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HYMAN P.

MINSKY

KEYNES E L'INSTABILIT
DEL CAPITALISMO

BORINGHIERI
1981 Editore Boringhieri societ per azioni
Torino, corso Vittorio Emanuele 86
CL 74-9137-9

Titolo originale
John Maynard Keynes
197; Columbia University Press - New York

Traduzione di Manfredi La Manna


Indice

Prefazione vrt
Introduzione 3
~ La 'Teoria generale' e la sua interpretazione 9
~ L'interpretazione tradizionale dell'opera di Keynes 31

~ Tre fondamentali prospettive d'analisi 75


~ Meccanismo di finanziamento capitalistico e determina-
j zione del prezzo dei beni capitali 92

~ La teoria degli investimenti 124

'6'. Istituzioni finanziarie, instabilit finanziaria e andamento


degli investimenti 155

tJ Alcune implicazioni dell'interpretazione alternativa 172

~ Filosofia sociale e politica economica 190

-9 Le implicazioni di politica economica dell'interpreta-


zione alternativa 209

Bibliografia 221

Indice analitico 223


AVVERTENZA

I nomi d'autore seguiti da data, citati nel testo o in nota, rimandano alla
Bibliografia alla fine del volume. Nel caso di opere tradotte in italiano, la
data quella dell'edizione originale, mentre le eventuali indicazioni di
pagina si riferiscono alla traduzione.
La sigla TG l'abbreviazione di Teoria generale dell'occupazione, del-
l'interesse e della moneta.
Prefazione

_Ciche fa di John Maynard Keynes un economista del tutto


particolare il carattere "rivoluzionario" della sua opera princi~
~pale: la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della
..moneta ( 1936). Il presente studio dedicato all'analisi di quel-
1'operaeiniena verificare se essa costituisca veramente, come
riteneva Keynes, una "rivoluzione" del pensiero economico;
nelle pagine che seguono cercheremo di dimostrare che la Teoria
generale contiene davvero elementi capaci di rivoluzionare la
scienza economica, ma che nel processo interpretativo conclu-
sosi con l'odierna versione ortodossa della teoria keynesiana
quelle potenzialit rivoluzionarie sono andate completamente
smarrite: sar nostro compito tentare di recuperarle.
In questo libro ci concentreremo sulla Teoria generale, igno-
rando sia l'opera precedente di Keynes in materia di economia
monetaria sia l'enorme letteratura che ha sviluppato, interpretato,
spiegato e sistemato formalmente il pensiero keynesiano. Se ab-
biamo deciso di non tener conto n dell'una n dell'altra non
perch riteniamo che un'analisi rigorosa e documentata dell'in-
tera opera di Keynes e del dibattito che ne scaturito non sia
significativa, ma perch, cos facendo, verremmo meno al com-
pito che ci siamo prefissi: dimostrare cio che, nascosta nei
meandri meno frequentati della Teoria generale, c' una teoria
dei processi capitalistici molto pi pertinente ai problemi odierni
di teoria e di politica economica di quella off ertpci dalla dottrina
convenzionale.
L'interpretazione di Keynes avanzata in queste pagine il
VIII PREFAZ:ONE

frutto di un ripensamento durato parecchi anni, al quale hanno


contribuito sia i miei precedenti lavori sull'instabilit finanziaria
sia l'opera di quegli economisti che, ciascuno a suo modo,
hanno assunto una posizione critica nei confronti dell'inter-
pretazione corrente del pensiero keynesiano: Joan Robinson,
G. L. S. Schackle, Nicholas Kaldor, Sidney W eintraub, Paul
Davidson, Robert Clower e Axel Leijonhufvud sono gli espo-
nenti pi rappresentativi di quella schiera di studiosi "dissidenti"
che ha influenzato il mio pensiero in modo pi diretto. Se avessi
voluto precisare i punti in cui mi trovo in accordo o in disac-
cordo con questi miei colleghi, avrei dovuto scrivere un libro
ben pi lungo d questo e il messaggio che intendo far giungere
al lettore si sarebbe smarrito in una selva di dispute teoriche e di
dettagli.
Un ulteriore contributo all'evolversi del mio pensiero ve-
nuto dalle discussioni avute a Cambridge dove, in temporaneo
congedo dalla mia universit, ho trascorso un anno tra i pi pia-
cevoli. In particolare vorrei ringraziare, per i preziosi colloqui
avuti con lui, Donald Moggridge il quale, al tempo del mio sog-
giorno, stava iniziando l'opera di edizione dei manoscritti di
Keynes che sono stati poi pubblicati come volume 1 3 (The Ge-
nerai Theory and After: Pan I, Preparation) e volume 1,4 (The
Generai Theory and After: Part II, Def ence and Development)
dei "Collected Works of fohn Maynard Keynes". In questo
libro per non ho tenuto conto in modo esplicito del materiale
apparso in detti volumi, in quanto al momento della loro pub-
blicazione il mio manoscritto era gi pronto per la stampa; senza
contare che analizzare in dettaglio tale materiale avrebbe richie-
sto la stesura di un libro affatto diverso.
Oltre che verso Donald Moggridge, sono in vario modo debi-
tore verso molte altre persone ed enti, nessuno dei quali ovvia-
mente va ritenuto responsabile degli errori e dei fraintedimenti
contenuti nelle pagine che seguono. A tutti comunque il mio pi.
sincero ringraziamento.
H.P.M.
Keynes e l'instabilit del capitalismo
Introduzione

Nella storia intellettuale di una disciplina scientifica vi sono


periodi durante i quali le strutture teoriche su cui essa poggia
sono salde e sicure, mentre al contrario durante altri esse ap-
paiono deboli e precarie. Nel primo caso si registra un'ampia
convergenza di opinioni circa i tratti caratteristici della disci-
plina stessa e la teoria generalmente accettata viene considerata
capace di offrire sia un'interpretazione soddisfacente dei dati
empirici, sia indicazioni utili per applicazioni pratiche sul piano
sociale o tecnologico. Nel secondo caso invece i membri della
comunit scientifica non si trovano d'accordo neppure sui
princpi fondamentali della disciplina in questione: esistono
teorie contrastanti, ciascuna delle quali non riesce a spiegare
adeguatamente determinati fenomeni, dimostrando cos di non
avere validit universale. Le eccezioni sembrano sostituirsi alla
regola.
Solo qualche anno fa, all'inizio degli anni sessanta, la teoria
monetaria e macroeconomica si presentava come una disciplina
scientifica ormai ben consolidata e priva di anomalie. L'apparato
concettuale ritenuto pi appropriato per svolgere lavori di ri-
cerca teorici e applicati e capace di fornire diagnosi e prognosi
di politica economica era quello offerto dalla sintesi neoclassica,
ovvero dalla sintesi tra le innovazioni teoriche di Keynes e il
sistema analitico dell'economia classica. Questa almeno era l'opi-
nione allora pi diffusa tra gli economisti, fatta eccezione per
quei pensatori eretici e dissidenti la cui esistenza sembra essere
una caratteristica insopprimibile delle scienze sociali. Oggi invece
4 INTRODUZIONE

la teoria monetaria e macroeconomica versa in uno stato di crisi


profonda, soprattutto perch i mancati successi di politica eco-
nomica, considerati come banco di prova della teoria, ne hanno
messo in luce le gravi deficienze sul piano analitico.
La Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della mo-
neta, l'opera pi famosa di Keynes, si conclude con una frase che
troviamo citata assai spesso: "Le idee degli economisti e dei filo-
sofi politici, cos quelle giuste come quelle sbagliate, sono pi
potenti di quanto comunemente si ritenga. In realt il mondo
governato da poche cose all'infuori di quelle" (TG p. 554).
Poco sopra Keynes notava: "Nel momento presente ci si attende,
con un'intensit quale raramente fu raggiunta nel passato, una
diagnosi pi fondamentale; si pi particolarmente pronti a ri-
ceverla; e si ansiosi di metterla in atto, se essa fosse appena
plausibile" (TG p. 554).
Al momento attuale negli Stati Uniti assai diffuso un atteg-
giamento simile a quello descritto da Keynes, suscitato non,
come allora, da una grande crisi su scala mondiale, ma da tutta
una serie di fenomeni allarmanti. Ci si resi conto che opulenza
e povert non solo possono coesistere, ma che la prima pu es-
sere la causa della seconda; il processo inflazionistico sembra de-
stinato a perdurare; i mercati finanziari attraversano nuovamente
una fase di instabilit, con conseguenze poco rassicuranti; l'in-
certezza regna sul commercio e sulla finanza internazionale.
Tutto ci ha provocato un clima di profondo scontento nei con-
fronti sia del sistema economico che della teoria economica; le
misure pratiche adottate per migliorare lo stato dell'economia
vengono viste con sempre maggiore sfiducia. necessario perci
riprendere in esame l'apparato teorico che ha suggerito l'ado-
zione di misure di politica economica rivelatesi inefficaci.
Cos, dopo quarant'anni, ci sembra che negli ambienti intel-
lettuali siano maturate le condizioni per una nuova "rivoluzione
culturale", simile a quella suscitata dalla Teoria generale negli
anni trenta.
In questo libro, il cui scopo interpretare i principali apporti
di Keynes alla teoria economica, sostengo la tesi che, se si riva-
lutano certi aspetti della Teoria generale solitamente trascurati e
se si elaborano ulteriormente le idee di Keynes, possibile rivo-
luzionare per la seconda volta il modo tradizionale di analizzare
INTRODUZIONE 5
un sistema capitalistico avanzato. A mio parere, la teoria econo-
mica ortodossa ha recepito e divulgato solo una parte del sistema
keynesiano, accettando unicamente le idee facilmente inseribili
nel vecchio sistema di pensiero ( ci che Keynes definiva l'eco-
nomia classica) e. direttamente rilevanti per la soluzione dei pro-
blemi economici del periodo compreso tra la fine degli anni
trenta e l'inizio degli anni quaranta, cio lo stato di stagnazione
succeduto alla Grande Crisi e la mobilitazione economica prece-
dente la seconda guerra mondiale. mia opinione inoltre che gli
elementi della Teoria generale comunemente trascurati o addi-
rittura ignorati ne costituiscano invece il nucleo analitico fon-
damentale: sono proprio questi, infatti, da una parte a segnare
una netta rottura con la dottrina classica e dall'altra a essere i
pi direttamente attinenti ai problemi odierni delle societ avan-
zate. Si pu quindi affermare che la sintesi neoclassica, ovvero la
teoria risultante dal connubio tra idee keynesiane e struttura
analitica classica\ tradisce lo spirito e la sostanza dell'opera di
Keynes.
Tre sono gli elementi principali ignorati dalla sintesi neoclas-
sica: la formazione delle decisioni in condizioni d'incertezza; il
carattere ciclico del processo economico capitalistico; i rapporti
finanziari tipici delle economie capitalistiche avanzate. L'impor-
tanza attribuita da Keynes ai fenomeni di disequilibrio, cio al
"fatto che nella fase di transizione [ tra posizioni d'equilibrio
mai raggiunte] che viviamo realmente" (TG p. 513, nota e),
completamente trascurata dalla sintesi neoclassica. I modelli di
quest'ultima infatti sono essenzialmente atemporali, in stridente
contrasto cor, la grande attenzione prestata da Keynes alla
dimensione del tempo, alla natura transitoria delle varie fasi ci-
cliche, all'attivit economica intesa come processo dinamico.
L'interpretazione tradizionale inoltre astrae totalmente dalle spe-
cifiche caratteristiche istituzionali dell'economia, oggetto invece
di attento esame nella Teoria generale. Pi in particolare, i mec-
canismi finanziari, che Keynes riteneva importantissimi, vengono
il pi delle volte trattati in modo assai approssimativo dai mo-
delli della sintesi neoclassica.
Proprio tenendo conto degli elementi della Teoria generale
sinora ignorati possibile formulare un modello del processo ca-
pitalistico migliore di quello offerto dalla teoria tradizionale, sia
6 INTRODUZIONE

in termini di potere esplicativo nei confronti dell'andamento ci-


clico dell'economia statunitense e di altri paesi capitalistici avan-
zati, sia per la sua capacit di proporre politiche economiche ef-
ficaci. L'opera di Keynes, debitamente reinterpretata, vuole
mettere in discussione la validit de due strumenti analitici del
sistema neoclassico che stanno alla base del pensiero economico
contemporaneo (funzione della produzione e sistemi di prefe-
renze individuali immutabili), aprendo cos la strada a nuovi tipi
di politica economica, rivolti a risolvere problemi nuovi, quali la
distribuzione del reddito e la qualit del lavoro.
Secondo la teoria convenzionale la composizione del prodotto
globale e la sua distribuzione sono determinati dal tipo di tecno-
logia esistente e dalle preferenze individuali: la politica econo-
mica che, stando all'interpretazione ortodossa del pensiero key-
nesiano, va intesa come manovra fiscale e monetaria, pu
solamente affrontare il problema del raggiungimento della piena
occupazione. Secondo l'interpretazione alternativa della teoria
di Keynes qui proposta possibile invece andare al di l di una
generica politica di piena occupazione: la composizione e distri-
buzione del prodotto non sono determinate da fattori tecnologici
e psicologici, ma decise in base a considerazioni politiche. Alla
politica economica vengono assegnati nuovi compiti.
Nella Teoria generale possiamo individuare linee di pensiero
tra loro diverse e divergenti. Alcune sono intimamente legate alla
tradizione classica e testimoniano il fatto che Keynes non riusc
a liberarsi completamente da quei "modi abituali di pensiero e
di espressione" ( TG p. r 4 7) verso i quali egli stesso ci menteva
in guardia nella introduzione della Teoria generale. Seguendo
altre linee di pensiero invece Keynes riusc effettivamente a li-
berarsi delle vecchie idee tradizionali. Queste due diverse anime
convivono nella Teoria generale e Keynes non ne precis mai
con chiarezza le profonde differenze. Soltanto in un'occasione, e
precisamente nella sua replica alla recensione della Teoria gene-
rale da parte di Jacob Viner (replica a nostro avviso assai signi-
ficativa e sulla quale torneremo), Keynes discusse apertamente la
validit di una delle interpretazioni che i critici avevano dato del
suo libro. Nel suo articolo Viner ( 1936) poneva in stretta con-
nessione la nuova "teoria generale" e le vecchie idee classiche:
Keynes neg apertamente la correttezza di una tale interpreta-
INTRODUZIONE 7
zione. Nei confronti degli altri critici di orientamento ortodosso,
Keynes assunse un atteggiamento distaccato, elargendo tutt'al
pi un assenso poco convinto. In mancanza di una netta presa
di posizione da parte di Keynes, l'interpretazione ortodossa, se-
condo la quale, paradossalmente, la teoria di Keynes appartiene
a quella tradizione classica che intendeva soppiantare, pu van-
tare oggi una certa pretesa di legittimit. Questo tipo di inter-
pretazione, legittimo o meno che sia, ha per ignorato comple-
tamente proprio quei tratti della Teoria generale dai quali
possiamo ricavare un nuovo modo di analizzare un'economia ca-
pitalistica avanzata e che rappresentano il momento di distacco
di Keynes dalla teoria economica ortodossa.
Nelle pagine che seguono non prender in esame la vastissima
produzione scientifica di Keynes precedente la Teoria generale,
in quanto il mio principale interesse consiste nell'individuare gli
elementi nuovi e originali contenuti in quest'opera. (Comunque,
delineando la filosofia sociale della Teoria generale e le implica-
zioni di politica economica che ne derivano, mostrer come le
idee di Keynes siano del tutto coerenti con 1~ posizione che a
tale riguardo egli aveva assunto negli anni venti.) Non prender
neanche in esame i molteplici altri volti della sua personalit
scientifica. Come ho gi pi volte indicato, il mio interesse cir-
coscritto alla Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e
della moneta intesa come tentativo di rivoluzionare la scienza
economica.
In ci che segue mi limiter, come ha fatto Keynes nella Teo-
ria generale, a considerare un'economia chiusa. Ovviamente, vo-
lendo applicare praticamente la teoria sia in versione tradizionale
che in versione rivista, necessario tener conto delle ripercus-
sioni internazionali. La mia reinterpretazione di Keynes pone in
primo piano il ruolo che le interrelazioni finanziarie, con la loro
instabilit e facile perturbabilit, svolgono nel determinare le
varie fasi del ciclo economico. Alla luce delle esperienze degli
anni sessanta e dei primi anni settanta chiaro che nel sistema
semiaperto di scambi vigente tra le economie capitalistiche avan-
zate l'importanza dell'instabilit e delle perturbazioni finanziarie
senza confronto pi significativa di quanto non sarebbe in cia-
scuna economia considerata singolarmente. quindi per como-
dit di esposizione che nello svolgimento della nostra analisi trat-
8 INTRODUZIONE

teremo i meccanismi finanziari di un'economia chiusa. Entro tale


ambito infatti possibile evidenziare gli aspetti salienti di un'in-
terpretazione della Teoria generale centrata sull'instabilit dei
mercati finanziari e sulla ciclicit dell'andamento economico. Vo-
lendo estendere l'analisi a un sistema di economie capitalistiche
tra loro interdipendenti si potranno trovare elementi che confer-
mano, non certo riducono, la validit della nostra tesi.
Capitolo 1

La 'Teoria generale' e la sua interpretazione

r.Si...puaffermar~-ehe Keynes appartiene. assieme a Marx, Dar-


win, Freud ed Einstein, a quella ristretta cerchia di pensatori che
ha fatto scoppiare le rivoluzioni intellettuali del nostro tempo,
per il contributo fondamentale apportato dalla Teoria generale
dell'occupazione, dell'interesse e della moneta all'economia po-
litica, intesa sia come scienza teorica che come guida pratica alla
gestione dell'economia.
La Teoria generale venne pubblicata nel febbraio del 1936,
quando Keynes aveva cinquantadue anni. Il suo primo lavoro
scientifico, Recent Economie Events in India, aveva visto la
luce nel 1909 e trattava delle conseguenze della depressione mon-
diale e degli squilibri finanziari degli anni 1907-08 sull'economia
indiana; gi in quell'occasione Keynes dava particolare risalto a
un fenomeno monetario: il meccanismo d'emissione della rupia.
A partire da questo articolo fino al 1935 Keynes scrisse moltis-
simo in materia di economia, rivolgendosi sia agli economisti di
professione sia all'opinione pubblica in generale, mostrando di
prediligere la problematica dell'economia monetaria. Infatti an-
che i suoi importanti lavori di economia internazionale trattano
essenzialmente problemi finanziari e monetari.
Nel quarto di secolo precedente la stesura della Teoria gene-
rale l'opera di Keynes, seppure per certi aspetti indubbiamente
originale, spesso fonte di controversia e, fatto significativo, gi
su posizioni eterodosse circa la politica economica, si era sempre
mossa all'interno della teoria economica tradizionale. Volendo
esprimere in una sola frase il contributo dato da Kevnes alla teo-
IO CAPITOLO PRIMO

ria economica prima della comparsa della Teoria generale, si po-


-trebbe dire che in quel periodo la sua attivit era Iivolta princi-
. palmente a chiarire il meccanismo di funzionamento della teoria
della moneta allora dominante: la teoria quantitativa.
Le asserzioni fondamentali della teoria quantitativa della mo- _
neta sono: a) in uno stato di equilibrio la moneta neutrale, nel . _
senso che i prezzi relativi, il reddito e la produzione non dipen-
dono dalla quantit di moneta; b) il livello generale dei prezzi
determinato dalla quantit di moneta; e) un'economia decentra-
lizzata fondamentalmente stabile. Keynes, prima della Teoria
generale, riteneva che queste proposizioni fossero sostanzialmente
valide, ma che la teoria quantitativa fosse vaga e imprecisa circa
i meccanismi e i processi mediante i quali il sistema raggiunge
una posizione di equilibrio di lungo periodo. Quindi, prima di
abbracciare appieno il credo quantitativo, Keynes riteneva ne-
cessario capire meglio il comportamento dell'economia tra uno
stato d'equilibrio e l'altro, vale a dire nel breve periodo (definito
come situazione transitoria, di disequilibrio).
La Teoria generale segn una brusca svolta nell'atteggiamento
assunto da Keynes nei confronti della teoria quantitativa. L
Keynes attaccava con fervore e con evidente compiacimento i
fondamenti logici ed empirici del pensiero economico tradizio-
nale. Poneva alla teoria economica nuovi problemi, primo fra
tutti la determinazione nel breve periodo del livello della do.-
!!2.a.nd~a~s:~e~ata, e quindi dell'occupazione, in un contesto ana-
litico che __
riconosceva esplicitamente come proprio oggetto d'e-
same un'economia capitalistica, soggetta a fasi di boom e di crisi.
Introduceva nuovi strumenti d'analisi, quali la funzione del con- .
sumo e la preferenza per la liquidit 1 e utilizzava concetti estranei
all'economia tradizionale, come Tncertezza.J,.a sua teoria inten-
deva dimostrare che la moneta non neutrale; contrariamente
alla teoria tradizionale essa sosteneva: a) che le variabili reali di-
pendono in modo essenziale dalle variabili monetarie e finan-
ziarie; b) che il livello dei prezzi non soltanto non dipende esclu-
sivamente dalla quantit di moneta, ma ne influenzato solo
marginalmente; e) che in un'economia capitalistica non pianifi-
cata (dove cio non si prendono adeguate misure di politica
economica) i processi di transizione tra stati di equilibrio non
danno vita affatto a un sistema autoregolantesi tendente a stabi-
lizzarsi su una posizione di equilibrio di piena occupazione. Nella___
LA 'TEORIA GENERALE' II

nuova concezione di .Key_.Q~S anche la piena_Qcupazione si con-


figurava come uno stato transitorio. _ ------
.. La Teoria generale apparve improvvisamente sulla scena come
un'opera importantissima, lanciata da un'attenta campagna pub-
blicitaria condotta da Keynes e dai suoi giovani discepoli di
Cambridge (e altrove). Cos scriveva Keynes a George Bernard
Shaw: "Ritengo fermamente di star scrivendo un libro di econo-
mia che rivoluzioner sostanzialmente ( ...) il nostro modo di
ragionare sui problemi economici" (Harrod, 1951, p. 642). E
come opera rivoluzionaria fu in effetti accettata da molti suoi
colleghi e soprattutto dagli economisti pi giovani, sia in Inghil-
terra che negli Stati Uniti. Come notava Paul M. Sweezy ( 1964)
nella sua commemorazione di Keynes, la Teoria generale aveva
prodotto "un senso di liberazione e uno stimolo intellettuale ( ...)
tra gli insegnanti e gli studenti pi giovani di tutte le principali
universit inglesi e americane ( ..} Keynes - proseguiva Sweezy -
dischiuse a tutta una generazione di economisti nuovi spazi e
sconosciuti sentieri" (p. 301).
La Teoria generale ebbe un successo fulminante. Eppure, gi
all'indomani della sua pubblicazione, si avvi un processo ancora
oggi in atto, tendente a sminuire e a svilire il profondo significato
del contributo teorico keynesiano: un processo che stato fa-
vorito sia da studiosi apparentemente aperti alle nuove idee, quali
per esempio John R. Hicks, sia da nemici dichiarati del nuovo,
come Jacob Viner.
Oggigiorno l'opinione pi diffusa tra gli economisti che il
modello descritto da Keynes costituisca un interessante caso par-
ticolare della teoria classica che, di tanto in tanto, pu rivelarsi
di una certa utilit pratica: in generale si ritiene che Keynes ab-
bia fallito nel suo tentativo di sostituire il vecchio paradigma
classico con un nuovo schema teorico. Gardner Ackley, membro
(1962-64) e poi presidente (1964-68) del "keynesiano" Comitato
dei Consiglieri economici del presidente durante l'era Kennedy-
Johnson, nella prefazione al suo fortunato manuale Teoria ma-
croeconomica (1961) afferma che "l'opera di Keynes anzich
una rivoluzione delle idee 'classiche' ne rappresenta una semplice
estensione" e che "la ricerca economica post-keynesiana ha fatto
avanzare la macroeconomia ben oltre il limite raggiunto da
Keynes con la sua opera originale".
12 CAPITOLO PRIMO

Il giudizio espresso da Ackley sull'apporto teorico keynesiano


tipico di gran parte della critica contemporanea, la quale lascia
intendere che il rivolgimento intellettuale seguito alla comparsa
della Teoria generale fu ingiustificato o comunque sproporzio-
nato. Oggi sempre pi comune l'opinione che quanto nella
Teoria generale corretto non originale e che quanto origi-
nale non corretto. Delle due contrastanti interpretazioni del
modello keynesiano solo una pu essere valida: bisogna scegliere
tra l'opinione corrente, di cui l'affermazione appena citata di
Ackley un tipico esempio, e l'interpretazione della Teoria ge-
nerale come "rivoluzione intellettuale" proposta da Sweezy e da
altri studiosi.
A parere di chi scrive Keynes e i suoi contemporanei avevano
ragione a considerare rivoluzionaria la Teoria generale: quest'o-
pera contiene effettivamente i germi di un rivolgimento coperni-
cano nella teoria economica e nel modo di guardare la realt
socioeconomica. Questi germi per non si sono mai sviluppati
completamente. La rivoluzione scientifica, esistente a livello em-
brionale, ha abortito, in quanto le idee originali del testo keyne-
siano sono state mal interpretate da molti studiosi accademici,
gli stessi che le hanno poi applicate alla politica e<:;onomicago-
vernativa.
Ancor prima della pubblicazione ufficiale della Teoria gene-
rale, basandosi sui corsi tenuti da Keynes a Cambridge e sulle
bozze di stampa gi in circolazione, gli economisti accademici
avevano cominciato a riannodare le nuove idee al filone tradizio-
nale, ovvero alla teoria quantitativa della moneta. Il risultato 'di
questo processo di depurazione interpretativa stata la vittoria
pressoch totale della tradizione sia negli ambienti accademici
che nell'apparato amministrativo statale. La sintesi neoclassica,
l'interpretazione oggi dominante, che trova espressione nelle
opere di economisti americani quali Samuelson, Patinkin, Modi-
gliani e Friedman, appartiene pi al campo classico che non a
quello keynesiano in quanto riafferma la vlidit generale, o "in
linea di principio", della teoria quantitativa della moneta. Grazie
a questa vittoria del paradigma classico la teoria economica in-
segnata oggi nelle universit ha riconquistato gran parte della
sterilit e dell'astrattezza tipiche della scienza economica prece-
dente la pubblicazione della Teoria generale. Don Patinkin, uno
degli artefici della visione oggi prevalente, ha scritto il panegirico
LA 'TEORIA GENERALE' I3
della non rilevanza pratica del pensiero economico quando, nella
prefazione al suo famoso e autorevole testo Moneta, interesse e
prezzi (1965), ha affermato che:
I predicati della teoria quantitativa della moneta sono validi in condi-
zioni assai meno restrittive di quelle che normalmente vengono ritenute
necessarie dai suoi stessi sostenitori, e quindi a fortiori dai suoi critici. Per
converso, i postulati della teoria monetaria keynesiana sono assai meno
generali di quanto (. ..) vorrebbero farci intendere la Teoria generale e
alcune delle interpretazioni che di essa sono state date. Questa circostanza
per non sminuisce affatto la rilevanza della teoria keynesiana della disoc-
cupazione per quanto concerne la formulazione di una possibile e realistica
politica di piena occupazione.

Il fulminante successo che la Teoria generale ha goduto negli


anni trenta va attribuito alla sua rilevanza pratica: l'anno in cui
fu pubblicata coincise con il settimo anno di una gravissima crisi
economica che aveva colpito il mondo intero e soprattutto gli
Stati Uniti. Nelle cronache del tempo leggiamo che la Grande
Crisi era stata scatenata dal crollo di Wall Street del 1929 e resa
_ancora pi grave da una serie di ulteriori crisi e perturbazioni
finanziarie. Il momento culminante fu il collasso del sistema ban-
cario americano avvenuto nella primavera del 1933, contempora-
neamente all'elezione alla presidenza di Franklin Roosevelt, che
succedeva a Herbert Hoover.
Nel tormentato periodo che va dal 1929 al 1936 gli economi-
sti accademici, esponenti della dottrina ortodossa, non avevano
saputo offrire pressoch nessun suggerimento politicamente ac-
cettabile circa un piano d'azione governativo, in quanto essi
erano fermamente convinti della capacit di autoregolazione del
meccanismo di mercato. Secondo l'opinione allora prevalente l'e-
conomia prima o poi si sarebbe ripresa da sola, a patto che la
situazione non venisse aggravata ulteriormente dall'adozione di
una errata politica economica, inclusa la manovra fiscale.
All'inizio degli anni trenta c'erano per economisti che, sep-
pure ortodossi in questioni di teoria, suggerivano soluzioni di
politica economica non convenzionali. Durante la seconda met
. degli anni venti, periodo durante il quale l'Inghilterra viveva in
condizioni di disoccupazione cronica, i consigli di politica eco-
nomica dati da Keynes non erano certo ortodossi. In occasione
delle elezioni politiche del 1929, per esempio, egli ( 193 ia) sostenne
14 CAPITOLO PRIMO

la candidatura di Lloyd George il quale suggeriva come rimedio


per la disoccupazione un programma di opere pubbliche finan-
ziate da emissioni del debito pubblico. L'analisi di Keynes sulle
conseguenze di un tale programma di spese pubbliche era per
assai confusa, come sempre succede quando un efficace consiglio
di politica economica non sorretto da una struttura teorica
coerente.
Negli Stati Uniti durante l'era della Grande Crisi il pi im-
portante gruppo di economisti accademici i cui consigli pratici
divergevano da quelli suggeriti dalla teoria convenzionale, ope-
rava nell'ambito dell'Universit di Chicago. Nel periodo pi
cupo della Grande Crisi questi economisti propugnarono ci che
oggi chiameremmo una politica monetaria e fiscale di tipo espan-
sivo. I loro suggerimenti pratici per non derivavano da un mo-
dello del processo capitalistico capace di spiegare il modo in cui
le caratteristiche intrinseche dell'economia avessero prodotto quei
fenomeni negativi cui si intendeva porre rimedio.
L'economista pi convincente di tale gruppo, Henry C. Simons
( 1948), riteneva che le strozzature dell'economia americana re-
sponsabili della Grande Crisi fossero dovute essenzialmente a
determinate deficienze istituzionali del sistema bancario e a errori
commessi dalle autorit pubbliche, non alle caratteristiche interne
di un'economia capitalistica. Poich dopo un crollo o una crisi
sempre possibile addossarne la colpa a errori umani o a disfun-
zioni istituzionali, la posizione di Simons pressoch inattac-
cabile. I suoi suggerimenti pratici, sebbene si movessero nella
giusta direzione da un punto di vista "keynesiano", non rapp're-
sentavano affatto la logica conclusione di un modello teorico ben
articolato. Se Simons e altri come lui proponevano misure di
politica economica efficaci, ci era dovuto pi alla loro capacit
di osservazione e al loro intuito che non alle conoscenze teoriche
a loro disposizione. Prive di un qualsiasi fondamento teorico, le
intuizioni di Simons non erano in grado di avanzare alcuna pre-
dizione; inevitabilmente le ragioni addotte a sostegno dei suoi
consigli pratici di politica economica suonavano poco convin-
centi. Simons, per cos dire, affrontava i sintomi e non le cause
di quelle che allora sembravano le evidentissime contraddizioni
interne dell'economia capitalistica.
Franklin Roosevelt, pur essendo un convinto interventista de-
sideros~/di agire in favore di una ripresa economica, in un primo
LA 'TEORIA GENERALE' 15

tempo si fece accompagnare alla Casa Bianca da una schiera di


consiglieri economici del tutto incapaci di fornirgli un qualsiasi
serio suggerimento su come comportarsi. Sotto la loro influenza
egli adott una raffazzonata politica di manovra sul prezzo del-
1'oro espresso in dollari, mirante a far salire i prezzi soprattutto
dei prodotti agricoli. Sarebbero dovuti passare due-tre anni
prima che un circolo di giovani consiglieri economici si guada-
gnasse una certa autorit e cominciasse a propugnare, ancor
prima della comparsa della Teoria generale, l'impiego della po-
litica fiscale come strumento per far espandere l'economia. Va
detto per che tali consigli si tramutarono in azione pratica solo
durante il secondo mandato di Roosevelt e che fino alla seconda
guerra mondiale non vennero mai superati i radicati pregiudizi
nei confronti della politica di spesa pubblica e deficit di bilancio.
A causa dell'incoerenza delle politiche adottate durante la prima
presidenza Roosevelt, l'economia dopo una breve ripresa dalla
profonda crisi degli anni 1929-33, si trovava in uno stato di de-
pressione che avrebbe potuto essere evitato ricorrendo a una
coerente politica espansiva. Dato il prolungato periodo di rista-
gno nella spesa del settore privato seguito al grande shock fi-
nanziario degli anni 1929-33, il successivo periodo (1933-39)
sarebbe stato il pi adatto per attuare un programma espansivo
che avrebbe potuto rivelarsi oltremodo efficace (Galbraith, 1972,
pp. I 38-52).
La pi significativa alternativa all'economia tradizionale era
quella offerta dalla scuola marxista. A Cambridge, patria intellet-
tuale di Keynes, le teorie marxiste avevano notevole seguito tra
gli studenti universitari e i giovani ricercatori: a ben considerare
la Teoria generale stata scritta proprio nel "decennio rosso"
1930-40. Per i marxisti ortodossi la Grande Crisi rappresentava
una conferma dell'idea di un'intrinseca instabilit del capitalismo.
Cos, nei periodi pi cupi della crisi, economisti tradizionali e
marxisti erano giunti alla stessa conclusione: in un'economia ca-
pitalistica non esiste alcun sistema per mitigare gli effetti delle
depressioni. Negli anni trenta dunque tutti gli studiosi, conser-
vatori, liberali o radicali che fossero, sembravano concordi su
un punto: in un contesto capitalistico inevitabile la comparsa di
fasi di depressione, e l'intera societ deve adattarsi al susseguirsi
periodico di tempi duri.
CAPITOLO PRIMO

Da un punto di vista ideologico Keynes non apparteneva n


all'area marxista n a quella tradizionalista. Figlio dell'illuminismo
edwardiano e socio fondatore del circolo Bloomsbury, egli aveva
un atteggiamento istintivamente scettico nei confronti delle
idee comunemente accettate. Sebbene fosse "di sinistra", Keynes
non si accod ai giovani aderenti del circolo Bloomsbury quando
essi, negli anni trenta, si spostarono su posizioni politiche pi
radicali e dottrinarie, forse anche perch intendeva tener fede al
proprio impegno di economista di analizzare la societ da un
punto di vista scientifico. Nel periodo compreso tra le due guerre
mondiali, Keynes, sebbene uomo del sistema, non entr mai a
far parte dell'apparato governativo, mantenendo una posizione
progressista e, in un certo senso, indipendente e prendendo, sem-
mai, il partito liberale come proprio punto di riferimento. Que-
sto orientamento ideologico di centro, lievemente tendente a
sinistra, unito alla convinzione che la sinistra partiva da una impo-
stazione critica esatta senza per essere poi in grado di dare ri-
sposte positive ai problemi, ispir la stesura della Teoria generale.
Si pu forse dire che la Teoria generale fu il frutto dell'unione
tra la fredda razionalit dell'economista di professione e l'impe-
gno dell'uomo animato da una convinta fede di tipo riformista.
Con 1a Teoria generale Keynes proponeva un'alternativa sia
sul piano teorico sia su quello delle applicazioni politiche alla
grigia visione degli economisti ortodossi e marxisti. Gli avveni-
menti del 1929 e degli anni successivi erano, nella sua analisi, il
risultato di fattori interni al sistema e non di casuali eventi eso-
geni. Keynes spostava il centro d'interesse della teoria economica
dal problema dell'allocazione delle risorse a quello della determi-
nazione della domanda aggregata. La sua nuova teoria introdu-
eva la possibilit di agire sulle varia61li del sistema mediante ma-
novre di politica economica: la domanda aggregata era definita
in modo tale che la domanda del settore privato e quella del set-
,tore pubblico fossero complementari in condizioni di sottoccu-
pazione e sostituibili in uno stato di piena occupazione. L'idea
.che in periodi di crisi un programma di opere pubbliche, scelte
pi o meno accuratamente, possa portare al raggiungimento della
piena occupazione (idea che fino allora economisti politici e in-
tellettuali avevano sostenuto basandosi esclusivamente sul proprio
"fiuto") trovava nel sistema keynesiano una giustificazione ra-
zionale. L'analisi di Keynes legittimava l'impiego di uno stru-
LA 'TEORIA GENERALE' 17

mento di politica economica (la manovra fiscale) che assicurava


se non l'eliminazione, per lo meno Il controllo del ciclo econo-
mico. Keynes sostituiva cos lo sterile apparato teorico e le pes-
simistiche conclusioni pratiche degli economisti sia ortodossi che
marxisti con qualcosa di nuovo e di diverso, riportando "l'eco-
nomia a contatto con il mondo reale" (Sweezy, 1964, p. 299).
Un ulteriore elemento che contribu all'immediato, seppure
temporaneo, riconoscimento della Teoria generale come opera
effettivamente rivoluzionaria fu il fatto che essa, sebbene segnasse
una netta rottura con la teoria precedente, era stata scritta da
Keynes, cio da un economista che con la sua personalit e la sua
opera rappresentava una certa garanzia di continuit nell'analisi
economica tradizionale.
"'" Keynes nel Trattato sulla moneta (1930), la sua opera pi im-
portante prima della Teoria generale, si era occupato essenzial-
mente della determinazione in un contesto dinamico dei mecca-
nismi di funzionamento della teoria quantitativa della moneta.
Il problema l affrontato quello della definizione esatta del pro-
cesso mediante il quale variazioni nella quantit di moneta si pro-
pagano nel sistema economico in modo tale da rendere veri i
teoremi fondamentali della teoria quantitativa. La quale, nella
sua formulazione tradizionale, ipotizzava che, nel lungo periodo,
la moneta fosse semplicemente un velo neutrale che non influisce
in modo significativo sull'andamento del sistema economico; per-
ch poi questo postulato dovesse essere necessariamente vero, la
teoria tradizionale, priva di un modello di breve periodo, non lo
aveva mai spiegato in modo esauriente. Il paradigma cui si rif
la teoria quantitativa convenzionale quello di un'economia sta-
tica di scambio e di produzione semplice, dove le transazioni tra
i diversi agenti avvengono per baratto. La teoria ortodossa in-
troduce la moneta come uno strumento efficiente per facilitare le
transazioni che altrimenti sarebbero possibili solo quando i con-
traenti manifestassero il bisogno reciproco dei beni scambiati.
La reciprocit dei bisogni necessaria perch abbia luogo il ba-
ratto, nel caso non esistano intermediari commerciali specializzati
che assumano posizioni creditizie o debitorie o che detengano
stock di merci. In un modello in cui la dimensione temporale, le
attrezzature produttive e le stesse imprese sono introdotte in
modo artificiale e che utilizza un concetto di moneta del tutto
astratto, variazioni nella quantit di moneta influiscono unica-
18 CAPITOLO PRIMO

mente sul livello dei prezzi: l'ammontare e la composizione della


produzione e dell'occupazione sono determinate esclusivamente
dal settore reale di baratto.
Nel Trattato sulla moneta Keynes utilizzava un concetto di
moneta pi verosimile di quello postulato dalla teoria tradizio-
nale, in quanto la moneta creata dalle banche rappresentava in-
direttamente un credito commerciale. Egli sosteneva che, nel
breve periodo, il meccanismo, mediante il quale variazioni nelle
variabili monetarie si ,ripercuotono sul livello dei prezzi senza
modificare sostanzialmente le variabili reali, funzionasse agendo
inizialmente sul finanziamento degli investimenti delle imprese.
Un aumento nella quantit di moneta tende in primo luogo a far
aumentare gli investimenti finanziati da posizioni debitorie e fa
quindi aumentare la quota degli investimenti nel prodotto glo-
bale. L'incremento degli investimenti, a sua volta, provoca un
eccesso di domanda aggregata rispetto all'offerta esistente. L'ec-
cesso di domanda, non potendo influire sull'ammontare del pro-
dotto, agisce sui prezzi. Va aggiunto che, una volta arrestata
la manovra creditizia espansiva, il rapporto tra investimenti e
prodotto ritorna al livello precedente.
Nella Teoria generale il principale interesse di Keynes non
pi il meccanismo mediante il quale la. moneta influisce sulla
quota degli investimenti, qualora il prodotto globale sia fisso, ma
l'individuazione dei fattori fondamentali che determinano il li-
vello della domanda e del prodotto aggregati. La quantit di mo-
neta rappresenta uno solo dei vari elementi che contribuiscono a
determinare la domanda aggregata; e talvolta pu verificarsi che
variazioni nella quantit di moneta non abbiano nessun effetto
sulla domanda aggregata. Fintantoch non si raggiunge un livello
di piena occupazione, la domanda aggregata a determinare il
rapporto tra risorse utilizzate e risorse disponibili. In tal modo
Keynes allarga il campo d'azione della teoria economica moneta-
ria facendo rientrare nel suo ambito l'esame delle determinanti,
fiscali e non, della domanda aggregata: la teoria economica mone-
taria diventa macroeconomia. Il suo obiettivo non pi quello di
stabilire il livello dei prezzi, ma la determinazione congiunta di
produzione, occupazione e prezzi.
Volendo definire la natura del contributo teorico di Keynes,
bisogna affrontare una questione fondamentale e cio decidere se
la Teoria generale rappresenti un semplice "abbellimento", otte-
LA 'TEORIA GENERALE' 19

nuto con l'aggiunta di definizioni pi appropriate e pittoresche,


delle idee contenute nel Trattato sulla moneta e in altri lavori del
filone quantitativo, o se essa costituisca invece una brusca rottura
rispetto alle teorie precedenti. nostra opinione che la Teoria
generale risponde a esigenze teoriche non riconducibili a quelle
che ispirano il Trattato sulla moneta, anche se questi lavori hanno
entrambi come oggetto d'esame i processi mediante i quali si ve-
rificano determinati fenomeni empirici (produzione e prezzi).
Nel Trattato sulla moneta il livello della produzione e dell'oc-
_cupazione invariabilmente determinato da fattori reali indipen-
denti da influssi monetari; si ipotizza che i meccanismi di mercato
di una economia capitalistica decentralizzata portino ineluttabil-
mente a uno stato che possiamo definire di piena occupazione; si
presume inoltre che i periodi di caduta dei livelli di occupazione
abbiano una natura transitoria e che siano imputabili ad aberra-
zioni non intrinsecamente proprie del sistema capitalistico, quali
per esempio errate manovre monetarie da parte della Riserva Fe-
derale o un sistema bancario poco stabile.
Nella Teoria generale si ritiene che in un'economia capitalistica
non esista affatto un meccanismo automatico capace di raggiun-
gere e di mantenere uno stato di piena occupazione; l'andamento
di una economia capitalistica essenzialmente ciclico.
Nel Trattato sulla moneta il comportamento del sistema eco-
nomico determinato da un apparato teorico che utilizza stru-
menti analitici quali la funzione della produzione ed elementari
sistemi di preferenze individuali; nella Teoria generale tale appa-
rato viene completamente abbandonato o comunque confinato a
occupare una posizione di secondo piano.
Nella Teoria generale la produzione di beni d'investimento
determinata in primo luogo dalla natura speculativa delle scelte
di portafoglio concernenti il finanziamento e il possesso di attivit
reali e finanziarie e non dalle caratteristiche tecnologiche del pro-
cesso produttivo. Uno dei temi di fondo della Teoria generale
che il fattore che pi direttamente influisce sugli investimenti va
individuato nel processo di valutazione delle attivit reali e fi_
nanziarie; Keynes afferma che queste ultime, oltre ad avere le ca-
ratteristiche proprie delle annualit (cio di titoli che annualmente
rendono un certo interesse), forniscono a chi le possiede, per il
semplice fatto di essere facilmente vendibili, un certo grado di
protezione nel caso debbano insorgere eventi sfavorevoli, contro
20 CAPITOLO PRIMO

i qu~li sia impossibile assicurarsi. Questa posizione teorica rap-


presenta un radicale cambiamento di analisi e di prospettiva ri-
spetto alla dottrina neoclassica degli investimenti; tale fatto per,
durante il processo interpretativo cui stata sottoposta la Teoria
generale, stato dapprima oscurato e poi del tutto ignorato. Cos
nella letteratura economica contemporanea non sono infrequenti
lavori che, nel tentativo di determinare i parametri di funzioni
"keynesiane" degli investimenti, sottopongono a esame econome-
trico modelli formulati in base a postulati tipici dell'approccio
della "funzione della produzione". Ricerche siffatte, proprio
perch fondate su premesse sbagliate, non possono necessaria-
mente riuscire a individuare funzioni degli investimenti economi-
camente significative. Grazie per all'abilit degli econometrici a
manipolare i dati empirici e alla simultaneit e multicollinearit
tipiche delle relazioni economiche, possibile che persino studi
cos mal formulati riescano a sembrare soddisfacenti da un punto
di vista meramente statistico.
Nel Trattato sulla moneta Keynes mostra di essere piena-
mente consapevole di quanto siano complessi i fenomeni reali che
la teoria monetaria chiamata a spiegare; egli avverte la necessit
di sostituire i rapporti meccanicistici della teoria quantitativa con
un'analisi delle decisioni e dei meccanismi di collegamento esi-
stenti sul mercato, che riesca a rendere intelligibili le osserva-
zioni empiriche. Il tentativo di chiarire il processo di determina-
zione del livello dei prezzi senza per abbandonare lo schema di
pensiero basato sull'assunzione di un'economia di baratto, porta
Keynes a compilare nel Trattato sulla moneta - cos com era
accaduto a D. H. Robertson ( 1926) - una complicata classifi-
cazione comprendente molte variabili, un insieme di definizioni
assai elaborate e sottili distinzioni circa le possibili varianti dei
concetti principali.
Nella Teoria generale Keynes spezza il legame fino allora esi-
stente tra teoria monetaria e teoria classica dei prezzi: i fenomeni
monetari cessano di avere un ruolo meramente passivo e diven-
tano invece uno degli elementi chiave nella determinazione del
comportamento dell'economia. Keynes cos in grado di spie-
gare l'andamento di un sistema capitalistico complesso in modo
molto pi chiaro e conciso rispetto alla teoria classica: nel suo
. modello il ciclo economico non si configura pi come fatto ano-
malo del quale la teoria non sa offrire spiegazione alcuna. Una
LA 'TEORIA GENERALE' 21

volta chiarito il vero significato dei fenomeni monetari, molte


delle sottili classificazioni introdotte nel Trattato sulla moneta
diventano superflue. Adesso il compito degli economisti non
pi quello di elencare gli innumerevoli sentieri di sviluppo lungo
i quali pu muoversi l'economia, bens quello di analizzare un
numero limitato di specifici stati sistemici, ciascuno dei quali ca-
ratterizzato da una particolare serie temporale.
In un certo senso i temi toccati dal Trattato sulla moneta e
dalla Teoria generale sono gli stessi: entrambi questi lavori vo-
gliono fornire una spiegazione del medesimo insieme di osserva-
zioni empiriche. Nessuna meraviglia quindi che molti passaggi del
Trattato sulla moneta sembrano gi prefigurare la Teoria gene-
rale, anche se naturalmente questa circostanza non deve far di-
menticare la soluzione di continuit esistente fra questi due
lavori.
Sebbene esamini le implicazioni derivanti da determinati com-
portamenti delle istituzioni finanziarie e abbia senso solo se ap-
plicata a un'economia capitalistica finanziariamente assai sofisti-
cata, la Teoria generale non contiene una descrizione dettagliata
delle istituzioni bancarie e finanziarie, presente invece nel Trat-
tato sulla moneta. Nel decidere se, e in che modo, queste due
opere si integrino a vicenda, necessario rendersi conto che l'a-
nalisi delle istituzioni finanziarie contenuta nel Trattato sulla
moneta fornisce lo sfondo per impostare i problemi finanziari di
un sistema capitalistico, oggetto di studio della Teoria generale.
Dunque, volendo "sintetizzare" le due opere, bisogna inserire
l'analisi istituzionale del Trattato sulla moneta nella struttura teo-
rica della Teoria generale.
La sostanza del messaggio keynesiano in materia di politica
economica (e cio che i periodi di crisi, che rappresentano uno
spreco di risorse umane e non, possono essere evitati) diven-
tato l'assioma politico fondamentale nella gestione dell'econo-
mia, anche se l'analisi in base alla quale Keynes aveva formulato
quel messaggio viene oggi rifiutata dagli esponenti della teoria
economica dominante. Questi ultimi, sebbene suggeriscano
combinazioni diverse di strumenti di politica economica e uti-
lizzino definizioni diverse di "piena occupazione", sono una-
nimemente concordi nell'affermare che esiste un numero ri-
stretto d strumenti di politica economica, concertando i quali
CAPITOLO PRIMO

possibile garantire il raggiungimento ( o quasi) della piena


occupazione.
Comunque, questa vittoria di Keynes sul piano pratico non
deve farci dimenticare che la sua analisi, seppure implicitamente,
porta a concludere che un'economia capitalistica intrinseca-
mente contraddittoria. Il sistema finanziario necessario per ga-
rantire al capitalismo forza e vitalit, il sistema cio che traduce
la "voglia di agire" degli imprenditori in domanda effettiva di
beni di investimento, pu dar luogo a un'espansione economica
esplosiva, messa in moto da un boom degli investimenti: in ci
consiste l'elemento contraddittorio del capitalismo. L'espansione
esplosiva si arresta in quanto ostacolata dalla fragilit stessa del
sistema finanziario, nel quale l'accumularsi di tensioni fa s che
variazioni anche modeste nelle grandezze finanziarie possano
provocare gravi difficolt. L'analisi di Keynes sul modo di ope-
rare dell'economia capitalistica, frutto com' di un esame dei
problemi decisionali in condizioni di estrema incertezza, porta
a concludere che la stabilit, anche quando sia il risultato di
una consapevole manovra di politica economica, ha effetti de-
stabilizzanti. Ammesso che la politica economica riesca a evitare
lo spreco di risorse provocato dalle crisi, le caratteristiche fi-
nanziarie proprie del capitalismo provocano la ripetizione pe-
riodica di momenti durante i quali assai difficile contenere, e
poi sostenere, il livello della domanda aggregata. Secondo Key-
nes i problemi derivanti da questo stato di instabilit cronica
possono essere risolti dirottando la domanda del settore privato
e di quello pubblico sempre pi verso i settori dell'economia
controllati dallo Stato, cos da ridurre gli effetti potenzialmente
disastrosi derivanti dall'instabilit dei mercati finanziari e degli
investimenti privati.
La teoria di Keynes, dunque, ha dato avvio a una rivoluzione
nel pensiero economico subito abortita o comunque mai com-
pletata. Keynes volle riformulare completamente la teoria eco-
nomica in risposta all'incapacit da parte della teoria tradizio-
nale di fornire una spiegazione coerente e univoca di ci che
negli anni trenta sembrava essere una delle caratteristiche pi
evidenti del sistema capitalistico: la tendenza a dar vita a pe-
riodi di stagnazione produttiva e di profonda crisi economica,
accompagnata da crolli finanziari. La sua nuova teoria non solo
LA 'TEORIA GENERALE' 23
forniva una spiegazione organica del ciclo e dei concomitanti
fenomeni finanziari, trasformando ci che per la teoria tradizio-
nale era eccezione in regola, ma suggeriva altres un insieme di
misure di politica economica destinate a controbilanciare gli
effetti negativi delle crisi. Inoltre, sebbene Keynes preferisse
una versione riformista del capitalismo a un puro regime socia-
lista, la sua teoria muoveva una profonda critica al capitalismo.
L'analisi contenuta nella Teoria generale doveva, secondo Key-
nes, indurre a concludere che il sistema economico allora vi-
gente andava sostituito con un'economia della distribuzione
molto pi egalitaria, fondata sul controllo sociale degli investi-
menti. Dal momento che il settore privato, mosso dal profitto,
non in grado di garantire il livello degli investimenti necessa-
rio per mantenere uno stato di piena ( o quasi) occupazione, si
rende necessaria "una socializzazione di una certa ampiezza del-
l'investimento" (TG p. 549).
La rivoluzione keynesiana abortita per vari motivi; innan-
zitutto la Teoria generale, come del resto molte altre opere dal
contenuto originale e innovatore, non un lavoro ben artico-
lato. La presenza delle vecchie idee incombe sulla nuova teoria,
che in gran parte espressa in modo poco accurato e spiegata
in maniera spesso insoddisfacente. Sebbene Keynes nella prefa-
zione affermasse che "la composizione di questo libro stata per
l'autore una lunga lotta d'evasione ( ...) da modi abituali di pen-
siero e di espressione" (TG p. 147), non riusc mai a liberarsi
completamente dalla tradizione. Del resto egli stesso ricono-
sceva che le vecchie idee si ramificano "in tutti gli angoli della
mente" (ibid.); cos ha pagato un tributo troppo alto alle vec-
chie teorie proprio in alcuni passaggi cruciali della sua analisi,
soprattutto in riferimento agli investimenti, ai tassi d'interesse
e alla valutazione delle attivit reali e finanziarie. Per compren-
dere in che cosa consista la novit dell'approccio keynesiano
necessario, rileggendo criticamente la Teoria generale, da un
lato ampliare e completare l'analisi di Keynes, traendo nuove in-
ferenze dagli elementi innovatori in essa contenuti, dall'altro
trascurare completamente le concessioni teoriche fatte alla dot-
trina tradizionale. Keynes infatti vuoi per il fascino discreto
dalle vecchie teorie sulle sue idee vuoi per il desiderio di vedere
adottata se non l'analisi teorica almeno la sua proposta di poli-
24 CAPITOLO PRIMO

tica economica, fu portato, pi o meno consapevolmente, ad


assumere un atteggiamento acquiescente nei confronti del pen-
siero economico tradizionale.
Un secondo motivo per cui la "rivoluzione" abortita pu
essere ascritto al fatto che Keynes rimase quasi completamente
estraneo al dibattito seguito alla pubblicazione della Teoria ge-
nerale e ancor oggi in corso. Gran parte delle rivoluzioni intel-
lettuali della nostra epoca sono state opera di studiosi giovani,
come Marx, Darwin, Freud ed Einstein, i quali, dopo la pub-
blicazione delle proprie opere, hanno avuto a disposizione un
lungo arco di tempo durante il quale partecipare in prima per-
sona al processo di affinamento delle proprie teorie, riuscendo
cos a dare alla versione originale, solo abbozzata e oscura, una
forma definitiva precisa e ben delineata. Questi studiosi pote-
rono, all'occorrenza, far rilevare particolari dati empirici a com-
prova delle loro idee, contraddire interpretazioni che ritenevano
errate, e far notare che le implicazioni delle loro teorie erano
pi vaste di quanto essi stessi avessero supposto in un primo mo-
mento.
Il decennio intercorso tra la pubblicazione della Teoria ge-
nerale e la scomparsa di Keynes non fu un periodo pacifico, de-
dicato alla ricerca scientifica. Solo nei primi mesi successivi alla
comparsa della Teoria generale Keynes si impegn a chiarire il
proprio modello rifiutandone certe interpretazioni: la replica
alla recensione di Viner, 1 un saggio sui tassi d'interesse apparso
in un libro in onore di Irving Fisher (Keynes, 1946) e una re-
plica a Ohlin sull"'Economic Journal" (Keynes, 1937b) sono le
tre occasioni pi importanti nelle quali egli tent di spiegare e
chiarire il suo pensiero.
Alla luce di questi brevi saggi di commento alla Teoria ge-
nerale, riesce difficile capire come abbia potuto guadagnare cre-
dito l'interpretazione oggi corrente della teoria keynesiana - in-
terpretazione che pu essere fatta risalire al modello proposto
da J. R. Hicks (1937) - secondo la quale l'introduzione della
1
Keynes (r937a). Le sole recensioni alle quali Keynes diede risposta erano ap-
parse sul numero del novembre 1936 del "Quarterly Journal of Economics"; Keynes,
nella sua replica, prese in esame soprattutto la lunga recensione di Viner, che defin
"il pi importante dei quattro articoli di commento" alla Teoria generale, riser-
vando agli altri tre (scrit da Leontief, Taussig e D. H. Robertson) solo qualche pa-
rola di circostanza.
LA 'TEORIA GENERALE' 25
preferenza per la liquidit nell'analisi di Keynes equivale all'in-
troduzione della nozione di velocit di circolazione variabile
nella teoria quantitativa tradizionale. Forse la spiegazione di ci
va ricercata nel modo in cui Hicks ha formalizzato e sempli-
ficato il modello di Keynes: Hicks infatti ha offerto agli econo-
misti una spiegazione chiara e semplice, utilizzando diagrammi
formalmente identici a quelli comunemente impiegati nell'ana-
lisi della domanda e offerta di beni. Keynes invece, nella sua
replica a Viner, aveva delineato in modo chiaro ma conciso,
senza diagrammi o calcoli algebrici, un modello di valutazione
delle attivit reali e finanziarie in situazioni di incertezza che i
suoi colleghi economisti avevano giudicato bizzarro e pi astruso
delle semplici formule di Hicks. Se si vuole cogliere l'essenza
della Teoria generale, necessario quindi tener ben presenti i
saggi successivi ad essa, dove Keynes ha chiarito la struttura lo-
gica, il contenuto teorico e le implicazioni pratiche della sua
opera.
All'inizio del 1937, poco dopo la pubblicazione della Teoria
generale, un grave attacco cardiaco pose fine alla partecipazione
di Keynes al dibattito sull'interpretazione del contenuto scienti-
fico della sua "rivoluzione". Quindi, col sopraggiungere della
seconda guerra mondiale, Keynes, ripresa la propria attivit
(ma lontano dal foro accademico), divent un'eminenza grigia
nell'ambito dell'apparato amministrativo statale. Nel nuovo con-
testo bellico, l'analisi teorica sull'utilizzazione delle risorse e della
spesa, che nella Teoria generale era stata sviluppata in riferi-
mento a una situazione in cui il rapporto tra domanda aggregata
e prodotto globale disponibile variabile, venne adoperata come
strumento per pianificare l'uso complessivo delle risorse in un'e-
conomia di guerra. Le idee di Keynes,. per poter essere appli-
cate praticamente, dovettero essern riformulate in modo affatto
diverso in quanto, in uno stato di guerra, il problema principale
non costituito da una domanda aggregata non sufficientemente
sostenuta (il caso originariamente considerato da Keynes), ma
dalla scarsit delle risorse disponibili. Per la teoria economica di un
periodo di guerra il problema della determinazione di un livello
soddisfacente degli investimenti privati e delle relazioni tra questi
ultimi e le variabili finanziarie, monetarie e psicologiche (le aspet-
tative) non sussiste, in quanto gli investimenti privati sono stret-
z6 CAPITOLO PRIMO

tamente vincolati da diretti controlli statali ed lo Stato stesso


a garantire le fonti di finanziamento alle attivit produttive ri-
tenute indispensabili. Nell'ambito di un'economia di guerra,
l'apparato teorico di Keynes poteva essere usato per stabilire
come contenere i consumi in modo da rendere disponibili mag-
giori risorse per impieghi bellici. L'applicazione della teoria
keynesiana ai problemi pratici posti dal conflitto fece s che la
funzione del consumo diventasse da elemento passivo uno dei
fattori chiave della teoria stessa. In guerra, cos come in una
economia socialista, la questione di fondo l'allocazione di ri-
sorse scarse, ovvero un problema economico che la teoria
neoclassica riesce ad affrontare in modo esauriente: quindi
ovvio che le prime applicazioni dell'analisi keynesiana siano
state riservate a quei suoi aspetti pi vicini al paradigma clas-
sico. L'analisi quantitativa degli aggregati economici espressi
come flussi (di reddito, per esempio), felicemente sperimentata
nella pianificazione bellica, avrebbe dato vita nel dopoguerra
alle previsioni econometriche. Negli anni sessanta gli econome-
trici utilizzavano ancora, nei loro modelli di previsione, teorie
della moneta, degli investimenti e del settore finanziario che si
attagliano pi a un'economia vincolata dal lato dell'offerta e
priva di problemi finanziari che non a un'economia dove la do-
manda aggregata determina il grado di utilizzazione delle risorse
ed a sua volta fortemente influenzata da problemi di carattere
finanziario.
Sia in Inghilterra che negli Stati Uniti il finanziamento dello
sforzo bellico comport un sostanziale incremento nell'ammon-
tare di debito pubblico e di crediti bancari nelle mani delle fa-
miglie, delle imprese e delle istituzioni finanziarie non bancarie.
Il risultato fu, nel primo dopoguerra, un considerevole raff or-
zamento del sistema finanziario che negli anni trenta si era di-
mostrato cos fragile. I problemi di fronte all'economia mon-
diale nei 'primi decenni del dopoguerra non erano quelli presi
in esame da Keynes nella Teoria generale: moneta e finanzia-
menti non rappresentavano un fattore decisivo nella determina-
zione della domanda reale aggregata.
Negli anni sessanta, molti economisti di dichiarata fede "key-
nesiana", soprattutto quelli addetti alla formulazione delle poli-
tiche economiche dei vari governi, proclamavano che il ciclo
LA 'TEORIA GENERALE'

economico e le crisi finanziarie prodotte endogenamente dal


sistema costituivano ormai solo un ricordo del passato, ora che
erano finalmente noti i segreti della politica economica. Nei
trent'anni successivi alla pubblicazione della Teoria generale
non si verific nessuna di quelle "anomalie" che la teoria tradi-
zionale non aveva saputo spiegare e che avevano provocato quel
periodo di crisi della scienza economica da cui era scaturita la
teoria di Keynes. In tutta la storia degli Stati Uniti dalla presi-
denza di George Washington a quella di Franklin D. Roosevelt,
impossibile trovare un arco di tempo trentennale durante il
quale non si siano verificate gravi crisi economiche e pericolosi
tracolli finanziari. Nel dopoguerra invece la prima crisi finan-
ziaria di una certa importanza avvenuta in America risale al-
l'autunno del 1966, vale a dire dopo oltre trentatr anni l'elezione
di Roosevelt a presidente.
Relativamente ai fenomeni empirici "anomali", le scienze
naturali sperimentali si differenziano dalle scienze sociali, i cui
dati di ricerca' sono un prodotto storico; nel caso delle scienze
naturali infatti, una volta che sia stato elaborato un esperimento
i cui risultati non siano spiegabili in base alla teoria tradizionale,
sempre possibile per qualsiasi studioso della materia ripetere
l'esperimento e ripro,durre quei risultati. Nel caso dell'economia
invece, se per trent'anni la storia non genera fenomeni che pur
vagamente somiglino a una crisi finanziaria o a una profonda
depressione, pu facilmente farsi strada l'ipotesi che, in realt,
crisi e depressioni siano solo miti, anomalie del passato dovute
a errori di misurazione, a sbagli di politica economica, a tempo-
ranee disfunzioni istituzionali, cui stato posto prontamente
rimedio. Si diffonde cio l'idea che in effetti lo scomodo pro-
blema per rispondere al quale in passato si era avvertito il bi-
sogno di trovare nuove teorie, non sia "mai" esistito. In tal modo
una teoria imperniata sulla nozione di ciclo economico, che
spiega l'andameqto del sistema in termini di instabilit finanzia-
ria, pu venir facilmente rimpiazzata da un'altra che analizza
la realt economica in termini di equilibrio e di crescita uni-
forme, in quanto impossibile reperire i dati empirici necessari
per convalidare la teoria del ciclo. Questo quanto accaduto
negli anni quaranta, cinquanta e sessanta, anni di successi econo-
mici, ottenuti grazie al concorso di politiche fiscali e monets-rie
apparentemente efficaci.
28 CAPITOLO PRIMO

