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RAYMOND BOUDON

EFFETTI "PERVERSI" DELL'AZIONE SOCIALE

Il volume raccoglie 8 saggi di Raymond Boudon, uno dei migliori e piu noti
studiosi contemporanei di metodologia delle scienze sociali, alcuni inediti e
altri già pubblicati su riviste internazionali. Diversamente dalla maggior
parte delle raccolte di saggi, questo libro costituisce un corpo integrato
di argomentazioni organizzate intorno al tema degli "effetti perversi",
ovvero le conseguenze inattese dell'azione sociale. Riprendendo un tema
radicato nella tradizione del pensiero sociologico ed economico e
sviluppato dal celebre sociologo americano Robert Merton in un saggio
del 1936, Boudon analizza le implicazioni di una serie di. decisioni
concernenti la domanda e l'offerta di istruzione e la riduzione della
diseguaglianza sociale, e sostiene che la mera giustapposizione delle azioni
individuali provoca degli effetti collettivi non necessariamente indesiderabili
ma tuttavia non presenti negli obiettivi espliciti degli attori. Queste
conseguenze inattese sono una fonte importante di cambiamento sociale,
non meno importante del conflitto di interessi tra i gruppi sociali, e tendono
a divenire sempre piu rilevanti man mano che le moderne società industriali
aumentano il loro grado di complessità e divengono sempre meno
programmabili. Boudon non nega la intellegibilità dei fenomeni sociali e la
razionalità della condotta umana, ma rifiuta il determinismo causale dei
fatti sociali a favore della razionalità limitata dell'agire sociale.
Il libro è scritto in modo assai chiaro, nonostante la complessità dei
problemi trattati ed è un invito al ragionamento e alla argomentazione per
studenti e cultori di filosofia e di scienze sociali. È un'opera che si pone
sul crinale tra cultura umanistica e cultura scientifica e che risulta
particolarmente adeguata a corsi e seminari universitari.

Raymond Boudon, sociologo francese, membro dell'Accademia americana delle Scienze e


delle Arti, è professore all'Università di René-Descartes a Parigi. In traduzione italiana sono già
stati pubblicati: Metodologia della ricerca sociologica (Il Mulino, 1974}; Strutturalismo e scienze
umane (Einaudi, 1970}; e, come coautore insieme a Daniel Beli, Le contraddizioni culturali
del capitalismo (BDL, 1978}.

L. 10.000 (IVA INCLUSA)


I fatti e le idee BIBLIOTECA DI SOCIOLOGIA
E SCIENZA POLITICA
Saggi e Biografie
diretta da
491 Alberto Martinelli
Questa collana si propone di offrire una base teorica per lo studio dei feno­
meni sociali e politici piu rilevanti della nostra epoca. Essa rivolgerà particolare
attenzione allo studio dello sviluppo delle società industriali e all'analisi delle
istituzioni e delle organizzazioni complesse, dei rapporti di classe e delle forme
di rappresentanza degli interessi, degli apparati di governo e delle relazioni interna­
zionali, pur senza trascurare gli altri aspetti dell'analisi sociologica e politologica.
La collana muove dal riconoscimento di una profonda affinità teorica e meto­
dologica tra la sociologia e la scienza politica contemporanee e di una loro speci­
ficità rispetto alle altre scienze sociali e alla storia, ed è particolarmente aperta
a contributi genuinamente interdisciplinari. La collana si caratterizzerà inoltre
sia per il suo respiro comparativo, sia per l'ampio spazio dedicato all'analisi del
sistema sociale e politico dell'Italia contemporanea.
Infine, i volumi pubblicati rifletteranno approcci diversi, al di là di paradigmi
teorici e di premesse ideologiche rigidamente determinate.
Raymond Boudon

Effetti "perversi "


dell'azione sociale

Feltrinelli Editore Milano


Titolo dell'opera originale

Effets pervers et ordre social


(Copyright © 19ì7 by Presses Universitaires de France, Paris)

Traduzione dal francese di


Antonio Chiesi

Prima edizione italiana: marzo 1981

Copyright by
©
Giangiacomo Feltrinelli Editore
Milano
Indice

Pagina 11 Introduzione
Sociologia e libertà
21 Capitolo primo
Effetti perversi e mutamento sociale
Un caso interessante di effetti perversi, ovvero come l'eguaglianza
può generare la diseguaglianza, 26. - Un altro caso: come ci si può
disinteressare del proprio interesse, 3 9. - Come i mali sociali p ossono
non essere causati da nessuno e giovare a nessuno, 47

58 Cap itolo secondo


Istituzioni sco lastiche e effetti perversi. l) Dopo il 1 96 8
Il fallimento della regolazione dei flussi, 59. - U n caso tipico: l'i nse­
gnamento superiore corto, 70. - Modernizzazione dell'università?,
76. - L'università, la politica e gli intellettuali, 82. A guisa di con­
-

clusione, 92

94 Capitolo terzo
Istituzioni scolastiche ed effetti perversi. 2) L'insegnamen­
to superiore corto
. Il fallimento dell'insegnamento superiore corto in Francia e altrove,
98. - 2. Il perché del fallimento: l'ipotesi del "bad bargain 1 0 9. -
",

3. Le trappole dell'azione co llettiva, 1 1 5

126 Capitolo quarto


La logica della frustrazione relativa
149 Cap itolo quinto
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls
1 77 Capitolo sesto
Determinismi sociali e libertà individuale
l. Due famiglie di paradigmi, 1 79. - 2. Paradigmi interazionisti: i
quattro tipi piu importanti, 1 83. - 3. Paradigmi di tipo marxiano,
1 8 9.
- 4. Paradigmi di tipo tocquevilliano, 2 0 1 . 5. Paradigmi di
-

tipo mertoniano, 2 09. - 6. Paradigmi di tipo weberiano, 2 1 4. 7.


-

Paradigmi deterministici: dalla sociologia al sociologismo, 2 1 9. - 8.


Conclusione, 227

7
a M. -R.
Introduzione

Sociologia e libertà

Questa osservazione ci offre l'occasione di enun­


ciare il compito principale delle scienze sociali
teoriche. Esso consiste nel determinare le riper­
cussioni sociali non intenzionali di azioni umane
intenzionali.

KARL PoPPER, Conjectures and Re/utations

Gli effetti perversi sono ben rioti agli economisti. In periodo di in­
flazione ho interesse ad acquistare oggi un prodotto che potrò usare
solo il mese successivo perché sono quasi sicuro che il suo prezzo allo­
ra sarà aumentato. Cosi facendo contribuisco ad aumentare l'inflazio­
ne. Naturalmente il mio comportamento ha un'influenza trascurabile a
riguardo, ma la logica della situazione vuole che molte persone si com­
portino come me. La sommatoria di queste influenze individuali infini­
tesimali genera quindi un effetto sociale .
Questi tipi di effetto , spesso chiamati effetti perversi, o effetti
composti, non appaiono solo nella sfera della vita economica. Non si
vede del resto perché debbano essere limitati alla sfera economica. In
realtà si può affermare senza esagerazione che sono sempre presenti
nella vita sociale e che rappresentano una delle cause fondamentali de­
gli squilibri e del mutamento sociale .
Molti fenomeni sociali comuni sono la manifestazione o la conse­
guenza di effetti perversi oppure risultano dallo sforzo fatto dalla col­
lettività per eliminarli. Consideriamo la coda che si forma davanti alla
porta del pasticciere, la domenica all'uscita dalla messa. Certamente
per rendere conto di questo fenomeno occorre spiegare perché i dolci
sono associati al rituale della domenica. Ma occorre anche spiegare
perché un numero consistente di persone accetta di fare una coda di
mezz'ora e di subire cosi un'attesa senza significato e psicologicamente
sgradevole. In effetti queste persone si trovano costrette all'attesa per
il fatto che la frequenza del loro arrivo non ha alcuna relazione con il
ritmo con cui il pasticciere può servirle. Conseguentemente ciascuno
impone agli altri una attesa sgradita. Lo scopo esplicito del comporta­
mento dei singoli si limita all'acquisto dei dolci, ma la conseguenza dei

11
Effetti "perversi " dell'azione sociale

comportamenti dotati della stessa finalità comporta una conseguenza


sociale non desiderata: una perdita di tempo imposta da tutti a ciascu­
no e da ciascuno a tutti senza che questa conseguenza sia inclusa negli
scopi di nessuno.
Consideriamo ora una situazione comune: i semafori. Perché cia­
scuno accetta senza recalcitrare troppo la moltitudine di piccole irrita­
zioni che costituiscono le soste ai semafori? Certamente perché senza i
semafori la circolazione sarebbe ancora piu difficoltosa. I semafori
hanno lo scopo di ridurre gli effetti perversi che risulterebbero dalla
contemporaneità degli spostamenti individuali destinati ad incontrarsi
perché giacenti sulle stesse traiettorie . E. importante notare che l'atte­
nuazione o l'eliminazione di un effetto perverso implica sempre conse­
guenze spiacevoli per i singoli come per la collettività. Il costo dei se­
mafori, la presenza dei vigili urbani, ·le irritazioni alle soste sono il
prezzo da pagare per l'eliminazione dell'effetto perverso. Certamente
sarebbero auspicabili soluzioni meno autoritarie e repressive dei sema­
fori. Si potrebbe immaginare una procedura democratica per cui ogni
singolo automobilista si assumerebbe nei confronti degli altri l'impe­
gno di effettuare ogni spostamento (per es. per la settimana successiva)
ad orari, velocità e secondo percorsi approvati in base ad una procedu­
ra di decisione collettiva . E inutile insistere sull'assurdità della soluzio­
ne : un'organizzazione del genere sarebbe tanto appesantita da rendere
preferibile la rinuncia ad eliminare gli effetti perversi dovuti alla con­
temporaneità non coordinata degli spostamenti piuttosto che neutraliz­
zarli ad un costo cosi proibitivo.
Il carattere proibitivo dei costi di eliminazione di un effetto per­
verso non è l'unica ragione del suo mantenimento . Un'altra configura­
zione fondamentale è rappresentata dal caso in cui la neutralizzazione
di un effetto perverso comporta necessariamente la neutralizzazione
non voluta di effetti collettivamente e individualmente desiderabili.
Questa configurazione capita di frequente. Il lettore troverà numerosi
esempi nel libro .
I semplici esempi che ho appena esposto rientrano nel campo di
ciò che Henri Lefebvre, Harold Garfinkel e gli etnometodologici chia­
mano la critica della vita quotidiana . Questi nomi sono sufficienti a
conferire agli esempi una dignità teorica. Questi autori inoltre hanno il
vantaggio di mostrare che i fenomeni piu concreti, banali, comuni e
apparentemente semplici della vita quotidiana rientrano in un campo
di indagine relativamente astratta, poco familiare e complessa. La coda
davanti al fornaio , i semafori, hanno una struttura astratta che è diffici­
le mettere chiaramente in evidenza senza fare ricorso alla strumenta­
zione tecnica della teoria dei giochi. Infatti se i fenomeni in questione
sono comuni, la loro struttura non è semplice . E. per questo che la loro
scoperta risale solo alla fine del XVIII secolo.
Preciso subito che queste considerazioni non pretendono di essere
originali. E acquisito che la scoperta di ciò che oggi chiamiamo effetti
perversi risale a Mandeville, Smith, Rousseau e a qualche altro filosofo

12
Sociologia e libertà

che a giusto titolo può essere considerato tra i precursori piu impor­
tanti della sociologia, come sottolinea Merton in un testo classico . 1
Ma questa constatazione essenziale di Merton è rimasta in grande
misura lettera morta. Quanto piu gli effetti perversi sono frequenti
nella vita sociale , tanto piu sono rari nella analisi sociologica moderna.
La tradizione di Mandeville, Smith e Rousseau è mantenuta viva e ar­
ricchita almeno fino a Marx , comprendendo coloro che , come Nisbet
ha opportunamente rilevato , appartengono fondamentalmente, sia per
l'orientamento intellettuale che per la metodologia, al secolo dei lumi.
Ma dopo Marx la tradizione è interrotta in sociologia. Solo qualche no­
me , a parte Merton stesso, può essere ricordato . Citiamo per esempio
Lewis Coser per gli Stati Uniti e Miche! Crozier in Francia. A parte
queste eccezioni e qualche altra, la maggior parte della produzione so­
ciologica non sembra aver fatto molto caso a queste contraddizioni, co­
me avrebbero detto Hegel e Marx, rappresentate dagli effetti perversi.
Se mi si permette questo riferimento personale, neppure io ne ho
ravvisato l'importanza nei manuali o nei classici della sociologia moder­
na. Il testo di Merton sulla previsione creativa ad una prima lettura mi
era parso uno splendido pezzo di bravura. Ma solo ora ne percepisco la
portata e la generalità . Le previsioni hanno la tendenza ad autorealiz­
zarsi non certo perché coloro che le fanno posseggono una capacità ef­
fettiva di leggere i disegni di Dio , ma perché una previsione diventa
un fatto sociale fin dal momento in cui viene ipotizzata . Se un numero
consistente di persone poste in situazioni analoghe sono spinte a nutri­
re le stesse convinzioni e a fare le stesse previsioni, si può assistere alla
nascita di un effetto perverso che assume in questo caso l'aspetto di
una realizzazione effettiva delle previsioni in questione. La credenza
collettiva dell'insolvibilità delle banche, causando la corsa agli sportelli,
ha provocato numerosi fallimenti bancari negli anni della grande de­
pressione.
L'opera di Merton dimostra in modo convincente che gli effetti
perversi giocano un ruolo essenziale, non solo nel caso di fenomeni
economici, ma allo stesso modo nel caso di fenomeni che tradizional­
mente appartengono al campo di interesse dei sociologi .
Per quanto mi riguarda, è nel campo della sociologia dell'educazio­
ne che ho incontrato, in un primo tempo senza accorgermene e in ogni
caso senza volerlo, un tipo di strutture caratterizzate dall'esistenza di
effetti perversi di diversa natura. Ho cercato di mostrare nell'opera
L'inégalité des chances2 che dopo la seconda guerra mondiale la logica
della domanda individuale di istruzione ha generato nelle società indu­
strializzate una moltitudine di effetti perversi sia collettivi che indivi­
duali. Voglio dire che la semplice giustapposizione di azioni individuali
ha comportato degli effetti collettivi e individuali non necessariamente

1 R. K. MERTON, The Unanticipated Consequences of Purposive Social Action, in "Ame­


rican Sociological Review", 1 93 6 , I, pp. 894-904. Merton cita anche Vico e Bossuet. Si po­
trebbe evidentemente aggiungere Spinoza.
2 RAYMOND BounoN, L'inégalité des chances, Colin, Paris 1 973.

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E/letti "perversi " dell'azione sociale

indesiderabili, ma in ogni caso non inclusi negli obiettivi espliciti degli


attori sociali. Gli aumenti di produttività probabilmente causati dall'au­
mento di domanda di istruzione individuale non rappresentano eviden­
temente un obiettivo perseguito direttamente dagli individui . In ogni
caso l'effetto cumulativo presenta un segno positivo sia per la colletti­
vità che per gli individui che la compongono . Sfortunatamente lo stes­
so fenomeno ha comportato anche effetti individualmente e senza dub­
bio collettivamente negativi. L'investimento in istruzione necessario ad
acquisire un livello qualsiasi nella scala di status socio-professionale è
per tutti piu elevato oggi di ieri. E certo che questo aumento del costo
individuale dello status sociale è dovuto solo in misura modesta agli
effetti del progresso tecnico sui livelli di qualificazione concernenti le
occupazioni. Per il resto è la manifestazione di un effetto perverso cer­
tamente non voluto a livello individuale , ma anche collettivo , poiché
contribuisce ad un aumento senza contropartita del costo del sistema
scolastico per la collettività. L'aumento stesso della domanda indivi­
duale di istruzione ha forse provocato un altro effetto perverso contri­
buendo ad aumentare la diseguaglianza dei redditi. Infine , ha senza
dubbio neutralizzato gli effetti positivi sulla mobilità sociale che si po­
tevano ragionevolmente attendere come risultato della democratizza­
zione del sistema scolastico . La caratteristica affascinante di questo ca­
so risiede non solo nella molteplicità, ma anche nella multidirezionalità
degli effetti generati.
Essendomi imbattuto , sul terreno stesso della ricerca, nell'impor­
tanza degli effetti perversi, ho avuto la curiosità di tentare di fare l'in­
ventario degli studi sociologici che mettono in evidenza effetti di que­
sto tipo. Non ho fatto fatica a trovarne un certo numero: la legge di
bronzo dell'oligarchia di Michels; la debolezza della partecipazione sin­
dacale e politica che caratterizza le democrazie ; il paradosso di T oc­
queville per cui la Rivoluzione francese è stata resa possibile dal rapido
miglioramento generale del tenore di vita nel periodo precedente; la
celebre proposizione di Durkheim secondo cui il miglioramento del
benessere collettivo può comportare la diminuzione della felicità indi­
viduale. La celebre teoria durkheimiana dell'anomia può in effetti es­
sere letta come la presa di coscienza delle conseguenze perverse gene­
rate da certe strutture di competizione sociale . Naturalmente la socio­
logia dell'organizzazione ha raccolto numerosi esempi di effetti perver­
si. Limitiamoci a citare il paradosso di DeutschJ: supponiamo un'orga­
nizzazione di grandi dimensioni, che deve prendere frequenti decisio­
ni; immaginiamo inoltre che la validità di queste decisioni possa essere
determinata senza ambiguità e che numerose persone siano in grado di
poter esprimere il loro parere. Un processo di questo genere condurrà
inevitabilmente a conferire a certi individui una reputazione di alta

3 Note on the Appearance of Wisdom in Large Burocratic Organizations, in "Beha·


vioural Science", gennaio 1 9 6 1 , pp. 62-7 8 .

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Sociologia e libertà

competenza, anche nel caso in cui i consiglieri, per ipotesi la scuola,


determinassero la o le scelte da seguire per semplice estrazione a sorte .
Cosi gli effetti perversi operano non solo all'interno dei fenomeni
comuni della vita quotidiana, ma in tutti i settori descrittivi che la so­
ciologia distingue: sociologia politica, sociologia dell'educazione, teo­
ria della stratificazione e della mobilità e tanti altri ancora. Per questo
non si può fare a meno di riconoscere l'importanza essenziale ,del sag­
gio di Merton sulla predizione creativa;' Questo articolo del 1 93 6 rap­
presenta, per quanto ne so, il primo testo teorico di un sociologo sulla
onnipresenza degli effetti perversi nella vita sociale e di conseguenza
sulla loro rilevanza capitale per l'analisi sociologica .
Poiché il concetto di effetto perverso costituisce il tema del pre­
sente volume, è opportuno introdurre fin d'ora qualche precisazione
terminologica. N elle pagine precedenti ho utilizzato la nozione di ef­
fetto perverso in un senso molto ampio che include sia gli effetti non
desiderati , anche se desiderabili, sia gli effetti non desiderati e indesi­
derabili . Riconosco che il termine effetto perverso si adatta meglio al
secondo caso che al primo. Difenderò tuttavia la definizione scelta ri­
correndo a due argomentazioni. La prima fa appello all'autorità di
Goethe. Nei celebri versi dove è difficile non riconoscere l'influenza
della filosofia politica dei lumi, Mefistofele si definisce come "Una
parte di quella forza che persegue sempre il male e ottiene sempre il
bene" 5 ( Ein Teil von jener Kra/t, die stets das Base will und stets das
Gute seh al! t ) . Possiamo trovarci facilmente d'accordo nel definire per­
versa l'azione dello spirito del male, anche se porta alla realizzazione di
effetti individualmente e collettivamente positivi. La mia seconda ar­
gomentazione riguarda il fatto che i meccanismi perversi socialmente
piu rilevanti sono quelli che portano alla produzione di effetti indesi­
derabili, che l'uso qualifica spontaneamente come perversi. Producen­
do squilibri sociali indesiderati e spesso imprevisti giocano un ruolo es­
senziale nel mutamento sociale . In altri casi utilizzerei, per designare
gli effetti perversi, la denominazione di effetti di composizione o quel­
la di effetti indesiderati. Tutte queste definizioni presentano inconve­
nienti. La prima è poco esplicita. La seconda induce a pensare che gli
effetti indesiderati siano necessariamente indesiderabili. Non è neces­
sariamente cosi. Ho occasionalmente usato anche l'espressione effetti
di aggregazione . Questa espressione, forse piu eloquente di effetti cu­
mulativi, ha l'inconveniente di prendere in prestito un concetto classi­
co dell'economia normativa per deformarne il significato.
Tuttavia, al di là delle difficoltà di vocabolario, l'importante è com­
prendere la definizione di questi effetti. Lo ripetiamo: si tratta di effet­
ti individuali o collettivi che risultano dalla giustapposizione di com­
portamenti individuali, senza essere inclusi negli obiettivi perseguiti
dagli attori. A partire da questa definizione possono darsi parecchie

4 R. K. MERTON, The Unanticipated . . . , cit.


5 Traduzione di Gérard de Nerval. La mia interpretazione del testo di Goethe è confer·
mata dall'utile opera di GEORGES LuKÀcs, Goethe un d seine Zeit.

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E/letti "perversi " dell'azione sociale

configurazioni esplicative . Alcune sono state date negli esempi prece­


denti. Gli individui possono raggiungere gli obiettivi effettivamente
perseguiti, ma devono sopportare contemporaneamente delle contra­
rietà non volute (la coda davanti al pasticciere ) . Possono non solo rag­
giungere l'obiettivo perseguito, ma raccogliere contemporaneamente
dei benefici non ricercati ( i benefici individuali che derivano dall'au­
mento di produttività causato dall'aumento della domanda di istruzio­
ne ) . Essi possono raggiungere i loro obiettivi individuali, ma produrre
parallelamente dei mali collettivi (aumento del prezzo d'acquisto dello
status sociale provocato dall'aumento della domanda di istruzione ) , o al
contrario produrre beni collettivi non esplicitamente ricercati ( "la ma­
no invisibile " di Adam Smith) . Ma i singoli possono non raggiungere
gli obiettivi che si sono preposti anche se hanno usufruito dei mezzi
migliori che avevano a disposizione per raggiungerli. E. il caso della
corsa agli armamenti che porta a perdite considerevoli tra le parti e ter­
mina con una situazione indecisa. Essi possono non solo raggiungere
un risultato individuale differente dall'obiettivo perseguito, ma pro­
durre contemporaneamente sia mali che beni collettivi non previsti nei
loro obiettivi. Infine occorre introdurre un'ultima distinzione essenzia­
le: beni e mali collettivi paralleli, cioè non previsti negli obiettivi degli
attori, possono rappresentare beni e mali non tanto per la collettività
nel suo insieme, quanto solamente per certi individui: l'aumento della
diseguaglianza dei redditi, che deriva forse dall'aumento della doman­
da di istruzione , è certo un male per alcuni e forse un bene per altri.
Lo stesso ragionamento è applicabile a casi in cui solo certi attori con­
seguono i loro obiettivi. L'esemplificazione piu immediata a riguardo è
rappresentata dalle strutture competitive .
Riassumendo, ci sono tanti esempi possibili quante combinazioni
tra i criteri seguenti:
l) Nessun individuo ( l a ) , alcuni individui ( lb ) , tutti gli individui
( le) raggiungono i loro obiettivi individuali;
2) producendo simultaneamente beni ( 2a) o mali ( 2b) oppure sia
beni che mali collettivi ( 2c ) ;
3 ) ciascuno d i questi beni e mali essendo applicabile solo a d alcuni
( 3a) o alla totalità degli individui ( 3b ) .
I l lettore incontrerà piu avanti numerose illustrazioni che rientrano
in questa o quella configurazione esemplificativa.
L'obiettivo di questo libro è di riprendere l'arringa lanciata da
Merton nel 1 93 6 a favore di ciò che può essere definito il paradigma
degli effetti perversi. E. poco utile discorrere in modo astratto di un
paradigma. Il miglior modo di difenderlo è di presentarne numerosi
esempi di applicazione sottolineando che il suo grado di generalità è
sufficiente a meritarne l'attenzione . Questa è la ragione per cui ho
scelto di affrontare il tema giustapponendo un certo numero di testi,
ciascuno dei quali costituisce un punto di incontro con il paradigma.
Due di questi saggi: Isti tuzioni scolastiche ed effetti perversi: 1) Dopo
il 1 96 8. 2) L 'insegnamento superiore corto proseguono l'impostazione

16
Sociologia e libertà

che ero stato portato ad adottare ne L'inégalité des chances e la utiliz­


zano nell'analisi dei fenomeni che appartengono alla sociologia dell'e­
ducazione e alle politiche dell'istruzione. Un saggio ( La logica della
frustrazione relativa ) tenta di porre in evidenza la struttura astratta co­
mune sia al paradosso di Tocqueville , sia alla teoria durkheimiana del­
l'anomia . Un saggio di argomento piu generale presenta un quadro
dell'importanza degli effetti perversi nel mutamento sociale ( Effetti
perversi ed equilibrio sociale ) . In ultimo due saggi generali si sforzano
di mettere in evidenza le implicazioni che l'onnipresenza degli effetti
perversi comporta per la teoria sociologica ( Determinismi sociali e li­
bertà individuale) e la filosofia sociale ( Effetti perversi e teoria sociale:
la teoria di Rawls ) .
L'onnipresenza degli effetti perversi conduce in effetti a conse­
guenze immediate riguardanti sia i paradigmi da utilizzare per l'analisi
dell'equilibrio sociale ( teoria sociale ) , sia le concezioni normative che
si possono avere di questo equilibrio (filosofia sociale) .
Per quanto riguarda il primo punto, la nozione stessa d i effetti per­
versi implica quella di azione . Un effetto perverso non può risultare se
non in un contesto analitico in cui il soggetto sociologico, l'homo so­
ciologicus, è concepito come mosso dagli obiettivi che vuole raggiun­
gere e dalle rappresentazioni che si fa dei modi atti a permettergli di
perseguire questi obiettivi. C'è anche una contraddizione logica tra il
paradigma degli effetti perversi e le rappresentazioni che fanno del­
l' homo so ci ologicus un essere mosso da forze sociali esterne. Il para­
digma, in altri termini, è incompatibile con il modello corrente nella
sociologia contemporanea di un homo sociologicus le cui azioni avreb­
bero l'apparenza di risposte determinate dalle strutture sociali. Il para­
digma degli effetti perversi non implica l'immagine di un homo socio­
logicus "razionale " , ma implica quella di un homo sociologicus "inten­
zionale " .
Riassumendo, il paradigma conduce naturalmente a questioni rela­
tive alla rappresentazione dell'azione nella teoria sociologica. Di conse­
guenza si è analogamente condotti a domandarsi quale statuto debba
prendere la nozione di libertà nella teoria sociologica. La diagnosi a cui
arrivo è che , nell'impossibilità di precisare i gradi di libertà di cui gli
agenti sociali dispongono in una data situazione , tenendo conto dei li­
miti strutturali, si è condannati a seguire delle teorie sociologiche poco
soddisfacenti. Le finzioni caratteristiche di certe tendenze nella socio­
logia contemporanea, tendenze secondo cui i soggetti sociali non
avrebbero altra scelta che piegarsi alla programmazione che le strutture
sociali impongono loro, mi sembrano votate alla sterilità . Le strutture
sociali impongono talvolta all'individuo delle scelte obbligate, ma se
non si ammette che si tratta di casi limite, ci si priva di ogni interpreta­
zione credibile dei fenomeni che il sociologo dichiara di voler analizza­
re, come i conflitti e il mutamento sociale . Ho cercato di affrontare
questi difficili problemi nel saggio Determinismi sociali e libertà indi-

17
Effetti "perversi " dell'azione sociale

viduale. N on ho assolutamente la pretesa di essere andato oltre l'indi­


viduazione di qualche elemento di risposta. C'è tuttavia un punto della
questione dove sono riuscito, a torto o a ragione , a convincere me
stesso: il sociologo non può trascurare l'importanza della libertà senza
esporsi a seri insuccessi.
Altre conseguenze immediate dell'onnipre senza degli effetti per­
versi hanno rilevanza, come già accennato, per la filosofia sociale. In­
tendo certe rappresentazioni normative dell'ordine sociale , che posso­
no essere riassunte semplicemente: l'onnipresenza degli effetti perver­
si rende poco credibile quelle che chiamerò utopie cibernetiche, cioè
le utopie che rappresentano le società come programmate o program­
mabili. • Al contrario di un'opinione corrente, le società industrializzate
moderne , aumentando la loro complessità, mi sembra che si allontani­
no, piuttosto che avvicinarsi, all'ideale ( o allo spauracchio) della "pro­
grammazione " . Domani le possibilità di manipolazione genetica di­
struggeranno forse il semi-equilibrio tra i sessi, che in generale era fin
ora garantito e poteva conseguentemente essere considerato "natura­
le " . Il progresso tecnico, volendo prendere in considerazione una ca­
ratteristica poco contestabile delle società industrializzate, fornisce a
nuovi tipi di effetti perversi l'occasione di svilupparsi. L'esempio del­
l'inquinamento è sufficiente a mostrarlo. L'aumento generale delle ri­
sorse di cui gli individui dispongono allargando i loro sistemi di opzio­
ne è un'altra tendenza potenzialmente generatrice di effetti perversi.
In breve, le contraddizioni che non sboccano in nessuna sintesi e i
conflitti cronici mi sembra che debbano essere considerati molto piu
caratteristici delle società industrializzate della programmazione auspi­
cata da alcuni e temuta da altri. Ho cercato di affrontare questi proble­
mi essenziali e difficili nella critica della teoria della giustizia di Rawls,
opera tipica delle utopie della programmazione . La grande debolezza
di questa teoria risiede nella sottovalutazione degli effetti perversi.
Sembrerebbe d'altra parte che Rawls non si renda conto che questi ef­
fetti perversi sono tanto piu importanti quanto piu è estesa la libertà
individuàle, intendendo per "libertà individuale " la lista dei comporta­
menti che l'individuo può adottare per sua scelta personale senza otte­
nere l'approvazione anche solo tacita da parte di altri.
Vorrei aggiungere due considerazioni. N elle pagine precedenti ho
dato una definizione implicita della nozione complessa di effetto per­
verso nel senso in cui adotto questa espressione nel presente libro . Il
denominatore comune delle diciotto configurazioni che la tipologia di­
stingue è dato dall'esistenza di effetti non esplicitamente voluti dagli
attori sociali. La tipologia indica che questi effetti non esplicitamente
voluti possono essere positivi, negativi e contemporaneamente positivi
e negativi per certi o per tutti e che inoltre gli attori ( tutti o qualcuno)
possono o non possono realizzare i loro obiettivi. La mia prima consi-

6 Cfr. per esempio A. ETZIONI, The Active Society, McMillan, New York, London
1968.

18
Sociologia e libertà

derazione è che bisognerebbe aggiungere un altro criterio all'insieme


proposto: talvolta è effettivamente essenziale per l'osservatore doman­
darsi se questi effetti perversi (piu precisamente se ciascuno di questi
effetti) erano non solo voluti ( gli effetti perversi sono sempre involon­
tari per definizione ) , ma anche previsti o imprevisti, persino prevedibi­
li o imprevedibili. Il secondo caso, quello degli effetti perversi non
previsti, corrisponde alle unanticipated co nsequences di Merton. Ma
gli effetti perversi possono in certi casi essere prevedibili e previsti.
Che possano essere previsti non implica che possano essere evitabili,
anche nel caso in cui siano negativi per tutti. Il lettore incontrerà altre
numerose applicazioni di questa proposizione fondamentale. In altri
termini propongo di considerare gli effetti non anticipati di Merton co­
me una sottoclasse particolarmente importante degli effetti perversi.
La seconda considerazione sarà ripresa piu volte nel corso del te­
sto . Parecchie analisi qui di seguito utilizzano l'assioma dell' homo so ­
ciologicus facendo di quest'ultimo un attore intenzionale , dotato di un
insieme di preferenze, che cerca dei mezzi in grado di realizzare i suoi
obiettivi, piu o meno cosciente del grado di controllo di cui dispone
sugli elementi della situazione in cui si trova (cosciente in altri termini
dei vincoli strutturali che limitano le sue possibilità di azione ) , che agi­
sce in funzione di informazioni limitate e in una situazione di incertez­
za. In poche parole l' homo sociologicus che ho utilizzato può essere
descritto come dotato di una raziona lità limitata, per riprendere una
definizione di Hayek . Mi permetto di insistere, con Hayek, sulla di­
stinzione cruciale tra razionalità limitata e razionalità assoluta. In certi
casi, non in tutti, si può abbandonare la distinzione per ragioni meto­
dologiche o didattiche , ma solo la nozione di razionalità limitata può
pretendere di essere realistica . Aggiungo inoltre che non nego in nes­
sun modo , né esplicitamente né implicitamente, che questo modello di
razionalità limitata possa essere falso o sviante . Esistono casi in cui gli
attori hanno una rappresentazione sistematicamente errata dei mezzi a
loro disposizione per realizzare gli obiettivi che si sono proposti. Esi­
stono forse casi in cui le preferenze degli individui sono contrarie ai
loro interessi. Uno degli obiettivi dei saggi seguenti è piuttosto quello
di suggerire che il campo di applicazione di questo modello è vasto . Sia
chiaro che questa posizione implica un rifiuto senza equivoci del socio­
logismo, cioè della dottrina per cui le intenzioni e le azioni dell'agente
sociale dovrebbero essere sempre considerate come effetti e mai come
cause .
Come il lettore ha notato il presente libro non è un testo integrato,
ma risulta dalla giustapposizione di saggi e articoli scritti indipendente­
mente in contesti diversi. A rischio di introdurre qualche ripetizione ,
ho conservato la maggior parte di questi saggi nella loro forma primiti­
va. Gli effetti cumulativi, la loro importanza per l'analisi sociologica ne
costituiscono il leitmotiv. A questo tema centrale sono state innestate
delle variazioni: nessun effetto cumulativo senza soggetto sociologico
dotato di capacità di azione e intenzione; importanza dell'effetto cumu-

19
Effetti "perversi " dell'azione sociale

lativo nel mutamento sociale; convergenza delle vecchie nozioni di dia­


lettica e di "contraddizione" ( nella loro formulazione accettabile) con
la nozione, espressa da Popper, Hayek e Merton, delle conseguenze
non volute delle azioni intenzionali; contraddizione tra effetti perversi
ed equilibrio sociale . Poiché in questi ultimi anni ho lavorato soprat­
tutto nel campo della sociologia dell'educazione, della mobilità e della
stratificazione , queste variazioni utilizzano spesso esempi tratti da que­
sti campi. Sono perfettamente cosciente che molte proposizioni
espresse nei saggi qui riuniti non sono dimostrate in modo sufficiente
e che certe analisi hanno il carattere di abbozzo ( questa osservazione
vale soprattutto per il capitolo sesto su Determinismi sociali e libertà
individuale, cosi come per il capitolo quarto su La logica della fru­
strazione relativa ) . Ho in programma di sviluppare in modo sistemati­
co, nelle prossime pubblicazioni, alcune delle questioni di teoria socio­
logica poste in questa raccolta di saggi. Ho pensato d'altra parte che
non fosse inutile porle in una tappa intermedia.

20
Capitolo primo

Effetti perversi e mutamento sociale

In materia di mutamento sociale la sociologia sembra uscire a ri­


troso da l XIX seco lo. Per alcuni la lotta di classe continua ad essere il
fattore dominante di una evoluzione concepita come necessaria. Per
altri il "progresso " tecnologico conduce inevitabilmente ad una tra­
sformazione globale delle società. A seconda delle inclinazioni di cia­
scuno, lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, i progressi
della biologia molecola re, la moltiplicazione delle imp rese multina­
zionali, gli intellettuali e i detentori del sapere sono di volta in volta
presentati come i portatori di ciò che Hegel aveva chiamato Geschicht­
lichkeit, la storicità.
E chiaro che cambiamenti localizzati hanno provocato intermina­
bili reazio ni a catena. Sembra dimostrato che l'introduzione dell'ara­
tro metallico abbia provocato cambiamenti importanti a livello globa­
le delle società. E vero che i conflitti sociali e in particolare i conflitti
di classe o, piu precisamente, tra le "organizzazioni " che rappresenta­
no piu o meno direttamente le classi sociali, hanno provocato in certe
congiunture storiche effetti di irradiazione che si sono estesi alle socie­
tà nel loro insieme. E vero che in certe circostanze, alcune categorie di
agenti sociali possono giocare un ru olo particolarmente importante,
come gli studenti nel corso degli anni Sessanta. Questi esemp i, a di­
spetto della loro incontestabile imp ortanza, non possono tuttavia co ­
stituire la base di una teoria generale del mutamento sociale.
Al di fuori degli effetti di irradiazione dei conflitti dovuti all'op­
posizione di interessi dei gruppi sociali, una fonte importante di muta­
mento sociale è costituita dagli effetti perversi. La crisi del sistema di
istruzione negli anni Sessanta è certamente in gran parte il risultato di
effetti di questo tipo: la convinzione per cui l'aumento massiccio di
istruzione non poteva p o rtare che benefici è stata smentita dai fatti. In
particolare l'eguaglianza delle p ossibilità scolastiche non porterà all'e­
guaglianza delle possibilità sociali. Teorie ingenue fecero di questa
"contraddizione" il prodotto dell'opposizione tra classe dominante e
classe suba lterna . Si può dimostrare l'inutilità di queste ip otesi e che la
contraddizione deriva invece da effetti perversi.
Come dimostra la sociologia p olitica moderna gli stati di tensione
o di crisi p o litica rappresentano spesso analogamente la manifestazio-

21
Effetti "perversi " dell'azione sociale

ne di effetti perversi. Senza dub bio le tensioni politiche risultano qual­


che volta dall'opposizione di interessi, ma in questi casi non si tratta
che di una configurazione particolarmente importante. Michels e poi
Olson hanno mostrato che le tensioni po litiche nascono frequentemen­
te dalla tendenza a ll'oligarchia delle istituzioni rappresentative. Que­
sta tendenza è la risultante di effetti perversi. In generale Rousseau e
piu recentemente Hotelling, Hirschman, Buchanan e Tullock hanno
mostrato l'imp ossibilità di definire delle istituzioni che garantisca no
una rappresentanza degli interessi di ciascun individuo. Ingiustizia,
diseguaglianza, conflitti non sono necessariamente il riflesso di feno­
meni di dominazione. So no spesso il prodotto dell'interdipendenza tra
gli agenti sociali e dell'impossibilità di defin ire un'organizzazione ot­
timale dell'interdipendenza.
La sfera dell'istruzione, cosi come quella della po litica, dimostra­
no che le crisi e il mutamento sociale risultano spesso non tanto dal­
l'effetto meccanico di fattori "dominanti " o di conflitti dotati di una
struttura di gioco a somma zero, ma da effetti perversi generati dall'in­
terdipendenza degli agenti sociali.
Questo saggio è stato p reparato per il IV Congresso internazionale
"Mutazioni: biologia e società " organizzato dall'Università René De­
scartes (Parigi V) (The International Organization for the Study of
Human Development, Paris, febbraio 1 977).

La storia non è nient'altro che l'attività degli uo­


mini che perseguono i loro obiettivi.

KARL MARX, La sacra famiglia

La sociologia è costantemente tentata da un'utopia: trovare la chia­


ve del mutamento sociale e perciò ridurre l'incertezza del futuro. Da
qui i diversi sforzi che possiamo notare nel XIX secolo tendenti a de­
terminare pretese leggi della storia. Karl Popper ha definitivamente
fatto giustizia di questi tentativi quando ha mostrato il carattere con­
traddittorio di questa nozione . ' Un'altra ossessione della sociologia è
stata quella di ricercare , in mancanza di introvabili leggi della storia, il
fattore fondamentale del mutamento. L'organizzazione della produzio­
ne dei beni, la distribuzione diseguale delle ricchezze e del potere so­
no state proposte per questo ruolo con alterne fortune . Oggi la mag­
gior parte dei sociologi è convinta che la ricerca delle leggi della storia
e dei fattori dominanti del mutamento costituiscano un vicolo cieco.
L'unica direzione di ricerca efficace, che è generalmente intrapresa
oggi, consiste nell'individuare processi di cambiamento tipici nella spe-

1 KARL PoPPER , Misère de l'historicisme, Plon, Paris 1956 (tr. it . , Miseria dello storici­
smo, Feltrinelli, Milano 1 975).

22
Effetti perversi e mutamento sociale

ranza che queste configurazioni col tempo possano integrarsi 1n un


quadro teorico generale. Gabriel Tarde2 vedeva nei processi biologici
di contagio un modello analogico generale di cambiamento sociale.
Oggi sappiamo che certi cambiamenti sociali derivano da questo tipo di
struttura, ma non tutti. Alcuni hanno visto nell'innovazione tecnica e
scientifica il motore principale del mutamento . Grazie alle ricerche di
Lynn White' siamo in grado di misurare meglio la concatenazione di
mutamenti sociali provocati dall'invenzione del vomere di metallo .
Uno studio classico di Henri Mendras4 mostra i cambiamenti a catena
provocati dall'introduzione del granoturco ibrido. Ma questo tipo di
mutamento per irradiazione a cominciare da un focolaio di innovazio­
ne, malgrado la sua frequenza, non è che un caso particolare . Molti
autori hanno visto nei conflitti di interesse la causa principale del mu­
tamento . Alcuni, come Marx, reputavano che i conflitti piu significati­
vi, cioè quelli piu carichi di potenzialità di cambiamento o, come dico­
no i filosofi tedeschi, di Geschichtlichkeit, concernessero la proprietà
dei mezzi di produzione . Oggi si tende ad accordare maggiore impor­
tanza ai conflitti relativi alla distribuzione del potere o dell'autorità. I
lavori di Alain Touraine5 e soprattutto di Ralf Dahrendorf6 sono esem­
pi significativi di questa tendenza. In effetti i conflitti sulla distribuzio­
ne del potere non sono, neppure nelle società industrializzate moder­
ne , i soli ad essere portatori di potenzialità di mutamento sociale . Mol­
ti conflitti odierni si riferiscono al tracciato di frontiera tra la sfera del
pubblico e quella del privato ( si veda per esempio la privatizzazione
dell'aborto e in senso generale il declino delle regolamentazioni pub­
bliche in materia sessuale, morale e culturale ) . E. quindi impossibile fa­
re di una classe particolare di conflitti la fonte privilegiata del muta­
mento sociale. Ma si può andare piu lontano: benché il mutamento so­
ciale sia spesso associato a conflitti di interesse, non sempre si realizza
questo caso. L'invenzione della ruota è stata una fonte di cambiamento
probabilmente tanto importante quanto la proprietà privata dei mezzi
di produzione. Allo stesso modo il mutamento risulta spesso da uno
scarto tra tradizioni e istituzioni e di conseguenza da un conflitto tra
istituzioni e gruppi sociali piuttosto che da un conflitto che vede grup­
pi sociali opposti tra loro . In questi casi conflitto significa non tanto
opposizione ma incompatibilità .
A seconda del caso il mutamento sociale può quindi essere dovuto
a conflitti o opposizioni di interessi, scarti o conflitti (il termine con­
flitti prende in questo caso il significato di contraddizione) tra istituzio-

2 GABRIEL TARDE, Les lois de l'imitation, Alcan, Paris 1 890.


' LYNN WHITE, Medieval Technology and Social Change, McMillan, New York 1 930
(tr. it., Tecnica e società nel Medioevo, II Saggiatore, Milano 197 5 ) .
4 HENRI MENDRAS, La fin des paysans, SEDEIS, Paris, "Futuribles", 1 967.
5 ALAIN TouRAINE, Production de la société, Seui!, Paris 1973 (tr. it., La produzione del­
la società, II Mulino, Bologna 1975 ) .
6 RALF DAHRENDORF, Class and Class Conflict i n Industriai Society, Stanford University
Press, Stanford 1 959 ( tr. it. , Classi e conflitti di classe nella società industriale, Laterza, Bari
1 970).

23
Effetti "perversi " dell'azione sociale

ni e cambiamenti locali che comportano effetti di irradiazione . La va­


rietà dei processi di mutamento sembra in altri termini irriducibile.
Nelle pagine seguenti vorrei isolare un meccanismo essenziale e
perciò presentare un capitolo importante dell'analisi del mutamento
sociale: questo meccanismo si chiama effetti perversi. Per riassumere
questo concetto in una parola si può dire che si hanno effetti perversi
quando due individui (o piu), alla ricerca di un dato obiettivo, genera­
no uno stato di cose non voluto, che può essere indesiderabile sia dal
punto di vista di ciascuno dei due individui, sia di uno solo dei due . E
possibile illustrare questo concetto con un esempio classico ripreso
dall'opera di J ean-J acques Rousseau. Rileggiamo per esempio il brano
della battuta di caccia, che ricopre un ruolo essenziale nel secondo Di­
scorso e che fornisce certamente la chiave di molte contraddizioni ( nel
senso logico del termine) tra il Discorso e il Contratto, di cui Rous­
seau è stato accusato, ma che ha sempre negato con rigore: due selvag­
gi egoisti, edonisti, razionali, decidono di cambiare la loro dieta, nor­
malmente composta di lepre, e di partire alla caccia del cervo. 7 A meno
che non ci troviamo in una società di abbondanza, si può supporre che
un selvaggio non possa da solo dominare un cervo . I due cacciatori,
dopo essersi messi d'accordo sul loro obiettivo ed essendo abbastanza
razionali da conoscere i mezzi atti a raggiungerlo, si mettono dunque
alla posta. Tuttavia, poiché si suppone che il senso di lealtà non esista,
secondo l'assioma del selvaggio adottato da Rousseau, la battuta di cac­
cia fallisce: in realtà il primo dei due selvaggi che vede passare la lepre
abbandona la guardia . Cosi, malgrado la chiarezza dell'obiettivo che si
sono preposti, malgrado la loro razionalità, benché la natura non limiti
i beni che mette a loro disposizione e a dispetto della mancanza di reci­
proca ostilità, i due selvaggi sono incapaci di raggiungere il loro obiet­
tivo . Il corollario del teorema di Rousseau è evidentemente che , anche
in condizioni ottimali, la cooperazione implica la lealtà. In altri termini
è necessario che ciascuno dei due compari si impegni a non defeziona­
re. Piu precisamente, ciascuno ha interesse ad accettare di essere san­
zionato nel caso in cui fosse tentato di defezionare . Chiaramente è su
questo teorema del Discorso che si basa in seguito il Contratto sociale.
Lungi dall'essere la prima opera un inno allo stato di natura e la secon­
da un elogio dello stato sociale , la seconda è il seguito logico della pri­
ma. La famosa espressione "costringere l'uomo ad essere libero" è una
contraddizione non nel senso logico, ma nel senso dialettico: la strut­
tura dell'interazione che suppone l'assioma del Discorso sull'origine
della diseguaglianza comporta come conseguenza il fatto che i due sel-

7 J .·]. RoussEAU, Ecrits politiques, in Discours sur l'origine de l'inégalité, Gallimard, Pa­
ris, col!. de la Pléiade, pp. 1 6 6-7 (tr. it., Editori Riuniti, Roma 19 68). Il rifiuto, piuttosto
diffuso in Francia, di una lettura individualista e utilitarista dell'opera politica di Rousseau ha
forse origine in MICHELET (cfr. La Révolution /rançaise, Gallimard, Paris, Pléiade, tomo I
p. 298; tr. it. , Storia della rivoluzione francese, Ed. per il Club del Libro, Milano 1 960-62)
che oppone l'utilitarismo del Contratto a ciò che oggi chiameremmo l'intuizionismo de La
Pro/ession de foi du vicaire savoyard, che accusa Rousseau di "incoerenza".

24
Effetti p erversi e mutamento sociale

vaggi non possono essere sicuri di raggiungere l'obiettivo che hanno


liberamente deciso di perseguire, se non accettano di essere costretti a
realizzarlo . L'eliminazione degli effetti perversi generati dallo stato di
natura è ottenuta con l'introduzione della costrizione nel caso in cui è
poco realistico aspettarsi l'apparizione della lealtà (come nel caso in cui
si abbia a che fare non con due ma con un numero notevole di attori).
E. utile sottolineare l'affinità tra questi sviluppi essenziali della teo­
ria politica di Rousseau e ciò che oggi chiamiamo teoria dei giochi. Si
può quindi tentare di formalizzare la dimostrazione del Discorso nel
modo seguente. Supponiamo che per ciascuno dei due attori una lepre
abbia un valore di 2 e la metà di un cervo un valore di 3 . Ciascuno dei
due attori dispone di due strategie: una strategia di cooperazione e una
strategia di defezione . La matrice di retribuzione ha allora la struttura
esposta piu sotto: se i due attori cooperano, ciascuno ottiene la metà
di un cervo . Se il secondo defeziona, mentre il primo coopera, il pri­
mo ottiene una retribuzione nulla e il secondo una retribuzione uguale
a 2. N el caso in cui le strategie siano invertite , anche le retribuzioni lo
saranno. Nel caso in cui i due facciano entrambi defezione, ambedue
ottengono una retribuzione di 2. Si può allora immaginare che, poiché
lo stato di natura esclude per Rousseau la lealtà, ciascuno dei due atto­
ri sia incerto sul comportamento dell'altro . Questa situazione può esse­
re riformulata supponendo che ciascuno stimerà come equiprobabile
l'adozione delle due strategie possibili da parte dell'altro . In queste
condizioni l'attore l ha una probabilità di guadagno ( 3 x 0,5 ) +
( Ox0,5)= 1 ,5 scegliendo la strategia cooperativa e di (2x0,5 ) +
( 2x O ,5) = 2 scegliendo la defezione . Naturalmente accadrà lo stesso
per il secondo attore. In questo modo ciascuno ha interesse a defezio­
nare, ma facendo cosi, ciascuno ottiene una retribuzione inferiore a
quella che avrebbe potuto ottenere cooperando . Naturalmente il para­
dosso non si produrrebbe se si attribuissero alla lepre e alla metà di un
cervo valori piu distanti, per esempio l e 4. Dunque l'analisi mostra,
non tanto che la battuta di caccia fallirà necessariamente, ma che può
fallire in certe condizioni sia contro che a causa delle volontà degli
attori. Per i cacciatori un buon modo di premunirsi contro questa trap­
pola è quello di proibire la defezione, cioè garantirsi contro la tenta­
zione di defezione accettando che questa proibizione sia accompagnata
da sanzioni.
Attore 2
cooperazione defezione

cooperazione 3,3 0,2


Attore l
defezione 2,0 2,2

In effetti il lettore avrà osservato che la struttura nell'interazione


illustrata dalla battuta di caccia del Discorso sulla diseguaglianza è si­
mile ad una struttura dell'interazione ben conosciuta nella teoria dei

25
Effetti "perversi " dell'azione sociale

giochi, il dilemma del prigioniero . Ora, un esito classico per gli attori
caduti in questa trappola consiste nell'accettare liberamente la costri­
zione che li obbliga a cooperare. Naturalmente la costrizione ( che può
prendere secondo i casi una forma pubblica o privata) non è il solo esi­
to possibile al dilemma del prigioniero . La lealtà è un altro, ma non è
verosimile in ogni situazione. Riassumendo: l'analisi di Rousseau di­
mostra che un cambiamento sociale fondamentale, l'istituzionalizzazio­
ne della costrizione , può risultare dagli effetti perversi generati dallo
stato di natura, cioè dalle situazioni in cui ciascuno può agire a suo pia­
cimento.

Un caso interessante di effetti perversi, ovvero come l'eguaglianza può


generare la diseguaglianza

L'esempio di Rousseau è di natura teorica, ma è facile illustrare la


relazione tra effetti perversi e mutamento sociale con numerosi esempi
che appartengono a processi concreti caratteristici delle società indu­
strializzate .
Affronterò innanzi tutto qualche dettaglio relativo ad un esempio
preso dalla sociologia dell'educazione . Questo esempio suggerisce che
la crisi che caratterizza tuttora i sistemi scolastici delle società indu­
striali da una dozzina d'anni è dovuta ad un accumulo di effetti perversi
che, al di là dei suoi effetti positivi, lo sviluppo dell'istruzione ha gene­
rato .
L'analisi delle conseguenze dello sviluppo considerevole dei tassi
di scolarità che caratterizza la maggior parte dei paesi da qualche de­
cennio è certamente assai difficile e controversa. Tutti sanno che i so­
ciologi, come gli uomini politici, videro per qualche tempo nello svi­
luppo dell'istruzione lo strumento privilegiato di una politica di egua­
glianza sociale . Gli economisti dell'istruzione restano spesso ancora le­
gati all'idea che lo sviluppo del sistema di istruzione conduca ad una
diminuzione della diseguaglianza retributiva . Fino a poco tempo fa i
sociologi vedevano nell'incremento del tasso di scolarizzazione un
mezzo per promuovere la mobilità sociale .
Il mio proposito non è quello di trattare globalmente il problema
delle conseguenze dell'aumento di scolarizzazione . Per quanto riguar­
da l'influenza di questo fattore sulla distribuzione dei redditi mi accon­
tenterò di rinviare il lettore ai lavori di Thurow .' Questi mostrano co­
me il prolungamento medio del tempo di istruzione determini non tan­
to una riduzione, ma piuttosto un auinento delle diseguaglianze econo­
miche , supponendo che la struttura delle professioni sia determinata
solamente in misura minima dalla modificazione nel tempo dello stock
di istruzione . Piu precisamente , se ci si limita alla distribuzione tra i

• LESTER C. THuRow, Education and Economie Equality, in "The Public lnterest," esta­
te 1 972, pp. 68-8 1 .

26
Effetti perversi e mutamento sociale

tre ordini classici dell'insegnamento (primario , secondario, superiore ) ,


si può dimostrare: l ) che la varianza dei salari relativi a ciascuno dei tre
livelli ha una tendenza alla diminuzione ; 2) che le medie dei salari rela­
tivi a ciascun livello presentano una tendenza ad allontanarsi reciproca­
mente.
L'evidenza di questo effetto perverso, che contraddice le proposi­
zioni spesso avanzate dagli economisti dell'istruzione, risulta dall'ipote­
si, a prima vista ragionevole , secondo cui la struttura delle professioni
(piu esattamente la struttura retributiva) si modifica piu lentamente di
quella che chiameremo struttura del sistema scolastico e cioè la distri­
buzione degli individui in funzione del loro livello di istruzione . 9
Il fondamento dell'ipotesi di Thurow è dimostrato a p osteriori dal
fatto che le conseguenze che ne derivano sono conformi all'osservazio­
ne del caso che analizza, gli Stati Uniti. In effetti si può osservare in
questo paese , tra il 1 94 9 e il 1 96 9:

l. Una riduzione delle diseguaglianze nei livelli di istruzione.


Per misurarla Thurow utilizza la tecnica di Gini-Pareto: sia N il nume­
ro totale degli anni di istruzione che caratterizzano una popolazione in
un tempo dato e n1 , n2, n10 il numero totale di anni che corrispondo­
. • •

no rispettivamente al 1 0 % della popolazione che gode del livello di


istruzione piu basso, poi al 1 0 % di popolazione immediatamente piu
istruita e in ultimo al 1 0 % dei piu istruiti. Si può constatare allora che
la parte dello stock totale di istruzione di cui dispone il 1 0 % meno
istruito cresce tra il l 949 e il l 96 9 , mentre la parte relativa al l O % piu
istruito decresce .

2. Un aumento delle diseguaglianze economiche. In effetti tra il


-

1 949 e il 1 96 9 la proporzione di fondo dei salari che percepisce il


l O% piu povero della popolazione tende a diminuire, mentre la parte
destinata al l 0% p ili ricco aumenta. Cosi lo sviluppo dei tassi di scola­
rizzazione si accompagna sia ad una diminuzione delle diseguaglianze
nei livelli di istruzione , sia ad un aumento delle diseguaglianze econo­
miche .10
Per un altro verso le statistiche americane mostrano che, confor­
memente alle conseguenze che derivano dall'ipotesi di Thurow, si assi­
ste certamente tra il l 949 e il l 96 9 : l ) ad una riduzione della varianza
delle retribuzioni relative a ciascuno dei tre livelli di scolarità; 2 ) a una
divergenza delle medie delle retribuzioni corrispondenti ai tre livelli.
Consideriamo ora l'influenza dell'aumento del saggio di istruzione sulla
mobilità sociale .
La conclusione di Thurow è che lo sviluppo del sistema scolastico

9 :t: impossibile fornire in questa sede una bibliografia dei lavori di economia dell'educa­
zione. A riguardo è possibile consultare l'utilissima collezione di testi raccolti dall'UNESCO:
Textes choisis sur l'économie de l'éducation, UNESCO, Paris 1 9 6 8 .
10 Thurow mostra che tra questi fenomeni non c'è solo correlazione, m a anche relazione

di causa a effetto. Per questa dimostrazione rimandiamo al testo dell'autore.

27
E/letti "perversi " dell'azione sociale

non si accompagna necessariamente ad una attenuazione delle disegua­


glianze economiche , anzi avviene proprio il contrario ; si può allo stes­
so modo mostrare che non vi è alcuna ragione per determinare un au­
mento di mobilità, anche se si supp one una diminuzione della disegua­
glianza nelle possibilità di istruzione.
Il tratto di frase in corsivo richiede una precisazione . Si ammette
talvolta, nella sociologia cosiddetta critica, che il sistema scolastico cau­
sa non tanto l'attenuazione , ma piuttosto l'aumento delle diseguaglian­
ze dovute alla nascita e che, di conseguenza, l'aumento del saggio di
scolarità non ha nessun motivo per essere accompagnato da una demo­
cratizzazione dell'istruzione . Certamente si possono produrre certe
statistiche, relative a certi paesi, concernenti preferibilmente periodi di
tempo molto brevi, da cui si ricava che le diseguaglianze delle possibi­
lità relative all'istruzione non manifestano una tendenza alla diminuzio­
ne . Ma quando si considerano periodi di venti, dieci anni o anche me­
no, e ci si sforza di acquisire una visione complessiva dell'evoluzione
delle diseguaglianze nell'istruzione nelle società industriali, si osserva
una diminuzione generale delle diseguaglianze di istruzione che è im­
possibile negare . Riguardo a questo punto la dimostrazione di Thurow
per· gli Stati Uniti può essere citata nella misura in cui non tiene conto
dell'evoluzione della struttura demografica della popolazione america­
na nel periodo che l'autore considera. Ma l'impressionante documenta­
zione statistica riunita dall'OCDE sul problema non lascia spazio ad al­
cun dubbio: nelle società industrializzate, e particolarmente nelle so­
cietà industrializzate di tradizione liberale, le diseguaglianze nei livelli
di istruzione presentano una tendenza costante alla diminuzione . "
I l problema è allora quello d i sapere perché l'espansione del saggio
di scolarità da una parte e la diminuzione della diseguaglianza delle
possibilità relative all'istruzione dall'altra, non hanno comportato una
diminuzione della diseguaglianza delle p ossibilità sociali o, se si pre­
ferisce un termine piu scolastico, un aumento della mobilità sociale.
Per rispondere a questa domanda, ho sviluppato ne La disegua­
glianza delle possibilità n una teoria che non mi è possibile esporre
dettagliatamente in questo contesto: mi accontenterò di presentare per
grandi linee il modello a cui conduce . Il modello si compone, grosso
modo, di tre parti logicamente concatenate o, se si preferisce , di tre
stadi.
l . In un primo stadio si suppone che la distribuzione degli indivi­
dui di una popolazione, in rapporto agli esiti scolastici, vari in funzione
della classe sociale di provenienza. Si ammette d'altra parte che a cia­
scuna classe sociale è associato un campo di decisione che determina le
possibilità che un individuo, che appartiene a una certa classe sociale e
che possiede un certo dato livello di riuscita scolastica, un dato ritardo
o anticipo scolastico, ecc . , scelga, in questa o quella tappa della carrie-
11 Con/érence sur les p olitiques de développement de l'enseignement, OCDE, Paris
1 972.
12 RAYMOND BouooN, L 'inégalité der chances, Colin, Paris 1 973.

28
Effetti perversi e mutamento sociale

ra scolastica, una via o l'altra (per esempio entrata nell'insegnamento


secondario lungo invece dell'insegnamento superiore corto, prosegui­
mento negli studi invece di entrare nella vita attiva, ecc . ) . Si suppone
inoltre che le tappe della carriera scolastica e, piu in generale, la strut­
tura dei punti di biforcazione che segnano questa carriera possano va­
riare da un sistema scolastico all'altro ed evolversi nel tempo.

Tabella l . - Livello degli studi in funzione della classe sociale

Classe sociale
Livello
cl ( superiore) . c2 ( media) c3 (inferiore)
di istruzione
(l) (2 ) (3) (4) (5) (6)

l . Fine degli studi


superiori 0 , 1 967 1 , 0000 0 , 0340 0,9999 0,0053 1 ,0000
2. Studi
superiori 0 , 0905 0 , 8 033 0 , 0397 0 ,9659 0 , 0 1 04 0,9947
3. Fine degli studi
secondari 0,06 1 8 0,7128 0,0357 0 , 9262 0,01 1 8 0,9843
4 . Secondarie
superiori 0 , 1 735 0,65 1 0 0 , 1 3 96 0 , 8 9 05 0 , 0653 0 , 9725
5. Secondarie
inferiori 0 ,2775 0,4775 0,3609 0,7509 0,3072 0 , 9072
6. Scuola
primaria 0 ,2000 0,2000 0 ,3900 0 ,3900 0,6000 0 , 6000

Totale 1 , 0000 0 , 9 9 99 1 , 0000

Senza entrare nei dettagli diciamo che la formalizzazione delle pro­


posizioni che sono state brevemente presentate, porta ad un modello
che permette di ricostruire il divenire scolastico di un gruppo ipoteti­
co. Cosi, supponiamo tre classi sociali ( superiore, media, inferiore) ;
immaginiamo che un gruppo di 1 00 . 000 scolari completi la scuola ele­
mentare ad un certo punto nel tempo e supponiamo che , tra questi
scolari, 1 0 . 000 siano provenienti dalla classe superiore , 3 0 . 000 dalla
classe media e 6 0 . 000 dalla classe inferiore . Una formalizzazione con­
veniente delle proposizioni precedenti e una scelta appropriata dei pa­
rametri permettono di stabilire il numero di individui che , in ciascuna
classe sociale , raggiunge i vari livelli determinati dal sistema scolastico
considerato . La tabella l espone il risultato dell'applicazione del mo­
dello ad un caso particolarmente semplice: in totale sono stati indivi­
duati sei livelli di istruzione . Le colonne l , 3 e 5 riportano le propor­
zioni di individui che in ciascuna classe sociale raggiungono i vari livelli
di scolarità . Le rimanenti tre colonne riportano le proporzioni cumula­
te dal basso verso l'alto .

29
El/etti "perversi " dell'azione sociale

Si sottolinea il fatto che i risultati prodotti dal modello sono strut­


turalmente conformi ai dati forniti dalle statistiche dell'istruzione : le
diseguaglianze riguardanti l'istruzione secondaria sono considerevoli a
seconda delle tre classi sociali; le diseguaglianze relative all'istruzione
superiore sono ancora piu marcate .
2. Il secondo stadio nella costruzione del modello permette di pas­
sare dalla statica alla dinamica. Si suppone un mutamento delle caratte­
ristiche dei campi di decisione nel tempo. Nel caso piu semplice si
suppone un aumento delle possibilità di seguire il percorso scolastico
che sbocca all'istruzione superiore . Si suppone inoltre che questo au­
mento è tanto piu rapido quanto minore è la sua probabilità . Cosi im­
maginiamo che per un dato livello di riuscita scolastica, di età, ecc. la
possibilità di sopravvivenza ad un dato punto di biforcazione sia, in un
certo punto del tempo, uguale a p. Si potrà supporre che questa proba­
bilità sia, in un periodo successivo uguale a p + ( l p ) a, dove a è un-

coefficiente positivo inferiore a l. Esponiamo nelle tabelle 2a, 2b e 2c


i principali risultati derivanti dal modello, quando vengono utilizzati le
ipotesi e i parametri esposti nella tabella l e quando inoltre si accetta
l'ipotesi dinamica che è stata enunciata . Le tre parti della tabella 2 cor­
rispondono alle distribuzioni che si ottengono in tre periodi successivi.
Cosi, diciamo che la tabella l corrisponde al periodo /0 e le tabelle 2a,
2b e 2c rispettivamente ai periodi /1, 12 e /3• 1 3
Queste tabelle riproducono le proprietà strutturali che si possono
osservare a livello di statistiche dell'istruzione quando queste permet­
tono di ottenere dati diacronici. Sottolineiamo in particolare : l ) che da
un periodo all'altro la probabilità di conseguire livelli elevati nel siste­
ma di istruzione è moltiplicata da un coefficiente tanto piu alto quanto
piu bassa è l'origine sociale ; 2) ma che il numero aggiuntivo di persone
che, da un periodo all'altro , raggiungono per esempio il livello di istru­
zione superiore su mille individui, è molto piu limitato nella classe in­
feriore rispetto alle altre classi. Entrambi questi risultati concordano
con le statistiche dell'istruzione.
Non insisteremo ulteriormente su queste due prime implicazioni
del modello. Non sono rilevanti in questo contesto, se non nella misu­
ra in cui permettono di determinare: l ) l'evoluzione temporale degli
effettivi corrispondenti ai differenti livelli di istruzione ; 2) l'evoluzione
temporale della composizione sociale degli effettivi corrispondente a
ciascun livello di istruzione .
3 . Affrontiamo ora il terzo stadio del processo, che concerne diret­
tamente il problema che ci interessa: quello dell'impatto sulla mobilità
sociale dello sviluppo dei tassi di scolarizzazione e della riduzione del­
le diseguaglianze nell'istruzione . 1- due stadi precedenti del modello

1 3 Il modello si applica ad un tipo ideale piuttosto che ad una società industriale partico­
lare ed è quindi difficile sincronizzare il tempo del modello con i termini reali. Per una miglio­
re comprensione si può supporre che l'intervallo di tempo che separa due periodi successivi
del modello sia di circa cinque anni. t allora possibile derivare dal modello una serie di curve
di evoluzione simili a quelle che si osservano a livello delle statistiche dell'istruzione.

30
Effetti p erversi e mutamento sociale

Tabella 2 . - Livello di istruzione in funzione della classe sociale


in tre periodi successivi t1, t2 e t3

Livello Classe sociale


di istruzione
cl ( superiore) C 2 ( media) c3 ( inferiore)

a) t = t1
l . Fine degli studi
superiori 0,23 1 9 1 , 0001 0,0491 0,9999 0 , 0092 1 ,0001
2. Studi
superiori 0 , 0947 0,7682 0,0490 0,9508 0,0153 0 , 9909
3 . Fine degli studi
secondari 0 , 0629 0,6735 0,04 1 8 0 , 90 1 8 0,0164 0 , 9756
4. Secondarie
superiori 0 , 1 707 0 , 6 1 06 0 , 1 5 26 0 , 8 600 0 , 0832 0,9592
5 . Secondarie
inferiori 0,2599 0,4399 0,3564 0,7074 0,3360 0 , 8760
6 . Scuola
primaria 0 , 1 800 0 , 1 800 0,35 1 0 0,35 1 0 0,5400 0,5400

Totale 1 ,0001 0,9999 1 ,0001

b) t = 12
l . Fine degli studi
superiori 0 , 26 8 9 1 , 0002 0,0680 1 , 0000 0 ,0 1 5 1 1 ,0000
2. Studi
superiori 0,0977 0,73 1 3 0,0584 0 , 93 20 0,02 1 5 0,9849
3. Fine degli studi
secondari 0 , 06 3 1 0,6336 0,0474 0 , 8736 0,0217 0,0634
4. Secondarie
superiori 0 , 1 66 2 0 ,5705 0 , 1 629 0,8262 0,1018 0 , 94 1 7
5 . Secondarie
inferiori 0,2423 0,4043 0,3474 0,6633 0,3539 0,8399
6 . Scuola
primaria 0 , 1 6 20 0 , 1 6 20 0,3159 0,3159 0,4860 0,4860

Totale 1 , 0002 1 ,0000 1 ,0000

c) t= t3
l . Fine degli studi
superiori 0,3069 l ,0001 0 , 0904 1 ,0000 0,0233 1 , 0000
2. Studi
superiori 0,0 993 0,6932 0 , 0676 0 , 9096 0,0288 0 , 9767
3. Fine degli studi
secondari 0 , 0626 0,5939 0,0524 0 , 8420 0,0277 0,9479
4. Secondarie
superiori 0 , 1 604 0,5313 0 , 1 703 0,7896 0 , 1 1 97 0 ,9202
5 . Secondarie
inferiori 0,2250 0 , 3709 0,3350 0 , 6 1 93 0,3629 0 , 8005
6 . Scuola
primaria 0, 1459 0 , 1 459 0 , 2843 0 , 2843 0,4376 0,4376

Totale 1 , 0001 1 ,0000 1 , 0000

31
Effetti "perversi " dell'azione sociale

permettono di stabilire le distribuzioni che caratterizzano gli scaglioni


successivi dal punto di vista del livello di istruzione . Il terzo stadio de­
finisce il meccanismo con il quale gli individui dotati di un certo livello
di istruzione ottengono un dato status sociale.
Quali ipotesi si possono introdurre a riguardo? Una prima ipotesi
appare evidente: le società industriali sono tutte meritocratiche entro
certi limiti. In altri termini si può supporre che , a parità di altre condi­
zioni, coloro che godono di un livello di istruzione piu elevato abbiano
tendenza a ricevere uno status sociale superiore . Vedremo piu avanti
come si può dare una forma precisa a questa proposizione.
Una seconda ipotesi è che, a parità di altre condizioni, coloro che
godono di un'origine sociale superiore tendono ad ottenere uno status
sociale piu elevato . In particolare si può ammettere, se si fa riferimen­
to a numerosi risultati empirici, che gli individui che possiedono uno
stesso livello di istruzione hanno maggiori possibilità di conseguire uno
status sociale elevato, se la loro origine sociale è superiore. In questo
caso parleremo di effetto di dominanza.
Se il nostro obiettivo fosse quello di elaborare una teoria globale
della mobilità , altri fattori dovrebbero essere ancora introdotti. Cosi, è
noto che a parità di istruzione gli individui si indirizzano verso tipi di
carriera associati ad aspettative sociali piu o meno elevate: i giovani di
origine sociale intermedia, che hanno terminato con successo gli studi
secondari, si dirigono meno frequentemente verso le carriere presti­
giose della medicina e del diritto rispetto ai loro compagni di studio di
origine sociale elevata .
D'altra parte è chiaro che una serie di fattori contestuali influisco­
no sui processi di mobilità: due persone le cui caratteristiche indivi­
duali sono analoghe ( stesso tipo di origine sociale , stesso livello di
istruzione, stesso tipo di carriera scolastica, ecc . ) hanno ogni probabili­
tà di conseguire uno status sociale differente a seconda che appartenga­
no a questo o a quel tipo di ambiente . Le statistiche raccolte dall'OC­
DE dimostrano l'esistenza di notevoli differenziazioni regionali nelle
possibiliçà scolastiche, anche quando le caratteristiche individuali sono
controllate .
Nelle pagine che seguono considereremo il caso piu semplice .
Supporremo che la mobilità geografica sia sufficientemente importante
da rendere trascurabili questi fattori contestuali. D'altra parte poiché il
problema consiste nel determinare la misura in cui la mobilità sociale è
influenzata dall'aumento del tasso di scolarizzazione e dalla diminuzio­
ne delle diseguaglianze scolastiche, possiamo trascurare l'effetto di do­
minanza menzionato poco sopra. Ci porremo quindi nell'ipotesi di una
struttura puramente meritocratica. Se lo sviluppo dell'istruzione e la
diminuzione delle possibilità scolastiche devono avere un effetto sulla
mobilità sociale , questo accadrà a maggior ragione � in una società di
questo tipo.
Il problema è allora quello di formalizzare l'ipotesi meritocratica.
Supponiamo, per semplificare , di poter distinguere , come abbiamo fat-

32
Effetti perversi e mutamento sociale

to precedentemente, tre tipi di status sociale gerarchici: cl ( status ele­


vato), C1 (status intermedio ) , C3 ( status basso ) . Supponiamo d'altra
parte che la struttura sociale sia relativamente stabile nel tempo, cioè
supponiamo che la distribuzione degli individui rispetto ai tre tipi di
status sia grosso modo costante . Nella prima e seconda parte del mo­
dello si è supposto che uno scaglione che completa gli studi elementari
sia distribuito nel modo seguente: 1 0 .000 C 1 , 3 0 . 000 C1 e 6 0 . 000 C3•
Per semplificare ammettiamo che questo scaglione abbia da spartirsi
un totale di 1 0 0 . 000 posizioni sociali di cui 1 0 . 000 appartengono al
livello c l , 3 0 .000 al livello cl e 6 0 . 000 al livello c3.
Naturalmente non è affatto realistico supporre che gli individui che
hanno conseguito la licenza elementare si troveranno contemporanea­
mente in competizione sul mercato del lavoro : a seconda del loro livel­
lo di istruzione entreranno in effetti sul mercato del lavoro in momenti
differenti. Diciamo semplicemente che sarebbe facile complicare il
modello in modo tale da prendere in considerazione il fatto che gli in­
dividui, che si suppongono in condizioni di concorrenza, si presentino
sincronicamente sul mercato del lavoro; ma questa complicazione non
modificherebbe le conclusioni dell'analisi.
Per tradurre l'ipotesi meritocratica è allora sufficiente considerare
che gli individui riceveranno il loro status sociale di destinazione se­
condo un processo non egualitario che privilegia coloro che dispongo­
no di un livello di istruzione superiore. Cosi al tempo t0, 1 0 .000 posti
sono disponibili in cl ' mentre ( cfr. tabella l ) :
0 , 1 96 7 . 1 0 . 000 + 0,0340 . 3 0 . 000 + 0,0053 . 60. 000 3 . 305
=

individui dello scaglione di provenienza ottengono il livello di istruzio­


ne piu elevato. Supponiamo che una consistente proporzione di questi
individui, per esempio il 70 % , riceva posizioni sociali di tipo elevato
( C 1 ) . Rimarranno quindi 1 0 . 000 - ( 3 . 3 05 0,70) 7 . 6 8 6 posizioni di­
· =

sponibili in C 1 • Supponiamo anche che il 70% di queste posizioni spet­


tino agli individui che non hanno terminato gli studi superiori. Si può
continuare di questo passo a destinare le posizioni disponibili in cl
prelevando successivamente i candidati ai livelli di istruzione via via
piu bassi.
Fatto ciò , si forniranno con lo stesso criterio le posizioni sociali di­
sponibili al livello cl (status sociale intermedio ) , prendendo successi­
vamente i candidati che possiedono un livello di istruzione piu elevato,
poi coloro che hanno un livello di istruzione immediatamente inferiore
e cosi di seguito fino al livello piu basso . Naturalmente bisognerà tene­
re conto del fatto che alcuni candidati sono già stati assegnati in C 1 • Di
nuovo dovremo supporre che ciò che può essere battezzato parametro
meritocratico sia uguale al 70% .
Come si può osservare il meccanismo di distribuzione è molto
semplice e perciò è superfluo presentarlo in maniera piu estesa. Oc­
corre in ogni modo notare che in certi casi si può assumere che il nu­
mero delle posizioni disponibili a un certo livello sociale sia inferiore a
quello dei candidati. Cosi è facile notare, riferendosi alla tabella l ,

33
Effetti "perversi " dell'azione sociale

che nel periodo t0 il numero degli individui, che non hanno superato
il livello del primo ciclo di istruzione secondaria, è dato da
( 0 , 2775 . 1 0 . 00 0 ) + ( 0 , 3 6 09 . 3 0 . 000) + ( 0 , 3 072 . 6 0 . 0 0'0 ) 3 2 . 0 3 5
=

che è superiore al numero delle posizioni disponibili in c 2 allorché tut­


ti gli individui che hanno un livello di istruzione maggiore sono stati
allocati. Poniamo x questo numero. Si deve supporre in questo caso,
per ragioni logiche che non possiamo sviluppare nei limiti di questo
saggio, che il parametro meritocratico venga applicato a x. Il numero
delle posizioni in C 1 , che sarà disponibile per coloro che hanno com­
pletato solo il primo ciclo di istruzione secondaria, sarà dunque uguale
a 0,70 x.
L'applicazione dell'approccio appena descritto conduce ai risultati
esposti nella tabella 3 (a p. 3 6 ) , che mostra il numero degli individui
che, ad un dato livello di istruzione , raggiungono ciascuno dei due tipi
di status sociale nei quattro periodi di tempo considerati. Il solo ele­
mento che varia da un periodo all'altro è pertanto la distribuzione dei
livelli di istruzione che caratterizza ciascuno dei quattro scaglioni.
Le conseguenze dell'aumento generale dei livelli di istruzione sulla
relazione tra livello scolastico e status acquisito sono relativamente
complesse . Esaminando la tabella 3 si può osservare:
l ) che i livelli scolastici superiori (Si studi superiori terminati e S2
studi superiori non terminati) sono associati ad una struttura delle pos­
sibilità che rimane stabile nel tempo;
2) che la struttura delle possibilità relative al livello scolastico sl
(studi secondari terminati) è dapprima costante e favorevole nella stes­
sa proporzione della struttura delle possibilità che caratterizza i due li­
velli piu elevati. Tuttavia nell'ultimo periodo questa struttura diventa
improvvisamente sfavorevole: gli individui che non superano questo li­
vello scolastico sono soggetti ad una considerevole diminuzione delle
possibilità di accedere allo status sociale superiore, mentre le possibili­
tà di accedere al livello sociale intermedio e a quello inferiore sono
corrispondentemente aumentate;
3) che la struttura delle possibilità associate ai livelli inferiori, cioè
S4 (secondo ciclo di istruzione secondaria) , S5 (primo ciclo di istruzione
secondaria) e S6 (istruzione primaria) , si degrada nel tempo in modo
progressivo . Si può sottolineare tuttavia che questa degradazione è tan­
to piu veloce quanto piu è relativamente elevato il livello di istruzione .
Cosi, nel primo periodo il livello di istruzione S4 è associato ad una
probabilità non trascurabile ( 0 ,2920) di accedere al livello sociale su­
periore C1 • N el quarto periodo questa probabilità è piu di dieci volte
inferiore ( 0 , 0249 ) . In compenso la degradazione della struttura delle
possibilità associate ai livelli SI e soprattutto s6 è piu lenta.
Sarebbe naturalmente possibile om:nere questi stessi risultati con
un'analisi astratta. Abbiamo preferito usare il metodo della simulazione
( analisi aritmetica del modello) al fine di rendere l'esposizione piu con-

34
Effetti p erversi e mutamento sociale

creta. 1 4 Si possono cogliere molto facilmente, a livello intuitivo, le ra­


gioni dei fenomeni or ora osservati: la struttura sociale (distribuzione
degli status sociali disponibili) è stata supposta stabile nel tempo; d'al­
tra parte la struttura scolastica (distribuzione degli individui in funzio­
ne dei livelli scolastici) ha una tendenza a deformarsi verso l'alto, poi­
ché la crescita degli effettivi da un periodo all'altro è tanto piu forte
quanto piu si considerano livelli di istruzione piu elevati. Ne risulta
che le posizioni disponibili al livello sociale superiore sono distribuite
con una frequenza rapidamente crescente agli individui che godono di
un livello di scolarità piu elevato. Dopo un certo periodo questo feno­
meno comporta una degradazione notevole della struttura delle possi­
bilità associate ai livelli scolastici intermedi, degradazione che si riper­
cuote lentamente sui livelli inferiori.
Restano ora da esaminare le conseguenze del modello dal punto di
vista della mobilità sociale . La tabella 2 mostra, per ciascun periodo, la
proporzione di individui con una data origine sociale che conseguono
un dato livello di scolarità. La tabella 3 invece dà la proporzione degli
individui con un dato livello di scolarità che pervengono a ciascuno dei
tre livelli di status sociale . Poiché abbiamo posto l'ipotesi che lo status
sociale di destinazione sia determinato esclusivamente dal merito e che
gli effetti di dominanza siano trascurabili, per ottenere la matrice di
mobilità intergenerazionale relativa a ciascuno dei quattro periodi, è
sufficiente moltiplicare tra loro le matrici delle tabelle 2 e 3 corrispon­
denti a ciascuno dei quattro periodi. Il risultato è esposto nella tabella
4 (a p . 3 7 ) . Relativamente a questa tabella si possono fare le seguenti
considerazioni:
l . Innanzitutto si osserva, cosi come avevamo preannunciato, che
la struttura della mobilità evolve in modo trascurabile dal tempo t0, il
primo periodo considerato, a t3 , l'ultimo periodo. Le probabilità con­
tenute in ciascuna delle quattro tabelle sono quasi identiche passando
da un periodo all'altro . Questo risultato, che si giustifica matematica­
mente, ha un aspetto paradossale. In effetti dobbiamo richiamare al­
l'attenzione il fatto che i risultati della tabella 4 sono la conseguenza di
un modello che suppone tra t0 e t3 contemporaneamente: a ) una forte
crescita degli effettivi scolastici ai livelli piu elevati della gerarchia dei
livelli di scolarità; b ) un'attenuazione non trascurabile della disegua­
glianza delle possibilità di accesso scolastico; c) una importante modifi­
cazione temporale della struttura scolastica che contrasta con la stabili­
tà della struttura sociale .
Intuitivamente si può essere tentati di concludere che questi fattori
diversi devono condurre a modificazioni nella struttura della mobilità.
Eppure l'analisi mostra che questo non avviene. Il modello genera si­
multaneamente modificazioni importanti nella struttura scolastica e

14 Una formulazione matematica di una parte dei modelli utilizzati in L'inégualité des
chances è stata presentata da THOMAS FARARO e KENJI KosEKA, A Mathematical Analysis of
Boudon's lEO Mode!, in "lnformation sur !es sciences sociales", 1 976, vol. XV, n . 2 / 3 , come
parte di un simposio su " L'inégalité cles chances " , pubblicato da questa rivista.

