che poteva rive-
larsi mal rispondente, ed è perciò sostanzialmente conside-
rabile come una variabile di un adattamento secondo le de-
finizioni del capitolo secondo.
M include variabili che rappresentano tre diversi tipi di
necessità:
1. tutri quelli che sono esplicitamente sentiti dagli indi-
geni stessi come necessità,
2. tutti quelli che sono richiesti dall'economia naziona-
le e regionale e da fini sociali, e
3. tutti quelli già implicitamente soddisfatti nel villag-
gio (che sono richiesti, senza però essere sentiti come neces-
sità da nessuno). "
(Le didascalie poste sulla sinistra sono state utili nella fase
di preparazione della lista ma oon hanno avuto alcuna im-
portanza nella succes~iva fase di analisi.)

Religione e casta
1 Hari;ans considerati ritualmente impuri, intoccabili.
2 Appropriata sistemazione dei morti.
3 Regole sull'orientamento non a sud delle porte di casa. 137
4 Certe acque e certi alberi sono considerati sacri.
5 Servizi per cerimonie festive o religiose.
6 Richiesta di templi.
7 Bestiame considerato sacro e tendenza vegetariana.
8 I membri delle caste mantengono la loro professione di
casta il piti a lungo possibile.
9 I membri di una casta desiderano stare assieme, e sepa~
rati da altri, e non mangerebbero né berrebbero insie-
me con loro.
lO Necessità di matrimoni elaborati.

Forze sociali
Il Il matrimonio aVVIene con una persona proveniente da
un altro villaggio.
12 TuH'a una grande famiglia suole vivere in una casa
singola.
13 Solidarietà famigliare e buon vicinato anche dopo la
I scissione della famiglia.
14 Integrazione economica del villaggio e pagamenti in ge~
neri base.
15 Tendenza attuale verso il passaggio dalla permuta al pa-
gamento in denaro.
16 Le donne pettegolano molto mentre fanno il bagno, men-
tre prendono l'acqua, mentre vanno «alle latrine» nei
campi.
17 Il villaggio ha gruppi sociali fissi.
18 Necessi tà di dividere il terreno fra i figli di successive
generazioni.
19 La gente vuole possedere terra propria.
20 Gente di diverse fazioni preferisce non avere alcun con~
tatto.
21 Sradicamento dell'intoccabilità.
22 Abolizione dello zamindari e della distribuzione inegua-
le della terra.'
23 Gruppi di uomini che chiacchierano, fumano anche fino
a tarda notte.
24 Posto per le manifestazioni del villaggio: balli, giochi,
canti, competizioni.
U8 25 Assistenza per vedove, minorati fisici o anziani.
26 Disposizione sentimentale - desi.derio di non distrugge-
re il vecchio modo di vivere - amore per le abitudini
presenti che regolano il bagno, il pasto, ecc.
27 La famiglia è autoritaria.
28 Limiti di proprietà e responsabilità di manutenzione.
29 Provvedimenti per il bagno giornaliero, distinto per
sesso, casta ed e'tà.

Agricoltura
30 Efficiente e rapida distribuzione di semi, fertilizzanti,
ecc.
31 Efficiente distribuzione di fertilizzanti, concime, seml,
dai magazzini del villaggio ai campi.
32 Richiesta ed utilizzazione di campi incoltivati.
33 Campi fertili che devono essere usati meglio.
34 Raccolta di concime natu;ale (animale ed umano).
35 Protezione del raccolto dagli insetti, dalle erbacce e dal-
le malattie.
36 Protezione del raccolto dai ladri, dal bestiame, dalle ca-
pre, dalle scimmie.
37 Disponibilità di magazzini per la distribuzione e il mer-
cato del raccolto.
38- Disponibilità di aie e loro protezione dai predoni.
39 Cotone migliore e ammasso del raccolto.
40 Migliore raccolto di grano.
41 Buon raccolto di verdura.
42 Efficiente ar.atura, estrazione di erbe cattive, raccolto,
livellamento.
43 Consolidamento del terreno.
44 Il raccolto deve essere portato a casa attraverso i campi.
45 Sviluppo dell'agricoltura. ,
46 Rispetto per le pratiche tradizionali dell'agricoltura.
47 Necessità di nuovi strumenti quando i -vecchi sono dan-
neggiati.
48 Scarsità di terra.
49 Fattorie in cooperativa.

Allevamento animali
50 Magazzino protetto del foraggio. 139
51 Miglioramento della qualità del foraggio disponibile.
52 Miglioramento della quantità di foraggio.
53 Miglioramento del bestiame.
54 Provvedimenti per nutrire il bestiame.
55 Accesso del bestiame all'acqua.
56 Riparo del bestiame {nutrimento, riposo, mungitura}.
57 Protezione del bestiame dalle malattie.
58 Sviluppo di attività connesse all'allevamento del be·
stiame.
59 Efficiente uso e smercio dei prodotti caseari.
60 Minima utilizzazione degli animali per il traino, allo sc<>:,
po di alleggerire il deperimento del bestiame.

Occupazione
61 OccU'pazione abbastanza fluida per i lavoratori stagional.
mente disoccupati.
62 Incentivi al sOrgere di piccole industrie o laboratori· aro
tigiani, e all'apprendistato.
63 Sviluppo dell'industria del villaggio.
64 Semplificazione della mobilità dei lavoratori tra il vil·
laggio, i campi, le industrie e le case.
65 Differenziazione dell'economia di base del villaggio
non tutta legata all·agri~o1ttlra.
66 Efficiente fornitura e uso della forza motrice.

Acqua
.67 Acqua potabile che sia buona e dolce.
68 Facile accesso all'acqua potabile.
69 Beneficio di una possibile completa irrigazione derivato
dalla disponibilità di acqua.
70 Completa raccolta dell'acqua sotterranea per l'irrigazione.
71 Completa raccolta e utilizzazione dell'acqua dei monsoni.
72 Prevenz{one della carestia in caso di assenza di monsoni.
73 Conservazione delle risorse di acqua per il futuro.
74 Manutenzione degli impianti per l'irrigazione.
75 Drenaggio del terreno per prevenire gli allagamenti.
76 Controllo delle alluvioni per proteggere le case, le stra·
140 de, ecc.
Benessere materiale
77 Il villaggio e le case iiIdividuali devono essere protette
dal fuoco.
78 Ombra per riposare e passeggiare.
79 Assicurazione di aria fresca.
80 Sicuretza per il bestiame.
81 Sicurezza per donne e bambini.
82 Attrezzature per far giocare i bambini (sotto controllo).
83 Durante l'estate la gente dorme all'aperto.
84 Sistemazioni per i panchayat, gli incontri ecc.
85 Ogni sistemazione p'er sedersi e riposare dovrebbe es-
sere protetta dalla pioggia.
86 Non sovraffollamento.
87 Ricovero sicuro dei beni.
88 Posto per lavare ed asciuge.re gli indumenti.
89 Servizi per la vendi ta dene merci.
90 Migliori sistemazioni per preparare i cibi.
91 Fornitura e immagazzinamento di combustibile.
92 Le case devono essere pulite, lavate, difese dall'umidità.
93 Luce.

Trasporto
94 Provvedimenti per il traffico animale.
95 Accesso piu vicino possibile alla corriera.
96 Accesso alla ferrovia.
97 Minimizzare il costo del trasporto di derrate.
98 La produzione giornaliera richiede un accesso costante
(anche in caso di monsone) ed economico al mercato.
99 L'industria richiede una buona attrezzatura di trasporto.
100 Sistemazione per le biciclette in ogni villaggio, dal
1965. ,
101 Traffico pedonale nel villaggio.
102 Sistemazione per le processioni.
103 Accesso dei carri trainati da buoi alle case, per caricare
il grano, il foraggio.

Foreste e terreni
104 Mantenere sana la struttura ecologica.
105 Terreno forestale insufficiente. 141
106 Le piante giovani hanno bisogno di protezione dalle
pecore.
107 Conservazione della terra.
108 Erosione delle strade e delle abitazioni.
109 Riparazione di terre erose, canali, ecc.
110 Prevenire l'erosione del terreno.

Educazione
111 Attrezzature per l'educazione primaria.
112 Accessi alle scuole secondarie.
113 Buona assistenza a scuola.
114 Sviluppo delle attività indipendenti delle donne.
115 Opportunità di attività giovanili.
116 Aumenro della capacità di leggete negli adulti.
117 Dillusione delle informazioni sul controllo delle na-
scite, sulle malattie.
118 Progetti di divulgazione attraverso esempi.
119 Uso efficiente delle scuole; nessuna distrazione degli
studenti.

Salute
120 Provvedimenti sanitari per le malattie degli indigeni. I
121 Facilitazioni per le nascite, cure pre e post-natali, con-
trollo delle nascite.
122 RegQlamentazione delle fognature.
123 Prevenzione della diffusione di bacilli e di germi pa-
togeni
124 Prevenzione del diffondersi di malattie umane attra-
verso i contagi p-eesonali, le infezioni, le epidemie.
125 Prevenzione della denutrizione.

Procedure di intervento
126 Stretti contatti con i lavoratori del villaggio.
127 Contatti con i funzionari del centro per lo sviluppo.
128 Assicurazioni sul bestiame.
129 Rifiuto delle fazioni a cooperare e accordarsi.
130 Necessità di incrementare gli incentivi e le aspirazioni.
142 131 Il pfJnchayat deve avere piu forza e rispetto.
132 Necessità di sviluppare progetti che beneficino dei sus-
sidi governativi.

Sviluppo regionale) politico e nazionale


133 Integrazione sociale fra villaggi confinanti.
134 Volontà di stabilire legami coi villaggi vicini.
135 Diffusione di informazioni ufficiali sulle elezioni, le
tasse ecc.
136 Sistemazione dei gruppi sociali nomadi, della mano
d'opera immigrata, ecc.
137 Comunicazioni radiofoniche.
138 Raggiungimento di una economia indipendente, per
non gravare i trasporti e le risorse nazionali.
139 Collegamenti appropriati con ponti, strade, ospedali,
scuole, proposti al Hvello dell'amministrazione locale.
140 Sviluppo dello spirito comunitario rurale, distruzione
dell'egoismo e dell'isolamento.
141 Preventivare l'emigrazione di giovani e hari;ans nelle
città.
L'elenco definisce l'insieme M.
Qui di seguito sono riport~ti i legami tra 1~ variabili di
disadattamento. Per ragioni di semplicità, ho ammesso solo
un grado di legame, cioè v = 1, e per ogni coppia di varia-
bili Vij = Oj 1 o - 1. Pili avanti, i simboli dei legami non
sono indicati: come vedremo nell'appendice 2 la scomposi·
zione risulta indipendente dai simboli del legame. La tavola
sotto riportata mostra semplicemente quelle coppie di varia-
bili legate per le quali Vi; = 1 oppure Vi; = ~ 1.

1 interagisce con 8,9, 12, 13, 14,21,28,29,48,61,67,


68, 70, 77, 86, 101, 106, 113, 1J4, 140, 141.

2 interagisce con 3, <·6, 26, 29, 32, 52, 71, 98, 102,
105, 123, 133.

3 interagisce con 2, 12, 13, 17, 26, 76, 78, 79, 88, 101,
103, 119.

4 interagisce con 2,5,6, 17,29, 32, 45, 56, 63, 71, 74,
78, 79, 88, 91, 105, 106, 110, 124. 143
5 interagisce con 4,6, lO, 14, 17,21,24,46, 102, 113, r
116, 118, 131, 133, 140.
6 interagisce con 2, 4, 5, 20, 21, 53, 58, 61, 63, 82, 102,
111, 117, 130, 134, 135.
7 interagisce con 20, 31, 34, 53, 57, 58, 59, 80, 85, 86,
94, 105, 106, 123, 124, 125.
8 interagisce con 1,9, 14, 15,21,22,25,27,48,58,59,
61, 62, 64, 65, 89, 95, 96, 99, 111, 112, 114, 115,
116, 121, 129, 136, 140, 141.
9 interagisce con 1,8,11,12,13,15,17,18,20,21,28,
29, 36, 43, 49, 56, 62, 64, 80, 81, 101, 113, 118, 124,
129, 136, 140, 141.
lO interagisce con 5, 13, 14, 15, 18, 24, 26, 65, 68, 93,
102.
11 interagisce con 9, 12, 64, 95, 96, 114, 133, 134.
, 12interagisce con 1,3,9, Il, 17, 18, 19,25,26,28,34,
36,41,43,49,56,62,63,76,80,81,85,86,87,90,
91, 93, 121, 122, 129, 140, 141.
13 interagisce con l, 3, 9, lO, 17, 20, 25,,28, 33, 34, 36,
37,41,45,56,62,68,79, 80,' 81, 83, 86, 91, 94, 101,
106, 108, 121, 122, 129, 137, 140, 141.
14 interagisce con 1,5, 8, lO, 15, 19, 20, 21, 28, 30, 40,
43, 44, 47, 54, 62, 63, 64, 65, 86, 97, 121, 129, 130,
133, 138, 141.
15 interagisce con 8,9, lO, 14, 18, 21, 22, 37, 39, 41, 44,
45, 46, 58, 59, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 95, 96, 97, 98,
112, 116, 125, 127, 128, 129 130, 132, 133, 135, 137,
138, 141.
16 interagisce con 27,29,34,68,78,79,82,88,95, 101,
114, 117, 119, 122.
17 interagisce con 3,4,5,9, 12, 13, 20, 23, 27, 37, 38,
43,49,65,69,80,81,86,89,101,110,115,116,117,
J44 118, 126, 129, 135.
18 interagisce con 9, lO, 12, 15, 19, 26, 28, 31, 33, 42,
43, 44, 47, 48, 49, 60, 65, 70, 74, 77, 79, 85, 97, 98,
103, 110, 140, 141.
19 interagisce con 12, 14, 18, 22, 26, 28, 32, 33, 36, 37,
38, 41, 45, 49, 69, 71, 86, 104, 106, 107, 110, 118,
126, 140.
20 interagisce con 6,9,13,14,17,24,29,30,36,37,43,
54, 64, 68, 80, 84, 89, 102, 116, 117, 129, 131, 133,
140.
21 interagisce con l, 5, 6, 8, 9, 14, 15, 24, 61, 63, 89,
95, 96, 111, 112, 113, 115, 116, 137, 139, 140, 141.
22 interagisce con 8, 15, 19, 21, 32, 33, 36, 42, 44, 47,
49, 60, 61, 64, 69, 71, 74,97, 98, 104, 107, 110, 127,
140.
23 interagisce con 4, 17, 31, 34, 62, 63, 71, 76, 78, 79,
82, 83, 93, 95, 100, 101, 105, 115, 116, 119, 126,
132, 137.
24 interagisce con 5, lO, 20, 21, 38, 82, 93, 100, 101,
102, 108, 115, 130, 133, 135, 140, 141.
25 interagisce con 8, 12, 13, 26, 27, 36, 62, 81, 90, 92,
111, 114, 116, 120.
26 inreragisce con 2,3, lO, 12, 18, 19, 25, 29, 31, 33, 34,
41,53,56,58,62,67, 68, 76, 85, 90, 91, 92, 93, 108,
113, 122, 123, 124, 130.
27 interagisce con 8, 16, 17,25,29,62, 68, 81, 86, 88,
90, 92, 113, 114, 122, 130. ,
28 interagisce con 1,9, 12, 13, 14, 18, 19, 29, 31, 33, 34,
35, 36, 37, 38, 42, 45, 49, 50, 54, 55, 56, 62, 74, 92,
103, 106, 107, 108, 109, 110, 118, 127, 129, 131.
29 interagisce con l, 2, 4, 9, 16, 20, 26, 27, 28, 41, 67,
71,81,85,88,92, 101, 119, 122, 124.
30 inreragisce con 7, 14, 20, 31, 33, 35, 40, 47, 63, 95,
97, 98, 107, 126, 127, 129, 130, 131, 132, 133, 139. 145
31 interagisce con 7, 18, 22, 23, 26, 28, 30, 33, 34, 35,
37, 40, 43, 44, 49, 50, 52, 54, 59, 60, 80, 89, 94, 98,
106, 107, 109, 128, 131, 132.
32 interagisce con 2,4, 19,22,34,42,43,46,48,52,54,
60, 61, 63, 65, 69, 70, 71, 73, 74, 75, 104, ·105, 107,
109, IlO, 122, 129.
33 interagisce con 13, 18, 19, 22, 26, 28, 30, 31, 34, 35,
36,41,54,56,59,74,78,80,90,91,92,94, 105, 107,
118, 122, 123, 124, 136.
34 interagisce con 7, 12, 13, 16, 23, 26, 28, 31, 32, 33,
41, 54, 56, 59, 74, 78, 80, 90, 91, 92, 94, 105, 107,
118, 122, 123, 124, 136.
35 inreragisce con 28, 30, 31, 33, 39, 42, 43, 46, 61, 79,
104, 118, 137.
36 interagisce con 9, 12, 13, 19, 20, 22, 25, 28, 33, 38,
40, 41, 43, 45, 52, 54, 61, 68, 80, 81, 86, 94, 106,
IlO, 136.
37 interagisce .con 13, 15, 17, 19,20,28,31,38,43,44,
49, 50, 72, 76, 97, 103, 128, 133, 140.
38 interagisce con 17, 19,24,28,36,37,40,42,43,44,
50,52, 58, 61, 68, 76, 78, 79, 94, 97, 106, 128.
39 interagisce con 15, 33, 35, 44, 48, 62, 69, 70, 72, 75,
97,104,118,127, 134, 137, 138.
40 inreragisce con 14, 39, 31, 33, 36, 38, 42, 44, 48, 69,
70, 97, 104, 107, 118, 125, 127, 134, 137, 138.
41 interagisce con 12, 13, 15, 19, 26, 29, 33, 34, 36, 44,
48,51, 65, 69, 70, 71, 72, 92, 98, 104, 107, 118,122,
125; 127, 138.
42 interagisce con 18, 22, 28, 32, 33, 35, 38, 40, 43, 48,
49, 50, 57, 69, 104, 105, 107, 110, 118, 137.
43 interagisce con 9, 12, 14, 17, 18, 20, 31, 32, 33, 35,
36,37, 38, 42, 48,.)1, 60, 64, 69, 71, 86, 101, 104,
146 107, 109, 119, 129, 140.
44 interagisce con. 14, 15, 18, 22, 31, 37, 38, 39, 40, 41,
51, 52, 60, 62, 87, 97, 98, 110.
45 interagisce con 4, 13, 15, 19, 28, 36, 48, 54, 65, 69,
70, 71, 73, 74, 78, 79, 91, 104, 105, 106, 110, 118,
125, 127, 130, 138.
46 interagisce con 5, 15, 32, 33, 35, 47, 66, 106, 107,
118, 130.
47 interagisce' con 14, 18, 22, 30, 33, 46, 62, 107, 118,
130.
48 interagisce con 1,8, 18, 32, 33, 39, 40, 41, 42, 43, 45,
52, 63, 71, 75, 85, 86, 97, 99, 105, 107, 109, IlO,
119, 129, 130, 141.
49 interagisce con 9, 12, 17; 18, 19,22,28,31,37,42,
51,64,68,86,97,107,110,117, li8, 128, 129, 130,
132, 133, 138, 140.
50 interagisce con 28, 31, 37, 38, 42, 52, 54, 60, 76, 77,
85, 87, 94, 103.
51 interagisce con 33, 41, 43, 44, 49, 53, 54, 59, 69, 77,
.104, 107, 118, 127, 136.
52 interagisce con 2, 31, 32, 36, 38, 44, 48, 50, 53, 54,
59, 71, 91, 104, 106, 107, 136.
53 interagisce con 6,7,26,51,52,56,57,59,60,66,72,
118, 126, 127, 137.
54 intetagisce con 14, 20, 28, 31, 32, 33, 34,36, 45, 50,
51,52,56,57,59,71,80,91,94,106,107,110,115.
55 interagisce con 28, 67, 68, 71, 8'0, 119, 123, 124.
56 interagisce con 4,9, 12, 13,26,28,34,53,54,57,59,
76, 78, 80, 85, 86, 92, 102, 123, 124.
57 interagisce con 7, 42, 53, 54, 56, 59, 60, 70, 86, 94,
. 117, 118, 123, 126, 127, 137.
58 interagisce con 6, 7, 8, 15, 26, 38, 65, 72, 76, 78, 93,
96, 98, 99, 125, 127, 130, 138. 147
59 inreragisce con 7,8, 15,31,34,51,52,53,54,57,58,
60,65,66,72,96,98,99, 125, 127, 130, 138.
60 interagisce con 18, 22, 31, 32, 43, 44, 50, 53, 57, 59,
91, 94, 97, 98, 103, 131.
61 interagisce con 1, 6, 8, 15, 21, 22, 32, 35, 36, 38, 63,
74, 86, 95, 96, 97, 98, 99, 105, 108, 109, 110, 119,
120, 127, 131, 139, 140, 141.
62 imeragisce con 8, 9, 12, 13, 14, 15, 23, 25, 26, 27,
28, 39, 44, 47, 65, 66, 72, 85, 86, 87, 89, 93, 114,
115, 116, 119, 127, 130, 132, 138, 141.
63 interagisce con 4, 6,8, 12, 14, 15, 21, 23, 30, 32, 48,
61, 64, 65, 66, 68, 70, 71, 72, 75, 86, 93, 96, 99, 100,
116, 119, 127, 129, 130, 132, 133, 134, 136, 138,
140, 141.
64 interagisce con 8,9, 11, 14, 15,20,22,43,49,63,81,
85, 86, 95, 99, 100, 101, 109, 112, 113, 127, 130,
133, 136, 139.
65 interagisce con 8, lO, 14, 15, 17, 18, 32, 41, 45, 58,
59, 62, 63, 66, 72, 84, 99, 111, 114, 116, 127, 130,
133, 134, 138, 139, 141.
66 interagisce con 15, 46, 53, 59, 62, 63, 65, 68, 70, 71,
75, 93, 130, 132, 133, 137, 139, 141.
67 imeragisce con 1, 26, 29, 55, 76, 86, 92, 122, 123.
68 interagisce con 1, lO, 13, 16, 20, 26, 27, 36, 38, 49,
55, 63, 66, 71, 86, 94, 101, 109, 110, 114, 119, 124,
129, 131, 132, 141.
69 interagisce con 17, 18, 19, 22, 32, 33, 39, 40, 41, 42,
43, 45, 51, 74, 75, 92, 104, 105, 107, 132.
70 interagisce con 1, 18, 32, 33, 39, 40, 41, 45, 57, 63,
66, 71, 72, 73, 86, 104, 110, 131, 132.
71 interagisce con 2,4, 19, 22, 23, 29, 32, 33, 41, 43, 45,
48, 52, 54, 55, 63, 66, 68, 70, 73, 75, 76, 79, 88, 98,
148 104, 105, 107, 108, 109, 110, 120, 129, 131, 132, 133.
72 interagisce con 33, 37, 39, 41, 53, 58, 59, 62, 63, 65,
70, 104, 128, 130, 131.
73 interagisce con 32, 45, 70, 71, 78, 91, 104, 105, 108,
109, 110.
74 interagisce con 4, 18, 22, 28, 32, 33, 34, 45, 61, 69,
105, 107, 109, 110, 127.
75 interagisce con 32,33,39,48,63,66,69, 71,98, 100,
104, 107, 123, 124, 133.
76 interagisce con 3, 12, 23, 26, 37, 38, 50, 56, 58, 67,
71, 85, 87, 90, 91, 92, 95, 98, 101, 108, 113, 120,
122, 123, 124, 127.
77 interagisce con 1, 18, 50, 51, 79, 83, 86, 90, 93, 103.
78 interagisce con 3,4, 16, 23, 34, 38, 45, 56, 58, 73, 79,
85, 86, 101, 105, 130.
79 interagisce con 3,4, 13, 16, 18, 23, 35, 38, 45, 71, 77,
78) 86, 88, 90, 104, 105, 111, 116, 124, 127, 130.
80 interagisce con 7,9,12,13,17,20,31,34,36,54,55,
56, 86, 94, 103, 106, 123, 136.
81 interagisce con 9, 12, 13, 17, 25, 27, 29, 36, 64, 82,
83,85,86,92,93, 113, 114, 119, 122, 133, 136.
82 interagisce con 6, 16,23,24,81,,111,113,115.

83 interagisce con 13, 23, 77, 81, 85, 86, 101.


84 interagisce con 20, 65, 120, 127, 13), 132, 134, 135.

85 interagisce con 7, 12, 18, 26, 2\{, 48, 50, 56, 62, 64,
76, 78, 81, 83, 86, 87, 93, 108, 136.
86 interagisce con 1, 3, 7, 12, 13, 14, 17, 19, 27, 36, 43,
48, 49, 56, 57, 61, 62, 63, 64, 67, 68, 70, 77, 78, 79,
80,81,83,85,103,111,117,119,120,121,123,124,
125, 140, 141.
87 interagisce con 12, 44, 50, 62, 76, 85, 90, 91, 93, 95,
100, 128. 149
88 interagisce con 4, 16, 27, 29, 71, 79, 114, 123.
89 interagisce con 8, 17, 20, 21, 31, 62, 100, 130, 138,
141.
90 interagisce con 12,25,26,27,33,34,76,77,79,87,
91, 93, 113, 114, 121, 124, 132.
9l interagisce con 4, 12, 13, 26, 33, 34, 45, 52, 54, 60,
73, 76, 87, 90, 103, 105, 121, 132.
92 interagisce con 25,26,27,28,29,34,41,56,67,69,
76, 81, 114, 122, 123, 124, 132.
93 interagisce con lO, 12, 23, 24, 26, 62, 63, 66, 77, 81,
87,90,116,130,132,137,141.
94 interagisce con 13,31,34,36,38,50,54,55,57,60,
68, 80, 103, 106, 119, 136.
95 interagisce con 8, .11, 15, 16, 21,.23, 30, 61, 64, 76,
87,102,112,117,119,121,130,132,133,1,35,139,
141.
96 imeragisce con 8, 11, 15,21,58,59,61,63,97, 102',
119, 121, 130, 132, 133, 139, 141.
97 interagisce con 14, 15, 18,22,30,37,38,39,40,44,
48, 49, 60, 61, 96, 98, 119, 132, 133, 135.
98 interagisce con 2, 15, 18, 22, 30, 31, 41, 44, 58, 59,
60,61,71,75,76,97,109, 110, 119, 120, 121, 132,
133, 139.,
99 interagisce con 8, 48, 58, 59, 61, 63, 64, 65, 131,
132, 133, 138.
100 interagisce con 23, 24, 63, 64, 75, .87, 89, 101, 112,
ID, 115, 121, 126, 130, 132, 133, 135, 141.
101 interagisce con 1,3,9,13,16,17,23,24,29,43,64,
68, 76, 78, 83, 100, 102, 112, 113, 117, 119, 122,
133.
102 interagisce con 2, 5, 6, lO, 20, 24, 56, 95, 96, 101,
150 115.
103 interagisce C0n 3, 18, 28, 37, 50, 60, 77, 80, 86, 91,
94.
104 interagisce con 19,22,32,33,35,39,40,41,42,43,
45,51,52,69, 70, 71, 72, 73, 75, 79, 105, 107, 109.
105 interagisce con 2,4,7,23,32,33,34,42,45,48,61,
69,71,73,74,78,79,91, 104, 106, 110, 119, 137.
106 inreragisce con 1,4,7,13,19,28,31,36,38,45,46,
52, 54, 80, 94, 105, 129, 136.
107 interagisce con 19, 22, 28, 30, 31, 32, 33, 34, 40, 41,
42, 43, 46, 47, 48, 49, 51, 52, 54, 69, 71, 74, 75,
104, 110, 122, 136.
108 inreragisce con 13, 24, 26, 28, 61, 73, 76, 85, 109,
110. .

109 interagisce con 28, 31, 32, 43, 48, 61, 64, 68, 71, 73,
74, 98, 104, 108, 110.
110 interagisce con 4, 17, 18, 19,22,28,32,33,36,42,
43,44,45,48,49,54,61,68,70,71,73,74,98, 105,
107, 108, 109, 137,
111 interagisce con 6,8,21,25,65,79,82,86,113,115,
116, 117, 120, 130, 132, 134.

112 interagisce con 8, 15, 21, 64, 95, 100, 101, 130, 133,
139, 141.

113 interagisce con 1,5,9,21,26,27,64,76,81,82,90,


100, 101, 111, 114, 117, 119, 124.

114 interagisce con 8, 11, 16, 25, 27, 62, 65, 68, 81, 88,
90,92, 113, 117, 123, 127, 130, 132.
115 interagisce con 8, 17, 21, 23, 24, 54, 62, 82, 100,
102, 111, 127, 132, 137, 140, 141.
116 interagisce con 5, 8, 15, 17, 20, 21, 23, 25, 62, 63,
65,79, 111, 117, 121, 127, 128, 131, 132, 135, 137.

117 interagisce con 6, 16, 17, 20, 49, 57, 86, 95, 101, 151
111, 113, 114, 116, 121, 123, 124, 125, 133, 135,
137.
118 imeragisce con 5, 9, 17, 19, 28, 33, 34, 35, 39, 40,
41, 42, 45, 46, 47, 49, 51, 53, 57, 126; 127, 130,
131, 134.
119 imeragisce con 3, 16,23,29,48,55,61,62,.63,68,
81, 86, 94, 95, 96, 97, 98, 101, 105, 113, 136.