La responsabilit dell'aborto della "rivoluzione keynesiana"


e della mancanza di una teoria keynesiana esauriente e formal-
mente elegante pu essere inoltre parzialmente attribuita alla
falsa convinzione che la teoria tradizionale, assorbite alcune
delle proposizioni di Keynes, abbia compiuto effettivi progressi
scientifici. Anche se gli economisti hanno sempre accettato come
teoricamente validi e scientificamente comprovati i postulati
della teoria del laissez-faire (secondo la quale il bene comune
viene assicurato da un regime di liberi mercati concorrenziali,
grazie all'intervento di una "mano invisibile"), solo dopo la fine
della seconda guerra mondiale gli economisti matematici sono
riusciti a provare in modo formalmente impeccabile la validit
di questi postulati in un'economia di mercato. Per fare ci, tut-
tavia, hanno dovuto imporre condizioni talmente restrittive da
mettere in dubbio la rilevanza pratica dei loro esercizi teorici.
In base alla presunta dimostrazione della validit del postulato
liberoscambista, si ritenuto che, se la teoria monetaria ( o ag-
gregata) pu trovare sostegno nella teoria matematica dell'equi-
librio economico generale, allora anche il comportamento di
una economia monetaria pu godere di propriet ottimali.
Per quanto riguarda lo studio di un'economia capitalistica
avanzata con una struttura finanziaria assai complessa, i suc-
cessi teorici della teoria economica pura degli anni cinquanta e
sessanta si dimostrano essere alquanto fittizi. Allo stato attuale
delle ricerche impossibile applicare anche uno solo dei prin-
cipali teoremi della teoria dell'equilibrio economicQ generale a
un sistema che ammetta l'esistenza del tempo e quindi dell'in-
certezza e dove moneta e finanza vengono definite in termini
realistici e sensati, tenendo cio conto del fabbisogno di fondi
per finanziare investimenti in attivit reali e finanziarie (Hahn,
1973). Cos quei teorici che hanno inseguito il miraggio di una
relazione coerente tra teoria microeconomica, formalmente im-
peccabile e scientificamente valida, e teoria macroeconomica,
ritenuta invece approssimativa e grossolana, si sono trovati in
mano un pugno di mosche: la microeconomia tanto grezza
quanto la macroeconomia. Il successo dell'una o dell'altra di-
pende dalla capacit di astrarre dalla realt in modo sensato; nes-
suna delle due in grado di dare una spiegazione esaustiva di
tutta la realt economica.
LA 'TEORIA GENERALE' 29
Infine un ulteriore fattore al quale si pu ascrivere il man-
cato completamento della "rivoluzione keynesiana" stato l'i-
niziale successo delle politiche economiche ispirate dalla inter-
pretazione neoclassica del pensiero keynesiano. Nell'immediato
dopoguerra la politica economica doveva mantenere una sola
promessa: evitare il ripetersi della Grande Crisi, il cui ricordo
era ancora assai vivo. Alcune semplici prescrizioni di politica
fiscale (intesa come sostegno della redditivit dei beni capitali
tramite agevolazioni fiscali e appalti pubblici) riuscirono a far
s che fosse raggiunta e mantenuta una situazione molto vicina
alla piena occupazione. L'interpretazione tradizionale della dot-
trina keynesiana port cos alla conclusione, di stampo conserva-
tore, che per evitare il succedersi delle crisi e per mitigarne la
durezza, bastassero delle riforme puramente "cosmetiche" delle
istituzioni del sistema capitalistico. Questioni concernenti la di-
stribuzione del reddito, la qualit del lavoro e il significato
stesso di "piena occupazione" rimanevano nel cassetto; nessuno
dubitava che i risultati positivi ottenuti dalla politica economica
tradizionale non si mantenessero indefinitamente. La "rivoluzione
keynesiana" abortita forse anche perch le ricette di politica
economica proposte dall'interpretazione tradizionale garantivano
il livello minimo di attivit economica allora ritenuto accetta-
bile, senza con ci richiedere un radicale cambiamento della
societ.
Ci sembra che nella storia economica contemporanea si stiano
ripetendo alcuni fenomeni gi verificatisi negli anni venti e
trenta: sono ricomparsi periodi di relativo ristagno economico,
nonch crisi e squilibri finanziari, oggi eufemisticamente defi-
niti "strette creditizie" e "scricchiolii del sistema finanziario".
L'inflazione sembra essere un malanno cronico persino dei paesi
pi avanzati. L'economia mondiale si sta comportando in un
modo che, dal punto di vista della teoria economica tradizionale,
appare del tutto anomalo. In tali circostanze una radicale reim-
postazione del pensiero economico, simile a quella tentata da
Keynes, ritorna ad essere un obiettivo allettante. La sintesi di
idee classiche e apparato analitico keynesiano, che Joan Robin-
son ha denominato "keynesismo bastardo", sembra sul punto
di disintegrarsi. Alla luce di questi recenti sviluppi, ci sembra
opportuno e fruttuoso estrarre dalla teoria keynesiana quegli
30 CAPITOLO PRIMO

elementi che mirano a una radicale revisione del pensiero eco-


nomico e verificare se sia possibile partire proprio d_aessi per
formulare una teoria alternativa a quella tradizionale.
Nelle pagine che seguono ci proponiamo: r) di esporre la
versione convenzionale della dottrina keynesiana, concludendo
con una presentazione della cosiddetta sintesi neoclassica: 2) di
derivare un'interpretazione alternativa del pensiero keynesiano,
basata su quegli elementi della Teoria generale che privilegiano
gli investimenti, in un sistema ciclico, segnato dall'incertezza;
3) di analizzare le implicazioni filosofiche e pi immediatamente
pratiche derivanti da un'interpretazione alternativa della teoria
keynesiana.
Capitolo 2

L'interpretazione tradizionale dell'opera di Keynes

Introduzione
Per comprendere a fondo perch il progetto di Keynes di
rivoluzionare il pensiero economico non si sia realizzato, ne-
cessario individuare quali concetti della Teoria generale sono
stati recepiti dall'odierna teoria macroeconomica ortodossa; bi-
sogna inoltre mostrare come proprio dalle idee keynesiane oggi
cadute in oblio derivi una visione del funzionamento del sistema,
dei limiti e delle potenzialit della politica economica del tutto
diversa da quella suggerita dalla macroeconomia tradizionale.
Ci significa che in questo capitolo dovremo dare forma com-
piuta a quanto nella Teoria generale appare solo in abbozzo,
colmando alcune lacune presenti nel discorso keynesiano. Que-
sto compito si rende indispensabile in quanto, nel corso del di-
battito accademico, alle idee keynesiane meno familiari all'e-
conomia ortodossa non stata data una formulazione precisa e
dettagliata, come invece avvenuto per quelle proposizioni della
Teoria generale assorbite dalla teoria macroeconomica conven-
zionale. Prima di proporre una lettura alternativa della teoria di
Keynes opportuno passare in rassegna le varie interpretazioni
che ne sono state date, in modo da mettere in risalto quale sia
l'opinione corrente dalla quale intendiamo prendere le distanze.
I modelli macroeconomici che possono vantare un certo ri-
scontro nella Teoria generale si possono suddividere in tre
gruppi. Il primo di questi si basa sulla funzione del consumo e
trascura in modo pressoch totale ogni altro elemento della
32 CAPITOLO SECONDO

Teoria generale. Il secondo gruppo vuole dare veste formale alla


condizione di equilibrio simultaneo sul merc::ato dei beni e su
quello monetario. Da questo gruppo ne deriva un terzo i cui
modelli, introducendo versioni assai semplicistiche di funzioni
della produzione e di sistemi di preferenza individuali, tentano
di rinvenire non solo, come i modelli del secondo gruppo, le
condizioni di equilibrio sul mercato dei beni e su quello mo-
netario, ma anche le condizioni di equilibrio sul mercato del
lavoro.
Nei modelli del terzo gruppo pu accadere che le condi-
zioni di equilibrio sui vari mercati non siano soddisfatte tutte
contemporaneamente. In linea di principio questa contraddi-
zione pu essere risolta in svariati modi. La soluzione che ha
trovato pi favore nella letteratura consiste nell'introdurre, tra
gli argomenti della funzione del consumo, la moneta e i titoli
finanziari. Questo tipo di analisi ci conduce a formulare un mo-
dello squisitamente "neoclassico", nel quale l'equilibrio sul mer-
cato del lavoro svolge un ruolo predominante nella determina-
zione dell'equilibrio dell'intero sistema economico. Quest'ultima
modifica del sistema "keynesiano" convenzionale non solo fa
violenza allo spirito della Teoria generale, ma ci riporta anche
indietro nel tempo, al mondo dell'economia "classica".
L'elemento chiave della cosiddetta sintesi neoclassica rap-
presentato dall'introduzione della moneta e di altre variabili fi-
nanziarie, intese come parametri determinati endogenamente, il
cui compito quello di stabilire (e di far slittare) la posizione
delle relazioni funzionali di un modello che utilizza idee e stru-
menti di derivazione keynesiana. Prima dell'introduzione di que-
sto tipo di relazioni finanziarie, i vari modelli basati su concetti
tratti dalla Teoria generale avevano portato a concludere che
un'economia capitalistica non pianificata intrinsecamente con-
traddittoria, in quanto non dispone di meccanismi interni capaci
di far raggiungere al sistema una posizione d'equilibrio di piena
occupazione. Il modello al quale si perviene introducendo va-
riabili finanziarie nella funzione del consumo, invece privo di
una tale contraddizione di fondo, anche se molti dei suoi stessi
sostenitori ammettono che il meccanismo di regolazione finan-
ziaria troppo labile e lento per poter essere utilizzato pratica-
mente nella gestione dell'economia. Se, nonostante tutto, il ca-
pitalismo rimane un sistema pieno di contraddizioni (soprattutto
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 33
per quanto riguarda il lato della domanda e dell'occupazione),
il motivo va cercato - questo il messaggio di tale modelli-
stica - al di fuori delle relazioni prese in esame dal modello.
Ecco quindi che l'evidente incapacit di un sistema economico
capitalistico di raggiungere e mantenere una situazione di piena
occupazione viene attribuita a certe "rigidit" d'aggiustamento
che impediscono il libero dispiegarsi dei processi di mercato
(salari rigidi, per esempio), oppure a certe disfunzioni istituzio-
nali (sistema bancario imperfetto, cattiva gestione dei sistemi
monetari) che smuovono il sistema dal suo naturale stato di
equilibrio e ostacolano il processo di riaggiustamento. La con-
clusione di questo ragionamento che le contraddizioni del ca-
pitalismo possono essere eliminate con misure di politica eco-
nomica o con cambiamenti minimi nelle istituzioni, tali da
superare la non-flessibilit di certe variabili e da evitare gli scos-
soni destabilizzanti. Questi modelli forniscono cos il fonda-
mento logico in base al quale si nega la necessit di riformare
profondamente un'economia capitalistica e si giustifica d'altro
lato un intervento attivo nella gestione dell'economia.
Il primo gruppo di modelli (basati sulla funzione del con-
sumo) qui di seguito preso in esame prescinde completamente
dai fenomeni monetari. Sebbene da questi modelli si possano
dedurre i teoremi del bilancio in pareggio e del drenaggio fi-
scale, d'altra parte essi non ci permettono di esaminare fino in
fondo le conseguenze derivanti dal fatto che parte della spesa
pubblica finanziata da prestiti. La funzione del consumo inol-
tre si presta facilmente ad essere accoppiata a teorie degli inve-
stimenti basate sull'acceleratore o sul coefficiente di capitale:
dal connubio scaturiscono dei modelli di ciclo economico piut-,
tosto meccanicistici (modelli acceleratore-moltiplicatore) e mo-
delli di crescita la cui variabile chiave il coefficiente di capitale.
La funzione del consumo non solo rappresenta un elemento
chiave dei modelli dinamici, ma costituisce anche il fondamento
teorico della maggior parte dei modelli econometrici strutturali,
utilizzati a scopo previsionale. Il dibattito sulla cosiddetta poli-
tica economica keynesiana dominato dai modelli imperniati
sulla funzione del consumo, senza menzione alcuna di quei mo-
delli pi raffinati che invece considerano le interazioni tra pro-
cessi monetari e processo d'investimento.
34 CAPITOLO SECONDO

Keynes per era essenzialmente un economista monetario,


e cos nel secondo gruppo di modelli di derivazione keynesiana
alla funzione del consumo vengono aggiunte relazioni funzio-
nali attinenti alle scelte di portafoglio e d'investimento. Il mo-
dello pi rappresentativo di questo gruppo un'elaborazione di
un modello originariamente proposto da ]. R. Hicks ( 1937) per
tentare di spiegare quali a suo parere fossero i collegamenti esi-
stenti tra la Teoria generale e i cosiddetti classici (cio la scuola
marshalliana). Il modello di Hicks introduce esplicitamente nel
meccanismo di determinazione del reddito la domanda e l' of-
ferta di moneta. Questo schema teorico (usualmente definito
IS-LM) ispir l'opera di Al vin Hansen ( 1949), nella quale veni-
vano suggerite le misure di politica economica ritenute neces-
sarie per risolvere i problemi dell'economia statunitense nel pe-
riodo a cavallo della seconda guerra mondiale; di solito ci si
riferisce a questo tipo' di approccio come al modello Hicks-
Hansen.
Aggiungendo al mercato dei beni e della moneta (presi in
esame dallo schema Hicks-Hansen) una versione aggregata del
mercato del lavoro possibile dare una formulazione esplicita
del modello classico, nel quale proprio il mercato del lavoro
svolge un ruolo dominante. Il modello cos allargato ci consente
di dimostrare come sia possibile ottenere un equilibrio dinamico
di non piena occupazione, in quanto un eccesso di offerta sul
mercato del lavoro pu non comportare un aumento della do-
manda aggregata. Lo schema Hicks-Hansen pu essere ulterior-
mente arricchito introducendo nella funzione del consumo la
ricchezza e altre variabili monetarie. Grazie a questa modifica
introdotta originariamente da Don Patinkin ( 1965), si perviene
alla conclusione che la moneta neutrale nel senso che, date
certe condizioni, si dimostra che il valore d'equilibrio di tutte le
variabili economiche (escluso il livello dei prezzi) indipen-
dente dall'offerta di moneta. Le condizioni necessarie per pro-
vare la validit di questa asserzione sono fondamentalmente due:
1) l'offerta di moneta deve essere di tipo "esterno" ( consistere
cio di debito pubblico o di moneta metallica); 2) un eventuale
eccesso di offerta sul mercato del lavoro deve dar luogo a una
riduzione dei prezzi e dei salari monetari.
La teoria macroeconomica sembra cos tornata al punto di
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 35
partenza in quanto riafferma, in linea di principio, la neutralit
della moneta, cio il teorema centrale della teoria quantitativa
classica. Nel recensire la Teoria generale Wassily W. Leontief
(1936, p. 193) scriveva che una delle assunzioni fondamentali
della teoria dell'equilibrio economico generale che "tutte le
funzioni di domanda e di offerta, dove i prezzi rappresentano
le variabili indipendenti e la quantit la variabile dipendente,
sono funzioni omogenee di grado zero". Nella sua breve replica
di commento Keynes (1937a) neg assolutamente la validit di
tale postulato dell'omogeneit, argomentando che "l'esperienza
ci fornisce innumerevoli prove che contraddicono questo po-
II
stulato e che "in ogni caso sta a coloro che fanno questa as-
sunzione assai restrittiva giustificarne la validit, piuttosto che a
coloro che non la fanno, provarne la non-generalit" (p. 209).
Keynes aggiunge che il postulato secondo il quale le funzioni
di domanda sono omogenee di grado zero "fa la propria com-
parsa nello schema teorico ortodosso ( ...) a proposito del ruolo
svolto dalla quantit di moneta nella determinazione del saggio
d'interesse" (ibid.). Nel modello di Keynes quindi il saggio
d'interesse non una funzione omogenea di grado zero rispetto
alla quantit di moneta, mentre nello schema tradizionale que-
sta assunzione svolge un ruolo decisivo.
La teoria quantitativa della moneta, che Keynes aveva ten-
tato di seppellire, ha fatto la sua ricomparsa trionfale, arric-
chita di nuovi elementi teorici apparentemente keynesiani, tra
gli economisti accademici. Dalla fine degli anni sessanta all'ini-
zio degli anni settanta una versione semplicistica della teoria
quantitativa ha vissuto, sotto le vesti di dottrina monetarista,
un breve periodo di splendore come base teorica per la politica
economica.
In questo capitolo esporremo i vari modelli keynesiani tra-
dizionali nonch la sostanza del modello neoclassico, mentre in
quelli successivi cercheremo di portare alla luce quelle idee pre-
senti nella Teoria generale e negli altri scritti di Keynes ad essa
successivi solitamente ignorate dalla tradizione ortodossa. Com-
binando le idee di Keynes cadute in oblio e alcuni concetti tratti
dai modelli tradizionali, saremo in grado di avanzare una nuova
interpretazione della Teoria generale, radicalmente diversa da
quella corrente.
CAPITOLO SECONDO

I modelli basati sulla funzione del consumo


Nella Teoria generale Keynes elabor la funzione del con-
sumo allo scopo di identificare la componente passiva, cio pre-
determinata, della domanda aggregata: la funzione del consumo
non assolutamente, per riprendere un'espressine di Gardner
Ackley ( 196 r ), "il cuore della macroeconomia contemporanea",
se per macroeconomia contemporanea si intende Keynes. Se-
condo Keynes infatti la funzione del consumo non null'altro
(se vogliamo utilizzare un'analogia anatomica) che lo scheletro
inerte della macroeconomia, scheletro che d'altronde condi-
ziona la reazione del sistema economico agli stimoli esterni.
Il carattere passivo della spesa per consumi ha due aspetti.
Per le classi lavoratrici, prive di risorse finanziarie, necessario
che i salari ( o i contributi sociali) siano gi stati pagati ( o siano
pagati simultaneamente o comunque ne venga assicurato il pa-
gamento futuro) perch possa avere luogo una spesa per con-
sumi. Per le classi detentrici di ricchezza, piene di risorse firi~n-
ziarie, l'ideologia del non intaccare il capitale fa s che la spes~
per i consumi tende a dipendere dal reddito netto piuttosto che
da quello lordo. Quindi, poich_?i assume che il finanziamento
esterno non abbia pressoch nessun influsso sulla spesa per con-
sumi, quest'ultima non d luogo a nessun residuo finanziario,
sotto rorma di impegni di pagamento futuri.
La validit di questa concezione di consumo non assoluta,
in quanto dipende dall'assetto e dai costumi sociali. Se, e in
quale misura, considerazioni di carattere finanziario influenzino
il consumo dipende dalle circostanze: lo sviluppo di sistemi di
vendite rateali (iniziatosi negli anni venti e continuato nel se-
condo dopoguerra) ha fatto s che la connessione tra redditi
dei lavoratori e spese delle loro famiglie sia oggi molto pi
labile che in passato. Lo sviluppo degli schemi assistenziali e dei
contributi sociali ha allentato il legame tra occupazione e spesa
per consumi. Inoltre, tenuto conto della distribuzione dei red-
diti in un'economia 'Capitalistica come quella degli Stati Uniti,
una quota molto cospicua della spesa globale per consumi (che
una stima per difetto fa ammontare al 20 per cento) viene
effettuata da quel 5 per cento dell'intera popolazione che
si trova nella parte alta della distribuzione dei redditi. , Que-
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 37
-~to 5 per cento_gella popolazion(!_dispone di ampie risorse finan-
ziarie e quindi le sue decisioni di consumo vengono influenzate
dal valore dello stock di beni capitali determinato sul mercato
azionario. Quindi la dipendenza funzionale della spesa per con-
sumi dal reddito d:i l:ivoro, pur essendo e restando una buona
prima approssimazione a Iivello teorico, a livello empirico una
proposizione la cui validit per un paese come gli Stati Uniti
certo minore oggi rispetto a trentacinque anni fa.
Perch l'economia possa espandersi necessario si verifichi
un processo di accumulazione: questo quanto ci dice la teoria
economica, la quale afferma altres che il diverso grado di pro-
sperit goduto nei vari paesi dipende dalla possibilit di utiliz-
zare per la produzione i frutti dell'attivit di accumulazione
svolta in passato. L'accumulazione a sua volta dipende dall'esi-
stenza di un sovrappi, vale a dire dall'esistenza di una diffe-
renza (positiva) tra prodotto globale e la somma di consumo
immediato e di ammortamento. Secondo Marx esiste un sovrap-
pi in quanto i lavoratori rion possono riacquistare per intero
ci che essi stessi hanno prodotto. Secondo Keynes la fonda-
mentale legge psicologica che governa l'andamento del con.:
sumo determina il modo in cui il sovrappi varia al variare di
altre grandezze (in primo luogo il reddito)l Sebbene nella Teo-
ria generale vi siano passi che accennano alla relazione tra classe
sociale e consumo e sebbene nelle opere di economisti keyne-
siani (quali Nicholas Kaldor e Joan Robinson) la connotazione
di classe del reddito influisca sulle propensioni al risparmio, in
generale per la letteratura keynesiana tradizionale fissa la legge
che stabilisce l'ammontare del sovrappi (cio la funzione del
consumo) in modo tale che il consumo determinato da un'en-
tit omogenea e indistinta definita reddito.
L'affermazione che "la funzione del consumo il cuore della
macroeconomia" pu vantare una qualche plausibilit in tanto
in quanto la ricerca econometrica riuscita a stimare empirica-
mente con discreto successo alcune funzioni del consumo. Que-
ste ultime, una volta stimate, servono come base a modelli il cui
scopo prevedere o addirittura controllare l'andamento del-
l'economia. La stima delle funzioni del consumo fornisce il
punto d'appoggio archimedeo a tutta una generazione di mo-
delli econometrici il cui interesse rivolto alla gestione dell'e-
conomia. Il fatto stesso che il consumo si presta cos bene
CAPITOLO SECONDO

all'analisi econometrica rappresenta una comprova che esso co-


stituisce la componente passiva della spesa globale endogena,
quella dall'andamento pi facilmente prevedibile. quindi molto
pi agevole individuare le leggi che regolano le reazioni di tale
componente passiva che non quelle assai pi complesse sotto-
stanti alle attive forze motrici che determinano il livello del
reddito.
Dall'idea che il consumo sia una determinata funzione del
reddito, pressoch indipendente da fattori finanziari e monetari,
deriva un modello economico assai elementare che la maggior
parte dei libri di testo presenta come il "primo" esercizio della
teoria della determinazione del reddito. Siccome il consumo pu
essere suddiviso in consumo di prodotti durevoli, non durevoli,
di automobili, di servizi, di abitazioni ecc., questo semplice mo-
dello di partenza pu venir "complicato" a piacere, senza che
con ci aumenti il suo grado di raffinatezza intellettuale. Negli
anni cinquanta e sessanta, nell'ambito della modellistica macro-
economica, i modelli basati sulla funzione del consumo (dove i
consumi venivano suddivisi in varie categorie) vennero a costi-
tuire uno dei principali elementi dell'armamentario econometrico.
Questi modelli semplicistici basati sulla funzione del con-
sumo trovano assai scarso riscontro nella lettera keynesiana.
Keynes infatti non dedic molto spazio alla funzione del con-
sumo: il libro terzo ("La propensione al consumo") occupa solo
45 pagine della Teoria generale, mentre il libro quarto ("L'in-
centivo a investire") consta di ben r 2 7 pagine. Secondo Keynes
(TG p. 273) l'occupazione nel settore degli investimenti di
primaria. importanza, mentre quella nel settore dei beni di con-
sumo ha un carattere secondario, non autonomo.
La base teorica della funzione del consumo , nelle parole di
Keynes, la seguente:
La legge psicologica fondamentale, sulla quale siamo autorizzati a ba-
sarci con grande fiducia, sia a priori per la nostra conoscenza della natura
umana, sia per i fatti particolareggiati dell'esperienza, che, di norma e in
media, gli uomini sono disposti ad accrescere il loro consumo con l'au-
mentare del reddito, ma non tanto quanto l'aumento del loro reddito
(TG p. 256).

L'esatta entit numerica di tali aumenti varia sia al variare del-


l'arco temporale preso in esame che al variare di altre variabili pi
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 39
strettamente economiche. La "legge psicologica fondamentale"
valida soprattutto "quando si considerano periodi brevi, come nel
caso delle cosiddette fluttuazioni cicliche dell'occupazione, du-
rante le quali le abitudini ( ...) non hanno il tempo necessario per
adattarsi al mutare delle circostanze oggettive 11 (TG p. 2 56). "Cos
un reddito crescente sar spesso accompagnato da un risparmio
crescente, e un reddito discendente da un risparmio discendente,
su pi vasta scala all'inizio che successivamente" (TG p. 257).
Durante il ciclo la relazione tra reddito e consumi, secondo
Keynes, si articola cos: in un primo momento il livello del
consumo, in termini assoluti, rimane stabile e costante, per poi
adeguarsi a un nuovo livello di lungo periodo, stabilito in base
all'andamento del reddito; ovvero il rapporto consumo/reddito
aumenta (diminuisce) quando il reddito si mantiene su livelli
elevati (modesti) per un lungo periodo di tempo. Questo sfasa-
mento temporale tra variazioni del consumo e variazioni del
reddito durante il ciclo economico ha indotto alcuni economi-
sti posteriori a Keynes a ritenere che il consumo sia connesso,
piuttosto che al reddito corrente effettivamente percepito, a un
diverso concetto di reddito (spesso etichettato "reddito perma-
nente") il cui valore numerico si ottiene ponderando una serie
di redditi passati.
Nel corso del dibattito accademico seguito alla comparsa
della Teoria generale si verificato un considerevole cambia-
mento di prospettiva nei confronti del concetto stesso d con-
sumo e delle sue determinanti. Nella teoria keynesiana dell'oc-
cupazione, il consumo non che una componente della domanda
effettiva aggregata. Introducendo quest'ultima nell'inverso della
funzione dell'offerta aggregata si ottiene la domanda di lavoro;
quindi secondo Keynes il consumo va sempre riferito al livello
corrente dell'attivit produttiva.
Nel mondo ipotizzato dall'economia neoclassica i sistemi di
preferenze suppongono che gli individui "consumino 11 il flusso
di servizi ottenuti dai beni di consumo durevole (dalle autovet-
ture, per esempio) nonch i servizi abitativi (derivanti cio dallo
stock di case per abitazione). Il concetto di consumo implicito
in questa teoria comprende, oltre la quota di prodotto consu-
mata nel periodo corrente, il flusso di servizi che scaturiscono
dall'accumulazione passata di beni di consumo durevole e di
CAPITOLOSECONDO

edifici per abitazione. Secondo questa definizione di consumo


perci gran parte della produzione di beni di consumo durevole
e di abitazioni viene considerata come una particolare forma
d'investimento. La concezione di consumo come flusso di ser-
vizi, seppure soddisfacente dal punto di vista della teoria eco-
nomica neoclassica (in quanto coerente con il concetto di con-
sumo utilizzato nell'ahalisi microeconomica), per fuorviante
se applicata alla teoria dell'occupazione. Per quest'ultima in-
fatti necessaria una teoria che spieghi la spesa delle famiglie
in "prodotti", la cui produzione corrente richiede l'impiego di
lavoro, e che prescinda dal periodo in cui tali prodotti verranno
effettivamente consumati e dal modo in cui verr finanziato il
loro acquisto.
Nella letteratura economica il concetto di reddito pi ade-
guato per la funzione del consumo stato oggetto di un vivace
dibattito. Secondo alcuni studiosi la spesa per consumi non
determinata da:l reddito corrente ma dal reddito permanente o
dal reddito percepito durante tutto l'arco dell'esistenza in vita.
Tali concetti di reddito implicano che l'orizzonte temporale in
base al quale ciascun nucleo familiare pianifica la propria spesa
in ~eni di consumo molto esteso o addirittura comprende l'in-
tero arco di esistenza in vita. Questi due tipi di reddito dipen-
dono sostanzialmente dal rendimento ricavato dalla propriet di
fattori produttivi utilizzati nel processo economico. Siccome la
"produttivit marginale" di un fattore produttivo, in un mondo
dove regna la piena occupazione, non soggetta a variazioni -re-
pentine, ciascun nucleo familiare pu farsi un'id.ea abbastanza
precisa sull'ammontare di reddito in termini reali che i fattori
produttivi in suo possesso potranno percepire in futuro. Si as-
sume quindi che: a) ciascun nucleo familiare, e tutti gli agenti
che con esso hanno rapporti finanziari, possa stimare abbastanza
accuratamente i propri redditi reali attesi; b) il consumo si
adegui al reddito reale atteso.
Non appena per si ammette che le varie unit economiche
hanno solo un'idea incerta e soggetta a variazioni cicliche dei
propri redditi futuri e si nota altres che parte delle spese per
consumi vengono finanziate ricorrendo a prestiti esterni, si vede
come l'usuale concetto di reddito permanente o di reddito per-
cepito durante il ciclo di vita sia poco adatto per stabilire il li-
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 41

vello corrente dei consumi. A tale scopo si dimostra invece pi


adeguata una versione modificata di reddito permanente, che
tiene conto dell'incertezza e delle condizioni finanziarie dei vari
nuclei familiari. Mentre il concetto tradizionale di reddito per-
manente presume che, nel corso del ciclo, il consumo agisca da
fattore stabilizzante, al contrario la versione alternativa di red-
dito permanente ammette la possibilit che il consumo abbia un
andamento prociclico.
Keynes riteneva che, a prescindere da variazioni di breve
periodo del livello del reddito, un aumento nel livello assoluto
del reddito tendesse, di norma, ad allargare il divario tra red-
dito e consumo:
Per queste ragioni - scrive Keynes (TG p. 257) - la frazione del red-
dito che viene risparmiata aumenter di norma col crescere del reddito
reale. Ma aumenti o no la frazione risparmiata, assumiamo come legge
psicologica fondamentale di qualsiasi collettivit moderna che, quando il
suo reddito reale aumenta, essa non aumenter il suo consumo per un eguale
ammontare assoluto.

Proprio perch il consumo non un fattore attivo e deter-


minante (anzi passivo e determinato), importante stabilire
con precisione il modo in cui esso si adatta a fattori economici
obiettivi. Una volta compreso il meccanismo del consumo sar
possibile conoscere, in termini quantitativi, gli effetti di varia-
zioni dei fattori determinanti, vale a dire investimenti e spesa
pubblica.
Keynes, oltre alle variazioni del livello del reddito, ha elen-
cato molti altri fattori obiettivi che influiscono sulla propensione
al consumo. Di particolare importanza per sviluppi teorici suc-
cessivi stata la definizione di reddito data da Keynes a pro-
posito delle classi non a reddito fisso, laddove spiega la
differenza tra reddito lordo e reddito netto ( ovvero reddito
disponibile) e il modo in cui guadagni e perdite in conto ca.pi-
tale (non incluse nella misurazione del reddito) influiscono sul
consumo. Keynes inoltre ha esaminato gli effetti sul consumo
dei saggi d'interesse, delle variazioni attese del livello dei prezzi,
della politica fiscale e finanziaria sia del governo che del settore
privato, delle aspettative sui redditi futuri. Dopo aver e~~ncato
sommariamente questi fattori, Keynes conclude:
42 CAPITOLO SECONDO

La propensione al consumo pu essere ritenuta una funzione abbastanza


stabile (. ..) Variazioni accidentali dei valori capitali potranno variare la
propensione al consumo, e variazioni considerevoli del saggio d'interesse
e della politica fiscale possono provocare qualche differenza (...) Ci non-
dimeno il reddito complessivo misurato in termini di unit di salario di
norma la variabile principale dalla quale dipender l'elemento consumo
della funzione di domanda complessiva (TG pp. 255 sg.).

La funzione del consumo, secondo Keynes, importante in


quanto tramite essa si ottiene il moltiplicatore, cio quel mecca-
nismo che spiega in che senso
la variazione del volume dell'occupazione sar una funzione della varia-
zione netta dell'ammontare dell'investimento ( ...) Bisogna rivolgersi al
principio generale del moltiplicatore ( ...) per spiegare come fluttuazioni
dell'ammontare dell'investimento, le quali rappresentino una parte relati-
vamente piccola del reddito nazionale, possano generare fluttuazioni del-
l'occupazione e del reddito di ampiezza tanto maggiore di esse stesse
(TG pp. 273 e 282).

Ecco quindi che la relazione di lungo periodo tra consumo e


reddito viene relegata in secondo piano: ci che a Keynes inte-
ressava era la funzione del consumo ciclica, in quanto ci che
intendeva spiegare erano proprio le oscillazioni cicliche del-
l'economia.
Il modello basato sulla funzione del consumo pu essere scritto
in una.semplice forma lineare:
Y=C+l
C=a 0 +a 1Y
I =1 0

dove a 1 indica la propensione marginale al consumo, Y il reddito,


C i consumi, I gli investimenti. Poich in questo modello le va-
riazioni del livello dei prezzi non possono esercitare influenza
alcuna sull'andamento del sistema economico, possiamo igno-
rarle del tutto: che Y, C e I siano espressi in termini reali o nomi-
nali non ha conseguenza alcuna.
Possiamo ora derivare la relazione del moltiplicatore
a0 +1
Y = --- r . I. .
r -a 1
dove ---
r -a
=k rappresenta il mo tip 11catore
1
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 43
cosicch
Y = ka0 +kl.
Questo modello pu essere ampliato con estrema facilit: i con-
sumi, per esempio, possono divenire funzione del reddito dispo-
nibile, Y v, definito come la differenza tra il reddito, Y, e le
imposte, T, nella domanda aggregata possiamo includere la spesa
pubblica, G:
Y =C+l+G
Yv=Y-T
C = ao+a1Yv ovvero
C = a0 +a 1(Y-T).
In questo modello la relazione del moltiplicatore assume la
frma:
Y= ao+l+G-a1T
1-a 1

1
dove - il moltiplicatore degli investimenti e della spesa
-
.r-ai
pu bbl1ca
e a1 e'1 1 mo 1
tip 1
1catore dli
e e imposte. A ssu-
r -a 1
mendo che
1
AY= AG --a -AT e AG=AT,
r -a 1 1 -a 1 '

otteniamo
AY=AG,
ovvero la versione pi elementare del teorema del bilancio in
pareggio, secondo il quale un incremento di pari entit della
spesa pubblica e delle entrate fiscali provoca un incremento di
eguale valore nel livello del reddito.
Inoltre, se vogliamo tener conto delle imposte sui redditi, le
entrate fiscali diventano una funzione del reddito:
T=ro+r1Y
dove Yo e r1 sono dei parametri decisi a livello politico; il mo-
dello diventa:
44 CAPITOLO SECONDO

Y =C+l+G
Yv = Y-ro-Y1Y
C = aa+a1(Y-ra-r1Y).

In questo caso la relazione del moltiplicatore la seguente:


y::: ao-a1ro+l+G.
r -ai +r1a1

Siccome r -ai +r1a1> r -ai, il moltiplicatore in un modello dove


le imposte sono funzione del reddito minore del moltiplicatore
in un modello dove quest'ultime sono indipendenti dal reddito.
Quindi un sistema di imposte connesse al reddito contribuisce a
limitare l'effetto espansivo (recessivo) di un aumento (diminu-
zione) degli investimenti o della spesa pubblica.
Alla funzione C1 = a0 +a 1Y si pu aggiungere una teoria degli
investimenti basata su una relazione tecnologica del tipo Y = vK
oppure AY = vAK, cio I= ( r /v) AY::: [iAY, dove v indica il
prodotto per unit di coefficiente di capitale e (3 indica il capitale
per unit di prodotto. La connessione tra investimenti e reddito
pu assumere la seguente forma funzionale: / 1 = [i(Y1_1-Y1-2)
dove (Y1_1 -Y 1_i) indica la pi recente variazione del reddito
registrata al tempo t. Per simmetria scriviamo C 1 ::: aY 1_ 1 cosic-
ch il consumo dipende dal pi recente valore del reddito il cui
incasso sia stato registrato al tempo t; Mettendo insieme queste
due ultime relazioni otteniamo:

Yr = (a+ fi)Y1-1-fiY1-2
ovvero una versione del modello acceleratore-moltiplicatore.
Come risulta dalla figura 2.r, questa equazione alle differenze
finite del secondo ordine in grado di generare tutta una gamma
di diverse serie temporali del reddito a seconda dei valori assunti
dai parametri a e [i. Se (a+fi)2-4[i minore (maggiore) di zero,
la serie temporale avr un andamento ciclico (monotonico). Se
{i maggiore (minore) dell'unit, la serie temporale avr un
andamento esplosivo (smorzato). Per questa sua versatilit il
modello acceleratore-moltiplicatore pu essere utilizzato come
punto di partenza per esporre in modo meccanicistico l'anda-
mento ciclico dell'economia. Nei prossimi capitoli mostreremo
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 45

--
o:
1
Monotonico ;f
smorzato / ..........
, Mono~onico
I , esplosivo
~
I (a + /3)2 - 4/3= o_.....,
'
I
I
I
''
I
I
Ciclico esplosivo
'' \
\
I Ciclico \
J smorzato \,
I

o 4

Figura 2.1
Serie temporale generata dai modelli acceleratore-moltiplicatore.

come una tale spiegazione meccanicistica del ciclo economico


contraddica lo spirito dell'opera di Keynes.
La funzione del consumo pu essere usata anche per generare
dei modelli meccanicistici del processo di crescita. Assumiamo
che per produrre un'unit di prodotto siano necessarie v unit
di capitale e assumiamo che, in condizioni di piena occupazione,
una percentuale s di reddito venga risparmiata. Avremo quindi
l=sY e Y=vK cosicch AY=vl
.
CIO e
' otteniamo

AY AY
--=sY ovvero --=sv
V y '
.
ch1amato g 11sagg10
. d'1 crescita
. yAY avremo:

g=sv.
Ecco quindi che la funzione del consumo nella sua versione
pi elementare pu essere utilizzata come punto di partenza per
due gruppi di modelli apparentemente dinamici: i modelli
acceleratore-moltiplicatore e i modelli di crescita unisettoriali.
Il modello base di funzione del consumo pu essere ulterior-
mente elaborato, classificando il consumo in varie sottocategorie.
CAPITOLOSECONDO

Per esempio, C 1 ... Cn possono indicare vari tipi di consumi


(servizi, beni durevoli e non ecc.) e / 1 In possono indicare vari
tipi di investimenti (abitazioni, servizi pubblici, scorte, prodotti
industriali). Certe categorie di beni di consumo e di investimento
possono essere espresse come funzioni dei redditi percepiti in
passato, dei saggi d'interesse eccetera. Il modello per, a prescin-
dere da quanto complicata possa essere la classificazione dei beni
di consumo e di investimento, rimane sempre della forma
Y="f.k;X;

dove k; il moltiplicatore associato alla variabile esogena (o pre-


determinata) X;.
Volendo applicare praticamente tali concetti, il passo succes-
sivo dovrebbe ovviamente essere la stima empirica delle varie
funzioni del consumo e degli investimenti che compaiono nel
modello cos da determinare i vari moltiplicatori k 1 kn. Questi
modelli per, a causa dei postulati di partenza, possono dirci ben
poco sulla realt che ci circonda. La stima empirica delle varia-
zioni di breve periodo degli investimenti non pu essere anno-
verata tra i successi della ricerca econometrica. Molti dei modelli
comunemente impiegati hanno addirittura rinunciato del tutto
al compito di stimare gli investimenti partendo da relazioni fun-
zionali intese a cogliere sottostanti regolarit economiche; al con-
trario essi, per ottenere stime degli investimenti, /, si basano su
risultati di inchieste (risposte degli imprenditori a questionari
sulla situazione economica).
I primi modelli econometrici di previsione, pur con diverse
sfumature, avevano tutti appurato che i saggi d'interesse, i fe-
nomeni monetari e i rapporti finanziari non svolgono un ruolo
statisticamente significativo nel determinare il livello del red-
dito. Questi modelli tendevano a dare della realt un quadro dal
quale risultava che l'efficacia della politica fiscale non dipende
affatto dalle condizioni finanziarie. Essi facevano riferimento
solo a uno dei molteplici aspetti della Teoria generale e quindi,
rappresentandone una ipersemplificazione, tradivano lo spirito
delle idee di Keynes. Il fallimento, o il successo, dei modelli
econometrici di previsione che non analizzano a fondo il settore
finanziario, non costituisce affatto un test della validit della
teoria di Keynes.
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 47
Un concetto chiave della Teoria generale la nozione di in-
certezza, intesa come uno dei principali fattori che determinano
le scelte di portafoglio e quindi gli investimenti. I modelli eco-
nometrici basati sulla funzione del consumo invece fanno perno
sull'assunzione che, se gli strumenti di politica economica sono
fissati a un particolare livello, l'economia pu essere perfetta-
mente regolata cos da mantenersi in un perpetuo stato di
piena occupazione. Secondo la visione di Keynes, al contrario,
ammesso si riesca a raggiungere per un certo periodo uno stato
di piena occupazione, gli imprenditori e i proprietari di ric-
chezza cambieranno opinione circa l' "incerto" futuro che li
attende; di conseguenza, raggiungere e mantenere la piena oc-
cupazione implica un aumento esplosivo della domanda. Per
Keynes la stabilit di ogni fase del ciclo economico viene pertur-
bata dagli effetti dell'incertezza e dalle conseguenti ripercussioni
finanziarie. Tutto ci completamente assente nei modelli ele-
mentari basati sulla funzione del consumo e nei semplicistici
(anche se spesso assai complicati) modelli econometrici di pre-
visione che da quelli sono stati derivati.

Lo schema IS-LM
Hicks, in un articolo esplicitamente mirante a riconciliare
Keynes e i "classici" (1937), ha introdotto nella teoria macro-
economica contemporanea l'apparato analitico ed espositivo pi
celebre e usato, il diagramma IS-LM. Questo apparato venne
utilizzato come impalcatura teorica da Hansen, il quale ha por-
tato con la sua opera il contributo pi rilevante al keynesismo
ortodosso in versione americana. L'approccio JS-LM viene spesso
definito come lo schema Hicks-Hansen. L'idea centrale del-
l'articolo di Hicks che Keynes nella Teoria generale ha for-
nito una versione pi precisa della teoria classica, senza con ci
ripudiarne il contenuto. La posizione di Hicks molto simile,
come vedremo in seguito, a quella presa da Viner ( 1936) nella
sua recensione della Teoria generale, ovvero l'unica recensione
alla quale Keynes volle replicare per esteso. Keynes neg espli-
citamente la validit dell'interpretazione data da Viner alla strut-
tura teorica della Teoria generale.
Nell'articolo di Hicks (1937) vengono presentate varie idee
CAPITOLO SECONDO

di Keynes, senza ricorrere per a citazioni o fornire spiegazioni


esaurienti. Hicks osserva che l'aspetto satirico della Teoria ge-
nerale aumenta considerevolmente il piacere della lettura; ma
la sua esposizione ignora aspetti fondamentali dell'opera, quali
l'incertezza, le relazioni flussi-stock, il rilievo dato al carattere
intrinsecamente ciclico degli investimenti, il continuo rif eri-
mento alla realt fattuale (si ricordi l'importanza attribuita a
particolari aspetti istituzionali dell'economia). Dopo aver rile-
vato che la teoria classica si trova in difficolt allorch viene ap-
plicata all'analisi delle fluttuazioni industriali, Hicks assume che
lo scopo primario della Teoria generale sia quello di rendere
applicabile la teoria classica all'analisi, presumibilmente poco im-
portante, del ciclo economico, introducendovi a tale scopo le
modifiche minime indispensabili.
Prima di passare a esporre il modello formale di Hicks, con-
viene fare due osservazioni. Innanzitutto va precisato che Hicks
tratta la funzione della preferenza per la liquidit come una mera
modificazione de!Ia funzione marshaUiana della domanda di mo-
neta, dove la domanda di contante appare come funzione non
solo del volume delle transazioni, ma anche del saggio d'inte-
resse. Preso atto che la domanda di moneta in Keynes ha come
argomenti sia il reddito che il saggio d'interesse, Hicks nota
come con questa modifica Keynes faccia un grosso passo verso
la tradizione marshalliana e diventi difficile distinguere la sua teo-
ria da una versione riveduta e corretta del modello marshalliano.
In secondo luogo Hicks introduce la domanda d'investimenti
in un modo assai sbrigativo. Trattando il modello "classico"
Hicks (1937) scrive: "Per determinare lx (gli investimenti) ab-
biamo bisogno di due equazioni. La prima ci dice che-il volume
degli investimenti (visti come domanda di capitale) dipende dal
saggio d'interesse:
lx= C(i).
Questa relazione ci che nel libro di Keynes compare come
curva dell'efficienza marginale del capitale." (La seconda equa-
zione necessaria per determinare gU investimenti la funzione
del risparmio.) Nel modello classico e in quello keynesiano,
nella versione datane da Hicks compare la stessa funzione di
domanda di investimenti. Per ottenere un modello "keynesiano ",
L'INTERPRETAZIONE TRADlZIONALE 49
Hicks prende il modello classico modificandone semplicemente
la specificazione della domanda di moneta e delle funzioni del
risparmio-consumo.
Usando una terminologia che sarebbe diventata in seguito
assai comune, possiamo dire che Hicks utilizza un sistema si-
multaneo di due equazioni, dove due mercati vengono esami-
nati esplicitamente: il mercato della "moneta" e il mercato dei
"beni e servizi". Per raggiungere uno stato d'equilibrio bisogna
che in ciascun mercato vengano simultaneamente soddisfatte le
appropriate condizioni necessarie.
Nella versione Hicks-Hansen della teoria keynesiana il mer-
cato della moneta viene incapsulato in una relazione funzionale
II
di domanda "endogena secondo la quale la domanda di mo-
neta, Mv, una funzione, L( ), del reddito, Y, e del saggio
d'interesse, i, cio: Mv= L(i, Y). (L'articolo di Hicks non spe-
cifica a cosa venga applicato il saggio d'interesse.) L'offerta di
II
moneta viene determinata "esogenamente dalle competenti
"autorit 11, presumibilmente trami.te operazioni di mercato
aperto. Stabilita una data quantit di moneta in circolazione,
Ms, la funzione di domanda individua il luogo di punti (le cui
coordinate sono date dal saggio d'interesse e dal reddito reale)
che soddisfano il vincolo imposto dalla funzione di domanda di
moneta. Questa funzione, chiamata funzione LM, normalmente
viene rappresentata da una curva a pendenza positiva, sebbene
per livelli molto bassi (alti) di reddito si presume che essa abbia
un segmento pressoch orizzontale (verticale) (fig. 2.2).
Il mercato dei beni e servizi consiste di due parti: la prima
data dalla domanda di investimenti, ottenuta dalla funzione che
abbiamo precedentemente analizzato:
I= /(i) (utilizzando i simboli oggi convenzionali).
Questa una funzione del saggio d'interesse a pendenza nega-
tiva. La seconda parte costituita dalla funzione del consumo;
meglio per riferirsi alla funzione del risparmio (risparmio=
=reddito-consumo). Dato che S=S(Y) e I=S, otteniamo
/(i)-S(Y) = O, vale a dire un luogo di punti, di coordinate
(i, Y) a pendenza negativa: la funzione IS (vedi fig. 2.2). Nella
figura 2.2, dall'intersezione delle due curve IS e LM, riferite
a una data quantit di moneta, otteniamo il saggio d'interesse e
il livello del "reddito monetario 11
50 CAPITOLO SECONDO

a,
~
~
~
.!:
"O
o
Cl
Cl
"'
(/)
IS

Reddito y
Figura 2.2 Lo shema IS-LM.

Hicks assume esplicitamente che w, cio il saggio di salario


monetario pro capite, possa essere considerato come dato; egli
inoltre assume implicitamente che il livello dei prezzi, P, sia
eguale a w; in questo modo otteniamo una relazione assai sem-
plice tra reddito reale e reddito monetario. Le implicazioni
sull'occupazione dei vari livelli di reddito non vengono trattate
in modo esplicito, n sono prese in esame le condizioni del
mercato del lavoro. Questo articolo, dunque, che ha cos tanto
influenzato il pensiero economico, presenta un'analisi incom-
pleta: di fatto, esso ci dice ben poco. Comunque, dato che
prezzi e salari sono fissi, possiamo trasformare la domanda ag-
gregata "monetaria", ovvero il reddito, Y, in domanda di la-
voro, determinando in tal modo il livello dell'occupazione.
Lo schema IS-LM introduce nell'elementare modello basato
sulla funzione del consumo tre nuove relazioni: l'equazione della
domanda di investimenti, la relazione funzionale tra moneta e
saggi d'interesse, l'offerta di moneta determinata esogenamente.
Per verificare se questo schema possa essere considerato un'in-
terpretazione corretta dell'analisi di Keynes, necessario vedere
quali siano le assunzioni riguardanti la moneta imposte dal mo-
dello, vedere cio come sia determinata l'offerta di moneta e il
ruolo di quest'ultima nella determinazione del reddito e del
saggio d'interesse.
Nella Teoria generale Keynes esamina essenzialmente tre
tipi di attivit. Nel capitolo 12, "Lo stato dell'aspettativa a lungo
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 51

termine", Keynes tratta il problema della valutazione dello stock


di beni capitali, ovvero di attivit che danno origine a una serie
di rendimenti futuri attesi (flussi di contante, diremmo oggi).
Questo problema viene affrontato assumendo che "le variazioni
dei valori degli investimenti [ ovvero dei beni capitali] ( ...) siano
dovute soltanto a variazioni dell'aspettativa dei loro rendimenti
prospettici e non ( ...) a variazioni del saggio di interesse al quale
questi rendimenti prospettici sono capitalizzati" (TG p. 309).
Il saggio d'interesse, d'altro canto, "in s stesso non altro
che l'inverso del rapporto fra una somma di moneta e ci che
pu ottenersi per l'abbandono della disponibilit della moneta
stessa in cambio di un credito per un determinato periodo di
tempo" (TG p. 327). Tuttavia "possiamo tirare la linea di sepa-
razione fra 'moneta' e 'crediti' in qualsiasi punto sia pi conve-
niente per trattare un problema particolare" (TG p. 327, nota a).
Keynes quindi ha in mente un processo a due stadi: in una
prima fase la moneta e i debiti monetari determinano il saggio
d'interesse che "in discussioni generali ( ...) l'insieme dei vari
saggi di interesse correnti per periodi di tempo diversi, ossia per
crediti aventi diverse scadenze" (TG p. 327, nota b); in una
seconda fase il saggio d'interesse, assieme al rendimento futuro
atteso dei beni capitali, determina il valore dei beni capitali.
Keynes non chiarisce esplicitamente quale sia la parte debitoria
nei contratti finanziari che determinano il saggio d'interesse:
non ci dice cio se i debiti in questione siano buoni del Tesoro,
cambiali commerciali o debiti contratti da imprenditori per
finanziare acquisti di capitale reale.
Per i nostri scopi sufficiente far rilevare che Keynes ha
preso in esame tre tipi di attivit: a) la moneta che "di regola
si assume comprenda tutti i depositi presso le banche" (TG
p. 327, nota a); b) debiti non meglio precisati, vale a dire con-
tratti nei quali si scambia moneta oggi per moneta domani;
e) beni capitali reali, caratterizzati da rendimenti futuri attesi
(flussi di contante) la cui entit, per svariate ragioni, soggetta
a variare nel tempo cosicch un agente razionale non pu mai
essere certo dell'ammontare dei flussi di contante da essi deri-
vanti.
fr'Jella Teoria generale dunque gli investimenti vengono de-
terminati da un processo a quattro stadi: 1) la moneta e i debiti
determinano il "saggio d'interesse 11
2) le aspettative di lungo
;
CAPITOLO SECONDO

periodo determinano il rendimento (i flussi di contante futuri


attesi) dei beni capitali e degli investimenti correnti ( cio dello
stock di capitale); 3) tale rendimento, assieme al saggio d'inte-
resse, concorre a determinare il prezzo dei beni capitali; 4) si
investir sino al punto in cui il prezzo d'offerta dei beni d'inve-
stimento sar uguale al valore attuale del flusso dei rendimenti
futuri attesl:) quindi evidente come il semplice schema IS-LM
faccia violenza al complesso meccanismo di determinazione de-
gli investimenti daborato da Keynes. L'enigma proposto da
Keynes circa la determinazione degli investimenti stato igno-
rato, non risolto, dalla letteratura economica successiva alla Teo-
ria generale.
Per .il momento per ci serviremo dello schema IS-LM per
presentare l'approccio macroeconomico tradizionale, riservan-
doci di esaminare nei capitoli successivi i fondamenti della teo-
ria degli investimenti. Ci rimane qui da vedere come sia possi-
bile inserire lo schema IS-LM nell'apparato teorico neoclassico.?'
Lo schema IS-LM ben pi sofisticato dei rudimentali mo-
delli basati sulla funzione del consumo, in quanto tiene conto
della moneta e analizza gli effetti sul reddito delle elasticit (ov-
vero della configurazione e della posizione) delle varie funzioni.
In particolare in questo schema possibile - grazie all'identifi-
cazione della funzione della preferenza per la liquidit con una
relazione funzionale attinente alla domanda di moneta - im-
maginare casi particolari nei quali la domanda di moneta pu
.essere infinitamente elastica rispetto a variazione del saggio d'in-
teresse; vale a dire la relazione Mv= L(i, Y) tale che, in n
intervallo di dati valori di reddito, variazioni dell'offerta di mo-
neta non hanno alcun effetto sul saggio d'interesse. Si presup-
pone che questo caso, chiamato della trappola della liquidit, si
verifichi spesso in seguito a una grave crisi o a un tracollo fi-
nanziano.
Nella letteratura sull'apparato IS-LM sono state individuate
sul piano cartesiano (i, Y) tre zone differenti, a seconda dei di-
versi effetti della politica monetaria. Nella zona della trappola
della liquidit (zona LT nella fig. 2.3) un aumento dell'offerta
di moneta non ha alcun effetto n sul reddito n sul saggio d'in-
teresse; nella zona Q ogni incremento sull'offerta di moneta si
riflette completamente sul livello del reddito monetario; nella
zona intermedia (zona LM nella fig. 2.3) una variazione della
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 53

LT

Reddito y

Figura 2.3 La curva LM.

quantit di moneta influenza sia il reddito che il saggio d'inte-


resse. Ecco quindi che nello schema IS-LM le conseguenze di
una variazione nella quantit di moneta non sono inequivoca-
bilmente "neutrali": il saggio d'interesse pu essere influenzato
dall'offerta di moneta. Che cosa accada in realt in seguito a una
variazione nella quantit di moneta, dipende dalla configura-
zione della funzione della preferenza per la liquidit.
Il fondamento teorico in base al quale la domanda di moneta
viene considerata elastica rispetto al saggio d'interesse duplice:
da un lato la domanda di moneta per transazioni sensibile a
variazioni del saggio d'interesse; dall'altro la domanda di moneta
in quanto attivit finanziaria (scelte di portafoglio) influenza, o
determina, il saggio d'interesse sulle altre attivit.
A questo punto il modello di Hicks si dimostra particolar-
mente vulnerabile proprio per la sua incapacit di definire in
modo chiaro quale sia il preciso saggio d'interesse preso in
esame. La ragione normalmente addotta per giustificare la circo-
stanza che la curva LM ha un segmento orizzontale (trappola
della liquidit) che, in seguito a un aumento dei saggi d'inte-
resse, vi il potenziale pericolo di subire perdite in conto capi-
tale: ci implica che il saggio d'interesse impiegato nella fun-
zione della preferenza per la liquidit il saggio d'interesse a
lungo termine. D'altro canto, i naturali sostituti della moneta
54 CAPITOLO SECONDO

contante tesorizzata sono le attivit finanziarie a breve termine,


la qual cosa sembrerebbe presupporre che il saggio d'interesse
utilizzato nella funzione della preferenza per la liquidit sia un
saggio a breve termine. Un modo per aggirare questa difficolt
consiste nell'assumere che la struttura dei saggi d'interesse sia
costante nel tempo: circostanza per che, purtroppo, non trova
riscontro nella realt. Reinterpretando la funzione della pref e-
renza per la liquidit come la funzione che determina il prezzo
di domanda dei beni capitali, riusciremo nelle pagine che se-
guono a trovare una soluzione alle difficolt sollevate dall'inter-
pretazione hicksiana.
Oltre agli intoppi connessi alla trappola della liquidit,
possibile che la curva /S sia anelastica rispetto al saggio d'inte-
resse cosicch una diminuzione di detto saggio pu non com-
portare un sensibile aumento degli investimenti. Lo schema IS-
LM quindi identifica due possibili diaframmi tra il proverbiale
cavallo (il reddito) e l'acqua (la politica monetaria): un aumento
della quantit di moneta pu non far diminuire il saggio d'inte-
resse o, ammesso ci riesca, tale diminuzione pu non avere in-
flusso alcuno sugli investimenti.
Il modello Hicks-Hansen d un quadro pi verosimile del
pensiero di Keynes di quello fornito dagli elementari modelli
basati sulla funzione del consumo, in quanto tratta in modo
esplicito l'interdipendenza, tanto cara a Keynes, tra mercato
monetario e mercato dei beni e servizi. Ci nonostante esso of-
fre una descrizione poco fedele e ipersemplificata delle idee di
Keynes, che al contrario sono assai sofisticate e complesse, in
quanto non esamina in modo esplicito l'importanza dell'incer-
tezza sulle scelte di portafoglio e sull'andamento degli investi-
menti, dando del modello keynesiano un'interpretazione in ter-
mini di equilibrio statico anzich di processo dinamico.

Il mercato del lavoro e lo schema IS-LM


Il passo successivo compiuto dalla teoria macroeconomica
tradizionale stato quello di aggiungere allo schema Hicks-
Hansen un'analisi esplicita del mercato del lavoro. Dall'esame
simultaneo del mercato del lavoro, della moneta, dei beni e ser-
vizi si pu derivare tutta una gamma di modelli, da quelli le cui
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 55
propriet teoriche hanno forti reminiscenze keynesiane a quelli
di stampo prettamente classico. Dall'integrazione del mercato
del lavoro entro lo schema !S-LM derivata la cosiddetta sin-
tesi neoclassica, il modello fondamentale della macroeconomia
ortodossa.
La sintesi neoclassica (argomento del prossimo paragrafo)
rappresenta il momento finale di un processo di allontanamento
dalla Teoria generale, in quanto il fondamentale teorema sul
quale essa poggia - e cio che i processi di mercato sono in
grado di raggiungere uno stato d'equilibrio di piena occupa-
zione - nega ogni validit teorica ("generale") all'analisi di
Keynes. Questo vero anche se la sintesi neoclassica ammette
la possibilit che insorga e perduri uno stato di disoccupazione,
dovuto a certe rigidit d'aggiustamento, e si dichiara a favore di
politiche "keynesiane ", qualora tali rigidit dovessero rivelarsi
altrimenti insormontabili.
Una volta presa in esame la sintesi neoclassica saremo in
grado, nei capitoli successivi, di capire in che senso essa rap-
presenti la conclusione di un viaggio nella "direzione sbagliata".
Potremo cos accingerci a costruire un modello che sia pi fe-
dele allo spirito della Teoria generale.
Nell'analisi a livello aggregato il mercato del lavoro viene so-
litamente introdotto generalizzando !'approccio utilizzato dalla
teoria dei prezzi tradizionale per l'esame di specifici mercati del
lavoro. A tale scopo viene impiegata una funzione aggregata
della produzione dalla forma:
O=e(K, N)
dove O rappresenta il prodotto globale, K lo stock di capitale,
N la forza lavoro, tale che:
de
-->0 e
dN
(tali diseguaglianze stanno a significare che il prodotto margi-
nale del lavoro, dE>/dN, positivo per tutti i valori di N
e decresce all'aumentare di N). La funzione aggregata della
produzione viene utilizzata per determinare sia la funzione di
domanda di lavoro sia il prodotto globale (reddito reale) asso-
ciati a ciascun livello d'occupazione. La funzione della domanda
56 CAPITOLO SECONDO

di lavoro data dalla curva della produttivit marginale del


lavoro con il capitale (l'altro fattore produttivo) fissato a un
dato livello: poich la produttivit marginale del lavoro decre-
sce all'aumentare dell'occupazione, tale curva avr una pen-
denza negativa.
Nella Teoria generale il principale interesse di Keynes era
quello di determinare il livello dell'occupazione; egli comunque
fu assai attento a non utilizzare una funzione aggregata della
produzione per ottenere la domanda d1 lavoro. Innanzi tutto
egli defin una funzione aggregata d'offerta, Z = rp(N), dove Z
rappresenta "il prezzo complessivo di offerta della quntit di
prodotto derivante dall'occupazione di N lavoratori" (TG
p. 183), la cui funzione inversa N = rp-1(Z). In tanto in quanto
la domanda aggregata D (vale a dire la somma di domanda per
consumo, investimenti e spesa pubblica) uguale all'offerta ag-
gregata, l'occupazione pu essere scritta come una funzione
dipendente dal livello della domanda aggregata:
N= rp-1(D).
Partendo dall'assunzione che la composizione della domanda ag-
gregata, a qualsiasi livello essa sia, mantiene una relazione ben
definita nei confronti dei vari tipi di prodotti, Keynes giunse
a concludere che le varie funzioni dell'occupazione potevano
essere legittimamente aggregate in una funzione dell'occupa-
zione globale.
Il livello della domanda aggregata, nello schema IS-LM, vi~ne
fissato in termini reali. Introducendo la domanda aggregata nella
funzione dell'occupazione otteniamo il livello dell'occupazione.
Per evitare complicazioni possiamo assumere che la curva del-
1'offerta di lavoro sia infinitamente elastica rispetto a un dato
livello del salario monetario determinato esogenamente.
Sebbene Keynes non abbia utilizzato l'apparato concettuale
della funzione della produzione per determinare il livello del-
l'occupazione, egli us quell'apparato per stabilire il livello dei
prezzi associato a ciascun saggio di salario monetario e per
determinare il modo in cui il livello dei prezzi vari al variare
dell'occupazione, dato un certo saggio di salario. Keynes assu-
meva che la funzione dell'offerta aggregata o aumentasse li-
nearmente all'aumentare dell'occupazione o aumentasse pi
rapidamente dell'occupazione, una volta che quest'ultima avesse
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 57
raggiunto un particolare livello, a causa della progressiva dimi-
nuzione dell'efficienza produttiva dei lavoratori. In tanto in
quanto il ricavo marginale delle vendite dovuto all'assunzione
di nuovi lavoratori deve essere uguale o maggiore del saggio di
salario, argomentava Keynes, il livello dei prezzi proporzio-
nale al saggio di salario diviso per l'efficienza della forza lavoro:
questa una nozione tipica della teoria della produttivit mar-
ginale. Utilizzando i simboli di quest'ultima, scriveremo, se-
guendo Keynes, che:
Wo
P=------
(dE>/dN) (NE)
cio il livello dei prezzi, P, dato un certo saggio di salario mo-
netario W 0 , inversamente proporzionale al prodotto marginale
del lavoro, d@/dN, al livello vigente di occupazione, NE, Se
d@/dN diminuisce all'aumentare di NE, il livello dei prezzi,
quale che sia il livello dato del salario monetario, aumenter
all'aumentare dell'occupazione.
Nella formulazione di Keynes il fattore determinante imme-
diato del livello dei prezzi il comportamento del mercato del
lavoro, che stabilisce l'andamento di W 0 Pur ammettendo che
queste affermazioni non contraddicono l'idea di fondo della
teoria quantitativa della moneta (secondo la quale

P =MV, dove sia V (velocit di circolazione) che O


o
(prodotto globale) sono fissi, cosicch otteniamo
P=yM)
l'analisi di Keynes attribuisce a questa relazione tra prezzi e
moneta solo un valore condizionale: un aumento della quantit
di moneta agisce sul livello dei prezzi in tanto in quanto agisce
sul mercato del lavoro. Il comportamento di quest'ultimo di-
venta cos il circuito attraverso il quale le variazioni monetarie
agiscono sulle variazioni del livello dei prezzi. Per di pi, nella
misura in cui le condizioni del mercato del lavoro possono com-
portare variazioni nei salari monetari indipendentemente da
cambiamenti dell'offerta di moneta, le variazioni del livello dei
prezzi sono indipendenti da quei cambiamenti. Ne segue che
58 CAPITOLO SECONDO

l'idea classica, secondo la quale il livello dei prezzi determi-


nato dall'offerta di moneta, non n precisa n attendibile.
Secondo l'ipotesi di Keynes circa la determinazione del livello
dei prezzi, la produttivit marginale del lavoro (d/dN) (NE),
diminuisce all'aumentare dell'occupazione cosicch, fissato un
dato saggio di salario, il livello dei prezzi aumenta all'aumentare
dell'occupazione. In tal modo il salario reale dei lavoratori oc-
cupati diminuisce all'aumentare dell'occupazione, anche se i sa-
lari monetari rimangono inalterati. importante rilevare che in
un'economia capitalistica, anche se le transazioni economiche e
i contratti commerciali sono espressi in termini monetari, i
termini reali di un qualsiasi contratto o transazione, qualunque
durata temporale essi abbiano, dipendono dall'andamento dei
prezzi. Bisogna tener conto che questa circostanza ( ovvero che
i termini reali di contratti commerciali fissati in termini nomi-
nali o monetari dipendono dall'andamento del sistema economico)
introduce nelle decisioni economiche un elemento di incertezza
che sfugge al controllo dei singoli agenti economici. altres
ovvio che questo fatto vero non solo per i contratti salariali,
ma anche per quelli finanziari.
D'altro canto, se nell'intervallo dei valori dell'occupazione
preso in esame il prodotto marginale del lavoro costante, al-
lora anche il livello dei prezzi sar costante; possiamo perci
scrivere:
P=W

dove indica il margine percentuale di profitto (mark-up) appli-


cato ai costi ~alariali. questa un'assunzione assai comune nella
letteratura.
Va osservato per che nel processo evolutivo conclusosi con
la comparsa della teoria neoclassica contemporanea il mercato
del lavoro non stato inserito nello schema IS-LM (Hicks-
Hansen) seguendo le indicazioni di Keynes, secondo il quale
l'andamento del mercato del lavoro e la stessa produttivit del
lavoro influiscono in primo luogo sui prezzi. Invece si attri-
buita validit generale (cio anche a livello aggregato) all'assun-
zione che viene normalmente fatta a proposito dell'analisi dei
mercati concorrenziali, secondo la quale ciascuna impresa con-
tinua a occupare forza lavoro fino al punto in cui il salario mo-
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 59

netario uguale al valore del prodotto marginale, cio fino al


punto m cm
de;
W-=P-1
, dNI
secondo una relazione valida per qualsiasi tipo di prodotto (0;)
e di lavoro (Ni). Tale assunzione, trasferita a livello aggregato,
suona dunque cos: il numero di lavoratori occupati nell'econo-
mia sar tale che il prodotto marginale di un lavoratore sia pari
al salario reale, W IP:

cosicch
N D =e-N 1 (Kw).
p '

La curva N D ha una pendenza negativa. Nel breve periodo si as-


sume che lo stock di capitale, K, sia fisso; esso compare quindi
come una costante, K.
A questa curva di domanda viene solitamente aggiunta una
curva di offerta, basata sull'ipotesi che il salario reale sia la varia-
bile chiave in considerazione della quale ciascun lavoratore decide
quanto tempo dedicare all'attivit lavorativa e quanto al tempo
libero. Ecco quindi che

Ns = t(~), dove Ns indica l'offer.ta di lavoro.

Tale curva d'offerta ha una pendenza positiva, cio


dNs
--> 0
d(;)
L'intersezione delle curve ND e Ns determina i valori d'equi-
librio sia del salario reale che dell'occupazione (vedi fig. 2.4). La
teoria economica classica assume a cuor leggero che in ciascun
mercato esistano processi d'aggiustamento grazie ai quali questi
valori di equilibrio dell'occupazione e del salario reale vengorio
effettivamente raggiunti. Una volta fatta questa assunzione pos-
60 CAPITOLO SECONDO

WIP

(I.)