35
Effetti "perversi " dell'azione sociale

Tabella 3. Effettivi e proporzione di individui che raggiungono ciascuno dei tre


-

livelli sociali in funzione del livello di istruzione nei quattro periodi da t0 a t3

Status sociale
Livello
di istruzione
cl c2 c3 Totale

to SI 2.213 ( 0,7000) 694 (0,2 1 00) 298 (0 ,0900) 3 . 305


s2 1 . 904 (0 ,7000) 571 ( 0 , 2 1 00) 245 (0 ,0900) 2 . 720
SJ 1 . 678 (0 ,7000) 503 ( 0 , 2 1 00) 216 (0, 0900) 2.397
s4 2 . 874 (0 ,2920) 4.878 (0,4956) 2.090 ( 0 , 2 1 24) 9 . 842
Ss 862 (0,0269) 1 6 .345 (0,5 1 02) 1 4 . 8 28 (0,4629) 32.035
s6 369 (0,0074) 7.009 (0,1410) 42.323 (0,85 1 6 ) 49.701

Totale 1 0 .000 30 .000 60.000 1 00 . 000

t! SI 3 . 04 1 (0,7000) 912 (0,2100 ) 391 (0 ,0900) 4 . 344


s2 2.334 (0 ,7000) 701 ( 0 , 2 1 00 ) 300 ( 0,0900) 3.335
SJ 2 . 007 (0,0700) 602 ( 0 , 2 1 00) 25 8 (0 ,0900) 2.867
s4 1 . 833 ( 0 , 1 625) 6.611 (0,5862) 2.833 ( 0 ,25 1 2 ) 1 1 .277
Ss 550 (0,01 64) 1 4 . 822 (0 ,443 1 ) 1 8 .077 (0 ,5404) 3 3 .449
s6 235 (0, 005 3 ) 6 . 352 ( 0 , 1 420) 38. 141 (0, 8527) 44.728

Totale 1 0 .000 30.000 60.000 1 00. 000

t2 SI 3 . 944 (0 ,7000) 1 . 1 84 (0,21 00) 507 (0,0900) 5 . 635


s2 2.813 (0 ,7000) 844 ( 0 , 2 1 00) 362 (0 ,0900) 4.019
SJ 2.348 (0 ,7000) 705 ( 0 , 2 1 00 ) 302 (0 ,0900) 3 . 355
s4 627 (0,04 9 5 ) 8 . 421 (0,6653) 3 . 609 (0,285 1 ) 1 2.657
Ss 188 (0, 005 5 ) 1 3 . 1 92 ( 0 , 3 87 1 ) 20.698 (0,6074) 34 .078
s6 80 ( 0 ,0020) 5 . 654 ( 0 , 1 405) 34.522 (0,8576) 40.256

· Totale 1 0 .000 30.000 60.000 1 0 0 . 000

tJ SI 5 . 025 (0 ,7000) 1 . 438 (0,2100) 716 (0,0900) 7.719


s2 3 . 324 (0 ,7000) 998 ( 0 , 2 1 00) 427 (0 ,0900) 4 . 749
SJ 1 .156 (0,2995) 1 . 893 ( 0,4904) 811 ( 0 , 2 1 01 ) 3 . 860
s4 346 (0 ,0249) 9.484 (0,6 825 ) 4 .065 (0,2926) 1 3 . 8 95
Ss 1 04 (0 ,003 1 ) 1 1 .331 (0,3325) 22.639 (0,6644) 34.074
s6 45 (0,0012) 4.856 ( 0 , 1 340) 3 1 .342 (0,8648) 3 6 . 243

Totale 1 0 .000 3 0 . 000 60.000 100.000

36
Effetti perversi e mutamento sociale

Tabella 4. - Mobilità generate dal modello nei quattro periodi da t0 a t3

C ategoria C ategoria di destinazione


sociale
di origine cl Cz c3 Totale

lo cl 0,3039 0,3290 0,3670 0,9999


Cz 0 , 1 299 0,33 1 3 0,5387 0,9999
c3 0,05 1 0 0,2795 0 , 6 6 97 1 ,0002

tl cl 0,305 6 0,3226 0,37 1 9 1 ,0001


Cz 0 , 1 3 04 0,3266 0,5428 0,9998
c3 0 , 0505 0,2829 0,6666 1 ,0000

lz cl 0,3 1 07 0,3 1 74 0,3722 1 ,0003


Cz 0 , 1 323 0,3237 0,5440 1 ,0000
c3 0,0488 0,2852 0,6660 1 ,0000

t3 cl 0,3080 0,3198 0,3723 1 ,000 1


Cz 0,1319 0,3246 0,5435 1 ,0000
CJ 0,0494 0,2855 0,6650 0,9999

una diminuzione non trascurabile della diseguaglianza delle possibilità


di accesso scolastico, ma questi cambiamenti sono incapaci di modifica­
re la struttura della mobilità.
2. Consideriamo ora i limitati cambiamenti nella struttura della
mobilità, che intervengono tra t0 e t3• Tra t0 e t1 si può osservare una
lieve tendenza all'aumento del reclutamento interno al livello della
classe C 1 • Allo stesso tempo aumenta pure leggermente la mobilità di­
scendente da C1 (classe superiore) a C 3 (classe inferiore) . Di contro tra
t2 e t3 il reclutamento caratteristico nella struttura della mobilità è di
trascurabile ampiezza ed apparentemente erratico .
Perché ciò avviene ? Senza affrontare l'analisi matematica di questo
fenomeno , si può tentare di afferrarne le ragioni da un punto di vista
intuitivo. Consideriamo per esempio gli individui di origine sociale
elevata ed esaminiamo gli effetti sulle loro possibilità sociali dei cam­
biamenti strutturali postulati nel modello tra t0 e t3• Tra i due periodi
estremi, gli individui di questa classe conseguono mediamente livelli
scolastici superiori, Cosi in t0 su l O. 000 giovani di origine sociale su­
periore, 1 9 6 7 raggiungono il livello scolastico piu elevato ( studi supe­
riori terminati ) ; in t3 gli stessi diventano 2 . 6 8 9 ( tabella l e 2 ) . Questo
fatto comporta evidentemente che il numero di quelli che non conse­
guono i livelli di studio piu elevati tende a diminuire . Ma, allo stesso
tempo, per effetto dell'aumento generalizzato della domanda di istru­
zione, la struttura delle possibilità associate ai livelli scolastici inferiori
e soprattutto intermedi tende a degradarsi nel tempo. Ora, il numero
degli individui di origine sociale superiore che conseguono solo i livelli
scolastici intermedi rimane consistente tra t0 e t3 • Si produce quindi

37
Effetti "perversi " dell'azione sociale

una specie di effetto di compensazione che genera una stabilità tempora­


le della struttura della mobilità caratteristica degli individui appartenenti
alla classe sociale inferiore . Naturalmente si potrebbe ripetere lo stesso
tipo di analisi per il caso degli individui di origine sociale intermedia e
inferiore . In ogni caso la stabilità quasi completa della struttura della
mobilità risulta dal fatto che l'aumento generalizzato della domanda di
istruzione comporta degli effetti di compensazione complessi.
3 . Ritorniamo ora alla tabella 3 ( probabilità di ottenere un livello
sociale Ci quando si è conseguito un livello scolastico Si) . Questa tabel­
la mostra che la struttura delle possibilità che caratterizzano i livelli
scolastici tende a differenziarsi nel tempo. Cosi, la struttura delle pos­
sibilità associate ai livelli SI e s2 rimane stabile; in compenso la struttu­
ra associata ai livelli S5 e S6 si degrada. Questo risultato è conforme alle
conclusioni di Thurow: la relazione tra aspettative sociali a livello sco­
lastico tende ad essere sempre piu stretta. Questo fattore è senza dub­
bio in parte all'origine dell'aumento generalizzato della domanda di
istruzione che caratterizza le società industriali. Gli effetti di compen­
sazione scatenati da questo aumento hanno perciò come risultato il fat­
to che la struttura della mobilità rimane praticamente immutata.
La conclusione principale dell'analisi è che non c'era nessuna ragio­
ne di aspettarsi che l'aumento considerevole della domanda di istruzio­
ne, alla quale si è assistito nelle società industriali, sia associato ad un
aumento della mobilità sociale , benché sia accompagnato da una incon­
testabile diminuzione della diseguaglianza delle possibilità di istruzio­
ne . Il modello precedente mostra al contrario che, in condizioni estre­
mamente generali, -gli sconvolgimenti che caratterizzano la struttura
scolastica sono normalmente associati ad una elevata stabilità della
struttura della mobilità . Per poter invalidare questa conclusione biso­
gnerebbe introdurre proposizioni poco realistiche: ammettere per
esempio che la diminuzione delle diseguaglianze nell'istruzione è stata
molto piu rapida di quanto sia stata in realtà; o supporre che i cambia­
menti nella struttura sociale, a causa principalmente dell'evoluzione
tecnologica, siano stati estremamente rapidi (dello stesso ritmo di
quelli che caratterizzano l'evoluzione della struttura scolastica) .
Possiamo notare a proposito di questo ultimo punto, che nella rap­
presentazione del modello abbiamo supposto che la struttura sociale
sia stabile nel tempo. Questa ipotesi è chiaramente eccessiva . L'evolu­
zione tecnologica è evidentemente in grado di causare delle modifica­
zioni nella struttura socio-professionale, riducendo per esempio la
quota delle occupazioni di tipo manuale a carattere ripetitivo. Ma l'im­
portante è che le conclusioni del modello precedente rimangano vere
anche se si suppone una modificazione della struttura sociale nel tem­
po. Cosi si può introdurre l'ipotesi secondo la quale da un periodo al­
l'altro il numero delle posizioni disponibili al livello sociale superiore
( C 1 ) aumenta, mentre il numero delle posizioni al livello inferiore ( C3),
diminuisce . Tuttavia, a meno che non si supponga che i mutamenti

38
Effetti perversi e mutamento sociale

della struttura sociale sono egualmente rapidi di q1,1elli della struttura


scolastica, si deve concludere che la struttura della mobilità deve rima­
nere praticamente stabile nel tempo.
Riassumendo: in condizioni estremamente generali lo sviluppo del­
l'istruzione non comporta la riduzione di quella forma sia particolare
che essenziale di diseguaglianza che è rappresentata dalla diseguaglian­
za delle possibilità sociali (dipendenza dello status sociale del figlio da
quello del padre ) , anche quando è accompagnato da una diminuzione
della diseguaglianza nelle possibilità scolastiche . Forse questo risultato
contribuisce a spiegare la conclusione, anch'essa inattesa, dei celebri
studi di Lipset e Bendix sulla mobilità sociale : quando alla fine degli
anni Cinquanta questi autori intrapre sero lo studio comparato della
mobilità nelle differenti società industriali, approdarono all'individua­
zione di tassi di mobilità simili per nazioni caratterizzate da aspetti sva­
riatissimi, in cui i sistemi di stratificazione sono differenti e il sistema
di istruzione è sviluppato in modo estremamente diseguale. l.l Oltre l O
anni piu tardi in un articolo di Public Interest Lipset confermò questo
risultato. 16
In definitiva non posso che fare mia la conclusione di Thurow: " In
any case, I would argue that our reliance an education as the ultimate
public policy /or curing alt p roblems, economie and social, is unwar­
ranted at best and in alt probability ineffective. " Se si crede all'analisi di
Thurow, l'espansione del sistema di istruzione , poco efficace dal punto
di vista della riduzione delle diseguaglianze economiche, non è proba­
bilmente un freno all'aumento della mobilità sociale . A questo riguardo
l'effetto principale dell'aumento della domanda di istruzione potrebbe
essere quello di richiedere all'individuo una scolarità sempre piu lunga
in cambio di speranze sociali che rimangono in realtà invariate .
Forse, è questa l'ipotesi centrale a cui approda la presente analisi,
questi effetti sia inattesi che perversi sono la causa profonda della crisi
dei sistemi scolastici nelle società industriali. Proprio perché inattesi,
hanno provocato un'enorme disillusione sulle virtu sociali e politiche
dell'istruzione. Proprio perché perverse hanno provocato una sensa­
zione di incertezza sugli scopi dei sistemi scolastici e di impotenza sui
modi della loro gestione .

U n altro caso: come c i si p u ò disinteressare del proprio interesse

Il secondo esempio tratta di ciò che può essere definito la logica


della partecipazione. Una possibile fonte di conflitto sociale e una con­
seguenza del cambiamento sociale è costituita dalla opposizione di in-

'-1 S. M. LIPSET , e R. BENDIX, Social Mobility in Industriai Societies, University of Cali·


fornia Press, Berkeley 1 9 5 8 (tr. it . , La mobilità sociale nelle società industriali, prefazione di
M. Paci, Etas Libri, Milano 1 97 5 ) .
16 S. M. LIPSET, Social Mobility and Educational Opportunity, i n "The Public Interest",
n . 29, autunno 1 972, pp. 90- 1 0 8 .

39
Effetti "perversi " dell'azione sociale

teressi all'interno dei gruppi sociali. Ma piu importante è forse l'effetto


perverso che , in condizioni molto generali, conduce i membri di un
gruppo ad accettare passivamente una situazione contraria al loro inte­
resse .
Lo studio di questi effetti perversi rappresenta l'argomento del li­
bro di Mancur Olson, La logica dell'azione collettiva. 1 7 La proposizio­
ne impertinente, che Olson cerca di dimostrare nel suo libro , consiste
nel fatto che un gruppo non organizzato di persone che hanno un inte­
resse in comune, coscienti di questo interesse e in possesso dei mezzi
per realizzarlo, in condizioni generali non farà nulla per promuoverlo .
La comunanza di interessi, anche quando è un dato a tutti evidente,
non è sufficiente a provocare l'azione comune che permette di pro­
muovere l'interesse di tutti. La logica dell'azione collettiva e la logica
dell'azione individuale non sono identiche ma distinte .
Una proposizione come quella di Olson non avrebbe sorpreso né
Rousseau né Marx né Michels, né buona parte dei pensatori politici e
dei sociologi classici. Non sorprenderebbe nessun economista. La teo­
ria di Olson è in effetti una ingegnosa applicazione, dei risultati noti in
economia, a fenomeni abitualmente considerati di competenza della
sociologia o della scienza politica.
Per introdurre la dimostrazione di Olson rip renderò uno dei suoi
esempi applicando un metodo di analisi semplificato rispetto al suo.
Il problema è quello di sapere se un gruppo non organizzato, che
ha coscienza del proprio interesse, che dispone delle risorse nece-.>sarie
a promuoverlo e il cui interesse non è contraddittorio con quello di
qualche altro gruppo , agirà in modo da promuovere il proprio interes­
se alla stessa maniera di un singolo individuo in analoghe circostanze.
Sottolineiamo innanzi tutto che il linguaggio utilizzato nel paragra­
fo precedente è scorretto quando si rifiuta la metafisica dell'identifica­
zione gruppo-persona: non si può in questo caso parlare di "gruppo
che ha coscienza del proprio interesse " , né impiegare alcuna espressio-·
ne che faccia implicitamente del gruppo un'entità indipendente dalle
persone che lo compongono e trascendente in rapporto ad esse. Cor­
rettamente ritradotto, il problema di Olson può essere espresso nei
termini seguenti: supponiamo un gruppo immaginario di persone che
hanno tutte un interesse comune, sono coscienti di questo interesse e
in grado di contribuire singolarmente alla realizzazione di questo inte­
resse: agiranno effettivamente nel senso di questo interesse comune?
Per fissare le idee ricorriamo ad un semplice esempio che ha il
vantaggio di avere una bassa connotazione emozionale . Si tratta di uno
dei due esempi utilizzati da Olson stesso. Immaginiamo che un insie­
me di proprietari abbiano un interesse nell'ottenere una riduzione del
tasso di imposizione fondiaria. Il gruppo è composto da N = lO mem­
bri. Ciascuno ha una proprietà del valore di l O franchi. Ciascun pro-

17 MANCUR OLSoN , The Logic of Collective Action, Harvard University Press, Cambrid­
ge (Mass . ) 1 9 6 5 .

40
Effetti perversi e mutamento sociale

prietario deve pagare 4 franchi di imposta fondiaria. Immaginiamo


dunque che i proprietari, se cercheranno di scatenare una campagna in
loro favore o di fare pressione in un modo o nell'altro sull'autorità fi­
scale, possano ottenere una riduzione dell'imposta. Ammettiamo per
fissare le idee che, se ciascuno partecipasse all'azione collettiva, i pro­
prietari ottengano una riduzione dell'imposizione fondiaria del 5 0 % e
che la riduzione ottenuta sia funzione del numero dei partecipanti all'a­
zione collettiva in modo che con n partecipanti la riduzione sia uguale
a S n % . Ciò significa che, se nove membri del gruppo partecipano al­
l'azione collettiva, ciascuno dei dieci membri otterrà una riduzione del
45 % della tassa iniziale di 4 franchi; allo stesso modo se il numero dei
partecipanti è uguale a 8 , 7, 6, . . . l , O, la riduzione per ciascuno dei 1 0
membri sarà rispettivamente di 4 0 , 3 5 , 3 0 , . . . 5 e 0 % . I n ultimo si
suppone che la partecipazione · all'azione collettiva comporti dei costi
(perdita di tempo, partecipazione finanziaria, ecc . ) , che si suppongono
misurabili e che per convenzione vengono fissati a l franco per ciascun
individuo.
Cosi se tutti i membri partecipano all'azione collettiva otterranno
insieme un bene il cui valore totale ammonta a 20 franchi (poiché cia­
scuno dei l O membri del gruppo vedrà la sua contribuzione fiscale pas­
sare da 4 a 2 franchi) che costerà loro in totale . l O franchi ( l franco
ciascuno) .
Se il gruppo potesse essere assimilato ad una persona, è chiaro che
il gruppo-persona avrebbe convenienza a pagare l O franchi un bene
del valore di 20 franchi. Tuttavia un gruppo, anche se composto da
persone che hanno tutte gli stessi interessi, non è una persona. V edia­
mo il ragionamento che sarà tenuto in effetti da un qualsiasi membro
del gruppo: Ego. Ego può prendere due posizioni: pagare la sua quota,
cioè contribuire all'azione collettiva, oppure no. Naturalmente il van­
taggio che coll'Seguirà dall'una o dall'altra strategia dipende dal com­
portamento degli altri membri del gruppo. Consideriamo innanzitutto
l'ipotesi secondo cui gli altri membri del gruppo contribuiscono all'a­
zione collettiva. In questo caso , se Ego non vi contribuisce , la riduzio­
ne dell'imposizione sarà del 4 5 % , cioè Ego dovrà pagare una tassa di
4 - ( 0 ,45 4 ) 2,2 franchi. Non contribuendo all'azione collettiva egli
· =

guadagna quindi: 4 - 2,2 = l ,8 franchi. Se contribuisce, la diminuzione


dell'imposta sarà maggiore per tutti: con l O contribuenti l'imposizione
è ridotta del 5 O % . La tassa passa dunque da 4 a 2 franchi. Come gli
altri Ego guadagna quindi 2 franchi sotto forma di riduzione dell'im­
posta, ma la sua partecipazione all'azione collettiva gli sarà costata l
franco e quindi il beneficio netto nel caso in cui come gli altri 9 parte­
cipi all'azione collettiva sarà di l franco soltanto . E quindi chiaro che,
nell'ipotesi della partecipazione degli altri 9 all'azione collettiva, Ego
ha interesse a non parteciparvi.
Supponiamo ora 8 contribuenti ( 8 partecipanti all'azione collettiva)
diversi da Ego . Se Ego non partecipa all'azione, egli si gioverà di una
riduzione dell'imposta del 40 % , ottenuta dagli altri 8 . Avrà quindi un

41
Effetti "perversi" dell'azione sociale

guadagno netto di 4 0,4 = l ,6 franchi. Se partecipa all'azione , la ridu­


·

zione passa per ciascuno al 45 % cioè 1 , 8 franchi. Tuttavia Ego dovrà


in questo caso dedurre il costo della partecipazione all'azione: il suo
guadagno quindi sarà di soli 0,8 franchi.
Continuando con lo stesso ragionamento , si può vedere che, qua­
lunque sia il numero dei membri diversi da Ego che partecipano all'a­
zione collettiva, egli non ha alcun interesse a parteciparvi. Siccome si
suppone che Ego non si distingua in nessun modo dagli altri membri
del gruppo, è chiaro che se ha in ogni caso convenienza a non pagare ,
sarà lo stesso per gli altri. Cosi ciascuno ha interesse a non partecipare
all'azione collettiva, qualunque sia il numero di coloro che effettiva­
mente vi partecipano . Da tutto ciò risulta che nessuno parteciperà ad
un'azione collettiva a cui ciascuno avrebbe interesse che tutti parteci­
passero. A differenza di ciò che farebbe il singolo individuo, il gruppo
ignorerà l'affare rappresentato dall'acquisto per l O franchi di un bene
collettivo del valore di 20 franchi.
E evidente che questo risultato preoccupante non è il prodotto
delle cifre aritmetiche scelte nell'esempio : in questo caso l'aritmetica
ha solo la funzione di facilitare il ragionamento . In effetti il paradosso
deriva dal fatto che l'azione collettiva ha come effetto la produzione di
un bene (riduzione dell'imposta) che, per sua natura, si suppone porta­
tore di un beneficio di cui si giovano tutti i membri del gruppo.
Un'obiezione che si può muovere a Olson riguarda il fatto che il
postulato secondo cui i membri del gruppo si comportano in modo ra­
zionale è poco credibile . All'obiezione si" può rispondere che lo stretto
calcolo razionale utilizzato nell'esempio precedente non implica assolu­
tamente l'ipotesi secondo cui, nella realtà, gli individui avrebbero una
esatta visione dei costi e dei benefici inerenti alla loro eventuale parte­
cipazione ad una azione collettiva, e neppure che essi sarebbero capaci
di analizzare i benefici che eventualmente otterrebbero da questa o
quell'altra linea di condotta. Ipotesi molto piu elastiche e realiste ( ra­
zionalità limitata ) porterebbero allo stesso risultato finale ma compli­
cherebbero inutilmente la dimostrazione .
In effetti la dimostrazione suppone solamente un'adesione al prin­
cipio per cui, in molti ma non in ogni caso, è vantaggioso cercare di
spiegare i comportamenti individuali nella società supponendo che cia­
scuno tenda essenzialmente a conseguire in modo soddisfacente il pro­
prio interesse . Come Olson stesso sottolinea, questo postulato è spes­
so inadeguato. Tuttavia è anche indispensabile nella spiegazione di nu­
merosi fenomeni sociali. Per questo è adottato in modo esplicito e si­
stematico da numerosi sociologi importanti. E tuttavia superfluo tenta­
re di conferire alla teoria di Olson la legittimità che deriva dall'autori­
tà. Le sue numerose applicazioni sono sufficienti a difenderla. Essa
spiega per esempio che le imposte sono sempre coercitive: anche se è
certamente interesse dei cittadini disporre di beni collettivi prodotti
grazie alle imposte, nessuno contribuirebbe alla produzione di questi
beni se essi non vi fossero costretti, anche nel caso in cui ci fosse unani-

42
Effetti perversi e mutamento sociale

mità sull'impiego del gettito fiscale da parte dell'autorità pubblica. Si


può allo stesso modo dedurre dalla teoria una spiegazione possibile del
carattere relativamente indolore dell'imposta indiretta rispetto a quella
diretta. In effetti la prima è individualmente compresa nel prezzo delle
merci oggetto di un consumo individuale: dopo essersi esaurita in oc­
casione dell'acquisto di beni o servizi individuali, la sua funzione di fi­
nanziamento di beni collettivi diventa invisibile, a differenza dell'im­
posta diretta che non è associata all'acquisto di beni individuali. Questa
differenza tra i due tipi di imposizione ha evidentemente delle conse­
guenze perverse dal punto di vista della giustizia sociale, a parte il ca­
rattere spesso regressivo dell'imposizione sui consumi.
Un altro paradosso facilmente risolvibile nel quadro della teoria di
Olson e sul quale la sociologia politica si è lungamente dibattuta, è il
seguente: come è possibile spiegare il fatto che i partiti politici non
riescono mai a reclutare un numero di militanti superiore ad una quota
assai modesta degli elettori che danno loro la preferenza in occasione
delle elezioni? La risposta di Olson è semplice: un partito politico può
essere considerato essenzialmente come un fornitore di beni collettivi.
Conseguentemente, se si ammette che l'iscrizione e la militanza in un
partito rappresentano dei costi, per esempio di tempo e denaro, la teo­
ria di Olson può essere applicata: ciascuno dei membri del gruppo la­
tente, interessati alla produzione dei beni collettivi offerti dal partito ,
ha interesse a lasciare pagare il prezzo agli altri, ovviamente fintanto
che il partito è incapace di esercitare una coercizione sulla sua clientela
potenziale .
Sorge allora il problema di spiegare il fatto che un partito possa
ugualmente spingere certe persone ad iscriversi ed eventualmente a
militare per esso anche se queste persone rappresentano generalmente
una trascurabile minoranza rispetto all'elettorato del partito . La rispo­
sta di Olson è che un partito fornisce generalmente non solo beni col­
lettivi ma anche beni individuali. Cosi un partito è in grado di fornire
ai suoi membri posizioni di responsabilità politica all'interno dell'orga­
nizzazione e, con un'incertezza decrescente rispetto alla data di fonda­
zione del partito, posizioni elettive nella vita politica locale e naziona­
le . Naturalmente il numero delle posizioni che un partito può offrire è
sempre limitato rispetto al numero dei suoi elettori. In questo modo i
pretendenti, i membri del partito, anche se sono piu numerosi dei
posti disponibili (esattamente come i candidati alla Eco le Po lytechnique
sono piu numerosi degli ammessi) devono ovviamente essere molto
meno numerosi degli elettori. Questi ultimi si accontentano di trarre
profitto dai beni collettivi forniti dal partito, ma non hanno alcun inte­
resse a pagarne il prezzo. (Naturalmente la teoria di Olson non cerca
affatto di dimostrare che non si diventa mai militanti per altruismo, ma
solamente che , se si suppone che i militanti dei partiti siano in genere
piu egoisti che altruisti, è piu facile spiegare una certa quantità di dati
empirici globali che difficilmente possono essere interpretati in altro
modo . )

43
Effetti "perversi " dell'azione sociale

L'offerta parallela di beni individuali rappresenta una prima scap­


patoia possibile al paradosso di Olson: essa spiega, per esempio , la po­
tenza di certe organizzazioni professionali come l'Associazione Ameri­
cana di Medicina, a proposito della quale gli sviluppi della teoria olso­
niana sono particolarmente brillanti. Questa potenza è dovuta per 01-
son alla qualità dei beni individuali offerti dall'associazione , in partico­
lare l'assistenza legale in caso di errori professionali. La teoria dei se­
lective incentives, secondo cui la buona strategia per un'organizzazione
con difficoltà di espansione consiste nell'associare ai beni collettivi of­
ferti dei beni individuali, permette allo stesso modo di spiegare certi
dati oscuri in materia di iscrizione sindacale. Come è possibile spiega­
re, per esempio, che, malgrado i benefici evidenti che i sindacati pro­
curano alle persone di cui curano gli interessi, i tassi di sindacalizzazio­
ne in paesi tanto differenti come la Francia o gli Usa non superano in
media il 20 % ? La risposta di Olson è ancora che, finché un'organizza­
zione offre solo beni da cui tutti traggono benefici, come gli aumenti
salariali, nessuno ha interesse a pagare il prezzo corrispondente all'ac­
quisto di questi beni. Questa proposizione spiega che i tassi di sindaca­
lizzazione possono essere bassi anche nel caso in cui l'azione sindacale
è certamente efficace. D'altra parte il tasso comp lessivo di sindacalizza­
zione non è nullo e la media del 20% riscontrabile in Francia e Usa è
associata ad una dispersione fortissima, poiché alcune categorie hanno
tassi di sindacalizzazione vicini al massimo e altre al minimo . 18 Per
spiegare questi fenomeni cosi differenti è sufficiente osservare , per
Olson, la natura dei beni individuali che in ciascun caso i sindacati so­
no in grado di fornire, al di là dei beni collettivi la cui offerta corri­
sponde alla loro ragione di essere . Se questi beni individuali corrispon­
dono solamente ai posti di responsabilità sindacale, il tasso di sindaca­
lizzazione sarà normalmente basso. Se, come nel caso dell'assistenza
giuridica per gli errori professionali, il sindacato può fornire un bene
individuale di notevole valore di cui ciascuno può trovarsi ad avere bi­
sogno, si osserverà normalmente un tasso di sindacalizzazione elevato.
Queste ragioni e altre fanno si che i tassi di sindacalizzazione siano bas­
si tra gli studenti francesi. In questo caso il sindacato offre beni collet­
tivi: nel caso in cui la rivendicazione per l'aumento dei sussidi si dimo­
stra efficace, la partecipazione di un qualsiasi studente non fa che au­
mentare in maniera assolutamente trascurabile la probabilità che cia­
scuno studente ha di ottenere un sussidio . In compenso ci si aspetta di
rilevare un elevato tasso di sindacalizzazione in un contesto in cui il
sindacato offre , per esempio, al di là dell'azione tendente all'aumento
dei salari (beni collettivi) , un'assicurazione di difesa in caso di perdita

1 8 In Francia il tasso globale di sindacalizzazione è del 20% , ma sale al 7 5% tra gli inse­

gnanti, cfr. "Le Monde ", 1 3-1 0-76. Naturalmente esistono ostacoli di diversa natura alla par­
tecipazione sindacale (intimidazione, assenza di informazioni, ecc . ) . La teoria di Olson mostra
che, anche in assenza di questo tipo di fattori, la partecipazione è normalmente ristretta quan­
do il sindacato produce solo beni collettivi e non può imporre la partecipazione.

44
E/letti perversi e mutamento sociale

del posto di lavoro (bene individuale), o una garanzia contro gli inci­
denti sul lavoro .
Al di fuori di queste possibilità di applicazione e di nuo�a interpre­
tazione di numerosi fenomeni sociali e politici che la teoria di Olson
offre , essa si presta egualmente alla reinterpretazione di certi autori
classici. Molto stimolante è la lettura che Olson fa della teoria del cam­
biamento sociale di Marx e della teoria di Durkheim, relativamente ad
alcune osservazioni incidentali. Quando Marx concepisce gli interessi
dei capitalisti come contraddittori rispetto a quelli del proletariato, egli
intende i due gruppi come gruppi latenti ciascuno composto da perso­
ne che hanno lo stesso interesse , che è contraddittorio con l'interesse
comune dei membri dell'altro gruppo. L'obiezione di Olson è allora
questa: la proposizione secondo cui il conflitto di interessi conduce ne­
cessariamente alla lotta di classe è incompatibile con un utilitarismo
coerente; in quanto gruppi latenti, le classi sono fondamentalmente in­
capaci di intraprendere le azioni collettive destinate a promuovere i lo­
ro interessi. Esistenza di classi si, lotta di classi no. A questa obiezio­
ne si può rispondere che Marx, al contrario di quanto pensa Olson, si
era accorto del problema: la distinzione tra classe in sé e classe per sé,
le infinite esitazioni sulla nozione di coscienza di classe, gli sviluppi
sull'organizzazione politica delle classi mostrano che Marx era almeno
implicitamente cosciente del paradosso di Olson. D'altronde la cosa
non è sorprendente: tutta la filosofia politica del XVIII secolo, tutta
l'economia della fine del XVIII e dell'inizio del XIX secolo di cui
Marx si nutre, fanno perno sui paradossi dell'azione collettiva .
In ogni modo la conseguenza forse piu interessante che si può far
derivare dalla teoria di Olson, dal punto di vista del mutamento socia­
le, è la proposizione a cui Robert Michels aveva dato il nome di legge
di bronzo dell'oligarchia. 19 Supponiamo che un notevole numero di
individui non organizzati abbiano interesse alla produzione di un bene
collettivo. In base alla teoria di Olson, in condizioni molto generali,
questi individui non saranno in grado di produrre questo bene . Se que­
sto è vero, il bisogno collettivo manifestatosi potrà invogliare un im­
prenditore nel senso schumpeteriano del termine . Questi costruirà
un'organizzazione destinata a sfruttare, oltre che a soddisfare, quel be­
ne collettivo. La coercizione o l'offerta di beni individuali paralleli per­
metterà all'imprenditore di attirare il pubblico potenziale. Tuttavia,
una volta creata l'organizzazione, niente assicura che gli interessi degli
individui che si presume rappresenti siano effettivamente soddisfatti.
In effetti, supponendo che i membri dell'organizzazione prendano mi­
sure o adottino una politica che i loro mandanti disapproverebbero se
fossero interpellati, si deduce dal teorema di Olson che essi non mani­
festeranno la loro opposizione alla politica seguita, a meno che non
vengano esplicitamente consultati: un tale fenomeno corrisponderebbe
alla produzione di un bene collettivo . Il teorema mostra quindi che un

19 RosERT MICHELS, Politica! Parties, Dover, New York 1959.

45
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

gruppo disorganizzato , in condizioni generali, è incapace di produrre


un bene collettivo. Inoltre il gruppo dei mandanti è certamente disor­
ganizzato nei rapporti con la propria organizzazione (se si astrae dai
meccanismi di controllo elettorale dell'organizzazione attraverso la
"base " , che sono per loro natura saltuari e spesso simbolici) . '" In altri
termini, nel caso in cui l'organizzazione che li rappresenta segua una
politica che devia sensibilmente dagli interessi dei suoi mandanti, que­
sti ultimi sono, in condizioni generali, incapaci di manifestare la loro
opposizione . La "soluzione " di questo stato latente di crisi si incarna
spesso nel nuovo imprenditore che sfrutta a suo vantaggio il "mercato"
creato dalla discrepanza e che costruisce sia una nuova organizzazione
orientata verso lo stesso pubblico potenziale , sia una opposizione in­
terna alla preesistente organizzazione . In molti casi il teorema di Olson
mostra che si arriva ad una gestione oligarchica degli interessi dei man­
danti e nella migliore delle ipotesi ad una rivalità tra oligarchie concor­
renti.
Certamente questa legge di bronzo dell'oligarchia, che Robert Mi­
chels ha scoperto attraverso un'analisi erudita della storia dei partiti so­
cialisti europei del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo e che appare
come un corollario ( d'altronde non sviluppato da Olson stesso)'1 della
teoria olsoniana dell'azione collettiva, presenta delle importanti conse­
guenze dal punto di vista del nostro discorso. In effetti, a partire dal
momento in cui gli organi rappresentativi degli interessi dei gruppi
hanno tendenza ad acquistare una forma oligarchica, deriveranno ten­
sioni e squilibri ovviamente portatori di mutamento sociale.
Come Olson stesso indica, è chiaro che la sua teoria è lontana dal
poter essere applicata senza restrizioni ad ogni tipo di situazione: esi­
stono casi in cui i costi dell'azione collettiva sono trascurabili, nulli o
negativi. La partecipazione ad una manifestazione politica può costitui­
re un piacere in sé, rompere la monotonia di tutti i giorni, conferire al
partecipante un sentimento di importanza. Nell'insieme delle situazio­
ni giudicabili attraverso un'analisi utilitarista, sono rilevanti per la teo­
ria di Olson solo quelle che implicano effettivamente dei costi positivi.
D'altra parte esistono certamente gruppi che non si prestano all'analisi
utilitarista, se non in modo assai indiretto o a prezzo di una riduzione
del concetto di interesse o di utilità che lo renda vuoto e tautologico .
E. evidente che la chiarezza non solo comincia da se stessi ma si ferma
spesso a se stessi. Da ciò non deriva comunque che l'analisi utilitarista
dei gruppi religiosi per esempio non conduca molto lontano. E. dunque
all'interno di limiti precisi che la teoria di Olson trova portata e appli­
cazione .

20 Inoltre la forma della consultazione sfugge generalmente a i mandanti. D i solito si de·


vono verificare delle condizioni particolari perché una consultazione sia effettivamente utiliz­
zata dai mandanti per correggere la linea seguita dall'oligarchia.
2 1 Michels è citato solo una volta da Olson e in modo molto incidentale.

46
Effetti perversi e mutamento sociale

Come i mali sociali possono non essere causati da nessuno e giovare a


nessuno

Nelle due sezioni precedenti ho presentato dettagliatamente due


teorie che mostrano come le situazioni di crisi, di squilibrio o di "ten­
sione" sociale possano derivare dall'apparizione di effetti perversi, cioè
di effetti non voluti dagli attori sociali e che non derivano dall'opposi­
zione degli interessi e dai conflitti che ne conseguono. Ancora una vol­
ta, non pretendo che questi effetti perversi siano in ogni caso la causa·
del mutamento sociale. Esistono altri tipi di processo che conducono al
mutamento sociale : irradiazione a catena a partire da un focolaio loca­
lizzato, contraddizione ( nel senso di gioco a somma zero)22 tra gli inte­
ressi di gruppi di dimensioni notevoli come le classi sociali, obsole­
scenza delle istituzioni, guerre, conquiste, ecc . Tuttavia i processi di
mutamento dovuti all'apparizione di effetti perversi rivestono un parti­
colare interesse. Prima di tutto perché sono molto frequenti, poi per­
ché passano spesso inosservati, infine perché sono teoricamente piu
complessi degli altri tipi di mutamento . La contraddizione tra opposti
interessi è immediatamente comprensibile . E chiaro che in numerosi
conflitti sociali il guadagno dì una delle componenti corrisponde alla
perdita dell'altra. In questo caso la contraddizione di interessi prende
la forma di una semplice contraddizione logica (incompatibilità di inte­
ressi) o, come si dice nel linguaggio della teoria dei giochi, di un gioco
a somma zero (i guadagni dell'uno corrispondono esattamente alle per­
dite dell'altro ) . Gli effetti perversi rappresentano al contrario contrad­
dizioni con un grado di complessità piu elevato. Nella battuta di caccia
di Rousseau, i due partner risultano perdenti. Il fatto che ciascuna uni­
tà familiare manifesti una domanda di scolarità superiore a quella che
una famiglia comparabile avrebbe manifestato in un periodo preceden­
te, comporta che ciascuno debba subire un costo piu elevato per l'ac­
quisizione del proprio status sociale e che la democratizzazione delle
possibilità scolastiche non abbia nessuna influenza sulla diseguaglianza
delle possibilità sociali ( immobilità sociale ) e sulla diseguaglianza dei
redditi. La logica dell'azione collettiva tendente alla produzione di be­
ni collettivi determina la formazione di strutture oligarchiche che pos­
sono avere conseguenze negative su tutti. Tutti questi effetti perversi
presentano la struttura del gioco a somma diversa da zero . Sottolineia­
mo incidentalmente che queste strutture fondamentali per l'analisi del
mutamento sociale sono ovviamente ignorate da coloro che ritengono i
conflitti tra i gruppi sociali ( gioco a somma zero) il motore esclusivo
del mutamento .
In questa sezione vorrei presentare, in modo piu succinto rispetto
alle precedenti, qualche esempio aggiuntivo che permette di misurare
il vasto campo di applicazione degli effetti perversi.

22 In altri casi la nozione dialettica di contraddizione è simile a quella delle strutture a


equilibrio instabile tipiche della teoria dei giochi.

47
Effetti "perversi " dell'azione sociale

1 . La diserzione e la p rotesta di Hirschman. Il volumetto di Hir­


schman Exit, Voice and Loyalty/3 è nato da un'osservazione banale in
se stessa, ma certamente feconda, perché contraddittoria con una teo­
ria classica: la teoria della concorrenza perfetta insegna che quando una
impresa tenta di vendere il prodotto ad un prezzo superiore a quello di
equilibrio, si origina una fuga dei consumatori verso le imprese con­
correnti che la costringono a ritornare al prezzo iniziale . L'impresa de­
ve quindi pensare ai mezzi che le permettono di ridurre i costi di pro­
duzione , per esempio attraverso un miglioramento di gestione o un au­
mento della produttività.
Ora, ecco che nel corso delle sue ricerche sullo sviluppo, Hirsch­
man si imbatte in un caso esattamente opposto: finché beneficiarono
di una situazione di monopolio le ferrovie nigeriane presentarono una
gestione economica. Quando vennero esposte alla concorrenza dei tra­
sporti su strada, la loro situazione cominciò a degradarsi irreversibil­
mente. La spiegazione del fenomeno è semplice: l'apparizione della
concorrenza dei trasporti su strada ha privato le ferrovie non tanto di
una frazione aleatoria degli utenti, ma dei piu esigenti tra essi. Di
conseguenza il passaggio dalla situazione di monopolio alla concorren­
za ha comportato per le ferrovie non certo l'apparizione , come vorreb­
be la teoria, ma piuttosto la sparizione dell'incentivo alla modernizza­
zione .
Da questo esempio innanzitutto deriva che l'azione benefica della
"mano invisibile" non implica necessariamente una situazione di con­
correnza . Può verificarsi anche in una situazione di monopolio. Tutta­
via - è questo il tema centrale del libro di Hirschman - i suoi mecca­
nismi sono in questo caso differenti. N ei casi di concorrenza essa ope­
ra provocando la diserzione del consumatore. Se questa diserzione in­
fluisce· aleatoriamente sui consumatori e se l'impresa interessata è in
grado di reagire , l'effetto è benefico. Se l'una o l'altra delle due condi­
zioni non si realizza, l'effetto può addirittura essere sfavorevole, come
nel caso delle ferrovie nigeriane . Nel caso del monopolio la mano invi­
sibile agisce provocando non tanto la diserzione, che per ipotesi è im­
possibile , ma piuttosto la p rotesta.
Diserzione e protesta24 : sono quindi questi i due tipi fondamentali
di reazione al declino non solo delle imprese, ma anche, come indica il
sottotitolo del libro, delle organizzazioni di qualsiasi natura .
A questo riguardo, come nota Hirschman, le scienze sociali si ca­
ratterizzano per una singolare divisione del lavoro: il solo meccanismo
di cui la teoria econo mica tiene conto è la diserzione ; mentre sembra
che la scienza politica attribuisca interesse solamente alla pro testa. Hir­
schman si domanda se non sarebbe piu utile progettare una teoria in
grado di studiare , superando le frontiere che dividono l'economia dalla
scienza politica, sia le condizioni della formazione della diserzione e

23 ALBERT O . HIRSCHMAN, Exit, Voice and Loyalty, Harvard University Press, Cambrid­
ge (Mass. ) 1 97 0 .
2 4 "Défection" e "prise de parole" nel testo francese.

48
Effetti perversi e mutamento sociale

della protesta, sia il loro dosaggio in funzione dei tipi di organizzazio­


ne , sia il loro differente grado di efficacia . Invece di studiare gli effetti
della diserzione sulle imprese e della protesta sulle organizzazioni, per­
ché non studiare la complementarietà dei due meccanismi?
Una delle applicazioni piu brillanti del binomio diserzione l
protesta apparve nella critica di Hirschman al celebre modello di Ho­
telling . Come è noto, Hotelling25 nel 1 9 29 aveva proposto di assimila­
re un sistema di partiti politici ad un insieme di imprese che cercano di
spartirsi un mercato. Nel caso piu semplice, il modello suppone che gli
elettori siano distribuiti su un continuum ideologico lineare e che voti­
no per quel partito che adotta la posizione piu vicina a ciascuno di essi.
La figura piu sotto (dove si sono supposti due partiti: A e B) permette
di indovinare facilmente ciò che accadrà. Consideriamo per esempio il
partito A: tutti gli elettori situati ideologicamente tra O e M ( metà del
segmento AB) sono piu vicini ad A che a B. Spostandosi ideologica­
mente verso sinistra (verso 0) A perderebbe un certo numero di elet­
tori: quelli che, a causa dello spostamento, si avvicinerebbero piu a B
che ad A. Al contrario, spostandosi a destra, A potrebbe convincere
una parte dell'elettorato di B. Allo stesso modo B non può sperare di
accaparrarsi elettori a spese del concorrente se non spostandosi a de­
stra. Da ciò si può concludere che la posizione di equilibrio dei due
partiti implica che essi occupino delle posizioni ideologiche sensibil­
mente vicine.

Fig. l .

E comprensibile l'interesse che il modello di Hotelling ha suscita­


to: esso fornisce una spiegazione della vicinanza ideologica dei due
grandi partiti americani; spiega che i partiti rivoluzionari non possono
aspirare ad una clientela numerosa se non barattando il loro ideale in
cambio di un riformismo moderato; spiega il fenomeno frequente ma

25 H ARO LD HoTELLING, Stability in Competition, in "Economie Journal ", n. 39, 1 9 29,


pp. 4 1 -57. E facile immaginare delle altre varianti al modello di Hotelling, diverse da quelle
proposte da Hirschman. Per esempio supponiamo un sistema pluripartitico notevolmente
orientato verso la bipolarizzazione a causa di un cambiamento nel sistema di scrutinio. La de­
terminazione della posizione di ciascun partito originario dovrà certamente prendere in consi­
derazione il costo dello spostamento ideologico provocato dal cambiamento istituzionale .

49
Effetti "perversi " dell'azione sociale

strano della spartizione dell'elettorato tra due partiti notevolmente si­


mili nei sistemi bipartitici.
Il New Deal comportò una correzione , dovuta a Downs,26 del mo­
dello di Hotelling: per spiegare la diversità ideologica dei due partiti a
quell'epoca, Downs introduce l'ipotesi che l'elettore prigioniero (cioè
tutti gli elettori situati a sinistra di A o a destra di B) può essere sensi­
bile alla distanza che lo separa ideologicamente dal partito piu vicino e
astenersi se questa distanza supera una certa soglia. In linguaggio eco­
nomico l'autore suppone, al contrario di Hotelling, che l'elasticità del
voto rispetto alla distanza ideologica non è necessariamente nulla.
Non è forse degno di attenzione, sottolinea allora Hirschman, che,
da buoni economisti, sia Downs che Hotelling introducano esclusiva­
mente i meccanismi di diserzione nei loro modelli? Non è forse ragio­
nevole supporre che , quando gli elettori prigionieri vedono crescere la
distanza ideologica che li separa dal partito piu vicino, tendano a fare
piuttosto ricorso alla protesta? Se si accetta l'ipotesi, è piu facile com­
prendere, per esempio, il fenomeno dell' over-shoting che caratterizza
le elezioni presidenziali americane del 1 964 e del 1 9 6 8 : la protesta po­
trebbe spiegare il fatto che il candidato repubblicano (Goldwater) sia
stato scelto troppo a destra nel 1 964 e il candidato democratico
(McGovern) troppo a sinistra nel 1 96 8 . Un'altra esemplificazione bril­
lante della coppia protesta/ diserzione è rappresentata dalla spiegazione
che Hirschman dà della legge di bronzo dell'oligarchia di Michels: in
un sistema politico bipartito, egli afferma, la distanza ideologica tra i
due partiti è in media piu grande rispetto ad un sistema pluripartitico.
D'altra parte la quota degli elettori prigionieri deve essere maggiore
nel primo caso che nel secondo. In conseguenza la protesta giocherà,
rispetto alla diserzione , un ruolo piu importante nel primo caso . Reci­
procamente la diserzione gioca un ruolo tanto piu importante rispetto
alla protesta, quanto maggiore è il numero dei partiti. Di conseguenza
i sistemi pluripartitici favoriscono meglio la formazione di oligarchie
politiche, perché, come ha mostrato Michels, minimizzano il ruolo
della protesta. Tuttavia, sottolinea Hirschman, occorre tenere presen­
te che , enunciando la sua famosa legge di bronzo dell'oligarchia, Mi­
chels si basava essenzialmente sulla conoscenza dei sistemi politici plu­
ripartitici del continente europeo occidentale .
Queste considerazioni e altre ancora suggeriscono che le istituzioni
o, secondo i casi, le organizzazioni implicano, per la loro stessa struttu­
ra, un certo dosaggio tra protesta e diserzione: se non sono soddisfatto
del mio droghiere è facile che tenda a disertarlo piuttosto che a prote­
stare a meno che non si trovi in una situazione di monopolio ; se non
'
sono soddisfatto del partito cui do abitualmente il voto, lo diserterò
facilmente se posso trovare un partito concorrente piu conforme ai
miei desideri; ma se sono militante in un partito in cui mi sono impe-

26 ANTONY DowNs, An Economie Theory o/ Democracy, Harper and Brothers, New


York 1 95 6 .

50
E/letti perversi e mutamento sociale

gnato dopo matura riflessione, è possibile che la diserzione intervenga


solo quando le risorse della protesta si saranno esaurite . Il dosaggio
protesta/ diserzione varia dunque in funzione del costo di entrata in
un'organizzazione, del costo di uscita, della presenza o dell'assenza di
organizzazioni che forniscono un prodotto o un servizio sostitutivo,
della facilità di accesso a queste organizzazioni concorrenti e di altre
variabili che Hirschman introduce nel corso dei suoi esempi.
Il terzo concetto importante che appare nel titolo del libro è quel­
lo di lealtà : un concetto introdotto per rendere conto soprattutto delle
situazioni in cui il costo di uscita dalle organizzazioni è elevato e in cui
la protesta è anch'essa costosa o poco efficace. In questo caso accette­
rei senza brontolare un certo grado di disaccordo con l'organizzazione
alla quale appartengo: le resterei leale nonostante la distanza che ci se­
para. All'aumento dei costi di uscita e dei costi di protesta e alla con­
temporanea diminuzione dell'efficacia di quest'ultima, per forza di co­
se la lealtà tende a svilupparsi. Questa è la ragione per cui lo sciovini­
smo è cosi diffuso anche tra coloro che sono piu critici nei confronti
della società in cui vivono; la stessa ragione spiega la drammaticità
sempre legata alla decisione di emigrare (diserzione ) .
Siamo lontani, come si vede, dalle ferrovie della Nigeria, benché
l'esempio che l'opera ha ispirato si ritrovi testualmente nelle società in­
dustriali: allo stesso modo la diserzione delle classi agiate verso le
scuole private ha provocato negli Stati Uniti una degradazione appa­
rentemente irreversibile del sistema delle scuole pubbliche ; allo stesso
modo la concorrenza del telegrafo e del telefono ha privato i servizi
postali dell'élite della loro clientela e generato un deterioramento ac­
celerato di questo servizio pubblico. Tuttavia la varietà degli esempi a
cui Hirschman applica i concetti fondamentali di diserzione, protesta e
lealtà mostra la portata generale del suo schema teorico.
Cosi, malgrado la forma particolare dello schema di Hirschman, il
suo modello teorico permette di individuare , al di là degli esempi della
società americana, una spiegazione interessante della "tristezza" delle
società industriali. Le indicazioni dell'autore a riguardo sono fuggenti e
sfumate: l'uniformità progressiva dell'ambiente urbano negli Usa causa
una riduzione delle possibilità di diserzione , da qui l'intensità crescen­
te della protesta e il ricorso massiccio alla retorica per denunciare l'uni­
verso dei suburbi. Il potere nero appare come una sostituzione della
protesta alla diserzione a partire dal momento in cui diventa chiaro che
la diserzione attraverso la mobilità non è altro che una illusione . Si po­
trebbe aggiungere, per riprendere un tema introdotto poco sopra, che
ciò accadde a partire dal momento in cui fu chiaro che l'egualizzazione
delle possibilità scolastiche non comportava degli effetti scontati dal
punto di vista della mobilità. Il movimento ecologico si è sviluppato a
partire dal momento in cui i piu favoriti, non potendo disertare gli in­
convenienti dell'inquinamento, si misero a protestare . Le associazioni
in difesa dei consumatori conobbero un vasto seguito quando, a causa
dell'aumento generale del tenore di vita, i beni durevoli impegnarono

51
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

una parte crescente dei bilanci familiari: ora, se la diserzione è meno


costosa nel caso dei beni deperibili, la protesta si impone nel caso dei
beni durevoli. L'importanza politica della lotta contro la criminalità si
impose quando la criminalità si estese ai suburbi rendendo impossibile
la diserzione delle classi medie . Si potrebbe, continuando l'analisi di
Hirschman, prolungare indefinitivamente la lista e aggiungere il rifiori­
re dei regionalismi e dei particolarismi, senza dimenticare i particolari­
smi delle classi di età, i fenomeni di contro cultura e tanti altri. Tutti
questi cambiamenti possono essere analizzati partendo dalla dialettica
degli effetti perversi, se occorre, effetti perversi negativi, frequente­
mente ma non necessariamente generati ( cfr. la mano invisibile di A.
Smith) dalla logica della diserzione.

2. I costi dell'organizzazione, secondo Buchanan e Tullock . Il li­


bro di Buchanan e Tullock, The Calculus o! Consent27 riprende il pro­
blema posto da Jean-Jacques Rousseau nel Contratto sociale : quale ti­
po di organizzazione rappresentativa adottare affinché siano eliminati
gli effetti perversi simili a quelli del dilemma del prigioniero? La rispo­
sta di Buchanan e Tullock consiste prima di tutto nel sottolineare che ,
quando si tratta di eliminare un effetto perverso, si devono considera­
re i costi di questa eliminazione . Come è noto fin dai tempi di Rous­
seau, questi costi possono essere · notevoli: il selvaggio deve, per acce­
dere alla libertà civile, abbandonare lo stato di libertà naturale , cioè
sottomettersi alle restrizioni e alle sanzioni previste dal contratto. Ciò
che interessa nel libro di Buchanan e Tullock è il fatto che essi relati­
vizzano le proposizioni di Rousseau: in certi casi l'eliminazione di un
effetto perverso può essere piu spiacevole e costosa di quanto non sia
l'effetto perverso stesso. Cosi, al di sotto di un certo livello di circola­
zione automobilistica, è preferibile non installare i semafori: indi­
pendentemente dai costi di installazione, le inutili attese davanti ai se­
mafori possono essere tutto sommato piu difficilmente sopportabili
degli inconvenienti derivanti dalla loro assenza. Naturalmente al di là
di questa soglia, la situazione cambia . In caso di circolazione molto
densa, la maggior parte degli automobilisti accetta senza brontolare la
restrizione dei semafori. Benché questa restrizione appaia sgradevole,
lo sarà sempre meno degli inconvenienti che risulterebbero dalla sua
assenza. E: chiaro che la difficoltà consiste nel misurare la soglia oltre
la quale una delle due soluzioni può essere abbandonata a vantaggio
dell'altra. A dire il vero è piu realistico sostituire il concetto di soglia
con quello di zona di incertezza: in questa zona non si può dire con
certezza quale delle due soluzioni sia preferibile.
Considerazioni analoghe possono essere applicate a problemi di or­
ganizzazione piu complessi di quelli dei semafori. Quando un numero
limitato di n individui cooperano alla realizzazione di un compito,

27 BucHANAN, TuLLOCK, The Calculus o/ Conrent, The Universicy of Michigan Press, Ann
Arbor 1 96 5 .

52
Effetti perversi e mutamento sociale

un'organizzazione di tipo democratico in cui ciascuno detiene una fra­


zione 1 l n del potere di decisione, può essere efficace nel senso che
minimizza i costi dell'interdipendenza: il compito è distribuito in modo
adeguato, l'eliminazione delle disparità di vedute non è troppo costosa
(per esempio in termini di tempo) . In compenso è chiaro che , al cre­
scere di n, l'accordo è molto piu difficile da raggiungere. Una riparti­
zione asimmetrica del potere di decisione, che comporta l'instaurazio­
ne di un meccanismo di autorità, corrisponderà allora ad un livello in
cui i costi di interdipendenza sono inferiori rispetto alla soluzione "de­
mocratica". Immaginiamo per esempio che si voglia adottare la solu­
zione democratica riguardo al problema della regolazione della circola­
zione, il che comporterebbe la ricerca del consenso tra gli automobili­
sti piuttosto che l'adozione della soluzione autoritaria generalmente
adottata (i semafori ): ne risulterebbero costi d'interdipendenza tali da
apparire subito insopportabili.
Naturalmente , ogni volta che si pone un problema di organizzazio­
ne , si incontrano le difficoltà menzionate poco sopra, sapendo che il
tipo ottimo di organizzazione non può essere determinato se non nelle
situazioni estreme. Da questi estremi si ricade nelle zone di incertezza
caratterizzate dall'impossibilità di determinazione "oggettiva" di una
"soluzione" preferibile all'altra . Di conseguenza queste zone di incer­
tezza sono inevitabilmente zone di conflitto: esse comportano la for­
mazione di partiti che cercano di imporre l'adozione di questa o quella
soluzione. La nozione di cogestione è oggi il termine di adesione di
coloro che ritengono di minimizzare i costi di interdipendenza atte­
nuando l'asimmetria della distribuzione dell'autorità. Il libro di Bucha­
nan e Tullock dimostra che, se le cose stanno a questo modo in certi
casi, non è ragionevole ritenere che l'egualitarismo della distribuzione
dell'autorità comporta sempre necessariamente un'attenuazione dei co­
sti di interdipendenza. Si può qui ritrovare la nozione di Rousseau per
cui i costi di interdipendenza possono essere maggiori nello stato di
natura che nello stato sociale . Tradotta in linguaggio moderno questa
proposizione può essere cosi espressa: la relazione tra la distribuzione
dell'autorità e il livello dei costi di interdipendenza ( l'intensità degli ef­
fetti perversi) è complesa e varia secondo i casi considerati. Se si ag­
giunge che il concetto di distribuzione ottimale dell'autorità non ha ge­
neralmente nessun senso in una situazione di vaste zone di incertezza,
si può concludere che ogni problema di organizzazione sociale è nor­
malmente un luogo di conflitto.
Interpretata e arricchita in questo modo , l'analisi di Buchanan e
Tullock può essere avvicinata alla tesi del sociologo tedesco Ralf Dah­
rendorf'" secondo cui i conflitti delle società industriali sono soprattut­
to conflitti relativi alla distribuzione dell'autorità. Se, come si fa talvol­
ta e come lo stesso Dahrendorf sollecita a fare, si interpreta questa
tesi nel senso che la distribuzione ineguale dell'autorità è sempre arbi-

'" BucHANAN, TuLLOCH, op. cit.

53
Effetti "perversi " dell'azione sociale

traria e illegittima, poiché deriva principalmente dal rapporto di forze


tra i gruppi sociali, la tesi è certamente falsa. Tuttavia si può anche da­
re un'interpretazione generosa della tesi di Dahrendorf: salvo che nei
casi estremi, è difficile dimostrare che una forma di organizzazione e
soprattutto di distribuzione dell'autorità, dal punto di vista dei mem­
bri, è superiore ad un'altra . Di conseguenza i problemi di distribuzione
dell'autorità sono normalmente, cioè molto frequentemente, l'oggetto
di sistemi di valore e di conflitto . In ogni modo questa lotta attorno
alla distribuzione dell'autorità non comporta la convinzione nella supe­
riorità indiscussa della distribuzione egualitaria dell'autorità.
L'ipotesi fondamentale dello studio di Buchanan e Tullock può es­
sere riassunta nel fatto che ogni organizzazione tende ad eliminare i
costi che ciascuno impone agli altri in qualsiasi situazione di interdi­
pendenza. Ciò porta ad affermare che la funzione principale dell'orga­
nizzazione sociale è l'eliminazione degli effetti perversi. Questa elimi­
nazione non è mai gratuita, comporta a sua volta costi che variano, da
una parte con la natura degli effetti perversi che occorre eliminare, da
un'altra parte con il tipo di organizzazione scelta. Sfortunatamente bi­
sogna aggiungere alle proposizioni di Buchanan e Tullock la proposi­
zione secondo cui la determinazione dei costi non può essere stabilita
"oggettivamente " , salvo eccezioni. N e risulta che questa soluzione non
può che essere raggiunta su un terreno pratico, attraverso l'opposizio­
ne e il confronto dei punti di vista. L'ideale leibniziano non dispute­
mus sed ca lculemus è inapplicabile, a dispetto del titolo fallace del li­
bro di Buchanan e Tullock: The Calculus of Consent.

3 . Considererò infine brevemente i lavori di Thomas Schelling sul­


la segregazione che forniscono un altro brillante esempio della relazio­
ne tra gli effetti perversi e il mutamento sociale. 29 Il risultato fonda­
mentale di questi lavori è che i fenomeni di segregazione sociale o raz­
ziale non sono necessariamente l'effetto di attitudini segregazioniste.
In altri termini la segregazione può essere il risultato perverso di com­
portamenti in se stessi non segregazionisti. Schelling è ricorso ad un
semplice modello per evidenziare questo effetto moltiplicativo: consi­
deriamo una scacchiera e poniamo per esempio 20 pezzi da l O centesi­
mi e iO pezzi da l franco per rappresentare gli individui appartenenti
rispettivamente a due .gruppi sociali ( per esempio classi sociali) o etni­
ci. Disponiamo poi in modo casuale i venti pezzi sulla scacchiera. Si
può interpretare la situazione che ne risulta come una simulazione per
esempio di un insieme di relazioni di prossimità residenziale . Ammet­
tiamo allora che i membri di ciascuno dei due gruppi, anche senza nu­
trire alcuna ostilità o desiderio di segregazione nei confronti dei mem­
bri dell'altro gruppo, provino fastidio a trovarsi in situazione di mino­
ranza. Si può simulare questo sentimento supponendo che ciascun pez-

29 THOMAS ScHELLING, On the Ecology o/ Micromotives, in "The Public Interest '', n . 25,
autunno 1 971 , pp. 6 1 -9 8 . Si veda anche Dynamic Models o/ Segregation, in "Journal of Ma­
thematical Sociology ", 1 97 1 , pp. 1 43- 1 85 .

54
Effetti perversi e mutamento sociale

zo, che si trova sulla scacchiera in posizione minoritaria, continui a


spostarsi fino a che sarà attorniato da almeno il 5 0 % di pezzi della stes­
sa categoria . Quando viene raggiunta questa situazione di equilibrio , si
suppone che il pezzo in questione è "soddisfatto " e smette di muoversi
(a meno che i suoi vicini, spostandosi per ottenere anche loro il punto
di rispettivo equilibrio, non facciano di nuovo cadere il pezzo in una
situazione di minorità) . E facile giocare a questo gioco, spostando i
pezzi sulla scacchiera . La struttura di equilibrio è tutt'altro che intuiti­
va. In effetti il processo genera un fenomeno di segregazione brutale .
Benché ciascun individuo, lungi dal provare ostilità nei confronti dei
membri dell'altro gruppo, tolleri benissimo che una metà dei suoi vici­
ni appartenga a quest'ultimo , un considerevole effetto di segregazione
si è creato: i pezzi da 1 franco formano sulla scacchiera una sorta di
ghetto immerso in un ambiente popolato di pezzi da 1 0 centesimi. Co­
si il desiderio di ciascuno di non trovarsi in situazione di minorità ge­
nera un effetto moltiplicativo che amplifica le preferenze individuali:
benché in nessun modo ostile ai pezzi da 1 franco, provo, in quanto
pezzo da 1 O centesimi, il desiderio piu che naturale di non trovarmi in
situazione di minoranza. E sufficiente , per mia fortuna, che la metà dei
miei vicini sia della mia stessa specie . Questo desiderio "naturale" ge­
nererà pertanto un effetto non voluto di auto-amplificazione a partire
dal momento in cui viene espresso da tutti gli individui: i pezzi da 1
franco si troveranno tra loro, come pure i pezzi da 1 0 centesimi.
Questo apologo riveste una grande importanza, mostra come situa­
zioni sociali indesiderabili possano risultare da una applicazione, non
voluta da nessuno, dei comportamenti "naturali" individuali. L'elimi­
nazione di questi effetti perversi implica certamente, al di là di altri
costi eventuali, l'interferenza di elementi esterni con la libertà di azio­
ne e di decisione degli individui. Una situazione sociale inde siderabile
e non desiderata impone naturalmente la sua eliminazione , ma i costi
di eliminazione possono essere considerevoli. In questo caso è proba­
bile che si formi una situazione di tensione sociale, che si formino dei
partiti, che le ideologie vadano a gonfie vele. Prolungando l'apologo di
Schelling, siformerà un partito che sosterrà l'eliminazione a tutti i co­
sti dell'effetto perverso che conduce alla segregazione e che adotterà
l'eliminazione o la restrizione della libertà di movimento delle monete,
mentre un altro partito proclamerà il carattere sacro di questa libertà .
In breve si può scommettere che ne risulterà una opposizione ideolo­
gica netta, conflitti e alla fine mutamenti sociali.
Cosa si può concludere da questo giro di orizzonte ? Mi limiterò a
qualche proposizione che mi sembra essenziale. La prima è che gli stati
di squilibrio sociale , di tensione sociale e, di conseguenza, il mutamen­
to sociale possono essere la risultante non solo dei conflitti di interesse
contraddittori, ma anche di effetti perversi generati dalla maggior parte
delle strutture di interdipendenza. Le situazioni sociali inde siderabili
non risultano necessariamente dalla capacità di un gruppo dominante
di imporre le sue volontà e i suoi interessi ai gruppi "dominati" . Que-

55
Effetti "perversi " dell'azione sociale

sta struttura di gioco a somma zero non è senz'altro né la piu caratteri­


stica né la piu importante, benché possa occasionalmente caratterizzare
la vita sociale . Uno dei progressi piu considerevoli conseguiti dalla so­
ciologia moderna, nella spiegazione dei conflitti e del mutamento so­
ciale, è costituito dalla scoperta simultanea, da parte di numerosi auto­
ri, dell'importanza delle strutture dei giochi a somma diversa da zero
nell'analisi delle situazioni di interdipendenza. Coloro che continuano
a credere nelle virtu dell'opposizione semplicistica tra conflitto e con­
senso e che concepiscono i conflitti come caratterizzati necessariamen­
te dalla struttura dei giochi a somma zero, fanno già venire in mente i
medici di Molière .
Secondariamente si è visto che le situazioni di squilibrio e di ten­
sione sociale sono in qualche modo normali. Gli effetti perversi sono
onnipresenti nella vita sociale. Tuttavia in generale non ci si può aspet­
tare di osservare un consenso sul valore relativo della loro disutilità in
rapporto ai costi della loro eliminazione . Il caso particolare della distri­
buzione dell'autorità è significativo a questo riguardo e le conclusioni a
cui conduce possono essere facilmente generalizzate . Dahrendorf l'ha
intuito perfettamente ma l'ha espresso male. Una distribuzione data
dall'autorità non può, in condizioni molto generali, essere contestata:
la nozione di una distribuzione ottimale dell'autorità è generalmente
priva di senso, poiché è indeterminata nella maggior parte dei casi.
Come tutti i processi di organizzazione , supposto certamente che ven­
ga adottata una distribuzione definita dell'autorità, questa risulterà nor­
malmente dalla conclusione dei conflitti tra i gruppi interessati e sarà
necessariamente portatrice di nuovi conflitti. Come corollario occorre
notare anche il carattere normale del fenomeno ideologico. In assenza
di soluzioni "oggettive" (cioè che possono unanimemente essere consi­
derate ottimali) , le ideologie forniscono sistemi di criteri pseudo­
oggettivi.
Le considerazioni precedenti mostrano in terzo luogo, a livello piu
generale, che l'analisi del mutamento sociale non può ricorrere senza
circospezione ai modelli analogici mutuati da altre discipline . L'analogia
del contagio epidemiologico cara a Tarde non è utilizzabile se non in
casi particolari. L'analogia chimica, cara a Durkheim, tipica della socie­
tà-sintesi, non è di grande utilità. L'analogia biologica dell'adattamento
di un preteso organismo sociale ad un ambiente che cambia, cosi come i
modelli cibernetici, devono ancora dimostrare la loro fecondità in mate­
ria di sociologia. Le analisi precedenti mostrano che l'interesse limitato
di queste analogie è dovuto al fatto che è difficile analizzare casi tipici di
tensione sociale, di squilibrio sociale, senza porre come atomo logico
l'individuo con le sue capacità specifiche di intenzionalità, eventualmen­
te razionalità, in ogni caso di azione. Una volta riconosciuto questo pun­
to, ne deriva anche che le analogie fisiche non potrebbero avere che un
interesse ristretto in sociologia. Il cambiamento dei sistemi sociali non
può assomigliare al cambiamento dei sistemi fisici se non in virtu di ana­
logie lontane di scarso valore euristico.

56
Effetti perversi e mutamento sociale

Per quanto riguarda le pretese leggi della storia che furono cosi
popolari presso i sociologi del XIX secolo e che non mancano di se­
durre certi sociologi del XX, esse possono essere messe da parte senza
inconvenienti. N es suno spirito assoluto veglia sui destini umani. Cer­
to, si possono osservare regolarità statistiche e processi cumulativi: le
fasi culturali di Sorokin non sono prive di fondamento'"; molti fenome­
ni prendono nel tempo un andamento logistico o esponenziale. Tutta­
via queste regolarità non perorano la causa del valore euristico delle
analogie fisiche o epidemiologiche. Infatti per la sociologia si tratta
sempre si spiegare perché un fenomeno si presenta in certi termini,
una volta che si è constatato che presenta una certa regolarità nel tem­
po. Ora, la spiegazione si rifà sempre alla ricerca dell'azione individua­
le dietro alle regolarità che si osservano a livello macrosociologico .

3° Cfr. Social and Cultura/ Dynamic, Bedminster Press, New York 1 962.

57
Capitolo secondo

Istituzioni scolastiche ed effetti perversi . 1 ) Dopo il 1 96 8

Uno dei problemi piu importanti della socio logia riguarda l'anali­
si della relazione tra istituzioni e comportamenti individuali. Le isti­
tuzioni non determinano mai i comportamenti, ma influiscono sui
campi di azione e di decisione degli individui. Come corollario, l'ana­
lisi degli "effetti " di un m.utamento istituzionale riconduce sempre allo
studio delle modificazioni introdotte da questo cambiamento riguardo
ai campi di azione e di decisio ne degli individui.
Il testo che segue rappresenta uno sforzo di applicazione di questo
approccio alla ana lisi dei mutamenti istituzionali che caratterizzano il
sistema universitario francese dopo il 1 968. Si tratta dello studio di un
caso . Spero nondimeno che abbia una p ortata metodologica generale e
mostri l'interesse per l'ana lisi sociologica del paradigma dell'indivi­
dualismo metodologico utilizzato da un capo all'altro di questo libro .
Quando si analizzano gli effetti di un mutamento istituzionale, ci
si può limitare a studiare la convergenza o la mancanza di convergen­
za tra gli effetti e gli obiettivi specifici p erseguiti dagli attori resp onsa­
bili del mutamento. Questa prospettiva è stata seguita nel capitolo ter­
zo . Qui abbiamo tentato un 'analisi generale degli effetti, voluti e non
voluti, positivi e negativi, generati dalle riforme istituzionali che han­
no seguito la riforma universitaria del 1 96 8 in Francia. Per esempio si
è cercato di dimostrare come le limitazioni di diversa origine che il
riformatore doveva affrontare abbiano limitato l 'efficacia delle misure
tendenti a orientare la domanda individuale di istruzione e, attraverso
ciò, a eliminare certi effetti esterni non desiderabili generati dalla
struttura dei flussi scolastici. Sono state anche ana lizzate le ragioni
della bassa efficacia dei meccanismi messi in movimento per aumentare
la qualità delle università dal doppio punto di vista della formazione
e della produzione delle conoscenze. In sostanza un groviglio comples­
so di effetti perversi, che ha preso l'andatura di una macchina inferna­
le, ha neutralizzato in larga misura gli sforzi intrap resi dal riformatore
per rinnovare l'università francese.
Questo testo è stato preparato per un numero speciale di Compara­
tive Politics sulla Francia (apparso nel 1 977). Il saggio originariamen­
te in francese qui pubblicato rapp resenta una versione estesa dell'arti­
colo destinato a lla pubblicazione in inglese.

58
Dopo il 1 96 8

Lavorare rappresenta un dovere di importanza


decisiva. Ma l'effetto del lavoro di ciascuno sul
benessere di tutti è cosi infinitamente piccolo
che nessuno può credere di fare torto a qualcu­
no sottraendosi totalmente o parzialmente al suo
dovere .

T. H . MARSHALL, Cith.enship and Social Class

A caldo, nel 1 9 6 8 , avevo proposto un'interpretazione della crisi


studentesca francese . ' Sommariamente riassunta la mia tesi comportava
due punti principali. Prima di tutto avanzavo l'ipotesi che le istituzioni
universitarie francesi nel 1 9 6 8 fossero inadatte al mutamento relativa­
mente brutale che si era prodotto nella composizione sociale dell'uten­
za poco dopo l'inizio degli anni Sessanta: nel 1 9 6 8 l'università francese
è borghese dal punto di vista delle sue istituzioni e piccolo-borghese
dal punto di vista dell'utenza. Benché i rampolli dell'alta borghesia
conseguano il livello di istruzione universitario con piu frequenza ri­
spetto a quelli della media e piccola borghesia, una larga maggioranza
di studenti appartiene alla media e piccola borghesia. Questa maggio­
ranza di studenti si trova in un tipo di istituzione che male si adatta alle
sue attese. Dall'altro lato l'aumento della domanda di istruzione a livel­
lo superiore rende piu aleatoria la remunerazione sociale che lo stu­
dente può aspettarsi dai suoi studi universitari: lo studente "medio"
del 1 9 6 8 appariva cosi , rispetto al suo compagno piu vecchio, come
disorientato dall'istituzione universitaria.
Ciò che vorrei suggerire è che , né la riforma legislativa dell'univer­
sità francese varata sotto la pressione degli avvenimenti del Sessantotto
né i diversi provvedimenti successivi a questa riforma, sembrano aver
contribuito a risolvere le contraddizioni dell'università precedenti al
Sessantotto e che la rivolta studentesca aveva sconvolto.

Il fallimento della rego lazione dei flussi

Il deterioramento della condizione studentesca che precede la ri­


volta del 1 96 8 era dovuto per una parte consistente al fatto che l'istitu­
zione universitaria non possedeva praticamente nessuno strumento per
il controllo dei flussi di studenti che era supposta formare . La quantità
e la qualità degli studenti che si presentavano all'università era im­
posta. La maturità, diploma che sancisce la fine degli studi secondari,
era (e rimane) nella quasi totalità dei casi la condizione necessaria e
sufficiente per l'accesso all'università . 2 Questo dato istituzionale di ba­
se domina la vita universitaria francese prima e dopo il 1 96 8 : la strut-

1 Cfr. autore, La crise universitaire /rançaise, essai de diagnostic sociologique, in "Anna­


les", n. 3, maggio-giugno 1 969, pp. 738-64.
2 Esistono alcune eccezioni, in particolare il caso dell'università di Vincennes, creata nel
1 9 6 8 , in cui la maturità non è condizione necessaria all'accesso all'università.

59
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

tura quantitativa e qualitativa dei flussi è la risultante dell'aggregazione


di decisioni scolastiche individuali. A causa del principio del libero ac­
cesso all'università, la regolazione di questi flussi non può essere otte­
nuta con un intervento diretto sui flussi stessi, ma solamente con la
creazione di incentivi avventizi. 3 Naturalmente questi incentivi avven­
tizi derivano non dalle università, ma dall'autorità centrale . Cosi la vo­
lontà dei riformatori del Sessantotto di rendere autonome le università
era, su questo punto essenziale, paralizzata in partenza: le università
non potevano controllare un elemento essenziale, i flussi di entrata .
Questa debolezza istituzionale fondamentale ha generato deficit indivi­
duali e collettivi non trascurabili sia prima che dopo il 1 96 8 . N ondime­
no non ha subito correzioni.
l . Un primo effetto del libero accesso all'università è che l'aumen­
to della domanda di istruzione a livello secondario ha una ripercussio­
ne al livello dell'istruzione superiore. A riguardo il problema di sapere
se la Francia ha troppi o troppo pochi studenti, in assoluto o in rappor­
to a paesi vicini come la Germania o la Gran Bretagna per esempio,
non ha un gran significato . Tuttavia un fatto è incontestabile: l'aumen­
to della domanda di istruzione a livello universitario tra il 1 96 2 e il
1 972 è certamente troppo rapido per essere assorbito dalla struttura
socio-professionale senza creare deficit individuali. La tabella 5 (alla p.
seg. ) mostra chiaramente il deterioramento del livello delle possibilità
professionali, a cui sono esposti non solo i diplomati del liceo, ma an­
che coloro che posseggono un diploma superiore .
· A questo deficit individuale, che riguarda il livello delle possibilità
socio-professionali, si aggiunge un deficit individuale che riguarda il li­
vello della condizione scolastica: tutto accade come se lo stato, dato
l'aumento della domanda di istruzione superiore, non fosse in grado di
mantenere i livelli di spesa per studente raggiunti nel 1 970. Nel 1 970,
in franchi costanti 1 97 5, le spese di istruzione superiore per studente
ammontano a 8 . 070 franchi, in seguito questo ammontare cala regolar­
mente fino al 1 975 . E di 7 . 5 70 , 7 . 070, 6 . 84 0 , 6 .4 3 0 e 6 .420 franchi
rispettivamente per il 1 971 , 1 972, 1 97 3 , 1 974 e 1 975 .'
3 In particolare con la creazione di nuovi tipi di istituti, come gli Istituti Universitari di
Tecnologia (IUT), e di nuovi indirizzi all'interno delle istituzioni tradizionali, come per esem­
pio i diplomi di scienza e tecnica ( maitrises de science et technique ).
4 Questa evoluzione è certamente una delle ragioni per cui, nella struttura delle risorse
degli studenti, la quota di aiuto diretto da parte della famiglia cresce generalmente tra il
1 963-64 e il 1 973-74 per gli studenti che provengono da famiglie di quadri intermedi, impie­
gati, operai e personale di servizio. Per queste categorie la diminuzione dell'aiuto pubblico
sembra essere stato sostituito da un aumento dell'aiuto familiare . Per quanto riguarda gli stu­
denti appartenenti a famiglie di quadri superiori o liberi professionisti, l'aiuto familiare sembra
invece in diminuzione nel periodo considerato. Questa diminuzione, come la modesta diminu­
zione dell'aiuto pubblico a cui sono soggetti, sono compensati per questa categoria da un note­
vole ricorso al lavoro remunerato. Per gli studenti appartenenti a famiglie di agricoltori si os­
serva un aumento dell'aiuto pubblico. Questo aumento è parallelo ad una diminuzione del­
l'aiuto familiare e ad una relativa costanza del ricorso al lavoro salariato. Si veda su questo
punto Loms LÉVY-GARBOUA, Les demandes de l'étudiant ou les co ntradictions de l'université de
masse, in "Revue française de Sociologie ", XVII, n. l , 1 976, pp. 53-80, che riproduce alcuni
risultati di un'inchiesta del MNEF per il 1 963-64 e del CREDOC per il periodo 1 973-74. Lo
studio citato non indica né una diminuzione globale delle spese di istruzione, né una diminu­
zione della voce istruzione nel bilancio.

60
Dopo il 1 96 8

Tabella 5 . - Evoluzione della probabilità che u n diplomato appartenga alle diverse


categorie gerarchiche del personale amministrativo (percentuali)

Diploma, anno

Categoria Diploma universitario


Sesso Maturità
gerarchica o laurea

1 9 62 1 96 8 1 972 1962 1 9 68 1 972

Uomini Quadri amministrativi


occupati superiori 30,9 24 , 1 2 3 ,5 61,9 57,8 57,8
da meno Quadri amministrativi
di 35 anni intermedi 39,0 42,1 42,1 25,2 30,2 29,2
Impiegati d'ordine 30,1 33,8 34,4 12,9 1 2, 0 1 3 ,0

Totale 1 00 , 0 1 00 , 0 1 00 , 0 100,0 1 00 , 0 1 00 , 0

Donne Quadri amministrativi


occupate superiori 5,4 3,4 2,4 30,6 2 5 ,6 22,7
da meno Quadri amministrativi
di 35 anni intermedi 3 5 ,3 33,9 30,1 3 6 ,7 34,8 3 5 ,2
Impiegate d'ordine 59,3 62,7 67,5 32,7 39,6 42,1

Totale 1 00,0 1 00,0 1 0 0,0 1 00,0 1 00 , 0 1 00 , 0

FoNTI: 19 62 e 1968: Recensement 1968, vol. Formation INSEE 1 972: Enquete Emploi,
INSEE, da M. FREYSSENET e C. PHILIPPE ( 1 975), p. 160. Tabella ripresa da Lévy-Garboua, Ler
demandes de l'étudiant ou les contradictions de l'université de masse, in "Revue Française de
Sociologie ", vol. XVII, n. l , febbraio-marzo 1976, pp. 53-60.

Naturalmente non si può affermare che i deficit individuali, che


queste cifre fanno apparire, siano sufficienti a condannare le istituzioni
e le politiche responsabili. In Francia, come in numerosi altri paesi, la
filosofia, in tema di istruzione , che può essere semplicemente riassunta
nell'adagio: quanto p iu tanto meglio, era giustificata dalla supposizio­
ne che i deficit individuali siano necessariamente compensati dai bene­
fici collettivi che l'aumento della domanda di istruzione comporta. Gli
uomini politici responsabili della politica dell'istruzione francese tra il
1 960 e il 1 970 avevano senza dubbio assimilato in modo molto diffuso
la dottrina secondo cui la crescita economica e l'aumento della produt­
tività erano in certa misura il risultato dell'aumento della domanda di
istruzione : l'aumento della scolarizzazione era certamente profittevole
alla modernizzazione e all'industrializzazione francese , auspicata e in
gran parte raggiunta da parte dei dirigenti della V Repubblica .'
L'assioma secondo cui l'aumento del tasso di scolarità comporta
necessariamente un beneficio economico e sociale collettivo è oggi
sempre piu frequentemente rimesso in discussione . Tuttavia era ugual­
mente facile percepire che la relazione tra istruzione e crescita econo-
·1 Una storia dei "paradigmi" successivi che hanno guidato le politiche dell'istruzione in
Francia dopo la seconda guerra mondiale, sarebbe molto interessante. Questo argomento ver­
rà trattato in ricerche successive�

61
Effetti "perversi " dell'azione sociale

mica dipende dalle caratteristiche del sistema di istruzione e dal suo


grado di maggiore o minore adattamento al sistema economico. Anche
se le teorie di Denison, 6 sulla relazione tra crescita del sistema scolasti­
co e crescita economica negli Stati Uniti, poteva essere considerata co­
me dimostrata, non se ne poteva per questo dedurre che la relazione
poteva essere applicata di fatto ad altri paesi.
Per quanto riguarda la Francia , l'assenza di possibilità istituzionali
di regolazione diretta della domanda di istruzione ha comportato effet­
ti inflazionistici di tipo classico (abbassamento del rendimento indivi­
duale dell'investimento nell'istruzione ) . Alcune caratteristiche sociolo­
giche che risultano dalla storia del sistema scolastico francese hanno
provocato un'altra conseguenza degna di nota, se si tiene conto del fat­
to che i prodotti del sistema universitario sembrano in larga parte de­
stinati alla riproduzione del sistema scolastico e universitario stesso
piuttosto che all'utilizzazione da parte del sistema economico nel suo
insieme .7
E: interessante a riguardo considerare in dettaglio i dati di un'inchie­
sta recente del Cen tre d'Etudes et de Recherches sur les Qualifications. 8
Le due tabelle seguenti mostrano i rami di attività economica in cui si
iscrive un campione nazionale distribuito in funzione del tipo di studi e
del livello universitario. La tabella 6 (a p . 6 3 ) si riferisce ai maschi del
campione , mentre la tabella 7 (a p. 6 4 ) si riferisce alle femmine .
Queste due tabelle mostrano un certo numero di fatti significativi:
gli ex studenti di lettere che hanno conseguito la laurea o la licenza
professionale si dirigono in gran parte verso l'insegnamento e la ricer­
ca. Ancora piu sorprendentemente i laureati e i " maitres de sciences"
sono allo stesso modo assorbiti in gran numero nell'insegnamento e
nella ricerca. Se all'insegnamento e alla ricerca si aggiunge l'ammini­
strazione , si può constatare che queste. tre voci assorbono una propor­
zione considerevole dei vecchi studenti di lettere e di scienze e una
proporzione un po' inferiore ma importantissima di studenti di scienze
umanistiche . Solo i vecchi studenti di diritto e di scienze economiche
appaiono destinati al sistema economico nel suo insieme piuttosto che
alla riproduzione del sistema universitario e al servizio dello Stato!

6 Cfr. EowARD F. DENISON, The Source of Economie Growth in the United States and the
Alternatives before us, Committee for Economie Development, New York 1 962.
7 Sulla storia del sistema di istruzione francese nel XIX e XX secolo, si veda ANTOINE
PRosT, L'enseignement en France, 1 800-1 967, Colin, coll. "U", Paris 1968.
8 Inchiesta del CEREQ (Centre d'Etudes et de Recherches sur !es Qualifications), docu­
mento n. 26, L'accès à la vie professionnelle à la sortie des universités, Ministero dell'Istruzio­
ne, Paris, gennaio 1 975 .
9 A livello di interessante ipotesi da verificare, si può supporre che le differenze distribu­
tive riguardanti l'ideologia che è possibile osservare per esempio tra gli studenti di diritto,
scienze economiche, umanistiche e scienze e lettere sono da mettere in relazione con il carat­
tere piu o meno aperto della loro disciplina nei confronti del sistema economico. Naturalmen­
te queste differenze non sono specifiche del caso francese. In tutti i casi in cui sono state con­
dotte inchieste su questo argomento si osserva che le differenze ideologiche sono in funzione
delle discipline universitarie. Per gli Stati Uniti si veda per esempio SEYMOUR MARTIN LIPSET,
Acadeinia and Po litics in America, in THOMAS J. NossiTER (a cura di), Imagination and Preci­
sion in the Social Sciences, Faber and Faber, London 1972, pp. 21 1 -289. Quest'opera sugge­
risce che certe caratteristiche delle diverse discipline universitarie provocano una selezione de-

62
Tabella 6 .- Settori economici in cui sono occupati gli studenti usciti dall'università nel 1 96 9-1 970

in funzione dei gruppi di discipline e del livello del titolo di studio (uomini) (percentuali)

Settori economici

Trasporti
Discipline
Agricoltura telecomu-
e titolo Altre Credito e Insegna-
industrie nicazioni Commercio Amministra- Altre
di studio industrie assicura- mento e Totale
agricole e costruzioni e servizi zione attività
e energia zioni ricerca
alimentari lavori
pubblici

Lettere
primo anno l 6 7 12 8 12 51 3 1 00
diploma 5 3 8 4 12 64 4 1 00
"Maltrise " E 2+E 2+E 8 3 11 73 l 1 00
Scienze umane ( N = 1 . 3 39)
t)
primo anno 3 8 4 23 8 14 34 6 100 c
""
diploma lO 3 31 4 11 31 10 1 00 c
-
N,

"Maltrise " 9 7 3 27 12 37 5 100


""
Diritto ( N = 21 1 ) 'D
0\
Oo
primo anno 2 12 5 16 22 33 5 5 1 00
diploma l +E 7 4 22 19 32 5 lO 100
Scienze economiche ( N = 792)
primo anno 4 22 4 19 25 11 11 4 1 00
diploma l +E 14 4 22 31 20 7 l 100
Scienze ( N = 667)
primo anno 4 17 11 12 5 15 35 l 100
diploma 3+E 16 2 8 E 8 63 E 100
"Maltrise " l +E 27 5 5 2 8 52 1 00
( N = 1 . 847)

FoNTI: CEREQ (Centre d'Etudes et de Recherches sur !es Qualifications), documento n. 25 , L'accès à la vie Professionelle à la sortie des universités,
0\
w Paris, Ministère de l'Education, Office Nationale d'Information sur !es Enseignements et !es Professions, gennaio 1 975. Si tratta di un'indagine condotta
con questionario postale nel 1 973 su un campione dell'insieme degli studenti francesi che hanno lasciato l'università entro l'anno 1 9 69-70. Tasso di
risposte: 54% .
Tabella 7 . - Dati analoghi alla tabella 6 (donne) (percentuali)
0\
.j:.
Settori economici

Trasporti
Discipline
Agricoltura telecomu-
e titolo Altre Credito e Insegna-
industrie nicazioni Commercio Amministra- Altre
di studio industrie assicura- mento e Totale
agricole e costruzioni e servizi zio ne attività
e energia zioni ricerca
alimentari lavori
pubblici

Lettere trl
primo anno E. 7 4 19 3 6 59 2 1 00 ::::::
diploma E. 4 2 9 2 8 73 2 100 �.
"Maitrise" S + r. l 6 2 6 79 l 100 ""'.
"'
( N = 2.237) ...
<:;
Scienze umane "'
primo anno 2 5 17 20 51 5 100 3.

diploma 3 48 5 12 30 2 100 l'>.
"Maitrise'' 64 2 6 19 9 1 00 �
( N = 29 5 ) ;;;:
N
Diritto c;·
;:t
primo anno 12 3 + E. 19 5 30 28 3 1 00 "'
l 4 + r. 14 20 34 17 100 ...,
diploma E. lO c
"
(N = 5 8 1 ) ;:;·
Scienze economiche �
primo anno 2 8 27 lO 17 34 2 1 00
diploma lO 7 9 13 22 39 1 00
(N = 285 )
Scienze
primo anno lO l lO 3 7 68 l 1 00
diploma l 4 3 4 l 2 85 100
"Maitrise " E. 4 l 5 l 4 85 100
( N = 1 . 250)

FoNTI: vedi Tabella 6 .