120 inreragisce con 25, 61, 71, 76, 84, 86, 98, 111, 121,
126, 132, 133, 139.
121 inreragisce ·con 8, 12, 13, 14, 86, 90, 91, 95, 96, 98,
100, 116, 117, 120, 123, 124, 125, 127, 132, 133,
139.
122 inreragisce con 12, 13, 16, 26, 27, 29, 32, 33, 34, 41,
67, 76, 92, 101, 107, 123.

123 inreragisce con 2, 7, 26, 34, 55, 56, 57, 67, 75, 76,
80, 86, 88, 92, 114, 117, 121, 122, 127, 137.

124 inreragisce con 1,4, 7, 9, 26, 29, 34,55, 56, 68, 75,
76,79,86, 90, 92, 113, 117, 121, 137.

125 imeragisce con 7,15,40,41,45,58,59,86,117,121.

126 inreragisce con 17,19,30,33,53,57,100,118,120,


133.
127 inreragisce con 15,22,28,30,33,39,40,41,45,51,
53, 57, 58, 59, 61, 62, 63, 64, 65, 74, 76, 79, 84,
114, 115, 116, 118, 121, 123, 132, 135.

128 imeragisce con 15, 31, 33, 37, 38, 49, 72, 87, 116,
138, 140.
129 interagisce con 8, 9, 12, 13, 14, 15, 17, 20, 28, 30,
43,48,49,63,68,71, 106, 131, 140.

130 inreragisce con 6, lO, 14, 15,24, 26, 27, 30, 45, 46,
47,48,49,58,59,62,63,64,65,66,72,78,79, 89,
152 93, 95, 96, 100, 111, 112, 114, 118, 134, 137, 141.
131 intetagisce con 5, 20, 28, 30, 31, 60, 61, 68, 70, 71,
72, 84, 99, 116, 118, 129, 135.

132 interagisce con 15,23, 30, 31, 49, 62, 63, 66, 68, 69,
70, 71, 84, 90, 91, 92, 93, 95, 96, 97, 98, 99, 100,
111, 114, 115, 116, 120, 121, 127.

133 interagisce con 2, 5, lO, Il, 14, 15, 20, 24, 30, 37,
49,63,64,65,66,71,75,81,95,96,97,98,99, 100,
101, 112, 117, 120, 121, 126, 134, 136, 139, 140.

134 interagisce con 6, lO, 11, 33, 39, 40, 63, 65, 84, 111,
118, 130, 133.
135 interagisce con 6, 15, 17,24,84,95,97, 100, 116,
117, 127, 131, 137.

136 interagisce con 8, 9, 34, 36, 51, 52, 63, 64, 80, 81,
85, 94, 106, 107, 119, 133, 140.

137 interagisce con 13, 15,21,23,33,35, 39, 40, 42, 53,


57,66, 93, 105, 110, 115, 116, 117, 123, 124, 130,
135, 140. .

138 interagisce con 14, 15, 33, 39, 40, 41, 45, 49, 58,
59, 62, 63, 65, 89, 128, 140, 141.

139 'interagisce con 21, 30, 61, 64, 65, 66, 95, 96, 98,
112, 120, 121, 133.

140 interagisce con 1, 5, 8, 9, 12, 13, 18, 19, 20, 21, 22,
24, 37, 43, 49, 61, 63, 86, 115, 128, ,129, 133, 136,
137, 138, 141.

, con 1,8,9, 12, 13, 1'4, 15, 18,21,24,48,


141 interagisce
61, 62, 63,65, 66, 68, 86, 89, 93, 95, 96, 100, 112,
115, 130, 138, 140.

Ogni legame o assenza di legame rappresenta una enuncia-


zione intorno alle interazioni relative a due variabili. Se ciò
che si può fare in termini fisici per risolvere un requisito
di forma incide su ciò che si può fare per -risolvere un altro
requisito (positivamente o negativamente), diremo che le 153
variabili sono legate. Se non esiste questa interazione dire-
mo che le variabili sono indipendenti.
Ecco un esempio. Il numero 94 corrisponde alla necessità di
provvedere al traffico degli animali. Questo contrasta con il
numero 7, che corrisponde alla necessità di trattare il be·
stiame come sacro; poiché il bestiame sacro ha una grande
libertà, e quindi piu spazio per la circolazione. L'accordo tra
94 e 7 è dunque difficile. D'altra parte 94 si collega positiva·
mente con 13 che corrisponde alla necessità di solidarietà
famigliare. Quest'ultimo requisito sl.Jgerisce di raggruppare
gli alloggi delle famiglie in fattorie e perciò di ridurre il
numero dei punti di accesso del bestiame con la conseguen·
za di rendere piu facile da soddisfare il requisito 94. La lista
compiera delle interazioni definisce l'insieme L. Come ab-
biamo visto prima l'insieme M di variabili di disadattamen-
to, in concomitanza con l'insieme L rebtivo alle interazioni,
definisce il grafo G (M, L) .
L'analisi del gr>fo G(M, L) ci mostra la scomposizione dì-
segnata sotto dove M stesso si scinde in quattro sottosiste-
mi maggiori A, B, C, D, e dove questi si suddividono in
dodici sottosisremi minori AI, A2, A3, BI, B2, B3, B4, CI,
C2, DI, D2, D3, nel modo qui rappresentato:

..o.
INTERO VILLAGGIO

A B C D

~~~~
Al A2 A3 BI B2 B3 B4 Cl C2 DI D2 D3

Al contiene requisiri 7, 53, 57, 60, 72, 125, 126, 128.


A2 contiene requisiti 31, 34, 36, 52, 54, 80, 94, 106,
154 136.
A3 contiene requisiti 37, 38, 50, 55, 77, 91, 103.
,
BI contiene requisiti 39, 40, 41, 44, 51, 118, 127, 131,
138.
B2 contiene requisiti 30, 35, 46, 47, 61, 97, 98.
B3 contiene requisiti 18, 19,22,28, 33, 42, 43, 49, 69,
74, 107, 110.
B4 contiene i requisiti 32, 45, 48, 70, 71, 73, 75, 104,
105, 108, 109.
Cl contiene i requlsltl 8, 10, Il, 14, 15,58,63,64,65,
66,93,95,96,99, 100, 112, 121, 130, 132, 133, 134,
139, 141.
C2 contiene i requisiti 5,6,20,21,24, 84, 89, 102, 111,
115, 116, 117, 120, 129, 135, 137, 140.
DI contiene i requisiti 26, 29, 56, 67, 76, 85, 87, 90,
92, 122, 123, 124.
D2 contiene i requisiti 1, 9, 12, 13, 25, 27, 62, 68, 81,
86, 113, 114.
D3 contiene i requisiti" 2,3,4,16,17,23,78,79,82,83,
88, 101, 119.
L'albero dei diagrammi costruito durante l'attuazione di
questo programma è illustrato nella pagina seguente.
Per rendere piu comprensibile il carattere di ciascun dia-
gramma e le funzioni che lo compongono, ho dato un som-
mario dei diagrammi,·e il modo in cui essi si combinano.
I quattro diagrammi principali corrispondono grosso modo.
a quanto segue: A - tratta del bestiame, dei carri e del com-
bustibile; B . tratta della produzione agricola, dell'irriga·
zione e della distribuzione; C . tratra della vita colletriva
del villaggio, sia dal punto di vista sociale che industriale;
D . tratta della vita privata degli indigeni, del loro riparo
e delle attività in piccola scala. Tra,i quattro, B è il piti
ampio poiché è compreso nella dimensione di un miglio da
un lato all'altro; mentre A, C, D, sono piu compatti e sono
compresi in un'area dell'ordine di 200 yd. da un lato al·
l'altro.
L'organizzazione base di B è data dal diagramma B4, che
corrisponde a un collettore d'acqua, fatto da un alto terra-
pieno, costruito nell'angolo piu alto del villaggio, perpen·
dicolare al pendio del terreno. Nella curva del terrapieno i 155
canali d'acqua si collegano con un serbatoio. Questo serba-
toio, per mezzo di chiuse praticate nel terrapieno, serve jl
resto dell'area del villaggio, che si trova piu in basso. La
componente B4 è collegata strettamente con B3, che rap~
presenta il sistema di distribuzione per i campi. Il princi-
pale elemento di questa componente è una strada protetta
dalle inondazioni, che trova naturalmente posto lungo l'orio
superiore del terrapieno definilO da B4.
A intervalli, lungo questa strada, sono localizzati i centri
di distribuzione che provvedono all'immagazzinamento dei

fertilizzanti, degli utensili, e delle sementi; in previsione del


collegamento con B4, ognuno di questi centri può essere
associato con una chiusa, e con, uno scavo appropriato sotto
il terrapieno, in modo che pos,sa anche servire come centro
di distribuzione dell'acqua di irrigazione.
Ogni centro di distribuzione serve una unità del tipo B2.
Essa è una unità cooperativa agricola, frammentata in ter-
156 razze contornate da terrapieni che le difendono dall'erosione
e da canali minori per l'irrigazione che corrono lungo i ter-
rapieni. BI è una fattoria modello connessa al gruppo di
componenti A,C,D, proprio in quei punti di accesso dove
i contadini passano ogni giorno andando a B2 e B3.
Il gruppo piti piccolo dei diagrammi A,C,D, è dato nella
sua organizzazione primaria per il fatto che diverse unità
del tipo D devono funzionare insieme. Ogni D corrisponde
ad attività di piccola scala cui partecipano circa 50 persone.
È definira con D2 una parte dello stabilimento, attrezzata
nella parte superiore per trasportare acqua potabile e gas.
All'ingresso dello stabilimento, dove le pareti si incrocia-
no, c'è un'area coperta dove sono sistemate le attrezzature
per la produzione. Lo stabilimento contiene la componen-
te DI, una raccolta di capanne che servono da magazzini,
collegati da verande coperte che danno luogo a spazi di
soggiorno.
Ogni terza o quarta casa è sormontata da una cisterna di-
acqua, alimentata dal muro di cinta, e che alimenta a sua
volta alcuni vani dietro il muro dove si lava e si fa il bagno.
D3 è una componente connessa con l'irigresso dello stabili-
mento; comprende una linea di acqua scoperta nella quale
le donne possono lavare i vestiti; una fila di alberi con sotto
una panchina per le chiacchiere serali: gli alberi e l'acqua
insieme formano una unità climatica che influenza il micro~
clima della fattoria; e un appropriato luogo ornato dall'ac-
qua e dagli alberi per la cappella di famiglia.
C raccoglie due componenti; C2 corrisponde a una serie di
costruzioni di. edifiCi comunali (scuole, templi, ufficio del
panchayat, posto d'incontro del villaggio) ciascuno dotato di
cortili aperti alternativamente in direzioni opposte.
I cancelli si aprono sui muri trasversali, in modo da for-
mare un sentiero assiale continuo. Questo sentiero serve
come collegamento fra diversi centri, strada per le proces-
sioni, e accesso pedonale allo stabilimento D, che si collega
quindi a C2 come un grappolo. Un estremo della compo-
nente C2 raggiunge Cl; Cl è uno slargo della strada sul
terrapieno; intorno ~llo slargo, una serie di muri paralleli
segna gli stretti lotti urbani. Al centro dei lotti c'è la fer-
mata dell'autobus aperta nella strada stessa. La unità totale 157
di case, industrie, sorgenti di energia e altri aspetti della
base economica futura del villaggio, si sviluppa.
La struttura di A incomincia con A2, corrispondente a un
gruppo di stalle che si aprono solo verso l'esterno. I pavi-
menti convergono verso l'interno su uno scolo centrale
che convoglia tutto il concime in una buca nella quale può
essere preparata la miscela per l'impianto del gober gas.
Ogni fattoria ha una componente come A nel centro, circon·
data da componenti DI; l'uscita della fattoria per il bestia-
me e per i carri, è collegata alla componente A3, corrispon·
dente a una porta nel muro di cinta dello stabilimento
dove si trova 'la mangiatoia del bestiame e l'impianto del
gober gas. Un gruppo· di diverse componenti A2 e A3 sono
legate insieme da una Al. Al consiste in un punto ceo-
trale dr controllo attraverso il quale deve passare tutto il
bestiame che esce da ogni stabilimento. In questo punto di
controllo si trovano un bagno per gli ioccoli, una latteria,
e una connessione con la strada principale Cl.
Nell'attuazione del programma, cade come ultima fase quel-
la nella quale i quattro diagrammi A, B, C, D si combinano
per dare un unico diagramma chiamato «villaggio intero ».
Ad esso segue una esposizione piti particolareggiata delle
ragioni che stanno dietro l'organizzazione di ciascuna delle
12 componenti minori.
Al: 7 Bestiame considerato sacro e tendenza vegetariana.
, 53 Miglioramento del bestiame.
57 Protezione del bestiame dalle malattie.
59 Efficiente uso e smercio dei prodotti di casemcio.
60 Minima utilizzazione degli animali per il traino
allo scopo di alleggerire il deperimento del be-
stiame.
72 Prevenzione della carestia in caso di assenza di
monsoru.
125 Prevenzione della denutrizione.
126 Stretti contatti con i lavoratori del villaggio.
128 Assicurazioni sul raccolto.
La sacralità del bestiame (7) tende a rendere la gente mal-
158 disposta a controllarlo, cosicché vaga dappertutto mangian-
do e distruggendo il raccolto, a meno che non sia difeso
con cura. Ugualmente, la necessità di allevare il bestiame
(53) richiede un controllo che renga le mucche fuori dal
contatto dei tori da lavoro vaganti; e poi richiede un centro
dove un toro di razza possa essere tenuto (anche solo per
le visite); e un centro dove i tori da lavoro possano esse-
re castrati. Le malattie del bestiame (57) si trasmettono
da zoccolo a zoccolo, attraverso la sporcizia. Questo può es-
sere prevenuto se il bestiame passa regolarmente attraverso
un bagno per gli zoccoli, disinfettante, di permanganato. Se
il la!te (59) deve essere venduto in cooperativa, si deve
provvedere ad una latteria centrale (ed anche al suo tratta·
mento). Se le mucche sono munte a casa, e il latte viene
poi messo in comune, le fattorie individuali sofistichereb-
bero il latte. La prevenzione della carestia (72), la preven-
zione della denutrizione (125), e le assicurazioni sul rac-
colto (128) richiedono un altro tipo di centro che offra sia 159
l'immagazzinamento che la produzione di alimenti nutrienti
(latte, uova, arachidi). Se gli uomini che lavorano )le! viI·
laggio debbono venirci spesso, si debbono prevedere i guar·
tieri per ospitarli. La trazione animale (60) richiede sia gli
accessi per le stalle de! bestiame (A2) che la strada.
A2: 31 Efficiente distribuzione di fertilizzanti 1 conClffil,

semi, dal magazzino de! villaggio ai campi.


34 Raccolta di concime naturale (animale e umano).
36 Protezione del raccolto dai ladri, dal bestiame,
dalle capre e dalle scimmie.
52 Miglioramento della quantirà di foraggio acceso
sibile.
54 Provvedimenti per nutrire il bestiame.
80 Sicurezza per il bestiame.
94 Provvedimenri per il traffico animale.
106 Le piante giovani hanno bisogno di protezione
dalle capre.
136 Sistemazione dei gruppi sociali nomadi, della ma-
no d'opera immigrata ecc.
1

Qui (31, 34, 54, 80, 94) formano un sottoinsieme colle·


gato con il movimento del bestiame e col concime, mentre
(36, 52, 106, 136) cosrituiscono un sotroinsieme collegato
principalmente alla prorezione del raccolto e degli alberi dal
bestiame vagante. (31) e (34) richiedono la raccolta di
urina e letame, e suggeriscono che il bestiame debba stare
in un posto il piu a lungo possib'tle, dove c'è un pavimento
di pucca che scola verso un collettore centrale comune. Que-
sto è naturalmente connesso intimamente con le stalle dove
160 il bestiame si nutre e cioè dove esso resta in piedi piu a
lungo. (80) richiede la sicurezza psicologica - i proprierari
di bestiame vogliono il loro bestiame il piu vicino possi-
bile, se non proprio in casa, e sono perciò assolutamente
contrari all'idea di un capannone per bestiame, centrale, in
comune. Per evitare i pericoli della diffusione di germi e
malattie, le sistemazioni migliori dei gabinetti sembrano es-
sere quelle in cui le stalle individuali sono opposte alle
verande dei padroni e separate da queste da un semplice
sentiero. Questo sentiero serve per incanalare il traffico del
bestiame (94). Ogni stalla è marcata dai suoi muri ed è
coperta solo con tavole di legno poste a interasse di 2 piedi,
in modo che lo stesso foraggio, immagazzinato sulla coper-
tura, faccia ombra. Le piogge non sono abbastanza forti da
richiedere dei tetti permanenti. Verdure. alberi giovani, ecc.,
che richiedono una protezione dal bestiame, devono essere
molto lontani oppure molto v'icini, in modo che la separa..
zione possa essere ottenuta con una barriera (36, 196). Per
poter risolvere la questione in questo modo, l'esigenza (52)
deve essere assicurata con altri mezzi - forse con l'approv-
vigionamento diretto dea"'stalle, e agendo quindi anche sul-
la (54). Per impedire al bestiame dei pastori vaganti di fare
guai (136), il terreno destinato a pascolo deve confinare
con la strada, e il suo accesso deve avvenire attraverso la
strada di arrivo al villaggio. Il terreno destinato a pascolo
dovrebbe essere sul lato di terra buona del terrapieno, cOSI
che quando il foraggio verde viene immagazzinato, il terre-
no possa essere irrigato e coltivato. A3
A3: 37 Disponibilità di magazzini per la distribuzione e
vendita del raccolto.
38 Disponibilità di aie e loro prorezione dai predoni.
50 Magazzino protetto del forallgio.
55 Accesso del bestiame all'acqua.
77 Il villaggi." e le case individuali devono essere pro-
tette dal fuoco.
91 Fornitura e immagazzinamento di combustibile.
103 Accesso dei carri trainati da buoi alle case, per
caricare il grano, il foraggio.
Il bestiame dovrebbe poter accedere all'acqua buona (55),
ma in modo da non aver contatti con il sistema distributivo 161
dell'acqua potabile, che alimenta il muro di cinta D2. Le
esigenze (77) e (91) sono gatantite dal controllo sulla di-
stribuzione di combustibile. Per esempio, sostituendo il gas

con un impianto di gober gas che si ottiene utilizzando il


concime ottenuto da A2 e distribuendolo alle cucine indi-
viduali con ]a stessa arteria che distribuisce l'acqua, e cioè
il muro di cinta dello stabilimento. Nel punto del muro di
dnta dove si è visto che deve essere una apertura pe~ il
passaggio dei carri (103), dovrebbe essere anche un ma-
gazzino per i rifornimenti ed il foraggio - o almeno un luo-
go di facile accesso e scarico ai tetti delle stalle (37, 38, 50).
BI: 39 Cotone migliore e ammasso del raccolto.
40 Migliore raccolto di grano.
41 Buon tacco Ito di verdura.
44 Il raccolto deve essere portato a casa attraverso
i campi.
51 Miglioramento della qualità del foraggio dispo-
nibile.
118 Progetti di divulgazione attraverso esempi.
127 Contatti con i funzionari deI centro per lo svi-
luppo.
131 Il panchayat deve avere piu forza e rispetto.
138 Raggiungimento di una eçonomia indipendente,
per non gravare i trasporti e l'economia nazionale.
Le esigenze (39), (40), (41), (51) e l'indipendenza eco-
nomica (138: possono essere ottenuti solo attraverso un
largo uso di metodi agricoli progrediti; questi non dipen-
dono dalle condizioni fisiche, ma dai comportamenti degli in-
digeni. I cambiamenti nei comportamenti non possono esse-
re ottenuti attraverso visite sporadiche di funzionari distac-
cati né col contributo dei lavoratori del villaggio, ma solo
attraverso lo stimolo di metodi dimostrativi (118). Dovreb-
be esistere una fattoria modello di proprietà del governo o
del panchayat (131) e probabilmente gestita dai lavoratori
del villaggio in associazione con il panchayat. Da questo

82
deriva la necessità di alloggi per i funzionari (127). Le esi-
genze (118) e (44) suggeriscono che la fattoria sia disposta
in modo che giornalmente ogni contadino ci passi davanti,
sulla strada di andata e ritorno dai calnpi.
B2: 30 Efficiente e rapida distribuzione di semi, fertiliz-
zanti ecc.
35 Protezione del raccolto dagli insetti, dalle erbacce
e dalle malattie.
46 .Rispetto per le pratiche tradizionali nella agri-
coltura.
47 Necessi tà di nuovi strumenti quando i vecchi so-
no danne~giati. 163
61 Occupazione abbastanza fluida per i lavoratori
stagionalmente disoccupati.
97 Minimizzare il costo del traspotto :li derrate.
98 La produzione giornaliera richiede un accesso co-
stante (anche in caso di monsone) ed economico
al mercato.
Le esigenze (97) e (98) sono topiche, e richiedono accessi
da e per i campi su una strada che non rischi di essere
chiusa dal monsone'; cioè posta su un argine. Le esigenze
(30) e (35) richiedono una efficiente distribuzione nei lotti
dei semi, dei fertilizzanti, degli insetticidi, ecc. Questi de-
vono essere immagazzinati in qualche punto dove lo smista·
mento sia facile, cioè sulla strada. Di qui l'idea di centri di
distribuzione disposti ad intervalli regolari lungo la strada
83 principllle, che servano unità di terra agricola cuneiformi o
quasi circolari. Le esigenze (46, 47, 61) hanno implica-
zioni fisiche irrilevanti.
B3: 18 Necessità di dividere il terreno fra i figli di suc-
cessive generazioni.
19 La gente vuole possedere terra propria.
22 Abolizione dello zamindari e della distribuzione
ineguale della terra.
28 Limiti esatti di proprietà e responsabilità di ma-
nutenzione.
33 Campi fertili che devono essere usati meglio.
42 Efficiente aratura, estrazione di erbe cattive, rac-
colto, livellarnento.
43 Consolidamento del terreno.
49 Fattorie in coope,rativa.
69 Beneficio di una possibile completa irrigazione
derivata dalla disponibilità di acqua.
74 Manutenzione degli impianti per l'irrigazione.
107 Conservazione della terra.
110 Prevenire l'erosione del terreno.
Le esigenze (18) e (49) puntano allo sviluppo di fattorie
in cooperativa di qualsiasi genere, per ottenere un aumento
di efficienza nelle risorse, nella mano d'opera, nelle macchi-
ne, un raccolto migliore, una rotazione del raccolto ecc.
164 L'esigenza (69) non può essere assolta a meno che l'acqua
non sia distribuita dai centri di tali cooperative; poiché altri-
menti fazioni e rivalità personali, ecc., impedirebbero il
pieno impiego delle fonti. Occupando i terreni prossimi alle
sorgenti di acqua (potabile) non accetterebbero di coopera-
re e di dividerne l'uso. L'irrigazione (74) richiede la pro-
prietà consolidata dei canali, altrimenti tralasciata da una
parte permette l'uso efficiente da qualche altra parte. La
conservazione della terra (107) dipende dalla rotazione del-
le colture, che è fattibile solamente se grandi appezzamenti
di terra sono sotto il controllo di una singola proprietà,
cosi che si possa compiere l'intero ciclo di rotazione. L'ero-
sione (110) è prevenuta da lunghi continui terrapieni, che
possono essere costruiti solo su grandi appezzamenti di pro-
prietà indivisa. I terrapieni e le recinzioni sui confini danno
luogo a strisce di terra terra.zzate come unità di fattoria

84
cooperativa, alimentate da.una singola sorgente a monte.
B4: 32 Richiesta ed utilizzazione dl campi incoltivati.
45 Sviluppo dell'orticoltura.
48 Scarsità di terra.
70 Completa raccolta dell'acqua sotterranea per l'ir-
ngazlOne.
71 Completa raccolta. e utilizzazione dell'acqua dei
monsoni.
73 Conservazione delle risorse di acqua per il futuro.
75 Drenaggio del terreno per prevenire gli allagamenti. 165
104 Mantenere sana· la struttura ecologica.
105 T~rreno forestale insuflìciente.
108 Erosione delle strade e delle abitazioni.
109 Riparazione di terre erose, canali, ecc.
Le esigenze (32) e (48) richiedono la messa a coltura di
terra improduttiva, che spesso comprende alvei. L'esigenza
(48) richiede l'irrigazione di queste aree. Le esigenze (71,
73, 75) suggeriscono l'utilizzazione dell'acqua dei monsoni
in sostituzione dell'irrigazione sorgiva o in aggiunta a que-
st'ultima, che a lungo andare è incostante poiché determina
un abbasamento della falda. Anche indipendentemente dal-
l'uso dell'acqua. piovana dei monsoni (che va raccolta) il
livello dell'acqua sorgiva può essere conservato solo ricor-
rendo a cisterne. Di qui un terrapieno curvo, che raccoglie
acqua al di sopra delle sorgenti poste sotto il terrapieno
(70). L'acqua piovana nell'area di raccolta (ancora una ri-
sorsa di acqua (73) ) sarà migliorata da una piantagione
di alberi (104) e (,105). E questo suggerisce di sistemare
alberi da frutta (45) nella curva del terrapieno (tra l'altro,
sistemando gli alberi in modo che il terrapieno consenta di
proteggere le giovani piante dal bestiame, tenendo il be-
stiame dall'altra parte del terrapieno che funziona da bar·
riera naturale). Se l'acqua deve fluire nelle cisterne, i con-
torni orizzontali dei terrapieni non possono essere usati per

166 B
rettificare l'erosione come in B3, per cui l'erosione dei fos-
sati di scolo, dei ruscelli, ecc., può essere controllata solo
da piantagioni di albeti (109). L'erosione della sttada è
evitata se la strada cotte sul colmo del tettapieno (108).
Cl: 8 I membri delle caste mantengono la loro profes-
sione di casta il piu a lungo possibile.
lO Necessità di matrimoni elaborati.
Il Il matrilùonio avviene con una persona provenien-
te da un altro villaggio.
14 Integrazione economica del villaggio e pagamento
in generi base.

15 Tendenza attuale verso il passaggio dalla petmuta


al pagamento in denaro.
58 Sviluppo di attività connesse all'allevamento del
bestiame.
63 Sviluppo dell'industria del villaggio.
64 Semplificazione della mobilità dei lavotatori tta il
villaggio, i campi, le industriè e le case.
65 Differenziazione dell'economia di base del villag-
gio non tutta legata all'agricoltura.
66 Efficiente fornitura e uso della fotza motrice.
93 Luce.
95 Accesso piu vicino possibile alla corriera.
96 Accesso alla ferrovia.
99 L'industria richiede una buona attrez'~atura di tra·
sporto. 167
100 Sistemazione per le biciclette in ogni villaggio,
dal 1965.
112 Accessi alle scuole secondarie.
121 Facilitazioni per le nascite, cure pre- e post-natali,
controllo delle nascite.
130 Necessità di incrementare gli incentivi e le aspi~
razioni.
132 Necessità di sviluppare progetti che beneficino dei
sussidi governativi.
133 Integrazione sociale fra villaggi confinanti.
134 Volontà di stabilire contatti con villaggi vicini.
139 Collegamenti appropriati con ponti, strade, ospe-
dali, scuole, proposti al livello dell'amministrazio-
ne locale.
141... Preventivare l'emigiazione di giovani e di harijans
alle città.
Questo gruppo è composto di due serie di funzioni maggio-
ri: 11, 64, 95, 100, 112, 121, 133, 134, 139, che concer-
nono la integrazione del villaggio con i. villaggi vicini e con
la regione, e 8, lO, 14, 15,58,63',65,66,93, 96, 99, 130,
132, 141 che concernono la futura base economica del vil-
laggio e tutti gli aspetti della vita e della società «moderne·»,
I due gruppi sono quasi inseparabili. Richiedono un centro,
lontano dal cuore del villaggio, sulla strada, che favorisce i
collegamenti fra i villaggi (11) e agisce come luogo d'in-
contro per gliabitanti dei diversi villaggi (112, 121). Que-
sta funzione puÒ essere sostenuta da una fermata dell'auto-
bus (95), dalle industrie del villaggio dotate di ottimi ac-
cessi alla strada (63-66, 99), dal centro sociale di raccolta
dei prodotti collegato con l'autobus e con i movimenti dal-

i
le industrie (133, 134, 61); dallo sviluppo di una atmosfe-
ra moderna e quasi urbana che ~stacoli l'emigrazione della
gente migliore verso le città (141), e sviluppi incentivi
(14,15,130,132). Un centrC? industriale può promuovere
le esigenze 8, 63, 64. La strada può soddisfare le esigenze
64, 95, 98, 99, 100, 139. Il centro sarà la localizzazione
fisica naturale per le fonti di energia e per le centrali di tra-
sformazione elettrica (66, 93); e sarà anche il posto piu "
efficiente per l'allevamento del pollame e per il caseificio che
\.
richiede un accesso alla strada (58); la fermata dell'auto-
bus è il posto di arrivo naturale per le processioni nuzia-
li (lO)
C2: 5 Servizi per cerimonie festive e religiose.
6 Richiesta di templi.
:W Genti di diverse fazioni preferiscono non avere
alcun contatto.
21 Sradicamento dell'intoccabilità,
24 Posto per le manifestazioni del villaggio - ballo,
gioco, canto, competizioni.
84 Sistemazioni per il panchayat, incontri, ecc.
89 Servizi per la vendita dellè merci.
102 Sistemazione per le processioni.
111 Attrezzature per l'educazione primaria.
115 Opportunità di atti~ità giovanili.
116 Aumento della capacità di leggere negli adulti.
117 Diffusione delle informazioni sul controllo delle
nascite, sulle malattie.
120 Provvedimenti sanitari per le malartie degli indi-
gemo
129 Rifiuto delle fazioni a cooperare e accordarsi.
, 135 Diffusione di informazioni ufficiali sulle elezioni,
le tasse ecc.
137 Comunicazioni radiofoniche.
140 Sviluppo dello spirito comunitario rurale, distru·
zione dell'egoismo e dell'isolamento.
Il farto piu importante della vita sociale del villaggio è la
presenza di fazioni, partiti politici ecc.; questi possono rap·
presentare grandi ostacoli allo sviluppo (20, 129). Se alle
varie attrezzature collertive del villaggio (5, 6, 24, 84, 89,
IlI, 115, 120, 137) si assegna un p>osto centrale, questo
posto diverrà probabilmente appropriazione di un partito, o
di certe famiglie, e probabilmente non contribuirà in alcun
modo efficace allo sviluppo della vita sociale.. D'altra parte,
è importante dal punto di vista dell'integrazione sociale (21,
140) dar luogo ad una struttura centralizzata piuttosto che
ad una serie di edifici isolati che tra l'altro possono divenire
appropriazione di singole famiglie ad essi vicine, col risul-
tato di scoraggiare altre famiglie dal" recarvisi. Ciò che ~i 169
richiede è un centro comunitario che riesca a riunire tutte
le funzioni comunali, in modo che nessuna sia lasciata iso-
lata e non abbia una localizzazione piu favorevole ad alcune
famiglie piuttosto che ad altre. Per raggiungere questo è
necessario un centro lineare, che contenga alcuni edifici ri-
volti verso l'interno ed altri verso l'esterno, zigzagando fra
le diverse fatrorie. Quesro soddisfa (102) le esigenze di
svolgere le processioni e di avere per queste dei posti di
sosra. L'incremenro deUa capacirà di leggere degli adulri

richiede la presenza di muri lungo i sentieri pedonali prin~


cipali, sui quali siano impressi l'alfabeto e messaggi scritti
in modo tale che la loro continua presenza forzi la gente ad
assorbirli (116, 117, 135).
DI: 26 Disposizione senrimenrale - desiderio di non di-
struggere il vecchio modo di vivere - amore per
le abirudini presenri che regolano il bagno, il pa-
sto, ecc.
29 Provvedimenri per il bagno giornaliero, disrinro
per sesso, casta ed età.
56 Riparo del bestiame (nutrimento, riposo, mungi-
rura) .
170 67 Acqua porabile che sia buona e dolce.
Di
76 ControUo deUe aUuvioni per proteggere le case,
le strade, ecc.
85 Ogni sistemazione per sedersi e riposare dovreb-
be essere protetta daUa pioggia.
87 Ricovero sicuro dei beni.
90 Migliori sistemazioni per preparare i cibi.
92 Le case devono essere pulite, lavate, difese dal-
l'umidità.
122 Regolamentazione deUe fognarure.
123 Prevenzione deUa diffusione di bacilli e di germi
patogeni.
124 Prevenzione del diffondersi di malattie umane at-
traverso contagi personali, le infezioni, le epi-
demie.
Le case che sono usate attualmente sono soprattutto ma·
gazzini; la gente vive nelle verande la maggior parte del
\ .
tempo. L'esigenza principale cui debbono soddisfare le stan-
ze interne e cioè la privatezza e la sicurezza psicologica, è
compresa in D2, e non qui. Si risolve l'esigenza (87) co-
struendo i magazzini con un sistema di colonne che forma-
no una serie continua di verande coperte: (85). L'esigenza
(26) riguarda principalmente il bagno e l'alimentazione, col-
legati con le (67, 29, 90). Queste ultime possono essere
risolte provvedendo a una cisterna d'acqua posta su case 17l
magazzino provvisorie alle cui pareti aderiscono il bagno
e la cucina (anche 122). Probabilmente la cisterna sarà ab·
bastanza vicina alla sorgente d'acqua come vedremo combi-
nando col sistema D2. Il pavimento della veranda deve es·
sere sollevato per proteggerlo dalle inondazioni: (76). An·
che lo stabilimento dovrebbe avere scoli verso il centro per
eliminare i pericoli di 92, 123, 124. L'esigenza 56 richiede
uno spazio per ospitare A2.

D2: 1 Harijans considerati ritualmente lmptlfi, intocca-


bili.
9 I membri di una casta desiderano stare assieme,
e separati da altre, e non mangerebbero né ber-
rebbero insieme con-loro.
12 Tutta una grande famiglia suole vivere in una casa
singola.
13 Solidarietà famigliare e buon vicinato anche dopo
la scissione della famiglia.
25 Assistenza per vedove, minorati fisici o anziani.
27 La famiglia è autoritaria.
62 Incentivi al sorgere di pkcole industrie, laborato~
ri artigiani e all'appréndistato.
68 Facile accesso all'acqua potabile.
81 Sicurezza per donne e bambini.
86 Non sovraffollamento.
172 113 Buona assistenza a scuola.
114 'Sviluppo delle attività indipendenti delle donne.
Il gruppo (1, 9, 12, 13) suggerisce di aggregare gli stabi-
limenti, come già sono, per unità da cinque a dieci fami-
glie, e cioé da venticinque a cinquanta persone: Per garan-
tite la sicurezza (81) soprattutto alle donne, lo stabilimento
deve essere circondato con un muro, il cui bordo superiore
funziona da canale di distribuzione dell'acqua (68). Il fatto
che lo spazio risulti protetto assicura maggior libertà alle
donne (114), dà maggior libertà alle vedove, e in partico-
lare (25) quando svolgono attività comuni e fa fiorire le
attività industriali in cui le donne sono maggiormente im-
pegnate (62). Lo spazio per le attività casalinghe (62) do-
vrebbe siroarsi all'ingresso della fattoria, dove le donne an-
dando e venendo dalle attività di lavaggio passano costan-
temente; questo potrebbe in qualche modo combattere le
conseguenze del purdah (27); incoraggia comunque le don-
ne a uscire dalle loro case (al contrario di quanto avviene
in una casa tradizionale dove le donne vivono in clausura)
e incoraggia le ragazze a frequentare la scuola, col risultato
di renderle piu ardite: (113). Dato che le mura di cinta
sono aperte verso l'esterno, il sovraffollamento è meno pro-
babile (86) - l'adattamento e l'espansione possono aver
luogo dentro le mura dello stabilimento piu facilmente di
quanto non avvenga nelle case individuali. D3
D3: 2 Appropriata sistemazione dei morti.
3 Regole sulla disposizione delle porte di casa non
rivolte verso sud.
4 Certe acque e certi alberi sono considerati sacri.
16 Le donne pettegolano molto mentre fanno il ba-
gno, mentre prendono l'acqua, mentre vanno alla
latrina (nei campi).
17 Il villaggio ha gruppi sociali fissi.
23 Gruppi di uomini che chiacchierano, fumano an-
che fino a tarda notte.
78 Ombra per riposare e pa"egglare. 173
79 Assicurazione di aria fresca.
82 Attrezzature per far giocare i bambini (sotto con-
troIlo) .
83 Durante l'estate la gente dotme all'aperto.
88 Posto per lavare ed asciugare gli indumenti.
101 Traffico pedonale nel villaggio.
119 Uso efficiente delle scuole - nessuna distrazione
degli studenti.

Qui diverse funzioni si sovrappongono. Le esigenze del


gruppo (23, 78, 79, 82, 83) richiedono'rutte il controIlo
del clima - in particolare nel senso di ottenere condizioni
fresche - che può essere meglio raggiunto attraverso com~
presenze di acqua ed alberi. Il gruppo (16, 17,23,88,101)
richiede un luogo dove sia possibile chiacchierare; lava-
re gli abiti, incontrarsi, a live~o dello stabilimento. Il grup·
po (2, 3, 4) richiede la costruzione di un posto con certi
caratteri di sacralità e quindi calmo, dotato di acqua e di
alberi.
La segregazione del traffico pedonale e la calma sono richie-
ste anche dal gruppo (101, 119). Tutte queste funzioni in-
sieme richiedono una unità nella quale l'acqua, gli alberi,
la possibilità di trovarsi, il moto a piedi, il sedersi sotto gli
alberi, siano compresenti. Questa unità si pone in adiacenza
,174 allo stabilimento, proprio fuori del suo ingresso. Ci si deve