'i6
...
(I.)

o
.::::
ca
'i6
"'
"O
o
5,
Cl
ca No
Cl)

NE N
Occupazione

Figura 2-4 Il mercato del lavoro secondo i classici.

siamo tranquillamente inserire l'occupazione, NE, nella fun-


zione della produzione, cos da ottenere il prodotto globale:
O= e(K, NE). Questo valore del prodotto globale, ricavato
dalle condizioni di equilibrio sul mercato del lavoro, pu adesso
venir "sostituito" nelle funzioni dello schema IS-LM (la fun-
zione degli investimenti, del risparmio e della preferenza per la
liquidit), ottenendo cos una versione classica dell'apparato
teorico hicksiano. Grazie a questa trasformazione, le funzioni
del consumo, degli investimenti e della preferenza per la liqui-
dit appaiono tutte in termini reali. In questa maniera, dal mo-
mento che la quantit di moneta , per definizione, una grandezza
espressa in termini nominali, si introduce in modo esplicito il
livello dei prezzi nella funzione della preferenza per la liquidit,
cio:

Mo
-= Lo
(z, ).
p

La curva /S del modello di Hicks (vedi fig. 2.2), ottenuta tra-


mite le funzioni degli investimenti e del risparmio, indica le varie
combinazioni di saggio d'interesse e reddito reale (prodotto glo-
bale) compatibili con uno stato d'equilibrio sul mercato dei beni
e servizi. Poich il modello classico assume che il prodotto glo-
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE

baie sia determinato dalle condizioni d'equilibrio sul mercato del


lavoro, allora al mercato degli investimenti e del risparmio non
resta che determinare il saggio d'interesse.
Giacch il saggio d'interesse e il prodotto globale vengono
determinati sul mercato dei beni e su quello del lavoro, alla curva
della preferenza per la liquidit spetta un unico "compito": sta-
bilire il livello dei prezzi. Mentre nello schema IS-LM la fun-
zione della preferenza per la liquidit indica le combinazioni di
saggio d'interesse e di reddito reale compatibili con l'equilibrio
sul mercato monetario, nel modello classico essa trasforma il red-
dito reale (derivato dal mercato del lavoro) in reddito nominale.
Ecco che alla preferenza per la liquidit, che Hicks aveva tramu-
tato in curva di domanda di moneta, non rimane ora altra funzione
se non quella di determinare il livello dei prezzi. Siccome la fun-
zione della preferenza per la liquidit pone il livello dei prezzi
in relazione con l'offerta di moneta (determinata "esogena-
mente "), arriviamo cos a ottenere una teoria quantitativa della
moneta: l'unica differenza tra questo modello e l'ingenua versione
MV= PT della teoria quantitativa consiste nel fatto che la velocit
di circolazione una variabile che dipende dal saggio d'interesse.
Questo modello, nel quale il prodotto globale viene essenzial-
mente determinato sul mercato del lavoro, non che il modello
classico in veste moderna. La sua soluzione completa data dalla
sequenza di soluzioni ottenute dall'esame isolato di ciascun mer-
cato. Il mercato del lavoro, cio

ND =0-(W) Nn=Ns
N
1
p ' e

determina l'occupazione e quindi (tramite la funzione della pro-


duzione) il reddito reale, O= e(K, N). Una volta dato il reddito
reale, la funzione del risparmio, S = S(i, O), e quella degli inve-
stimenti, I= l(i, O), determinano sia il saggio d'interesse, , che
la ripartizione del prodotto globale in consumi e investimenti.
Una volta dati il reddito reale e il saggio d'interesse, la funzione
della preferenza per la liquidit, Mp/P = L(T, O), congiunta
all'offerta esogena di moneta, Ms = M, determina il livello dei
prezzi. Tenuto conto che Ms = Mv, otteniamo:

P = _M_ , relaz10ne. . 1ente a P=-Mk(t)


eqmva
L(i, O) o
CAPITOLO SECONDO

Il livello dei prezzi determinato dalla quantit di moneta. L'u-


nica raffinatezza teorica rispetto all'ingenua versione della teo-
ria quantitativa dove la velocit di circolazione costante, che
quest'ultima ora una variabile determinata dal saggio d'inte-
resse.
Nel modello classico l'equilibrio viene determinato da consi-
derazioni di carattere tecnologico (rappresentate dalla funzione
della produzione) e dal sistema di preferenze delle famiglie. La
funzione della produzione determina le funzioni della produt-
tivit marginale del lavoro e del capitale, che a loro volta de-
terminano le funzioni della domanda di lavoro e d'investimenti.
Possiamo affermare che nel modello classico i sistemi di prefe-
renze delle famiglie rappresentano la tecnologia delle famiglie,
in quanto trasformano il tempo libero e i risparmi in soddisfa-
zione personale. Ecco quindi che le curve d'offerta di lavoro e
di risparmi vengono ottenute trasformando i sistemi di pref e-
renze in modo del tutto analogo a quello in cui vengono deter-
minate le domande di lavoro e d'investimenti.
Il modello classico - nel quale l'offerta esogena di moneta
determina il livello dei prezzi - e il modello JS-LM con l'ag-
giunta di un mercato del lavoro in versione keynesiana - in cui
il saggio di salario, fissato esogenamente, determina il livello dei
prezzi - sono dunque due costrutti analitici paralleli. Nel mo-
dello classico, il mercato del lavoro ad avere un ruolo predo-
minante: esso determina l'occupazione e il prodotto globale; il
mercato del risparmio e degli investimenti determinano il sag-
gio d'interesse, mentre l'offerta di moneta, fissata esogenamente,
determina il livello dei prezzi. Nel modello /S-LM con mercato
del lavoro "keynesiano ", il ruolo decisivo svolto dal simulta-
neo rispetto delle condizioni d'equilibrio del mercato dei beni
e di quello monetario, sui quali vengono fissati reddito e saggio
d'interesse. Il reddito cos determinato stabilisce (tramite la fun-
zione dell'occupazione) il numero di lavoratori occupati, deter-
minando cos la produttivit del lavoro la quale, assieme al sag-
gio di salario esogeno, determina a sua volta il livello dei prezzi.
Sia il modello classico che quello "keynesiano" /S-LM pos-
sono essere ulteriormente allargati, rendendo endogena l'offerta
di moneta ( o il suo saggio di variazione percentuale) oppure il
saggio di variazione percentuale dei salari. Nel modello classico,
infatti, possiamo introdurre una funzione dell'offerta di moneta
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE

che colleghi variazioni della quantit di moneta a determinate


caratteristiche dei saggi d'interesse e del sistema bancario. Ana-
logamente possiamo aggiungere al modello keynesiano /S-LM
una curva di Phillips (1958) che colleghi variazioni dei salari
monetari al saggio di disoccupazione ( o al saggio di variazione
percentuale di quest'ultimo).
Il modello classico in effetti vuole dimostrare troppe cose.
Secondo la sua ottica fluttuazioni considerevoli e prolungate
nella occupazione non rappresentano una caratteristica intrin-
seca del sistema, ma solo un fenomeno accidentale e transitorio.
Se si vuole che le variazioni dell'occupazione, riscontrate empi-
ricamente, rispecchino sottostanti fenomeni sistemici, neces-
sario escogitare un qualche altro metodo per riconciliare il com-
portamento del mercato del lavoro con la determinazione della
domanda aggregata da parte del mercato degli investimenti, del
risparmio e della moneta, un metodo insomma affatto diverso
da quello postulato dal modello classico, che assegna priorit
assoluta al mercato del lavoro.
Un modo per riconciliare la visione classica dei mercati del
lavoro con quella keynesiana consiste nel postulare una se-
quenza di stati d'equilibrio, affermando che i processi d'aggiu-
stamento verso l'equilibrio impiegano tempo per realizzarsi.
Secondo questa visione, la disoccupazione e i processi d'aggiu-
stamento dello schema teorico IS-LM diventano fenomeni di
disequilibrio.
Volendo costruire una teoria che affronti adeguatamente la
questione della possibilit di disoccupazione, una soluzione pu
essere quella di accoppiare lo schema di determinazione della
domanda aggregata di Hicks-Hansen con la determinazione del
salario reale sul mercato del lavoro. A tale riguardo si pu as-
sumere che il livello dell'occupazione venga in primo luogo de-
terminato dalla domanda di lavoro (derivata dalla domanda ag-
gregata), anzich da considerazioni attinenti alla produttivit
marginale e alle preferenze delle famiglie. Quindi, se dallo
schema IS-LM scaturisce un livello di reddito che comporta
un eccesso positivo (negativo) di domanda di lavoro rispetto al
livello d"' equilibrio" ( ovvero il livello determinato dall'inter-
sezione delle curve di domanda e offerta sul mercato del lavoro),
si metter in moto un processo dinamico che far aumentare
(diminuire) l'occupazione in modo tale che quest'ultima sia
CAPITOLOSECONDO

eguale alla domanda di lavoro che scaturisce dallo schema IS-


LM. Al termine di questo processo, i salari monetari inizieranno
a variare in modo da raggiungere lo stato di "equilibrio", deter-
minato dall'intersezione della curva d'offerta e di domanda (que-
st'ultima ottenuta introducendo nella funzione della produzione
il livello della domanda reale aggregata determinato dalle curve
IS-LM).
Nella figura 2.5 il punto A rappresenta l'equilibrio "classico",
ovvero l'equilibrio parziale del mercato del lavoro, e le rette
N DEFe N Ex indicano la domanda di lavoro ricavata dalle funzioni
che determinano la domanda aggregata nello schema IS-LM:
NvEF(NEx) indica una domanda di lavoro inferiore (superiore)
al livello d'equilibrio. In un primo momento assumiamo che le
variazioni nelle variabili provocate dal processo di riequilibrio
sul mercato del lavoro non abbiano ripercussione alcuna sui
mercati il cui andamento rappresentato dallo schema IS-LM.
Quindi, supposto che N DEF(NEx) sia la domanda di lavoro effet-
tiva, domanda e offerta saranno in equilibrio nel punto C (nel
punto E) (vedi fg. 2.5).
Nel punto C la quantit di lavoro domandata (desunta dal-
l'equilibrio del mercato dei beni e di quello monetario) pari alla
quantit offerta. Proprio perch il mercato dei beni e della mo-
neta sono in equilibrio, da essi non pu derivare alcuna tendenza
ad alterare lo status quo. Inoltre, poich tutti i lavoratori disposti
a lavorare al saggio di salario reale vigente trovano occupazione,
la tendenza al cambiamento non pu originare dal mercato del
lavoro. ben vero che, considerato il salario reale e le rispettve
funzioni della produzione, gli imprenditori vorrebbero assumere
C' lavoratori, facendo aumentare produzione e occupazione. Essi
per, prendendo contatti coi probabili acquirenti, riscontrano che,
in aggregato, non esiste un mercato per questo eventuale incre-
mento della produzione. I beni domandati dai lavoratori, determi-
nati dal reddito percepito da questi ultimi, pari a N DEF(W/P) 1 ,
sommati alla domanda di beni di investimento, sono esattamente
pari alla produzione derivante dall'impiego di N DEFlavoratori.
11punto C, una volta raggiunto, costituisce un punto di equilibrio
che per non soddisfa le condizioni circa la produttivit sotto-
stanti alla funzione classica della domanda di lavoro, secondo la
quale a un salario reale (W /P) 1 dovrebbe corrispondere una do-
manda di lavoro pari a C'.
L'INTERPRETAZIO:S:E TRAD!ZIO:S:ALE

W!P

"C
o
g:
"'
(I)
(W/P)F

NoEF NF Ne, NEx N


Occupazione

Figura 2.5 Il mercato del lavoro con aggiustamenti delle quantit.

Esaminiamo questa domanda di lavoro C' alla luce dello


schema IS-LM. Se il salario reale (W /P) 1 , allora, affinch siano
soddisfatte le condizioni per la massimizzazione del profitto
delle imprese, necessario venga prodotto un ammontare pari
a O =@(K, Na,). Considerato per il modo in cui la domanda
viene determinata dalle funzioni attinenti al risparmio, agli inve-
stimenti e al mercato monetario, la produzione derivante dal-
l'impiego di N a' lavoratori non potr in alcun modo trovare una
domanda sufficientemente grande da assorbirla del tutto. La
situazione indicata dal punto C (vedi fig. 2.5), sebbene rappresenti
una posizione di disequilibrio sul mercato del lavoro secondo la
definizione classica di equilibrio, non mette in moto alcun pro-
cesso dinamico tendente a eliminare l'eccesso di domanda di
lavoro, C'-C. L'eccesso di domanda C'-C non effettivo, ma
puramente nozionale. Perch la posizione indicata dal punto C
possa essere mantenuta nel tempo necessario semplicemente
che i redditi delle imprese siano sufficienti a far fronte ai loro
vari impegni finanziari; sufficiente cio che quando l'economia
si trova in C, gli imprenditori non vadano in bancarotta. Se qesta
66 CAPITOLOSECONDO

condizione finanziaria soddisfatta, non sussiste alcuna tendenza


endogena che possa smuovere il sistema.
In linea di principio, il punto C rappresenta un equilibrio di
piena occupazione, in quanto si trova sulla curva d'offerta di
lavoro. Questo punto d'equilibrio non verr per considerato
uno stato completamente soddisfacente dell'economia, giacch
in passato l'occupazione era maggiore (NF), cos come la pro-
duzione globale e i profitti. Il punto C, anche se non caratte-
rizza un'economia in profonda crisi, pu caratterizzare assai
bene un'economia in fase recessiva o che attraversa un periodo
di stagnazione produttiva.
Se la domanda di lavoro, derivata dalla domanda aggregata
determinata dal mercato dei beni e da quello monetario, su-
periore al livello d'equilibrio di piena occupazione, i salari reali
e l'occupazione tenderanno ad aumentare. Supponiamo che si
raggiunga il punto E (vedi fig. 2.5): le condizioni d'equilibrio
sul mercato dei beni e su quello monetario, come quelle del-
1'offerta di lavoro, sono tutte "soddisfatte". Nel punto E, per,
il prodotto globale tale che la produttivit marginale del la-
voro inferiore al salario reale; quindi legittimo supporre che
si tender a ridurre il livello dell'occupazione e della produzione.
Ma tale tendenza dar effettivamente luogo a una riduzione
della produzione? Ricordiamoci che stiamo assumendo che i
vari cambiamenti sul mercato del lavoro non si ripercuotono
affatto sulla domanda aggregata e che i redditi delle imprese
sono sufficienti a far fronte ai loro vari impegni finanziari.
Se vogliamo che diminuisca la produzione dobbiamo assu-
mere che le imprese, i cui profitti siano a un livello soddisfa-
cente, respingano certe ordinazioni d'acquisto e riducano la
loro produzione, anche se l'impresa marginale vende le ultime
unit di prodotto in perdita. Facendo appello a considerazioni
"fattuali", possiamo vedere come le imprese siano in effetti assai
riluttanti a non soddisfare le ordinazioni correnti dei clienti se
questo fatto pu, in futuro, far perdere loro clientela. Inoltre,
se le imprese si trovano nella situazione descritta dal punto E
della figura 2.5, ci significa che esse stanno attuando un pro-
gramma d'investimenti che contribuir a far aumentare la loro
capacit produttiva (cos da poter soddisfare la domanda sotto-
stante al livello di occupazione N Ex), ottenendo cos una pro-
duttivit del lavoro maggiore di quella corrente.
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE

Bisogna ammettere che la definizione del punto C (punto E)


come equilibrio di sottoccupazione (sovraoccupazione) lascia a
desiderare; ma il problema di fondo non tanto ci che accade
quando l'economia si trova nel punto C o nel punto E, quanto
se sia possibile raggiungere questi punti. Dobbiamo verificare
se uno slittamento della domanda di lavoro, poniamo da N l" a
N DEF, pu mettere in azione dei processi tendenti a raggiungere
il punto d'equilibrio C (vedi :fig. 2.5). Ciascun processo di dise-
quilibrio ha due facce: le reazioni che hanno luogo sul mercato
in esame e la retroazione sulle curve IS e LM dello schema
Hicks-Hansen. Rimane quindi da chiedersi se il sistema di curve
IS-LM, una volta influenzato da questi processi di disequilibrio,
sia in grado di generare uno slittamento delle curve N DEF o N Ex
tale da riportare il sistema in equilibrio. In altre parole: se le
forze dinamiche di ciascun mercato isolato non sono in grado
di far spostare l'economia da una posizione di disequilibrio a
una di completo equilibrio, l'interazione tra i vari mercati pu
dar vita a un processo dinamico che riassesti completamente
l'economia?

L'equilibrio completo: la sintesi neoclassica


Uno dei principali contributi apportati da Keynes all'analisi
dei processi di disequilibrio stata l'intuizione che gli effetti
pi significativi prodotti da una situazione di disequilibrio in
un certo mercato non sono tanto quelli diretti e immediati
quanto quelli derivanti dalle ripercussioni che l'iniziale disequi-
librio ha avuto su tutti gli altri mercati; vale a dire, la reazione
di un particolare mercato a una situazione di disequilibrio pu
indurre situazioni di disequilibrio in altri mercati. Sorge quindi
la questione se questo sistema di reazioni reciproche tra i vari
mercati conduca verso una nuova posizione d'equilibrio o se
invece il processo di azione e retroazione non faccia che aggra-
vare l'iniziale stato di disequilibrio.
Secondo la teoria dei prezzi, se in un mercato di dimensioni
limitate e completamente isolato dagli altri mercati accade che,
a un dato prezzo, la quantit offerta superiore alla quantit
domandata, il prezzo di quel prodotto su quel particolare mer-
cato tender a diminuire. Una tale riduzione di prezzo avr un
effetto riequilibratore sul mercato in questione, senza per altro
68 CAPITOLO SECONDO

comportare alcuna conseguenza percettibile sugli altri mercati.


Questo il tipo di ragionamento che sta alla base delle analisi
di equilibrio parziale. Il modello classico esamina il mercato del
lavoro proprio in questo modo, anche se assai probabile che
in un'analisi a livello aggregato ( quale quella del mercato del
lavoro) le variazioni di prezzo e di quantit dovute a uno stato
di disequilibrio abbiano ripercussioni significative sugli altri
mercati. Il sentiero di riaggiustamento percorso dal sistema de-
terminato sia dalle reazioni interne di un particolare mercato a
uno stato di disequilibrio sia dall'insieme di azioni e retroazioni
derivanti dall'interdipendenza tra il mercato originariamente
perturbato e gli altri mercati.
Nella figura 2.5, se supponiamo di partire da una iniziale
posizione di equilibrio (punto A), una caduta della domanda
far diminuire l'occupazione; assumendo costante il saggio di
salario, si verificher quindi uno spostamento verso il punto B.
Nell'esempio che segue analizzeremo il caso di una iniziale ca-
duta della domanda: nel caso opposto l'analisi perfettamente
simmetrica. A questo punto essenziale tener presente che in
un'economia capitalistica "salario" significa "salario monetario",
non salario reale. Assumiamo che il vuoto di domanda provochi
una diminuzione dei salari monetari. In questo caso, poich il
livello dei prezzi dato dal rapporto tra salario monetario e
produttivit del lavoro, i prezzi tenderanno a diminuire in linea
con i salari.
Il salario monetario rientra nella determinazione del prezzo
dei beni in una duplice veste: da un lato come costo, dall'altro
come fonte di reddito. La diminuzione dei salari monetari per
un verso tende a far aumentare la quantit di prodotto che gli
imprenditori sono disposti a immettere sul mercato a ciascun
livello dei prezzi, per un altro fa diminuire la quantit di pro-
dotto che ciascun lavoratore occupato pu acquistare a un dato
livello dei prezzi. Una deflazione salariale pu dar vita a un av-
vitamento tra prezzi e salari monetari: entrambi possono variare
nella stessa direzione e in proporzione pressoch identica. V o-
lendo riassestare uno stato d disequilibrio tra salario reale e
occupazione mediante reazioni interne al mercato del lavoro,
una deflazione dei salari monetari rappresenta una soluzione as-
sai inefficiente: una volta avviatasi verso il livello d occupa-
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE

zione indicato nella figura 2.5 dal punto B, l'economia potrebbe


rimanervi incagliata a lungo.
La diminuzione del salario monetario e del livello dei prezzi
avr per un effetto sul valore reale sia della moneta (la cui
quantit fissata in termini nominali) che dei debiti. Se la mo-
neta costituita essenzialmente dalle passivit delle banche, rap-
presentate dai depositi del pubblico, allora ad essa corrisponder
un ammontare pressoch eguale di debiti privati in possesso
delle banche (questa viene chiamata moneta interna). Ad ogni
guadagno in termini reali dovuto a una diminuzione del livello
dei prezzi e goduto da chi possiede moneta, corrisponde una
perdita in termini reali a carico di chi si trova in posizione de~
bitoria nei confronti delle banche. L'aumento dell'onere reale
dei debiti privati dovuto a una diminuzione del livello dei prezzi
induce il pubblico a ridurre la sua posizione debitoria. In tal
modo possiamo osservare un processo parallelo di diminuzione
dei prezzi e dei salari monetari da un lato e della quantit nomi-
nale di moneta dall'altro (soprattutto se l'offerta di moneta
di natura "interna"). Possiamo essere certi che le variazioni del
salario e del livello dei prezzi (in seguito alle quali la quantit
di moneta bancaria deflazionata per il livello dei prezzi tender
ad umentare) avranno un certo effetto sulla domanda aggregata
solo se facciamo una particolare assunzione: se assumiamo cio
che mentre i creditori delle banche alterano il proprio compor-
tamento in seguito alla variazione del valore reale delle loro
attivit finanziarie, i debitori delle banche al contrario riman-
gono indifferenti alla variazione del valore reale delle loro pas-
sivit finanziarie.
Vi per una componente dell'offerta di moneta alla quale
non corrisponde un pari ammontare di debiti privati verso le
banche: la moneta metallica usata come circolante e riserva
bancaria, le banconote emesse dal Te soro, le emissioni di vario
tipo del Tesoro in possesso delle banche e, per estensione, dei
privati (banconote, monete metalliche ed emissioni del Tesoro
vengono definite moneta esterna). Il valore reale di queste atti-
vit finanziarie aumnta al diminuire del livello dei prezzi.
L'incremento del valore reale di quella parte di moneta in
possesso del pubblico cui non corrisponde un debito privato di
pari ammontare uno dei canali attraverso i quali un disequi-
librio sul mercato del lavoro si ripercuote sugli altri mercati e
CAPITOLOSECONDO

quindi altera l'equilibrio generale raffigurato nel diagramma


IS-LM.
Una delle vie mediante le quali un aumento nel valore reale
della moneta agisce sui mercati del modello IS-LM dato dal-
l'aumento della quantit di moneta in termini reali della curva
LM, provocandone cio uno slittamento verso destra. Se non ci
troviamo in una situazione di trappola della liquidit, tale slit-
tamento tender a far diminuire i saggi d'interesse, il che a sua
volta pu provocare un aumento degli investimenti e quindi
del reddito. Talvolta ci si riferisce a questo fenomeno come al-
i"' effetto Keynes": esso pu dar luogo a uno slittamento "rie-
quilibratore" della funzione della domanda di lavoro verso il
punto d'equilibrio determinato, secondo i princpi dell'economia
"classica", dall'intersezione delle curve d'offerta e di domanda
di lavoro.
Tale processo pu tuttavia rivelarsi poco efficiente. Un tipo
di obiezione che si pu sollevare a tale proposito (e che va-
lida per ogni tipo di domanda di carattere speculativo) che
la diminuzione del livello dei prezzi pu dar vita ad aspettative
deflazionistiche, secondo le quali, cio, ci si attende una costante
diminuzione dei prezzi. Ci a sua volta pu provocare l'insor-
gere di aspettative deflazionistiche sul livello dei prezzi dei beni
d'investimento. Poich in una situazione come quella descritta
dalla retta NvEF della figura 2.5 gli imprenditori non solo si
trovano a disporre di un potenziale eccesso d'offerta di lavoro,
ma anche di un effettivo eccesso d'offerta di attrezzature pro-
duttive, durante una fase recessiva essi non. avranno difficolt
alcuna nel posticipare l'ordinazione di beni d'investimento.
Quindi in una situazione di eccesso d'offerta, ogni processo di
espansione della domanda che dipenda dall'andamento delle or-
dinazioni di beni d'investimento pu, almeno in un primo mo-
mento, non concretizzarsi affat'to.
I dati sull'andamento dei consumi apparsi nel periodo a ca-
vallo del 1940 hanno una specifica caratteristica in comune: i
dati riferentisi all'andamento dei consumi durante il ciclo eco-
nomico rivelano una tendenza alla diminuzione della propen-
sione media al consumo, mentre i dati di lungo periodo mostrano
che il rapporto consumo/reddito rimasto pressoch costante.
Secondo una delle spiegazioni addotte per giustificare il fatto
che la propensione media al consumo rimasta costante, la rie-
L'INTERPRETAZIONE TRADI:ZIONALE 71

chezza in termini reali sarebbe aumentata con il reddito e tale


incremento avrebbe controbilanciato la tendenza del rappono
risparmio/reddito ad aumentare all'aumentare del reddito. Que-
sto fenomeno stato interpretato come una prova che la fun-
zione del consumo di breve periodo (cio durante il corso del
ciclo) slitta verso l'alto allorch in atto un processo di accu-
mulazione. Assumendo che un aumento della ricchezza nomi-
nale abbia gli stessi effetti .sul consumo di un aumento della ric-
chezza reale possiamo affermare che la funzione del consumo
slitta verso l'alto allorch la deflazione fa aumentare il potere
d'acquisto in termini reali della moneta esterna e delle attivit
finanziarie. L'effetto sul consumo esercitato dal potere d'acqui-
sto delle attivit monetarie viene chiamato "effetto saldi reali"
(real-ba/ance effect). L'assunzione chiave della sintesi neoclassica
stabilisce che, volendo far diminuire il livello desiderato della
frazione di reddito risparmiato, un aumento della ricchezza car-
tacea dovuto a un processo deflazionistico tanto efficace
quanto un aumento della ricchezza reale dovuto a un processo
accumulativo. La deflazione dei livello dei prezzi avr l'effetto
di far slittare verso destra la curva IS nel piano cartesiano (i, Y),
facendo quindi aumentare la domanda aggregata.
Riassumendo, diremo che la deflazione ha sulla domanda ag-
gregata due effetti di segno positivo e un effetto di segno nega-
tivo. Da un lato essa fa aumentare il valore reale della quantit
di moneta (con corrispondente diminuzione dei saggi d'interesse)
nonch il potere d'acquisto in termini reali di una componente
della ricchezza monetaria, riducendo cos il risparmio (questi
due effetti tendono a far aumentare la domanda aggregata);
d'altro canto la deflazione fa diminuire il livello degli investi-
menti a causa delle aspettative deflazionistiche che essa alimenta.
In linea di principio gli investimenti non possono andare al di
sotto di un certo limite: dato un certo livello di utilizzazione
delle attrezzature produttive, c' un limite massimo di disinve-
stimento oltre il quale non si pu andare. Per di pi, lo spirito
della sintesi neoclassica poco si addice a un'analisi esplicita dei
possibili effetti destabilizzanti delle aspettative. A causa della
trappola della liquidit, anche l'effetto sui saggi d'interesse eser-
citato da un aumento della quantit di moneta pu rivelarsi di
portata poco significativa. Ad ogni modo, per, il potenziale
influsso che una diminuzione del livello dei prezzi pu avere
CAPITOLO SECONDO

sui risparmi pressoch illimitato: in linea di principio questo


processo, una volta messo in moto, potrebbe "piazzare" la fun-
zione del risparmio in una posizione tale che il reddito di piena
occupazione potrebbe venir interamente consumato (o quasi).
Ecco quindi che l'introduzione della quantit reale di moneta
nella funzione del risparmio ci assicura che la funzione del-
l'occupazione (ricavata invertendo la funzione dell'offerta ag-
gregata) possa essere "costretta" a passare per il punto in cui si
intersecano le funzioni "classiche" della domanda e dell'offerta
di lavoro (punto A della fg. 2.5). Ovvero il processo deflazio-
nistico ci assicura il raggiungimento di uno stato di equilibrio
di piena occupazione. Uno stato di disoccupazione pu protrarsi
nel tempo solo se l'esistenza di lavoratori disoccupati non pro-
duce una riduzione nei salari monetari, se cio i salari monetari
sono rigidi.
L'equilibrio ottenuto facendo slittare la funzione del rispar-
mio in modo tale che la quantit di lavoro domandata, ricavata
invertendo la funzione dell'offerta aggregata, sia uguale al va-
lore d'equilibrio dell'occupazione sul mercato del lavoro, rap-
presenta dunque uno stato di equilibrio completo, nel senso che
in esso tutte le funzioni del modello IS-LM e le condizioni di
equilibrio del mercato del lavoro vengono contemporaneamente
soddisfatte. Se la "perturbazione" iniziale che ha fatto muovere
il sistema da uno stato di equilibrio completo verso uno di di-
soccupazione dovuta a una variazione nell'offerta di moneta
(dove per offerta di moneta si intenda moneta esterna o una
combinazione di moneta interna ed esterna le cui proporzioni
relative non variano), allora il processo deflazionistico, grazie
al quale il sistema ritorna in posizione di piena occupazione ha
effetti "neutrali", cio i valori reali del modello rimangono im-
mutati: la teoria quantitativa, secondo la quale livello dei prezzi
e offerta di moneta variano nelle medesime proporzioni, si di-
mostra valida.
Coloro che hanno sviluppato questo tipo di modellistica non
necessariamente intendono trasformare in prescrizione di poli-
tica economica la dimostrazione teorica che, nel caso vi sia di-
soccupazione, un processo deflazionistico pu far ritornare il
sistema economico in posizione d'equilibrio di piena occupa-
zione ( definita da parametrici meramente "tecnologici"). Queste
teorie non escludono per la possibilit che la politica fiscale e
L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE 73
monetaria possa porre rimedio a eventuali cadute della domanda
aggregata pi rapidamente di una politica di deflazione. Anche
se il sistema in grado di autoregolarsi, il sentiero che porta
all'equilibrio pu rivelarsi troppo arduo, troppo lungo, o ad-
dirittura senza sbocco alcuno (se i salari sono rigidi). Una buona
dose di politica fiscale e monetaria di tipo keynesiano pu ri-
velarsi utile anche se, in linea di principio, non strettamente
necessaria: secondo la sintesi neoclassica propugnare un'attivit
politica di piena occupazione non in contraddizione con la
convinzione teorica che l'economia possiede un automatico mec-
canismo riequilibratore. Keynes, sebbene sconfitto da un punto
di vista scientifico e teorico, occupa pur sempre - secondo la
sintesi neoclassica - un posto di rilievo come studioso "pratico",
la cui opera cio si rivela utile e valida per quanto concerne la
politica economica.

Conclusione
A conclusione del nostro viaggio attraverso vari modelli tra-
dizionali che hanno assimilato alcuni elementi della Teoria ge-
nerale, possiamo affermare che tali modelli "keynesiani" o sono .
banali (i modelli basati sulla funzione del consumo) o incom-
pleti (i modelli IS-LM senza mercato del lavoro) o intrinseca-
mente contraddittori (i modelli IS-LM con mercato del lavoro
ma senza l'effetto saldi reali) o portano a risultati pressoch
identici a quelli desunti dalla vecchia teoria quantitativa (i mo-
delli della sintesi neoclassica). Bisogna per riconoscere che il
processo d'equilibrio descritto . dalla sintesi neoclassica implica
una serie di variazioni simultanee e tra loro concatenate nei di-
versi mercati; la sintesi neoclassica non un'analisi banale ed
elementare, non postula uno stato d'equilibrio sul mercato del
lavoro e il prodotto globale di piena occupazione non viene da
essa meccanicamente introdotto nelle funzioni del mercato dei
risparmi, degli investimenti e della moneta. Il processo di tran-
sizione da un iniziale stato di disequilibrio a una posizione d'e-
quilibrio pu rivelarsi assai lento, in quanto i diversi mercati
interreagiscono tra loro e ciascuno di essi, forse per motivi isti-
tuzionali, pu non reagire affatto o reagire in modo destabiliz-
zante. Pi in particolare, se il mercato del lavoro caratteriz-
74 CAPITOLO SECONDO

zato da una certa vischiosit o rigidit (dovuta probabilmente


al potere dei sindacati), un eccesso d'offerta di lavoro pu non
tramutarsi in una riduzione dei salari monetari. Ecco quindi
che la rigidit dei salari la causa della disoccupazione: la di-
soccupazione involontaria, nel mondo neoclassico, non esiste.
Additare nella rigidit (o nella non sufficientemente rapida
velocit d'aggiustamento) dei salari la causa di tutti i mali non
certo una posizione keynesiana: Keynes, infatti, riteneva che
un ipotetico regime di salari flessibili avrebbe assai probabil-
mente peggiorato la situazione. Questa opinione non si fondava
esclusivamente sulla natura speculativa della domanda degli in-
vestimenti, fattore che pur riduce l'efficacia di una politica di
deflazione salariale: Keynes faceva anche riferimento al processo
mediante il quale il sistema bancario produce moneta interna.
Una continua caduta dei salari, dei prezzi e dei flussi di cassa
delle imprese fa s che i potenziali clienti delle banche debbano
sopportare per tutta 1a durata dei debiti da loro contratti un
onere assai pi pesante. La caduta del livello dei prezzi e dei sa-
lari tende a innescare un processo deflazionistico creditizio tale
da ridurre la quantit di moneta, il che non fa che aggravare la
situazione sul mercato del lavoro: prezzi e salari flessibili hanno
effetti destabilizzanti.
Ora che abbiamo presentato in sufficiente dettaglio i mo-
delli di derivazione keynesiana che sono entrati a far parte del
pensiero economico tradizionale, possiamo passare ad -analizzare
quegli aspetti della Teoria generale che sono stati invece tra-
scurati o ignorati completamente dagli economisti ortodossi,
aspetti dai quali emerge un'immagine del processo capitalistico
del tutto diversa da quella offertaci dall'economia tradizionale.
Capitolo 3
Tre fondamentali prospettive d'analisi

Introduzione
Secondo l'interpretazione del pensiero keynesiano oggi do-
minante, cos come espressa dalJa sintesi neoclassica, la Teoria
generale proporrebbe un modello d'equilibrio che non si di-
scosta malto da quello che un raffinato discepolo di Marshall
avrebbe potuto accettare ai tempi in cui scriveva Keynes. In
quest'ottica, se quella che viene considerata la pi importante e
meno on od ossa delle affermazioni di Keynes (e cio che in
un'economia capitalistica possibile il perdurare di uno stato di
disoccupazione) vera, lo perch si assume che abbiano vali-
dit empirica cene rigidit (in primo luogo dei salari monetari)
o certe particolari forme di relazioni funzionali (per esempio la
trappola della liquidit). Una posizione ormai ortodossa quella
secondo la quale la sintesi neoclassica - cui si perviene introdu-
cendo nell'apparato keynesiano l'effetto saldi monetari reali, cos
da assicurare che l'equilibrio simultaneo sul mercato delle merci
e su quello monetario sia coerente con l'equilibrio sul mercato
del lavoro - era gi implicita nel pensiero economico prekeyne-
siano. Una volta introdotto l'effetto saldi monetari reali, la teo-
ria tradizionale passa a mostrare che il meccanismo di mercato
non intrinsecamente viziato: i processi di mercato raggiungono
e mantengono la piena occupazione.
Inoltre, nel caso si sviluppasse e persistesse una situazione di
disoccupazione, provocata da errori di politica economica o da
disfunzioni istituzionali o da particolari rigidit, la teoria orto!
CAPITOLO TERZO

dossa postula la scelta tra due strade: lungo la prima l'impiego


oculato della politica fiscale e monetaria fa superare gli ostacoli
che impediscono il raggiungimento di uno stato di pieno equi-
librio ed elimina gli errori passati, causa di disoccupazione;
lungo la seconda, invece, si possono apportare delle modifiche
alle caratteristiche strutturali dell'economia che rimuovano
quelle rigidit e quelle deficienze istituzionali che provocano e
fanno perdurare scostamenti dalla piena occupazione.
Secondo l'interpretazione neoclassica quindi l'imperituro con-
tributo apportato da Keynes riguarda essenzialmente la politica
economica governativa: le sue proposizioni teoriche hanno reso
intellettualmente rispettabile propugnare un atteggiamento at-
tivamente interventista nella gestione dell'economia. Se si rico-
nosce che certi processi d'aggiustamento sono piuttosto lenci,
cos prosegue l'interpretazione neoclassica, si vede come una
politica di intervento di tipo aggregato, ad esempio la politica
fiscale e monetaria, fosse gi implicita nella teoria economica
classica, pur orientata in senso liberista.
Ma Keynes, come mostra la sua replica alla recensione di
Viner della Teoria generale, rifiut esplicitamente una tale in-
terpretazione del proprio pensiero. Viner (1936, p. 152) asseriva
che "la propensione al tesoreggiamento viene generalmente trat-
tata dalla teoria monetaria moderna come un fattore tendente a
ridurre la 'velocit' della moneta, con risultati che sono in so-
stanza qualitativamente identici a quelli di Keynes". Secondo
Viner la teoria di Keynes consiste essenzialmente nell'integrare
nel modello marshalliano una descrizione particolareggiata dei
meccanismi che determinano la velocit di circolazione. Non
dissimile dall'interpretazione di Viner quella fornita da Hicks
(1937), secondo cui la teoria di Keynes " difficilmente distin-
guibile da quelle teorie marshalliane rivedute e corrette che,
come abbiamo visto, non sono affatto nuove".
Keynes respinse senza mezzi termini le idee di Viner: "non
posso trovarmi d'accordo con l'interpretazione di Viner", scrive
Keynes e aggiunge di essere "convinto che quei teorici di eco-
nomia monetaria che tentano di trattare [la domanda di moneta]
in tal modo [ come Viner] sono totalmente sul binario sbagliato"
(1937a, p. 21r).
In questo capitolo e nei quattro che seguono proporremo
un'interpretazione della Teoria generale alternativa rispetto a
TRE PROSPETTIVE D'ANALISI 77

quella fornita dalla sintesi neoclassica e m linea con le idee


espresse da Keynes nella sua replica a Viner. Questa interpre-
tazione alternativa mette in particolare risalto il fatto che Key-
nes ha elaborato una teoria intesa a spiegare il comportamento
di un'economia capitalistica le cui istituzioni finanziarie siano
estremamente raffinate. Una tale economia intrinsecamente
tarata in quanto inevitabile che abbia un andamento ciclico:
essa non in grado, di per s, di mantenere un regime di piena
occupazione e, nel succedersi dei cicli, ciascuno stadio transi-
torio nel senso che il sistema mette in funzione meccanismi che
alterano il successivo comportamento dell'economia.
Un'economia capitalistica caratterizzata da investimenti pri-
vati e dalla propriet privata dei mezzi di produzione. In un'e-
conomia capitalistica avanzata, sono le istituzioni monetarie e
finanziarie a determinare il modo in cui si rendono disponibili
i fondi necessari sia per l'appropriazione di attivit capitali sia
per la produzione di nuovi beni capitali. L'economia capitali-
stica presa in esame da Keynes un sistema dove il settore pri-
vato dispone di portafogli finanziari, dove attivit capitali e ti-
toli finanziari speculativi sono, per certi aspetti essenziali, pres-
socch equivalenti, dove le banche (definite genericamente come
istituzioni specializzate in operazioni finanziarie) svolgono un
ruolo importante. Nella teoria di Keynes la causa immediata di
ciascuna fase ciclica l'instabilit degli investimenti, ma la causa
di fondo del ciclo economico, in un'economia dalle istituzioni
finanziarie proprie del capitalismo, va individuata nell'instabilit
della composizione dei portafogli e delle interrelazioni finan-
ziarie.
In quelle parti della Teoria generale alle quali il pensiero eco-
nomico ortodosso (il cui momento culminante rappresentato
dalla sintesi neoclassica) stato sempre sordo, Keynes proponeva
da un lato una teoria basata sugli investimenti per spiegare le
fluttuazioni della domanda reale e dall'altro una teoria basata
sui rapporti finanziari per spiegare le fluttuazioni degli investi-
menti reali. La composizione desiderata dei portafogli e quindi,
in generale, i rapporti finanziari sono i pi evidenti ambiti deci-
sionali in cui mutamenti d'opinione sull'andamento futuro del-
l'economia possono alterare con effetti assai rapidi il compor-
tamento degli operatori. Questa estrema sensibilit presente
non solo nelle unit economiche primarie come le imprese com-
CAPITOLO TERZO

merciali e il settore famiglie, ma anche in istitu2:ioni specifica-


mente finanziarie, quali banche di investimento, banche di cre-
dito ordinario ecc. Ma il futuro incerto. Per capire Keynes
necessario capire innanzi tutto la sua raffinata concezione del-
l'incertezza e l'importanza di quest'ultima nella sua visione del
processo economico. Keynes senza incertezza come l'Amleto
senza il Principe.
In questo capitolo la nostra analisi si muover lungo tre di-
verse prospettive che riteniamo fondamentali per interpretare
e capire Keynes: la ciclicit dell'andamento economico, l'incer-
tezza e la natura degli investimenti. In opposizione al paradigma
dell'economia classica e della sintesi neoclassica, basato su un
ideale sistema di baratto (l'immagine che viene in mente
quella di un contadino o di un artigiano che scambia i propri
prodotti al mercato del villaggio), la teoria keynesiana si fonda
su un paradigma finanziario-speculativo, che suggerisce, al con-
trario, l'immagine di un banchiere che compie le proprie transa-
zioni in una W all Street.
Seguendo queste prospettive d'analisi nei prossimi quattro
capitoli deriveremo una teoria keynesiana degli investimenti e
dell'andamento del sistema economico, mettendo in particolare
risalto le determinanti finanziarie e speculative della realt eco-
nomica.

La prospettiva analitica del ciclo economico


Keynes, quando spiega il motivo per cui non pu accettare
l'interpretazione data da Viner alla preferenza per la liquidit,
ragiona in termini di ciclo economico. Il suo articolo di risposta
si apre con queste parole: "Quando, come succede in un periodo
di crisi... " (1937a, p. 21r). Per dirla con le parole di Joan Ro-
binson ( r 97 r ), le rigidit del sistema non fornivano una spiega-
zione della disoccupazione:
La tesi di Keynes non era quella che gli stata attribuita dai
"keynesiani bastardi" e cio che i salari monetari sono rigidi per motivi
istimzionali. La sua tesi era che, in un periodo di crisi, una possibile ri-
duzione dei salari non avrebbe fatto che peggiorare la simazione.

La Teo'fia generale tutta costellata di prove che ne legit-


timano l'interpretazione come teoria di un sistema economico
TRE PROSPETTIVE D'ANALISI 79
che, proprio per le sue stesse istituzioni, ha un andamento ci-
clico. Richiami a fenomeni ciclici non si trovano solo nel capi-
tolo 22 della Teoria generale ("Note sul ciclo economico"),
dove il tema viene affrontato in termini espliciti, e nella replica
a Viner (pubblicata nel febbraio 1937 sul "Quarterly Journal
of Economics"), ma sono presenti in tutto il testo. Se la Teoria
generale viene letta accettando come prospettiva d'analisi il
fatto che l'oggetto d'esame l considerato un'economia capi-
talistica avanzata per la quale, in passato come in futuro, il ci-
clo economico un tratto ineliminabile, i riferimenti che san-
ciscono la validit di un'interpretazione in termini di cicli
economici appaiono evidenti in ogni pagina. Nella prefazione
Keynes scriveva:
Questo libro (.,,) finito per diventare in sostanza uno studio delle
forze che determinano variazioni nel volume della produzione e dell'oc-
cupazione in complesso (. ..) un'economia monetaria essenzialmente
un'economia nella quale le mutev-O!iaspettative sul futuro influenzano non
soltanto la direzione, ma anche il volume dell'occupazione (TG p. 146).

Il primo paragrafo del capitolo 22 suona cos:


Se fondata la nostra pretesa di aver mostrato nei capitoli precedenti
i fattori che determinano, in qualsiasi momento, il volume dell'occupa-
zione, la nostra teoria d1,ve essere in grado di spiegare i fenomeni del
ciclo economico (TG p. 481).

Analogamente Keynes, concludendo la sua replica a Viner


scriveva: "Ci che propongo quindi questo: una teoria che
spiega il motivo per cui la produzione e l'occupazione sono cos
soggette a fluttuare" (1937a, p. 221).
Nel 1936, anno in cui apparve la Teoria generale, l'econo-
mia mondiale viveva il settimo anno della Grande Crisi. Seb-
bene vi fosse stata una considerevole ripresa rispetto al punto
di svolta del 1933 e sebbene il susseguirsi di shock e di crisi fi-
nanziarie che aveva contraddistinto gli anni 1929-33 sembrasse
acqua passata, i tassi di disoccupazione rimanevano assai elevati.
Negli Stati Uniti non era stato ancora raggiunto il livello re-
cord del reddito nazionale esistente alla fine degli anni venti.
L'economia mondiale era stagnante e lenta a riprendersi; lo spi-
rito imprenditoriale era vivo s, ma non certo vigoroso.
La teoria economica ortodossa di quegli anni, quella che
80 CAPITOLO TERZO

Keynes chiamava la scuola "classica", non era stata in grado n


di prevedere l'arrivo della crisi, n di capire perch fosse soprag-
giunta, n di spiegarne la gravit e la durata, n infine di fornire
un qualche suggerimento utile di politica economica; 1 per essa
gli eventi accaduti negli Stati Uniti nel periodo 1929-33 erano
inspiegabili. Keynes prese come spunto proprio quegli eventi:
il suo nuovo modo di vedere la realt avrebbe fatto dell'ecce-
zione la regola.
Ovviamente in precedenza economisti (classici e non), pub-
blicisti e uomini politici avevano avanzato delle spiegazioni sulla
Grande Crisi in corso. Sovrainvestimenti, sottoconsumo, ecces-
sivo indebitamento, i postumi di un'orgia speculativa, il sistema
bancario a riserva parziale, errori della Banca Centrale, i sinda-
cati (pressoch inesistenti negli Stati Uniti), l'opposizione de-
gli operai a tagli salariali, il basso livello dei prezzi agricoli, una
crisi di fiducia: queste erano le spiegazioni della Grande Crisi
offerte da studiosi e da sapientoni. Ciascuna di queste spiegazioni
unidimensionali venne facilmente screditata; esistevano s de-
scrizioni precise di situazioni e d processi ciclici, ma non erano
inserite in un apparato analitico complessivo.
Keynes propose con la Teoria generale un modello in grado
di spiegare ogni stato ciclico del sistema economico. Questo mo-
dello inseriva certi aspetti delle svariate spiegazioni unidimensio-
nali del ciclo in una struttura analitica multidimensionale e ben
integrata:
Esaminando nei particolari qualunque esempio concreto di ciclo eto-
nomico, troveremo che molto complesso e che ogni elemento della no-
stra analisi sar necessario per spiegarlo completamente. In particolare
troveremo che le fluttuazioni della propensione al consumo, dello stato
della preferenza di liquidit e dell'efficienza marginale del capitale vi
hanno tutte la loro parte ( TG p. 481).

1
Come stato detto sopra, alcuni economisti di scuola classica al tempb della
Grande Crisi diedero suggerimenti di politica economica che oggi considereremmo
del tutto adeguati, mentre altri loro colleghi proposero misure che oggi giudiche-
remmo insensate. I buoni consigli, per, erano basati su intuizioni e osservazioni
casuali (sul buonsenso) piuttosto che su una qualsiasi teoria ben articolata. Se gli
economisti che davano buoni consigli costituissero la maggioranza o la minoranza
degli economisti di scuola classica una questione priva di importanza. Ci che
conta che i loro consigli, pur validi, non erano coerenti con la teoria che essi
proclamavano di seguire; come economisti non erano in grado di portare argomenti
convincenti sulla validit dei loro suggerimenti pratici.
TRE PROSPETTIVE D'ANALISI 81

L'accento posto sul sottoconsumo da precedenti teorie del


ciclo veniva ora inglobato nella funzione del consumo; la te-
matica del sovraindebitamento e delle imperfezioni del sistema
monetario veniva riproposta in termini di preferenza per la li-
quidit, mentre la curva dell'efficienza marginale del capitale
teneva conto della tesi del sovrainvestimento. Inoltre lo stato di
fiducia del pubblico, ora riproposto in termini di una raffinata
discussione sull'incertezza e sulle aspettative, veniva a far parte
integrante della teoria come "parametro di slittamento" delle
altre funzioni del sistema, delle quali determinava la posizione.
Anche le precedenti disquisizioni sulla rigidit dei prezzi veni-
vano ora prese in considerazione, in quanto si riconosceva la
lentezza del processo di aggiustamento dei salari e degli altri
costi, cosicch, nella determinazione del livello dei prezzi, il
saggio di salario reale diventava il naturale numeraire ( o punto
fisso).
La Teoria generale non una teoria del ciclo economico in
quanto tale; piuttosto una teoria su come viene determinato
ogni esistente stato transitorio del ciclo economico e su come
viene messa in crisi la stabilit di tali stati transitori. Ciascuno
stato esistente il risultato dell'interazione degli elementi di
un determinato e immutabile insieme di forze di mercato, rap-
presentate dall'andamento e dalla posizione di un ristretto nu-
mero di relazioni funzionali fondamentali. Per di pi, se trascu-
riamo di introdurre l'incertezza, che Keynes non formalizz
mai in misura pari a quella di altre relazioni funzionali, pos-
sibile mettere ciascuna delle nuove e originali funzioni d lui
introdotte sotto una forma simile ( o analoga) a quella delle re-
lazioni che compaiono nelle versioni formalizzate dei modelli
classici. Qualora cio si ignori l'incertezza e la prospettiva ana-
litica del ciclo, il che cosa da non poco, la nuova teoria po-
trebbe essere riformulata in termini di costrutti analitici gi
noti, prima modificati e poi rimontati in modo nuovo e origi-
nale.
I concetti che di nonna vengono ignorati e la cui importanza
viene sminuita dalle varie interpretazioni di Keynes, vale a dire
i rapporti tra gli investimenti e gli apparati finanziari, la pro-
spettiva del ciclo e l'incertezza, sono invece elementi essenziali
per afferrare appieno il significato dell'apporto teorico keyne-
siano. Forse una ragione per cui la rivoluzione keynesiana
82 CAPITOLO TERZO

abortita sta nel fatto che idee nuove venivano proposte in un


contesto che utilizzava gran parte degli strumenti analitici tra-
dizionali; forse ci avvenne perch Keynes stesso non riusc a
liberarsi completamente di quei "modi abituali di pensiero e di
espressione" dai quali ci metteva in guardia nella sua prefazione
(TG p. 147). Nel seguito del testo cercheremo, tra l'altro, di
mostrare come la profonda importanza dell'incertezza e delle
variabili finanziarie nel processo d'investimento sia stata smi-
nuita dall'assunzione dell'esistenza di una curva dell'efficienza
marginale del capitale con pendenza negativa. Pi in partico-
lare, l'aver posto la questione del livello dei prezzi delle attivit
capitali in termini di tassi d'interesse ha reso meno limpido il
messaggio keynesiano circa i fattori determinanti gli investi-
menti.
Le relazioni funzionali della Teoria generale generano tutte
quelle posizioni di breve periodo identificate come stati d'equi-
librio. Per sua intrinseca natura un equilibrio di breve periodo
transitorio. Nel caso dell'equilibrio marshalliano di breve pe-
riodo in un particolare mercato, in atto un processo di accu-
mulazione o di decumulazione di capitale cosicch, col passare
del tempo e ammesso che il processo non venga interrotto, ven-
gono soddisfatte le condizioni riguardanti lo stock di capitale
necessarie per raggiungere un equilibrio di lungo periodo. Nel-
l'equilibrio marshalliano di lungo periodo non esistono forze
economiche endogene in grado di provocare ulteriori cambia-
menti. Variazioni demografiche esogene, innovazioni tecnolo-
giche e cambiamenti istituzionali possono, come pure certi svi-
luppi politici, modificare la posizione di equilibrio di lungo
periodo verso la quale tende il sistema e quindi far uscire l'eco-
nomia dal suo stato d'equilibrio; la visione di Marshall quella
di un sistema che tende verso uno stato di quiete.
Ogni rimando fatto da Keynes a stati d'equilibrio va quindi
interpretato come un riferimento a un insieme transitorio di
variabili del sistema verso le quali converge l'economia; ma, al-
i' opposto di Marshall, non appena l'economia si accinge a rag-
giungere un tale insieme di variabili, hanno luogo delle varia-
zioni determinate endogenamente che modificano l'insieme di
variabili del sistema verso le quali converge l'economia. Volendo
ricorrere a un'analogia, si pu immaginare un bersaglio mobile
che, ammesso che sia mai raggiunto, viene colpito solo per un
TRE PROSPETTIVE D'ANALISI

attimo fuggente. Ogni stato del ciclo transitorio, si tratti di


boom o di crisi, di deflazione creditizia, di stagnazione o di
espansione. Nel corso di uno stato di equilibrio di breve pe-
riodo, secondo Keynes, sono all'opera processi che disequili-
brano il sistema; non solo la stabilit una meta irraggiungibile,
ma non appena ci si approssima a qualcosa di simile alla stabilit,
subito entrano in azione dei processi destabilizzanti.
Keynes non elabor, alla maniera di Marshall, un semplice
modello con due stati di equilibrio (cio con un equilibrio di
breve e uno di lungo periodo): nel suo modello il sistema pu
trovarsi in uno qualsiasi dei vari stati possibili, ciascuno dei quali
contiene in s le cause della .propria distruzione. I vari stati nei
quali pu trovarsi il sistema sono il boom, la crisi, la deflazione,
la stagnazione, l'espansione e la ripresa. Ciascuno di questi stati
sistemici menzionato nella Teoria generale e ciascuno di essi
connesso allo stato precedente e a quello successivo. Ogni
stato sistemico caratterizzato dalla forma (cio dalla elasticit)
e dalla posizione delle varie funzioni. V a dett per che la
Teoria generale non fornisce una trattazione precisa degli stati
di boom, di crisi, di deflazione e di espansione. Questi stati si-
stemici sono determinati in massima parte dal comportamento
del settore finanziario, ma, a parte qualche accenno, gli speci-
fici dettagli delle istituzioni finanziarie dell'economia non sono
esaminati da un punto di vista sistemico.
Questi sono solo alcuni aspetti dei problemi sollevati dalla
Teoria generale e dalla replica a Viner che le interpretazioni e
gli sviluppi dell'economia keynesiana ortodossa hanno sempre
ignorato. L'economia keynesiana convenzionale qualcosa di
simile a un modello mutilato a due stati nel quale l'equilibrio di
sottoccupazione tipico di una fase recessiva sfocia, con uno sfa-
samento temporale pi o meno lungo, in una posizione di equi-
librio di piena occupazione. L'errore insito nell'asserzione di
Hicks (1937), secondo cui "la teoria generale dell'occupazione
la teoria economica della depressione", venne generalmente
accettato da tutti, in quanto si vedeva nello stato di sottoccu-
pazione sia il tratto "originale" della Teoria generale sia l'aspetto
pi significativo da un punto di vista pratico nella situazione
esistente nell'economia mondiale dell'epoca.
La Teoria generale non sempre espone in modo chiaro la
successione ciclica dei vari stati sistemici; vi sono anzi due ben
CAPITOLO TERZO

distinte idee di ciclo economico: da un lato un ciclo debole, che


possiamo identificare con il ciclo smorzato del modello accele-
ratore-moltiplicatore, dall'altro un ciclo assai accentuato con
violente oscillazioni tra boom e crisi. Nel capitolo 18 della Teo-
ria generale (pp. 410-19) Keynes traccia a grandi linee un mo-
dello di ciclo economico debole che potrebbe essere a ragione
considerato come il prototipo dei vari modelli di interazione
moltiplicatore-acceleratore ad andamento non esplosivo. Il ci-
clo economico l descritto si basa su un meccanismo moltiplica-
tivo non eccessivamente potente e sull'idea di un rendimento
prospettivo degli investimenti che presenta fluttuazioni non
troppo marcate. Tale modello moltiplicativo degli investimenti
considerato adeguato
a spiegare le caratteristiche salienti della nostra esperienza concreta: che
cio il nostro mondo economico oscilla, evitando i pi gravi estremi delle
fluttuazioni dell'occupazione e dei prezzi in ambo i sensi, intorno a una
posizione intermedia, sensibilmente al di sotto dell'occupazione piena e
sensibilmente al di sopra di quel livello minimo dell'occupazione, al di
sotto del quale si metterebbe in pericolo l'esistenza (TG p. 419).

Il ciclo economico del capitolo 1 8 non contempla n boom n


cns1.
Nei capitoli 12 e 22, nella replica a Viner e in vari passi della
Teoria generale viene invece descritto un ciclo assai sostenuto,
con i suoi boom e le sue crisi. Va detto per che n la Teoria
generale n i pochi articoli di Keynes successivi ad essa (nei
quali spiegava la sua nuova teoria) contengono una definizione
e una spiegazione adeguate del boom e della crisi. Quegli svi-
luppi finanziari che nel corso del boom fanno s che l'eventua-
lit di una crisi sia, se non certa, assai probabile, vengono solo
accennati senza essere esaminati in modo esauriente. questo il
vuoto logico, il passaggio mancante della Teoria generale cos
come lasciataci da Keynes nel 1937 dopo la sua replica a Viner.
La tradizione interpretativa che ha dato vita all'odierna teoria
macroeconomica ortodossa non ha tenuto in considerazione
proprio le specifiche articolazioni finanziarie keynesiane e quindi
quegli stati sistemici le cui caratteristiche sono pi spiccata-
mente finanziarie, vale a dire il boom, la crisi e la deflazione
creditizia. Se si vogliono afferrare appieno le potenzialit proprie
TRE PROSPETTIVE D'ANALISI 85
della Teoria generale per interpretare e comprendere il capitali-
smo contemporaneo, bisogna dare forma compiuta a ci che
Keynes ha trattato solo in modo frammentario e non rigoroso.
Anche se boom e crisi non sono stati esaminati in modo siste-
matico nella Teoria generale sono proprio essi gli elementi
chiave per capire le indicazioni di Keynes. Il fatto che Keynes
non abbia discusso esplicitamente e con precisione i particolari
concernenti boom e crisi non deve distoglierci dall'affrontare
il tema.
All'inizio degli anni trenta, periodo durante il quale fu con-
cepita la Teoria generale, il grande crollo di Wall Street era
impresso nella memoria di tutti: per rendere accette le proprie
idee non era necessario riferirsi esplicitamente e ripetutamente
al grande crollo.
Alla fine della prima guerra mondiale, per l'Inghilterra (in
buona parte a causa dell'inopportuno ritorno della sterlina alla
parit prebellica, ritorno cui Keynes, come noto, si oppose
strenuamente) era iniziata una fase di disoccupazione cronica e
di funzionamento ridotto dell'apparato produttivo. La stagna-
zione degli anni venti trovava facile spiegazione da parte della
tradizione classica in termini di contraddizione tra il livello in-
terno dei prezzi espresso in sterline e il livello dei prezzi dei beni
inglesi espresso in dollari, definito dal tasso di cambio. La sta-
gnazione inglese del decennio 1920-30 non suscit il bisogno di
una nuova teoria economica: per rendere coerente la vecchia
teoria bastava far presente il fatto che i salari e la composizione
della produzione industrial si adeguavano con lentezza a una
situazione mutata in modo radicale. Infatti, con la svalutazione
della sterlina del r 9 3r, l'Inghilterra visse un breve periodo di
"piccolo boom", sebbene stesse progredendo una depressione
su scala mondiale. La stagnazione degli anni venti pot essere
spiegata senza uscire dai confini delle vecchie teorie: il saggio
sulle Conseguenze economiche di Winston Churchill ( 1925a),
ove Keynes tratta del ritorno della sterlina alla parit prebellica,
non si discosta dal filone classico.
Il fatto anomalo che fece venire alla luce la nuova teoria fu
dunque il grande crollo di W all Street e ci che ad esso segu.
Mentre il periodo in cui fu concepito il Trattato sulla moneta
( 1930b) coincise con il periodo di stagnazione cronica dell'In-
ghilterra (il Trattato si muove all'interno della tradizione clas-
.,
86 CAPITOLO TERZO

sica), la Teoria generale fu concepita negli am della Grande


Crisi, fatta scattare da una depressione economica cui segu un
processo deflazionistico creditizio che dagli Stati Uniti si estese
a tutta l'economia mondiale. Keynes per non ci presenta al-
cuna teoria esplicativa della crisi. Per completare il quadro dob-
biamo dunque colmare questa lacuna: senza un modello che ge-
neri endogenamente boom, crisi e deflazioni creditizie, la teoria
di Keynes resta incompiuta. 2

L'i11c_ertezza
La descrizione dell'incertezza e del processo decisionale in
condizioni d'incertezza rappresentavano per Keynes interessi
intellettuali di vecchia data. Egli lavor per quindici anni, con
varie interruzioni, al suo Trattn.tn _SUl/aprobabilit pubblicato
nel 1221. In questo lavoro Keynes affronta il problema di quelle
"asserzioni che ( ...) sono razionali e che, senza pretendere di
essere certe, rivendicano per una certa importanza" (p. 3), ar-
gomentando che "diverse quantit di informazioni ci consen-
tono di avere diversi gradi di convinzione razionale circa una
data proposizione" (ibid.). Nell'opera Keynes distingue tra la
probabilit di una certa proposizione e il peso ad essa attribuito:
A mano a mano che aumentano le comprove pertinenti a nostra di-
sposizione il valore quantitativo della probabilit di una data asserzione
pu aumentare o diminuire, a seconda che l'informazione ottenuta raf-
forzi le prove a favore o a sfavore di quella asserzione, ma in ambo i
casi qualcosa sembra essersi accresciuto ( ...) in quanto la disponibilit di
nuove comprove fa aumentare il peso dell'asserzione in esame (1921,
p. 77).

L'idea di Keynes qui espressa che , cio il grado di con-


vinzione razionale ( o probabilit) attribuito a una proposizione,
condizionale rispetto alle comprove esistenti h; una proposi-
"iione probabilistica viene quindi indicata come a/h. Anche
2 Possiamo assumere che l'idea di fondo della descrizione data da Irving Fisher

(1933) del periodo successivo a una crisi sia stata accettata da Keynes come prim~
approssimazione del comportamento post-crisi del sistema economico. lecito assu-
mere inoltre che allora si ritenesse che un andamento simmetrico del sistema avesse
iuogo durante un periodo di boom. Va aggiunto infine che Fisher non fu in grado di
offrire nessuna spiegazione teorica della crisi.
TRE PROSPETTIVE D'ANALISI

se in alcuni casi assai semplici (ci che accade, ad esempio, su


un tavolo da gioco non truccato), possiamo assegnare ad a/h un
preciso valore numerico, tenendo presente le circostanze obiet-
tive, e scrivere quindi O~a/ h ~ 1, in tutti gli altri casi - i pi
diffusi in realt e i pi imponanti per la teoria economica -
non esistono criteri obiettivi (sui quali cio osservatori di con-
sumata abilit possano trovarsi completamente d'accordo) che
ci consentano di giungere a un tale grado di precisione nume-
rica. Eppure necessario prendere decisioni anche in quei casi
in cui non possibile attribuire con obiettivit un qualche pre-
ciso valore numerico a una data asserzione. Tali decisioni ven-
gono prese come se tuttavia fosse possibile attribuire oggetti-
vamente un qualche valore alle diverse probabilit: possiamo
denominare questo tipo di probabilit, definita senza avere a
disposizione informazioni sufficienti, "probabilit soggettiva".
Essa, essendo basata su una conoscenza incompleta, va soggetta
a variazioni repentine e sostanziali; i processi decisi in base a
t~li .stime possono quindi mostrare cambiamenti rapidi e mas-
s1cc1.
Secondo Keynes, oltre alla probabilit assegnata a una pro-
posizione condizionale in base a considerazioni oggettive o sog-
gettive, esiste un altro fattore soggettivo nel processo decisio-
nale: se le varie probabilit attribuite a dati eventi vengano
effettivamente utilizzate o meno come guida all'azione, dipende
infatti dal grado di sicurezza (o peso) ad esse assegnato. Nel
Trattato sulla probabilit Keynes riteneva che un incremento
nelle comprove a disposizione facesse aumentare il peso, o grado
di sicurezza, attribuito a una proposizione. Ma nel contesto dei
problemi economici trattati nella Teoria generale, riguardanti
il processo mediante il quale le imprese, le banche e le famiglie
prendono decisioni sul futuro, vi sono eventi, per esempio le
crisi, che possono far diminuire in modo radical il grado di si-
curezza assegnato alle varie opinioni sull'andamento futuro del
sistema. Fatti nuovi possono sia alterare le distribuzioni proba-
bilistiche soggettive associate a determinati eventi futuri, sia ac-
crescere o ridurre il grado di sicurezza che ciascuno attribuisce
alle proprie opinioni.
Non imponante per il nostro ragionamento verificare se
lo schema di decisione dualistica avanzato da Keynes nel Trat-
tato sulla probabilit (cio da un lato stime soggettive delle pro-
88 CAPITOLO TERZO

babilit in esame e dall'altro un'autonoma attribuzione di pesi


alle comprove a disposizione) sia il modo pi appropriato di
formulare il processo decisionale in situazioni d'incertezza.
Forse questo problema potrebbe essere affrontato in modo mi-
gliore da uno schema diverso, assumendo per esempio che le
distribuzioni probabilistiche soggettive siano variabili e che le
funzioni di preferenza rispetto all'incertezza possano cambiare.
Ci che invece significativo, anzi fondamentale, quando si
voglia interpretare Keynes, tenere presente il fatto che egli
giunse ad analizzare i problemi di scelte economiche dove com-
pare la dimensione temporale (e quindi l'incertezza) e a studiare
il comportamento di un sistema economico dove tali scelte svol-
gono un ruolo importante, armato di un apparato filosofico as-
sai sofisticato che gli consentiva di esaminare decisioni prese in
base a una conoscenza incompleta della realt. t bene ricordare
che questo schema intellettuale permea tutta la sua teoria eco-
nomica. Keynes inoltre riteneva che non vi fosse alcun modo
di rimpiazzare l'incertezza cos definita con proposizioni certe
ad essa equivalenti; egli credeva che le proposizioni probabili-
stiche in questione e il peso ad esse attribuito fossero soggetti
a variazioni non casuali e imprevedibili, ma rispondenti agli
eventi della realt.
Il processo decisionale in situazioni di incertezza, tema affron-
tato da Keynes nel Trattato sulla probabilit, un argomento
centrale della Teoria generale. Nella sua replica a Viner Keynes
tenne moltissimo a distinguere le proprie idee sull'incertezza da
quelle dei suoi maestri e colleghi, Marshall, Edgeworth e Pigou.
La teoria di questi ultimi, secondo l'interpretazione di Keynes
(1937a, pp. 212 sg.),
assumeva che, a ogni dato istante fatti e aspettative fossero fissati in
modo chiaro e suscettibile di calcolo; si supponeva che il rischio - del
quale, pur menzionandolo, non si teneva conto - potesse essere sotto-
posto a un calcolo attuariale esatto. Secondo tale teoria il calcolo della
probabilit - menzionato s ma poi lasciato sullo sfondo - sarebbe in
grado di ridurre l'incertezza alla stessa stregua della certezza, attribuen-
dole cio un carattere misurabile.