Dopo il 1 96 8

Queste cifre permettono di dubitare che l'aumento eccessivo della


domanda di istruzione a livello superiore dopo il 1 96 0 abbia contribui­
to in modo ottimale alla produzione di benefici collettivi quali la cre­
scita economica: questo aumento, si sa, è stato accompagnato ad una
femminizzazione e ad una "democratizzazione" crescenti del corpo
studentesco e la femminizzazione stessa è stata accompagnata da un au­
mento particolarmente rapido degli studi di lettere e di scienze in rap­
porto agli studi di diritto . 1 0 In altre parole, "tendenze" statistiche mas-

gli studenti sulle loro opinioni politiche e ideologiche preventive. D'altra parte si può suppor·
re che lo studio di una disciplina possa indurre certe opinioni ideologiche e politiche (si veda
per esempio il caso dei fisici nel periodo delle prime utilizzazioni militari dell'energia nucleare
o il caso odierno dei biologi in un periodo in cui i problemi ecologici assumono un'importanza
sociale notevole) . In breve, la struttura delle discipline e la relazione congiunturale di queste
discipline con i problemi sociali, sono senza dubbio in parte responsabili delle relazioni osser­
vabili .tra discipline e distribuzioni ideologiche.
10 Sulla democratizzazione si vedano i dati della nota n. 32. Per ciò che riguarda la fem­
minizzazione, occorre analizzare parecchi fenomeni. Da una parte si assiste ad un aumento
costante della femminizzazione del corpo studentesco dal 1 9 60 al 197 5 . D'altra parte i tassi
piu elevati di aumento della partecipazione femminile compaiono nelle discipline tradizional­
mente piu "maschili", cioè quelle in cui piu bassa era la proporzione di studentesse nel 1 960.
In una disciplina come farmacia, tradizionalmente molto femminilizzata, il tasso di femminiz­
zazione non cambia affatto nel periodo considerato. A lettere e scienze umane, discipline an­
cor piu femminili, il tasso aumenta trascurabilmente (questo è il risultato della combinazione
di due tendenze, femminizzazione e democratizzazione: le giovani di bassa origine sociale pos­
sono facilmente impegnarsi negli studi di lettere e scienze umane piuttosto che di farmacia per
ragioni di impiego futuro) . D'altra parte si può constatare la permanenza delle differenze dei
tassi di femminizzazione tra lettere e scienze umane da una parte e scienze dall'altra, gruppi di
discipline comparabili per il tipo di impiego a cui conducono tradizionalmente e diversi invece
per il contenuto. Infine si osserva il maggior aumento di femminizzazione nei gruppi di disci­
pline tradizionalmente "nobili" e "maschili" , cioè diritto e scienze economiche come pure me­
dicina. Tra diritto e scienze economiche la femminizzazione è maggiore nella prima che nella
seconda disciplina. Nell'anno 1 973-74 per esempio su 1 1 2 . 864 studenti di diritto, il 42% so­
no femmine; per i 4 8 . 876 studenti di scienze economiche la stessa percentuale è del 2 8 ,4 % . I
risultati sono esposti nella tabella seguente.

% di studenti nell'insieme degli effettivi


Discipline per i seguenti anni ( 1 96 0-197 5 )

1 960- 1 963- 1 967- 1 97 1 - 1 973· 1 975-


1 96 1 1 964 1 96 8 1 972 1 974 1 976

Diritto e scienze economiche 28,9 28,9 29,9 34,4 38,0 40,4


Lettere e scienze umane 6 1 ,4 63,2 65,5 65,9 65,9 6 5 ,3
Scienze 3 1 ,8 30,1 3 1 ,5 33,2 33,9 34,0
Medicina e odontoiatria 25,5 27,7 29,3 33,8 36,5 38,5
Farmacia 59,3 60,0 58,9 59,1 59, 6 60,1

FoNTI : Etudes e t documents, n . 3 1 , Etude 1 975, Paris, Ministère d e l'Education, secreta­


riat d'Eta! aux Université, 1 975 e Service des Etudes informatiques et statistiques, Service
centrai des Statistiques et Sondages, documento 4614, Paris.

A causa principalmente della tendenza alla femminizzazione degli iscritti, diritto e scienze
economiche rappresentano le discipline con un tasso di crescita maggiore (aumento congiunto
del 453,7 nel 1 972-3, facendo base 1 00 l'anno 1 960-6 1 ) . Lo stesso tasso si abbassa per lettere
e scienze umane ( 3 8 1 ,4), medicina (348,5), farmacia ( 2 9 1 , 9 ) . Il debole aumento delle studen­
tesse nelle discipline scientifiche spiega in parte come queste presentino il minore tasso di
incremento ( 1 97, l ) . A scopo indicativo per ciò che concerne gli effettivi assoluti, disaggre­
ghiamo gli effettivi seguenti per i diversi gruppi di discipline limitatamente all'anno 1 973-74:
diritto 1 1 2 .864, scienze economiche 4 8 . 876, scienze 1 20.246, lettere e scienze umane
244.249, medicina 1 27 . 3 8 3 , odontoiatria 1 1 . 2 1 9 , farmacia 27. 1 2 1 , indirizzi "pluridisciplina­
ri" 6 .258.

65
Effetti "perversi " dell'azione sociale

sicce come la femminizzazione e la democratizzazione del corpo stu­


dentesco contribuiscono a spiegare lo sviluppo piu che proporzionale
degli effettivi di discipline che, come le discipline letterarie , quelle
scientifiche e, in misura minore, le scienze umanistiche , sembrano
maggiormente adatte ad un'utilizzazione nel sistema stesso dell'inse­
gnamento piuttosto che nel sistema economico nel suo insieme. A
questi fattori occorrerebbe aggiungerne altri: il fatto che le facoltà di
lettere e di scienze siano state tradizionalmente percepite in modo uffi­
cioso come scuole professionali destinate a formare i futuri membri del
corpo insegnante, cosi come la facoltà di medicina o quella di diritto
erano destinate a formare i futuri medici e i futuri giuristi. D'altra par­
te il dogma condiviso dalle repubbliche successive secondo cui il siste­
ma scolastico doveva essenzialmente prendere la forma di un servizio
pubblico posto direttamente sotto il controllo statale , non ha affatto
contribuito a favorire gli scambi tra il sistema scolastico e il sistema
economico. Qualunque siano in ogni modo le ragioni complesse di
questo fenomeno, i dati statistici recenti appena citati suggeriscono che
gli scambi tra il sistema universitario e il sistema economico non sono
forse cosi sviluppati come sarebbe auspicabile . ' '
Per lungo tempo , in maniera piu o meno efficiente , in ragione del­
l'aumento generale della domanda di istruzione e di effetti minori ma
congiunti e della crescita demografica, il sistema scolastico ha potuto
assicurare principalmente una funzione autoriproduttiva a detrimento
senza dubbio delle altre funzioni. Oggi fattori complessi tendono a li­
mitare questo bisogno di autoriproduzione . " Non è affatto scontato
che le vecchie facoltà di lettere e di scienze, anche se ribattezzate, an­
che se smembrate e inserite in unità multidisciplinari come ha voluto il
legislatore del 1 96 8 , siano pronte ad aprirsi facilmente verso il sistema
economico . L'ostilità frequente degli studenti di lettere e di scienze
nei confronti del sistema economico, il rifiuto complementare da parte
di molti "insegnanti" di cercare di preparare gli studenti ad attività di­
verse dall'insegnamento, di ricerca o di critica, non sono che elementi

11 Alcuni risultati di ricerche empiriche possono, a titolo di ipotesi, essere messi in rela­
zione con l'importanza tradizionale della funzione autoriproduttrice del sistema scolastico.
Cfr. per esempio RAYMOND BounoN-FRANçors BouRRICAUD, Le choix p ro/essionnel des lycéens,
Convention DGRST, 1 9 6 8 , ciclostilato. Questa ricerca mostra come una notevole proporzio­
ne di studenti in una classe di età tra i 1 2 e i 1 3 anni dichiari di voler aspirare alla carriera
insegnante.
1 2 Questi fattori riguardano in parte fattori demografici conosciuti abbastanza bene e in
parte fenomeni relativi al cambiamento a lungo e a breve termine della domanda di istruzione,
sfortunatamente molto meno conosciuti. Il rapido aumento della domanda di istruzione osser­
vabile dopo il 1 960 può manifestare una certa tendenza alla saturazione. Bisognerebbe però
osservare questo fenomeno di saturazione disaggregandolo per categoria sociale. D'altra parte
è possibile che la svalutazione sociale dei titoli scolastici e universitari, che è il risultato del
processo inflazionistico osservabile negli anni recenti, possa comportare un effetto di retroa­
zione tendente a riaggiustare verso il basso la domanda individuale di istruzione. Questi im­
portanti problemi dal punto di vista della sociologia dell'educazione, dell'analisi del sistema
sociale e della relazione tra il livello individuale e il livello macra-sociale sono purtroppo stu­
diati poco attualmente almeno per quanto riguarda la Francia. Un utile riferimento, relativo
all'evoluzione temporale dei "bisogni" di personale insegnante da parte del sistema sociale
francese negli ultimi venti anni, è costituito dalla tesi di ALAIN NoRVEZ, Les enseignants du
second dégré en France. Elfecti/s actuels et besoins futurs, Sorbonne (Paris V), ciclostilato.

66
Dopo il 1 968

di determinazione tra gli altri che rendono difficile l'apertura dell'uni­


versità francese al mondo economico. Forse ancora piu determinante
può essere il fatto che per decenni le facoltà di lettere e di scienze so­
no servite principalmente a formare il corpo insegnante che la doman­
da di istruzione ha autorizzato a gonfiare in modo enorme in modo da
assorbire piu o meno bene fin ora l'afflusso di studenti di lettere e di
scienze . u
A questo punto vorrei esprimere un Caveat sotto forma d i quattro
considerazioni. L'importanza determinante che ho dato in questa se­
zione e che attribuisco nelle seguenti al controllo dei flussi non im­
plica necessariamente che io consideri la "selezione" degli studenti co­
me una panacea. Poiché questa parola tende a ritornare su tutte le
penne, aggiungerò un breve commento in proposito . Prima di tutto
occorre notare che "selezione" e "controllo dei flussi" non sono affat­
to sinonimi. Ci può essere un controllo dei flussi senza selezione, co­
me nel caso del sistema americano. In questo sistema chiunque voglia
accedere all'istruzione superiore può farlo in pratica, ma le istituzioni
universitarie sono molto differenziate, soprattutto dal punto di vista
qualitativo . Inoltre non hanno solo la facoltà di accettare o meno un
candidato, ma interesse ad adottare una attenta politica di reclutamen­
to degli studenti. In effetti un abbassamento nel livello degli studenti
in un'istituzione comporta immediatamente effetti di straripamento: i
professori piu prestigiosi sono i primi a tentare di cercare un posto al­
trove . Sono anche i primi a cui altre istituzioni, che cercano di ·accapar­
rarsi il loro prestigio, proporranno un impiego . Da parte degli studen­
ti, la gradazione delle istituzioni in termini di prestigio comporta un
effetto di stimolo: il problema per il giovane alla fine del ciclo secon­
dario non consiste solo nell'iscriversi all'università, ma di entrare nel­
l'università X piuttosto che nella Y. In altri termini ciò che mi sembra
distinguere il sistema universitario francese da quello americano non è
tanto la selezione, che di fatto non esiste né in un caso né nell'altro ,
quanto il grado di differenziazione delle istituzioni universitarie e i
meccanismi di orientamento che questa differenziazione genera. Alla
gradazione sottile e sfumata delle istituzioni americane si oppone la
netta dicotomia francese tra il sottosistema numericamente minoritario
delle grandes éco les selettive e il vasto sistema delle università poco
differenziàte . Questa differenza negli inputs spiega facilmente diffe­
renze negli outpus dei due sistemi. Al livello della situazione degli at­
tori e delle strat �gie degli attori, essa spiega il basso livello di integra­
zione e di identificazione degli studenti francesi con le istituzioni uni­
versitarie (le magliette agitate come emblema delle nuove università
non sembrano avere avuto grande successo ) , cosi come gli atteggia-

1.l Occorre tuttavia sottolineare che questi studenti mediamente vengono assorbiti ad un
livello relativamente modesto. Una ricerca di PHILIPPE VRAIN, Les débouchés pro/essionnels des
étudiants, PUF, Paris 1 973, mostra che uno scaglione di diplomati per l'insegnamento nel
1966 dichiarava un reddito medio in franchi costami al 1 970 di 1 . 502 franchi per gli uomini e
di 1 . 391 franchi per le donne.

67
Effetti "perversi " dell'azione sociale

menti e le strategie antimeritocratiche che si possono riassumere nel


diritto al diploma. Piu in generale un sistema poco differenziato indu­
ce un atteggiamento passivo da parte dei suoi utilizzatori. Supponiamo
che si debba effettuare un investimento supplementare per ottenere
un bene A di valore superiore al bene B. La probabilità di compiere
effettivamente questo investimento aumenta all'aumentare della diffe­
renza di valore tra i due beni. Questa differenza crea un sistema di in­
centivazione positiva non solo dal punto di vista collettivo , ma anche
dal punto di vista individuale . Un sistema differenziato, che offre ai
suoi utilizzatori una sequenza di opzioni, li pone in un campo strategi­
co e li incentiva a dare una dimensione temporale alle loro attività uni­
versitarie . Al contrario un sistema poco differenziato incentiva gli uti­
lizzatori alla passività, li invita a limitare il loro orizzonte a breve respi­
ro, sfavorisce l'identificazione con l'istituzione, genera in complesso un
atteggiamento diffuso di scetticismo ( What /or ? ) e, esattamente nel
senso attribuito al terf1.1ine da Durkheim, di anomia .
Dal punto di vista dei docenti, la bassa differenziazione del sistema
francese spiega la frequenza di strategie di ritirata nel senso mertonia­
no del termine e legittima l'atteggiamento elitista in materia di politica
scolastica che essi generalmente adottano, indipendentemente dalle lo­
ro idee politiche. Mi limito infine a richiamare un punto che sviluppe­
rò nell'ultima parte di questo capitolo, cioè che la differenza nella
struttura degli inputs contribuisce certamente a spiegare differenze
evidenti che si possono osservare tra Francia e Stati Uniti a livello del
sistema di valori che regola la produzione intellettuale .
2 . E evidente che, se il sistema francese lascia all'individuo la libe­
ra scelta dell'indirizzo alla fine degli studi secondari, esso interviene ad
orientare in fasi precedenti. Se si desidera comparare i sistemi naziona­
li, occorre dunque comparare la struttura di controllo dei flussi sull'in­
sieme della carriera scolastica e universitaria degli individui. La Gran
Bretagna degli anni Cinquanta e Sessanta si caratterizzerebbe allora per
un sistema di controllo esterno dell'indirizzo, sia a livello dell'insegna­
mento secondario che di quello superiore , si tratta cioè di un sistema
che accorda un peso decisivo non tanto all'individuo e alla sua famiglia,
ma piuttosto alle istituzioni scolastiche. La Francia invece si caratteriz­
za per un sistema di indirizzo in cui le istituzioni hanno un'influenza
determinante durante e soprattutto all'inizio del ciclo di istruzione se­
condaria, ma quasi nulla al livello dell'istruzione superiore . N e risulta
che gli studenti inglesi appaiono sia meno numerosi che piu democrati­
camente reclutati rispetto ai francesi ( intendendo per "democratica­
mente" un sistema di reclutamento piu indipendente, in senso statisti­
co, dalla loro origine sociale) . In effetti, in Francia e Inghilterra, negli
anni Sessanta per un effetto di selezione differenziata, la qualità degli
studenti alla fine degli studi secondari tende ad essere correlata inver­
samente all'origine sociale . Il sistema democratico di indirizzo che di­
stingue l'Inghilterra dalla Francia al livello di iscrizione all'università,
comporta anche un effetto quasi meccanico di democratizzazione . Per

68
Dopo il 1 96 8

quel che riguarda gli Stati Uniti, l'indirizzo esterno (fortemente dipen­
dente dalle istituzioni) entra in azione solo al livello di insegnamento
superiore. L'indirizzo esterno presenta allora degli effetti "antidemo­
cratici" nel senso che contribuisce coeteris paribus ad aumentare la re­
lazione tra origini sociali e livello universitario (cioè la "qualità degli
studi" ) . Tuttavia se si considera il sistema di indirizzo nel suo insieme,
intendo il curriculum completo, si può constatare che determina un le­
game tra livello scolastico e origine sociale molto piu debole rispetto
alla Francia e anche alla Gran Bretagna. Riassumendo, sembra che un
sistema ideale comporti l'introduzione di meccanismi di indirizzo
esterni ( da parte delle istituzioni) in una fase relativamente avanzata
del curriculum . Naturalmente siffatti meccanismi di indirizzo esterni
non possono essere decretati. L'indirizzo suppone la differenziazione
delle istituzioni a valle. Quando questa differenziazione è limitata, co­
me nel caso della Francia, tende ad apparire la fraseologia della selezio­
ne. E tuttavia chiaro che la "selezione " non può produrre l'insieme di
effetti positivi convergenti che produce l'indirizzo verso le istituzioni
differenziate e gerarchiche. A differenza della selezione che introduce
solo un effetto di eliminazione, l'indirizzo genera un sistema di incen­
tivazione con effetti collettivamente e individualm e nte positivi. Al di­
scorso della selezione si oppone allora il discorso dell'eguaglianza di
fronte al diploma . ( L'attribuzione di diplomi a suffragio universale è
un'ipotesi già considerata, secondo L'educazione sentimentale di Flau­
bert, nell'euforia della I I Repubblica . ) Tuttavia un sistema di produ­
zione del sapere complesso come quello delle società industriali sup­
pone la diseguaglianza del sapere e del prestigio accordato al sapere,
esattamente come il sistema di produzione economica suppone e im­
plica un certo grado di diseguaglianza economica.
3 . L'inflazione della domanda di istruzione individuale che si è os­
servata in Francia fino a questi ultimi anni non è certamente specifica
della Francia. La si osserva in tutti i paesi industriali. Tuttavia questi
effetti sono chiaramente diversificati dalle differenze istituzionali. L'u­
niversità di massa non ha le stesse caratteristiche in Francia e negli Sta­
ti Uniti per esempio . Le "contraddizioni" che genera sono molto piu
vive nel primo caso . Il confronto tra Francia e Stati Uniti è molto
istruttivo a riguardo. Esso mostra che l'università di massa non è con­
traddittoria in se stessa. Le contraddizioni dell'università francese so­
no il risultato della convergenza tra la lievitazione e il cambiamento
qualitativo del flusso degli studenti, da una parte, e delle strutture isti­
tuzionali poco adattabili, dall'altra. Senza volermi soffermare su questo
punto , enuncerò di nuovo l'ipotesi che la bassa "adattabilità" delle isti­
tuzioni francesi è senza dubbio in gran parte dovuta alla filosofia di ser­
vizio pubb lico che le sottende. Al contrario si può intravedere per le
istituzioni americane una filosofia di mercato.
4. Si è visto che la sconfitta della regolazione dei flussi è in parte
responsabile del cattivo adeguamento tra offerta universitaria e doman­
da socio-economica di competenze . Questo non significa che sia desi-

69
Effetti "perversi " dell'azione sociale

derabile una pianificazione della produzione delle competenze. Al con­


trario una tale pianificazione è impossibile, principalmente per ciò che
riguarda le difficoltà di previsione a lungo termine . Inoltre è costrittiva
sia da un punto di vista collettivo che individuale . Infine, offerta e do­
manda di competenze sono sempre in certo modo non congruenti, non
foss'altro per il fatto che non si conosce un sistema scolastico che non
presenti almeno in gran parte caratteristiche non professionali . Ciò ri­
sulta dal fatto che ogni processo educativo implica l'apprendimento di
conoscenze e di capacità generali il cui legame con obiettivi professio­
nali non può essere che indiretto e molteplice. La dottrina della "pro­
fessionalizzazione" che tende a svilupparsi facilmente nei periodi di
crisi del sistema scolastico mi sembra in definitiva assolutamente vuo­
ta. Il miglior modo di ottenere un adeguamento tra offerta e domanda
consiste, non tanto nella pianificazione e nella professionalizzazione,
ma nello sviluppo di un insieme di istituzioni universitarie diversificate
e differenziate (principalmente dal punto di vista del livello e della
qualità) . Un meccanismo di questo tipo genera meccanismi multipli di
regolazione e assicura mediamente un livello elevato di formazione an­
che in un contesto di "università di massa " . Di conseguenza, il capitale
di istruzione che fornisce agli individui ha maggiori possibilità di piaz­
zarsi in modo interessante sul mercato socio-economico rispetto alle
competenze a carattere strettamente professionale prodotte dai sistemi
pianificati.

Un caso tipico: l'insegnamento superiore corto

L'autorità pubblica appariva certamente , dopo il 1 9 6 0 , preoccupa­


ta dal problema del controllo dei flussi scolastici, reso difficile dall'isti­
tuzione del libero accesso all'università. Malgrado la dottrina ambien­
tale riassunta dall'adagio The more, the better, l'autorità pubblica è co­
sciente del carattere sotto-ottimale della struttura dei flussi. La crescita
della massa globale degli studenti è ritenuta un fenomeno meno preoc­
cupante della ripartizione degli studenti tra i vari indirizzi. N on poten­
do tuttavia controllare i flussi, si procede in maniera indiretta con la
creazione di nuove istituzioni che offrono agli studenti prospettive che
ci si sforza di rendere attraenti. Queste nuove istituzioni mirano tra
l'altro a modificare la struttura dei flussi. La creazione degli Istituti
Universitari di Tecnologia ( IUT) e delle maitrises de sciencies et tech­
niques (lauree in scienze e tecniche) sono due esempi di questo tipo di
strategia . Gli IUT erano destinati a ufficializzare, piu esattamente a da­
re dignità e ad elargire al sistema esistente l'insegnamento superiore
corto a scopo professionale . Prima della creazione degli IUT il sistema
rivestiva un'importanza ridotta e aveva poco risalto . Le lauree in scien­
ze e tecniche, create piu tardi, tendevano ad orientare una parte degli
studenti iscritti alle università tradizionali verso indirizzi a finalità pro­
fessionale . Le lauree in scienze e tecniche sono quindi caratterizzate da

70
Dopo il 1 96 8

tre proprietà: hanno ufficialmente una finalità direttamente professi ona­


le; costituiscono indirizzi completamente integrati alle università tradi­
zionali; corrispondono ad un ciclo di studi di tipo lungo . Le due innova­
zioni tendono dunque a invogliare una parte degli studenti a intrapren­
dere gli studi corti (IUT ) , o lunghi (lauree di scienze e tecniche) con una
precisa finalità professionale. Ricordiamo inoltre che la riforma del se­
condo ciclo di studi universitari, interrotta dal Segretario di Stato per le
università nel 1 976 , nasceva anch'essa dalla preoccupazione dell'autori­
tà di "professionalizzare" gli studi universitari tradizionali. '4
Malgrado il loro interesse, è difficile affermare che queste diffe­
renti innovazioni abbiano fin ora profondamente modificato la struttu­
ra dei flussi. Soffermiamoci un istante sull'esempio degli Istituti Uni­
versitari di Tecnologia. � .'
La loro creazione tendeva a correggere, o almeno doveva contri­
buire a correggere, tre fattori principali che caratterizzano l'insegna­
mento superiore , cioè la rapida crescita delle iscrizioni, l'importanza
relativa degli studenti iscritti che optano per le carriere universitarie a
finalità professionale diffusa (studi letterari), e il prolungamento consi­
derevole della durata degli studi superiori. Riguardo al terzo punto un
rapido cenno storico permette di osservare che negli ultimi trent'anni
la durata degli studi superiori è passata da due a quattro anni, fino a sei
e piu. Prima della seconda guerra mondiale, uno studente che non ri­
maneva indietro poteva ottenere una licenza nella maggioranza delle
specializzazioni due anni dopo la maturità e la formazione acquisita as­
sicurava impieghi a livello di quadri. In seguito il prolungamento degli
studi è stato costante . L'introduzione della propedeutica ha avuto la
conseguenza di portare la durata minima per ottenere il diploma di li­
cenza a tre anni. 16 La creazione della laurea ( maitrise ) nel 1 967, ben­
ché non allungasse formalmente il tempo necessario per ottenere la li­
cenza, ha contribuito in particolare a svalorizzare questo vecchio diplo­
ma per il fatto stesso di sovrapporgli un altro diploma. Il taglio degli
studi superiori in cicli di due anni tende d'altra parte a prolungare di
un anno la durata degli studi lunghi. Inoltre nelle facoltà di diritto e di
scienze economiche la durata degli studi necessari per ottenere la li­
cenza è stata portata a quattro anni già da parecchio tempo.

14 Questa interruzione del 16 gennaio 1976, pubblicata il 20 gennaio 1976 sul "Journal
officiel" e completata dalla seguente circolare applicativa, si sforzava di ottenere la creazione
di nuovi indirizzi a diretta finalità professionale da parte delle università. Essa ha suscitato un
movimento di opposizione abbastanza composito poiché i docenti tradizionalisti l'avevano in
ceni casi interpretata come una minaccia contro alcune discipline universitarie tradizionali che
presentano la particolarità di essere considerate sia intellettualmente nobili, sia sprovviste di
una qualsiasi applicazione pratica (per esempio le lingue mone ) , mentre i docenti di sinistra la
interpretavano come un tentativo riprovevole di asservire il sistema universitario al sistema
economico.
JS L'analisi che segue è riferita piu dettagliatamente nel cap. V. Si veda anche }ANINA
LAGNEAU, L'enseignement supérieur court en France, in "La documentation française, notes et
études documentaires ", n. 400 1 , 29 giugno 1 973 .
I 6 La propedeutica istituita per scienze nel 1 947 e per lettere nel 1 948, corrispondeva
all'introduzione di un anno di orientamento generale preliminare alla scelta di una specialità
universitaria vera e propria da parte dello studente.

71
Effetti "perversi " dell'azione sociale

La creazione degli IUT mirava a contribuire alla compensazione


dei deficit individuali e collettivi generati da queste tendenze. La dia­
gnosi era la seguente:
l . Si sperava che lo sviluppo dell'insegnamento superiore corto
avrebbe permesso di attenuare la pressione della domanda individuale
di istruzione al livello superiore .
2. La creazione degli IUT permetteva di aumentare la dispersione
geografica degli istituti di insegnamento superiore contribuendo ad
eguagliare le possibilità di accesso a questo livello di insegnamento .
3 . Queste nuove istituzioni permettevano la creazione di indirizzi
a finalità professionale. Era inoltre piu facile introdurvi nuovi metodi
pedagogici.
Le nuove istituzioni, create a partire dal 1 96 5 , si distinguevano in
effetti per il fatto che rompevano con il modello universitario tradizio­
nale. Sono multidisciplinari, cioè gli studenti possono seguire un certo
numero di materie determinate non in funzione delle frontiere accade­
miche tradizionali, ma dei bisogni dell'economia ,'7 sia locale che nazio­
nale. La durata degli studi è di due anni. Contrariamente a quanto ac­
cade all'università la frequenza è obbligatoria . Il lavoro viene svolto in
piccoli gruppi. L'ammissione negli IUT non è né assolutamente libera
come nelle università tradizionali, né rigorosamente controllata attra­
verso concorsi, come nelle Grandes Ecoles. E. il rettore dell'istituto
che fissa il numero degli studenti autorizzati ad iscriversi al primo anno
di ciascun dipartimento e, su proposta di una giuria di ammissione, si
pronuncia sulle candidature. Il tasso di " selezione" varia a seconda del­
le discipline ed è poco conosciuto . Tuttavia si può stimare che il tasso
globale di selezione non sia superiore al 5 O % . N egli IUT gli studi so­
no sanzionati da un diploma, il dip loma universitario di tecno logia
( DUT). In certi casi, su raccomandazione del direttore dello IUT, gli
studenti possono seguire gli studi sia all'università che nelle scuole di
ingegneria.
E. lecito domandarsi se gli IUT rispondono alle aspettative che ave­
vano suscitato al momento della loro creazione . Dopo molti anni di
funzionamento è possibile portare elementi di risposta.
A riguardo, il fatto essenziale da sottolineare è che gli IUT non
sono stati in grado di stornare un numero consistente di studenti dal­
l'insegnamento lurigo . Il V piano di sviluppo francese prevedeva che
nel 1 973 il 21 % degli studenti avrebbe dovuto accedere agli IUT. In
realtà nel 1 972 l'insieme dell'insegnamento tecnico non comprendeva

1 7 Gli Istituti Universitari di Tecnologia hanno costituito nel '68 uno dei bersagli contro
cui si scagliavano gli studenti impegnati in quello che allora si chiamava "il movimento " . Gli
IUT venivano presentati come una macchinazione destinata a completare i meccanismi di ri­
produzione delle classi sociali. Di nuovo è interessante notare quanto queste proposizioni
avrebbero dovuto essere ulteriormente contraddette dalla realtà. Il livello di reddito degli ex
studenti degli IUT non è inferiore a quello dei laureati. D'altra parte la lentezza con cui si
sono sviluppati non è comparabile con il ruolo essenziale preteso dai promotori degli IUT
stessi. Per quanto riguarda questo tipo di istituzione si può consultare l'articolo di ]oHN H.
VAN D E GRAAFF, Politics o! Innovation in French Higher Education: the University Institutes
of Technology, in "Higher Education", n. 2 o 3, 1 976.

72
Dopo il 1 96 8

piu del 7% degli iscritti all'insegnamento post-secondario . Lo sviluppo


degli IUT sembra quindi che abbia semplicemente preso il posto degli
indirizzi già esistenti nell'insegnamento tecnico, ma non ha avuto prati­
camente nessun effetto sulla crescita degli iscritti all'università.
Il VI piano, sulla base dell'evoluzione individuata, presenta delle
ambizioni ben piu modeste: gli IUT sono ormai incaricati di fornire il
personale destinato a ricoprire certi tipi di funzioni socio-economi­
che . 1 ' Tutto si svolge come se non si credesse piu all'effetto indiretto
degli IUT sulla struttura dei flussi. Il VI piano, assai ridimensionato
nelle sue ambizioni numeriche rispetto al V, propone come obiettivo
per la fine del periodo del piano un ammontare tra i 67.000 e i
l 05 . 000 studenti. In realtà verranno registrati rispettivamente 32 .200,
35 .400 , 3 9 . 000 e 4 1 .700 studenti iscritti agli IUT per gli anni accade­
mici dal 1 97 1 - 1 9 72 al 1 974- 1 975 . Anche se fortemente ridimensiona­
to rispetto a quello del V piano, l'obiettivo del V I è lontano dall'essere
realizzato. In ogni caso appare chiaro che gli effetti di correzione sulla
struttura dei flussi che si era perseguita con la creazione degli IUT si
sono rivelati impercettibili.
Nondimeno gli IUT non si sono dimostrati un cattivo affare per gli
studenti: le borse erano assegnate molto piu generosamente agli stu­
denti degli IUT che agli studenti delle università tradizionali. Nel
1 969-1 970 il 4 1 % degli studenti degli IUT sono borsisti, contro il
17% degli studenti universitari del ciclo lungo. 1 9 I metodi pedagogici
adottati negli IUT sono ritenuti piu efficaci e moderni di quelli dell'in­
segnamento universitario tradizionale. In breve l'autorità pubblica ave­
va fatto tutto ciò che era in suo potere per attirare verso gli IUT i futu­
ri studenti. D'altra parte i primi anni di esperienza mostrano che in
materia di remunerazione economica gli ex studenti degli IUT otten­
gono mediamente un livello di retribuzione comparabile a quello dei
loro compagni che hanno passato tre, quattro o cinque anni all'univer­
sità e hanno ottenuto la laurea . E certamente vero che le retribuzioni
degli studenti degli IUT sono meno disperse di quelle dei colleghi del-

1 8 Bilan d'exécut ion du Vlème Pian dans le domaine de l'Education, Ministero dell'I­
struzione, Direzione Generale della Programmazione e del Coordinamento, Paris, settembre
1 975.
1 9 Quest'ultima percentuale, 17%, è una sovrastima della percentuale dei borsisti tra gli
studenti del secondo ciclo. In realtà riguarda l'insieme degli studenti ( compresi il ciclo lungo e
quello corto) . La percentuale di borsisti tra gli studenti del ciclo corto è in realtà molto supe­
riore alla percentuale di borsisti tra gli studenti del ciclo lungo. D'altra parte gli studenti del
ciclo lungo rappresentano una modesta proporzione nell'insieme della popolazione studente­
sca. Da questi dati risulta che la proporzione di borsisti tra gli studenti del ciclo lungo dovreb­
be essere dell'ordine del 1 3 % circa. Cosi gli studenti degli IUT hanno circa il triplo delle
possibilità di ottenere una borsa rispetto agli studenti del ciclo lungo universitario. Nonostante
le differenze nella composizione sociale delle due sottopopolazioni, è incontestabile che nella
ripartizione delle borse si sia cercato di favorire nettamente gli studenti degli IUT. Ciò è ulte­
riormente provato dal fatto che i recenti studi sulle risorse degli studenti mostrano una unifor­
mità notevole delle risorse a seconda delle categorie sociali. Il risultato generale è che la com­
binazione tra le risorse familiari, le risorse pubbliche, in natura e in moneta, e. il prodotto del
lavoro remunerato allineano tutti gli studenti ad un livello comparato di risorse. Inoltre le dif­
ferenze tra categorie sociali, per ciò che concerne il ricorso al lavoro remunerato, si sono con­
siderevolmente attenuate tra il 1 96 3 e il 1 973. Per questa problematica si veda il capitolo
quinto del presente volume e Loms LÉVY-GARBOUA, op. cit.

73
Effetti "perversi " dell'azione sociale

l'insegnamento lungo: gli studenti degli IUT percepiscono meno spes­


so dei laureati retribuzioni che si scostano alquanto dalla media, sia
verso l'alto che verso il basso. 20
Come è possibile spiegare questa sconfitta? Evidentemente gli IUT
permettono agli studenti di conseguire in minor tempo, e quindi a mi­
nor prezzo, un diploma che assicura loro un livello di inserimento so­
ciale in media favorevole quanto quello a cui possono aspirare gli stu­
denti del ciclo universitario lungo . La teoria che Janina Lagneau, Phi­
lippe Cibois ed io tentiamo di sostenere per cercare di spiegare il falli­
mento degli IUT può essere riassunta come segue: l'università tradi­
zionale conserva, rispetto agli IUT, il vantaggio di offrire certamente
non la garanzia ma la speranza di remunerazioni sociali superiori a
quelle che possono fornire gli IUT: dato per scontato il carattere infla­
zionistico della domanda di istruzione universitaria , l'università può ga­
rantire un livello di remunerazione sociale superiore a quello che ga­
rantiscono gli IUT solo ad una minoranza ristretta e decrescente di stu­
denti che si rivolgono ad essa, a causa della logica stessa dell'inflazione .
Tuttavia ciascuno studente, singolarmente preso, non ha ragione di ri­
nunciare ai vantaggi supplementari che l'università tradizionale può
eventualmente procurargli, anche se la probabilità di ottenere effetti­
vamente questi vantaggi supplementari è molto bassa a partire dal mo­
mento in cui tutti fanno lo stesso ragionamento . 21
In breve l'esperienza degli IUT mostra che il principio del libero
accesso all'università ha agito come una pesante ipoteca. Essa mostra di
avere limitato considerevolmente la portata dei corsi multipli e diffe­
renziati istituiti dall'autorità pubblica per cercare di controllare in qua­
lità e quantità la struttura dei flussi scolastici al livello dell'insegnamen­
to superiore . 22 Queste misure hanno avuto solo effetti limitati. La
struttura dei flussi continua ad essere il prodotto dell'aggregazione di
domande di istruzione individuali. Per quanto riguarda la domanda di

20 A titolo indicativo un'inchiesta del CEREQ ( L'accès à la vie pro/essionnelle à la sortie


des Instituts Universitaires de Technologie, dossier n. 7, Paris, "La Documentation
française , " giugno 1 973) mostra che nel 1 97 1 , il 1 0,2% degli studenti maschi licenziati dagli
IUT nel 1 969 guadagna meno di 1 . 200 franchi. La stessa percentuale sale al 14,4% nel
1 970 per uno scaglione di laureati abilitati all'insegnamento ( licenciés d'enseignement) nel
1 966 (si veda PHILIPPE VRAIN, op. cit.). D'altra parte queste due ricerche mostrano che
il 17,3% dei laureati abilitati all'insegnamento percepisce un reddito eguale o superiore a
2.000 franchi, contro il 1 0 ,2% degli ex studenti degli IUT.
2 ! Incidentalmente è utile notare che i ragionamenti di tipo "economico" di cui faccio
uso in questo articolo sono difficilmente ammessi e forse considerati addirittura inammissibili
da molti sociologi francesi e in particolare da coloro che hanno lavorato nel campo della socio·
logia dell'educazione . La domanda individuale di istruzione viene generalmente interpretata
da questi sociologi non tanto come il risultato di uno sforzo degli individui al fine di effettuare
investimenti ragionevoli in funzione delle loro risorse, ma piuttosto come la risultante mecca·
nica delle loro condizioni di origine . E possibile che questa interpretazione dominante abbia
esercitato un'influenza sulla politica francese dell'istruzione. Sarebbero necessari degli studi
approfonditi per emettere un giudizio a riguardo, ma sembra certo che l'insuccesso di molte
misure politiche sia il risultato della mancanza di analisi dei cambiamenti indotti da questa o
quella decisione politica sul comportamento degli attori. Ciò spiega per esempio come l'insuc·
cesso degli IUT sia imprevisto.
22 Per "qualità" si intende sia il livello che il ventaglio dei flussi in funzione degli indi·
rizzi.

74
Dopo i/ 1 96 8

istruzione individuale, l a sua logica obbedisce verosimilmente ad un


principio i cui effetti perversi potenziali sono evidenti; per ciascun in­
dividuo singolarmente preso è meglio tentare, nella misura delle risor­
se personali, di ottenere un livello di istruzione piu elevato possibile .
Poiché la regolazione indiretta dei flussi è resa difficile dal libero
accesso all'università, è forse possibile una regolazione diretta? A ri­
guardo, una considerazione essenziale è costituita dal fatto che le fami­
glie e gli individui possono concepire in astratto che l'assenza di restri­
zioni all'accesso al ciclo lungo universitario generi deficit non solo col­
lettivi ma individuali. Tuttavia non sarebbe ragionevole attendersi che
essi favoriscano in concreto una misura i cui effetti rischierebbero di
nuocergli .
Di conseguenza sono viste con sfavore le associazioni dei genitori
degli studenti che pongono come obiettivo di rivendicazione la restri­
zione agli accessi universitari. In questo modo ciascuna famiglia che
ha un figlio in età di studi universitari o ciascun giovane che ha termi­
nato gli studi secondari possono in effetti credere che questa restrizio­
ne possa nuocere ad essi, mentre giova agli altri .
La "lotta" contro ogni tentativo di restrizione dell'accesso universi­
tario sembra invece un obiettivo di rivendicazione naturalmente reddi­
tizio per le associazioni di consumatori dell'istruzione pubblica, cioè le
associazioni di genitori. Poiché nel sistema francese un tentativo del
genere non può che provenire dall'autorità centrale, l'opposizione a
questo tentativo sarà normalmente non solo redditizia, ma pagante ed
efficace: è piu facile disarmare un avversario facihnente identificabile e
considerato come "naturale " . Di conseguenza ci si può aspettare che
l'autorità politica si impegni in un programma di restrizione del libero
accesso all'università solo con un'estrema prudenza. Per quanto riguar­
da l'eventualità di un'iniziativa tendente ad una restrizione degli accessi
da parte delle università, che sono definite "autonome " dalla lettera
della legge del 1 9 6 8 e concorrenti dallo spirito della stessa legge, è dif­
ficile accordare ad essa una seria considerazione . 2 1 Poiché il credito ac­
cordato dall'autorità pubblica è in parte dipendente dal numero degli
studenti e dei docenti, la concorrenza viene esercitata essenzialmente
sul numero dei docenti e degli studenti e sull'ammontare dei crediti.
E. difficile in breve immaginare un esempio migliore di sistema
"bloccato ", poiché, ad eccezione dei rappresentanti dell'interesse ge­
nerale , è difficile individuare, tra i sottogruppi di attori sociali implicati
nel sistema, coloro che avrebbero convenienza a provocarne una modi­
ficazione .

2-' In questo caso occorre distinguere gli studi di medicina che sono selettivi. La legge
del '68 comporta d'altra parte certe disposizioni facoltative che permettono l'intervento delle
università sui flussi di entrata, ma sembra che queste misure siano rimaste in gran parte lettera
morta. Si tratta dell'art. 21 della legge di orientamento del '68 che recita nel modo seguente:
"Le università forniscono l'organizzazione di corsi di orientamento, da parte delle unità di in­
segnamento e di ricerca che ne fanno parte, per gli studenti appena iscritti quando ritengono
utile verificare la loro attitudine agli studi che intendono intraprendere. " Questo punto della
legge è stato il bersaglio dei movimenti studenteschi.

75
Effetti "perversi " dell'azione sociale

Modernizzazione dell'università ?

Nelle pagine precedenti ho esaminato l'effetto di neutralizzazione


che il principio del libero accesso all'università ha esercitato sulle sva­
riate misure prese dall'autorità politica per controllare qualitativamente
e quantitativamente i flussi scolastici a livello dell'istruzione superiore,
cioè per controllare la loro entità e la loro struttura allo scopo di elimi­
nare i deficit individuali e collettivi generati da un sistema istituzionale
che non è stato modificato affatto dalla legge del 1 9 6 8 , e per ottenere
una maggiore congruenza tra il sistema universitario e quello economi­
co : Questi effetti di neutralizzazione hanno avuto una potenza impres­
sionante . Gli sforzi dell'autorità pubblica si sono in larga misura perdu­
ti, come nel secchio senza fondo delle Danaidi, in istituzioni portatrici
fondamentalmente di effetti perversi. In questa sezione esaminerò
brevemente gli effetti di queste istituzioni non piu sul sistema d'istru­
zione superiore nel suo insieme e sulle relazioni tra il sistema di istru­
zione e il sistema economico , ma sul sotto-sistema delle università
stesse. La legge del 1 9 6 8 aveva cercato, secondo le parole del generale
de Gaulle, di mettere in sintonia con la nuova società francese "un
gran Corpo che non aveva saputo riformarsi" e che per questo, secon­
do il capo dello Stato , aveva contribuito a provocare la rivolta del
1 96 8 . Il ministro Edgar Faure, con una energia politica poco contesta­
bile, fece allora votare una legge che rese autonome le università ( ma
non responsabili poiché le risorse di cui dispongono continuano ad es­
sere loro attribuite dall'autorità centrale e non sono affatto influenzate
dalla politica interna che possono causare ) . La stessa legge fece delle
università delle istituzioni cogestite. Inoltre, concedendo un potere di
decisione , del resto molto limitato, agli studenti, ed elargendone una
parte ai junior Faculty members, assistenti e maitres-assistants, si pote­
va sperare di scuotere le tradizioni baronali giudicate parzialmente re­
sponsabili della "sclerosi" dell'istituzione universitaria . 24
La legge non rimase senza effetti, come si vedrà. Per esempio con­
tribui senza dubbio a ridurre la dipendenza dei giovani docenti25 rispet­
to agli anziani e a modificare la natura dei loro rapporti, almeno da un
punto di vista "espressivo ". Senza dubbio la legge ha avuto anche altri
effetti, ma si può dubitare che abbia sostanzialmente contribuito allo
scopo esplicito della "modernizzazione " dell'università. Volendo apri­
re una parentesi di sociologia e di storia politica, sembra evidente che
il presidente della repubblica di allora, il generale de Gaulle , cosi co­
me il ministro dell'Istruzione pubblica che questi aveva nominato per
la circostanza, Edgar Faure, si erano dati un obiettivo primario: evi-

24 Sulla storia delle riforme universitarie francesi dal 1 950 al 1 9 6 8 si consulti l'opera di
FRANçOis BouRRICAUD, La réforme universitaire en France après 1 945 et ses déboires, Maison
de Sciences de l'Homme, Gemas 1 976, ciclostilato.
25 II vocabolo " enseignant" è un neologismo figlio del '68. La coppia funzionale "docen­
te / discente" sostituisce la coppia gerarchica "professore / studente" . Siamo in attesa che la
prossima mutazione culturale sostituisca la coppia funzionale "curante/ curato" alla coppia
asimmetrica "medico l paziente".

76
Dopo il 1 96 8

tare che l'agitazione studentesca riprendesse alla riapertura dell'ottobre


1 96 8 e che mettesse eventualmente di nuovo in pericolo lo Stato stes­
so. E tuttavia evidente che il presidente , il ministro e i loro consiglieri
non si limitarono a questo obiettivo politico . Si trattava anche non solo
di vagliare tra le esigenze degli studenti quelle che potevano apparire
come giustificate, ma di trarre la lezione della rivolta. In altri termini si
trattava, con l'aiuto delle informazioni fornite dai sintomi, di fare una
diagnosi sulle cause della rivolta, in modo da colpirne le cause stesse.
Autonomia e partecipazione costituirono le grandi linee della diagnosi.
Senza dubbio si era sinceramente persuasi che, da una parte, l'eccesso
di potere dei baroni rispetto agli altri attori sociali che fanno parte del
sistema universitario , e dall'altra il potere dello Stato stesso sulle uni­
versità, doveva essere considerato come una delle cause della rivolta.
Si trattava, è difficile dubitarne oggi, di una diagnosi superficiale. E ve­
ro che ogni rivolta si dirige assiomaticamente dal basso verso l'alto, ma
questa non è l'unica ragione sufficiente per concludere che le cause
della rivolta risiedono nell'esistenza stessa dei fenomeni autoritativi. In
certi casi può essere cosi, ma non necessariamente . E verosimile pen­
sare che questo errore abbia guidato i consiglieri del principe nel
1 9 6 8 . Certamente gli studenti se l'erano presa con le autorità universi­
tarie e politiche, ma una delle cause essenziali della rivolta non aveva
niente a che vedere con i fenomeni di autorità e potere. Piu semplice­
mente, lo status di studente in Francia nel 1 9 6 8 era una condizione a
cui non era ragionevole cercare di sottrarsi e a cui, nello stesso tempo,
era difficile dare un senso: il passaggio all'università permetteva di spe­
rare in una serie di benefici differenziali ulteriori di cui era assurdo pri­
varsi volontariamente . Tuttavia, d'altro canto, questi benefici erano
aleatori in ragione del carattere inflazionistico della domanda di istru­
zione a livello superiore e il significato degli investimenti, che lo stu­
dente doveva effettuare per mettersi in condizione di ottenerli, era tal­
volta difficilmente comprensibile. Senza dubbio esistevano "program­
mi" stabiliti a livello nazionale, ma i docenti disponevano di una libertà
assoluta sui modi di perseguirli. D'altra parte il "livello" al quale veni­
vano perseguiti dipendeva essenzialmente dal livello di formazione
preliminare degli studenti, che non era controllato dal sistema. Cosi,
prima del ' 6 8 , lo studente medio percepiva co nfusamente che il passag­
gio all'università doveva essergli profittevole a termine, ma d'altra par­
te era difficile, in molti casi, sia definire con precisione questo profitto,
sia comprendere il legame tra le prestazioni che il sistema esigeva e il
beneficio previsto. Dopo il '68 queste caratteristiche della situazione
studentesca si sono conservate e forse aggravate . In questo modo la
nozione di "programma" venne progressivamente abbandonata. Era
senza dubbio auspicabile abbandonare ufficialmente la finzione dell'u­
niformità dei programmi tra le differenti università. Ma per questo ab­
bandono si è innescata una fioritura di Unità di Valore (UV) in cui lo
studente ha fatto ancora piu fatica a ritrovarsi rispetto agli itinerari ben
marcati del sistema precedente .

77
Effetti "perversi " dell'azione sociale

In breve, dato l'errore di diagnosi commesso all'epoca, le riforme


del '68 non sembrano avere colpito in nessun modo le cause della ri­
volta. La condizione dello studente francese nel 1 975 è tanto contrad­
dittoria e poco motivante quanto quella dello studente del '68: la pos­
sibilità di accedere ad un impiego di livello elevato tende a decrescere,
la probabilità di accedere ad un impiego di livello piu modesto tende a
crescere. D'altra parte le spese pubbliche per studente tendono a de­
crescere. Questi due fenomeni sono stati affrontati nella prima sezio­
ne . Il problema è ora quello di spiegare, se si presta attenzione all'an­
damento degli effettivi, come mai la domanda di istruzione a livello
universitario non sembra diminuire parallelamente alla diminuzione
dell'investimento nell'istruzione. Una possibile risposta a questo pro­
blema è stata suggerita in altre mie pubblicazioni: nonostante il declino
osservabile nel rendimento dell'investimento nell'istruzione a livello
universitario, si continua a riscontrare una relazione positiva tra il livel­
lo di istruzione e, per esempio, lo status sociale o il reddito . Anche se
uno studente ha molte probabilità di conseguire uno status sociale o un
reddito inferiori a quelli di una persona che ha un livello di istruzione
meno elevato, ciò non significa che mediamente ad un livello di istru­
zione piu elevato non siano associate aspettative di status o di reddito
piu elevati. Malgrado l'effetto di svalutazione, cercare di aumentare il
proprio livello di istruzione rimane una scelta razionale .
Lévy-Garboua26 suggerisce dal suo canto di completare questa in­
terpretazione con un insieme di proposizioni che chiama modello di
eleggibilità: gli studenti percepiscono l'abbassamento del valore dell'in­
vestimento che stanno compiendo frequentando l'università, ma sono
anche coscienti del carattere positivo di questo inve stimento . Quindi
non rinunciano ad iscriversi all'università. Tuttavia cercano di ottenere
un equilibrio tra il loro investimento e il rendimento che possono spe­
rare di ottenere, diminuendo la quantità di tempo e di sforzi che con­
sacrano all'acquisizione dei diplomi universitari. Naturalmente, in tutte
le discipline il sistema universitario impone allo studente di consacrare
allo studio un certo tempo minimo . Al di là di questo minimo lo stu­
dente è libero di determinare il tempo supplementare che desidera de­
dicare allo studio . Secondo lo schema di Lévy-Garboua, questa quanti­
tà di tempo supplementare è una funzione decrescente del rendimento
degli studi e dell'utilità di altri tipi di impiego del tempo: tempo consa­
crato al piacere, da una parte, e al lavoro remunerato dall'altra. Dati
suggestivi tendono a corroborare questa teoria.
Questi dati mostrano che , a parte gli studenti che provengono da­
gli strati meno elevati della gerarchia socio-professionale , il tempo de­
dicato al lavoro remunerato ha tendenza a crescere nel tempo. Allo
stesso modo, nel caso di studenti provenienti dagli strati superiori
(quadri superiori, libere professioni ) , non solo aumenta la proporzione
di coloro che hanno un impiego tra il 1 9 63-1 964 e il 1 973-1 974 , ma

2• Lours LÉvY-GARBOUA, op. cit.

78
Dopo il 1 96 8

cresce in misura enorme anche la proporzione degli studenti che lavora


almeno a mezzo tempo. In generale la progressione dell'occupazione
tra i due periodi considerati è una funzione crescente dell'origine so­
ciale: l'aumento del tempo dedicato all'impiego è tanto maggiore quan­
to piu è elevata l'origine sociale . Se si aggiunge a questo punto il feno­
meno ben conosciuto che i ceti superiori sono sovrarappresentati nel
sistema universitario , mentre i ceti inferiori sono sotto-rappresentati,
se ne deduce l'aumento medio globale del tempo dedicato al lavoro
retribuito che si osserva facilmente a livello di inchiesta. La diminuzio­
ne della percentuale di lavoratori tra gli studenti di provenienza agrico­
la è da mettere in relazione con gli effetti redistributivi degli aiuti mes­
si a disposizione degli studenti da parte del potere pubblico .
Altri dati pubblicati da Lévy-Garboua sono da mettere in relazione
con questi risultati: mostrano che il tempo dedicato allo studio è una
funzione regolarmente decrescente del tempo dedicato al lavoro remu­
nerato, poiché il tempo dedicato agli svaghi rimane costante a meno
che il tempo di lavoro remunerato non ecceda un certo limite. In altri
termini il tempo di lavoro remunerato è ricavato prima di tutto dal
tempo di studio e solo in caso di necessità dal tempo libero (quando il
tempo dedicato al lavoro riveste una particolare importanza superando
le venti ore settimanali) .
Questo insieme di risultati suggerisce una importante considerazio­
ne : non potendo rendere possibile una regolazione dei flussi, il sistema
istituzionale caratteristico dell'università francese non ha solo prodotto
l'effetto di generare una degradazione delle aspettative legate agli inve­
stimenti individuali effettuati nell'istruzione superiore . Se, come è leci­
to supporre , una diminuzione del tempo dedicato allo studio corri­
sponde ad una diminuzione della qualità della formazione , il sistema
non può non. generare anche una diminuzione del livello degli studenti
e infine un deterioramento del modo in cui viene espletata una delle
funzioni essenziali dell'università e cioè la funzione di produzione e
trasmissione del sapere /7
E dubbio, come si può vedere, che le riforme del 1 96 8 abbiano
contribuito a rinforzare l'attrazione che l'università può sperare di
esercitare sullo studente. Ciò deriva dal fatto che le riforme sono state
fatte senza una diagnosi complessiva delle cause che avevano condotto
alla rivolta. Volendo parodiare una formula celebre, si può dire che il
grado di partecipazione dei membri di un'organizzazione non si decre­
ta ma si constata. La legge del 1 96 8 decretò la partecipazione, preve­
dendo tra le altre cose la presenza di delegati degli studenti eletti ai
differenti livelli di governo della nuova università. In realtà la legge
decretò la partecipazione ma non corresse nessuno dei fattori che ren­
devano poco probabile l'identificazione degli studenti con l'istituzione

27 E: evidente che le discussioni sull'abbassamento del livello qualitativo degli studenti


sono tanto regolari quanto inutili. In compenso è poco contestabile che una diminuzione me·
dia del tempo dedicato allo studio deve corrispondere ad una diminuzione della qualità della
formazione.

79
Effetti "perversi " dell'azione sociale

universitaria, identificazione senza la quale non è possibile riscontrare


alcuna reale partecipazione.
Una semplice misura, resa possibile dalla riforma stessa, del grado
di identificazione degli studenti con l'istituzione universitaria può esse­
re data dai risultati delle elezioni annuali tendenti a designare i delegati
degli studenti ai consigli eletti. Ciò che colpisce in questi risultati è,
prima di tutto, la bassa partecipazione studentesca alle consultazioni e
il declino di questa partecipazione nel tempo: solo una piccola mino­
ranza di studenti dimostra interesse a prendere parte alla designazione
dei delegati degli studenti. In secondo luogo si osservano delle relazio­
ni complesse tra i tassi di partecipazione e un insieme di variabili istitu­
zionali. Gli studenti degli IUT prendono parte alle votazioni media­
mente con una frequenza maggiore rispetto agli studenti dei settori
tradizionali dell'università. La spiegazione di questa relazione è chiara
a livello intuitivo e parzialmente sostenuta dai risultati delle ricerche
empiriche: gli studenti degli IUT sono sottoposti ad un regime di studi
relativamente rigido; la loro carriera universitaria è predeterminata in
maniera abbastanza stretta e può essere prevista con una relativa preci­
sione. Al contrario gli studenti dell'università tradizionale sono costret­
ti a scegliere in un vasto elenco di Unità di Valore ( UV ) , non sempre
organizzato in un insieme coerente, senza essere spesso effettivamente
informati sul contenuto dei corrispondenti insegnamenti. La scelta del­
lo studente avviene molto spesso sulla base di una razionalità di breve
respiro: si osserva una corsa alle UV ritenute facili e , quando la mate­
ria lo permette , a quelle che meglio corrispondono alla moda del pe­
riodo. Lo studente dell'università tradizionale non può dunque avere
una chiara visione delle finalità della sua iscrizione all'università; dal
suo punto di vista i requisiti del sistema sono incerti; gli viene lasciato
un largo margine di scelta nell'organizzazione degli studi, ma il sistema
non gli lascia molto spesso altra possibilità che di effettuare le sue scel­
te a partire da motivazioni molto limitate . In queste condizioni non si
può sperare che si sviluppi nello studente un forte sentimento di iden­
tificazione con l'istituzione universitaria . Credendo di aumentare l'au­
tonomia, cioè la capacità di autodeterminazione dello studente, si è so­
prattutto aumentato il livello di anomia del sistema.
Per quanto riguarda gli studenti degli IUT, queste ipotesi sono so­
stenute da una ricerca empirica che mostra che gli studenti degli IUT
sono in buona parte soddisfatti della loro condizione universitaria. Essi
giudicano gli studi negli IUT piu interessanti degli studi lunghi di let­
tere e scienze: gli IUT, affermano, forniscono una migliore prepara­
zione alla vita professionale e l'insegnamento è meglio organizzato, 28

28 Cfr. PHILIPPE CIBOIS, }ANINA MARKIEWICZ LAGNEAU, Les étudiants dans l'enseignement
supérieur court. F;rance, Grande-Bretagne et Yougoslavie, Organisation de Coopération et de
Developpement Economiques (OCDE), Paris 1 976, p. 1 8 6 . In questo lavoro sono esposti i
risultati di una ricerca effettuata su uno scaglione di studenti di IUT in cui questi ultimi giu­
dicano gli IUT di qualità superiore alle università (facoltà di lettere) dal punto di vista delle
possibilità di carriera, della qualità dell'insegnamento, dell'interesse degli studi e dell'ambiente
generale.

80
Dopo il 1 96 8

ecc. Alcune ricerche, sfortunatamente poco numerose, sembrano con­


fermare in modo complementare ciò che l'osservazione suggerisce,
cioè che gli studenti dei cicli lunghi accedono all'università con aspet­
tative poco precise e mutevoli da un anno all'altro. 29 La situazione ano­
mica attribuita agli sudenti dei settori tradizionali dell'università spiega
senza dubbio sia l'alto tasso di autoselezione e di riorientamento osser­
vabile, sia i bassi tassi di partecipazione elettorale che li caratterizza. 30
Se si comparano tra loro le materie universitarie dal punto di vista
del tasso di partecipazione, si osservano complesse differenze che , a
parte la necessità di effettuare ulteriori ricerche a riguardo, possono
verosimilmente essere ricondotte a un ristretto numero di fattori:
l . Carattere piu o meno professionale della materia: poiché la
professionalizzazione comporta una piu rigorosa strutturazione del
curriculum e una maggiore precisione nell'attribuzione delle gratifica­
zioni, essa deve comportare una maggiore partecipazione, a parità di
altre condizioni.
2. Carattere piu o meno tecnico della materia: quando una mate­
ria implica un notevole apprendimento tecnico, ciò deve comportare, a
parità di altre condizioni, una migliore strutturazione del curriculum e
una attribuzione piu discriminante delle gratificazioni.
3 . Carattere piu o meno po liticizzato (o politicizzabile) della ma­
teria: certe materie ( scienze sociali per esempio) sono, per ragioni in­
trinseche, facilmente politicizzabili. Altre (fisica, biologia, per esem­
pio) sono intrinsecamente poco politicizzabili nel senso che le loro
proposizioni devono essere oggetto di dimostrazioni che obbediscono
all'ideale della neutralità etica, ma possono in certi casi indurre effetti
di politicizzazione secondaria a causa del loro legame con problemi so­
ciali evidenti e importanti. Si può fare per lo meno l'ipotesi che una
materia del genere possa esercitare un effetto di selezione differenziale
ed attirare cosi gli studenti che hanno una sensibilità politica notevole
e le cui preoccupazioni politiche e sociali sono suscettibili di espressio-

29 Cfr. PIERRE OLÉRON, Opinions d'étudiants e n psycologie sur leurs études et leur future
profession, in "Bulletin de psycologie ", 255 , XX, 6-7 gennaio 1 967, pp. 329-45; PIERRE
OLÉRON , M. MouuNou , Données statistiques sur un échantillon d'étudiants en psycologie, in
"Bulletin de psycologie" 263, XXI, ottobre 1 967, pp. 1 -4; RAYMOND PmcNANT, L'enseigne­
ment dans les pays du Marebé commt�n, Institut pédagogique national, Paris 1 96 5 , dà le stime
del raddoppio dell'università francese prima del '68. Una ricerca del CREDOC del 1 974 citata
da LÉVY-GARBOUA, op. cit., mostra da parte sua la debolezza del tasso di riuscita alle differenti
tappe dei curriculum universitari. MICHEL AMIOT e AL. , L'appareil universitaire et le marché de
l'emploi urbain, Centre d'études des Mouvements sociaux, Maison de Sciences de l'Homme,
1 974-76, i cinque fascicoli apparsi (una ricerca sulla dinamica scolastica di uno scaglione di
studenti a Lilla e a Nizza) mostrano d'altra parte l'importanza dei fenomeni di cambiamento di
orientamento durante gli studi.
30 Sul problema delle elezioni universitarie si veda IsABEL BoussAR D La partecipation des
,

étudiants aux élections universitaires en France (1970-1 973), in "Revue française de Science
politique ", XXIV, n . S, ottobre 1 974, pp. 940-975, largamente convergente con la nostra
interpretazione. Per ottenere una teoria completa della partecipazione elettorale e piu in ge­
nerale dell' integrazione degli studenti nell'università, occorrerebbe naturalmente tenere con­
to di variabili comuni come l'invecchiamento della popolazione studentesca e il rispettivo au­
mento medio dei carichi di famiglia a cui lo studente è esposto.

81
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

ne tanto piu vigorosa quanto meno la materia che studiano li prepara


ad un'analisi circospetta dei fenomeni sociali e politici. JJ
Resterebbe ora da vedere come questi diversi fattori possono combi­
narsi per spiegare le differenze nei tassi di partecipazione elettorale tra le
varie discipline e , piu in generale, le differenze di incompatibilità nella
condizione studentesca in funzione delle specializzazioni universitarie.
In ogni modo la conclusione principale che può essere tratta da
queste considerazioni sommarie sulla partecipazione degli studenti alle
consultazioni elettorali universitarie è che un basso tasso indica una
bassa integrazione dello studente con l'istituzione universitaria . E allo­
ra difficile sperare che la funzione di integrazione possa essere conve­
nientemente svolta in un'istituzione le cui finalità sono tanto indeter­
minate, sia dal punto di vista dell'individuo che della collettività , da
mettere lo studente in una situazione di anomia. Durkheim insegna
che ario mia e integrazione sono antitetiche .

L'università, la po litica e gli intellettuali


Lo sforzo compiuto dai riformatori nel '68 tendente ad ottenere
una migliore partecipazione degli studenti all'istituzione universitaria
era naturalmente legato alla preoccupazione di democratizzare l'uni­
versità. Si trattava da una parte di favorire l'accesso all'università di stu­
denti di origine modesta e dall'altra di coinvolgere gli studenti nelle
decisioni che li concernevano. Riguardo al primo punto , la logica "na­
turale" della domanda di istruzione unita alle misure redistributive , ap­
parentemente non prive di efficacia, hanno contribuito ad una disloca­
zione verso il basso della distribuzione degli studenti francesi in fun­
zione della loro origine sociale. J2 Relativamente al secondo problema,
J I Si possono per esempio osservare movimenti di contestazione sociale relativamente
importanti presso certi gruppi di fisici. Si veda in proposito ]EAN-MARC LÉVY-LEBLOND e ALAIN
]AUBERT (A uto)critique de la science, Editions du Seui!, Paris 1 975 (tr. it. (Auto)critica della
scienza, Feltrinelli, Milano 1 976).
J 2 Ecco alcuni dati relativi alla evoluzione in esame tra il 1 96 1 e il 1 9 73.

Origini sociali degli studenti francesi


per alcuni anni tra il 1 9 6 1 e il 1 973 (in % )

1961 1964 1966 1 96 8 1971 1 97 3

Agricoltori 5,7 5 ,4 5,9 5 ,7 6,9 5,8


Salariati agricoli 0,5 0,6 0,6 0,7 0,8 0,6
Imprenditori commerciali e industriali 1 8 ,2 1 5 ,3 1 5 ,0 14,3 1 1 ,4 1 1 ,9
Libere professioni
Quadri superiori
1 0 ,4
1 9 ,0
1 0 ,3
1 9,2
9,8
19,6
8,9
23,2
7,6
19,0
} 33,6
Quadri intermedi 1 8,8 17,8 15,8 16,2 1 4 ,4 1 6 ,3
Impiegati 8 ,4 8 ,6 8,5 8 ,8 9,6 9,4
Operai 5,5 7,6 9,9 1 0,2 13,1 1 1 ,8
Personale di servizio 0,9 1 ,0 0,8 1 ,2 0,8 0,8
Benestanti, senza occupazione, altri,
mancate risposte 1 2 ,6 14,2 1 4 ,0 10,8 1 6 ,4 9,8
Totale 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00

FoNTE : Tableaux de l'Education nationale, Paris, Ministero dell'Istruzione. Da notare


che i "quadri superiori" includono tutti gli insegnanti tranne i maestri della scuola primaria.

82
Dopo i l 1 96 8

s i è visto che , nell'impossibilità di attribuire una chiara finalità al loro


soggiorno universitario e forse alle obbligazioni a cui sono costretti, gli
studenti sono poco motivati a partecipare al loro governo. In questo
modo l'organizzazione della partecipazione da parte del riformatore ha
portato non alla partecipazione ma alla politicizzazione . A partire dal
momento in cui il legislatore aveva definito un insieme di posti eleggibi­
li, un processo di politicizzazione era naturalmente inevitabile e avrebbe
potuto in astratto favorire la generazione di effetti che superano il piano
simbolico. Tuttavia la condizione necessaria perché questi effetti fosse­
ro favorevoli era che gli studenti si sentissero "integrati" all'istituzione
universitaria e che provassero un interesse diretto alle consultazioni
elettorali. N on essendo realizzata questa condizione , era inevitabile che
il processo di politicizzazione giovasse soprattutto alle organizzazioni
politiche esterne all'università, fornendo loro una ragione legale di pe­
netrazione. Alcune formazioni politiche si sforzano cosi, ogni anno, di
far eleggere un numero massimo di loro mandanti nei numerosi posti di
delegati studenteschi aperti ai differenti livelli del sistema di governo
universitario . In questo modo, nell'indifferenza generale degli studenti
le università diventano le poste del gioco politico . Un'nniversità in cui la
formazione X ottiene il 6 0 % dei seggi riservati agli studenti nei diversi
consigli, grazie ai suffragi della proporzione in genere ridotta degli stu­
denti che si sono recati alle urne, prende il colore della formazione X .
Una volta acquisito, questo colore rimane relativamente stabile . S e è
sufficientemente netto, attira ogni anno per un effetto di selezione dif­
ferenziale gli studenti che l'apprezzano . Cosi si formano delle università
bianche, rosa e rosse . Certe guide , ispirate alle utili guide gastronomiche ,
vengono pubblicate da periodici di grande diffusione." Tra il diverso ar­
mamentario che offrono per permettere allo studente di farsi un'idea del­
l'università, queste guide si sforzano di precisarne il colore politico .
Qualche mese fa, i muri dei licei erano tappezzati di manifesti i cui autori
si sforzavano di fornire una stima della proporzione di professori "rossi"
nelle università di Parigi. L'informazione, che si presentava nella forma
di un cerchio bianco (o rosso) comportava una sezione rossa ( o bianca) di
superficie corrispondente alla proporzione di rossi (o bianchi).
La politicizzazione si estende naturalmente al corpo docente . Le
organizzazioni sindacali intervengono in modo occasionalmente deter­
minante nella gestione delle carriere degli assistenti e maitres assistants
e conoscono presso questo pubblico il successo che normalmente in­
contra un'organizzazione "volontaria" capace di fornire ai suoi membri
oltre ai beni collettivi che sono la ragione d'essere dell'organizzazione
stessa, anche dei selective incentives in senso olsoniano, cioè beni indi­
viduali apprezzabili14: all'occorrenza, sicurezza del posto di lavoro , pro-

33 Si possono trovare "Guide " di questo genere in "Le Point , " n. 1 93 , 31 maggio 1 976,
"Le Nouvel Observateur", n . 5 9 1 , 8-14 marzo 1 97 6 , "Le Monde de l'Education", n. 19, lu­
glio-agosto 1 9 76 .
34 MANCUR 0!.5oN, The Logic o/ Collective Action, Harvard University Press, Cambrid­
ge (Mass . ) 1965.

83
E/letti "perversi " dell'azione sociale

mozioni, servizio di assistenza giuridica e sociale . Questa penetrazione


tradizionale delle organizzazioni sindacali nell'università è stata rinfor­
zata in primo luogo dalla trasformazione della struttura del corpo do­
cente. Diversi fattori hanno contribuito a questa modificazione: l'au­
mento della domanda di istruzione al livello dell'insegnamento supe­
riore a partire dal 1 9 60, l'unanimità del consenso sulla necessità di au­
mentare il tasso di inquadramento (il rapporto tra il numero dei docen­
ti e quello dei discenti) , la sostituzione dei corsi ex cathedra con grup­
pi di lavoro ristretti. Questi fattori congiunti hanno comportato un au­
mento rapido non solo degli assistenti e dei maitres assistants ma an­
che del loro rapporto rispetto agli ordinari e agli incaricati. 31 Tuttavia il
sindacalismo universitario ha tratto profitto anche dalle istituzioni crea­
te dalle riforme del 1 9 6 8 . Politicizzando ufficialmente l'università,
queste riforme offrivano un terreno di azione alle formazioni politiche .
Contemporaneamente esse rafforzavano, per una sorta di effetto mol­
tiplicatore, i sindacati che sono tradizionalmente legati alle formazioni
politiche .
Dal sistema istituzionale caratteristico dell'università francese deri­
va naturalmente il fatto che la politicizzazione non presiede solo all'at­
tribuzione dei posti elettivi che definiscono il governo universitario .
Molto spesso la proposta di attribuzione di un posto di professore o di
ma ftre assistant dipende prima di tutto da criteri politici e solo secon­
dariamente da criteri scientifici. Nella maggior parte dei casi questa ge­
rarchizzazione deviante dei criteri è velata. L'ordine latente dei criteri
appare solo in casi eccezionali, quando per es.empio la procedura di
scelta o di cooptazione include personalità la cui notorietà eccede le
frontiere della loro disciplina. In questo caso si può assistere alla nasci­
ta di un "alfa ire " apertamente politico che mette in gioco personalità
esterne all'establishment universitario implicato e eventualmente all'u­
niversità nel suo insieme e provoca articoli sulla stampa. 36

J; I seguenti dati mostrano che tra la seconda metà degli anni Cinquanta e il '67-68 la
proporzione dei maftres assistants è fortemente aumentata rispetto a quella dei professori e
dei maitres de con/érence. Successivamente queste proporzioni sono rimaste praticamente in­
variate. Questa evoluzione anteriore al '67-68 spiega certamente solo in parte l'intensità del­
l'impegno dei docenti a favore del "movimento studentesco" .

Struttura del corpo docente i n Francia

1 956-1957 1 963-1 964 1 9 67- 1968 1 97 1 - 1 972

Professori e "maitres
de conférences" 3 . 1 52 4.903 6 . 257 9 . 060
(56%) (33 % ) ( 28 % ) (27 % )
"Maitres assistants,
e assistenti 2.479 1 0 . 1 95 1 6 .256 24 . 84 1
(44 % ) ( 6 7% ) (72 % ) (73%)

FoNTI: RAvMOND PoiGNANT, L'enseignement dans les pays du Marché commun, lnstitut
pédagogique national, 1 9 65 e Statistiques des enseignements, tableaux et in/ormations, Paris,
Ministero dell'Istruzione.
36 Cfr. gli al!aires Althusser e Boutang.

84
Dopo il 1 968

Naturalmente i criteri di scelta del personale docente in vigore pri­


ma del Sessantotto comportavano una dimensione politica. Sarebbe in­
genuo negarlo e stupido rimpiangere le precedenti procedure. 37 Tutta­
via le riforme del Sessantotto hanno contribuito se non ad ufficializza­
re, almeno ad istituzionalizzare e ad aggravare questa pratica. Senza
dubbio non è esagerato affermare che , in conseguenza delle strutture
istituzionali create, molti membri di istituzioni universitarie e di istituti
di insegnamento superiore riversano forti passioni su obiettivi come
quello di evitare o di ottenere che questo o quel partito acquisti o per­
da una posizione in questa o quella istituzione . Le diatribe tra le sette
scientifiche tendono a lasciare il posto alle diatribe tra le sette politi­
che. Poiché i criteri politici sono socialmente inconfessabili quando si
tratta di questioni di natura scientifica, la "contraddizione" viene risol­
ta attraverso lo sforzo di ritornare alla vecchia distinzione tra buona e
cattiva scienza. Ma il buono e il cattivo si distinguono in ultima istanza
a partire da criteri politici. Le nuove istituzioni universitarie francesi
hanno cosi forse facilitato la riapparizione di una distinzione che si cre­
deva scomparsa, è questa un'ipotesi che si può cercare almeno di veri­
ficare. E. comunque un fatto che oggi esiste o almeno si parla corrente­
mente in Francia di una scienza politica, di un'economia, di una socio­
logia, di una psicologia di destra e di una scienza politica, di un'econo­
mia, di una sociologia e di una psicologia di sinistra. La "realtà" di
queste distinzioni è senza dubbio confermata, in applicazione del fa­
moso teorema di W. I . Thomas, dalla politicizzazione indotta dalle
strutture istituzionali.
Un altro effetto che , se può sembrare inatteso, non era certo im­
prevedibile, è la riduzione del tasso di mobilità istituzionale dei docen­
ti in seguito alle riforme del ' 6 8 . Data l'importanza attribuita alle orga­
nizzazioni sindacali dalle nuove istituzioni e il ruolo di gestrici della
carriera dei loro mandanti, che naturalmente queste ricoprono, l'anzia­
nità maturata da un docente diventa un argomento importante ai fini
della promozione al livello superiore nella stessa università, non appe­
na si rende libero un posto. Dove una volta la promozione si accompa­
gnava generalmente ad un cambiamento di sede, la regola è spesso or­
mai quella della promozione sul posto.
E. difficile non scorgere una sindrome inquietante dall'insieme delle
caratteristiche che ho appena cercato di descrivere . In larghi settori le
università francesi non riescono ad essere né scuole professionali, né
laboratori viventi di cultura e ricerca. Per molti studenti e docenti la
salvezza passa attraverso una soluzione di ritirata o di innovazione nel
senso mertoniano di questi termini. La ritirata può prendere la forma
della demoralizzazione o del cinismo nei confronti dell'istituzione uni­
versitaria. L'innovazione per gli autori del sistema universitario può

37 Prima del '68 la cooptazione di un professore avveniva essenzialmente a livello di fa­


coltà e coinvolgendo i professori di tutte le discipline riunite. Questa procedura è rimasta solo
in alcuni istituti come il Collège de France. Per gli altri la cooptazione avviene a livello di
dipartimento ( Unités d'Enseignement et de Recherche ) .

85
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

. consistere nell'inventarsi una doppia via: per lo studente nel diventare


un dilettante degli studi e nel riversare altrove l'essenziale dei propri
interessi; per il docente l'innovazione può consistere nel consacrarsi al­
la ricerca, alla letteratura o ai lavori di biblioteca, minimizzando il tem­
po dedicato ai compiti dell'insegnamento, oppure nel creare una rete
di relazioni scientifiche e professionali in gran parte esterne al suo am­
biente scientifico e professionale immediato. Tuttavia la soluzione piu
interessante dal punto di vista delle conseguenze sociologiche è la fuga
verso l'intelfettualità parigina ( Tout-P aris intellectuel ) .
Mi soffermo rapidamente su questo importante punto. Sembra che
la disorganizzazione dell'università abbia spinto un considerevole e
probabilmente crescente numero di universitari a ricercare il significa­
to delle loro attività di ricerca e la remunerazione sociale di queste atti­
vità, quando lo permettono la loro formazione e la loro disciplina, non
tanto in un ambiente professionale sempre meno integrato , quanto
piuttosto in un ambiente che trascende le frontiere delle singole disci­
pline e che riunisce persone che hanno ricevuto una formazione . in una
specifica disciplina ma che affrontano problemi di interesse generale:
l'ambiente degli intellettuali e piu precisamente degli intellettuali di
Parigi. In sostanza sembra che la disorganizzazione delle università ab­
bia contribuito alla fioritura della vita intellettuale parigina. E cosi che
un notevole numero di filosofi (nel senso di "specialisti" della filoso­
fia) , che prima della crisi universitaria del '68 si era fatto conoscere at­
traverso lavori di erudizione riguardanti la storia della filosofia, si mise
dopo il '6 8 ad elaborare prodotti di nuovo tipo, appartenenti mag­
giormente a ciò che Benda chiamava la letteratura bizantina piuttosto
che alla letteratura scientifica o filosofica'': questi lavori si caratterizza­
no per il gusto delle proposizioni fragili e rumorose, per l'oscurità , la
ricerca di uno stile esoterico e personale, per sintesi precoci e prema­
ture, per il rifiuto di una realtà caratterizzata da tagli e rotture episte­
mologiche, per il profetismo .
Lo stesso fenomeno appare in molti intellettuali che prima del '68
furono specialisti di scienze sociali ed economiche. Usando in modo
spregiudicato i modelli econometrici e le ricerche sociologiche , che
avevano preso sviluppo a partire dal 1 95 0 contribuendo incontestabil­
mente ad una migliore conoscenza della società francese, i nuovi "eco­
nomisti" e "sociologi" · cominciarono a dedicarsi al saggio "filosofico" e
alla sintesi brillante, rozza, fragile e prematura.·'• Gli equivalenti
nord-americani dovrebbero essere ricercati in McLuhan e Charles
Reich .
Come McLuhan o Reich, il nuovo sociologo, il nuovo economista,
il nuovo scienziato politico si rivolgono dal loro ambiente professiona-
38 }ULIEN BENDA, La France Byzantine, Gallimard, Paris 1 945.
-' 9
Si veda su questo punto MICHEL CROZIER, ] OSEPH L. BowER, Tbe Changing Role o/ tbe
Intellectual in Modern Society, Centre de Sociologie des Organisations, Paris; ALFRED GROS­
SER, Une nouvelle trahison des clercs?, in "Contrepoint", n. 1 0 , 1 973, pp. 37-5 1 ; BERNARD
CAZES, Experts et prophètes, in "Contrepoint", n. 10, pp. 1 3-36; MICHEL CROZIER, Tbe Cultura l
Revolution, in " Daedalus", dicembre 1 96 3 .

86
Dopo il 1 96 8

le ai giornalisti della vita intellettuale e al grande pubblico. 4() Retroatti­


vamente il destinatario anticipato del prodotto determina la natura di
quest'ultimo. "La grande regola è quella di essere graditi e di toccare"
come diceva Racine . E ciò che si sforzano di fare i nuovi filosofi. Cosi
facendo rompono naturalmente con il sistema di norme che regolano
le produzioni di tipo cognitivo. E tuttavia importante sottolineare che,
mentre il caso di McLuhan sembra atipico per gli Stati Uniti, è diventa­
to comune per la Francia . Una proporzione la cui entità dovrebbe es­
sere determinata empiricamente , ma che certamente non è trascurabi­
le, e che comprende non solo maestri e artigiani, ma anche apprendisti
dell'economia, della sociologia e della scienza politica o della filosofia ,
cercano la remunerazione della loro attività non presso gli "specialisti"
o i "professionisti" , ma presso l"' élite intellettuale " . In sostanza nella
sfera dello studio dell'uomo e dei fenomeni sociali ed economici si de­
ve constatare uno squilibrio, che non sembra esistere negli Stati Uniti
o in Gran Bretagna per esempio, a favore degli scritti che possono
grossolanamente essere definiti di tipo estetico, a svantaggio dei lavori
di tipo cognitivo. Questa differenza cruciale, le cui conseguenze sociali
possono essere notevoli, è senza dubbio in gran parte dovuta al passivo
delle istituzioni universitarie francesi. La loro debolezza ha permesso
al romanticismo, che impregna l'atmosfera di oggi, di conquistare una
posizione di monopolio.
Mi è certamente impossibile sviluppare ulteriormente questi punti.
E tuttavia evidente che una delle conseguenze della disorganizzazione
del sistema universitario francese e della sua incapacità in larghi settori
di stimolare le attività di tipo cognitivo spinge , per la sua debolezza,
molti membri dell'università a orientarsi verso produzioni che presen­
tano talvolta un valore sul piano estetico, etico o p o litico ma che sono
prive di interesse dal punto di vista cognitivo. La storia dell'università
francese, principalmente per quanto riguarda le scienze economiche e
sociali, dimostra cosi, se ve ne è bisogno, che la conoscenza non può
essere una risultante del solo bisogno di conoscenza (supponendo che
questo bisogno possa essere definito ) . Occorre che le attività, talvolta
penose in se stesse e al prezzo delle quali la conoscenza viene prodot­
ta, appaiano come desiderabili e gratificanti a coloro che vi si dedica­
no ; ciò suppone l'esistenza di istituzioni dotate di strutture capaci di
imporre un sistema di norme che permettano uno sviluppo armonioso
delle attività di ricerca. 4 1
Essendo stati descritti gli aspetti negativi del bilancio, occorre ri­
cercare gli aspetti che possono essere considerati positivi. Dal punto di

4° Cfr. LEWIS CosER, The Intellectual as Celebrity, in "Dissent ", XX ( 1 ) , 1 973, pp.
45-56.
41 L'istituzione del " Tout-Paris intellectuel " svolge un importante ruolo non solo oggi,
ma anche in passato. Si veda in proposito il saggio di TERRY N . CLARK, Prophèts and Patrons.
The French University and the Emergence o/ the Social Sciences, Harvard University Press,
Cambridge (Mass . ) 1 973, che mette in evidenza come nel XIX secolo le strutture universita­
rie e quelle professionali costituissero un sistema doppiamente complementare con ciò che
chiamo.il " Tout-Paris intellectuel " e che l'autore chiama la cultura del Quartiere Latino.

87
Effetti "perversi " dell'azione sociale

vista dei docenti, se molti sono stati spinti a soluzioni di ritirata, altri si
sono giovati di certi aspetti dell'evoluzione che ho cercato di descrive­
re. Cosi, Io· sviluppo quantitativo massiccio del sistema universitario
francese ha comportato il reclutamento di un notevole numero di ausi­
liari (per esempio i professori dei licei incaricati di corsi complementa­
ri nelle università) . Questi ausiliari hanno molto spesso ottenuto dei
benefici personali, non solo economici ma anche intellettuali, dalle
tendenze inflazionistiche del sistema. D'altra parte le nuove istituzioni
hanno facilitato l'accesso agli incarichi di insegnamento da parte di
esperti e specialis.ti che non possedevano il titolo richiesto per accetta­
re il p osto di docente. Inoltre la severità delle gerarchie universitarie è
certamente diminuita a causa del processo messo in atto dal "movi­
mento" e dalle riforme del ' 6 8 . Questa diminuzione, da una parte, è il
frutto delle riforme istituzionali che hanno permesso agli assistenti e ai
maitres assistants di prendere parte alle decisioni della vita universita­
ria sia a livello delle università stesse che a livello delle Unità di inse­
gnamento e ricerca ( UER). Dall'altra parte, forse in misura piu impor­
tante, è il frutto dei disparati cambiamenti che hanno sostituito il plu­
ralismo al monismo e una struttura oligopolistica ad una struttura mo­
nopo listica . La moltiplicazione delle università di Parigi, risultato del­
lo smembramento della vecchia Università di Parigi e della creazione
di nuove università nella periferia, ha agito in questa direzione . Tutta­
via altri fattori si sono aggiunti a questo cambiamento istituzionale:
l'aumento quantitativo del corpo docente, l'aumento del numero degli
studenti hanno comportato un aumento quantitativo e una diversifica­
zione della produzione intellettuale proveniente dall'ambiente univer­
sitario . Si è visto che questa evoluzione si è sviluppata a detrimento
della produzione di tipo cognitivo . Non ritornerò sugli effetti negativi
di questo squilibrio , ma bisogna sottolineare un aspetto positivo di
questo aumento e di questa diversificazione della produzione intellet­
tuale , cioè la sostituzione di scuole, sette, gruppi o formazioni di tipo
oligopolistico a gruppi che prima del ' 6 8 erano in certi casi in grado di
occupare posizioni di monopolio. Prima del '68 non era raro osservare
che una certa disciplina era rappresentata da un gruppo universitario
dominante che disponeva del controllo piu o meno diretto sulle posi­
zioni universitarie dotate di potere sulla disciplina, in certi casi anche
al di là dei limiti di costituzione istituzionale del gruppo in questione.
Questi gruppi controllavano anche le riviste e le pubblicazioni scienti­
fiche della disciplina. Da situazioni di questo tipo poteva derivare, e in
effetti derivò in molto casi, da una parte , un effetto di sterilizzazione
della produzione intellettuale : al di fuori del paradigma dominante ,
nessun riconoscimento. D'altra parte derivavano anche rapporti di
clientela che asservivano talvolta il novizio al patro no. A queste ten­
denze monopolistiche del sistema prima del '68 si sono sostituite delle
strutture oligopolistiche, ma gli effetti di questa sostituzione sembrano
limitati, per cause che debbono essere fatte risalire agli attori, ma an­
che e soprattutto al loro ambiente istituzionale. Molti membri dell'uni-

88
Dopo i/ 1 96 8

versità, che appartengono oggi alle Senior Faculties ma che avevano


appartenuto alle ]unior Faculties in un'epoca in cui le strutture mani­
festavano una forte tendenza al monopolio , hanno mantenuto gli atteg­
giamenti e i comportamenti di tipo monopolistico. Questo mi sembra
che almeno in parte possa spiegare il settarismo intellettuale che si può
osservare nel mondo universitario francese . La sostituzione di struttu­
re oligopolistiche a strutture monopolistiche non sembra aver compor­
tato la corrispondente sostituzione del pluralismo intellettuale o alme­
no del confronto critico al monismo dogmatico e al fronteggiamento
aggressivo. Questa analisi sembra essere confermata da ogni tipo di in­
dizi convergenti: la qualità talvolta mediocre della discussione nelle ri­
viste scientifiche ( questa proposizione è certamente piu vera per certe
discipline piuttosto che per altre ) , il ricorso all'anatema, il settarismo
nel tono della discussione scientifica, e tante altre caratteristiche che
sarebbe interessante identificare in modo sistematico.
In breve, le strutture sono diventate piu oligopolistiche che mono­
polistiche , ma le strategie di tipo monopolistico rimangono . Questa in­
congruenza può essere spiegata da una parte con gli effetti di inerzia
ben noti agli esperti di socializzazione . D'altra parte, la debolezza glo­
bale del sistema universitario fa si che la moltiplicazione delle universi­
tà e gli altri cambiamenti che hanno facilitato l'evoluzione verso il plu­
ralismo e l'oligopolio non hanno in nessun modo comportato una si­
tuazione di concorrenza reale tra le istituzioni universitarie , data la po­
vertà di risorse simboliche di cui il sistema, per la sua struttura, dispo­
ne a scopo di gratificazione dei suoi attori. Molti di questi si rivolgono
dunque , come si è visto, verso altri tipi di struttura, l' intellettualità
parigina. Questo fenomeno ha l'effetto di fare di nuovo propendere il
sistema verso il monopolio: il membro dell'università sogna allora di
diventare il pensatore, il samone di cui l'intellettualità parigina parlerà
per qualche mese o meno . Riassumendo, il sistema di divismo che la
debolezza del sistema comporta, tende a creare situazioni di tipo mo­
nopolistico . In ogni modo si tratta di un monopolio di prestigio e non
di un monopolio che comprende , come nel sistema anteriore al ' 6 8 , il
controllo delle risorse simboliche e materiali; là dove il vecchio siste­
ma produceva baroni, il nuovo produce santoni.
Ancora una volta questi cambiamenti comportano aspetti positivi.
Piu precisamente si acèompagnano alla produzione di un bene colletti­
vo (aumento, diversificazione e liberalizzazione della produzione intel­
lettuale) e di beni individuali (attenuazione della severità dei rapporti
di clientela tra maestri e apprendisti, eliminazione, per questi ultimi,
dell"'effetto di closed-sh op " che derivava dalla struttura frequente­
mente monopolistica di questa o quella disciplina universitaria) . Essi
implicano anche un male collettivo: la svalutazione delle produzioni a
valore cognitivo nelle discipline la cui natura è particolarmente vulne­
rabile a questo fenomeno.
Volendo considerare, ora, non piu i docenti e la produzione intel­
lettuale delle università, ma gli studenti, è possibile bilanciare i tratti

89
Effetti "perversi " dell'azione sociale

negativi analizzati precedentemente, e tentare di fare apparire la parte


positiva del bilancio .
Si è visto precedentemente che il "superinvestimento" che si ri­
chiede4 2 allo studente rispetto alle gratificazioni sociali ed economiche
che egli può mediamente sperare di ottenere sembrava aver comporta­
to una risposta strategica "razionale " , cioè la diminuzione del tempo
dedicato allo studio e l'aumento del tempo dedicato al lavoro retribui­
to. Si è notato che , da questo punto di vista, l'origine sociale non com­
porta piu nessuna differenza o in ogni caso non comporta piu assoluta­
mente le differenze di una volta: figli di operai e figli di dirigenti spen­
dono parti proporzionali del loro tempo in un lavoro retribuito . E. pos­
sibile che per l'individuo una diminuzione della marginalità sociale
dello studente sia una conseguenza felice di questo stato di cose . Pri­
ma del '6 8 , una delle caratteristiche piu negative del sistema era costi­
tuita dal fatto che esso· esigeva una frequenza sempre piu prolungata al
sistema universitario stesso, mentre nello stesso tempo lo studente di­
ventava in media sempre piu anziano e la "maturità" nelle sue diffe­
renti forme (psicologica, fisiologica, civile e sociale ) tendeva a manife­
starsi sempre piu precocemente . Questa "contraddizione " che avevo
cercato di interpretare'' come una delle cause essenziali dei movimenti
degli studenti degli anni Sessanta è risolta parzialmente, in modo di­
storto e incompleto, dal fatto che una conseguenza della complessa
evoluzione del sistema è costituita dall'aumento considerevole della
proporzione di studenti a tempo parziale , cioè di persone parzialmente
integrate nella " società" attraverso la loro immissione nella struttura
professionale.
E. possibile che anche le innovazioni pedagogiche anarchiche che
sono proliferate dopo il '6 8 , oltre agli effetti disorganizzatoti, abbiano
in certi casi effetti positivi. In altri casi · il sistema di unità di valore
può esercitare effetti positivi permettendo allo studente di asse mblare
elementi di formazione molto differenti. I primi momenti di applica­
zione di questo sistema hanno tuttavia dato luogo a parecchie delusio­
ni. I riformatori non sembravano aver rilevato che la sostituzione del
nuovo sistema di unità di valore al vecchio sistema dei certificati (in cui
i curricoli erano definiti in modo rigido e le possibilità di scelta molto
limitate, una volta decisa la disciplina di specializzazione) implicava co­
sti notevoli dal punto di vista dell'organizzazione e in particolare un
rafforzamento considerevole delle strutture amministrative dell'univer­
sità. Un ristorante che si limita ad un unico menu deve necessariamen­
te avere un' organizzazione molto differente da un ristorante che pre­
senta un menu vario . Poiché questa conseguenza non è stata chiara­
mente prevista, gli inizi del sistema delle unità di valore furono sfortu-

<2 Questo "superinvestimento" in realtà non è imposto da nessuno. Per questo pongo
tra virgolette questo termine di derivazione volontaristica. Questa "esigenza" è il mero risulta­
to delle strutture istituzionali e dell'aggregazione delle razionalità individuali quali appaiono
nel quadro di queste strutture .
'' Cfr. i riferimenti citati nella nota n. l .