INTERO VILLAGGIO

poter lavare scendendo le scalette che portano al fiume op.


pure i gradini che sono applicati alla parete sull'acqua D2.

,
Appendice 2
Trattazione matematica
,
della scomposizione

Affrontiamo il seguente specifico problema, puramente ma-


tematico. Dato un sistema di variabili stoc3stiche binarie,
alcune delle quali dipendenti a coppie, che soddisfano certe
condizioni, come dovrebbe essere scomposto il sistema in
un gruppo di sottosistemi, perché la trasmissione di infor-
mazione fra i sottosistemi sia minima?
Cominciamo con l'esprimere le condizioni con un grafo che
rappresenta il sistema, e le ulteriori condizioni sul sistema.
Abbiamo un grafo finito, indicato con G, che consiste di
due gruppi finiti disgiunti M(G) ed L(G), dove gli ele-
menti di M sono punti chiamati vertici di G e gli elementi
di L sono segmenti chiamati legami di G, ognuno dei quali
passa attraverso due e soltanto due vertici e porta un segno
o positivo o negativo.' Si dice che il legame unisce questi
due vertici. I vertici sono chiamati punti terminali del le·
game. Dove due vertici sono uniti da piu di un legame, i
legami sono considerati come distinti ed identificabili. Si
dice che due legami si incontrano se hanno in comune un
punto terminale. Il grado di un vertice è il numero dei
legami per i quali esso è punto terminale. Indicheremo con
m il numero dei vertici in M, con 1+ il numero dei legami
positivi in L, con {- il numero di legami negativi in L e
con / il numero totale dei legami (/ = /+ + /-). Sarà an-
che conveniente, piu tardi, riferirsi separatarnente al gruppo
"di legami positivi e al gruppo di legami negativi. Li cbia-
meremo L + ed L-rispettivamente (dove L + U L- = L).
Il grafo G determina completamente il sistema sul gruppo
M. Ci riferiremo ad esso come al sistema M, per brevità.
Ancora definiamo i sottosistemi di M come segue. Dato un
qualsiasi sottogruppo S di M, costruiamo quel grafo i cui
vertici sono i punti di S e i cui legami sono proprio quegli
elementi di L per i quali entrambi i punti terminali appar-
176 - tengono ad S. Consideriamo questo grafo come un sottogra-
fo completo di G. È chiato che, una volta dato L, ogni sot-
togruppo S di M ha associato un sottografo completo di G,
uruvocamente determinato. Esso determina completamente
un sottosistema su 5 che per brevità possiamo ancora chia~
J

mare S.
Associata con l'i-esimo vertice di G è una variabile binaria
arbitraria Xi. che assume i valori O e 1 con probabilità, ri-
spettivamente, p e 1 - P (essendo p il medesimo per tutte
le variabili).
A questo punto dobbiamo inserire una breve nota intorno
al significato di p. In pratica è possibile che vi sia un Pi
differente per ogni variabile. Tuttavia è chiato che la scom-
posizione del sistema in sottQsisterni non può essere inva~
riante per ogni schema dei Pio In altre parole, se la varia-
bile x, ha una grande ptobabjlità di essere O, ma tutte le
altre variabili hanno una grande ptobabilità di essere 1, non
possiamo aspettarci di ottenere la medesima scomposizione
in sottosistemi come nel caso in cui queste probabilità sono
molto diverse.
Se ammeuessimo che Pi fosse differente per differenti varia-
bili Xi, dovremmo portare questa assunzione anche nelle
analisi seguenti, il che ci condurrebbe a equazioni molto
complicate, e renderebbe impossibile trovare una base sem-
plice e generale per la scomposizione. È per questa ragione,
per evitare un problema matematico intollerabilmente diffi-
cile che abbiamo convenuto - come si è descritto nel capi-
tplp 8· - di far si che tutte le variahili in M abbiano appros-
simativamente un uguale scopo o significato. E scriviamo
p, = p'per tutti i p" COSI che p(x, = O) = P per rutti gli i,
e p( Xi = 1) = 1 - P per tutti gli i.
Ora dobbiamo fare una ulteriore ass\lnzione, per semplifi-
care ulteriormente i procedimenti matematici. La scompo-
sizione di M dipende dalla relativa quantità di informazione
trasmessa da un sottosistema a un altro. Mentre la quantità
assoluta di informazione ovviamente deve dipendere dai va-
lori assoluri delle probabilità di stato, la quantità relativa
dovrebbe dipendere soltanto dai valori relativi delle proba-
bilità di stato. Dovremmo perciò aspettarci che la scomposi-
zione del sistema in sottosistemi sia la stessa, indipenden- 177
,.
temente dal valore assoluto di p. In altre parole sarebbe
molto strano se, sulla base della sola simmetria, cclmbiando
la probabilità p in un certo nuovo valore p* simultanea·
mente per tutte le variabili, potessimo alterare i sottosiste·
mi del sistema. Non cercheremo di dimostrare questa intuiM
zione. Il lettore è invitato a riprenderla in considerazione
dopo aver letto le prove che seguono. Assumeremo che sia
COSI, e che possiamo perciò basare la nostra scomposizione
sul valore piu conveniente possibile di p. Il valore che
scegliamo per comodità di calcolo è quello che soddisfa
p = 1 - p; cioè p = Y2. Torneremo perciò a definire il
sistema ai fini del calcolo, cosi che vi sia, associata con
l'i-esimo vertice di G, mia variabile stocastica binaria Xi,
che assume i valori O e 1 con probabilità uguali, e scriviamo
p(x; = a.) = p(x; = 1) = Y2 per tutti gli x;.
Poiché vi sono m variabili in M, chiaramente vi sono 2m
modi di assegnare valori ad esse. Ognuno di questi 2m modi
è chiamato uno stato del sistema M. (Da un. ponto di vista
astratto, possiamo anche pensare che ogni vertice deI grup-
po M sia in una delle due condizioni, per esempio: o bianco
o nero; neI qual caso ci riferiremo convenientemente agli
stati del sistema come a coloriture del gruppo M.) Ogni
stato del sistema di m variabili è completamente definito
da una linea di 1 e di O di m (nell'ordine lessicografico delle
variabili); per brevità possiamo chiamarlo 0". E analoga-
mente lo stato di ogni sottosistema di s variabili è defÌnito
da una linea di 1 e di O di s, che per brevità chiameremo À.
In ciò che segue associeremo ogni sistema a una distribu-
zione di probabilità dei suoi stati. Adotteremo la notazione
che p(OllOO···), per esempio, sia la probabilità dello sta-
to definito dalla linea di lodi O in parentesi. Per il caso
estremo di un sistema a una variabile, abbiamo, come os-
servato precedentemente, p(O) = p(l) = Y2 per tutte le
variabili. Nel caso che sussista .qualche ambiguità intorno a
ciò cui le variabili si riferiscono, denoteremo gli 1 e gli O
con indici sottoscritti. CosI p(Oj) è, speci6camente, la pro-
babilità che Xj assuma il valore o.
Consideriamo M, o qualcuno dei suoi sottosistemi S. Posto
178 che ogni variabile separata assume con uguale probabilità i
valori O e l, se le variabili fossero tutte indipendenti l'una
dall'altra, i r stati di M sarebbero equiprobabili, e cosi
pure i 25 stati di ogni S. Avremo perciò:
l l
p(fJ) = - - per tutti i fJ, e p(À.) = - - per tutti i À..
2m 25
In generale, tuttavia, dal momento che vi è qualche tipo di
intera~ione fra le variabili, rappresentato dai legami, i vari
stati di un sistema non saranno equiprobabili; e ei trove-
remo di fronte al problema di determinare p(fJ) o p(À.)
per differenti fJ e À.. Quali sono le condizioni che queste
distribuzioni devono soddisfare?

Condizione l
La correlazione nel momento del prodotto di due variabili
per ciascuna coppia di variabili (Xi, Xj) è 'VijO, dove 'Vi; =
(I l,t 1-11,,- I) è il numero, segnato, di legami fra i ver-
tiei i e ; di G l e dove o è una costante, che soddisfa la con-
dizione lo : : :
1. Poiché al massimo uno dei Iii+' ljr è diverso
da O, questo rende 'Vij un numero intero compreso fra - v
e + v. Ciò significa anche che ciascun legame singolo dà
un eguale contributo di O alla correlazione, positivo o ne-
gativo a seconda del suo segno. Da questo 2 otteniamo il
fatto che in ogni sistema a due variabili (X" Xj), la p(À.)
deve soddisfare
p(OO)p(lI) - p(OI )p( lO)

[p(O,)p( L)p(O, )p( lj)]!

Condizione 2
Sappiamo anche dalle considerazioni esposte al capitolo 8,
che le correlazioni a tre o piu variabili si annullano. Ciò
significa che il valore della funzione di correlazione per ogni
coppia di variabili non dipende dallo stato di ogni altra
variabile o insieme di variabili in M;3 il che equivale a scri-
vere, formalmente:
p(OOÀ.)p( lIÀ) - p(OIÀ)p( 10À)

[p(O,À)p( LÀ)p(O,À)p( I,À)]!


dove À. rappresenta qualsiasi schema fissato di valori ·preso 179
per ogni insieme di variabili,che non include Xi e Xj_ Il caso
pili semplice in cui À è lo stato di una singola variabile Xk,
poniamo Xk = 0, dà la seguente condizione:
p(000,)p(l10,) - p(010k)P(100,)

[p( O,Ok) p( LOk) p( OjO,) p( 1jOk)] l


Fra m variabili, vi sono Y1 m (m - 1) .' 3'"-2 tali condizioni
da soddisfare, delle quali 2 m - (m + l) sono indipen-
denti. 4
D'imostreremo ora come tutte le distribuzioni di probabilità
per tutti i sottosistemi siano determinati unicamente dalle
condizioni stabilite, quando introduciamo le seguenti. ulte-
riori condizioni ·che devono essere soddisfatte, per defini-
zione, da ogni distribuzione di probabilità.

Condizio;;e 3
In qualsiasi stato di M, ognuna delle m variabili assume un
valore fissato. Prendiamo qualsiasi sottosistema S. Senza
perdere di generalizzazione, supponiamo di numerare nuo-
vamente le variabili in modo che Xl'" X s siano in S e
Xs+l' ' . X m non siano in S. Allora in qualsiasi stato À di S,

ognuna delle s variabili Xl" 'X s prende un valore fissato, e '


le restanti variabili Xs+l' .. X m sono libere. Vi sono 2 m - s
stati di M nei quali le variabili' Xl' •. X s assumono lo sche~
ma prestabilito di valori À, uno per ogni possibile schema
di valori assunto dall'insieme di m - s variabili libere,
Xs+I' , . x m ' Possiamo perciò scrivere la probabilità À come
la somma delle probabilità di questi 2m~' stati di M, cosi:'
p(À) = L p(<7) sommata per tutte le combinazioni di va-
lori per le variabili non appartenenti a S.

Condizione 4
Infine, dobbiamo avere p (<7) :> O per tutti i <7 6

Condizione 5
E dobbiamo avere LP ( <7) = 1 7
Possiamo usare questi fatti come un modo di dedurre le
probabilità degli stati dei sistemi piu grandi dai piu piccoli,
180 come segue:
Cominciamo col considerare gli stati dei sottosisterni a una
variabile. Sappiamo per postulato, naturalmente, che que-
ste probabilità p(O) e p(l) sono !h e !h. Considetiamo ora
ogni sç>ttosistema a 2 variabili. Conosciamo 4 equazioni del-
la forma: p(OO) + p(Ol) = p(O), di cui 3 sono indipen-
denti, e ricaviamo una ulteriore equazione dal fatto che il
grafo G ci dice il valore del coefficiente di correlazione:
p(OO)p( 11) - p(Ol )p(lO)
[p(O)p(l)p(O)p(l)]!
. Le probabilità degli stati dei sottosistemi a 2 variabili sono
perciò determinate.
Consideriamo ora qualsiasi sottosistema a tre variabili. Le
sue probabilità di stato sono ancora determinate entro un
solo grado di libertà, dalle probabilità degli stati dei sotto-
sistemi a 2 variabili, che conosciamo. Come prima, l'unico
grado di libertà è tisolto dal fatto chè conosciamo il valore
assunto da una delle funzioni di correlazione parziale della
forma:
p(OOO)p( 110) - p(OlO)p( 100)
[p(OO)p(lO)p(OO)p(lO)]!
Cosi vediamo facilmente che ad ogni stadio di questo pro-
cesso le probabilità degli stati di un sottosistema a s varia-
bili sono determinate entro l grado di libertà, dagli stati
di probabilità dei suoi sottosistemi costituenti a· s - 1
variabili. E possiamo fornire l'ulteriore condizione richiesta
per determinare univocameme le probabilità, ricorrendo al·
la correlazione parziale appropriata di cui conosciamo il
valore~
p(OO).)p( 11).) - p(Ol).)p( 10).)
[p(O).)p(l).)p(O).)p(l).)]!
dove ). si riferisce a qualche stato fissato delle s - 2 va-
riabili.
Definiremo ora una distribuzione di probabilità cbe soddisfa
le condizioni 1-5, e deve quindi essere l'unica distribuzione
la cui costruzione è stata per l'appunto descritta. 8
Nello stato 17, diciamo che i legami di L + sono soddisfatti
o non soddisfatti a seconda che i loro punti terminali pren- 181
dano o no gli stessi valori, e diciamo che i legami di L-
sono O no soddisfatti a seconda che i loro punti terminali
rispettivamente non assumano oppure assumano gli stessi
valori. Poi definiamo quanto segue:
elfi = + 1 se il vertice Xi è O nello stato (j,

evi = - 1 se il vertice Xi è i nello stato (1,


cosI che el1 ie l1j è 1 se il legame ii è soddisfatto in C', ed è
inyece - 1 se il legame ij non è soddisfatto in a,
4\llora definiamo k, ~ I. V'je"e,j (i = 1 ... m, i = 1 ... m).
In altre parole, l'intero k lT è il numero dei legami soddi-
sfatti in- (1, meno il numero dei legami non soddisfatti in 0'.
Quindi, per tutti i a J - l <:: k" ~ l. Consideriamo ora la
misura
1 + k,8
p(er)
2m
Prendiamo per prima la condizione -4:
Sappiamo che k, ~ -I.
1-18
Quindi pier) ~ - - -
r
Perciò p(er) ~ O nel caso che 8< 1/1, e questo è cosi per
postulato. 9
Prendiamo successivamente la condizione 5:
l+k,/i 8 8
I.p( er) = I.
2m
= 1 + -2m- I.k,
11
= 1 + --I.Vij
2mij
I.e'ie'j.
g

Ora, se i e ; sono differenti, allora in 2 m - 1 casi e g{ ed egj


assumeranno lo stesso segno, cOSI che il loro prodotto è
+ 1, e in 2 m - 1 casi assumeranno segno diverso, cOSI che
il loro prodotto è - L CosI, per i e ; diversi, la somma
di tutti i 2 m possibili, (J si annulla. Per i e i uguali, Vij si an-
nulla. Quindi l'ultimo termine a destra è uguale a O.
:. I.p(er) = l.
,
Successivamente dimostriamo la condizione 3, vale a dire
che se la misura è definita per, tutti i sottosistemi S allo
stesso modo che per M, allora tutte le relazioni della forma
p(À.) = ~."(er) si comportano identicamente.
variabili
non in S
182 Poiché otteniamo qualsiasi sottoinsieme S di M eliminando
m - s variabili da M, una alla volta, è sufficiente dimostra-
re il risultato di un singolo passaggio di eliminazione di una
variabile, e il risultato generale segue per induzione. Con-
sideriamo perciò qualsiasi variabile Xk di M e definiamo 5
come il sottosistema ottenuto da M eliminando Xk. Pren-
diamo un À arbitrario di questo sottosistema S. Supponia-
mo che 0"1 e 0"2 siano i due' stati di M nei quali le variabili
di 5 sono nella' stessa condizione che in À. e per i quali Xk
assume il valore O in 0"1 e il valore 1 in 0"2.
Vogliamo dimostrare che p(c;,) + p(c;,) = p('i.).
Per questo notiamo che:
[p(c;d + P(c;2)] - [p('i.)]
1 + k"o 1 + ko2 0
=---+--- -----
.'
2 111 2 111 2 111 - 1

= _0_
2m
(.~Viie"lie"li + 4.ViieU~ie"2i
II II
_ 2 ~Viieì..ie)..j),
II

Per i, j :;:t: k, euli, e u2i ed e)..i sono identici. Per i o j = k, i


termini da 0"1 si eliminano con quelli da 0"2, che rendono la
parte destra = O e proveniamo quindi alla dimostrazione.
Ritorniamo ora ai coefficienti di correlazione. Assumiamo
pr~ma la correlazione totale per, una coppia di variabili, i e. j.
Il risultato di cui sopra ci permette d.i scrivere le proba-
bilità di stato dei sottosistemi a due variabili (Xi, Xj), come:
1 + ViiO 1- ViiO
p(OO) =--- p(lO) =---

p(OI) =--- p(ll) = - - -


4 4
Dove Vii è il numero dei legami tra Xi ed Xi in G. Questo
dà un coefficiente di correlazione del momento del prodotto
p(OO)p(ll) -p(OI)p(lO)

[p(O)p(l)p(O)p(I)]!
= 4V;JO/-=- = V;jO
16 4
Xi.
, e soddisfa. COS1 la condizione L
Consideriamo infine il coefficiente di correlazione parziale
per ogni due variabili Xi, Xi, in qualsiasi sottosistema (5 +
Xi.
Xi + xi), mentre le variabili di 5 sono mantenute costanti.
Rappresentiamo questa situazione come segue:
Se supponiamo che le variabili in S siano mantenute co-
stanti in qualche sMto prefissato, possiamo allora scrivere
l + (k oo + k, + k, + kj)o
p(OO).) = - - - - - - - -
2s+ 2
dove k oo è il termine risultante dai legami fra Xi e Xj, k;.. è
il termine risultante dai legami all'interno di S. e ki e kj
sono i termini risultanti dai legami tra 5 e Xi e Xi, rispetti-
vamente. Allora è facile vedere che, similmente,
1+ (k ll + k,-k,-kj)o
p(l1).) =
,2s+ 2
1+ (kOl + k, + k,-kj)o
p(on) = ---------

1+ (k lO + k,.-k, + kj)o
p( 10).) = --------~
2s+ 2
Anche
l + (k, + k;)o
p(O,).)

p(l,).) = - - - - -
21+1

l + (k,. + kj)o
p(Oj).) = ------

p( lj).) =
2 H1
La correlazione parziale è data da
p(OO).)p( 11).) - p(On)p( lO).)

[p(O).)p(l).)p(O).)p(l).)]1
Il numeratore, al primo ordine in o, si r.iduce a
(koo + kll - kOl - k,o)o
2 25 +4
Il denominatore, al primo ordine in o. si riduce a

[.l + ]1 l +
4k,0 2k,.0-
184 245 +4 2 25 + 2
Poiché koo = kll = 'Vii e kOI = k lO = - 'Vii.
questo rende la correlazione parziale uguale a
4'ViiO
-----=VijO
4(1 + 2k,.O)
al primo ordine in O, che è molto piccolo. Quindi la cor-
relazione parziale è 'VijO per tutti i À, e soddisfa la condi-
zione 2.
Si è cosI dimostrato che la misura
1+ k.o
p(rr) = - - -
2m
soddisfa le condizioni 1·5, e che di conseguenza, entro le
approssimazioni stabilite, la distribuzione è univocamente'
determinata da queste condizioni.
La distribuzione di probabilit~ generata da questa funzione
per un grafico specifico è illustrata qui sotto.

x,
x,
, x,

1+30 1-30 1-0


p(OOOO) = p(OOIl) = p(Olll) =
16 16 16
1 + 50 l-o 1-30
p(OOOl) = p(OlOl) = p(lOll) =
16 16 16
l-o l + o 1-0
p(OOlO) = p(lOOl) = p(IlOl) =
16 16 16
1-30 l + o l + 50
p(OlOO) = p(OllO) = p(lIlO) =
16 16 l~
l-o l-o l + 30
p(lOOO) = p(lOlO) = p(llll) =
16 16 16
1-30
p(llOO) =
16 185
Poiché ora abbiamo una distribuzione di probabilità utiliz-
zabile, definita per gli stati di M, possiamo scrivere una
espressione relativa alla informazione media portata dal si-
stema M. Usiamo la misura di Shannon-Wiener, e definiamo
H(M) l'informazione media' portata da M, come
l;P(o") logp(O")lO
E possiamo riscriverla come segue:

H(M) = - l ;
<1.
(l+ k"O)
2m
log
(l +2m
k"o )

l
= - - l; [ (l + U) [1og (l + k"o) - m log 2] }
2m <1

2
l {, k/0 }
= - - l; LI + koo)( + koo - - + ... - m log 2).
m
2 <1 2
l { k/o' . ..In }
termini
= - - l ; -mlog2+(I-mlog2)k,0+--+~3 It
2m <1 2 O e o re

Nella somma, il termine costante è contato 2m volte. Il ter-


o
mine in si annulla, poiché sappiamo già che 'Lk, = O. Re-
,
sta perciò il termine in E?, ma trascuriamo i termini di ordi-
ne s,:!periore, lasciando
o'
H(M) = mlog2--~ l;k/.
2 m +1 "

Analogamente otteniamo per qualsiasi S,


o'
H(S) = slog 2 - - - l;k,'-
25+1 À

Anche in questo caso l'espressione per H(S) è impossibile


da calcolare. Per calcolarla direttamente, dovremmo prima
aver calcolato l'ind~ce k). per ognuno dei 2 5 stati dell'insieme
S, come descritto sopra. Per un 5 grande, anche un calco-
latore elettronico ad alta velocità non sarebbe capace di cal~
colare e sommare le potenze dei 2S valori di· k).. in un tempo
ragionevole, È perciò necessario, ai fini del calcolo, esprimere
yk),? come una funzione di parametri strutturali piu sem-
,
186 plici del grafo G(S, L).
"
Per semplicità di notazione, continuiamo a lavorare con il
grafo G ( M, L) e la funzione l: k.'; per rendere generale

la questione, possiamo poi ancora applicarla a qualunque
dei suoi sottografi G(S, L) e alle loro fùnzioni associate
r. k,'-
,
Abbiamo ddìnito k~ = LVijeaieO'j.
ijEL
Poiché abbiamo specificato prima che dove vi sono nume-
rosi legami fra una coppia di vertici, questi legami sono
identificabili !iingolarmente, ora possiamo riscrivere questa
espressione come

dove ogni somma è presa per tutti i legami appartenenti a


L + ed L-rispettivamente, cosi che il tutto contiene l termi-
ni. Naturalmente deve esser chiaro che questa espressione
potrebbe essere ridotta, poiché ognuno dei suoi l termini è
o 1 o - 1. Ma, per amore di chiarezza, nella dimostrazione
seguente, la lasceremo nella sua forma estesa. Possiamo allo-
ra SCrIvere,
l: (k.)' = ~ O: e.i eo; - l: e.i e.il'
a a L+ L-
= L { (L
a L+
erri e':fj)2 + (LL- erri e i)2 ---'- 2 (LL+ erri errj L-
rr L ~rrk errI) }

Osserviamo per prima l'ultima parentesi compresa nel-


l'espressione. Poiché, nessuna coppia di vertici può essere
connessa simultaneamente da un legame da L + e un legame
da L -, ogni termine nella parentesi sarà della forma erriea'?ea'k
o della forma erriea'j':?a'kerr[ dove iJiJk) sono tutti diversi. Poi·
ché ea'i, per ogni i, assume il valore + 1 per metà del O" e
- 1 per l'altra metà, ed è uniformemente distribuito per i
valori assunti da errj, e".k ed ea'l, vediamo che entrambe le
forme precedenti, dal momento che contengono entrambe'"
un ea'i elevato a una potenza dispari, si annulleranno quando
sommate in 0". Ci sono quindi solamente due tipi di termi-
ni, entrambi della forma err?ea'/: quelli che rappresentano lo
stesso legame preso due volte, e- quelli che rappresentano
diversi legami fra la stessa coppia di vertici. Abbiamo quindi 187
1/ "'-riedj)2
legami ij di
+2 1: 1:( e ie
IT
lT
su diversi
lT j)2
L+ o L- soli legami fra la
stessa coppia
di vertici
= 2 m D':Vi; + 2 :E '/2 Vi; (Vi; - 1) }
= 2m 1: V i/,
M
dove la somma è effettuata per tutte le coppie di variabili
i, j in M.
8'
Abbiamo dunque H (M) = m log 2 +- :Ev;;',
2 M

8'
ed analogamente. H (S) = s log 2 :Ev;;'. +-
2 s
Il fatto che Vij .compaia in questa funzione elevato al qua-
drato, sigpifica che la distinzione fra L + ed L-non influen-
zerà il risultato. Allora, come abbiamo notato nel capitolo 8,
procederemo senza fare distinzioni fra L + ed L-, us~ndo
solo L e assumendo che Vij assuma solamente vl1lori positivi.
Ciò significa anche, naturalmente, che non è valido operare
distinzioni fra interazione positiva e negativa, quando si
pone il problema. lI
Consideriamo ora una suddivisione arbitraria di M nei sot-
toinsiemi S"S,·:· S" in modo che S. n S~ = 0, e U S. = M.
Chiameremo questa suddivisione, 7t . "

S,
• • •• S2

• • • •
7r
• • • S,

• • • •
188
• S3
L'informazione contenuta in M è H(M). L'informazione in
S preso separaramente è ~ H(S.). Eccettualo il caso in cui

non vi sia alcuna interazione tca i diversi sottosisterm, la
seconda di queste due espressioni sarà piu grande della pri~
ma, poiché qualche informazione sarà. come prima, contata
pitI di una volta. Come risultato, possiamo usare la diffe~
renza fra le due espressioni ([~H(S.)] - H(M)} come
" lagliare dalla suddivi-
misura della forza delle connessioni
sione 7t,u Piu grande essa è, piti forti sono le connessioni
lagliare. Il valore di quesra differenza è dato da

{ (SI+ ... +S")IOg2+~


2
~ V;;'-mlOg2-~~Vi/}'
2 51,52,... Al

dove la somma L è assunta soltanto per le coppie il i


51,51,.. -
che sono del tutto contenute in uno degli Sa. La diflerenza,
o ridondanza, della suddivisione è perciò ~o2I: v/. dove la

somma è assunta per tutti i legami i, j tagliati dalla suddi-
VISione 1t.
Di per se stessa la ridondan7.a Y2 82 I: 'Vi/ non ci dà una
buona base di confronto per differenti "n. Ogni n appartiene
a una certa «suddivisione tipo ». Cioè, i sottoinsiemi che
essa definisce hanno rispettivamente SI, S2,' .• SII variabili, e
la serie di numeri {SI, Sz,' .. SII} definisce il tipo di suddivi-
sione. Il valore di I;.Vi/ tenderà ad "essere piu basso per
"
qualche tipo di suddivisione che per altri.
Allo scopo di normalizzare la ridondanza, calcoliamo ora
il valore e la variazi"one previsti di I;.vi/ come una funzione
del tipo di suddivisione, data una " distribuzione arbitraria
di I legami fra i !h m (m - l) possibili spazi per legami
forniti dagli m vertici. (Per semplificare, assumeremo che
nessuno spazio possa contenere piu di un legame, cioè, "
v = l, cosi che Vii = O o 1. 13 ) Se tutte le distribuzioni di-
stinguibili degli I legami sono equiprobabili, il valore e la
variazione previsti di LVi/ dipenderà da quattro parametri.

Due di essi sono costanti. Il -primo, l, è il numero dei
legami in L. Il secondo, lo, è il numero degli spazi possibili 189
a cui i legami possono essere assegnati. Esso è dato da
m(m -1)
io = - - - - - . Gli altri due parametri dipendono dalla
2
suddivisione TI. Il primo, loTI, è il numero degli lo spazi po-
tenziali che sono tagliati dalla suddivisione TI, cioè, il nume-
ro delle coppie di vertici in cui ciascun vertice (della cop-
pia) appartiene a differenti sottoinsiemi della suddivisione.
Questo dipende dal tipo di suddivisione di TI, ed è dato da
loTI = L So;S~, dove So; è il numero delle variabili in So;. No-
TI
damo che 101: Z lo. Il secondo di questi parametri, [TI, è. il
numero dei Ie.gami attuali tagliati dalla suddivisione TI. Que-
sto è dato da i" = L I V;j I.
. TI
Naturalmente r z l.
Dapprima consideriamo il valore previsto di L vil =
TI
E (L vil). Poiché i Vii sono irrdipendenti, possiamo scrivere
E(L v/)
TI
= LE(v/)
TI
= ioTIE(v;/),
dove E (vi/) è il valore previsto di v/ per un certo spazio
fissato compreso fra i due punti i, j. .
i
Chiaramente: E(vi/) = - ,
io
per cui l'espressione precedente si riduce a:
ilo'
.E ( ? Vii) .= - - ,
io
che dipende dal valore di i oTI e anche dal tipo di suddivisio-
ne di TI.
Consideriamo ora la variazione di k vil .14
TI

Vat ( :: v;/) = E (~ V;j) + 2 E (~ V;j v,,) - [ ECL v;) Y


Conosciamo già il valore del secondo termine. Per quanto
riguarda il primo:
E [(L v/)'] = E[L v;;' +2L v/ v,,'].
Poiché abbiamo stabilito di assumere Vii come positivo, '= O
190 oppure = 1, abbiamo Vi/ = v/ = Vii' e quindi:
Var n: v;;')
T(
= E n: Vii) + 2 E o: V'i Wl) -
'Il 1'";
[E (L V'i)] .
T(

Consideriamo due spazi fissati ii e kl.


Ora
E(V'iV,,) = O· P(V'iWI = O) + l . P(V'iV" = l)
= P(V'iV" = l)
l l-l 1(/-1)
=_._-
lo 10 - 1 10(10 -1)
:. E (LV'jV,,) = Y210'(/o'-1)· E(V'iV")
r.
1(1- l)
'1"0'(10" - l) . - - - -
10(/0-1)
Ques lO ci dà
1·10" 1(/-1)
Var ( ~ v;;') = - - - + /0(/0' - l) - - - -
lo 10(/0-1)
lloT(
= - - - - - [lo' -lo + 10(/0' - l) ( / - l) -//0'(/0 - l)]
" lo' . (/0 - l)
//0'
~--;--- [lo' -l%,] - - - - (/0-1 0' ) .
lo' (/0 - l ) 10(/0 - - l )
La· variazione dipende ancora dal valore di loTI e quindi dal
tipo di suddivisione di 1t.
Nel caso che stiamo considerando, dove v = l, la ridon-
danza rettilinea della suddivisione 1t, è
Y2S' LV;;' = Y2 S'l".
T.

Per normalizzarla in rapporto a diversi tipi di suddivisione.


ora la sostituiamo con 15
costante· [i'''':'''E(l")]
R( 1t) = -------- =
[Var (/')]1
costante [l' - //0'/10]

[//0'(/0 -lo') /10(/0 - 1)]1


e scegliamo la costante per cui:
lo/' -//0'
[10'(/0 -lo")] l 191
Questa funzione ha il valore e la variazione previsti; essi,
essendo gli stessi per tutti i tipi di suddivisione. possono
essere usati per confrontare fra di loro suddivisioni di tl,ltti
i tipi.
Espressa nei termini della notazione precedente, questa fun·
zione è 16
Y2m(m-l) LVij-1 LS.S~

Consideriamo, .infine, il problema pratico di trovare ·quella


suddivisione 1t dell'insieme M per la quale questa funzione
R( ,,). assume il piti piccolo valore (algebrico).
Per tro,.vare la migliore suddivisione di un insieme S, usia-
mo un procedimento ascendente., che' consiste essenzialmen-
te nell'effettuare la suddivisione' in sottoinsiemi a un ele-
mento, calcolando il valore di R(,,) per q)lesta suddivisione,
e qu.indi confrontare con essa tutte quelle suddivisioni che
da essa possono essere ottenute .combinando due dei suoi
insiemi. Ciascuna di queste suddivisioni che abbia il piu
basso valore di R(n) è allora sost~tuira alla suddivisione ori-
ginale; e il procedimento continua, Co~tinua finché pervie-
ne a una suddivisione il cui valore di R(,,) è piti basso di
quello di qualsiasi suddivisione che' possa essere ottenuta da
essa combinando ·due insiemi "
Un altro procedimento ascendente, che trova direttamente
un albero di suddivisioni, va in" direzione opposta. Esso par-
te dall'intero insieme S e lo spezza nei suoi due sottoinsiemi
disgiunti piti indipendenti, calcolando R( ,,) per una bipar-
tizione arbitrar'ia, e migliorando la suddivisione attraverso
lo spostamento di una variabile alla volta da una parte al-
l'altra, finché nessuno spostamento ulteriore è possibile. Si
ripete questo proce.dimento pe.r ognuno dei due sottoinsie-
mi ottènuti, spezzando ognuno di essi in due sottoinsiemi
piu piccoli, e cosi via iterativamente, finché -l'intero insieme
S- è scomposto.
Questi e altri metodi sono stati programmati per l'IBM 7090,
192 e sono descritti compi.utamente altroveY È importante e
piuttosto sorprendente, che queste tecniche non abbiano ri-
sentito delle difficoltà di campionamento spesso .incontrate
nei procedimenti euristici, e che diano ·invece risultati otti-
mali estremamente stabili anche per calcoli eseguiti in tempi
relativamente brevi.
Appendice 3
Una citlà
non è un albero'

Il termine che compare nel titolo non intende significare


un vero e proprio albero, verdeggiante di foglie, ma un cer-
to schema mentale Z
In contrapposizione a questo, userò nel mio scritto il ter·
mine semi-lattice, che sta ad indicare un secondo schema
mentale, ben piu complesso, nel suo tessuto, del primo. 3
Per porre in rapporto questi schemi astratti con la natura
degli -insediamenti urbani, occorre procedere preliminarmen-
te ad una radicale distinzione. Chiamerò «città naturali»
quelle {<'rmatesi piu o meno spontaneamente nel corso di
un tempo lunghissimo, e «Città artificiali» quelle città (o
parti di esse) che sono state create da progettisti e pianifi.
catori con atto volontaristico.
Sit..~na, Liverpool, Kyoto, Manhattan sono esempi di città
naturali. Levittown, Chandigarh e le new towns inglesi
sono esempi di città artificiali.
Negli ultimi tempi va sempre piu diffondendosi una tenden-
za a riscontrare nelle città artificiali la mancanza di requi-
siti essenziali. In confronto con qualsiasi città antica, rico-
perta dalla patina della vita, tutti i moderni tentativi diretti
ad una creazione artificiale di città si stanno rivelando, sotto
il profilo umano, del tutto vani.
Gli stessi architetti .ammettono ormai sempre piu aperta-
mente che preferiscono vivere nei vecchi edifici piuttosto che
nei nuovi. Il pubblico in generale, indipenden1emente dal
suo pili '0 meno scarso amore per l'arte, anziché apprezzare
l'opera dell'architettura contemporanea, sembra tendere piut-
tosto a considerare il prorompere della moderna edilizia
come una calamità inevitabile: 'uno fra i tanti tristi feno-
meni di un mondo che sta andando in rovina.
È troppo facile ribattere che queste opinioni riflettono sol-
tanto un'ancor molto diffusa resistenza ad abbandonare il
194 pas5~to e la tradizione. Per quanto mi riguarda, nutro inve-
ce una certa fiducia proprio in questa specie di conserva to-
rismo. È noto, ad esempio, come l'americano medio desideri