Keynes pass poi a definire che cosa egli intendesse per cono-
scenza "incerta":
TRE PROSPETIIVE D'ANALISI 89
Quando parlo di conoscenza "incerta" mi riferisco semplicemente alla
distinzione tra ci che si sa per certo da ci che solo probabile. Il gioco
della roulette non in questo senso soggetto a incertezza, n lo la pro-
spettiva che venga estratta una particolare cartella delle obbligazioni
Victory. La durata della nostra esistenza anch'essa solo parzialmente
incerta. Persino le condizioni atmosferiche sono incerte solo in misura
assai moderata. Io uso questo termine nello stesso senso in cui si pu dire
che incerta la prospettiva di una guerra europea o sono incerti il prezzo
del rame o il livello del tasso d'interesse che vigeranno tra vent'anni o
sono incerte l'obsolescenza di una nuova invenzione o la posizione che
avranno nel sistema sociale del 1970 i proprietari privati di ricchezza.
Riguardo tali questioni non esiste nessuna base scientifica sulla quale co-
struire un qualsivoglia tipo di probabilit suscettibile di misurazione pre-
cisa: non ne sappiamo semplicemente nulla. Nondimeno la necessit di
agire e di prendere decisioni ci costringe, in quanto uomini pratici, a fare
del nostro meglio per non tener conto di questa scomoda circostanza e a
comportarci come faremmo se avessimo a nostro sostegno il buon con-
teggio benthamiano di una serie di vantaggi e di svantaggi futuri - cia-
scuno moltiplicato per la sua appropriata probabilit - in attesa solo di
essere sommati gli uni agli altri (1937a, pp. 213 sg.).

L'uso di far equivalere a proposizioni incerte altre proposi-


zioni note con certezza - cos caro agli studiosi accademici -
per gli uomini pratici una mera convenzione, rispettata solo a
parole, e abbandonata non appena emergano prove che la con-
traddicono.
Di fronte all'incertezza e alla "necessit di agire e di prendere
decisioni" noi ricorriamo a delle convenzioni: assumiamo che il
11
presente sia una "guida utile per il futuro assumiamo che le
,

attuali condizioni di mercato ci forniscano buone norme di con-


dotta riguardo ai mercati futuri e "ci sforziamo ad adeguarci al
comportamento della maggioranza o della media della gente"
(Keynes, r937a, p. 214). Con fondamenta cos fragili, le nostre
opinioni sul futuro "sono soggette a variazioni repentine e vio-
lente" (ibid., pp. 2r4sg.): "Tutte queste graziose .tecniche deci-
sionali fatte per le pareti ben rivestite di un- Consiglio d' Ammi-
nistrazione e per un mercato che si comporta a dovere sono
destinate a crollare di schianto" (ibid., p. 215).
quindi l'incertezza a sminuire l'importanza che la teoria tra-
dizionale attribuisce alle funzioni di produzione e a stabili fun-
zioni d preferenza quali fattori determinanti il comportamento
90 CAPITOLO TERZO

del sistema. L'incertezza interviene in modo decisivo nella deter-


minazione del comportamento economico in due casi: nelle
scelte di portafoglio delle istituzioni finanziarie, delle imprese e
delle famiglie e nelle opinioni che hanno circa il rendimento fu-
turo dei beni capitali imprese, proprietari di beni capitali e isti-
tuti di finanziamento industriale.
Quando si interpreta la Teoria generale bisogna tener pre-
sente che Keynes stato, innanzitutto, l'autore del Trattato sulla
probabilit.

Investimenti e disequilibrio
Nella replica di Keynes a Viner la domanda effettiva, con le
sue fluttuazioni, costituita da due componenti: consumi e inve-
stimenti. Il "volume di beni di consumo che profittevole pro-
durre ( ...) connesso, tramite la formula del moltiplicatore, ( ...)
al volume di beni di investimento" (1937a, p. 220), cos che "la
Teoria pu essere riassunta in poche parole dicendo che, dato
l'atteggiamento psicologico della gente, il livello della produzione
e dell'occupazione aggregate dipende dal volume degli investi-
menti" (ibid., p. 221). La teoria di Keynes la teoria di un ciclo
generato dall'andamento degli investimenti, in cui il consumo
mette in moto un processo di amplificazione passivo, cosicch le
fluttuazioni degli aggregati economici sono determinate dalle
fluttuazioni degli investimenti.
Il volume degli investimenti destinato a fluttuare per
motivi del tutto diversi a) da quelli che determinano la propensione degli
individui a risparmiare parte di un dato ammontare di reddito e b) dalle
condizioni tecniche di miglioramento della produzione in termini fisici,
condizioni che sono state usualmente considerate come quelle aventi la
maggiore' importanza nel regolare l'efficienza marginale del capitale (ibid.,
p. 218).

I cambiamenti nell'andamento degli investimenti, causa im-


mediata delle fluttuazioni economiche, non sono dovuti a cam-
biamenti nella produttivit tecnica del capitale o nell'amore per
il risparmio delle famiglie: persino se questi due fattori fossero
stabili e ben definiti, gli investimenti sarebbero nondimeno sog-
getti a fluttuare.
Quei "motivi del tutto diversi" fanno perno sulle preferenze
TRE PROSPETTIVE D'ANALISI 91

di portafoglio, sulle condizioni di finanziamento e sull'incertezza.


La teoria economica keynesiana differisce da quella neoclassica
in quanto introduce in un modello di comportamento sistemico
l'incertezza propria di un'economia capitalistica decentralizzata,
un'economia cio dove ciascuna famiglia e, cosa pi importante,
ciascuna impresa commerciale (comprese le banche e le altre
istituzioni finanziarie) non solo prende decisioni circa l'impiego
immediato del reddito, ma anche circa l'allocazione intertempo-
rale di portafoglio. L'introduzione esplicita della dimensione
temporale fa s che venga assai sminuita l'importanza sia della
funzione di produzione - in quanto fattore determinante la pro-
duzione, gli investimenti e la distribuzione del reddito dell'eco-
nomia - sia dell'idea stessa di equilibrio.
Per Keynes il pi importante punto di riferimento immediato,
in base al quale vengono prese le decisioni di investimento e di
portafoglio, costituito da valutazioni soggettive sulle opzioni
di scelta lungo un certo orizzonte temporale, valutazioni che pos-
sono mutare col tempo. Innanzitutto, "gli uomini d'affari giocano
una partita mista di a,.bilite di fortuna, i cui risultati medi per i
giocatori non sono noti a coloro che entrano nel gioco" (TG
p. j ro). Eppure imprenditori e proprietari di ricchezza devono
prendere delle decisioni. Di conseguenza, l'effetto sull'andamento
dell'economia derivante dalla necessit di decidere in condizioni
di informazione incompleta che gli investimenti delle imprese
possono avere un andamento instabile persino se le sottostanti
relazroni produttive rimangono stabili. Gli effetti dell'incertezza
sulla composizione preferita di portafoglio e le conseguenze de-
rivanti dal progressivo aggiustamento dei portafogli verso la
composizione desiderata possono essere tali che l'equilibrio verso
il quale converge il sistema non solo vari in continuazione, ma
anche assai rapidamente. Il comportamento dell'economia dun-
que caratterizzato dall'azione di tendenze equilibratrici piuttosto
che dal raggiungimento di un definitivo stato d'equilibrio. L'eco-
nomia keynesiana, in quanto teoria economica del disequilibrio,
la teoria del disequilibrio permanente.
Capitolo 4
Meccanismo di finanziamento capitalistico e
determinazione del prezzo dei beni capitali

Introduzione
Il funzionamento di un'economia capitalistica direttamente
influenzato dall'incertezza in quanto quest'ultima incide profon-
damente sulla struttura finanziaria, ovvero sulle relazioni esistenti
tra i portafogli-titoli delle varie unit economiche. Un portafoglio-
titoli ( che consiste di attivit delle quali si mantiene il controllo
o la propriet e di passivit emesse appunto per finanziare l'acqui-
sto e la gestione di attivit) implica, per sua stessa natura, l'esi-
stenza di unit decisionali la cui posizione corrente rispecchia
le opinioni che esse hanno avuto (e hanno) circa le prospettive
di successo di determinati agenti economici e circa l'andamento
dell'economia in generale. Nel quarto libro della Teoria generale
("L'incentivo a investire") Keynes affronta il tema dell'incidenza
dei rapporti finanziari sull'andamento della domanda aggregata.
Sfortunatamente la sua discussione sui meccanismi di finanzia-
mento e sulle scelte di portafoglio, nonch sul modo in cui questi
due fattori sono connessi alla determinazione dei prezzi dei beni
capitali e all'andamento degli investimenti, non brilla certo per
chiarezza. Questa oscurit in parte dovuta alla sua decisione di
togliere il prezzo dei beni capitali dagli argomenti della funzione
di preferenza per la liquidit; Keynes, invece di introdurre espli-
citamente il prezzo dei beni capitali e le condizioni del credito
nella sua trattazione della scelta di portafoglio, ha elaborato la
propria analisi unicamente in termini di tassi d'interesse. Inoltre,
proprio nell'affrontare il problema chiave della determinazione
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI 93
del prezzo relativo delle varie attivit reali e finanziarie, egli ha
abbandonato la prospettiva analitica del ciclo (predominante in
ogni altra sezione del libro) per adottare l'ottica della crescita in
condizioni d'equilibrio. A causa di questi errori analitici, gli
interpreti dell'opera di Keynes hanno sminuito o addirittura
ignorato la reale pregnanza del suo discorso teorico.
In questo capitolo in primo luogo analizzeremo brevemente i
rapporti finanziari capitalistici in termini di flussi di contante;
successivamente riformuleremo la funzione della preferenza per
la liquidit introducendovi esplicitamente i prezzi dei beni capi-
tali; infine esamineremo la relazione esistente tra la valutazione
delle attivit reali e finanziarie e finanziamento delle posizioni di
portafoglio.

Flussi di contante e domanda di moneta


In un'economia capitalistica possibile caratterizzare ciascuna
unit economica in base al tipo di portafoglio che questa detiene,
ovvero all'insieme di attivit finanziarie e reali di cui proprie-
taria e all'insieme di passivit finanziarie cui deve far fronte. (I
contratti di nolo e di affitto rappresentano anch'essi attivit e pas-
sivit finanziarie: esattamente come nel caso di titoli obbligazio-
nari essi mettono in essere flussi di contante.) In linea di principio
ciascuna unit economica pu "piazzare" sul mercato le attivit
di cui proprietaria e assumere ulteriori passivit finanziarie.
Ogni agente economico effettua scelte di portafoglio e ogni
scelta di portafoglio consiste di due elementi interdipendenti: da
un lato bisogna decidere quali attivit vadano cedute, quali rite-
nute e di quali si debba mantenere il semplice controllo; dall'altro
bisogna scegliere il modo in cui finanziare la posizione di porta-
foglio assunta (ovvero l'eventuale propriet o controllo delle atti-
vit in questione). Volendo rimanere fedeli alla terminologia
usata da Keynes diremo che attivit e passivit rappresentano
delle annualit: esse cio danno origine a entrate e uscite di con-
tanti lungo un certo intervallo temporale (che pu essere fisso o
variabile). In termini pi moderni possiamo dire che attivit e
passivit mettono in essere una successione datata di flussi di con-
tante attesi, cio incassi o esborsi in contante.
Le varie attivit e passivit possono essere classificate in modi
diversi a seconda del tipo di flussi di contante che esse mettono
94 CAPITOLO QUARTO

in essere: tali flussi, infatti, possono aver luogo a date precise


oppure dietro semplice richiesta o essere condizionali rispetto a
qualche evento particolare; possono dipendere dal funzionamento
generale dell'economia o essere privi d clausola alcuna; possono
essere connessi all'impiego o al possesso (oppure all'acquisto o
alla vendita) di una certa attivit patrimoniale, e cos via. Nelle
economie capitalistiche contemporanee la gamma di possibili tipi
di pagamenti in contante assai ampia: tutti i pagamenti ai fattori
di produzione (salari, rendite, interessi, profitti) rappresentano
flussi di contante, cos come lo sono tasse e trasferimenti, acquisti
di beni finali e intermedi, nonch pagamenti su strumenti fi-
nanziari.
I flussi di contante inoltre variano a seconda del loro grado di
certezza. I flussi di contante che un impianto specializzato nella
produzione di determinati prodotti chimici in grado di gene-
rare, ~ma volta in funzione, a favore dell'impresa che ne mantiene
la propriet, dipendono da costi e ricavi. Questi ultimi, a loro
volta, dipendono dal successo dell'impresa nel proprio settore
industriale, dall'andamento dell'industria e, pi in generale, dalla
congiuntura economica. Inoltre, in linea di principio, un flusso
d contante potrebbe scaturire anche dalla vendita dell'intero
impianto chimico. Forse la vendita di un intero impianto chimico
specializzato un fatto inconsueto, ma, se s tiene conto delle
transazioni concernenti il trasferimento di filiali operative, l'im-
piego di beni patrimoniali per rastrellare contante non dopo
tutto un caso tanto raro da consentirci di ignorarne la possibi-
lit al momento di stabilire il valore di una data attivit. Ngli
Stati Uniti, passata la mania dell'accentramento di gestione de-
gli anni sessanta, molte organizzazioni industriali hanno rastrel-
lato contante o comunque hanno alterato la propria posizione
di cassa mediante la vendita d proprie consociate. Esistono
inoltre alternative meno drastiche della vendita totale di attivit
patrimoniali: si pu infatti ottenere contante dando in pegno o
ipotecando beni capitali sui quali non penda alcun precedente
impegno e dei quali si sia proprietari; senza contare che, in un'e-
conomia nel cui sistema finanziario siano presenti societ azio-
narie conglomerate e gruppi finanziari di controllo, sempre
possibile ottenere contante vendendo o impegnando le azioni
ordinarie di una consociata.
I flussi di contante che il proprietario di un'attivit patrimo-
FlNII.N'Z.lA.MEN'IO CA.Plll.LlS'IlCO E BENI CAPI'IA.Ll 95

niale operativa (quale un impianto chimico) pu ricavare dalla


vendita o dall'ipoteca di quest'ultima sono soggetti a un enorme
grado di variabilit. L'ammontare di contante ricavabile dalla
vendita o dall'ipoteca di un impianto chimico dipende dalle
opinioni degli operatori (esistenti e potenziali) di altri impianti
chimici, nonch dalle opinioni dei direttori delle banche di
credito ordinario e d'investimento circa la capacit dell'im-
pianto chimico in questione (sotto l'attuale gestione o con
un'amministrazione diversa) di generare flussi di contante, te-
nuto conto delle previsioni sull'andamento generale dell'econo-
mia. Le fortune di una normale impresa commerciale non di-
pendono solo dall'andamento del mercato del bene che essa
produce e dalle condizioni alle quali essa pu assumere forza
lavoro e altri fattori produttivi, ma anche dall'andamento dei
mercati finanziari e dalle condizioni alle quali essa pu prendere
a prestito, vendere le proprie attivit patrimoniali o emettere
nuove az10m.
In contrapposizione al carattere condizionale dei flussi di
contante ricavabili dalla vendita o dall'impiego di un impianto
chimico, l'ammontare dei flussi di contante generato da uno
strumento di debito pubblico (un buono del Tesoro, per esem-
pio) pressoch certo, almeno in termini nominali e ammesso
che vengano rispettate le clausole del contratto. per risaputo
che, al di l di ogni ragionevole dubbio, lo Stato onora sempre
gli impegni descritti nel contratto. In un'economia capitalistica
avanzata, inoltre, gli strumenti del debito pubblico e soprattutto
i buoni del Tesoro a breve vengono trattati su mercati ad ampia
partecipazione (il numero dei proprietari di buoni cio assai
alto), dove il volume degli scambi molto cospicuo; tali mer-
cati hanno un andamento elastico, nel senso che il prezzo di un
qualsiasi strumento del debito pubblico, qualora venga alterato
da momentanei eccessi di domanda o di offerta, ritorna sempre
al suo livello originale. In caso di impellente necessit il proprie-
tario di uno strumento del debito pubblico a breve pu vendere
e ottenere contante pari all'incirca al valore nominale dei titoli
venduti. Nella decisione circa l'acquisto o meno di strumenti
del debito pubblico a pi lunga scadenza, invece, incidono an-
che elementi speculativi, sebbene anche qui il rispetto delle clau-
sole contrattuali sia fuori dubbio. Infatti il potere d'acquisto dei
flussi di contante pu variare in seguito a variazioni nel livello
96 CAPITOLO QUARTO

generale dei prezzi. Ricordiamo infine che il prezzo di mercato


di uno strumento del debito pubblico di non breve scadenza
riflette, ad ogni istante di tempo, la struttura dei tassi d'inte-
resse di mercato.
Il denaro liquido - la moneta in senso stretto - rappresenta
dal punto di vista dei flussi di contante un'attivit finanziaria
del tutto particolare, un pianeta con impegni finanziari assai
complessi. A differenza dei depositi a risparmio e dei titoli del
Tesoro, la moneta un'attivit finanziaria che non d al suo
possessore alcun rendimento pecuniario netto. La circostanza
che la moneta e le altre attivit finanziarie espresse in termini
nominali possano accrescere il proprio valore reale in seguito a
una diminuzione del livello generale dei prezzi non pertinente
al nostro discorso. Lo specifico valore della moneta consiste nel
fatto che essa ha una forma tale da consentirci di effettuare pa-
gamenti in contante. Se un agente economico deve effettuare
un certo pagamento e dispone di buoni del Tesoro necessario,
nella stragrande maggioranza dei casi, prima vendere i buoni
del Tesoro per poi utilizzare il ricavato per effettuare il paga-
mento richiesto. Il possesso di moneta contante elimina la
stessa ragion d'essere di una tale transazione: comodo di-
sporre di "attivit nello stesso riferimento nel quale possono
venire a scadenza passivit future" (TG p. 401).
In un mondo in cui le posizioni debitorie del pubblico sono
espresse in moneta, la moneta un'attivit finanziaria sicura
per far fronte a tali impegni. Per la moneta esiste sempre un
mercato in quanto gli agenti economici i cui impegni finanziari
siano espressi in moneta sono costretti a cercare attivamente di
procurarsela. La moneta non un'attivit il cui valore sia in-
variante rispetto al reddito in quanto il livello dei prezzi dei
beni esistenti soggetto a variazioni. N il valore della moneta
invariante rispetto ad altre attivit (incluso il capitale reale),
in quanto il valore monetario delle attivit finanziarie e reali
pu cambiare. Il valore della moneta invariante solo rispetto
ai contratti e agli impegni di pagamento espressi in termini mo-
netari, siano essi debiti, tasse o transazioni correnti.
Una volta ammesso che l'incrociarsi di rapporti finanziari
rappresenta un fattore di fondamentale importanza per il fun-
zionamento dell'economia, viene naturale considerare la moneta
e il sistema monetario come punto di partenza della teoria eco-
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI 97
nomica. L'importanza del tutto speciale della moneta in un'e-
conomia capitalistica non discende dal fatto che essa il mezzo
per effettuare i pagamenti: anche in un'economia socialista la
moneta un mezzo di pagamento, senza per questo essere un
elemento chiave per la determinazione del livello della produ-
zione, dell'occupazione, degli investimenti e dei prezzi, in quanto
un'economia socialista priva delle interrelazioni finanziarie
proprie del capitalismo; speculare sul valore dell'apparato pro-
duttivo una caratteristica esclusiva del sistema capitalistico. Il
paradigma analitico adatto per lo studio di un'economia capita-
listica non quello tipizzato da un sistema di baratto, ma quello
in cui vi sia una City o una W all Street, in cui il possesso di
attivit finanziarie e le transazioni correnti vengono finanziate
da prestiti. Solo in certi casi, osserva R. W. Clower (1969),
vero che
l'aspetto specifico di un'economia monetaria consiste nel fatto che ad
alcune merci (nel contesto ora in esame, a tutte le merci tranne una) non
viene riconosciuto il ruolo di possibile o effettivo mezzo di pagamento.
Con un aforisma diremo: la moneta acquista merci e le merci acquistano
moneta, ma le merci non acquistano merci.

L'aforisma di Clower non riesce a cogliere l'aspetto carat-


terizzante della moneta in un'economia capitalistica. In un
mondo dove le passivit finanziarie in mano a privati vengono
utilizzate per acquistare il controllo o la propriet . di attivit,
sono proprio queste passivit finanziarie ad "acquistare" i beni
capitali. Chi dispone di un conto in banca indirettamente finan-
zia l'acquisto o il controllo di beni capitali da parte di altri.
Le passivit finanziarie in mano ai privati mettono in essere
tutta una serie di impegni di cassa. Famiglie e imprese normal-
mente ottengono il contante necessario per far fronte ai propri
impegni grazie alla loro attivit di produttrici di reddito, ovvero
grazie a flussi di contante quali i salari, i ricavi delle vendite e i
profitti lordi. Il possesso di moneta - e di quelle attivit finan-
ziarie che costituiscono la quasi-moneta (vale a dire i depositi
al risparmio, i certificati di deposito ecc.) - funge da "polizza
d'assicurazione" nel caso l'economia (o certi mercati partico-
lari) dovesse funzionare in modo irregolare e indesiderato, nel
caso cio i flussi di contante derivanti dall'attivit economica
CAPITOLO QUARTO

oppure ottenibili mediante transazioni finanziarie dovessero di-


mostrarsi insufficienti per far fronte ai bisogni.
Bisogna infine ricordare l'esistenza di unit economiche quali
gli istituti di credito e le compagnie d'assicurazione il cui nor-
male funzionamento necessita di un regolare introito di contanti;
quest'ultimo viene assicurato, ammesso che i mercati finanziari
abbiano un andamento regolare, dalla vendita di attivit finan-
ziarie di cui tali unit sono proprietarie e dall'emissione di
nuove passivit. Banche e compagnie assicurative inoltre incas-
sano contanti allorch scadono i termini dei contratti finanziari
di cui esse sono beneficiarie (ammesso che i contraenti onorino
i propri impegni). Per unit finanziarie di questo tipo, cos
come per le imprese e le famiglie, il mero possesso di moneta
contante agisce da polizza assicurativa contro eventuali "buchi"
negli introiti di contante dovuti a inadempienze contrattuali con-
cernenti i titoli in loro propriet o all'andamento irregolare dei
mercati sui quali esse prendono moneta a prestito o vendono le
proprie attivit.

Le equazioni della domanda di moneta ovvero


della preferenza per la liquidit
In un'economia contraddistinta da rapporti finanziari assai
elaborati e complessi, l'insieme di transazioni che determina la
domanda di moneta molto pi vasto dell'insieme di transazioni
fisiche dalle quali dipende il reddito disponibile, la cui impor-
tanza stata invece sottolineata dalla teoria quantitativa tradi-
zionale. Di particolare importanza sono le transazioni che si ri-
feriscono agli impeg~i di pagamento in contanti stipulati nei
contratti finanziari, all'acquisto e alla vendita di attivit, nonch
agli strumenti di pagamento necessari per finanziare tali opera-
zioni. Il fatto che la moneta, in un mondo incerto, possa avere
usi diversi da quello transazionale sta alla base della teoria della
preferenza per la liquidit di Keynes.
La versione fisheriana dell'equazione fondamentale della teoria
quantitativa - cio l'equazione degli scambi MV= PT, dove
M = moneta; V= velocit di circolazione; P = livello dei prezzi;
T = insieme di transazioni per effettuare le quali necessaria la
moneta - riesce a cogliere gli aspetti finanziari dell'uso di moneta
meglio della "versione di Cambridge" dell'equazione della teoria
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI 99
quantitativa, e cio: Mv =kPO, dove Mv= domanda di moneta;
k = proporzione del reddito domandato in moneta; P = livello dei
prezzi dei beni finali; O = beni finali in termini reali. Infatti se
scriviamo la formula di Fisher per esteso, e cio 1:M; Vi= 1:P;T;
(dove l'indice i si riferisce ai diversi tipi di moneta e di velocit
di circolazione e l'indice j si riferisce ai diversi tipi di livello dei
prezzi e di transazioni economiche), possiamo mettere in risalto
l'importanza degli scambi in cui non vengono transatte merci fi_
siche, ovvero le transazioni finanziarie. La formula di Fisher
espressa in termini di reddito (MV= PO) nonch la normale
versione della formula di Cambridge (Mv= kPO) si limitano
invece a porre in risalto la connessione tra domanda di moneta
e domanda di beni finali: queste due equazioni quindi, proprio
perch formulate in termini di merci fisiche, ignorano completa-
mente l'effetto esercitato dalle transazioni finanziarie sulla do-
manda di moneta.
Nella Teoria generale Keynes distingue tre diversi motivi per
tenere moneta: quello transazionale, quello precauzionale e
quello speculativo. Egli prende come punto di partenza la for-
mula di Cambridge (cosa pi che naturale, visto il suo retroterra
culturale), il cui scopo analitico , secondo Keynes, di eviden-
ziare i motivi per cui si detiene moneta. Si tiene moneta a scopo
transazionale per "superare l'intervallo fra la percezione e l'e-
rogazione del reddito" (TG p. 358) e per coprire "l'intervallo
fra il tempo nel quale si sostengono i costi dell'impresa e il
tempo nel quale si ottengono i ricavi di vendita" (TG p. 358).
Quando passa ad analizzare il motivo precauzionale, Keynes fa
rilevare l'importanza di disporre di "un'attivit avente un valore
fisso in termini di moneta allo scopo di far fronte a una succes-
siva obbligazione, anch'essa fissa in termini di moneta" (TG
p. 359). Introducendo la domanda di moneta a scopo specula-
tivo, afferma che essa dovuta allo "scopo di trarre profitto dal
conoscere meglio del mercato ci che il futuro arrecher" (TG
p. 330). Nella Teoria generale per Keynes non segue fino in
fondo le indicazioni analitiche che discendono da questa defini-
zione in quanto non sottolinea il fatto che fare profitti mediante
operazioni speculative implica un apprezzamento, o un deprez-
zamento, delle attivit. L'elemento chiave sul quale fa perno la
domanda speculativa di moneta costituito dalla misura in cui
si ricorre a prestiti per finanziare l'acquisto di attivit il cui
100 CAPITOLO QUARTO

prezzo soggetto a oscillazioni: i prezzi attesi di tali attivit e le


condizioni alle quali si prende moneta a prestito sono le due
variabili che determinano la domanda speculativa di moneta.
Keynes formul la domanda di moneta nei seguenti termini
(TG p. 362):
[1]
dove L 1 indica la funzione della liquidit corrispondente a un
certo livello di reddito Y e "L 2 la funzione di liquidit del
saggio d'interesse r" (TG p. 362). In questa formula L 1 rappre-
senta il motivo transazionale e L2 quello speculativo: Keynes
elimina cos il livello atteso dei prezzi dei beni capitali dall'in-
sieme di elementi che determinano la domanda speculativa di
moneta. A nostro avviso invece essenziale introdurre esplicita-
mente il livello dei prezzi dei beni capitali, PK, quale fattore
determinante la domanda di moneta. In tal modo possibile te-
ner conto degli effetti sul prezzo dei beni capitali dovuti a va-
riazioni nella quantit di moneta (che danno luogo a spostamenti
lungo la funzione della preferenza per la liquidit) o nello stato
delle aspettative (che provocano uno slittamento di tutta la fun-
zione). La domanda di moneta va quindi scritta nel modo se-
guente:
[I']
dove r sta a indicare il saggio d'interesse sui prestiti monetari.
Accettando questa formulazione, se M data, la domanda spe-
culativa di moneta pu fungere da determinante del livello dei
prezzi dei beni capitali.
Attenendosi alla definizione keynesiana di domanda di mo-
neta per scopi precauzionali, la domanda di moneta, in un'eco-
nomia dove il rapporto tra reddito e ammontare degli effetti
finanziari in circolazione variabile, andrebbe scritta cos:

dove L 3 rappresenta il motivo precauzionale connesso all'esi-


stenza di effetti finanziari in sospeso a carico di privati, indicati
dal simbolo F. Volendo, potremmo aggiungere a questa for-
mula la domanda di moneta per finanziamenti che Keynes, nel
suo scambio con Ohlin, ammise essere un elemento importante.
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI IDI

In tal caso F aumenter all'aumentare del livello desiderato (ov-


vero ex ante) degli investimenti (Keynes, 1937b, c); l'espansione
degli investimenti fa aumentare gli impegni futuri di pagamento
dando cos luogo a una domanda di fondi liquidi a scopo pre-
cauzionale.
La domanda di moneta a scopo precauzionale e assicurativo
pu inoltre venir soddisfatta da certi strumenti finanziari che
potremmo chiamare quasi-moneta, QM. La domanda netta di
moneta, in definitiva, pu essere formulata come segue:
M=M 1 +M2+M3-M4=
= Li(Y)+L 2 (r, PK)+LJ(F)-L4(QM) [3]
dove L 4 rappresenta l'effetto liquidit dovuto alla presenza di
quasi-moneta, QM.
Secondo l'equazione [ r], data una certa quantit di moneta,
quanto pi elevato il livello del reddito, tanto pi alto il
saggio d'interesse. Secondo l'equazione [ r'J, data una certa
quantit di moneta, quanto pi elevato il reddito, tanto pi
alto il saggio d'interesse e tanto pi basso il prezzo dei beni
capitali, nel caso si verifichi un movimento lungo la curva della
preferenza per la liquidit. Ma se per reddito pi elevato in-
tendiamo un maggior grado di certezza nei proventi ricavabili
dalla propriet di beni capitali, allora avremo uno slittamento
dell'ntera frmzione della preferenza per la liquidit, cosicch,
per una data quantit di moneta, a un livello pi elevato di red-
dito corrisponder un livello pi alto sia del saggio d'interesse
che dei prezzi dei beni capitali.
Secondo l'equazione [ 2], dati il livello del reddito e la quan-
tit di moneta, quanto maggiore il livello di F (cio l'ammon-
tare degli impegni finanziari dei privati), tanto pi alto sar il
saggio d'interesse e tanto pi basso il prezzo dei beni capitali.
Secondo l'equazione [3] infine, dati il livello del reddito, la
quantit di moneta e l'ammontare degli impegni finanziari (com-
preso il livello desiderato degli investimenti), quanto maggiore
la quantit di quasi-moneta (depositi al risparmio e buoni del
Tesoro) tanto minore il saggio d'interesse e tanto maggiore
il prezzo dei beni capitali.
Nel momento in cui si introduce la quasi-moneta, si intro-
duce del pari un meccanismo per la determinazione endogena
della quantit effettiva di moneta, in quanto si ammette l'esi-
102 CAPITOLO QUARTO

stenza di istituzioni finanziarie per le quali la quasi-moneta co-


stituisce una passivit. Nella misura in cui la creazione di quasi-
moneta riflette un fabbisogno di finanziamenti, un periodo di
innovazioni finanziarie pu dar luogo al contemporaneo rialzo
sia del prezzo dei beni capitali sia del saggio d'interesse sui pre-
stiti monetari. Ecco quindi che in un sistema dove la quantit
effettiva di moneta determinata dalle scelte delle banche e
degli istituti finanziari, si pu assumere che il saggio d'interesse
"sia determinato dall'interazione tra le condizioni alle quali il
pubblico desidera essere pi o meno liquido [ cio prendere a
prestito] e le condizioni alle quali le banche sono disposte a
rendersi pi o meno illiquide [ cio dare a prestito] " (Keynes,
r937c, p. 666).
La natura multidimensionale della domanda di moneta ac-
cennata nella Teoria generale senza per venir esaminata a
fondo. Si potrebbe essere tentati di dire che Keynes, nel mo-
mento in cui tiene conto della natura poliedrica della domanda
di moneta, non si discosta molto dalla visione di Fisher della
domanda di moneta a scopo essenzialmente transazionale. Ma l'a-
spetto veramente originale introdotto da Keynes, che ha reso
la sua formulazione della domanda di moneta molto pi pre-
gnante del mero elenco dei vari tipi di transazioni possibili sti-
lato da Fisher, consiste nell'aver connesso la domanda specula-
tiva di moneta ai saggi d'interesse e al prezzo dei beni capitali.
un peccato che Keynes abbia formulato la funzione della pre-
ferenza per la liquidit in termini di saggio d'interesse, inteso
sia come saggio d'interesse sui prestiti bancari sia come indice
indiretto del livello dei prezzi dei beni capitali ( che cos scom-
paiono dalla scena), incorrendo in ambiguit che hanno reso
meno comprensibile la sua teoria.

Valore delle attivit e finanziamento delle posizioni


di portafoglio
Rispondendo alle critiche di Viner, Keynes ( r937a, pp.
2r 5 sg.) inizia la propria descrizione delle funzioni della moneta
notando che
la moneta, come noto, assolve due funzioni principali. In primo luogo
essa, fungendo da unit di conto, favorisce il processo di scambio pur senza
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI 103

mai comparire come oggetto concreto: essa rappresenta un utile strumento


che per non ha alcun effetto reale. In secondo luogo la moneta una
scorta di valore; almeno questa la storia che ci viene raccontata sent:a
una parola di spiegazione. Nel mondo dell'economia classica difficile im-
maginare un impiego della moneta pi insensato di questo! Una caratteri-
stica propria della moneta in quanto scorta di valore che essa non
fruttifera, mentre al contrario praticamente tutti i modi per accumulare
ricchezza fruttano un certo interesse o profitto. Perch mai dovrebbe esi-
stere una persona, esclusi i pazzi rinchiusi nei manicomi, desiderosa di
utilizzare la moneta come scorta di valore? (Corsivo mio.)

La risposta di Keynes a tale interrogativo che il mondo


nel quale viviamo non corrisponde a quello ipotizzato dall' "eco-
nomia classica"; la realt incerta in quanto esiste un passato,
un presente e un futuro. Non solo: la realt in esame quella di
un sistema capitalistico nel quale gli agenti economici possiedono
portafogli-titoli, cio attivit e passivit nelle quali sono cristal-
lizzate le opinioni passate degli operatori e dalle quali scaturi-
scono gli incassi e gli obblighi di pagamento presenti e futuri.
In una realt segnata dall'incertezza i portafogli devono necessa-
riamente avere una natura speculativa. La gente domanda mo-
neta come scorta di valore perch in un sistema dove impos-
sibile non speculare (dove cio prendere una decisione significa
fare una scommessa) la moneta non infruttifera. Come ab-
biamo notato poco sopra, la moneta, al giorno d'oggi, assomiglia
a una polizza assicurativa, nel senso che possederla significa
porsi al riparo dalle ripercussioni dovute a particolari eventi
sfavorevoli. Ecco quindi che teniamo moneta perch "il pos-
sesso di moneta liquida acquieta le nostre inquietudini e la
ricompensa necessaria per indurci a privarci di moneta l'in-
dice del grado delle nostre ansie" (Keynes, 1937a, p. 216). Come,
allorch aumentano i premi assicurativi ha luogo un processo
di sostituzione nei confronti delle assicurazioni stesse, analoga-
mente quando aumenta il costo del denaro, cio il saggio di
interesse, ha luogo un processo. di sostituzione nei confronti
della moneta.
Keynes aggiunge:
L'importanza di questa caratteristica della moneta stata solitamente
trascurata; i pochi autori che hanno esaminato questo fenomeno, ne hanno
descritto gli aspetti fondamentali in modo inadeguato, in quanto si sono
104 CAPITOLO QUARtO

soffermati essenzialmente sulla quantit di moneta tesorizzata. Essi hanno


supposto che tale grandezza svolgesse un ruolo importante, poich ritene-
vano che essa, agendo sulla velocit di circolazione, avesse un effetto di-
retto sul livello dei prezzi. La quantit di moneta tesorizzata pu venir
modificata solo se varia la quantit complessiva di moneta o se varia il
livello del reddito monetario corrente (volendo porre la questione in ter-
mini schematici). Le fluttuazioni nel grado di fiducia dei pubblico invece
possono avere conseguenze del tutto diverse; esse cio, invece di alterare
l'ammontare di moneta effettivamente tesorizzato, possono modificare il
livello della ricompensa necessaria per indurre il pubblico a non tesoriz-
zare. Le variazioni nella propensione al tesoreggiamento (ovvero in ci che
ho definito come lo stato di preferenza per la liquidit) incidono diretta-
mente sul saggio d'interesse e non sul livello dei prezzi; quest'ultimo pu
invero variare, ma solo al termine di una serie di ripercussioni provocate
dalla variazione del saggio d'interesse (ibid.).

II
Ricordiamoci per che ovviamente un aumento nella pro-
pensione al tesoreggiamento fa aumentare il saggio d'interesse e
quindi riduce il prezzo di tutti i beni capitali esclusa la moneta 11

(Keynes, 1937b, p. 251).


Nella sua replica a Viner Keynes afferma che la domanda di
moneta a scopo speculativo influisce sul prezzo dei beni capitali
in modo indiretto, mediato dall'effetto sul saggio di interesse:
La prima ripercussione del saggio di interesse, fissato in base alle quan-
tit di moneta e alla propensione al tesoreggiamento, quindi sui prezzi
dei beni capitali. Ci non significa naturalmente che il saggio d'interesse sia
l'unico fattore che pu influire sull'andamento di questi prezzi. Le opinioni
circa il rendimento futuro atteso dei beni capitali sono a loro volta sog-
gette a fluttuazioni assai marcate proprio per il motivo che abbiamo test
ricordato, ossia perch tali opinioni si fondano su conoscenze oltremodo
aleatorie. Il prezzo dei beni capitali viene quindi determinato in base a
queste opinioni e al saggio d'interesse (1937a, p. 217).

Keynes tratta il rapporto tra il saggio di interesse e il prezzo


dei beni capitali facendo riferimento a due mercati: su un mer-
cato vengono determinati il livello dei saggi di interesse e l'am-
montare di prestiti monetari, sull'altro vengono determinati i
prezzi dei beni capitali. La nostra analisi invece tratta i rapporti
tra queste grandezze finanziarie in termini sequenziali, nel senso
che un disequilibrio o una variazione in un mercato influisce
sull'altro e ciascuno di essi ha un suo particolare periodo di ag-
giustamento.
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI 105

Segue quindi che il valore delle attivit la cui pro1,>rietfrutta


un ceno rendimento in termini di flussi di contante dipende dal
premio che i proprietari di ricchezza sono disposti a pagare per
una polizza che li assicuri contro l'incertezza, polizza che prende
la forma di moneta liquida. La gente infatti, forse in base a ra-
gionamenti poco fondati, crede che la moneta abbia un potere
assicurativo maggiore di tutti gli altri tipi di attivit.
Non appena ci si rende conto che la moneta rappresenta
anche una polizza d'assicurazione e che l'insieme di transazioni
per le quali si impiega moneta include sia pagamenti finanziari
che pagamenti connessi al processo produttivo, sorge per un
interrogativo: qual l'evento contro il quale la moneta ci as-
sicura?
Una ragione per la quale un percettore di reddito detiene
moneta liquida la possibilit che sopravvengono "tempi duri"
durante i quali i flussi di contante derivanti dal reddito perce-
pito possono subire una riduzione inaspettata. Esistono per
attivit liquide, quali depositi al risparmio e titoli obbligazionari,
che assolvono tale compito cautelativo molto meglio della mo-
neta, ammesso che il pubblico li consideri titoli "sicuri". Un'al-
tra ragione per tenere moneta che il suo possesso allontana il
pericolo di dover vendere titoli per ottenere contanti a condi-
zioni sfavorevoli, qualora il ponafoglio-titoli e le operazioni
produttive non generino abbastanza contante per far fronte ai
pagamenti sulle passivit. quindi possibile che determinate at-
tivit debbano essere vendute per fronteggiare certi impegni di
pagamento. A questo punto sorge per un'altra questione: per-
ch la struttura delle passivit d un'organizzazione economica
dovrebbe essere tale che gli impegni di pagamento in contante
non possano essere coperti dagli introiti derivanti dalle sue ope-
razioni produttive e dai ricavi sui quali le attivit finanziarie in
suo possesso le danno diritto? Che tipo di pagamenti possono
costringerla a vendere le proprie attivit?
Nel capitolo 17 della Teoria generale ("Le propriet essen-
ziali dell'interesse e della moneta") Keynes analizz questi pro-
blemi in profondit, ma in modo piuttosto oscuro. L egli tratta
il meccanismo di valutazione delle attivit: la sua analisi, per
quanto suggestiva e penetrante, tuttavia errata in quanto egli
tralascia di esaminare le varie strutture delle passivit e gli im-
pegni di pagamento che queste comportano, questioni che pure
106 CAPITOLO QUARTO

aveva trattato nella sua definizione di domanda di moneta a fini


precauzionali. Il capitolo 17 risulta poco chiaro anche per un'al-
tra ragione: in esso Keynes ricade, seguendo per cos dire un
secondo istinto nascosto, nel mondo dell'economia classica. Se-
condo l'analisi contenuta in questo capitolo il processo d'accu-
mulazione provoca una diminuzione del rendimento dei beni
capitali, forse perch assume che la produttivit diminuisca al
variare della proporzione in cui vengono utilizzati i fattori pro-
duttivi. Di conseguenza arriva un momento nel quale il rendi-
mento implicito che la moneta offre per le sue caratteristiche
di liquidit sar maggiore del rendimento esplicito ottenibile
dai beni capitali di nuova produzione. In queste pagine le vec-
chie idee, contro le quali Keynes stesso ci aveva messo in guar-
dia nell'introduzione, prendono il sopravvento, almeno in parte.
Proprio in un punto cruciale dell'analisi Keynes abbandona la
prospettiva analitica del ciclo economico (secondo la quale gli
investimenti, i portafogli, le strutture delle passivit sono tutti
determinati in base a considerazioni speculative) per abbracciare
invece l'ottica delle teorie del ristagno secolare e dell'esauri-
mento delle possibilit d'investimento.
Noi cercheremo di riproporre l'analisi esposta nel capitolo
17 della Teoria generale in modo tale da far emergere in tutta
la loro portata le idee originali di Keynes, e a tal fine condur-
remo la nostra analisi in un contesto ciclico speculativo, intro-
ducendo esplicitamente le varie strutture delle passivit. Cos
modificata l'analisi keynesiana ci fornisce gli elementi per spie-
gare il fenomeno dei boom speculativi degli investimenti e "per
sviluppare una teoria delle crisi che ci permetta di capire per-
c? questi boom contengano in s i semi della propria distru-
z10ne.
Il capitolo 1 7 non esamina in modo esauriente il processo di
valutazone delle attivit dal quale dipende il succedersi degli
stati transitori del sistema, ovvero il tragitto del ciclo economico.
Qui Keynes riprende la nozione classica di processo economico
come processo d'equilibrio di crescita e di accumulazione. L'e-
lemento assente in questo capitolo della Teoria generale la
nozione di ciclo, con boom e crisi, che invece costituisce un con-
cetto chiave di tutta l'opera e della replica di Keynes a Viner.
Secondo le idee espresse nel capitolo r 7, quando ha luogo un
processo di accumulazione, l'efficienza marginale ( ovvero il
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI

rendimento) delle attivit reali diminuisce cosicch, prima o poi,


l'efficienza marginale di tutti i tipi di mezzi di produzione ri-
producibili cade al di sotto del rendimento implicito (l'efficienza
marginale) reso dalla moneta sotto forma di liquidit. Con il
progredire dell'accumulazione il rendimento atteso di ogni at-
tivit reale riproducibile deve necessariamente andare al di sotto
del rendimento non pecuniario ricavabile dal possesso di mo-
neta (cio in termini di liquidit). Non appena il rendimento
(cio le quasi-rendite) di un particolare bene capitale scende sotto
la soglia segnata dal rendimento implicito della moneta, la pro-
duzione di tale bene, cio la produzione di beni d'investimento,
viene immediatamente sospesa. Keynes afferma che quando il
rendimento atteso dei beni capitali diminuisce, la moneta ad
assumere un ruolo dominante, perch, se vogliamo che il saggio
di rendimento monetario sui capitali reali sia eguale al saggio
d'interesse implicito sulla moneta, allora alle quasi-rendite dob-
biamo aggiungere l'incremento atteso del valore dei beni capi-
tali. Il prezzo corrente di questi ultimi deve raggiungere un li-
vello cos basso ( ovvero l'incremento atteso del prezzo di tali
beni deve essere cos elevato) da essere inferiore al livello atteso
dei costi di produzione dei beni capitali.
S~ entriamo nell'ottica del ciclo economico e se teniamo
conto esplicitamente dei flussi monetari, possiamo ottenere in
un modo molto pi naturale lo stesso risultato derivato da Key-
nes nel capitolo 17, ovvero possiamo mostrare come il prezzo
corrente di mercato dei beni capitali possa essere inferi ore al
loro costo di produzione. Cos facendo non solo arriviamo alla
stessa conclusione di Keynes, ma rimaniamo pi aderenti alla
sua concezione del processo capitalistico quale emerge dalla
Teoria generale e dalla sua replica a Viner.
Il capitolo 17 dedicato all'analisi del prezzo relativo delle
attivit, o meglio, al prezzo relativo dei beni facenti parte dello
stock di capitale. Keynes distingue "tre attributi che i diversi
tipi di beni capitali posseggono in grado diverso":
Alcuni di essi ( ...) producono un reddito o prodotto q ( ...) Inoltre essi,
salvo la moneta, vanno perlopi soggetti a un certo deperimento o impli-
cano qualche costo a causa del semplice trascorrere del tempo (. ..) ossia
implicano un costo di mantenimento e (. ..) Infine il potere di disporre di
un bene capitale durante un certo periodo pu offrire una comodit o
108 CAPITOLO QUARTO

sicurezza potenziale ( ...) L'ammontare ( ...) [in termini di flussi di contante


ai quali si rinunciato] che la gente disposta a pagare per la comodit
o sicurezza potenziale 'data da questo potere di disponibilit (escluso il
reddito o il costo di mantenimento di quel capitale), sar da noi chiamato
il suo premio di liquidit l (. ..) Il provento totale atteso dalla propriet di
un bene capitale in un certo periodo dunque uguale al suo rendimento
meno il suo costo di mantenimento pi il suo premio di liquidit, ossia
uguale a q-c+l (TG pp. 389sg.).

I rendimenti totali attesi dalla propriet d differenti beni


capitali sono dati dalla somma, in proporzione diversa, di questi
diversi tipi di remunerazioni:
caratteristica di ogni bene capitale utilizzato, sia un capitale strumen-
tale (. ..) o un capitale di consumo ( ...), che il suo reddito supera normal-
mente il costo di mantenimento, mentre il suo premio di liquidit proba-
bilmente trascurabile ( ...) Al contrario, caratteristica della moneta che
il suo reddito zero, e il suo costo di mantenimento trascurabile, ma il suo
premio di liquidit notevole (. ..) Pertanto una differenza essenziale fra la
moneta e tutti o quasi tutti gli altri beni [] che per la prima il premio di
liquidit supera di molto il costo di mantenimento, mentre per i secondi
il costo di mantenimento supera di molto il premio di liquidit (TG
pp. 390 sg.).

I flussi di contante espliciti e impliciti q- e+ l vengono ca-


pitalizzati in modo da ottenere il valore del bene capitale, ov-
vero il suo prezzo di domanda. Keynes ritiene che "in equili-
brio, i prezzi di domanda ( ...) in termini di moneta saranno tali
che non vi sar da scegliere un'alternativa pi vantaggiosa dl-
l'altra" (TG p. 392); l rappresenta un reddito non pecuniario,
mentre q- e un flusso monetario, quindi per ottenere il prezzo
di domanda dei beni capitali con rendimento q necessario ca-
pitalizzare a un saggio comune una combinazione di flussi mo-
netari impliciti (l) ed espliciti (q-c). Comunque il rapporto tra
q e il prezzo di domanda dei beni capitali che rendono q varia
inversamente rispetto al rendimento implicito l del bene capi-
tale in questione. La somma di interessi e profitti ricavabili da
una certa attivit divisa per il suo valore di mercato rappresenta
un flusso di contante che sar tanto maggiore quanto pi illi-
quida l'attivit. Il saggio di rendimento pecuniario varia in-
versamente rispetto a quelle variabili che indicano la facilit con
la quale si pu vendere una certa attivit e la certezza del suo
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI 109

prezzo di vendita, come ad esempio la qualit del mercato sul


quale viene scambiata l'attivit in questione e il periodo tempo-
rale mancante alla sua scadenza.
bene notare che capitalizzando q nel caso di un'attivit
illiquida (cio un'attivit per la quale l uguale a zero) otte-
niamo un valore che non rappresenta il prezzo di vendita sul
mercato: il valore ottenuto non che una stima del flusso di
contante atteso derivante dalle operazioni produttive. Esso non
pu essere considerato come un potenziale prezzo di mercato
perch in tal caso l'attivit in questione avrebbe un certo grado
di liquidit e quindi, nella determinazione del prezzo di mer-
cato, bisognerebbe tener conto del fattore /.
Dobbiamo esaminare pi da presso questi flussi di contante
e in particolare quelli percepiti dai proprietari di attivit, non-
ch il flusso di contante derivante dal "potere di disporre di
un bene capitale" (TG p. 390), che Keynes considerava molto
importanti. Dobbiamo soprattutto concentrarci sul modo in cui
il prezzo relativo di mercato delle attivit varia al variare del
valore attribuito al fattore liquidit /.
Un agente economico pu generare un flusso di contante a
suo favore tramite la vendita di un'attivit in suo possesso. Que-
sto flusso pu essere un multiplo, molto maggiore dell'unit,
del flusso dei rendimenti futuri attesi (q) ricavabili da quell'at-
"tivit. Il valore preciso di questo multiplo dipende sia dal valore
del saggio al quale vengono scontati i rendimenti futuri attesi,
sia dalla durata del periodo durante il quale ci si attende che
essi affluiscano. Nel caso esista un mercato vivace sul quale un
agente economico pu vendere le attivit in suo possesso, il po-
tere di disporre di tali attivit permette a ciascun proprietario
di vendere, se lo vuole, le proprie attivit ricavandone un flusso
di contante. Questo fatto offre
una comodit o sicurezza potenziale che non uguale per le diverse specie
di capitali, anche se abbiano uguale valore iniziale (. ..) L'ammontare (sem-
pre misurato in termini del bene medesimo), che la gente disposta a pa-
gare per la comodit o sicurezza potenziale data da questo potere di dispo-
nibilit (escluso il reddito o il costo di mantenimento di quel capitale), sar
da noi chiamato il suo premio di liquidit (TG p. 390).

bene notare che nel passo citato il premio per la liquidit


non corrisponde alla differenza tra i prezzi di due diverse atti-
110 CAPITOLO QUARTO

vit, ma piuttosto rappresenta la differenza nei flussi di contante


attesi ( o stipulati per contratto) di attivit diverse, il cui valore
di mercato identico.
Keynes distingue tre diversi tipi di attivit: i beni strumen-
tali, la moneta e lo stock di merci liquide. I beni strumentali
fruttano un certo rendimento q; lo stock delle merci liquide
comporta certi costi di mantenimento e di deterioramento e; la
moneta non frutta niente n comporta costi di mantenimento,
ma liquida, /, ovvero possiamo disporne con estrema facilit.
Il rendimento q d una attivit il flusso di contante ottenibile
dal suo impiego produttivo o sancito da un contratto. Nel caso
degli impianti produttivi in senso stretto q rappresenta la quasi-
rendita marshalliana, ovvero la differenza tra ricavi totali e co-
sti vivi. Le spese d'ammortamento non sono altro che una parte
delle quasi-rendite, da cui vengono distinte per ragioni mera-
mente contabili. Esse fanno parte del flusso di cassa disponibile
al quale siamo qui interessati. Secondo Keynes il prezzo d'offerta
del prodotto finale maggiore della somma dei costi vivi margi-
nali, persino nelle industrie concorrenziali, in quanto a questi
ultimi bisogna aggiungere i costi delle utilizzazioni (user costs),
definiti come il massimo valore attuale delle quasi-rendite future
attese alle quali si rinuncia utilizzando nel periodo corrente gli
impianti produttivi, cosicch essi non possono essere utilizzati
in futuro.
La natura delle quasi-rendite pu essere illustrata ricorrendo
alle curve dei costi che appaiono nei manuali di teoria dei pre;,.zi.
Nella figura 4. r abbiamo tracciato il solito insieme di curve dei
costi di breve periodo, basato sui costi vivi dell'impresa che
opera su un mercato concorrenziale. Essa ha di fronte una
curva di domanda infinitamente elastica, rappresentata nella fi-
gura 4.1 dalla retta C-C'-C": al prezzo OC l'impresa pu ven-
dere qualsiasi ammontare di prodotto. La curva dei costi varia-
bili medi (CV M) rappresenta la somma dei costi vivi totali (per
l'acquisto di forza lavoro e materie prime) divisa per il volume
della produzione. Questa analisi non tiene conto delle spese fisse
e generali; tracciando la curva CV M non abbiamo considerato
l'ammortamento del capitale, ovvero ci che Keynes chiamava
costo delle utilizzazioni. Questo ultimo non un costo vero e
proprio: esso in realt fissa, per ogni tipo di prodotto, il livello
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI Ili

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Quantit di prodotto
Figura .p Curve <lei c.:u~ti.

minimo di quasi-rendite, tale da indurre le imprese a utilizzare i


propri impianti produttivi anzich lasciarli inattivi.
Il volume della produzione che massimizza i profitti dell'im-
presa indicato nella figura 4.1 dal valore 00'. La differenza
tra ricavi totali e costi variabili totali rappresenta la quasi-
rendita; nella figura 4. r il rettangolo OC X 00' rappresenta il
ricavo totale e il rettangolo O A X 00' i costi variabili totali,
perci l'area tratteggiata ACC'A' costituisce la quasi-rendita,
ossia ci che Keynes chiamava q. Nel caso l'impresa abbia una
certa struttura debitoria allora, nel periodo temporale preso in
esame nella figura 4. r, essa dovr ripagare in contanti l'interesse
sui propri debiti. assai probabile che i pagamenti degli inte-
ressi siano indipendenti dal livello della produzione; conseguen-
temente la curva CV M + interesse viene ottenuta sommando ai
costi variabili medi i pagamenti degli interessi. L'area ABB'A'
costituisce quindi i pagamenti totali degli interessi, ovvero ci
che, secondo noi, Keynes intendeva per c. La differenza tra
quasi-rendite lorde e pagamenti degli interessi rappresenta il
profitto totale al lordo delle tasse.
Se il contratto stipulato dall'impresa per ottenere un prestito
prevede la costituzione di un fondo d'ammortamento, allora gli
impegni di pagamento in contante saranno maggiori del puro
112 CAPITOLO QUARTO

e semplice pagamento degli interessi ABB'A'. In base a tali con-


siderazioni finanziarie, l'impresa costretta a utilizzare parte dei
profitti al lordo delle tasse per far fronte ai propri impegni fi-
nanziari. Nel caso infatti i contratti finanziari abbiano una sca-
denza sufficientemente breve, i pagamenti in contante richiesti
per onorare gli impegni finanziari dell'impresa possono essere
superiori alle quasi-rendite complessive. Quali implicazioni tale
eventualit abbia per le imprese e per i mercati finanziari, lo
esamineremo nel seguito della nostra analisi.
La quasi-rendita q dunque un flusso di contante indipen-
dente dalla struttura delle passivit dell'impresa: questo il
concetto di reddito usato per stabilire il valore di mercato dei
beni strumentali gestiti dall'impresa. In un mercato perfetto del
capitale, dove incertezza e liquidit non hanno influsso alcuno
sulla valutazione delle attivit, presumibile che vengano sod-
disfatte le seguenti eguaglianze: il valore attuale dei flussi q-c
sar uguale al valore di mercato delle azioni ordinarie; il valore
attuale di e sar uguale al valore di mercato dei debiti e la somma
di queste due grandezze sar sempre uguale al valore attuale di
q, ovvero la struttura dei debiti di un'impresa non influisce sul
valore assegnatole dal mercato. Se invece entriamo nel contesto
analitico del ciclo economico e se vogliamo stabilire il valore
della liquidit, dobbiamo tener conto, nel concetto di profitto
lordo liquido, delle spese connesse al finanziamento dell'attivit
produttiva e degli oneri fiscali.
Lo stock di merci liquide - Keynes lo ammette esplicita-
mente - comporta certi costi di mantenimento e deperimento:
non a caso in un esempio egli parla di grano, chiarendo subito
che, perch sia profittevole immagazzinarlo, necessario che
l'incremento atteso del prezzo del grano sia abbastanza cospi-
cuo da coprire perlomeno le spese dovute al deterioramento del
prodotto, all'affitto del magazzino e all'interesse sul costo del
grano maturato in tutto il periodo in cui esso viene immobiliz-
zato. Ovviamente parlando di beni immagazzinabili, come il
grano, si pensa subito alle spese di finanziamento. Tali spese per
non vengono menzionate esplicitamente nel capitolo 1 7 anche
se Keynes, nell'esempio nel quale determina il saggio d'interesse
implicito in termini di grano, utilizza il saggio d'interesse mone-
tario (vedi TG p. 397).
Prendiamo ora in esame un bene strumentale che rende una
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI 113

quasi-rendita q e uno stock di merci liquide il cui possesso com-


porta un costo di mantenimento c. Il prezzo di domanda cor-
rente di una merce liquida deve essere inferiore al prezzo che
ci si attende prevalga al termine del periodo durante il quale la
merce in questione viene tenuta immobilizzata cosicch l'incre-
mento atteso nel valore del capitale investito sia maggiore delle
spese di finanziamento e di deterioramento. importante rile-
vare che la variabile d'aggiustamento, le cui variazioni, cio,
fanno s che la quantit esistente della merce venga utilizzata
direttamente o aggiunta alle scorte, rappresentata dal prezzo
corrente della merce deperibile in esame. Se al prezzo iniziale
esiste un eccesso d'offerta, allora il prezzo continuer a dimi-
nuire fintanto che tale eccesso non viene assorbito da acquisti
per l'utilizzazione immediata della merce o per l'aumento delle
scorte. Allo stesso tempo sono i prezzi correnti e futuri ad agire
da bussola di orientamento per la produzione. Se i costi di man-
tenimento sono particolarmente elevati, in quanto esiste un
livello al di sotto del quale il saggio 'd'interesse non pu scen-
dere per motivi di preferenza per la liquidit, allora la produ-
zione corrente di tali merci sar influenzata dal prezzo, parti-
colarmente basso, dello stock esistente delle merci stesse.
Lo stesso discorso vale per un bene strumentale: se con l'ac-
cumulazione del capitale q diminuisce, allora il prezzo di que-
sto bene capitale deve diminuire in modo che il suo saggio di
rendimento interno sia pari a quello implicito sulla moneta.
Nel capitolo 17 Keynes delinea un processo di accumulazione
degli stock di merci liquide e dei beni strumentali che rallenta
progressivamente per poi arrestarsi del tutto. Ma le fasi di
boom, descritte da Keynes in questo capitolo e nella sua replica
a Viner si concludono con il tonfo in uno stato di crisi e non
con il lento scivolamento in uno stato di stagnazione. Keynes
definisce e come i costi di mantenimento e dichiara di volersi
"occupare nelle pagine seguenti esclusivamente di q-c" (TG
p. 390). Esplicitando quanto voleva affermare Keynes, diremo
che q- e la differenza tra quasi-rendite e costi di manteni-
mento. Per quanto concerne l'insieme di attivit rappresentate
da un'impresa, e costituisce in primo luogo il flusso di contante
messo in essere dalla struttura degli impegni di pagamento del-
l'impresa stessa.
All'indomani della Grande Crisi i critici della struttura isd-
CAPITOLO QUARTO

tuzionale dell'economia presero come proprio bersaglio le pas-


sivit a breve termine e il grado di liquidit che esse, assieme alle
attivit del mercato azionario, conferiscono a chi le possiede.
Agli occhi di Henry C. Simons, la principale causa del cattivo
funzionamento del sistema capitalistico andava individuata nelle
passivit a breve emesse da banche e da altre istituzioni finan-
ziarie sotto forma di depositi a vista. Infatti se tali depositi ven-
gono ritirati, l'ammontare di contanti che la banca ( o un altro
ente) impegnata a versare pu essere superiore alla somma di
incassi di contante e di riserve iniziali di contante in possesso
della banca. Un'organizzazione con un grosso volume di pas-
sivit a breve, ogniqualvolta sopraggiunge la scadenza di un
debito a breve, si trova a rifinanziare in modo pi o meno espli-
cito la propria posizione finanziaria, "piazzando" altri debiti cos
da ottenere contanti con i quali ripagare il debito originaria-
mente scaduto.
Una banca di credito ordinario un tipico esempio di un'or-
ganizzazione i cui debiti, rispetto alle attivit di cui proprie-
taria, hanno una scadenza a breve. Un deposito a vista rappre-
senta .un debito a vista: ogniqualvolta un assegno viene spiccato
su una certa banca, si verifica un'emorragia di contante. Le at-
tivit in possesso della banca le assicurano determinati introiti
di contante secondo lo schema di pagamento stabilito nei con-
tratti. Con l'avvicinarsi della data di scadenza un'attivit finan-
ziaria in possesso di una banca le garantisce un certo flusso di
contante.
In un qualsiasi giorno dell'anno per il flusso di moneta 'riti-
rato dai depositanti di una banca pu essere molto superiore agli
incassi di contante che affluiscono nelle casse della banca in se-
guito al rispetto delle clausole contrattuali delle attivit di sua
propriet. Se il sistema bancario funziona in modo regolare l'in-
cremento dei depositi bancari pu generare in aggregato un
flusso di contante che controbilancia perfettamente il flusso do-
vuto ai prelievi dei depositanti. Se una banca si trova ad essere
in una posizione di disavanzo netto, essa pu vendere sul mer-
cato monetario parte delle cosiddette attivit di riserva seconda-
ria, ricavandone moneta liquida, oppure pu prendere moneta
a prestito mediante l'emissione di debiti a proprio carico. In li-
nea di principio nel sistema bancario esistono sempre le risorse
necessarie per acquistare le attivit ed emissioni di cui sopra, in
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI 115

quanto al disavanzo netto di una certa banca deve necessaria-


mente corrispondere un avanzo di una qualche altra banca (si
tratta di una questione di aritmetica). In realt pu accadere che
disavanzi e avanzi non si annullino in aggregato giacch i coef-
ficienti di riserva non sono eguali per tutti i tipi di depositi e
di banche.
Ogniqualvolta una banca ( o un'altra istituzione) vede assal-
tati i propri sportelli (fatti del genere non sono cose del pas-
sato, come testimoniano alcune recenti esperienze statunitensi:
durante la stretta creditizia del 1 966 vi furono corse frenetiche
per sbarazzarsi di certificati di deposito bancario negoziabili e
nel 1970 lo stesso accaduto per gli effetti commerciali), l'am-
montare di contanti richiesto da certe banche e da certi istituti
finanziari (e non) per far fronte ai prelievi dei propri clienti pu
essere superiore all'ammontare di contante che affluisce presso
altre banche e altri istituti finanziari sotto forma di depositi o
equivalenti. In tali circostanze gli operatori in difficolt sono co-
stretti a vendere parte delle attivit in loro possesso, oppure deb-
bono prendere a prestito da altri enti a condizioni particolar-
mente penalizzanti o addirittura falliscono, perch incapaci di
far fronte ai propri impegni. Anche le societ per azioni e le
famiglie vanno considerate come istituti bancari in quanto an-
ch'esse devono far fronte a impegni di pagamento (flussi di
contante) e dispongono di fonti di contante derivanti dalle loro
operazioni (cio dalla loro partecipazione al processo di produ-
zione del reddito), dalle attivit finanziarie in loro possesso, dai
prestiti e dalla vendita di attivit.
In un'economia capitalistica la fondamentale decisione spe-
culativa consiste essenzialmente nello stabilire la proporzione
del flusso atteso di contante derivante dalle operazioni normali
che un'impresa, una famiglia o un'istituzione finanziaria di-
sposta a impegnare per il pagamento degli interessi sulle passi-
vit e per la loro estinzione. Le passivit (i debiti) vengono
emesse per finanziare ( ovvero per pagare) certe posizioni del
proprio portafoglio-titoli; nel caso delle imprese produttive, tali
titoli sono rappresentati dagli impianti e dai macchinari. Le pas-
sivit mettono in essere impegni di pagamento in contanti di
vario tipo: i pagamenti cio possono avere luogo a date precise,
oppure a vista, oppure condizionatamente (cio solo nel caso
accada un certo evento). Ogni impresa, non appena assume que-
II6 CAPITOLO QUARTO

sti impegni di pagamento, si trova a svolgere un'attivit specula-


tiva: essa cio prefigura certe situazioni nelle quali potrebbe es-
sere effettivamente in grado di rispettare i propri impegni e
altre nelle quali farvi fronte potrebbe rivelarsi impossibile o
comunque oltremodo costoso. Un'impresa quindi, quando ac-
cetta una certa struttura delle proprie passivit in modo da con-
servare la propria posizione di portafoglio, in realt non fa che
scommettere che la situazione futura sar tale da consentirle di
rispettare i propri impegni di pagamento in contante; ovvero
presume che il futuro, seppure incerto, le sia favorevole. Anche
chi acquista una passivit si trova impegnato, cos facendo, in
un'attivit speculativa giacch assume (come d'altro canto fa
l'impresa che emette tali passivit) che gli impegni di pagamento
in contante verranno onorati. (Dobbiamo aggiungere che l'ac-
quirente di passivit, ossia chi d a prestito, pu includere nel
contratto certe clausole che lo proteggano da insolvenze.) In
una struttura finanziaria stratificata l'unit che acquista passivit
pu a sua volta emetterne; la sua capacit di onorare i propri
impegni viene a dipendere dal flusso di contante che essa deriva
dalle proprie attivit, ovvero dalle passivit di altre unit eco-
nomiche.
del tutto possibile comunque che un'impresa abbia una se-
rie di impegni di pagamento in contante lungo un certo periodo
di tempo, il cui ammontare superiore ai ricavi liquidi attesi
derivanti dall'attivit produttiva: in una fase di investimento in
impianti e macchinari, un'impresa pu facilmente trovarsi in
tale congiuntura. Poich i pagamenti in contanti devono essre
assolutamente liquidati, l'impresa pu vendere le proprie attivit
finanziarie, ridurre le sue riserve di contanti oppure vendere i
propri debiti.
Un'impresa inoltre pu trovarsi a dover ripagare l'intero im-
porto di un suo debito, senza d'altronde avere a disposizione
contante o attivit liquide con le quali far fronte al suo impegno.
In tale caso essa pu trovare il denaro necessario per ripagare i
propri debiti emettendone altri. Questa una manovra spesso
impiegata da quei governi che hanno debiti a breve termine
(buoni del Tesoro, per esempio) o dalle societ per il credito al
consumo, le quali finanziano parte della propria posizione di
portafoglio con tratte commerciali a breve termine e con pre-
stiti bancari. Le imprese non finanziarie, inoltre, ripagano molto
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI 117

spesso un debito a una banca contraendo contemporaneamente


un nuovo prestito con essa oppure, come avviene comunemente
negli Stati Uniti, un'impresa che sia cliente di varie banche pu
ripagare il proprio debito con la banca A grazie a un prestito
concessole dalla banca B e cos via.
Come mai le unit economiche possono trovarsi in situazioni
in cui gli esborsi in contanti per rispettare i propri impegni sono
maggiori delle entrate liquide percepite nel corso del processo
produttivo? Ci pu avvenire in base a un calcolo predetermi-
nato, come per esempio nel caso di un'impresa impegnata in un
programma di espansione degli investimenti per il quale ne-.
cessario ricorrere a finanziamenti esterni. Oppure pu verificarsi
per errore di calcolo: gli operatori possono sovrastimare ad
esempio gli introiti netti liquidi oppure avanzare previsioni
troppo ottimistiche circa l'andamento delle vendite o dei costi.
O infine pu succedere a causa dell'inadempienza contrattuale
dei propri debitori, il che, in una struttura finanziaria stratifi-
cata e strettamente interrelata, provoca reazioni a catena.
possibile inoltre che le imprese svolgano attivamente e delibera-
tamente operazioni speculative, basandosi sulla rischiosa assun-
zione che in futuro sia possibile ottenere rifinanziamenti a saggi
ragionevoli. Esse si impegnano in tali attivit speculative nel
caso in cui vengano offerte loro condizioni di finanziamento pi
favorevoli sulle passivit a breve scadenza che su quelle a lunga,
o nel caso in cui le condizioni di finanziamento sulle passivit
a lunga scadenza siano considerate indebitamente costose e
quindi ci si attenda una loro riduzione in futuro.
Se una certa unit economica vuole acquistare attivit il cui
valore di mercato eccede il valore del patrimonio netto dell'u-
nit essa deve emettere debiti. Un modo per finanziare una tale
posizione di portafoglio consiste nell'emettere debiti che com-
portano impegni di cassa sincronizzati con gli incassi di contante
attesi (le quasi-rendite). Un operatore fortemente avverso al ri-
schio utilizzer questa forma di finanziamento (a riporto stac-
cato). Esistono per istituzioni in grado di offrire finanziamenti,
le quali attribuiscono un valore assai elevato alla liquidit e per-
ci offrono condizioni pi favorevoli su quegli strumenti finan-
ziari per i quali il rimborso del capitale produce flussi di con-
tante maggiori dei flussi attesi di contante derivati dal possesso
di attivit. Tali istituzioni creditrici assegnano un valore assai
ll8 CAPITOLO QUARTO

elevato ai flussi di contante derivati dal rimborso dei capitali


prestati; esse desiderano disporre sia del grado di liquidit con-
ferito dalla propriet di attivit a breve scadenza sia di quella
libert di manovra che consenta loro di riallocare le proprie ri-
sorse senza dover correre alcun rischio "di mercato". L'impresa
che decida di prendere a prestito dovr quindi soppesare da un
lato il risparmio atteso sui costi finanziari dovuto ai ridotti saggi
d'interesse sui finanziamenti e dall'altro il rischio che, qualora
sia necessaria un'operazione di rifinanziamento, i liquidi richie-
sti vengano resi disponibili solo a saggi o a condizioni oltremodo
sfavorevoli.
Ogni impresa ha un suo stato patrimoniale, cio un insieme
di attivit e passivit che da un lato fruttano un certo flusso di
contanti q, derivato dall'attivit produttiva e dal rispetto delle
scadenze contrattuali, dall'altro comportano un flusso di con-
tanti e, connesso alle passivit insolute dell'impresa. Tra le par-
tite di bilancio sono incluse certe attivit che dispongono di
buoni mercati secondari, cosicch l'impresa sa di poterle ven-
dere a un prezzo ragionevolmente stabile. La vendita di queste
attivit inoltre non incide sul rendimento q derivante dal pro-
cesso produttivo. Un'impresa produttiva deve quindi speculare
su q- e, nonch sulle attivit da tenere in base alla facilit con
la quale si possono convertire in moneta, ovvero sulle attivit
che fruttano un rendimento implicito non pecuniario l. Un'im-
presa pu acquistare ulteriori beni capitali (che rendono q) sia
aumentando le proprie passivit (il che fa aumentare e) sia di-
minuendo la propria scorta di attivit liquide (il che fa diminire
[). Essa pu inoltre aumentare il proprio l facendo aumentare
il proprio e; non insolito trovare imprese e famiglie che hanno
debiti e contemporaneamente possiedono attivit liquide.
Questa scelta di portafoglio rappresenta una decisione in
condizioni d'incertezza del tipo di quelle cos eloquentemente
descritte da Keynes nella sua replica a Viner. I rendimenti q
vanno alle imprese; la proporzione di tali rendimenti destinata
al rimborso delle passivit e e la proporzione di attivit che frut-
tano un rendimento implicito non pecuniario l sono entrambe
stabilite in base a decisioni speculative. Gli investimenti rappre-
sentano un tipo di allocazione delle risorse produttive tale da
far aumentare lo stock esistente di beni capitali che fruttano
un rendimento q; l'impresa investitrice acquista tali beni capi-
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI II9

tali emettendo passivit (il che fa aumentare il e che essa si


impegnata a pagare) oppure riducendo il livello di attivit li-
quide .(che rendono f). La decisione di investire implica dunque
l'emissione di passivit o la riduzione di liquidit: la moneta con-
tante con la quale pagare l'acquisto di beni d'investimento viene
ottenuta in cambio degli impegni di pagamento c.
Analogamente, acquistare beni capitali di seconda mano
- e acquistare il controllo di altre societ per azioni - significa
decidere di emettere passivit ( che implicano obblighi di paga-
mento e) o di ridurre la propria posizione liquida. Durante le
manovre di fusione, di riassembramento, di trasferimenti di pac-
chetti azionari che caratterizzano una fase di boom, il flusso di
impegni di pagamento e aumenta relativamente al flusso di
rendimenti attesi q. Inoltre, grazie all'euforia che regna in pe-
riodi d'espansione, quando gli operatori fanno previsioni otti-
mistiche sul futuro, assistiamo a una diminuzione del rapporto
tra il prezzo di mercato delle attivit che fruttano un premio di
liquidit l e il prezzo di mercato di altre attivit il cui rendi-
mento e: i saggi d'interesse sulle attivit liquide aumentano
relativamente ai saggi sulle altre attivit.
Il meccanismo speculativo fondamentale di un'economia ca-
pitalistica dunque composto da due elementi: l'acquisizione di
beni capitali e la produzione degli obblighi di pagamento in
contanti, implicita nell'emissione di passivit necessarie per fi-
nanziare l'acquisto di tali beni capitali. Se l'operazione specula-
tiva ha successo allora i flussi di contante ( compresi quelli deri-
vanti dall'aumento del valore dei beni capitali in seguito al loro
acquisto da parte delle imprese) saranno pi che sufficienti per
far fronte agli impegni di pagamento sulle passivit. Ci far
salire il valore capitale dell'impresa: il valore di mercato di
q- e+ l aumenter in misura maggiore del costo dell'investi-
mento.
In un mondo dove esiste una borsa valori, questo tipo di ope-
razioni speculative da parte delle imprese comporta, nel caso
abbia successo, un aumento nel valore delle azioni delle imprese.
Nelle economie capitalistiche contemporanee il benessere dei
dirigenti industriali strettamente connesso all'andamento dei
titoli azionari delle imprese per le quali lavorano, non solo per-
ch essi stessi possiedono tali titoli, ma anche perch ricevono
gratifiche e concessioni speciali in titoli azionari. Quindi uno
!20 CAPITOLO QUARTO

degli obiettivi perseguiti dai manager quello di riuscire a spe-


culare in acquisti di beni capitali (che rendono pi cospicui e
sicuri i rendimenti q). Gli uomini d'affari, in tanto in quanto
giocano quella partita mista di abilit e di fortuna chiamata bu-
siness, sono inevitabilmente degli speculatori. Tuttavia come ci
ricorda Keynes:
Gli speculatori possono non causare alcun male, come bolle d'aria in un
flusso continuo di intraprendenza; ma la situazione seria quando l'intra-
prendenza diviene la bolla d'aria in un vortice di speculazione. Quando lo
sviluppo del capitale di un paese diventa un sottoprodotto delle attivit di
un casino da gioco, probabile che vi sia qualcosa che non va bene (TG
p. 319).