90
Dopo il 1 96 8

nati. Per il futuro sembra chiaro che l'apertura di scelte offerte agli
studenti dovrebbe avere effetti soprattutto benefici: da un punto di vi­
sta individuale, perché il sistema " à la carte " mediamente permette un
miglior adattamento degli studi perseguiti ai gusti e alle inclinazioni
dell'individuo; da un punto di vista collettivo, perché può favorire au­
tentici effetti di interdisciplinarietà: tutti oggi auspicano che le frontie­
re che limitano le scienze sociali particolari debbano essere seriamente
rimesse in causa se si vuole arrivare ad una migliore comprensione dei
fenomeni sociali. Come si può sperare in una reale interdisciplinarietà
se il sociologo non è in grado per esempio di studiare almeno i rudi­
menti del linguaggio economico? Un tempo le produzioni interdiscipli­
nari erano il risultato di sforzi e strategie individuali. Il sistema di unità
di valore facilita il sorgere di queste strategie, con gli effetti collettivi
positivi che ci si può attendere .
D'altra parte il sistema del menu à la carte suppone clienti capaci
di anticipare il contenuto dei piatti e di giudicare sulla qualità della
sintesi fornita dall'insieme delle scelte effettuate . Suppone anche natu­
ralmente che i piatti siano effettivamente diversificati. Quanto alla qua­
lità dei piatti, essa avrà maggiori possibilità di sussistere quanto piu esi­
genti saranno i clienti .
Infine si possono ricordare altri effetti "esterni", per usare un ter­
mine usato dagli economisti, dell'evoluzione dell'università francese
dopo il ' 6 8 : la "multifunzionalità " dell'università non era forse stata
perseguita, ma è il risultato dell'evoluzione e ha forse dato alle univer­
sità un ruolo di "animazione culturale" che precedentemente non ave­
vano allo stesso modo. Il successo di certe esperienze tipo "le univer­
sità della terza età" fa apparire in filigrana una funzione culturale che
l'università tradizionalmente non si era assunta. D'altra parte sarebbe
utile analizzare in dettaglio le relazioni di causa ad effetto che si po­
trebbero stabilire tra i fenomeni di riviviscenza della cultura e delle
tradizioni locali, che si possono osservare in maniera modesta in Fran­
cia, e la struttura multifunzionale caratteristica dell'università francese
oggi. Solo per fare un esempio citiamo la creazione di riviste locali co­
me Heimdal venduta nelle librerie della Normandia, di origine univer­
sitaria e il cui obiettivo è quello di cercare di divulgare , nel senso mi­
gliore del termine, la storia della Normandia nel Medio Evo prima che
diventasse la piu ricca provincia del regno di Francia.
N el '6 8 gli studenti dettero prova di essere esigenti. Volendo usare
la concettualizzazione di Albert Hirschman, fecero ricorso alla Voice. 44
Oggi sembra che la reazione al declino prenda piu generalmente la for­
ma del meccanismo, classico tra gli economisti, della defezione , dell'e­
xi!, secondo Hirschman. In particolare , poiché la defezione non è pos­
sibile e bisogna studiare perché gli altri studiano, l ex it ha luogo, per
'

cosi dire, sul posto e prende piuttosto la forma della ritirata mertonia-

44 ALBERT O . HrRSCHMAN, Exit, Voice and Loyalty, Harvard University Press, Cambrid­
ge (Mass.) 1 970.

91
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

na. Il fenomeno dell'ex it e della ritirata sono in gran parte tipici anche
dei docenti. Malgrado ciò, è possibile attribuire all'università francese
effetti positivi per la maggior parte indiretti e involontari.

A guisa di conclusione

La storia dell'università francese dell'ultimo decennio è complessa


e istruttiva dal punto di vista dell'analisi delle istituzioni scolastiche ,
ma anche della teoria sociologica. L'università francese fa perno su un
sistema istituzionale che genera parecchi tipi di effetti perversi, sia dal
punto di vista collettivo che da quello individuale, che si sommano e si
rinforzano vicendevolmente. In un altro contesto sarebbe interessante
disegnare l'organigramma di questi effetti. Si otterrebbe cosi un inte­
ressante esempio di analisi sistemica.
Le numerose riforme , che si sono succedute dopo il ' 6 8 e che han­
no cercato di correggere il sistema, furono in modo incontestabile im­
pregnate di ideologia e di legalismo: non è sufficiente scrivere la par­
tecipazione nei testi per attenerla. N on era evidente che il senso laten­
te della rivolta del '68 coincideva con il senso manifesto e che questa
rivolta è stata essenzialmente una rivolta contro l'autorità .
Sono pronto ad ammettere che queste considerazioni non peccano
di eccesso di ottimismo, ma il mio pessimismo è alimentato ulterior­
mente dal fatto che una buona parte di quella che si è convenuto di
chiamare l'élite francese è apparentemente soddisfatta del sistema uni­
versitario come oggi si presenta. Il sistema delle Grandes Ecoles, che
distingue per esempio la Francia dalla Germania, è li per rassicurare .
Rassicura coloro che potranno mandarvi i figli, rassicura un po' tutti
perché garantisce la formazione dei quadri, i responsabili di livello di
formazione elevati di cui il paese ha bisogno. Quanto agli intellettuali,
essi hanno in gran parte dislocato i loro interessi al di fuori dell'univer­
sità, anche quando sono occasionalmente universitari. Malgrado la
buona volontà dei riformatori del ' 6 8 , malgrado l'antico coro della de­
mocratizzazione, cantato in tutti i toni, il sistema universitario francese
non può essere considerato un modello. Esso espleta in modo medio­
cre le funzioni tradizionali dell'università, luogo di riproduzione e di
trasmissione del sapere. N on è affatto dimostrato che contribuisca in
modo ottimale al miglioramento del benessere collettivo . Esso non po­
ne il pubblico a cui è destinato, gli studenti, in una condizione di facile
assunzione . Inoltre rimane in definitiva elitario quanto mai, e questo
non è il minore degli effetti perversi generati dalla sua struttura istitu­
zionale.
Senza dubbio il bilancio non è interamente negativo . Come si è vi­
sto è possibile che la marginalità sociale dello studente sia diminuita,
come conseguenza inattesa dell'evoluzione del sistema. Strutture oligo­
polistiche sostituiscono le vecchie strutture monopolistiche, senza che
il sistema sia in ogni modo capace di generare un'autentica concorrenza

92
Dopo il 1 96 8

a effetto cooperativo tra le istituzioni universitarie . Il nuovo sistema ha


generato una liberalizzazione e una intensificazione della vita intellet­
tuale ; ha attenuato gli effetti arcaici delle vecchie strutture di clientela;
ha permesso ad un notevole e crescente numero di persone di consu­
mare i prodotti offerti dal sistema universitario ; ha aperto le possibilità
di scelta offerte agli studenti, aprendo anche contemporaneamente per
l'avvenire le possibilità di interdisciplinarietà e gli effetti benefici che
essa comporta.
Tuttavia il sistema è lungi dall'essere funzionante in modo soddi­
sfacente dal punto di vista della produzione di nuove conoscenze , che
pure rappresenta una finalità tradizionale dell'università. E. lungi dal­
l'optimum per quanto concerne, d'altra parte, la redditività intellettua­
le e collettiva degli investimenti individuali che assorbe.

93
Capitolo terzo

Istituzioni scolastiche ed effetti perversi . 2) L'insegnamen­


to superiore corto

L'analisi che segue mette in evidenza una struttura di interdipen­


denza contemporaneamente affine e distinta dalla celebre struttura del
dilemma del prigioniero . E affine al dilemma del prigioniero nella mi­
sura in cui, quando i giocatori si comportano da giocatori accorti, ot­
tengono tutti un risultato inferiore, o al piu uguale a quello che
avrebbero potuto ottenere giocando in maniera non razionale. La giu­
stapposizione di strategie razionali genera in altri termini un risultato
inferiore all'equilibrio paretiano. Si ha dunque a che fare con un effet­
to perverso tipico. Tuttavia la struttura è differente dal dilemma del
prigioniero nella misura in cui certi giocatori ottengono un risultato
soddisfacente. Poiché ciascuno, prima di iniziare il gioco, può sperare
di ottenere per se stesso un risultato soddisfacente, nessuno, prima che
inizi il gioco, ha interesse ad opporvisi. A dispetto degli e/letti perver­
si generati, sarà piu difficile ottenere un consenso sulla soppressione
del gioco, rispetto ad un gioco caratterizzato da una struttura come
quella del dilemma del p rigioniero.
Questa struttura p erversa, malgrado la sua complessità teorica, è di
una notevole banalità sul piano pratico. Voglio dire che la si incontra
quotidianamente e che rappresenta il nocciolo di una grande quantità
di istituzioni. Essa spiega perché i candidati alle Grandes Ecoles e ai
riconoscimenti e alle distinzioni onorifiche sono necessa riamente piu
numerosi dei prescelti, perché una moltitudine di persone compie nor­
malmente investimenti psicologici, sociali o economici da cui non otter­
rà nessun profitto, perché la sconfitta e la frustrazione sono componenti
normali della vita sociale. Malgrado ciò le strutture perverse persistono:
prima che il gioco inizi ciascuno può sperare di trarne vantaggio.
Tuttavia il modello qui sviluppato non si applica solamente a que­
sti casi bana li, può essere utilizzato nell'analisi delle p o litiche pubbli­
che. Lo schema è applicato a ll'ana lisi deg li effetti di un'innovazione
istituzionale nel campo dell'istruzione: la creazione degli istituti di in­
segnamento superiore corto. Esso sp iega perché le aspettative poste in
questa innovazione sono state in certa misura disattese. Piu in generale
si troverà nelle pagine che seguono un esemp io della fecondità di certi
semplici modelli di interdipendenza applicati all'analisi degli effetti
dei cambiamenti istituzionali.

94
L'insegnamento superiore· corto

Naturalmente alcuni saranno tentati di opporre all'analisi l'obie­


:àone preventiva rituale: è legittimo utilizzare come modello di homo
sociologicus l'uomo razionale tipico della teoria dei giochi? In questo
caso la mia solita rispost'a è la seguente: 1 ) a costo di appesantire con­
siderev olmente l'esp osizione e la dimostrazione, si p otrebbe usare un
modello meno inquietante dal punto di vista del realismo (ci si potreb­
be accontentare di suppo rre che mediamente gli attori sociali hanno
tendenza a seguire i loro interessi p iuttosto che il contrario dei loro
interessi); 2) gli assi omi del modello non devono essere interpretati su
un piano anto logico, ma su un p iano metodologico.
Il testo che segue riprende un articolo pubblicato in collaborazio­
ne da ]anina Lagneau, Philippe Cib o is e da me stesso: L'enseignement
supérieur court et les pièges de l'action collective, in Revue française
de sociologie (XVI, 1 975 pp. 1 5 9-1 88). Una versione inglese di que­
sto testo, Short Cycle Higher Education and the Pitfalls of Collective
Action, è apparsa in Minerva (XIV, 1 976, pp. 3 3-60). Ringrazio ]a­
nina Lagneau e Philippe Cibois di avermi autorizzato a riprodurre
questo testo nella p resente raccolta.

Risultati di azioni umane ma non di disegni uma­


ni.

FRIEDRICH v. HAYEK, Studies in Philosophy, Po­


litics and Economics

La generalizzazione dell'istruzione pubblica ren­


de possibile il recupero di questa categoria di la­
voratori nelle classi che precedentemente non
avevano accesso all'istruzione ed erano abituate a
livelli di vita piu bassi. Nello stesso tempo la ge­
neralizzazione dell'istruzione accresce l'offerta e
perciò la concorrenza. A parte qualche eccezio­
ne, la forza lavoro di questi lavoratori viene
dunque deprezzata con il progresso dello svilup­
po capitalistico. I loro salari si abbassano, men­
tre la loro concorrenza aumenta.

KARL MARX, Il Cap itale

Negli anni Sessanta, nella maggior parte dei paesi europei e piu ge­
neralmente nell'insieme delle società industriali, l'autorità politica di­
venta sempre piu cosciente delle difficoltà generate dalla crescita degli
effettivi dell'istruzione superiore tradizionale. L'aumento della doman­
da di istruzione era considerato dai piu ottimisti come responsabile al­
meno parziale della produzione di beni collettivi desiderabili come
l'aumento della produttività o della partecipazione sociale. D'altra par­
te era chiaro che un numero non trascurabile e probabilmente crescen-

95
Effetti "perversi " dell'azione sociale

te di studenti otteneva tipi di occupazione che per loro natura e per le


remunerazioni che comportavano (remunerazioni intese in senso lato,
sia economiche che sociali) , non erano differenti dalle occupazioni che
avrebbero potuto ottenere con un numero di anni di studio sensibil­
mente inferiore a quelli che avevano compiuto .
Questa situazione implicava un importante problema politico: era
indesiderabile non solo dal punto di vista dei singoli individui, che ot­
tenevano sempre piu frequentemente remunerazioni sproporzionate al
loro investimento scolastico , ed era indesiderabile anche dal punto di
vista della collettività, poiché nella maggior parte dei paesi europei il
sistema dell'istruzione è finanziato non solo da coloro che direttamente
si giovano di benefici privati, ma dall'insieme della collettività.
Si comprende allora il perché dello sforzo fatto in questo periodo
dalla quasi totalità delle nazioni industrializzate per sviluppare ciò che
con un termine generico viene chiamato insegnamento superiore cor­
to: si trattava di offrire ai futuri studenti la possibilità di scegliere tra
l'insegnamento tradizionale ed un insegnamento nuovo, piu breve, che
ci si sforzò di definire in modo sufficientemente attraente da determi­
nare una decelerazione della curva di crescita degli effettivi dell'istru­
zione tradizionale .
L'impressione generale, che si può trarre dai primi anni di espe­
rienza, è quella di una sconfitta relativa: il numero degli studenti che
scelgono di iscriversi nelle nuove istituzioni rimane di gran lunga infe­
riore alle attese in numerosi paesi tra cui la Francia. Perché ? Esistono,
a riguardo, due tipi di risposta. La prima è la teoria del bad bargain,
del cattivo affare: le istituzioni dell'insegnamento superiore corto pro­
pongono indubbiamente agli studenti potenziali un curriculum di studi
che comporta un investimento individuale meno pesante sia in termini
di tempo che in termini di mancato guadagno , tuttavia non offrono lo­
ro che remunerazioni sociali di gran lunga inferiori a quelle dell'inse­
gnamento superiore lungo, in cambio di questo minore investimento.
Perché stupirsi allora se pochi studenti si lasciano sedurre da questa
lusinga? Possono avervi interesse solo coloro che, in assenza di istitu­
zioni di insegnamento superiore corto, avrebbero smesso gli studi alla
fine del ciclo secondario .
Un'altra possibile teoria che tenteremo di sviluppare in questa se­
de, consiste nell'affermazione che la creazione delle istituzioni di inse­
gnamento superiore corto, in certi casi, 1 ha creato una struttura di
azione collettiva per cui, compiendo scelte ragionevoli, gli individui
ottengono risultati sfavorevoli sia per se stessi che per la collettività.
Questa struttura di azione è contemporaneamente affine e distinta dal­
la famosa struttura del dilemma del prigioniero . Per la comprensione
della terza parte di questo articolo, è utile richiamare brevemente que­
sta struttura, la cui scoperta risale certamente almeno a J ean-J acques

1 Esplicitamente nei casi in cui l'accesso all'insegnamento superiore lungo è "libero",


cioè subordinato al solo conseguimento di un diploma di studi secondari.

96
L'insegnamento superiore corto

Rousseau e che si ha l'abitudine di definire "dilemma del prigioniero"


per via dell'esempio che A. W. Tucker2 ha immaginato per concretiz­
zarla: due prigionieri hanno commesso insieme un crimine. U giudice ,
che spera di farli cadere in contraddizione, propone loro il seguente
sistema: cinque anni di prigione a ciascuno se ambedue confessano;
due anni ciascuno se nessuno dei due confessa; assoluzione a chi dei
due confessa e dieci anni di prigione all'altro, se uno solo dei due con­
fessa. Il sistema può essere riassunto con la tabella seguente . La prima
e la seconda cifra di ciascun caso corrispondono al numero di anni di
prigione attribuito rispettivamente al primo e al secondo prigioniero
per ciascuna combinazione di strategie da parte dei due prigionieri.

Secondo prigioniero
confessa non confessa

confessa 5 ,5 0,10
Primo prigioniero
non confessa 1 0 ,0 2,2

E chiaro che sarebbe preferibile per i due prigionieri ottenere due


anni di prigione piuttosto che cinque. Pertanto se ciascuno si comporta
da giocatore avveduto, i due avranno cinque anni di prigione : qualun­
que sia il comportamento del secondo prigioniero ( confessare l non
confessare ), al primo conviene confessare: cinque anni invece di dieci
se il secondo confessa; assoluzione invece di due anni di prigione se il
secondo non confessa. La strategia dominante del primo prigioniero è
quindi quella di confessare . Quanto al secondo, fa un ragionamento
analogo e considera che , se il primo confessa, sarà soggetto a cinque
anni di prigione confessando e a dieci non confessando; se il primo
non confessa, è assolto se confessa e condannato a due anni di prigione
se non confessa. In entrambi i casi ha dunque interesse a confessare .
In questo modo i due hanno interesse a confessare, a prescindere da
quello che fa l'altro , ma cosi facendo ottengono cinque anni di prigio­
ne quando avrebbero potuto averne solo due.
Vedremo in seguito che la sconfitta relativa dell'insegnamento su­
periore corto può essere ricondotta all'esistenza di una struttura di
azione collettiva analoga ( ma non identica) alla struttura del dilemma
del prigioniero.
Per ora richiamiamo qualche dato relativo alla creazione dell'inse­
gnamento corto prendendo principalmente in considerazione il caso

2 In effetti l'invenzione di questo esempio è attribuita a Tucker. Si veda in proposito


MARTIN SHUBIK, Game Theory and Related Approaches to Social Behaviour, Wiley, New
York 1 96 4 . Sull'imponanza della struttura del dilemma del prigioniero nell'opera di Rousseau
si veda W. G. RuNCIMAN e A. K. SEN , Games, ]ustice and Generai Will, in "Mind" (74) 1 965.
Si veda anche il cap. VII del presente volume. In effetti questa struttura e altri tipi di struttura
ad equilibrio insufficiente possono rintracciarsi facilmente in tutti gli autori le cui analisi attri­
buiscono una importanza particolare a ciò che oggi chiamiamo l'aggregazione delle azioni .indi­
viduali (Tucidide, Rousseau, Tocqueville, Marx, ecc.).

97
Effetti "perversi " dell'azione sociale

degli Istituti Universitari di Tecnologia ( IUT) in Francia . In seguito


utilizzeremo succintamente i dati di un'inchiesta effettuata da due di
noi' sugli studenti dell'insegnamento corto in Francia per suggerire che
la teoria del bad bargain non è necessariamente quella che meglio
spiega la relativa mancanza di successo delle istituzioni di insegnamen­
to corto. Occasionalmente presenteremo dei dati relativi all'insegna­
mento superiore corto in altri paesi in modo da suggerire ( è impossibi­
le approfondire il problema nei limiti di questo articolo) che le difficol­
tà incontrate dallo sviluppo dell'insegnamento superiore corto in Fran­
cia non sono probabilmente esclusive del nostro paese . Infine svilup­
peremo brevemente un modello di azione collettiva che fornisce una
possibile spiegazione di questo fallimento e , nello stesso tempo, della
delusione che ha originato presso le autorità politiche.

l. Il fallimento dell'insegnamento superiore corto in Francia e al­


trove•

L'insegnamento superiore corto, rispetto al complesso dell'inse­


gnamento superiore , occupa una posizione relativamente ristretta nella
maggior parte dei paesi europei. Malgrado ciò, rappresenta oggi una
preoccupazione centrale per la maggior parte dei paesi: ciò è dovuto al
fatto che le strutture tradizionali dell'istruzione superiore sono diven­
tate "disfunzionali" come dicono i sociologi, non solamente dal punto
di vista della società ma anche dal punto di vista degli individui.
Tre fattori principali caratterizzano la trasformazione dell'istruzio­
ne superiore:
a ) l'incremento rapido degli effettivi nell'istruzione superiore a
cominciare dalla seconda guerra mondiale;
b) il carattere principalmente umanistico degli studi;
c) il consistente prolungamento della loro durata.
I dati della tabella 8 riguardano la Francia ma non sono sostanzial­
mente diversi nella tendenza da ciò che si riscontra nella maggior parte
dei paesi dell'Europa occidentale. Si vede che l'aumento degli effettivi
a cominciare dal 1 945 è estremamente rapido, soprattutto a livello di
secondaria e superiore. Certamente l'istruzione tecnica si sviluppa in
modo considerevole, ma nell'insieme la formazione umanistica rimane
preminente .
Nell'insieme dei maturati del 1 970, piu della metà hanno conse­
guito la maturità di serie A (filosofia e lettere) o B (economica e socia­
le), cioè hanno seguito studi che non preparano direttamente a nessu­
na professione e che quindi implicano generalmente un completamen-
3 P. CIBOIS, J. LAGNEAU, Les étudiants dans l'enseignement supérieur court: France,
Grande-Bretagne, Yougoslavie, Paris 1 976, ciclostilato (pubblicazioni dell'OCDE).
4 I risultati della prima e seconda parte di questo articolo si basano su J. LAGNEAU, L'en­
seignement supérieur court en France, in "Documentation française, notes et études documen­
taires", n. 400 1 , Paris, giugno 1 973, e P. CIBOIS, J . LAGNEAU, Bila n de l'enseignement supé­
rieur court: Grande-Bretagne, France, Yougoslavie, Ibid.

98
L 'insegnamento superiore corto

to degli studi oltre il ciclo secondario . Questo fatto ha delle ripercus­


sioni immediate sul carattere dell'istruzione superiore: la grande mag­
gioranza degli studenti si indirizza verso studi umanistici.

Tabella 8 . - Studenti effettivi nell'insegnamento secondario e superiore in Francia


dal 1 900 al 1 972

Insegnamento
Scuola Insegnamento
Scuola superiore
secondaria superiore
secondaria professionale Popolazione
professionale universitario
in generale G,randes
e tecnica pubblico
Ecoles

1 900-1 901 1 3 6 . 869 1 4 . 1 07 29.901 4.308 3 8 .962 .000


1 9 1 0- 1 9 1 1 1 9 3 . 357 23 .5 82 4 1 . 1 90 4.128 3 9 . 6 05 .000
1 920-1921 245 . 8 0 8 28.010 49.931 4.908 3 9 . 2 1 0 .000
1 930-1931 275 . 9 66 4 5 .790 7 8 .674 4 . 109 4 1 . 8 35 .000
1 940- 1 94 1 429 . 927 67.863 76.485 2.8 07 4 1 .000 . 000
1 95 0- 1 9 5 1 7 1 9 . 822 23 9 . 825 1 3 9 . 503 1 5 .972 4 1 .647. 000
1 960-1 961 1 . 637 .200 605.300 2 1 4 .672 73 .743 45 .465 .000
1965-1966 2.435 .400 8 1 9 . 800 4 1 3 .700 1 23 . 578 4 8 . 6 87.000
1 967- 1 9 6 8 2 . 702.900 8 3 7 . 800 5 09 . 8 9 8 125 .735 4 9 . 6 5 0 .000
1 971-1 972 3 . 6 1 2 .000 9 1 9 . 000 704.000 1 3 9 .735 5 0. 00 0 .000

FoNTI: Annuaire rétrospecti/, Paris 1 96 6 . Annuaire statistique de la France, Paris 1 9 6 8 ,


Ministère de l'Education nationale, 1 97 1 - 1 972.

Una rapida rassegna storica ci permette di osservare , d'altra parte,


che negli ultimi trent'anni la durata degli studi superiori è passata da
due a quattro e perfino sei anni e piu. Prima della guerra uno studen­
te, che non accumulava del ritardo per ragioni personali, poteva otte­
nere la laurea, nella maggior parte delle specialità, due anni dopo la
maturità e la formazione acquisita sboccava su occupazioni a livello di-

Tabella 9 . - Ripartizione degli studenti per tipo di studi, Francia, 1 96 7-73

1 9 67- 1968- 1 969- 1 970- 1 97 1 - 1 972-


1968 1 96 9 1 970 1 97 1 1 972 1 973

Studenti di scienze 1 3 7 . 1 00 1 23 . 300 1 22. 800 1 1 5 .400 1 2 0 . 800 1 1 9 . 400


Studenti di lettere
e scienze umane 1 6 9 . 1 00 1 9 6 . 1 00 2 1 8 . 3 00 234.400 246 .900 254. 900
Studenti di diritto
e scienze economiche 1 1 4.300 1 26 . 700 1 3 8 . 700 1 4 8 .200 1 5 3 . 700 1 6 5 .700
Studenti di medicina,
farmacia e odontoiatria 8 0 . 900 1 1 8 . 900 1 2 8 . 500 1 3 5 .700 1 42.700 1 5 8 . 5 00
Studenti degli IUT 5 .400 1 1 .900 1 7 . 3 00 24 .400 3 3 .700 37 .000

Totale 5 0 6 . 800 576 .900 625 . 600 65 8 . 1 00 697. 800 735 . 500

FoNTI: Tableaux de l'Education nationale: edizione 1 970, p. 4 1 5 ; edizione 1 97 1 ,


pp. 402-3; edizione 1 972, pp. 362-3 ; edizione 1 973, p . 3 6 3 ; edizione 1974, p . 329.

99
Effetti "perversi " dell'azione sociale

rigenziale . Successivamente il prolungamento degli studi è s . ' ' . ' , _ .

stante. L'introduzione degli studi propedeutici ha comportato la · .ms e­


guenza del prolungamento a tre anni della durata minima degli studi
necessari per conseguire, per esempio, la laurea in scienze .
La creazione della maitrise nel 1 967, anche s e formalmente n o n
prolunga la durata degli studi richiesti per la laurea, trasforma in realtà
quest'ultima in un diploma inferiore , quindi destinata ad essere svalo­
rizzata . La suddivisione degli studi superiori in cicli di due anni tende
d'altra parte ad allungare di un anno la durata degli studi lunghi. Inol­
tre nelle facoltà di diritto o di scienze economiche la durata degli studi
necessari per ottenere la laurea è stata portata da parecchio tempo a
quattro anni.
Lo stesso fenomeno è osservabile nelle facoltà di ingegneria, dove
il tempo di studi necessario per ottenere la laurea è generalmente di
cinque anni dopo la maturità.
Se a questo aggiungiamo uno o due anni per chi deve "ripetere" ,5
otteniamo in tutto , per la maggior parte degli studi superiori, una du­
rata minima da cinque a sette anni. D'altra parte, volendo tenere conto
del fatto che nella maggior parte delle discipline ( lettere e scienze so­
ciali in modo particolare) gli sbocchi sono rari, una proporzione cre­
scente di studenti, per essere sicuri di trovare un impiego, continuano
gli studi oltre il diploma di maitrise ( cioè almeno per altri due anni),
oppure cumulano le lauree. Cosi, a livello di laurea, per esempio, si
assiste a scambi da una facoltà all'altra ; i laureati in sociologia comple­
tano la loro formazione compiendo studi di scienze economiche , psico­
logia, scienze politiche, ecc . ; quelli di lettere, scienze economiche, di­
ritto o scienze politiche aspirano ad una laurea supplementare in scien­
ze sociali. 6
Il prolungamento degli studi può essere spiegato parzialmente dal­
l'accumulazione sempre crescente di conoscenze scientifiche, la cui tra­
smissione, anche parziale, impone termini piu lunghi di due o tre anni.
Tuttavia un'altra spiegazione è senza dubbio essenziale: in tutte le
società industriali, e in Francia in particolare , le remunerazioni econo­
miche e sociali tendono a variare positivamente, in media, con il livello
di istruzione . Questo significa che, mediamente, se ci si limita a consi­
derare le remunerazioni economiche, il reddito nel corso del ciclo di
vita è tanto piu elevato quanto piu è alto il livello di istruzione . Il ri­
sultato è che ciascuno ha interesse ad ottenere un livello di istruzione
il piu possibile elevato . Tuttavia se ciascuno segue questa strategia,

s Il termine "ripetere" è qui inteso in senso analogico. Il concetto non ha lo stesso signi­
ficato della scuola secondaria.
6 Per esempio, in una unità di scienze sociali dell'università di Parigi nell'anno 1 9 7 1 -72,
su 297 studenti dell'ultimo anno, solo l 04 provengono dal primo ciclo di sociologia: i due
terzi restanti si ripartiscono nel modo seguente: 53 laureati di lettere, 30 laureati in scienze
economiche e scienze politiche, 14 laureati in giurisprudenza, 24 ingegneri diplomati alla Eco­
le des Hautes Etudes Commercia/es o alle facoltà di Scienze, lO laureati in scienze politiche, 5
laureati in diritto e scienze politiche, 2 laureati in scienze economiche e politiche, 8 laureati in
medicina, ecc.

1 00
L'insegnamento superiore corto

tende a prodursi una sovrascolarizzazione relativa rispetto alla doman­


da di competenze sul mercato del lavoro. Ne deriva un fenomeno di
sottoimpiego, cioè di svalutazione, dei diplomi che genera per un ef­
fetto cumulativo un nuovo aumento della domanda di istruzione.7
Per correggere queste disfunzioni la maggior parte dei paesi ha
cercato di sviluppare nuovi indirizzi di insegnamento superiore corto.
La diagnosi era la seguente:
a ) l'insegnamento superiore corto permetterà di risolvere il pro­
blema della domanda (sempre crescente) di istruzione superiore
espressa dagli individui: in linea di principio si tratta di un tipo di isti­
tuzione capace di alleggerire , almeno parzialmente, la pressione quan­
titativa a cui le università hanno difficoltà a far fronte e inoltre di di­
versificare i tipi di studio post-secondario tradizionale (insegnamenti
superiori lunghi) ;
b ) grazie alla ripartizione geografica piu estesa, alla durata piu bre­
ve dell'insegnamento e ai contenuti piu pratici dei corsi, l'insegnamen­
to superiore corto contribuirà a rendere piu egualitarie le possibilità di
accesso all'istruzione;
c ) l'istituzione dell'insegnamento superiore corto permetterà di
acquisire competenze e qualificazioni che non possono essere assicura­
te dall'università, per il livello troppo teorico di quest'ultima, né dalla
scuola secondaria, il cui insegnamento è insufficiente ;
d ) l'istituzione dell'insegnamento superiore corto sembra piu adat­
to dell'università a offrire tutta una gamma di corsi e di metodologie di
studio che l'evoluzione dell'economia e della tecnologia rendono ne­
cessari; si spera anche che la nuova istituzione favorisca l'introduzione
di innovazioni sia nel campo della didattica che della ricerca;
e ) infine lo sviluppo dell'insegnamento superiore corto può con­
tribuire a risolvere un problema di giustizia sociale: nella maggior par­
te dei paesi dell'Europa occidentale, gli studi superiori sono gratuiti,
ciò significa che il sistema di istruzione è finanziato con l'aiuto di risor­
se fiscali. Poiché gli studenti di origine sociale elevata sono piu che
proporzionali, ne deriva probabilmente una sovvenzione del ricco da
parte del povero, il cui importo cresce con l'inflazione scolastica.• A
questo occorre aggiungere che questa sovvenzione viene parzialmente
sperperata nella misura in cui un numero non trascurabile di studenti
ottiene impieghi che avrebbe potuto ottenere con un numero di anni
di studio inferiore .

7 Questa problematica è stata affrontata in dettaglio in R. BouooN, L'inégalité des


chances, Colin, Paris 1 973 . Sulla relazione tra la remunerazione media nel ciclo di vita e il
livello di istruzione, si veda R . POHL, C. THELOT e M . F. JoussET, L'enquete /ormation­
qualification professionnelle de 1 9 70, INSEE, n. 1 29 delle collezioni dell'INSEE, serie D, n.
32, Paris, maggio 1974. Ancienneté, niveau d'instruction et sa/ai res, in "Population et
sociétés" (76), gennaio 1 975.
8 Si veda in proposito J . C. EICHER, A . MINGAT, Educati o n et égalité en France, in " L 'é­
ducation, les inégalités et les chances dans la vie ", Paris, OCDE. Si veda anche A. MINGAT, J.
PERROT, Trans!erts sociaux et éducation, Institut de Recherche sur l'Economie de l'Education,
Università di Digione, facoltà di scienze economiche e di gestione, Digione, settembre 1 974,
ciclostilato.

101
Effetti "perversi" dell'azione sociale

Gli Istituti Universitari ,di Tecno logia in Francia

Le motivazioni che hanno determinato la creazione degli Istituti


Universitari di Tecnologia ( IUT) in Francia corrispondono esattamente
a questa analisi generale: è indubbio, i testi amministrativi sono chiari
su questo punto, che la creazione degli IUT aveva lo scopo di instaura­
re un nuovo tipo di insegnamento superiore meglio corrispondente al­
le esigenze dell'economia moderna, ma in grado anche di "rimpiazza­
re" in qualche modo il vecchio insegnamento superiore lungo , la cui
tendenza, come abbiamo mostrato, è di allungarsi sempre piu.

Dopo parecchi anni si persegue e si amplia un importante movimento di rifor­


me destinate a rinnovare l'istruzione e a metterla in grado di rispondere sia alle
aspirazioni della gioventu di oggi, sia alle esigenze della vita moderna [ . . . ] . In ogni
settore di attività [ . . ], si sviluppano nuove funzioni di inquadramento tecnico i cui
titolari sono associati da vicino al lavoro degli ingegneri, dei ricercatori o dei diri­
genti amministrativi, finanziari o commerciali [ . . . ]. Le formazioni che preparano a
queste funzioni sono differenti, sia per il contenuto che per il metodo, rispetto a
quelle offerte dalle facoltà o dalle Grandes Ecoles. Le interessanti iniziative, attra­
verso le quali ci si è sforzati di completare su questo punto il nostro sistema di
istruzione , non possono svilupparsi se non attraverso una nuova forma di insegna­
mento superiore .

Il testo da cui abbiamo estratto questa citazione è il risultato del .


lavoro della "Commission des Instituts de Formation technique supé­
rieure " che si riuni nel periodo tra gennaio e giugno 1 965 sotto la pre­
sidenza del ministro della Pubblica istruzione (o il segretario generale
del ministero) ! La composizione'" di questa commissione e i suoi me­
todi di lavoro costituirono di per se stessi una notevole innovazione
poiché, come ha affermato il segretario generale del ministero:

Tra tutte le commissioni che si sono dedicate ai problemi della riforma dell'i­
struzione, questa commissione è verosimilmente la sola ad avere adottato un'analisi
funzionale come base di lavoro, cioè una riflessione sulla natura delle funzioni di
inquadramento tecnico superiore, le loro caratteristiche comuni e le lacune del no­
stro sistema di istruzione nei confronti dei bisogni di formazione a questo livello . 1 1

L e conclusioni dei lavori della commissione si sono tradotti nelle


strutture e nel sistema di funzionamento degli Istituti Universitari di
Tecnologia e si organizzano in sei raccomandazioni:
a ) una formazione di livello intermedio tra la maturità e la laurea

9 Il lettore interessato ai dettagli che riguardano i problemi dell'istruzione in Francia pri­


ma del 1 965 e quelli che riguardano la creazione degli IUT, troverà un'abbondante documen­
tazione nel libro di Y. BERNARD, Les Instituts universi/aires de Technologie, Dunod, Paris
1 970, p. 1 6 0 e L'éducation natio naie pubblicata sotto la direzione di J. L. CREMIEUX-BRILHAC,
PUF, Paris 1 9 6 5 , p. 1 60.
1 0 La commissione riuniva otto docenti universitari, due grandi industriali e due sindaca-
listi.
1 1 Citato da J . L. BoURSIN, Les Instituts universitaires de Technologie, Paris, Montréal

1 970, p. 1 0 .

1 02
L'insegnamento superiore corto

di ingegneria delle Grandes Eco les; i beneficiari occuperanno ruoli ine­


renti alla produzione, alla ricerca e alla gestione ;
b ) gli IUT avranno un numero limitato di specializzazioni molto
vaste, definite in base ai bisogni dell'economia e raggruppate in istitu­
zioni pluridisciplinari, controllate da un consiglio di perfezionamento a
livello nazionale;
c) una nuova didattica;
d) una organizzazione generale specifica per gli insegnamenti;
e ) strutture amministrative adatte a queste esigenze ;
f ) l'integrazione o la sospensione delle formazioni per il consegui­
mento dei brevetti di tecnico superiore o diploma di studi superiori
tecnici.
Cosi, fin dalla loro creazione nel 1 9 6 5 , gli Istituti Universitari di
Tecnologia vengono definiti in opposizione agli istituti di insegnamen­
to superiore lungo, anche per ciò che concerne le strutture , il livello di
formazione e i metodi di lavoro.
Le nuove istituzioni sono pluridisciplinari, cioè agli studenti viene
proposto un certo numero di specializzazioni determinate preliminar­
mente in funzione dei bisogni dell'economia sia locale che nazionale. Le
formazioni offerte rinviano a due grandi settori dell'economia: seconda­
rio e terziario. Ciascuna specializzazione è raggruppata in un diparti­
mento, unità di base del IUT . Contrariamente alla tradizione universita­
ria, un terzo dei docenti è costituito da esperti che lavorano nell'indu­
stria, nella gestione, nell'informatica, ecc. L'insegnamento offerto negli
IUT pone decisamente l'accento sull'apprendimento professionale , cioè
manuale: in effetti i programmi prevedono, parallelamente all'istruzio­
ne teorica, un gran numero di lavori pratici, sia in officina che in labora­
torio , come pure dei tirocini obbligatori nel secondo anno.
Per quanto riguarda il livello di formazione assicurato da questi
istituti, esso si pone tra la maturità e la laurea in ingegneria delle Gran­
des Ecoles; si tratta quindi di un insegnamento superiore della durata
di due anni, che fornisce una formazione prevalentemente tecnica e la
cui finalità è essenzialmente professionale .
Anche i metodi di lavoro sono per esempio differenti da quelli del­
le facoltà . Contrariamente a ciò che accade nelle università, la frequen­
za a tutti i corsi e ai lavori pratici è obbligatoria; il lavoro viene svolto
in piccoli gruppi e il controllo assiduo sostituisce l'esame finale.
L'ammissione agli Istituti Universitari di Tecnologia non è né com­
pletamente libera, come avviene pèr le facoltà, né concorsuale, come
accade per certe scuole superiori. Il rector d'académie fissa il numero
degli studenti autorizzati ad iscriversi al primo anno in ciascun diparti­
mento e, su proposta di una giuria di ammissione, si pronuncia sulle
candidature . La giuria è composta da rappresentanti degli IUT e delle
categorie professionali e propone, dopo aver esaminato la documenta­
zione , i candidati che rispondono ai requisiti indispensabili in base alle
specializzazioni.
In linea di principio la maturità (o titolo equivalente) è indispensa-

1 03
Effetti "perversi " dell'azione sociale

bile ma "non è sufficiente essere maturati e desiderare di entrarvi, per


essere ammessi a un IUT : la maturità non è né necessaria né sufficien­
te" . t z
Teoricamente il diploma del IUT (diploma universitario di tecno­
logia, DUT) sbocca in occupazioni il cui carattere è piu o meno simile
a quello dei quadri intermedi, sia nel settore pubblico che in quello
privato.
"Il diploma universitario di tecnologia che sanziona la formazione
biennale ( triennale al massimo, se si tiene conto della possibilità di ri­
petizione di un anno) degli IUT ha un carattere di qualificazione pro­
fessionale e non di certificato di attitudine a studi ulteriori. " L l
In certi casi tuttavia, su raccomandazione e autorizzazione del di­
rettore, vengono offerte ai diplomati delle possibilità di proseguimen­
to di studi al di là del DUT. Queste possibilità sono, a seconda dei
testi, di due tipi: sia studi "classici" all'università, sia formazione pro­
fessionale lunga che porta alla laurea in ingegneria .
La situazione reale è meno netta, tanto dal punto di vista dell'ac­
cesso agli studi lunghi, quanto dal punto di vista delle possibilità di car­
riera professionale : cosi, nell'amministrazione per esempio, molti re­
golamenti che dovrebbero aprire le porte ai diplomati degli IUT sono
ancora "allo studio " ; allo stesso modo lo statuto dei diplomati degli
IUT non è ancora riconosciuto nei contratti collettivi. " Tuttavia la leg­
ge del 1 6 luglio 1 971 , relativa all'istruzione tecnologica, prevede, a co­
minciare dal l0 gennaio 1 97 3, che nei contratti collettivi si faccia rife­
rimento ai diplomi professionali.

Il bilancio

È lecito domandarsi se gli IUT abbiano risposto all'attesa che era


stata posta in essi al momento della loro istituzione . Dopo parecchi an­
ni di funzionamento è possibile individuare elementi di risposta. 15
A riguardo il punto essenziale da sottolineare è che gli IUT non
hanno permesso di stornare dall'insegnamento lungo un numero consi­
derevole di studenti. Il V piano di sviluppo francese prevedeva che nel
1 973 gli IUT avrebbero dovuto assorbire il 21 % degli studenti. In
realtà nel 1 972 l'insieme dell'istruzione tecnica comprende solo il 7%
degli effettivi dell'istruzione post-secondaria. La mancanza di coinci­
denza tra la previsione e la realtà non è quindi trascurabile . In realtà lo
sviluppo degli IUT sembra essersi limitato a dare il cambio ai preesi­
stenti indirizzi dell'istruzione tecnica. Esso non ha avuto praticamente

12 Cfr. J. L. BouRSIN, Les Instituts universitaires de Technologie, cit. , p. 29.


Ll Commissione detta "dell'articolo 35" per i diversi decreti ministeriali che aprono pos·
sibilità di studio. Citato in J . L. BouRSIN, op. cit.
1 4 Nel momento in cui scriviamo: 9 marzo 1 975 .
1 5 Cfr. i due studi compiuti dal Ministero dell'Istruzione, CEREQ, nota informativa n.
10: Insertion pro/essionnelle des anciens étudiants des IUT, agosto 1 972. Direzione incaricata
della previsione, gruppo di lavoro IUT / STS, nota intermedia, gennaio 1 973 .

1 04
L 'insegnamento superiore corto

nessun effetto sulla crescita degli effettivi universitari (vedi la tabella


1 0 a p . seg. ) . Questo fallimento quantitativo è d'altra parte ufficial­
mente ammesso:
Sembra che in Francia i tentativi di sviluppare l'insegnamento superiore corto
abbiano conosciuto una relativa sconfitta. In effetti nessuno degli obiettivi indivi­
duati all'inizio sembra essere stato raggiunto ; principalmente per quello che con­
cerne i due fondamentali:
a ) diminuire la durata media degli studi;
b ) innovare, sviluppando al margine delle università un insegnamento moder­
no e consono all'economia, offrendo contemporaneamente allo studente una for­
mazione generale e la preparazione ad un'attività professionale . '"

Le formazioni STS e IUT non si sono sufficientemente sviluppate per raggiunge­


re gli obiettivi che erano stati loro fissati e rispondere cosi ai bisogni del livello III. ' 7
Queste formazioni non attirano un numero sufficiente di studenti.
Il VI piano, sulla base dell'evoluzione constatata e tenuto conto del volume
dei bisogni del livello III:
a) prevede il mantenimento degli effettivi STS che corrisponde a un flusso di
circa 1 0 . 000 diplomati all'anno, convalidando la coesistenza IUT-STS;
b ) propone, tenendo conto della proporzione di studenti diplomati, che gli
effettivi degli IUT alla fine del piano si aggirino tra i 67 e i l 05 mila.
Questo obiettivo, nettamente inferiore all'obiettivo del V piano, è ancora mol­
to ambizioso poiché , anche se ci si attiene all'ipotesi piu bassa, suppone che gli at­
tuali effettivi degli IUT (35 .000 studenti all'inizio dell'anno '72) vengano raddop­
piati in tre anni, mentre l'estrapolazione della passata tendenza indica un effettivo
di circa 5 5 . 000 studenti all'inizio del 1 975 .1"

Come ultima considerazione è interessante notare che il fallimento


degli sforzi tendenti a promuovere l'insegnamento superiore corto non
è una prerogativa francese . Come abbiamo spiegato all'inizio , le motiva­
zioni che hanno spinto le autorità politiche a sviluppare istituzioni di in­
segnamento superiore corto sono analoghe nella maggior parte dei pae­
si. E molto interessante notare che il fallimento osservato in Francia è
comune a molti altri paesi. Nella tabella 1 1 (a p. 1 07) si può constatare
che il tasso di accrescimento degli effettivi ha presentato un maggiore
incremento nell'insegnamento lungo che in quello corto tra gli anni
1 965-1 9 6 6 e 1 9 69-1 970 per un gran numero di paesi dell'OCDE.
L'interpretazione piu plausibile di queste differenze risiede nel fatto
che in certi paesi, come la Jugoslavia, il diploma che si consegue al
termine degli studi secondari non assicura automaticamente l'accesso
all'insegnamento superiore lungo . 1 9 In effetti si vedrà nella terza parte
1 6 Ministero dell'Istruzione, Direzione degli Obiettivi; gruppo di lavoro IUT / STS, ma­
teriale di lavoro, settembre 1 973, nota preliminare, pp. 6-7.
t 7 Il livello terzo corrisponde al personale che occupa impieghi che normalmente esigo­
no due anni di studio dopo la maturità. Cfr . : "Bulletin officiel de l'Education nationale ", n. 29
del 20 luglio 1 967.
'" Ministero dell'Istruzione, Direzione incaricata della previsione, Gruppo di lavoro
IUT / STS, nota intermedia del 1 5 gennaio 1 973.
1 9 Le differenze tra le tabelle 10 e 1 1 per ciò che riguarda la Francia sono causate dal
fatto che lo studio dell'OCDE ha incluso, nella definizione di insegnamento superiore corto
francese, sia i candidati all'abilitazione in diritto ( capacité en dro i t) sia gli studenti delle classi
preparatorie alle Grandes Eco/es.

1 05
..... Tabella 1 0 . - Crescita della popolazione studentesca per categorie di istituti di insegnamento superiore (1 959- 1 975)
o
a,

Classi
Formazione "Sections de Istituti Totale Percentuale
prope-
di docenti "Grand es techniciens universitari dell'insegna- dell'insegna-
Anno deutiche Università Totale
( solo settore Eco!es" supérieurs" di tecnologia mento mento corto
alle "Grandes
pubblico) (STS) ( IUT) tecnico sul totale
Ecoles"

1959 10,0* 1 7, 6 30,0 5 ,7 5,7 1 6 1 ,4 224,7 2,5


1960 10,9* 1 8 ,9 32,0 7,5 7,5 1 72,4 24 1 ,7 3,1
hl
1961 13,9* 22,6 34,0 8,0 8,0 1 73 , 6 252,1 3,2 ::::::

1 962 1 2 , 8 '' 23,6 32,0 9 ,4 9,4 202,3 280,1 3,4 �-


't:>.
1 963 1 1 , l ,, 24,7 3 3 ,0 12,2 1 2,2 242,7 323,7 3,8 "'
....
<:!
1 964 1 2 ,5 '' 25 , 9 3 6 ,0 1 6 ,2 16 ,2 273,4 3 64 , 0 4,5 "'
1 96 5 14,0* 28,0 38,0 1 8 ,7 1 8 ,7 309,7 403 ,4 4,6 �-

1 96 6 1 3 ,7'" 28,8 42,0 25,6 25,6 332,5 442 ,6 5,8 l'l.

1 967 13,6* 28,0 46 ,0 30,0 1 ,6 3 1 ,6 370,9 490,1 6,4 �
N
1968 13,8 28,1 5 1 ,0 28,7 5 ,4 34,1 432,0 559,0 6,1 c·
;:!
1 96 9 14,2* 30,0* 56,0 27 , 6 1 1 ,9 39,5 540,0'" 679,7 5,8 "'
...,
c
1 970 14,7 3 1 ,9 62,0 26,5 17,3 43,8 5 9 1 ,5 743 ,9 5,9 "
1 97 1 14,5 3 1 ,2 6 8 ,0 26 , 8 24,4 5 1 ,2 6 1 3 ,2 778 , 1 6,6 ;:;·
;;;-
1 972 1 8 ,2 32,8 80,0 30,2 37,0 67,2 698,5 896,7 7,4
1 973 1 6 ,4 33,7 78,3 35,3 38,9 74,2 745 ,2 947 , 8 7,3
•• ** ** �- �-
1 974 33,6 3 9 ,7 41,9 8 1 ,6 71 8,6
,. . * ''
* ,.
44,4 43,5 ,. 767,7 **
1 975

Stime.
*

• •Dati non ancora disponibili.


FoNTI: Tableaux de l'Education nationale, ed. 1 969-1 970-1 972- 1 973; Ministère de l'Education nationale, Service centrai cles Statistiques et Sonda-
ges: DT 1 6 , gennaio 1 973, doc. 3 1 77, 3507, 4212, 4 3 1 4 . Note informative 75 (27, 34, 4 1 ) , 76 (03 , 04, 22), Paris, Ministère de l'Education.
Tabella 1 1 . - L'insegnamento supçriore corto sul totale dell'istruzione superiore negli anni Sessanta

% dell'ISC su totale
To tale dell'istruzione
Insegnamento superiore corto dell'istruzione
superiore
Paesi superiore

1 960- 1 96 5 - 1 96 9-
1 9 6 0- 1 9 6 1 1 9 65-1 966 1 969-1 970 1 960- 1 9 6 1 1 96 5 - 1 9 6 6 1 969-1 970
1961 1 966 1 970

1 1 8 ,7 17,2
r
Germania 50.201 6 8 . 83 3 1 7 1 . 9 86-' 2 89 . 2 1 1 2 3 6 7 . 6 842 4 1 9 . 0002 17,3
Belgio 2 1 .307 35.191 5 1 . 999 89.991 4 1 ,0 39,1 �'
"'
Spagna 40.582 7 1 . 945 73 . 6 27 1 09. 926 1 97 . 824 26 5 . 676 36,9 3 6 ,4 27,7 "'
0.,
;,t
Finlandia 4 . 1 22 7 . 226 9.145 27. 9 5 5 47 . 6 6 2 65.616 1 4 ,7 1 5 ,2 1 3 ,9 "'

Francia �
3 8 . 5 747 74 . 3 5 3 7 97. 1 1 3 274.263 505 . 2 7 8 700 . 00 0 '' 14,1 1 4 ,7 13,9 "'

Norvegia 9 . 534 1 1 . 5 73 28.999 3 8 . 65 8 '' 3 3 ,0 30,0 �


Q
"'
Paesi Bassi 35 . 6 8 6 45 . 8 5 7 8S . 5 5 8 1 24 . 0 1 1 4 1 ,7 37, 0 �
""
Svezia 4 .476 7.032 8 . 1 223 30.981 77.623 1 24 . 1 6 1-' 1 1 ,2 9,0 6 ,5 "'
...
Regno Unito 1 4 2. 6 1 0 223 . 8 5 1 292. 8756 2 86 . 2 1 8 43 1 . 1 3 2 5 0 0 . 00 0 * 49,8 5 1 ,9 5 8 , 6 ''' c;·
.,
"'
Iugoslavia 3 1 .662 6 8 . 650 8 1 .0741 140. 574 1 84 . 9 2 3 26 1 . 2035 22,5 37,1 3 1 ,0
"
Q
Canada 30.531 47.076 6 7 . 8494 1 75 . 800 326 .976 427 . 8494 17,4 1 4 ,4 13,9
;t
Q
USA 453.617 845 . 24 1 1 .4 8 4 . 0005 3 . 6 1 0. 007 5 . 5 70 . 27 1 7 . 6 0 8 .0005 1 2, 6 15,2 19 ,5
Giappone 81 .858 145.458 2 5 8 . 6 80 710.019 1 .0 8 5 . 1 1 9 1 . 6 1 3 . 5 07 1 1 ,5 1 3 ,4 1 6 ,0

• Stima.
1 Tranne Hoh ere Fachschulen per mancanza di dati statistici.
2 Comprese le Pedagogische Hochschulen ora considerate a livello universitario.
J 1 968-1969.
4 1 967-1968.
5 1970-1971 .
6 E stata considerata solo l'Irlanda del Nord.
.....
o
7 Tranne le scienze mediche e pedagogiche .
'-.) FoNTI : 1 960-1 961 e 1 965-1 966: Développement de l'enseignement supérieur, statistiques par pays, OCDE, 1 970. 1 96 9 - 1 970: Statistiques nationales.
Effetti "perversi " dell'azione sociale

che la struttura di azione collettiva generata dalla creazione di indirizzi


di insegnamento superiore corto è caratterizzata da un equilibrio insta­
bile specialmente nel caso in cui l'accesso agli indirizzi lunghi è libero .
Lo studio comparato dei Po lytechnics inglesi, degli IUT francesi e
dei Visa Skola jugoslavi, 2() permette di arrivare, tra l'altro , alle seguen­
ti conclusioni:
- le caratteristiche della popolazione studentesca (origine sociale ,
sesso, origine scolare, discipline studiate), gli atteggiamenti, i giudizi
sull'istituzione frequentata variano in funzione della posizione che gli
istituti di insegnamento superiore corto occupano nella struttura uni­
versitaria generale;
- si può constatare che piu aumenta il livello dell'istituto ( si tratta
in particolare dei Polytechnics/1 abbastanza vicini alle università) , me­
no vengono assicurate le finalità tipiche dell'insegnamento superiore
corto, che non permette cioè la formazione in vista di una rapida im­
missione di un gran numero di studenti nella vita professionale. Al
contrario i Visa Skola jugoslavi assicurano meglio queste finalità pro­
prio perché presentano un livello poco elevato.
In effetti se l'istruzione ha la funzione di fornire conoscenze e di
assicurare una formazione , permette anche una distribuzione dei posti
nella società, attribuendo i piu elevati a coloro che hanno ottenuto una
migliore riuscita negli istituti piu prestigiosi.
N e i limiti delle proprie aspirazioni, che certamente variano in fun­
zione dell'origine sociale , dell'età, del sesso, ecc. ogni studente cerca
di accedere ai posti migliori della gerarchia sociale. E difficile concepi­
re che possa scegliere spontaneamente di mirare a posti che giudica su­
balterni. E piu ragionevole pensare che se accetta questo genere di
posti è perché non ha potuto attenerne di migliori .
Tenendo conto della attuale situazione in cui l'insegnamento supe­
riore lungo costituisce malgrado tutto il passaggio obbligato verso l'at­
tribuzione. di posti dotati di prestigio sociale , l'insegnamento superiore
corto è necessariamente il meno prestigioso .
Le considerazioni precedenti ci permettono di comprendere perché
non è possibile promuovere l'insegnamento superiore corto in quanto
tale sperando che un aumento del suo prestigio in qualche modo possa
aumentare il numero degli studenti che lo scelgono. L'esperienza france­
se degli IUT dimostra che questo non avviene: si è cercato in Francia in
diversi modi di aumentare il prestigio degli istituti di insegnamento supe­
riore corto, ma il numero degli studenti è molto basso e, tra coloro che li
frequentano, una parte considerevole vuole continuare gli studi.
In compenso constatiamo che negli altri due paesi la via scelta
(quella della selezione nell'accesso all'università) ha permesso uno svi­
luppo dell'insegnamento superiore corto: in Jugoslavia nei Visa Skola
e in Gran Bretagna nei diversi istituti di insegnamento superiore corto
differenti dalle università e dai Po lytechnics.
1o Cfr. P . CIBOIS e J. LAGNEAU, op. cit.
21 Per quanto riguarda le discipline impartite a tempo pieno.

108
L'insegnamento superiore corto

2. Il perché del fallimento: l'ipotesi del "ba d barga in "

Possiamo affermare che il fallimento dell'insegnamento superiore


corto, che sembra evidente in Francia ma è caratteristico di molti altri
paesi, è dovuto a ciò che offriva agli studenti il mercato degli imbrogli?
Una ricerca condotta da due di noi permette di supporre che nel caso
della Francia questa ipotesi in ogni caso non è la piu realista.
l . Si può ammettere che per l'individuo gli studi lunghi sono piu
costosi di quelli corti anche solo per il fatto che il mancato guadagno
causato dal protrarsi dell'istruzione è maggiore nel primo caso . D'altra
parte , volendoci limitare al caso francese, sembra che le autorità abbia­
no cercato di porre in atto una politica di incentivazione con l'istituzio­
ne di borse di studio : per l'insieme degli IUT, e per l'anno 1 9 69-1 970,
l'ammontare totale dei borsisti sale a 7. 205 , il 4 1 % del totale degli
iscritti. Questa percentuale è di gran lunga superiore a quella dei borsi­
sti nell'insieme degli istituti di insegnamento superiore in Francia, che
non supera il 1 7 % . 22 Occorre tuttavia sottolineare che il regime di stu­
di negli IUT suppone una presenza quasi costante nell'istituzione e di
conseguenza rende l'esercizio di un lavoro remunerato senza dubbio
piu difficile per gli studenti degli IUT che per gli studenti dell'univer­
sità. Nella ricerca su campione realizzata da due di noi, solo il 1 7 %
degli studenti degli IUT sono mediamente reclutati in strati sociali piu
bassi rispetto agli studenti universitari, come si può osservare nella ta­
bella 1 2 . Tuttavia, come suggeriscono i lavori di Lévy-Garboua, la me­
dia delle risorse di cui dispongono gli studenti univeritari non sembra
variare sensibilmente in funzione dell'origine sociale .'' Benché occor-

22 Benché nel suo insieme la proporzione dei borsisti, sia universitari che degli IUT, sia
diminuita nell'anno 1 9 72-73, gli scarti restano sensibili; le percentuali corrispondenti sono ri­
spettivamente 3 6 % e 1 1 % ( Ministero dell'Istruzione, Statistiche e sondaggi, doc. 4414, otto­
bre 1 973 ) .
2·1 A riguardo si esamini l a tabella seguente calcolata da Lévy-Garboua sulla base di una
ricerca del CREDOC. La tabella riporta le risorse medie annuali di uno studente nel 1 973-74
in funzione della professione del padre. Si tratta di risorse permanenti parziali (escludendo
prestiti, contratti privati, risorse del coniuge, risorse occasionali, aiuti familiari relativi ai tra­
sporti e alle vacanze, sicurezza sociale per studenti).

Reddito di cui di cui


lntegraziçni IJ!tegrazioni
da lavoro Totale
m natura
da fonte da fonte
monetarie
regolare pubblica pubblica
(franchi) (franchi) (franchi) (franchi)

Padre agricoltore 2. 895 4.973 75,0 2.537 49,0 1 0.405


Padre industriale o
commerciante all'ingrosso 3 .735 4.394 35,9 2.836 1 9 ,4 1 0 . 965
Padre artigiano,
piccolo commerciante 2.902 4.708 5 1 ,7 2.363 36,0 9 . 973
Padre libero professionista,
quadro superiore 2.878 4. 324 33,2 3 . 308 16,9 10.5 1 0
Padre quadro intermedio 3.218 4.078 38,8 3 .3 1 8 1 8 ,6 10.614
Padre impiegato 3 .592 3 .767 48,3 2.991 28,1 1 0 .350
Padre operaio,
personale di servizio 4.486 3 . 657 67,8 2. 897 33,2 1 1 .040

FoNTE: Lours L�vv-GARBOUA, Les stratégies des étudiants à l'université, CREDOC, Paris,
25 novembre 1 974, ciclostilato.

109
Effetti "perversi " dell'azione sociale

rano studi piu precisi per trarre delle conclusioni a riguardo , è quindi
possibile che gli studenti degli IUT dispongano di risorse dello stesso
ordine di grandezza degli studenti universitari.

Tabella 1 2 . - Origine sociale degli studenti degli IUT (1 972)


e dell'università (1 9 7 1 ) in Francia

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Università
1 97 1 ,. 9,5 14,6 29,5 1 7,0 : .6 14,5 5 ,3 1 00 , 00
( 3 9 2 . 007)
IUT 1 972 12,8 12,6 13,6 14,1 10,7 22,8 1 3 ,4 1 00 , 00
(29 . 3 1 7)

• Non compresi gli IUT e la regione parigina.

2. Sembra che le retribuzioni ottenute mediamente dai diplomati


degli IUT siano superiori a quelle ottenute dagli studenti dell'insegna­
mento lungo che hanno abbandonato gli studi dopo il primo biennio, e
della stessa grandezza di quelle che toccano a coloro che sono forniti di
laurea, cioè agli studenti che hanno trascorso almeno tre anni nell'inse­
gnamento superiore lungo . Infatti una ricerca del CEREQ24 individua
una retribuzione media mensile di 1 . 540 franchi per i maschi e di
1 .390 per le femmine appena diplomati dagli IUT . Questi dati posso­
no essere utilmente comparati con quelli della tabella 13 che riguarda
una popolazione di laureati. 25 In questa tabella viene sottolineato il fat­
to che il reddito mediano dei laureati è di 1 . 5 02 franchi per i maschi e
1 . 291 per le femmine. 26 I redditi mediani sono maggiori per i laureati
in discipline umanistiche e in diritto e soprattutto per i laureati in
scienze economiche. Tuttavia circa il 75 % delle donne e il 40% degli
uomini nella popolazione osservata sono titolari di una laurea di inse­
gnamento e non di altri tipi piu remunerativi di laurea. E utile anche
comparare questi dati con quelli della tabella 1 4 tratta da una recente
inchiesta del CEREQ. 27

24 CEREQ, nota informativa n . 1 0 , Insertion pro/essionnelle des anciens étudiants des


Instituts universi/aires de Technologie.
2-1 P. VRAIN, Les débouchés pro/essionnels des étudiants, PUF Paris, 1 97 3 .
2 6 Certamente il confronto può essere solo indicativo: i redditi mediani che compaiono

nella tabella 1 3 sono di gran lunga inferiori ai redditi medi corrispondenti non riportati in ta·
bella; la differenza è grosso modo dell'ordine di un centinaio di franchi. Questa differenza
è il risultato della tendenza della distribuzione del reddito a seguire una forma log-normale.
27 L'accès à la vie pro/essionnelle à la sortie des Instituts universi/aires de .Yechnologie,
Documentazione n. 7, CEREQ, "La documentation française ", Paris, giugno 1 973.

110
Tabella 1 3 . - Redditi mensili secondo il sesso e le speciali:;; zazioni

Diplomati nel 1 96 6

Uomini Donne

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Meno di 1 . 200 F 14,4 9,0 3 ,4 0,5 1 8,1 10,7 4,6 1 ,6 ;;(
..,
Da 1 . 200 a 1 .400 F 24 ,2 9,8 7,4 3 ,3 33,5 17,4 1 1 ,7 6,5 �
;:t
Da 1 . 400 a 1 . 600 F 2 1 ,3 1 2, 3 15,1 9,3 22,5 20, 1 25,0 21,0 "'
::!
Da 1 . 600 a 1 . 800 F 1 3 ,3 9,0 14,3 5 ,7 1 0, 8 18,1 20,4 14,5 "'

Da 1 . 800 a
2 . 000 - 9,5 10,7 11,8 8,2 6,7 1 2, 8 15,8 14,5 �
c
Da 2.000 a 2 . 200 - 5 ,4 1 2, 3 10,6 8,0 3 ,3 8,0 8 ,2 1 2,9 ..,

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Da 2.200 a 2.400 - 3,2 9,0 9,2 8,0 1 ,5 4,0 4,6 6 ,5 "'
...
-
Da 2.400 a 2.600 3,5 4,1 6 ,2 13,9 0,8 3 ,4 2,0 1 1 ,3 c;·
Da 2.600 a 2 . 8 00 - 1 ,7 4,9 4,9 8,0 0,6 0,7 1 ,5 1 ,7 �
"
Da 2. 800 a 3 . 000 F 0,8 4,9 5,5 8,5 0,4 2,0 4,8 c
...
Da 3 .000 a 3 . 500 - l ,6 7,4 5 ,5 11,6 0,9 1 ,3 2,0 3 ,2 o
Piu di 3 . 500 F 1,1 6,6 6,1 1 5 ,2 0,7 3 ,4 2,0 1 ,7

Totale 1 00 100 1 00 1 00 1 00 100 1 00 1 00


N 945 1 22 595 389 1 . 562 149 1 96 62
Reddito medio
(in franchi) 1 . 502 1 . 994 1 . 974 2.452 1 .391 1 . 621 1 . 629 1 . 925
Proporzione dei redditi
inferiori a 1 . 800 F
(in % ) 72,2 40,1 40,2 1 8,8 85 ,0 6 6 ,3 6 1 ,7 43 ,6
......
......
......
*Percentuali poco significative a causa del basso valore assoluto della categoria.
FoNTE: PHILIPPE VRAIN, Les débouchés p ro/essionnels des étudiants, PUF, Paris 1 973.
Effetti "perversi " dell'azione sociale

Questa tabella mette in evidenza che le retribuzioni dei laureati so­


no piu disperse delle retribuzioni dei licenziati dagli IUT . Tuttavia per
ciò che riguarda il reddito medio e mediano, sembra che non sia molto
diverso se si confrontano i laureati con i licenziati dall'insegnamento
superiore corto.

Tabella 14. - Redditi, all'inizio del 1 971, degli studenti degli I UT licenziati nel
1 96 9 che esercitano una professione

Fasce di Uomini
Uomini Donne
reddito + D onne

Meno di 800 F 0,7 1 ,4 0,8


Da 800 a 1 . 000 F 2,4 5,1 2,9
D a 1 . 000 a 1 . 200 - 7,1 1 5 ,5 8,8
D a 1 . 200 a 1 .400 - 25,0 36,5 27 ,2
Da 1 . 400 a 1 . 600 - 28,3 20,2 26 , 8
Da 1 . 600 a 1 . 800 - 13,9 9,7 13,1
D a 1 . 800 a 2.000 - 1 2 ,4 7,6 1 1 ,4
Piu di 2 . 000 F 10,2 4,0 9,0
---

Totale 1 00,0 1 00,0 1 00,0

FoNTE: L'accès à la vie pro/essionnelle à la sortie des Instituts universi/aires de Technolo­


gie, dossier n. 7 del CEREO, "La documentation française ", Paris, giugno 1 973.

Riassumendo, è abbastanza certo che i costi che deve sopportare


uno studente che decide di seguire un indirizzo corto non sono supe­
riori a quelli che incontra uno studente che si impegna in un indirizzo
lungo fino alla laurea. D'altra parte non sembra che il reddito che il
secondo può percepire sia sensibilmente superiore in media a quello
che il primo può sperare. Questa proposizione può essere applicata
con quasi certezza ai laureati di insegnamenti che rappresentano una
importante quota dell'insieme dei laureati. Infine sembra che la disper­
sione delle remunerazioni sia maggiore per gli studenti dell'insegna­
mento superiore lungo (tabella 1 5 ) .
3 . Fin qui abbiamo cercato di cogliere le differenze nei costi e nei
benefici oggettivi che questi due tipi di insegnamento superiore com­
portano in Francia. E analogamente interessante interrogarsi sulla valu­
tazione soggettiva che gli studenti degli IUT esprimono sui vantaggi
comparati dell'indirizzo corto e di quello lungo.
La ricerca condotta da due di noi su un campione di studenti degli
IUT permette di far luce sulla questione . 28 Un certo numero di doman­
de ha permesso di determinare in che misura gli studenti degli IUT
ritengono di occupare una posizione superiore , uguale o inferiore agli
studenti delle facoltà di lettere, scienze e delle Grandes Ecoles rispetto
za P. CIBms, J. LAGNEAU, op. cit. Sarebbe senza dubbio interessante la valutazione che gli
stessi studenti danno degli IUT con i giudizi formulati sulla stessa istituzione dagli studenti
dell'ultimo anno delle scuole secondarie, o da quelli dell'insegnamento superiore lungo. Per
quanto ne sappiamo una comparazione del genere ancora non esiste.

112
Tabella 1 5 . - La valutazione degli IUT in rapporto alle altre istituzioni di insegnamento superiore secondo differenti punti di vista
(inchiesta condotta su un campione di studenti degli IUT)

Confronto degli IUT con

Università Università
Grandes Ecoles''
Secondo gli aspetti Facoltà di Lettere Facoltà di Scienze

IUT IUT IUT IUT IUT IUT IUT IUT IUT


piu allo stesso piu piu allo stesso piu piu allo stesso piu
alto livello basso alto livello basso alto livello basso r
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.....
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Possibilità di carriera 82,5 10,7 6 ,7 33,7 44,5 2 1 ,7 6,1 25,5 6 8 ,4 ;:$
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Qualità dell'insegnamento 52,7 32,8 14,5 24 ,2 47,4 28,4 4,8 31,3 63,9 ì!
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Promozione sociale 49,8 32,6 17,5 1 9,6 49,4 3 1 ,0 6 ,3 25 ,0 6 8,9 �


c
.....
Guadagno futuro 47,2 32,6 20,2 1 2,9 4 5 ,4 41 ,7 3 ,4 1 1 ,3 8 5 ,2 �
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"'
Facilità di trovare ...
un impiego 79,4 12,8 7,7 41,1 41 , 1 17,7 9,0 32,8 58,1 a·
...
"'
Interesse degli studi 59,0 27,0 13,9 26 , 9 5 1 ,4 2 1 ,7 11,1 45,2 43,7 "
c
...
Acquisizione di una
a
cultura generale 20,4 22,6 57,0 23 ,3 43,8 32,9 8,9 3 8 ,6 52,5
Arricchimento personale 32,6 37,2 30,1 25 , 9 5 1 ,5 22,5 16,8 49,6 33,6
Preparazione alla vita
professionale 88,0 7,5 4,5 65,3 27,5 7,2 29,2 42,2 28,6
Atmosfera generale 50,6 29,6 19,8 42,3 39,5 18,2 3 1 ,4 43,6 25,0
Prestigio 36,6 25 , 1 3 8 ,2 6,2 36,1 57,7 2,9 5,5 91,5

Alcune stime fatte dagli studenti degli IUT, che possono sembrare poco verosimili, sono forse spiegabili con una percezione inesatta del termine
-

w Grandes Ecoles. Per alcuni il termine può comprendere i corsi di ingegneria a qualunque livello.
Effetti "perversi " dell'azione sociale

alle possibilità di carriera, alla qualità dell'insegnamento, all'interesse


per gli studi, ecc. Come si vede nella tabella 1 5 , gli studenti degli IUT
si stimano in posizione almeno uguale a quelli delle facoltà di lettere
sotto tutti gli aspetti tranne riguardo alla possibilità di acquisire una
cultura generale. Analogamente, stimano in posizione piu o meno
uguale gli studenti delle facoltà di scienz e , tranne per ciò che riguarda
il prestigio degli studi. Naturalmente, ma questo aspetto non deve sor­
prendere, ritengono per la maggior parte dei punti di trovarsi in posi­
zione inferiore rispetto agli studenti delle Grandes Eco les.
E. interessante osservare dunque che per ciò che concerne i seguenti
aspetti: guadagni futuri, possibilità di trovare un impiego , possibilità di
carriera, interesse degli studi, arricchimento personale, ecc . , cioè le re­
munerazioni materiali previste e le remunerazioni non materiali presen­
ti, gli studenti degli IUT si considerano per la maggior parte in una posi­
zione almeno uguale a quella dell'insegnamento superiore lungo .
Infine la ricerca permette di misurare il grado di soddisfazione de­
gli studenti degli IUT da un altro punto di vista: una domanda riguar­
dava la ripetizione eventuale degli studi nell'insegnamento superiore
corto ( " con l'esperienza che oggi avete degli IUT , vi ripresentereste
all'iscrizione in questo tipo di istituto ? " ) . Un indicatore costruito in ba­
se a due domande permetteva inoltre di sapere se gli studenti degli
IUT avevano inizialmente pensato di intraprendere l'indirizzo lungo .
Questi due indicatori combinati permettono di sapere se gli studenti
"soddisfatti" si trovano tra coloro che all'inizio avevano pensato solo
all'insegnamento superiore corto o se altri vi si aggiungono in seguito.
Quindi l'uso della domanda sulla eventuale ripetizione e di quella
relativa al desiderio di intraprendere o meno gli studi lunghi, ci ha per­
messo di costruire una tipologia di soddisfazione in funzione delle
aspettative passate .
a ) Un primo gruppo di studenti che chiamiamo "soddisfatti" è
composto da coloro che non avevano desiderato di intraprendere gli
studi in istituti diversi dagli IUT e che vi sarebbero ritornati.
b ) Il secondo gruppo comprende gli studenti che inizialmente de­
sideravano entrare in altri istituti ma che sono rimasti soddisfatti dal­
l'insegnamento superiore corto e che oggi farebbero la stessa scelta se
se ne presentasse l'occasione . Diciamo che questi studenti si sono
"convertiti" all'insegnamento superiore corto .
c ) Al contrario certi studenti che avevano scelto l'insegnamento
superiore corto, oggi rimpiangono la loro scelta: se potessero tornare
indietro non ricomincerebbero gli studi nell'insegnamento superiore
corto. Questo è il gruppo dei "delusi" .
d ) Un quarto gruppo è composto da studenti che non volevano ac­
cedere all'insegnamento superiore corto, che alla fine sono stati am­
messi, ma che non sono stati convertiti: se l'occasione si ripresentasse
non ricomincerebbero . E. il gruppo degli "oppositori " .
e ) Infine classifichiamo come mancate risposte coloro che non
hanno risposto ad una delle due domande.

114
L'insegnamento superiore corto

La ripartizione degli studenti osservati ( n . 1 . 824) è la seguente:


" soddisfatti" 49%
"convertiti" 16%
"oppositori" 7%
"delusi" 20%
mancate risposte 29 8%

Riassumendo si può concludere che l'ipotesi del cattivo affare, del


bad bargain, non sembra in grado di spiegare la mancanza di successo
dell'istruzione superiore corta presso gli studenti francesi. I costi asso­
ciati a questo indirizzo dal punto di vista dell'individuo non sono certo
superiori a quelli dell'indirizzo lungo . I vantaggi dei due indirizzi sem­
brano oggettivamente comparabili. Soggettivamente gli studenti degli
IUT sono in notevole maggioranza soddisfatti della loro scelta e perce­
piscono le loro remunerazioni presenti e future se non maggiori, alme­
no comparabili a quelle degli studenti dell'insegnamento superiore lun­
go . A fortiori se si confronta la situazione degli studenti degli IUT con
quella, non degli studenti che hanno ottenuto la laurea, ma degli stu­
denti che si sono impegnati nell'indirizzo lungo senza ottenere la lau­
rea, il bilancio costi-benefici è piu favorevole per gli studenti degli
IUT. Come è allora possibile spiegare l'insuccesso dell'insegnamento
superiore corto? Infatti non c'è dubbio che il limitato numero di stu­
denti che frequentano l'insegnamento superiore corto in generale e gli
IUT in particolare deve essere per forza spiegato dalla mancanza di
successo da parte degli studenti e non dalla selezione posta in atto al­
l'entrata degli indirizzi di insegnamento superiore corto: benché il tas­
so globale di selezione all'entrata degli IUT non sia disponibile, è cer­
tamente inferiore al 60% . '" Riferendosi alla tabella 9 si osserva imme­
diatamente, anche supponendo che sia stato accettato solo il 40% dei
candidati, che al massimo uno studente su sette circa si è presentato
come candidato all'insegnamento superiore corto . Cattivo affare? V e­
rosimilmente no . Tuttavia sono in pochi a volerlo capire . Perché?

3. Le trappole dell'azione collettiva

Prima di tracciare una possibile risposta a questa domanda, è neces­


sario sottolineare che essa supera di gran lunga nella portata il particola­
re problema dell'insegnamento superiore corto. Essa pone di fatto il
problema della logica della domanda di istruzione e della relazione tra
questa domanda e la struttura sociale. 3 1 A riguardo esiste la tentazione di
29 La ricerca di cui sono riportati i risultati costituiva la parte francese di uno studio in·
ternazionale condotto sotto l'egida dell'OCDE che comprende anche una ricerca sull'insegna·
mento superiore corto in Gran-Bretagna e Jugoslavia. A titolo indicativo in Gran Bretagna si è
registrato il 12% di "soddisfatti", 50% di "oppositori", 1 1 % di "convertiti" e 22% di "delu­
si". La Jugoslavia occupa una posizione intermedia tra Francia e Gran Bretagna .
.lO Stima raccolta presso i direttori degli IUT ed esperti di amministrazione scolastica.
3 ! Ancora piu in generale, essa riporta all'analisi delle strutture collettive create da un
qualsiasi sistema istituzionale che genera concorrenza. Questo punto verrà sviluppato nel capi­
tolo successivo.

115
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

fare della prima il ricalco della seconda: poiché le competenze acquisi­


te durante l'istruzione tendono in generale ad essere utilizzate sul mer­
cato del lavoro , non si può forse concludere che i comportamenti sco­
lastici sono in ultima analisi determinati dal mercato del lavoro? Da
qui il ragionamento teleo logico molto diffuso tra i sociologi secondo
cui il sistema di divisione del lavoro determinerebbe necessariamente
la struttura del sistema scolastico, la quale determinerebbe a sua volta
tutti i comportamenti scolastici degli individui, che a livello aggregato
corrisponderebbero cosi ai bisogni del mercato del lavoro o alle esi­
genze della struttura sociale . 32 Il fallimento degli IUT mostra che la
struttura della domanda di istruzione può al contrario tendere a diver­
gere dalle esigenze della struttura sociale, anche quando l'autorità poli­
tica utilizza i mezzi di cui dispone per ottenere un migliore adattamento.
Ciò deriva dal fatto che la domanda di istruzione è determinata dall'ag­
gregazione di decisioni individuali indipendenti e di conseguenza non
ha alcuna ragione di trovarsi necessariamente regolata, come un orolo­
gio leibnitziano, sulla stessa ora dell'orologio della struttura sociale.
L'esempio dell'insegnamento superiore corto permette di mostrare
che certe combinazioni istituzionali possono invece portare ad una si­
tuazione in cui il secondo orologio si trova in un certo modo ad essere
strutturalmente sregolato rispetto al primo. 33
Per dimostrare il problema è necessario costruire un semplice mo­
dello che , in un primo tempo, simula la situazione che spinse le autori­
tà politiche a perseguire lo sviluppo dell'insegnamento superiore cor­
to, e in un secondo tempo gli effetti della creazione degli indirizzi di
insegnamento superiore corto.
La situazione tipica che all'inizio degli anni Sessanta risultò dall'au­
mento della domanda di istruzione a livello superiore nella maggior
parte dei paesi europei può essere grossolanamente riassunta nel modo
seguente: immaginiamo che uno scaglione di studenti acceda all'uni­
versità in questo periodo. Tutti gli individui di questo scaglione hanno
naturalmente da pagare i costi corrispondenti ad un'istruzione che dura
parecchi anni: quattro , cinque e piu. Infatti, anche se le tasse di iscri­
zione o i costi di acquisto dei materiali sono trascurabili, la loro entrata
all'università corrisponde alla rinuncia ad un possibile guadagno, che
comprende senza dubbio, oltre ad una dimensione economica, dimen­
sioni psicologiche e sociali piu difficili da individuare (per esempio
marginalità sociale) , ma non meno importanti . Naturalmente questi co-

32 Cfr. per esempio C. BAUDELOT e R. EsTABLET, L'école capita liste en France, Maspero,
Paris 1 97 1 ; P. BouRDIEU, ]. C. PAssERON, La reproduction, Editions de Minuit, Parigi 1 9 70
(tr. it., La riproduzione. Elementi per una teoria del sistema scolastico, Guaraldi, Rimini
1 974); V. lsAMBERT, L'école adaptée à la division du travail, in "Le monde de l'éducation", n.
4, marzo 1 975 .
3 3 Ripetiamo che il modello è applicabile ai paesi dell'Europa continentale occidentale, e
non alla Gran Bretagna o agli Stati Uniti, che sono caratterizzati da combinazioni istituzionali
diverse (selettività generale all'accesso dell'insegnamento superiore lungo). Relativamente al­
l'insegnamento superiore corto negli Usa si può consultare l'interessante articolo di ]EROME
KARABEL, Community Colleges and Social Stratification, in "Harvard Educational Review",
42, novembre 1 972, pp. 5 8 1 -2.