generalmente stare al passo con il progresso dei tempi. La
sua crescente riluttanza ad accettare la città moderna espri-
me dunque un reale bisogno di qualcosa che, per il momento,.
si sottrae alla nostra immediata comprensi0ne.
La prospettiva di poter trasformare' la Terra in un pianeta
disseminato soltanto di scatole di vetro e cemento ha allar-
mato anche molti architetti. Per combattere la futura sca-
tcla di 'Yetro, sono state avanzate molte coraggiose proteste
e anche molti progetti, nella speranza di ricreare in forma
attuale le varie caratteristiche che sembrano rendere tanto
viva la città «naturale ~>, Ma fino ad ora questi progetti
hanno solamente imitato o ripetuto vecchi modelli. Non
sono stati capaci di crearne dei nuovi.
La campagna d;ll'« Architectu'ral Review» contro il modo
in cui le nuove costruzioni e i pali telegrafici rovinano la
città inglese, proponeva rimedi essenzialmente fondati sul-
l'idea che per preservare la scala dovesse venir controllata
la sequenza spaziale degli edifici e delle aree aperte: un'idea
che in realtà deriva dal trattato di Camillo Sitte sulle piaz-
ze antiche.
Un altro tipo di rimedio ~ nell'ambito della protesta contro
la monotonia di Levittown - è quello che tenta di ricreare
la ricchezza di forme riscontrabile nelle case di una vecchia
città naturale. Esempio tipico di questo rimedio è il villag-
gio Llewelyn Davies a Rushbrooke in Inghilterra, dove ogni
cottage differisce lievemente dal vicino, cosi che i vari tetti
sporgono o rientrano dando luogo a pittoresche angolazioni.
Un terzo rimedio è quello di ricorrere all'alta densità ur~
bana. Si presume che se l'intera metropoli potesse assomi-
gliare alla Grand CentraI Station, con propaggini e gallerie
dovunque dirette e intersecantesi, con gente che le riempis-
se tutte muovendosi in masse compatte, allora ridivent.ereb- ....
be umana.
Una analisi fra le piti acute del mortale squallore che dilaga
ovunque, proviene da Jane Jacobs. I suoi giudizi critici
sono eccellenti. Ma quando poi si arriva alle sue proposte
positive, ecco nascere subito l'impressione che la grande 195
città moderna venga da lei concepita come una specie di mi-
scuglio fra il Greenwich Villagè e un qualsiasi borgo dci-
l'Appennlno italiano. pieno di piccoli isolati e con tanta
genre sedura lungo la srrada.
Il problema che in ciascuno di questi progetti si è tentato
di affrontare è reale. È di estrema importanza scoprire i
caratteri che assicurano forza vitale alle vecchie città per
poi tentare di ricostruirli nelle città artificiali. Ma' non si
può raggiungere questo intento semplicemente rifacendo i
villaggi inglesi, le piazze iraliane, e le Grand Cenrral Sra-
(lons. Troppi progettisti si volgono nuovamente a conside-
rare con nosralgia le cararteristiche fisiche e plasriche del
passato, invece di indagare sui principi orclinatori astratti
che governavano le città antiche, e che le nostre moderne
conceziolli urbanistiche non hanno ancora ritrovato.
Quale è la natura intrinseca, il principio ordinatore, che di·
stingue la città artificiale dalla città naturale?
Avrete forse indovinato dal titolo in cosa io creda consista
questo principio ordinatore. lo credo che una città naturale
abbia l'organizzazione di un semi-lattice; mentre quando arti-
ficialmente organizziamo una città, perveniamo ad una orga-
nizzazione «ad albero ).
Sia l'albero che il semi-lattice sono interpretazioni del modo
in cui una numerosa raccolta di piccoli sistemi possa aggre.-
garsi a formare un unico sistema, ampio e complesso. Pili in
generale essi sono entrambi due diversi modi per indicare
due diverse strutture di insiemi. Per poter definire tali strut~
ture, lasciatemi prima definire il concetto di, insieme. Un
insieme è una raccolia di elementi che per qualche ragione
pensiamo si approprino l'un l'altro. Poiché, nella nostra ope-
ra di progetristi, abbiamo a che fare con gli aspetri fisici
della. città vivente e con la sua fisica struttura, gli insiemi
che siamo portati a considerare sono raccolte di elementi
materiali'come le persone, le foglie, le automobili, i mattoni,
le molecole, le case, i giardini, le condutture d'acqua e le
molecole d'acqua che scorrono in esse; ecc.
Quando gli elementi di un insieme si appartengono perché
cooperano e collaborano in qualche modo, chiamiamo l'in-
!96 sieme di elementi un sistema.
Ad esempio, a Berkeley all'angolo di Hearst and Euclid,
vi è un drug. store, e fuori del drug store un semaforo.
All'entrata della farmacia vi è un distributore automatico di
giornali, dove· sono esposti i quotidiani. Quando la luce è
rossa, la gente che sta aspettando di attraversare la strada
resta senza far niente sotto il semaforo; e poiché non ha
niente da fare, guarda i giornali nel distributore che può
vedere dal punto in cui si trova. Alcuni leggono solo i ti tali,
altri aspettando comprano un giornale. Questa catena di
fatti rende il distributore di giornali e il semaforo interdi- .
pendenti. Il distributore, i giornali che esso contiene, il
denaro che passa dalla tasca della gente alla fessura del
distributore, la gente che si ferma sotto il semaforo e legge
i giornali, il semaforo, gli impulsi elettrici che fanno cam-
biare le luci, e il marciapiede dove sta la gente, formano un
sistema; tutti i suoi elementi' collaborano.
Dal punto di vista dei progettist3, è di partiéolare interesse
la parte Esicamente non mutevole del sistema. Il distribu-
tor.e, il semaforo, e il_ marciapiede, correlati come sono, for-
mano la parte fissa del sistema. Costituiscono "ambito non
mutevole nel quale le parti mutevoli del sistema - la gente,
i giornali, il denaro, e gli impulsi elettrici - possono col-
laborare.
Definisco questa parte fissa una unità della città. Essa deri-
va la sua coerenza, come unità, sia dalle forze che tengono
insieme i suoi elementi, che dalla coerenza dinamica del
piu ampio sistema vivente in cui è inclusa, come parte fissa
invariante.
Fra i molteplici sottoinsiemi fissi della città, che corrispon-
dono ad altrettanti sistemi urbani, e come tali possono essere
considerati singole unità fisiche significanti, in genere ne
prendiamo in considerazione assai pochi, isolatamente, e solo
per ragioni specifiche. Per quanto mi riguarda, sono invece
convinto che qualsiasi immagine si abbia della città, essa Pu.ò ....
essere esattamente definita soltanto attraverso una visione
unitaria dei sottoinsiemi. Ma una tale raccolta di sottoinsie-
mi CJpace di comporre una immagine della città non può
consistere in una .semplice e amorfa collezione. Automatica-
mente, se non altro perché, una volta che i sottoinsiemi sono 197
scelti si stabiliscono fra loro relazioni reciproche, la raccolta
assume una struttura definita.

Per meglio comprendere questa struttura cerchiamo, per un


momento, di pensare astrattamente e di usare come simboli
i numeri. Invece di parlare degli insiemi reali costituiti a
loro volta da milioni di elementi reali che si incontrano nel-
la città, prendiamo in considerazione una struttura piu sem-
plice composta solo da una mezza dozzina di elementi. Chia~
miarno questi elementi l, 2, 3, 4, 5, 6. Senza tener conto
198 dell'insieme completo (1, 2, 3, 4, 5, 6), dell'insieme vuoto
(-), e degli insiemi costituiti da un solo elemento (1), (2),
(3), (4), (5), (6), vi sono 56 differenti sottoinsiemi deriva-
bili dai sei elementi.

Supponiamo ora di mettere in evidenza alcuni di questi 56


insiemi (proprio come mettiamo in evidenza alcuni insiemi
e.li chiamiamo unità quando formiamo la nostra rappresen· ....
tazione della città). Diciamo, ad esempio, che scegliamo i
seguenti sottoinsiemi: (123), (34), (45), (234), (345),
(12345), (3456).
Quali sono le possibili relazioni fra ,questi insiemi? Alcuni
insiemi saranno parte di insiemi pitI ampi, come (34) è 199
parte di (345) o di (3456). Alcuni insiemi si sovrapporran-
no, come (123) e (234). Alcuni insiemi saranno disgiunti -
cioè, non conterranno elementi comuni, come (123) e (45).
PçJssiamo esporre queste relazioni in due modi. Nel dia-
gramma A ogni insieme scelto come unità è racchiuso da
un cont~rno. Nel diagramma B gli insiemi scelti s~no siste-
mati' nell'ordine della grandezza crescente, cosi che dovun~
que un insieme ne contenga un altro - come (345) contiene
(34) - vi è un segno verticale ché unisce uno all'altro. Per
amore' di chiarezza e per eçonomia visiva, si segnano solo
le linee che congiungono insiemi non collegati ad altri in-
siemi. Cosi, se si segna la linea fra (34) e (345), e la linea
fra (345) e (3456), è inutile segnare una linea fra (34) e
(3456).
Osservarrdo le due diverse rappresentazioni, si può notare
come. basti la scelta dei sottoinsiemi a conferire alla loro
raccolta, considerata come un tutt'o, una struttura eompren:
siva. Questa è la struttura di cui stiamo trattando. Quando
la struttura. soddisfa certe condizioni può essere considerata
un semi-lattice, quando ne soddisfa altre piu restrittive, può
essere considerata un albero.
L'assioma del semi-lattice è il seguente:
U. n'a raccolta di insiemi forma un «semi-lattice >:. se, e soltan--
to se, sovrapponendosi due insiemi che apparte1'[gono alla
raccolta) Finsieme di elementi comuni ad entrambl appartie-
nr? pure alla raccolta.
La struttura illustrata nei diagrammi A e B è un semi-la,ttice
Essasoddisfa l'assioma poiché, appartenendo (234) e (345)
entrambi alla raccolta,' la loro pàrte comune (34) vi appar-
tiene pure. (Riferito alla città, l'·assioma significa che dovun-
que due unità interferiscono sovrapponendosi parzialmente
anche l'area di questa sovrapposizione è una entità ricono-
scibile e come tale rappresenta perciò essa stessa una unità.
Nel caso dell'esempio della farmacia: una unità consiste di
distributore automatico di -giornali, marciapiede e semaforo;
un'altra unità consiste della farmacia, del suo ingresso e del
distributore. Le due unità si sovrappongono in corrispon-
denza del distributore. È chiaro che l'area di sovrapposizio-
200 ne è essa stessa una unità riconoscibile, e cosi soddisfa l'as-
sioma che definisce le caratteristiche di un semi::lattice.)
L'assioma dell'albero stabilisce invece:
Una raccolta di insiemi torma un albero se e soltanto se,
considerati due insiemi che appartengono alla raccolta, uno
dei d'ue è del tutto contenuto nell'altro, oppure ne è del
tutto separato.
La struttura illustrata nel diagramma C e D è un albero.
Poiché l'assioma dell'albero esclude la possibilità che gli
insiemi si sovrappongano, esso non può in alcun modo im-
plicare violazioni dell'assioma del semi-lattice; per cui si può
dire che ogni albero è al limite un semi-lattice grossolana-
mente semplice.
In questo scritto, però, non interessa tanto il fatto che un
albero possa essere al limite un semi-lattice, ma piuttosto
stabilire la differenza che pasSa tra gli alberi e quei piti ge- .
nerali esempi di semi-lattice che non sono ,alberi poiché con-
t:::ngono unità che si sovrappongono. Ci ·interessa la differen-
za fra quelle strutture che non presentano sovrapposizioni,
e quelle strutture che invece le presentano.
Il fatto che rende importante la distinzione fra le due strut·
tute non è però solo presenza di sovrapposizioni. Ancora
piu*'importante è il fatto che il semi-lattice è potenzialmente'
una struttura piu complessa e sottile dell'albero. E questo
risulta chiaro dalla seguente osservazione: un albero costi-
tuito di 20 elementi può contenere al massimo 19 sottoin-
siemi oltre i 20 costituiti da ogni elemento isolato, mentre
un semi-lattice costituito dagli stessi 20 elementi può conte-
nere piu di 1 000 000 di sottoinsiemi diversi.
Questa molteplicità, enormemente piu grande, è indicativ<l
della grande complessità strutturale che un semi-lattice può
avere a confronto con la semplicità strutturale di un albero.
Ed è proprio la mancanza di complessità strutturale, caratte-
ristica degli alberi, che informa le nostre concezioni della ....
città. Per verificare questa affermazione, porrò alcuni esem-
pi di moderne concezioni della città, e dirnC?strerò come esse
di fatto siano alberi, Prima di esaminare i diversi progetti,
però, forse può essere utile tenere a mente questa brevissi-
ma filastrocca: 201
Grandi pulci hanno piccole pulci
che mordono loro la schiena
piec.ale pulci hanno pulci piti piccole,
e cosi all'infinito.
In ciò è espresso con precisione e brevità il principio strut-
turale dell'albero.
Columbia, Maryland; opera della Cominunity Research and

unità di vicinato

"'A"'A
singole abitazioni

Developrnent Ioe.: unità di vicinato aggregate a grappoli di


cinque, formano « villaggi ». Il sistema di comunicazioni col-
lega i villaggi in una new town. L'organizzazione è un albero.
Greenbelt, Maryland, progetto Clarencestein: questa città

Greenbe1t

. superblocco
gruP~~ ~
diC~AÀÀÀ
case

giardino è stata suddivisa in superblocchi. Ogni superbloc-


co contiene scuole, parchi, e un certo numero di gruppi di
case costruite attorno a parcheggi. L'organizzazione è un
albero.
Piano della Grande Londra (1943), progerto Abercrombie

Londra

Kensington Lambeth

e. Forshaw. Il disegno descrive la struttura concepita da


Abercrombie per Londra. È costituita da un gran numero
di comunità, ognuna separata da tutte le comunità adiacenti.
Abercrombie scrive: «l'obiettivo è quello di sottolineare
l'identità delle singole comunità esistenti, aumentando il
loro grado di separazione, e dove è necessario, riorganizzan-
dole come entità separate e autonome ». E ancora, «le comu-
nità comprendono una serie di sottounità, che corrispondo-
no ~d altrettante unità di vicinato dotate di proprie scuole
e propri negozi». La città è concepita come un albero a due
livelli. Le comunità costituiscono le unità piu ampie della
struttura, mentre i vicinati costituiscono le sottounità piu
piccole. Non si verificano sovrapposizioni tra le unità. La
struttura è un albero.
Piano di Tokyo, progetto Kenzo Tange: questo è un bel-

nuova Tokyo

anelli medi
anelli minori
quartieri resid. stazione porto uffici pubblici quartieri resid.
e privati

Pesempiol Il piano consiste di una serie di anelli protesi


nella baia di Tokyo. Vi sono quattro anelli maggiori, ognll- 203
no dei quali contiene tre anelli medi. Nel secondo anello
maggiore un anello medio comprende la stazione ferrovia-
ria e un altro il poì:to~ Negli altri casi, ogni anello medio
contiene tre anelli minori che comprendono i quartieri resi-
denziali, con l'eccezione del terzo anello maggiore dove un
anello minore contiene gli uffici del governo e un altro gli
uffici industriali.
Mesa City, progetto Paolo Soleri: le forme organiche di

Mesa city

~ centro universitario

~
Università settore residenziale

~
villaggi

~AA\~
piccole unità residehziali

Mesa City ci danno subito l'impressione di trovarci di fron-


te a una struttura piti ricca di quelle degli esempi prece-
denti. Ma se le o~serviamo nei particolari vi riscontriamo
esattamente lo stesso principio di organizzazione. Consideria-
mo, per esempio, il centro universitario. Il centro è diviso
in due parti di cui una è l'univ~rsità e l'altra la zona resi-
denziale, quest'ultima è suddivisa in un numero di vil1~ggi·
(risolti con edifici a torre) per 4 000 abitanti; ciascuno di
questi è suddiviso ulteriormente e circondato da gruppi di
204 unità residenziali ancora piu piccole.
Chandigarh (1951), progetto Le Corbusier: la città è ser-

centro di Chandigarh

20 singoli centri di settore


vita da un nucleo commerciale situato proprio nel suo
centto, e legato al nucleo amministrativo posto all'altro ...
estremo. Due altri nuclei commerciali sussidiari sono dislo-
cati lungo le maggiori arterie stradali che ,corrono da nord
a sud. Questi, a loro volta, sono collegati agli altri nuclei
amministrativi, comunitari e commerciali, che sono distri-
buiti in ciascuno dei venti settori della città. 205
asse centrale di Brasilia

~
l° arteria principale Ilo arteria principale

/\ À
arterie sussidiarie

singole strade di quartiere

BrasiJja, progetto Lucio Costa: la forma mota attorno al-


l'asse centrale e ognuna delle due metà è ·servita da una
arteria principale. Da queste arterie principali derivano- le
aiterie sussidiarie parallele, le quali a loro volta si diramano
nelle strade che circondano i quartieri. La struttura è un
06 albero.
Communitas, progetto Percival e Paul Goodman: Commu-
nitas è esplicitamente organizzata come un albero. È di-
visa in quattro zone concentriche principali: la piu interna
è un centro commerciale, la successiva una università, la
terza è destinata alla residenza e agli ospedali, la quarta è
aperta campagna. ....
Ogni zona è a sua volta u~teriormente suddivisa. Il centro
commerciale è contenuto in un grande grattacielo cilindrico,
formato di 5 strati: aeroporto, amministrazione, piccola
industria, negozi e divertimenti, e - nella parte inferiore -
ferrovie, autobus e servizi meccanici. L'università è divisa 207
in 8 settori comprendenti: storia natural~J zoo ed acquari,
planetario, scienza, laboratori, arti plastiche, musica e arte
drammatica, La terza zona è suddivisa in otto unità di vi-
cinato per 4 000 abitanti ciascuna; esse non sono costitui-

§
3
aeroporto ~
~
~
~
ii"'
piccola iodusto;·a;-::::::::::li!
negozi e divertimenti

trasporti pubblici

storia
zoo'

arti

cliniche

riserve

agricoltura

208 luoghi di villeggiatura


te da case individuali, ma da blocchi di appartamenti, ulte- .
dormente suddivisi in unità residenziali individuali. La
quarta zona destinata all'aperta campagna è suddivisa in
tre segmen~i: riserve di verde, agricoltura, e luoghi di va-
canza. L'organizzazione totale è un albero.
Prendiamo ora in esame per ultimo l'esempio.,che considero
il piti evidente fra tutti in quanto denuncia involontarr.a-

mente il proprio stesso vizio (e il problema dell'albero in


genere) r,icorrendo ad una simbologia sorprendentemente
calzante. Esso comp<l.re nel libro di Hilbersheimer intitolato 209
La natura delle città. Descrive il fatto che certe città ro~
mane seno state originate da accampamenti militari, e poi
mostra la fotografia di un moderno accampamento militare
per riproporlo come forma archetipa della città. Non è pos-
sibile trovare una struttura piti chiaramente dendromorfa.
Il simbolo calza appunto a perfezione perché l'organizza-
zione militare è studiata deliberatamente e appositamente al
fine di creare disciplina e rigidità.
E in ogni organi?zazione urbana concepita in forma di albe~ ,
ro, è proprio questo che accade alla città e alla sua gente.
La foto in basso illustra lo schema di Hilbetsheimer per
l'area commerciale di una città, ed è esattamentè uno schema
derivato dal modello atchetipo dell'accampamento militare.
Le strutture che abbiamo esaminato sono dunque alberi.
Ogni singola unità in ciascun albero sopra descritto è il
residuo'"fisso, ncn mutevole, di qualche sistema della città
(nel senso in cui una casa è il residuo delle interazioni fra
i membri di una famiglia, le loro emozioni, tutto ciò che
a loro appartiene; oppure nel senso in cui una autostrada è
il residuo del movimento e dello scambio commerciale),
Tuttavia, in ogni città, vi sono migliaia, e anche milioni, di
sistemi in atto, i cui residui fisici non compaiono come unità
nelle strutture ad albero. Nei casi peggiori, le unità che
compaiono addirittura non corrispondono ad alcuna realtà
vivente, e i sistemi reali, che costituiscono la vera vita delìa
città, non sono stati forniti di ricettacoli fisici che possano
contenerli,
Né il piano di- Columbia, né quello di Stein, ad esempio,
corrispondono a realtà sociologiche. Il loro ordinamento fisi~
co e il loro sist~ma organizzativo corrispondono a- una gerar-
chia di gruppi sociali chiusi, sempre piu rigidi, che dalla
città intera si estendono fino alla famIglia, con legami asso-
ciativi di forza diversa.
Se in un contesto societario d~ tipo arcaico o comunque
tradizionale chiedessimo a un 'individuo qualsiasi di nomi-
nare i suoi migliori amici e chiedessimo pui 9. ogn 1lOo di
questi di nominare a sua volta i s110i migliori amici, tutti
si nominerebbero a vicenda e il gruppo infine risulterebbe
210 chiu~o. Sotto il profilo sociologico, un villaggio è costituito
da un certo numero di gruppi separati chiusi, appunto, di
questo tipo.
Ma la struttura sociale di oggi è del rutto diversa. Se chie-
diamo ad un uomo di nominare i suoi amici e poi chiedia-
mo ad ognuno di questi di nominare i suoi. tutti nomine-
rebbero persone diverse e molto probabilmente sconosciute
al primo individuo interpellato; queste persone a loro volta
ne nomineranno altre ancora e cOSI via.
Praticamente. nella maclerna società industriale non esisto-
no gruppi chiusi di persone. La realtà della struttura socia-
le contemporanea è densa di sovrapposizioni - i sistemi di
amici e conoscenze formano un semi-lattice, non un albero
(come nella seconda fra le due figure qui sotto).

società di .tipe tradizionale

gruppo / " .
chiuso
di amici

singoli individui

società moderna

singoli individui

Nella città naturale, perfino la casa disposta lungo una stra- 211
da (che non appartiene a un piccolo raggruppamento) è un
implicito riconoscimento del fatto che le persone con cui
sussiste un rapporto diretto (come gli amici) non vivono nel-
la porta accanto, ma lontano, e possono essere raggiunti
solo con l'autobus o l'autoQ:lobile. In questo senso Manhal-
tao ha piti sovrapposizioni di Greenhelt. E sebbene si possa
sempre obiettare che il problema Don è fondamentale, po-
sto anche che a Greenbelt, gli amici si trovano, dopotutto,
a pochi minuti di automobile, non è illecito comunque do-
mandarsi: dal momento, proprio, che si è voluto porre l'ac-
cento su certi gruppi facendo loro corrispondere, addirit-
tura, specifiche! distinte unità della struttura fisica, perché
mai proprio i loro rapporti interni dovrebbero venIr consI-
derati, poi, cosI scarsamente rilevanti?
V'è un ..altro aspetto della struttura sociale e urbana che
Don può venire espresso in modo soddisfacente da uno sche-
ma dendromorfo. Per comprendere di che si traiti, consi-
deriamo, ad esempio, il piano di nuovo sviluppo disegnato
da Ruth Glass per Middlesborough (ab. 200 000). Questo
progetto ha proposto una minuta suddivisione della città
in 29 unità di vicinato. Dopo aver distinto e delimitato i
suoi 29 quartieri in base alle piu evidenti differenziazioni
per tipologia architettonica ed edilizia, reddito medio per
abitante, e specie di occupazione prevalente, Ruth Glass si
è poi chiesta se, esaminando uno qualsiasi dei sistemi che
si presentano nella situazione sociologica dej singoli vicinati)
sia possibile poi affermare che le unità fisiche definite dai
vari sistemi determinino a loro volta, in tutti i casi, la me-
desima situazione spaziale. La sua stessa risposta è stata
negativa.
Cias.cuno dei sistemi da lei esaminati ha un carattere noda-
le. È costituito, in altri termini, da una sorta di nodo ceno
trale che deve poi integrarsi con la gent<r che vi aflluisc~ e
ne fa uso. In special modo, Ruth Glass ha inserito nel nodo
centrale: scuole elementari, scuole medie, circoli giovanili,
circoli per adulti, uflici postali, erbivendoli e droghieri. Cia-
scuno di questi centri attira i suoi utenti da una certa area
o unità spaziale che a sua volta è il residuo fisico del siste-
212· ma sociale come totalità, ed è ·perciò una unità proprio nei
termini che abbiamo attribuito a questo concetto. Le unità
corrispondenti a diversi tipi di centri per un singolo circon-
dario (Waterloo Road, nella specie) sono visibili nella figura.

~I

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'..' ;,;-~IJ-i
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o

La linea piu marcata delimita il confine del vicinato. Il ten-


...
dina grigio indica il circolo giovanile e i piccoli anelli a
linea continua segnano gli spazi in cui abitano i suoi mem-
bri. Il' tondiA-:'b grigio circoscritto da un cerchio rappresent<:l.
il club degli adulti, mentre le case dei suoi membri formano
le sagome delimitate da confini tratteggiati a segmenti. Il
quadrato bianco è l'ufficio postale e la linea punteggiata se-
gna l'area che contiene i suoi utenti. La scuola media è in-
dicata dal tondino grigio circolare che contiene un, triangolo
bianco. Integrata con i, suoi alunni, viene a costituire il
sistema delimitato dalla linea di demarcazione mista (in cui
.si alternano punti e segmenti), Come può vedersi immedia-
tamente, le diverse unità non coincidono, senza peraltro
che possano neppure dirsi tra loro separate. ~ piu esatto ...
dire che esse si sovrappongono almeno in parte, ovvero in-
terferiscono.
Ovviamente non siamo qui in grado di fornire un quadro
che veramente rispecchi la realtà di Middlesborough e nep-
pure possiamo configurarci l'aspetto concreto che la città do- 213
vrebbe assumere frazionata in 29 grandi ceppi (conveniente~
mente integrali) denominati unità di vicinato. Se descrivia-
mo teoricamente una città in termini di unità di vicinato,
assumiamo implicitamente che gli elementi minori all'inter-
no di ciascuno di essi si appartengono reciprocamente, in
modo cosi stretto, che possono interagire con elementi esi-
stenti in altri vicinati solo attraverso il medium delle unità
di vicinato di cui essi stessi fanno parte. È la stessa Ruth
Glass a riconoscere esplicitamente che non è questo il caso
(il che, però, contraddice allora il suo schema teorico).

circondario di altro quartiere


quartiere Waterloo road adiacente
Le figg. a pago 214 rappresentano il circondario di Waterloo.
Con valore meramente esemplificativo, l'ho scisso in un cer-
to numero di aree minori. La figura sopra mostra come
questi pezzi si connettano reciprocamente nella realtà e la
figura sotto come invece il piano di nuovo sviluppo preten-
derebbe che aderissero.
Nulla nella natura dei vari centri suggerisce l'idea che le
loro aree d'interferenza debbano equivalersi. Le loro nature
sono diverse, quindi diverse sono a loro volta le unità che
essi definiscono. La città naturale di Middlesborough era
fedele alla sU,a originaria struttura «a semi-lattice ». Ma nella
concezione, puramente artificiale, della città come <~ albero»,
le sovrapposizioni naturali e necessarie vengono dissolte.
La stessa cosa accade nell'ambito, minore, di alcuni aspetti
della vita urbana. Si consideri, ad esempio, la separazione
fra pedoni e veicoli a motore: un concetto tipicamente den·
dromorfo proposto· da Le Corbusier, Louis Kahn e molti
~ltri. Ad un livello abbastanza superficiale di ragionamento,
si tratta ovviamente di un sano principio. È pericoloso infat-
ti che automobili capaci di superare i 100 km all'ora entri-
no in possibile contatto con bambini piccoli ai loro primi
pas~i. A ben guardare, però, l'idea non sempre è soddisfa-
cente. Vi sono casi 1 addirittura, in cui la' specifica situazione
ecologica richiede una soluzione esattamente opposta. Imma-
ginatevi mentre uscite da un negozio della Fifth Avenue;
avete fatto acquisti tutto il pomeriggio e le vostre braccia
sono colme di pacchetti; avete voglia di un drink; vostra
moglie comincia a zoppicare ... Vivaddio, niente è preferibile
a un buon taxi in simili circostanze!
Ma l'autopubblica in servizio urbano adempie alla sua fun-
zione solo nella misura in cui pedoni e: veicoli non siano
strettamente segregati. Il taxi vagante ha bisogno di una
corrente di traffico abbastanza veloce, che gli consenta di
percorrere una zona vasta almeno. quanto è necess~rio per ....
trovare qualche passeggero. Ogni pedone a sua volta deve
essere in grado di chiamarlo da qualsiasi punto dell'area a
lui riservata; e deve essere altresi in grado di scendere in
qualsiasi punto della sua sfera «di competenza» egli. desi·
deri. Il sistema specifico contenente il servizio di aùtopub- 215
bliche deve poter interferire sia con 11 sistema veicolare ve-
loce che con quello' di circolazione pedonale. In Manhattan,
pedoni e veicoli si spartiscono appunto determinate parti
della città e quindi la necessaria interferenza è garantita.

solo auto private taxi parcheggi circolazione pedonale

Un altro pnnClplO caro ad esempio ai teorici dei CIAM è


la segregazione dell'attività ricreativa da ogni altro genere
di attività: principio che nella nostra civiltà si è concretato
nei playgrounds o campi per i giochi. Questi, asfaltati e re-
cintati, altro non sono che una esplicita, visibile ammissione
del fatto che il concetto «gioco» sopravvive nei nostri sche-
mi mentali come elemento del tutto isolato: il che ha poi
ben poco a che vedere con quella che è la realtà del gioco
stesso, dato che tutto sommato sono pochi i bambini degni
di questo nome che si adattino a giocare reclusi in un cam w

po da gioco.
Il gioco in sé, quello che i bambini praticano effettivamen-
te, tende ad emigrare di continuo, a spostarsi ogni giorno
in qualche luogo diverso. Un giorno si svolgerà all'interno
delle pareti domestiche, un altro giorno in una stazione di
servizio gestita da persone amiche, e poi continuerà, un
giorno in un edificio in rovina o abbandonato, il giorno dopo
sulla riva di. un fiume e il giorno dopo ancora, .magari nel
terreno circostante una casa che è momentaneamente disa-
bitata, supponiamo, per il week-end.
216 Ogni attività di gioco, inclusi gli oggetti che ç:ssa richiede,
I
1

forma un sistema. E non è vero che questi sistemi sussista-


no isolatamente, tagliati fuori dagli altri sistemi della vita
urbana. Essi si sovrappongono reciprocamente e al tempo
stesso interferiscono con molti altri sistemi collaterali. Le
unità fisiche riconosciute come luoghi per il gioco devono
adeguarsi a questa realtà. In una città naturale, è questo
infatti che accade. Il gioco si svolge in mille luoghi, s'infil-
tra negli interstizi del mondo degli adulti. Quando giocano,
i bambini diventano per cosi dire padroni dei quartieri in
cui vivono. Come può avvenire questo se un bambino è re-
cluso in uno spazio cintato? In una struttura «a semi-lat-
tice» l'attività di gioco gode di possibilità che in una strut-
tura «ad albero» le sono precluse.

Un errore sostanzialmente siJ11ile si riscontra in concezioni


dendromorfe di centri studenteschi come la Comunità Good-
man o la Mesa City di Soleri, che tengono rigorosamente se-