Con il boom del mercato azionario che solitamente accom-


pagna il boom degli investimenti, assistiamo a un processo di
retroazione positiva tra speculazione in borsa e speculazione da
parte delle imprese. Se sulla borsa valori ha luogo un rialzo del
prezzo di mercato dello stock di azioni ordinarie di un'impresa,
ci significa che aumentato il valore di mercato dell'impresa
stessa, in quanto diminuisce il rapporto tra impegni di paga-
mento in contante e e il valore di mercato dell'impresa. Dal
punto di vista dei banchieri e di altri finanzieri l'aumentato va-
lore di mercato implica che l'impresa adesso in grado di emet-
tere nuove passivit (cio sottoscrivere ulteriori impegni di
pagamento in contante e). Bisogna inoltre ricordare che spesso
i mezzi di pagamento utilizzati per acquistare beni capitali o per
assorbire altre imprese sono costituiti da pacchetti di azioni
ordinarie (emissione di nuove azioni o cessioni di azioni prece-
dentemente emesse). Ne deriva che durante un boom della borsa
valori possiamo assistere alla diminuzione del prezzo dei beni
capitali e dei beni d'investimento in termini relativi ai mezzi di
pagamento utilizzati per il loro acquisto (cio le azioni ordina-
rie), sebbene il loro prezzo in termini di moneta sia aumentato.
Un aumento della quantit di moneta relativamente alle al-
tre attivit e agli impegni di pagamento in contante e fa dimi-
nuire il premio di liquidit sulla moneta e quindi il valore della
liquidit stessa, posseduto in misura diversa da tutte le altre at-
tivit e dai debiti. Questo fatto da un lato tender a fare aumen-
tare il prezzo in termini monetari sia dei debiti (il cui rendi-
mento e) che dei beni capitali (il cui rendimento q), dall'altro
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI I2I

comporter l'aumento del prezzo dei beni capitali e dei debiti


che inglobano un premio di liquidit l relativamente modesto
rispetto a quei beni capitali e a quei debiti il cui valore di mer-
cato in gran parte dovuto al loro grado di liquidit. Se indi-
chiamo con PK il valore capitalizzato dei rendimenti futuri at-
tesi q di un bene capitale, avremo
PK=K(M,q)
dove PK rappresenta il prezzo di un bene capitale esistente e M
l'offerta di moneta. Questa funzione ha le due seguenti caratte-
ristiche:
dPK o dPK o
--> e dM >.
dq
ragionevole presumere che la capacit della moneta di far au-
mentare il prezzo dei beni capitali non sia illimitata, ovvero che
esista un livello massimo di PK:
PK= lim K(M,
M-->oo
q).

Oltre all'effetto dell'offerta di moneta (che rappresenta un'at-


tivit sicura) sul prezzo dei beni capitali, possiamo introdurre nel
nostro modello il meccanismo speculativo della determinazione
del prezzo di K, meccanismo che riflette la composizione deside-
rata ( o accettabile) della struttura delle passivit, cio riflette la
disponibilit ad acquisire beni capitali mediante l'emissione di de-
biti che implicano pagamenti futuri c. (Questi debiti rappresen-
tano il tipo di "moneta" utilizzata specificatamente per l'acquisto
di beni capitali.) Una volta fissati i flussi dei rendimenti futuri
attesi q e una certa struttura delle passivit (comprendente gli
impegni di pagamento t), quanto maggiore il livello accettabile
degli impegni di pagamento e, relativamente ai flussi dei rendi-
menti futuri attesi q, tanto maggiore sar il prezzo dei beni capi-
tali espresso in moneta. Perci avremo:

PK=K(M, q, t-c) dove dPK >0.


dc
Il valore di e ritenuto accettabile, dati i flussi q, il parametro di
slittamento della nostra funzione di valutazione; e sta a indicare
gli elementi speculativi inerenti al finanziamento di posizione di
122 CAPITOLO QUARTO

portafoglio in beni capitali, in quanto ingloba le opinioni degli


operatori circa la probabilit sia che l' "attivit produttiva" riesca
a generare un flusso di contante sufficiente per far fronte agli im-
pegni di pagamento sui debiti, sia che i mercati finanziari abbiano
un andamento regolare. Nella misura in cui PK (cio il prezzo di
un bene facente parte dello stock di capitale) fa parte dell'in-
sieme di fattori che determinano il prezzo di domanda di un bene
capitale di nuova produzione, cio di un bene d'investimento,
variazioni di PK costituiscono una delle cause immediate delle
variazioni nel volume degli investimenti. PK pu variare in se-
guito a una variazione di M (ammesso che la funzione PK sia
stabile) o in seguito a uno slittamento dell'intera funzione. Que-
st'ultima pu slittare se gli operatori cambiano le loro idee sog-
gettive circa i rendimenti futuri attesi q e il valore della liqui-
dit l. Poich questi due elementi q e l riflettono congetture sul
futuro, sia le opinioni degli operatori che il grado di fiducia ad
esse attribuito saranno soggetti a quelle "variazioni repentine e
violente" descritteci da Keynes. Bisogna quindi ricordarsi che la
funzione PK, sebbene rappresenti un utile strumento di esposi-
zione, non affatto stabile: essa si sposta verso l'alto in fasi di
boom, verso il basso dopo un periodo di crisi.
Nel seguito della nostra analisi utilizzeremo la funzione PK
anzich la convenzionale funzione della preferenza per la liqui-
dit. Riteniamo infatti che la funzione PK sia preferibile alla
funzione della preferenza per la liquidit in quanto da essa
possibile derivare in modo assai semplice e diretto i prezzi dei
beni facenti parte dello stock di capitale, nonch delle attivit
finanziarie. Non solo: essa, per il modo stesso in cui stata ot-
tenuta, tiene conto, nella valutazione delle attivit, della facilit
con la quale queste ultime possono essere convertite in moneta,
cio tiene conto della loro liquidit. Siccome il premio che gli
operatori sono disposti a pagare per la facilit di vendita in
contanti delle attivit varia, la misura in cui variazioni delle
grandezze monetarie riescono a influenzare l'economia dipende
dall'andamento dei premi di liquidit.
Nell'analisi svolta nelle pagine precedenti abbiamo derivato
sia i prezzi relativi delle varie attivit che il livello generale dei
prezzi dei beni capitali. Questi ultimi (che fruttano rendimenti
sotto forma di q e l) e i debiti (che fruttano rendimenti sotto
forma di e e l) sono, seppure in diversa misura, connessi all'of-
FINANZIAMENTO CAPITALISTICO E BENI CAPITALI

ferta di moneta, ovvero di un'attivit che frutta un rendimento


non pecuniario l e il cui prezzo, per definizione, pari all'unit.
I prezzi cos ottenuti sono quelli delle varie componenti dello
stock di attivit reali e finanziarie. Tuttavia possibile produrre
nuovi beni capitali e sottoscrivere nuovi debiti: ci rimane quindi
da esaminare la relazione che intercorre tra il prezzo dei beni
capitali e la loro produzione, ossia la funzione degli investimenti.
Bisogna ricordare che fin qui abbiamo assunto implicita-
mente costanti sia il saggio di salario che il livello dei prezzi dei
prodotti finali. Il nostro un modello "a due livelli dei prezzi",
dove, nel breve periodo, i prezzi dei prodotti finali e dei beni
capitali dipendono dall'andamento di mercati diversi. Mentre i
processi d'aggiustamento dei salari e degli altri costi di produ-
zione (e quindi del prezzo d'offerta dei prodotti finali) sono
piuttosto lenti, i prezzi dei beni facenti parte dello stock di ca-
pitale e ancor pi i prezzi delle azioni scambiate in borsa sono
invece soggetti a mutamenti repentini. Di conseguenza il rap-
porto tra questi due livelli dei prezzi pu cambiare assai rapida-
mente; mentre, in linea di principio, il livello dei prezzi dei pro-
dotti finali molto lento a modificarsi, il livello dei prezzi dei
beni capitali al contrario suscettibile di variazioni improvvise
e sostanziali.
Capitolo 5
La teoria degli investimenti

Introduzione
Keynes present la Teoria generale come "una teoria che
spiega perch la produzione e l'occupazione sono c::ossoggette a
fluttuare" (1937a, p. 221). Nel contesto della teori.i "pura", dove
cio si ignorano la spesa pubblica e il commercio estero, l'oc-
cupazione dipende dalla domanda dei beni di consumo e d'in-
vestimento. La domanda dei beni di consumo svolge un ruolo
passivo, in quanto essa, osserva Keynes (1937a, p. 219), "di-
pende soprattutto dal livello del reddito", vale a dire dalla
somma della domanda di beni di consumo e di investimento.
Nella teoria di Keynes gli investimenti costituiscono la forza
motrice attiva, la causa di ci che si vuole spiegare: il ciclo eco.:
nomico.
La mia teoria - scrive Keynes ( 1937a, p. 221) - si pu riassumere di-
cendo che, dato l'atteggiamento psicologico della gente, il livello della
produzione e dell'occupazione aggregate dipende dal livello degli investi-
menti. Uso questa espressione non perch gli investime11ti siano l'unico
elemento dal quale dipende la produzione aggregata, ma perch pratica
corrente, quando si alle prese con un sistema assai complesso, considerare
come causa causans quell'elemento che pi di ogni altro soggetto ad
ampie e violente oscillazioni. Pi precisamente, la prodvzione aggregata
dipende dalla propensione al tesoreggiamento, dalla politica economica
delle autorit monetarie concernente la quantit di moneta, dallo stato di
fiducia del pubblico circa i rendimenti futuri attesi dei beni capitali, dalla
propensione a spendere e dai fattori sociali che agiscono GUllivello dei sa-
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 125

lari monetari. Ma tra questi svariati elementi sono quelli che determinano
gli investimenti ad essere i meno attendibili, in quanto sorio quelli mag-
giormente infiuenzati dalle nostre opinioni sul futuro, futuro del quale
sappiamo cos poco. (Corsivo mio.)

Dunque il nucleo della Teoria generale costituito dalla teo-


ria degli investimenti e pi in particolare dalla spiegazione della
loro tendenza a fluttuare. Quando Hicks, nella sua presenta-
zione della teoria di Keynes, assume a cuor leggero che esista
una semplice funzione a pendenza negativa la quale, tenendo
conto della produttivit degli incrementi dello stock di capitale,
collega gli investimenti al saggio d'interesse, in realt fa una ca-
ricatura della teoria keynesiana degli investimenti. In questo
capitolo noi tenteremo di dare una formulazione precisa alla
teoria degli investimenti di Keynes, che colleghi l'andamento
degli investimenti non solo ai rendimenti futuri attesi, ma anche
alla prassi finanziaria esistente.

Investimenti e interesse
La teoria degli investimenti di Keynes pone l'andamento
ciclico degli investimenti (cio un concetto di natura reale, con-
nesso al processo produttivo) in relazione con variabili deter-
minate sui mercati finanziari. Riguardo a questi ultimi l'atten-
zione di Keynes concentrata sul saggio d'interesse: "L'interesse
sulla moneta sta a indicare esattamente ci che ci dicono i testi
di aritmetica; esso cio semplicemente la ricompensa derivante
dal possesso immediato di contanti rispetto al possesso futuro
di contanti" (Keynes, 1946, p. 418). Il saggio d'interesse, quindi,
si riferisce sempre a contratti finanziari, quali titoli obbligazio-
nari. ipoteche, prestiti bancari, depositi ecc.; per contante im-
mediato si intende l'ammontare del prestito, mentre per con-
tante differito nel futuro si intende l'insieme di pagamenti di
interessi e il rimborso del capitale, cos come stabilito nel con~
tratto. Se con PL indichiamo l'ammontare del prestito (il con-
tante immediato) e se il contratto prevede una serie di paga-
menti C;, allora il saggio d'interesse quel fattore a.ritmetico
di -5Contotale da eguagliare queste due gra_11dezze.
Il settore reale, ove ha luogo il processo produttivo, fornisce
due fondamentali tipi di informazioni che concorrono a deter-
126 CAPITOLO QUINTO

minare il livello degli investimenti. Il primo il rendimento fu-


turo atteso ( o reddito prospettivo):
Quando una persona acquista un investimento o un'attivit capitale,
acquista il diritto alla serie di ricavi futuri che si aspetta di ottenere dalla
vendita del suo prodocto, dedotte le spese correnti per octenere tale pro-
dotto durante la vita di quel capitale. Chiameremo reddito prospettivo
dell'investimento questa serie di annualit Q 1 , Q,, ... Q. (TG p. 295, cor-
sivo di Keynes).

Va notato che quando Keynes si riferisce ai rendimenti fu-


turi attesi di un bene capitale utilizzato nel processo produttivo
egli adopera come simbolo la lettera Q maiuscola, mentre si ri-
ferisce ai rendimenti di beni capitali facenti parte di un porta-
foglio-titoli utilizzando come simbolo la lettera q minuscola
(anche noi ci siamo adeguati a questa convenzione nel capitolo
precedente). ovvio che i rendimenti Q e q rappresentano dei
flussi di contante.
I rendimenti futuri attesi derivanti dalla propriet di un bene
capitale sono determinati dall'interazione tra due fattori prin-
cipali: da un lato l'andamento dei cc,sti ( che rispecchia relazioni
produttive note con certezza), dall'altro una stima sul compor-
tamento futuro dell'economia e dell'unit produttiva in que-
stione. I rendimenti Q, dunque, incorporano opinioni correnti
sul futuro e quindi cambiano al cambiare di quelle.
Il settore reale (la sfera della produzione) fornisce inoltre un
secondo elemento che determina il livello degli investimenti: il
prezzo d'offerta dei beni d'investimento. Scrive Keynes:
In contrapposto al reddito prospettivo dell'investimento abbiamo il
prezzo di offerta di quel capitale, intendendo con ci, non il prezzo di
mercato al quale si pu effettivamente acquistare nel mercato un capitale
del tipo in questione, ma il minimo prezzo sufficiente a indurre un produt-
tore a produrre una nuova unit aggiuntiva di tale capitale, ossia quello che
si chiama talvolta costo di sostituzione (TG p. 295, corsivo di Keynes).

Il modo migliore di interpretare il prezzo d'offerta di un


bene capitale visualizzarlo come una curva in cui tanto mag-
giore il prezzo al quale vengono domandati i beni capitali,
tanto maggiore la produzione dei beni di investimento. As-
sumiamo che questa curva sia, nell'arco di tempo che ci inte-
ressa, stabile: nel breve periodo dunque essa subir slittamenti
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 127

sostanziali solo in seguito a variazioni nel saggio di salario; se


conduciamo la nostra analisi in termini di unit-salario, nel
breve periodo questa curva non sar soggetta a variazioni signi-
ficative. (Variazioni nel costo delle utilizzazioni possono alte-
rare il prezzo d'offerta: per il momento per non consideriamo
questa complicazione.) In un arco temporale pi esteso questa
curva d'offerta slitter in seguito a cambiamenti nella produt-
tivit, ma questo caso non ci interessa in quanto abbiamo adot-
tato l'ottica analitica del ciclo economico (di breve periodo).
Nella teoria di Keynes vi sono due funzioni stabili: la curva
di offerta dei beni capitali e la funzione del consumo, entrambe
misurate in unit-salario. In termini nominali queste funzioni
slittano ogniqualvolta varia il saggio di salario. Tutte le altre
funzioni, che incorporano direttamente le nostre opinioni cor-
renti sul futuro, non sono stabili, ma sono anzi soggette a slit-
tamenti.
Visto che gli investimenti hanno un andamento ciclico e
considerato che uno degli elementi fondamentali dell'analisi de-
gli investimenti (e cio la curva d'offerta dei beni di investi-
mento) una funzione stabile, bisogna desumere che le fluttua-
zioni osservate empiriomente sono dovute a variazioni: 1) nella
composizione dei rendimenti futuri attesi degli investimenti,
determinata dal processo produttivo e dallo stato delle aspet-
tative; 2) nel saggio d'interesse, determinato sui mercati finan-
ziari; 3) nel legame che connette il fattore di capitalizzazione
adoperato nel calcolare i rendimenti futuri attesi dei beni capi-
tali e il saggio d'interesse sui prestiti monetari, legame che ri-
specchia lo stato di incertezza cos come percepito dagli impren-
ditori, dalle banche e dalle famiglie. Keynes in effetti utilizza
tutti e tre questi fattori per spiegare l'andamento ciclico degli
investimenti.
I rendimenti futuri attesi - le nostre Q - rappresentano
delle quasi-rendite e non degli indici della produttivit margi"
nale del capitale. Keynes, ragionando in termini di ciclo econo-
mico, trovava ambiguo il concetto stesso di produttivit margi-
nale del capitale; i rendimenti Q sono una conseguenza della
scarsit del capitale:
Invece di dire che il capitale produttivo, assai meglio dire che esso
fornisce, nel corso della sua vita, un reddito maggiore del suo costo origi-
128 CAPITOLO QUINTO

nario. Infatti l'unica ragione per la quale un bene capitale offre una pro-
spettiva di rendere, durante la sua vita, servizi aventi un valore complessivo
superiore al suo prezzo di offerta.iniziale perch esso scarso (...) Se il
capitale diviene meno scarso, diminuir il suo rendimento in eccedenza del
costo, senza che il capitale sia divenuto meno produttivo, almeno in senso
fisico (TG p. 376, corsivo di Keynes).

A ci si aggiunga che i rendimenti Q non sono le produttivit


marginali utilizzate nella teoria della distribuzione. Leggiamo
infatti:
La teoria ordinaria della distribuzione, nella quale si suppone che il ca-
pitale ottenga attualmente la sua produttivit marginale (in un senso o
nell'altro), valida soltanto in uno stato stazionario. Il rendimento corrente
complessivo del capitale non ha alcuna rela;zione diretta con la sua efficienza
marginale (TG p. 299).

Mentre secondo la teoria ortodossa la produttivit di un


bene capitale determinata dalla tecnologia esistente, il rendi-
mento corrente dovuto alla scarsit di un bene capitale dipende
dalle alterne fortune dei vari settori industriali e degli affari in
genere. Infatti, nell'arco del ciclo economico, la "scarsit" del
capitale varia: nei periodi di depressione, operai e macchinari
rimangono inutilizzati, mentre nei periodi di boom vi fabbi-
sogno insoddisfatto sia di forza lavoro che di capitali.
I flussi di contante attesi dall'impiego produttivo dei beni
capitali e la curva di offera dei beni capitali di nuova produ-
zione (cio i beni d'investimento) sono le due fondamenta sulle
quali Keynes costruisce la propria teoria dell'influsso del set-
tore reale sull'andamento degli investimenti. Mentre i flussi di
contante rappresentano, come ovvio, un flusso lungo un certo
arco temporale, il prezzo di offerta un valore corrente: cos
come sono questi due concetti fondamentali sono tra loro in-
commensurabili. Il problema che sorge come porli in relazione.
La Teoria generale suggerisce due vie per risolvere il pro-
blema. Una soluzione, adottata poi nei modelli ortodossi,
quella di postulare l'esistenza di una curva a pendenza negativa
che ponga in relazione funzionale gli investimenti da un lato e
un saggio di sconto dall'altro, la. cosiddetta curva dell'efficienza
marginale del capitale. L'al~ra soluzione quella di capitalizzare
la serie di Q; cos da ottenere il prezzo di domanda dei beni
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 129

d'investimento. Keynes evidentemente riteneva che questi due


criteri fossero equivalenti, due modi diversi di esprimere un me-
desimo concetto. Mentre la curva a pendenza negativa ampia-
mente utilizzata nella Teoria generale, il metodo alternativo del
prezzo di domanda dei beni di investimento compare nella re-
plica a Viner.
Per, come accade per molte scelte che, una volta fatte, sem-
brano insignificanti, cos Keynes non si rese conto delle conse-
guenze negative derivanti dall'adozione del primo di questi due
criteri. Prima di cercare di provare la validit di questa nostra
tesi, bene esaminare come Keynes ha derivato la curva del-
!' efficienza marginale del capitale e il modo, invero alquanto
approssimativo, nel quale ha spiegato il criterio alternativo della
capitalizzazione.
Entrambi questi criteri richiedono un minimo di calcolo arit-
metico; per derivare la curva dell'efficienza marginale del capi-
tale disponiamo di una curva di offerta degli investimenti la
quale ci dice che il prezzo di offerta, Pr, una funzione cre-
scente degli investimenti, I:
Pr = Pr(/). [1]
Inoltre abbiamo la seguente relazione:

Pr(/) = 01(K1' Y1)+ Qi(K2, Y2)+ ... + On(Kn, Yn). [2]


1+r1 (1 +r2) 2 (1 +rn)n
L'equazione [ 2 J non nient'altro che la formula aritmetica che
collega il prezzo di offerta degli investimenti ai rendimenti fu-
turi attesi. Se le varie Q rimangono costanti e Pr aumenta, i
vari r devono diminuire affinch l'equazione [ 2 J sia soddisfatta. Se
assumiamo che r = r 1 = r2 = r 3 = ...= r n, otteniamo un'equazione
polinominale in r di grado n, equazione che, in linea di principio,
possiamo risolvere, ricavandone una o pi soluzioni economica-
mente significative. Se invece non assumiamo che tutti gli r siano
uguali, dobbiamo risolvere, con l'aiuto di ulteriori equazioni, un
altro problema assai complicato: la determinazione della strut-
tura per scadenza dei saggi d'interesse. Se assumiamo che tutte
le Q siano uguali, che n sia uguale a infinito e che tutti gli r
siano uguali, allora valiaa una semplice formula di capitaliz-
zazione:
130 CAPITOLO QUINTO

Q Q
Pz=-, ovvero: r=-.
r P1
Notiamo che la dimensione di r identica a quella del saggio
d'interesse che appare, implicitamente o esplicitamente, nei con-
tratti di prestito.
Nelle formule [ 1] e [ 2] il prezzo d'offerta dei beni capitali di
nuova produzione stato rappresentato esplicitamente come una
funzione degli investimenti. Oltre a ci sappiamo che
. dPr O
di>.
Inoltre, siccome le quasi-rendite Q dipendono dalla scarsit di
capitale, la seguente diseguaglianza valida a prescindere dal-
l'andamento del ciclo economico:
,_Y_;_)O
a_Q_;_(K_;
- <. [5]
aK;
Se assumiamo che l'ammontare di capitale, K;, che avremo a di-
sposizione in futuro (ovvero i> 1) positivamente connesso agli
investimenti fatti nel periodo 1, allora nell'equazione [ 2] quanto
maggiore il livello degli investimenti, /, tanto maggiore sar il
loro prezzo, Pr, e tanto minori saranno le quasi rendite, Q.
I valori di r che risolvono l'equazione [ 2] (che cio rendono il
prezzo corrente di offerta dei beni capitali pari ai rendimenti
futuri attesi) diminuiscono all'aumentare degli investimenti.; r
viene normalmente definito come saggio. di sconto. Keynes defi-
nisce l'efficienza marginale del capitale come "quel saggio di
sconto al quale il valore attuale della serie di annualit, rappre-
sentate dai ricavi attesi del capitale durante la sua vita, eguaglia
esattamente il prezzo di offerta del capitale medesimo" (TG
p. z95).
Nella citazione che segue vediamo come Keynes ricava la
funzione a pendenza negativa tra investimenti e saggi d'in-
tercsse:
Se vi un aumento dell'investimento in un qualsiasi tipo di capitale in
un qualsiasi periodo di tempo, l'efficienza marginale di quel tipo di capitale
diminuir con l'aumentare dell'investimento in quel tipo, in parte perch
il reddito prospettivo discender con l'aumentare dell'offerta di quel tipo
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 131
di capitale, e in parte perch di regola una pressione sulle possibilit di
produzione di quel tipo di capitale ne provocher un aumento del prezzo
di offerta (. ..) Dunque per ciascun tipo di capitale possiamo costruire una
tabella che indichi di quanto dovr aumentare nel periodo considerato
l'investimento in tal tipo affinch la sua efficienza marginale discenda a un
dato valore. Possiamo poi sommare insieme queste tabelle per tutti i di-
versi tipi di capitale (. ..) Chiameremo questa tabella, tabella di domanda
dell'investimento, oppure tabella dell'efficienza marginale del capitale ( ...)
In altre parole quell'ammontare di investimento sar spinto a quel punto
nella tabella di domanda dell'investimento, al quale l'efficienza marginale
del capitale in generale uguale al saggio di interesse del mercato (TG
pp. 296sg.).

Kevnes dunque, per collegare il saggio d'interesse determi-


nato sm mercati finanziari al volume degli investimenti, .h~co-
costruito una curva a pendenza negativa _me~a~ insieme da
un lato i rendimenti futQri attesi (i quali, per il processo di ac-
cumulazione, hanno un andamento decrescente) e dall'altro il
prezzo d'offerta dei beni capitali (che invece ha un andamento
crescente). assai probabile che egli abbia scambiato l'influenza
di differenti livelli dello stock dei beni capitali con l'influenza
di differenti livelli dell'ammontare dei beni capitali prodotti.
L'aver individuato questa curva a pendenza negativa port
Keynes a concludere erroneamente che "non vi nemmeno
una differenza sostanziale ( ...) fra la mia tabella dell'efficienza
marginale del capitale o tabella di domanda dell'investimento
e la curva di domanda di capitale contemplata da alcuni fra gli
scrittori classici" (TG p. 339). Questa costruzione analitica fuor-
viante, nella quale il saggio di sconto derivato nelle formule [ 1]
e [ 2] viene identificato con il saggio d'interesse sulle attivit fi-
nanziarie, indusse Keynes a fare la seguente affermazione, che
pu essere facilmente fraintesa: "La creazione di ricchezza
nuova dipende interamente dalla condizione che il rendimento
prospettivo della ricchezza nuova raggiunga il livello posto dal
saggio corrente di interesse" (TG p. 375).
L'aver scelto questo tipo di costruzione analitica port Key-
nes ad attribuire un rilievo spropositato al saggio d'interesse
(che per Keynes rappresenta sempre un attributo dei prestiti
monetari) e ad accettare senza riserve l'identit sostanziale tra
la curva dell'efficienza marginale del capitale e le curve di do-
132 CAPITOLO QUINTO

manda di investimenti a pendenza negativa contemplate dagli


economisti classici.
Immediatamente dopo il passo appena citato nel quale Key-
nes deriva la curva dell'efficienza marginale del capitale, tro-
viamo queste frasi:
La stessa cosa pu anche esprimersi come segue. Se Q, il reddito pro-
spettivo da un dato capitale nel tempo r, e se d, il valore attuale, al saggio
corrente di interesse, di un'unit monetaria pagabile fra r anni, '1:.Q,d, il
prezzo di domanda dell'investimento; e l'investimento sar condotto fino
al punto in cui '1:.Q,d,diventa uguale al prezzo di offerta dell'investimento,
definito come sopra. Se d'altra parte '1:,Q,d, inferiore al prezzo di offerta,
non vi sar pi investimento corrente nel tipo di capitale in questione (TG
p. 297 ).

Queste osservazioni, sebbene si muovano nella giusta dire-


zione, contengono tuttavia una affermazione ambigua in quanto
non chiaro se d, stia a indicare il fattore di capitalizzazione ap-
plicato su tutti i tipi di beni capitali oppure solo su quel tipo
specifico che frutta particolari rendimenti Q. Nondimeno, il
passo citato ci suggerisce una costruzione analitica alternativa
per la determinazione della domanda di beni capitali di nuova
produzione, una costruzione basata sulla capitalizzazione dei
rendimenti futuri attesi. Interpretata correttamente, essa ci con-
sente di tener conto in modo esplicito di due elementi che ren-
dono pi tenue la relazione tra investimenti e produttivit: la
variabilit dei rendimenti futuri attesi e la variabilit della rela-
zione tra valore attuale - ovvero il saggio di capitalizzazione
d, appena citato sopra - e il saggio d'interesse di mercato sui
prestiti monetari. Con il criterio della capitalizzazione si possono
introdurre le preferenze rispetto al rischio dei proprietari di
attivit nella determinazione degli investimenti in modo pi
naturale che non utilizzando il criterio della curva dell'efficienza
marginale, che Keynes e i suoi interpreti hanno malaccorta-
mente accostato alle funzioni degli investimenti della vecchia
teoria tradizionale, funzioni nelle quali la variabile determinante
la produttivit.
Dopo la pubblicazione della Teoria generale Keynes, nei
brevi saggi in cui ne t:spose il contenuto, tenne a sottolineare
l'importanza del prezzo dei beni capitali:
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 133
I beni capitali hanno la tendenza ad essere scambiati in equilibrio a va-
lori proporzionali alle proprie efficienze marginali espresse in termini di
una eguale unit di misura. Ci sta a significare che, se r il tasso di inte-
resse monetario (cio r l'efficienza marginale della moneta in termini di
moneta) e y rappresenta l'efficienza marginale in termini monetari di un
bene capitale A, allora A verr scambiato in termini di moneta a un prezzo
tale che y sia uguale a r (1946, p. 419).

Poco pi avanti Keynes scrive:


Se il prezzo di domanda del nostro bene capitale A determinato nel
modo appena descritto non inferiore al suo costo di sostituzione, allora
avranno luogo nuovi investimenti in A (...) Dunque il volume complessivo
degli investimenti viene determinato dal sistema dei prezzi che scaturisce dai
rapporti tra le efficienze marginali dei vari beni capitali (inclusa la moneta)
misurati in termini di un'eguale unit di misura (ibid.).

Nel passo citato Keynes afferma chiaramente che il prezzo


di domanda di un particolare bene capitale dipende dalla capita-
lizzazione dei suoi rendimenti, ci che sopra abbiamo de.finito
Q. Keynes per rimane legato alla convenzione che formula il
problema della capitalizzazione in termini di saggi di interesse:
egli innanzitutto trasforma i rendimenti futuri attesi in termini
di saggio interno di rendimento, presumibilmente assegnando
un qualche prezzo al bene capitale. La variabile da determinare
per il prezzo di domanda; conseguentemente, assegnare in
primo luogo un prezzo al bene capitale per stabilirne il rendi-
mento in termini monetari non fa che generare confusione.
Il problema delle fluttuazioni degli investimenti pu essere
affrontato in modo pi diretto facendo ricorso al processo di
capitalizzazione dei rendimenti futuri attesi (mediante il quale
si determina il prezzo di domanda dei beni capitali) piuttosto
che ricorrendo al criterio della curva dell'efficienza marginale
del capitale; un metodo diretto che utilizza i rendimenti Q e
specifici fattori di capitalizzazione certo pi preciso di un
metodo basato sulle efficienze marginali relative. Innanzitutto
nel primo caso si tiene esplicitamente conto dei rendimenti Q,
che invece nel secondo caso sono soppressi dall'analisi; inoltre,
il fattore di capitalizzazione viene esaminato in termini espliciti
dal primo metodo il quale ammette la possibilit che, a causa
dei diversi gradi di preferenze per la liquidit, il rapporto tra
fattore di capitalizzazione e saggio di interesse di mercato sui
134 CAPITOLO QUINTO

prest1t1 garantltl possa variare. Inoltre il valore capitalizzato dei


rendimenti Q ha le stesse dimensioni di due prezzi determinati
dal mercato: il prezzo di mercato dei beni che fanno parte dello
stock di capitale e quello delle azioni ordinarie.
I prezzi delle azioni influiscono sull'efficienza marginale del
capitale in quanto "una quotazione alta per le azioni esistenti
implica un aumento dell'efficienza marginale del capitale in que-
stione" (TG p. 3 11, nota a). In modo pi diretto diremo che i
prezzi delle azioni, congiuntamente al valore di mercato dei de-
biti, determinano una valutazione di mercato dell'insieme dei
beni capitali che compongono un'impresa. Se questa valutazione
di mercato elevata rispetto al prezzo di offerta dello stesso
tipo di beni capitali di nuova produzione, allora plausibile as-
sumere che gli investimenti in questo tipo di beni capitali ver-
ranno aumentati. Quindi se adottiamo l'approccio capitalizza-
zione, possiamo introdurre senza difficolt il prezzo di mercato
delle azioni nella nostra analisi: dato un certo livello del saggio
di interesse e un certo insieme di rendimenti futuri attesi,
quanto pi alto il valore di mercato delle azioni tanto mag-
giore sar il fattore di capitalizzazione sui rendimenti futuri
attesi.
La relazione fondamentale della teoria degli investimenti
rappresentata dal prezzo di domanda dei beni capitali determi-
nato dalla capitalizzazione dei rendimenti futuri attesi. Nella
nostra esposizione geometrica assumeremo che i rendimenti fu-
turi attesi, Q, di un certo bene capitale siano costanti (vedi fig.
5. 1: ricordiamo che tale figura ha valore puramente espositivo;
in realt non abbiamo abbandonato la tesi centrale del nostro
discorso, secondo la quale i rendimenti futuri attesi sono sog-
getti a fluttuare).
Una volta fissato il flusso di rendimenti futuri attesi, Q, il
prezzo di domanda di un bene di investimento tipico sar dato
dal prezzo dello stock di tale bene capitale, PKiCio possiamo
scrivere PK1 = C;(Q;), dove Ci sta a indicare il fattore di capita-
lizzazione, identificato da Keynes con "il valore attuale di
un'unit monetaria pagabile fra r anni" (TG p. 297). Nella
figura 5.1 la funzione PK1 una retta in Ci; se Ci=Cio allora il
prezzo di questo bene capitale sar PK10 In questo caso il fattore
di capitalizzazione sar specificatamente riferito al particolare
rendimento Qi, Ammesso esista un mercato perfetto del capi-
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 135
s~ P,;
E
~ -
~
.!:
"op
' I;. o
----------~----------
.0
i;;
'O
o
N
N
a,
a':
C;. 0 C; /;o
Saggio di capitalizzazione Beni d'investimento

Figura 5.1 L'investimento e il prezzo dei beni capitali.

tale, sul quale possibile ottenere ammontare illimitati di risorse


finanziarie per l'investimento a condizioni indipendenti dall'am-
montare richiesto, e ammesso che tali condizioni siano coerenti
con il saggio di capitalizzazione C;0 , allora il prezzo di offerta del
bene di investimento P110 sar uguale al prezzo di domanda
PK10 , ovvero verr prodotta una quantit del bene di investimento
pari a /io
A questo punto sorge per un interrogativo: che cosa deter-
mina il saggio di capitalizzazione? Nella nostra analisi assumeremo
che il ~aggio di interesse sui prestiti monetari (il prezzo della
moneta oggi in termini di moneta domani) sia dato. Quindi, se i
rendimenti futuri attesi rappresentassero degli impegni di paga-
mento in contante fissati in un contratto di prestito in moneta,
allora il prezzo di tale contratto sarebbe P1= C,(CC), dove C,
il saggio di capitalizzazione sui prestiti monetari e CC sta a indi-
care gli impegni di pagamento in contante fissati dal contratto. 1
Il rapporto tra C; e C1 dipende dal valore che il mercato as-
segna alla garanzia derivante dalla propriet di un titolo che d

1 Nel capitolo 4 abbiamo trattato tre attributi delle attivit che abbiamo l indicato

con q (i rendimenti futuri attesi), e (il costo di mantenimento) e l (il rendimento non
pecuniario in termini di liquidit). In questo capitolo il saggio di capitalizzazione
sui prestiti monetari indicato da C1 per sottolineare il fatto che il rendimento su
tali attivit include rendimenti non pecuniari in termini di liquidit (se per l'unico
rendimento fosse quello di liquidit, allora i contratti di pagamento in contante sa-
rebbero venduti alla pari).
n6 CAPITOLO QUINTO

diritto a incassare con certezza (o quasi) un flusso di impegni di


pagamento in contante CC rispetto a quella derivante dalla pro-
priet di un titolo che d diritto a un rendimento di mercato Q
incerto e fluttuante. Il prezzo di uno strumento finanziario che
prevede pagamenti in contanti riflette sia il grado di sicurezza
derivante dalla certezza dei pagamenti in contante sul debito, sia
il grado di liquidit derivante dalla facilit con la quale si pu
piazzare sul mercato il debito stesso rispetto alla difficolt di ven-
dita di un bene capitale.
Se per stato d'incertezza intendiamo il fatto che gli operatori
si rendono conto che esistono svariate possibili eventualit e la
circostanza che essi valutano le conseguenze derivanti da ciascuna
di esse, allora, per un dato stato d'incertezza, possiamo scrivere
C = Ci, ovvero il saggio di capitalizzazione dei beni capitali
una frazione , compresa tra zero e uno, del saggio di capitaliz-
zazione sui crediti monetari.
Se nel diagramma di sinistra della figura 5.r sostituiamo sulle
ascisse C; con C1 (ottenendo la figura 5.2), vedremo che il
prezzo dei beni capitali relativamente al prezzo dei crediti di-
pende dallo stato d'incertezza indicato da . Quando varia, la
retta PK subisce una rotazione: un aumento di , ovvero una
diminuzione dello stato d'incertezza, far rotare, per cos dire,
la retta P K in senso antiorario, facendo salire il prezzo dei beni
capitali rispetto al prezzo dei crediti. Volendo esprimere lo stesso
concetto in altre parole diremo che il valore tanto dei beni capi-
tali quanto dei crediti dipende dal valore attribuito alla liquidit

cii
.....
a
<O
(.)

e
<I>
.e
'iii
"C
oN
N
<I>
.....
o..
Saggio di capitalizzazione sui crediti monetari

Figura 5.2 Il prezzo dei beni capitali.


TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 137
di una certa attivit, ovvero al flusso di contante implicito l, che
abbiamo trattato nelle pagine precedenti. Se i beni capitali sono
meno liquidi dei crediti e se il valore della liquidit decresce, al-
lora il prezzo dei beni capitali aumenter rispetto sia alla moneta
che ai debiti.
La posizione di Keynes riguardo alla determinazione del sag-
gio d'interesse sui crediti monetari assai chiara:
Il saggio corrente di interesse dipende ( ...) non dall'intensit del deside-
rio di detenere la ricchezza, ma dall'intensit del desiderio di tenerla ri-
spettivamente in forme liquide e in forme non liquide, oltrech dalla rela-
zione fra l'ammontare dell'offerta di ricchezza in una forma e l'offerta di
ricchezza nell'altra forma (TG p. 376, corsivo mio).

Dunque il saggio d'interesse su un ammontare fisso di crediti


monetari varier inversamente all'offerta di moneta, mentre il
tasso di capitalizzazione varier direttamente con l'offerta di
moneta.
Bisogna infine ricordare che, secondo Keynes, l'effetto del-
!' offerta di moneta sul saggio d'interesse monetario diventa sem-
pre meno rilevante allorch diminuisce il rapporto tra crediti
monetari e moneta. In linea di principio, il saggio d'interesse sui
crediti monetari pu raggiungere un livello cos basso che ulte-
riori incrementi dell'offerta di moneta non sarebbero in grado di
farlo diminuire ulteriormente:
possibile ( ...) che, dopo che il saggio di interesse caduto a un dato
livello, la preferenza di liquidit divenga virtualmente assoluta, nel senso
che quasi tutti preferiscano detenere contante in luogo di un credito che
frutta un interesse cos basso (TG p. 370).

Passata una certa soglia, un aumento del quoziente moneta/


crediti monetari non avr pressoch nessun effetto sul saggio d'in-
teresse sui crediti monetari. Bisogna aggiungere che per quanto
riguarda i crediti commerciali
il saggio di interesse che il debitore tipico deve pagare pu discendere pi
lentamente del saggio puro di interesse e, dati i metodi dell'organizzazione
bancaria e finanziaria esistente, pu darsi che sia impossibile portarlo al di
sotto di una certa cifra minima tTG p. 371).
138 CAPITOLO QUINTO

Cos C1, il saggio di capitalizzazione sui crediti monetari,


una funzione dell'offerta di moneta - funzione che scriveremo
come C1= Q(M) - tale che
C1 O . -C1 = un certo numero timto.
.
--> e l 1m
M
M ' M-+00

Quindi, dato un certo stato delle preferenze per la liquidit


( che determina C1) e dato un certo differenziale tra i saggi di
capitalizzazione sui beni capitali e sui crediti monetari (anch'esso
determinato dallo stato della preferenza per la liquidit), possiamo
trasformare un dato rendimento futuro atteso su un certo bene
capitale, Q;, in una relazione funzionale tra il prezzo di domanda
del bene capitale in esame e la quantit di moneta. Questa fun-
zione sar tale che

Ovvero: il prezzo di domanda di questo bene capitale aumen-


ter all'aumentare della quantit di moneta, ma a un saggio de-
crescente; per ogni insieme di rendimenti futuri attesi Q, esiste
un livello massimo del prezzo di un bene capitale ottenibile fa-
cendo aumentare la quantit di moneta.
Quindi per ogni specifico bene capitale avremo che
PKt = PK;(M,Q;).
Sottostante a questa funzione vi una relazione tra saggio puro
di interesse e la quantit di moneta e un certo differenziale tra il
saggio di capitalizzazione implicito nel saggio puro d'interesse
e il saggio di capitalizzazione su uno specifico bene capitale K;.
Tale differenziale rispecchia da un lato lo stato d'incertezza
connesso al flusso dei rendimenti futuri attesi Q;, dall'altro il
valore attribuito al bene capitale K; in base alla sua liquidit.
Possiamo fare l'assunzione, forse non eccessivamente eroica, che
questi attributi di liquidit e di incertezza dei beni capitali ab-
biano la tendenza a rimanere in relazione pressoch fissa lungo
tutta la gamma di beni capitali o che, se tale relazione varia nel
corso del ciclo economico, le variazioni relative tra i diversi
beni capitali seguano uno schema noto e prevedibile. Quindi
possiamo passare dall'affermaz~one che il prezzo di un panico-
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 139

Quantit di moneta M

Figura 5.3 La moneta e il prezzo dei beni capitali.

lare tipo di bene capitale dipende dalle quasi-rendite che esso


frutta e dalla quantit di moneta, all'affermazione pi generale
che il livello dei prezzi dei beni capitali dipende dalle quasi-
rendite attese aggregate e dalla quantit di mQneta. Nella figura
5.3 abbiamo tracciato una curva dove il livello dei prezzi dei
beni capitali e la quantit di moneta sono connessi in modo tale
da non contraddire il rapporto esistente tra i prezzi dei singoli
beni capitali e la moneta.
La caratteristica fondamentale di questa funzione aggregata
PK(M, Q) la sua instabilit: "Se ( ...) ci venisse la tentazione di
asserire che la moneta la bevanda che stimola l'attivit del si-
stema, dovremmo rammentarci che vi possono essere parecchi
diaframmi fra il bicchiere e le labbra" (TG p. 333). Secondo la
nostra analisi, la "bevanda" pu non finire in bocca a causa di
"diaframmi" dovuti: r) al legame tra quantit di moneta e sag-
gio d'interesse sui crediti monetari; 2) al legame tra saggio d'in-
teresse sui crediti monetari e saggio di capitalizzazione su speci-
fici flussi d rendimenti futuri attesi; 3) alle fluttuazioni dei
rendimenti futuri attesi dovute a variazioni delle aspettative di
lungo periodo.
A causa di questi "diaframmi", anche se esistono situazioni
nelle quali la moneta pu fungere da strumento di politica eco-
nomica, nel senso che modeste variazioni della quantit di mo-
neta possono dar luogo a modeste variazioni degli investimenti
CAPITOLO QUINTO

e quindi della domanda aggregata, esistono tuttavia altre situa-


zioni nelle quali il potere della quantit di moneta di influen-
zare l'andamento dell'economia pressoch nullo. Variazioni
nei legami che abbiamo test elencato, nonch fluttuazioni dei
rendimenti futuri attesi, possono annullare completamente l'in-
flusso della moneta sul sistema.
Keynes dunque ci ha fornito una spiegazione sia del motivo
per cui gli investimenti non sono direttamente connessi a fattori
tecnologici (come affermavano invece le teorie della funzione
della produzione) sia del motivo per cui l'offerta di moneta non
uno strumento affidabile per stimolare gli investimenti. Key-
nes, anche se spesso ha accennato alle varie fasi dell'attivit eco-
nomica che si alternano in un susseguirsi irregolare (il ciclo
economico), non ha tuttavia elaborato esplicitamente una teoria
dei boom e delle crisi. E questo perch, a parte brevi digressioni
e accenni affrettati, Keynes non ha mai formulato un modello
(o avanzato una spiegazione) sul modo in cui si sviluppa la strut-
tura delle passivit delle imprese, delle banche e delle altre isti-
tuzioni finanziarie e sul processo di generazione endogena della
moneta e dei suoi sostituti.

Strutture delle passivit e investimenti degli operatori


economici
Keynes, sebbene non abbia affrontato dettagliatamente il pro-
blema del modo in cui il meccanismo di finanziamento incide
sull'andamento del sistema economico, ha tuttavia sottolineato
che, in un'economia dove gli operatori chiedono e danno a pre-
stito, il meccanismo di finanziamento riveste un'importanza del
tutto particolare:
Sul volume dell'investimento influiscono due tipi di rischio che comu-
nemente non sono stati distinti, mentre importante distinguerli l'uno
dall'altro. Il primo il rischio dell'imprenditore o debitore e sorge da
dubbi nella mente di questo, riguardo alla probabilit di conseguire effet-
tivamente il rendimento prospettivo che egli spera di ottenere. Se un im-
prenditore arrischia denaro proprio, questo il solo rischio che conta.
Ma dove esiste un sistema di dare e prendere denaro a prestito, inten-
dendo con questo la concessione di prestiti con un margine di garanzia
reale o personale, acquista rilievo un secondo tipo di rischio, che possiamo
chiamare rischio del creditore. Questo pu esser dovuto a eventi morali,
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI

ossia alla inadempienza volontaria o ad altri mezzi, possibilmente legali, per


sottrarsi all'adempimento dell'obbligazione; oppure all'eventualit che il
margine di garanzia si riveli insufficiente, ossia alla inadempienza involon-
taria dovuta a delusione delle aspettative ( TG p. 304).

Le imprese commerciali, quando acquistano beni capitali o


sul mercato azionario o da produttori di beni d'investimento,
utilizzano come valuta sia direttamente che indirettamente ( ov-
vero trasformandoli preventivamente in moneta) i seguenti
mezzi di pagamento: prestiti, ipoteche, obbligazioni e azioni
ordinarie. Le imprese che finanziano cos l'acquisto di nuovi
beni capitali si impegnano per contratto a onorare gli impegni
di pagamento in contante CC derivanti dall'incremento delle
proprie passivit, utilizzando i rendimenti futuri attesi Q deri-
vanti dall'utilizzo dei nuovi beni capitali. Tranne che nel caso
delle emissioni azionarie questo impegno di pagamento fissato
per contratto, con clausole penalizzanti in caso di inadem-
pienza; per quanto riguarda le emissioni azionarie ogni devia-
zione der dividendi dal loro valore atteso incider sul prezzo
delle azioni stesse.
Ciascuna acquisizione di beni capitali, mediante acquisto sul
mercato azionario o direttamente dai produttori di beni capi-
tali, qualora venga finanziata nel modo sopra descritto comporta
un certo margine di garanzia. Gli acquisti di beni capitali addi-
zionali nella maggior parte dei casi vengono finanziati ricor-
rendo in parte a fondi interni, in parte a fondi esterni o presi a
prestito (tra i fondi esterni includiamo anche i proventi otte-
nibili mediante l'emissione di nuove azioni). Come abbiamo no-
tato poco sopra, la decisione speculativa fondamentale di ogni
impresa riguarda il modo in cui finanziare il controllo dei beni
capitali dei quali essa abbisogna: essa riguarda insomma la pro-
porzione tra fondi interni e fondi esterni. In base a tale scelta
viene determinata sia l'entit stessa dell'impresa (un indice della
quale dato dal fatturato o dal capitale fisso) sia il, suo tasso di
crescita.
Esaminiamo ora come un'imprsa tipo finanzia i propri inve-
stimenti. Supponiamo che la nostra impresa si attenda di ottenere
al termine del periodo corrente un utile lordo di esercizio, dedotti
i pagamenti degli interessi sui prestiti e dei dividendi agli azionisti,
pari a Q;; Q; indipendente dal livello degli investimenti, diretti
CAPITOLO QUINTO

dell'impresa, anche se il livello aggregato degli investimenti (poi-


ch incide sul livello del reddito) ha una certa influenza sul valore
aggregato Q. Quindi Q; rappresenta l'ammontare di fondi in-
terni per il finanziamento che l'impresa si attende di ottenere alla
fine del periodo.
Supponiamo inoltre che il prezzo d'offerta del bene capitale
che l'impresa intende acquistare, Pr1, fissato dal produttore di
questo tipo di bene capitale, non dipenda dal volume degli
acquisti della nostra impresa, le cui dimensioni come acquirente
di beni capitali sono troppo limitate per far s che la propria
domanda di beni capitali ne faccia variare il prezzo. Quindi la
quota di investimenti che possono essere finanzjati facendo ri-
corso esclusivamente a fondi interni pari a /; ==QJPrp cio
P1J;==Q;, Il vincolo del finanziamento interno rappresentato
s1;:1l
piano cartesiano (Pr, /) da un'iperbole equilatera (la curva
Q;-Q; della fig. 5.4).
Nella figura 5.4, se l'impresa vuole acquistare beni d'investi-
mento pari a I al prezzo P1 , potrebbe finanziare l'intero acquisto
esclusivamente con fondi interni. Se l'impresa acquista beni d'inve-
stimento pari a I 1 > J al prezzo Pr, allora la differenza Prl1 -Q
dovr essere finanziata prendendo a prestito: per ottenere subito
liquidi pari a Pr/ 1 -, l'impresa si impegna a pagare in futuro
vari flussi di contante (ci che precedentemente abbiamo chia-
mato CC, ossia impegni di pagamento in contante). Esiste per
un'eccezione: l'impresa pu disporre di una riserva di moneta
contante o di titoli trasferibili con la quale finanziare i prop!i
acquisti in beni d'investimento. In un mondo denso di incertezza,
ci sono valide ragioni in base alle quali un'impresa o una famiglia
in posizione debitoria possono decidere di detenere una riserva di
moneta contante o di altre attivit finanziarie ( cio debiti di altre
unit economiche). Tale riserva di liquidi e di altre attivit finan-
ziarie protegge parzialmente la regolare attivit produttiva del-
l'impresa dalle vicissitudini di mercato. Quando essa attinge da
questa riserva di attivit liquide, riduce il proprio grado di prote-
zione. Da un punto d vista analitico una diminuzione nei cusci-
netti di riserve liquide equivale a un aumento nella posizione de-
bitoria dell'impresa: in ambedue i casi si allargato l'insieme di
eventi che mettono in pericolo la capacit dell'impresa di far
fronte ai propri impegni o di portare a termine i propri progetti;
in altre parole, il margine di garanzia diminuisce.
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 143
Per capitalizzare il flusso di rendimenti futuri attesi Q; ( che
include dividendi, interessi e altri pagamenti in contante sui
prestiti, escluse le imposte) l'impresa utilizza un saggio K.
Ci significa che lo stock di beni capitali dell'impresa pari a
PK1 K; = K.(Q;), valore indipendente dalla struttura finanziaria
dell'impresa. L'impresa inoltre capitalizza anche i propri impegni
di pagamento in contante, CC, connessi alla liquidazione dei di-
videndi, di interessi, rimborso dei prestiti ecc. Possiamo assumere
nel prosieguo della nostra analisi che il saggio di capitalizzazione
su CC sia K, anche se sarebbe pi realistico supporre che esso sia
maggiore di quello utilizzato per capitalizzare i rendimenti futuri
attesi Q. Chi prende a prestito sa che i flussi di contante sui pre-
stiti, CC, sono sicuri, mentre i flussi di contante derivanti dai beni
capitali, le quasi-rendite Q, non lo sono.
Affinch possa aver luogo un investimento necessario che
PK1>K(Q;)/K;~P1, ovvero necessario che il prezzo di un'unit
di capitale sia mggiore o uguale al prezzo di un'unit di bene
d'investimento. Se l'impresa decide di non attingere a fondi
esterni, allora avremo = (ho/Pr (vedi fig. 5.4).
Affinch l'acquisto d beni capitali venga finanziato mediante
profitti non distribuiti, (!;, o mediante prestiti, necessario che
K.(Q;-CC;)>O. In un ipotetico pianeta ideale dove l'offerta di
fonti di finanziamento alle imprese infinitamente elastica, dove

Rischio del
I creditore marginale
E,
PK
Rischio
del creditore

o i ~
Beni d'investimento

Figura 5-4 Come si finanzia un'impresa tipo.