116
L'insegnamento superiore corto

sti corrispondono a vantaggi previsti o sperati che comprendono an­


ch'essi una evidente dimensione economica, cioè il reddito nel corso
del ciclo della vita, ma anche dimensioni sociali, cioè il complesso flus­
so delle remunerazioni sociali in termini non solo di reddito, ma anche
di prestigio , di potere, ecc. che generalmente i sociologi chiamano sta­
tus sociale.
Naturalmente i vantaggi che gli studenti possono sperare non sono
identici per tutti, ma una delle ragioni essenziali che ha spinto le auto­
rità politiche a perseguire lo sviluppo dell'insegnamento superiore cor­
to è costituita dal fatto che l'aumento della domanda di istruzione a
livello universitario nel periodo in cui ci poniamo è tale che certi stu­
denti ottengono dei vantaggi inferiori a quelli sperati.
Per facilitare il ragionamento immaginiamo che lo scaglione com­
prenda 20 studenti. Poiché il problema è quello di mettere in evidenza
i risultati paradossali che derivano dall'aggregazione di decisioni indivi­
duali, è necessario, per ragioni che si comprenderanno meglio in se­
guito, scegliere un numero poco numeroso. In ogni modo l'ammonta­
re degli effettivi non ha alcuna influenza sul risultato del modello. Im­
maginiamo inoltre che la struttura del mercato del lavoro sia tale da
assicurare un beneficio a tutti i 20 studenti al termine degli studi. Ciò
significa che gli studenti otterranno uno status sociale, poiché le loro
speranze riguardano soprattutto aspettative sullo status sociale , 34 del
valore di 2 franchi per 6 di essi, di l franco per 8 di essi e nullo per 6
di essi. Abbiamo chiamato franco l'unità di misura che serve per misu­
rare i benefici essenzialmente per ragioni di comodità, d'altra parte le
cifre scelte, evidentemente di fantasia , non hanno altro significato che
quello delle relazioni d'ordine che le legano: tendono solamente a simu­
lare il fenomeno del sotto-impiego che ha probabilmente spinto le auto­
rità politiche a tentare di sviluppare l'insegnamento superiore corto.
Effettivamente il modello crea una situazione in cui 6 dei 20 stu­
denti rischiano di ottenere dai loro investimenti vantaggi che non su­
perano il valore dell'investimento stesso. Naturalmente una situazione
del genere è disfunzionale per gli individui. Lo è anche per la colletti­
vità a partire dal momento in cui quest'ultima sopporta i costi di fun­
zionamento del sistema di istruzione .
A questo punto occorre notare che il modello non è contradditto­
rio con la proposizione stabilita dai teorici del capitale umano secondo
la quale l'investimento nell'istruzione comporta mediamente dei bene­
fici positivi. 31 Mediamente i 20 studenti dello scaglione otterranno un

3 4 In questa stima del beneficio (status sociale) teniamo conto non solo dei vantaggi pre­
visti, ma anche dei costi corrispondenti. Per valutarli, cosa estremamente difficile a livello
quantitativo, occorre tenere conto non solo del numero di anni di studio, ma anche dell'inten­
sità del lavoro. Gli studi compiuti negli IUT sono piu corti, ma il numero di ore di lavoro
spese ogni anno è certamente superiore rispetto alle facoltà di lettere.
·15 Cfr. per esempio GARY BECKER, Human Capitai, National Bureau of economie Re­
search, New York 1 964 ; MARK BLAUG (a cura di), Economics of Education, Penguin Books,
London 1 96 8 ; Lwvo REYNOLDS, Labor Econo mics and Labor Relations, Prentice Hall, En­
glewood Cliffs, N . ] . , 19746; LÉVY-GARBOUA, Les inégalités intergénérationnelles dans la
société française, CREDOC, Paris 1974.

1 17
Effetti "perversi " dell'azione sociale

beneficio di l franco dall'investimento nell'istruzione. Mediamente


quindi essi si gioveranno di un flusso di remunerazione sociale di valo­
re superiore a quella che i loro studi avranno bloccato alla fine dell'in­
segnamento secondario . Se ci si limita a considerare gli aspetti econo­
mici delle remunerazioni sociali, il modello non è quindi contradditto­
rio con l'osservazione empirica secondo cui i redditi nel corso del ciclo
della vita sono mediamente tanto piu elevati quanto piu alto è il livello
di istruzione e , in particolare, piu alto per coloro che hanno prosegui­
to l'istruzione al di là della scuola secondaria . Tuttavia la stessa media
può acquistare un significato differente se è associata a dispersioni di
carattere diverso , come vedremo in seguito in modo evidente.
Supponiamo ora che l'autorità politica, cosciente delle disfunzioni
create dalla situazione sommariamente descritta con il modello prece­
dente, tenti di portarvi rimedio offrendo agli studenti di intraprendere
sia un indirizzo lungo con i rischi di beneficio nullo che comporta, sia
un indirizzo corto . Naturalmente questo indirizzo corto presenta un
primo vantaggio evidente per l'individuo, quello di ridurre i costi indi­
viduali dell'istruzione : poiché per esempio la rinuncia al guadagno si
protrae per un periodo di due anni invece di quattro o cinque, esiste la
possibilità di "sistemarsi" piu presto nella vita, ecc. A questo riguardo
è interessante notare che , nella ricerca già citata riguardante gli studen­
ti degli IUT,'• la durata degli studi è la ragione piu frequentemente
citata della scelta dell'insegnamento superiore corto.H Accanto ai van­
taggi, come si è visto nella prima parte di questo articolo, si è cercato
di introdurre negli IUT metodi pedagogici differenti da quelli dell'uni­
versità. Questi metodi hanno il felice effetto di aumentare grandemen­
te i tassi di acquisizione del diploma finale degli IUT, rispetto per
.l6 P. Cmms e J . LAGNEAU, op. cit.
J7
Ripartizione delle ragioni di scelta degli studi

Ha influito
Ragioni di scelta Non ha Nessuna
influito risposta
Poco Molto

Studi corti 916 50,2 572 31,4 185 10,1 151 8 (3


Carriera futura 545 29,9 585 32,1 262 14,4 432 23,7
Facile impiego 501 17,5 622 34,1 337 1 8 ,5 364 20,0
Metodi pedagogici 401 22,0 628 34,4 375 20,6 420 23,0
Studi piu facili 375 20,6 559 30,6 425 23 ,3 465 25,4
Formazione data 508 27,9 501 27,5 279 1 5 ,3 536 29,4
Sola scelta possibile 294 16,1 289 1 5 ,8 821 45,0 420 23,0
Prossimità 1 85 10,1 280 1 5 ,4 905 49,6 454 24,9
Selezione all'entrata 62 3 ,4 257 14,1 980 53,7 525 28,8
Prestigio nazionale
dello iUT 11 0,6 163 8,9 1 . 1 21 6 1 ,5 529 29,0
Volontà di rimanere
nella regione 53 2,9 102 5,6 1 . 122 6 1 ,5 547 30,0
Prestigio locale dello IUT 13 0,7 98 5 ,4 1 . 1 90 65,2 523 28,7

FoNTI: J . LAGNEAU, L'enseignement superieur court en France, in "La documentation


française ", "Notes et études documentaires", n. 4001 , giugno 1 973, p. 25.

118
L'insegnamento superiore corto

esempio ai tassi di sopravvivenza tra il primo anno dell'università e la


laurea . 38
Tuttavia naturalmente la dimensione essenziale dei vantaggi, cioè
dei flussi di remunerazione sociale o di status sociale, salvo che in mo­
do molto indiretto e parziale non può essere l'oggetto del controllo o
dell'intervento dell'autorità politica. A questo riguardo il solo interven­
to possibile è di cercare di garantire allo studente dell'insegnamento
corto una formazione sufficientemente solida e correttamente orienta­
ta in modo da renderla desiderabile dal punto di vista dei potenziali
fruitori. A riguardo si può parlare nel caso francese di un successo del­
l'insegnamento superiore corto e particolarmente degli IUT, poiché,
se ci si limita all'aspetto piu facilmente reperibile e misurabile, quello
delle remunerazioni monetarie, gli studenti degli IUT ottengono in
media redditi analoghi a quelli che dopo studi molto piu lunghi otten­
gono coloro che hanno una laurea di insegnamento , cioè coloro che
rappresentano il sottoinsieme di gran lunga piu vasto dei laureati in ge­
nerale. ·

Per ritornare al modello, è quindi ragionevole supporre che l'inse­


gnamento superiore corto fornisca mediamente remunerazioni compa­
rabili a quelle che mediamente fornisce l'insegnamento superiore lun­
go. Poiché le ipotesi precedenti assicurano un beneficio medio di l
franco agli studenti dell'indirizzo lungo, supporremo che l'indirizzo
corto, una volta creato, assicuri allo stesso modo un beneficio medio di
l franco. D'altra parte i dati statistici mostrano che la dispersi one dei
redditi degli studenti usciti dall'indirizzo corto è molto inferiore a
quella dei redditi dei laureati. Per simulare questo fenomeno in modo
piu semplice possibile, supporremo che tutti gli studenti licenziati dal­
l'indirizzo corto abbiano un beneficio di l franco.
Riassumiamo i dati del modello'9 che simula grossolanamente le ca-

38 La percentuale globale di promossi al diploma universitario di tecnologia che sancisce


la fine degli studi negli IUT, è stata del 9 0 % , 8 0 % , 70% , 76 % e 75 % rispettivamente per i
seguenti anni: 1 965-67, 1 966-68, 1 969-71 .
39 Con questo modello estremamente semplice, per non dire banale, cerchiamo di ren­
dere almeno verosimile un'ipotesi che non pretendiamo di dimostrare. Bisogna d'altra parte
sottolineare che in generale le ipotesi non si "dimostrano ". Certi fenomeni, considerati piu
importanti di quanto non appaiano nelle teorie precedenti, possono essere spiegati con una
teoria non in contraddizione con i fatti osservati. Nel caso che ci interessa, se volessimo affina­
re i parametri del modello, saremmo tenuti a raccogliere nuove informazioni, in particolare,
come abbiamo già accennato, sugli studenti dell'insegnamento lungo e su quelli dell'insegna­
mento secondario nel momento in cui essi esercitano la scelta del tipo di insegnamento supe­
riore. Allo stesso modo è impossibile per il momento tenere conto degli effetti a lungo termi­
ne delle scelte degli studenti. Gli IUT sono istituzioni troppo recenti perché i profili di carrie­
ra dei loro ex allievi possano essere studiati per un periodo abbastanza lungo. Infine il model­
lo non prende in considerazione le conseguenze delle scelte degli studenti sul mercato del la­
voro. D'altra parte la semplicità del modello stesso non permetterebbe di prendere in conside­
razione questo tipo di variabili. f<: evidente che se tutti gli studenti decidessero di iscriversi
all'insegnamento superiore corto, il conseguente soprannumero di tecnici non sarebbe privo di
conseguenza sul livello delle remunerazioni a cui potrebbero aspirare. E interessante notare in
proposito che gli stessi studenti degli IUT percepiscono chiaramente questo problema: a ri­
guardo è sufficiente riportare che alla domanda: "Pensate che la selezione all'entrata degli IUT
debba essere mantenuta, rinforzata o abolita? " , 1'8 1 , 1 % dei rispondenti afferma che debba
essere mantenuta o rinforzata. (Cfr. J . LAGNEAU, M. NEITER, J. LoRIEU, Les étudiants des In­
stituts universi/aires de Technologie, OCDE, Paris 1 973, pp. 8 1 - 8 5 ) .

1 19
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

ratteristiche della scelta offerta agli studenti in seguito alla creazione


degli indirizzi di insegnamento corto: i 20 studenti che compongono il
nostro scaglione fittizio possono scegliere tra l'insegnamento corto che
garantisce loro un beneficio di l franco e l'insegnamento lungo che,
nel caso in cui tutti intraprendessero questa strada, assicurerebbe un
beneficio di 2 franchi a 6 studenti, di 1 franco a 8 dei 20 studenti, e un
beneficio nullo ai 6 studenti rimasti. Se i 20 studenti scegliessero l'in­
segnamento lungo , ciascuno potrebbe quindi sperare mediamente in
un beneficio di 1 franco ( 2 franchi con 6 possibilità su 20, 1 franco con
8 possibilità su 20, O franchi con 6 possibilità su 20) . Dall'altra parte
l'indirizzo corto garantisce un beneficio di 1 franco . Cosa accadrà se
si suppone che i 20 studenti siano perfettamente informati delle regole
del gioco ? Per ragioni di semplicità supporremo anche che i 20 studen­
ti siano intercambiabili, cioè in particolare che nessuno si stimi miglio­
re degli altri: si tratta qui solamente di mettere in evidenza una pro­
prietà generale della struttura dell'azione collettiva creata dal gioco che
abbiamo appena descritto. In altre pubblicazioni ci riserviamo di ana­
lizzare le variazioni possibili del modello .
Una possibile risposta al problema è che , a partire dal momento in
cui i benefici medi associati ai due indirizzi sono identici, l'indirizzo
corto eserciterà un'attrattiva sufficiente per essere scelto da una pro­
porzione non trascurabile dei 20 studenti. A livello intuitivo questa è
forse la risposta che viene piu naturalmente alla mente . Essa corri­
sponde forse alla diagnosi implicita posta dai responsabili della creazio­
ne degli indirizzi corti. A contrario essa spiega forse il senso di delu­
sione che essi hanno provato davanti al limitato successo di questi indi­
rizzi aperti agli studenti. In realtà la risposta intuitiva è sbagliata: si
può dimostrare che , se i 20 studenti sono giocatori accorti, nessuno ha
interesse a lasciarsi sedurre dall'indirizzo corto a dispetto del suo carat­
tere apparentemente "concorrenziale " .
Ogni singolo studente h a due possibili strategie: indirizzo corto o
indirizzo lungo. Se sceglie l'indirizzo corto, egli è in ogni caso sicuro di
ottenere un beneficio di 1 franco . Se sceglie l'indirizzo lungo, la remu­
nerazione che può sperare dipende dal comportamento degli altri: se è
il solo a scegliere l'indirizzo lungo, sarà sicuro, in mancanza di concor­
renza, di ottenere un beneficio di 2 franchi ed avrà quindi interesse a
scegliere l'indirizzo lungo. Tuttavia naturalmente nessuno studente ha
la garanzia che qualcun altro non scelga l'indirizzo lungo . Per ciascuno
studente il problema è allora quello di determinare i benefici in cui
può sperare , utilizzando ciascuna delle due strategie possibili sotto le
possibili differenti ipotesi relative al comportamento degli altri . Per
ogni studente queste possibili ipotesi sono 20, poiché il numero degli
altri studenti che possono scegliere l'indirizzo lungo può eguagliare
uno qualsiasi dei numeri compresi tra O e 1 9 .
Poiché s i suppone che gli studenti siano intercambiabili, scegliamo
uno studente qualsiasi: se un massimo di 5 studenti diversi da lui sce­
glie l'indirizzo lungo, egli è sicuro di un beneficio di 2 franchi, perché

1 20
L'insegnamento superiore corto

in totale 6 studenti possono assicurarselo. Il problema si complica un


po' se 6 studenti, diversi da lui scelgono l'indirizzo lungo : in questo
caso il nostro studente preso a caso avrà solo 6 possibilità su 7 di otte­
nere un beneficio del valore di 2 franchi. Naturalmente avrà una possi­
bilità su 7 di ottenere un beneficio medio del valore di l franco . La
sua speranza di beneficio sarà dunque in questo caso uguale a
6 1 7 2 + 1 1 7 l = l , 8 6 franchi. Continuando a ragionare allo stesso
· ·

modo si possono calcolare le speranze di guadagno dello studente qua­


lunque in funzione delle diverse ipotesi sul comportamento degli altri.
Il risultato è esposto nella tabella seguente'":

Tabella 1 6 . - Matrice di retribu zione corrisp ondente al gioco descritto nel testo

Strategie Numero di studenti che scelgono l'indirizzo al di fuori di i


dello studente
o 2 3 4 5 6 7 8 9

Indirizzo corto 1 ,00 1 ,00 1 , 00 1 ,00 1 , 00 1 ,00 1 ,00 1 ,00 1 , 00 1 ,00


Indirizzo lungo 2,00 2,00 2,00 2,00 2,00 2,00 1 , 86 1 , 75 1 ,6 7 1 , 60

Strategie Numero di studenti che scelgono l'indirizzo lungo al di fuori di i


dello studente
10 11 12 13 14 15 16 17 18 19

Indirizzo corto 1 ,00 1 , 00 1 ,00 1 ,00 1 ,00 1 ,00 1 , 00 1 , 00 1 ,00 1 ,00


Indirizzo lungo 1 ,5 5 1 ,50 1 ,46 1 ,42 1 ,33 1 ,2S 1 ,17 1,11 1 ,05 1 ,00

Il risultato è chiaro: qualunque sia la scelta degli altri, il nostro stu­


dente qualunque ha interesse a scegliere la strategia dell'indirizzo lun­
go rispetto a quella dell'indirizzo corto. Infatti con la prima strategia,
in tutti i casi tranne uno , la sua speranza di guadagno è superiore . Nel­
l'ultimo caso (quando tutti gli altri 1 9 scelgono l'indirizzo lungo) la
speranza di guadagno è uguale a quella associata alla strategia dell'indi­
rizzo corto. Il nostro studente qualunque, da buon giocatore, utilizze­
rà la strategia "indirizzo lungo " . Tuttavia, poiché questo studente non
si distingue dagli altri, ciascuno si comporterà nello stesso modo, poi­
ché la soluzione del gioco consiste nella scelta della strategia "indirizzo
lungo" per ciascuno dei giocatori. Cosi l'introduzione dell'indirizzo
corto, malgrado il carattere apparentemente seducente, sarà incapace
di correggere le disfunzioni della situazione precedente: sul totale di

40 In questa analisi la strategia adottata è stata quella di ricostruire la situazione esaminata


con l'aiuto di un modello piu semplice possibile. :t: fuori dubbio che l'eguaglianza Epx = y non
comporta che l'utilità del primo termine sia uguale a quella del secondo. In altri termini posso
certamente non essere indifferente tra l'eventualità di guadagnare per esempio l franco con
assoluta certezza e l'eventualità di guadagnare 2 franchi con una possibilità del 50% e nes­
sun franco con il restante 5 0 % . Data la natura estremamente generale del modello abbiamo
perciò scelto di trascurare questo punto.

121
Effetti "perversi " dell'azione sociale

20 studenti, solo 6 ottengono un beneficio personale dalla loro scelta,


cioè un beneficio del valore di 2 franchi; 8 studenti ottengono un be­
neficio identico a quello che avrebbero ottenuto scegliendo l'indirizzo
corto; 6 studenti ottengono un beneficio nullo, mentre l'indirizzo cor­
to avrebbe garantito loro un beneficio di l franco. 4 1
Evidentemente questo modello costituisce una rappresentazione
idealizzata: non è vero che ciascuno studente si stimi quanto gli altri42 ;
non è vero che gli studenti siano perfettamente informati sui dati del
gioco. Tuttavia è facile osservare che le disfunzionalità generate dal
modello potrebbero egualmente apparire se quest'ultimo fosse emen­
dato in modo da acquistare un'apparenza piu realistica . In breve è pos­
sibile che la causa del fallimento dell'insegnamento superiore corto
debba essere ricercata nei paradossi originati dall'aggregazione di deci­
sioni individuali, piuttosto che nelle spiegazioni di tipo culturale (sva­
lutazione dell'istruzione tecnica, ecc . ) . La struttura posta in evidenza
dal modello è proprio quella di una trappola dell'azione collettiva: si
suppone che ciascun giocatore sia razionale, ma il risultato è che solo 6
giocatori su 20 ottengono un beneficio dalla loro capacità di padroneg­
giare il gioco, mentre 6 giocatori ottengono un beneficio inferiore a
quello che avrebbero potuto ottenere giocando alla cieca.
Parlare di studente razionale può sembrare poco realistico. Si può
forse supporre uno studente capace di calcolare la speranza matematica
di guadagno secondo questa o quella strategia ? E certamente vero che i
giocatori reali non determinano la loro strategia basandosi sulla "strate­
gia dominante " nel senso della teoria dei giochi, altrimenti i giochi
d'azzardo in cui una quota viene trattenuta prima della redistribuzione
(lotteria, scommesse sulle corse) non conoscerebbero il successo che è
loro tipico . Si può comunque ammettere che il concetto di strategia
dominante è percepita in modo approssimativo dagli studenti.
Per ciò che riguarda i bene/ici, non è irragionevole considerare gli
studenti come razionali: essi sanno che alcuni di essi beneficieranno di
uno status sociale elevato se scelgono l'insegnamento lungo, ma che
altri non raggiungeranno questo livello. Essi sanno che se scelgono

4 1 Esaminando la tabella 16 si può constatare che variazioni relative tra il beneficio asso·
dato all'insegnamento lungo e quello associato all'insegnamento corto non cambiano la strut·
tura del modello. In effetti, se in media il beneficio dell'indirizzo corto è superiore a quello
dell'indirizzo lungo, per esempio di 1 , 5 franchi contro un franco, in questo caso si osserva che
se 1 2 studenti prendono l'indirizzo lungo, la loro speranza di beneficio è superiore o uguale a
quella che avrebbero scegliendo l'insegnamento corto. A fortiori, se l'insegnamento lungo
comporta mediamente un beneficio superiore all'insegnamento corto, allora in ogni caso la
strategia "indirizzo lungo" è piu allettante della strategia "indirizzo corto " .
<2 Infatti questa ipotesi sarebbe assolutamente irrealista s e si trattasse d i analizzare l'al·
ternativa università/ Grand es Ecoles. E evidente che gli studenti che si ritengono migliori de·
gli altri, in base ai loro risultati nella scuola secondaria, si impegnano nelle classi preparatorie
alle Grandes Ecoles piu prestigiose. L'ipotesi appare tuttavia molto meno irrealista nel caso
dell'alternativa IUT /università, poiché la maturità in questo caso è la condizione sufficiente e
quasi sempre necessaria all'antrata nell'università: è ragionevole supporre che nella sottopopo·
!azione degli studenti che non si rivolgono verso le Grandes Eco les, ciascuno si stimi circa allo
stesso livello degli altri. Poiché la popolazione dei candidati agli IUT non è ben conosciuta,
non è possibile per esempio confrontare la distribuzione delle valutazioni alla maturità in que·
sta popolazione e nella popolazione degli indirizzi lunghi.

1 22
L 'insegnamento superiore corto

l'insegnamento corto non possono che attendersi uno status sociale in­
termedio .
Per ciò che riguarda la probabilità di ottenre questi benefici, se­
condo elemento ài calcolo della speranza matematica, essa si traduce
soggettivamente nella certezza psicologica di ottenere questo o quello
status: per alcuni studenti questa probabilità è sentita come una certez­
za43 ; per altri può appartenere alla sfera del "possibile" e comportare
gradi diversi.
Infine la nozione stessa di speranza matematica è presente in ra­
gionamenti di questo tipo: "Ho poche probabilità di ottenere l'accetta­
zione ( ma non si sa mai) , ho qualche possibilità di ottenere il CAPES e
alla peggio con un diploma potrò sempre ottenere un posto di maestro
ausiliario ( maitre auxiliaire ) . " La somma dei prodotti che definisce la
speranza matematica si traduce sul piano psicologico in una giustappo­
sizione di situazioni piu o meno probabili. Tuttavia l'aspetto della som­
ma rimane . Cosi il giudizio appena citato introduce probabilità basse di
guadagni elevati, ma conduce alla conclusione di una situazione miglio­
re di quella in cui l'unica prospettiva è costituita dalla carriera di mae­
stro ausiliario ( "se prendo l'insegnamento corto, diventerò un tecni­
co "). In breve, è ragionevole pensare che la valutazione psicologica di
possibilità di questo tipo tenga conto del beneficio (ponderato dalla
probabilità di attenerlo) di ciascun status possibile .
Se queste considerazioni psicologiche permettono di ancorare me­
glio il modello alla realtà,44 occorre chiarire che solo un modello anali­
tico può fornirci una strumentazione concettuale su cui appoggiarci: se
è possibile mostrare l'ancoraggio nella psicologia del modello, è impos­
sibile ricavare da una descrizione del vissuto, per quanto esatta possa
essere, gli effetti paradossali prodotti dall'aggregazione delle scelte in­
dividuali.
La struttura messa in evidenza dal modello appena sviluppato è dif­
ferente dalla struttura del dilemma del prigioniero richiamata all'inizio
del presente capitolo nella misura in cui, in questo caso, certi giocatori
risultano vincenti, mentre nel dilemma del prigioniero tutti i giocatori
perdono. Questa differenza rende forse questa struttura ancora piu di­
sperante rispetto al dilemma del prigioniero . Poiché la struttura del di­
lemma del prigioniero comporta dei risultati sfavorevoli per tutti, tutti
possono accordarsi per porvi rimedio . E per questo che i segnali della
circolazione stradale sono accettati facilmente nonostante l'irritazione
che ciascuno prova nel trovarsi bloccato ai semafori rossi: senza di essi
la situazione di tutti gli utenti sarebbe peggiore. In compenso è piu
difficile ottenere un consenso sulla soppressione della struttura qui de-

43 Anche per certi concorsi difficili come l' agrégation, si incontrano studenti per cui la
certezza di riuscita si iscrive in una lunga tradizione e viene considerata dagli interessati come
un elemento stesso della riuscita. "Per riuscire occorre essere certi della riuscita. "
44 È probabile che nella realtà gli studenti non si pongano seriamente il problema d i sa­
pere il numero degli studenti che sceglierà l'insegnamento lungo, ma nel caso piu realista si
pongono il problema del fatto che attualmente in Francia la scelta dell'insegnamento lungo si
pone per una notevole percentuale di studenti potenziali.

1 23
Effetti "perversi " dell'azione sociale

scritta, poiché ciascuno può sperare di attenerne un beneficio. Da qui


le infinite precauzioni, descritte molto bene da Girod de l'Ain, 45 con
cui le autorità dei paesi dell'Europa occidentale si impegnano in una
politica di restrizioni dell'acce sso all'insegnamento superiore lungo . In­
fatti, se è vero che la struttura dell'azione collettiva descritta rende
conto del fallimento dell'insegnamento superiore corto, il solo modo
di eliminare gli effetti sfavorevoli che essa comporta, sul piano indivi­
duale come sul piano collettivo, consiste nel trarre gli individui dallo
stato di natura, cioè dallo stato di concorrenza disastrosa nel quale li
impegna la libertà di accesso all'insegnamento superiore lungo. A con­
trario si osserva che i paesi in cui l'insegnamento superiore corto ha
subito un importante sviluppo, sono quelli che , come la Gran Breta­
gna, gli Stati Uniti o la Jugoslavia, tradizionalmente praticano una poli­
tica restrittiva dell'accesso agli indirizzi lunghi. Occorre anche sottoli­
neare tuttavia che il contratto è in questo caso piu difficile da ottenere
rispetto al caso del dilemma del prigioniero: ancora una volta, è piu
difficile ottenere la soppressione di un gioco che comporta dei vincito­
ri e dei perdenti e in cui di conseguenza ciascuno può sperare di gua­
dagnare (anche se in fin dei conti sono in molti a perdere ) , piuttosto
che un gioco in cui tutti perdono. Questa è la ragione per cui la restri­
zione dell'accesso all'insegnamento superiore lungo è oggetto di una
viva opposizione nei paesi in cui essa non costituisce una istituzione
tradizionalmente ammessa. 46
Rousseau è uno dei pochi autori ad avere identificato questo tipo
diabolico di struttura dell'azione collettiva in cui la volontà di tutti si
oppone alla volontà generale, a danno di ciascuno e di tutti: se i futuri
studenti e le loro famiglie fossero chiamati a votare sulla soppressione
eventuale del gioco, è probabile che rigetterebbero la proposta,
poiché nessuno avrebbe interesse a rimettere ad un'autorità esterna la
preoccupazione di decidere se può o meno partecipare a un gioco da
cui è possibile uscire vincitore . Le disfunzioni individuali e collettive
che il gioco comporta sarebbero dunque mantenute in vita dalla volon­
tà di tutti. 47
Una considerazione finale: il modello di cui sopra comporta una
soluzione in cui nessuno sceglie l'indirizzo corto . Ciò non accade nella

45 B. GIROD DE L"AIN, in "Le monde de l'éducation " , n. 4, marzo 1 975, pp. 21-2.
4 6 A questo punto vorrei fare una considerazione generale: i sociologi moderni sono re­
stii, contrariamente a molti sociologi classici, da Rousseau a Marx a Pareto, ad utilizzare il
paradigma dell'homo oeconomicus. Ciò deriva senza dubbio, almeno in parte, dal peso eserci­
tato dalla sociologia durkheimiana sulla sociologia moderna e dal fatto che il sociologismo di
Durkheim si è affermato contro la tradizione utilitarista da sempre al centro del pensiero eco­
nomico e di quello sociologico fino a Durkheim. Il presente capitolo non tende in nessun
modo a suggerire un ritorno incondizionato ai paradigmi utilitaristi, mostra solamente che in
certi casi, a seconda del tipo di problema affrontato e del livello di analisi a cui si desidera
muoversi, può rivelarsi piu efficace di altri. Un ritorno alla definizione utilitarista della socio­
logia sarebbe tanto sterile quanto il sociologismo antiutilitarista si è dimostrato sterile.
47 E: interessante sottolineare che anche in autori come RuNCIMAN e SEN ( op. cit . ) , che
interpretano il contratto sociale partendo dalla scoperta di Rousseau relativa all'esistenza di
strutture di azione collettiva ad equilibrio insufficiente, si rifiutano di ammettere il caso osses­
sivamente richiamato da Rousseau in cui la volontà di tutti si oppone alla volontà generale.

1 24
L'insegnamento superiore corto

realtà poiché una minoranza di uno studente su sette circa sceglie que­
st'ultimo, secondo la stima di massima che si può stabilire per il caso
francese . Questo dato non è in contraddizione con il modello che mira
a mettere in evidenza la logica di una struttura dell'azione collettiva
senza la preoccupazione di un aggiustamento a questi dati. Modifican­
do leggermente il modello ,'" si può costruire una situazione in cui la
strategia "indirizzo corto" è dominata dalla strategia "indirizzo lungo"
non per tutte le ipotesi che ciascun giocatore può fare sul comporta­
mento degli altri, ma per gran parte delle ipotesi. In questo caso, fa­
cendo la media di certe ipotesi complementari, si può costruire un mo­
dello in cui certi studenti scelgono l'indirizzo breve. Per mancanza di
spazio non possiamo sviluppare questo punto in maniera piu estesa,
ma l'importante conclusione che si può far derivare da questo tipo di
variante è che l'aggregazione delle decisioni non comporta una corre­
zione delle disfunzioni, a meno che non si introducano ipotesi assolu­
tamente particolari. 49

4 8 Supponendo per esempio una crescita degli scaglioni successivi non accompagnata da
un mutamento corrispondente della struttura degli status disponibili.
49 Il modello esposto nella terza pane di questo capitolo, con l'insieme di varianti che è
possibile ammettere , permette di analizzare gli effetti disfunzionali che derivano da numerose
strutture di concorrenza. Questa analisi generale verrà sviluppata in un'altra pubblicazione . In
questa sede ci accontentiamo di ricordare che essa suggerisce un'interpretazione di inflazione
da domanda di istruzione che ha caratterizzato l'insieme delle società industriali nel corso degli
ultimi anni. D'altra parte può fornire uno strumento di analisi che può valutare il probabile
successo di certi mutamenti istituzionali. Perciò, senza voler fare le Cassandre, si può dubitare
che i maitrises de sciences et techniques, recentemente istituiti nell'università francese per mo­
dificare quest'ultima nel senso di una maggiore professionalizzazione, non comportino un de­
stino analogo a quello degli IUT, per ragioni analoghe. Se le cose stessero cosi, ciò non signifi­
cherebbe necessariamente una disaffezione "culturale " degli studenti per gli studi "professio­
nalizzanti". La diagnosi sarebbe invece la seguente: un maitrise de sciences et techniques ri­
schia di non essere allettante finché la via "generale ", che conduce per esempio al dottorato,
rimane aperta. In breve, non sembra che l'innesto di circuiti di derivazione sugli indirizzi lun­
ghi dell'insegnamento superiore tradizionale rappresenti una promessa di grande efficacia fin­
ché questi ultimi vengono lasciati nella attuale situazione. Il fatto che la mancanza di successo
dei circuiti di derivazione "professionalizzanti" sia invece interpretabile partendo dai sistemi di
azione collettiva generati dalle combinazioni istituzionali, piuttosto che da ipotesi "culturali­
ste", non è forse confermato dal fatto che le Grandes Ecoles "professionalizzanti" attirano una
numerosa clientela? Di nuovo, il fallimento degli IUT non è spiegabile per il fatto che costitui­
scono scuole "professionali" di grado inferiore rispetto all' Eco le des Hautes Etudes Commer­
cia/es, per esempio, ma perché subiscono la concorrenza di indirizzi lunghi e aperti offerti
dall'università.

125
Capitolo quarto

La logica della frustrazione relativa

Questo testo, di natura teorica, è un contributo alla riflessione sul­


la relazione tra diseguaglianza e soddisfazione da una parte e abbon­
danza di beni e soddisfazioni dall'altra. La socio logia classica è ricca
di enunciati paradossa li a riguardo. Per Tocqueville la tendenza all'e­
guaglianza favo risce il confronto invidioso: gli individui si sentono
infelici di essere diseguali quanto di non esserlo. Questo tema è stato
rip reso da C. Wright Mi lls. Per Durkheim la felicità individuale non è
una funzione sempre crescente della quantità di beni; la relazione tra
felicità e beni prende piuttosto la forma di una curva ad U rovesciata:
decresce al di qua e al di là di un optimum di soddisfazione. Di nuovo
per Tocqueville l 'insoddisfazione e la frustrazione possono crescere
quando le possibilità di ciascuno aumentano e migliorano. In Marien­
thal, Lazarsfeld osserva il recip roco del teorema di Tocqueville: quan­
do nessuno può sperare in un avvenire individuale migliore, le recri­
minazioni contro il sistema sociale posso no essere limitate. I lavori di
Stouf!er dimostrano che gli individui possono essere tanto piu malcon­
tenti del sistema sociale a cui appartengono, quanto piu questo offre
loro mediamente possibilità di promozione e riuscita .
In breve Tocqueville, Durkheim, Lazarsfeld, Sto uffer, come Mer­
ton, Runciman, Hyman, autori differenti per quanto riguarda i loro
orientamenti p olitici, teorici e metodologici, sono d'accordo nel rico­
noscere un carattere complesso e - perché evitare il termine quando
ha un senso preciso - dialettico alla relazione tra l'abbondanza di be­
ni e l'eguaglianza da una parte, e la soddisfazione individuale dall'al­
tra.
Al contrario molti autori piu vicini a noi cronologicamente pro­
pongono una interpretazione della relazione che non sembra avere al­
tro merito al di là della semplicità: per certi autori è evidente che si
crea una situazione insopportabile ed esplosiva quando il 5 % dei piu
poveri percep isce un reddito inferiore alla metà del reddito mediano;
per altri una riduzione delle diseguaglianze comporta sempre e incon­
dizionatamente degli effetti positivi.
Il testo che segue si riallaccia alla tradizione sociologica . Esso sug­
gerisce che le relazioni paradossali sottolineate dai classici posso no es­
sere dedotte da semplici modelli isp irati alla teoria dei giochi. Se que-

1 26
La logica della frustra1.ione relativa

sti modelli hanno una qualche utilità, essi dimostrano tra l'altro che
non è facile associare una misura della felicità, della frustrazione o
della soddisfazione a lle diverse possibili distribuzioni dei beni.
I semplici modelli che seguono mostrano effetti composti comp lessi
(forse resp onsabili dell'andamento paradossale delle proposizioni ri­
chiamate piu sopra). Essi costituiscono degli strumenti logici analoghi
a quelli utilizzati in un altro capitolo di questo libro, il capitolo ter­
zo: Istituzioni scolastiche e effetti perversi. 2) L'insegnamento supe­
riore corto.
Questo testo è stato scritto basandosi su una comunicazione al Col­
loque de Louvain-la-Neuve su "Democracy: Problems of Power and
Conscio usness ", organizzato sotto gli auspici dell'European Consor­
tium /or Politica[ Research dall'B al 1 4 aprile 1 976 .

Vediamo cosa risulterà da questa prospenta


pubblica per la felicità particolare dei cittadini.
In primo luogo, se queste ricchezze sono distri­
buite equamente, è certo che non potrebbero ri­
manere in questo stato di eguaglianza, oppure
sarebbero inconsistenti per coloro che già ne
possiedono, poiché per tutto ciò che va oltre
l'immediato necessario, è solo per effetto delle
differenze che i vantaggi della fortuna si fanno
sentire .

}EAN-}ACQUES ROUSSEAU , fragments po litiques

La nozione di frustrazione relativa ( relative dep rivati o n ) e di grup­


po di riferimento costituiscono insieme un sistema concettuale il cui
successo è dovuto senza dubbio al fatto che permette di rendere conto
di osservazioni paradossali con l'aiuto di proposizioni di buon senso .
Come Runciman sottolinea, le due nozioni sono la conseguenza di
un'ovvietà comune: cioè che "atteggiamenti, aspirazioni e frustrazioni,
dipendono largamente dal quadro di riferimento in cui sono concepiti"
( that people's attitudes, asp irations and grievances largely depend on
the frame of reference with in which they are conceived, p. 9 ) . 1 L'osser­
vazione mostra in effetti che nella maggior parte dei casi è impossibile
comprendere perché un individuo A prova per esempio invidia nei
confronti di B ma non di C se non si conosce il "quadro di riferimen­
to" ( the frame of re/erence ) di A: come è possibile spiegare che A invi­
dia la 5 04 del vicino di destra ma non la Jaguar del vicino di sinistra, se
non si sa che A può sperare di elevarsi al livello del vicino di destra ma

1 W. G. RuNCIMAN, Relative Deprivation and Social ]ustice, University of California


Press, Berkeley 1 966 (tr. it. , Ineguaglianza e coscienza sociale. L'idea di giustizia sociale nel·
le classi levoratrici, a cura di A. Picchieri, Einaudi, Torino 1 972, pp. 17- 1 8 ) .

1 27
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

non a quello del vicino di sinistra? Utilizziamo l'eccellente definizione


di frustrazione relativa proposta da Runciman:

Una definizione precisa è difficile, ma si può grossolanamente dire che A è


relativamente frustrato rispetto a X se ( l ) non possiede X, (2) vede una o pa­
recchie altre persone, che eventualmente comprendono lui stesso in passato o in
avvenire , come possessori di X (a prescindere dal fatto che questa ·percezione corri­
sponda o meno alla reltà), ( 3 ) desidera X, (4) percepisce come plausibile l'eventua­
lità di disporne. Dire che possiede X può naturalmente voler dire che è esente o
indenne da Y (A strict definition is difficult. But we can rougbly say tbat A is
relatively deprived o/ X wben ( 1 ) be does not bave X, (2) be sees some otber person
or persons, wbicb may include b imself at some previous or expected time, as bav­
ing X - wbetber or not tbis is o r will be in fact tbe case -, (3) be wants X, and
(4) he sees it is /easible tbat be sbould bave X. Possession o/ X may, o/ course,
mean avoidance o/ or exemption /rom Y, p. 1 0 ) .

Come sottolinea Runciman , ciò che crea difficoltà in questa defini­


zione è la nozione di plausibilità ( feasibility ) : si desidera solo ciò che si
può plausibilmente sperare di ottenere . Il problema è allora quello di
trovare delle regole per cui sia possibile determinare ciò che si può e
ciò che non si può sperare di ottenere . L'invidia di A nei confronti di
B è forse una funzione decrescente della plausibilità per A di ottenere
X, posseduto da B? Piu precisamente: definire la nozione di frustra­
zione relativa utilizzando il concetto di p lausibilità non significa forse
costruire una specie di circolo vizioso? Per quanto riguarda il concetto
di gruppo di riferimento, non ha forse la funzione di complicare l'ana­
lisi? E comprensibile che il proprietario della J aguar non appartenga al
gruppo di riferimento di A, che invece include il proprietario della
504 . E anche comprensibile che A invidi il secondo ma non il primo.
Tuttavia la prima proposizione non spiega la seconda: la nozione di
gruppo di riferimento non fa che ripetere sotto altra forma la proposi­
zione secondo cui A prova invidia per la posizione del proprietario del­
la 504 ma non nei confronti del proprietario della Jaguar.
I due concetti di gruppo di riferimento e di privazione relativa
hanno prodotto una importante letteratura che non ho intenzione di
analizzare in questa sede. Credo tuttavia di poter affermare che se si
volesse riassumere questa letteratura nel modo piu generale possibile
si arriverebbe alle seguenti due proposizioni:
l . Le due nozioni permettono di spiegare una serie di fenomeni
sociali essenziali. Per esempio la celebre "legge" di Tocqueville secon­
do cui il miglioramento delle condizioni di tutti può aumentare , piut­
tosto che diminuire il malcontento generale:

Quando la prosperità cresce - scrive Tocqueville -, gli spiriti sembrano tut­


tavia meno stabili e piu inquieti; il malcontento pubblico si inasprisce ; l'odio contro
tutte le vecchie istituzioni cresce . . . V'è di piu: le parti della Francia che dovevano
essere il focolaio principale di questa rivoluzione, sono precisamente quelle in cui i

1 28
La logica della frustrazione relativa

progressi sono piu visibili [ . . . ] si direbbe che i francesi hanno trovato la loro posi­
zione tanto piu insopportabile quanto piu migliorava. 2

Senza dubbio si può stabilire un rapporto anche . tra i concetti di


gruppo di riferimento e di frustrazione relativa da una parte e la legge
di Durkheim dall'altra, secondo cui la soddisfazione provata dall'indivi­
duo dipende meno dall'abbondanza di beni messi a disposizione della
collettività e maggiormente dalla capacità di quest'ultima a ispirare al­
l'individuo desideri limitati a ciò che può sperare di ottenere:

Sotto questa pressione ciascuno nella sua sfera si rende vagamente conto del
punto estremo fino a cui si possono spingere le sue ambizioni e non aspira a nien­
t'altro che superi questo limite se , quanto meno, è ris·pettoso delle regole e docile
nei confronti dell'autorità collettiva, cioè, se possiede una sana costituzione mora­
le, sente che non è bene esigere di piu . Uno scopo e un limite sono cosi stabiliti
per le passioni. Ovviamente, questa determinazione non ha niente di rigido o di
assoluto. L'ideale economico assegnato a ciascuna categoria di cittadini è pure com­
preso in limiti entro i quali i desideri possono muoversi con libertà. Questo ideale
non è quindi illimitato. E questa limitazione relativa e la moderazione conseguente
che rendo no gli uomini soddisfatti della loro sorte pur stimolando/i moderatamen­
te a migliorar/a [il corsivo è mio, N.d. A . ] ; è questa soddisfazione media che origi­
na questo sentimento di gioia pacata e attiva, questo piacere di essere e di vivere
che è la caratteristica della salute, sia per gli individui sia per le società. 3

Richiamiamo infine il celebre risultato de The American Soldier


che dà il colpo di avvio alla letteratura sulla frustrazione relativa e sui
gruppi di riferimento: gli appartenenti ai corpi di polizia militare , in
cui le promozioni sono rare, si ritengono soddisfatti del sistema di pro­
mozione che li riguarda. Al contrario gli avieri, benché appartenenti ad
un corpo in cui le promozioni sono frequenti, si ritengono insoddisfat­
ti del sistema di promozione.< Tutto accade come se ad una mobilità
ascendente oggettivamente maggiore corrispondesse una soddisfazione
globale inferiore.
2. Non c'è alcun dubbio che i fenomeni apparentemente parados­
sali coperti dalle "leggi" di Tocqueville, Durkheim o Stouffer sono es­
senziali. Senza dubbio tuttavia , questa sarebbe la seconda conclusione
ricavabile dall'analisi della letteratura, la logica sottostante a queste leg­
gi è colta in modo assai imperfetto con i concetti di gruppo di riferi-

2 A. DE TocQUEVILLE, Oeuvres complètes. L'Ancien Régime et la Révolution, Gallimard,


Paris 1952, tomo I, pp. 222-3, (tr. it., L'antico regime e la rivoluzione, a cura di G. Candelo­
ra, Longanesi, Roma 1 942, pp. 231-32). Si veda anche J . C. D AVIS, Toward a Theory o/
Revolution, in "American Sociological Review", 1 962, pp. 5-1 9.
3 E. DuRKHEIM, Le suicide, p . 277 (tr. it., Il suicidio, UTET, Torino 1 969).
4 SAMUEL A . STOUFFER, The American Soldier, I, Princeton 1 949, Wiley 1 9 6 5 ; R . K.
MERTON, A. S. Rossi, Contribution to the Theory o/ Re/erence Group Behaviour, in R . K.
MERTON, Social Theory and Social Structure, The Free Press, Glencoe (Illinois) 1 957, (tr. it . ,
Teoria e struttura sociale, introduzione di F . Barbano, Il Mulino, Bologna 1 95 9 ) . Si può ag­
giungere ai nomi di Durkheim, Tocqueville e Stouffer, quello del sociologo danese KAARE SvA­
LASTOGA che in Prestige, Class and Society, Gyldendal, Copenhagen 1 959, difende l'idea di una
relazione curvilinea tra mobilità sociale e soddisfazione individuale.

129
Effetti "perversi " dell'azione sociale

mento e di privazione relativa, per quanto utili possano essere questi


concetti.
Nelle note che seguono vorrei mostrare che le nozioni sociologi­
che di frustrazione relativa e di gruppo di riferimento possono essere
chiariti con l'aiuto di semplici modelli tratti dalla teoria dei giochi.
Questi semplici modelli suggeriscono che il manifestarsi del fenomeno
della frustrazione relativa, almeno in certe situazioni, è il prodotto
"naturale " di strutture di interazione ( concorrenza) in cui sono posti
gli individui. In �ltri termini sembra che certe strutture di concorrenza
inducano una proporzione piu o meno grande di individui ad impe­
gnarsi in "concorsi" da cui alcuni di essi devono necessariamente usci­
re perdenti. La proporzione di questi individui e di conseguenza il tas­
so generale di frustrazione relativa variano con le caratteristiche di
queste strutture . Il resto di questo articolo sarà dedicato alla presenta­
zione di queste strutture elementari di concorrenza e ad un'analisi di
certe loro proprietà logiche . Come si vedrà strutture di concorrenza
apparentemente anche molto semplici danno luogo ad analisi relativa­
mente complesse . Sottolineiamo per inciso che il carattere "controin­
tuitivo " di certe proprietà di queste strutture di concorrenza ne spiega­
no forse il fascino: le loro conseguenze corrispondono a dati la cui os-
servazione è tanto comune quanto difficile è la loro spiegazione .
·

Su un piano teorico, i semplici modelli che vengono sviluppati piu


sotto permettono di precisare la portata delle "leggi" di Tocqueville,
Durkheim e Stouffer: permettono di dimostrare che non si tratta di
leggi valide in assoluto come credeva Durkheim , ma di proposizioni
che possono essere vere sotto certe condizioni. In altre parole non è
vero che in generale un aumento delle possibilità o dei beni offerti agli
individui comporta in ogni caso l'aumento dell'insoddisfazione che
Tocqueville ha osservato . In compenso è vero che il fenomeno può
prodursi in certi casi in determinate circostanze , cioè in funzione delle
modificazioni della struttura della concorrenza provocate dall'aumento
delle possibilità o dei beni offerti dalla "struttura sociale " agli indivi­
dui.
Si arriva cosi ad una interpretazione completamente differente da
quella che Durkheim dava della propria legge . Nel Suicidio e forse in
modo ancora piu netto ne La divisione del lavoro sociale, Durkheim
spiega che l'insoddisfazione può crescere con l'aumento dei beni offerti
ricorrendo a proposizioni stabilite dalla psicofisiologia del suo tempo.

In effetti è una verità oggi generalmente riconosciuta che il piacere non ac­
compagna né gli stati di coscienza troppo intensi né quelli troppo deboli. Si prova
dolore quando l'attività funzionale è insufficiente, ma una attività eccessiva produce
gli stessi effetti . . . Questa proposizione è d'altra parte un corollario della legge di
W eber e di Fechner . . . Non senza ragione l'esperienza umana vede nell' au rea me­
diocritas la condizione della felicità. 5

5 EMILE Dl!RKHEIM, De la division du travail, PUF, 196 07, p. 2 1 4 sgg. (tr. it . , La divisio­
ne del lavoro sociale, introduzione di A. Pizzorno, Comunità, Milano 1 9 7 1 , p p . 239-40).

130
La logica della frustrazione relativa

Si vedrà piu sotto che questa interpretazione riposa su ipotesi inu­


tilmente ridondanti e probabilmente false.
Come Runciman indica nel testo sopra citato, esiste frustrazione
relativa quando A possiede un bene X che B non possiede . La nozione
di frustrazione relativa implica in altri termini quella di concorrenza
per un bene.
Immaginiamo allora il modello di concorrenza seguente: sia dato
un gruppo di individui di grandezza N . La "società" propone a ciascu­
no degli N individui la scelta seguente: l ) per una posta C, raccogliere
un guadagno B (> C) con una probabilità tanto piu bassa quanto piu
aumenta il numero dei concorrenti; 2) rinunciare alla competizione.
Questa struttura molto generale caratterizza numerose situazioni di
concorrenza: è conveniente che "investa" per tentare di essere pro­
mosso al livello di capufficio se la maggior parte dei miei colleghi sono
senza dubbio mossi dallo stesso obiettivo? Precisiamo che nella prima
parte dell'articolo porremo che gli individui sono uguali e che si riten··
gono tali. Questa ipotesi sarà successivamente abbandonata.
A questo punto è opportuno introdurre una parentesi metodologi­
ca: so perfettamente che in numerose situazioni di concorrenza gli in­
dividui non sono uguali e non si considerano tali. La sociologia ha mo­
strato a sufficienza che si è osservata una correlazione statistica tra ori­
gine sociale e molte altre caratteristiche degli individui. Malgrado ciò è
metodologicamente corretto dimenticare questo punto nel primo sta­
dio dell'analisi. Questa strategia ha il vantaggio di mostrare in tutta la
sua purezza il carattere perverso degli effetti cumulativi generati dalle
strutture di concorrenza. Nell'ultima parte dell'analisi abbandonerò
esplicitamente l'ipotesi dell'eguaglianza per introdurre quella dell'esi­
stenza di gruppi dotati mediamente di livelli differenti di risorse . Si
può dare il nome di classi a questi gruppi. A seconda che si introduca
l'ipotesi irrealista dell'eguaglianza di tutti o che si ammetta al contrario
l'esistenza di classi, gli effetti perversi ottenuti non sono identici, ma
osservabili in entrambi i casi. Coeteris paribus, hanno la tendenza ad
essere maggiori nel caso in cui è valida l'ipotesi dell'eguaglianza. Al di
là del suo interesse metodologico, il ricorso alla finzione dell'egua­
glianza permette di ottenere un risultato sociologicamente importante,
cioè che l'eguaglianza delle possibilità non conduce necessariamente al­
la minimizzazione delle frustrazioni. Ci si imbatte cosi in un altro tema
classico di Tocqueville , ripreso in seguito da C. Wright Milis: l'egua­
glianza delle condizioni tende ad aumentare piuttosto che a diminuire
l'invidia. Ritornerò in seguito su questo argomento.
Per fissare le idee e concretizzare la logica dell'interazione messa
in evidenza dal modello precedente, assegniamo un valore aritmetico
ai suoi parametri. Poniamo per esempio N = 20: l'insieme degli indivi­
dui a cui è proposta la scelta è composto di 20 unità. Immaginiamo
inoltre che la posta e la vincita siano quantificabili, fatto che non sem­
pre avviene ovviamente nella vita sociale , e che C, la posta, sia uguale
a l franco, mentre B, la vincita, sia uguale a 5 franchi. Infine suppo-

131
E/letti "perversi " dell'azione sociale

niamo che non ci possano essere piu di n = 5 vincitori. Cosi, suppo­


nendo che 1 5 persone su 20 decidano di versare la posta, solo 5 su 1 5
otterranno un guadagno di 5 franchi. Gli altri 1 0 perderanno la posta.
Si suppone che la spartizione tra vincitori e perdenti avvenga a caso ,
tirando a sorte (naturalmente è possibile costruire casi piu complessi,
ma è interessante cominciare con l'analisi dei casi pili semplici). Cosa
accadrà? Quanti tra i 20 giocatori potenziali decideranno di entrare ef­
fettivamente nel gioco? Quanti perdenti verranno determinati dal gio­
co? Quanti frustrati? In questo caso la risposta è semplice. Consideria­
mo un giocatore preso a caso tra i 20. Supponiamo che questo giocato­
re sia perfettamente informato della situazione. Egli farà i suoi calcoli
come segue:
l ) io , signor Rossi, immagino di essere l'unico giocatore : in questo
caso, puntando 1 franco, avrò la certezza di vincerne 5 . Quindi punto;
2) è la stessa cosa se 1 , 2, 3 o 4 dei miei compagni giocano. In tutti
questi casi ho assicurato un guadagno netto di 4 franchi (vincita di 5
franchi meno la posta di 1 franco) , poiché ci sono 5 vincitori;
3 ) se giocano altri 5 , siamo in 6 a batterci per 5 posti di vincitori.
Ho quindi 5 possibilità su 6 di vincere 4 franchi (vincita di 5 franchi
meno 1 franco di posta) e una possibilità di perdere la posta, cioè di
ottenere un guadagno negativo o, come diremo piuttosto, una perdita
di 1 franco . In termini statistici la mia "speranza" di guadagno è allora
(5 l 6 ) ( 4) + ( 1 l 6 ) (- 1 ) = 3 ,2. Evidentemente rischio di perdere la
· ·

posta, ma ho forti possibilità di vincere 4 franchi. E verosimile che de­


cida di puntare ;
4 ) se 6 altri giocano la mia speranza di vittoria è allora: ( 5 l 6 ) ( 4 ) + ·

( 2 1 7 ) (- 1 ) = 2 , 6 . Tento;
·

5) se 6 , 7, 8, 10 . . . 1 6 , 1 7 , 18 miei compagni giocano , la mia spe­


ranza di guadagno decresce corrispondentemente ma rimane positiva:
il valore del guadagno eventuale moltiplicato per la probabilità di atte­
nerlo supera il valore della perdita eventuale moltiplicata per la pro­
babilità di subirla. Ho 5 possibilità su 1 9 di guadagnare 4 franchi e 1 4
su 1 9 d i perdere un franco . L a mia speranza di guadagno è
( 5 / 1 9 ) (4) + ( 1 4 / 1 9 ) (- 1 ) = 0 , 3 . Ammettiamo che consideri ragio­
· ·

nevole puntare fin tanto che la speranza di guadagno è positiva: punto


quindi nell'ipotesi in cui il numero degli altri giocatori è uguale a 1 8 .
Se tutti giocano, la mia speranza di guadagno è ancora positiva :
( 5 1 20) (4) + ( 1 5 1 20 ) (- 1 ) = 0,25 . Quindi gioco ."
· ·

Abbiamo dunque a che fare con una struttura della concorrenza


per cui ciascuno, qualunque sia il comportamento degli altri, ritiene

6 L'ipotesi implicita che è stata scelta, secondo cui una speranza di guadagno di un dato
valore è considerata equivalente ad un guadagno sicuro dello stesso valore, costituisce certa­
mente una semplificazione che ha lo scopo di porci nel caso esemplificativo piu semplice. In
effetti generalmente si ammette (cfr. ARROW, Essays in the Theory of Risk-Bearing, North
Holland, Amsterdam 1 9 7 1 ) che l'interesse di una lotteria che dà una speranza di guadagno X,
è per l'individuo equivalente ad un guadagno sicuro dell'ammontare X-h (dove h è positivo). E
evidente che supponendo gli individui indifferenti al rischio ( h = 0) il tasso di frustrazione vie­
ne massimizzato.

132
La logica della frustrazione relativa

che sia suo interesse giocare. Naturalmente ci saranno 1 5 perdenti.


L'esempio simula una situazione di concorrenza per cui ciascun mem­
bro del gruppo si sente giustificato ad entrare in lizza. Niente costringe
i giocatori potenziali ad entrare nel gioco se non l'incentivo dovuto al
fatto che la speranza di guadagno è positiva qualunque sia il numero
dei giocatori. I giocatori investono quindi non costretti ma ispirati dal­
l'interesse individuale razionalmente compreso . Ora, la combinazione
di questi interessi comporta che i tre quarti dei membri del gruppo
escono dal gioco perdenti. La struttura genera una frustrazione collet­
tiva che si può misurare nel numero dei perdenti: nel caso del gioco
precedente, 1 5 individui su 20 rimangono frustrati. Il loro contributo
è stato uguale a quello dei 5 vincitori. N on era meno ragionevole per
costoro giocare di quanto non lo fosse per coloro che se la sono cavata
con fortuna . Questi 1 5 individui non possono fare a meno di adottare i
5 vincitori come gruppo di riferimento e di sentirsi relativamente pri­
vati rispetto ad essi. La struttura genera in questo caso un livello me­
dio di insoddisfazione elevato . Forse contribuisce a chiarire le osserva­
zioni fatte da Stouffer: quando le promozioni sono relativamente nu­
merose ciascuno ha interesse a puntare sulla promozione, ma tutti co­
loro che non vengono promossi (la maggioranza in questo caso) diven­
tano frustrati. La facilità della promozione genera un livello di frustra­
zione globale considerevole .
Il gioco precedente richiama egregiamente alla memoria, in effetti,
il caso degli avieri nella celebre analisi di Stouffer: la struttura del gio­
co offre agli individui delle possibilità oggettive di guadagno - o, se si
preferisce un altro linguaggio , di promozione o di mobilità ascendente
- non trascurabili . Tuttavia per questo suscita un numero eccessivo di
giocatori e di conseguenza una considerevole frustrazione collettiva.
Prima di proseguire oltre introdurrò una nuova parentesi metodo­
logica . Il modello precedente utilizza una versione poco conosciuta
dell' homo sociologicus : i sociologi sono restii ad assimilare l' homo so ­
cio logicus a un individuo calcolatore preoccupato dal perseguimento
del proprio interesse. In effetti il modello non implica in nessun modo
una rappresentazione cosi stretta delle determinanti del comportamen­
to . A costo di appesantire considerevolmente l'esposizione del ragiona­
mento, si potrebbe eliminare dalle ipotesi utilizzate la caratteristica che
può apparire poco realistica. Cosi si potrebbe supporre che gli indivi­
dui sono mossi non solo dall'attrattiva del guadagno ma da altri incenti­
vi (piacere del gioco, per esempio) , che certuni calcolino piu o meno
confusamente il valore della lotteria prima di decidere, ma che altri de­
cidano di partecipare o di astenersi perché credono nella loro buona
stella o al contrario si credono perseguitati dalla scalogna (lascio da parte
il problema posto dall'ipotesi irrealistica dell'eguaglianza tra gli indivi­
dui che, ancora una volta, verrà ripresa in seguito ) . Potrei introdurre
ipotesi sulla distribuzione della frequenza con la quale gli individui deci­
dono il loro comportamento in funzione dei loro interessi. N on sarebbe
allora difficile osservare che, in condizioni generali ( cioè se si suppone

1 33
Effetti "perversi " dell'azione sociale

che mediamente gli agenti sociali abbiano la tendenza a seguire il loro


interesse piuttosto che a evitarlo ) , le conclusioni precedenti restano va­
lide, nel senso che un effetto perverso si manifesterà in ogni modo . La
semplificazione eroica che consiste nell'immaginare un homo sociologi­
cus razionale comporta un vantaggio metodologico considerevole, al­
leggerire l'esposizione e la dimostrazione . Il dare a questa ipotesi una
interpretazione anto logica significa fraintendere assolutamente . Per in­
ciso sottolineiamo che se si introduce l'ipotesi di una minoranza di indi­
vidui che non sono in grado di determinare il loro interesse e decidono
in funzione di sentimenti "irrazionali" (scalogna, caso, ecc . ) , il livello
collettivo di frustrazione presenterà un aumento paradossale .
Simuliamo ora il secondo caso presentato dall'analisi classica di
Stouffer, quello della polizia militare . Qui la promozione è oggettiva­
mente rara. Si può considerare questa circostanza nel modello prece­
dente supponendo che il numero n di vincitori sia uguale non piu a 5
come in precedenza, ma per esempio a 2.7 Cosi la proporzione dei vin­
citori rispetto ai membri del gruppo è solamente 2 su 20. Per il resto
osserviamo i parametri del caso precedente e consideriamo il ragiona­
mento di un membro qualsiasi della polizia militare:
l . Se io, agente Rossi, punto e se non piu di l dei miei colleghi
gioca, ho assicurato un guadagno di 4 franchi.
2. Se due colleghi giocano, ho 2 possibilità su 3 di guadagnare 4
franchi e l possibilità su 3 di perdere l franco . La mia speranza di gua­
dagno è quindi: ( 2 / 3 ) ( 4) + ( 1 / 3 ) ( - 1 ) = 2 ,3 .
· ·

3 . Se 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , 8 , 9 colleghi giocano, la mia speranza di guada­


gno si riduce progressivamente e diventa nulla nell'ultimo caso. Infatti:
( 2 1 1 0 ) . ( 4 ) + ( 8 1 1 0 ) . (- 1 ) = 0 .
4 . Se piu di 9 colleghi giocano, la mia speranza di guadagno è ne­
gativa e la perdita "sperata" tanto piu forte quanto piu grande è il nu­
mero dei giocatori. Cosi per un totale di 1 5 giocatori la speranza di
guadagno dell'agente Rossi è ( 2 / 1 5 ) (4) + ( 1 3 1 1 5 ) ( - 1 ) = - 0 , 3 3 .
· ·

Per un totale di 2 0 giocatori la speranza di guadagno di Rossi è uguale


a: ( 2 / 20) (4 ) + ( 1 8 / 20) (- 1 ) = - 0,50.
· ·

Come si comporterà Rossi? Immaginiamo che non abbia nessuna


informazione sul comportamento eventuale degli altri e che sia allo
stesso modo per tutti gli altri: ciascuno deve quindi decidere se parte­
cipare o meno al gioco in un contesto di solipsismo integrale.' In que-

7 In questo modo si suppone che le possibilità obiettive offerte agli individui siano infe­
riori rispetto al caso precedente. Un altro modo di simulare il deterioramento delle possibilità
oggettive consisterebbe nel ridurre l'ammontare dei guadagni offerti dalla società o dall'orga­
nizzatore dei giochi.
8 Esiste una differenza considerevole tra le due strutture che corrispondono ai nostri due
primi esempi. Nel primo caso, poiché ciascun giocatore ha una strategia dominante, non ha
bisogno di alcuna informazione sul comportamento altrui. Nel secondo caso invece, l'interesse
di Ego per ciascuna strategia possibile dipende dal numero di concorrenti che adotta la stessa
strategia. Se il gruppo considerato fosse· un gruppo faccia a faccia, da questo tipo di struttura
deriverebbe una serie di negoziazioni tra gli attori. Nel caso in cui ci poniamo supponiamo che
gli individui non possano negoziare, anche se per ragioni di semplicità di analisi prevediamo il
caso di 20 individui. Questa situazione è per esempio caratteristica dei comportamenti scola­
stici o di mobilità.

134
La logica della frustrazione relativa

sto caso Rossi e ciascuno dei suoi colleghi constatano che se si trovas­
sero ad essere complessivamente in 1 1 , 1 2 , 1 3 , . . . , 20 a giocare , risul­
terebbe per i perdenti una situazione sgradevole in cui la speranza di
guadagno di tutti è negativa ( speranza di perdita) . Dal solipsismo deve
dunque nascere una sorta di solidarietà: poiché nessuno ha un control­
lo sul comportamento altrui, ciascuno farà ciò che è in suo potere per
giungere ad una situazione in cui il totale dei giocatori non supera il
numero di 1 O .
E importante soffermarsi un attimo su questo punto, poiché , no­
nostante il carattere semplificato del modello, la struttura di interdi­
pendenza che esso genera presenta una grande complessità. Ripeto la
proposizione appena enunciata: "Ciascuno farà ciò che è in suo potere
per fare si che il numero dei giocatori non superi 1 0 . " In realtà, ben­
ché ciascuno abbia interesse a ottenere questo risultato, nessuno può
assumersene la responsabilità, poiché dipende evidentemente dalla
collaborazione di tutti. Tuttavia una tale collaborazione è esclusa per
ipotesi. Immaginiamo che la lotteria simuli una scelta offerta a un pub­
blico di studenti potenziali da parte del sistema scolastico: gli eventuali
giocatori in un caso come questo non possono evidentemente consul­
tarsi. Che fare in una situazione tanto contraddittoria? Se Ego parte dal
principio che ciascuno tenterà la fortuna , ha interesse ad astenersi, ma
tutti possono attenersi a questo stesso ragionamento. Se Ego pensa in­
vece che gli altri si asterranno, ha interesse a giocare, ma tutti possono
ragionare allo st.e sso modo . In realtà , sperando che gli altri si compor­
tino alla stessa maniera, ciò che Ego può fare di meglio è di autoasse­
gnarsi una possibilità su due di partecipare al gioco ! Se tutti agiranno
cosi, il numero dei partecipanti sarà effettivamente limitato ad una
dozzina. Per un effetto interessante, la struttura di interdipendenza co­
stringe i giocatori ad una cooperazione tacita che ho in precedenza
chiamato quasi-solidarietà. A proposito di questo problema si potrebbe
introdurre una considerazione metodologica già introdotta in prece­
denza a proposito di un'altra cosa: il modello fa dell'agente Rossi un

9 In questo caso si può discutere sulla "soluzione" del gioco. Si può difendere la strategia
del maximin. La "soluzione" utilizzata nel testo si basa sulla seguente considerazione: se cia­
scun giocatore utilizza la strategia che consiste nell'assegnarsi x possibilità su N di partecipare
al gioco, nel caso in cui un numero di giocatori superiore a x comporti per ciascuno una spe­
ranza negativa, questa combinazione di strategia rappresenta un equilibrio. Infatti un giocato­
re che abbandonasse unilateralmente questa strategia per darsi una possibilità superiore a x I N
di partecipare al gioco, si darebbe la zappa sui piedi. Nell'esempio x = 10, supponiamo che
tutti i giocatori decidano di attribuirsi una possibilità x / N = 1 12 di partecipare al gioco. La
speranza di ciascuno sarà quindi: 1 / 2 [ (2 / 1 0) 4 + ( 8 1 10) (- 1 ) ] = 0 . Scegliendo unilateral­
· ·

mente di partecipare al gioco, il giocatore riduce la propria speranza perché la somma tra pa­
rentesi diventa negativa. In compenso se tutti i giocatori si assegnano una probabilità p infe­
riore a x I N di partecipare al gioco, ciascuno ha un interesse unilaterale a scegliere un valore
superiore a p . La "soluzione" è naturalmente molto piu difficile da determinare in questo caso
che nel caso precedente, ma occorre sottolineare che la differenza di struttura rispetto al caso
precedente deve comportare una notevole caduta della partecipazione. Se si ammette, come fa
Rapoport, che quando non esistono strategie dominanti per nessuno, e ci si trova invece di
fronte ad equilibri paretiani multipli, la razionalità consiste necessariamente nel minimizzare i
rischi, la partecipazione è nulla. La "soluzione" qui prospettata corrisponde ad una minore
caduta nella partecipazione .

135
Effetti "perversi " dell'azione sociale

calcolatore sottile. E. tuttavia importante cogliere esattamente che l'i­


potesi ha una portata puramente metodologica. In altri termini si tratta
di una caricatura , adottata a fini metodologici, della proposizione piu
realista che consiste nel sottolineare che , in una situazione in cui la
mobilità ascendente è rara, i giocatori potenziali esiteranno maggior­
mente ad investire nella ricerca di una difficile promozione. Ciò facen­
do manifesteranno senza volerlo e forse senza saperlo un comporta­
mento di quasi-solidarietà.
Ritorniamo ora al modello e supponiamo che ciascuno subordinerà
la sua giocata al risultato di un lancio di testa o croce. Supponendo che
Rossi e gli altri utilizzino questa strategia, la speranza di guadagno di
ciascuno sarà allora: ( 1 1 2) ( 0) + ( 1 1 2) [( 2 / 1 0 ) (4) +( 8 / 1 0 ) · (- l )] = O.
· ·

Senza dubbio non si tratta di un risultato brillante , ma è preferibile


a quello che Rossi potrebbe sperare di ottenere decidendo, per esem­
pio, di assegnarsi una probabilità superiore a l l 2 di partecipare al gio­
co; in questo caso il termine tra parentesi quadra diventa negativo ,
poiché il coefficiente 4 sarebbe inferiore a 2 / 1 0 e quello ( - 1 ) superio­
re a 8 l l O . Rossi impone quindi a se stesso e accessoriamente agli altri
una speranza di guadagno negativa.
In breve, si può ammettere che in una situazione come questa, il
comportamento di un giocatore razionale può essere grossolanamente
descritto supponendo che lasci al lancio di testa o croce l'incarico di
decidere la sua partecipazione al gioco . Vi saranno quindi 10 giocatori
(ammettendo per semplificare che j 20 lanci di testa o croce diano 1 0
volte testa e 1 0 volte croce) . 10 Ancora una volta un risultato di questo
genere rappresenta una semplificazione rispetto a quello che sarebbe
osservabile nella realtà, ma nello stesso tempo non manca di realismo:
si osserva spesso che un individuo desideroso di ottenere un bene de­
cide di partecipare al gioco "puntando alla roulette " , se capisce in mo­
do piu o meno preciso che il numero degli individui che desiderano lo
stesso bene rende "aleatorie" le sue possibilità di ottenere quel bene.
Una volta effettuata questa operazione di "auto-selezione " , a livel-

1 0 Ho applicato questo tipo di formalizzazione a problemi di politica dell'educazione (cfr.

il capitolo V) provocando un'interessante reazione da parte di JoN ELSTER, Boudon: Education


and Game Theory, in " lnformation sur !es sciences sociales, Social Science Information,"
1 976, XV, 4 / 5 , 733-740. Il problema sollevato da J on Elster relativo alla legittimità dell'ap­
plicazione della teoria dei giochi alle situazioni di competizione in cui si trovano volenti o no­
lenti centinaia di migliaia di studenti come nel caso della Francia, mi sembra di grande interes­
se e necessiterebbe di considerazioni che non posso sviluppare in questa sede. Naturalmente il
valore assunto da N gioca un ruolo essenziale. Consideriamo per esempio il secondo caso qui
analizzato. Se N è grande, un giocatore non influisce minimamente sulle proprie speranze di
vincita assegnandosi unilateralmente una probabilità di partecipazione al gioco superiore a
x l N. Cosi la strategia di autoeliminazione non è giustificabile se non nel caso in cui N è relati­
vamente piccolo. Lo stesso caso si presenta quando N è grande ma si ha a che fare con un
gruppo latente di tipo federativo nel senso olsoniano. L'insieme degli studenti dell'ultimo an­
no costituisce per esempio un gruppo di questo tipo. Se ho l'impressione che su 20 studenti,
tra cui anch'io, solamente due trarranno vantaggio dall'"investire" per esempio in una classe
preparatoria alla Grande Beole, è probabile che si verificheranno delle strategie di autoeli­
minazione. Il fatto che esista un gran numero di ultime classi non cambia il problema. In altri
termini le conclusioni tratte dagli esempi precedenti possono essere estese a certe condizioni
al caso in cui N è grande.

136
La logica della frustrazione relativa

lo dei l O giocatori si ritrova una situazione analoga a quella esaminata


prima: su l O giocatori 8 usciranno perdenti e 2 vincitori, poiché per
ipotesi 2 individui solamente possono acquisire il premio di 5 franchi.
Riassumendo, il gioco corrispondente al secondo caso, cioè quello
che simula il risultato relativo alla polizia militare in The American Sol­
dier, si conclude nel modo seguente:
l . 1 0 giocatori potenziali non prendono parte alla competizione .
N on guadagnano niente ma non perdono neppure. La loro non parte­
cipazione al gioco è il risultato di una procedura deliberata e regione­
vale. Si è visto che questa astensione può essere interpretata come ri­
sultato della quasi-solidarietà imposta dalla struttura di concorrenza.
2. 2 giocatori puntano e vincono.
3 . 8 giocatori puntano e perdono.
Dal punto di vista della frustrazione, a quali conseguenze conduce
questo risultato? Certamente i due giocatori che vincono non hanno
alcuna ragione di sentirsi frustrati. Per quanto riguarda gli 8 giocatori
che hanno puntato e perso, è probabile che siano tentati di confrontare
la loro sorte con quella dei due vincitori, cioè a considerarli come
gruppo di riferimento: il loro contributo è uguale a quello dei vincito­
ri, la loro retribuzione inferiore. La disparità di trattamento avrà la
tendenza ad essere percepita come illegittima; in questo caso la frustra­
zione è la risposta piu verosimile alla situazione. Il caso dei l O giocato­
ri che si sono astenuti dal giocare e non hanno vinto niente , deve esse­
re considerato a parte. Si tratta di una situazione diversa da quella degli
altri due gruppi di giocatori: il valore nullo della loro retribuzione è la
remunerazione legittima del valore nullo del loro contributo . D'altra
parte la loro astensione è stata descritta come il prodotto di una delibe­
razione . Tuttavia il fatto che l'astensione sia apparsa loro come una ra­
gionevole strategia è l'effetto della struttura di interdipendenza. Essi
possono dunque considerarsi frustrati, tuttavia la frustrazione si ac­
compagnerà senza dubbio ad un sentimento di rassegnazione piu facil­
mente in questo caso che in quello dei giocatori che hanno perso la
loro puntata. Chiamiamo la loro reazione con il termine di frustrazione
rassegnata. Si può concludere che la frustrazione collettiva generata
dalla lotteria è meno elevata in questo caso che in quello dell'esempio
precedente . Piu precisamente, il numero degli individui che verosimil­
mente alla conclusione del gioco proveranno sia un sentimento di fru­
strazione sia un sentimento di ingiustizia che li conduce a negare la le­
gittimità del gioco, sarà senza dubbio inferiore in questo caso che nel­
l'esempio precedente. Ciò può essere ulteriormente riassunto dicendo
che la frustrazione contestatrice sarà meno. frequente nell'ultimo caso.
Notiamo incidentalmente che , nonostante la semplicità delle ipotesi
psicologiche di partenza, il modello genera distinzioni complesse per
quanto riguarda le situazioni in cui gli individui si vengono a trovare
alla conclusione del gioco e perciò nei sentimenti che devono corri­
spondere a queste situazioni. Riassumendo si ha dunque a che fare con
una situazione oggettivamente meno ottimistica della prima per i gio-

137
Effetti "perversi " dell'azione sociale

catori potenziali. Nella prima situazione il numero dei potenziali vinci­


tori era uguale a 5 , nel secondo caso a 2. D'altra parte la prima situa­
zione spinge ciascun giocatore a partecipare, mentre nella seconda per
ciascun giocatore è ragionevole giocare a testa o croce per sapere se
deve partecipare al gioco. La prima situazione genera cosi 1 5 casi di
frustrazione contestatrice nel gruppo di 20 persone, mentre la seconda
origina solo 8 casi di questo tipo. In quest'ultimo caso si ha a che fare
con una situazione comparabile a quella della polizia militare nell'e­
sempio di Stouffer: le promozioni sono piu rare che nell'aviazione , ma
il livello generale di frustrazione che deriva dal sistema di promozione
è inferiore. Piu esattamente la frustrazione contestatrice ha possibilità
inferiori di manifestarsi.
Infine richiamiamo l'attenzione su un'osservazione importante di
carattere metodologico: nei due casi precedenti abbiamo supposto che
gli individui valutino allo stesso modo un guadagno fisso e una lotteria
associata ad una speranza matematica dello stesso valore . In realtà si
ammette spesso che gli individui non sono indifferenti tra una lotteria
e un guadagno fisso se non quando la speranza di guadagno associata
alla lotteria è superiore al guadagno fisso. 1 1 Se si applica questo princi­
pio ai risultati dei due esempi precedenti, si conclude che la nostra
analisi dà in entrambi i casi una stima massima dei tassi di frustrazione .
E: tuttavia importante sottolineare che , qualunque sia l'ip� tesi adottata
sul valore della differenza tra il guadagno fisso e la speranza di guada­
gno (differenza supposta nulla nella nostra analisi) , il tasso di frustra­
zione contestatrice è superiore nel primo caso benché le possibilità og­
gettive degli individui siano maggiori. E: interessante formalizzare ciò
che precede. Supponiamo un gruppo di N persone. Si propone loro di
guadagnare ( eventualmente) B I con una puntata cl (BI > C l ) oppure B2
con una puntata c 2 (Bz > C z ) , con BI > Bz, cl > Cz. Se Bz = c2 = o ci si
ritrova a che fare con i due casi del paragrafo precedente ( cercare di
ottenere BI contro una puntata cl o non prendere parte al gioco ) . Sia
inoltre n1 e n2 il numero dei vincitori rispettivamente di B 1 e B2 ( si
suppone n1 + n2 = N ) . Incidentalmente si può osservare che il fatto di
introdurre la possibilità di valori non nulli per B2 e C2 ha un impatto al
livello dell'interpretazione sociologica piuttosto che al livello formale.
Infatti nel caso in cui B2 e C2 non sono nulli, il gioco torna a proporre
ai giocatori un guadagno addizionale B1 - B2 contro una puntata addi­
zionale C1 - C2, potendo costoro evidentemente astenersi, cioè in que­
sto caso ottenere un guadagno ( addizionale) nullo contro una puntata
(addizionale) nulla .
Quando x1 ( > n1) giocatori puntano C1 , la speranza di guadagno E1
( x1 ) di un giocatore che punta C 1 , è data dalla seguente:
x1 - n1
E1 ( xl ) = (BI - C 1 ) 5. + ( B2 - C 1 ) = ( B I - Bz) 5. + Bz - Cl (l)
� � �

11 Cfr. ARROW, op. cit.

138
La logica della frustrazione relativa

Per quanto riguarda la speranza di guadagno E2 ( x1 ) di un giocatore


che punta C2 quando x1 (> n1 ) giocatori puntano C 1 , essa è data dalla
seguente:
(2)

Cosi quando x1 ( > n1 ) giocatori puntano C 1 , un giocatore ha conve­


nienza a puntare cl piuttosto che c2 se:
E1 ( x1 ) > E2 ( x1 )

oppure:
n1
(B1 - B2 ) + B2 - C 1 > B2 - C2 (3)
xl

Piu semplicemente gli conviene puntare C1 se:


(B I - Bz ) 5. ;;;, c l - c2
xl
oppure:
B1 - B2
;;;, � (4)
c l - c2 ni

Applichiamo questa relazione ai due esempi della sezione prece­


dente. Nel primo esempio B2 = C2 = O. Si propone in effetti ai giocatori
potenziali sia di tentare di guadagnare B I = 5 puntando c l = 1 sia di
'
non giocare . L'espressione ( 4 ) diventa in questo caso:
(5)

In altri termini è ragionevole per un giocatore puntare C1 finché il


rapporto B1 / C1 , che è uguale a 5 / 1 = 5 nell'esempio, è superiore a
x1 l n1 • Poiché x1 non può essere superiore al numero totale dei mem­
bri del gruppo ( N = 20 nel primo esempio) e poiché n1 è uguale a 5 ,
x1 l n1 non può essere superiore a 20 / 5 = 4 . Quindi la struttura dell'e­
sempio è tale che l'ineguaglianza ( 5 ) è sempre soddisfatta per tutti i
possibili valori di xl : quindi è per ciascuno ragionevole puntare c l . 1 2
Nel secondo esempio x1 /n1 è superiore a B1/C1 fin tanto che x1 è
superiore a 1 O poiché n1 = 2. Si ricorderà infatti che la speranza di guada­
gno di un giocat or.e diventa negativa se il numero dei giocatori supera 1 O .
Il vantaggio oella semplice formalizzazione precedente consiste nel
P.ermettere di analizzare piu facilmente le conseguenze del sistema
{ }
B 1 - B 2 ; C1 ..:.. C2; n 1 ; N . Studiamo per esempio le variazioni del livel­
lo di frustrazione globale definito dalla proporzione degli individui che
si trovano nella spiacevole situazione di acquistare all'alto prezzo c l la
parte di minor valore B2. 13 Se l'attrattiva per la parte B1 è considerevole

1 2 Sempre se si suppone �che i giocatori siano desid e rosi di massimizzare la speranza di


guadagno e siano invece insensibili alla struttura della lotteria proposta.
1 3 Nella continuazione del testo ci si limita alla considerazione di ciò che abbiamo chia­
mato la frustrazione contestatrice.

1 39
E/letti "perversi " dell'azione sociale

rispetto alla parte B2, piu precisamente , se la differenza di attrattiva è


molto piu considerevole della differenza nei costi, di modo che:
(B1 - B2 ) / (C1 - C2) > N i n1 , tutti i giocatori potenziali punteranno C1 e
il tasso di frustrazione sarà uguale a (N - n 1 ) l N. Se al contrario
(B1 - B2) l ( C1 - Cz) è uguale a kln1 < N l n1 , il numero degli individui
che punteranno C1 sarà uguale a k e il tasso · di frustrazione uguale a
( k - n1 ) 1 N .
Per studiare la relazione tra la struttura di concorrenza e il fenome­
no della frustrazione, abbiamo costruito due tabelle. La tabella 17 mo­
stra la percentuale l 00 x1 l N di giocatori in funzione del rapporto tra il
vantaggio addizionale eventuale B1 - B2 e il costo della puntata addizio­
nale C1 - C2 da una parte, e la percentuale di vincitori 1 00 n1 I N dall'al­
tra parte . La tabella 1 8 mostra la proporzione dei membri frustrati per
differenti valori del rapporto della puntata ( B I - Bz) l ( c l - Cz) e della
percentuale l 00 n1 l N di vincitori. La tabella mette in evidenza la com­
plessità della dipendenza del tasso globale di frustrazione rispetto, da
una parte, al rendimento (B1 - B2) / ( C1 - C2) per l'individuo di un au­
mento del suo investimento , dall'altra parte, la frequenza delle parti di
livello elevato . Quando l 00 n1 l N l 00, il numero delle parti di valore
=

elevato è uguale a quello dei membri del gruppo . Ciascuno investe C1


e riceve una parte B2• In questo caso nessun membro del gruppo è
frustrato (ultima colonna della tabella) . Quando (B1 - B2) / ( C 1 - C2) = l
(prima riga della tabella) il numero degli investitori è esattamente
uguale a n1 : la prima riga della tabella corrisponde alla situazione in cui
il numero degli individui che scelgono l'investimento C1 corrisponde al
numero delle parti di valore B 1 • In questo caso nessuno dei membri
del gruppo è frustrato poiché il gruppo si spezza in due categorie: ca­
tegoria di quelli che fanno un investimento alto C1 e ricevono una con­
tropartita BI categoria di coloro che fanno un investimento basso c2 e
'
ricevono una contropartita B2• Si sbocca qui in un sistema di stratifica­
zione senza frustrazione relativa.
In tutti gli altri casi una parte dei membri del gruppo risulta fru­
strata . Cosi, quando l'aumento del beneficio è due volte piu rapido
dell'aumento del costo ( seconda riga della tabella) e quando il numero
delle parti di valore B1 è uguale al 30% degli effettivi N (quarta colon­
na della tabella ) , occorre in base alla ( 4 ) , che la percentuale dei gioca­
tori 1 00 x1 1 N sia inferiore a 1 00 ( n1 1 N ) I ( B 1 - B2) / (C1 - C2) cioè in
questo caso l 00 0 , 3 0 2 = 60 affinché i giocatori evitino di avere una
· ·

speranza di guadagno negativa. Ciascun individuo punterà dunque C1


con una probabilità 6 / 1 0 . Perciò 6 individui su 10 punteranno in me­
dia C 1 • Poiché ci sono solo tre parti di valore B1 per l O individui, ne
risulta che 3 individui su l O saranno frustrati.
Il resto della tabella 1 8 può essere ricostituita in modo analogo con
l'applicazione della ( 4 ) .
Quali proposizioni generali è possibile trarre da queste tabelle ?
l . Seguendo le righe della tabella 1 8 verso il basso, si passa succes­
sivamente a situazioni in cui i benefici distribuiti ai membri del gruppo

140
La logica della frustrazione relativa

sono globalmente sempre maggiori. Il tasso di frustrazione cresce con


le speranze suscitate dall'investimento, cioè con il valore di ( B 1 - B2) l
( C 1 - C2) . Si può interpretare questo risultato come l'equivalente for­
male delle considerazioni durkheimiane sul legame tra felicità indivi­
duale e limitazione dei desideri: quando n1 l N è per esempio uguale al
20 % , è preferibile dal punto di vista del tasso generale di frustrazione,
che i benefici ottenuti da un investimento addizionale siano limitati
piuttosto che notevoli.
2. I livelli di frustrazione piu alta corrispondono ai casi in cui parti
di valore elevato sono distribuite a minoranze ristrette .
3 . Parti moderate [ ( B1 - B2 ) 1 (C1 - C2) debole] hanno il vantaggio di
generare un livello moderato di frustrazione a meno che non siano di­
stribuite diffusamente.
4. Si ottengono livelli equivalenti di frustrazione globale quando
parti importanti vengono distribuite con parsimonia o parti meno im­
portanti vengono distribuite in maniera diffusa . Si può per esempio ·
notare che quando 1 00 n1 I N = 3 0 e ( B 1 - Bz) l ( C 1 - C2) = 3 il tasso glo­
bale di frustrazione è 60 e lo stesso livello viene raggiunto quando il
rendimento dell'investimento addizionale è uguale a 7 ma le parti ven­
gono distribuite parsimoniosamente (l 00 n1 l N = l O ) .
5 . I n generale, le curve che corrispondono a gradi di frustrazione
identici presentano un percorso complesso . La comparazione delle ta­
belle 17 e 1 8 (a p . seg . ) mostra in ogni modo l'andamento del fenome­
no: nella regione della tabella corrispondente alla situazione in cui tutti
puntano ( x1 = N ) si ha una progressione lineare del tasso globale di fru­
strazione in funzione inversa del tasso dei vincitori. Questa "base" è
erosa nei punti in cui la costrizione non interviene piu (la "linea spar­
tiacque " è il modo della distribuzione di ciascuna riga della tabella) , e
questa curva di malcontento massimo esprime un equilibrio: rapporto
di sconto = k l probabilità di vincere .
Le due sezioni precedenti forniscono un modello generale che per­
mette di definire formalmente classi di situazioni di concorrenza e di
studiare la proporzione di individui che , in ciascun caso, decidono di
entrare in lizza a questo o a quel livello . L'analisi conferma l'intuizio­
ne ; cioè, nella maggioranza dei casi, le strutture di concorrenza deter­
minano la formazione di giocatori frustrati il cui numero varia con le
caratteristiche della struttura. Il modello precedente è quindi una sorta
di macchina teorica che permette di simulare semplificandole le situa­
zioni di concorrenza piu complesse che si possono incontrare nella vita
sociale . Il modello presenta anche l'attrattiva di fornire una semplice
spiegazione di fenomeni talvolta considerati paradossali che la sociolo­
gia classica sottolinea. Cosi, per esempio, percorrendo le righe 2, 3 o
4 della tabella 1 8 da sinistra verso destra si ottiene una semplice simu­
lazione del famoso esempio di Stouffer: per uno stesso rapporto di in­
vestimento addizionale la frustrazione globale cresce nella misura in
cui i vincitori sono piu numerosi ( almeno fino ad un certo punto) . Il
fatto che la soddisfazione riguardante la promozione sia piu grande in

141
Effetti "perversi " dell'azione sociale

Tabella 1 7 . Percentuale di giocatori


-

in funzione del rapporto tra la puntata e la percentuale di vincitori

Rapporto
scontato Percentuale di vincitori : l 00 �
B B
i - z
=
c l - cz o lO 20 30 40 50 60 70 80 90 1 00

80 90
l o 10 20 30 40 50 60 70 f100
2 o 20 40 60 80 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00
3 o 30 60 90 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00
4 o 40 80 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00
5 o 50 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00
6 o 60 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00
7 o 70 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00
8 o 80 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00
9 o 90 1 00 100 100 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00 1 00
lO o
fiOo 100 1 00 100 1 00 1 00 1 00 100 1 00 1 00

Tabella 1 8 . - Percentuale di frustrati


in funzione del rapporto tra la puntata e la percentuale di vincitori

Rapporto n
scontato Percentuale di vincitori : l 00 rJ
B Bl - Bz
c c � - Cz o lO 20 30 40 50 60 70 80 90 1 00

l o o o o o o o
-
o
- -
o
-
o
__J
r o-
2 o lO 20 30 40 _f5o - 40 30 20 lO o
3 o 20 40 60 f 6o 50 40 30 20 10 o
4 o 30 60 j7_0....J 60 50 40 30 20 lO o
5 o 4o r -8o 7o 60 50 40 30 20 lO o
l
6 o 50 80 70 60 50 40 30 20 lO o
l
7 o 60 l 80 70 60 50 40 30 20 lO o
8 o 70 l 80 70 60 50 40 30 20 lO o
l
9 o 80 l 80 70 60 50 40 30 20 lO o
:..J
r-
lO o 90 80 70 60 50 40 30 20 10 o
:
un sistema in cui questa è rara non ha dunque niente di sorprendente:
in questo caso è irrazionale investire e di conseguenza assurdo lamen­
tarsi di non ottenere i dividendi. In compenso nelle situazioni di con­
correnza in cui è ragionevole investire (frequenti promozioni, notevoli
possibilità di mobilità) , il fatto che i dividendi siano nulli per certuni è

1 42
La logica della frustrazione relativa

necessariamente sentito non solo come frustrante ma come illegittimo:


si può qui riconoscere la nozione di Homans sull'equilibrio tra contri­
buzione e retribuzione . 14 Tuttavia è evidente che le situazioni di con­
correnza che portano, a livello individuale , ad un equilibrio tra contri­
buzione e retribuzione sono situazioni particolari ( i margini della tabel­
la 1 8 ) . N ella maggior parte dei casi, le strutture di concorrenza deter­
minano l'apparizione di eccessi (o di deficienze) nella partecipazione
alla concorrenza. Questi eccessi sono d'altra parte un mezzo normal­
mente utilizzato per selezionare gli individui dal punto di vista dell'in­
teresse collettivo, rimanendo a· carico della collettività il compito di
creare la legittimazione della selezione cosi effettuata.
E interessante domandarsi ora che cosa succede quando gli indivi­
dui non sono piu considerati uguali tra loro e non si considerano tra
loro uguali, come nel caso delle sezioni precedenti, ma possiedono in­
vece delle risorse differenti. Per semplificare immaginiamo che i gio­
chi di concorrenza delle sezioni l e 2 siano proposti a due categorie di
giocatori potenziali che chiamerò i ricchi e i poveri. In altri termini
utilizzo l'ipotesi piu semplice che si può introdurre relativamente alla
struttura del sistema di stratificazione: l'esistenza di due classi sociali.
Per evitare connotazioni esterne, utilizzo dei termini banali. Si può al­
lora im maginare che la differenza nelle risorse si traduca nel fatto che i
poveri manifestano maggiore reticenza nei confronti dell'assunzione
del rischio. Per questo, non sarà loro sufficiente sapere che l'applica­
zione di una certa strategia dà una speranza di guadagno nulla o positi­
va. Essi considerano anche la struttura della lotteria loro offerta . In
questo modo si può immaginare che il valore di una lotteria che dà
loro una speranza di guadagno G, è uguale a G per il ricco e inferiore a
G per il povero, e tanto maggiore sarà il divario quanto maggiore sarà
il rischio di perdere. Qualunque sia la definizione precisa adottata a
questo riguardo, il risultato è che la probabilità che il povero giochi
una puntata alta è inferiore a quella del ricco .
Consideriamo per esempio la struttura:

N = 20

e immagrmamo che ci siano 6 ricchi e 1 4 poveri. Supponiamo che il


ricco stimi che una strategia ha perlomeno lo stesso valore di un'altra
se la speranza di guadagno che le è associata è almeno uguale e che un
povero aggiunga a questa condizione una condizione di tipo massi­
mo-minimo: che la probabilità di perdere non sia superiore a r. Per
fissare le idee immaginiamo r= 40% . Questo significa per esempio che
il povero preferisce la certezza di un guadagno nullo a una lotteria in

14 GEoRGE C . HoMANS, Social Behaviour as Exchange, in "The Arnerican J ournal of So­


ciology", 62 ( 1 9 58), pp. 697-706 . Si veda anche W. G. RUNCIMAN, ]ustice, Congruence and
Pro/essor Homans, in "Archives européens de Sociologie ", VIII, l , 1 1 5-128 e LuciEN KARPIK,
Trois co ncepts sociologiques: le proiet de ré/erence, le status social et le bilan individuel, in
Ibid. , VI, 2.