parata l'università dal resto della città. Di particolare inte-
resse in questo senso è il comune, e discusso, campus al-
l'americana.
Non si vede per qual motivo sia necessario tracciare una
delimitazione che scinda la città facendo SI che ogni cosa
(e soltanto essa) esistente entro i confini, sia «università ».
Astrattamente, ciò può anche soddisfare un'esigenza di chia-
rezza. Ma corrisponde poi alla realtà della vita universita-
ria? Certo non è tale la struttura che si riscontra invece in
città universitarie non artificialmente pianificate.
Si prenda ad esempio una vecchia università inglese. In
certi punti, la Trinity Street di Cambridge è fisicamente
quasi indistinguibile dal corpo del Trinity College. Un pas-
saggio pedonale che la attraversa può dirsi faccia letteral-
mente parte del famoso college e gli edifici sulla strada,
occupati al piano-terra da negozi, bar e agenzie. di banca,
contengono però alloggi per gli studenti ai piani superiori. ""
In molti casi, gli edifici sulla strada vengono a fondersi con
le vecchie costruzioni del college cosicché gli uni non pos~
sono venir alterati senza che ne risulti un'alterazione nelle
altre, e viceversa. E sussisteranno sempre «sistemi» di atti-
vità dove la vita universitària e quella della città si sovrap~ 217
pongono: discutere al bar, prendere il caffé, andare al ci-
nema, camminare per spostarsi da un luogo ad un altro,
o anche soltanto per passeggiare. In qualche caso, intere fa-
coltà possono venir attivamente coinvolte nella vita degli
abitanti della città (l'ospedale a padiglioni della clinica .uni-
versitaria è un c1assic<? esempio). A Cambridge, antico cen-
tro «naturale» in cui università e città sono cresciute insie-
me gradualmente, le unità fisiche interferisconp reciproca-
mente in quanto sono residui fisici dei sistemi della città
e di quelli dell'università, sovrappostisi ormai da lunghissi-
mo tempo.

Cambridge

college abitazioni clinica bar caffè


medica
universitaria

Sarebbe o~a forse il caso di passare a considerare con atten-


zione certi specifici nuclei urbani realizzati, con criterio ge-
rarchico" e specialistico, all'inte-rno di Brasilia e di Chandi-
garh o concepiti, ad esempio, nel piano MARS per Londra:
Ma il caso piti recente credo sia quello del Manhattan Lin-
coln Center, dove diverse funzioni artistico-ricreative desti-
nate a servire la popolazione della «Grànde New York»
:18 so;;a state raggruppate per formare un solo nucleo.
Siamo certi che una sala da concerto richieda di essere co.l-
locata accanto ad un teatro d'opera? Forse che le due atti-
vità sono soggette ad alimentarsi reciprocamente? Vi sarà'
forse chi assiste ad entrambe le esibizioni, ghiottamente, nel
giro di una sola serata, o chi si affretta ad acquistare i bi-
glietti di uno spettacolo teatrale prima di entrare nella sala
dei concerti o appena uscitone?
A Vienna, a Londra, a Parigi, ciascuna delle arti sceniche
ha trovato la sua autonoma collocazione; e si è creata, per
cosi dire, la sua propria, famigliare sezione di città. Nella
stessa Manhattm, la Camegie Hall e la Metropolitan Opera
House non erano state affatto costruite fianco a fianco. Cia-
s~una aveva trovato il suo ambito vitale e creato intorno a
sé la .p~opria atmosfera. Le loro ~nf1uenze, piu che associarsi
fra loro, si sono invece sovrapposte a quelle singole porzioni
di città e di vita cittadina ché ciascuna di esse ha influenzato
con efficacia, in certo modo, unitaria.
L'unica ragione che ha fat.to confluire tutte ques~e funzioni
in Lincoln Center è che il concetto astratto di rappresenta-
zione artistica le lega una all'altra.
Ma questa sostanziale struttura ad albero e l'idea di una
gerarchia di nuclei urbani specifici (che le è genitrice) non
chiarisce; reali rapporti fra arte e vita cittadina. All'origine
dell'equivoco sta senza dubbio quello stesso, astratto pre-
concetto, diffusissimo nel senso comune, che in mi"sura piu
semplice e ridotta spinge sempre a porre diverse cose, lega-
te da una comune denominazione, tutte entro uno' stesso
recipiente.
L~ totale separazione del lavoro dalla residenza, iniziata da
Tony Garnier con la sua città industriale e poi incorporata
nella Carta di Atene del 1929, è oggi riscontrabile in ogni
città artificialmente pianificata e risulta adottata in genere
ovunque si tenga ad attuare una rigida demarcazione delle
zone. Ma anche questo principio, originariamente tutt'altro ...
che immotivato, appare oggi discutibile. Sono ben note le
orrende condizioni di vita che all'inizio del secolo spinsero
i pianificatori a cercare di collocare le fabbriche fuori delle
zone residenziali. E tuttavia è innegabile che la separazione
oblitera una quantità di sistemi che richiedono, per soste- 219
nersi, parti, anche piccole, di entrambi i termini fra loro
segregati.
Si consideri la storia delle cosiddette industrie «in cortile »,
di Brooklyn. Jane Jacobs ha esaurientemente descritto come
que~te officine, dapprima semi~artigianali, abbiano potuto e
dovuto crescere proprio nei cortili delle case. Chiunque vo-
glia dar vita ad una piccola attività in economia ha bisogno
di un po' di spazio e ha bisogno inoltre di stabilire rapporti
con altre imp~ese e, inizialmente, rapporti diretti con la
clientela. Il sistema dell'industria in cortile deve necessaria-
mente ~ppartenere tanto alla zona residenziale quanto a
quella industriale: zone che in tal caso devono sovrapporsi,
come, appunto, avvenne a Brooklyn (figura sotto). In una

zona industriale

solo grandi stabilimenti industria in cortile giardini

città ordinata ad albero questo non potr~bbe accadere.


Passiamo infine ad esaminare la suddivisione della città in
comunità isolate. Come abbiamo visto nel piano Abercrom-
bie per Londra, anche questa è un tipo di struttuta «ad al-
bero ». Ma le singole comunità non hanno realtà come unità
funzionali. A Londra, come del resto in ognì grande città,
quasi nessuno riesce a trovare un lavoro convenientemente
vicino a casa sua. La gente di .una comunità lavora quasi
sempre in aziende industriali che sono situate nell'ambito di
altre comunità.
Esistono infiniti possibili sistemi «lavoratore-posto di lavo-
ro» (ciàscuno dei quali consiste ad esempio di un operaio
220 piu la fabbrica in cui lavora) che non rispettano affatto i
confini definiti dall'albero di Abercrombie. L'esistenza di
queste unità e il loro naturale interferire e sovrapporsi indi-
ca che i sistemi viventi di Londra formano un vero e pro-
prio semi-lattice. Soltanto nella mente del pianificatore si
sono trasformati in una struttura ad albero.
Aver mancato di dare a ciò qualsiasi fisica espressione ha
comportato fatali conseguenze. Cosi come stanno le cose,
ogni volta che il lavoratore e il suo posto di lavoro appar-
tengono territorialmente a distinte amministrazioni locali, la
comunità che' contiene il posto di lavoro ha enormi entrate
fiscali, cui fanno riscontro spese in proporzione assai lievi,
mentre la comunità in' cui vive il lavoratore, se è di tipo
soprattutto residenziale, raccoglie poco quanto a tasse e im-
poste, nonostante abbia grandi spese addizionali a proprio
carico in forma di scuole, ospedali, eccetera. Evidentemente,
per risolvere questa sperequazione, i sistemi «lavoratore-
posto di lavoro ~> devono concretarsi in unità fisicamente
riconoscibili e quindi assoggettabili ad un adeguato grava-
me fiscale.
Si potrebbe bbiettare che, sebbene le comunità singole e
separate di una grande città non abbiano autentica rilevanza
funzionale nella vita dei loro abitanti, esse però sono anco-
ra le unità piu convenienti sotto il profilo amministrativo
e debbono pertanto essere lasciate nella loro attuale orga-
nizzazione dendromorfa. .
Ma anche il valore di una simile obiezione risulta assai dub-
bio non appena si ponga mente a quale è la complessità po-
litica di una città moderna.
Edward .Banfield, in un recente libro intitolato Political In-
fiuence, fornisce un resoconto dettagliato di quali schemi
d'influenza e di controllo operino effettivamente in Chicago.
Egli mostra come, sebbene le linee di controllo ammini-
strativo ed esecutivo abbiano una struttura in forma den-
droide, queste catene formali e ufficiali d'influenza sono con-
tinuamente intersecate e oscurate da linee ad hoc di con-
trollo che insorgono naturalmente ogni volta che si presenti
un nuovo problema relativo alla città. Queste linee ad hoc
variano e dipendono in buona misura dalle persone o dai 221
gruppi concretamente interessati nella materia, dall'entità
della posta in gioco, e cOSI via.
Questa seconda struttura, che è informale, operando nel
tessuto della prima, diviene il fattore reale di controllo su-
gli atti della pubblica amministrazione. Subisce, inoltre, va-
riazioni continue, di settimana in settimana, perfino di ora
in ora, appena un problema intervenga a rimpiazzarne un
ahro. Nessuna sfera d'influenza personale è interamente
sotto il controllo di un qualunque organo burocratico supe-
riore; ciascun individuo soggiace a d.iverse influenze nella
misura in cui i problemi cambiano. Benché la pianta dell'or·
ganizzazione nell'ufficio del sindaco sia in forma di albero,
l'effettivo controllo e l'esercizio dell'autorità somiglia a un
semi-lattice.
L'albero, sebbene sia tanto nitido e bello come espedienre
razionale e sebbene offra un cOSI semplice e chiaro criterio
per suddividere un'entità complessa in varie unità, non for-
nisce in pratica una corretta descrizione dell'assetto natura-
le che si riscontra nelle città e non rispecchia 'la struttura
urbana nel modo che ci è piu utile.

Perché dunque tanti progettisti hanno concepito le città


come alberi quando invece la loro naturale struttura è in
ogni caso un semi-lattice? Hanno cOSI deciso di cosciente
proposito, nella convinzione che una struttura den4romorfa
possa meglio servire la popolazione di una città? Oppure
l'hanno fatto perché non hanno potuto evitarlo in quanto
vittime di un certo abito mentale, 'e forse costretti addi-
rittura, da categorie ancora ignote che determinano il pro-
cesso delle operazioni mentali? In altri termini, cioè, la loro
impotenza a cogliere la complessità di un semi-lattice non
deriva forse dal fatto che la mente stessa ha una inconte-
nibile predisposizione a vedere alberi dovunque e uon può
quindi evitare di concepire ogni possibile organizzazione in
quella forma particolare?
Cercherò di chiarire come sia per questo secondo ordine di
ragioni che le forme dendroidi sono state proposte ed adot-
tate tanto largamente: come, cioè, i progettisti, general-
22 mente condizionati dai normali limiti della mente a formare
intultlVamente soltanto strutture semplici ed accessibili,
non possano cogliere tutta la complessità del semi-lattice
in un singolo processo mentale.
Comincerà con un esempio. Supponiamo che vi chieda di
ricordare i seguenti quattro oggetti: un'arancia, un'anguria,
una palla da tennis e un pallone ovale (da rugby, o da
lootball americano)" In quale modo tenderete a" conservarli
davanti all'occhio della vostra mente? Comunque lo faccia-
te, lo farete raggruppandoli. Qualcuno di voi accosterà i
due frutti, l'arancia e l'anguria, e le due palle, quella da
rugby e quella da tennis. Altri invece, che tendono piuttosto
a pensare in termini di immagine fisica, potranno eventual-
mente raggrupparli in modo diverso, associando fra loro le
due sfere piti piccole (l'arancia e la palla da tennis) e con-
trapponendole ai due oggetti piti grandi, di forma ovoidale:
l'anguria e il pallone da rugby. Pochissimi sapranno imma-
ginare entrambi i criteri di associazione e di opposizione.

Ciascuno dei due criteri, considerato separatamente, altro


non è che una struttura dendromoifa. La loro unione si tra-
durrà invece in un semi-lattice (pag. seg.). Cerchiamo ora di 223
visualizzare questi raggruppamenti nell'occhio della mente.
Praticamente nessuno riuscirà ad ottenere una visione simul-
tanea delle quattro componenti, dato che quest'ultime tende-
ranno ad intersecarsi e a sovrapporsi. Potremo vedere prima

arancia anguria palla da tennis pallone da rugby

grande, ovale

arancia anguria palla da tennis pallone da rugby

arancia anguria palla pallone


da tennis da rugby
una coppia, poi l'altra, e potremo giungere ad alternarle con
tale frequenza da ottenere l'illusione di averle percepite visi-
vamente tutte insieme. Ma in realtà ciò non è possibile in
un solo atto della mente. Un unico atto della mente non
può darci l'idea della struttura a semi-lattice in una forma
percepibile visivamente. Può lasciarci vedere soltanto una
forma dendroide.
Ecco dunque quale problema si pone a noi progettisti. An·
che se jn generale non ci preoccupiamo troppo del problema
del!a totale visualizzazione i.o un singolo atto mentale, il
prindpio è ancora lo stesso. L~albero è accessibile mental·
mente e agevole da trattare. Il semi-lattice invece è arduo
da mettere a fuoco con l'occhio della mente e quindi è di
scomodo impiego.
Oggi sappiamo che l'associazione e la categorizzazionè rien-
trano fra 'i primi e piu priniirivi processi psicologici. La
psicologia moderna considera il pensiero un processo atto a
far coincidere nuove situazioni con sezioni e caselle mentali
già esistenti nella mente. Come nell'ordine fisico oggettivo
non è possibile inserire in una casella piu di un oggetto
solido alla volta, cOSI - per analogia - i processi del pen-
siero non sono in grado di inserire piu costrutti mentali in
una sola volta entro un ordine categoriale delimitato. Lo
studio dell'origine di questi processi suggerisce il sussistere
di un loro essenziale limite nello spontaneo bisogno, che ha
lo stesso organisQ1o, di ridurre la complessi tà dei suoi rap-
porti con l'ambiente, stabilendo barriere fra i differenti
eventi cui va incomro.
È per questa ragione - perché, cioè, la prima funzione del-
la mente è di ridurre la possibile confusione derivante da
ogni tipo d'interferenza, d'intersezione o di sovrapposizione,
e perché a questo fine essa è dotata di una fondamentale
int~Ueranza per l'ambiguo - che strutture come la città, che
pure richiedono insiemi fra loro interferenti, continuano a
venir nondimen~ concepite come semplici alberi.
La stessa rigidità accompagna perfino la percezione di sche-
mi fisici. In esperimenti compiuti da Huggins e da me ad
Harvard, a1c~.me çonfigurazioni costituite di unità interne
parzialmente sovrapponentisi vennero mostrate al pubblico 225
che, da quanto risultò, fini quasi sempre con l'escogitare
qualche sistema per concepire la configurazione come un al-
bero: e questo anche nei casi in cui la visione a semi-lattice
degli schemi sarebbe tornata molto utile nell'adempiere agli
obiettivi sperimentali.
Le piu sorprendenti dimostrazioni del fatto che la gente ten-
de a concepire come alberi anche gli schemi già tradotti in
termini -fisici visibili sono riscontrabili in alcuni esperimenti
di Sir Frederick Bardett. Ecco il piti significativo: egli esibi
una configurazione ad un gruppo di persone per circa Y4 di
secondo e poi chiese a tlltti di disegnare ciò che avevano
visto. I piti, incapaci di afferrare la piena complessità della
configurazione, la riproposero semplificata, praticamente pri-
va di interferenze. La fig. a lato, sotto la configurazione ori-
ginale, ..presenta due tipici esempi di versione ricostruita. In
e~trambi, i cerchi sono stati separati dal resto. È scomparsa
ogni, sovrapposizione fra triangoli e cerchi.
Questi esperimenti dimostrano come l'uomo, di fronte a
qualsiasi forma dotata di una certa' complessità, riveli un'in-
tima tendenza a riorganizzar1a in modo piti semplice, elimi-
nando intersezioni o sovrapposizioni. Ed ecco che il semi-
lattice viene cosi semplificato nella, piti semplice, forma del-
l'albero.
Vi starete senza dubbio domandando quale configurazione
possa allora essere data ad uno schema di città non piti
alb.eriforme. A questo punto debbo confessare che non sono
ancora in grado di esibire disegni veridicamente illustrativi.
Non basta dimostrare l'esistenza di sovrapposizioni o inter-
ferenze: deve trattarsi di quelle giuste. Tale preoccupazione
è doppiamente importante proprio perché, una volta accer-
tata l'esistenza della struttura 'a semi-lattice, è facile poi
soggiacere alla tentazione di tracciare piani in cui l'interfe-
renza, comunque articolata, appare -di per sé determinante.
È in sostanza quarito accade i~ certi piani urbani redatti in
questi ultimi anni per città ad alta densità demografica. La,
sola sovrapposizione, ripetiamo, non è sufficiente a dar r~­
gione della reale struttura. Può, anzi, significare il caos poi-
ché, per questo, anche il contenuto di U1l secchia d'immon-
226 dizia è fitto di intersezioni e di sovrapposizioni. La strut-
tuta urbana è data dunque soltanto dalla esatta intersezione
dei limiti che, a sua volta, quasi mai corrisponde a quella
antica, riscontrabile nelle città storiche. Nella misura in cui
cambia il rapporto fra le varie funzioni, anche i sistemi che
vengono -a sovrapporsi, a interferire, al hne di scambiare
questi nuovi rapporti, debbono a loro volta subire un ade·
guato mutamento. Ricreare le vecchie interferenze vorreb-
be dire stabilire il caos, non la struttura.

Gli sforzi per comprendere esattamente quali interferenze


presenti e richieda una ci ttà moderna e per riprodurle poi,
in termioi fisici e plastici, come sovrapposizioni. non sono
affatto conclusi. Prima che questa ricerca sia completa. non
v'è motivo di rendere pubblici i disegni non definitivi cho
potrebber~ far credere agevoli certe premature soluzionj
tutt'altro che collimanti con la' vera struttura.

È possibile tuttavia ricorrere a certe immagini per rendere


piu comprensibili le conseguenze fisiche dell'interferenza. Il
quadro di cui all'illustrazione sopra rappresenta un recente
dipinto di Simon Nicholson. Il fascino di questa figura sta
nel fatto che, sebbene siano bastati pochi semplici triangoli 227
a costruirla. questi elementi si combinano in diversi modi
dando luogo alla piu ampia unità del dipinto. Se facciamo
un completo inventario delle unità percepibili nel quadro,
scopriamo che ciascun triangolo entra in quattro o cinque
tipi di unità completamente diversi, nessuno dei quali com-
preso negli altri e tutti tuttavia interferenti per suo tramite.
Se enumeriamo i triangoli ed estraiam~ i sistemi che appaio-
no quali dominanti unità visuali, otteniamo il semi-lattice di
cui alla figura qui solto.

2 3 4 5
3 e 5 formano un'unità perché insieme rappresentano un
rettangolo; 2 e ~ perché formano un parallelogrammo; 5 e 6
perché entramb'i sono di colore piu scuro e orientati nella
stessa direzione; 6 e 7 perché uno è lo specchio dell'altro,
spostato lateralmente; 4 e 7 perché sono simmetricamente
contrapposti uno all'altro; 4 e 6 in quanto costituiscono un
altro rettangolo, 4 e 5 perché, insieme, formano una specie
di Z; 2 e 3 perché anch'essi formano una Z, un po' piu
sottile; 1 e 7 per il fatto che si trovano ad angoli opposri;
1 e 2 in quanto anch'essi sono un rettangolo; 3 e 4 perché
sono entrambi rivolti nella stessa direzione (come la coppia
5 e 6, di cui rappresentano una specie di proiezione decen-
trata); 3 e 6 perché racchiudono 4 e 5; l e 5 perché rac·
chiudono 2, 3 ")4.
Mi sono limita"m a enumerare.Ie unità di soli due triangoli.
Quelle risultanti dalla combinazione di piu di due triangoli,
sono anche piu complesse. Il fondo bianco poi lo è in mi·
sura ancora maggiore e non è neppure stat? incluso nel dia-
. gramma perché è troppo arduo venire a capo, con sufEcie.Qte
sicurezza, delle sue componenti elementari.
Il quadro è significativo, non tanto perché cont~ene il prin-
cipio di tante interferenze (ciò vale per molti dipinti), quan-
to, piuttosto, perché non si qualifica per altre ragioni che
questa. È solo questa caratteristica, appunto, e la conseguen-
te molteplicità di aspetti che le forme presentano, a rendere
l'opera tanto affascinante. Sembrerebbe quasi che il pittore
si sia deliberatamente proposto di attenersi rigorosamente
al principio dell'interferenza, evidenziandolo quale elemento
generatore di struttura.
Tutte le città artificiali che ho descritto hanno la struttura
di un albero piuttosto che quella, a semi·lattice, del dipinto
di icholson. E tuttavia sono proprio le immagini come que-
sta che debbono costituire i veicoli della nostra nuova con-
cezione. E il semi-lattice, che rappresenta tutta una vasta
sezione della matematica moderna, costituisce un potente
strumento di analisi, proficuamente utilizzabile, per esplora-
re la struttura di queste immagini. È esso, dunque, che dob·
biamo cercare di individuare, non l'albero.
Quando pensiamo nei termini di organizzazioni dendrornor- 229
fe, non facciamo che barattare l'umanità e la ricchezza della
città vivente con una semplicità concettuale di cui gli unici
a trarre bene:6cio sono i pianificatori, i pubblici amministra-
tori, i progettisti e gli urbanisti. Ogni volta che un settore
della città viene enucleato dal suo contesto globale e una
diramazione dell'albero sostituisce cOSI il legame a semi-
lattice preesistente, la città fa un altro passo in avanti verso
la dissociazione.
In qualsiasi oggetto organizzato, l'est~ema compartimenta-
lizzazione e la dissociazione d~gli elementi interni sono i pri-
mi sintomi di una prossima distruzione. In una società, di'ì-
sociazione vuoI dire anarchia. In una persona, la dissocia-
zione è il segno della schizofrenia e forse dell'imminente
suicidio. Un infausto esempio di dissociazione al livello di
città è...la segregazione dal resto della vita urbana dei pen-
sionati e itl. genere delle persone ormairitiratesi dal lavoro:
segregazione piu acutamente evidente in certe città destinate
alle persone anziane sorte di recente nel deserto dell'Ari-
zona, come Sun City. Soltanto sotto l'influenza di uno sche-
ma categoriale dendroide, è concepibile una simile aber-
raZIOne.
Non soltanto i vecchi sono privati della compagnia dei gio-
vani e viceversa, ma una non minore spaccatura si apre nel-
l'intimo di ogni singolo individuo. Una volta entrati a Sun
City, i vostri legami con il passato non saranno piu rico-
nosciuti e dovrete rassegnarvi a considerarli definitivamente
perduti. La vostra giovinezza nop sopravviverà piu in alcun
modo nella vostra vecchiezza; le due età saranno dissociate;
la vostra stessa vita sarà tagliata in due.
Per la mente umana, l'albero può essere lo strumento piu
adatto al dominio di pensieri complessi. Ma la città non è
un albero, non può e non deve esserlo. La città è il ricet-
tacolo della vita, Ma una città dendromorfa è un tipo d,i
ricettacolo che scinde ogni sov.rapposizione ed ogni interfe-
renza degli elementi vitali. Come in una scatola irta all'in-.
terno di lame affilate pronte a tagliare qualunque cosa' si
voglia riporre in essa, in un simile ricettacolo la vita sfessa
sarà fatta a pezzi. Se f~remo città ispirate alla forma del~
230 l'albero è proprio questo che accadrà delle nostre vite.
No'te

L'esigenza di razionalità
1. D. Bullivant, In/ormation lor tbe Archi/eel, in «Architect's laur-
nal », 129: 504-21 (aprile 1959); $erge ChermayefI e René d'Harnan-
court, Design for use in Art in Progress, New York, 1944, pp. 190-
20!.
2. Per alcuni suggerimenti pratici riguardo al modo in cui questo
potrebbe essere valorizzato, vedi: Christopher Alexander. In/ormation
and an Organized Process 01 Design, in National Academy af Sciences,
(/ Proceedings of the Building Research Institute », Washingron, D.C.,
primavera 1961, pp. 115-24.
3. T. W. Cook, The ReJation between Amount 01 Material and Dii·
ficulty o/ Problem-Solving, in «Journa! af Experimental Psychology »,
20 (1937), 178-83, 288-96; E. J. -Archer, L. E. Boume Jr. e F. G.
Brown, Concept Identification as a Funetion of I,Televant InfoTmation
end InstTuetions, ibid.• 49 (1955): 153-64.
4. Questo pensiero è stato espresso in molte occasioni. fin dall'inizio
del movimento moderno. Vedere, ad esempio. L. Moholy-Nagy, The
New Vision: From Materiai to Architecture, uad. riveduta da Daphne
Hoffman, New York, 1947.. p. 54; Walter Gropius, The New Archi-
tectuTe and the Bauhaus. trad. ingL P. Mortoll Shand, London, 1925.
pp. 17-20.
5. -Karl Duncker. A Qualitative (ExpeTimental and TheoTetieal) Stu-
dy of Productive Thinking (Soivin"g of Comprehensible Problems), in
«Journal of Genetic Psycho1Dgy »,33 (1926): 642-708, e On Probiem
Solving, trad. ingl. Lynnes Lees. «American Psychological Associa-
tion, Psychological Monographs », n" 270, Washington. D.C.. 1945;
Max Wertheimer, PToductive Thinking, New York, 1945.
6. George A. Miller. The Magical Number Seven, Plus or Minus
Two: Some Limits on our capacity /or Processing InfoTmation, « Psy-
chological Review». 63 (1956): 81·97;. D. B. Yntema and G. E. Mue-
ser, RemembeTing the present States o/ a Number of VaTiabies, « Jour-
o'al of Experimental Psychology», lO: 18-22 (luglio 1960).
7. Alex Bavelas e Howarcl Perlmutter, classificazione del lavoro svol-
to al Centro per gli Studi Internazionali, M. L T., citato in The Rela-
tion 01 Knowledge to Action. da Max Millikan, in The Human Mean-
ing o/ the Socia! Sciences, ed. Daniel Lerner. New York. 1959, p. 164.
8. Infatti vi sono casi in cui una forma è stata determinata 'unica- ....
mente attraverso i suoi requisiti. ma tali casi sono molto rari. Un
esempio sorprendente è dato dalla gru. Vedere L. Bruce Archer,
«Design », n. 90 (giugno 1956), pp. 12-19, specialmente p. 16; H. G.
Gough. H. L. Cox, O. G. Sopwith. The Design of Crane Hooks.
« Proceedings of the Institute of Mechanical Engineers» (Inghilterra),
1935; anche « AnnuaI Report of the British Iron and Steel Research
Association ». 1954. 231
9. Una tipica raccolta di dipinti derivati da un atteggiamento di
formalismo « logico» si può trovare nel Kalte Kunst di Karl Gerstner,
pubblicato da Arthur Niggli, Teufen A. R., Svizzera, 1957.
lO. ]acopo Barezzi Vignola, Regola delli Cinque ordini d'architettu-
ra, Roma, 1562; Jacques-François Blondel, eaurs d'architecture, Paris,
1771, Libro IV.
11. Un altro esempio di questo formalismo «logicament~» ispirato
si trova in Ludwig Hilbersheimer, The. New City, Chicago, 1944,
pp. 106·21.
12. Che ci piaccia o no,. per quanto oggettivamente razionali si vo'
glia essere, v'è sempre uri fattore di libero giudizio soggettivo, nella J
scelta e nell'uso di un sistema logico, che non possiamo evitare. Le
rappresentazioni logiche, come qu~lsiasi altra, sono formate attraverso
la semplificazione e la selezione. Dipende da noi stabilire quali sem-
plificazioni operare, quali aspetti scegliere come significativi, quale
rappresentazione adottare. E questa decisione è logicamente arbitraria.
Per quanto ragionevole e corretta la rappresentazione sia interna-
mente, la scelta di una rappresentazione deve essere, alla fine, irra-
l,
zionale. Infatti, anche se possiamo addurre valide ragioni per giusti-
ficare la 4Scelta di uno schema logico anziché di un altro, queste ra-
gioni implicano solamente che vi è un altro schema di decisioni dietro
al primo (molto probabilmente non esplicito). Forse ve ne è ancora
un altro dietro questo secondo. Ma prima o poi finiremo sempre con
l'imbatterci in decisioni che non sono razionali in alcun senso, che
sono soggette a niente piu che alla tendenza personale di colui che
prende la decisione. I metodi logici, nel migliore dei casi, riorganiz-
zano il modo in cui la tendenza personale deve essere applicata a un
problema. Naturalmente questo « migliore dei casi» ha la sua impor-
tanza. r metodi imuitivi attuali introducono la tendenza personale in
modo infelice, tale da rendere i problemi non risolvibili correttamente.
Il nostro proposito deve essere quello di rimodellare la tendenza, per
far si che non interferisca piti col processo della progettazione in modo
distruttivo, e non continui ad ostacolare la chiarezza della forma.
13. Il ruolo importante del pensiero di William Morris si rileva nei
volumi 22 e 23 delÌ'edizione londinese del 1915 delle sue opere com-
plete. Vedere anche Nikolaus Pevsner, Pioneers 01 Modern Design,
New York, 1949, pp. 24-30; trad. it. G. De Carlo, I pionieri del mo-
vimento moderno, da W. Morris a W. Gropius, Milano, Rosa e Bal-
lo, 1945. .
14. Ibid., pp. 18·19.
15. Il loro lavoro e le loro idee sono trattate pienamente da Emil
Haufmann in Architecture and the Age 01 Reason, Cambridge, Mass.,
1955; L'Architettura dell'Illuminismo, Torino, Einaudi, 1966. Non re-
stano scritti di Lodoli, ma vedere F. Algarotti, Saggio sopra l'architet7
tura, in Opere, val. II, Livorno, 1764, e Saggi sull'architettura e pit-
tura, Milano, 1831; Marc-Antoine Laugier, Essai sur- l'architecture, 2a
ed. Paris, 1775, e Observations sur l'architecture, s'Gravenhage,'
1765.
16. Nikolaus Pevsner, An Outline 01 European Architecture, Pen-
guin Books, London, 1953, pp. 242-62; trad. it. Storia dell'architettura
europea, Bari, Laterza, 1959; nuova ed. illustr. Milano, Il Saggiatore,
232 1966.
\
17. \ Nel negare la possibilità di comprendere ragionevolmente i pro-
cessi 'della produzione di forma; il feticcio dell'intuizione è il diretto
corrispondente di altri famosi tentativi di mettersi al sicuro sotto le
ali deUa magia e del tabu; vedere: Sigmund Freud, Vas Unbehagen
in der Kultur. Trad. iL Il disagio della civiltà, Roma 1949, o K. R.
Popper in The Open Society and It! Enemies, Princeton, 1950.
18. Per alcune recenti proteste contro il velleitadsmo dell'intuizione
nella progettazione contemporanea, vedere Serge Chermayeff, The
Shape oj Quality, «Architecture Plus~. Division of Architecture,
A. & M. College of Texas, 2, 1959.(,(), 16-23.
19. W. Ross Ashby ha già accennato alla possibilità di amplificare
l'intelligenza in Design for an Intelligence Amplifier, in «Automata
Studies », ed C. E, Shannon e J. McCarthy, Princeton, 1956, pp. 215-
34. Vedere nnche M. Minsky, Steps toward Artificial Intelligence,
«Proceedings cf the Insdtute of Radio,. Engineers », 49: 8-30, gen-
naio 1961.

Corretta rispondenza
1. L'origine della forma è nel fatto che il mondo tenta di compen-
sare le proprie irregolarità il pio economicamente possibile. Questo
principio, chiamato talvolta il principio della minima azione, è stato