144 CAPITOLO QUINTO

tutti 1 prezzi e i rendimenti futuri attesi non dipendono dalle


dimensioni delle imprese, dove rischio e incertezza non fanno
mai capolino, se i flussi di contante CC necessari per finanziare
l'acquisto di un'unit di capitale fossero inferiori al flusso dei
rendimenti futuri attesi, allora un'impresa sarebbe disposta ad
acquistare un ammontare illimitato, anzi infinito, di beni capi-
tali. Ma nel mondo pi prosaico sul quale viviamo, l'incertezza
e il rischio si fanno sentire (sotto forma di rischio del creditore
e del debitore), per non parlare dell'esistenza di situazioni di mo-
nopolio e di monopsonio, cosicch, anche se k.(Q-CC)>O, l'im-
presa disposta ad acquistare soltanto un ammontare finito e
limitato di beni capitali.
Il rischio del debitore ha due aspetti principali. r) In un
mondo segnato dall'incertezza, dove i destini dei vari beni capi-
tali e delle varie imprese differiscono l'uno dall'altro, un opera-
tore avverso al rischio adotter una politica di diversificazione.
Ci significa che, passata una certa soglia, il cui livello dipende
dall'entit delle risorse reali e finanziarie dell'operatore o della
societ in questione, il saggio di capitalizzazione, utilizzato su
uno specifico bene capitale impiegato in un particolare settore
industriale, diminuisce a mano a mano che aumenta la quantit
di tale bene capitale posseduta dall'operatore. 2) Siccome chi
prende a prestito ritiene che i flussi di contante sui prestiti CC
siano certi, mentre i rendimenti futuri attesi Q non Io siano, un
aumento nella proporzione dell'investimento finanziato ester-
namente fa diminuire il margine di garanzia e quindi riduce
il saggio al quale chi prende a prestito capitalizza le quasi-
rendite Q.
A causa del rischio del debitore, quindi, il prezzo di domanda
dei beni capitali "cade" dalla retta Px (vedi fig. 5.4): possiamo
assumere che tale "caduta" sar tanto pi veloce quanto mag-
giore l'impiego di questo particolare tipo di bene capitale e
quanto maggiore la quota di fondi presa a prestito. Di norma
il prezzo PK inizier a cadere a partire da un punto alla destra
di i ( = ammontare di investimenti finanziato internamente,
vedi fig. 5.4), anche se talvolta possibile che esso inizi a cadere
a partire da un punto alla sinistra di f. Questa ultima possibilit
avr luogo quando l'impresa incomincia a credere (in seguito a
certi eventi) che la situazione ereditata dal periodo precedente
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 145
caratterizzata da un'eccessiva specializzazione su un partico-
lare tipo di bene capitale e da un bilancio dove la quota di
fondi esterni troppo elevata. In modo analogo pu succedere
che, in seguito ad altri eventi, l'impresa ritenga invece di dover
optare per una politica di maggiore specializzazione e di aumento
della quota di fondi esterni.
Il rischio del debitore ha un carattere soggettivo: non lo si
trova mai citato nei contratti di fnanziamento. Esso rappresenta
per un elemento centrale per spiegare la volatilit delle aspet-
tative e l'imprevedibilit dello spirito imprenditoriale.
Ci che invece troviamo nei contratti di fnanziamento il
rischio del creditore. Data una certa situazione di mercato, il ri-
schio del creditore implica che, a mano a mano che aumenta il
rapporto tra fondi esterni e attivit complessiva, l'impresa debi-
trice si trover a dover sborsare un ammontare sempre maggiore
per il pagamento dei propri impegni contrattuali. Nei contratti
finanziari il rischio del creditore assume svariate forme, tra le
quali possiamo menzionare le seguenti: saggi di interesse pi aJti,
scadenze pi ravvicinate, il pegno di certe specifche attivit a
garanzia del prestito, restrizioni sui dividendi distribuiti e su
ulteriori prestiti. Il rischio del creditore aumenta all'aumentare
del rapporto tra fondi presi a prestito e capitale netto e all'au-
mentare del rapporto tra impegni di pagamento e rendimenti
futuri attesi.
Possiamo ora affermare che il prezzo corrente di offerta di
un bene capitale per un possibile acquirente non il prezzo
unitario al quale il bene capitale viene acquistato. Il vero
prezzo di offerta dato dalla somma tra il prezzo al quale
il produttore ( o il proprietario) disposto a vendere il bene ca-
pitale e il valore capitalizzato della differenza tra gli impegni di
pagamento previsti nel contratto di fnanziamento esterno e gli
impegni di pagamento impliciti, cui l'impresa avrebbe dovuto
far fronte se avesse fnanziato internamente la spesa d'investi-
mento. Questa "aggiunta non altro che il valore capitalizzato
11

del reciproco dell'assicurazione. Quanto maggiore il saggio di


indebitamento (leverage) e cio quanto maggiore il rapporto
tra prestiti esterni e fondi interni, tanto maggiore sar questa
11
"aggiunta cio la differenza in eccesso degli impegni contrat-
,

tuali di cassa. Quindi la curva del prezzo effettivo Pr presenter


10
CAPITOLO QUINTO

una discontinuit in corrispondenza del livello degli investi-


menti finanziabile facendo ricorso unicamente a fondi interni,
cio l nella figura 5+ Dopo che l'impresa ha provveduto a fi-
nanziare parte del proprio investimento ricorrendo a prestiti,
ragionevole prevedere che la curva P1 non solo inizier a salire,
ma salir a un saggio sempre pi elevato. Per di pi, all'aumen-
tare del saggio di indebitamento contrattuale, tutti i prestiti
emessi dall'impresa dovranno conformarsi al contratto margi-
nale, allorch vengono rifinanziati: in virt di questo fatto, dopo
un certo periodo di tempo, la relazione chiave in base alla quale
l'impresa prende le proprie decisioni di finanziamento (relazione
nella quale inglobato il rischio del creditore) sar quella rap-
presentata dalla curva marginale rispetto alla parte crescente
della curva di offerta, equivalente alla curva di offerta di "mo-
nopsonio" ( cio la curva tratteggiata "rischio marginale del
creditore" della figura 5.4).
La caratteristica fondamentale comune al rischio del debitore
e a quello del creditore che entrambi riflettono opinioni sog-
gettive. Due imprenditori messi di fronte alle stesse circostanze
obiettive possono, in base ai loro diversi temperamenti personali,
avere idee opposte circa il rischio del debitore; uno di essi pu
decidere di investire, diciamo 11 , l'altro potrebbe essere disposto
a investire di pi o di meno. I dati statistici sull'andamento dei
saggi di interesse sui prestiti (che le agenzie specializzate pub-
blicano nelle loro "graduatorie di merito" circa la solvibilit di
imprese, private e municipalizzate, che chiedono a prestito) pos-
sono essere spiegati in termini di rischio del creditore, cos
come il fatto che le imprese devono spesso pagare alle banche
un saggio di interesse superiore a quello normale (prime rate).
Ad ogni dato istante, sembra che sul "mercato" vi sia un certo
consenso tra gli operatori circa gli investimenti che possibile
finanziare mediante prestiti (per ciascuna impresa in una certa
"graduatoria di merito" di solvibilit). Tale consenso di opi-
nioni per soggetto ad alterarsi, in senso restrittivo o espan-
sivo: durante le varie fasi del ciclo economico possiamo infatti
notare come variano in modo regolare e sistematico sia il livello
accettabile che quello effettivo del rapporto tra prestiti e capi-
tale netto.
Il volume degli investimenti viene determinato dall'interse-
zione della curva di domanda (tenuto conto del rischio del debi-
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 147

tore) con la curva di offerta (tenuto conto del rischio del credi-
tore). Nella figura 5.4 le due curve (debitamente aggiustate onde
tener conto del rischio del creditore e del debitore) si incrociano
nel punto D 1 , cui corrispondono un investimento pari a I 1 e un
prezzo per unit di bene capitale pari a PI. La spesa complessiva
di investimento (pari all'area OPrP/11) verr finanziata in parte
ricorrendo a fondi interni (l'area OAA111), in parte utilizzando
fondi presi a prestito (l'area AA 1Pr'Pr).
Per quanto riguarda i rendimenti futuri attesi per unit di capi-
tale, a causa del ricorso a prestiti esterni, l'impresa dovr impe-
gnare flussi di contante proporzionali ad A 1Ci/l 1E 1 , mentre
l'azionista della societ si attender di incassare flussi di coI1tante
proporzionali a (l 1A1+C1E1)/l1E1.
Una volta che i beni capitali cos acquisiti sono stati inseriti
nel processo produttivo dell'impresa e ammesso che essi fruttino
le quasi-rendite Q c9me previsto, allora i beni capi~ali O]1 , capi-
talizzati al saggio K, avranno un valore pari a PK. Il valore
totale dei beni capitali sar quindi pari a OPKE1l 1 : chi ha investito
in questa impresa avr fatto un guadagno in conto capitale. I pre-
stiti, il cui ripagamento adesso pi certo, genereranno un flusso
di contante proporzionale a A 1C1 , ma saranno capitalizzati a un
saggio di interesse inferiore a quello iniziale, in quanto l'inte-
resse aggiuntivo dovuto al rischio del creditore si sar mostrato
essere troppo elevato. Di conseguenza anche chi ha prestato con-
tante a questa impresa avr realizzato un guadagno in conto
capitale. Gli azionisti vedranno salire il valore del loro investi-
mento Q, da un livello iniziale pari a OAA111 a un nuovo valore
pari a (OAA 1I 1+CPKE1C1). Tale circostanza dovrebbe avere ovvie
conseguenze sul prezzo al quale verranno scambiate le azioni
dell'impresa. Il fatto che l'ammontare degli investimenti sia li-
mitato dalla presenza del rischio del debitore e del creditore fa
s che dai risultati positivi ottenuti con l'impiego dei beni capi-
tali scaturiscano dei guadagni in conto capitale tanto per i credi-
tori che per i debitori. Il detto shakespeariano: "Non essere n
creditori n debitori" non tiene conto che sia gli uni che gli altri
possono accaparrarsi buoni guadagni in conto capitale.
L'andamento degli investimenti oltremodo sensibile al rischio
del creditore e del debitore. Se la curva di domanda ( che ingloba
il rischio del debitore) "cade" assai rapidamente dalla retta Px
CAPITOLO QUINTO

] PKt----<r---------~--=,........--~--.------
.ii ', 1 ,, 1 Rischio del
~ ', :I ', \/,/creditore marginale
-~ I )(p1 ,,-~,D 2
.e
a; I
I
/ I '
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I
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1

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101 Fondi di
I finanziamento interni

1 ~ ~ I
Beni d'investimento

Figura 5-5 Sensibilit degli investimenti ai preventivi d rischio.

e se la curva di offerta ( che ingloba il rischio del creditore) si


"alza" assai rapidamente dalla retta PK, allora la maggior parte
della spesa d'investimento verr finanziata con fondi interni. Se
in\l'ece queste due curve hanno una pendenza piuttosto moderata
(anzich molto accentuata come nel caso appena descritto), allora
si ricorrer essenzialmente a fondi esterni.
In ogni periodo l'impresa eredita dal passato sia una certa
struttura delle passivit sia un certo insieme di beni capitali. Se
gli effetti dell'esperienza sulle preferenze e sulle aspettative sono
tali da far diminuire il livello del rischio del debitore e del cre-
ditore, in modo tale che per un dato () si faranno spese d'inve-
stimento pari a / 2 >/ 1 (vedi fig. 5.5), allora dovr aver luogo
uno slittamento nel valore del rapporto prestiti/capitale netto
accettabile in relazione allo stock di beni capitali posseduto dal-
l'impresa. Questa circostanza metter in luce il fatto che l'im-
presa pu adesso finanziare i propri investimenti mediante pre-
stiti, utilizzando la garanzia rappresentata dallo stock di beni
capitali in suo possesso. Ci significa che, in base allo stock di
beni capitali dell'impresa, il rapporto tra CC (il contante dovuto
per far fronte ai debiti) e Q (gli utili lordi al netto delle tasse)
basso rispetto al livello ora ritenuto accettabile. In un periodo
durante il quale gli operatori diminuiscono la propria avversione
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 149
al rischio, la quota dei fondi esterni per il finanziamento degli
investimenti, ottenuta dando in garanzia i profitti futuri attesi
(saggio d'indebitamento) pu essere molto elevata, in quanto
l'incremento di valore del capitale aumenta la capacit di pren-
dere a prestito da parte dell'impresa.
Se la diminuzione nell'avversione al rischio influisce sulle
scelte delle famiglie proprietarie di titoli azionari nello stesso
modo in cui influisce sulle scelte dei manager e dei banchieri
( ovvero coloro che stabiliscono il valore accettabile dei coeffi-
cienti di indebitamento), allora le famiglie saranno maggiormente
disposte ad acquistare nuovi titoli azionari, contraendo dei pre-
stiti che i banchieri saranno dispostissimi a concedere. Questo
fatto provocher un aumento nel prezzo dei titoli azionari. Se-
condo l'interpretazione di Keynes questo incremento nel prezzo
di mercato delle azioni implica "un aumento dell'efficienza mar-
ginale del capitale in questione" (TG p. 3 r r, nota a), ovvero,
usando la nostra terminologia, implica un aumento di P&.ri-
spetto a date Q.
Keynes notava che "durante una violenta espansione econo-
mica la valutazione comune della grandezza di entrambi questi
rischi, sia il rischio del debitore che il rischio del creditore, pu
diventare eccezionalmente e imprudentemente bassa" (TG p.
305). Questo implica che, durante una base di boom, il rapporto
tra crediti per il finanziamento degli investimenti e volume de-
gli investimenti aumenta, come testimoniano le statistiche dispo-
nibili sui debiti delle societ.

L'investimento aggregato
Fin qui abbiamo condotto 1anostra discussione in termini di
una singola impresa o di una singola famiglia. Per poter gene-
ralizzare le conclusioni finora raggiunte all'economia nel suo
complesso necessario svolgere un certo lavoro di aggregazione.
Dall'analisi precedente emerso che, dato un certo stock di
beni capitali, le scelte di portafoglio ci forniscono una relazione
funzionale tra prezzo di mercato dei beni capitali in generale e
quantit di moneta tale che il prezzo di mercato di un partico-.
lare bene capitale connesso positivamente alla quantit ~d- O
150 CAPITOLO QUINTO

neta. In questa funzione, che abbiamo scritto come PK= PK


(M, Q), sono presenti i tre "diaframmi" menzionati da Keynes:
quello tra ioneta e saggio d'interesse sui prestiti monetari;
quello tra saggio d'interesse sui prestiti monetari ed efficienza
marginale del capitale (ovvero i fattori di capitalizzazione sui
beni capitali); quello, infine, tra efficienza marginale del capitale
e rendimenti futuri attesi dei beni capitali. Data una certa quan-
tit di moneta, questa relazione determina la curva del prezzo
di domanda dei beni d'investimento. La derivata della funzione
di domanda dei beni capitali rispetto alla quantit di moneta ha
segno positivo.
Nella figura 5.6 abbiamo rappresentato la relazione esistente tra
i fondi di finanziamento e l'in';estimento aggregato. La curva d'of-
ferta dei beni d'investimento una funzione crescente del volume
degli investimenti. Il livello atteso dei fondi interni dato da
Q([). L'ammontare effettivamente realizzato di investimenti
determinato dall'intersezione delle curve Pr;L e PK;n, rispettiva-
mente la curva del prezzo d'offerta dei beni d'investimento (con-
dizionale al rischio del creditore, L, calcolato dai banchieri) e la
curva del prezzo di domanda dei beni d'investimento (condizio-
nale al rischio del creditore, B, calcolato dalle imprese). Le im-
prese prevedono di finanziare la spesa complessiva in beni d'in-
vestimento (pari a OBB1/ 1 della fig. 5.6) in parte utilizzando fondi
interni (OAA1/ 1) in parte ricorrendo a prestiti esterni (ABB 1A 1).
Supponiamo che le imprese abbiano redatto il proprio piano
di investimenti pari a / 1 in base ai profitti che esse si attendevano
di ricavare nell'ipotesi che il livello del reddito fosse sufficiente a
finanziare un ammontare aggregato di investimenti pari a f. In
realt gli investimenti globali sono pari a I 1 : questa differenza
positiva tra investimenti pianificati e investimenti realizzati pro-
duce un livello di reddito aggregato maggiore del previsto e
quindi anche un flusso di fondi interni, Q(/ 1), superiore alle pre-
visioni. Di conseguenza, il flusso di fondi interni tale che adesso
la quota d'investimenti finanziata internamente pari a 0.:4..:4.1/1
(il resto, pari a :4.BB1:41 , viene finanziato con fondi esterni).
Nel caso illustrato nella figura 5.6, il maggior livello di profitti
fa venir meno il bisogno dell'impresa di ricorrere a prestiti per
finanziare i propri investimenti e nel contempo rafforza la dispo-
nibilit di banchieri e imprese a finanziare, mediante prestiti, ulte-
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 151

riori acquisti di beni d'investimento. Questa capacit di prendere


a prestito rimane cos inutilizzata e disponibile per finanziare pro-
getti futuri d'investimento. Inoltre, siccome il costo del prestito
minore del previsto, i dividendi saranno pi pingui; senza
contare che tali incrementi nel flusso di fondi interni avranno
effetti positivi sul prezzo delle azioni.
La visione degli investimenti che ricaviamo d quest'esem-
pio sottolinea il fatto che l' "opinione degli operatori" circa il
rischio del creditore e del debitore (opinione chiaramente in-
fluenzata dalle recenti congiunture economiche) regola l'anda-
mento degli investimenti e quindi, in ultima istanza, dell'intera
economia. Ogniqualvolta aumenta la disponibilit a finanziare
gli investimenti mediante prestiti e ogniqualvolta tale disponibi-
lit viene utilizzata nel modo illustrato dalla figura 5.5, aumenta
anche il rapporto CC/Q. Non appena CC cresce a un saggio
maggiore di quello al quale aumenta Q, i profitti lordi al netto
delle tasse e degli impegni di pagamento sulle passivit inizie-
ranno a salire a un saggio inferiore a quello al quale aumentano
gli investimenti e i prestiti. Creditori e debitori cercheranno
quindi nuovi modi di finanziamento e i debitori marginali si
troveranno a doversi rivolgere sempre pi spesso a creditori che
attribuiscono un valore sempre pi alto alla liquidit: le condi-
zioni alle quali sar possibile prendere a prestito diventeranno

P11L Rischio

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"O
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N
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o M o i ,,
Quantit di moneta Beni d'investimento

Figura 5.6 Finanziamento e investimenti a livello aggregato.


152 CAPITOLO QUINTO

via via pi onerose. Ci significa che i fondi liquidi generati da


Q potranno dimostrarsi insufficienti a coprire il fabbisogno di
liquidi di breve periodo necessario per. ripagare i prestiti. Que-
sta spiacevole circostanza dovuta al fatto che la maggior parte
dei prestiti contratti in periodo di boom sono a breve scadenza:
la loro estinzione richiede un afflusso di liquidi pi veloce di
quello generato dallo svolgimento dell'attivit produttiva. Gli
agenti economici che ricorrono a questo tipo di prestiti si tro-
vano costretti, quando essi vengono a scadenza, a rifinanziarsi
contraendo ulteriori prestiti.
Un boom, una volta scoppiato, vive un'esistenza piuttosto
precaria. La sua permanenza in vita dipende dal realizzarsi o
meno delle ottimistiche aspettative sui rendimenti degli investi-
menti, cosicch chi ha investito in azioni, in beni strumentali e
in prestiti possa godere un guadagno in conto capitale. Per tutta
una serie di motivi (quali una tendenza all'aumento dei salari o
dei costi di produzione; le conseguenze negative sul valore dei
prestiti a lunga scadenza derivanti dalla tendenza al rialzo dei
saggi d'interesse; l'elevato onere di rifinanziamento dei prestiti
venuti a scadenza) pu darsi il caso che una vasta massa di ope-
ratori sia costretta contemporaneamente a tentare di rastrellare
contanti, utilizzando la liquidit che si presume sia inglobata in
certe attivit finanziarie in loro possesso; in altre parole tali
operatori tenteranno di rendere "liquide" le loro attivit finan-
ziarie. Per alcuni di loro inoltre l'onere dei prestiti (l'ammon-
tare di contanti che si sono impegnati a versare) pu diventare
cos pesante da costringerli a vendere o a impegnare i propri
beni capitali in modo da ottenere contanti con i quali far fronte
ai propri debiti. Questo pu succedere tanto alle imprese indu-
striali quanto alle organizzazioni finanziarie.
Un'attivit si considera liquida fintantoch i venditori non
prevalgono sui compratori. Ogniqualvolta si diffonde il bisogno
di sbarazzarsi di titoli, i prezzi possono crollare rovinosamente
a meno che non vi sia un robusto mercato di sostegno attivabile
in caso di necessit (per esempio una banca centrale armata di
buona volont). Quando cadono i prezzi dei titoli, incluse le
azioni, cade anche la corrispondente efficienza marginale o, al-
ternativamente, il corrispondente prezzo di domanda dei beni
capitali.
TEORIA DEGLI INVESTIMENTI 153
Q
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Quantit di moneta Beni d'investimento


Figura 5.7 Gli effetti di uno slittamento della funzione P K(M).

Nella figura 5.7 abbiamo rappresentato la situazione succes-


siva a un periodo di "crisi" o successiva a un ripensamento gene-
rale sul tipo di struttura dei debiti ritenuta accettabile. Data la
funzione PK(M, Q) e la quantit di moneta Mo, il prezzo di mer-
1

cato dei beni capitali sufficientemente elevato da far sorgere la


possibilit di un ammontare positivo di finanziamento mediante
prestiti. Esperienze recenti, per, inducono i potenziali debitori
a vedere in modo diverso il proprio rischio, cos che l'ammontare
di investimenti desiderato pari solo a O[1. Ci avviene se i ma-
nager dell'impresa ritengono troppo rischiosa la struttura delle
loro passivit e quindi modificano in senso prudenziale il proprio
bilancio. Ad esempio, i fondi interni attesi Q saranno utilizzati
in pane per spese in beni d'investimento (per un ammontare pari
a OBB1l 1) mentre il rimanente (l 1B1B2X 2) verr impiegato per
acquistare attivit finanziarie o per estinguere precedenti debiti.
In una situazione come questa, se per generare un ammontare di
fondi interni attesi pari a Q necessario che il livello del reddito
sia maggiore di quello generato da un livello degli investimenti
pari a I 1 , allora l'ammontare effettivo di fondi interni sar infe-
riore al previsto e il desiderato miglioramento nel bilancio non si
concreter, aprendo cos la strada a un processo deflazionistico
provocato dalle reazioni e controreazioni tra livello del reddito e
ammontare dei prestiti.
Se la funzione che fissa il prezzo dei beni capitali data da
PK,,allora l'intero ammontare di fondi interni attesi sar impie-
154 CAPITOLO QUINTO

gato per acquistare attivit finanziarie o per estinguere precedenti


debiti. Nella figura 5.7 abbiamo tracciato la curva PK2 (M, Q) in
modo tale che il suo livello massimo sia inferiore al livello minimo
di Pr. Nel contesto delle rappresentazioni geometriche utilizzate
per illustrare la funzione degli investimenti, l'ultimo esempio
citato rappresenta un caso di trappola della liquidit. Per dimo-
strare l'inefficacia della politica monetaria non necessario assu-
mere che il saggio di interesse sul debito pubblico rimane costante
nonostante un aumento nell'offerta di moneta. Come dimostra la
figura 5.7, anche se il saggio di interesse sulle attivit finanziarie
diminuisce sempre all'aumentare dell'offerta di moneta, il saggio
utilizzato per capitalizzare i rendimenti dei beni di investimento
pu non aumentare tanto quanto sarebbe necessario per indurre
gli imprenditori a investire.
Capitolo 6
Istituzioni finanziarie, instabilit finanziaria e
andamento degli investimenti

Le banche di credito ordinario e d'investimento forniscono


quei finanziamenti e quei "servizi di intermediazione" attraverso
i quali da un lato le imprese acquistano e controllano beni capi-
tali, dall'altro le famiglie diventano "proprietarie" delle imprese.
Esiste al mondo - scrive Keynes ( 193 r b, pp. r 35 sg.) - una quantit
enorme di beni reali che costituiscono il nostro capitale: case, scorte di
merci, beni in processo di trasformazione ecc. Per entrarne in possesso,
tuttavia, i proprietari nominali di questi beni non di rado hanno preso in
prestito denaro. In corrispondente misura, quindi, i proprietari reali di
ricchezza rivendicano diritti non su beni reali ma su denaro. Buona parte
di questo "finanziamento" avviene attraverso il sistema bancario che frap-
pone la sua garanzia fra i depositanti, che prestano il denaro alla banca, e
i prenditori di fondi a cui la banca presta il denaro per finanziare l'acquisto
di beni reali. Il frapporsi di questo schermo monetario fra il bene reale e il
proprietario di ricchezza una caratteristica peculiare del mondo moderno.

Le banche, nella misura in cui fanno fronte al pagamento degli


interessi sui debiti contratti dalle imprese loro clienti e ne estin-
guono i debiti, finanziano il controllo di attivit reali; inoltre, nella
misura in cui fanno fronte al pagamento degli interessi sui debiti
contratti dalle famiglie loro clienti e ne estinguono i debiti, esse
finanziano l'acquisto e il controllo di attivit finanziarie. In partico-
lare, le banche di credito ordinario finanziano l'acquisto di titoli
azionari, mentre le banche d'investimento ne curano la distri-
buzione. Propriet azionaria e sistema bancario sono oggigiorno
strettamente connessi.
CAPITOLO SESTO

Banchieri, manager industriali e famiglie proprietarie di at-


tivit azionarie e finanziarie hanno in comune l fatto di vivere
nel medesimo "clima delle aspettative". La misura in cui gli in-
vestimenti vengono finanziati mediante prestiti (grazie cio ai.
crediti concessi in base ai profitti non distribuiti delle imprese)
non dipende solamente dalle aspettative delle imprese investitrici,
ma anche dalla disponibilit delle banche ad accettare ~.:.talv:olta
a. indurrf) tale metodo di finanziamento, nonch dalla disponi-
bilit delle famiglie a detenere azioni di imprese impegnate iQ
acquisizione di fondi di finanziamento esterni, azioni i cui prezzi
sono quindi in rialzo. Ogniqualvolta le imprese e le famiglie
aumentano il proprio saggio di indebitamento, i banchieri v~-
.dono ridotto il margine di sicurezza dei prestiti concessi per
finanziare gli investimenti. 1 ,

In un'economia capitalistica un elemento essenziale della


realt rappresentato dalla interrelazione tra i vari stati patri-
moniali delle diverse unit economiche. Le varie partite che
compaiono nei bilanci d'impresa, infatti, danno vita a flussi di
contante, i quali scaturiscono da: r) il sistema di produzione del
reddito (in tal caso includono salari, imposte, profitti non finan-
ziari monetari lordi al netto delle tasse); 2) la struttura finan-
ziaria (in tal caso comprendono interessi, rendite, dividendi e
rimborsi dei prestiti); 3) lo scambio e il commercio in attivit
capitali e in strumenti finanziari. L'ammontare di tutti i flussi di
contante determinati dalla struttura finanziaria, fatta eccezione
per i dividendi, fissato per contratto.
Transazioni riguardanti partite di bilancio generano flussi di
contante anche perch incidono sul prezzo di mercato delle
attivit azionarie. La liquidit di una attivit misurata dalla
facilit con la quale possibile venderla, senza con questo dover
accettare prezzi sfavorevoli. Keynes sosteneva che, affinch i
proprietari di attivit capitali (in modo diretto o mediante il
possesso di attivit azionarie) potessero godere di un grado di
liquidit all'incirca equivalente a quello goduto dai proprietari
di moneta, fosse necessario lo sviluppo di mercati delle attivit
ben organizzati:
Fino a quando aperta all'individuo la possibilit di impiegare la sua
ricchezza nel tesaurizzare o nel prestare la moneta, l'alternativa di acqui-
stare beni capitali reali non pu venir resa abbastanza attraente (special-
INSTABILIT FINANZIARIA 157
mente per chi non li amministra egli stesso e conosce molto poco su di essi),
se non organizzando mercati nei quali quei beni possano essere facilmente
realizzati in moneta (TG p. 321, corsivo di Keynes).

Ovvero: se la ricchezza detenuta da operatori non direttamente


impegnati nella sua gestione produttiva, allora tali operatori at-
tribuiranno un certo valore alla facilit con la quale possono
sbarazzarsi delle attivit per reimpiegare in modo diverso la
propria ricchezza.
La facilit con la quale possibile scambiare attivit contro
moneta ogniqualvolta il proprietario lo desideri (attributo tipico
degli investimenti finanziari) influisce direttamente sull'anda-
mento degli investimenti:
Ci si rende conto come la liquidit del mercato spesso faciliti - bench
talvolta ostacoli - il processo dell'investimento nuovo. Giacch il fatto che
ciascun investitore singolo si compiace di considerare "liquido" il suo inve-
stimento ( ...) tiene calmi i suoi nervi o lo rende assai pi disposto ad assu-
mersi un rischio (TG p. 320).
Finora ci siamo riferiti principalmente allo stato di fiducia dello specu-
latore o dell'investitore speculatore; e abbiamo ammesso tacitamente che,
se lo speculatore per suo conto soddisfatto delle sue prospettive, egli possa
avere a disposizione una quantit illimitata di denaro al saggio d'interesse
di mercato. Naturalmente non questo il caso. Quindi dobbiamo tener
conto anche dell'altro aspetto dello stato della fiducia, ossia la fiducia
degli istituti finanziatori verso coloro che domandano denaro a prestito da
essi: cio, come talora si dice, dello stato del credito. Una caduta dei prezzi
dei titoli a reddito variabile, che abbia esercitato reazioni disastrose sull'ef-
ficienza marginale del capitale, pu essere dovuta a un peggioramento della
fiducia speculativa o dello stato del credito. Sennonch, mentre il peggiora-
mento di uno solo dei due sufficiente a provocare una caduta, la ripresa
richiede un miglioramento di entrambi questi fattori. Infatti, mentre il peg-
gioramento del credito sufficiente a provocare un crollo, il suo migliora-
mento, se condizione necessaria della ripresa, non condizione sufficiente
(TG p. 318, corsivo di Keynes).

Lo stato del credito riflette le opinioni che i banchieri hanno


sui propri debitori; ricordiamoci che essi finanziano le posizioni
di portafoglio sia dei proprietari diretti di beni -capitali sia degli
azionisti. Se i banchieri cambiano idea circa il livello del saggio di
indebitamento (leverage) adatto per finanziare acquisti di beni
capitali, tale circostanza non provoca necessariamente un'imme-
diata revisione del valore di mercato di questi beni, soprattutto
CAPITOLO SESTO

se i rendimenti futuri attesi e il fattore di capitalizzazione riman-


gono invariati. Questo cambiamento di idee da parte dei ban-
chieri pu invece avere un effetto decisivo sul prezzo delle
azioni: le borse valori infatti sono organizzate in modo tale da
facilitare le transazioni di attivit azionarie, cosicch il volume
globale di questi investimenti indiretti enorme e il loro valore
di mercato aumenta costantemente.
Giungono qui particolarmente a proposito le osservazioni di
Keynes sulle borse valori e sul loro influsso sull'andamento del-
l'economia:
Nell'impresa privata di vecchio stile, le decisioni di investire erano per
decisioni in gran parte irrevocabili, non soltanto per la collettivit in com-
plesso, ma anche per il singolo. Con la separazione, oggi esistente, fra pro-
priet e amministrazione delk imprese, e con lo sviluppo di mercati orga-
nizzati di titoli di investimento, entrato in gioco un fattore nuovo di
grande importanza, il quale talvolta facilita l'investimento, ma talvolta ac-
cresce grandemente l'instabilit del sistema. In mancanza di un mercato dei
titoli, non vi scopo di cercare di rivalutare spesso un investimento in cui
siamo interessati. Ma la borsa dei titoli rivaluta giornalmente molti inve-
stimenti, e le rivalutazioni offrono una frequente occasione all'individuo
(non per alla collettivit in complesso) di rivedere l'ampiezza dei suoi in-
teressi nei vari investimenti ( ...) ma le rivalutazioni giornaliere alla borsa
dei titoli, pur essendo destinate principalmente ad agevolare il tr)lsferi-
mento di investimenti vecchi da un individuo all'altro, esercitano inevita-
bilmente un'influenza decisiva sull'ammontare degli investimenti correnti
per unit di tempo. Non avrebbe senso, infatti, creare un'impresa nuova a
un costo superiore a quello al quale pu acquistarsi un'impresa simile gi
esistente; mentre vi un incentivo a spendere per un progetto nuovo una
somma che pu sembrare stravagante, se il progetto pu venir collocato
ne]Ja borsa dei titoli realizzando un profitto immediato. Quindi certe cate-
gorie di investimenti sono governate dalle aspettative medie di coloro che
operano nella borsa dei titoli, quali si rivelano nel prezzo delle azioni, piut-
tosto che dalle aspettative genuine dell'imprenditore professionale (TG
pp. 310sg.).

Keynes distingue tra speculazione e intraprendenza, attribuendo


il sostantivo speculazione all'attivit di prevedere la psicologia del mer-
cato, e il sostantivo intraprendenza all'attivit di prevedere il rendimento
prospettivo dei beni capitali per tutta la durata della loro vita (. ..) Tut-
tavia, quanto pi perfezionata l'organizzazione dei mercati di investi-
mento [azionario], tanto maggiore sar il rischio che la speculazione prenda
il sopravvento sull'intraprendenza (TG pp. 318 sg.).
INSTABILIT FINANZIARIA 159
Uno speculatore pu fare fortuna scommettendo sull'anda-
mento futuro del mercato delle attivit, vendendo allo scoperto
quando si attende un ribasso nel prezzo delle azioni e facendo
il contrario se si aspetta un rialzo. Da questa circostanza Keynes
deriv la ben nota conclusione che abbiamo gi avuto occa-
sione di ricordare:
Gli speculatori possono non causare alcun male, come bolle d'aria in
un flusso continuo di intraprendenza; ma la situazione seria quando l'in-
traprendenza diviene la bolla d'aria in un vortice di speculazione. Quando
lo sviluppo del capitale di un paese diventa un sottoprodotto delle attivit
di un casino da gioco, probabile che vi sia qualcosa che non va bene
(TG p. 319).

Ogniqualvolta aumenta il saggio di indebitamento per finan-


ziare gli investimenti, in seguito a un miglioramento dello stato
del credito e delle aspettative, i proprietari dello stock di beni
capitali (la cui struttura delle passivit adeguata allo stato delle
aspettative vigente nel periodo che precede) si trovano a godere
di un margine inutilizzato di "capacit di prendere a prestito".
Volendo finanziare un'ulteriore acquisizione di beni capitali,
questo "margine" rappresenta una fonte sicura tanto quanto i
profitti non distribuiti. Quindi, per quanto concerne gli effetti
sulla capacit dell'impresa di finanziare mediante prestiti i pro-
pri investimenti, un aumento della fiducia degli operatori e un
miglioramento dello stato del credito sono equivalenti a un
aumento dei rendimenti correnti dei beni capitali. Anche se le
imprese non reagiscono a questo mutamento d'opinione circa
la struttura delle passivit, pu tuttavia aver luogo un aumento
del saggio di indebitamento.
I proprietari (effettivi e potenziali) di titoli azionari consi-
derano il finanziamento esterno di acquisti in azioni come un'al-
ternativa al finanziamento esterno, da parte delle imprese in
questione, di acquisti d beni capitali. I mutamenti nello stato
di fiducia degli operatori influiscono sul finanziamento degli
acquisti tanto d beni capitali da parte delle imprese quanto di
azioni da parte dei proprietari di ricchezza. (Ricordiamoci che,
in una economia dalla distribuzione del reddito e della ricchezza
tipica del capitalismo, imprenditori, banchieri e dirigenti indu-
striali possiedono nella loro qualit di II consumatori" una cospi-
cua quota dello stock azionario.) In seguito a un aumento della
160 CAPITOLO SESTO

propensione a finanziare esternamente acqmst1 di beni capitali


ragionevole attendersi un aumento dei fondi chiesti a prestito
per finanziare l'acquisto di azioni. Quindi, se lo stock di azioni
rimane immutato, si verificher un rialzo dei corsi azionari.
Ovviamente i fondi necessari per finanziare l'acquisto di
azioni e di beni capitali devono essere reperiti in qualche modo.
Possiamo individuare due principali fonti di finanziamento: il
meccanismo di creazione monetaria e la politica di diversifica-
zione perseguita dai proprietari di ricchezza circa le propor-
zioni di moneta, azioni e beni capitali da tenere nel proprio por-
tafoglio. Keynes notava che "in generale, nella transizione da
un certo livello di attivit economica a un livello pi elevato, le
banche svolgono un ruolo decisivo" (1937c, p. 668).
I banchieri, come tutti gli altri uomini d'affari, possono svol-
gere attivit speculativa; anzi, poich le passivit delle banche
sono costituite da depositi a vista o a breve scadenza e le attivit
in loro possesso sono crediti a breve o vincolati, i banchieri sono
inevitabilmente degli speculatori. Ogni banchiere specula sulla
sua capacit di rifinanziare la propria posizione di portafoglio,
allorch ha luogo un prelievo da parte dei depositanti. L'attivit
bancaria contemporanea non potrebbe esistere se non vi fosse
un sistema ben sviluppato di mercati interbancari della moneta
e dei titoli.
I banchieri inoltre speculano sulla composizione del proprio
portafoglio-titoli. assai probabile che essi, durante un boom,
vendano sul mercato titoli a reddito variabile onde finanziare
un'espansione del credito. Questi titoli per, una volta venduti
dai banchieri, non possono scomparire dal circuito economico:
essi vanno a finire nei portafogli del settore non bancario, come
sostituti della moneta. Affinch tale sostituzione abbia luogo
necessario che essa venga resa profittevole grazie a un aumento
dei saggi di interesse. Durante un boom i banchieri aumentano
la propria capacit di dare a prestito vendendo per contanti i
titoli di investimento del loro portafoglio alle famiglie, alle im-
prese e agli intermediari finanziari non bancari.
Nel sistema bancario statunitense, le banche possono far
aumentare il rapporto impieghi/riserve rimpiazzando depositi
a vista e linee di credito con rispettivamente depositi vincolati
e crediti effettivi, nonch utilizzando in modo pi efficiente le
proprie riserve mediante scambi interbancari (scambi in fondi
INSTABILIT FINANZIARIA I6I

federali). La quantit effettiva di moneta dunque viene deter-


minata endogenamente. Va ricordato inoltre che le imprese pos-
sono vendere sul mercato aperto i propri debiti ( che vengono
definiti cambiali commerciali). Questo processo assorbe e mette
in movimento fondi di contante in possesso di altri agenti eco-
nomici. Le cambiali commerciali sono assai simili alla moneta in
quanto rappresentano un'ottima scorta temporanea di potere
d'acquisto, soprattutto perch possono venir stipulate proprio
secondo le condizioni desiderate da coloro che le accettano in
pagamento.
Gli effetti di un aumento nel finanziamento esterno quindi
sono due: aumento dell'offerta di moneta e diminuzione dei
fondi monetari immobilizzati. Le variazioni della velocit di cir-
colazione (se a questo concetto si vuole dare un significato ope-
rativo) sono la conseguenza di questo processo di sostituzione di
attivit finanziarie con debiti a breve scadenza.
Negli anni sessanta negli Stati Uniti la tendenza verso un
maggiore accentramento di gestione ha messo in evidenza un
ulteriore elemento che ci consente di comprendere in che modo
il meccanismo di finanziamento delle societ per azioni incide
sulla struttura debitoria. L'acquisto di un pacchetto azionario di
controllo viene spesso effettuato dall'impresa "acquirente" me-
diante l'emissione di un complesso insieme di azioni/contante/
debiti. Dopo una siffatta operazione di assorbimento, le fami-
glie proprietarie delle azioni dell'impresa "assorbita" si trovano
a detenere una mistura di azioni e debiti della nuova entit so-
cietaria. La moneta contante utilizzata per portare a termine
questo tipo di operazioni spesso proviene da un prestito o da
"fondi monetari eccedenti" della societ acquistata o acquirente.
possibile riscontrare casi nei quali il "contante" utilizzato dalla
societ acquirente proveniva dallo stato patrimoniale della so-
ciet acquistata.
In un mondo dove esistono debiti, possiamo assistere a un as-
sorbimento di una societ da parte di un'altra per uno dei due
seguenti e ben distinti scopi (o per entrambi). Innanzitutto, per
uno scopo imprenditoriale, supponiamo che l'impresa A frutti
un insieme di rendimenti futuri attesi QA e l'impresa B QB e
supponiamo che l'imprenditore di una delle due imprese presuma
che, sotto la sua gestione, la nuova impresa (A+ B) potrebbe
fruttare un rendimento OA+Bmaggiore di QA+QB. Se la diffe-
162 CAPITOLO SESTO

renza tra queste due ultime grandezze sufficientemente elevata,


persino il manager pi avverso al rischio sarebbe disposto a in-
debitarsi per finanziare l'assorbimento dell'altra impresa.
Lo scopo speculativo invece pu essere caratterizzato cos:
l'impresa A un'impresa che per il proprio finanziamento ri-
corsa a prestiti, che comportano un esborso di contante pari a
CA tale che CA/QA= a. L'impresa B assumiamo invece che non
abbia alcun impegno di pagamento sui debiti, cio CB= O. L'im-
presa A presume che se acquisisce il controllo dell'impresa B e
se applica ai rendimenti futuri attesi QB il proprio saggio di
indebitamento, essa allora potr prendere a prestito un ammon-
tare di contante pari a aQB. Tale somma potr venir utilizzata
per finanziare l'espansione della nuova societ (A+ B). Le acqui-
sizioni speculative di imprese quindi sono basate sulla possibilit
di aumentare il saggio di indebitamento, possibilit dovuta al
II
fatto che esistono imprese "conservatrici i cui stati patrimoniali
II
cio rispecchiano metodi "antiquati di finanziamento.
L'effetto di queste sostituzioni di portafoglio da parte di chi
emette passivit e di chi detiene attivit quello di generare, in
aggregato e nel breve periodo, una curva di offerta di fondi di
finanziamento elastica. Non appena ha inizio un periodo di
boom, l'offerta di fondi di finanziamento derivante da sostitu-
zioni di portafoglio viene presto assorbita e la curva di offerta
di fondi diventa meno elastica. Ci significa che nelle fasi iniziali
del boom i costi di finanziamento non subiscono grosse varia-
zioni anche se i finanziamenti esterni crescono assai rapidamente.
Nelle successive fasi del boom per i costi di finanziamento pos-
sono impennarsi violentemente. Nella misura in cui i contratti
fatti in passato erano stati finanziati grazie a prestiti a breve sca-
denza, l'andamento dei costi di finanziamento si ripercuote ne-
gativamente sul valore di tali contratti allorch giunge il mo-
mento di rifinanziarli.
A mano a mano che progredisce il periodo di boom tre tipi
di operatori alterano la gestione delle proprie passivit: le im-
prese aumentano la quota di finanziamenti esterni; le famiglie
(e le imprese) riducono, relativamente ai loro debiti, la quantit
di contante e di attivit liquide in proprio possesso; infine le
banche aumentano i crediti concessi diminuendo la quantit di
titol in loro possesso, soprattutto titoli di Stato. Non solo: in
misura crescente le banche fanno affidamento sulla loro politica
INSTABILIT FINANZIARIA

di gestione delle passivit in modo da soddisfare la domanda di


prestiti e le imprese si impegnano in un'attiva politica di ge-
stione delle passivit in modo da finanziare le loro posizioni di
portafoglio.
In realt il grado di sofisticatezza finanziaria ben pi ele-
vato di cos, in quanto esistono istituti finanziari non bancari, i
quali, per acquistare debiti, utilizzano obbligazioni a lungo ter-
mine, debiti bancari e di mercato aperto. Ha quindi luogo una
stratificazione dei debiti. Bisogna ricordare che tutti questi de-
biti poggiano su un unico pilastro: le quasi-rendite Q guada-
gnate dalle imprese impegnate nell'attivit produttiva. Inoltre,
se assumiamo che anche le famiglie prendano a prestito, esiste
un ulteriore strato di debiti il cui pilastro rappresentato dai
redditi delle famiglie, in primo luogo dai salari.
Lo sviluppo dell'intermediazione finanziaria e di mercati se-
condari fa s che nuovi tipi di attivit possono entrar a far parte
delle attivit liquide di portafoglio: in quanto tali, queste atti-
vit rappresentano dei sostituti della moneta. Questo tipo di
intermediazione finanziaria tende a far aumentare il prezzo dei
beni capitali relativamente al prezzo dei beni finali.
/ La speculazione ha dunque tre aspetti: r) i proprietari di beni
capitali speculano finanziando con fondi esterni acquisti di beni
d'investimento e di titoli azionari; 2) banche e altri istituti finan-
ziari speculano sulla composizione sia delle proprie attivit che
delle proprie passivit; 3) famiglie e imprese speculano sulle
attivit finanziarie in loro possesso e sul modo in cui finanziare
gli acquisti di tali attivit. ',') ; :::
Durante un boom, assistiamo a una diminuzione della do-
manda di moneta a scopo speculativo e la quota di attivit fi-
nanziate esternamente presente nei portafogli diventa assai rile-
vante. I proprietari di beni capitali impegnano una maggiore
quota del flusso di contanti atteso dal processo produttivo (le
quasi-rendite Q) per il pagamento dei loro impegni finanziari
(CC). Le banche aumentano la quota dei crediti a scapito degli
investimenti e, grazie a un'efficace gestione delle proprie passi-
vit, riescono a far aumentare il volume delle operazioni, pur
rimanendo fisse le loro riserve di contante. Lo stesso avviene in
altre istituzioni finanziarie. Famiglie e imprese utilizzano come
riserve liquide attivit finanziarie non monetarie al posto della
moneta.
I

164 CAPITOLO SESTO

Sia le imprese produttive che quelle finanziarie, la cui strut-


tura delle. passivit assai complessa, si trovano ad avere im-
pegni di cassa superiori all'ammontare di introiti derivati nel
breve periodo dall'attivit produttiva o dai contratti in loro
possesso. Per far fronte a questi impegni esse devono rifinan-
ziarsi vendendo le proprie attivit o passivit. Certe attivit e
11
passivit possono essere vendute su mercati "estesi dove cio (
11
esistono molti partecipanti) e "profondi dove cio a una mo- (

desta variazione di prezzo corrisponde una cospicua offerta di


fondi: mercati dunque con una curva di offerta elastica). Altri
11
mercati finanziari invece sono "ristretti con pochi parteci- (
11
panti) e "poco profondi un modesto aumento dei titoli offerti
(

provoca sostanziali riduzioni dei prezzi, senza con ci aumen-


tare l'offerta di fondi).
Il processo mediante il quale si vendono attivit o passivit
finanziarie per far fronte a impegni di pagamento in contante
viene chiamato "assunzione di posizione" (position making),
II
dove per "posizione si intende quell'insieme di attivit in pos-
sesso dell'impresa le quali, pur fruttando un certo rendimento,
non dispongono di mercati sui quali possono essere prontamente
II
vendute. Per le imprese produttive, la "posizione che necessita
di essere finanziata costituita dai beni capitali indispensabili

P,
o
...
o
e: Rischio del
EP,ci------------.;:::--- /creditore marginale
;:;
lii ' I ...., "
~ / 'Rischio del debitore
/= ~/ ~ ....
"C .,s-:.~ \
e:
Ql
.e
'iii
"C
o
N
N o
...
Ql

a..
o I, ,,, I
Beni d'investimento

Figura 6.1 Gli investimenti e le condizioni di finanziamento.


INSTABILIT FINANZIARIA

per il processo produttivo; per le imprese finanziarie, la "posi-


zione" costituita invece da attivit con mercati secondari sca-
denti.
Man mano che si sviluppa un periodo di boom, famiglie, im-
prese e istituzioni finanziarie sono costrette a imbarcarsi in ope-
razioni sempre pi rischiose per assumere determinate posizioni
di portafoglio. Una volta esaurita la possibilit di prendere a
prestito da Tizio per ripagare un debito contratto con Caio,
agli operatori economici non restano che due alternative: ven-
dere parte delle loro posizioni di portafoglio o ridurre ( del tutto
o in parte) l'acquisto di attivit. Per le imprese produttive ci
significa ridurre il saggio d'indebitamento utilizzato per finan-
ziare nuovi investimenti. Nella figura 6. 1 il livello desiderato
d'investimenti da parte dell'impresa slitta da 11 a 12 allorch
banchieri e imprese diventano pi ottimisti, mentre slitta da 12
a 11 nel caso contrario, quando cio imprese e banchieri si sen-
tono maggiormente vincolati dalle condizioni di finanziamento.
Quando la domanda di moneta a scopo speculativo subisce
un aumento a causa dell'accresciuto pericolo derivante da strut-
ture delle passivit considerate poco rassicuranti, allora le im-
prese, le famiglie e le istituzioni finanziarie tentano di vendere
le proprie attivit onde poter ripagare i propri debiti. Questo
fatto provoca una caduta del prezzo dei beni capitali; assiste-
remo cio a uno slittamento verso il basso della funzione

PK (M,0)
1

]
a.
ca PK (M, Q)
tJ 2

e:
a,
.e
a,
"C
oN
N
~
Il..

o Offerta di moneta M

Figura 6.2 La relazione tra la funzione PK e la moneta.


166 CAPITOLO SESTO

PK(M, Q) da PK, a PK, (vedi fig. 6.2): una caduta dei corsi azio-
nari un fenomeno tipico di situazioni di crisi.
Il processo di deflazione creditizia - quale quello descritto
da Fisher (1933) - successivo a un periodo di crisi trae origine
da due particolari situazioni: nella figura 6. 3 abbiamo illustrato
una di esse, riferita a una singola impresa. Il prezzo di domanda
dei beni capitali desunto dalla capitalizzazione di mercato delle
quasi-rendite maggiore del prezzo di offerta, ma il rischio del
debitore cos grande che l'investimento minore del livello
finanziabile ricorrendo unicamente a fondi interni. Nella figura
6.4 abbiamo illustrato la seconda situazione: il prezzo di do-
manda dei beni capitali inferiore al prezzo di offerta; in que-
sto caso gli investimenti tenderanno a zero. Tutti i fondi interni
vengono utilizzati per ripagare i debiti dell'impresa. In una si-
tuazione come questa uno dei principali obiettivi perseguiti
dalle imprese, dalle banche e dagli intermediari finanziari
quello di mettere a posto i propri stati patrimoniali. In situazioni
come quelle descritte nelle figure 6.3 e 6.4, le imprese spesso
tenteranno di "consolidare" i loro debiti a breve, emettendo
debiti a lunga, con i quali sostituire i debiti a breve venuti a sca-
denza. In tale modo vengono ridotti gli impegni di pagamento
in contante a breve termine presenti nella struttura delle pas-

...
o
e:
a,
E
.:;
Cl)
a,
>
~S p K I B l'---=:=----->iir--~------
'O
e:
a,
..e
'i Pit----------"'"ic--.....::::: .....i;.::--~
'O
o
N
N
a,
o:
I
Beni d'investimento

Figura 6.3 Deflazione creditizia e rischio del debitore.


INSTABILIT FINANZIARIA

sivit. Questa politica di "consolidamento" tender a far per-


manere su livelli elevati (se non addirittura a far salire) i saggi
di interesse a lunga anche se i saggi a breve diminuiscono: le
banche dispongono di fondi da dare a prestito, ma i debitori
(e le banche stesse) non sono disposti a utilizzarli.
La situazione descritta dalle figure 6.3 e 64 non pi quella
di un periodo di boom, ma quella di un processo deflazionistico
creditizio. Gli sviluppi sui mercati finanziari si ripercuotono
sulla domanda di beni di investimento e quindi, mediante il
moltiplicatore, sulla domanda di beni di consumo: al termine di
questo processo di retroazione, l'economia si trova in uno stato
di disoccupazione e di depressione.
Esiste per una serie di fattori che pone fine al processo de-
flazionistico creditizio e alla caduta di reddito che esso com-
porta: l'azione di stabilizzazione di breve periodo delle spese per
consumi, della spesa pubblica e del prelievo fiscale; l'influsso di
quelle attivit monetarie cui non corrisponde un debito equiva-
lente; gli interventi della banca centrale in quanto creditore di ul-
tima istanza. Il processo deflazionistico creditizio per, a causa
dei suoi effetti sugli investimenti e sul livello desiderato di inde-
bitamento (tali effetti non solo hanno conseguenze immediate,
ma anche influssi assai prolungati nel tempo), provoca il perdu-
rare di uno stato di disoccupazione. Al processo deflazionistico
creditizio cio segue una fase di stagnazione produttiva di du-

o P,
....
e:
Cl)

E
-~
"'
Cl)
P1 P1 =Prezzo d'offerta
>
e:
"C
e:
Cl)
.o PK PK =Prezzo di domanda
"iii
"C
o
N
------6
N
...
Cl)

o..
o i
Beni d'investimento

Figura 6.4 Prezzo di offerta maggiore del prezzo di domanda.


168 CAPITOLO SESTO

rata e d'intensit ignote, segnata da modesti livelli di reddito e


da un'elevata disoccupazione.
Allorch sfumano le ripercussioni psicologiche soggettive le-
gate alla deflazione creditizia, allorch ha luogo un processo di
dsinvestmento e gli operatori riassestano le proprie posizioni
finanziarie, l'economia comincia a riprendersi e a crescere. Du-
rante la fase di ripresa nella memoria degli operatori saranno
ancora impressi i ricordi delle gravi difficolt passate durante
la deflazione creditizia, a causa d posizioni debitorie troppo
sbilanciate, e le strutture delle passivit saranno quindi carat-
terizzate da un basso sa.ggio d indebitamento. Il successo d alla
testa e induce a rischiare: cos i ricordi delle passate calamit
svaniscono. La stabilit, persino durante una fase espansiva, ha
effetti destabilizzanti in quanto gli operatori (prima i pi pronti,
poi tutti gli altri) vedono che profittevole impegnarsi in ope-_
razioni d finanziamento degli investimenti pi audaci. L'espan-
sione diventa sempre pi marcata e sfocia in un vero e proprio
boom.
Come osservava Keynes, in un'economia capitalistica, "in
misura significativa, sono le strutture 'finanziarie' a determinare
l'andamento di nuovi investimenti" ( 1937b, p. 248), e ricordiamo
che quest'ultimo determina il livello del reddito e dell'occupa-
zione.
Keynes scriveva che di fronte a una situazione di incertezza
"in pratica si tacitamente convenuto, di regola, di ricorrere
sostanzialmente a una convenzione" (TG p. 3 1 2, corsivo d Key-
nes). In un'economia capitalistica l'aspetto meno legato a consi-
derazioni tecnologiche o a caratteristiche psicologiche della
natura umana, l'aspetto dove pi evidente l'influsso della "con-
venzione" o della "moda", soggetto a ondate di ottimismo e
pessimismo, attento alle predizioni degli indovini, quello co-
stituito dalla struttura delle passivit delle imprese industriali e
finanziarie. In una economia dove la gente pu dare e prendere
a prestito, l'ingegno degli operatori viene applicato allo sviluppo
e all'introduzione di nuove tecniche sia finanziarie che d pro-
duzione e d distribuzione. I finanziamenti sono spesso fondati
sulla ipotesi "che Io stato d cose esistente continuer indefini-
tamente" (TG p. 312), ipotesi che evidentemente si rivela in-
fondata. Durante un periodo di boom, Io "stato di cose esi-
stente" significa guadagni in conto capitale e rivalutazioni delle
INSTABILIT FINANZIARIA

attivit. Durante un periodo di deflazione creditizia e di stagna-


zione produttiva tra gli operatori permane la convinzione che il
futuro sar identico al presente; l'idea guida quella di fuggire
i debiti, causa di calamit. Appena si ritorna nei pressi della
piena occupazione, la nuova generazione di indovini economisti
proclamer la scomparsa definitiva del ciclo e l'avvento di una
nuova era di prosperit permanente. Adesso si pu ritornare
a prendere a prestito perch i nuovi strumenti di politica eco-
nomica (siano essi la politica fiscale o il sistema della Riserva
Federale) e la maggiore sofisticatezza dei consiglieri economici
costituiscono una garanzia sicura della scomparsa definitiva di
crisi e deflazioni cr~ditizie. In realt per nessuno stato ciclico
(boom, deflazione creditizia, stagnazione, ripresa, crescita di
piena occupazione) pu avere una durata illimitata: ciascuno di
essi mette in azione forze tendenti a rovesciarlo.
Fra tutti i mercati di un'economia, quelli basati sulle "con-
venzioni" meno solide sono i mercati degli investimenti e degli
strumenti finanziari utilizzati per acquisire la propriet di azioni
o il controllo di beni capitali. Perci "non vi da sorprendersi
che una convenzione, tanto arbitraria se si considerano le cose
da un punto di vista assoluto, abbia i suoi punti deboli. que-
sta sua precariet che costituisce una non piccola parte del no-
stro problema contemporaneo [ 193 5] di assicurare un investi-
mento sufficiente" (TG p. 3 r 3).
La conclusione della nostra analisi che l'anello mancante
della teoria "keynesiana" corrente l'esame esplicito dei mec-
canismi di finanziamento capitalistici, considerati da un punto
di vista ciclico e speculativo. Non appena si introducono i mec-
canismi di finanziamento capitalistici e si esamina lo sviluppo,
durante le varie fasi cicliche, dei flussi di contante (quali ap-
paiono dai bilanci delle societ), risulta evidente la portata sia
delle rivoluzionarie intuizioni di Keynes che dell'apparato teo-
rico alternativo da lui elaborato.
Il motivo per cui la Teoria generale ha soltanto accennato
agli aspetti finanziari dell'economia, senza offrircene un'analisi
dettagliata, mi del tutto ignoto. Forse, come ha suggerito Joan
Robinson, la situazione di Keynes mentre scriveva la Teoria
generale era simile a quella di un serpente in fase di muta: la
Teoria generale fu terminata prima che la vecchia pelle (la
teoria classica) fosse completamente mutata. Cos Keynes non
CAPITOLO SESTO

riusc a formulare una teoria completa del ciclo economico e


della inanza e una critica esaustiva del capitalismo. Nei suoi
modi di pensiern era ancora vivo il paradigma dell'economia di
baratto; cos egli non pot compiere il passo inale della sua
teoria e fornire un'analisi del processo capitalistico radicata
nella "City" e in "W all Street ".
Anche se forse non siamo in grado di spiegare perch mai
Keynes non abbia sviluppato gli aspetti inanziari della propria
teoria, possiamo per comprendere il motivo per cui genera-
zioni successive di economisti non hanno preso spunto dai sug-
gerimenti "inanziari" di Keynes. In primo luogo, come ab-
biamo gi avuto occasione di ricordare, nel periodo che inter-
corse tra la comparsa della Teoria generale e la met degli anni
sessanta, il sistema inanziario si dimostr assai saldo, senza far
trapelare i trasalimenti speculativi tipici di precedenti fasi espan-
sive (culminate in boom esplosivi). Il sistema bancario usc dalla
guerra con un portafoglio sovraccarico di strumenti del debito
pubblico; solo a partire dagli anni sessanta le banche iniziarono
a speculare attivamente sulle proprie passivit. Fino ad allora il
sistema inanziario non aveva svolto un ruolo di rilievo o co-
munque non aveva agito in senso destabilizzante.
Non solo: le dimensioni della pubblica amministraziqne rima-
sero assai cospicue (sfortunatamente a causa di continue e mas-
sicce spese militari); il sistema iscale, basato su una forte tassa-
zione dei redditi e dell'occupazione, rispondeva sollecitamente
alle variazion,i del reddito. Ecco quindi che quest'ultimo non
poteva cadere al di sotto di un certo livello minimo (assai ele-
vato) grazie al sostegno della spesa pubblica e il sistema iscale
imponeva un vincolo che impediva all'economia di espandersi
troppo violentemente. Anche dopo la crisi del 1966, la stretta
creditizia degli anni 1969-70, le svalutazioni del 1971 e del 1973
e il perdurare dell'inflazione, si pu affermare che certi cambia-
menti strutturali (soprattutto le dimensioni relative della pub-
blica amministrazione) sommati a manovre assai elaborate di
politica economica sono riusciti ad alterare soltanto la forma,
ma non le caratteristiche di fondo del ciclo economico capita-
listico.
Possiamo aggiungere un'altra ragione per spiegare il motivo
per cui la te9ria economica post-bellica non ha ripreso i temi
".finanziari" trattati da Keynes nella Teoria generale. Gli econo-
INSTABILIT FINANZIARIA 171

misti teorici del dopoguerra non potevano vantare l'intima co-


noscenza personale delle operazioni della City o di W all Street,
di cui invece disponeva Keynes; la loro attivit di economisti
era infatti limitata a lavori puramente accademici o svolti a
servizio della pubblica amministrazione. Gli economisti accade-
mici non avevano la dimestichezza di Keynes con le operazioni
di finanza, mentre coloro che se ne intendevano erano invece
privi di quell'atteggiamento freddamente distaccato nei con-
fronti dell'impresa capitalistica necessario per comprendere e
apprezzare a pieno la presa di posizione sostanzialmente critica
assunta da Keynes nella sua opera.
Cadde cos nel nulla il messaggio di Keynes, secondo il quale
il sistema finanziario a regolare, in senso espansivo o restrit-
tivo, l'andamento degli investimenti. La morale del messaggio
keynesiano che il sistema finanziario governa l'andamento
dell'intera economia.
Capitolo 7
Alcune implicazioni dell'interpretazione alternativa

Introduzione
Negli ultimi quattro capitoli abbiamo proposto una nuova e
diversa "lettura" della Teoria generale basandoci sulla teoria
degli investimenti e del finanziamento avanzata da Keynes. Que-
sta nostra interpretazione antitetica rispetto ali' opinione oggi
prevalente tra gli economisti, secondo la quale gli aspetti pi
significativi della Teoria generale sono soltanto quelli assimilati
dalla sintesi neoclassica.. Secondo quesfultima il normale sen-
tiero di sviluppo tipico di un'economia di mercato caratteriz-
zato da uno stato di equilibrio di piena occupazione; secondo
l'interpretazione alternativa ., noi propostaf" invece, il normale
andamento di un'e_conomia capitalistica caratterizzato dalla
successione di vari stati sistemici: l'economia capitalistica un'e-
conomia dell'andamento ciclico. Ecco quindi che, a seconda di
quale delle due interpretazioni si voglia accettare~lla teoria
di Keynes emergono due visioni diametralmente opposte sul
funzionamento di un'economia capitalistic() ,., 1
Secondo l'interpretazione alternativa, il nuckD._aoll:'analisi di
Keynes consiste in un attento esame dei meccanismi di finanzia-
mento di un'economia capitalistica segnata dall'incertezza e, ~"
in particolare, dal modo in cui i meccanismi capitalistici di fi-
nanziamento incidono sulla valutazione dei beni capitali e qu_indi;,
in ultima analisi, modificano l'andamento degli investimenti.
Queste componenti essenziali della teoria economica keynesiana
non sono affatto compatibili con gli elementi analitici chiave
IMPLICAZIONI DELL'INTERPRETAZIONE ALTERNATIVA 173

della sintesi neoclassica, e cio la funzione (statica) della produ-


zione e gli immutabili sistemi di preferenze individuali. Keynes
e teoria neoclassica possono coesistere solo se si fa violenza o
all'uno o all'altra: nell'interpretazione offerta dalla sintesi neo-
classica Keynes ad essere travisato.
Secondo Keynes gli investimenti sono la variabile dalla quale
pi direttamente dipende la domanda aggregata.:._Nel modello di
valutazione dei titoli propostoci da Keynes, i titoli che rappre-
sentano beni capitali per usi produttivi vanno visti come un tipo,
forse un po' strano, di titoli finanziari speculativi. La loro stra-
nezza, in quanto titoli finanziari, deriva dal fatto che la maggior
parte dei mercati sui quali essi possono essere rivenduti al-
quanto volatile e dal fatto che i rendimenti ottenibili da un bene
capitale dipendono dal funzionamento della specifica impresa
che lo utilizza (impresa che opera su un mercato ben preciso),
nonch dall'andamento ciclico dell'intero sistema economico.
La produzione di un bene che va ad accrescere lo stock di
beni capitali equivalente, dal punto di vista di chi possiede un
portafoglio-titoli, alla creazione di un nuovo titolo aggiunto
all'esistente stock di attivit finanziarie. Mentre la produzione
di una nuova attivit finanziaria non genera domanda di lavoro
n fa aumentare la capacit produttiva, un atto di investimento
necessita l'impiego di forza lavoro e fa aumentare la capacit
produttiva. Un atto d'investimento inoltre deve essere finan-
ziato; da ci deriva che gli investimenti comportano un residuo
di strumenti finanziari.
In questo capitolo esamineremo alcune delle implicazioni de-
rivanti dall'interpretazione alternativa di Keynes. Sia la domanda,
di investimenti ( che in aggregato normalmente richiede un certo
ammontare di finanziamenti esterni) che la domanda di consumi
(che, in un primo momento, assumeremo venga finanziata dai
0

salari, dai dividendi e dagli interessi percepiti dalle famiglie)


verranno considerate come vincoli di bilancio., Nella teoria mi-
croeconomica corrente delle scelte dei produttori e dei consu-
matori, dall'unione di una funzione della produzione, o di un
sistema di preferenze, con un vincolo di bilancio viene ricavata
la combinazione di beni prodotti e consumati. Non ci si chiede
quasi mai che cosa determini i vincoli di bilancio: nei rari casi
in cui qualcuno pone questa domanda, la risposta offerta oltre-
174 CAPITOLO SETTIMO

modo evasiva. La teoria dei prezzi non prende affatto in consi-


derazione il modo in cui i rapporti bancari e finanziari inci-
dono sulla spesa. L'interpretazione alternativa della teoria keyne-
siana offerta in questo libro pu essere considerata, volendo
sintetizzare, come una teoria della determinazione dei vincoli
effettivi di bilancio; infatti la domanda effettiva di beni prodotti
nel periodo corrente da parte di un settore economico non di-
pende solo dai flussi di reddito e dai fondi esterni ottenuti nel
periodo corrente, ma anche dagli impegni di pagamento in con-
tante relativi a debiti contratti in passato dal settore in esame.
Prima di elaborare una teoria economica sulla scelta dei partico-
lari beni di consumo e di investimento logicamente necessario
disporre di una teoria economica della determinazione dei vin-
coli di bilancio.
Il nostro modello del processo d'investimento si finora con-
centrato su due mercati particolari e sul meccanismo di finan-
ziamento che li collega. Come si ricorder, Un mercato deter-
mina il prezzo di domanda dei beni capitali, l'altro il prezzo
-d'offerta dei beni d'investimento e i mercati finanziari mettono
in relazione questi due mercati in quanto determinano la posi-
zione della curva del prezzo di domanda dei beni capitali non-
ch le condizioni di finanziamento degli investimenti. Nella
nostra analisi precedente abbiamo visto come la curva -cfefprezzo
di domanda dei beni capitali subisca uno slittamento allorch
l'incertezza e gli sviluppi sui mercati finanziari incominciano a
influire sulle preferenze e sulle opportunit di portafogli0; l
avevamo per assunto che la curva del prezzo d'offerta dei beni
d'investimento fosse fissa. In questo capitolo esamineremo in-
vece come tale curva subisca slittamenti allorch variano il saggio
di salario monetario e ci che Keynes ha definito il costo delle
utilizzazioni. Infine applicheremo i nostri risultati ai processi
inflazionistici e deflazionistici.

La teoria economica dei vincoli di bilancio


In un'economia senza pubblica amministrazione e-senza com-
mercio estero, la domanda finale complessiva (cio il reddito)
uguale alla somma della domanda di beni d'investimento e di
consumoJ Y=C+I. Il livello dell'occupazione si ottiene intro-
IMPLICAZIONI DELL'INTERPRETAZ!ONE ALTERNATIVA 175
ducendo questa domanda aggregata nell'inverso della funzione
dell'offerta aggregata. Abbiamo gi visto nel capitolo 2 come la
funzione dell'offerta aggregata possa essere vista come una fun-
zione dell'occupazione.
La domanda di beni di consumo passiva: nel corso del ciclo
economico essa dipende in primo luogo dal reddito,) ovvero
C = C(Y). Il reddito, in un'economia.--chiusa e senza pubblica
amministrazione, equivale alla somma di fondo salari e profitti:-
In un'analisi condotta in termini di flussi di contante, profitti e
investimenti vanno interpretati in termini lordi e quindi per "red:-
dito" intenderemo il prodotto nazionale lordo'.
Se assumiamo che non esistano sistemi di vendita rateale e che
il reddito dei lavoratori non sia cos cospicuo e sicuro da consen-
tire loro di accumulare risorse finanziarie, allora il consumo dei
lavoratori sar pari all'ammontare del fondo salari. Questa as-
sunzione, sebbene non indispensabile per lo svolgimento della
nostra analisi, la rende per pi semplice.
I profitti lordi (le quasi-rendite dei capitoli precedenti) in
parte non vengono distribuiti, in parte vengono utilizzati per
ripagare interessi e debiti contrattuali, in parte vengono liquidati
-sotto forma di dividendi e interessi. I profitti non distribuiti co-
__gituiscono i fondi interni ( ci che prima abbiamo definito Q),
che possono essere utilizzati per contrarre debiti con i quali fi-
nanziare l'acquisto di ulteriori beni capitali (siano essi beni capi-
tali gi esistenti o beni d'investimento appena prodotti). I divi- _
dendi e gli interessi pagati dalle imprese ( che chiameremo
o= Q- ) rappresentano il reddito non salariale delle famiglie
che pu essere utilizzato sia per l'acquisto di beni di consumo sia
per l'acquisto di attivit finanziarie.
- I profitti non distribuiti ( Q) sono dati dalla differenza tra pro-
fitti lordi da un lato e imposte pi interessi su strumenti finan-
z1aridall'altro. Questi-O _costituiscono la base con la quale finan-_
ziare gli investimenti mediante prestiti; essi possono inoltre essere_
utilizzati per ripagare debiti precedentemente contratti oppure
per acquistare titoli finanziari d'investimento. Gli investimenti
sono dati dal prodotto tra un coefficiente variabile d'indebita-
mento e l'ammontare finanziabile con i profitti lordi attesi non
distribuiti; gli investimenti cio consistono di due elementi: l'am-
montare finanziato con fondi interni e l'ammontare finanziato da
CAPITOLO SETTIMO

prestiti esterni. Il vincolo di bilancio degli investimenti si pu


quindi scrivere cos:
1=(1+..l)Q; ..l>O durante un periodo di normale
espans10ne
..lO durante un boom (violenta
espansione)
,l ~ O durante una recessione
o durante una deflazione creditizia.