143
Effetti "perversi " dell'azione sociale

cui avrebbe 50 possibilità su 1 00 di guadagnare 2 franchi e 50 possibi­


lità su l 00 di perderne l . Benché la speranza di guadagno associata alla
seconda strategia sia positiva, si suppone che il povero preferisca la
prima. Analizziamo la struttura in questo caso.
La speranza di guadagno della strategia "investire" (puntare C 1 ) è
positiva per ( 4 ) se al massimo 2 l 3 dei giocatori potenziali prendono
parte al gioco (puntano C 1 ) . I ricchi quindi (se ignorano il comporta�
mento dei poveri) punteranno C1 con una probabilità di 2 1 3 . Conside­
riamo ora il caso dei poveri. Siccome n1 3, la probabilità per un gio­
=

catore di perdere la puntata supera 2 1 5 40% poiché il numero dei


=

giocatori supera 5 . Dalle ipotesi risulta che i poveri punteranno C 1 con


una probabilità 5 l 20 l l 4 . 1 5 Cosi 3 o 4 poveri da una parte e 4 ricchi
=

dall'altra punteranno C 1 • La stratificazione causa i seguenti effetti: l )


attenuare il tasso generale di frustrazione ; 2) determinare effetti di au­
toriproduzione delle classi: i ricchi sono beneficiari di una ritirata rela­
tivamente maggiore dei poveri.
I modelli precedentemente tracciati potrebbero essere complicati
indefinitamente. Nell'attuale fase è probabilmente utile limitarsi a sug­
gerire queste complicazioni.
l . Richiamiamo semplicemente il gruppo di varianti appena abboz­
zate, che si basa sull'ipotesi di una stratificazione preventiva tra gioca­
tori potenziali; tale stratificazione produce una differenziazione degli
atteggiamenti dei giocatori riguardo al rischio .
2 . Un'altra complicazione possibile consiste nel trasformare B1 in
una funzione di n1 : introducendo per esempio l'ipotesi che B1 decresca
con n1 • Questo tipo di ipotesi è senza dubbio utile per simulare i pro­
cessi di concorrenza nell'acquisizione di beni che, come il prestigio,
vedono il loro valore fondersi con il numero delle persone tra cui ven­
gono distribuiti. Questa considerazione suggerisce che la logica della
frustrazione relativa può essere differenziata a seconda della natura dei
beni considerati (prestigio, denaro . . . ) .
3 . Ricordiamo semplicemente come promemoria alcune varianti di
natura piu meccanica, per esempio quella che consiste nel proporre ai
giocatori la scelta tra 3 opzioni: C1 condizione necessaria ma non suffi­
ciente per ottenere B 1 ; C2 condizione necessaria ma non sufficiente
per ottenere B2; C3 condizione necessaria ma non sufficiente per otte­
nere BJ ( con BI > Bz > BJ , c l > c2 > C3) .
4 . Invece di supporre che una puntata C 1 sia la condizione necessa­
ria (ma non sufficiente) per ottenere una parte del valore B 1 , si può
supporre che la puntata C , , dia accesso ad una lotteria caratterizzata da
una certa distribuzione delle parti e la puntata C2 dia accesso ad un
altro tipo di lotteria.
5 . Incidentalmente notiamo anche che il modello fornisce la scalet­
ta logica di un progetto di ricerca di psicologia sociale sperimentale che

1 5 Nell'ipotesi in cui i membri di ciascuna delle due categorie stimino che quelli dell'altra
si comportino analogamente.

1 44
La logica della frustrazione relativa

condurrebbe molto probabilmente a risultati molto interessanti e per­


metterebbe forse di arrivare ad una migliore comprensione dei feno­
meni dell'invidia .
Ho cercato di suggerire che i modelli di concorrenza possono spie­
gare semplicemente effetti che da tempo stupiscono i sociologi. Essi
mostrano egregiamente che il livello di frustrazione globale non è ne­
cessariamente decrescente con la diffusione delle speranze di guada­
gno: il fatto di aumentare le possibilità di promozione di ciascuno può
avere l'effetto di aumentare le attese di promozione ancora piu rapida­
mente. Il vantaggio del modello consiste nel mostrare chiaramente sot­
to quali condizioni cio avviene . I risultati permettono di precisare le
proposizioni intuitive enunciate sotto diverse forme da Tocqueville ,
Durkheim e dagli autori che hanno coniato il concetto di gruppo di
riferimento e di frustrazione relativa: Hyman, Merton, Stouffer.
Il modello conferma l'analisi di Tocqueville sugli effetti dell'atte­
nuazione delle differenze tra gli individui. D'altra parte si tratta sempre
dello stesso fenomeno, quando le differenze di risorse tra gli individui si
attenuano, si osserva un aumento dd numero dei casi di frustrazione
c<;mtestatrice. Insistiamo però sulla clausola limitativa del coeteris pari­
bus : se le distanze tra gli individui diminuiscono, se in altri termini l'e­
guaglianza delle possibilità aumenta, il livello generale di frustrazione ha
tendenza a crescere per effetto del cambiamento ; ma questo effetto può
essere rinforzato o, al contrario , smorzato, come mostra la tabella 1 8 ,
sia quando le possibilità aperte agli individui crescono che quando dimi­
nuiscono. Consideriamo per esempio la riga 8 della tabella 1 8 . Si può
osservare che quando il numero dei vincitori passa dal 1 O al 20 % , il tas­
so di frustrazione passa dal 70 al 8 0 % ; ma quando il numero dei vincito­
ri passa dal 20 al 3 0 % , il tasso di frustrazione scende dall'8 0 al 70% . Se
si combina questo risultato con l'effetto della diminuzione o dell'aumen­
to dell'ineguaglianza delle possibilità, si vede che in teoria si possono
osservare tutti i casi possibili. In altri termini un aumento del numero
dei vincitori o, per passare dal linguaggio della teoria dei giochi a quello
della sociologia, un aumento della mobilità sociale può coincidere sia
con una aumento che con una diminuzione del livello di frustrazione
globale . Lo stesso aumento può coincidere con un livello di frustrazione
globale costante, nel caso ipotetico in cui un aumento della mobilità e
una contemporanea diminuzione dell'ineguaglianza delle possibilità
comportino effetti compensativi a livello della frustrazione collettiva.
Uno dei meriti essenziali del modello è costituito dal fatto che per­
mette di chiarificare lo status logico dei risultati della sociologia classi­
ca ai quali mi sono riferito nel corso dell'articolo. Il modello mostra
per esempio che la proposizione di Tocqueville, secondo cui l'attenua­
zione delle differenze tra gli individui comporta un aumento della fru­
strazione e del confronto invidioso, è vera coeteris paribus. In com­
penso la proposizione che mette in relazione l'aumento della mobilità
con il livello di frustrazione non è valida se non la si presenta come
semplice possibilità: è possibile ( ma non necessario) che l'aumento del-

145
Effetti "perversi" dell'azione sociale

la mobilità provochi un aumento del livello globale di frustrazione . Il


modello presenta cosi un vantaggio doppio; prima di tutto quello di
dissipare interamente il mistero contenuto nel paradosso di Tocquevil­
le: è sufficiente porre degli individui preoccupati di perseguire il loro
interesse e di concorrere ad una lotteria con una determinata struttura,
p er simulare la proposizione di Tocqueville. Inoltre il modello mostra
che si può osservare una relazione di segno negativo tra mobilità e li­
vello generale di frustrazione . Questo non significa che i due fenomeni
siano indipendenti, essi sono al contrario strettamente dipendenti l'u­
no dall'altro, ma il segno della relazione dipende dalle proprietà della
struttura di interdipendenza che lega gli individui.
Naturalmente il modello mostra allo stesso modo che la "legge " di
Durkheim può in certi casi risultare valida ma non in altri. Applicata
all'esempio di Stouffer, l'analisi mostra allo stesso modo che, in altre
circostanze, si potrebbe osservare un'inversione della relazione osser­
vata. Voglio dire che , come mostra il modello, si p ossono incontrare
situazioni in cui le possibilità di promozione inferiori sono associate ad
una maggiore insoddisfazione, cosi come si può incontrare la situazio­
ne descritta da The A merican Soldier in cui le minori possibilità di
promozione sono associate ad una insoddisfazione inferiore. Questo·
non significa che , ancora una volta, le possibilità di mobilità e soddisfa­
zione siano fenomeni senza relazione reciproca, ma solamente che le
strutture di interdipendenza sono diverse nei due casi.
Un corollario importante di queste considerazioni è costituito dal
fatto che è vano domandarsi se , in generale, un aumento della mobilità
o dell'accessibilità ai beni, qualunque sia la natura di questi beni, o del­
l'eguaglianza delle possibilità abbiano l'effetto di aumentare la soddi­
sfazione individuale. Il problema non comporta una risposta generale.
La soddisfazione generale non è certamente un fenomeno aleatorio in­
dipendente dalla posizione sociale dell'individuo e dalle possibilità che
la collettività gli offre, tuttavia il segno della relazione dipende dalle
strutture di interdipendenza.
Le note precedenti sono certamente solo degli abbozzi, ma indica­
no una direzione di ricerca che può rivelarsi fruttuosa. Mostrano che è
possibile costruire una teoria che permette per esempio di mettere in
relazione il tasso di insoddisfazione globale con le caratteristiche delle
situazioni di concorrenza. Mostrano anche che, sulla base di un model­
lo rapidamente abbozzato nell'ultima sezione , è possibile analizzare il
problema della riproduzione delle diseguaglianze e degli handicaps
partendo da un modello "leggero " , cioè un modello che non implica
l'ipotesi costosa e facile , cosi comune presso certi sociologi, secondo
cui la persistenza delle diseguaglianze sarebbe l'effetto dell'oppressio­
ne del gruppo dominante sul gruppo dominato . In generale è possibile
che l'approccio neo-individualista1 6 qui adottato permetta di riproporre
1 6 Riguardo a questo concetto si veda FRANçOis BoURRICAUD, Contre le sociologisme: une
critique et des propositions, in "Revue française de Sociologie ", 1 975, XVI, suppl. pp:
5 83-603 .

146
La logica della frustrazione relativa

certe importanti questioni relative allo studio della stratificazione so­


ciale. I modelli appena esposti definiscono chiaramente i gruppi di ri­
ferimento imposti agli attori dalle condizioni di interazione . Essi con­
ducono alla definizione di tipi di frustrazione e di invidia e includono
implicitamente una teoria dell' invidia che considererebbe questo sen­
timento non tanto la conseguenza di ogni manifestazione di disegua­
glianza, come implicitamente ritengono molti sociologi, ma una rispo­
sta a certe situazioni originate da determinate strutture di interdipen­
denza.
I modelli precedenti potrebbero essere complicati in modo da dare
indicazioni sulla legittimità delle strutture di concorrenza cosi intro­
dotte: se si tratta per esempio di scegliere dei futuri medici, una strut­
tura caratterizzata da ( B I - Bz) l ( c l Cz) l è forse soddisfacente nella
- =

misura in cui minimizza la frustrazione globale. In compenso non è


certamente quella che conduce a selezionare i migliori e piu motivati.
D'altra parte la prospettiva qui adottata mostra che la teoria difesa
da autori come J encks o Easterlin, secondo cui le società industriali
genererebbero un fenomeno di invidia e di frustrazione generalizzato,
è forse inutilmente pessimista. 17 Come suggerisce il presente articolo,
non è scontato che ogni differenza tra due individui generi invidia e
frustrazione . Quanto meno occorre distinguere tra la situazione in cui
due individui ricevono retribuzioni differenti perché offrono contribu­
ti analoghi e la situazione in cui offrono contributi differenti. Non è
provato che le società industriali, migliorando la situazione di ciascu­
no, mantenendo e qualche volta aggravando le differenze relative , sia­
no per questo generatrici di frustrazione . Non è provato, come preten­
de J encks, che la frustrazione globale sia strettamente legata alla di­
spersione della distribuzione dei beni.
Infine il modello ch e abbiamo sviluppato permette di suggerire
che la relazione tra le possibilità oggettive offerte dalla società agli in­
dividui e il livello di soddisfazione collettiva può essere negativa come
pensano Durkheim e Tocqueville. La profonda intuizione dei due au­
tori si oppone, per esempio, alla semplicità della teoria presentata da
Easton: " We c an expect that direct satis/action of demand will at least
generate specific suppor!; and the longer such satisfactions a re felt, the
more likely it is that a h igher leve l of p olitica! go od will deve lop ". 1 "
In realtà i modelli precedenti mostrano che un sistema può comporta­
re un livello di frustrazione debole o nullo solo nell'ipotesi assurda in

1 7 CHRISTOPHER ]ENCKS, Inequality, a Reassessment o! the Effect o/ Family and Schooling


in America, Basic Books, New York 1 972; RrcHARD A. EASTERLIN, Does Money Buy Happi­
ness?, in "The Public Imerese", n. 30, pp. 3-10; si veda anche VrcTOR R. FucHs, Rede/ining
poverty and redistribution o/ income, in "The Public lnterest ", n. 8, estate 1 967, pp. 8 8-95.
Questo articolo è forse il colpo iniziale della dottrina secondo cui esiste una dispersione· massi­
ma sopportabile della distribuzione dei beni.
1 8 DAviD EASTON , A System Analysis o/ Politica! Li/e, Wiley, New York, Amsterdam
1 965 (tr. it. , Il sistema politico, Comunità, Milano 1 973).

147
Effetti "perversi " dell'azione sociale

cui fosse possibile eliminare ogni forma di struttura di concorrenza.


Per il resto il sistema deve essere preparato all'eventualità in cui, es­
sendo riuscito ad aumentare e a rendere piu uguali le possibilità di
tutti, l'udienza diminuisce perché il miglioramento della sorte di tutti
aumenta il livello generale di frustrazione contestatrice .

148
Cap itolo quinto

Effetti perversi e teoria socia le: la teoria di Rawls

Un tema costante di riflessione sulle società industriali consiste in


ciò che chiamerò le utopie programmatrici. Nella loro versione pessi­
mista queste utopie proclamano che le società sono vaste organizzazio­
ni al cui interno i comportamenti individuali sarebbero inevitabilmen­
te programmati. Nella loro versi one ottimistica (si veda per ese·m pio il
libro del sociologo americano Etzioni, The Active Society) si tratta di
co rreggere le società industriali migliorandone la programmazione:
perseguendo una migliore circolazione delle informazioni, perfezio­
nando i meccanismi di retroazione tra le differenti componenti di una
società concepita ancora come un'organizzazione.
Il libro di Rawls, A Theory of J ustice, è di una vivacità intellet­
tuale che spesso manca alle utopie programmatrici. Ricorre ad un'im­
ponente strumentazione analitica, ma si situa esso stesso in una pro­
spettiva che minimizza, nel mutamento socia le, il ruolo degli effetti
perversi che risu ltano immancabilmente dalle istituzioni sociali e prin­
cipalmente dalle libertà individuali. Oggi si riconosce, dopo Rous­
seau, che il costo di eliminazione di questi effetti perversi non è mai
nullo. L'importanza degli effetti perversi nella società è sufficiente a
gettare il dubbio sulle teorie che introducono u n 'assimilazione impli­
cita delle società alle organizzazioni. In effetti la distinzione è essen­
ziale: tutti i comportamenti osservabili all'interno di una organizza­
zione sono piu o meno regolati, so no la conseguenza dei ruoli. In
compenso nella società numerosi tipi di comportamento (quelli che de­
finiscono la sfera del privato) appartengono alla libera scelta indivi­
duale. Ora, gli effetti perversi nascono frequentemente dall'aggrega­
zione di comportamenti di questo tipo, come indicano i capitoli prece­
denti.
Infine Rawls non si rende conto che la giustizia distributiva, che
pretende di definire, comp orta dei costi e che questi costi p osso no esse­
re pagati con una moneta ben conosciuta: la restrizione delle libertà
individuali.
La discussione della teoria di Rawls sulla giustizia ci riporta ad
alcune delle questioni essenziali poste in questo libro: l'aggregazione
delle azioni microsocio logiche genera norma lmente a livello macroso­
ciologico effetti in generale troppo comp lessi per essere comp letamente

149
Effetti "perversi " dell'azione sociale

previsti e abbastanza ambivalenti da lasciare largo spazio ai conflitti


ideologici e politici. E questa la ragione per cui la dialettica ben tem­
perata mi sembra un paradigma generale migliore dell'analisi sociolo­
gica rispetto alla cibernetica.
Lo scritto che segue è una versione rivista di un testo preparato in
occasi one della giornata di studi organizzata da ll'Asso ciazione france­
se di Scienza po litica sulle tendenze recenti della teoria politica (otto­
bre 1 974), pubblicato nella Revue française de Science politique,
vol. XXV, n. 2, 1 975, pp . 1 93 -22 1 . Una conferenza in inglese sul li­
bro di Rawls è stata pubblicata in Contemporary Sociology (marzo
1 976, 5, 2, 1 02 - 1 09) con il titolo A sociologist looks a t Rawls' Theo­
ry of J ustice.

Gli economisti dimostrano certamente che que­


sta armonia si ristabilisce da sola, quando occor­
re, grazie all'aumento o alla diminuzione dei
prezzi che, seguendo i bisogni, stimola o rallenta
la produzione. Tuttavia in ogni caso essa si rista­
bilisce al prezzo di rotture di equilibrio e di in­
quietudini piu o meno prolungate .

EMILE DURKHEIM, La divisione del lavoro


sociale

Benché sia difficile riassumere in poche righe seicento pagine di A


Theory of ]ustice, non è impossibile se si accetta di limitarsi all'essen­
ziale. In effetti la teoria di Rawls sulla giustizia è relativamente sempli­
ce nella sua ossatura. Essa procede ad andamento deduttivo ispirandosi
direttamente ai filosofi contrattualistici: supponiamo degli uomini che
non sanno niente della posizione particolare che sarà loro attribuita
nella società in cui stanno per impegnarsi, essi non conoscono neppure
la generazione a cui appartengono, avendo una conoscenza minima
della natura umana e delle società, provando l'uno nei confronti degli
altri un sentimento fondamentale di neutralità che esclude l'invidia e si
distingue dall'egoismo. Inoltre essi apprezzano "beni primari" come la
ricchezza, il potere, lo sviluppo della personalità, ma non conoscono la
priorità e l'utilità relativa di questi beni. Immaginiamo ora che a que­
sti uomini vengano presentate diverse concezioni della giustizia, cioè
principi che devono presiedere alle scelte delle istituzioni sociali. Se­
condo Rawls la teoria che questi uomini sceglierebbero, preferendola
a qualsiasi altra e in particolar modo a qualsiasi teoria di tipo utilitari­
stico o intuizionista - avrò in seguito l'occasione di precisare il signifi­
cato di questi termini - è quella della giustizia intesa come equità ( ju­
stice as fairness ) : essi esigerebbero prima di tutto che le libertà fonda­
mentali siano distribuite egualmente tra tutti (primo principio ) ; secon­
dariamente che le diseguaglianze sociali ed economiche siano da una

150
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

parte regolate in modo da servire meglio gli interessi degli individui


piu svantaggiati e dall'altra siano abbinate a posizioni e funzioni aperte
a tutti in condizioni di eguaglianza delle possibilità (secondo principio ) .
Senza entrare nel dettaglio della dimostrazione di Rawls m i accon­
tenterò di evidenziare succintamente come certe proposizioni vengano
"dedotte" da postulati relativi alla "posizione originale" (leggi: lo stato
di natura) come viene descritta da Rawls . Cosi, a partire dal momento
in cui si suppongono i contraenti non invidiosi, questi ultimi non han­
no alcuna ragione di considerare l'eguaglianza delle condizioni tra le
loro esigenze . Piu precisamente , poiché sono all'oscuro della posizio­
ne che occuperanno nella società, essi devono preferire un sistema non
egualitario che permetterebbe di assicurare a ciascuno una quantità di
beni primari almeno uguale a quella di un sistema egualitario in cui tut­
ti avessero una certa quantità di "beni primari" .
L'eguaglianza delle possibilità di occupazione si "deduce" in modo
analogo: poiché non conoscono le loro inclinazioni e talenti, sapendo
solo che esistono delle diseguaglianze naturali tra gli uomini, e d'altra
parte accettando la diseguaglianza delle condizioni purché ne risulti un
beneficio collettivo che torni a beneficio di ciascuno, i contraenti am­
mettono il principio della concorrenza per l'accesso agli impieghi. Essi
tuttavia non possono ammettere che il risultato della concorrenza sia
predeterminato dai talenti naturali, poiché, in questo caso, dovrebbero
considerare l'eventualità di essere destinati ad una condizione inferiore
se i loro talenti sono modesti. Se si suppone che i contraenti per pru­
denza si pongano su questa ipotesi pessimistica, se ne deduce che cia­
scuno dovrebbe allora considerare le posizioni sociali migliori come
destinate agli altri. In questo caso sarebbe loro impossibile, poiché
non sono altruisti, ammettere il principio di una diseguaglianza delle
condizioni. Si conclude quindi che l'accettazione della diseguaglianza
delle condizioni implica la realizzazione dell'eguaglianza delle possibili­
tà, cioè la neutralizzazione degli ostacoli che possono impedire l'egua­
glianza delle condizioni di concorrenza. Cosi non può essere dedotto
nessun limite all'eguaglianza delle possibilità dalle premesse contenute
nella descrizione della situazione originale.
N on nascondo che il riassunto appena presentato di certi punti essen­
ziali della teoria di Rawls è superficiale e non rende conto della sua ric­
chezza. E tuttavia sufficiente alla comprensione delle obiezioni seguenti.
Queste obiezioni, che mi conducono, come si vedrà, ad un disac­
cordo profondo con Rawls, sono di due tipi. Le prime sono di natura
logica. Non mi sembra che la laboriosa "deduzione '' alla quale si affida
l'autore di A Theory o/ ]ustice ci faccia avanzare di un passo al di là
dell'assioma che egli pone come punto di partenza. La "situazione ori­
ginale" di Rawls mi sembra a questo riguardo meno feconda dello sta­
to di natura dei contrattualisti classici. La seconda serie di obiezioni è
attinente alla sociologia. Allo stesso modo in cui il mito rousseauiano
dell'uomo selvaggio conduce ad una grammatica generatrice della giu­
stizia sociale, cosi la situazione originale di Rawls e la teoria che ne

151
Effetti "perversi " dell'azione sociale

deriva sbocca in una teoria della legittimità delle istituzioni . A riguardo


tuttavia Rawls deve ancora ammettere la superiorità di Hobbes e di
Rousseau. Non credo che la teoria di Rawls sulla giustizia ci permetta
di comprendere meglio i sentimenti di legittimità o di illegittimità evo­
cati dalle istituzioni delle società a cui egli in primo luogo si interessa,
cioè le società industriali a regime liberale .
L'approccio generale di Rawls è quindi identico a quello di Rous­
seau: si tratta in entrambi i casi di dedurre i termini del contratto dalle
caratteristiche dello stato di natura. Tuttavia, e questo è un punto an­
cora piu importante tanto piu che Rousseau è citato solo in modo mar­
ginale in A Theory of ]ustice, il contraente di Rawls assomiglia come
una goccia d'acqua all'"uomo selvaggio" del Discorso sull'origine della
diseguaglianza. Come quest'ultimo è buono (né invidioso né malevo­
lo), nutre nei confronti del suo simile un sentimento di neutralità in­
differente, possiede una conoscenza rudimentale della natura umana e
delle società. Si ritrova anche in Rawls, tradotto in un linguaggio mo­
derno, l'ordine lessicografico introdotto dal Discorso tra l'istinto di
conservazione dell'lo e l'istinto di conservazione della specie. Questo
doppio istinto corrisponde testualmente al sentimento di altruismo li­
mitato ( limited altruism, p. 1 4 6 ) che Rawls assegna ai suoi contraenti,
distinguendoli cosi dall'egoista homo oeconomicus.' Il punto principale
per cui il contraente di Rawls e l'"uomo selvaggio " di Rousseau si di­
stinguono è che il secondo si suppone appartenga ad un mondo di ab­
bondanza, mentre il primo si trova ad avere a che fare con una società
di scarsità moderata ( moderate scarcity ). A questa nozione di scarsità è
naturalmente associato il principio che i contraenti, a questo riguardo
ben poco rousseauiani, preferiscono disporre di una quantità maggiore
piuttosto che minore di beni fondamendali.
L'assiomatica dell"'uomo selvaggio " doveva rivelarsi di una enor­
me fecondità: ha permesso a Rousseau di abbozzare la teoria di ciò che
oggi verrebbero chiamati sistemi di azione collettiva. Richiamiamo alla
mente la battuta di caccia del secondo Discorso : due uomini si incon­
trano e decidono di cooperare in una battuta di caccia al cervo ; uno dei
due, mentre è appostato in attesa del cervo, vede una lepre e abbando­
na la vigilanza; risultato: da una parte un cacciatore rimane a mani vuo­
te, dall'altra il bottino è magro . 2 L'aneddoto è una illustrazione del ce-

1 " riflettendo sulle prime piu semplici operazioni dell'anima umana, io credo di scor-
••• ·

gervi due principi anteriori alla ragione di questi, uno suscita in noi vivo interesse per il nostro
benessere e per la nostra conservazione ; l'altro ci ispira una ripugnanza materiale a veder mo­
rire o soffrire ogni essere sensibile, e principalmente i nostri simili. Mi pare che dal concorso
e dalla combinazione che il nostro spirito può fare di questi due principi, senza dover ricorrere
a quello della socievolezza scaturiscono tutte le norme del diritto naturale." Discours sur l'ori­
gine et les /ondements de l'inégalité parmi les ho mmes, citato dall'edizione delle opere comple­
te di }EAN-}ACQUES RoussEAU, Le Seui!, Paris 1 9 7 1 , tomo II, p. 2 1 0 (tr. iL in Scritti politici,
Laterza, Bari 1 9 7 1 , vol. l , p. 134). E evidente l'ordine lessicografico dei due principi dal pas­
saggio seguente: " . . . e finché (l'uomo) non resisterà all'intimo impulso della pietà, non farà mai
del male a un altro uomo e nemmeno ad alcun essere sensibile , salvo il legittimo caso in cui,
essendo in gioco la sua conservazione, si trovi costretto a dare la precedenza a se stesso . "
( lbid., p . 1 34 ) .
2 Discorso . . . , c it .

152
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

lebre "dilemma del prigioniero" in cui ciascuno dei partners ha inte­


resse a tradire unilateralmente l'altro, ma cosi facendo ciascuno ottiene
una retribuzione inferiore all'optimum di Pareto che sarebbe stato rag­
giunto con la collaborazione . Da ciò si comprende che la cooperazione
tra individui liberi di ritirarsi unilateralmente dal contratto può fallire
anche quando ciascuno ha vantaggio nel cooperare . Si tratta di una sco­
perta considerevolmente importante, poiché dimostra che può essere
necessario costringere gli uomini alla cooperazione quando si suppone
che essi effettivamente desiderino seguire il loro interesse e siano co­
scienti del vantaggio della cooperazione. Questo teorema che rappre­
senta il fondamento stesso del contratto sociale ha ricevuto una consi­
derevole attenzione nella moderna teoria dell'azione collettiva. 3
Tornerò in seguito su questo punto. Per ora il mio obiettivo si li­
mita a voler mostrare che l'assioma dell"'uomo selvaggio " ha condotto
Rousseau a scoperte la cui originalità è meglio valutata comparando il
contratto rousseauiano al contratto hobbesiano tendente, quest'ultimo
a ridurre i costi sociali del conflitto e della rivalità , il primo invece a
rendere possibile la cooperazione nel caso singolare e contemporanea­
mente fondamentale in cui la cooperazione fallisce anche quando è in­
teresse di ciascuno cooperare e nessuno prova sentimenti di ostilità o
di rivalità nei confronti degli altri. La dettagliata discussione che Rous­
seau porta avanti nel Disco rso sull'assioma di Hobbes, mostra chiara­
mente che la critica fondamentale mossa a quest'ultimo consiste nel
fatto di supporre lo stato di natura come caratterizzato essenzialmente
dall'opposizione di interessi individuali.'
Malgrado la parentela tra l'assioma di Rawls e quello di Rousseau,
non credo che il primo abbia la stessa fecondità del secondo o almeno
che Rawls abbia saputo trarre dal suo assioma conseguenze altrettanto
fondamentali di quelle di Rousseau. Infatti la teoria della giustizia che
è "dedotta" da questo assioma non mi sembra realmente conseguente .
Sospetto persino che i principi della teoria della giustizia non possano
essere ottenuti se non a condizione di completare l'assioma della posi­
zione originale con . . . i principi che si pretende di dedurre . Rawls ci
lascia infatti la scelta tra due possibilità: prendere il suo assioma come
oro colato e sforzarsi, a mio avviso inutilmente, di capire come i
principi di giustizia ne vengano dedotti, oppure completare l'assioma
in modo adeguato con la difficoltà che in questo caso . diventa arduo
distinguere i principi dalle conseguenze e quindi comprendere l'inte­
resse di un approccio in apparenza solamente deduttivo.
A riguardo mi accontenterò di mostrare che una componente es-

3 Se Rousseau è il primo ad avere sottolineato l'importanza del caso che fu poi chiamato
"dilemma del prigioniero", non è stato il primo ad averlo identificato: nella Guerra del Pelo­
ponneso, Pericle cerca di convincere gli Ateniesi a rientrare in guerra contro la potente confe­
derazione di Lacedemone, facendo loro osservare che, in mancanza di un consiglio esecutivo,
ciascun confederato conta sugli altri per servire gli interessi comuni, sentendosi principalmen­
te coinvolto per i propri interessi personali (TuciDIDE, Oeuvres complètes, Gallimard, Col!. de
la Pléiade, p. 7 8 3 ; tr. it. , La guerra del Peloponneso, Guaraldi, Milano 1 974) .
4 Cfr. Discorsi . . . , cit. , pp. 1 6 1 - 1 6 2.

153
Effetti "perversi " dell'azione sociale

senziale della teoria di Rawls sulla giustizia, il principio di indifferenza,


non deriva assolutamente dall'assioma della situazione originale . ' Que­
sto principio corrisponde alla prima metà del secondo principio di giu­
stizia secondo cui le diseguaglianze devono essere combinate in modo
da servire l'interesse del piu sfavorito . Per distinguerlo da altri tipi di
principi distributivi, è utile servirsi della presentazione grafica di
Rawls. Immaginiamo che si voglia descrivere il modo in cui un bene
fondamentale viene distribuito nella società. Si può per questo utilizza­
re un sistema di coordinate rettangolari rispetto alle quali vengono se­
gnate le parti che corrispondono ad individui appartenenti a classi so­
ciali differenti. N el caso piu semplice si utilizzano due assi e si riporta
in ascissa e in ordinata la parte spettante rispettivamente a un rappre­
sentante della classe meno favorita e a un rappresentante della classe piu
favorita. Il fatto di considerare un "rappresentante" di ciascuna classe
piuttosto che le classi nel loro insieme ha il vantaggio di eliminare la
complicazione derivante dalle differenze negli appartenenti alle classi,
differenze che non sono conosciute dal contraente posto sotto il "velo
di ignoranza" caratteristico della posizione originale.
Cosi, il punto A (figura 2) indica una ripartizione per cui il rappre­
sentante della classe meno favorita dispone di una parte del bene fon­
damentale misurato sull'ascissa di A, mentre il rappresentante della
classe piu favorita dispone di una parte misurata sull'ordinata di A .

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Classe sfavorita

Fig. 2. - Ripartizione del bene fondamentale tra un rappresentante della classe


favorita e un rappresentante della classe sfavorita.

s BRIAN BARRY, Tbe Libera! Theory o/ ]ustice, a Critica! Examination o/ the Principal
Doctrines, in }OHN RAwr.s, A Theory o/ ]ustice, Claserdon Press, Oxford 1 973. L'autore ha
fornito un'analisi minuziosa della teoria di Rawls in cui pone in evidenza una serie di contrad­
dizioni che naturalmente non posso riportare in questa sede. Si veda anche , tra i numerosi
commenti ispirati dal libro di Rawls: DouGLAS RAE, Rawls, dif!erence principle and an alterna­
tive, Yale University, Department of Politica! Science, ciclostilato. RoBE RT NrsBET, The pursuit
o/ equality, in "Public lnterest ", primavera 1 974, pp. 1 02- 1 20.

154
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

Soffermiamoci ora sull'argomentazione con cui Rawls pretende di


dedurre il principio di indifferenza dall'assioma della posizione origina­
ria. Poiché si suppone che i contraenti non siano invidiosi, la maggiore
o minore eguaglianza nella distribuzione non permette di determinare
le relazioni di preferenza o di indifferenza tra situazioni ipotetiche. Si è
supposto d'altra parte che i contraenti siano nell'ignoranza della posi­
zione che verrà loro attribuita alla fine nella società nella quale essi si
impegnano . Infine essi sanno che questa società è caratterizzata da una
situazione di relativa scarsità e che essi stessi desiderano disporre di
una maggiore piuttosto che minore quantità di beni fondamentali ( p ri­
mary goods ) . "
S i comprende facilmente che i contraenti nella situazione originale
preferiscano B ad A ( fig. 2 ) . B corrisponde ad una distribuzione meno
egualitaria di A, ma, non essendo invidiosi, dimenticano questo punto
e considerano solo che , qualunque sia la loro futura posizione, anche
se essi appartengono alla classe piu favorita o a quella piu sfavorita, la
loro sorte sarà migliore in B . Se una società può realizzare gli stati A e
B, essi preferiranno B ad A, anche se la distribuzione B è meno eguali­
taria . Nel linguaggio della teoria dei giochi, B è una strategia dominan­
te: qualunque sia la loro futura condizione, cioè sia che essi siano de­
stinati alla classe piu favorita o a quella meno favorita , il loro premio
sarà maggiore se scelgono la distribuzione B. Come il lettore ha nota­
to, ho supposto nel grafico della figura 2 che due distribuzioni sono
egualmente diseguali quando il rapporto tra la parte a favore del rap­
presentante della classe piu favorita e quella a favore del rappresentan­
te della classe meno favorita è lo stesso. In questo modo tutti i punti
della retta 00 · sono considerati rappresentanti di analoghi gradi di
diseguaglianza.
Confrontiamo ora le ripartizioni A e C: se il contraente si identifica
con l'individuo piu favorito , deve preferire A a C . Se si identifica con
l'individuo piu sfavorito, deve invece preferire C ad A. Tuttavia sap­
piamo che, non conoscendo la sua futura posizione, non può identifi­
carsi né con l'uno né con l'altro . Non conoscendo ne ppure le propor­
zioni di individui che appartengono alle due classi, è incapace di calco­
lare e di confrontare le speranze corrispondenti ai duè stati A e C. In
questa situazione di massima incertezza, come afferma Rawls, la sola
strategia ragionevole consiste per il contraente nel minimizzare i rischi
che incontra, cioè nello scegliere la situazione che gli assicura in ogni
caso una massimizzazione dei minimi. Da questo punto di vista C è
preferibile ad A poiché il maximum minimorum, maximin, per indicar­
lo in forma abbreviata, corrisponde a C . Il contraente preferirà quindi
C ad A.
Credo che si possa essere convinti dal ragionamento, anche se, co­
me giustamente ha sottolineato Barry, i teorici dei giochi non sono di-

6 La definizione di "beni fondamentali" nel quadro della teoria di Rawls pone una serie
di importanti problemi molto bene trattati da BRIAN BARRY, op. cit.

155
Effetti "perversi " dell'azione sociale

sposti ad ammettere facilmente che la strategia del maximin è necessa­


riamente preferibile a qualsiasi altra nel caso in cui l'incertezza sulle
probabilità legate alle differenti retribuzioni possibili è massima. In
ogni modo il contraente si assumerebbe un considerevole rischio uti­
lizzando per esempio la strategia talvolta consigliata nelle situazioni di
scelta in condizioni di incertezza in cui le probabilità di appartenere a
ciascuna classe sono uguali. Il contraente si assumerebbe un rischio an­
cora piu grande adottando la strategia del maximin difesa da Barry .
Certamente è possibile ipotizzare situazioni in cui il maximax è
manifestamente una strategia migliore del maximin in condizioni di in­
certezza. E vero che , ignorando le prossime condizioni del tempo,
posso ragionevolmente uscire senza ombrello e giocare cosi il maxi­
max ( se non piove e se non sono impacciato dall'ombrello, sarò soddi­
sfatto) invece del maximin (se non piove sarò impacciato dall'ombrel­
lo , ma se piove mi riparerò ) . Ma il carattere "futile" degli esempi
proposti da Barry mostra soddisfacentemente che la strategia del maxi­
max e in generale ogni strategia che implica un maggiore grado di otti­
mismo rispetto alla strategia del maximin, è difficilmente difendibile
nel caso in cui, come in quello di Rawls, il contraente gioca le sue con­
dizioni di esistenza.
Ammettiamo quindi che sia perfettamente deducibile dall'assioma
della situazione originaria che i contraenti devono preferire B ad A e ,
in funzione d i differenti considerazioni, C ad A. Sottolineo i l pezzo di
frase precedente, poiché, mentre la preferenza di B rispetto ad A vie­
ne direttamente dedotta dall'assioma, lo stesso non avviene per la pre­
ferenza di C rispetto ad A, che suppone la proposizione supplementare
che, in assenza di una strategia dominante, il maximin rappresenti la
strategia ottimale nel caso in cui la decisione debba essere presa in
condizioni di massima incertezza.
Tuttavia se Rawls può essere seguito fin qui, mi sembra impossibi­
le poter ammettere, come egli fa, l'indifferenza dei contraenti tra B e
C appoggiandosi sull'assioma della situazione originaria . Effettivamen­
te, qualunque siano le probabilità di appartenere rispettivamente alla
classe piu favorita o alla classe meno favorita, il contraente che deside­
ri una maggiore quantità di beni fondamentali rispetto ad una quantità
inferiore, deve preferire B a C . Se egli è destinato ad appartenere alla
classe meno favorita, avrà la stessa parte nei due casi. Se è de stinato
alla classe piu favorita, gli è garantita una parte maggiore se la società
assicura la distribuzione B. A causa dell'assioma della situazione origi­
naria, B e C non possono quindi appartenere alla stessa curva di indif­
ferenza, B, al contrario, deve essere preferito a C. In altri termini non
si riesce a capire perché il contraente regolerebbe le proprie preferen­
ze sulla strategia del maximin quando dispone di una strategia domi­
nante.
Su questa proposizione tuttavia si fonda il principio di indifferenza:
i contraenti preferiscono la distribuzione rappresentata dal punto B o
dal punto C alla ripartizione corrispondente al punto A ; in compenso

156
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

sono indifferenti tra B e C poiché queste due ripartizioni non si distin­


guono dal punto di vista della parte riservata all'individuo piu sfavori­
to. Da qui l'andamento delle curve di indifferenza che compaiono in
figura 2: fin che si considerano distribuzioni in cui l'individuo, la cui
parte è posta in ordinata, è privilegiato rispetto all'altro, cioè le distri­
buzioni che appartengono allo spazio compreso tra l'asse delle ordinate
e la semiretta che forma con essa un angolo di 45° , vi è indifferenza
dei contraenti tra due punti situati su di una parallela all'asse delle or­
dinate e preferenza per ogni punto la cui distanza dall'asse delle ordi­
nate è maggiore di quella di un punto dato . Naturalmente quando l'in­
dividuo, la cui parte è posta in ascissa, è il meno favorito ( ripartizione
appartenente allo spazio compreso tra l'asse delle ascisse e la semiretta
inclinata di 45° ) , le curve di indifferenza sono parallele all'asse delle
ascisse.
Come è possibile uscire dalla contraddizione tra l'assioma e il prin­
cipio dell'indifferenza? A questo riguardo il testo di Rawls contiene
qualche suggerimento che conviene esaminare. Egli precisa che i con­
traenti non sono invidiosi quando le diseguaglianze non superano certi
limiti: "Egli [il contraente] non si dispiace di sapere o di constatare che
altri hanno una quantità maggiore di beni sociali primari. Questo è ve­
ro almeno fin tanto che le differenze . tra lui e gli altri non superano
certi limiti e fin tanto che non crede che le diseguaglianze esistenti so­
no fondate sull'ingiustizia. " 7 In questo modo l'invidia appare al di là di
un certo grado di diseguaglianza. Si può quindi supporre che l'indiffe­
renza tra B e C sia dovuta al fatto che B rappresenta un grado di dise­
guaglianza posta al di là di questa soglia: secondo questa ipotesi il van­
taggio che il contraente otterrebbe scegliendo B , che ,neL caso piu sfa­
vorevole gli assicura la stessa quantità di beni fondamentali di C , sareb­
be annullato dall'invidia che proverebbe se appartenesse alla classe sfa­
vorita. Tuttavia, oltre al fatto che è difficile dare una espressione preci­
sa a questa ipotesi di compensazione , essa non è compatibile con il
principio di indifferenza. In effetti il problema implica che differenti
curve di indifferenza vengano tracciate per descrivere due ripartizioni
tra cui il contraente sarebbe indifferente. In questo modo si può im­
maginare che il tasso di diseguaglianza a cui corrisponde la distribuzio­
ne A ' , sia tale che A ' e C siano percepiti come indifferenti. Facendo
ciò tuttavia si arriva di nuovo ad una contraddizione poiché A ' e C so­
no posti su curve di indifferenza diverse. D'altra parte occorre sottoli­
neare che , secondo il testo citato, l'invidia compare solamente quando
la diseguaglianza supera un certo limite . Di conseguenza è sempre pos­
sibile trovare due punti distinti posti sulla stessa curva di indifferenza,
rappresentanti ambedue distribuzioni che giacciono al di qua della so­
glia di apparizione dell'invidia e tali per cui uno di essi deve essere pre-

7 "H e [ the contractant] is no t downcast by the knowledge or perception that others h ave
a larger index of primary social goods. Or at least this is true as long as the differences be­
tween himself and others do not exceed certain limits and he does not believe that the exist­
ing inequalities are founded on injustice. " (]. RAwLS, op. cii . , p. 145 . )

1 57
Effetti "perversi " dell'azione sociale

ferito all'altro in base all'assioma della posizione originale . Supponiamo


per esempio che C e c · abbiano questa proprietà. In questo caso, in
base all'assioma, C · deve essere preferito a C, perciò il principio di in­
differenza pone i due punti sulla stessa curva di indifferenza.
Il testo citato in precedenza suggerisce anche un altro modo di
uscire dalla contraddizione . In base al testo, l'invidia comparirebbe se
la diseguaglianza supera un certo limite o se, ipotesi alternativa, il con­
traente percepisce le diseguaglianze come fondate sull'ingiustizia. E al­
lora possibile immaginare che le distribuzioni B e C siano giudicate in­
differenti perché B è percepito come una situazione di ingiustizia ? Se
l'ipotesi non fa altro che reintrodurre un meccanismo di compensazio­
ne tra l'ingiustizia di una distribuzione e le speranze a cui è associata , si
ricade nelle difficoltà precedenti. Se essa implica che i contraenti si
chiedano prima di tutto se due distribuzioni siano ugualmente giuste
prima di determinare la loro preferenza, allora si determinano due ca­
si: o B e C sono percepiti entrambi giusti e B viene preferito a C
poiché è associato a maggiori speranze, oppure B è considerato come
ingiusto rispetto a C e C viene preferito a B. Di nuovo sembrerebbe
impossibile dedurre l'indifferenza dei contraenti tra B e C .
In altri termini, anche tenendo conto delle sfumature apportate da
Rawls all'assioma della situazione originaria, è impossibile dedurre
questo pezzo essenziale della teoria della giustizia che è rappresentato
dal principio dell'indifferenza. Piu curiosamente ancora, non si vede
come l'indifferenza dei contraenti tra B e C possa essere compatibile
con la nozione secondo cui le diseguaglianze devono essere regolate in
modo da servire gli interessi della classe meno favorita. Infatti se una
società può realizzare sia la distribuzione B che la distribuzione C, dan­
do B e C una parte analoga al rappresentante della classe sfavorita, la
maggiore diseguaglianza di B non è giustificata . Di nuovo non si com­
prende perché B e C siano considerati indifferenti in contraddizione
con la proposizione secondo cui le diseguaglianze devono essere rego­
late in modo da servire il piu sfavorito.
A dire il vero, il solo modo di superare queste contraddizioni mi
sembra che sia quello di supporre una identificazione del contraente
posto nella situazione originaria con il rappresentante della classe me­
no favorita. Naturalmente una identificazione di questo genere rende
inutile una buona parte del libro di Rawls e riduce la "deduzione " del
principio di indifferenza ad una ripetizione banale . Confesso tuttavia di
non vedere nessun altro modo per riconciliare l'assioma della posizio­
ne originaria con il principio di indifferenza. Aggiungo che una delle
ragioni a piu riprese avanzate da Rawls per preferire il principio d'in­
differenza all"'utilitarismo classico" (teoria secondo cui l'interesse ge­
nerale è soddisfatto dalla massimizzazione della quantità totale dei be­
ni) mi sembra anch'essa in contraddizione diretta con il suo assioma.
L'utilitarista, egli argomenta, preferisce B a C perché B corrispon­
de, qualunque sia la distribuzione degli individui tra classe favorita e
classe sfavorita, ad una maggiore quantità totale di beni fondamentali.

158
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

Come egli tuttavia sottolinea, supporre , che il contraente sia sensibile


alla quantità totale dei beni distribuiti, significa sia attribuirgli lo statu­
to di un osservatore esterno e farlo quindi diventare giudice dove inve­
ce è parte in causa, sia considerarlo altruista, cioè sensibile alla parte
che spetta agli altri come a quella che spetta a lui stesso. Inoltre la pro­
spettiva utilitarista ha lo svantaggio di supporre risolto il problema del­
la comparazione interpersonale delle utilità. L'argomento è valido se si
considerano due distribuzioni D ed E ( fig. 2) situate su una retta tale
che la somma dei beni che spettano alle due classi è costante ( non ten­
go conto in questo caso dell'ipotesi di convessità generalmente intro­
dotta dagli utilitaristi): l'indifferenza dell'utilitarista classico tra questi
due punti suppone effettivamente un contraente altruista e identifica­
bile con un osservatore esterno. In compenso l'argomento è specioso
quando si confrontano le distribuzioni B e C della fig. 2. In questo
caso il contraente, caratterizzato da una indifferenza neutrale nei con­
fronti degli altri, desideroso di ottenere una quantità maggiore piutto­
sto che inferiore di beni fondamentali, deve preferire B a C , anche se
il velo di ignoranza gli impedisce di sapere in precedenza la condizione
che la società gli riserva.
Mi sembra in sostanza che le curve di indifferenza di Rawls siano il
compromesso difficilmente ammissibile tra due conseguenze contrad­
dittorie dedotte da un assioma mal esplicitato . Poiché i contraenti non
sono invidiosi e preferiscono una quantità maggiore piuttosto che mi­
nore di beni fondamentali, devono preferire B a C . Tuttavia d'altra
parte, se B e C sono realizzabili con la stessa probabilità, C deve essere
preferito a B poiché le legittime diseguaglianze sono quelle che torna­
no a vantaggio dei meno favoriti. E. forse questa la contraddizione che
ha spinto Rawls a porre l'indifferenza dei contraenti tra B e C e ad
introdurre le curve di indifferenza caratteristiche del secondo principio
di giustizia .
In effetti l'assioma di Rawls avrebbe dovuto condurre ad una defi­
nizione di razionalità simile a quella che si ritrova in certi teorici dei
giochi8 : date due distribuzioni di cui una costituisce una strategia domi­
nante, sembra che i contraenti debbano scegliere questa distribuzione,
ammesso che essi provino le passioni che derivano loro dall'assioma
della posizione originaria. D'altra parte la strategia del maximin è defi­
nibile quando due distribuzioni sono tali che non esiste una strategia
dominante . Invece, in contraddizione con il suo assioma, Rawls am­
mette che i contraenti adottano il maximin anche in presenza di una
strategia dominante.
Per ragioni di spazio mi è impossibile procedere oltre nella critica
della coerenza interna della teoria di Rawls. Le precedenti obiezioni
mi sembrano mostrare sufficientemente che la sua ambizione di creare
una geometria morale porta al fallimento: la preminenza accordata al

8 Cfr. per esempio ANATOL RAPOPORT e MELVIN GuYER, A Taxonomy o/ 2 x 2 games, in


"Generai Systems", Xl, 1 96 6 , pp. 205-2 1 4 .

159
Effetti "perversi " dell'azione sociale

meno favorito nel secondo principio di giustizia, non solo non viene
dedotta dall'assioma della posizione originale; ma sembra addirittura in
contraddizione con esso . Si è dunque obbligati ad ammettere che il se­
condo principio di giustizia deriva da una teoria di tipo "intuizionista"
in contraddizione con le stesse ambizioni di Rawls . In ogni modo que­
sto fallimento non toglie niente all'originalità e all'audacia del progetto
che spiegano e giustificano al tempo stesso la perseveranza di Rawls
nell'impresa e il vasto interesse che ha saputo suscitare .
Nella seconda parte di questo capitolo porrò alcuni problemi sul­
l'altro aspetto del progetto di Rawls: costruire una grammatica genera­
trice della legittimità delle istituzioni sociali, cioè uno strumento che
permetta di distinguere le istituzioni giuste e legittime dalle istituzioni
formate male o illegittime . Come si vedrà il risultato su questo punto
non mi sembra neppure all'altezza delle ambizioni.
In questa seconda parte farò astrazione dall'ambizione deduttiva di
Rawls e considererò la teoria della giustizia come una teoria intuizioni­
sta. Come si ricorderà questa teoria include due principi di giustizia il
secondo dei quali è esso stesso diviso in due sottoprincipi. Li ricordo:
1° principio: le libertà fondamentali devono essere equamente di­
stribuite tra tutti.
2° principio: 1 ) le diseguaglianze sociali ed economiche devono es­
sere regolate in modo da servire al meglio gli interessi dei piu svantag­
giati; 2) devono essere abbinate a funzioni e posizioni aperte a tutti
nelle condizioni di eguaglianza delle possibilità.
Questi due principi costituiscono il centro della teoria della giusti­
zia di Rawls. Occorre secondo Rawls aggiungere che questi principi
sono ordinati: il primo possiede una priorità sul secondo e la seconda
parte del secondo una priorità sulla prima. In altri termini, le libertà
fondamentali non possono essere distribuite in modo diseguale anche
nell'ipotesi in cui ciò comportasse la conseguenza di migliorare la sorte
dei meno favoriti. Incidentalmente si può sottolineare che secondo
Rawls in certe condizioni storiche può essere ammessa una certa dise­
guaglianza delle libertà, se ciò può servire ad una società per uscire da
uno stato di indigenza collettiva. In proposito Rawls fa riferimento a
fasi di sviluppo largamente superate dalle società industriali.
Allo stesso modo qualsiasi deviazione dal principio di eguaglianza
delle possibilità è illegittimo anche se contribuisce a migliorare la sorte
dei meno favoriti. L'ordinamento dei principi in altri termini torna ad
escludere dai beni fondamentali, la cui distribuzione obbedisce al prin­
cipio di indifferenza, le libertà fondamentali e l'eguaglianza delle possi­
bilità: i contraenti non saprebbero accettare di commerciare l'egua­
glianza delle libertà e l'eguaglianza delle possibilità contro una maggio­
re quantità di beni fondamentali, per esempio la ricchezza o il potere .
Le ragioni di questo ordinamento sono state brevemente richiama­
te precedentemente, almeno per quanto riguarda le due parti del se­
condo principio di giustizia . In effetti si è visto che i contraenti non
possono accettare la diseguaglianza delle condizioni se non sotto una

1 60
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

duplice condizione: che torni a beneficio del meno favorito; che sia
assicurata l'eguaglianza delle possibilità nella competizione per gli im­
pieghi. L'ultima condizione domina la prima: in effetti i contraenti par­
tono dalla eventualità pessimistica secondo cui i loro talenti, che essi
non conoscono, sono scarsi; in questa eventualità , ciascuno ritiene che
le condizioni favorevoli che la società può offrire vengano attribuite
agli altri; non essendo altruisti essi non possono accettare la disegua­
gli�nza delle condizioni a questo prezzo. L'eguaglianza delle possibili­
tà, concepita come una correzione degli handicaps di partenza, è quin­
di una condizione necessaria dell'accettazione della diseguaglianza del­
le condizioni. Come si vede la dimostrazione si ottiene applicando di
nuovo il principio del maximin.
L'anteriorità logica del primo principio di giustizia ( eguale distribu­
zione delle libertà) , rispetto al secondo, viene dedotta in modo analo­
go: i contraenti non possono accettare di scambiare una distribuzione
diseguale delle libertà contro una eguale distribuzione delle possibilità
o un miglioramento della sorte del piu sfavorito . Riguardo a questo
punto si può notare tuttavia che la teoria di Rawls, a causa del suo for­
malismo, non porta a nessuna particolare conclusione sul contenuto
delle libertà ; conclude solamente che esse devono essere piu estese
possibile e distribuite equamente.
Parecchi passaggi del testo di Rawls indicano chiaramente che , se­
condo lui, le istituzioni fondamentali delle società industriali liberali e
in particolare della società americana, obbediscono a questi principi di
giustizia e di conseguenza dovrebbero essere percepite come legittime
dai contraenti. • In breve Rawls concepisce le società industriali liberali
come società le cui istituzioni tendono asintotticamente a garantire una
eguaglianza delle libertà fondamentali e delle possibilità per tutti e a
conservare solo le diseguaglianze necessarie al miglioramento della
sorte dei meno favoriti. 1 0
A questo punto non si può fare a meno di sottolineare che la dedu­
zione di Rawls porta ad una teoria delle diseguaglianze simile a quella
sviluppata da numerosi sociologi funzionalisti, di cui Davis e Moore
hanno fornito una formulazione particolarmente esplicita . " Secondo
questi autori le diseguaglianze nella ricchezza, nel potere e nel presti­
gio sono necessarie al funzionamento di qualsiasi società caratterizzata

9 Certi passaggi di A Theory o/ ]ustice riguardano però le società socialiste. Si veda in


particolare la sezione 42: Some Remarks about Economie Systems.
I D Rawls non dice esplicitamente che le società industriali tendono verso il modello idea­
le descritto da A Theory o/ ]ustice. Se la mia interpretazione è corretta a riguardo, le conside­
razioni che seguono dimostrano che le società industriali non sono conformi al modello sem­
plificatore . di Rawls. Se la mia interpretazione è errata e se il progetto di Rawls è quello di
offrire un piano di riforma morale delle società industriali, le mie considerazioni prendono un
altro senso: mostrano che il modello di Rawls è utopistico e, in ogni caso, che le società indu­
striali non saprebbero avvicinarvisi senza imporre la virtu a spese delle libertà, contraddicendo
cosi il primo principio di giustizia.
1 1 KINGSLEY DAvis, WILBERT MooRE, Some Principles o/ Strati/ication, in "American So­

ciological Review" , aprile 1 945, 10, pp. 242-249; si veda anche: MELVIN TuMIN, Socia! Strati­
/ication, Prentice Hall, Englewood Cliffs (NJ) 1967 (tr. it., La strati/icai.ione sociale, Il Mu­
lino, Bologna 1 974).

161
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

dalla divisione del lavoro : a partire dal momento in cui una società
comporta un sistema di posizioni sociali differenziate secondo il livello
di competenza, l'importanza dell'investimento in istruzione o in "espe­
rienza", le remunerazioni devono essere proporzionali agli investimen­
ti se si vuole incentivare gli individui ad investire . Qualunque sistema
di divisione del lavoro implica quindi un sistema di stratificazione e di
diseguaglianze . Tuttavia, poiché la divisione del lavoro contribuisce al­
l'aumento del prodotto sociale , le diseguaglianze tornano a vantaggio
di tutti . Naturalmente affinché il processo di selezione originato dalla
diseguaglianza delle remunerazioni abbinate alle differenti posizioni
sociali, funzioni in modo ottimale, occorre che l'eguaglianza delle pos­
sibilità sia quanto piu perfetta possibile .
Una difficoltà fondamentale della teoria della giustizia di Rawls,
cosi come della teoria funzionalista delle diseguaglianze di Davis e
Mo ore, risiede nella applicazione illegittima alle società globali di uno
schema che di rigore può essere applicato solo ad entità di complessità
minore come le organizzazioni. Per attenerci al secondo principio di
giustizia, si può immaginare senza troppa difficoltà un'organizzazione
che obbedisce a regole di funzionamento di questo tipo: l ) è assicurata
l'eguaglianza delle possibilità dei membri dell'organizzazione nella con­
correnza degli impieghi meglio remunerati; 2) le diseguaglianze retri­
butive sono regolate in modo da assicurare un prodotto sociale massi­
mo e quindi in grado di tornare a vantaggio di tutti. Questo modello è
stato oggetto delle analisi classiche di Max W eber, ma la questione è
quella di sapere se può essere applicato alle società senza modifiche di
rilievo . A mio avviso la risposta è negativa. In questo caso le disegua­
glianze che appaiono a livello globale neppure approssimativamente
possono essere dedotte da un modello di tipo funzionalista.
Senza dilungarmi su questo punto dirò solamente che il fondamen­
to della soluzione di continuità tra il livello organizzazionale e il livello
che con Parsons può essere definito " societario ", risiede prima di tutto
nel fatto che il livello societario include numerose classi di comporta­
mento che: l ) possono essere adottate senza consultazione o approva­
zione altrui; 2) hanno effetti esterni marginali prossimi a zero; 3 ) pos­
sono generare effetti esterni considerevoli quando sono sommati. E
molto difficile che queste tre caratteristiche siano presenti simultanea­
mente a livello organizzazionale . Non sarebbe difficile mostrare che
non solo Rawls ma parecchi sociologi disconoscono questa differenza
fondamentale e sono perciò condotti a considerare le società come or­
ganizzazioni complesse. Di conseguenza essi attribuiscono volentieri la
responsabilità dei fenomeni indesiderati che si osservano nelle società
ad istituzioni o gruppi particolari e non notano che molti fenomeni che
appaiono a livello sociale non derivano né dalle finalità delle istituzio­
ni, né dalla "volontà" di gruppi particolari. Esamineremo in seguito
parecchi esempi di situazioni caratterizzate da importanti effetti cumu­
lativi.
Consideriamo l'esempio della relazione tra le diseguaglianze sociali

1 62
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

ed economiche da una parte e la diseguaglianza delle possibilità nell'i­


struzione dall'altra. Questo esempio ha il vantaggio di mostrare che a
livello delle società globali le istituzioni possono essere incapaci, anche
quando si pongono degli obiettivi, di realizzare simultaneamente la
doppia esigenza rawlsiana dell'eguaglianza delle possibilità e dell'"otti­
mizzazione" delle diseguaglianze. Allo stesso modo istituzioni fonda­
mentali legittime , nel senso dato da Rawls, possono coincidere con
meccanismi sociali i cui risultati sono illegittimi.
Oggi tutti sanno che l'istituzione scolastica non è neppure lontana­
mente accessibile a tutti. Alcune teorie attribuiscono questo stato di
cose al fatto che la scuola, a causa della sua stessa funzione , trasmette e
valorizza una cultura che è monopolio della classe dominante . In que­
sto modo gli studenti delle classi superiori hanno maggiori possibilità
di conseguire un livello elevato di studio poiché sono meglio preparati
dal contesto familiare a rispondere alle esigenze del sistema scolastico .
Se questa teoria fosse sufficiente, i principi di giustizia di Rawls sareb­
bero soddisfatti nella misura in cui tendono a compensare, principal­
mente nei primi anni del curriculum scolastico, la diseguaglianza cultu­
rale dell'origine familiare .
In realtà non è difficile mostrare che questa teoria spiega solo in
misura molto limitata la diseguaglianza delle possibilità nell'istruzione .
Come ho cercato di mostrare altrove, ciò sembra derivare essenzial­
mente dal fatto che il prolungamento della scolarità a ciascun punto di
biforcazione dei curricoli rappresenta costi e benefici socio-economici
variabili a seconda della classe sociale di appartenenza del giovane. 1 2 In
questo modo l'utilità del prolungamento degli studi è una funzione
crescente della classe sociale di origine: all'aumento di quell'ultima au­
menta l'utilità del prolungamento dell'istruzione . Nella maggior parte
delle società industriali sono state prese misure per ridurre il numero e
la rigidità dei punti di biforcazione del sistema scolastico . Il prolunga­
mento della scolarità obbligatoria, la costituzione di un indirizzo comu­
ne durante i primi anni del ciclo secondario, tendono a ridurre il nu­
mero di questi punti e pertanto la diseguaglianza delle possibilità.
Nondimeno , salvo che in un sistema utopico in cui tutti i giovani se­
guano un corso comune durante uno stesso numero di anni uguale per
tutti, deve essere mantenuto un certo numero di punti di biforcazione,
poiché ciò è causato semplicemente dall'esistenza di un sistema di divi­
sione del lavoro. Di conseguenza gli effetti antiegualitari dovuti al le­
game tra la classe sociale e l'utilità del prolungamento della scolarità
sono moltiplicati tante volte quanti sono i punti di biforcazione . Que­
sto effetto esponenziale spiega come anche in un paese come gli Stati
Uniti, in cui è stata introdotta una grande quantità di riforme istituzio­
nali tendenti a ridurre la diseguaglianza delle possibilità di istruzione
nel corso dell'ultimo decennio, questa diseguaglianza rimanga in misu­
ra notevole, tanto che un adolescente di origine sociale elevata ha pro-

IZ L'inégalité des chances, Colin, Paris 1 973 .

163
E/letti "perversi " dell'azione sociale

babilità dieci volte maggiori di ottenere un diploma universitario ri­


spetto ad un adolescente di bassa origine sociale .
Se questa analisi è corretta, essa oppone una difficoltà insormonta­
bile alla teoria della giustizia di Rawls . Infatti se è vero che i costi e
benefici del prolungamento della scolarità variano in funzione della po­
sizione sociale della famiglia e che le riforme istituzionali del sistema
scolastico non possono da sole neutralizzare questo effetto del sistema
di stratificazione, se non in un sistema scolastico utopico, ne consegue
che qualunque sistema di stratificazione genera inevitabilmente un gra­
do non trascurabile di diseguaglianza delle possibilità di istruzione . Si
giunge cosi ad una contraddizione con la teoria di Rawls secondo cui le
diseguaglianze legate ai posti e alle occupazioni possono essere giustifi­
cate solo se viene attuata l'eguaglianza delle possibilità di accesso ai
posti e agli impieghi. Come è possibile riconciliare questi principi con
il fatto che concretamente le diseguaglianze socio-economiche o , detto
in termini sociologici, il sistema di stratificazione sono la causa ultima
della diseguaglianza delle possibilità di istruzione e di conseguenza ge­
nerano inevitabilmente una diseguaglianza delle possibilità di accesso
ai posti e alle occupazioni ? In realtà non è difficile a riguardo immagi­
nare un sistema sociale che obbedisce testualmente alle due parti del
secondo principio di giustizia , se almeno non si intende violare il pri­
mo principio , per esempio limitando autoritariamente l'accesso delle
classi superiori all'istruzione .
I n realtà la teoria di Rawls poggia s u una interpretazione riduttiva
delle società: ammette che i sentimenti di giustizia o di ingiustizia ge­
nerati da un sistema sociale si applichino alle finalità esplicite delle isti­
tuzioni piuttosto che agli effetti sociali complessi che generano . D'altra
parte non può che essere altrimenti a partire dal momento in cui si
suppone che i contraenti ipotetici abbiano solo una nozione limitata
della complessità dei meccanismi sociali. L'ipotesi ha il vantaggio di
sottrarre i contraenti ai pregiudizi che derivano dalla posizione acquisi­
ta. Tuttavia non è forse assurdo cercare di dedurre i sentimenti di in­
giustizia effettivamente provati dai membri delle società reali, attraver­
so i sentimenti di ingiustizia attribuiti a contraenti che si suppone privi
di una qualsiasi visione precisa delle società? Sarei tentato di risponde­
re positivamente a questo problema e poiché Rawls insiste lungamente
sull'ispirazione kantiana del suo procedimento, aggiungerei che Hegel,
particolarmente l'Hegel dei Grundlinien der Rechtsphilosophie, mi
sembra rappresentare un punto di partenza migliore per una teoria del­
la giustizia sociale.
Piu precisamente il modello funzionalista che Rawls implicitamen­
te adotta, lo conduce a disconoscere il carattere spesso "contradditto­
rio " , nel senso dialettico hegeliano e marxiano del termine , proprio
delle "istituzioni fondamentali" ( basic institutions ) o, come dice an­
che, della "struttura fondamentale " ( basic structure ) delle società: co­
me si è visto non si può ammettere per esempio che le diseguaglianze
non abbiano simultaneamente il doppio effetto di aumentare la produ-

1 64
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

zione sociale di certi beni fondamentali e di generare una consistente


diseguaglianza delle possibilità.
Un problema generale implicitamente sollevato dalla teoria della
giustizia di Rawls è quindi di sapere se le società industriali possono
essere assimilate a sistemi la cui struttura fondamentale comporta con­
seguenze compatibili con i principi di giustizia . N ella serie di conside­
razioni che segue esaminerò piu in profondità la conformità delle so­
cietà industriali ai principi distributivi introdotti dalla teoria della giu­
stizia e tenterò di mostrare che si possono moltiplicare gli esempi che
mostrano il carattere "contraddittorio" di certe "istituzioni fondamen­
tali". Con questo voglio dire che le loro conseguenze in parte obbedi­
scono al criterio dell'indifferenza e ai criteri implicitamente utilizzati
da Rawls e in parte li contraddicono .
Per precisare la discussione, riprendiamo la schematizzazione di
Rawls e ripresentiamo la ripartizione di un bene fondamentale attra­
verso un sistema di coordinate rettangolari (fig. 3 ) . Immaginiamo data
una certa ripartizione A .

Fig. 3 . - L e combinazioni p ossibili tra quattro criteri distribuiti

L'area O 'AN contiene i vettori che obbediscono simultaneamente


al criterio di indifferenza di Rawls, al criterio di Pareto (ne ssuno ottie­
ne una situazione piu sfavorevole di quella ex ante ), al principio di
eguaglianza ( la diseguaglianza della distribuzione diminuisce) e al crite­
rio utilitarista (la quantità totale dei beni aumenta) . N ella regione
P 'AO ', non è soddisfatto il criterio di eguaglianza , ma lo sono gli altri
tre . N ella regione P 'AM ' è soddisfatto solo il criterio utilitarista. N ella
regione M 'AO , non viene soddisfatto nessuno dei quattro criteri. In
OAP solo il criterio di eguaglianza è soddisfatto . In PAM sono soddi-

165
Effetti "perversi " dell'azione sociale

sfatti il criterio di eguaglianza e il criterio di indifferenza di Rawls . In


MAN , oltre a questi due criteri, viene soddisfatto il criterio utilitarista .
Come si è visto, la teoria di Rawls include ufficialmente solo il cri­
terio di indifferenza, ma l'assioma conduce a tenere conto anche degli
altri criteri: il criterio utilitarista interviene perché si suppone che cia­
scuno desideri una quantità maggiore piuttosto che inferiore di beni
fondamentali; il criterio di eguaglianza interviene anche perché al di là
di una certa soglia di diseguaglianza appare l'invidia e le diseguaglianze
devono essere giustificate . Infine una società giusta è quella in cui i
vantaggi dei piu favoriti non potrebbero essere ridotti senza pregiudi­
zio per i meno favoriti. Questa evoluzione obbedisce quindi al criterio
di Pareto.
Oltre alle incoerenze della teoria , parecchi passaggi confermano
chiaramente che secondo Rawls una società che obbedisce ai criteri di
giustizia deve conoscere un'evoluzione che soddisfa contemporanea­
mente i quattro criteri. Questa proposizione compare con estrema
chiarezza a p. 1 04 di A Theory o/ ]ustice : "sembra che l'applicazione
costante dei due principi ( di giustizia) tenda ad avvicinare la curva (di
contribuzione) all'ideale dell'armonia perfetta degli interessi. " I J Ecco
ciò che significa: la "curva di contribuzione" rappresenta le possibili
ripartizioni di un bene fondamentale in una società data in un dato mo­
mento. La forma della curva è esposta in figura 4 . Secondo il criterio

Fig. 4. Curve di "contribuzione" che descrivono le p ossibili ripartizioni di un


-

bene fondamentale tra un rappresentante della classe favorita e un rappresentante


della classe sfavorita.

di indifferenza, una società giusta sceglierà la ripartizione M, che mas­


simizza la parte piu sfavorita. Al contrario un "utilitarista classico " sce­
glierà la ripartizione N che massimizza la quantità totale di un bene .

1 3 "lt seems that the consistent realization of the two principles tends to raise the (con­
tribution) curve closer to the ideai of a perfect harmony of interests . "

1 66
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

Tuttavia la proposizione importante riguarda il fatto che, se i principi


sono applicati con costanza, le curve di contribuzione si porranno ver­
so la linea di eguaglianza ( "verso l'ideale dell'armonia perfetta degli in­
teressi" ) : la distribuzione si porrà quindi tra M e M ' , soddisfacendo
contemporaneamente i quattro criteri posti in precedenza ( eguaglian­
za, criterio di Pareto, criterio di Rawls e criterio utilitarista) . Allo stes­
so modo, benché i criteri di giustizia contengano esplicitamente uno
solo dei criteri distributivi, si suppone che la loro applicazione conduca
ad una evoluzione della distribuzione dei beni fondamentali che soddi­
sfa gli altri tre principi.
A questo punto vorrei suggerire, con l'aiuto di qualche esempio
succintamente sviluppato, che la "struttura fondamentale" delle società
industriali non garantisce assolutamente un'evoluzione della distribu­
zione dei beni come pensato da Rawls. Infatti si possono facilmente
individuare dei sotto-sistemi di azione collettiva che generano simulta­
neamente dei vettori che appartengono a regioni differenti dallo spazio
della figura 4 e per questo sono egualmente inaccettabili dal punto di
vista di Rawls.
Consideriamo prima di tutto il problema delle distribuzioni econo­
miche. Si può dire che negli ultimi decenni esse sono evolute come
vuole Rawls nella maggior parte delle società industriali: la situazione
dei meno favoriti è migliorata in modo piu o meno regolare. E tuttavia
difficile ammettere che la diseguaglianza delle retribuzioni economiche
è il risultato, come vorrebbe Rawls, di una necessità funzionale . I red­
diti comparativamente elevati dei netturbini del nord America possono
certamente essere spiegati dalla necessità di incentivare un sufficiente
numero di persone a ricoprire un compito che altrimenti sarebbe poco
appetito. E tuttavia impossibile spiegare l'insieme delle differenze dei
redditi in questo modo. Si sa con certezza che meccanismi estranei al­
l'analisi funzionalista di Rawls spiegano in parte non trascurabile l'in­
tensità delle diseguaglianze economiche , cosi come la loro costanza nel
corso degli ultimi decenni nella maggior parte delle società industriali.
Uno dei meccanismi consiste nella difficoltà di aumentare il prelie­
vo impositivo diretto al di là di una certa soglia a spese della fiscalità
indiretta. In teoria infatti gli effetti dell'imposizione diretta possono
essere piu facilmente egualitari. Come Olson ha dimostrato, questa
"difficoltà" è il risultato della logica stessa dell'azione collettiva 14 : sup­
poniamo che N individui desiderino un bene collettivo, cioè un be­
ne di cui tutti si gioveranno, una volta prodotto; immaginiamo che il
suo costo totale sia uguale a C , che il suo valore totale V sia eguale al
doppio del costo e che V l N sia il valore del bene per un individuo
qualunque nella comunità. Ammettiamo inoltre che ciascuno possa ri­
tirarsi unilateralmente dall'operazione senza incorrere in sanzioni. In

14 MANCUR OLSON, Tbe Logic o/ Collective Action, Harvard University Press, Cambrid­
ge (Mass. ) 1 9 6 5 .

1 67
Effetti "perversi " dell'azione sociale

questo caso è facile mostrare che in condizioni generali la struttura del­


l'azione collettiva è quella del dilemma del prigioniero: benché ciascu­
no abbia un interesse ad ottenere il bene collettivo, nessuno ha vantag­
gio a pagarne il prezzo. Quindi il bene non verrà prodotto .'' Conside­
riamo in effetti un individuo qualunque (i); la prima linea della matrice
riportata piu sotto corrisponde alla retribuzione che riceve pagando la
sua parte, la seconda corrisponde alla retribuzione che riceve non pa­
gando (abbiamo supposto N = 1 0, C = 1 0, V = 20) . Naturalmente que­
sti due tipi di retribuzione sono una funzione del numero di coloro che
pagano. Le colonne danno il beneficio dell'individuo in funzione del
numero degli altri pagatori. Analizzando la matrice si constata imme­
diatamente che la strategia P ( non pagare) è dominante:

Tabella 1 9

Numero di coloro che pagano diversi da i

Strategie di i 9 8 7 6 5

p { pagare) 1 ,00 0,89 0,75 0,57 0,33


p (non pagare) 2,00 2 ,00 2,00 2,00 2,00

Strategie di i 4 3 2 l o

p ( pagare) 0,00 - 0 ,50 - 1 , 33 - 3 ,00 - 8 ,00


p (non pagare) 2,00 2,00 2,00 2 ,00 0,00

Qualunque sia il comportamento degli altri, ciascuno ha quindi


vantaggio a non pagare, benché tutti abbiano interesse ad acquisire il
bene collettivo. Una delle soluzioni al dilemma, come si sa dai tempi
di Rousseau, consiste nel costringere gli individui a seguire il loro inte­
resse personale.
Secondo Olson, questa struttura fondamentale spiega il carattere
necessariamente coercitivo dell'imposta diretta e il sentimento di intol­
lerabile coercizione che essa ispira al di là di un certo limite . Al contra­
rio l'imposta indiretta è percepita come indistintamente incorporata
nel prezzo che occorre pagare per l'acquisizione di un bene individua­
le , anche se, come l'imposta diretta, contribuisce alla produzione di
beni collettivi. La struttura del dilemma del prigioniero non compare
quindi nel caso dell'imposta indiretta. Da qui il suo carattere general­
mente piu "indolore " .
L'importanza relativa della fiscalizzazione indiretta spiega in buona

1 5 RussEL HARDIN, Collective Action as an Agreable n·Prisoner's Dilemma, in "Behavio­


ral Science ", 1 6 , 1 97 1 , p p . 472-4 8 1 .

168
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

parte, come per esempio viene mostrato da Nicholson a proposito del­


l'Inghilterra, sia il carattere limitato dei trasferimenti realizzati dal si­
stema fiscale, sia la stabilità dei trasferimenti nel tempo, sia la relativa
importanza delle diseguaglianze del reddito. 1 6 E. chiaro che questa spie­
gazione è assolutamente estranea all'analisi funzionalista di Rawls . Se
ne deduce direttamente che una società non evolve necessariamente
dal punto di vista della ripartizione dei beni economici secondo i cano­
ni della teoria della giustizia di Rawls: riferiamoci alla figura 3 e suppo­
niamo che sia possibile fare due scelte, AE e AD. A partire dal mo­
mento in cui sono aperte le due possibilità, la teoria di Rawls conside­
ra AD come legittima e AE come illegittima. Perciò, supponendo che
la soluzione AD sia ottenuta adottando una politica di aumento relati­
vo della fiscalizzazione diretta, essa può generare o minacciare di gene­
rare un livello di protesta sufficiente a spingere l'autorità politica a
considerare legittimamente il provvedimento contrario all'interesse ge­
nerale : le conclusioni della teoria della giustizia sarebbero allora con­
trarie al principio dell'interesse generale sul quale per altro pretende di
fondarsi. Alternativamente la via AD potrebbe essere intrapresa al
prezzo di rinforzare la coercizione da parte dell'autorità politica sui
suoi mandanti. Tuttavia questa "soluzione" contraddice di nuovo la
teoria della giustizia di Rawls, secondo cui l'applicazione del secondo
principio non può essere ottenuta a spese del primo ( restrizione delle
libertà) .
E. interessante notare che Rawls ( p . 278) difende in proposito il
principio di un'imposta proporzionale sul consumo da lui preferita al­
l'imposta progressiva sul reddito . La ragione di questa scelta sta nel
fatto che, se si suppone che le diseguaglianze del reddito siano giustifi­
cate, non si può giustificare la loro correzione. L'imposta perde allora
la sua funzione redistributiva per conservare solo la sua funzione di fi­
nanziamento di beni collettivi. Rawls riconosce senza dubbio che le
imperfezioni delle società reali possono giustificare il ricorso ad altre
forme di tassazione , benché la sua preferenza per l'imposta sul consu­
mo venga dedotta dai principi di giustizia. Tuttavia, egli non si rende
conto che , almeno in parte, a partire dal momento in cui le disegua­
glianze sono dovute a cause non funzionali, è impossibile determinare
se e in che misura esse siano legittime .
Riassumendo , questo esempio mostra che la teoria d i Rawls, per
effetto dell'ordinamento lessicografico che impone ai principi di giusti­
zia, non riconosce il carattere "dialettico " dei valori introdotti in questi
principi. D'altra parte l'esempio mostra che nelle società reali, almeno
in parte, le diseguaglianze hanno certamente ragioni d'essere diverse
da quelle postulate dal principio di indifferenza. Di conseguenza, è as­
surdo fondare la legittimità delle diseguaglianze sul loro contributo alla
parte del meno favorito .

1 6 J. L. NICHOLSON, The Distribution and Redistribution of lncome in the United King­


dom, in DoROTHY WEDDERBURN (a cura di), Poverty, lnequality and Class Structure, Cambrid­
ge University Press, Cambridge 1 974 , pp. 7 1 -9 1 .

169
Effetti "perversi " dell'azione sociale

Considererò ora un esempio in cui si può o sservare che la distribu­


zione di un bene evolve in modo soddisfacente dal punto di vista della
teoria della giustizia di Rawls, ma comporta una ripartizione progressi­
vamente meno egualitaria di un altro bene: il primo di questi beni è
l'istruzione. Le statistiche ci mostrano che in qualsiasi società indu­
striale il livello di istruzione medio è regolarmente aumentato nel cor­
so dei due decenni scorsi. Nondimeno è facile mostrare che lo svilup­
po dell'istruzione ha probabilmente comportato una conseguenza di
segno contrario : il livello di istruzione medio degli individui che occu­
pano le professioni che comportano status sociali elevati è cresciuto in­
fatti piu velocemente di quello degli individui che occupano professio­
ni di status intermedio, che a sua vqlta è cresciuto piu velocemente del
livello di istruzione medio degli individui che occupano posizioni infe­
riori. 1 7 Se si ammette l'ipotesi che il reddito non è funzione solamente
dello status occupazionale, ma anche e indipendentemente del livello
di istruzione , si può concludere che lo sviluppo dell'istruzione può
avere, in quanto tale, una certa responsabilità nella stagnazione delle
diseguaglianze economiche . 1 "
Ritorniamo ora al diagramma della figura 3 e isoliamo i due beni o
variabili appena considerati dall'universo a cui appartengono . L'analisi
precedente indica che una società che sceglie una "via" particolare ri­
guardo all'evoluzione e alla distribuzione di un bene (istruzione) pre­
giudica nello stesso tempo il modo di distribuzione di un altro bene
(reddito ): in base alle ipotesi considerate, una progressione piu eguali­
taria dell'istruzione è associata, a parità di altre condizioni, ad una pro­
gressione meno egualitaria del reddito. E. chiaro che la teoria della giu­
stizia di Rawls non permette di maneggiare facilmente questo tipo di
sintesi in cui le tendenze descritte da Rawls, che caratterizzano la di­
stribuzione di certi beni, sono accompagnate da una crescente disegua­
glianza nella distribuzione di altri beni. Utilizzando il diagramma della
figura 3 , l'ipotesi di Rawls suggerisce che la ripartizione dei beni fon­
damentali, in una società che obbedisce ai principi di giustizia, segue le
vie AB , AC, o AD , caratterizzate sia dal miglioramento delle condizio­
ni del meno favorito , sia dall'aumento dell'eguaglianza. Si è già visto
tuttavia che questa condizione può essere realizzata per uno soltanto
dei beni, e proprio per questo non per altri: l'evoluzione della distri­
buzione dell'istruzione , secondo una delle tre vie AB, AC o AD, è as­
sociata all'evoluzione della distribuzione del reddito secondo la via AE .
Allo stesso tempo l'analisi precedente permette di isolare un'altra causa
non funzionale della diseguaglianza dei redditi.
Il caso dell'istruzione fornirebbe molti altri esempi che contraddi­
cono l'evoluzionismo ottimista di Rawls . Ho mostrato altrove che il ra-

1 7 Per quanto riguarda gli Stati Uniti ci si può rifare al testo di LESTER THUROW, Educa­
tion and Economie Inequality, in "The Public Interest", estate 19 72, pp. 66-8 1 .
1 " Si tratta dell'interpretazione di Thurow, si veda anche il mio saggio: Educational
Q Q
Growth and Economie Equality, in " uality and uantity" , 8, 1974, pp. 1 - 1 0 , che giunge
alla stessa conclusiòne attraverso strade differenti.