notato in campi diversi: in particolare da Le Chatelier, il quale osser-
vò che 'j sistemi chimici tendono a reagire alle forie esterne in modo
tale da neutralizzarle; lo stesso è stato tratto dalla legge di Newron
nella meccanica, dalla legge di Lenz nell'elettricità, e dalla teoria del-
le popolazioni di Volterra. Vedere AdoIph Mayer, Geschichte des
Prin:t.ips der-kleinsten Action, Leipzig, 1877.
2. D'Arcy Wenrworth Thompson, On Growth and form, 2a ed.
Cambridge 1959, p. 16.
3. Questa idea è· antica quanto Platone: si veda ad es. Gorgia,
474-75.
4. La si.mmetria di questa situazione (cioè, il fatto che l'adattamento
è un fenomeno mutuo che deve essere inteso sia come adattamento
del contesto alla forma che come ~dattametlto della forma al suo con-
testo) è molto importante. Vedere L. J. Hende'rson, The Fitness 01
the Environment, New York, 1913, pagina V; «L'adattanza darwi-
niana ~onsta di una relazione mutua fra l'organismo e il suo ambien-
te.» Anche il commento di E. H. Starling: «Organismo e ambiente
formano un tutto; e devono essere visti come tali.» Per una concisa
e bella descrizione del concetto «forma », ve;dere Alben M. Dalcq,
Form and Modern Embryology, in Aspects 01 Fo"n, ed. Lancelot
Whyte. Landon, 1951, pp. 91-116, ed altri articoli dello stesso sim-
posio. - ...
5. Piu avanti nel testo dove userò la parola «sistema ». essa deve
intendersi riferita sempre a tuttO l'insieme. Bisogna però porre su
questo punto qualche attenzione, poiché molti studiosi parlano di
« ambiente» riferendosi a quella parte dell'insieme che si mantil:;ne
costante e chiamano «sistema» soltanto quella parte che è soggetta
~d un processo di adattamento. Per questi studiosi la mia forma, non
il mio insieme, sarebbe il sistema. 233
6. Essenzialmente questa è una idea molto vecchia. Per la prima
volta fu chiaramente formulata da Darwin in The Origin o/ Specie!;
traci. it. L'origine della specie, Torino, Einaudi, 1964, poi sviluppata
da scriuori come W. B. Cannon, The Wisdom o/ the Body, London,
1932; trad. it., La saggezza del corpo, Milano, Feltrine11i, 1.956, e W.
Ross Ashby, Design for a Brain. 2" ed., New York, 1960.
7. Wolfgang Hohler, Tbe P/ace o/ Value in a World o/ Facls, New
York, 1938, p. 96.
8. A.. D. de Groot, Ueber dar Denken de! Schacbspielers, « Rivista dj
Psicologia », 50: 90-91 (ouobre-dicembre 1956). Ludwig Wittgenstein.
Philosopbical Investigations, Oxford, 1953, p. 15.
9. Vedere Max Wertheimer, Zu dem Problem der Unterrcheidung
von Einzelinhalt und TeiI, «Zeitschrift rur Psychologie », 129 (1953):
356, e On Truth, «Socia! Research », 1: 144 (maggio 1934).
lO. K. Lonberg Holm e C. Theodore Larsen, Development l ndex,
Ann Arbor, 1~53 ..
11. Anche quest'idea non è nuova. Era certamente presente a Frank
Uoyd Wright, nell'uso dell'espressione « archirettura or~anica », an-
che se nel suo caso la frase conteneva COSI tante intenzioni che è
difficile comprenderla chiaramente. Per una buona trattazione vedere
Peter Collins, Biological Analogy, « Architectural Review », 126: 303-6
(dicembre 1959).
12. Questa osservazione compare con molta chiarezza in Foundations
of Modern Art di Ozenfant, New York, 1952, pp. 34041. Anche
Kurr KoiIka, Principles. of Gestalt Psichology, London, 1953, pp.
638-44.
13. L'idea che gli schemi residui dei processi di adattamento sono
intrinsecamente ben' organizzati è espressa da W. Ross Ashby in
Design for a Brain-> p. 23 e da Norbert Wiener in The Human Use
of Human Beings, New York, 1954, p. 37; trad. it. Introduzione alla
cibernetica, Torino, Boringhieri, 1961.
14. Vedere nota 2.
15. Il concetto di una immagine, comparabile alla determinazione
del campo ideale di un problema, è trattata ampiamente in G. A. Mil-
ler; Euge'ne Galanter e :Eçarl H. Pribram, Plans and the Strueture 01
Behavior, New York, 1960. L'« immagine» vi è considerata come
presente nella mente di chi risolve un problema, come un criterio
usato per la soluzione del problema e quindi come guida principale
nel programmarlo e nel risolverlo. Nella maggioranza, dei casi inte-
ressanti non credo che' una tale immagine esista a' livello psicologico;
di conseguenza, il parametro di riferimento descritto da Miller ed
altri in Plans, sembra una descrizione scorretta del comportamento
complesso che si assume nel risolvere problemi. Nei casi interessanti
la soluzione del problema non può essere verificata in relazione a una
immagine, perché la ricerca dell'immagine procede contemporaneamen-
te alla ricerca della soluzione. Miller in un breve commento ricono-
sce questa possibilità (pp. 171-72) e si è mostrato d'accordo con la
nostra osservazione in discussioni personali avute ad Harvard nel 1961.
16. Se è COSI, non è difficile capire perché il conceno di piena ri-
spondenza sia relativamente difficile da afferrare. ~ stato dimostrato
da numerosi ricercatori - come lerome Bruner ed altri, A study of
234 Thinking, New Yoik, 1958, - che la gente accetta molto lentamente
e malvolentieri concetti disgiuntivi. Dire quello che una cosa non è,
è di molta poca utilità quando -si cerca di scoprire quello che è. Ve-
dere pp. 156-81. Vedere anche C. L. Hovland e W. Weiss, Transmìs-
sion o/ In/ormalion Concerning Concepts through Positive and Nega-
tive I nstances, «1ournal of Experimental Psychology », 45 (1953):
175-82.
17. La stretta identità di « forza» da una parte, e « serie di requi-
siti» generati dal contesto dall'altra, è ampiamente discussa da HoWer
in The piace o/ Value in a World o/ Facts, p. 345, e pp. 329-60.
Esiste, secondo me, una stretta similitudine fra la difficoltà di trattare
direttamente della perfetta rispondenza (malgrado la sua primaria 1m-
ponanza), e la difficohà del concetto di zero. Lo zero, come anche
il concetto della condizione di vuoto, sono invenzioni relativamente
tarde, perché è chiaro che non lasciano nulia che serva da supporto
per spiegarle. Ancora oggi troviamo difficile il concetto della condi-
zione di vuoto come tale: riusciamo sahanto a pensarlo come l'as-
senza di qualche cosa di positivo. Tuttavia in molti sistemi metafi-
sici, in particolare quelli orientali, il vuoto e l'assenza sono conside-
rati piu fondamentali e in definitiva. piu sostanziali della presenza.
Questo è anche collegato con il fatto, ora riconosciuto da moltissimi
biologi, che la simmetria, essendo la condizione naturale di- una
situazione non forzata, non richiede una spiegazione, e che al contrario
è la assimetria che ha bisogno di essere spiegata. Vedere D'Arcy Thom-
pson, On Growth and Form, p. 357; Wilhelm Ludwig, Recbt-links-
problem im Tierreich und beim Menschen, Berlin, 1932; Hermann
Weyl, Symmetry, Princeton, 1952, pp. 25-26; Lo simmetria, Milano,
Feltrinelli, 1962; Erost Mach, Ueber die phsikalische Bedeutung der
Gesetze der Symmetrie, «Lotos »,21 (1871): 139-47.
18. L'equivalenza logica di queste due vedute è espressa dalla legge
di De Morgan, che dice essenzialmente che se A, B, C, ecc., sono
proposizioni allora ({Non A) e (Non B) e (Non C) ...} 'è sempre
lo stesso di Non (A o B o C o. .)J.
19. Per l'idea che la mancanza di compimento si pone all'attenzione
con piu forza del compimento stesso, ed è effettivamente la premessa
fondamentale di un certo tipo di esperienza valutativa, nonché per
un numero di esempi specifici (non solo etici), vedere Max Wert-
heimer, Some Problems in Ethics, «Social Research », 2: 352 ss.
(agosto 1935). In particolare, quelle che io ho descritto come disatti-
tudini sono colà indicate come Leerstellen o condizioni di vuoto. La
sensazione che qualche cosa manca, e la necessità di completare qual-
siasi cosa che si mostri incompleta (Liicken/iillung), è discussa in
modo particolareggiàto.
20. Qualsiasi teoria psicologica che tratti la percezione o la cono-
scenza come un processo d'informazione è ricondotta allo stesso tipo
di conclusione. Per una trattezione tipica dei processi di riduzione ....
all'informazione, vedere Bruner ed altri, A Study o/ Thinkihg. p. 166.
21. b forse istruttivo notare che entrambi i concetti di salute orga-
nica in medicina e di normalità psicologica in psichiatria sono sog-
getti allo stesso genere di difficoltà della mia concezione di forma
pienamente rispondente o insieme coerente. Nelle loro rispettive ma-
terie i due concorsi sono considerati come ben definiti. Tuttavia le
definizioni che si possono dare sono solo di tipo negativo. Vedere, ad 235
esempio, Sir Geoffrey Vickers, l'he concept of SÙe;s in Relation to
the Disorganization 01 Human Behavior, in Stress and Psychiatric Di-
sorder, ed. J. M. Tanner, Oxford, 1960.
22. Qualora sembri dubbio che tutte le proprietà rilevanti di un
insieme possano essere espresse come variabili, bisognerà essere chiari
sul fatto che non necessariamente queste variabili sono capaci di va-'
riazioni continue. In verità, è ovvio che la maggior parte delle con-
seguenze che incontriamo in un problema di progettazione non pos-
sono essere quantificate, come questo richiederebbe. Una variabile
binaria è semplicemente un modo stenografico formale di classificare
le situazioni; è un indicatore che distingue fra forme funzionanti e
non funzionanti, in un contesto dato.

La base della corretta rispondenza


1. Alan Houghton Brodrick, Grass Roots, « Architectural Review»,
,115: 101 (febbraio 1954); W. G. Sumner, Folkways, Boston, 1908,
. p.' 2; trad: it. Costumi di gruppo, Milano, Comunità, 1962. Lo stesso
afferma Adolf Laas nella sua famosa storia del fabbricante di selle.
Trotzdem, seconda ed., Innsbruck, 1931, pp. 13-14, tradotta in ingle-
se da Eduard Sekler nel «Journal of Architectural Education », val.
12, n° 2 (estate 1957), p. 31.
2. Ludwig Hilbersheimer, Mies van der Rohe, Chicago, 1956, p. 63.
3. Robert W. Marks,_ The Dymaxion World 01 Buckminster Fuller,
New York, 1960, pp. 110-33.
4: Peter Collins, Not with Steel and Cement, «Manchester Guar-
dian Weekly», gennaio 14, 1960.
5. Office de la Recherche Scientifique Outre-Mer, L'Habitat aux
Cameroun, Paris, 1952, p. 35.
6. Ibid., p. 38.
7. Ibid., p. 34.
8. Vedere questò capitolo, p. 36.
9. Brodrick, Crass Roots, cit., p. 101.
lO. Nel caso che il procedimento abbia bisogno di una giustificazio-
ne, vale forse la pena di rilevare che il concetto di '« uomo econo-
mico », che costituisce la base di piu di un secolo di teoria economica,
era considerato non piu che una situazione esplicativa. Recentemente,
Robert Redfield ha fatto una proposta molto simile, in The Folk So-
ciety, «American Journal of Sociology ~~, 52:293-308 (gennaio 1947),
dove pone una « ideale» società primitiva come costruzione mentale
utile a fornire una base di confronto.
11. A. R. Radcliffe-Brown, l'he Mother's Brother in South Africa,
«South African Journal of Science ~~,.21 (1925): 544-45.
12. 'Redfield, The Folk Society, cit., p. 293.
13. K. R. Popper, The Open Society and Its Enemies, Princeton,
1950, p. 169.
14. Sybil Moholy-Nagy, Native G~nius in .Anonymous Architecture,
New York, 1957, tutto il testo.
15. Anche se l'autocosci~nza - nel senso in cui la definirò - tende a
236 infiuire su molti aspetti della cultura contemporanea, esistono egual-
mente casi nei quali le culture sono per certi aspetti altamente auto-
coscienti, e non autocoscienti per altri. È pardcolarmente importante
affrontare qui qualsiasi proPosta di evoluzione (per il fauo' che tutte
le culture sono all'inizio non autocoscienti, e diventano sempre piu
autocoscienti maturando progressivamente). Il fatto è che l'autoco-
scienza è diversamente indirizzata nelle diverse culture, certi popoli
rivolgono la massima attenzione ad un certo tipo di cose, certi ad un
altro. Questo è dimostrato molto ·bene da Marcel Mauss in Les Tech-
niques du corps, «Jou.rnal de psychologie')Io '32 (1945): 271-93. In
ital.: Le tecniche del corpo in Teoria generale della magia e altri saggi,
introduz. di C. Lévi-Strauss, Torino, Einaudi, 1965.
16. Sumner, Folkways, pp. 3-4; Lucien Lévy-Bruhl, La mentalité pri-
mitive, Paris 1922, pp. 109-16, 127; trad. ital. La mentalità primiti-
va, Torino, Einaudi, 1966; Roger Brown, Words and Tbings (Glen-
coe, III., 1958), pp. 272·73; B. L. Whorf, Linguistic Factors in the
Terminology 01 Hopi Architecture, «International ]ournal of Ame-
rican Linguistics », 19 (1953): 141.
17. Redfie1d, The Folle Society, pp. 297, 229-300. Per ulteriori esem-
pi specifici, vedere, ad esempio, Margaret Mead, Art and Reality,
(, College Art Joumal », 2: 119 (maggio 1943); A. I. Richards, Land,
Labour and Diet in Northern Rhodesia (Oxford, 1939), pp. 230-34, e
Huts and Hut-Building among the Bemba, ( Man », 50 (1950): 89;
Raymond Firth, We, the Tikopia, London, 1936, pp. 75·80; Oyde
KIuckhohn e Dorothea Leighton, The Navaho, Cambridge, Mass.,
1946, p. 46.
l8. Per una descrizione piuttosto estremista di questo tipo di edu-
cazione, vedere B. F. Skinner, The Behavior 01 Organismo New York,
1938. Una piu equilibrata discussione sullo sviluppo del pensiero in
rapporto ad una specifica pratica, vedere in J. L. Gillin e J. P. Gillin,
Cultural Sociology, New York, 1948, p. 80.
19. Ibid., pp. 400·}.
20. Ibid., pp. 40}-4.
21. Jerome Bruner, The Process 01 Education, Cambridge, Mass.,
1960, p. 24.
22. La distinzione fra regole implicite e re~ole esplicite è analizzata
con una certa ampiezza da E. T. Hall in The 5ilent LanguJ2ge, New
York, 1959, pp. 69-74 e 91-95.
2.3. Si era soliti asserire, fin dalla Esposizione di Parigi all'inizio del
secolo, ogni sorta di congetture intorno agli artisti primitivi: che
erano piu sensibili di noi, piu altamente sviluppati come artisti, ecc.
Lo stesso pensiero COffipare in Barbara Hutton, The Unsophisticated
Arts, London, 1945. Sono profondamente scettico. Il se~reto dd
successo dei .primitivi costruttori di forma non è nella qualità degli
uomini, ma nel processo di progettazione a cui erano usi. Volontaria-
mente o no essi erano presi in un processo di progettazione che pro- ....
duceva forme buone a motivo della org:anizzazione dd processo. 10
stesso scetticismo si può trovare in Ralph Limon, Primitive Art, «The
Kenyon Review», 3: 34-51 (inverno 1941).
24. Vedere, in particolare, Sumner, Fofkways, p. 54; A. R. Radcliffe-
Brown, 5tructure and Funetion in Primitive Society, Glencoe, IlL,
1952, pp. 7-9.
25. La prova archeologica è cosi sottile che qualsiasi relazione pseu- 237
do-darwiniana basata su di esso non può consistere che in una finzione
molto generale e piuttosto dubbia. RadclitIe-Brown, Structure and
Function in Primitive Society, cit., pp. 202-3.
26. Per vedere come questo tipo di supposizione, implicito negli
scritti di Lewis Morgan, sia ingiustificato, vedere RadditIe-Brown,
Structure and Function in Primitive Society, cit., p. 203.
27. Il concetto di omeostasi fu usato ampiamente per la prima volta
da W. B. Cannon in The Wisdom of the Body, Landon, 1932; trad.
it. cito in n. 6, p. 228, La saggezza del corpo. Per una definizione
precisa vedere W. Ross Ashby, Design for a Brain, 2a edizione, New
York, 1960, capitolo 5. E per una serie di discussioni vedere Sei/-
Organizing Systems, ed. Marshall Yovits e Scott Cameron, New York,
1960. Per una discussione descrittiva dettagliata vedere anche H.
von Foerster, Basic Concepts of Homeostasis, Homeostatic Mecha-
nisms, Brookhaven Symposia in Biology, n° lO, Upton, N.Y., 1957,
pp. 216-42.
28. Questo esempio è basato su uno dato da Ashby in Design for a
Brain, p. 151.
29_ Ibid.
30. Ved"re« Il processo non-autocosciente », nota 4.
31. Ashby, pp. 192-204.
32. Come dice Ashby, «perché sia possibile l'accumulazione degli
adattamenti, il sistema non deve essere del tutto unito» (p. 155). .
.33. Questo comportamento delle disattitudini può essere rappresen-
tato sotto forma di funzioni discontinue. Vedere Ashby, pp. 87-90.
34. Questo corrisponderebbe a ciò che Ashby chiama ultrastabi]ità,
ibid., pp. 122-37.

Il processo non-autocosciente
1. Dalla definizione di cui al capitolo 3, p. '43.
2. Aléxander SchartI, Archeologische Beitrage zur Frage der Entste-
hung der Hieroglyphenscrift (Miinchen, 1942), e Aegypten in« Hand-
buch der Archaologie », ed. Walter Otto (Miinchen, 1937), pp. 431-
642, specialmente pp; 437-38.
3.' L. G. Bark, Jjeehive~ Dwellings of Apulia, <, Antiquity », 6 (1932):
410.
4. Werner Kissling, House Traditions in the Outer Hebrides,
«Man »,44 (1944): 137; H. A. e B. H. Huscher, The Hogan Builders
of Colorado, «Southwestern Lare », 9 (1943): 1-92.
5. Nel Cantico dei Cantici, I. 5 troviamo: «O figliole di Gerusalem-
me, io san bruna ma bella, come le tende di Ched.ar... » (<< nigra sum,
sed formosa, filiae ]erusalem... »). E nell'Esodo troviamo molte de-
scrizioni del tabernacolo (la forma ieggendaria della tenda) piene di
colori, XXVI, 14; «Fai ancora alla Tenda una coverta di pelli di mon-'
tane, tinte in rosso; e un'altra coverta di pelli di tasso, disopra.» E
XXVI. 36: «Fa eziandio, per l'entrata del Tabernacolo, un tappeto di·
violato, e di porpora, e di scarlatto, e di fin lino ritotto, di lavoro
di ricamatore.» C. G. Peilberg, La Tente Noire, (, Nationalmuseets
238 Skrifter », Etnografisk Raekke, val. 2, Copenhagen, 1944, pp. 205-9.
6. Tutte le case nella contea di Kerry hanno due porte, ma si deve
sempre uscire dalla porta dalla quale si eQtra, perché un uomo che
entri da una porta ed esca dall'altra porta via cori sé la fortuna della
casa. Ake Campbell, Notes on tbe Irisb House, «Folk-Liv », Stock-
holm, 2 (1938): 192; E. E. Evans, Donegal Survivals, «Antiquity »,
13 (19"39), 212.
7. Thomas Whiffen, The Nortb-West Amazons (London, 1915), p.
225. E lo stesso vale per molti altri popoli. Per esempio: Gunnar
Landtman, The Folk Tales 01 tbe Kiwai Papuans, «Acta Societatis
Scientiarum Fennicae» (Helsinki), 47 (1919): 116, e Papuan Magie
in the Buildin 01 Houses, «Acta Academiae Aboensis, Humaniora »,
1 (1920), 5.
8. Margaret Mead, An Inquiry' into tbe Question 01 Cultural Stahi·
lity in Polynesia, in Columbia University Contributions to Anthropcr
/ogy, voI. 9, New York, 1928, pp. 45, 50, 57, 68-69. .
9. Il ri"to della lienedizione del sentiero, una raccolta di leggende e
" preghiere, costituisce un legame positivo fra la loro visione del mon-
do e la forma della casa mettendo in relazione lo bogan, quadripar.
tito, con i quattro punti cardinali, e riferendosi ad essi, secondo il
cammino del sole a est, sud, ovest, nord. CoSI una canzone descrive
la struttura dello bogan: «Un palo ornato di bianco a est, un palo
turchese a sud, un palo arancione a ovest, un palo nero a nord.» Il
rituale connesso con lo hogan va ancora oltre, 6no a fornire partico-
lari su come le ceneri devono essere tolte dal fuoco dell'bogan. Berard
Haile, Some Cultural Aspeets 01 tbe Navabo Hogan, copia mimeo-
grafica, Dept. of Anthropology, University of Chicago, 1937, pp. 5-6,
e Why the Navabo Hogan, «( Primitive Man ), voI. 15, numeri 3-4
(1942), pp. 41-42.
10. H.iroa Te Rangi (P. H. Buck), Samoan Material Culture, «Berni-
ce 1'. Bishop Museum Bulletin », n. 75, Honolulu, 1930, p. 19.
11. L. G. Bark, Beebive Dwellings 01 Apulia, p. 409.
12. William Edwards, To 'Build a Hut, « Tbe South Rhodesia Na-
rive Affairs Departmem Annuall'1, Salisbury, Rhodesia, n. 6 (1928):
73-74.
13. Iowerth C. Peate, Tbe Welsh House, Honorary Society of Cymm·
rodorion, London, 1940, pp. 183·90.
14. L. frobenius, Oeeaniscbe Bautypen, Bedin, 1899, p. 12.
15. CampbelL Notes on the Irisb House, p. 223.
16. Clark Wissler, Material Culture 01 tbe Backloot I ndians, « An-
thropological Papers of the American Museum of History », voL 5,
parte I, New York, 1910, p. 99.
17. L. G. Bark, Beehive Dwellings 01 Apulia, p. 408.
18. A.!. Richard, Huts and Hut.Building among tbe Bembo,
" Man ", 50 (1950), 89.
19. È vero che l'artigiano compare in certe culture che vorremmo ...
chiamare non autocoscienti (per esempio, carpentieri nelle Marqucsas,
costruttori di tetti di paglia nel Galles meridionale), ma il loro effetto
non è' mai piu che parziale. Non hanno l'esclusiva della specialità,
ma semplicemente fanno quello che fanno con un certo grado di abi-
lità, relativamente maggiore di quella degli altri membri della comu-
nità. E mentre i maestri costruttori dei tetti di paglia o i carpentieri
possono essere impiegati durante la costruzione della casa, le ripara- 239
,."
zioni sono ancora assunte dagli stessi proprietari, che vi abitano. Le
abilità necessarie sono universali e, ad un livello o ad un alero, prati-
cate da chiunque. Ralph Linto'n, Material Culture 01 tbe Marquesas,
<~Bernice P. Bishop Museum Memoirs», val. 8, n. 5, Honolulu, 1923,
p. 268. Peate, The Welsb Rouse, pp. 201-5.
20. Barr Ferree, Climatic In/luenee in Primitive architecture, «The
American Anthropologist », (1890): 149.
21. Richard King, On tbe Industriai Arts o/ the Esquimaux, «]our-
nal of the EthJlological Society of London », 1 (1848): 281-82. Dia-
mond Jennes, Report 01 the Canadian Aretie Expedition (1913-1918),
vaL 12: The Lile 01 the Cppper Eskimos, Ottawa, 1922, p. 63;
]. Gabus, La Cons/mc/fon des iglous eheI. les Padleirmiu/, «Bullecin
de la Société Neuchatelois de Géographie », 47 (1939-40): 43-5L
D. B. Marsh, Li/e in a Snowhouse, «Natural History., 60, 2:66 (feb-
braio 1951).
22. W. G. Summer, Folkways, p. 2.
23. ]enness, Copper Eskimos, p. 60.
24. W. McClintock, l'he Blackloot Tipi, «Squ.,Wwestern Museum
Leaflets », n. 5, Las Angeles, 1936, pp. 6-7.
25. NQIl solo i muri sono intonacati quando hanno bisogno di es-
serlo, ma imere s[anze sono aggiunte e sottratte quando si sente che
la sistemazione è inadeguata o superflua. Meyer Fones, Tbe Web 01
Kinship among tbe Tallenri, London, 1949, pp. 47-50. Jack Goody,
l'he Firrion 01 Domestic Croups among tbe LoDagoba, in The De-
veJopment Cyde in Domestfc Croups, a cura di J. Goody, Cambrid-
ge, 1958, p. 80.
26. WhifIen, The North-West Amazonr, p. 41.
27. Norbert Wiener, Cybernetics, New York, 1948, pp. 113-36; trad.
il. La cibernetica, Milano, Bompiani, 1953.
28. Ibid., pp. 121-22; Ross Ashby, Design lor a Brain, New York,
1960, pp. lODA.
29. A rigor di termini, quello che abbiamo detto riguarda solo la
reazione della cultura non autocosciente alla disattitudine. Non abbia-
mo tuttavia ancora spiegato come avvenga, il buon adattamento. Ma
l'unico mezzo che abbiamo per spiegarl0 è il procedimento induttivo.
Dobbiamo assumere che si sia data, in tempi lontani, una situazione
di estrema semplicità in cui ogni forma appartenente alla cultura ma-
teriale rispondeva perfettamente alle reali esigenze. Una volta verifi-
catasi questa premessa, la tradizione e l'immediatezza del sistema non
autocosciente avrebbero continuato a garantire l'idonea rispondenza
anche di fronte ad ogni successivo mutamento nelle circostanze della
cultura. Poiché il «momento» dei primi adattamenti accidentali risa-
Ie con tuHa probabilità al piu remoto passato preistorico, quando la
cultura era nella sua infanzia (e la piena rispondenza era facilmente
raggiungibile data l'estrema semplicità della cultura), l'assunzione non
è veri6cabile.
30. Questa è una questione ovvia. In un altro contesto Pericle lo
espresse con elegante stringatezza: «Anche se sono pochi quelli che
possono dar vita a una politica, siamo tutti capaci di giudicarla.»
Tucidide n. 41.
31. Sono debitore a E. H. Gombrich per aver diretto la mia atten-
240 zione su questo fenomeno. L'interpretazione è mia.
Il processo autocosciente
1. Cost l'autocoscienza può sorgere per naturale conseguenza dello
sviluppo scientifico e tecnologico, per l'imporsi di una civiltà conqui-
statrice, o per mera infiltrazione, come accade oggi nei paesi sottosvi-
luppati. Vedere Bruno Snell, The Discovery 01 the Mind, traduzione
inglese di T. G. Rosenmeyer, Cambridge, Mass., 1953, e in particolare
il capitolo lO: « The Origin of Sdenti~c Thought ».
2. Hiroa Te Rangi (P. H. Buck), Samoan Material Culture, <~ Berni-
ce P. Bishop Museum Bulletin », n. 75, Honolulu, 1930, pp. 85-86.
3. Ibid" p. 86.
4. Per l'analisi di questa fase di sviluppo della architettura contem-
poranea vedere Serge Chermayeff, The Shape of Quality, « Architec-
ture Plus », Division of Architecture, A. & M. College of Texas,
2 (1959-60): 16-23. Per un acuto e ancor precedente commento, ve-
dere J. M. Richards, The Condition 01 Architecture, and the Principle
01 Anonymity, i.n Circle a cura dj J. L. Martin, Ben Nicholson, e
Naum Gabo, Landon, 1937, pp. 184-89.
5. Ne"! capitolo 3 si stabiliva che la cultura è autocosciente nell'ar-
chitettura quando le leggi ed i. precetti della progettazione sono stati
resi espliciti. Nell'Europa occidentale, un vero addestramento tecnico
formale iniziò circa intorno alla metà del quinto secolo a. C. Le stesse
accademie architettoniche furono introdotte nel tardo Rinascimento.
W'erner ]aeger, Paideia, val. I, New Yo.rk, 1~45, pp. 314-16; trad.
it. Paideia, Firenze, La nuova Italia, 1964; H. M. Colvin, A Biogra-
phical Dictionary 01 English Architects, 1660-1840, Cambridge, Mass.,
1954~ p. 16. Non a caso, naturalmente, il primo di questi due perio-
di coincide con la prima delle" accademie di Platone (la prima istitu-
zione nella quale era sollecitata e bene accolta l'autocritica intellet-
tuale), ed anche con il primo ampio riconoscimento dell'architetto
come individuo dotato di un suo proprio nome; il secondo coincide
invece con la prima estesa raccolta di trattati di architettura. F. M.
Caroford, Belare and After Sacrates, Cambrid~e, 1932; Eduard Sek-
ler, Der Architekt im Wandel der Zeiten, «Der Aufbau '>, 14: 486,
489 (dicembre 1959).
6. Per una dettagliata trattazione sulle origini delle accademie, ve-
dere la monografia di Nikolaus Pevsner, Academies of Art, Cambrid-
ge, 1940, esp. pp. 1-24, 243-95.
7. Margaret Mead, Art and Reality, «College Art Journal », 2: 119
(maggio 1943); Ralph Linton, Primitive Art, «Kenyon Review.»,
3:42 (inverno 1941).
8. Ralph Linton, The Study 01 Man, New York, 1936, p. 311.
9. Vedere capitolo 2, pp. 48-49.
lO. L'invenzione e l'uso di concetti sembra essere un fatto comune
a quasi tutti i comportamenti umani nella risoluzione di un proble-
ma. Jerome Bruner e altri, A Study 01 Thinking, Ne,w Yotk, 1956,
pp. 10-17. Per una descrizione di questo processo come ricodificazione,
vedere George A. Miller, The Magical Number Seven, Plus or Minus 241
Two: Some Limits 0/1 aur Capacify for Processing Information, ~< Psy-
chological Review», 63 (1956): 108.
11. Vedere, ad esempio, American Association cf State Highway Of~
ficials. A Policy on Geometrie Design 01 Rural Highways, Washing:
too, D. c., 1954, Contents; o F. R. S. Yorke, Specification, Landoo,
1959, p. 3; o E. E. See1ye, Specifica/ion and Costs, voI. II, New York,
1957, pp. XV-XVIII.
12. loho Summerson, The case for a theory 01 Modern Archi/cc/ure,
~< Royal If!stitute af British Architects Journal », 64: 307-11 (giugno,
1957).
13. Serge ChermayefE e Christopher Alexander, Community and
Privacy, Ncw York, 1963, pp. 159-175.
14. Reginald Isaacs, The Neighhorhoods Theory: An Analysis oJ
ilS Adequacy, «Journal af American Institute of Planners », 14.2:
15-23 (primavera 1948).
15. Per una ttattazione completa di questo argomento, vedere Ru-
dolph Carnap, Meaning and Necessity, Chicab;o, 1956. Vedere pp.
23-42, e per un sommario, vedere pp. 202-4. Vedere inoltre Signifi-
cato e sinonimità nei linguaggi naturali in: «Rivista critica della filo-
sofia »,.. e I fondamenti logici dell'unità 'della scienza in Neopositivi-
smo e unità della scienza, con introduz. di E. Paci, Milano, Bompiani,
1958.
16. Ibid., p. 45.
17. Probabilmente si potrebbe arguire che la parola (, acustica» non.
è arbitraria ma corrisponde a una raccolta di requisiti chiaramente
oggettiva - precisamente quelli che hanno a che fare con i fenomeni
acustici. Ma questo serve soltanto ad accentuarne l'arbitrarietà. Dopo-
tutto, cosa ha a che fare con la struttura causale del problema il fatto
che ci capiti di avere gli orecchi?
18. Per una piÙ ampia trattazione sulla arbitrarietà del linguaggio
in quanto descrizione del mondo e sulla dipendenza di .queste descri-
zioni dalla struttura interna del linguaggio, vedere B. H. Whorf, The
Relation of Habitual Though and Behavior to Languaf,e, in Langua-
ge, Culture and Personality: Essays in Memory of Edward Sapir, a
cup di LesEe Spier, Menasha, Wis., 1941, pp. 75-93.
19. L. Carmichae1 H. P. Hogan e A. A. Walter, An Experimental
Study 01 the EjJect 01 Langua/!,e on the Reproduction 01 Visually Per-
ceived Form, «Journal of Experimental Psychology », 15 (1932):
7H6.
20. Whorf, Relation 01 Habitual Thought and Behavior Language,
p. 76. Whorf, che per un po' di tempo h!vorò come agente di assicu-
razione contro gli incendi, trovò che certi incendi scoppiavano perché
gli operai, anche se stavano àttenti a non accendere fiammiferi e siga-
rette accanto ai serbatoi pieni di benzina, diventavano incuranti ac-
canto ai bidoni vuoti. Naturalmente i serbatoi vuoti contenevano va-
pore, e perciò erano piu pericolosi di quelli pieni, relativamente inerti.
Ma la parola «vuoti» porta con sé l'idea della sicurezza, mentre la
parola «pieni» sembra suggerire grande pericolo. CosI i concetti
« pieno» e (, vuotO» effettivamente rovesciano la struttura reale clelIa
situazione, e quindi provocano il fuoco. L'effetto dei concetti sulla
242 struttura. dei problemi architettonici è esattamente la stessa. Ibid.,
pp. 75-76. Vedere anche Ludwig Wittgenstein, The Blue and Brown
Books, Oxford, 1958, pp. 17-20.
21. Vitruvio, De Architectura, 3.1, 3, 4. E. R. De Zurko, Origins 01
the Functionalist Theory, New York, 1957, pp. 26-28.
22. Werner Sombart, citato in Intellectual and Cultural History 01
the Wester World, da Harry Elmer Barnes, New York, 1937, p.
509: «Le idee della ricerca del profitto e del razionàlismo economico
in principio diventarono possibili con l'invenzione della contabilità a
partita doppia. Attraverso questo' sistema si può afferrare una sola
cosa: l'aumento della somma dei valori considerati dal punto di vista
puramente quantitativo. Chiunque si faccia afferrare dalla contabilità a
partita doppia deve dimenticare tutte le qualità dei beni e dei ser-
vizi, abbandonare le limitazioni imposte dal principio della soddisfa-
zione dei bisogni, ed accontentarsi della sola idea di profitto; non può