Q sta a indicare i profitti non distribuiti durante il periodo in


esame, mentre indica un coefficiente variabile di indebitamento
applicato ai profitti non distribuiti (i simboli e vanno letti
come "di gran lunga superiore" e "di gran lunga inferiore"):
,lQ quindi l'ammontare di finanziamenti esterni.
Il vincolo di bilancio della spesa per consumi delle famiglie
il seguente:
C=W+aD
dove a la frazione di reddito non salariale che le famiglie spen-
dono in beni di consumo.
Il vincolo globale di bilancio la somma dei bilanci delle
spese di consumo e di investimento:
Y= W +aD+(1 +..l)Q.
. ~

/Una, fraZtJ+\e del reddito percepito dalle famiglie, pari a


Tr-_::a)D, non viene destinata a finanziare l'acquisto di beni di
consumo; mediante il processo di intermediazione finanziaria una
frazione di questo risparmio delle famiglie, p'ti 1-1--u,1---:-lL~
_yjene resa disponibile per finanziare gli investimenti. Il rima__:
nente, pari a ( r -u)( r -a)D, r~ppresenta quindi la domanda_
}i:!_crementaledi moneta per usi di portafoglio da parte dellt:
-~Ee. Dal momento che le famiglie con redditi da capitale
sono le uniche a detenere portafogli con attivit finanziari~a
frazione u rappresenta la domanda incrementale di moneta per
usi di portafoglio. Possiamo assumere che quest'ultima sia pari
alla domanda media di moneta per usi di portafoglio, anche se,
volendo essere pi precisi. u dovrebbe essere una variabile di-
pendente dallo stato d'incertezza e dal saggio d'interesse sui
prestiti monetari.
IMPLICAZIONI DELL'INTERPRETAZIONE ALTERNATIVA 177

Qualora .il()> u( 1- a )D, allora una certa quota di investimenti


dovr venir .finanziata con fondi non derivanti dal riciclaggio
del risparmio delle famiglie da parte degli intermediari finan-
ziari. La differenza fra domanda di fondi per finanziare gli inve-
stimenti e l'offerta di fondi derivanti dal risparmio delle famiglie,
--pari a .ilQ-u(1 -a)D, pu veriir colmata da un aumento del~
J'offerta di moneta oppure da una diminuzione della quantit di
moneta tenuta per usi di portafoglio (cio un aumento della
~elocit di circolazione) o da entrambe. In ultima analisi,
, la teoria keynesiana degli investimenti concerne da un lato
- i meccanismi mediante i quali l'offerta di moneta reagisce
alla domanda di fondi per il finanziamento degli investimenti,
dall'altro il mod-oin cui i portafogli reagiscono alle condizioni.
vigenti sui mercati finanziari_(nonch il meccanismo mediante il
quale variazioni nell'incertezza e nelle condizioni dei mercati fi-
nanziari influiscono sul ~~~o- di ir1c!:_?_~~~_1T1e-.~.0,
__
Se traduciamo le iantit contabili sopra descritte in equa-
zioni espresse in termini di variabili ex post ed ex ante, che spesso
ritroviamo nelle analisi dei modelli aggregati elementari, pos-
siamo esaminare un po' pi attentamente come la determinazione
del reddito dipenda da variazioni degli investimenti e delle
grandezze monetarie. Supponiamo che la spesa per consumi
pianificata per un qualsiasi periodo t dipenda dal reddito sa-
lariale e da capitale percepito dalle famiglie nel periodo pre-
cedente, ovvero
Ci ex ante ==Wi-i + aD1-1

Gli investimenti pianificati sono pari agli utili non distribuiti


moltiplicati per un certo saggio di indebitamento:
11ex ante =(r +.il)01-1
cosicch otteniamo
Y1ex ante = W1-1+aD1-1+01-1+.ilQ,_1.
Siccome
Yi-1 ex post
=W1-1+ D1-1+01-1
Y1ex ante >Y,_1 ex post

12
178 CAPITOLO SEITIMO

qualora
aD 1_ 1 + .Q,_
1 > D,_1

ovvero qualora
.()1_ 1 > ( 1 -a)D,_ 1,

_.A.ffinchcresca il reddito quindi necessario che l'ammontare di


investimenti finanziato con fondi esterni sia superiore al risparmio
~delle famiglie. Assumendo che una percentuale u dei risparmi
delle famiglie venga resa disponibile per il finanziamento per gli
investimenti, abbiamo che
.Q1_ 1 = AM 1 +u(1-a)D 1_ 1

cosicch, per avere


Y, ex ante >Y,_ 1 ex post
dovr essere soddisfatta 1aseguente diseguaglianza:
AM,>(1-a)D 1_ 1 -u(1 -a)D,_ 1

ovvero
AM 1 >(1 -u)(1-a)D,_ 1

dove AM, pu essere interpretato come un aumento sia dell'of-


ferta di moneta che della velocit di circolazione.
Nel modello che abbiamo descritto a grandi linee l'andamento
del reddito, interpretato come vincolo aggregato di bilancio, di-
pende essenzialmente da due fenomeni: la determinazione della
domanda complessiva di investimenti, (1 +)Q, e il finanziamento
esterno degli investimenti, effettuato mediante variazioni delle
grandezze monetarie, AM 1 La domanda e l'occupazione aggre-
gate dipendono dunque dalle opinioni che banchieri e uomini
d'affari hanno circa la struttura considerata accettabile dei rap-
porti finanziari. Tali opinioni sono assai volubili: reagiscono
all'andamento passato dell'economia e cambiano continuamente
nel processo di transizione tra i diversi stati sistemici tipici del
capitalismo (boom, crisi, deflazione creditizia, stagnazione, espan-
sione relativamente sostenuta).
IMPLICAZIONI DELL'INTERPRETAZIONE ALTERNATIVA 179

Deflazione e inflazione in un'economia dai meccanismi


di finanziamento capitalistici
La teoria keynesiana degli investimenti basata su due Stl1!=..
menti analitici fondamentali: 1) la funzione di portafoglio, che
~connette il prezzo di domanda di beni capitali alla struttura dei
portafogli detenuti dalle b_anche,dalle imprese (; dalle famigHi;
2) la funzione di offerta dei beni di investimento, che connette
prezzo di offerta e volume prodotto di beni di investimento. Il
collegamento tra il prezzo di domanda dei beni capitali e il prezzo
di offerta dei beni di investimento costituito dalle condizioni
alle quali possibile finanziare l'acquisto di beni di investimento e
di beni capitali, condizioni che dipendono dalle opinioni che ban-
chieri e uomini d'affari hanno circa il rischio insito nel dare e
prendere a prestito.
Finora ci siamo concentrati esclusivamente sul meccanismo
mediante il quale l'incertezza influenza la posizione della fun-
zione che determina il prezzo di domanda dei beni capitali, esa-
minando al contempo gli effetti dell'incertezza sul modo (e la
misura) in cui i fondi interni e il valore patrimoniale delle im-
prese vengono utilizzati per prendere a prestito. Abbiamo sin
qui assunto che la funzione di offerta dei beni di investimento sia
fissa. Nelle pagine seguenti invece esamineremo il modo in cui i
salari e ci che Keynes ha definito il "costo delle utilizzazioni"
(user cost) determinano la posizione di questa funzione su un
piano cartesiano le cui coordinate indicano il prezzo e il volume
dei beni di investimento. Secondo Keynes il saggio di salario mo-
netario e il costo delle utilizzazioni determinano la posizione
della curva di offerta dei prodotti finali: variazioni in questo tipo
di costi influiscono direttamente sul livello dei prezzi. Inoltre,
in un mondo dove incombono sempre il passato e il futuro (sotto
forma di impegni finanziari assunti in passato o sottoscritti di
recente), i processi di inflazione e di deflazione salariale si auto-
alimentano e hanno effetti destabilizzanti. Ecco quindi che, ~pa-
rere di Keynes, il suggerimento degli economisti classici di curare
J~_disoccupazione mediante tagli salariali (suggerimento la ciii-
validit riaffermata dalla sintesi neoclassica, grazie all'effetto_ -
saldi reali) tende a far aumentare, anzich diminuire la disoc-
cupazione.
180 CAPITOLO SETTIMO

Una volta introdotti i salari monetari e i costi delle utilizzazioni


nelle funzioni di offerta dei beni di investimento e di consumo,
potremo studiare la natura e le ripercussioni delle inflazioni e
delle deflazioni salariali: risulter cos evidente sia l'inefficacia dei
tagli salariali per eliminare la disoccupazione sia il ruolo chiave
nel processo inflazionistico svolto dal saggio di salario monetario
vigente nell'industria dei beni di investimento. Pi in particolare,
se la politica economica fa degli investimenti la variabile centrale
per il sostegno della piena occupazione e se si verifica un aumento
salariale nell'industria dei beni di investimento, allora la politica
fiscale e monetaria si adeguer passivamente alla pressione sui
prezzi, anzich esserne la causa iniziale; questa infatti va ricer-
cata nel processo di determinazione dei salari.
I ricavi ottenuti dalle vendite dei prodotti finali possono es-
sere suddivisi in tre categorie: costo del lavoro, costo sostenuto
per l'acquisto di merci da altre imprese e rendite imputate ai benC
capitali. Un imprenditore, al momento di fissare il prezzo di of-
ferta del proprio prodotto, stabilisce l'ammontare della differenza
tra tale prezzo e la somma del costo marginale del lavoro e del
costo marginale dei materiali. Questo ammontare (o livello mi-_
nimo accettabile della quasi-rendita attesa) ci che Keynes de-
finisce "costo delle utilizzazioni": esso rappresenta "la riduzione
del valore degli impianti e delle scorte dovuta alla loro utilizza..:
zione in confronto al loro valore nel caso di non utilizzazione
( ...) Quindi esso deve essere determinato calcolando il valore at-
tuale del maggior reddito atteso che potrebbe ottenersi in futuro,
se gli impianti e le scorte non fossero impiegati presentemente"
(TG p. 230):'
Il costo delle utilizzazioni introduce dunque nella determina-
zione del prezzo di offerta sia l'ammortamento, sia una versione
particolare del saggio di profitto normale ( o atteso). L'assunzione
che sta alla base della teoria del costo delle utilizzazioni che se
un bene capitale viene utilizzato oggi per produrre beni, esso non
sar disponibile per la produzione di beni in futuro. Si assume
inoltre che in futuro verranno prodotti beni capitali del tipo at-
tualmente in uso e che ci avverr solo se le quasi-rendite attese
da tale tipo di bene capitale, scontate a un saggio di interesse po-
sitivo, saranno superiori al suo prezzo di offerta. L'idea S6ttiQ..
,stmltes41 qttemf<'t~a che se i servizi di un bene capitale non
vengono impiegati oggi, in futuro da essi si potranno ricavare le
-------
IMPLICAZIONI DELL'INTERPRETAZIONE ALTERNATIVA 181

__quasi-rendit~ sopra ..roe11zior1ate;_


il valore attuale di tali quasi-
rendite attese rappresenta il limite minimo di quasi-rendite che
si disposti ad accettare oggi; il prezzo di offerta del prodotto fi-
nale includer tale remunerazione .. Possiamo affermare che il li-
vello minimo accettabile delle -quasi-rendite rappresenta un
"prezzo di prenotazione" (reservation price), al di sotto del quale
il valore del mercato non pu scendere. Le quasi-rendite minime
_accettabili dipendono da tre fattori: d~!Jjvelki di quasi-rendite
necessario per indurre gli industriali a produrre beni di investi-
~-mento; dalla data futura nella quale si prevede di incassare que-
ste quasi-rendite; dal saggio di sconto applicato nel calcolarne il
valore attuale. Teniamo presente che se un'impresa si trova in
una situazione difficile quanto a liquidit, allora il saggio di sconto
applicato ai rendimenti futuri sar assai elevato. Conseguente-
mente ogni livello corrente delle quasi-rendite maggiore di zero
porter all'impiego del bene capitale in esame. La curva di offerta
dei prodotti finiti rispecchia non solo l'andamento .ciclico del-
l'economia, ma anche il clima finanziario corrente.
Se un bene capitale non soggetto a logorio (se cio si adegua
alla definizione ricardiana di "terra" come qualcosa che possiede
un originale e indistruttibile potere di produrre), allora esso rap-
presenta un bene-che-frutta-una-rendita-pura, nel senso che n
il reddito atteso n il costo di sostituzione determinano l'ammon-
tare di servizi fomiti dal bene stesso. Se un bene capitale scarso,
ci dar luogo a una rendita pura. In un'economia dall'anda-
mento ciclico la scarsit relativa dei vari beni capitali in ogni
istante del tempo dipende dalla particolare fase ciclica nella quale
ci si trova; per quanto riguarda quei beni capitali che invece sono
soggetti a logorio, l'esistenza di un livello minimo accettabile di
quasi-rendite provocher il ritiro da impieghi produttivi di certi
beni capitali. In un senso assai profondo, disoccupazione signi-
fica non pieno impiego dei beni capitali.
Se -assumiamo che i processi produttivi abbiano coefficienti
fissi, allora l'ammontare di servizi da capitale che gli imprendi-
tori intendono utilizzare determina l'ammontare di forza lavoro
da assumere. Mentre i servizi da capitale, se non vengono utiliz-
zati oggi, sono disponibili domani, i servizi da lavoro, se non
vengono impiegati ora, sono persi per sempre. L'andamento ci-
clico della disoccupazione attribuibile pi al fatto che la do-
182 CAPITOLO SETTIMO

manda complessiva insufficiente per generare quasi-rendite suf-


ficientemente allettanti che non al fatto che i redditi salariali
non raggiungono un certo livello.
Dal momento che non esiste un "prezzo di prenotazione" per
la forza lavoro (fatta eccezione per il costo del viaggio di andata
e ritorno dal posto di lavoro), l'eccesso di offerta di lavoro esi-
stente quando i servizi da capitale vengono riservati per impie-
ghi futuri dovrebbe provocare, se i processi di mercato funzio-
nassero regolarmente, una diminuzione dei salari monetari. Tale
diminuzione fa slittare verso il basso la curva di offerta dei beni
di consumo, ma d'altro canto riduce anche il reddito salariale as-
sociato a ciascun livello di occupazione. Una riduzione salariale
fa diminuire inoltre i costi di sostituzione attesi dei beni capitali
vigenti nel periodo in cui ci si attende di riutilizzare pienamente
gli impianti. Se dunque il tasso di sconto non <:ambia, anche la
componente "costo delle utilizzazioni", inclusa nel prezzo di of-
ferta dei prodotti finali, subir una diminuzione,t?\mmesso che
iI valore monetario degli acquisti dei beni di investimento fnan-
ziati da variazioni nelle grandezze monetarie (.~M) non subisca
muta.menti, gli investimenti in termini reali potrebbero aumen-
tare. Tale aumento, tramite il moltiplicatore, fa aumentare il red-
dito fiqtantoch esso non raggiunge un livello ,i.o.cui la spesa per
nuovi beni di investimento pari alla ~ risparmiata di
proitti non distribuiti, di interessi e di dividendi)
In questa analisi abbiamo fatto un'assunzione cruciale, e cio
che la domanda di beni di investimento finanziata da variazioni
monetarie non diminuisce al diminuire dei salari monetari.
Quando i salari diminuiscono, se si vuole che i lavoratori possano
acquistare lo stesso ammontare di prodotti (in termini reali) di
prima, necessario che anche le quasi-rendite seguano i salari nel
loro movimento al ribasso. Ricordiamoci per che stiamo esami-
nando un'economia in cui esistono fondi esterni di finanziamento
e quindi esistono debiti. Le quasi-rendite attese costituiscono la
fonte di risorse con le quali far fronte agli impegni relativi sia ai
debiti contratti in passato sia ai debiti appena stipulati. Siccome,
quando reddito salariale e quasi-rendite diminuiscono, gli impe-
gni contrattuali su debiti passati non diminuiscono, la propor-
zione dei redditi salariali e delle quasi-rendite destinata a sod-
disfare precedenti impegni contrattuali subisce un aumento: du-
IMPLICAZIONI DELL'INTERPRETAZIONE ALTERNATIVA 183

rante una deflazione aumenta l'onere imposto dai debiti. In tali


circostanze ragionevole presumere che le imprese siano meno
disposte a indebitarsi per finanziare acquisti di beni di investi-
mento, il cui ammontare perci diminuisce.
Inoltre, quando prezzi e salari iniziano a diminuire, si dif-
fonde tra gli operatori la sensazione che sia possibile fare guada-
gni speculativi in conto capitale mediante la semplice detenzione
di moneta: la velocit di circolazione tender conseguentemente
a decrescere. Invece di utilizzare i profitti non distribuiti per fi-
nanziare spese di investimento, le imprese utilizzeranno tali fondi
per far diminuire la propria posizione debitoria (il coefficiente ..l
del paragrafo precedente diventer negativo). Si pu presumere
che una deflazione salariale faccia cadere gli investimenti reali
al di sotto del livello in cui inizialmente esisteva un eccesso di
offerta di lavoro. Quando ci si trova in una situazione di disoc-
cupazione, il fatto che i salari sono flessibili verso il basso non fa
che peggiorare le cose.
--;i"{In un'economia in cui le autorit pubbliche siano seriamente
, impegnate a mantenere una situazione di quasi piena occupazione
e a tale fine adottino una politica di sostegno degli investimenti
, privati, un aumento del prezzo di offerta dei beni di investimento,
dovuto a un aumento dei salari monetari nell'industria che pro-
duce tali beni (in primo luogo l'edilizia), provocher un aumento
generalizzato d{ prezzi e salari di pari entit. In un'economia di
piena occupazione ruotante sugli investimenti privati, un pro-
cesso inflazionistico pu essere facilmente generato ,dal processo
di determinazione dei salari nell'industria produttrice beni di in-
vestimento e pu agevolmente diffondersi su tutti i restanti mer-
cati, grazie alle misure fiscali e monetarie adottate per mantenere
la piena occupazione~
Volendo sostenere il livello degli investimenti privati allor-
ch si verifica uno slittamento verso l'alto nella curva di offerta
dei beni di investimento, necessario che abbia luogo o un
aumento n~lle quisi-rendite future attese oppure una diminu-
zione nel saggio di sconto utilizzato per capitalizzare queste ul-
tim. Come abbiamo notato in precedenza,(ntrambi questi feno-
meni si verificano quando l'economia si- muove verso una
posizione di piena occupazione e la mantiene per un certo lasso
di tempo .. Ci avviene in quanto si diffonde l'idea che i cicli .~ano
184 CAPITOLO SETTIMO

cose del passato e perci ci si attende che le quasi-rendite future


saranno in media pi cospicue e certe. Data la relazione esistente
tra prezzo dei beni capitali e prezzo di offerta dei beni di inve-
stimento, possibile che, all'aumentare di quest'ultimo, il livello
degli investimenti rimanga invariato o addirittura aumenti.
Una volta per che si sia esaurito l'influsso ciclico sulle quasi-
rendite future attese e sul saggio di capitalizzazione, necessario
controbilanciare ulteriori aumenti nel prezzo di offerta dei beni
di investimento (dovuti ad aumenti dei salari monetari), facendo
aumentare le quasi-rendite, o in termini relativi (aumentando la
quota di quasi-rendite nel reddito di piena occupazione) o in
termini assoluti ( aggiungendo un certo margine fisso di profitto
sui crescenti costi di lavoro di tutti i prodotti) .. Nella misura in
cui esiste un limite all'aumento della quota delle quasi-rendite
nel reddito, in un'economia d piena occupazione gli aumenti
Ael costo del lavoro dell'industria dei beni di investimento pos-
sono essere garantiti soltanto da un'inflazione generale.
Esaminando il meccanismo di finanziamento degli investimenti
privati in un'economia che da lungo tempo s trova in piena oc-
cupazione facile capire perch, in un'economia dove la piena
occupazione dipende dagli investimenti privati, sia necessario un
processo inflazionistico generalizzato. Durante tale processo non
solo quote sempre maggiori di investimenti vengono finanziate
mediante prestiti, ma anche le posizioni d portafoglio in beni
facenti parte dello stock d investimenti privati vengono sempre
pi finanziate in modo analogo. Una maniera per far s che il va-
lore capitalizzato delle quasi-rendite si tenga in linea con il cre-
scente prezzo d'offerta dei beni d'investimento quello di
aumentare la quota di posizioni di portafoglio in beni capitali fi-
nanziate mediante prestiti. Siccome sono le quasi-rendite a for-
nire i fondi mediante i quali far fronte agli impegni di cassa sui
debiti, banchieri e uomini d'affari saranno concordi nel voler
aumentare il rapporto tra fondi esterni (prestiti) e fondi interni
di finanziamento, ammesso essi ritengano con sufficiente fiducia
che le quasi-rendite in futuro subiranno un aumento, ovvero
ritengano che vi sar inflazione.
Le conseguenze sugli investimenti dovute ad aumenti salariali
nell'industria produttrice di beni d'investimento possono essere il-
lustrate facendo ricorso a un tipo di rappresentazione grafica che
IMPLICAZIONI DELL'INTERPRETAZIONE ALTERNATIVA

~P, a,
Q)

E
~
Q)
>
.!:
=-e s,
e
.8 s,
.;
i:,
o
N
s,
N
~
Q..
M, M, M 1,1,1, ,,
Quantit di moneta Beni d'investimento

Figura 7.r
Gli investimenti e i salari monetari dell'industria produttrice di beni
d'investimento.

abbiamo gi usato (vedi fig. 7.1). Se la curva d'offerta dei beni


d'investimento inizialmente si trova nella posizione S1-S1 , la spesa
per investimenti sar pari a 11 , finanziata in parte con fondi interni
(f 1), in parte con fondi esterni (/ 1- li). In seguito a un aumento
salariale nell'industria dei beni d'investimento, la curva d'offerta
di tali beni slitter verso Nord-Ovest (vedi curva Si-S 2 della
fig. 7. 1) e quindi, dato un volume di fondi interni () 1, gli investi-
menti finanziati con fondi interni (e presumibilmente gli investi-
menti globali) saranno pari a 12 Se 11 il livello d'investimenti
necessario per il mantenimento della piena occupazione allora,
affinch l'economia non cada in uno stato di disoccupazione,
necessario che il prezzo dei beni facenti parte dello stock di capi-
tale sia superiore a PK1 e perch ci avvenga bisogna che si verifi-
chi o una diminuzione dei saggi d'interesse o un aumento delle
quasi-rendite future attese.
Ci vero perch, se s vuole che il livello degli investimenti sia
pari a 11 , con fondi interni pari solo a Q1 , necessario che aumenti
sia il volume che la quota di finanziamenti esterni: ovvero, mentre
inizialmente solo li-1 1 doveva essere finanziato con fondi esterni,
nella nuova situazione, con una curva d'offerta S2-S2 , necessario
(se si vuole mantenere la piena occupazione) ~he 11 -1 2 venga
finanziato esternamente. Per far s che questo maggiore ammon-
tare di finanziamenti esterni possa essere reso disponibile, le auto-
rit monetarie devono fare in modo che il sistema bancario possa
186 CAPITOLO SETTIMO

allargare il credito, ovvero-i necessario un aumemQ.._!l_~!.!.'?fferta_


di moneta~uperiore a M 1 Un aumento del valore monetario degli
-rnvestimenti finanziati esternamente e un aumento dell'offerta di
moneta rispetto al valore dei beni capitali implicano un aumento
della domanda di beni di consumo e un aumento di domanda di)
lavoro nell'industria che produc~ ~:i)i.Q!!l1t Ci a sua volta com-
porta un aumento sia dei salari che delle quasi-rendite dell'in-
dustria produttrice di beni di consumo: assistiamo dunque a un
processo inflazionistico generalizzato messo in moto dall'accop-
piamento di aumenti salariali nell'industria produttrice di beni
d'investimento e dell'impegno delle autorit pubbliche di mante-
nere la piena occupazione mediante il sostegno degli investimenti:
Questo fatto provoca uno slittamento verso l'alto della funzion
PK, che quindi si assesta su PK(K, 0 2). Probabilmente, con un'of-
ferta di moneta pari a M 2 e grazie alla nuova posizione della fun-
zione PK(K, 0 2), si ricreano le condizioni necessarie affinch venga
finanziato un volume d'investimenti pari a / 1.
Se lo stimolo monetario non sufficiente a indurre l'ammon-
tare richiesto di investimenti sar necessario, se si vuole mante-
nere la piena occupazione, ricorrere a una qualche combinazione
di sgravi fiscali e di aumento della spesa pubblica. In un'economia
imperniata sugli investimenti assai probabile che la spesa pub-
blica sia essenzialmente diretta su beni d'investimento e che gli
sgravi fiscali siano tali da stimolare innanzitutto gli investimenti
(ovvero tali da far aumentare i profitti lordi non distribuiti al
netto delle tasse). In entrambi i casi assisteremo a .un processo di
creazione di moneta e di finanziamento esterno degli investimenti,
processo che far aumentare la domanda di consumi e quindi
spinger verso l'alto i salari dell'industria produttrice di beni di
consumo. A prescindere quindi dalle specifiche manovre fiscali
e monetarie adottate dalle autorit pubbliche, l'iniziale spinta in-
flazionistica originante dall'industria dei beni d'investimento si .
estender inevitabilmente a tutto il resto dell'economia.
In un'economia dove i sindacati dell'industria dei beni d'in-
vestimento (soprattutto l'edilizia) sono molto potenti e dove la
politica economica mira a sostenere la produzione di tale settore,
le variazioni del livello dei prezzi sono determinate essenzialmente
dall'andamento dei salari dell'industria dei beni d'investimento.
In un'economia siffatta, perch una politica antinflazionistica ab-
IMPLICAZIONI DELL'IN'IERPRETAZIONE ALTERNATIVA 187

bia successo, necessario stabilire una qualche forma di controllo


istituzionale sugli incrementi salariali in questo settore chiave del-
l'apparato produttivo.

Sommario conclusivo dell'interpretazione alternativa


Ciascuno stato del sistema meramente transitorio e in esso
sono impliciti gli sviluppi finanziari che assicurano la transizione
allo stato successivo: questa la nozione che sta alla base della
nostra interpretazione alternativa. In essa un ruolo di centrale im-
portanza svolto dal boom, ovvero da quello stato sistemico che
costruisce una struttura delle passivit dall'andamento esponen-
ziale utilizzando come fondamenta i flussi dei rendimenti futuri
attesi dei beni capitali i quali, sia per i vincoli imposti dalla tecno-
logia sia per l'impossibilit di comprimere oltre un certo limite
i salari dei lavoratori, al massimo possono crescere, in termini
reali, in progressione lineare. La base creditizia, invece, non
soggetta a questi vincoli e durante il boom cresce a saggi sempre
pi elevati. A mano a mano che aumentano i debiti e il costo dei
finanziamenti, si rendono necessari sempre maggiori fondi, fondi
che, in ultima analisi possono crescere in termini reali soltanto a
un saggio costante; in tali circostanze gli incassi derivanti dalle
quasi-rendite non sono sufficienti a fornire il contante necessario
per far fronte ai debiti.
Ulteriori elementi speculativi derivano dall'esistenza d un si-
stema stratificato di intermediari finanziari che operano nel pro-
cesso di finanziamento. Che il sistema bancario sia per sua stessa
natura speculativo deriva dal fatto che le banche fanno prestiti a
lunga scadenza e ricevono crediti .a breve. Durante un boom, i ban-
chieri indirizzano tutti i loro sforzi e la loro abilit a trasformare
ogni possibile fonte di contante temporaneamente inutilizzata
in una fonte di finanziamento per attivit produttive o per acqui-
sti di titoli finanziari. Si tende quindi a creare endogenamente una
struttura di impegni di pagamento che prevede una sempre mag-
giore sincronizzazione tra incassi ed esborsi di contante, nella
quale una quota sempre maggiore di operatori costretta a con-
trarre nuovi debiti per ripagare quelli venuti a scadenza. Le sorti
dell'economia dipendono in misura sempre maggiore dalla rego-
larit non solo dei mercati delle merci e del lavoro, ma anche dei
r88 CAPITOLO SETTIMO

mercati finanziari. Quando diventa impossibile rifinanziare le po-


sizioni di portafoglio, ha luogo una brusca inversione di rotta:
la funzione Px(M) subisce una marcata trasposizione verso il basso
e il rischio del debitore e del creditore aumentano vertiginosa-
mente. In situazioni siffatte assai probabile (e infatti spesso effet-
tivamente accade) che gli investimenti decelerino precipito-
samente.
Abbiamo cercato di dare una formulazione esplicita di un mo-
dello di comportamento dell'economia che sia in linea con la
Teoria generale, in cui Keynes ha voluto sottolineare l'impor-
tanza della natura ciclica e "finanziaria" del sistema capitalistico
da lui esaminato. La Teoria generale, secondo la nostra interpre-
tazione, quindi coerente con un'opinione assai diffusa negli
anni trenta: la radice dei problemi dell'epoca andava ricercata
nelle disfunzioni del sistema monetario e finanziario. Ci che fa
della Teoria generale un'opera straordinaria che l Keynes con-
cep tali disfunzioni come una caratteristica interna del capita-
lismo, non come un attributo casuale o accessorio. Egli si rese
conto che era impossibile diagnosticare (e, quindi, a forti ori,
porre rimedio a) i malanni di un sistema economico intrinseca-
mente contraddittorio se la teoria economica ad esso applicata
non ammetteva l'esistenza di una tale contraddizione. Solo una
teoria esplicitamente ciclica ed espressa in termini finanziari po-
teva, secondo Keynes, rivelarsi utile.
Mentre gli economisti monetari pi attenti del suo tempo,
come Henry C. Simons, Jacob Viner e Dennis Robertson, cerca-
vano di aggiungere a un modello classico tradizionale (il cui scopo
di fondo determinare l'allocazione delle risorse) certi tocchi
pi realistici in materia finanziaria, Keynes invece ruppe con la
tradizione e introdusse direttamente considerazioni di carattere
finanziario nella determinazione dei vincoli di bilancio dei vari
settore dell'economia. II modello Hicks-Hansen e la sintesi neo-
classica, grazie al rilievo dato alle determinanti della domanda
aggregata e soprattutto grazie all'integrazione tra domanda di mo-
neta e domanda di beni d'investimento, si sono rivelati molto mi-
gliori dei modelli classici sia come strumenti analitici che come
guida pratica alla gestione dell'economia. La reale portata delle
intuizioni di Keynes, per, rimasta estranea a questi modelli
formali che oggi rappresentano l'ortodossia in campo economico.
IMPLICAZIONI DELL'INTERPRETAZIONE ALTERNATIVA

Dal punto di vista di questi modelli, alcune delle recenti espe-


rienze si configurano come fenomeni anomali. Facendo riferi-
mento proprio a quegli aspetti del pensiero keynesiano che noi
abbiamo cercato di evidenziare, e che invece l'interpretazione
tradizionale ha ignorato completamente, possibile invece dare
una spiegazione a tali apparenti anomalie. Una teoria keynesiana
senza restauri posticci pi pertinente ai problemi contemporanei
della teoria convenzionale; non solo: da essa discendono implica-
zioni di politica economica che vanno oltre alle solite indicazioni
di manovre fiscali e monetarie.
Capitolo 8
Filosofia sociale e politica economica

Introduzione
Il lungo titolo dell'ultimo capitolo della Teoria generale suona
piuttosto modesto: "Note conclusive sulla filosofia sociale alla
quale la teoria generale potrebbe condurre". ftungo tutto l'arco
della sua vita J{eynes fu un animale politico. Ftrininterrottamente
legato al partito liberak_sia nel suo periodo di ascesa precedente
la prima guerra mondiale, sia nella sua fase declinante successiva
alla guerra. Volendo interpretare il pensiero di Keynes sulle
implicazioni sociali (in senso lato) della Teoria generale e sul
modo migliore per mettere in pratica le nuove idee l espresse,
bisogna tener conto dei suoi scritti politici e sociali antecedenti
alla Teoria generale. Infatti, mentre da un punto di vista teorico
la Teoria generale segna una netta rottura con il passato, le im-
plicazioni di "filosofia sociale" che Keynes deriv da quest'opera
sono, al contrario, in linea con le opinioni espresse nei suoi lavori
precedenti. La Teoria generale pu essere vista come un tentativo
per giustificare, in base ad argomentazioni strettamente teoriche,
quelle idee che Keynes, quando era ancora un devoto economista
"classico", aveva sostenuto solo in base alle proprie convinzioni
morali e all'intuizione.
In un saggio scritto nel 1926 e volto ad analizzare la fine del
laissez-faire, Keyne~ (1926a, p. 246) osserva: "In questo mo-
mento pu darsi che Ie nostre simpatie e i nostri giudizi siano
reciprocamente agli antipodi, il che si traduce in uno stato d'a-
nimo increscioso e paralizzante." Negli scritti politici ed econo-
FILOSOFIA SOCIALE E POLITICA ECONOMICA 191

miei degli anni venti - periodo durante il quale tent d adattare


le teorie economiche tradizionali a quelli che gli sembravano
essere i reali problemi del tempo - Keynes invariabilmente pro-
poneva l'adozione di misure di politica economica del tutto incon-
ciliabili con quelle che la maggior parte dei suoi colleghi ricavava
dalla stessa teoria economica. Le misure di politica economica
derivanti dalla Teoria generale erano coerenti sia con le sue ante-
riori prese di posizione sia con la filosofia sociale descritta nell'ul-
timo capitolo del libro.
Il presente capitolo suddiviso in due sezioni: nella prima trat-
teremo la filosofia soci'ale di Keynes, mentre nella seconda esami-
neremo quali profonde conseguenze questa comporti in materia
di politica economica, a parte il richiamo alla necessit dell'inter-
vento attivo dello Stato per assicurare la piena occupazione. Nel
capitolo successivo infine verificheremo, alla luce della nostra in-
terpretazione, l'importanza della Teoria generale per la politica
economica contemporanea.

Filosofia sociale
Negli anni venti Keynes si considerava di sinistra: "Sono certo
di essere tendenzialmente meno conservatore dell'elettore labu-
rista medio ( ...) La repubblica di cui coltivo l'immagine all'e-
11
strema sinistra dello spazio celeste 1926b, p. 260).~'Keynes non
(

si sentiva per di aderire al partito laburista, in quanto non si iden-


tificava in nessuna delle tre fazioni componenti quel partito:
Vi sono i "sindacalisti", una volta oppressi oggi tiranni, e alle cui pretese
settoriali ed egoistiche occorre opporsi eroicamente; vi sono (. ..) i "comu-
nisti", impegnati dalla loro fede a creare il male da cui dovrebbe venire il
bene (. ..) e vi sono poi i "socialisti" i quali credono che le fondamenta
economiche della societ moderna siano cattive mentre potrebbero essere
buone (ibid.).

Keynes rifiutava sdegnosamente i fini e i programmi dei sinda-


calisti e dei comunisti, esprimendo invece simpatia verso le aspi-
razioni dei socialisti, sebbene egli fosse a dir poco scettico circa
l'efficacia dei metodi che questi suggerivano.
Dieci anni prima della Teoria generale Keynes affermava:
I pensatori costruttivi del partito laburista e i pensatori costruttivi di
quello liberale [tra i quali egli certamente si includeva] stanno cercall!f!:lll
CAPITOLO OTTAVO

di sostituire quelle fedi [le teorie e i programmi tradizionali dei socialisti]


con qualche cosa di meglio e di pi pratico. Da entrambe le parti le no-
zioni sono ancora un po' nebulose, ma vi una rispondenza reciproca e
un'analoga tendenza di pensiero. Ritengo che queste due correnti stabili-
ranno un collegamento sempre pi amichevole nell'opera costruttiva, con
il passare del tempo (1926b, p. 261):?:>

Terminata la stesura della Teoria generale Keynes ritenne di


aver trovato ci che questi "pensatori costruttivi" avevano cer-
cato invano; era convinto di aver mostrato che l'analisi e i pro-
grammi del radicalismo tradizionale erano antiquati e non neces-
sari; la sua nuova teoria rendeva obsoleta l'economia marxista che
egli considerava confusa e abborracciata.
Mentre provava simpatia per gli ideali, se non proprio per i
metodi, dei socialisti, Keynes considerava invece i conservatori
una vera e propria maledizione:
Come potrei acconciarmi ad essere un conservatore? ft
un partito che
non mi d n da bere n da mangiare, cio n interesse intellettuale n
consolazione morale.' Non ne sarei divertito, n entusiasmato, n edificatot
Tutto ci che si conf all'atmosfera, alla mentalit, all'impostazione di
vita, di ... beh, non facciamo nomi, non serve n al mio particulare, n
all'interesse pubblico. Non ha prospettive, non soddisfa alcun ideale, non
si conforma ad alcun modello intellettuale; non riesce neppure a evitare
i rischi o a salvare dai vandali quel tanto di civilt che abbiamo gi rag-
giunto (1925b, p. 248).

In particolare egli non era disposto ad allearsi completamente


con il capitalismo in una lotta contro il socialismo:
Ritengo che se quanti credono (. ..) che la giusta definizione del pros-
simo scontro politico dovrebbe essere capitalismo contro socialismo, e che
coerenti con questa impostazione intendono morire nell'ultima trincea per
il capitalismo, ci lasciassero, sarebbe un bene per il partito ( 1926b, p. 261).

La sua visione politica precedente la Teoria generale palesa un


certo invaghimento per un socialismo decentralizzato dal volto
umano, temperato per dal rigore dell'economista. Egli infatti non
poteva accettare i metodi suggeriti dai socialisti per conseguire
fini che egli pur condivideva.
Nel 1926 a Keynes la questione di fondo appariva chiara:
Il problema politico dell'umanit consiste nel mettere insieme tre ele-
menti: l'efficienza economica, la giustizia sociale e la libert individuale.
FILOSOFIA SOCIALE E POLITICA ECONOMICA 193
Alla prima sono necessari senso critico, prudenza e conoscenza tecnica;
alla seconda spirito altruistico, enmsiasmo e amore per l'uomo comune;
alla terza tolleranza, ampiezza di vedute, apprezzamento dei valori, della
variet e dell'indipendenza, che preferisce sopratmtto dare una chance
illimitata all'elemento eccezionale e ambizioso ( 1926b, pp. 262 sg.).

Nell'ultimo capitolo della Teoria generale Keynes torna a par-


lare della triade costituita da efficienza economica, giustizia so-
ciale e libert individuale. Per quanto concerne l'efficienza eco-
nomica, egli nota che i processi decentralizzati d mercato svol-
gono l'importante compito di determinare ci che viene prodotto
e l modo in cui viene prodotto: "Non trovo motivo di ritenere
che il sistema esistente impieghi seriamente male i fattori di pro-
duzione che sono utilizzati ( ...) nel determinare il volume, non
la direzione dell'occupazione effettiva, che l sistema presente
mancato alla sua funzione" TG p. 550 Il meccanismo di mer-
cato tuttavia manca alla propria unzione nella misura in cui esso
comporta una distribuzione socialmente oppressiva del reddito e
della ricchezza. Come mostreremo pi avanti in questo capitolo
a proposito della "eutanasia del rentier", distribuzione del reddito
e determinazione della composizione del prodotto globale pos-
sono essere connessi in modo tale che, volendo accettare il mer-
cato come meccanismo determinante l'andamento dell'occupa-
zione, necessario in primo luogo "far saltare" la distribuzione
del reddito determinata proprio dalle forze di mercato.
Per quanto riguarda la giustizia sociale, secondo Keynes sono
necessari programmi che garantiscano da un lato un volume ac-
cettabile di occupazione e dall'altro una pi appropriata distri-
buzione del reddito e della ricchezza. Efficienza e giustizia ri-
chiedono che alla socializzazione degli investimenti, necessaria
per garantire la piena occupazione, si ae,compagni da un lato
l'eliminazione della scarsit del capitale, cos da ottenere una
marcata riduzione dei redditi da capitale, e dall'altro un sistema
di tassazione diretta (imposte sul reddito e di successione) tale da
ottenere una distribuzione del reddito accettabile.
Per quanto concerne la libert individuale, Keynes sosteneva
che un sistema individualistico (termine che per lui stava a indi-
care un meccanismo di mercato decentralizzato)
se lo si pu mondare dei suoi difetti e dei suoi abusi, la migliore salva-
guardia della libert personale; nel senso che, in confronto a qualunque
13
194 CAPITOLO OTTAVO

altro sistema, esso allarga grandemente il campo all'esercizio della scelta


personale. pure la migliore tutela della variet della vita, che deriva pro-
prio da questa ampiezza del campo di scelta personale, e la cui perdita
la massima fra tutte le perdite dello stato omogeneo o totalitario. Giacch
questa variet preserva le tradizioni in cui si sostanziano le scelte pi sicure
e pi felici delle generazioni passate; colora il presente con la sua variata
fantasia; e, ancella dell'esperimento oltrech della fantasia e della tradi-
zione, lo strumento pi potente per un futuro migliore ( TG p. 551). S

Keynes si riferiva al proprio programma politico (articolato


in tre punti: socializzazione degli investimenti, modifica della
distribuzione del reddito e adozione di un meccanismo di mer-
cato decentralizzato) nei seguenti termini:
Mentre l'allargamento delle funzioni di governo, richiesto dal compito
di equilibrare l'una all'altro la propensione al consumo e l'incentivo a inve-
stire, sarebbe sembrato a un pubblicista del diciannovesimo secolo o a un
finanziere americano contemporaneo una orribile usurpazione ai danni del-
l'individualismo, io lo difendo, al contrario, sia come l'unico mezzo attua-
bile per evitare la distruzione completa delle forme economiche esistenti,
sia come la condizione di un funzionamento soddisfacente dell'iniziativa
individuale (ibid.).

Keynes, dunque, prese s posizione a favore del sistema capi-


talistico, ma non senza seri dubbi circa le sue virt e a condizione
che esso venisse riformato in modo sostanziale.

Implicazioni per la politica economica


Introduzione
Keynes fu sempre molto attivo sul piano politico, perenne-
mente intento a delineare schemi e programmi nuovi. A un tale
impegno agonistico lo portava del resto la sua stessa visione
del mondo.
Non vero che gli individui dispongano per diritto di una "libert
naturale" nel loro operare economico. Non esiste contratto naturale che
conferisca diritti perpetui a "quelli che hanno" o a "quelli che acquisiscono".
Il mondo non governato dall'alto in modo tale da far coincidere sempre
l'interesse privato con quello sociale; n amministrato quaggi in modo
che i due interessi coincidano in pratica. Non corretto dedurre dai prin-
cipi dell'economia che un "illuminato" interesse particolare operi sempre
nell'interesse del pubblico. E non neppure vero che l'interesse particolare
FILOSOFIA SOCIALE E POLITICA ECONOMICA 195
sia in genere illuminato: il pi delle volte gli individui che agiscono in pro-
prio per perseguire fini personali sono troppo ignoranti o troppo deboli
perfino per conseguire questi loro fini ( 1926a, p. 240).

Secondo Keynes ci che mancava all'economia classica tradi-


zionale era una teoria dei meccanismi economici capitalistici ca-
pace di mettere in luce l'inadeguatezza del laissez-faire inteso
come prescrizione di politica economica. Una tale teoria avrebbe
fornito strumenti di politica economica che uomini animati da
un forte desiderio di giustizia sociale avrebbero potuto utilizzare
per realizzare i propri fini. L'obiettivo doveva essere quello di
regolare l'economia in modo tale da far procedere. l'efficienza
economica mano nella mano con la giustizia sociale e la libert
individuale.
La Teoria generale rappresent la proposta teorica di Keynes
a tale riguardo: la nuova teoria rimuoveva la necessit di un radi-
cale cambiamento in senso rigidamente socialistico, fornendo la
giustificazione razionale (e suggerendo i metodi) per un'efficiente
politica d'intervento sul sistema economico, la cui struttura ri-
maneva per intrinsecamente capitalistica.
Nel capitolo conclusivo della Teoria generale, Keynes, oltre
alla politica per l'occupazione, affronta tre altre questioni "poli-
tiche" pertinenti al nostro discorso: la distribuzione del reddito,
la socializzazione degli investimenti e le tensioni internazionali.

La distribuzione del reddito


L'ultimo capitolo della Teoria generale inizia con queste pa-
role:
I difetti pi evidenti della societ economica nella quale viviamo sono
l'incapacit a provvedere la piena occupazione e la distribuzione arbitraria
e iniqua delle ricchezze e dei redditi. Quanto alla prima, la portata della
teoria sopra esposta ovvia. Ma vi sono anche due aspetti importanti _sotto
i quali essa ha rilievo anche nei riguardi della seconda (TG p, ;4~).

La Teoria generale pertinente ai problemi della distribu-


zione del reddito in quanto da un lato essa nega che la disegua-
glianza dei redditi sia necessaria per favorire il risparmio, dall'altro
essa addita un assetto sociale nel quale, come conseguenza di un
periodo di accumulazione in condizioni di piena occupazione, la
scarsit del capitale verrebbe sostanzialmente ridotta. Nella mi-.
196 CAPITOLO OTTAVO

sura in cui il reddito percepito dai rentier grazie al loro possesso


di capitali rispecchia la scarsit di questi ultimi, un processo di
accumulazione in condizioni di piena occupazione provoca in
breve tempo una drastica diminuzione del reddito puro da
capitale.
Keynes riteneva che vi fossero "giustificazioni sociali e
psicologiche di diseguaglianze rilevanti dei redditi e delle ric-
chezze, ma non di disparit tanto foni quanto quelle oggi esi-
stenti" (TG p. 545f. Egli riteneva inoltre che le ragioni addu-
cibili per gmsnficarc disparit nella distribuzione dei redditi "non
si applicano anche alla diseguaglianza delle eredit" (TG p. sJ
Una ragione comunemente addotta a favore della disegua-
glianza dei redditi che i ceti abbienti risparmiano una quota
del reddito maggiore di quel~risparmiata dai ceti indigensi.Jf
cosicch tale diseguaglianza, facendo aumentare il rapporto ri-
sparmio/reddito, rende disponibile per la crescita del capitale
una maggiore quota di reddito. Tuttavia la teoria di Keynes di-
mostra che un livello basso della propensione al consumo fa-
vorisce la crescita del capitale soltanto in condizioni di piena
occupazione. In mancanza della certezza che il livello degli in-
vestimenti sia tale da assicurare il raggiungimento della piena
occupazione, un .livello poco elevato della propensione al con-
sumo, rendendo difficoltoso il raggiungimento stesso della piena
occupazione, costituisce un ostacolo alla crescita delle ricchezze:
Nelle condizioni contemporanee lo sviluppo della ricchezza, lungi dal'
dipendere dall'astinenza dei ricchi, come in generale si suppone, ne pro-
babilmente ostacolato. Viene qui a cadere una delle principali giustificazioni
sociali delle forti diseguaglianze di ricchezz~

Nondimeno Keynes riteneva r) che "vi sono pregevoli at-


tivit umane [soprattutto di natura imprenditoriale] le quali,
per esplicarsi completamente, richiedono il movente del guada-
gno e l'ambiente del possesso privato della ricchezza" .QJI__p...
54s)!c 2) che "l'esistenza di possibilit di guadagni monetari e di
arricchimento privato pu instradare entro canali relativamente
innocui, pericolose tendenze umane" (ibid.). D'altro canto, "per
stimolare queste attivit [tendenti al guadagno] e per soddisfare
queste tendenze [ al dominio] non necessario che le poste del
gioco siano tanto alte quanto adesso" (ibid.). Quindi, poich
FILOSOFIA SOCIALE E POLITICA ECONOMICA 197
"non si deve confondere il compito di tramutare la natura
umana col compito di trattare la natura umana medesima 11
(ibid.), Keynes sosteneva che "pu essere purtuttavia saggia e
prudente condotta di governo consentire che la partita [mi-
rante a far fortuna] si giochi, sia pure sottoponendola a norme
e limitazioni 11 (ibid.). A parere di Keynes la diseguaglianza del
reddito derivante dall'abilit imprenditoriale (soprattutto dai gua-
dagni in conto capitale) era del tutto giustificabile, mentre quella
risultante dalla propriet "pura" della ricchezza (i redditi dei ren-
tier) non lo era affatto.
Secondo Keynes, quindi, l'esistenza di modesti differenziali
di reddito (minori di quelli vigenti allora e oggigiorno) era so-
cialmente desiderabile, mentre al contrario accentuati differen-
ziali di reddito (soprattutto quelli dovuti a lasciti ereditari) erano
superflui e dannosi. Keynes era dunque favorevole alla tassa-
zione diretta di redditi ed eredit cos da rendere socialmente
meno opprimente la distribuzione del reddito: una modifica di
quest'ultima in senso egalitario avrebbe al contempo reso pi
agevole (grazie all'intervento di un'ipotetica e benevola mano
invisibile) il conseguimento e il mantenimento della piena oc-
cupazione.
Keynes quindi, in base alla sua concezione teorica e alla sua
visione dei bisogni umani, riteneva che in uno stato di piena oc-
cupazione, senza guerre e senza crescita demografica, il volume
degli investimenti sarebbe stato tale da provocare ben presto
"l'eutanasia del rentier e di conseguenza l'eutanasia del po-
tere oppressivo e cumulativo del capitalista di sfruttare il valore
di scarsit del capitale" (TG p. 6 f!)
Keynes credeva che a e eutanasia fosse inevitabile poich
"la domanda di capitale strettamente limitata, nel senso che
non sarebbe difficile accrescere la consistenza del capitale fino
al punto in cui la sua efficienza marginale cadesse a un livello
molto basso" ~f.-Una volta che il volume del capitale
sia aumentato m modo che "questo non sia pi scarso, cosicch
l'investitore senza funzioni non riceva pi un premio gratuito"
~ivo ___rnj_0);\1
reddito dei render non avr pi
ragione di esistere.'Sommiamo questa prognosi sul futuro del
reddito da capitale a "un sistema di imposizione diretta tale da
consentire che l'intelligenza e la determinatezza e la capacit
CAPITOLO OTTAVO

direttiva del finanziere ( ...) siano imbrigliate al servizio della col-


lettivit, con un compenso a condizioni ragionevoli" (TG pp.
547 sg.) e otterremo una distribuzione del reddito compatibile
con la triade di efficienza, giustizia e libert.
Alla base della convinzione di Keynes che il capitale avrebbe
potuto cessare di essere scarso vi una precisa visione della na-
tura dei bisogni umani. Gli anni giovanili di Keynes coincisero
con l'era dell'illuminismo edwardiano, un'epoca segnata dall'ot-
timismo, durante la quale ci si stava liberando dai vincoli intel-
lettuali e le ipocrisie sociali del periodo vittoriano; un effettivo
avanzamento verso una societ aperta ed egalitaria sembrava
certo e sicuro. Nei circoli di Cambridge e di Londra frequen-
tati da Keynes, i "beni" di primaria importanza erano i rapporti
umani e gli affetti personali; la mancanza di ricchezze, posizione
e stato sociale non rappresentava un ostacolo al soddisfacimento
della vera natura umana: a chiunque era aperta la possibilit di
conquistarsi affetto, amore, integrit personale e realizzazione
interiore. Keynes riteneva che, una volta soppressa la duplice
calamit della povert e della guerra, sarebbero stati sufficienti,
per raggiungere uno stato di genuina opulenza, beni "terreni"
poco maggiori a quelli allora gi esistenti. La vera opulenza sa-
rebbe potuta diventare la condizione di ogni essere umano, a
prescindere dalla sua situazione "materiale": nel mondo idealiz-
zato da Keynes, i limitati differenziali di reddito personale esi-
stenti non avrebbero costituito un ostacolo al raggiungimento
delle vere soddisfazioni umane, persino per i cittadini meno ab-
bienti:..\
Keynes, quando tratta la questione del volume "finale" dello
stock di capitale socialmente necessario, parte dal presupposto
che i bisogni umani, per quanto concerne beni che richiedono
un sostanziale impiego di risorse in capitali, siano limitati e
suscettibili di soddisfazione:
ben vero che i bisogni degli esseri umani possono apparire inesauribili.
Essi, tuttavia, rientrano in due categorie: i bisogni assoluti, nel senso che li
sentiamo quali che siano le condizioni degli esseri umani nostri simili, e
quelli relativi nel senso che esistono solo in quanto la soddisfazione di essi
ci eleva, ci fa sentire superiori ai nostri ,imili. I bisogni della seconda cate-
goria, quelli che soddisfano il desiderio di superiorit, possono davvero
essere inesauribili poich quanto pi alto il livello generale, tanto maggiori
diventano. Il che non altrettanto vero dei bisogni assoluti: qui potremmo
FILOSOFIA SOCIALE E POLITICA ECONOMICA 199
raggiungere presto, forse molto pi presto di quanto crediamo, il momento
in cui questi bisogni risultano soddisfatti nel senso che preferiamo dedicare
le restanti energie a scopi non economici (1930a, p. 278). lcf-

La convinzione di Keynes circa la possibilit di soddisfare


quei bisogni umani che richiedono l'impiego di risorse in capi-
tali implica per un ragionamento circolare in quanto ne fanno
parte essenziale proprio i suoi personali parametri di valore e la
sua filosofia. Il soddisfacimento dei bisogni assoluti di tutta la
popolazione concernenti prodotti alimentari, abitazioni e altri
beni e servizi essenziali per la sussistenza e la salute un'obiet-
tivo alla portata dei paesi ricchi, quali gli Stati Uniti e l'Europa
occidentale di oggi (tale obiettivo era tecnicamente raggiungi-
bile o quasi anche all'epoca in cui scriveva Keynes). Recen-
temente sono stati proposti sistemi di tassazione negativa del
reddito e di assegni familiari che mostrano come, da un punto
di vista fiscale, sia possibile eliminare la povert "primaria" me-
diante schemi di moderata redistribuzione del reddito (trasf e-
rimenti).
Eppure il capitale continua ad essere scarso, anche oggi che
i bisogni "assoluti" sono abbondantemente soddisfatti. Nono-
stante il rapido processo di accumulazione in corso sin dalla
seconda guerra mondiale, la scarsit del capitale non accenna a
diminuire. Il possesso di capitali frutta un cospicuo rendimento
e il rentier sembra pi lontano che mai dall'esalare il suo ultimo
respiro. Una ragione di questo fatto pu essere vista nella cre-
scita di quelli che Keynes definiva bisogni relativi, bisogni che,
per essere soddisfatti, hanno richiesto l'impiego di capitale. Men-
tre nel saggio del 1930 sulle "Prospettive economiche per i no-
stri nipoti", Keynes supponeva che la saturazione dei bisogni
assoluti avrebbe dato vita a una situazione nella quale "prefe-
riamo dedicare le restanti energie a scopi non economici", in
realt nelle economie avanzate odierne le energie rimanenti~
dopo aver soddisfatto i bisogni assoluti, sono dedicate al soddi-
sfacimento di bisogni relativi i quali, per quanto riguarda il
fabbisogno di capitale, possono avere un'intensit di capitale ad-
dirittura maggiore di quella dei tradizionali bisogni assoluti.
La "profezia" di Keynes sulla scomparsa dei render era ba-
sata su una generalizzazione delle sue preferenze personali. Pos-
siamo domandarci come mai le preferenze della gente si siano
200 CAPITOLOOTTAVO

indirizzate in una direzione che un intellettuale raffinato, umano


e, in un certo senso, egalitario come Keynes, con parametri di
valore tipici dell'illuminata era edwardiana, non avrebbe mai
immaginato. Un motivo pu essere che i ceti pi abbienti, in-
vece di consumare filosofia e cultura, hanno consumato beni ad
alta intensit di capitale, dando poi il cattivo esempio ai ceti
medi. Si diffusa' cos tutta una serie di consumi "vistosi" che
ha provocato uno stato di permanente bisogno insoddisfatto di
capitali. Pu ben darsi il caso che sia stato proprio il tipo di
distribuzione del reddito connesso alla scarsit di capitale a de-
terminare il tipo di consumi che hanno poi provocato uno stato
di "fame" di capitali. Per ottenere l'eutanasia del rentier pu
quindi mostrarsi necessario conseguire innanzitutto il tipo di
distribuzione del reddito che, secondo Keynes, sarebbe prevalso
dopo la scomparsa dei rentier.
Inoltre la direzione verso la quale si incanalata la crescente
massa di bisogni relativi stata suggerita da ( o addirittura
stata il prodotto di) un processo "educativo" celato sotto le
spoglie di "pubblicit". Ai giorni nostri lo stato di opulenza
non ha fatto aumentare la domanda di piacevoli attivit intellet-
tuali, ma anzi ha favorito l'incremento della domanda di beni la
cui produzione necessita di beni capitali. La strada imboccata
dalla domanda privata nel periodo successivo a quello in cui scri-
veva Keynes, stata fortemente influenzata dalla creazione di po-
sizioni di mercato che favoriscono una sempre maggiore scarsit
di capitale.
Un ulteriore motivo per cui nel periodo postbellico il red-
dito da capitale non scomparso pu essere individuato nella
struttura dei programmi adottati dai vari governi per mantenere
la piena occupazione. Durante il drammaticofperiodo della
Grande Crisi, i programmi governativi a favore dell'occupa-
zione erano specificamente indirizzati verso l'impiego diretto di
forza lavoro disoccupata. Durante la seconda guerra mondiale
venne sviluppata tutta una serie di sistemi contrattuali per pro-
duzione bellica, in base ai quali venivano utilizzate fabbriche
private per la manifattura di materiale bellico. Terminate le
ostilit, questi contratti vennero rinnovati, per la produzione sia
di armi sia di beni di tipo non militare. Questi contratti preve-
dono immancabilmente un generoso margine di profitto per le
imprese in questione. Nel dopoguerra non solo la struttura de-
FILOSOFIA SOCIALE E POLITICA ECONOMICA 201

gli interventi di politica economica a sostegno del reddito ha


favorito decisamente bisogni bellici ad alta intensit di capitale,
ma anche la politica sociale sottostante tali interventi ha sempre
teso a sovvenzionare i redditi da capitale. Inoltre in tanto in
quanto spese belliche e massicci trasferimenti redistributivi (si-
stemi di previdenza sociale ecc.) richiedono una cospicua en-
trata fiscale, diventa possibile escogitare espedienti fiscali a fa-
vore dei redditi da capitale e a spese dei redditi dei consumatori;
non stupisce che nel dopoguerra, in base a politiche economiche
sostanzialmente conservatrici, tali espedienti siano stati e siano
tuttora effettivamente utilizzati.
Possiamo forse affermare che per provocare la eutanasia del
rentier cos come ipotizzata da Keynes innanzitutto necessario
porre vincoli alla crescita dei bisogni relativi, vincoli che a loro
volta dipendono da una distribuzione del reddito basata su red-
diti da capitale nulli o minimi, vale a dire sulla preventiva euta-
nasia dei rentier.
La Weltanschauung di Keynes ( che lo porta a immaginare
un mondo dove il capitale non pi scarso) prevede una distri-
buzione del reddito tale da scongiurare il diffondersi di consumi
sempre pi folli e ipotizza un tipo di parametri "culturali" di
valore che regoli e controlli lo sviluppo dei bisogni relativi in
modo tale da scoraggiare consumi ad alta intensit di capitale.
In un mondo per dove gli uomini desiderano soltanto l'accu-
mularsi illimitato di armamenti e di oggetti di consumo sempre
pi complessi, difficile che si raggiunga presto uno stato di
saturazione degli investimenti.
Secondo Keynes, accanto all'esigenza di controllare e indi-
rizzare i bisogni umani necessario soddisfare altre due condi-
zioni affinch la scomparsa della scarsit del capitale implichi
l'eutanasia del rentier: bisogna scongiurare i conflitti armati e
la popolazione deve assestarsi su un livello stabile. N l'una n '
l'altra di queste condizioni stata soddisfatta nel periodo suc-
cessivo alla seconda guerra mondiale. La guerra comporta la
distruzione di attrezzature produttive: in termini economici la
frenetica corsa agli armamenti alla quale assistiamo fin dalla se-
conda guerra mondiale equivalente a una situazione di con-
flitto armato. Non solo la produzione di materiale bellico ad
alta intensit di capitale, ma anche la dinamica della corsa agli
armamenti, e cio lo sviluppo di armi sempre pi complesse e
202 CAPITOLO OTTAVO

sofisticate, fa s che le attrezzature produttive utilizzate per


sfornare armi subito sostituite da nuovi e pi avanzati prodotti
diventano a loro volta obsoleteO"Jl-rapido succedersi di nuove
generazioni di apparecchiature belliche equivalente alle distru-
zioni e ai bombardamenti del tempo di guerra: entrambi questi
fenomeni distruggono i frutti del processo di accumulazione.
I decenni successivi alla seconda guerra mondiale hanno 'as-
sistito a un cospicuo incremento della popolazione dei paesi ric-
chi, fenomeno probabilmente ormai concluso. Questa esplosione
demografica ha reso necessario un processo di accumulazione
di capitale, cos da poter disporre di macchinari cui adibire un
numero crescente di lavoratori. Un minor saggio di incremento
demografico dovrebbe tendere a far diminuire, anche di fronte
a una sostenuta dinamica del progresso tecnologico, il fabbi-
sogno di capitali e dovrebbe portare quindi a una riduzione
delle rendite da capitale.
La visione di Keynes che l'eutanasia del render (vista come
fenomeno che scaturisce necessariamente dal processo accumu-
lativo) avrebbe ridotto drasticamente, se non addirittura elimi-
nato, il reddito derivante dal mero possesso di risorse capitali
scarse, poggiava su tre precondizioni fondamentali: bisogni
umani regolati, popolazione stabile e scomparsa dell'onere della
guerra. Nessuna di queste condizioni stata soddisfatta com-
pletamente e tra esse quella la cui realizzazione appare pi lon-
tana nel tempo ci sembra essere l'autoregolazione dei bisogni.
Keynes avanz due motivi a spiegazione del perch il red-
dito da capitale avrebbe potuto e dovuto diminuire relativa-
mente al reddito globale.f In primo luogo non affatto neces-
sario disporre di redditi elevati per ottenere un'elevata propen-
sione al risparmio. Anzi, un'elevata propensione al risparmio
controproducente, in quanto fa diminuire la propensione ~ in-
vestire. In secondo luogo possibile raggiungere in un breve
lasso di tempo una situazione di saturazione degli investimenti
se ci si mantiene in uno stato di piena occupazione e se si rego-
lano i bisogni. Una volta raggiunta la saturazione degli investi-
menti, potrebbe emergere un nuovo ordine sociale giacch:
Saremo, infine, liberi di lasciar cadere tutte quelle abitudini sociali e
quelle pratiche economiche relative alla distribuzione della ricchezza, e
alle ricompense e penalit economiche, che adesso conserviamo a tutti
FILOSOFIA SOCILE E POLITICA ECONOMICA 203
i costi, per quanto di per s sgradevoli e ingiuste, per la loro incredibile
utilit a sollecitare l'accumulazione del capitale ( 1930a, p. 281), I_$
"""-'-----
La socializzazione degli investimenti
La Teoria generale un frutto del "decennio rosso" 1930-40.
La Grande Crisi aveva messo in mostra i punti deboli del ca-
pitalismo e tra le possibili vie di uscita dalla crisi la soluzione
offerta da un regime rigidamente socialista inqmtrava ampi fa-
vori. Contrariamente a tale soluzione, Keynes riteneva che "la
teoria precedente piuttosto conservativa nelle conseguenze che
implica" ~ infatti una volta che un'oculata politica
degli invest1ment1abbia assicurato la piena occupazione e un'o-
culata politica di tassazione diretta abbia redistribuito il reddito
in modo equo, allora un regime socialista, in senso pi o meno
stretto, diventa superfluo.
Keynes asseriva di non trovare "motivo di ritenere che il si-
stema esistente impieghi seriamente male i fattori di produzione
che sono utilizzati" ~; cosicch se "le nostre autorit
centrali di controllo riuscissero a stabilire un volume comples-
sivo di prodzione corrispondente ( ...) alla piena occupazione"
~'.fsi potrebbe lasciare via libera alle forze di mercato.
Compito delle "autorit di controllo" influenzare la propen-
sione aggregata al consumo e all'investimento. Il consumo pu
essere influenzato in parte "mediante il ( ...) sistema di imposi-
zione fiscale, in parte fissando il,J;~aggiodi interesse e in parte,
forse, in altri m'odi"J._TG p. 54<111 Questi "altri modi" presumi-
bilmente includono i consumi finanziati da trasferimenti redi-
stributivi, assieme a una maggiore produzione di beni di con-
sumo collettivo.
Tuttavia, poich la politica bancaria non in grado di in-
durre un livello di investimenti sufficiente a far perdurare la
. .
piena occupaz10ne
una socializzazione di una certa ampiezza dell'investimento si dimostrer
l'unico mezzo per farci avvicinare alla piena occupazione; sebbene ci non
escluda necessariamente ogni sorta di espedienti e di compromessi coi quali
la pubblica autorit collabori con la privata iniziativa. Ma oltre a questo
non si vede nessun'altra necessit di un sistema di socialismo di Stato che
abbracci la maggior parte della vita economica della collettivit. Non
importante che lo Stato si assuma la propriet degli strumenti di produ-
zione. Se lo Stato in grado di determinare l'ammontare complessivo delle .
204 CAPITOLO OTTAVO

risorse destinate ad accrescere gli strumenti di produzione e il saggio base


di remunerazione per coloro che le possiedono, esso avr compiuto tutto
quanto necessario. Inoltre le necessarie misure di socializzazione possono
essere applicate gradatamente e senza introdurre una soluzione di conti-
nuit nelle tradizioni generali della societ (TG p. 549).

Inoltre una volta che


le nostre autorit centrali di controllo riuscissero a stabilire un volume com-
plessivo di produzione corrispondente per quanto possibile alla piena occu-
pazione, la teoria classica si affermer di nuovo da quel punto in avanti.
Se supponiamo che il volume della produzione sia dato, ossia determinato
da forze all'infuori dello schema classico di pensiero, allora non vi alcuna
obiezione da opporre all'analisi classica del modo in cui l'interesse indivi-
duale privato determiner ci che si produce in particolare, in quali pro-
porzioni i fattori di produzione verranno combinati nella produzione
stessa e in che modo il valore del prodotto finale si distribuir fra di essi
(ibid.).