1 70
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

pido aumento della domanda di istruzione nelle società industriali nel


corso degli ultimi due decenni, ha avuto effetti complessi, alcuni dei
quali corrispondono di nuovo al caso del dilemma del prigioniero: "le
istituzioni fondamentali" delle società industriali, dall'inizio alla fine
del ventennio considerato, hanno comportato che la crescita della do­
manda di istruzione è stata piu rapida nelle classi inferiori che nelle
classi elevate , " comportando un aumento lento ma incontestabile del­
l'eguaglianza delle possibilità di istruzione . Pertanto, l'aumento dell'e­
guaglianza delle possibilità scolastiche non è stata accompagnato da un
aumento di eguaglianza delle possibilità sociali o, se si preferisce que­
sto linguaggio, da un aumento della mobilità sociale, cioè da una dimi­
nuzione dell'ereditarietà sociale. Questo fenomeno, caratteristico di
tutte le società industriali, trova spiegazione nel fatto che l'aumento
della domanda di istruzione ha provocato una svalutazione particolar­
mente rapida dei livelli di istruzione intermedi: nel periodo 1 9 5 0- 1 970
si osserva perciò che i giovani di origine sociale superiore raggiungono
un livello di istruzione superiore in proporzione notevole e crescente
nel tempo, ma una proporzione non trascurabile di essi continua a con­
seguire solamente livelli di istruzione intermedi. Ora, le speranze so­
ciali legate a questo livello diminuiscono nel tempo. Ne risulta che le
loro speranze sociali appaiano mediamente poco intaccate nel periodo
considerato. La stessa conclusione può essere applicata alle altre classi:
cosi i giovani di origine sociale inferiore non ottengono praticamente
nessun beneficio in termini di speranze sociali dall'aumento relativa­
mente rapido nel tempo del livello di istruzione intermedia di questa
categoria, poiché nello stesso tempo in cui questa accede con maggiore
frequenza a livelli superiori di istruzione, essi si trovano a vivere delle
speranze sociali decrescenti.
Certamente l'aumento generale della domanda di istruzione è pro­
babilmente in parte responsabile della crescita economica e perciò del­
l'aumento generale del livello di vita, ma la logica dell'aggregazione
delle volontà individuali porta alla conseguenza che, quando ciascun
individuo richiede maggiore istruzione rispetto ad un individuo com­
parabile nel periodo precedente, le speranze sociali di ciascuno riman­
gono stabili. Da un periodo all'altro ciascuno deve quindi conseguire
un livello di istruzione maggiore per conservare le stesse possibilità di
conservare il proprio status .
Si può riassumere il sistema appena descritto con l'aiuto del dia­
gramma della figura 5 (a p. seg . ) : l'eguaglianza delle possibilità di ac­
cesso all'istruzione è evoluta nella direzione AB; i rappresentanti di
ciascuna classe sociale hanno avuto accesso ad una quantità crescente
di istruzione nel periodo considerato e la diseguaglianza tra le classi è
diminuita da questo punto di vista, come dimostrato dal fatto che il
vettore AB è posto al di sotto di 00 La diseguaglianza delle possibi­
'.

lità sociali, cioè l'intensità dell'ereditarietà sociale, è rimasta stabile.

19 Cfr. L'inégalité des chances, cit.

171
Effetti "perversi " dell'azione sociale

Questo fenomeno è descritto graficamente dal loop AA . Se si ammette


l'esistenza di una relazione causale tra lo sviluppo dell'istruzione e la
crescita economica, la prima variabile ha avuto per effetto l'aumento
del livello di vita di ciascuno: questa conseguenza può essere descritta
graficamente con il vettore AD. Tuttavia una precedente analisi ci ha
mostrato che l'aumento della domanda di istruzione ha potuto compor­
tare anche effetti di aumento della diseguaglianza dal punto di vista
della distribuzione del reddito . E quindi possibile che a questo riguar­
do AC rappresenti piu fedelmente l'evoluzione del sistema rispetto a
AD. In ultimo AE rappresenta l'effetto del dilemma del prigioniero ri­
sultante dal sistema: dalla logica di aggregazione delle volontà indivi­
duali, gli individui di ciascuna classe hanno dovuto pagare un costo
crescente nel tempo, in termini di tempo di istruzione, per conservare
le stesse speranze sociali.

Fig. 5. - Vettori associati ad un sottosistema di azione collettiva particolare.

Non sarebbe difficile immaginare altri esempi di sottosistemi che


conducono o possono condurre allo stesso modo a tipi di evoluzioni
"contraddittorie " , cioè ad effetti in parte accettabili e in parte inaccet­
tabili dal punto di vista dei criteri di Rawls, essendo questi effetti in­
dissociabili l'uno dall'altro. Per concludere mi accontenterò di conside­
rare un sottosistema ideale particolarmente interessante nella misura in
cui, a differenza del sottosistema precedente , genera esclusivamente
effetti sfavorevoli.
Immaginiamo un sistema economico semplificato costituito da un
duopolio. A, una delle due imprese, prende la decisione di spendere
in una campagna pubblicitaria. Se si suppone che la pubblicità sia effi­
cace, l'investimento pubblicitario dell'impresa A riesce ad attirare una
parte della clientela dell'impresa B. Quest'ultima si sforzerà allora di

1 72
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

recuperare la clientela perduta investendo a sua volta in spese pubblici­


tarie in quantità conveniente . Se il mercato non è espansibile o debol­
mente espansibile , il ricorso alla pubblicità avrà come effetto principa­
le l'aumento dei prezzi di produzione . Se i duopolisti riversano l'au­
mento dei costi di produzione sui prezzi, le spese pubblicitarie avran­
no l'effetto netto di impoverire il consumatore e di istituire una specie
di imposta indiretta limitata nella sua destinazione al finanziamento
delle agenzie pubblicitarie .
Naturalmente non s i tratta d i interpretare questo modello come
uno specchio fedele della realtà: il mercato di un prodotto non è ne­
cessariamente inestensibile; la pubblicità svolge in certi casi una fun­
zione informativa, può contribuire a orientare il consumatore e svol­
gere un ruolo di incentivazione all'innovazione . Il solo aspetto che
spero di fare apparire con questo modello semplificatore è che la liber­
tà dell'imprenditore, cioè la facoltà di prendere misure unilaterali che
gli è garantita, può condurre a conseguenze doppiamente insoddisfa­
centi dal punto di vista di Rawls, quando è abbinata ad una identica
libertà presso terzi. Se supponiamo di generalizzare il modello prece­
dente all'insieme di un sistema economico, esso genera un prelievo sul
potere di acquisto del consumatore non solo ingiustificato, ma legato
ad effetti chiaramente disegualitari. N el linguaggio del modello della
figura 3 , il modello simula un sistema che si dirige attraverso AG . 20 La
difficoltà che questo caso comporta per la teoria di Rawls risiede nel
fatto che !"'istituzione fondamentale" della lib_ertà di impresa genera
anche sottosistemi i cui effetti principali sono accettabili o desiderabili
secondo i criteri di giustizia formulati da Rawls . In questo caso come
nei casi precedenti, il giudice rawlsiano che dovrebbe occuparsi dell'af­
fare dovrebbe quindi dichiarare il non luogo a procedere: la teoria del­
la giustizia non ha previsto che le "istituzioni fondamentali" possono
generare effetti "contraddittori" .
Interrompo a questo punto i miei esempi. Mi sembra che mostrino
che è difficile considerare la teoria di Rawls come una grammatica ge­
neratrice che permetta di distinguere le istituzioni legittime dalle isti­
tuzioni mal formate. Senza dubbio le società industriali liberali sono
conformi al modello di Rawls nel caso di libertà fondamentali e di beni
fondamentali particolari . Il livello di vita dei piu sfavoriti è aumentato
nel corso degli ultimi decenni: le libertà politiche fondamentali tendo­
no ad essere egualmente distribuite, come impone il primo principio
di giustizia . f: tuttavia impossibile ammettere l'interpretazione di
Rawls delle diseguaglianze che vi si osservano: in effetti certe disegua­
glianze non sono esclusivamente spiegabili - neppure lontanamente
- per il loro contributo al buon funzionamento del sistema sociale e
di conseguenza alla sorte dei meno favoriti. La loro persistenza si spie­
ga in misura certamente non trascurabile con la difficoltà di trasferire il

20 Il lettore avrà di nuovo riconosciuto il caso familiare del dilemma del prigioniero.

1 73
Effetti "perversi " dell'azione sociale

finanziamento della produzione di beni collettivi dalla fiscalizzazione


indiretta a quella diretta in un sistema in cui il potere di costrizione
dell'autorità politica è supposto limitato. Perciò si è visto che la libertà
di "scegliere" il proprio livello di istruzione, offerta a tutti a livello for­
male, può essere considerata uno dei fattori che hanno contribuito alla
persistenza delle diseguaglianze . L'ordinamento di Rawls relativo ai
principi di giustizia e ai valori che essi comprendono ha il difetto fon­
damentale di disconoscere l'interdipendenza tra la coppia costrizio­
ne l libertà e la coppia eguaglianza/ diseguaglianza, interdipendenza sot­
tolineata del resto dai pionieri della teoria politica, Hobbes, Rousseau
e altri.
In generale Rawls non riconosce la complessità dei sottosistemi di
azione collettiva il cui insieme costituisce ciò che viene denominato so­
cietà. N on senza una certa ingenuità egli ammette che la distribuzione
dei beni primari, in una società le cui istituzioni fondamentali sono
conformi ai principi di giustizia, deve seguire un'evoluzione che soddi­
sfi non solo il principio di indifferenza, ma anche il criterio di Pareto,
il criterio egualitario e quello utilitarista. La crisi dell'istruzione che in­
teressa · le società industriali non è perciò priva di legami con il fatto
che lo sviluppo del sistema di istruzione ha contribuito ad accrescere la
marginalità sociale dei giovani in generale. A meno che il sentimento
di occupare un posto nella società a cui si appartiene non possa essere
considerato un "bene fondamentale ", si ha in questo caso l'esempio di
un bene la cui ripartizione si è evoluta in modo sfavorevole (vettore
AG nella figura 3 ) . N ello stesso tempo lo sviluppo dell'istruzione ha
senza dubbio contribuito all'incremento e al miglioramento della sorte
dei piu sfavoriti (vettore AD nella figura 3 ) . Tuttavia, se si considera la
storia delle società industriali negli ultimi due decenni, i due vettori
appaiono come indissolubilmente legati. N el linguaggio dello schema
della figura 2, le "istituzioni fondamentali" delle società industriali re­
lative al sistema di istruzione hanno quindi generato un sistema di vet­
tori a raggiera che solo in parte attraversano le curve di indifferenza di
Rawls nel senso e nella direzione prescritti. La stessa cosa va detta per
un'altra istituzione fondamentale, il mercato: l'ultimo esempio mostra
che questa istituzione può produrre effetti che non obbediscono né al
criterio di Pareto , né al criterio di indifferenza di Rawls . Sotto altri
aspetti tuttavia essa genera anche conseguenze desiderabili nel senso di
Rawls ed eventualmente di Pareto. Naturalmente è possibile - e au­
spicabile - cercare di modificare le istituzioni in modo tale che le con­
seguenze non previste da Rawls vengano neutralizzate in un sistema,
ma questa modificazione comporta generalmente delle conseguenze
sull'andamento degli altri "vettori" che rappresentano la distribuzione
dei beni fondamentali, come pure contemporaneamente sull'applica­
zione dei valori iscritti nel primo principio di giustizia (libertà) e nella
seconda parte del secondo principio (eguaglianza delle possibilità) .
Vorrei evitare di fare il process � delle intenzioni a Rawls. Egli non
scrive esplicitamente che la sua teoria della giustizia può essere consi-

174
Effetti perversi e teoria sociale: la teoria di Rawls

derata una teoria della legittimità delle istituzioni delle società indu­
striali, ma mi sembra evidente che questo obiettivo è sottostante all'o­
pera. Se non è esplicitamente formulato, è perché il fallimento è evi­
dente: la teoria di Rawls non solo non contribuisce a spiegare la crisi di
legittimità che sotto forme diverse ha colpito le società industriali do­
po l'inizio degli anni Sessanta, ma pretende implicitamente di convin­
cerci dell'illegittimità di questa crisi. Per questo essa fa da contrappeso
ottimista alle teorie pessimiste per cui la "struttura fondamentale"
delle società industriali conduce necessariamente ad un deterioramen­
to crescente sia della situazione relativa dei meno favoriti, sia della si­
tuazione di tutti. Per Rawls le istituzioni fondamentali ·delle società in­
dustriali generano vettori di tipo AB, AC e AD (èfr. fig. 3 ) . Per i pes­
simisti i vettori sono sia di tipo AF che di tipo AG . La prima variante
piu tradizionale e piu frequentemente rappresentata in Europa, è illu­
strata dalle teorie secondo le quali la "struttura fondamentale " delle
società industriali comporta necessariamente una ripartizione sempre
piu diseguale di certi beni fondamentali (per esempio il potere) la cui
somma è supposta costante: di conseguenza la condizione del piu sfa­
vorito non può che degradarsi. La seconda variante, piu specificamen­
te americana, corrisponde alle teorie secondo cui la "struttura fonda­
mentale" delle società industriali comporta una degradazione della
condizione di tutti ( cfr. Herbert Marcuse, Paul Goodman ) .
L a verità è che l e istituzioni fondamentali delle società industriali
generano sottosistemi di azione collettiva caratterizzati da una struttura
a raggiera di vettori che ne rappresentano gli effetti. Mi sembra che
l'analisi dei sottosistemi di azione collettiva rappresenti un obiettivo
migliore della sociologia politica, che fin ora è stato abbastanza trascu­
rato.
A meno che Rawls pretenda di insegnarci non tanto ciò che sono le
società industriali, ma ciò che dovrebbero essere, il presente capitolo
mostrerebbe che il modello di Rawls è fondamentalmente utopistico.
Non credo che in generale sia possibile costruire una teoria dedut­
tiva della giustizia sociale . D'altra parte abbiamo in precedenza consta­
tato che la teoria di Rawls è deduttiva solo in apparenza. N el corso
della "deduzione" gli assiomi fondamentali sono progressivamente cor­
retti, "sfumati" , completati con proposizioni talvolta incompatibili con
l'assioma della situazione originaria. Per usare il linguaggio di Rawls,
solo una teoria di tipo intuizionista mi sembrerebbe possibile. Con
questo voglio dire che una società in un certo stadio può essere pensa­
ta idealmente come un insieme di vettori corrispondenti alla descrizio­
ne di un sottosistema di azione collettiva. Queste configurazioni posso­
no generare da parte dei gruppi sociali sentimenti positivi ma anche
sentimenti negativi non solo di ingiustizia , ma anche di assurdità, di
alienazione o di costrizione, sentimenti che non sono chiaramente ri­
ducibili ad unità , anche se Rawls sembra ignorarlo . Perciò l'apparire di

1 75
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

un effetto tipo "dilemma del prigioniero" genera un sentimento di as­


surdità piuttosto che di ingiustizia . Questi sentimenti e le loro espres­
sioni diverse attraverso le istituzioni politiche, ma anche i conflitti so­
ciali e le ideologie mi sembrano fornire la sola misura che permetta di
misurare la legittimità o l'illegittimità delle istituzioni.

1 76
Capitolo sesto

Determinismi sociali e libertà individuale

In certi aspetti la sociologia contemporanea sembra spesso una so­


ciologia senza soggetto: l'homo sociologicus vi è descritto sia come un
essere programmato dalle "strutture sociali", sia determinato dalle sue
origini e dalla sua posizione sociale.
Nel testo che segue tento di mostrare che il paradigma determinista
è inutile e costoso . Sottraendo a ll'agente sociale la facoltà di scelta, di
decisione, creazione e innovazione, il sociologo cade in quella che è
una tentazione permanente della sociologia, il sociologismo. Egli di­
venta allora affetto da una sorta di cecità. A partire dal momento in
cui il determinismo è dominante, che differenza può esistere tra il col­
po di febbre che mi costringe a stare a letto, la sanzione penale che mi
dissuade dal realizzare certi desideri, la debo lezza delle mie riso rse che
mi impone di rinunciare a certi oggetti di consumo ?
Il paradigma determinista, o come occorre p iuttosto dire, come si
vedrà in seguito, i paradigmi deterministi impongono a l sociologo co­
sti p roibitivi: lo rendono impotente a co ncepire e quindi a sp iegare
fenomeni importanti come i conflitti sociali o il mutamento sociale.
La storia della sociologia mostra che, se la tentazione del sociolo­
gismo appare come una costante, i migliori sociologi hanno saputo
evitare questa malattia: le n ozioni di scelta, decisione, anticipazione e
libertà giocano un ruolo essenziale in R ousseau, Tocqueville, Marx e
Merto n.
Senza questi co ncetti è imp ossibile comprendere il sorgere delle
conseguenze inattese, nel senso usato da Merton, delle contraddizioni,
nel senso di Ma rx, della contro-finalità nel senso di Sartre, e in genera­
le di ciò che qui viene chiamato effetti perversi.
Certamente non è il caso di tornare a lle critiche defin itive rivolte
da Durkheim al contrattua lismo di Spencer. In generale la sociologia
ha saputo sottolineare i limiti dell'utilitarismo. L'homo sociologicus
razionale non può servire da paradigma generale alla sociologia, ma
l'individuo "agito ", che certe tendenze della sociologia sembrano col­
tivare, è di gran lunga meno utilizzabile. Tra l'homo oeconomicus ra­
zionale e l'uomo manip olato della sociologia modernista, sembra che
il paradigma piu correntemente efficace sia quello dell'uomo intenzio-

1 77
Effetti "perversi " dell'azione sociale

nate. In ogni caso questo è il modello utilizzato dai so ciologi che han­
no resistito all'usura del temp o .
Non c'è bisogno d i dire che le intenzioni dell'agente sociale i n cer­
ti casi p osso no essere incomprensibili se si ignora il suo passato. E evi­
dente che queste intenzioni sono generalmente incomprensibili se non
si tiene conto delle costrizioni strutturali che derivano dalla sua p osi­
zione sociale. Tuttavia in nessun modo da queste prove risulta che il
comportamento dell'agente sociale è determinato. Certamente intelligi­
bile ma non determinato. Questa distinzione è fondamentale e com­
porta considerevoli conseguenze sia sul piano sostanziale che metodo­
logico.
Questo testo affronta questioni complesse che non pretende in nes­
sun modo di esaurire. A lcuni p unti vengono appena a bbozzati, è il ca­
so per esempio delle considerazioni sulle ragioni che sp iegano il suc­
cesso del sociologismo . Conto di riprendere questi punti in successive
pubblicazioni, ma ho pensato che fosse utile chiudere questo volume
affrontando almeno, senza trattarle, le questioni fondamentali poste in
forma imp licita nei testi p recedenti.

Ciò che era importante realizzare era una divi­


sione in tre categorie che inseriscano tra i feno­
meni naturali, cioè indipendenti dall'azione
umana, e i fenomeni artificiali o convenzionali,
cioè prodotti da un disegno umano, una catego­
ria intermedia distinta che comprende quelle
configurazioni ( patterns ) e costanti non intenzio­
nali che si riscontrano nella società umana e che
rappresentano il compito esplicativo della teoria
sociologica ( social theory ) .

FRIEDRICH V . HAYEK, Studies i n Philosophy, Po­


litics and Economics

Il metodo probabilmente piu efficace per cogliere lo stato episte­


mologico di una disciplina consiste nell'individuare i principali paradig­
mi da essa utilizzati. Una definizione implicita di questo tipo ha il van­
taggio di delineare i contorni della disciplina piu efficacemente rispetto
ad una definizione esplicita. Essa permette inoltre di analizzare il grado
di integrazione logica dei prodotti della disciplina e eventualmente di
fare apparire ciò che convenzionalmente chiameremo "isomorfismi"
tra discipline , indicando con questo termine l'utilizzazione comune di
identici paradigmi da parte di parecchie discipline . Un'analisi di questo
genere permette anche di scoprire le similarità epistemologiche tra di­
scipline i cui contorni risultano spesso da processi di istituzionalizza­
zione piu o meno complessi.
Il concetto stesso di paradigma può essere definito in modi diversi.

178
Determinismi sociali e libertà individuale

Merton per esempio ne dà una definizione implicita quando parla di


paradigma di analisi funzionale. 1 La teoria delle rivoluzioni scientifiche
di Kuhn, per la sua parte, doveva essere all'origine della popolarità del
termine . 2 Kuhn adopera questo termine in un senso complesso e mol­
to generale . Un paradigma per l'autore è un insieme di proposizioni
che formano una base di accordo su cui si sviluppa una tradizione di
ricerca scientifica: "By cho osing it [cioè il "paradigma" ] , I me an t o
suggest that some accepted examp les of actual scienti/ic p ractice -
examp les which include law, theo ry, application, and instrumentation
together - p rovide models /rom wich sp ring particular coherent tradi­
tion o/ scientific research. " 3 Dal mio canto utilizzerò il termine in un
senso piu specifico. Lo utilizzerò per designare il linguaggio con cui
sono formulate le teorie o anche sottoi nsiemi importanti di teorie pro­
dotte nell'ambito di una discip lina.' Idealmente il metodo di determi­
nazione dei paradigmi consisterebbe quindi nel prelevare un campione
·
delle teorie e determinare il o i linguaggi di base , la o le teorie che
vengono costruite. Naturalmente si tratta di un progetto ideale . La
classificazione dei paradigmi di sociologia che qui presenterò, benché
si basi su una larga messe di esempi di teorie sociologiche, non ha la
pretesa di essere il prodotto di un "campionamento" sistematico.

l . Due famiglie di paradigmi

Un rapido colpo d'occhio sulle analisi e sulle teorie dei sociologi


mostra una prima importante distinzione, sufficiente a mio avviso a de­
terminare due famiglie di paradigmi. Vedremo in seguito quali sono le
principali sotto-famiglie che costituiscono queste famiglie . Avremo an­
che l'occasione di analizzare le relazioni tra le due famiglie . Per il mo­
mento ci accontentiamo di descrivere questa distinzione fondamentale.
Dimentichiamo per un attimo l'esistenza della sociologia e conside­
riamo due fenomeni diversi, relativi ad incidenti automobilistici:
l ) "Il signor X, un importante industriale, uscendo di strada con
la sua auto si è schiantato contro un albero . A detta dei testimoni, egli
appariva in evidente stato di ubriachezza quando ha lasciato il ristoran­
te dopo un pranzo di affari" ( I giornali) .
2) "A detta dei testimoni, i due automobilisti che , provenendo in

1 RoBERT K. MERTON, Social Theory and Social Structure, The Free Press, Glencoe (Illi­
nois), 1 949, ed. 1 957, pp. 50-55 (tr. it. cit.).
2 THOMAS KuHN, The Structure o / Scienti/ic Revolution, Chicago University Press, Chi­
cago 1 96 2 (tr. it., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1 969) .
.1 Ibid. , p. 30
' Questa definizione, che verrà chiarita nel corso del testo, è piu precisa di quella da me
utilizzata nel testo La crise de la sociologie, Droz, Paris-Genève 1 971 : Théorie, théorie et
théorie, pp. 15 9-204. Piu in basso nel testo, definisco per esempio paradigma determinista il
linguaggio che utilizza esclusivamente proposizioni di tipo "Se A (anteriore a B) allora B".
Allo stesso modo chiamo paradigma interazionista il linguaggio che include enunciati sulla rap­
presentazione da parte del soggetto di cose concepite da lui come risultanti dai suoi atti. In
questo senso la nozione di paradigma coincide con quella piu classica di metalinguaggio.

179
Effetti "perversi " dell'azione sociale

sensi opposti, occupavano la corsia centrale di una strada a tre corsie,


hanno ripetutamente lampeggiato a vicenda prima di entrare in colli­
sione frontale " ( I giornali) .
Nel primo caso il comportamento del guidatore che doveva porta­
re all'incidente è spiegato dal giornalista con un modello di tipo causa­
le : questo comportamento è dovuto allo stato di ubriachezza del guida­
tore, che senza dubbio non era piu padrone dei suoi riflessi. Quanto
allo stato di ubriachezza in se stesso, non ha niente di sorprendente: i
pranzi d'affari sono noti per la ricchezza delle vivande. Perciò la spie­
gazione dell'incidente è ottenuta mettendo in relazione l'incidente con
le situazioni che lo hanno preceduto: il guidatore era un importante
industriale. Questo spiega il fatto che egli abbia partecipato a un pran­
zo di affari. Questa circostanza a sua volta rendeva probabile un ecces­
so di consumo di bevande alcoliche, che comporta l'attenuazione dei
riflessi e l'aumento della probabilità di incidente.
Nel secondo caso l'analisi implicita del giornalista è assolutamente
differente . I due automobilisti hanno senza dubbio un'occupazione ,
ma essa non viene riportata . Certamente provengono da qualche parte ,
ma il loro passato immediato non è descritto. L'analisi del giornalista
indica che l'incidente è senza dubbio dovuto in questo caso al fatto che
ciascuno dei due automobilisti ha cercato di uscire "vincitore" da un
gioco stupido, indicando con i lampeggiatori che non accettava di ce­
dere il passo e di rinunciare al sorpasso iniziato .
I due schemi esplicativi sono assolutamente diversi. N el primo ca­
so il comportamento dell'automobilista è spiegato da uno schema cau­
sale . Nel secondo caso l'incidente è invece spiegato da uno schema in
cui le intenzioni degli attori e la rappresentazione che essi hanno dei
mezzi in grado di realizzare le loro intenzioni, giocano un ruolo essen­
ziale . Il giornalista ha inoltre giudicato utile precisare la natura della
strada (tre corsie) su cui ha avuto luogo l'incidente. Questa precisazio­
ne è indispensabile poiché i due automobilisti non avrebbero potuto
giocare al gioco, che la teoria dei giochi chiama gioco della gallina
( ]eu du poulet ) , per esempio su una strada a due corsie o su un'auto­
strada a quattro corsie. In altri termini la struttura stradale viene giudi­
cata in grado di rendere possibile i comportamenti dei due conduttori.
Sicuramente nulla li obbligava a cadere nella assurda logica del gioco
della gallina . Una volta constatato l'incidente, per spiegarlo è sufficien­
te capire che la struttura stradale permetteva loro di giocare a questo
gioco, e ammettere che le loro intenzioni, negli istanti che hanno pre­
ceduto l'incidente, erano di fare cedere l'altro .
Questi esempi elementari permettono, credo, di illustrare la distin­
zione fondamentale che desideravo introdurre : certe teorie sociologi­
che utilizzano un linguaggio tale che il fenomeno sociale di cui propon­
gono una spiegazione è descritto come il risultato di una giustapposi­
zione o di una composizione di un insieme di azioni. Di seguito inten­
deremo per azione un comportamento orientato verso la ricerca di un

1 80
Determinismi sociali e libertà individuale

fine . In questo caso si dirà che una teoria sociologica appartiene alla
famiglia dei paradigmi interazionisti.
Altre teorie utilizzano un linguaggio per cui il fenomeno sociale di
cui propongono una spiegazione è il risultato di comportamenti che
non sono azioni nel senso sopra definito. In questo caso i comporta­
menti in questione non sono descritti come orientati verso fini che i
soggetti si sforzano di raggiungere in modo piu o meno cosciente, ma
sono descritti come risultato esclusivo di elementi anteriori ai compor­
tamenti in questione.
Le abitudini semantiche in corso invitano a fare delle azioni, nel
senso in cui noi intendiamo il concetto, un sottoinsieme dell'insieme
dei comportamenti. Per ragioni di brevità conveniamo tuttavia di desi­
gnare con il termine comportamenti esclusivamente i comportamenti
che non sono azioni, a meno che il contesto non comporti alcuna am­
biguità nei termini .5 Chiameremo atti l'insieme di comportamenti e di
azioni.
Chiameremo paradigmi deterministi i paradigmi caratterizzati dal
fatto che un fenomeno sociale è spiegato come il risultato esclusivo di
comportamenti nel senso definito .
S i può agevolmente verificare che queste definizioni corrispondo­
no ai due casi elementari che abbiamo usato come punto di partenza.
Nel primo caso il fenomeno sociale da spiegare (nella circostanza: l'in­
cidente) è analizzato soddisfacentemente come risultato di ciò che
chiamiamo un comportamento . Effettivamente questo comportamento
è spiegato da elementi e avvenimenti che gli sono anteriori (l'uomo
era un uomo d'affari, aveva alzato il gomito, ecc . ) . Nel secondo caso
invece l'incidente è descritto come risultante di azioni, cioè di atti
orientati in vista di un fine, in breve di atti intenzionali.
Due esempi ispirati alle scienze sociali forniscono un'illustrazione
supplementare della distinzione tra le due famiglie di paradigmi.
In uno studio sul suicidio e l'omicidio , Henry e Short6 avanzano
l'ipotesi che queste due varianti dell'aggressione (aggressione contro se
stessi e aggressione contro altri) debbano essere considerati essenzial­
mente come risposte o reazioni a situazioni giudicate intolletabili dal
soggetto. E inutile presentare qui le ipotesi di questi autori sulle ri­
spettive probabilità di apparizione di ciascuno dei due tipi di variante;
è sufficiente ricordare che essi introducono un certo numero di ipotesi
che li portano a concludere sulla probabile esistenza di relazioni tra
certe variabili di status sociale ed economico e la probabilità di realiz­
zazione di un comportamento aggressivo. L'esistenza di queste relazio­
ni è inoltre verificata statisticamente . In questo esempio si ha a che
fare con un'analisi che appartiene alla famiglia dei paradigmi determini­
sti. Le relazioni statistiche che l'analisi si sforza di misurare sono inter­
pretate come il risultato di atti descritti come comportamenti. Perciò

5 Includiamo gli atteggiamenti nel concetto di comportamento.


6 ANDREW HENRY, }AMES SHORT, Suicide and Homicide, The Free Press, Glencoe (Illi­
nois), 1 954.

181
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

una delle ipotesi di Henry e Short afferma che la donna nera americana
che ha uno status superiore all'uomo nero, deve presentare comporta­
menti aggressivi meno frequenti di quest'ultimo, tenendo naturalmen­
te costanti tutti gli altri fattori. Per ragioni inverse gli autori formulano
l'ipotesi dell'esistenza di Ùna relazione di segno opposto per ciò che
concerne la popolazione bianca. Tutte le ipotesi di Henry e Short sono
di questo tipo. Le differenze osservate da un gruppo all'altro nella fre­
quenza di realizzazione dei comportamenti aggressivi sono spiegate co­
me l'effetto di elementi anteriori alla realizzazione di questi comporta­
menti ( status relativo nella famiglia, status sociale ed economico, ecc. ) .
A questo punto merita di essere introdotta una precisazione di voca­
bolario: parlando di paradigma determinista spero che vengano designa­
ti i paradigmi in cui gli atti vengono spiegati esclusivamente ricorrendo
ad elementi anteriori agli atti stessi. Sia B uno di questi atti e A un
elemento anteriore utilizzato per spiegare B. In certi casi l'analisi potrà
portare alla seguente conclusione : "se A (anteriore a B ) , allora B . " In
altri casi la conclusione sarà costituita da una proposizione di tipo proba­
bilistico: "se A (anteriore a B ) , allora piu frequentemente B . 'n In questi
due casi parleremo di paradigmi deterministi. Un modello verrà consi­
derato deterministico se e solo se spiega un atto esclusivamente a parti­
re da elementi anteriori" a questo atto. In questa definizione non terre­
mo quindi conto della distinzione relativa al carattere stretto o probabi­
listico dei legami tra elementi, che sarebbe essenziale in altri contesti.
Il vocabolario scelto per designare l'opposizione fondamentale illu­
strata dai nostri due esempi presenta dei vantaggi mnemonici, ma ri­
schia di condurre a confusioni che indico brevemente . In primo luogo,
per essere rigorosi occorrerebbe parlare di paradigmi dell'azione piut­
tosto che paradigmi interazio nisti : l'azione è sempre interazione in
una maniera o nell'altra, ma questa caratteristica non riguarda l'opposi­
zione che qui ci interessa: ho semplicemente rinunciato all'utilizzo for­
se superfluo di un neologismo. In secondo luogo, si può notare come
la parola "determinista" non venga naturalmente usata nel suo senso
usuale: consideriamo il caso in cui un attore si trova in una situazione
di scelta forzata, il suo comportamento può essere predetto e si avrà
allora determinismo nel senso usuale del termine. Tuttavia, poiché
questo comportamento è descritto in termini di azione, dirà che la de­
scrizione appartiene al paradigma interazionista.
Ecco ora un esempio classico, ripreso dall'economia, di una teoria
che appartiene alla famiglia dei paradigmi interazionisti. Si tratta del
famoso modello della tela di ragno.9 Il modello tende a spiegare un
fenomeno molto comunemente osservabile: l'andamento ciclico dell'e-

7 In altri termini si hanno quattro possibilità: "A condizione necessaria di B", "A condi­
zione sufficiente di B", "A condizione necessaria e sufficiente di B", sono i tre casi possibili
nel caso del determinismo stretto. N el caso del determinismo probabilista non è possibile as­
sociare alcuna delle tre accezioni precedenti alla proposizione se "A allora piu frequente B " .
• Intendiamo anteriore nel senso temporale o logico.
9 Cfr. per esempio R. G. ALLEN, Mathematical Economics, MacMillan, London 1 956
(tr. it . , Economia matematica, Utet, Torino 1 962).

182
Determinismi sociali e libertà individuale

conomia. Il modello introduce due attori, in realtà due classi di attori:


i produttori e i consumatori ( di un dato prodotto) . In secondo luogo il
modello interpreta gli atti dei due attori (produrre e consumare) come
azioni ( atti tendenti ad ottenere certi fini) . Il produttore si domanda
quale quantità produrre per l'anno sucessivo, poiché il suo obiettivo è
quello di massimizzare il profitto . Questo profitto tuttavia dipende dal
prezzo che verrà stabilito sul mercato e che si suppone non controlla­
bile da nessun produttore in particolare. Viene allora posta un'ipotesi
il cui merito essenziale risiede forse nella sua semplicità, cioè che cia­
scun produttore ha tendenza ad anticipare un prezzo simile a quello
per cui il prodotto è stato scambiato nell'esercizio precedente. Viene
inoltre introdotta una proposizione classica della teoria dell'offerta: a
parità di altri elementi, un produttore ha tendenza a produrre un dato
bene in quantità tanto maggiore quanto piu alto sarà il prezzo anticipa­
to. Per quanto riguarda il consumatore, si suppone che, a parità di altri
fattori, egli consumi una quantità media del prodotto tanto piu grande
quanto piu basso sarà il prezzo di quest'ultimo. In breve vengono in­
trodotte le classiche curve di domanda e di offerta, curve che si inter­
secano in un punto chiamato di equilibrio . L'analisi è quindi semplice:
se il prezzo anticipato è inferiore al prezzo di equilibrio, i produttori
producono meno di quanto i consumatori sarebbero disposti a consu­
mare a questo prezzo; di conseguenza il prezzo medio effettivamente
stabile sarà superiore al prezzo anticipato (e superiore al prezzo di
equilibrio) . Per l'esercizio seguente la produzione sarà superiore alla
produzione di equilibrio. Il prezzo effettivo cadrà quindi al di sotto del
prezzo di equilibrio. Continuando a ragionare in questo modo , si vede
facilmente che il modello genera il verificarsi di fenomeni ciclici ri­
guardo al prezzo e alle quantità prodotte.
Questa analisi è tipica dei paradigmi interazionisti: gli atti degli at­
tori vengono spiegati con le finalità perseguite da questi ultimi ( per il
consumatore , massimizzare la soddifazione che può ottenere dagli ac­
quisti; per il produttore, massimizzare il profitto) ; inoltre viene mo­
strato che la composizione di queste azioni genera fenomeni ciclici
analoghi !l quelli che è possibile osservare empiricamente.
Ho preso il secondo esempio dall'economia, perché le analisi di ti­
po interazionista sono qui molto comuni. Si può anche affermare che
la te-oria economica nel suo insieme utilizza paradigmi di tipo interazio­
nista. N el caso della sociologia non è la stessa cosa: paradigmi intera­
zionisti e paradigmi deterministi appaiono congiuntamente , con fre­
quenze variabili a seconda delle tappe della storia della sociologia e la
natura dei problemi affrontati . .

2. Paradigmi interazionisti: i quattro tipi piu importanti

Prima di affrontare questi problemi, è necessario prendere atto


concretamente delle forme che questi due tipi principali di paradigmi

1 83
Effetti "perversi " dell'azione sociale

prendono nell'analisi sociologica. Cominceremo con i paradigmi inte­


razionisti. A mio avviso in sociologia si possono utilmente distinguere
quattro tipi piu importanti di paradigmi interazionisti. Mi sforzerò pri­
ma di tutto di descrivere brevemente questi quattro tipi prima di sof­
fermarmi piu in dettaglio su ciascuno di essi. Naturalmente se credo
che le classificazioni presentate in questo testo abbiano qualche utilità,
non pretendo che siano le sole possibili.

Sottotipo a: Paradigmi interazionisti di tipo marxiano


Vedremo in seguito la ragione di questa denominazione. In questi
paradigmi le azioni dei soggetti vengono descritte come determinate dal
loro esclusivo libero arbitrio . Piu precisamente si suppone che la libertà
di azione di ciascun individuo non sia in nessun modo limitata da impe­
gni, taciti o espliciti, presi nei riguardi di altri. Questa caratteristica è
per esempio illustrata nel modello della tela di ragno : i comportamenti
degli attori vengono descritti come determinati dalle preferenze indivi­
duali di ciascuno, escludendo qualsiasi intesa, contratto o impegno reci­
proco degli attori. Invece l'azione del medico che chiede ad un paziente
di spogliarsi, volendo riprendere l'esempio classico di Parsons, è regola­
ta da un impegno tacito da parte del medico nei confronti del paziente . 1 0
In breve una prima caratteristica dei paradigmi di tipo marxiano consi­
ste nel fatto che si suppone un'assenza di impegno reciproco degli atto­
ri. La seconda caratteristica consiste nel fatto che le preferenze degli
individui vengono considerate come date. In altri termini le si considera
come variabili indipendenti: esse giocano un ruolo fondamentale nello
schema esplicativo , ma non si ritiene che esse stesse debbano essere
analizzate . Il modello della tela di ragno illustra egualmente bene questa
caratteristica: suppone che i produttori desiderino ottenere un profitto
massimo dalla loro produzione e che i consumatori abbiano la tendenza
a limitare il consumo di un prodotto se a parità di altre condizioni il suo
prezzo aumenta. Queste due proposizioni non richiedono spiegazione,
possono essere considerate come proposizioni primarie .
E quasi superfluo sottolineare che la situazione di interdipendenza,
analizzata nel teorema della tela di ragno, presuppone l'esistenza di un
contesto sociale e istituzionale, cioè un mercato. La stessa considera­
zione varrebbe naturalmente per tutti gli altri esempi qui analizzati co­
si come per tutti quelli che sarebbe possibile immaginare . Una struttu­
ra di interdipendenza definita in un vuoto socio-istituzionale rimarreb­
be indeterminata, inanalizzabile e perciò priva di interesse. Ci asterre­
mo quindi in questo contesto dal ripetere che in ogni caso la struttura
di interdipendenza o di interazione (nel vocabolario qui utilizzato i due
termini vengono considerati sinonimi) è definita da un contesto
socio-istituzionale supposto dato.

1 0 TALCOTI PARSONS, Social Structure and Dynamic Process. The Case of Modern Medicai

Practice, in "The Soda! System", The Free Press, Glencoe ( Illinois), 1 95 1 , pp. 428-479.

1 84
Determinismi sociali e libertà individuale

Sottotipo b: Paradigmi interazionisti di tipo tocquevilliano

La denominazione di questo sottotipo verrà ulteriormente giustifi­


cata . Come nel caso precedente in questo sottotipo si suppone che le
azioni degli attori derivino esclusivamente dalla libera valutazione di
ciascuno : nessun tipo di impegno, accordo o contratto lega reciproca­
mente gli attori . Volendo usare il linguaggio del XVIII secolo questo
tipo di contesto razionale può essere descritto con il termine stato di
natura : gli attori del teorema della tela di ragno, gli automobilisti che
si ritrovano contemporaneamente in piazza della Concordia, ciascuno
per sue ragioni personali, illustrano questa situazione di stato di natu­
ra. Gli automobilisti non si ritrovano sullo stesso posto perché hanno
deciso di incontrarsi di comune accordo . I produttori e i consumatori
non hanno deciso di comune accordo di provocare fluttuazioni nei
prezzi e nella produzione. La congestione di traffico di piazza della
Concordia e le fluttuazioni economiche rappresentano fenomeni socia­
li emergenti, che risultano dalla composizione o aggregazione di azioni
indipendenti. ' ' Secondo il linguaggio che si desidera adottare si può
anche parlare di effetti di interazione , ma l'interazione è caratterizzata
da un contesto di stato di natura, cioè dal fatto che gli attori hanno la
piena libertà di astenersi dal considerare gli effetti del loro comporta­
mento sugli altri. Ed ecco la caratteristica che distingue i paradigmi
tocquevilliani b dai marxiani a : nel sottotipo b, le preferenze , cioè le
finalità scelte dagli attori, non hanno lo status di variabili indipendenti.
In altri termini esse vengono considerate non come autoevidenti ma
come richiedenti necessariamente una spiegazione . Consideriamo il ca­
so di scelte professionali. Questo tipo di azioni si distingue da quelle
che per esempio vengono considerate nel modello della tela di ragno,
per il fatto che richiedono a loro volta una spiegazione . E inutile intra­
prendere ricerche particolari per spiegare che la signora Rossi modifica
il suo paniere della spesa in funzione delle variazioni relative nei prezzi
dei prodotti che normalmente acquista. In compenso quando si osser­
va che mediamente le donne scelgono meno spesso certe professioni
rispet to agli uomini, per esempio, questa differenza nelle preferenze
richiede una spiegazione . Riassumendo, il sottotipo b si distingue dal
sottotipo a per il fatto che le preferenze non hanno lo statuto di varia­
bili indipendenti e di conseguenza le proposizioni che descrivono le
preferenze degli attori non hanno lo statuto di proposizioni primarie .

Sottotipo c: Paradigmi interazionisti di tipo mertoniano

In questo caso l'ipotesi dello stato di natura viene accantonata. In


altri termini vengono considerate delle categorie di azioni caratterizza­
te dal fatto che gli agenti che le compiono non hanno la libertà di non

11 Ciascuno di questi termini presenta degli inconvenienti. Il termine composizione non

ha un uso generale . Il termine aggregazione, come viene usato in questo testo, modifica que­
sto concetto dalla sua usuale accezione in economia normativa.

1 85
E/letti "perversi " dell'azione sociale

tenere conto degli effetti che queste comportano per gli altri. Le azio­
ni eseguite da un professore mentre svolge il suo corso sono di questo
tipo. Per spiegare perché il signor Bianchi parla della composizione
chimica dell'acqua davanti a un gruppo di giovani che lo ascoltano piu
o meno attentamente, utilizzerò un paradigma assolutamente differen­
te da quello che mi ha permesso di comprendere perché la signora
Rossi ha modificato la composizione del suo paniere . Il signor Bianchi
svolge un ru o lo, come generalmente si dice nella teoria sociologica.
Dissertando sulla composizione dell'acqua egli esegue un contratto.
Naturalmente non si tratta di un contratto in senso giuridico. Il tempo
della prestazione del signor Bianchi è fissato legalmente, ma il contrat­
to comporta anche aspetti non formali: il signor Bianchi sa per esem­
pio che susciterà comportamenti di approvazione o disapprovazione da
parte degli allievi a seconda che usi o abusi di argomenti piacevoli.
Il sottotipo c si distingue quindi dai sottotipi precedenti per il fatto
che l'interazione tra gli individui non si svolge in un contesto di stato
di natura, ma in condizioni che, volendo continuare ad usare il lin­
guaggio del secolo, rientrano nella nozione di contratto: in questo caso
gli individui non possono determinarsi senza considerare, tra le altre
cose, gli effetti delle loro azioni sugli altri. Come mostra questa defini­
zione, non diamo in alcun modo al concetto di contratto un'accezione
di tipo volontaristico e giuridico. Infatti il concetto di contratto è qui
adottato in un senso vicino a quello di Rousseau: corrisponde alla no­
zione di una restrizione della "libertà naturale " , per usare il termine di
Rousseau o di autonomia dell'individuo .
Riassumendo, nelle teorie che appartengono ai paradigmi d i sotto­
tipo c, l'interazione tra gli attori è caratterizzata da un contesto contrat­
tuale . A seconda dei casi queste teorie considerano le preferenze degli
attori come dati immediatamente intelligibili o come fenomeni che ri­
chiedono spiegazione . Poiché tuttavia questa distinzione non è assolu­
tamente utile nel caso di questo paradigma, non la terremo in conside­
razione .
E utile sottolineare per inciso che i due termini della dicotomia
"contratto/ stato di natura" ricoprono ambedue situazioni diverse che
in un altro contesto occorrerebbe distinguere . Cosi in certe situazioni
di "stato di natura" posso decidermi senza tener conto degli altri; in
altre situazioni posso decidermi senza tener conto dell' interesse ma
non dell' esistenza degli altri ( situazioni di interdipendenza strategica
con altri) . Allo stesso modo se tutte le situazioni di "contratto" sono
quelle in cui devo tener conto dell' interesse altrui, l' obbligazione in
cui mi trovo può prendere svariate forme .
Cosi possiamo notare che l'opposizione tra "contratto" e "stato di
natura" indica dei casi limite . Perciò la liberalizzazione legale dell'a­
borto non comporta ipso facto la sparizione delle costrizioni morali
che possono essere imposte a riguardo all'unità familiare . Quindi la li­
beralizzazione legale non è sufficiente a realizzare un contesto di "stato
di natura" in cui l'autonomia di decisione dell'unità familiare sia piena

186
Determinismi sociali e libertà individuale

e completa in rapporto all'ambiente sociale esterno . Malgrado ciò la


liberalizzazione legale comporta un aumento qualitativamente impor­
tante dell'autonomia. Considerazioni dello stesso tipo si potrebbero
applicare d'altra parte all'interpretazione delle nozioni di contratto e di
stato di natura in Rousseau: lo "stato di natura" persiste anche quando
la società è costituita. Infatti i membri restano per esempio liberi ( en­
tro certi limiti) di arricchire a spese di altri.

Sottotipo d: Paradigmi interazionisti di tipo weberiano


In quest'ultimo caso rimaniamo all'interno della famiglia dei para­
digmi interazionisti: i comportamenti degli attori vengono interpretati
come dotati di intenzionalità e di conseguenza come azio ni. Tuttavia a
differenza dei paradigmi precedenti in questo caso viene introdotta l'i­
potesi che certi elementi di queste azioni ( strutturazione del sistema di
preferenza, scelta dei mezzi per ottenere i fini desiderati, abilità nella
messa in opera dei mezzi, ecc . ) sono determinati da elementi anteriori
alle azioni in questione . Naturalmente non è sempre piu o meno cosf:
ogni azione implica la padronanza di certe tecniche ( tecniche di comu­
nicazione, tecniche corporali) o di certe conoscenze la cui acquisizione
è certamente anteriore all'azione . Tuttavia questi elementi possono
giocare un ruolo assolutamente secondario e possono quindi essere
trascurati in molti casi. Perciò quando si analizza il sistema di interazio­
ne formato dal signor Bianchi, professore di chimica, e dalla sua scola­
resca, non ha importanza eccessiva il tenere conto che il professore ha
dovuto imparare la chimica prima di insegnare. In altre situazioni di
analisi è invece indispensabile ricorrere a elementi anteriori alle azioni
analizzate per spiegare per esempio le differenze che si possono osser­
vare tra questa o quella categoria di attori. E estremamente importante
sottolineare che ciò non esclude che i comportamenti degli individui
non siano orientati verso fini. In altri termini il carattere determinante
di elementi anteriori all'azione non priva quest'ultima del suo statuto
di azione. Usiamo un semplice esempio: la signora Rossi cerca di mas­
simizzare la soddisfazione variando la composizione del suo paniere ,
ma il fatto che il suo paniere sia differente da quello della signora V er­
di è dovuto ad una differenza nel processo di socializzazione a cui so­
no state esposte le due persone. Forse la signora Verdi e la signora
Rossi mantengono fin dall'infanzia gusti differenti per i prodotti del
mare.
Il sottosistema d è interessante poiché introduce elementi di tipo
deterministico (nel senso in cui ho definito il termine) negli schemi
esplicativi che appartengono alla famiglia dei paradigmi interazionisti.
Riconosco che queste distinzioni tra i quattro tipi di paradigmi in­
terazionisti sono abbastanza arbitrarie . Credo che il loro significato e la
loro importanza epistemologica appariranno con piu evidenza in segui­
to , quando illustrerò i quattro sottotipi riferendomi ad esempi concreti
dell'analisi sociologica.

1 87
Effetti "perversi " dell'azione sociale

Intanto e per terminare queste considerazioni generali sui paradig­


mi interazionisti, vorrei introdurre due considerazioni. La prima ri­
guarda il fatto che la classificazione che ho presentato è deliberatamen­
te non sistematica. Si potrebbe ottenere una classificazione sistematica
combinando i criteri che ho introdotto (presenza/ assenza di elementi
deterministici, preferenze date l da spiegare , stato di natura/ contratto ) .
Tuttavia gli otto tipi che si otterrebbero dalla combinazione dei tre cri­
teri non meritano di essere tutti analizzati. In compenso i quattro tipi
che ho presentato corrispondono egregiamente a tradizioni di ricerca
identificabili e importanti, alla luce della produzione sociologica quale
si presenta nella realtà .
La seconda considerazione, che svilupperò in modo piu completo
in seguito, riguarda il fatto che la classificazione precedente mi sembra
fondamentale dal punto di vista della storia della sociologia. Perciò sa­
rebbe interessante verificare i tentativi portati avanti da certi sociologi
per ridurre la sociologia a uno dei sottoparadigmi precedenti. La "teo­
ria generale " di Parsons esclude per esempio i paradigmi a e b, nella
misura in cui tenta di fare della nozione di ruolo l'atomo logico della
sociologia. Tuttavia la storia della sociologia dimostra che questi para­
digmi sono stati largamente usati da autori classici come Marx o Toc­
queville . Il fatto che la definizione di sociologia data da Parsons abbia
praticamente eliminato da questa disciplina l'analisi dei sistemi di iute­
razione non regolati da costrizioni contrattuali spiega forse il fatto che
la sua teoria generale non si è veramente imposta come tale. D'altra
parte si può mostrare che le difficoltà sollevate da certe analisi deriva­
no dal fatto che si situano all'interno di un paradigma difettoso . Perciò
i lavori di Gordon Tullock, che cercano di analizzare i fenomeni crimi­
nali partendo esclusivamente da un paradigma di tipo marxiano ( sotto­
tipo a ) , si espongono a serie critiche . 12 E. quasi certo che questo para­
digma non può essere utilizzato in modo sistematico nell'analisi di que­
sto tipo di fenomeni. Reciprocamente il fatto che i paradigmi di tipo a
e b talvolta appaiono ai sociologi esterni alla loro disciplina, benché i
sociologi classici li abbiano utilizzati, senza dubbio in molti casi è stato
pregiudizievole al progresso della sociologia. Infine, la classificazione
precedente ha l'interesse di fare apparire gli isomor/ismi di cui ho par­
lato all'inizio : i sottotipi a, b, c e d traducono delle distinzioni che , dal
punto di vista epistemologico, sono piu significative delle distinzioni
tra le discipline che le utilizzano .
Ritornerò su questo insieme di considerazioni nell'ultima parte di
questo capitolo, per ora esamineremo in dettaglio i quattro sottotipi di
paradigmi. Avrò cosi l'occasione di precisarne il significato con esempi
concreti.

t 2 GoRDON TuLLOCK, Does Punishment Deter Crime?, in "The Public lnterest" , estate
1 974, pp. 1 03·1 1 1 . Si veda anche GARY BECKER, WtLLIAM LANDES, Essays in Economics o/ Cri­
me and Punishment, Columbia University Press, New York 1 975; FRÉDÉRIC ]ENNY, La théorie
économique du crime: une revue de la littérature, ciclostilato, aprile 1 976.

188
Determinismi sociali e libertà individuale

Per comodità del lettore, la definizione dei quattro sottoparadigmi


può essere riassunta dallo schema qui riportato (si tratta di una specie
di albero i cui rami tripli indicano i tratti distintivi che corrispondono
alle comparazioni sottotipo bi a, sottotipo c/b, sottotipo dlc) .

sotto-tipo a
(marx iano)
Preferenze
banal i =
si
variabili
i n d i pe n d e nti?
sotto-tipo b
(toc q u evil l i ano)

Preferenze
bana l i = sotto-t ipo c
variabi l i ( m ertoniano)
Occorre i n d i pendenti?
considerare
certi e l e m e n t i
( n o n banali)
anteriori
all ' azione? Preferenze
bana l i =
variabi l i
i n d i pe n d e n t i ?

sotto-tipo d
(weberiano)

no
Preferenze
banal i =
varia b i l i
i nd i pe n d e n t i ?

Fig. 6

3. Paradigmi di tipo marxiano

Come si ricorderà i paradigmi di tipo marxiano sono quelli in cui le


azioni individuali sono supposte non legate, cioè di natura tale da non
poter essere svolte dall'attore senza aver considerato i loro effetti sugli
altri, e in cui le preferenze, essendo sufficientemente evidenti, hanno
lo statuto di variabili indipendenti. Attribuiamo a questo paradigma la
qualifica di marxiano perché Marx è senza dubbio il sociologo classico
che piu frequentemente utilizza questo schema 13 (la scelta del termine

13 In tutte queste definizioni occorre notare che i paradigmi utilizzati dagli autori eponi·
mi non si limitano in generale ad una sola delle quattro categorie . Per esempio nelle opere
storiche di Marx sarebbe certamente facile trovare paradigmi simili a quelli di Tocqueville.

1 89
Effetti "perversi " dell'azione sociale

''marxiano" invece di "marxista" indica semplicemente che non ci inte­


ressa il contenuto delle teorie di Marx , ma solo la loro forma ) . Pren­
diamo in considerazione un esempio classico, quello della caduta ten­
denziale del saggio di profitto , come è presentato nel libro terzo del
Cap itale. Questa "legge" è cosi conosciuta che ci si può accontentare
di richiamarla in due parole : nella società ci sono due grandi categorie
di attori, le classi ( capitalisti e proletari) . I capitalisti si appropriano del
profitto, tanto piu elevato quanto maggiore è la produzione, a parità di
altri fattori, e quanto minore è la parte del capitale fisso che va ai sala­
ri, o capitale variabile , sempre a parità di altri fattori. Esiste tuttavia
una "contraddizione" tra le due variabili che determinano il profitto
globale. In effetti il capitalista ha interesse ad aumentare la produttivi­
tà, cioè a reinvestire una parte del profitto per acquistare macchine piu
efficienti e piu rapide che permettano di fabbricare un'unità di prodot­
to in un tempo piu breve . Cosi facendo egli contribuisce però ad ab­
bassare il tasso di profitto e impegna il sistema capitalistico in un pro­
cesso che porta al limite alla soppressione del profitto. Poco importa
che la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto sia vera o
falsa. L'aspetto interessante consiste nel fatto che qui si ritrovano le
caratteristiche del paradigma di tipo a. La struttura economica del ca­
pitalismo invita il capitalista ad aumentare la produttività. Il capitalista
che non adotta questa strategia quando gli altri la scelgono è certamen­
te destinato ad essere eliminato . Egli è infatti obbligato 'ad offrire un
prodotto in perdita o ad un prezzo superiore a quello di mercato . Per­
ciò i capitalisti scelgono la strategia dell'aumento della produttività. Tut­
tavia ciò facendo contribuiscono ad erodere la base su cui si fonda il
capitalismo. I comportamenti degli attori vengono egregiamente analiz­
zati come azioni non legate. Quanto alle preferenze, esse sono poste
come sufficientemente evidenti per non meritare spiegazioni: il capitali­
sta preferisce un profitto globale maggiore ad un profitto meno elevato.
Sottolineiamo per inciso che l'esempio della legge della caduta ten­
denziale del saggio di profitto illustra uno dei significati fondamentali
dell'oscuro concetto di "dialettica": i capitalisti rendono un cattivo ser­
vizio al capitalismo e di conseguenza a se stessi." La contraddizione dia­
lettica in questo caso acquista la forma di un paradosso di composizione:
i benefici individuali che gli attori ottengono dalla loro azione sono ne­
cessariamente accompagnati da un costo collettivo non desiderato .
L'esempio di Marx è particolarmente interessante dal punto di vi­
sta che qui ci interessa. Come Parsons ha mostrato, è poco contestabi­
le che l'assioma marxiano derivi fondamentalmente dalla posizione uti­
litarista. 1 5 Infatti il comportamento degli agenti sociali è sistematica-

14 Questa interpretazione probabilmente sfugge a SrR KARL PoPPER nel suo articolo per
altro illuminante What is Dialectic? in Coniectures and Re/utations. The Growth o/ Scienti/ic
Kno wledge, 3 ' edizione, Routledge and Kegan Pau!, London 1 96 9 (tr. it. Congetture e con­
futazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Il Mulino, Bologna 1 976).
15 Naturalmente uso il termine "utilitarista" non nel senso di Sidgwick (ricerca della mas·
simizzazione del benessere collettico), ma nel senso di Bentham (assioma dell'individuo calco­
latore che cerca di realizzare al meglio le sue preferenze). Sull'utilitarismo di Marx si veda

1 90
Determinismi sociali e libertà individuale

mente spiegato da Marx ricorrendo allo schema del perseguimento


dell'interesse individuale . La proposizione di Parsons non è cosi sor­
prendente come può sembrare a prima vista, se si pensa alla familiarità
di Marx con l'economia politica e la filosofia politica della fine del
XVIII secolo e della prima metà del XIX secolo e al radicamento di
queste discipline nella tradizione filosofica utilitarista (si veda per
esempio l'ammirazione di Marx per Mandeville ) . 16 Senza dubbio le sue
analisi sono differenti da quelle degli economisti classici, ma l'uomo
marxiano è uno stretto parente dell' homo oeco nomicus nato dalla tra­
dizione filosofica del XVIII secolo. Il paradigma utilizzato nell'esem­
pio della legge della caduta tendenziale del saggio di profitto , nell'in­
sieme del Capitale e in tante altre opere di Marx, si ritrova nella mag­
gior parte delle opere di teoria politica e sociologica del XVIII secolo,
in particolare nel Contratto sociale e nel Discorso sull'origine delle di­
seguaglianze tra gli uomini di J ean-Jacques Rousseau. 17 Un problema
essenziale che affronteremo in seguito è quello di spiegare perché que­
sto tipo di paradigma che occupa un posto cosi importante nella teoria
sociale e politica durante tutto il XVIII secolo fino a Marx, sembra in
seguito disdegnato dai sociologi. Parallelamente esso diventa dominan­
te in economia, principalmente a partire dal momento in cui questa di­
sciplina si distacca dall'insieme delle scienze sociali e si fornisce di
un'autonomia istituzionale sempre meno contestata.
Mi sembra quindi che Marx rappresenti il sociologo che in modo
piu costante interpreta il cambiamento sociale come risultato di effetti
di composizione da parte di agenti sociali preoccupati esclusivamente
del perseguimento di interessi immediatamente leggibili in un contesto
in cui hanno la libertà di non tenere conto dell'effetto delle loro azioni
sugli altri. "La storia non è nient'altro che l'attività degli uomini che
perseguono i loro obiettivi", è scritto nella Sacra famiglia. "Stato di
natura", preferenze banali e carattere evidente dell'effetto dei rapporti
di produzione sulle preferenze caratterizzano non solo la legge della
caduta tendenziale del tasso di profitto, non solo l'economia di Marx
nel suo insieme, ma anche tutta la sua analisi del cambiamento sociale
e del divenire storico . ( Le monografie storiche come Il 1 8 Brumaio
devono tuttavia essere messe da parte dal punto di vista che qui ci inte­
ressa. ) Non posso inoltrarmi ulteriormente su questo terreno, ma mi
sembra evidente che la dialettica di Marx procede fondamentalmente

TALCOIT PARSONS, Social Classes and Class Conflict in the Light o/ Recent Sociological Theo­
ry, in Essays in Sociological Theory, The Free Press, New York 1949, edizione modificata
19 64, pp. 323-335. Si veda anche MICHEL HENRY, Marx, Gallimard, Paris 1 976, cap. VI; }oN
EI.5TER, The Logic of Social Sciences, in via di pubblicazione, e }oACHIM IsRAEL, The Principle
of Methodological Individualism and Marxian Epistemology, in "Acta Sociologica ", 14, 3 ,
1971 , pp. 145-150.
1 6 BERNARD MANDEVILLE, The Fable of the Bees, London (tr. it., La favola delle api ovve­
ro Vizi privati, benefizi pubblici, Boringhieri, Torino 1 9 6 1 ) ; KARL MARX, Oeuvres, Ed. de la
Pléiade, Gallimard, Paris, tomo 2, pp. 401 -402 (tr. it . Opere complete, Editori Riuniti, Roma
1972).
17 E .facile mostrare che la battuta di caccia descritta da Rousseau all'inizio della seconda
parte del Discorso sulla diseguaglianza, in un punto cardine dell'argomentazione, introduce
un caso classico nella teoria dei giochi, cioè le strutture di equilibrio insufficiente.

191
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

dagli stessi principi della mano invisibile di A. Smith o dell'astuzia


della Ragione di Hegel. Ora questi effetti dialettici possono apparire
solo in un assioma in cui l'attore sociale è descritto obbediente ad una
logica che può essere riassunta nel concetto di Hayek di raziona lità
limitata. Una struttura dialettica come il dilemma del prigioniero
(struttura che caratterizza non solo la legge della caduta tendenziale del
saggio di profitto , ma in generale la teoria marxiana del mutamento
sociale) , non può apparire se non si danno attori dotati di preferenze,
intenzioni, conoscenza limitata dei mezzi messi a loro disposizione , e
delle costrizioni strutturali che limitano le loro possibilità di azione .
Perciò mi sembra che von Mises sia fuori strada quando in Human Ac­
tion accusa Marx di polilogismo. Nell'analisi che Marx fa del cambia­
mento sociale, non è vero che le differenze nelle posizioni di classe
siano concepite come portatrici di differenze nella logica del comporta­
mento degli attori. Proletari e capitalisti sono utilitaristi allo stesso
modo e asserviti al principio della razionalità limitata. Le differenze
nelle posizioni di classe si traducono in differenze nelle costrizioni
strutturali dell'azione, ma non nella logica dell'azione.
Poiché abbiamo cercato di giustificare la qualifica di marxiano da­
ta al primo sottotipo di paradigmi interazionisti, è utile fornire qual­
che esempio della sua utilizzazione nella recente teoria politica e so­
ciologica.
1 . La teoria della stratificazione sociale vi ricorre frequentemente.
A questo riguardo si ricorderà soprattutto una teoria senza dubbio
molto imperfetta, ma che ha il merito di avere suscitato numerosi com­
menti e discussioni. Con certe riserve può essere considerata di grande
importanza nella misura in cui è riuscita ad isolare certe cause fonda­
mentali della stratificazione sociale . Si tratta della teoria di Davis e
Moore. 1 8 Precisiamo che nelle considerazioni che seguono reinterpre­
teremo in qualche misura il procedimento degli autori, dandogli una
forma piu analitica rispetto alla versione originale. I modelli sottostanti
alla teoria possono essere illustrati con il seguente ragionamento: im­
maginiamo un sistema sociale caratterizzato dalla divisione del lavoro .
Supponiamo due tipi di insiemi di compiti professionali T1 e T2 tali
che, se un individuo ha praticato un apprendistato che gli permette di
svolgere il compito T 2, egli può anche effettuare con competenza il
compito T I > non potendosi dare il contrario . In questo caso l'apprendi­
stato dell'insieme dei compiti T 2 è piu lungo e quindi piu costoso per
l'individuo dell'apprendistato dell'insieme dei compiti T 1 • Immaginia­
mo dunque che un'autorità centrale fissi i tassi di remunerazione eco­
nomica e sociale 1 9 legati ai due tipi di insiemi di compiti e agli impieghi
corrispondenti. Supponiamo inoltre che gli individui siano liberi di

1 8 KINGSLEY DAvis, WILBERT MooRE, Some Principles o/ Strati/ication, in "American So­


ciological Review", vol. 1 0 , n. 2, 1 945, pp. 242-249; MELVIN TUMIN, Some Principles o/ Stra­
ti/ication: Criticai Analysis, in "American Sociological Review ", vol. 1 8 , agosto 1 95 3 , pp.
387-393 .
1 9 Queste remunerazioni includono eventualmente elementi simbolici.

1 92
Determinismi sociali e libertà individuale

scegliere il loro mestiere (nel caso specifico T1 o T2) o che l'autorità si


pronunci per l'eguaglianza delle remunerazioni. E. facile osservare che,
in questo caso, i giovani membri arrivati all'età di scegliere una delle
due possibilità opteranno tutti per l'apprendistato che porta all'eserci­
zio del compito T 1 , e nessuno per quello del compito T2• Il sistema
conduce perciò all'esaurimento delle occupazioni di tipo T2• Per evita­
re questa conseguenza, che si suppone collettivamente indesiderabile,
l'autorità può utilizzare sia le capacità di costrizione di cui eventual­
mente dispone per canalizzare gli individui verso i due tipi di forma­
zione, sia, piu semplicemente forse, stabilire una diseguaglianza di
remunerazioni tra gli individui che esercitano rispettivamente le occu­
pazioni di tipo T 1 e T2 •
Supponiamo ora che non esista un'autorità centrale o , per ricorrere
ad un'ipotesi meno ardita, che l'autorità centrale non sia in grado di
esercitare un potere di regolazione sia sulle scelte professionali che
sulle remunerazioni legate agli impieghi. Immaginiamo d'altra parte
che T1 e T2 corrispondano a servizi resi ai membri. In questo caso è
chiaro che gli individui che possiedono il livello di competenza supe­
riore in condizioni generali potranno imporre ai membri di fornire lo­
ro remunerazioni superiori a quelle che gli individui meno qualificati
potranno imporre, in contropartita dei servizi che solo essi possono of­
frire .
Perciò nei due casi il sistema genera, per effetto della composizio­
ne delle azioni individuali, un fenomeno macrosociale , cioè l'apparire
di diseguaglianze nelle remunerazioni e piu in generale fenomeni di
stratificazione.
Credo che questo semplice modello illustri la lettura piu feconda
che si può fare della teoria di D avis e M o ore . L'importante intuizione
della loro teoria risiede nella proposizione secondo cui i fenomeni di
stratificazione devono spesso essere considerati come la risultante non
desiderata di strutture di interdipendenza caratteristiche delle società
reali.
Preciso ancora una volta che si tratta di una "lettura". La teoria di
Davis e Moore è presentata dagli autori in maniera molto piu dogmati­
ca rispetto a quello che può far pensare la mia precedente discussione .
La traduzione sotto forma di semplice modello che ne ho data ha un
importante vantaggio : fa apparire immediatamente che, contrariamen­
te a quanto suggeriscono Davis e Moore, non si può concepire il lega­
me tra remunerazioni sociali e competenza come un legame generale.
Cosi, immaginiamo che T2 esiga un tempo di apprendistato piu lungo
rispetto a Tl > ma che T1 non sia un sottoinsieme di T2• In questo caso
non è affatto detto che senza una regolazione esterna gli individui che
esercitano l'occupazione T2 ricevano remunerazioni sociali maggiori.
La conclusione di un legame necessario tra remunerazioni sociali e in­
vestimenti scolastici, lungi dall'essere generale, dipende dalle specifica­
zioni che si introducono nel modello.
Il punto importante tuttavia consiste nell'intuizione sottostante alla

1 93
Effetti "perversi " dell'azione sociale

teoria di Davis e Moore , cioè nel fatto che almeno in parte i fenomeni
di stratificazione devono essere interpretati come effetti di composi­
zione.
In breve se si esamina la teoria della stratificazione sociale come si
sviluppa dopo la seconda guerra mondiale, vi si osserva una promet­
tente dimensione di ricerca consistente nelle teorie che appartengono
alla classe dei paradigmi di tipo marxiano.
A questo riguardo è interessante soffermarsi un istante su un risul­
tato empirico sufficiente da solo a suggerire l'importanza di questa
classe di paradigmi nell'analisi dei fenomeni di stratificazione. Si tratta
di una tabella che mostra l'assenza totale di parallelismo tra l'evoluzio­
ne degli atteggiamenti riguardanti la segregazione residenziale negli
Stati Uniti e l'evoluzione della segregazione effettiva ( tabella 20) . Men­
tre l'accettazione dell'integrazione ha fatto dei progressi notevoli, la se­
gregazione effettiva rimane costante.

Tabella 20 - Indice di segregazione residenziale in base alla razza (1 09 città nel


1 940, 1 950, 1 960) e p ercentuale di bianchi che approvano l'integrazione residen­
ziale nel 1 942, 1 95 6, giugno e dicembre 1 963, 1 965 e 1 96 8

Sud Nord

% di bianchi % di bianchi
Segregazione che approvano Segregazione che approvano
residenziale l'integrazione residenziale l'integrazione
residenziale residenziale

1 940 84,9 85,5


1 942 12 42
1 95 0 8 8 ,5 8 6 ,3
1 95 6 38 58
1 960 90,7 82,8
1 96 3 (giugno) 44 68
1 96 3 (dicembre) 51 70
1 96 5 58 81
1 96 8 57 83

FONTI: }AMES COLEMAN , Resources /or Social Change, Wiley, New York 1 97 1 , p . 3 1 .

L'interpretazione d i questa contraddizione è la seguente: i fenome­


ni di segregazione residenziale non sono il risultato di un gusto genera­
le per la segregazione, cioè dell'intensità con cui gli individui preferi­
scono abitare in un ambiente composto da persone appartenenti allo
stesso gruppo razziale, ma di un effetto di composizione . Scegliendo la
residenza gli individui considerano certamente in prima istanza le loro
risorse e le loro preferenze in materia di abitazione . Spingiamoci tutta­
via piu lontano e supponiamo che essi non attribuiscano nessuna im­
portanza alla composizione etnica del loro vicinato . E. allora facile mo­
strare che anche in questo caso si possono verificare degli effetti di se-

1 94
Determinismi sociali e libertà individuale

gregazione . Essi saranno il risultato non desiderato della composizione


di scelte effettuate in un contesto in cui le risorse disponibili e l'appar­
tenenza etnica sono statisticamente legate. 20 Questa interpretazione
della tabella 20, come si può vedere, ha una struttura comparabile a
quella del teorema della tela del ragno o della legge della caduta ten­
denziale del saggio di profitto. Essa spiega infatti la persistenza della
segregazione residenziale come un gioco di effetti composti non voluti
dagli attori.
2. I paradigmi di tipo marxiano negli ultimi decenni sono stati ab­
bondantemente utilizzati nel campo della teoria politica. A questo ri­
guardo richiamerò molto rapidamente l'esempio della teoria di Olson
riguardante la partecipazione alle associazioni volontarie come i partiti
politici, i sindacati o le associazioni professionali. 21 Il fenomeno sociale
che si situa al punto di partenza delle riflessioni di Olson è il seguente:
si constata empiricamente che molto spesso le associazioni volontarie
attirano pochi partecipanti malgrado l'interesse dei servizi che propon­
gono e che sono in grado di rendere al loro pubblico potenziale . Cosi,
i tassi globali di sindacalizzazione sembrano relativamente bassi nella
maggior parte delle società industriali dell'Europa occidentale e nell'A­
merica del nord e in molti casi appaiono costanti nel tempo nonostante
la tendenza alla concentrazione industriale. 22 Come è possibile spiegare
questo fenomeno globale? E evidente che i sindacati sono in grado di
fornire servizi apprezzabili, a cominciare dagli aumenti salariali. E po­
co probabile che i satariati non apprezzino un servizio di questo tipo.
Allo stesso modo i partiti politici sono in grado di fornire dei servizi
agli individui: i programmi politici dei partiti contengono immancabil­
mente delle "promesse" interessanti per numerosi gruppi di individui.
E certamente evidente a tutti che questi obiettivi verranno piu facil­
mente realizzati se il partito che li ha formulati sale al potere. Come è
possibile spiegare allora che in tutte le democrazie dell'Europa occi­
dentale e dell'America del nord il numero dei militanti è in generale
estremamente basso rispetto al numero delle persone che dichiarano il
loro interesse per il programma dei partiti votando per essi al momen­
to delle elezioni? La teoria per cui la mancanza di partecipazione poli­
tica sarebbe la conseguenza di una disaffezione dovuta alla quasi identi­
tà dei programmi proposti, se ha qualche merito, spiega forse o in ogni

2" THOMAS ScHELLING, On the Ecology o/ Micro-Motives, in "The Public lnterest", vol.
25, autunno 1 9 7 1 , pp. 61-98; THOMAS SCHELLING, Dynamic Models o/ Segregation, in "Journal
of Mathematical Sociology", vol. I, n. 2, luglio 1 97 1 , pp. 143- 1 8 6 ; }ACQUES LAUTMAN, Essai
sur /es /ortunes quelconques, le logement et la spéculation immobilière, tesi di dottorato, in
via di pubblicazione.
21 MANCUR 0LSON, Tbe Logic o/ Collective Action, Harvard University Press, Cambrid­

ge (Mass. ) , 1 965.
22 Cfr. DANIEL BELL The Coming o / Posi-Industriai Society, Basic Books, New York
,

1 973, che riporta i seguenti tassi di sindacalizzazione globale: Stati Uniti, 22,9% nel 1 947,
25,2% nel 1 956, 23% nel 1 9 6 8 , 22,6% nel 1 970. Francia 20% nel 1 971 . Olanda 40 % . Ger­
mania 40% . Gran Bretagna 45 % . Belgio, Lussemburgo 6 5 % . L'importanza storica del closed­
shop in Gran Bretagna, i piliers olandesi, il distanziamento politico in Germania, l'abbondan­
za dei beni individuali che i sindacati sono in grado di fornire, rappresentano le svariate cause
dei tassi relativamente elevati nella sindacalizzazione di questi paesi.

1 95
Effetti "perversi " dell'azione sociale

caso contribuisce forse a spiegare per esempio i bassi tassi di astensio­


ne in Francia e negli Stati Uniti. Al di là delle differenze relative alla
struttura dei partiti nelle differenti nazioni, la teoria non spiega evi­
dentemente il fatto che in tutti i casi si osserva una bassa proporzione
di militanti.
Per spiegare questi fenomeni Olson ha fatto ricorso ad una teoria
molto semplice. I servizi resi da organizzazioni come i partiti o i sinda­
cati hanno la caratteristica intrinseca di essere collettivi. Gli economi­
sti affermano che questo tipo di organizzazioni fornisce beni collettivi,
cioè beni di cui necessariamente si giovano tutti i membri di un insie­
me di individui. 23 Perciò quando un sindacato ottiene un aumento sala­
riale per una categoria professionale , questo aumento viene applicato
all'insieme degli individui che appartengono alla categoria in questio­
ne . L'aumento salariale si traduce certamente in un aumento della bu­
sta paga di ciascun individuo in particolare , ma rappresenta in se stessa
un servizio collettivo nella misura in cui questo servizio è necessaria­
mente reso ad un insieme di individui.
La natura essenzialmente co llettiva dei beni e servizi forniti da or­
ganizzazioni come i partiti o i sindacati comporta, per Olson, delle im­
portanti conseguenze. Semplificando si può presentare la sua analisi
nel modo seguente: immaginiamo che il pubblico potenziale o, per
usare il linguaggio di Dahrendorf, 24 il gruppo latente al quale il sinda­
cato propone i suoi servizi collettivi sia numeroso . I membri di questo
gruppo latente, presi individualmente, non possono fare a meno di
considerare che la loro quota e piu generalmente la loro partecipazio­
ne all'associazione volontaria possono al massimo modificare in manie­
ra impercettibile la probabilità che l'associazione in questione produca
effettivamente un servizio co llettivo dato. Senza dubbio ciascuno spe­
ra e auspica che il servizio collettivo in questione venga effettivamente
prodotto. Questi sentimenti sono il risultato dei benefici individuali
che ciascuno è sicuro di ottenere, ma poiché ciascun individuo ritiene
giustamente che la sua influenza sulla produzione del servizio sia tra­
scurabile , mentre invece non gli sembra trascurabile il costo di parte­
cipazione, la probabilità che egli decida volontariamente di partecipare
all'associazione è necessariamente bassa. Alcuni decideranno di parte­
cipare forse per gusto, devozione, interesse ideologico , altruismo o
per altre ragioni, ma queste ragioni saranno controbilanciate da altre
che agiranno nel senso opposto . In sostanza non ci si può attendere di
osservare un elevato tasso di partecipazione. Benché ciascuno abbia un
interesse individuale alla produzione del servizio collettivo, non è inte­
resse di nessuno partecipare a questa produzione. Si perviene allo stes­
so risultato quando si suppone che un individuo possa aumentare in
maniera non trascurabile la probabilità di produzione di un bene col-

23Nel primo caso parliamo di beni collettivi puri.


24RALF DAHRENDORF, Class and Class Con/lict in Industriai Society, Routledge and Ke·
gan Pau!, London 1 963 (tr. it., Classi e conflitto di classe nella società industriale, Laterza,
Bari 1 970).

1 96
Determinismi sociali e libertà individuale

lettivo senza che l'aumento della speranza di guadagno, che gli risulte­
rebbe dalla sua azione, compensi il costo della sua partecipazione all'a­
zione.
La teoria di Olson non spiega solo i bassi tassi di partecipazione
alle associazioni volontarie che si osservano empiricamente in numero­
se circostanze. Essa spiega anche certi fenomeni apparentemente para­
dossali: il fatto per esempio che certe associazioni volontarie tentino di
ottenere dall'autorità pubblica il diritto di costringere i membri del lo­
ro pubblico potenziale a partecipare all'associazione. Una pratica come
quella del closed-shop , facilmente interpretabile nel quadro della teo­
ria di Olson, è difficilmente comprensibile in altro modo . Come è pos­
sibile comprendere infatti che una associazione debba costringere degli
individui ad iscriversi quando essa produce in quanto tale dei servizi
che essi apprezzano?
La teoria permette anche di comprendere che , a parte la coercizio­
ne, un'altra strategia frequentemente utilizzata dalle associazioni volon­
tarie per aumentare la loro clientela consiste nel fornire dei beni indi­
viduali paralleli ai beni collettivi che costituiscono la loro ragione
d'essere. Il corollario della teoria spiega, o almeno può spiegare in cer­
ti casi, delle differenze notevoli tra i tassi di partecipazione che caratte­
rizzano questa o quella associazione . Cosi, un'associazione scientifica
professionale è normalmente, per vocazione, un fornitore di beni e
servizi collettivi, ma essa avrà tutte le possibilità di aumentare conside­
revolmente la sua udienza se fornirà, parallelamente ai beni collettivi,
dei beni individuali, come fanno certe associazioni mediche, che offro­
no anche l'assistenza legale nelle cause concernenti gli sbagli professio­
nali . Allo stesso modo se un sindacato istituzionalmente può ottenere
non solo miglioramenti salariali (beni collettivi) , ma per esempio avere
un'influenza sulla carriera dei suoi membri (beni individuali) , il tasso di
partecipazione su cui potrà fare assegnamento sarà certamente molto
piu incoraggiante rispetto alle istituzioni che si limitano alla fornitura
di beni e servizi collettivi. Il successo della sindacalizzazione nel caso
del sistema di istruzione francese, per esempio, non è comprensibile
se non si considera la fornitura di beni individuali, che i sindacati degli
insegnanti sono in grado di assicurare attraverso le istituzioni, paralle­
lamente alla produzione di beni e servizi collettivi, che rappresentano la
loro ragione d'essere .
3 . Ricorderò infine rapidamente l'importanza che mi sembrano ri­
vestire i paradigmi di tipo marxiano in un settore molto popolare della
sociologia da un decennio a questa parte: la sociologia dell'educazione.
Consideriamo per esempio un fenomeno macrosociale come l'aumento
della "domanda di istruzione" alla quale si assiste dopo la seconda
guerra mondiale . Come è possibile spiegare questo fenomeno ? Subito
appare un elemento importante: se si guardano la statistiche di una
qualsiasi impresa industriale, si osserva sempre una correlazione (piu o
meno stretta a seconda dei casi e frequentemente abbastanza bassa) tra
remunerazione e livello di istruzione . In altri termini gli individui per-

1 97
Effetti "perversi " dell'azione sociale

cepiscono mediamente remunerazioni economiche e sociali tanto mag­


giori quanto piu alto è il loro livello di istruzione . Si tratta di una con­
statazione empirica, ma è importante insistere sulla restrizione che ho
appena sottolineato: mediamente. Essa significa che si può osservare
un'inversione del segno del legame tra le remunerazioni e il livello di
istruzione se si considerano due individui particolari . In altri termini,
benché gli individui di livello di istruzione piu elevato beneficino me­
diamente di remunerazioni superiori, i casi in cui due individui scelti a
caso sono caratterizzati da un'inversione del legame tra le due variabili
possono essere frequenti. Perché si abbia correlazione positiva tra re­
munerazioni e livello di istruzione , occorre solamente che i casi di re­
lazione negativa siano meno frequenti dei casi opposti. In altri termini,
nonostante la correlazione positiva tra remunerazioni e livello d'istru­
zione, un individuo può avere forti probabilità di conseguire un livello
di retribuzione piu basso del suo collega, anche se il livello di istruzio­
ne è piu alto.
Per rendere piu concreti questi concetti, immaginiamo un siste­
ma sociale in cui esistono solo due livelli di istruzione. Supponiamo
inoltre che la struttura statistica delle remunerazioni empiricamente
associate a ciascun livello possa essere rappresentata dalla figura se­
guente:

/ D i stribuzione
delle remuneraz i o n i
corri spondenti
al l i ve l l o
d i istruzione e l evati

L i v e l l o di remunerazione

Fig . 7 . - Distribuzione che illustra il significato della correlazione tra livello di


istruzione e remunerazione.

La superficie con doppio tratteggio della figura indica l'importanza


relativa dei casi di inversione di cui abbiamo appena parlato. La figura
mostra che le remunerazioni degli individui che possiedono il livello di
istruzione superiore, sono mediamente piu alte. Tuttavia la zona con
doppio tratteggio contiene due sottopopolazioni (che corrispondono
alla sovrapposizione delle due distribuzioni) di individui caratterizzati
da una identica struttura delle rispettive remunerazioni. Pertanto una
delle due sottopopolazioni ha il livello scolastico inferiore e l'altra
quello superiore .
Immaginiamo ora che una popolazione di unità familiari o di indi­
vidui venga chiamata a scegliere tra i due livelli possibili. Ammettiamo
inoltre per semplificare che gli individui di questa popolazione non dif-

1 98
Determinismi sociali e libertà individuale

feriscano per le loro risorse culturali, economiche o altro . Questo


aspetto irrealistico del ragionamento potrebbe agevolmente essere eli­
minato senza incidere sulle conclusioni. D'altra parte supponiamo che
le unità familiari o gli individui, nel momento in cui affrontano la deci­
sione in questione, percepiscano piu o meno chiaramente che le remu­
nerazioni relative ai due livelli di istruzione sono caratterizzate da una
struttura come quella della figura 7. Non potendo provare questa ipo­
tesi, alcune ricerche suggeriscono che si tratta di un'ipotesi realista. In­
fine introduciamo un'ipotesi di inerzia analoga a quella introdotta dal
teorema della tela di ragno: si suppone che gli individui si attendano
che la struttura della figura 7 si riproduca anche in avvenire.
Quale sarà il comportamento degli individui in queste circostanze ?
Non voglio insistere sul dettaglio della dimostrazione, ma è facile ve­
dere25 che, in condizioni abbastanza generali, la proporzione degli indi­
vidui che scelgono di investire nell'istruzione in modo da ottenere il
livello di istruzione elevato, può essere molto maggiore di quella illu­
strata nella figura 7 (in questa figura le superfici delle due distribuzioni
indicano che i due livelli di istruzione dividono l'insieme della popola­
zione in parti grosso modo uguali) . Perché sia valida una tale conclu­
sione è sufficiente che la differenza dei costi economici, sociali, psico­
logici o altro associati ai due tipi di carriera scolastica non sia troppo
grande rispetto alle differenze nella struttura delle remunerazioni anti­
cipate. Al limite si può facilmente creare una situazione di inflazione
scolastica assoluta in cui nessuno avrebbe interesse a scegliere il primo
tipo di livello di istruzione . 26 N o n posso insistere ulteriormente su
questo nuovo esempio di utilizzazione di un paradigma interazionista
di tipo marxiano . Le relazioni tra gli attori appartengono in effetti allo
"stato di natura". Il livello di istruzione scelto da ciascuno non è privo
di influenza sulle remunerazioni che ciascuno degli altri può aspettarsi
dal proprio livello di istruzione . Malgrado questa interdipendenza tra
gli effetti di decisioni individuali, si ha a che fare con un contesto ra­
zionale in cui ciascuno può decidere liberamente, cioè senza l'obbligo
di considerare gli effetti della propria decisione sugli altri. D'altra parte
le "preferenze" non suppongono alcuno sforzo particolare di spiegazio­
ne . Le ipotesi enunciano semplicemente che ciascuno cerca di prendere
una decisione suscettibile di assicurargli le piu alte remunerazioni socia­
li. E infatti inutile limitare il ragionamento alla considerazione delle sole
remunerazioni economiche . Per generalizzarne la portata è sufficiente
definire lo status come un flusso di remunerazioni fornite al soggetto
lungo il ciclo della vita . Queste remunerazioni vengono effettuate in
numerose unità di conto , come il prestigio , la ricchezza, il potere.