pensare di utili e spese, di farina é cotone, ma solo di somme di va-
lori che crescono e decrescono.» Per di piti, questi concetti esclu-
dono anche requisiti molto vicini al centro del significato! designato.
Cosi in materia di «economie », perfi~6 ~ariabili di disadattamento
tanto ovvie come il costo di manutenzione e il deprezzamento, solo
recentemente sono diventate oggetto di considerazione architettonica.
Vedere }. C. Weston, Economics o{ Building, <~ Royal Institute of Bri-
tish Architects }ournal », 62: 316-29 (giugno 1956). Allo stesso modo
in rapporto ai costi sociali - i giri del lattaio, le lavanderie e i sana-
~ tori TBC per la tubercolosi che si rendono necessari a causa degli
effetti del fumo che esce da camini aperti - si sono comportati perfino
gli economisti che solo ora cominciano a tenerne conto. Vedere Be-
njamin Higgins, Economie Development, 'New York, 1959, pp. 254-56,
660-61. In tutte queste cose si trova ancora il costo della forma. Il
costo di una forma è assai pitl difficile da valutare delle diverse « eco-
nomfe » cui ho accennato finora.

Il programma
1. }ohn von Neumann ed Oscar Morgenstern, Theory 01 Games and
Economie Behavior, Princeton, 1944; Allen Newell, }. C. Shaw e
H. A. Simon, éhess-Playing Programs and Problem 01 Complexity,
«IBM }ournal of Research and Deve10pment », 2:320-35 (ottobre
1958); Hao Wang, Toward Mechanical Mathematics, «IBM Joumal
af Research and Development », 4: 2-22 (gennaio 1960); A. S. Lu-
chins, Mechanization in Problem Solving, American Psychological As-
sociation, «Psychological Monography», n. 248, Washington, D. c.,
1942; Allen Newell, J. C. Shaw e H. A. Simon, Elements 01 a Theo-
ry 01 Human Problem Solving, «Psychological Review», 65 (1958): .."
151-66.
2. Marvin Minsky, Heuristic Aspects 01 the Artificial Intelligence
Problem, Group Repo~ts 34-55, Lincoln Laboratory, M.I.T., 1956, e
Steps Towards Artificial Intelligence, «Proceedings of the Institute
of Radio Engineers », 49:8~30 (gennaio 1961). Per ulteriori riferi-
menti, vedere Donald T. Campbell, Blind Variation and Selective 243
Retention in Creative Thought as in Olher Knowledge Processes,
« Psychological Review», voI. 67 (1960), esp. pp. 392-95.
3. Vedere pp. 93-94 e 27-28.
4. Vedere, per esempio, Karl R. Popper, The Lagie 01 Scientific Di-
scovery, New York, 1959, pp. 53-54, 136-45, 278-81; George Po1ya,
Patterns 01 Plausible Inference, Princeton, 1953; Ne1son Goodman,
FacI, Fiction, and Farecasl, Cambridge, Mass., 1955, pp. 82-120, e
La revisione delta filosofia in La filosofia contemporanea in USA,
Roma, 1959; W. Pitts e W. S. McCulloch, How We Know Univer-
sals, « Bulletin of Mathematical Biophisics », 9 (1947): 124-47.
5. Vi sono molti·· studi sulla natura di questo processo nell~ lette-
ratura. Vedere libri come Brewster Ghise1io, The Creative Process,
Berkeley, 1952, e Paul Souriau, Théorie ·de l'invention, Paris, 1881.
6. Dal fallimento dell'autocoscienza si potrebbe concludere che do-
vremmo fare del tutto a meno dei progettisti, e perciò dovremmo
prendere come punto di partenza il carattere auto-organizzativo del-
l'insieme non autocosciente. Con questo scopo nella mente, potrem-
mo concentrarci nell'attribuire all'insieme stesso proprietà capaci di
aumentare l'attitudine all'adattamento interno. Praticamente lo fac-
ciamç> già...quando adattiamo una macchina a vapore con un regolatore.
Il controllo di una serie di dighe o di una linea di produzione per
mezzo di regolatori elettronici automatici è un esempio piti elaborato
della stessa situazione. E ancora un esempio è dato ,-dal fornire a una
città una struttura governativa che le permetta di essere ammini·
strata senza intralci e ritardi. Potrebbe anche essere possibile che
in futuro la stessa organizzazione fisica delle città divenisse un ele-
mento di sollecitazione per la crescita e l'instaurazione di condizioni
piu favorevoli di quelle attuali. Cfr. Lancelot Whyte, Some Thoughts
on the Design 01 Nature and Their Implicatiqn /Or Education, «Arts
and Architecture », 73: 16-17 (gennaio 1956). Tutti questi tipi di
soluzione tendono a rendere l'insieme auto.organizzato. come nel pro-
cesso non autocosciente.
Il loro svantaggio è di essere utili solo in situazioni molto partico-
lari e limitate. La loro applicazione esige pedinò una maggiore com-
grensione della condizione dell'insieme di quanto non richieda il
progettista autocosciente. Quando ci si trova di fronte a circostanze
non familiari dove quei tipi, di soluzione non possono essere applicati,
non resta alcuna alternativa per le facoltà inventive; e bisogna am-
mettere l'importanza di un punto su cui fino ad ora non si è forse
a1bbastanza insistito: il cervello umano, malgrado il suo svantaggio, è
capace, potenzialmente, di una risoluzione e di un intuito molto piti
profondi di quelli raggiungibili da un processo esterno auto-organiz-
zato. La sua grande forza potenziale sta nel fatto che esso fa deri-
vare le forme da una immagine concettuale dell'insieme, piuttosto
che dall'insieme stesso. Questo permette di sviluppare una serie molto
piu estesa di forme, a loro volta piu flessibili e interrelate di quelle
prodotte dal processo non autocosciente.
7. Per una rapida introduzione alla teoria degli insiemi; vedere Paul
R. Halmos, Native Se! Theory, New York, 1960. Una discussione
piu completa clelIa" teoria si trova in Felix Hausclorff, Se! Theory,
traduz. ingl. J. R. Aumann, New York, 1957.
244 8. Vedi l'assioma della specificazione, Halmos, Native Set Theory,
p. 6. Per i concetti che ne derivano, vedi ibid., pp. 2, 3, 12, 14.
9. Nella generalità dei casi i proge~tisti considerano che loro primo
compiro, nell'affrontare un problema di progettazione, sia quello di
ridurre la definizione del problema in termini pratici, per stabilire
esattamente e unicamente quali siano le condizioni che la forma
deve soddisfare. Come dice un famoso designer, Louis Kahn, quando
si vuole sapere quali siano le reali funzioni della forma, ci si doman-
da « cosa la forma stessa voglia essere· ». L'insieme M è semplicemente
un modo preciso per riassumere gli elementi di ciò che la forma, ap-
punto, « vuole essere ».
lO. Vedere pp. 4;-;0, 69·7l.
Il. Le opere principali sulla teoria dei grafi sono: Dénes Konig,
Theorie der endlichen und tmendlichen Graphen, New York, 1950,
Claud Berge, Théorie des graphes et ses applications, Parigi, 1958,
e Oystein Ore. Theory 01 Graphs, «American Mathematical Society
Colloquium Publications », vol. 38, Providence, 1962). Vedere anche,
come breve introduzione, Frank Haravy e Robert Z. Norman, Graph
Theory as a Mathematical Mode! in Social Science, Ano Arbor, 1955.
12. In un certo senso la trama di questo grafo può essere consi-
derata come una versione esplicita di ciò che artisti e progettisti
spesso definiscono «logica interna» di un problema.
13. Una scomposizione è un caso speciale di un sisrema parzialmen-
te ordinato; vedere a proposito di questo Garrett Birkhofl, Lattice
Theory, «American Mathematical Society Colloquium Publications »,
voI. 2;, New York, 1948, pp. 1-2.
14. Per una trattazione sul ruolo delle gerarchie concettuali n~1
comportamento conoscitivo, vedere George A. Miller, Eugene Galan-
ter, e Karl H. Pribram, Plons and the StructuTe 01 Behavior, New
York, 1960, p. 16.
15. La parola « programma» ha occupato un posto importante nella
recente letteratura sulla psicologia della risoluzione di problemi -
poiché essa implica che il metodo piu naturale per risolvere problemi
complessi è quello di renderse1i piu faciIi attraverso l'uso di mez~i
euristici che .conducono a soluzioni graduali. A. D. de Groot, Ueher
das Denken des Schachspielers, «Rivista di psicologia », 50: 89-90
(ottobre-dicembre 1956); Newell, Shaw e Simon. Elements 01 a
Theory 01 Human Problem Solving, pp. 151-66; Miller ed altri. Plans
and the Structure 01 Behavior, completo; James G. March e Herbert
A. Simon, OrganizationJ, New York, 1958, pp. 190-91. È interes-
sante rilevare come lohn Summerson abbia recentemente individuato
nell'uso del programma come sorgente di unità architettonica la
caratteristica distintiva della architettura moderna. Thc Case for a
Theory 01 Modern Architecture. «RoyaI Insritute of British Architecr
Joumo1., 64,307-11 (giugno 19;7).

L'attuazione del programma


l. Devo la parola «realizzazione» a Louis Kahn, che l'ha usata
es[ensivamente. e spesso con un significato un po' piu ampio; tutto
il suo insegnamentQ ruota a[[(~rno agli ;lrgomemi trattati in questo 245
capitolo. Vedere Louis Kàhn, Concluding T alk, nella raccolta a cura
di Oscar Newmann, New Frontiers iwArchitecture: CrAM '59 Otter-
lo, New York, 1961, pp. 205·16.
2. Per questa fotografia, presa dal prof. H. Edgerton, Massachusetts
Institute of Technology, vedere, ad esempio, Gyorgy Képes, The New
Landscape, Chicago, 1956, p. 288.
3. Vedere Le Corbusier e Pierre Jeanneret, Oeuvres Complètes,
1934-38, . Ziirich, 1939, pp. 142-47, e Le Corbusier, La Ville Ra-
dieuse, Boulogne, 1935, e inoltre; La mia opera, Torino, Eina'udi,
1961; Maniera di pensare' all'urbanistica, Bari, Laterza, 1965.
4. Per le undici proprie,tà della sfera vedi David Hilbert e Stephen
Cohn-Vossen, Geometry' and Imagination, New York, 1952, pp.
215-32; trad. it. Geometria intuitiva in Complementi di topologia, a
cura di P. S. 'Alexandrov, Torino, Boringhieri, .1963 .
.5. Per una completa discussione sulla freccia come simbolo dia-
grammatico, vedi 'Paul Klee, Pedagogical Sketchbook, New York,
1953, pp. 54-57; t·rad. it. Teoria della forma e della figurazione: le-
zioni, note, saggi a cura di J. Spiller, Milano, Feltrinelli, 1959.
6. Vedere qualsiasi testo elementare sulla 'chimica organica. Inoltre,
per una presentazione grafica, vlO;dere Max Bill, Form, Base1, 1952,
p. lO.
7. Theo van Doesburg, Grundbegriffe der neuen ges(altenden Kunst,
( Bauhausbiiche », n. 6, Miinchen, 1924, illustrazioni 3, 4, 11, 3l.
Anche se van Doesburg. noo '~ntendeva i suoi disegni in questo modo,
ma soltanto come esploraziof,le di possibilità formali, difficilmente si
potrebbe sostenere che essi coincidano per puro caso, nel tempo,
con la nascita di una architettura fondata sulle componenti rettilinee.
8. Per i ponti contemporanei che rivelano molto chiaramente queste
qualità diagrammatiche, vedere i ponti di Maillart in Max Bill, Mai/-
lar!, Ziirich, 1955, specialmente p. 40. Anche P. L. Nervi, come in-
gegnere ha molte cose da dire sull'uso dei diagrammi; vedere Pier
Luigi Nervi, S!ructures, New York, 1956, pp. 17-26, 97.
'9. Naturalmente la larghezza della strada richiesta non sarà in pro·
porzione esatta con la densità del flusso; la viscosità del flusso, le
macchine in sosta, ecc., fanno sI che il numero di veicoli che scor-
rono all'ora in una data direzione non sia direttamente proporzionale
alla larghezza necessaria ad accoglierlo. Ma l'organizzazione fonda-
mentale della nuova forma sarà ancora quella data dallo schema del
diagramma.
lO. Il problema della bolla di sapone fu risolto per la prima volta
da Joseph Plateau, Statique expérimentale et théorique des liquides
soumis aux seules forces moleculaires, Paris, 1873. Per trattazioni
.piti recenti vedere D'Arcy Wentworth Thompson, On Growth and
Form, 2a ed., Cambridge, 1959, pp. 365-77; e un bel libretto di
C. V. Boys, Soap Bubbles and Forces Which Mold Them, «Doubleday
Anchor Sdence Study Series », New' York, 1959.
Il. Questo non significa,· che la funzione sia comunque capace di
definire univocamente la forma; per qualsiasi singolo programma fun·
zionale vi sono di solito molte forme possibili.
12. François de Pierrefeu e Le Corbusier, La Maison des hommes,
Paris, 1942.
246 13. Encyclopaedia Britannica, 14 a edizione, voc~ « Aeronautica >).
14. ROb~.
New York, 1960.
Marks, Thc Dymaxion World 01 Buckmins/cr Fuller,

15. Molti « prdgetti» che restano non realizzati, ma indicano certe


ipotesi estreme, sonç realmente,({ ipotesi» intorno a particolari aspetti
di qualche problema':\, Vedere, ad esempio, i progetti esposti nel 1960
al Museum cf Modero :<\rt sotto il titolo di « Architettura visionaria »,
illustrati in Arthur Drexler, Visionary Architecture, ({ Arts aoci Archi.
tectute ), 78: 10-13 (gennaio 1961).
16. Il ruolo vitale della notazione precisa nella invenzione di una
nuova matematica rappresenta una notevole conferma. Vedere Ludwig
Wittgenstein, Remarks on the Foundation 01 Mathematics (Oxford,
1956), pp. 47, 73, 78, 82 e, in iraL, Note sulla logica, appendice al
Tractatus Logico-phi!osophicus, Torino, Einaudi, 1964.
17. Vedere pp. 157-167.

Le definizioni
1. Spesso nei casi in cui un progettista esprime le sue intenzioni in
medo esplicito e dettagliato, compila una lista di requisiti che in pra-
tica equivale quasi integralmente a un insieme di variabili di disat-
titudine. Vedere, ad esempio, A. e P. Smithson, Criteria for Mass
Housing, in New Frontiers In Architeeture: CIAM '59 in Otterlo,-a
cura di Oscar Newman, New York, 1961, p. 79.
2. Nel testo che segue, parleremo con significato equivalente e inter-
cambiabile di « soddisfare il requisito x », di «evitare la disattitudi·
ne x» (o 1'« inidonea rispondenza x », o «il disadattamento x»), op-
pure~ anche della «variabile x che prende il valore O »; e cOSI par-
ler!rTlO, vicèversa, di « mancata soddisfazione del requisito x » (o « del
disadattamento x;») e, oppure, anche di «variabile x che assume il
valore 1» (tutte espressioni, anche qui, fra loro ,pari e fungibili).
3. È abbastanza naturale che intercorra sempre un certo lasso di
tempo fra l'introduzione di qualche nuova- scala e il momento in cui
il suo valore può essere stabilito predicativamente per qualsiasi forma
data. Cosi il sabio, una unità di misura dell'assorbimento acustico,
fu introdotto nel 1920. Ed ancora oggi, nel 1963, l'assorbimento acuo
stico in un auditorium di formn complicata può risultare non esatta-
mente o integralmente descrivibile, e deve essere determinato speri·
mentalmente. Védere Wallace C. Sabine, Colleeted Papers, Cambrid·
ge, Mass., 1922; V. O. Knudsen, Architeetura! Acoustics, New York,
1932, pp. 119-239.
4. Vedere qualsiasi manuale tipico. Ad esempio, il Dodge Corpora-
tion's Time-Saver Standards: A Manual 01 Essentia! Architectural
Data, New York, 1946. ....
5. Herbert Simon ha introdotto il concetto di «soddtsfacimento»
per definire con piu esattezza di quanto non faccia il termine di
« ottimizzazione;) il reale atteggiamento che si assume in situazioni
di decisioni complesse. Vedi i tre scritti Rationality and Administra·
!ive Decision Making, A Behavioral Mode! 01 Rational Choice, e
Rational Choice and the Structure of the Environment, tutti pubbli-
cati in Models of Man, New York, 1957, specialmente pp. 204-5, 247
/
247-52, e 261-71. Vedi anche }ames G. March e Herbert A. Simon,
Organizations, New York, 1958, pp. 140-4l. /
6. Ibid., pp. ]g63.
7. Karl R. Popper, Thc Open Society and Ils Enemies, Princetort,
1950, p. 155. «Il tecnico di questo settore, conseguentemente adot-
terà il metodo di ricercare, e combattere contro i mali piti grandi e
pressanti della società piuttosto che ricercare, e combattere per il suo
massimo ultimo bene.» È chiamata anche «ingegneria sociale >'> da
Roscoe Pound, Introduction 01 the Philosophy 01 Law, New Haven,
1922, p. 99. Per un esempio economico vedere C. G. F. Simkin,
Budgetary Re/orm, «Economie Record », 17 (1941): 192s5, e 18
(1942), 16ss.
8. Per convincerci che il luogo D è per principio finito (anche se
naturalmente molto ampio), dobbiamo prima porre limiti arbitrari
all'effettiva dimensione fisica della forma da progettare. Indipenden-
temente da quale dimensione scegliamo, possiamo rendere questi li-
miti grandi abbastanza da comprendere qualsiasi cosa immaginabile.
Nel caso di un riscaldatore per acqua potabile, che deve entrare in
una casa, non è irragionevole aspettarsi che, indipendentemente dalle
relazioni a1'l.che molto complesse che dovrà avere con gli altri mobili,
esso non debba comunque occupare uno spazio pi6 grande di dieci
per dieci per dieci metri. Supponiamo di considerare un volume cu-
bico, di dieci metri di lato. Non è irragionevole assumere che qual-
siasi bollitore deve essere compreso in quel volume. Dividiamo il
cubo, per mezzo di una griglia tridimensionale, in tante piccole celle
cubiche. Diciamo, a scopo di discussione, che scegliamo celle di 1
micron di lato (l/lODO mm). Vi sono allora (107)3 o 1021 di questi in
un cubo. Consideriamo ora la possibilità di rierripire ognuna di queste
celle, cella per cella, con uno di 1000 000 materiali (aria, rame, ac-
qua, silice, ecc.). Vi sono allora i 106)1011, ovvero circa 101()22, differenti
possibili modi di distribuire i materiali, nelle- celle. (Scrivendo tre
zeri al secondo, impiegheremmo lQll secoli per scrivere questo nu-
mero.) Consideriamo che ciascuno di questi modi sia una tra le con·
figurazioni possibili. E chiamiamo l'insieme di tutte le 10102l possibili
configurazioni, il luogo D delle configurazioni possibili. Gran parte
delle configurazioni, come la distribuzione in celle alterne di acqua
e aria, è chiaramente assurda. Ma è anche evidente che qualsiasi tipo
concepibile di bollitore corrisponde a una delle 10 1022 configurazioni
incluse nel luogo D. Per la trattazione di questi luoghi (che gli sta-
tistici chiamano spesso « spazi campione») vedere William FelIer, An
Introduction to Probability Theory and Its Applications, I, New
York, 1957, 7-25.
9. Ibid., I, 114.
lO. G. U. Yule e M. G. Kendall, An Introductio,n lo the Theory 01
Statislics-, 14 ft ed., Landon, 1950, pp. 1-9-29. Possiamo anche confronta-
re P{Xi = 1) con P(Xi = l/Xi = O), con la probabilità, cioè, del presenc
tarsi di Xi dato che Xi non si presenti. Oppure P(Xi = O) con p(x; = O/
Xi = 1). Tali prove sono otto. Mentre sono eguali nel caso della
indipendenza, nel caso della dipendenza esse presentano quattro casi
leggermente differenti. Ed è perciò piti normale valutare la differenza
comune che è simmetrica; cf. p. 37.
248 11. Yule e Kendall p. 271. Questa funzione (il coefficiente di corre-
fazione nel momento della produzione) è anche eguale a x2 /N; ibid.,
p. 272.
12. I requisiti non sono connessi soltanto perché sembrano in qual-
che senso simili. In particolare, ad esempio, il tipo di connessione che
attribuiamo a due variabili aventi entrambe « a che fare con l'acu-
stica» non ha implicazioni fisiche, ed è perciò irrilevante. È uno dei
casi in cui il linguaggio è diventato senza alcuna' giustificazione co-
strittivo; per cui è in larga misura dovuta a fattori accidentali l'esi-
stenza di un concetto chiamato «acustica ».
Dobbiamo anche stare attenti a non considerare connessi i requisiti
per il fatto che sembrano idee di buona progettazione. Sembra forse
ragionevole, dare a una casa un nucleo di servizi contenente la cucina,
la lavanderia, l'impianto idraulico, i bagni. Ma il semplice fatto che
il centro dei servizi soddisfi simultaneamente molti requisiti, non ren-
de di per sé connessi questi requisi ti.
13. Vedere p. 111.
14. R. B. Braithwaite, Scientific Explanation, Cambridge, 1953, pp.
257-64, 367-68; trad. it. La spiegazione scientifica, Milano, Feltrinelli,
1966.
15. Questo è simile alla idea di interpretare la probabilità di un
evento come una proprietà della situazione che regola quell'evento,
piuttosto che 1la frequenza che limita il suo accadere ad un certo
numero di tentativi. Vedere Karl R. Popper, The Propensity Inter-
pretation 01 the Calculus 01 Prohability, and the Quantum Theory, in
Observation and Interpretation, a cura di S. Korner, «Proceedings
of the Ninth Symposium of the Colston Research Society, Bristol»
(Landon, 1957), pp. 65-70, ed il commento di D. Bohm a pago 82
dello stesso volume. Vedere anche W. Kneale Probability and Induc-
tiott,. Oxford, 1949, p. 198.
16. Per l'isomorfismo fra le relazioni bivalenti ed i grafi vedere Dé"
nes Konig, Theorie der endlichen und unendlichen Graphen, New
York, 1950, pp. 107-9, e Claude Berge, Théorie des graphes et ses
application, Paris, 1958, p. 6. Anche per l'isomorfismo delle rela-
zioni binarie e le matrici quadrate vedere Irving M. Copilwish, Ma-
trix Developments 01 the Calculus 01 Relations, « Journal of Symbolic
Logic », 13: 193-203 (dicembre 1948). Per la definizione estensionale
Alfred Tarski, On the Calculus 01 Relations, <~ Journal of Symbolic
di una relazione come !'insieme di coppie legate sotto essa, vedere
Logic », 6: 73-89 (marzo 1941).
17. Infatti, come vedremo nell'appendice 2, p. 189, la distinzione
tra legami positivi e legami negativi è irrilevante, e abbiamo bisogno
soltanto di stabilire L, non L + o L - separatamente. Troveremo an-
che conveniente in pratic~ porre v = 1, così che Vi; possa soltanto
essere O o 1.
18. Qualche volta è difficile disegnare il grafo in modo semplice?"
in modo che i legami non risultino tutti ingarbugliati. Per un modo
di disegnare i grafi, data la matrice dei legami, vedere un recente
articolo pubblicato nel «Journal of the AcO'Ustical Society of Ame-
rica »,33 (1961): 1183, su Realization 01 a Linear Graph Given Its
Algehraic Specijication. .
19. Vedere Appendice 2, p. 179.
20. Vedere Appendice 2, p. 179. 249
21. Vedere Appendice 2, p. 177.
22. Notiamo che la condizione di eguale «dimensione» si riferisce
soltanto al carattere puramente formale del sistema di variabili. Ciò
non implica che le differenti variabili abbiano eguale importanza nel-
la soluzione del problema. La decisione se sia piu importante soddi-
sfare un requisito piuttosto che un altro, non trov~ ancora posto nel-
l'analisi della struttura causale del problema, ma deve essere presa
quando sorge il problema immediato, durante la realizzazione del pro-
gramma.
23. Sappiamo che non troveremo mai requisiti del tutto indipen-
denti. Se cost fosse, potremmo soddisfarti uno dopo l'altro, senza mai
cadere in contrasti. Il vero problema della progettazione sorge dal
fatto che questo non è possibile per il carattere del campo di inte·
razione forma-eontesto.
24. Vedere la lista delle variabili date nell'esempio sviluppato, pp.
137-143.

La soluzione
1. Per una trattazione generalè vedere Max Wertheimer, Untersu-
chungen zur Lehre von Gestalt, II, «Psychologische Forschung »" 4
(1923): 301-50, ridotto in forma abbreviata in Readings in Percep-
tion, curato da David C. Beardslee e Michael Werteimer" New York,
1958, pp. 115-35, per un riferimento specifico a questo punto vede-
re Woltgang Kohler, Gestalt Psychology, New York, 1929, pp. 148-
186, trad. it. La psicologia della Gestalt, Milano, Feltrinelli, 1961.
2. L. S. Pontryagin, Foundations 01 Combinatorial Topology, New
York, 1952, p. 13. Gli aspetti pratici di questo metodo sono s'tati
sviluppati principalmente da studiosi di sociometria: Fnink Harary e
Ian C. Ross, A procedure lor Clique Detection Using the Group
Matrix, « Sociometry », 20: 205-15 (settembre 1957); R. Duncan Luce
e A. D. Perry, A Metbod 01 Matrix Analysis pl Group Structure,
«Psychometrika », 14 (1949): 95-116; R. D. Luce, Connectivity and
Generalized Cliques in Sociometric Group Structure, «Psychometri-
ka », 15 (1950): 169-90; Dénes Konig, Theorie der endlichen und
unendlichen Graphen, New York, 1950, pp. 224-37; Cbude Berge,
Théorie des Graphes et ses applications, Paris, 1958, pp. 195~201;
G. A. Dirac, Some Theorems on Abstract 'Graph, «Proceedings of
the Londra Mathematical Society», 3.2 (1952), 69. Vedere anche
W. Ross Ashby, Design lor a Brain, New York, 1960, p. 160; R.
Duncan Luce, Two Decomposition Theorems lor o Clan 01 Finite
Oriented Graphs, «American Journal of Mathematics », 74: 701·22,
esp. 703 {luglio 1952}; H. Whitney, Non-separable and Planar
Grapbs, «Transactions of the American Mathematical Society », 34
(1932): 339-62, e Congruent Graphs and the Connectivity o/ Graphs,
«American Journa~ of Mathematics », 54 (1932): 150; A. Shimbel,
Structural Parameters 01 Communications Networks, « Bulletin of Ma-
thematical Biophysics», 15 (1953): 501-7, Structure in Communico-
tion Nets, «Proceedings of the Symposium on Information Net-
~50 works », aprile 1954, Polytechnic Institute, Brooklyn (1955); Satosi
Watanabe, Concept Formation and Classification by In/ormation -
Theoretical Correlation Analsis, lettera al direttore, «IBM Joumal
of Research of Deve10pment », gennaio 30, 1961.
Forse una descrizione piu ampia si trova in Kurt Lewin, Field Theory
in Social Science, New York, 1951, nell'appendice intitolata Ana-
lysis o/ the Concepts Whole, Di/ferentiation, and Unity, pp. 305-38,
esp. pp. 305-11; v. in ita!': La determinazione dei mutamenti per-
manenti in Antologia di scienze sociali, Bologna, Il Mulino, 1960.
3. Luce, Two Decomposition Theorems, p. 703.
4. In pratica G sarà di solito collegato; esiste, cioè, un tracciato di
legami che collegano i vertici due a due. f: impossibile, naturalmente,
trovare una divisione che non tagli alcun legame, dobbiamo limitarci
a ricercarne una nella quale l'interazione sia minima. Vale la pena di
metlere in evidenza immediatamente che è possibile solo ricercare le
minime interazioni perché le interazioni sono probabilistiche. Come
ha messo in evidenza Ashby, in un sistema caratterizzato da legami
deterministici, anche quando non accade che ogni variabile sia im-
mediatamente legata ad ogni altra, il sistema si comporta come se
questo accadesse, cosi .che nessuna parte è legata meno delle altre, e
non significa niente il confrontare i gradi di indipendenza. Ross
Ashby, Design /or a Brain, prima ed., London, 1952, pp. 161-62,
251·52.
5. Vedere pp. 178·86.
6. Vedere pp. 191·2.
7. Ludwig von Bertaianffy, Problems 01 Li/e, New York, 1960,
pp. 37-47.
8. La seguente nota deve essere integrata a questo concetto. Se è
vero che la struttura causale del problema definisce realmente le
componenti fisiche di una forma soddisfacente, noi naturalmente de-
sideriamo sapere se il risultato dell'analisi è indipendente dal parti-
colare insieme di variabili che sono state scelte per descrivere il -pro-
blema. È chiaro che lo stesso problema può essere espresso nei ter-
mini di un insieme di variabili completamente diverso, che com-
plessivamente copre tutto il campo, ma lo divide in modo diverso,
articolandosi in diversi insiemi e sistemi. Il contenuto di questi nuo-
vi sistemi, o piu esattamente le componenti fisiche che essi impli-
cano, sarebbero stati dunque, in definitiva, eguali. L'intuizione ci
dice chiaramente che è cosI. In effetti, credo che qualche genere di
teorema invariante di .'luesto tipo sia necessario come una sicura base
per tutto il metodo (come i.l mostrare che le proprietà di uno spazio
veuoriale sono invarianti rispetto a basi diverse); ma non sono anco-
ra tiuscito a trovare una conferma per questo teorema.

Trattazione matematica della scomposizione


l. Vedere i riferimenti precedenti alla teoria dei grafi data a p. 239,
nota 11.
2. G. U. Yule e M. G. Kendall, An Introduction to the Theory o/
Statistics, 14- ed., London, 1950, p. 272.
3. Ibid., pp. 35, 281. 251
,.
l
4. Ibid., pp. 35-36.
5. William Fel1er, An Introduction lo Probability Theory and Its
Applicatfans, I, New y'ork, 1957, p. 22.
6. Ibid., p. 22.
7. Ibid.
8. Poiché abbiamo artificialmente reso pCx; = O) = 112, questa di-
stribuzione di probabilità non deve essere confusa con le proporzioni
dei disadattamenti nel luogo delle soluzioni D. Nel caso particolare
p(x; = O) è piccolo in confronto a p(x, = 1). La distribuzione pre-
sente è progettata unicamente per daJ;.ci la decomposizione del siste-
ma: esso riflette solamente il comportamento attuale delle variabili,
nella misura in cui è messa in gioco la loro correlazione. I
9. Vedete pp. 113-114. ~
lO. C.E. Shannon e W. Weaver, The Matematical Theory 01 Com-
munication, Urbana, .Ili., 1949, pp.~ 18-2'2.
11. Vedere p. 243; nota 17.
12. ~ Satosi Watanabe, Inlormation Theoretical Analysis oj Multiva-
riate Correlation, «IBM Joumal of Research apd Development »,
4,69 (gennaio 1960).
13. Vedere p. 243, nota 17.
14. Feller, Probability Theory, p. 213. ____
15. Per normalizzare una variabile arbitraria' x, la sostituiamo c6i1"
(x -.{.l)/cr dove ~ è il sig~ifìcato e (J2 la varianza. Vedere Feller,
p. 215.
16. Ricordiamo che lo = 1/2 m(m -1), lor; = ~ Vi;, lo" = ): S~s~.
, ,
17. Christopher Alexander e Marvin Manheim, HIDECS 2: A Com-
puter Program lor the Hierarchical Decomposition 01 a Set with an
Associated Graph, (~ M.I.T. civiI Engineering Systems Laboratory Pu-
blication », n. 160, Cambridge, Mass., 1962; e Christopher Alexan-
der, HIDECS 3: Pour Computer Programs lor the Hierarchical De-
composition 01 Systems W hich Have an Associated Linear Graph,
« M.LT. Civil Engineering Systems Laboratory Research Report », R.
6)-27, Cambridg.e, Mass., 1963.

Una città non è un albero


1. Questa appendice venne scritta circa due anni dopo il resto del
presente volume. È opportuno precisare che le strutture «a semi-
lattice}) quivi descritte, benché assai piti complesse -di quelle cosid·
dette «ad albero », possono anch'esse attenersi attraverso un pro-
cesso di scomposizione in base al quale un sistema viene fratto in
sottosistemi: l'unica differenza (sempre che di differenza possa par-
larsi) è che i sottosistemi vengono in' questo caso a intersecarsi, ov·
vero a sovrapporsi parzialmente. La teoria esposta in questa appen·
dice non contraddice dunque in alcun modo quanto forma oggetto
del presente saggio dall'Introduzione all'Epilogo. Ne costituisce piut-
tosto un opportuno completamento.
2. Uno schema «ad albero» (o « denclromorfo », come viene tal-
52 volta denominato nella presente traduzione) è caratterizzato dall'in-
temo, squisitameme razionale, di semplificare ogni tipo di organizza-
zione attraverso una. progressione di successivi distacchi fra vari ele-
memi non dissimili dalle diramazioni presenti in botanica. (n.d.l.)
3. Uno schema « a semi-lattice» (o « reticolare », si potrebbe anche
dire, per le fine imersezioni di linee che ne carauerizzano la versio-
ne grafica) ri~uherà particolarmente aderente alla complessità strurtu-
rale di una reahà organizzata in reciproche interferenze o parziali
sovrapposizioni. (n.d.l.)
!-

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