Vi un'evidente contraddizione tra la convinzione di Key-


nes che per ottenere la piena -occupazione sia necessario socia-
lizzare gli investimenti e la sua concezione che il mercato svolge
in modo soddisfacente il proprio compito di allocatore delle ri-
sorse, cosicch possibile non rinunciare al controllo e alla pro-
priet privata dei capitali. Questa contraddizione pu essere par-
zialmente risolta allorch si pongano le idee di Keynes nel loro
contesto storico e culturale. Negli anni trenta, come abbiamo
gi ricordato, con l'inasprirsi della crisi mondiale, la soluzione
offerta dal socialismo era pi che mai in auge. Allo stesso tempo
per l'intellig\enzia guardava con orrore al regime stalinista
ed era in corso un vivace dibattito sulle tendenze intrinseca-
mente totalitarie del socialismo in senso stretto. All'inizio degli
anni trenta gli economisti di simpatie socialiste parlavano di
socialismo di mercato e di vari altri sistemi misti nei quali i set-
tori guida venivano socializzati mentre il resto dell'economia
restava in mano ai privati. Questi tipi di socialismo sono, in li-
nea di principio, del tutto compatibili con l'ottica keynesiana;
la soluzione del problema dell'organizzazione della vita econo-
mica offerta da tali sistemi misti avrebbe probabilmente conse-
guito il duplice successo di raggiungere uno stato di piena oc-
cupazione, o quasi, e di eliminare, o quasi, i redditi privad
derivanti dalla propriet di ricchezzj
FILOSOFIA SOCIALE E POLITICA ECONOMICA 205

.... Tuttavia nel periodo postbellico, allorch venne assimilata e


applicata praticamente la lezione keynesiana, non venne percorsa
la via "socialista", neppure in paesi come l'Inghilterra dove par-
titi almeno nominalmente socialisti ebbero il potere per lunghi
periodi. Il messaggio keynesiano pienamente recepito, in parte
grazie al successo della politica economica bellica nel raggiungere
la piena occupazione, pu essere cos formulato: un ampio settore
pubblico, finanziato parzialmente ricorrendo a deficit di bilancio,
in grado di raggiungere e mantenere una condizione assai pros-
sima al pieno impiego. Si cos sviluppata e diffusa l'idea che non
necessario socializzare il settore industriale privato. La pro-
priet delle attrezzature produttive pu essere "tranquillamente"
lasciata ai privati fintantoch il settore pubblico (soprattutto il
bilancio statale) di proporzioni abbastanza vaste. La spesa pub-
blica, nei programmi di politica economica necessari per far per-
durare la piena occupazione, prese la forma di prelievi sulla
capacit produttiva (costruzione di autostrade, spese per l'istru-
zione e la salute, armamenti, viaggi spaziali ecc.), di trasferimenti
redistributivi e di sovvenzionamenti al consumo (sistema della
previdenza sociale, assistenza sociale, buoni alimentari, mutua ecc).
Settore pubblico di vaste dimensioni significa pesanti oneri fi-
scali, cosicch la scelta dei coefficienti di tassazione diventata
uno strumento per sovvenzionare ( cio far espandere) o tassare
(cio vincolare) vari tipi di attivit. Poich, se si vuole mantenere
la piena occupazione, necessario colmare il divario tra consumo
(tenemi.9 anche conto dei trasferimenti alle famiglie) e prodotto
global~ piena occupazione mediante investimenti privati o
spesa pubblica, stato ed possibile introdurre nel sistema fi-
scale e di spesa misure che favoriscono gli investimenti facendone
aumentare la redditivit. stata cos messa in piedi un'economia
caratterizzata da profitti e investimenti assai elevati, nella quale
le misure di governo sull'imposizione fiscale e la spesa pubblica
vengono giudicate a seconda del loro influsso sugli investimenti
privati anzich del loro influsso sul consumo o del raggiungi-
mento di un'equa distribuzione del reddito. La politica per la
piena occupazione ha cos assunto una sfumatura conservatrice
in quanto riuscita a conseguire ci che si pu a ragione definire
il "socialismo per i ricchi".
Tuttavia, poich tutte le misure fiscali tendenti a favorire gli
investimenti spostano la distribuzione del reddito a favore dei
206 CAPITOLO OTTAVO

settori risparmiatori, si messo in moto uo processo autoavvitan-


tesi nel quale per mantenere la piena occupazione necessario
disporre di sempre maggiori quantit di investimenti, per indurre
le quali bisogna offrire incentivi sempre pi cospicui sotto forma
di profitti e di sussidi alla produzione.
Il sistema economico si dunque evoluto lungo direttive in
evidente contrasto con il messaggio di Keynes secondo il quale
se gli investimenti si rivelano insufficienti a garantire la piena
occupazi'one, allora non bisogna accrescerne il volume offrendo
facilitazioni e sgravi agli investimenti privati, ma necessario
piuttosto prendere "misure per la redistribuzione dei redditi in
modo ~a tendere a elevare la propensione al consumo" (TG
~Secondo Keynes infa~ti tali m~sure_tendenti a in~
giare il consumo possono "d1mostrars1 chiaramente favorevoli
all'aumento del capitale" (ibid.); l'intervento dello Stato al di fuori
del settore socializzato degli investimenti deve essere essenzial-
mente diretto a far aumentare le propensioni al consumo, me-
diante politiche miranti a ottenere una pi equa distribuzione del
reddito.

Confiitti tra nazioni


Keynes inoltre riteneva che "se le nazioni possono imparare a
crearsi una situazione di occupazione piena mediante la propria
politica interna ( ...) non pi necessario che forze economiche
importanti siano rivolte al fine di contrapporre l'interesse di un
paese a quello dei suoi vicini" (TG E: 553f 'secondo Keynes, le
tensioni tra i paesi ricchi europei e americani scaturivano dal ra-
dicato bisogno di esportare onde difendere l'occupazione interna
o aumentarne il volume mediante aggressive politiche d'esporta-
zione ad ogni costo (beggar my neighbour).
Nel quarto di secolo successivo alla seconda guerra mondiale
questa intuizione di Keynes stata confermata dal tipo di rela-
zioni instaurato tra i paesi capitalistici avanzati. Fatta eccezione
per certi retaggi del passato coloniale, quali per esempio l'im-
pegno prima francese e poi americano in Vietnam, i rapporti tra
i paesi capitalistici avanzati sono stati caratterizzati dall'assenza
di tensioni o di conflitti armati. La guerra fredda tra ideologie
non un esempio di conflitto economico. Il successo delle poli-
tiche fiscali e monetarie nel sostenere il mercato interno ha evitato
FILOSOFIA SOCIALE E POLITICA ECONOMICA 207

il pericolo che le varie nazioni entrassero in "concorrenza" per il


controllo dei mercati o per assumere posizioni favorevoli nel
commercio internazionale.

Conclusione
Keynes riteneva che le implicazioni di politica economica de-
sumibili dalla sua teoria fossero di assai vasta portata; la Teoria
generale non solo additava metodi mediante i quali mantenere una
situazione assai prossima alla piena occupazione, ma lasciava in-
tendere che un prolungato periodo di piena occupazione, accom-
pagnato da politiche miranti a sostenere i consumi privati e so-
ciali, avrebbe potuto mutare la distribuzione del reddito in
senso egalitario. La rendita da capitale sarebbe scomparsa, men-
tre la sezione superiore della distribuzione cumulativa dei redditi
sarebbe stata "sfoltita" da adeguate misure fiscali. Secondo
Keynes, per mantenere la piena occupazione era necessario socia-
lizzare gli investimenti e far slittare verso l'alto la funzione del
consumo: due obiettivi, questi, altamente desiderabili da un punto
di vista sociale.

Due le'Zioni di fondo


Dal sommario della Teoria generale presentatoci da Keynes
risulta che egli riteneva che fossero due le lezioni di fondo desu-
mibili dalla sua opera. La prima, e pi ovvia, lezione che le
manovre di politica economica sono in grado di far assestare
l'economia in una posizione assai pi prossima alla piena occupa-
zione di quanto, in media, non avverrebbe altrimenti. La seconda,
e pi sottile, lezione che la politica economica in grado di far
prevalere una distribuzione del reddito pi logica ed equa di
quella altrimenti prevalente.
A tutt'oggi possiamo dire che la prima lezione stata assimi-
lata, seppure in una versione tale che il conseguimento del pieno
impiego dipende sostanzialmente da un particolare tipo di spesa
pubblica (produzione di armamenti) e da investimenti privati che
sacrificano abbondanti risorse oggi in cambio di discutibili bene-
fici in futuro. Il sistema economico, almeno sinora, stato imbri-
gliato; il gioco chiamato vita economica stato manipolato in
modo da far prevalere una ragionevole approssimazione alla pieur :';~
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208 CAPITOLO OTTAVO

occupazione. Sviluppando per manovre di politica economica


tese a raggiungere il pieno impiego, la seconda lezione di Keynes
andata smarrita: non solo ci si dimenticati della necessit di
disporre di politiche che riportino giustizia ed eguaglianza nella
distribuzione del reddito, ma ci si mossi in direzione opposta.
La modesta tendenza egalitaria rilevabile nel sistema fiscale vi-
gente al termine della seconda guerra mondiale stata attenuata.
Forse la celebre affermazione di Keynes che "le idee degli eco-
nomisti e dei filosofi politici ( ...) sono pi potenti di quanto co-
munemente si ritenga" e che "in realt il mondo governato da
poche cose al di fuori di quelle" (TG p. 554),-deve essere modifi-
cata in modo da tener conto de! farro che il processo politico
sceglie di essere influenzato solo da quelle idee che sono congrue
rispetto agli interessi dei ricchi e dei potenti. Una cosa certa:
solo una delle due lezioni di fondo della Teoria generale stata
assimilata nella mentalit di coloro che determinano la politica
economica. Quando una classe politica conservatrice abbraccia
il keynesismo, allora probabile che le politiche fiscali e di spesa
vengano utilizzate per dar vita ai rentier piuttosto che a favorirne
l'eutanasia.
Capitolo 9
Le implicazioni di politica economica
dell'interpretazione alternativa

Nel quarto di secolo succeduto alla seconda guerra mondiale


le economie capitalistiche avanzate riuscirono a evitare periodi di
grave depressione. Negli anni sessanta negli Stati Uniti persone
di dichiarata fede "keynesiana" occuparono importanti cariche
pubbliche sia come consiglieri economici che come funzionari
statali.Jl ciclo economico - cos proclamavano costoro - era_
9rmai stato debellato: grazie all'impiego di adeguate politiche
.fiscali e monetarie, l'economia poteva essere regolata in modo tale
da evitare recessioni e depressioni.
--- Secondo l'analisi presentata nelle pagine precedenti, il modello
che tali economisti impiegavano per analizzare teoricamente
l'economia o per determinare le necessarie manovre di politica
economica non solo violava lo spirito e l'essenza della Teoria ge-
nerale, ma strutturava il sistema economico in modo totalmente
inadeguato. Il loro modello infatti prescindeva completamente
dall'incertezza e dai meccanismi di finanziamento e, quindi, non
era assolutamente in grado di introdurre in modo significativo la
speculazione nel processo di determinazione dell'andamento del
sistema economico. A causa di questa grave inadeguatezza teo-
rica, il modello dal quale derivavano le loro prescrizioni di poli-
tica economica era basato sull'assunzione che i processi dinamici
dell'economia non danno luogo a cicli bens a un processo di cre-
scita uniforme.
L'andamento dell'economia durante i primi anni sessanta,
quando cio si verific un processo di costante espansione, sem-
brava dar ragione alle pretese teoriche di tali economisti. La
14
HO CAPITOLO NONO

strategia di fondo in questo periodo mirava a far aumentare gli


1nvestjmenti privati in modo da ottenere un pi rapido saggio
rucrescita. A tale scopo era necessario in primo luogo assicurare
- livelli elevati e crescenti di profitti. Il costante processo di espan-
'sine dei primi anni sessanta e le misure fiscali miranti a stimolare
gliinvestimenti, congiunte all'assenza di una qualsiasi crisi dalla
'fine della guerra in poi, fecero s che, alla met degli anni sessanta,
si innescasse un violent processo espansivo degli investimenti.
-'fale boom era stato reso possibile dall'aumento dell'attivit spe-
culativa da parte di imprese industriali e di istituti finanziari sulla
struttura delle proprie passivit: l'incremento della domanda ag-
gregata e soprattutto degli investimenti privati era stato finanziato
da un meccanismo speculativo.
Poich una quota cospicua degli investimenti venne finanziata,
con fondi esterni, si verific un aumento_del rapporto tra paga-
menti sui prestiti privati e redditi privati; ci signific che i pa:-
gamenti sulle passivit venute a scadenza diventarono ancor pi
sincronizzati con gli incassi di contante. Inoltre il particolare~
_modo in cui istituti finanziari, imprese e famiglie gestivano le
_proprie passivit:i fece s che le fortune di un numero sempre pi
~vato di operatori economici dipendessero strettamente da1
"regolare" funzionamento dei mercati finanziari. Nella stima
delle entrate e nel decidere la quantit di ~ttivitfliquide da dete-
nere, di norma si tiene conto di possibili errori di stima e della
variabilit statistica: nel periodo in esame si verific una diminu-
zione di questi margini di sicurezza. Durante l'espansione degli
anni sessanta il solido sistema finanziario si trasform in una strut-
tura assai fragile. Di conseguenza nel 1966 e nel 1969-70 ebbe
luogo negli Stati Uniti una serie di crisi finanziarie provocate da
shock che il precedente sistema finanziario, con la sua stabilit,
avrebbe invece assorbito senza ripercussioni significative.
Nel 1966 e nel 1969-70 tali crisi non sfociarono in una defla-
zione creditizia su larga scala grazie al pronto intervento del si-
stema della Riserva Federale; essa per, per scongiurare il pericolo
della deflazione, fu costretta a prendere misure che provocarono
un'espansione sempre pi accentuata dell'offerta di moneta. A
causa dell'aumento dell'offerta di moneta e della posizione assunta
dal governo in materia fiscale, le tensioni finanziarie si risolsero
nel 1966 in un temporaneo arresto della crescita economica e nel
1970-7 1 in un periodo di lieve, ma persistente, ristagno produt-
IMPLICAZIONI DI POLITICA ECONOMICA ZII

tivo. L'intervento consapevole della Riserva Federale in campo


finanziario e del governo in campo fiscale sono dunque riusciti a
modificare l'andamento del ciclo (i punti di svolta inferiore non
toccano mai livelli pericolosi e il periodo tra una recessione e
l'altra relativamente breve), anche se oggi evidente che la
politica economica non pu eliminare l'esistenza dei cicli econo-
mici. Oggid anche evidente che l'economia si comporta in
modo totalmente diverso a seconda che il sistema finanziario sia
solido o fragile; la solidit di quest'ultimo dipende sia dal rap-
porto tra pagamenti sui prestiti e redditi derivati dall'attivit pro-
duttiva nei vari settori dell'economia, sia dalla misura in cui le
fortune degli operatori dipendono dal processo mediante il quale
posizioni di portafoglio comprendenti titoli a lunga scadenza ven-
gono rifinanziate con titoli a breve trattati su mercati finanziari
dall'andamento uniforme e regolare.
Pressioni inflazionistiche di dimensioni sempre pi consistenti
sono comparse per la prima volta nel 1966 e da allora in poi non
hanno accennato a diminuire; esse sono attribuibili in parte al
fatto che la Riserva Federale, per scongiurare il pericolo di crisi
finanziarie e di deflazioni creditizie, costretta ad aumentare
costantemente l'offerta di moneta e in parte al particolare mecca-
nismo di determinazione dei salari monetari.
L'<!__nalisi
di Keynes, soprattutto se formulata secondo la nostra
interpretazione~-alternativa, di carattere istituzionale, nel senso
___heil comportamento reale del sistema economico dipende dal
tipo di istituzioni esistenti. Il nostro esame dell'economia quindi
tiene conto delle cooseguenze sulla realt derivanti dagli specifici
meccanismi di creazione di moneta, di finanziamento degli inve-
stimenti e di determinazione dei salari monetari. Se ha luogo una
serie di aumenti progressivi dei salari monetari (soprattutto nel-
l'industria produttrice beni di investimento), se le usanze del si-
stema finanziario sono tali che quando si crea una domanda di
finanziamento per gli investimenti vengono sempre resi disponi-
bili i fondi necessari, se le manovre della Riserva Federale sono
vincolate dalla necessit di impedire l'emergere di crisi e di
deflazioni creditizie, e se infine la posizione di politica fiscale del
governo tale che il livello minimo accettabile del saggio di di-
soccupazione assai basso, allora la nostra interpretazione alter-
nativa del modllo keynesiano ci porta a concludere che i prezzi
aumenteranno allo stesso saggio di crescita dei salari o addirittura
212 CAPITOLO NONO

pi rapidamente, a causa dell'influenza di aspettative inflazioni-


stiche. Ogniqualvolta la prospettiva di una sostanziale riduzione
dei posti di lavoro risulta inaccettabile ai membri dei sindacati,
aumenta il potere di questi ultimi; e ogniqualvolta gli imprendi-
tori vedono che i passati aumenti salariali sono stati scaricati sui
prezzi, la loro ostilit a ulteriori aumenti diminuisce corrispon-
dentemente. Dalla combinazione di un prolungato periodo di be-
nessere economico, di un sistema finanziario poco solido e di un
livello di disoccupazione socialmente accettabile assai esiguo, sca-
turisce una miscela che alimenta il processo inflazionistico.
Se i sindacati dell'industria dei beni di investimento godono di
un grosso potere e se il governo segue una politica per la piena
occupazione basata sul sostegno degli investimenti, allora assai
probabile che abbia luogo un processo inflazionistico. JUn au-
mento salariale nell'industria delle costruzioni, per esempio, pro-
voca uno slittamento verso l'alto della curva di offerta dei beni
di investimento e quindi costringe le autorit fiscali e monetarie
a modificare le proprie azioni in modo tale da far aumentare il
prezzo di domanda dei beni di investimento di pari passo con il
prezzo di offerta. Il prezzo di domanda per dipende dal livello
atteso delle quasi-rendite; per provocarne un rialzo in ogni settore
economico le autorit devono ricorrere a una indiscriminata poli-
tica inflazionistica. / !
Che aumenti salariali nell'industria dei beni di investimento
siano in grado di generare inflazione in un sistema economico
dove gran parte degli investimenti finanziata esternamente, ri-
sulta evidente non appena si esamini il meccanismo di finanzia-
mento degli investimenti stessi. La capacit delle imprese di auto-
finanziare i propri investimenti dipende dal livello corrente delle
quasi-rendite, le quali a loro volta dipendono dal livello corrente
dei prezzi dei prodotti finali. Se a causa di aumenti salariali nel
settore produttore di beni di investimento si verifica un aumento
del prezzo di offerta di questi ultimi e se, a causa di aspettative
ottimistiche ( o addirittura euforiche), gli investimenti rimangono
a livelli elevati, allora la differenza fra costi (aumentati sostanzial-
mente) e fondi interni deve essere colmata facendo ricorso a
finanziamenti esterni. L'aumento dell'ammontare richiesto di
fondi esterni quindi maggiore di quanto non ci si aspetterebbe
alla luce dell'aumento del prezzo dei beni di investimento. Affin-
ch le quasi-rendite future raggiungano un livello tale da generare
IMPLICAZIONI DI POLITICA ECONOMICA 213

contante in misura sufficiente a far fronte all'aumentato onere di


impegni di pagamento (dovuto agli obblighi finanziari connessi
al finanziamento esterno), necessario che aumenti la quota dei
profitti nel reddito globale o che il livello generale dei prezzi si
adegui al nuovo livello salariale dell'industria dei beni d'investi-
mento. In un'economia vicina alla piena occupazione, non pos-
sibile (a meno che non aumentino le imposte o i sussidi diretti
alla produzione) far aumentare la quota di profitti nel reddito
oltre un certo limite, passato il quale necessario che i prezzi
correnti dei prodotti finali si adeguino perfettamente al nuovo
livello salariale dell'industria dei beni d'investimento (sempre che
non vengano aumentati i sussidi alla produzione); se ci non av-
viene, allora bisogner rinunciare o alla piena occupazione o
all'espansione degli investimenti.
L'ipotesi che la disponibilit di fondi un elemento essenziale
per generare e mantenere un livello sostenuto di attivit produt-
tiva (ipotesi di stampo, a nostro parere, genuinamente keynesiano)
stata convalidata dagli eventi accaduti dal r966 in poi. Volendo
trovare conferma all'ipotesi che la generazione endogena del ciclo
una caratteristica intrinseca delle economie capitalistiche basta
far riferimento al boom degli investimenti degli anni sessanta e
alla capacit inventiva mostrata dal sistema finanziario nell'esco-
gitare sempre nuovi metodi per soddisfare la domanda di fondi.
Grazie alle efficaci manovre della Riserva Federale tendenti a im-
pedire l'insorgere di crisi e grazie al sostegno del reddito garantito
dal livello elevato del bilancio federale si riusciti a evitare un
processo deflazionistico creditizio sul larga scala. Senza gli effetti
ti calmanti" esercitati dalle crisi e dalla deflazione creditizia sulle
ottimistiche previsioni degli operatori circa il successo di opera-
zioni speculative, si alimenta una tendenza al rialzo dei prezzi e si
favorisce un processo di stratificazione finanziaria sempre pi
intenso.
L'impiego degli strumenti di politica economica suggeriti dai
modelli neoclassici riuscito a modificare l'andamento del ciclo,
non a eliminarlo. Le recenti esperienze americane, quindi, sono
coerenti con l'interpretazione di Keynes da noi suggerita: ci tro-
viamo di fronte a un sistema intrinsecamente instabile, la cui
instabilit ti al rialzo".
Il laissez-faire ormai un ricordo del passato: le economie con-
temporanee sono ti regolate", anche se il tipo di regolamentazioni,
214 CAPITOLO NONO

e controlli non quello immaginato da Keynes. Il sistema di im-


poste e sussidi stato formulato in modo tale da favorire gli
investimenti privati, senza considerazione alcuna per la loro utilit
in termini sociali. Per quanto riguarda la distribuzione del red-
dito, la strategia adottata non stata quella suggerita da Keynes
di far aumentare il rapporto consumi/reddito; anzi, si cercato
di far aumentare il reddito netto delle imprese, il che ha un effetto
deprimente sul rapporto consumi/reddito. (Nel 1929 negli Stati
Uniti il rapporto spese per consumi personali/reddito era pari
allo 0,75, mentre nel 1972 esso era 0,63.) Questo tipo di distribu-
zione del reddito ha favorito la proliferazione di bisogni non
essenziali che tendono a far perdurare lo stato di scarsit del capi-
tale. La pubblicit ha stimolato il consumo di beni materiali a
scapito di ci che Keynes definiva "la qualit della vita civile",
e le spese militari non hanno fatto che dissipare beni capitali:
questi due fattori hanno contribuito ad alimentare uno stato di
perdurante scarsit di capitali. Invece di imboccare il sentiero in-
dicato da Keynes (secondo il quale era necessario innanzitutto
soddisfare i bisogni primari di tutta la popolazione, elevando il
livello minimo di consumo pro capite, per dedicarsi poi al soddi-
sfacimento di pi elevati ideali non economici), la strategia del
sostegno indiscriminato degli investimenti privati ha attirato
l'economia nel vortice senza fondo del consumo superfluo, senza
limiti di saturazione. Lo squallore dell'opulenza americana forse
dovuto alla mancanza di ideali, all'adozione di un criterio di va-
lore secondo il quale non vale la pena di tribolare per ottenere
semplicemente "di pi".
Il successo di una strategia di sostegno degli investimenti pri-
vati dipende dalla crescita permanente di bisogni non essenziali
che ripaghi le spese d investimento; esso dipende inoltre dall'ado-
zione di una politica che sostenga e faccia aumentare le quasi-
rendite dei beni capitali, vale a dire i redditi degli imprenditori e
dei rentier. Questo fatto per stimola la speculazione, soprattutto
perch il conseguimento del profitto garantito dalla stessa poli-
tica economica. La conseguenza che gli speculatori trovano
sempre nuovi sistemi per modificare la struttura delle proprie
passivit in modo tale che non solo vengono date in pegno pro-
porzioni crescenti degli introiti di contante attesi, ma anche si
rende necessario un continuo rifinanziamento delle posizioni di
portafoglio. Una strategia per la piena occupazione fondata su
IMPLICAZ:ONI DI POLITICA ECONOMICA 215

livelli elevati di investimenti e profitti conduce, nonostante il so-


stegno di un'attivit politica fiscale e del sistema della Riserva
Federale, verso un sistema finanziario sempre pi instabile e pro-
voca oscillazioni sempre pi marcate nell'andamento dell'econo-
mia. La politica economica in un breve lasso di tempo si trova a
dover affrontare problemi opposti: ora prevenire una depressione,
ora far riprendere la stagnante attivit economica, ora imbrigliare
le pressioni inflazionistiche, ora controbilanciare una stretta cre-
ditizia, e cos via, in successione ciclica. L'instabilit finanziaria
e il ciclo economico, la cui esistenza stata sempre un fatto sto-
rico, sono ricomparsi all'orizzonte. facile oggi capire come l'ap-
parente stabilit e solidit del sistema finanziario degli anni cin-
quanta e dei primi anni sessanta non sia stata che un accidente
storico, una conseguenza della seconda guerra mondiale e della
Grande Crisi (e del troppo breve intervallo temporale intercorso
tra questi due eventi).
Nessuna economia, regolata o meno che sia, in grado di
perpetuarsi restando libera, se essa non viene considerata equa e
tendente a promuovere la giustizia sociale. Ma per realizzare
questo obiettivo con mezzi economici necessario che esista
un certo consenso circa il rapporto che deve intercorrere tra
differenze dei redditi e differenze nei contributi apportati alla
creazione collettiva del reddito. In un'economia urbana stret-
tamente interdipendente non possibile raggiungere un tale
consenso se non vengono posti dei limiti alle disparit di red-
dito. Affinch una qualsiasi economia (ma soprattutto un'eco-
nomia regolata) possa fondarsi su basi solide necessario che lo
Stato intervenga distribuendo benefici ed esigendo imposte in
modo considerato corretto ed equo. In un certo senso, possiamo
dire che le misure prese per sostenere la produzione e per im-
pedire la disoccupazione "fissano" le regole del gioco chiamato
"vita economica" e che, affinch il sistema possa perpetuarsi,
necessario che esista la diffusa convinzione che le regole siano
state fissate correttamente e con giustizia.
Siamo quindi costretti a ritornare alla questione normativa
di fondo: a favore di chi devono essere fissate le regole del
gioco e che tipo di beni devono essere prodotti? Se il fine per-
seguito il raggiungimento di uno stato vicino alla piena occu-
pazione, allora possiamo dire che, finora, il sistema della rin-
corsa tra bisogni e sprechi si dimostrato efficace. Grazie a
216 CAPITOLO NONO

investimenti che non hanno apportato incremento alcuno ( o


quasi) allo stock netto di beni capitali utili, grazie a costanti
preparativi bellici e grazie a un consumismo sfrenato si riu-
sciti a mantenere la piena occupazione. Risolto cos il problema
della disoccupazione e del ristagno, il risultato per non stato
un senso di miglioramento del benessere degli individui. Ricchi
e poveri si sentono al centro di un insensato vortice inflazioni-
stico, mentre tutt'intorno l'ambiente biologico e sociale si in-
quina.
Inoltre siccome livelli elevati e sostenuti di investimenti e di
profitti dipendono da, e favoriscono, la speculazione sulle strut-
ture delle passivit, le fasi espansive diventano sempre pi diffi-
cili da controllare; l'unica alternativa sembra essere quella di
lasciar galoppare l'inflazione o provocare una deflazione credi-
tizia che potrebbe concludersi in una grave depressione econo-
mica. Il successo delle politiche economiche basate sulla W eltan-
schctUung tipica dell'interpretazione tradizionale del pensiero
keynesiano potrebbe rivelarsi alquanto effimero. Rispetto a dieci
anni fa oggi oggettivamente pi difficile dar vita a un periodo
di sostenuta espansione priva di tensioni inflazionistiche.
Durante l'era Kennedy-Johnson ( 1960-68) venne formaliz-
zata e applicata una strategia economica basata su investimenti
elevati, alti profitti e massicce spese militari, catalogata sotto la
rubrica "una politica per lo sviluppo economico". L'alternativa
oggi possibile offerta da una strategia basata su consumi ele-
vati. Non appena ci si rende conto che, soprattutto in un pe-
riodo di quasi piena occupazione e di crescita economica, pr-
sino la stabilit, date le istituzioni finanziarie del capitalismo,
ha effetti destabilizzanti, appare ovvio che la strategia da perse-
guire quella di ridurre la dipendenza del sistema dagli investi-
menti privati, ovvero alterare la distribuzione del reddito in
modo tale da far aumentare la propensione media al consumo,
impegnandosi contemporaneamente in un programma di con-
sumi e investimenti sociali.
Un'economia dove i settori guida sono socializzati, dove i
consumi collettivi soddisfano una grossa quota di bisogni pri-
vati, dove la tassazione dei redditi e della ricchezza tende a ri-
durre le disparit economiche, dove esistono leggi che limitano
le possibilit di speculare sulla struttura delle passivit, una tale
economia, dicevo, potrebbe dimostrarsi capace di raggiungere e
IMPLICAZ!ONI DI POLITICA ECONOMICA 217

mantenere uno stato di piena ( o quasi) occupazione senza con


ci generare quelle tensioni e quella instabilit inerenti alla stra-
tegia economica correntemente adottata.
Dal momento che una socializzazione dei settori guida per-
fettamente compatibile con l'esistenza di un ampio, prospero
settore privato in costante crescita, questa strategia basata sul
consumo potrebbe dimostrarsi pi consona all'esplicazione delle
capacit imprenditoriali di quanto non sia il sistema attualmente
vigente. La strategia basata su livelli elevati di investimenti e
profitti legata all'esistenza di imprese e di organizzazioni fi-
nanziarie di dimensioni gigantesche, in quanto esse vengono
considerate le pi adatte per ottenere e per concedere finanzia-
menti esterni su larga scala. Tuttavia, quando un'impresa rag-
giunge le dimensioni delle attuali megaimprese americane, essa
tende a diventare inefficiente e poco dinamica. Una politica eco-
nomica che privilegi il consumo, che riduca le disparit di red-
dito, che ponga limiti sulle strutture delle passivit, congiunta a
una politica industriale che argini il potere delle megaimprese,
dovrebbe risultare pi favorevole all'iniziativa e all'imprendi-
torialit individuali di quanto non lo sia la strategia politica
attuale.
Cos come stanno oggi le cose, senza controlli sui meccani-
smi di finanziamento degli investimenti e senza una politica di
alti consumi e di bassi investimenti privati, il mantenimento della
piena occupazione provoca una spirale di opulenza, un'infla-
zione galoppante e continue minacce di crisi finanziarie.
Alla luce sia della nostra interpretazione alternativa di Key-
nes sia dei recenti avvenimenti, risulta chiaro che esistono limiti
precisi al buon funzionamento di un'economia capitalistica. In
essa permane una tendenza a generare gravi crisi finanziarie e
cicli economici, tendenza che, date le istituzioni oggi esistenti,
sembra poter essere superabile solo mediante un processo infla-
zionistico continuo (se non addirittura accelerato). Tuttavia la
nostra interpretazione alternativa ci mostra come sia possibile,
adottando misure appropriate di politica economica, migliorare
la situazione attuale: a tal fine necessario in primo luogo porre
dei vincoli alle strutture delle passivit delle imprese; il finan-
ziamento mediante prestiti di beni di investimento e di posizioni
di portafoglio in beni capitali deve essere regolamentato soprat-
tutto nel caso delle organizzazioni di dimensioni molto ampie.
218 CAPITOLO NONO

Inoltre bisogna ridurre la dipendenza del sistema dagli investi-


menti privati e dalle spese pubbliche senza benefici visibili (per
esempio le spese in armamenti). Invece di adottare una strate-
gia in base alla quale i livelli di reddito dei lavoratori e dei ceti
indigenti vengono migliorati come mero risultato di uno "stilli-
cidio" dell'incremento di reddito dei ceti abbienti, necessario
imboccare la strada opposta, sostenendo e aumentando in modo
diretto i redditi dei ceti indigenti e costringendo i ricchi ad as-
sumersi certi rischi.
Come abbiamo gi avuto occasione di ricordare, siccome le
ripercussioni finanziarie di una strategia basata su elevati livelli
di profitti e di investimenti hanno effetti destabilizzanti, si po-
trebbe argomentare che il successo che finora ha arriso alla cor-
rente strategia economica di natura effimera e transitoria. Se
ci vero e se ci si vuole mantenere nei pressi della piena oc-
cupazione, allora il nostro approccio alternativo, che privilegia
il consumo e che sostiene una distribuzione del reddito egalita-
ria, potrebbe rivelarsi essere una via alternativa, fattibile e com-
patibile con l'efficienza economica, la giustizia sociale e la li-
bert individuale. Allargando l'orizzonte, possiamo immaginare
il succedersi di ere per ciascuna delle quali si rivelano adatte
diverse strategie di piena occupazione e di distribuzione del
reddito: a un periodo di elevati livelli di investimenti e di profitti
pu seguirne uno ad alti livelli di consumo e con una distribu-
zione del reddito egalitaria, e cos via in alternanza. Come sem-
pre, passeremo la nostra esistenza in continua transizione: non
esiste una soluzione definitiva al problema dell'organizzazione
della vita economica.
La rivoluzione di teoria e di politica economica che Keynes
credeva di aver dato alla luce abortita in un duplice senso. Da
un punto di vista teorico, gli elementi rivoluzionari furono suc-
cessivamente riformulati in termini di equilibrio statico e quindi
assimilati alle dottrine classiche. L'obiettivo della rivoluzione in
campo di politica economica era quello di raggiungere i fini
perseguiti dai socialisti, senza con ci dover ricorrere allo sta-
talismo e alla massificazione che Keynes riteneva scaturissero
dalla confusa e obsoleta analisi compiuta dai socialisti della realt
(e dalle conseguenti prescrizioni di politica economica). Cos
come stata interpretata, la teoria di Keynes non fornisce af-
fatto la base per una dottrina radicale originale e razionale: l'in-
IMPLICAZIONI DI POLITICA ECONOMICA 219

terpretazione corrente fa di Keynes l'apostolo di un neoconser-


vatorismo, che favorisce gli investimenti alle spese dei consumi
privati e pubblici e che promuove la diseguaglianza economica
a spese della giustizia sociale.
Per poter disporre di una soddisfacente analisi che spieghi il
comportamento dell'economia capitalistica negli anni settanta,
dunque necessario fare un passo indietro e riflettere sui pro-
blemi cui si trovavano di fronte gli economisti negli anni trenta
(cio nel periodo in cui fu scritta la Teoria generale). Analoga-
mente, per comprendere le questioni di politica economica che
stanno di fronte alle economie capitalistiche avanzate contem-
poranee, necessario fare riferimento al dibattito degli anni
trenta sui meriti relativi del capitalismo e del socialismo e alle
questioni da esso sollevate. Se, come nel caso di Keynes, si a
favore di un regime misto che preserva le propriet fondamen-
tali del capitalismo, lo si non a causa delle virt del libero
regime capitalistico, ma nonostante i suoi difetti che, per quanto
gravi, possono in linea di principio venir limitati. Ma se si vuole
regolamentare il capitalismo cos da realizzare la triade di effi-
cienza, giustizia e libert, allora nel delineare i controlli neces-
sari bisogna partire da un dato di fatto che a Keynes risultava
perfettamente ovvio: per quanto riguarda la stabilit dell'occu-
pazione e la distribuzione del reddito, il sistema capitalistico
intrinsecamente tarato.
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i
Indice analitico

Accumulazione, 37 Banca, 77
e rendimento dei beni capitali, assalto agli sportelli bancari, 1 15
1o6 sg. banca centrale, 152
Ackley G., rr sg. depositi bancari, 51
Amministrazione pubblica, ampiez- durante una deflazione creditizia,
za della, 170, 205 166
Ammortamento, e prezzo d'offerta societ per azioni e famiglie vi-
del prodotto finale, 181 ste come, 115
Annualit, 93 vedi anche Banchieri; Sistema
attivit e passivit viste come, 93 bancario
beni capitali visti come, 130 Banchieri, 155, 184
quasi-rendite viste come, 130 e "clima delle aspettative", 156
Armamenti, corsa agli, 201 e imprese, 164
Assegni familiari, 199 e rischio del creditore, 150
Assicurazione: e saggio di indebitamento, 156
e rischio del creditore, 146 e sistema bancario durante un
moneta come polizza di, 103, 105 boom, 187
Attivit (beni capitali), 51 e stato del credito, 157
attributi dei beni capitali, 107 finanziano imprese e famiglie, 155
liquide, 105 vedi anche Banca; Sistema ban-
tipi di, IIO cario
valutazione delle, 19, 25, 93, 105 Be~gar my neighbour, politiche del,
sg., 173 206
Autorit monetarie e finanziamento Beni:
esterno, 186 ad alta intensit di capitale, 200
Azioni, 156 capitali, vedi Beni capitali
Azioni, prezzi delle, 134, 149, 158, di consumo collettivo, 203
160 strumentali, 11 3
determinano gli investimenti, 159 Beni capitali, 51 sg., 100
durante una crisi, 166 acquisizione di, 143 sg., 175
ed efficienza marginale del capi- attributi dei, 107
tale, 149 aumento del prezzo dei, 119
224 INDICE ANALITICO

curva di offerta dei, 128 degli investimenti, 18, 210, 212 sg.
determinazione del prezzo dei, 92, e crisi, 84
107, 120-22 e offerta di fondi di finanziamen-
di nuova produzione, domanda di, to, 162
132 e rischio del debitore e del cre-
e impegni di pagamento in con- ditore, 149sg.
tante, 144 speculativi degli investimenti, I06
e investimenti, 123 vincolo di bilancio durante un, 176
e offerta di moneta, 138 vita precaria del, I 52
e quasi-rendite, 180sg. Borsa valori, 158
e rischio del debitore, 144
finanziamento dei, 97 Cambiali commerciali, 161
prezzo dei, 100, 102, 104, 120, 122 Cambridge, 11 sg., 15, 198
sg., 131-33, 136, 139, 152sg. Capitale, efficienza marginale del,
prezzo di domanda dei, 108, 138, 48, So, 82
166 curva dell', 128-32
prezzo di offerta dei, 126, 142, definizione di Keynes, 130
145, 180 e fluttuazioni degli investimenti,
valutazione dello stock di, 51 sg., 133
143 e prezzi delle azioni, r 34
visti come titoli finanziari, 173 e saggi di interesse, 130 sg.
Beni capitali, prezzi dei: e stato del credito e della fiducia,
e domanda dei beni di investi- 157
mento, 122sg. Capitale, incremento del valore del,
e intermediazione finanziaria, 163 Il 3
e moneta, wo, 121sg., 149sg. Capitale, mercato perfetto del, 112,
e saggio di interesse, 104 134
e scelte di portafoglio, 149 Capitale, produttivit marginale del:
e strutture delle passivit, 121 ambiguit della, 127
Bilancio d'impresa, vedi Stato(i) pa- e teoria della distribuzione, 128
trimoniale(i) Capitale, scarsit del, 193, 199sg., 214
Bilancio in pareggio, teoremi del, e domanda privata, 200
33, 43 e politica economica, 2 13
Bilancio, vincolo di, 173 sg., 188 scarsit perenne e consumi "vi-
aggregato, 178 stosi", 200
degli investimenti, 176 Capitale, stock di (richiesto), 198
della spesa per consumi delle fa- Capitalismo, 5, 22 sg., 28 sg., 192, 195
miglie, 176 andamento tipico del, 178
e finanziamento esterno degli in- disfunzioni del, 77, 188
vestimenti, 178 e socialismo, meriti relativi, 219
globale, 176 genera crisi e cicli economici, 217
Bisogni, 199, 201 vedi anche Economie capitalisti-
e scarsit del capitale, 214 che avanzate
non essenziali e sostegno degli in- Capitalizzazione, saggio di, 132sg.,
vestimenti, 2 r 4 I 35-38, 184
Boom, IO, n., 83, u3, 119sg., u8, determinazione del, 134
140, 149, 168, 176 e margine di garanzia, 144
banchieri e, 160 e offerta di moneta, 137 sg.
INDICE ANALITICO 225
e politica di diversificazione, 144 Contante, flussi di, 51, 109, 112sg.,
e rendimenti futuri attesi e im- II7, 119, 126, 128, 143sg., 1sr,
pegni di pagamento in contante, 175
143 definizione dei, 93-98
e trappola della liquidit, 154 e banche, II4 sg.
sui beni capitali e sui debiti, e bilanci delle societ, 169
r43 sg. e decisione speculativa, 115sg.
sui crediti monetari, 136 e detenzione di moneta, 105
Cassa, impegni di, 117, 164, 184 e domanda di moneta, 93-98, 106
e passivit finanziarie, 97 e investimento, 128
e saggio di indebitamento, 145 e rendimenti Q e q, 126
Chicago, Universit di, 14 e societ per azioni e famiglie,
Ciclo economico, 8, 17, 19 sg., 26 sg., 115
30, 77-81, 169, 172 e valore delle att1v1ta, 105
come caratteristica intrinseca del impliciti ed espliciti, 108, 137
capitalismo, zi3 sui prestiti, 143sg.
e prezzo dei beni capitali, 139 Contante, impegni di pagamento in,
e scarsit del capitale, 128 121sg., 135,164,187
forma del, 170 e struttura delle passivit, 105, 116
politica economica e, zi5 Contratti finanziari:
pro~pettiva analitica del, 78-85, 106 e rischio del creditore, 145
sconfitta del, 209 sistema dei, 200
teoria del, 81, 83 sg. Costi, curve dei (nella teoria tradi-
vedi anche Boom zionale dei prezzi), 110 sg.
Circolo Bloomsbury, 16 Creazione monetaria, meccanismo
City, 170sg. di, 186, 21 I
come paradigma, 97 e fondi di finanziamento, 16o
Clower R., 97 Credito, 157, 16o, 162
Comitato dei Consiglieri economici Creditore, rischio del, 140-51, i88
del presidente, 11 e rifinanziamento, 159
Comunisti, 191; vedi anche Marxisti e saggi d'interesse sui prestiti, 159
Consumi, 36-41, rz4, 166, 177, 196, Crescita, 209 sg., 216
203 e modello neoclassico, 172
andamento dei, durante il ciclo modelli di, 45 sg.
e nel lungo periodo, 70 Crescita demografica, 202
dei lavoratori, 175 Crisi, 10, 153sg., 166, 211
e deflazione, 71 fanno diminuire il grado di si-
elevati livelli di, 217 curezza, 87
propensione ai, 196, 216 finanziarie, 27, 210 sg., 217
"vistosi" e scarsit del capitale, teoria delle, 86
200 Curva di Phillips, 63
Consumo, funzione del, 10, 26, 31-
34, 49, 54 Darwin C., 9, 24
ciclica, 27 Debiti, 183 "
di lungo periodo, 70 emissione di, 117, 120, 183
stabile in termini di unit sala- fondi necessari per il paga~o
rio, 127 dei, 187 ./ ,.,.. "'!"-
modelli basati sulla, 33 onere dei, 69, 183

15
226 INDICE ANALITICO

prezzi dei, 120 di baratto, paradigma dell', 17, 78,


rifinanziamento dei, JI6, 152; vedi 97, 170
anche Finanziamento esterno mista, 204
Debiti a breve, "consolidamento" monetaria ( definizione di Key-
dei, 166; vedi anche Finanzia- nes), 78
mento, meccanismi di Edgeworrh F. Y., 88
Debitore, rischio del, 140-49, 151, 188 Edilizia, 183, 186
durante una deflazione creditizia, "Effetto Keynes", 70
166 Effetto saldi reali, 71, 7 5, 179
e incertezza, 144 sg. Efficienza economica, 192 sg., 195,
e prezzo di domanda dei beni 218
capitali, 144 Efficienza marginale, vedi Capitale,
Deflazione, 174 efficienza marginale del
dei salari monetari, 68 sg. Einstein A., 9, 24
e domanda aggregata, 71 sg. Equilibrio, IO, 32, 49
Deflazione creditizia, 84, 86, 166-69, completo, 72
216 d piena occupazione, 10, 18, 32
e crisi, 213 e mercato del lavoro, 61
e Riserva Federale, 210 sg; marshalliano, 82
vincolo di bilancio durante una, modello classico, 61, 68
176 visione di Keynes, 82
Depositi vincolati, 16o Era edwardiana, 16, 198 sg.
Depressioni, 27, 128; vedi anche Era Kennedy-Johnson, II, 216
Boom; Ciclo economico Era vittoriana, 198
Disequilibrio, 5, IO, 63, 67 sg., 91 Eredit, diseguaglianza delle, 196
e investimenti, 90 sg. Espansione, 22
permanente, 91 monetaria, 15
Disoccupazione, 180 sg. normale nei vincoli di bilancio,
come non pieno impiego dei beni 176
capitali, 181
e quasi-rendite, 181 Fiducia, 81, 124, 157, 159
e rigidit, 55 Finanziamento:
Domanda aggregata, 10, 16, 18, 25 costi di, vedi Mantenimento, co-
sg., 34, 39, 43, 56, 173-75 sti di
Domanda di beni d'investimento, 48, dei beni capitali, 97
182 meccanismi capitalistici di, 93, 169,
funzioni della, 48 172; vedi anche Finanziamento,
Domanda di moneta, funzione mar- meccanismi di
shalliana di, 48 Finanziamento esterno (mediante
Domanda effettiva, 174 prestiti), 141-45; 149-52, 164
Drenaggio fiscale1 teoremi del, 33 degli investimenti, 174
degli investimenti e delle posizioni
Economia basata su elevati livelli di d portafoglio, 2 r 7
investimenti e di profitti, 205 di acquisti di azioni, 159 sg.
Economia(e): e banchieri, 155
capitalistica, 1o, 21, 77 e consenso del mercato, 146
capitalistiche avanzate, 5, 7, 28, 77 Finanziamento, meccanismi di, 21,
79 92, 173, 209
INDICE ANALITICO 227
curva d'offerta dei fondi di finan- Hansen A., 34, 47
ziamento, 162 Hicks J. R., 11, 24, 34, 47-61, 76, 125
e determinazione del prezzo dei Hoover H., 13
beni capitali, 92
e impegni contrattuali, 140 Impegni contrattuali, 182
finanziamento esterno, 36, 182, e quasi-rendite, 182
184, 213 Imprenditorialit, definizione di, 158
fondi di finanziamento e meccani- Incertezza, 25, 41, 47, 78, 81 sg., 86-
smo di creazione monetaria, 160 90, 115, 118, 138, 174, 177, 179,
fondi di finanziamento e politica 209
di diversificazione, 160 decisioni in condizioni di, 5, 10,
fondi di finanziamento interni, 20, 22, 28, 46 sg.
141, 184, 212 e fluttuazioni degli investimenti,
funzione regolatrice del sistema 127, 168
finanziario, 171 e preferenza per la liquidit, 100
importanza dei, 5, 140 e propriet di attivit finanziarie,
ruolo destabilizzante del sistema 142sg.
finanziario, 170 equivalenza tra proposizioni certe
solidit del sistema finanziario, e, 88 sg.
170 e rischio del debitore, 144-46
vedi anche Finanziamento ester- e saggio di capitalizzazione, 136,
no; Sistema finanziario I 39
Fisher I., 24, 86, 102, 166 e scelte di portafoglio, go
e la teoria quantitativa, 98 e struttura finanziaria, 92
e l'equazione degli scambi, 98 e strutture delle passivit, 168
Flessibilit dei salari, effetti disequi- e usi della moneta, 98
libratori della, 73 sg. e valutazione delle attivit, 112
Fondi federali, 160 sg. nel modello Hicks-Hansen, 54
Freud S., 9, 24 Indebitamento, saggio di, 164
Friedman M., 12 banchieri e, 156sg.
capacit inutilizzata di prendere a
Garanzia, margine di, 140sg. prestito, 151
e attivit liquide, 142 e costo dei prestiti, 151
Gestione, accentramento di, 94, 161 e finanziamento degli investimen-
Giustizia sociale, 192sg., 195, 215, ti, 149, 159
218 sg. India, esaminata da Keynes, 9
Grande Crisi, 5, 13-15, 29, 79sg., 86, Individualismo, 193
I 13, 200, 203 Inflazione, 4, 170, 174, 183, 186
Grandezze monetarie, variazioni del- e politiche fiscali e monetarie, 186
le, 182 e saggio di salario monetario e
Guadagni in conto capitale, 147, costo delle utilizzazioni, 179
152 e saggio di salario monetario nel-
mediante detenzione di moneta, l'edilizia, 212 sg.
183 e sindacati, 212
Guerra, 26, 206 e strutture dei debiti, 185
Guerra fredda, 206 galoppante, 216 sg.
Guerra mondiale (seconda), 5, 25, Inghilterra, 13, 85, 205
200, 215 Instabilit finanziaria, 4, 8, 27, 215
228 INDICE ANALITICO

Interesse, saggi di, 50-sz, 92, 94, 101 finanziato mediante prestiti, 142
sg., 129 sg., 137 sg. funzione d'offerta dei beni di, 150,
definizione dei, 125 179, 185
e andamento degli investimenti, instabilit degli, 77
130 sg. liquidit del mercato degli, 157
e investimenti, 125 modello del processo di, 174
e prezzi dei beni capitali, 102, rn4 offerta dei beni di, e salari mone-
e tesoreggiamento, !04, 124 tari, 174, 179
rilievo eccessivo dato ai, 131 prezzo di domanda dei beni di,
struttura dei, 54 128, 150, 212
Intermediazione finanziaria, 163 prezzo d'offerta dei beni di, 126,
Investimento(i): 18 sg., 46, 90, 119 129, 183, 212
aggregato, 149 sg. profitti non distribuiti e saggio
andamento degli, 157, 168 d'indebitamento, 177
boom speculativo degli, rn6, 213 socializzazione degli, 23, 194, 203,
capacit di finanziare gli, median- 205
te prestiti, 159 teoria del ciclo generato dagli, 90
curva d'offerta dei beni di, 129, teoria keynesiana degli, 134, 177,
183 179
domanda di beni di, finanziata da vincolo di bilancio per gli, 176
variazioni delle grandezze mo- Istituti non bancari, 163
netarie, 182 Istituzioni, 5, 14, 21, 211
e borse valori, 158 Istituzioni bancarie, z 1
e ciclo economico, 124 sg. e vincolo di bilancio, 173
e costo delle utilizzazioni, 180 limiti della politica bancaria, 203
e deflazione, 71 natura speculativa del sistema ban-
e domanda aggregata, 173 cario, 187
e funzione della produzione, 89, vedi anche Sistema bancario
91, 140
e incertezza, 91 Kaldor N., 37
e interesse, 125-40 "Keynesismo bastardo", 29, 78
e meccanismi capitalistici di fi-
nanziamento, 172 Laissez-faire, 28, 195, 213
e occupazione, 173 Lavoro, curva di offerta di, 59
e prezzo di domanda dei beni ca- Lavoro, domanda di:
pitali, 133 curva di, 59
e rischio del debitore e del cre- eccesso nozionale di, 65
ditore, 147, 150 e investimenti, 173
e saggio di indebitamento, 149, funzione neoclassica di, 55
177 Lavoro, mercato del:
e sistema finanziario, 81 analisi aggregata del, 55
fattori che determinano il livello analisi classica del, 68
degli, 51, 132 e schema IS-LM, 54-67
favoriti, 214 nel modello Hicks-Hansen, 50
finanziamento degli, 177, 211 posizione di disequilibrio sul, 65
finanziamento esterno degli, 117, Leontief W. W., 35
178 Libert individuale, 192 sg., 195,
finanziamento interno degli, 142 218
INDICE ANALITICO 229
Liquidit, 112, n4, 138, 170, 181 come scorta di valore, rn3
delle attivit capitali e dei merca- concetto di, 17
ti dei titoli, I 56 determinazione endogena della
di un bene capitale, 138 quantit di, rn1
e fattori di capitalizzazione, 133 e debiti, 51
e flussi impliciti di contante, 137 e funzione del risparmio, 72
e prezzo dei beni capitali, 137 e mercati delle attivit, 156
e prezzo relativo delle attivit, e prezzo dei beni capitali, 120 sg.
109 e saggio d'interesse, 51, 71
Liquidit, preferenza per la, 52, rn2 e schema IS-LM, 52
e equazioni della domanda di mo- esterna, 69
neta, 98-102 e transazioni finanziarie, 99
e livello dei prezzi, 61 sg. e valore delle attivit, I05, 155
e offerta di moneta in termini rea- importanza speciale della, 97
li, 70 in un'economia capitalistica, 97
e saggio d'interesse, 137 in un'economia soc_ialista, 97
funzione della, vedi Preferenza interna, 69
per la liquidit, funzione della mercato della, 49
Liquidit, premio di, rn8 sg., 119, 122 neutralit della, 10, 17, 34, 53
e variazione delle grandezze mo- premio di liquidit sulla, 120
netarie, 122 propriet della, 96
Lloyd George D., 14 quoziente moneta/crediti mone-
Londra, 198 tari, 137
valore reale della quantit di, 69
Macroeconomia, 28, 31 Moneta contante:
Mantenimento, costi di, rn7-09, 112 come polizza assicurativa, 97
sg. prezzo della, !04
Marshall A., 34, 48, 75, 82 sg., 88 propriet speciali della, 96
Marx K., 9, 24, 37 Moneta, domanda di, 39, 49, 52 sg.,
Marxisti, 15-17, 192 76, 98-!02, 176
Mercati delle attivit, 156 a scopo precauzionale, rn6
Mercati finanziari 1 22, 95, 164, 173 a scopo speculativo, rn2, 163, 165
e investimenti, 125 per transazioni, 53
Mercato azionario, 119 sg. Moneta, "offerta di, 50, 62, 186, 211
Mercato, meccanismo di, 193 e beni capitali, 186
e piena occupazione, 203 e domanda di fondi di finanzia-
Microeconomia, 28 mento, 177
Modelli acceleratore-moltiplicatore, e livello degli investimenti, 139
33, 44-46, 84 sg.
Modello Hicks-Hansen, 34, 47, 49 e livello dei prezzi, 61 sg.
sg., 54, 58, 63, 67, 188 e saggi di capitalizzazione, 137
e mercato del lavoro, 57 sg. e salari monetari, 57
funzione LM del, 49 influsso della, sul sistema econo-
Modigliani F., 12 mico, 140
Moltiplicatore, 42-44, 46, 166 nello schema IS-LM, 50
Moneta, 18,.26, 98sg., rn7 sg., 120 sg. Moneta, quantit di, 60, 139, 149,
come "polizza assicurativa", 97, 161
!03, !05 in termini reali, 71 sg.
230 INDICE ANALITICO

Moneta, rendimento della: dopo la seconda guerra mondiale,


e costo di mantenimento, 105, 107 205
implicito, 107 piega conservatrice, 205
Moneta, teoria quantitativa della, 10, Pigou A. C., 88
12, 17-20, 35, 57, 61, 72, 98 Politica fiscale, 17, 29, 45, 73, 169,
versione di Cambridge della, 12, 189
98 sg. Politica governativa, 6, 186, 190 sg.,
Monetarismo, 35 194, 200
Motivo precauzionale, 99, 106 Politica monetaria e fiscale, 6, 76,
ed effetti finanziari, 1 oo 154, 209
Portafogli, 92 sg.
Occupazione, funzione della, 56-60, beni capitali visti m termini di,
193; vedi anche Piena occupa- 173
zione caratterizzazione dei, 93
Offerta, funzione aggregata di, 56 del settore privato, 77
Ohlin B., 24, 100 e condizioni dei mercati finanzia-
Opulenza, 198-200 ri, 177
spirale della, 217 e incertezza, 90, 103
squallore della, 214 natura speculativa dei, 103
scelte di, 93, 118, 149
Pagamento, impegni contrattuali di, Portafoglio, funzione di, e teoria
135 degli investimenti, 179
Partito conservatore, 192 Portafoglio, posizioni di, 93, r 15,
Partito laburista, 191 2 I I, 217
Partito liberale, 190-92 elementi speculativi nel finanzia-
Passivit, 105, 115 sg., r 18 sg. mento di, 121 sg.
durante un boom, 162 finanziate mediante prestiti, 164
gestione delle, 162 sg., 210 sg., 184
Passivit, struttura(e) delle, rn5, 116, rifinanziamento delle, r 14, 160
214 Posizione, assunzione di:
complessa, r64 durante un boom, 164
durante un boom, 187 mediante rifinanziamento, 187
e incertezza, 169 mediante vendita di attivit, 152
e prezzi dei beni capitali, r 2 1 Povert periodica, 3
ereditata dal passato, 148, 164 Preferenza e incertezza, funzioni di,
e stato delle aspettative, 159 88
Patinkin D., 12, 34 Preferenza per la liquidit, funzione
Piena occupazione, ro, 18, 22 sg., della, 48, 52-54, 60 sg., 92 sg.,
183 sg., 206 sg. 100
e ampiezza della pubblica ammi- e determinazione del prezzo dei
nistrazione, 204 beni capitali, 12 2
e processo inflazionistico gene- slittamenti della, IOI
ralizzato, r 86 trattazione di Hicks della, 48
instabilit della, 47 Preferenze, sistemi di, 6, 19, 62,
politica di sostegno per la, 183, 173
186 Prenotazione, prezzo di, 182
Piena occupazione, politica di: Prestiti/capitale netto, rapporto, 148
basata sugli investimenti, 2n-13 Prestiti, stratificazione dei, 163
INDICE ANALITICO 231
Previsione, modelli econometrici di, marshalliane, 110
26, 33, 37 sg., 46 non misurano la produttivit mar-
Prezzi, livello dei, IO, 122sg., 129, ginale, 127
179, 183
determinazione del, secondo Key- Rapporti finanziari:
nes, 58 complessi e sofisticati, 97 sg.
e funzione della preferenza per la e vincolo di bilancio, 173
liquidit, 6o Recessione:
e produttivit, 57 bilancio durante una, 176
e saggio di salario monetario, 56- successiva a una deflazione cre-
58, 179 ditizia, 166
modello a due livelli dei prezzi, Reddito(i):
123 da capitale sussidiati dalla politi-
nel modello Hicks-Hansen, 50 ca economica, 200 sg.
Probabilit, 86 sg. dei rentier, 195, 197, 207, 214
Produttivit marginale, vedi Capi- percepito durante l'esistenza m
tale, produttivit marginale del vita, 40 sg.
Produzione, funzione della, 6, 19, tassa negativa sui, 199
61, 172sg. Reddito, distribuzione del, 193, 195-
aggregata, 55 202, 205, 207, 214, 216, 218
e incertezza, 89 sg. egualitaria, 207, 218
e investimenti, 140, 173 e scelte di politica economica, 216
e livello dei prezzi, 56 logica ed equa, 207
Profitti: Rendimenti, 108
e impegni finanziari, 112 di un bene capitale, 127
lordi, I I I, 175 di un bene d'investimento, 126
non distribuiti, 175sg., 182sg. Rendimenti futuri attesi, 127
quota dei, nel reddito, 213 capitalizzazione dei, 132
Pubblicit, 214 definizione dei, 125sg.
e bisogni non essenziali, 199-201 e flussi di contante, 144
e incertezza, 133
Quasi-moneta, 101 e prezzo di domanda dei beni ca-
e prezzo dei beni capitali, IOI pitali, 133
Quasi-rendite, 111-13, 117, 166, 175, e prezzo d'offerta dei beni capi-
18osg., 184-87, 214 tali, 129
beni capitali e livello dei prezzi, variabilit dei, 132
139 Rendita ricardiana, 181
capitalizzazione delle, 129sg. . Rentier, 208, 215
e costo delle utilizzazioni, 180 eutanasia del, 193, 197, 200 sg.,
e curve dei costi, 110 208
e flussi di contante, 112sg. scomparsa del, 200
e impegni contrattuali, 182 Rentier, redditi dei, 207, 214
e investimenti, 107 e diseguaglianza economica, 197
e livello dei prezzi, 212 e scarsit del capitale, 195
e piena occupazione, 184 Rigidit, 33, 75, 78
e prezzo dei beni capitali, 182-84 dei salari, 74
e scarsit del capitale, 130 Rischio:
e stratificazione dei debiti, 163 avversione al, 117, 144, 149
232 INDICE ANALITICO

del creditore, vedi Creditore, ri- assunzioni fondamentali della, 70


schio del Keynes interpretato dalla, 75
del debitore, vedi Debitore, ri- teorema fondamentale della, 55
schio del Sistema bancario, 14, 19, 155, 170
e liquidit, 157 e finanziamento degli investimen-
Riserva Federale, 169, 210 sg., 213, ti, 186
215 e moneta interna, 74
efficacia della, 219 normale funzionamento del, 114
manovre della, 19, 2 11 statunitense, 160sg.
Risparmio e diseguaglianza econo- Sistema finanziario:
mica, 196 fragilit del, 26, 210 sg.
Robertson D. H., 20, 188 solidit del, 26, 21osg.
Robinson J., 29, 37, 78, 169 vedi anche Finanziamento, mecca-
Roosevelt F. D., 13-15, 27 nismi di
Socialismo, 22, 191sg., 195, 203-206,
Salari: 218 sg.
e curva d'offerta dei beni capitali, Socializzazione:
127 degli investimenti, 195, 203-06
e curva d'offerta dei beni d'inve- dei settori guida, 217
stimento, 185 Sovrappi, 37
monetari, 179-85, 211 Speculatori, 120, 157, 159
monetari e inflazione, 183 banchieri,in quanto, 78, 160
monetari e investimenti, 179-87 Speculazione, 97, 99, 104, 117, 160,
nell'industria produttrice beni d'in- 162sg., 187, 209sg., 214
vestimento e inflazione, 2 12 sg. definizione di, 158
Salari monetari, 68 sg., 179-86, 211 e boom degli investimenti, 187, 210
e determinazione dei prezzi, 68 e flussi di contante, 115, 142
e funzione d'offerta <li beni d'in- e imprenditorialit, 158
vestimento, 180 e livello dei prezzi dei beni capi-
e politica antinflazionistica, 187 tali, 100
in Hicks, 50 e struttura delle passivit, 216
rigidit dei, 72 ruolo fondamentale della, 119sg.
Samuelson P., 12 Stabilit, effetti destabilizzanti della,
Scarsit come causa delle quasi- 168, 216
rendite, 127 Stagnazione, 85, 106
Scelte di portafoglio, natura specu- Stalin }., 204
lativa delle, 19 Stati sistemici, 83, 172
Schema IS-LM, 34, 47-54, 70 transitoriet degli, 187
e mercato del lavoro, 54-67 Stati Uniti, 4, 199, 206
e modello classico, 61-63 Stato(i) patrimoniale(i), 118
Sconto, saggio di, 181 flussi di contante e, 169
Shaw G. B., 11 in una deflazione creditizia, 166sg.
Sicurezza, margine di, 210 interrelazione tra vari, 156
Simons H. C., 14, 114, 188 modificazioni, 153
Sindacalisti, 191 Stock di azioni ordinarie e vlore di
Sindacati, 74, 186, 191, 212 mercato dell'impresa, 120
Sintesi neoclassica, 3, 5, 12, 30, 32, Stretta creditizia, 115, 170
55, 67-73, 172sg., 179, 188 Struttura finanziaria stratificata, 116
lND:CE ANALITICO 233
Svalutazioni, 170 Unit-salario, 127
Sweezy P. M., 11 sg. Utilizzazioni, costo delle, 127_,174,
182
Tagli salariali, 182sg. definizione del, 110
e disoccupazione, 179 e funzione d'offerta dei beni d'in-
Tecniche finanziarie, innovazioni vestimento, 179
nelle, 102, 168 e prezzo d'offerta, 179 sg.
Teoria economica classica:
ambiziosit della, 63 Velocit di circolazione, 62, 76, 161,
derivazione dal modello Hicks- 177sg., 183
Hansen, 60-63 Vendite rateali, sistemi di, 36
ed equilibrio di piena occupazio- finanziamento a riporto staccato,
ne, 72, 205 117
in veste moderna, 61 finanziamento esterno, 36
modelli della, 68 finanziamento interno, 141, 184
politica economica suggerita dal- Vietnam, 206
la, 76 Viner J., 6, 11, 76, 188
teoria classica dei prezzi, 6, 20 replica di Keynes a, 24 sg., 76-79,
Teoria neoclassica, 40, 77 83 sg., 88, 102, 104, 106 sg., 113,
Tesoreggiamento, visione di Key- u8, 129
nes del, 104
Transazioni, motivo delle, 99 sg. Wall Street, 78, 97, 170sg.
Trasferimenti, 37, 199, 201, 203 Washington D. C., 15
TESTI E MANUALI DELLA SCIENZA CONTEMPORANEA
SERIE DI ECONOMIA
diretta da Mariano D'Antonio

Barberi Elementi di statistica economica


Blaug Storia e critica della teoria economica
Caff Politica economica: Sistematica e tecniche di analisi
Caravate e Tosato Un modello ricardiano di sviluppo economico
Chiang Introduzione all'economia matematica
Deangeli Lavoro e retribuzione: la politica del cottimo
Delens L'analisi del mercato
Forte (diretto da) Trattato di economia pubblica
voi. r Forte Princpi di economia finanziaria Cn 2 tomi)
voi. 4 Forte e Tarquinio Il bilancio dell'operatore pubblico
voi. 5 Forte, Bondonio e Jona Celesia Il sistema tributario
Gambino Introduzione all'economia creditizia
Hunt e Sherman Economia politica
Lange Introduzione alla econometrica
Lange Introduzione alla economia generale
Lange Teoria della riproduzione e dell'accumulazione
Minsky Keynes e l'instabilit del capitalismo
Napoleoni L'equilibrio economico generale
Schumpeter Il processo capitalistico: cicli economici
Stammati Il sistema monetario internazionale
Sylos-Labini ( a cura di) Prezzi relativi e distribuzicme del reddito
Vinci Programmazione lineare e teoria economica
W allis Elementi di econometrica

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