25 Utilizzando, dopo averlo modificato, il tipo di modelli usati da RAYMOND BounoN, PHJ.
LIPPE CIBOIS, }ANINA LAGNEAU, Enseignement supérieur court et pièges de l'action collective, in
"Revue française de sociologie ", XVI, n. 2, pp. 1 5 9-1 8 8 . Si veda anche il capitolo III del
presente volume.
26 Incidentalmente sarebbe interessante includere nel modello un sistema di feed-Back,
analogo, per esempio, a quello che si incontra nel teorema della tela di ragno, e interrogarsi
sugli effetti della non-realizzazione delle anticipazioni.

199
Effetti "perversi " dell'azione sociale

Il tipo di modello appena esposto brevemente può essere compli­


cato in modo da studiare gli effetti dell'introduzione delle classi sociali,
cioè sottogruppi caratterizzati da differenti distribuzioni delle loro ri­
sorse . Questo fattore comporterà certamente delle differenze nella va­
lutazione del rischio associato agli elementi di un insieme di opzioni.
Ammettiamo per esempio che un individuo si attenga alla riproduzione
della struttura della figura 7. Egli per.cepirà forse il rischio che può
correre tentando di conseguire il livello scolastico superiore come
grosso modo proporzionale alla superficie con doppia tratteggiatura.
Tuttavia occorre anche introdurre l'ipotesi di una dipendenza dalla tol­
leranza al rischio rispetto alle risorse: mediamente chi possiede una
fortuna di 1 . 000 franchi accetterà piu facilmente di rischiare l franco
rispetto ad un individuo che possiede in tutto solamente 2 franchi. Si
possono allora studiare gli effetti di questa dimensione essenziale della
struttura sociale che sono le classi sociali sulle decisioni riguardanti l'i­
struzione e mettere in evidenza gli effetti di interdipendenza complessi
che ne risultano. In una situazione di inflazione di domanda di istru­
zione, la stratificazione ha l'effetto di diminuire l'intensità dell'inflazio­
ne . Questo risultato tuttavia è ottenuto a spese delle classi inferiori.
Mi sono soffermato un po' su questo esempio per suggerire l'im­
portanza potenziale di ciò che ho chiamato i paradigmi di tipo marxia­
no in un campo in cui sono abitualmente poco utilizzati.
Un semplice colpo d'occhio su un qualsiasi tipo di raccolta di testi
mostra infatti che i lavori di sociologia dell'educazione, non solo non
appartengono al tipo di paradigma di cui si occupa questo paragrafo ,
ma neanche appartengono spesso alla famiglia dei paradigmi intera­
zionisti. 27 Pili spesso i comportamenti scolastici vengono analizzati dai
sociologi dell'educazione, non come delle azioni, ma come dei com­
portamenti ( nel senso dato a questo termine all'inizio dell'articolo ) .
Ciò significa che l e "scelte" relative all'istruzione vengono interpreta­
te come la risultante piu o meno meccanica di un condizionamento ·
in cui l'origine sociale gioca un ruolo determinante. Ritornerò breve­
mente su questo punto quando affronterò il capitolo sui paradigmi
deterministi.
Cosi, il rifiorire di paradigmi di tipo marxiano, che si osserva in
molti campi della sociologia, non è accolto senza resistenza. Interferi­
sce con tradizioni e interessi costituiti. L'obiezione piu frequente con­
tro l'utilizzazione di questo tipo di paradigmi è che è illegittimo utiliz­
zare un modello di homo sociologicus che richiama la belle époque
della psicologia razionale , specialmente se si considerano i progressi
della Tie/enpsychologie. A questa obiezione si può rispondere da una
parte che molti sociologi classici hanno utilizzato questo modello, dal­
l'altra che è sufficiente a spiegare molti comportamenti, non tutti cer­
to. Bisognerebbe essere pazzi per pretendere di spiegare i comporta-

27 Cfr. per esempio tra gli svariati autori, ALAIN GRAs (a cura di), Sociologie de l'éduca­
tion, Larousse, Paris 1 974.

200
Determinismi sociali e libertà individuale

menti del nevrotico partendo da questo modello, ma è altrettanto in­


sensato voler spiegare sistematicamente ogni comportamento, qualun­
que sia la sua natura, partendo da un modello psicologico complesso .
Il fatto che il passante che attraversa la strada guardi a destra e a sini­
stra può essere spiegato senza fare ricorso all'inconscio, all'alienazione
o alla falsa coscienza. In certi campi, come per esempio la sociologia
dell'istruzione , è chiaro che i sociologi hanno pagato molto caro il fatto
di essersi intestarditi ad utilizzare senza discernimento una psicologia
complessa . Un homo sociologicus complesso può certamente generare
una sociologia semplice, perfino semplicistica, ma, come gli esempi
precedenti penso che suggeriscano a sufficienza, i modelli di tipo mar­
xiano pervengono spesso a fare sorgere effetti di interazione di grande
complessità strutturale, nonostante e certamente in parte grazie alla
semplicità del modello di homo sociologicus che utilizzano.
Ritornerò ulteriormente su questo punto, che mi sembra di grande
importanza epistemologica. Prima continuiamo la rassegna degli altri
tipi di paradigmi.

4. Paradigmi di tipo tocquevilliano

Il secondo sottotipo di paradigma interazionista è caratterizzato da


una interpretazione individua lista delle azioni ( gli individui effettuano
le loro scelte in un contesto di stato di natura) e da un'interpretazione
sociale dei sistemi di preferenze. Come si rico rderà, è questa seconda
caratteristica che identifica propriamente ciò che ho chiamato paradig­
mi di tipo tocquevilliano ; questo tipo di paradigma si distingue dal pre­
cedente nel fatto che i sistemi di preferenza, soprattutto la valutazione
delle alternative di azione, vengono analizzate a partire da dati che ca­
ratterizzano non t�nto gli individui, quanto piuttosto il sistema sociale
a cui appartengono.
Per cominciare cercheremo di giustificare la denominazione utiliz­
zata per designare questo tipo di paradigmi. In un altro contesto sareb­
be interessante dimostrare, con un'analisi sistematica, che questo para­
digma è caratteristico dell'opera di Tocqueville . In questa sede mi ac­
contenterò di richiamare brevemente un esempio ripreso da L'A ncien
Régime et la Révo lution che appartiene a pieno titolo alla classe dei
paradigmi appena definiti.
Prima di tutto consideriamo il modo in cui Tocqueville spiega la
ragione del minore sviluppo dell'agricoltura capitalistica e del commer­
cio alla fine del XVIII secolo in Francia rispetto alla Gran Bretagna.
Egli sostiene che la ragione principale consiste nel fatto che nella Fran­
cia dell'Ancien Régime l'elevato grado di centralizzazione amministra­
tiva determinava un maggiore prestigio dello Stato rispetto alla situa­
zione di oltre Manica , e nel fatto che le cariche dello Stato, i "posti"
erano piu ricercati e piu numerosi. Di conseguenza, quando un pro­
prietario terriero si trovava di fronte alla scelta se restare sulle sue ter-

201
Effetti "perversi " dell'azione sociale

re e cercare di accrescerne la produzione, oppure acquistare una carica


reale in città, egli preferiva in genere la seconda possibilità:
Gli impieghi nell' Ancien Régime non assomigliavano sempre ai nostri, ma ce
n'erano molti di piu, credo; il numero dei posti di basso livello era sterminato. Se
consideriamo solo il periodo 1 6 93-1 70 9 , si calcola che ne furono creati qùaranta­
mila, quasi tutti alla portata dei piccoli borghesi [ . . . ] . Il desiderio dei borghesi di
occupare questi posti non aveva uguale. Dal momento in cui uno di essi era posses­
sore di un piccolo capitale, invece di impiegarlo in un'attività commerciale, se ne
serviva subito per acquistare un posto. Questa ambizione miserabile in Francia ha
nuociuto al progresso dell'agricoltura e del commercio in misura maggiore rispetto
28
alle corporazioni e alle stesse imposte.

Tuttavia quest'ultima frase sottolinea che non bisogna dimenticare


l'attrattiva degli esoneri fiscali che comportava la residenza in città :
[ . . . ] i borghesi riuniti in città disponevano di mille modi per attenuare il peso
delle imposte e spesso per sottrarsi completamente all'imposizione fiscale, che nes­
suno avrebbe potuto eludere isolatamente se sui propri possedimenti. . . Detto per
inciso, questa è una delle ragioni per cui la Francia si è riempita di città, soprattutto
di piccole città, in misura maggiore degli altri paesi d'Europa. 29

Queste sono dunque alcune delle ragioni per cui, secondo Tacque­
ville, l'agricoltura capitalistica non ha conosciuto in Francia lo sviluppo
che ha conosciuto invece in Gran Bretagna.
Questa analisi costituisce un ottimo esempio del modo in cui Toc­
queville ragiona in generale: il comportamento degli individui non è
regolato da norme trascend enti. N o n è il prodotto di strutture sociali.
Non è il risultato dell'influenza dell'ambiente. In realtà gli attori sociali
vengono descritti come tendenti a servire nel modo migliore il loro in­
teresse in un contesto sociale dato. La combinazione di queste scelte
individuali produce dunque degli effetti macrosociologici (sottosvilup­
po del commercio e dell'agricoltura) , essi stessi spiegabili corrle strut­
ture dell'interazione create dal contesto sociale . Piu esattamente l'ana­
lisi contiene quattro aspetti éssenziali. Da una pàrte Tocqueville indica
chiaramente i fenomeni macrosociali che cerca di spiegare , per esem­
pio la differenza tra la Francia e la Gran Bretagna per quanto riguarda
la distribuzione e la dimensione delle città o la differenza tra i due pae­
si per quanto riguarda lo sviluppo dell'agricoltura. Da un'altra parte
egli concepisce questi fenomeni macrosociali come fenomeni che han­
no la struttura di effetti di composizione di azioni elementari. In terzo
luogo queste azioni sono concepite come obbedienti essenzialmente
alla logica dell'interesse individuale. In quarto luogo i valori che gli
individui attribuiscono alle alternative loro offerte dipendono da dati
relativi al sistema sociale nel quale sono inseriti.
Non c'è alcun dubbio che il modello di homo sociologicus che ser-

28 ALEXIS DE TocQUEVILLE, L'Ancien Régime et la Révolution, Gallimard Coli. "ldées",


Paris 19 52, p . 171 (tr. it ., L'antico regime e la rivoluzione, cit . , p. 1 3 9 ) .
z• Ibid., pp. 1 39-141 .

202
Determinismi sociali e libertà individuale

ve da struttura di fondo alle analisi di Tocqueville è piu complesso di


quello che abbiamo riscontrato negli esempi della sezione precedente.
Con Tocqueville la gerarchizzazione degli obiettivi che un individuo
può darsi non è considerata un dato che è inutile o non interessante
cercare di spiegare , come nella tradizione della filosofia politica del
XVIII secolo. Essa non obbedisce a ciò che Parsons chiama il caratte­
re aleatorio dei fini ( randomness o/ ends ) . 30 Al contrario è la struttura
sociale che contribuisce a determinare questa gerarchia . Cosi gli effetti
storici della centralizzazione amministrativa e delle istituzioni fiscali
spingono il proprietario terriero francese a disinteressarsi delle proprie
terre . Tuttavia lungi dall'essere il risultato di costrizioni esterne (even­
tualmente interiorizzate ) , o la manifestazione di non si sa quale deter­
minismo, la decisione per cui il proprietario abbandona le sue terre è il
prodotto di una libera scelta la cui logica è grosso modo quella del cal­
colo utilitaristico. Riassumendo si può dire che, per Tocqueville , la ge­
rarchia dei valori attribuita agli obiettivi possibili non è, come nella tra­
dizione classica, una variabile indipendente, cioè una variabile di cui
non si cerca di rendere conto: senza la centralizzazione amministrativa,
le cariche pubbliche non sarebbero state cosi numerose. Inoltre esse
non avrebbero avuto lo stesso prestigio e di conseguenza lo stesso va­
·
lore nella Francia dell' A ncien Régime. Lo stesso tipo di schema appa­
re nelle penetranti analisi della stratificazione sociale sviluppate in La
democrazia in A merica : senza i meccanismi di competizione introdotti
nello sviluppo delle società industriali, i piccoli vantaggi di status non
avrebbero lo stesso valore e non sarebbero cosi ricercati .
A questo punto si impone una doppia chiarificazione . I paradigmi
dei due primi tipi si oppongono per il fatto che, nel secondo caso ma
non nel primo, le preferenze sono considerate come cose da sp iegare.
Questa distinzione non ricalca esattamente la distinzione tra variabili
endogene e variabili esogene come normalmente si intende . Essa si
propone di sottolineare ulteriormente come nel caso di certe azioni ma
non in tutte, un osservatore qualunque possa essere supposto capace
di comprendere il sistema di preferenze al quale l'attore obbedisce, ciò
dipendendo dalla natura dell'azione . Cosi, un osservatore qualunque
capirà perché ( Wozu ) un pedone guarda a destra e a sinistra prima di
attraversare la strada. In altri casi, dipende ancora dalla natura dell'a­
zione, si può supporre invece che si abbia a che fare con un' azione che

·10 La nozione di una pretesa randomness o/ ends, obiezione principale rivolta da Parsons

all'ucilitarismo in generale, non è perfettamente trasparente. I due casi che occorre distinguere
non corrispondono alla coppia fini aleatori/ fini non aleatori, ma piuttosto alla coppia fini= va­
riabili indipendenti/ fini = variabili dipendenti. In H uman Action (Y aie University Press, N e w
Haven 1 9 66, p. 1 24) LuDWIG VON MISES sottolinea egregiamente che le preferenze vengono
trattate dall'economia classica come date a priori: la convessità delle curve di indifferenza non
deriva dall'osservazione, ma viene analiticamente dedotta dalla nozione di preferenza. Non si
comprende bene perché Parsons applichi il concetto di Ra ndomness alle situazioni in cui le
preferenze, potendo essere determinate analiticamente, acquistano lo status di variabili indi­
pendenti. Si comprende ancora meno per quale ragione il dominio della sociologia .dovrebbe
limitarsi alle situazioni in cui le preferenze hanno lo statuto di variabili dipendenti, come vuole
Tbe Structure o/ Social Action.

203
Effetti "perversi " dell'azione sociale

obbedisce ad un sistema di preferenze non chiaro per un osservatore


qualunque (perché mai il commerciante di Tocqueville cerca con fre­
nesia le cariche reali ? ) . La distinzione tra i due tipi di paradigmi oppo­
ne quindi esclusivamente due tipi di relazioni possibili tra l' osservatore
e le preferenze dell' attore ( comprensione immediata o poca chiarez­
za) . Essa non ha quindi niente a che vedere con la distinzione (che mi
sembra confusa e in ogni caso senza utilità per il proposito che mi sono
fissato) tra tipi differenti di determinazione di preferenze individuali
(determinazione attraverso le strutture sociali e determinazione attra­
verso la natura umana, per esempio ) .
Nella storia della sociologia e nei lavori di sociologia contempora­
nea non è difficile trovare numerosi esempi che appartengono al para­
digma interazionista di tipo tocquevilliano . Consideriamo brevemente
tre esempi:
l ) Il primo è ripreso dal sociologo americano Robert Merton. In
un articolo pubblicato nel 1 9 3 6 e ripreso nella sua essenza nella cele­
bre opera teorica Social Theory and Socia l Structure, Merton introdu­
ce l'idea che un compito fondamentale dell'analisi sociologica consista
nel palesare le conseguenze non previste delle azioni umane," cioè nel
decifrare ciò che chiamiamo gli effetti di composizione delle azioni in­
dividuali. Sottolineo incidentalmente, perché questo riferimento mi
sembra che abbia un notevole significato, che Merton fa riferimento
principalmente a Mandeville e a Marx nelle prime righe del suo
testo . 32
Però Merton usa un paradigma piu generale di quello piu frequen­
temente utilizzato da Mandeville e Marx . Il suo testo suggerisce espli­
citamente che , in certi casi come nell'analisi dei fenomeni di panico fi­
nanziario , si può fare astrazione dagli effetti delle strutture sociali sul
sistema di interazione. Se si propagano delle voci sull'insolvenza di una
banca, i clienti vi si precipitano per ritirare i loro risparmi. La profezia
contenuta nelle voci viene cosi realizzata, non tanto perché essa sia
portatrice di una proposizione vera, ma perché essa scatena un insieme
di azioni che conducono ad un effetto di composizione riassunto dall'e­
nunciato della predizione. Questa analisi della profezia creatrice13 o
p rofezia che realizza se stessa obbedisce ad uno schema logico stretta­
mente analogo a quello che caratterizza gli esempi della sezione prece­
dente . Altre analisi, come quelle che hanno attinto alla logica dei pre­
giudizi raziali, si riferiscono invece al paradigma Tocquevilliano:

Per il fatto di non capire il funzionamento della profezia creatrice, molti ame­
ricani di buona volontà sono portati ( spesso malvolentieri) a perpetuare i pregiudi-

31 RoBERT K. MERTON , The Unanticipated Consequences of Purposive Social Action, in


"American Sociological Review", 1 936, I , pp. 894-904; si veda anche Social Theory . , cit.
. .

pp. 421 -436 (tr. it. cit . ) .


32 Cosi come a Bousset. Mi sembra tuttavia che occorra distinguere i l caso d i Bousset da
quello di Marx e Mandeville , poiché, se in Bousset è rintracciabile facilmente la nozione mer­
toniana di conseguenze impreviste, non vi è traccia degli effetti di composizione .
.u Utilizzo a questo proposito l'eccellente traduzione di Henri Mendras, op. cit.

204
Determinismi sociali e libertà individuale

zi etmc1 e raziali. Considerano queste credenze , non come dei pregiudizi o delle
prevenzioni, ma come i frutti certi della loro personale esperienza. "l fatti tangibi­
li" impediscono loro ogni altra conclusione .
Allo stesso modo il nostro onesto cittadino bianco sostiene con vigore la politi­
ca che esclude i neri dai sindacati. Apparentemente questi punti di vista sono basati
non tanto su una prevenzione, ma sui fatti "nudi e crudi", e questi fatti sembrano
chiari a sufficienza. I neri "arrivati recentemente dal sud non ancora industrializza­
to, non conoscono la disciplina tradizionale dei sindacati, cosi come l'arte delle
convenzioni collettive " . Il nero è un crumiro. Il nero "con il suo basso livello di
vita " accetta senza discussione dei salari molto bassi. In una parola il nero è una
"minaccia per la classe operaia" e deve quindi essere escluso dai sindacati . Ecco
come il nostro sindacalista tollerante ma testardo vede i fatti, e questo perché non
capisce che la predizione creatrice è uno dei processi di fondo della società.
Il nostro sindacalista non si rende evidentemente conto che lui e i suoi hanno
creato i fatti che egli osserva. Poiché definire la situazione (i negri sono in opposi­
zione irriducibile con il principio del sindacalismo) ed escludere i negri dai sindaca­
ti, provoca una serie di conseguenze che rende difficile, se non impossibile, non
essere crumiro per un certo numero di negri. Disoccupati dopo la prima guerra
mondiale e respinti dai sindacati, migliaia di negri non hanno potuto resistere ai
padroni che, danneggiati dagli scioperi, insistevano nell'aprire loro le porte del
mondo del lavoro da cui erano esclusi. La storia conferma la teoria della predizione
creatrice con i suoi test. I fatti hanno mostrato che i negri erano crumiri perché
erano esclusi dai sindacati (e da una lunga serie di occupazioni) e non il contrario:
infatti non hanno mai fatto la parte dei crumiri nelle fabbriche che in questi ultimi
tempi li hanno ammessi nei sindacati. L'applicazione del teorema di Thomas ci in­
segna anche come il circolo vizioso e talvolta tragico delle profezie creatrici può
essere rotto. Per fare questo occorre rimettere in questione il postulato originale e
partire da una nuova definizione della situazione. Solo allora gli avvenimenti prove­
ranno che il postulato è falso e la credenza non genererà piu la realtà. 34
[ . . . ] Un'altra indicazione ci è fornita dall'esempio dell'ostilità che domina i sin­
dacati nei confronti dei negri crumiri, introdotti nelle fabbriche dai padroni alla fi­
ne della prima guerra mondiale . Dal momento in cui si cessò di definire i negri
inadatti ad entrare nel sindacato, essi ebbero i piu ampi sbocchi occupazionali e
non furono piu obbligati ad entrare nelle fabbriche attraverso la porticina che la
paura degli scioperi aveva aperto loro. Di nuovo un cambiamento istituzionale ap­
propriato spezzò il circolo tragico della profezia creatrice. Un deliberato mutamen­
to sociale mostrò che era sbagliato credere che "è realmente contro la natura dei
negri" unirsi ai membri bianchi dei sindacati: H

Riassumendo l'analisi, si può osservare che ai due periodi a cui


Merton si riferisce nelle sue due citazioni (anni dell'immediato primo
dopoguerra e anni successivi al New Dea l ) corrispondono due struttu­
re di interazione. Nel primo caso si ha il seguente schema: i bianchi
"constatano" che i negri sono dei crumiri e in tutta buona fede hanno
tendenza ad escluderli dal sindacato. Ciò è causato dal fatto che molti
elementi della struttura sociale americana, negli anni che seguono la
prima guerra mondiale (condizioni economiche dei negri, sotto­
occupazione , ecc . ) , mettono i negri in una tale situazione che molti di

34 RoaERT K. MERTON (traduzione francese di Henri Mendras), op. cii., pp. 1 44-145 , tr.
it. cit.
35 Ibid. , p . 1 6 0 .

205
Effetti "perversi " dell'a7.ione sociale

essi non possono ottenere un'occupazione se non comportandosi come


crumiri. Da una parte i datori di lavoro sono spesso ben contenti di
fare appello ai crumiri, dall'altra parte i sindacati, escludendo i negri,
riducono la probabilità che questi ultimi possano trovare delle occupa­
zioni diverse da quelle "create" dagli scioperanti. Cosi la logica della
loro situazione conduce spesso i negri a comportarsi da crumiri. Ciò
avviene esattamente con la stessa logica della situazione che spingeva i
commercianti francesi descritti da Tocqueville a comportarsi differen­
temente dai loro omologhi d'oltre Manica. Dopo il New Deal la situa­
zione si è modificata: i bianchi non esclusero piu i negri dai sindacati;
la logica della situazione dei negri si trova radicalmente modificata: essi
giustificano la confidenza dei bianchi esattamente come nel periodo
precedente giustificarono la loro diffidenza.
In questa analisi il fenomeno macrosociale che Merton cerca di
spiegare ( non ammissione dei negri nei sindacati) è concepito come un
effetto di composizione. Gli attori coinvolti (negri e sindacalisti bian­
chi) seguono i loro rispettivi interessi, almeno come essi li percepisco­
no. L'interesse del disoccupato negro è quello di trovare un impiego.
Quello del sindacalista bianco è di non ammettere i crumiri. Quando,
dopo il New Deal la struttura dell'interazione si è modificata, i negri
possono ottenere un posto di lavoro senza comportarsi da crumiri. Il
mutamento nella struttura di interazione spiega il mutamento osserva­
to a livello dei comportamenti individuali.
2) Il secondo esempio di utilizzazione del paradigma di Tocquevil­
le è ripreso da un recente studio di sociologia dell'educazione dovuto
ad un economista, Louis Lévy-Garboua. 36 L'autore cerca di spiegare il
seguente fenomeno macrosociale: nonostante la diminuzione percetti­
bile in media, del valore sociale ( misurato in base al livello socio­
economico delle occupazioni a cui mediamente accedono gli studenti)
dei diplomi universitari, non si assiste in Francia alla diminuzione delle
iscrizioni all'università. Perché?
Per rispondere a questa domanda, Lévy-Garboua introduce l'ipo­
tesi dell'effetto di composizione di azioni individuali che obbediscono
alla logica dell'interesse: i diplomati dall'istruzione secondaria conti­
nuano ad iscriversi all'università perché ne traggono vantaggio . Mal­
grado la svalutazione sociale dei diplomi universitari, il livello delle re­
munerazioni sociali mediamente rimane dipendente dal livello di istru­
zione: esiste una correlazione statistica tra le due variabili. Di conse­
guenza uno studente fornito di diploma di maturità ha interesse ad
iscriversi all'università. D'altra parte tuttavia la logica della situazione a
cui lo studente si trova esposto è cambiata tra il 1 9 6 0 e il 1 97 5 circa,
nel senso che il vantaggio sociale ulteriore che egli può mediamente
sperare di ottenere dalla frequenza all'università è diminuito di impor­
tanza . L'ipotesi di Lévy-Garboua è quindi che , per adattarsi a questa

36 Loms LÉvY-GARBOUA, Les demandes de l'étudiant ou les contradictions de l'université


de masse, in "Revue française de Sociologie " , XVII, I, gennaio-marzo 1 97 6 , pp. 53-80.

206
Determinismi sociali e libertà individuale

nuova situazione, lo studente approfitta della libertà che le istituzioni


gli lasciano di modificare i costi di varia natura che egli deve sostenere
per ottenere un diploma universitario . Questo aggiustamento è ottenu­
to con una redistribuzione degli investimenti di tempo:· lo studente ri­
duce il tempo dedicato allo studio e alla preparazione degli esami uni­
versitari essenzialmente a favore del tempo speso in un lavoro remune­
rato, compensando quindi con d.ei benefici monetari immediati (ma
forse anche con un'attenuazione della sua marginalità sociale) il deficit
che altrimenti la svalutazione del vantaggio differenziale dovuto al di­
ploma universitario gli farebbe sopportare . Naturalmente un effetto
supplementare di composizione è originato dal fatto che ciascun stu­
dente in particolare trova vantaggioso adottare questa modificazione
del comportamento rispetto ai suoi colleghi piu anziani, cioè gli stu­
denti tendono sempre piu frequentemente ad essere degli studenti a
tempo parziale. Questo effetto di composizione non è evidentemente
privo di effetto sul funzionamento del sistema universitario nel suo in­
sieme.
3) Il mio terzo esempio si pone come prolungamento del secon­
do. Deriva da uno studio in corso sugli intellettuali francesi. Uno dei
fenomeni macrosociali riscontrati in questo studio consiste nella diffe­
renza tra la Francia e gli Stati Uniti nella frequenza di ciò che si può
chiamare l"'effetto di McLuhan " . 37 A riguardo occorre spendere una
parola di spiegazione . Un illuminante articolo di Lewis Coser, 3" dedi­
cato all'analisi di alcuni casi di enorme successo intellettuale negli Stati
Uniti (McLuhan , Reich, Segal ) , introduce l'ipotesi che gli intellettuali
americani possano cercare di raccogliere la remunerazi.one sociale della
loro produzione su un doppio mercato. Il primo sottomercato si ap­
poggia e si fonda perfino su una specifié"a istituzione , il sistema univer­
sitario . Questo sistema distribuisce le gratificazioni di cui dispone
(onori, "riconoscenza" , ecc . ) in seguito ad un processo lento e com­
plesso di valutazione della produzione dell'intellettuale. Prolungando
l'ipotesi di Coser, si può avanzare l'ulteriore ipotesi che la natura stessa
del processo di valutazione implichi una produzione che obbedisce ad
un'etica di tipo scientista. Di conseguenza il sistema di criteri applicati
per l'attribuzione delle gratificazioni è esso stesso scientista: la produ­
zione deve essere scritta in un linguaggio comprensibile per il sotto­
gruppo di universitari competenti nella materia, deve presentare un
minimo di originalità nel senso scientista del termine, cioè contenere
una dimensione innovatrice, ecc.
Esiste tuttavia un secondo criterio di gratificazione, quello usato da
intellettuali come McLuhan o Reich. In questo caso l'intellettuale non
"investe" l'ambiente universitario, ma l'ambiente che si può definire
"intellettuale " . Egli costruisce in questo caso il suo prodotto in termini
tali che possa ottenere una rapida eco nella stampa intellettuale . In

37 RAYMOND BouDON, FRANçOis BouRRICAUD, La position sociale des intellectuels en Fran­


ce, titolo provvisorio, di prossima pubblicazione.
38 LEWIS CoSER, The Intellectual as Cetebrity, in "Dissent", n. l , 1 973, pp. 45-46.

207
Effetti "perversi " dell'azione sociale

questo caso per l'intellettuale si tratta di foggiare un prodotto che que­


sta possa definire "interessante " , cioè degno di essere presentato ai
lettori. Il ricorso a questo sistema di gratificazione suppone che il pro­
dotto tratti di un tema di interesse attuale e generale, che le analisi che
presenta siano sufficientemente spogliate di tecnicismo, destando inve­
ce di preferenza la sensazione di profondità. E necessario inoltre che le
conclusioni dell'analisi possano essere riunite con l'aiuto di qualche
semplice proposizione, senza che l'argomentazione sia priva di "spes­
sore " . Il ricorso a questo sistema di gratificazione presenta natural­
mente dei vantaggi. Libera il produttore dalle costrizioni dell'etica
scientista. Può fornire delle gratificazioni piu rapide e tangibili. Per­
mette di toccare in un sol colpo mercati diversi. Presenta anche degli
svantaggi: la fama che è in grado di assicurare si rivela spesso effimera.
Si può anche supporre che abbia una tendenza strutturale a durare po­
co: i periodici a larga diffusione devono rinnovare le loro vedettes a
ritmo accelerato. Le riviste professionali non possono consacrare
un'autorità scientifica, che si acquista nel corso di un lungo processo di
valutazione . D'altra parte lo scientismo suppone la continuità, la cumu­
lazione e l'originalità relativa, mentre l'estetismo si fonda sulla rottura,
l'originalità radicale e il continuo ricominciare da capo.
Naturalmente la scelta tra le due reti di gratificazione non è total­
mente libera. Un sociologo o un economista possono piu facilmente
scegliere tra le due reti rispetto ad un fisico. La capacità di raccogliere
gratificazioni da parte di ciascuna rete dipende dalle idiosincrasie per­
sonali. Tuttavia il fatto importante dal punto di vista dell'obiettivo che
qui ci proponiamo è che la frequenza con cui i due tipi di scelta ap­
paiono dipende da alcuni dati caratteristici del sistema sociale in cui
sono inclusi gli attori. Se a questo riguardo si confronta la Francia con
gli Stati Uniti si può constatare che l'effetto McLuhan ha acquistato
un'importanza molto maggiore in Francia che negli Stati Uniti, benché
questa importanza sembri crescente in ambo i paesi nel corso dell'ulti­
mo decennio. Se si considerano per esempio le figure dominanti di al­
cune scienze sociali, si può constatare che queste figure sono in Fran­
cia in misura molto maggiore che negli Stati Uniti il prodotto dell'effet­
to McLuhan . In altri termini la consacrazione delle gratificazioni attra­
verso la rete "intellettuale " è molto piu rara negli Stati Uniti che in
Francia.
Il problema è allora quello di spiegare questa differenza macroso­
ciale. Senza insistere su questo punto, è possibile mostrare che la diffe­
renza in questione tra Francia e Stati Uniti è dovuta essenzialmente al­
le limitate risorse riguardanti il sistema di gratificazioni simboliche di
cui dispone il sistema universitario francese attraverso la sua struttura
istituzionale . N e risulta un incitamento per i produttori potenziali a ri­
volgersi piuttosto alla rete "intellettuale" . Perciò un dato che caratte­
rizza il sistema sociale a cui appartengono gli attori, cioè la struttura
del sistema universitario , sembra influenzare il sistema di incentivazio­
ni a cui obbediscono i produttori intellettuali. Le differenze tra le

208
Determinismi sociali e libertà individuale

strutture universitarie americane e francesi contribuiscono cosi a spie­


gare che l'effetto McLuhan è molto piu frequente nel secondo caso .
Altri fenomeni macrosociali possono essere spiegati allo stesso modo .
Essi prendono allora lo status di effetti di composizione . Cosi l'analisi
precedente mostra che, quando la struttura del sistema di incentivazio­
ne , a cui sono sottoposti i produttori, rende piu efficace la rete "intel­
lettuale" di gratificazione, nei campi in cui ciò è possibile , la produzio­
ne intellettuale deve sembrare in misura meno frequente caratterizzata
da un'etica di tipo scientista: l'originalità nel senso letterario del termi­
ne si sostituisce allora all'innovazione di tipo scientifico, l'ideale di una
scrittura universitaria e impersonale è abbandonato a favore della ricer­
ca dello stile ; l'intuizione, concepita come piu o meno inesprimibile, si
sostituisce all'analisi, il sapere assoluto in senso hegeliano alla finitezza
della conoscenza scientifica.
Questo esempio ha il vantaggio di mostrare che il paradigma di
Tocqueville può essere utilizzato in campi estremamente diversi, che
includono la sociologia della conoscenza. Il fatto che le strutture istitu­
zionali possano favorire , per dirla con Shils/9 un'etica romantica o
scientista, la frequenza dell"'effetto McLuhan" e altri fenomeni macra­
sociali che caratterizzano la vita intellettuale, possono essere interpre­
tati, come ho cercato di mostrare, come effetti di composizione . Gli
attori perseguono i loro interessi individuali. La valorizzazione delle
possibilità di scelta loro aperte e, piu generalmente, la strutturazione
dei sistemi di preferenze dipende dai dati che caratterizzano in quanto
tali il sistema sociale in cui questi attori sono inseriti. Ci si trova quindi
nel caso di un paradigma di tipo tocquevilliano.

5. Paradigmi di tipo mertoniano

Occorre tenere presente che i paradigmi studiati nelle due prece­


denti sezioni hanno una caratteristica in comune: considerano i feno­
meni macrosociali analizzati come il risultato della composizione di
scelte e piu generalmente di azioni individuali che si manifestano in un
contesto che è stato fin ora definito "stato di natura" . I negri nell'anali­
si di Merton, gli studenti in Lévy-Garboua, gli intellettuali nella nostra
analisi agiscono e possono agire senza considerare gli effetti della loro
azione sugli altri . Negli anni che seguono la prima guerra mondiale,
non è certo prendendo accordi con essi che i negri fecero gli interessi
dei padroni. Non è dopo un dibattito che certi intellettuali francesi se­
guono un'etica professionale di tipo romantico. Non è a seguito di
un'intesa che gli studenti scelgono di modificare la struttura di organiz­
zazione del loro tempo e di sostituire le attività remunerate alle attività
di studio .

39 EnwARD SHILS, The Intellectual and the Powers, in P. RIEF� (a cura di), On Intellec­
tuals, Doubleday, New York 1 969.

209
Effetti "perversi " dell'azione sociale

Gli esempi precedenti bastano a mostrare l'importanza del conte­


sto dello stato di natura, non solo per l'economia, ma certamente an­
che per la sociologia . J ames Buchanan definisce l'economia scienza dei
mercati ( the science of markets ) . 4l' Traduciamo: scienza delle strutture
di interdipendenza caratterizzate dal fatto che ciascun individuo perse­
gue liberamente il proprio interesse individuale. Dubito che una simile
definizione sia qualche cosa di piu di un punto di vista ideale e coinci­
da con i limiti effettivi dell'economia. Su questo argomento tuttavia mi
rimetto all'opinione degli economisti. Ciò che piuttosto mi sembra si­
curo è che la sociologia incontra spesso, da parte sua, situazioni in cui i
fenomeni macrosociali che studia sono il risultato della composizione
di azioni che si manifestano in un contesto di "stato di natura " , cioè in
un contesto in cui ciascun individuo è posto dalle istituzioni in una si­
tuazione in cui egli può autodeterminarsi indipendentemente da qual­
siasi intesa con altri e da ogni approvazione altrui, e piu in generale
senza rischiare delle sanzioni ( morali o legali) per gli effetti che le sue
azioni potrebbero comportare sul benessere altrui.
Perciò, per abbracciare la molteplicità dei paradigmi sociologici,
mi sembra essenziale distinguere tra le azioni che si svolgono in un
contesto di stato di natura e le azioni che si svolgono in un contesto di
contratto . Gli ingorghi stradali o ideologici costituiscono dei sistemi di
interazione . Si crea ingorgo perché n persone si trovano sullo stesso
punto, ma il fatto che queste n persone si ritrovino sullo stesso punto
è il risultato della giustapposizione convergente di n decisioni effettua­
te in ciascun caso senza considerare l'effetto di queste decisioni sugli
altri. Al contrario , quando un consiglio di amministrazione si riunisce,
si ha a che fare con un sistema di interazione in cui n persone si incon­
trano dopo essersi accordate sul tempo, il luogo e l'oggetto dell'incon­
tro. In quest'ultimo caso il sistema di interazione non può assoluta­
mente essere analizzato senza passare attraverso la nozione di ruolo,
che è poco utile nel primo caso . 41
Una seconda proposizione essenziale riguarda il fatto che i due tipi
di contesto interessano la sociologia. Mi sembra quindi esclusa una de­
finizione di teoria sociologica che parta da concetti che , come quello di
ruolo, implicano che ci si ponga nel secondo tipo di contesto . Malgra­
do l'importanza della teoria dei ruoli, non mi sembra possibile conside­
rarla come base di una teoria sociologica generale .
Ho deciso di chiamare mertoniani (si potrebbe anche chiamàrli
parsonsiani) i paradigmi dotati delle seguenti caratteristiche : l ) le azio­
ni individuali studiate sono concepite in un contesto di contratto; 2)

40 ]AMES BucHANAN, The Lim its o/ Liberty, The University of Chicago Press, Chicago
1 97 5 .
4 1 S i può tuttavia notare che un sistema d i interazione caratterizzato d a un contesto di
stato di natura non implica l'assenza di ruoli. In questo caso sono solamente non pertinenti
all'analisi. Un semplice scambio commerciale suppone una distinzione tra i ruoli di venditore e
acquirente, una definizione di norme aspettative corrispondenti ai ruoli stessi, ecc. Tuttavia
questa struttura di ruoli è normalmente ignorata quando si analizza il funzionamento del mer­
cato nel suo insieme.

210
Determinismi sociali e libertà individuale

come nel caso precedente queste azioni obbediscono al principio della


ricerca dell'interesse individuale; 3 ) dal canto suo la struttura delle pre­
ferenze può essere considerata come data o al contrario da spiegare .
Benché Merton sia forse il sociologo che ha piu frequentemente
utilizzato e piu chiaramente codificato questo tipo di paradigmi, è im­
portante sottolineare che in molti casi è stato condotto ad utilizzare al­
tri tipi di paradigmi, come si è visto negli esempi della sezione prece­
dente.
Poiché tutti ritengono che questo tipo di paradigma appartenga
tradizionalmente all'orbita della sociologia, l'esposizione sarà piu breve
rispetto ai casi precedenti.
Si è visto che il concetto di "ruolo" è centrale in questo tipo di para­
digma. Esso indica che certe strutture di inte razione sono intelligibili solo
in funzione degli impegni piu o meno formali che gli attori hanno assunto
reciprocamente. Cosi, il fatto che il signor Rossi sia attualmente occupato
davanti ad un gruppo di giovani e si dedichi a considerazioni sulla compo­
sizione dell'acqua, è un'azione comprensibile solo se si sa che il signor
Rossi è professore, che il suo "ruolo" consiste nel distribuire conoscen­
ze, che appartengono al campo specifico della chimica, ad un determinato
pubblico (i suoi allievi) , secondo modalità che in parte gli vengono im­
poste (per esempio il programma) e in parte ha eventualmente discusso
con le parti interessate o che ha adottato perché gli sembrano convenienti
(per esempio, adottare uno stile piu o meno autoritario) .
Un punto fondamentale della teoria dei ruoli, formulata particolar­
mente bene da Merton, riguarda il fatto che effetti di composizione
inattesi possono realizzarsi in ogni tipo di struttura di interazione , sia­
no queste caratterizzate da un contesto di "contratto" o di "stato di
natura ". Come ha sottolineato Merton, generalmente questi effetti di
composizione assumono tre caratteri fondamentali. Prima di tutto i
"ruoli" sociali vengono raramente definiti in modo sufficientemente ri­
gido per non lasciare spazio ad un margine di interpretazione da parte
dell'attore. In certi casi questo margine di interpretazione può essere
sufficiente a condizionare la struttura di interazione nel suo insieme .
D'altra parte un individuo X è generalmente implicato non in un solo
ruolo ma in un insieme di ruoli. Cosi X può essere padre di famiglia,
capo ufficio , membro di una: confessione religiosa, sindacalista, mem­
bro di un club del tempo libero . Tutti questi elementi comportano per
X la- definizione piu o meno rigida di un insieme di ruoli, che possono
eventualmente essere parzialmente compatibili, cioè contraddittori. X
per esempio può dover privilegiare uno stile di relazioni interpersonali
liberale in un ruolo , autoritario in un altro . Infine una stessa struttura
istituzionale pone generalmente l'individuo di fronte ad un insi�me di
ruoli piuttosto che ad un unico ruolo . Cosi un impiegato ha normal­
mente dei rapporti con i subordinati e con i superiori; può avere rap­
porti con la clientela della sua impresa o con i fornitori di altre imprese
legate alla sua. Ciascuno di questi tipi di relazioni è associato a "ruoli"
distinti. Per riprendere i concetti mertoniani, bisogna generalmente

21 1
Effetti "perversi " dell'azione sociale

descrivere la posizione sociale di un individuo X sia attraverso i ruoli


molteplici che occupa (status-set ) sia attraverso l'insieme degli elementi
che questi ruoli comportano ( ro le-set ) . Il concetto di status-set si rife­
risce alle differenti istituzioni a cui l'individuo appartiene . Il concetto
di role-set si riferisce ai diversi tipi di relazione e alla diversità dei ruoli
che caratterizzano la posizione dell'individuo in ciascuna istituzione . 42
Variabilità dei ruoli, molteplicità dei ruoli e complessità di ciascun
ruolo sono i tre ingredienti fondamentali che danno luogo alla realizza­
zione di effetti di composizione inattesi nelle strutture di interazione
caratterizzate da un contesto contrattuale . Questi effetti di composizio­
ne inattesi sono considerati a giusto titolo da Merton all'origine spesso
dei conflitti sociali e, piu in generale, del mutamento sociale . La loro
analisi è quindi un obiettivo fondamentale della sociologia.
Come nei casi precedenti richiamerò brevemente qualche esem­
pio, in modo da dare un'immagine concreta del paradigma.
l . Il primo esempio si basa su uno schema analitico di Peter
Blau .<' Questo schema viene presentato da Blau a scopo puramente di­
dattico, ma può essere interpretato , credo, in modo da suggerire un'in­
teressante interpretazione di una delle cause della crisi del sistema uni­
versitario americano degli anni Sessanta.
Consideriamo il role-set associato allo status di professore universi­
tario negli Stati Uniti. Questo ro le-set comporta numerosi elementi. Il
professore è un "insegnante" e anche un "ricercatore ". Questi due
ruoli implicano una molteplicità di relazioni: relazioni con gli studenti,
con l'amministrazione, con la comunità scientifica e le diverse istituzio­
ni attraverso cui essa si esprime (riviste scientifiche, associazioni pro­
fessionali locali, nazionali e internazionali) , con i finanziatori delle ri­
cerche , i giornalisti e molte altre istituzioni e persone.
Una delle rivendicazioni principali degli studenti nel corso della
crisi universitaria degli anni Sessanta tendeva a richiamare il corpo do­
cente dalla ricerca all'insegnamento. Gli studenti rimproverarono
aspramente ai loro professori di manifestare un interesse solo limitato
per l'insegnamento propriamente detto e di consacrare il meglio delle
loro energie e del loro tempo alla ricerca.
Questo fenomeno macrosociale può essere facilmente spiegato, co­
me le considerazioni di Blau suggeriscono, con un'applicazione dei
concetti mertoniani. Gli studenti contestatori degli anni Sessanta veni­
vano soprattutto reclutati, come mostrano le inchieste sociologiche , tra
gli studenti delle università che venivano considerate migliori. 44 Que-

42 Su questi concetti si veda RoBERT K. MERTON, A Social Theory. . . , cit . , (tr. it. cit.) e
LEWIS CosER (a cura di), The Idea of Social Structure, Harcourt Brace, New York 1 975 . In
quest'ultimo volume si tenga particolarmente presente l'interessante articolo di ARTHUR STJNCH·
COMBE, Merton's Theory of Social Structure. Si veda anche l'interessantissina raccolta pubblica­
ta a cura di PETER BLAU, App roaches to the Study o! Social Structure, Open Books, London
1 97 6 .
4.1 PETER BLAU, Structural Constraints o! Status Complements, in LEWIS CosER, The Idea . . . ,
cit.
4 4 SEYMOUR MARTIN LIPSET, Academia and Polit ics in America, in T. NossJTER (a cura
di), Imagination and Precision in the Sociai Sciences, Faber and Faber, London 1 972.

212
Determinismi sociali e libertà individuale

ste università sono anche quelle che contengono il maggior numero di


scienziati di fama. Gli studenti avevano senza dubbio ragione quando
si lamentavano della negligenza dei professori riguardo ai loro compiti
didattici, tuttavia l'interpretazione che i professori davano del loro ruo­
lo non era priva di fondamento: le attività di ricerca, quando portano a
risultati notevoli, hanno la possibilità di essere riconosciute al livello
delle istanze scientifiche nazionali e internazionali. In compenso è
molto difficile per un professore, anche se è qualificato in modo ecce­
zionale sul piano pedagogico, far riconoscere la sua competenza all'e­
sterno della stretta cerchia del suo pubblico e , nella migliore delle
ipotesi, dell'istituzione a cui appartiene. D'altra parte la qualità dei la­
vori di ricerca è un criterio che supera largamente sul mercato dei ta­
lenti quello della competenza pedagogica. Ciò avviene da una parte
perché una valutazione "oggettiva" è piu facie nel primo caso, dall'al­
tra perché solo i lavori di ricerca possono assicurare una visibilità
esterna all'istituzione a cui un professore appartiene . Perciò le mi­
gliori università hanno la tendenza ad attirare i professori migliori, ma
la definizione sociale della qua lità viene riportata essenzialmente, at­
traverso la struttura stessa dei ruoli in causa, alla qualità dei lavori di
ricerca. Di conseguenza le migliori università sono quelle in cui i do­
centi, che sono brillanti ricercatori, hanno la tendenza a ridurre al mi­
nimo l'importanza attribuita ai loro compiti di insegnamento e ad iden­
tificarsi scarsamente con l'università a cui appartengono . Quindi la lo­
gica dei ruoli vuole che nelle grandi università un forte sentimento di
identificazione appaia soprattutto tra gli insegnanti meno conosciuti
per i loro lavori: appartenendo ad una istituzione prestigiosa ma essen­
do poco visibili per se stessi, essi hanno la tendenza ad insistere sugli
aspetti del loro ruolo direttamente legati a questa istituzione . L'impor­
tante tuttavia è che il prestigio dell'istituzione è dovuto a coloro che ,
in conseguenza dell'interpretazione opposta che essi possono dare dei
loro ruoli, hanno tutte le ragioni di manifestare un basso grado di ap­
partenenza. Secondo questa teoria, nelle università meno prestigiose si
dovrebbe osservare una variazione inferiore nel sentimento di apparte­
nenza all'istituzione e, in definitiva, forse minori tensioni nel corpo
docente, tra il corpo docente e l'amministrazione , cosi come tra corpo
docente e studenti. Questa è una delle ragioni per cui negli anni Ses­
santa erano le università migliori ad essere in genere piu criticate e piu
colpite dalla contestazione .
2. Il secondo esempio è ugualmente ripreso dalla sociologia dell'e­
ducazione . Riprende a monte un'analisi da me proposta sulle cause del
cattivo funzionamento dell'università dopo il ' 6 8 . Mi accontenterò di
riferirlo molto rapidamente .'' Studi convergenti mostrano che, nono­
stante gli sforzi fatti per controllare indirettamente la domanda di
istruzione a livello dell'insegnamento superiore , quest'ultima resta a li­
velli inflazionisti fino agli anni piu recenti. Come conseguenza dell'at-

<.1 Cfr. cap. II di questo volume.

213
Effetti "perversi " dell'azione sociale

tenuazione delle speranze sociali legate al diploma universitario si veri­


fica, come si è visto, che gli studenti spendono meno tempo per la pre­
parazione del diploma. I docenti stessi, di conseguenza, sono portati a
riaggiustare l'interpretazione del loro ruolo. In questo modo il model­
lo tedesco e americano del seminario di ricerca in numerose discipline
diventa un modello inapplicabile . In compenso certe forme di intera­
zione docenti-discenti che implicano da parte di questi ultimi un limi­
tato investimento, appaiono piu adatti al di fuori dei momenti in cui
questa interazione ha luogo. Questa è la ragione per cui, una volta so­
pite le passioni del 1 96 8 , si è potuto assistere da parte degli studenti
alla richiesta di un certo ritorno al corso cattedratico , cosi denigrato
nel '6 8 , ma che ha il vantaggio di costituire una soluzione che minimiz­
za il tempo dedicato allo studio. L'altra soluzione ereditata dal '68 è
quella delle sedute di discussione in cui l'insegnante gioca un ruolo di
"animatore culturale " , anche se queste sedute vengono denominate
"seminari di ricerca" . La contraddizione tra i due termini di questa
doppia richiesta è quindi solo apparente: seminari che lasciano il piu
ampio spazio alla spontaneità di ciascuno e corsi ex cathedra di tipo
tradizionale sono due soluzioni possibili di uno stesso problema, il
riaggiustamento dell'interazione docente-discente alle costrizioni strut­
turali che pesano sullo studente.
Gli esempi potrebbero essere moltiplicati all'infinito. Naturalmen­
te la sociologia dell'organizzazione fa grande ricorso ai paradigmi di ti­
po mertoniano. Pensiamo indubbiamente ai lavori di autori come Blau
o Crozier. Tra i recenti esempi che appartengono a questo campo di
ricerca si può citare l'opera di Suleiman sui livelli elevati dell'ammini­
strazione francese.46 Vi si trovano delle illustrazioni quasi esemplari
delle contraddizioni a cui può condurre la complessità dei role-sets. In
proposito mi accontenterò di ricordare l'analisi presentata da Suleiman
riguardante la complessità dei ruoli creata dalla giustapposizione dei
gabinetti ministeriali alle direzioni amministrative dei ministeri.

6 . Paradigmi di tipo weberiano

La caratteristica essenziale di questo tipo di paradigma consiste nel


fatto di introdurre l'ipotesi che certi elementi di azione ( strutturazione
dei sistemi di preferenza, scelta dei mezzi, ecc . ) devono essere analiz­
zati con l'aiuto di elementi anteriori alle azioni. Cosi per spiegare la
struttura degli acquisti della signora Bianchi, può essere necessario sa­
pere che essa ha già avuto l'occasione di servirsi di un oggetto e di abi­
tuarsi al suo uso . Per questa ragione (elemento cognitivo) o perché è
associato a ricordi piacevoli (elemento affettivo) essa lo preferirà forse
ad un prodotto di prezzo analogo e sostituibile nell'uso. Nella realtà

4 6 EzRA SuLEIMAN, Politics, Power and Burocracy in France, Princeton University Press,
Princeton 1 974.

214
Determinismi sociali e libertà individuale

non esistono azioni che non siano influenzate da questo tipo di ele­
menti, non fosse altro per il fatto che ogni azione suppone la messa in
opera di elementi cognitivi che implicano a loro volta un apprendimen­
to anteriore all'azione. Tuttavia, come mostrano gli esempi precedenti,
è inutile tenere effettivamente conto di questi elementi, sia perché so­
no di natura banale , come gli elementi cognitivi messi in opera da
qualsiasi tipo di azione, sia perché non influenzano lo schema esplicati­
vo . Bisogna tuttavia riconoscere che le distinzioni sono spesso difficili.
Cosi, nell'analisi proposta da Merton sul circolo vizioso dello sciopero
presso i negri all'indomani della prima guerra mondiale , la credenza
dei bianchi nell'incapacità dei negri di dar prova di lealtà sindacale ( ele­
mento cognitivo) è indispensabile all'analisi. Tuttavia in questo caso la
credenza non persiste se non per il fatto di essere rafforzata dagli effet­
ti a cui dà luogo. Essa è spiegata dal sistema di interazione nello stesso
tempo in cui ne costituisce un elemento esplicativo essenziale. E que­
sta la ragione per cui abbiamo preferito classificare questo tipo di
esempio nella famiglia precedente.
In altri casi, alcuni elementi sono indiscutibilmente anteriori all'a­
zione, non banali e indispensa bili all'analisi. Quando queste condizio­
ni sono riunite, si ha a che fare con un paradigma che definisco webe­
riano a causa della sua frequenza nell'opera di Weber.
Un moderno esempio di utilizzazione di questo tipo di paradigma è
fornito dagli studi di Bernstein sulla relazione tra riuscita scolastica e
origini sociali. L'ipotesi di partenza dell'autore è che le relazioni intra­
familiari influenzano modalità molto differenti in funzione della classe
di appartenenza della famiglia. Perciò quando la madre desidera pro­
vocare un cambiamento di opinione da parte del figlio, utilizza piu vo­
lentieri l' ordine nella classe inferiore e la persuasi one nella classe supe­
riore. Tuttavia ordine e persuasione sono due modalità razionali asso­
ciate a tecniche linguistiche e piu generalmente a tecniche di comuni­
cazione di complessità variabile , certamente maggiore nel secondo ca­
so. La madre che vuole evitare di ricorrere all'ordine deve sforzarsi di
presentare al figlio un quadro piu o meno ellittico delle conseguenze a
cui si espone scegliendo 01 oppure 02• Deve rendere credibile la sua
neutralità riguardo alle opzioni, o, se spera di lasciare intendere che
una delle opzioni le sarebbe sgradevole , deve indicare che questa
estrinsecazione appartiene ad un insieme piu generale. 47
L'ipotesi centrale di Bernstein è quindi che queste differenze rela­
zionali comportano differenze cognitive non direttamente ricercate .
Utilizzando una strategia di persuasione la madre della classe superiore
inizia contemporaneamente il figlio ad un tipo di tecniche che per par­
te sua gli verranno impartite dal sistema scolastico, e di cui si appro­
prierà per questo piu facilmente. Descrivendo il quadro con le rispetti­
ve conseguenze di 01 e 02 la madre introduce il figlio alle tecniche di

4 7 Come si vede questo tipo di paradigmi si avvicina alle analisi che si trovano per esem­
pio nella letteratura romanzesca. Si veda Proust.

215
Effetti "perversi " dell'azione sociale

classificazione utilizzate nell'analisi grammaticale . Suggerendo che l'in­


sieme delle conseguenze associate a 0 1 è, dopo l'analisi, piu favorevo­
le, essa risolve una specie di equazione in cui l'incognita posta al punto
di partenza ( 0 1 oppure 02 ? ) riceve un valore . Forse essa introduce co­
si indirettamente il figlio nelle p ieghe dell'algebra. 48
L'analisi appartiene a pieno titolo al tipo di paradigma di cui ho
appena dato la definizione: in conseguenza delle differenze di classe
nelle modalità delle relazioni familiari, i figli delle classi superiori acce­
dono alla scuola muniti di un apprendistato di cui molto piu raramente
possono beneficiare i figli delle classi inferiori.
Mi sia concesso di richiamare brevemente un secondo esempio che
appartiene al campo della sociologia dell'educazione , cioè la teoria che
io stesso ho utilizzato sulle scelte scolastiche . In effetti questa teoria si
situa nel quadro di un paradigma di tipo weberiano . 49
Gli studi di Alain Girard ,S" 'che in proposito presentano una con­
vergenza impressionante con numerose ricerche che appartengono a
diversi contesti nazionali e istituzionali, mostrano delle relazioni stati­
stiche di una struttura r:p.olto caratteristica fra tre tipi di variabili: origi­
ni sociali, riuscita scolastica precedente (variabile indipendente) e
orientamento (variabile dipendente ) . Cosi la riuscita scolastica anterio­
re è statisticamente legata alle origini sociali e tanto migliore quanto
piu elevate sono queste ultime . Si può spiegare questa relazione ricor­
rendo a teorie come quella di Bernstein. D'altra parte per uno stesso
livello di riuscita, si osserva un legame tra orientamento scolastico e
origini sociali. L'orientamento verso gli indirizzi piu prestigiosi è , a pa­
rità del grado di riuscita, piu frequente presso gli studenti di origine
piu elevata . Tuttavia è riscontrabile un fenomeno di interazione (nel
senso statistico del termine )" : le differenze tra le classi riguardo all'o­
rientamento sono tanto piu deboli quanto maggiore è la riuscita prece­
dente; simmetricamente la relazione tra riuscita e orientamento è tanto
piu forte quanto piu bassa è la classe di origine . Tipicamente questo
effetto di interazione si traduce in dati la cui struttura può essere illu­
strata dalla seguente tabella.
Si può osservare che !"'effetto" dell'origine sociale sull'orientamen­
to è limitato se la riuscita precedente è notevole ( 80%-70 % ) , e note­
vole se questa è bassa (75 %-40 % ) . Reciprocamente !"'effetto" della
riuscita è debole nella classe elevata ( 80 % -75 % ) e forte nella classe
inferiore (70%-40 % ) .

48 L'articolo di MoHAMED CHERKAOU!, Structure de classe, per/ormances linguistiques et


types de socialisation, in "Revue française de Sociologie", XV, n. 4, 1 974, pp. 585·599, dà
una semplice interpretazione e un'utile critica dei lavori di Bernstein.
49 L'inégalité des chances, Colin, Paris 1 973.
so Si vedano i vari articoli di ALAIN GIRARD in Population et l'enseignement, PUF, Paris

1 970.
5 1 Si parla di interazione in senso statistico quando l'effetto di una variabile su di un'altra
dipende da una terza variabile.

216
Determinismi sociali e libertà individuale

La teoria che ho utilizzato per spiegare questa struttura presenta


almeno il merito della semplicità. Consiste nel giustapporre un certo
numero di prove empiriche . Innanzitutto le differenze tra le classi che
si possono osservare in una struttura come quella della tabella 21 non
possono essere ricondotte ad effetti cognitivi come quelli che spiegano
la relazione tra origine sociale e riuscita. Infatti si continuano ad osser­
vare delle differenze tra le classi quando si confrontano gruppi il cui

Tabella 2 1 - Struttura tipica delle relazioni statistiche tra origine sociale, riuscita
scolastica e orientamento

% di studenti orientati
verso l'indirizzo piu elevato
Origini quando la precedente riuscita
sociali scolastica è

Superiore Bassa

Superiori 80 75
Basse 70 40

livello di riuscita è identico. E d'altra parte difficile rendere conto dei


risultati della tabella facendo appello ad elementi come le differenze tra
le classi o la valorizzazione dell'istruzione come mezzo di riuscita. Tali
ipotesi sarebbero ammissibili se si osservasse un legame riuscita­
orientamento costante con l'origine sociale. Ora, questa relazione va­
ria con l'origine. L'ipotesi dell'effetto di sottoculture di classe non può
facilmente rendere conto di questa variazione . Si è cosi condotti ad in­
trodurre una seconda evidenza, cioè, quando la famiglia manifesta il
desiderio di orientare il figlio per esempio verso le scuole secondarie
lunghe invece delle secondarie �orte, tiene senza dubbio implicitamen­
te conto in molti casi dei risch i che essa corre. Se la precedente riusci­
ta lascia sperare poco sulla carriera scolastica futura, la famiglia valute­
rà forse troppo alto il rischio da correre. Si può formalizzare questo
dato empirico dicendo che una famiglia, che deve far fronte ad una de­
cisione scolastica, ha una visione almeno qualitativa della differenza di
utilità o di valore tra le opzioni, considera i possibili rischi relativi a
ciascuna delle scelte possibili e v�luta questi rischi fondandosi in modo
piu o meno determinante sulla riuscita precedente del giovane .
In questo modo , la proposizione logicamente interessante a cui si
perviene , se ci si attiene a questo schema, è che è difficile spiegare la
struttura osservata. In compenso quest'ultima si spiega facilmente se si
sovrappone allo schema un'altra evidenza che ci conduce direttamente
ad un paradigma di tipo weberiano , cioè che la valorizzazione delle op­
zioni è influenzata dalla classe di origine del soggetto ( o dalla classe di

217
Effetti "perversi " dell'azione sociale

appartenenza dell'unità familiare) : quando la riuscita attuale è medio­


cre, un'unità familiare si stimerà "soddisfatta" se il figlio ha raggiunto
un livello di istruzione che gli permetta di sperare in uno status sociale
uguale o superiore al suo, anche se questo status non è troppo elevato .
Al contrario un'unità familiare di livello elevato si sforzerà (occorre ag­
giungere: in media piu frequentemente) di " spingere" il figlio in mo­
do da evitargli di "decadere" anche se la riuscita è mediocre . In breve ,
l'ipotesi è che il livello sociale a cui mediamente permettono di accede­
re le opzioni 01 e 02 è valorizzato dalle unità familiari , non in maniera
assoluta, ma in funzione del loro specifico livello sociale . Si è cosi por­
tati ad introdurre come elemento fondamentale di spiegazione la no­
zione di un effetto della situazione sociale della famiglia sulla struttura
del sistema delle preferenze. Si ha quindi a che fare con un paradigma
di tipo weberiano poich é , se vengono introdotte delle proposizioni
che appartengono alla sintassi deterministica, esse appartengono ad un
modello che analizza i comportamenti delle unità familiari come com­
portamenti intenzionali, cioè come azioni. In compenso molte analisi
correnti delle relazioni tra origini sociali e orientamento ricorrono a
modelli deterministici che considerano i comportamenti delle famiglie
come false scelte imposte dalle strutture sociali di cui si spiega ch-e so­
no vissute come scelte autentiche introducendo le ipotesi piu o meno
complesse dell'alienazione o della falsa coscienza. Lo sviluppo di mo­
delli deterministici nell'analisi delle diseguaglianze scolastiche è dovuto
ad un errore . Le famiglie di classe inferiore appaiono meno ambiziose
dal punto di vista scolastico. In questo modo agiscono forse contro i
loro interessi, ma non necessariamente contro le loro preferenze." Se
agissero contro le loro preferenze , il loro comportamento sarebbe as­
surdamente irrazionale. L'errore risiede nel fatto che il sociologo per­
viene ad un giudizio di irrazionalità confrontando il suo sistema di
preferenze personali con quello degli individui che osserva. Un con­
fronto di questo tipo è evidentemente illegittimo: il concetto di un in­
teresse oggettivo del soggetto è una nozione di tipo normativa. Non
può quindi avere spazio se non in un contesto eventuale di sociologia
normativa.

52 La distinzione tra interesse e preferenza non viene sempre fatta in modo esplicito.
Nel testo, salvo indicazione contraria, il termine interesse è sempre usato nel senso di prefe­
renza. In un testo ingiustamente dimenticato, ]EAN IzouLET , La cité Moderne, Alcan, Paris
1 895 , pone mirabilmente il problema della relazione tra interesse e preferenza. Un importan­
te caso di discordanza tra le due nozioni è dato quando il soggetto agisce secondo le proprie
preferenze per ignoranza delle relazioni oggettive tra mezzi e fini. E il caso dell'alpinista dilet­
tante che agisce contro il suo interesse perché ignora l'adagio: sei ore per arrivare in vetta
quando si cammina forte, quattro ore quando si cammina lentamente. Un altro importante
caso è rappresentato dalla relazione equivoca che si instaura tra interesse e preferenza nel caso
dei beni collettivi: anche se lo sviluppo della ricerca scientifica è nell'interesse di ciascuno,
poche persone sarebbero disposte a finanziarla volontariamente. Izoulet vede chiaramente che
in certi casi gli individui agiscono contro i loro interessi, non tanto a causa di una falsa visione
della relazione mezzi-fini, ma per cosi dire, proprio per la loro visione razionale e ragionevole.
Detto in parole moderne, le strutture a equilibrio insufficiente spiegano che in certi casi gli
individui agiscono contro il loro interesse seguendo le loro preferenze.

218
Determinismi sociali e libertà individuale

7. Paradigmi deterministici: dalla sociologia al socio logismo

Affrontiamo ora il problema dei paradigmi deterministici. Come si


ricorderà, all'inizio di questo articolo si sono opposti due grandi tipi di
paradigmi: i paradigmi interazionisti, largamente analizzati nelle sezio­
ni precedenti, e i paradigmi deterministici. Ricordiamo che nei para­
digmi deterministici comprendiamo i paradigmi che interpretano un
comportamento osservato da parte di un soggetto sociale esclusivamen­
te partendo da elementi anteriori al comportamento in questione. I
paradigmi deterministici, in altri termini , considerano tutti gli atti co­
me comportamenti : la finalità data dal soggetto alle sue azioni è consi­
derata in questo tipo di paradigma sia secondaria e priva di ogni capaci­
tà esplicativa, sia falsa (nel senso di falsa coscienza) . Ricordiamo anche
che per determinismo non intendiamo il determinismo stretto. In altri
termini, le proposizioni formulate nel linguaggio dei paradigmi deter­
ministici prendono la seguente forma "A (anteriore a B) spiega B " .
Nel caso di determinismo stretto queste proposizioni prendono la for­
ma: "A (anteriore a B) è condizione necessaria di B " , "A (anteriore a
B) è condizione sufficiente a B " , "A (anteriore a B) è condizione ne­
cessaria e sufficiente di B " . Qui considereremo solo il caso generale .
Nel caso generale la parola "spiegare" nella proposizione "A (anteriore
a B) spiega B " può prendere uno dei tre significati che corrispondono
ad una situazione di determinismo stretto, ma può prendere anche un
significato statistico . In quest'ultimo caso la proposizione è quindi
equivalente a: "La varianza di A ( anteriore a B) contribuisce a sp iegare
la varianza di B " . Nel caso in cui A e B siano attributi dicotomici, la
proposizione può egualmente prendere questa forma: "Se si osserva
l'attributo a, allora si osserva anche (piu frequentemente) l'attributo
b" .1-' Dal punto di vista che abbiamo adottato non ha importanza di­
stinguere tra questi differenti significati possibili.
In compenso è essenziale tenere presente che nella nostra termi­
nologia, i paradigmi deterministici si distinguono dai paradigmi intera­
zionisti perché considerano gli atti degli agenti sociali integralmente
spiegabili partendo da elementi anteriori a questi atti (limitazioni strut­
turali, processo di socializzazione , ecc . ) .
Dedicherò una sola sezione ai paradigmi deterministici. La ragione
di questa disparità di trattamento a vantaggio dei paradigmi interazioni­
sti è giustificata dalla tesi che cercherò di difendere, cioè dal fatto che i
paradigmi deterministici, nonostante la frequenza con cui vengono uti­
lizzati, hanno un interesse essenzialmente descrittivo (preciserò in se­
guito il significato del termine) e rappresentano delle riduzioni che
presentano un interesse scientifico ristretto a certi tipi di paradigmi in­
terazionisti.
Si possono utilmente distinguere tre tipi di paradigmi deterministi-

.1.1 Su questo problema si veda HERBERT SIMON, O n the Definii io n o/ the Causa i Relation,
in "Models of Man", Wiley, New York 1 95 7 .

219
Effetti "perversi " dell'azione sociale

ci riduzionisti. Affronterò brevemente la descrizione di questi paradig­


mi prima di introdurre qualche considerazione sulla sola forma legitti­
ma che a mio avviso possono prendere i paradigmi deterministici. I tre
tipi di paradigmi deterministici che credo sia utile distinguere a secon­
da della frequenza della loro apparizione nella letteratura sociologica,
possono essere chiamati iperfunziona listi, ipercultura listi e realisti to­
talitari. Consideriamo rapidamente i tre casi.

a) Paradigmi iperfunzionalisti
Rappresentano un riduzione dei paradigmi di tipo mertoniano.
Questa classe di paradigmi appartiene, come si ricorda, alla classe dei
paradigmi interazionisti. Essa riguarda le strutture di interazione carat­
terizzate da un contesto "contrattuale ". In questo caso i concetti di
ruolo e i suoi correlati concetti di norma e di valore sono essenziali
all'analisi: sono indispensabili alla descrizione degli atti individuali e
dei sistemi di aspettative reciproche che presiedono alle situazioni di
interazione . Ricordiamo ancora una volta l'esempio del signor Rossi
che spiega la composizione dell'aéqua ad un gruppo di allievi. Il suo
comportamento non può essere capito se non si tiene conto che egli è
professore di chimica. Come si è visto, i paradigmi di tipo mertoniano
considerano i ruoli guide di azione. Tuttavia queste guide presentano
sempre un margine di indeterminatezza. Larghezza di interpretazione ,
complessità degli status-sets e dei role-sets sono tre elementi sufficienti
a spiegare che i contratti impliciti che rappresentano i "ruoli" sono in­
capaci a determinare il comportamento degli individui. A questo punto
essenziale occorre aggiungerne un altro , cioè che i funzionalisti (se ci si
accorda di chiamare con questo termine coloro che utilizzano in modo
privilegiato i paradigmi di tipo mertoniano ) sono coscienti del fatto
che, nell'insieme delle azioni che si osservano da parte di un indivi­
duo, solo alcune e non tutte sono giustificabili con un'analisi in termini
di ruoli. Cosi il signor X , hic et nunc, tratta di chimica con una classe
di studenti perché è professore di chimica, ma quando un momento
dopo lo stesso signor X esitando tra la lettura e la passeggiata, sceglie
la passeggiata, la teoria dei ruoli sarà incapace di fornircene una ragio­
ne . Nel caso delle azioni che compaiono in un contesto di "stato di
natura" la teoria dei ruoli è inutile .
I paradigmi ip erfunziona listi, ispirandosi ai paradigmi interazioni­
sti di tipo mertoniano, cancellano puramente e semplicemente le quat­
tro distinzioni essenziali che ho appena ricordato . In altri termini, l'i­
perfunzionalismo può essere caratterizzato dai seguenti assiomi:
a ) ogni azione si svolge in un contesto di "contratto" (in altri ter­
mini, nessuna azione si svolge in un contesto di "stato di natura" ) ;
b ) i role-sets e gli status-sets sono composti d a elementi comple­
mentari non contraddittori;
c ) la larghezza di .interpretazione associata agli elementi di role­
sets e status-sets è o nulla o trascurabile .

220
Determinismi sociali e libertà individuale

Il primo assioma rifiuta delle distinzioni elementari. Consideriamo


il caso di un professore che sceglie di organizzare il tempo che ha a
disposizione dedicandolo in parti uguali all'insegnamento e alla ricerca.
Questa scelta può essere spiegata ricorrendo alla teoria dei ruoli. Op­
pure prendiamo il caso del dentista che rifiuta di rispondere al paziente
che gli domanda di indicargli la migliore marca di dentifricio . Anche
questo comportamento può essere spiegato con la teoria dei ruoli. E
tuttavia assurdo utilizzare la teoria dei ruoli per spiegare perché un
giovane decide di diventare dentista o professore, o perché il sig. X
decide questa sera di andare al cinema a vedere un film . Questa distin­
zione fondamentale scompare interamente dalle teorie iperfunzionali­
ste che fanno per esempio della scelta degli studi o della professione
una conseguenza del ruolo globale che le origini sociali imporrebbero
al soggetto. Se è abbastanza sicuro che si possono osservare delle cor­
relazioni statistiche piu o meno strette tra origini sociali e tipo di studi
perseguiti o tipo di professione, ciò evidentemente non dimostra che
le origini . sociali possano essere concepite come una sorta di super­
ruolo che guida nel loro insieme i comportamenti del soggetto. Il se­
condo e il terzo assioma completano il primo: i super-ruoli a cui i sog­
getti si suppone che si pieghino non sono contraddittori. Cosi, l'iper­
funzionalista cercherà di dimostrare che a un dato tipo di origine socia­
le corrispondono norme e valori convergenti nelle sfere di diversi
comportamenti.
L'obiezione principale che si può muovere a questo tipo di teorie,
oltre al loro carattere tautologico , riguarda il fatto che cancellano di­
stinzioni il cui fondamento è evidente e per questo introducono assi­
milazioni arbitrarie che non corrispondono ad alcun beneficio tangibile
dal punto di vista della conoscenza e della comprensione dei fenomeni
studiati. Non si vede che vantaggio possa esserci nel considerare della
stessa specie azioni tanto differenti come la scelta degli studi e le mani­
festazioni di obbedienza alla deontologia medica.

b) I paradigmi iperculturalisti
I paradigmi iperculturalisti sono una versione riduttiva dei paradig­
mi di tipo weberiano . Come si è visto, la spiegazione di un'azione
comporta sempre delle proposizioni di tipo deterministico. Perciò se si
vuole spiegare la composizione del paniere della signora Bianchi, è ne­
cessario osservare i suoi gusti, le sue abitudini e molti altri elementi
anteriori all'azione considerata. Ma se nella realtà, qualsiasi azione è
dipendente da elementi di questo tipo, questi ultimi possono o meno
essere pertinenti dal punto di vista dell'analisi. Ciò dipende natural­
mente dal problema posto. Se si tratta di spiegare la frequenza degli
incidenti stradali nelle strade a tre corsie o il comportamento dei pro­
prietari fondiari francesi alla fine dell' A ncien Régime è inutile ricorre­
re ad elementi anteriori all'azione (ad eccezione ben inteso di elementi
banali: gli automobilisti incidentati circolavano in automobile, i pro-

221
Effetti "perversi " dell'azione sociale

prietari erano proprietari fondiari prima di acquistare una carica reale ) .


I n altri casi l o schema esplicativo comprende necessariamente la cohsi­
derazione di elementi anteriori all'azione. Tuttavia, abbiamo insistito
su questo punto, questi elementi si integrano senza difficoltà in una
sintassi interazionista.
I paradigmi iperculturalisti corrispondono ad una riduzione che fa
dell'azione la risultante esclusiva di elementi anteriori all'azione. Lo
schema di analisi è quindi il seguente: l'azione attuale del signor X è il
risultato del fatto che egli, per un certo periodo, ha interiorizzato que­
ste o quelle norme e valori.1 4 Gli schemi di questo tipo sono frequen­
temente utilizzati per spiegare il fatto che alcuni individui si comporta­
no in modo apparentemente contrario al loro interesse . I sociologi li
impiegano diffusamente per rendere conto del peso statistico delle ori­
gini sociali sull'avvenire dell'individuo.
In realtà questo tipo di schema è raramente credibile. Certamente
esistono delle differenze di valori tra le classi, certamente la socializza­
zione può comportare la realizzazione di comportamenti poco adatti al­
l'interesse del soggetto che agisce, ma uno schema esplicativo che ridu­
ce un'azione agli effetti di socializzazione deve sempre essere conside­
rato con estrema circospezione: gli atti piu rituali sono spesso incom­
prensibili se non si vede che il loro carattere rituale è reso possibile
dalla presenza e dalla persistenza di istituzioni e di strutture di intera­
zione favorevoli. Posso essere stato addestrato a compiere un certo at­
to, ma se mi trovo in un ambiente che rende difficile e nocivo il com­
pimento di questo atto, c'è da scommettere che smetterò di compierlo
o che adatterò il mio comportamento al nuovo ambiente ( tranne nel
caso speciale in cui i costi di adattamento eccedano quelli del non­
adattamento) . Posso anche aver interiorizzato perfettamente i precetti
dell'ecologia, ma se faccio fatica a scorgere un cestino della carta strac­
cia, non camminerò certo indefinitamente per le strade di Parigi por­
tandomi dietro la pila delle cartacce di cui voglio sbarazzarmi. N el
campo della sociologia politica, Suleiman ha mostrato la facilità con cui
una persona potrebbe cambiare "ruolo ", cambiando funzione. 55 Non si
vede perché si dovrebbe supporre una mancanza di flessibilità sistema­
tica dei collegamenti dovuti al processo di socializzazione rispetto ai
cambiamenti delle situazioni e delle posizioni sociali in cui gli individui
possono trovarsi in quel dato momento . Senza dubbio si può cercare di
mantenere lo schema stimolo-risposta a cui si rifanno in fin dei conti in
modo piu o meno indire ttamente complesso i paradigmi di tipo iper­
culturalista, introducendo gli effetti di rinforzo (o di non-rinforzo ) . E

54 A riguardo si veda l'analisi di LEWIS CoSER, Violence as a Mechanism /or Conflict Re·
volution, in "Continuities in the Study of the Social Conflict", The Free Press, New York
1 967, pp. 96-100, sulla distruzione delle macchine al tempo dell'anarco-sindacalismo. Molto
spesso questo fenomeno viene interpretato in modo culturalistico come reazione degli operai
al progresso del macchinismo e ai suoi pretesi effetti sull'occupazione. Coser suggerisce l'ipo­
tesi a mio avviso molto piu interessante, che la distruzione delle macchine corrisponda in real­
tà ad una manovra strategica destinata a rinforzare il potere di negoziazione degli operai.
H EzRA SuLEIMAN, op. cit.

222
Determinismi sociali e libertà individuale

tuttavia difficile percepire il vantaggio di questo modello rispetto ai pa­


radigmi interazionisti. 5 6

c) Il realismo totalitario

Prendo in prestito a Piaget l'espressione "realismo totalitario ":


"Tra i tipi di spiegazione sociologica c'è il realismo totalitario : il tutto è
un essere che esercita le sue costrizioni, modifica gli individui (impone
loro la sua logica, ecc . ) e rimane quindi eterogeneo alle coscienze indi­
viduali quali esse sarebbero indipendentemente dalla loro socializza­
zione. " 57
Il paradigma del "realismo totalitario " può essere considerato una
riduzione del paradigma interazionista di tipo tocquevilliano . In questo
tipo di paradigmi la struttura delle preferenze individuali dipende, co­
me si ricorda, da dati sociali che caratterizzano il sistema in cui l'indivi­
duo è posto : questi dati contribuiscono a fissare il quadro dell'azione
dell'individuo nella misura in cui determinano la struttura delle opzioni
disponibili e il valore relativo di queste opzioni. A questo riguardo ri­
chiamiamo il caso del negoziante francese dell' A ncien Régime. A causa
delle differenze nelle strutture istituzionali, il negoziante si trova di
fronte ad un sistema di scelta differente rispetto al suo collega d'oltre
Manica. Certamente esistono casi in cui le differenze di valore delle
opzioni sono tali che nessuno può esitare sull'opzione da scegliere : il
capitalista non ha altra scelta al di fuori dell'aumento della produttività
dell'impresa se vuole evitare di essere eliminato piu o meno presto dai
concorrenti. 5 8
Il realismo totalitario fa di questo caso limite un paradigma genera­
le, in cui la scelta prende la forma di una scelta forzata, imposta all'in­
dividuo dalla "struttura sociale" . Secondo questo paradigma, un' azio­
ne, un comportamento di scelta o di decisione deve essere considerato
il prodotto apparente dei fini scelti e il prodotto reale del determini­
smo esercitato dalle strutture sociali sulle condotte individuali. Si arri­
va cosf nel peggiore dei casi ai ritornelli che fanno dell'individuo un
semplice supporto delle strutture sociali, la libertà di scelta che l'osser-

5 6 Si vedano in proposito le critiche di FRANçOJs BouRRICAUD alle tendenze iperculturaliste


e iperfunzionaliste della sociologia francese contemporanea, nell'articolo Con/re le sociologi­
sme, une critique et des propositions, in "Revue française de Sociologie", XVI, supplemento
1975, pp. 5 83-603. E a François Bourricaud che devo il termine iperfunzionalismo. E interes­
sante confrontare questo articolo con una critica classica degli eccessi del funzionalismo: DANIS
WRONG, The Oversocialized Conception of Man in Modern Society, in "Ame rican Sociological
Review", 26, 2, aprile 1 9 6 1 , pp. 1 83 - 1 9 3 . Le critiche di Bourricaud sono da accostare anche
a quelle che Alain Touraine indirizza a ciò che qui intendo per realismo totalitario (cfr. La
Societé invisible, Paris, su "Lunaires appareils idéologiques d'Etat ", pp. 2 1 7-221 ), e per iper­
funzionalismo ( ibid., p. 1 6 0 ) .
57 }EAN PIAGET, Etudes sociologiques, Droz, Genève 1 95 5 , p. 1 45 .
.sa Si può notare il fatto che le sanzioni possono essere non immediate, ma sono sempre

protratte a piu o meno lungo termine . Ciò introduce per il capitalista un margine di libertà che
rende eccessiva anche in questo caso la nozione di scelta forzata. D'altra parte per il capitalista
esistono svariati modi di aumentare la produttività.

223
Effetti "perversi " dell'azione sociale

vatore "ingenuo" è tentato di attribuire agli individui viene ridotta ad


una pura e semplice illusione .
Senza dubbio la vita sociale è densa di situazioni in cui le opzioni
teoricamente possibili sono effettivamente limitate dal costo che le
"strutture sociali" associano ad alcune di esse. Anche se sono preso da
un violento desiderio di scagliarmi contro l'agente di polizia che mi ha
appena dato una multa, la soddisfazione di questo desiderio sarebbe
tanto costosa che probabilmente mi asterrò dal !asciarmi trasportare.
L'esistenza di scelte limitate e al limite /orzate è indissociabile con l'e­
sistenza di istituzioni sociali: dalle piu semplici alle piu complesse (se­
mafori o istituzioni morali) hanno la conseguenza di limitare le opzioni
effettivamente praticabili. D'altra parte certi sistemi di interazione con­
ducono a casi in cui la libertà di ciascuno riduce le opzioni di tutti a
scelte forzate: qualunque desiderio abbia, il capitalista non può fare a
meno di aumentare la produttività a partire dal momento in cui gli altri
lo fanno.
N on vi è tuttavia nessuna ragione di eliminare dalla sociologia il
soggetto che agisce e di porre l'ipotesi che ogni scelta è in realtà una
scelta forzata . L'esistenza di regolarità sociali non implica che i com­
portamenti individuali possano essere dedotti in modo piu o meno di­
retto dalle strutture sociali, né che possano essere considerati il pro­
dotto puro e semplice di queste strutture . Il realismo totalitario è sicu­
ramente un paradigma seducente. Permette di fabbricare teorie che
possono sembrare impressionanti. Tuttavia, se può essere applicato in
certi casi limite, il tentativo di dargli una portata generale si scontra
con i fatti piu evidenti. I fenomeni di cambiamento sociale general­
mente non sono né inintelligibili, né soggetti alla pura e semplice de­
duzione . Ciò deriva dalla complessità degli effetti generati dalla molte­
plicità dei ruoli e dalla giustapposizione dei comportamenti non legati.
La contro obiezione piu seria a queste considerazioni consiste nel­
l'esistenza delle regolarità statistiche . Tuttavia, come si è visto poco so­
pra, è facile citare numerosi esempi di regolarità statistiche facilmente
spiegabili partendo dai modelli interazionisti. Cosi è inutile fare appel­
lo a modelli che appartengono al realismo totalitario per spiegare il re­
golare aumento della domanda di istruzione . Modelli individualisti di
tipo marxiano forniscono una spiegazione piu chiara del fenomeno,
come ho cercato di mostrare . '•
I tre tipi di paradigmi deterministici appena descritti sono cosi dif­
fusi che è difficile darne degli esempi senza arbitrio. Per esempio l'i­
perculturalismo è presente tra i sociologi americani degli anni Cin­
quanta, che si sforzano, come fa Hyman, di spiegare gli scarti tra mo­
bilità sociale osservata e mobilità perfetta con gli effetti delle sottocul­
ture di classe . L'iperfunzionalismo può essere illustrato da certi scritti
di Bourdieu: grazie al meccanismo dell' habitus le classi sociali agisco-

59 RAYMOND BouooN, Les limites des schémas déterministes dans /'exp/ication sociologi·
que", in GIOVANNI BusiNO (a cura di), Les Sciences sociales avec et après Jean Piaget, Droz,
Genève 1 976, pp. 4 17-43 5 .

224
Determinismi sociali e libertà individuale

no, si esprimono e si riproducono attraverso gli individui, semplici


esecutori di ruoli definiti dalla struttura di classe . Il realismo totalitario
copre largamente le teorie della cospirazione di cui parla Popper ( cioè
per esempio le teorie che fanno delle strutture , delle istituzioni e dei
mutamenti sociali il prodotto della cospirazione della classe dominante
contro la classe subalterna ) . Il successo del sociologisrno ( indicando
con questo termine l'insieme costituito dall'iperfunzionalisrno, l'iper­
culturalisrno e il realismo totalitario ) può senza dubbio essere spiegato
con le stesse ragioni che spiegano il successo dello storicisrno . Lo sto­
ricisrno fa professione di scoprire le leggi necessarie che presiedono al
divenire e pone assiomaticamente il reale come necessario. Lo storico
è invece chi mostra perché si può comprendere che la possibilità P 1 si
sia realizzata con piu frequenza rispetto alle possibilità P2 P (per
• • • • , n

un'illustrazione della differenza si veda l'ottimo articolo di François


Furet , Le catéchisme de la Révolution françaìse in "Annales" 26 , 2,
marzo-aprile 1 9 7 1 , pp. 255-8 9 ) . Allo stesso modo il sociologo pone il
reale assiomaticamente necessario: è cosi (in ogni caso) perché non
può essere altrimenti; l'avvenire degli individui e dei sistemi sociali è
ad ogni istante contenuto nel loro presente, vicino a qualche abilità
statistica. Il fascino del sociologisrno agisce cosi attraverso gli stessi ca­
nali dello storicisrno. Come questo ultimo offre scherni semplicistici
che permettono di padroneggiare a poche spese la complessità della
società e della sua storia.

d) Il determin ismo metodologico


Quest'ultima incarnazione dei paradigrni deterministici è la sola ac­
cettabile. Ha una notevole importanza in sociologia e meriterebbe svi­
luppi estesi che non posso trattare in questa sede . Il determinismo rne­
todologico può essere definito un paradigrna in cui vengono utilizzate
esclusivamente delle proposizioni che obbediscono alla sintassi deter­
ministica (proposizioni di tipo "A (anteriore a B) spiega B " ) senza che
queste proposizioni vengano interpretate come incompatibili con una
interpretazione interazionista. Per adottare un semplice esempio , im­
maginiamo che abbia calcolato il coefficiente di regressione del livello
socioprofessionale sul livello scolastico. Supponendo che il coefficien­
te di regressione sia positivo e che il suo valore superi una soglia data,
nulla mi impedisce di dichiarare che "il livello scolastico ( anteriore al
livello socioprofessionale) sp iega il livello socioprofessionale ". A que­
sto punto tuttavia si pone un problema sernantico. Cioè interpreto la
relazione osservata in termini realisti. In questo caso, devo giustappor­
re alla relazione statistica un'interpretazione iperculturalista, iperfun­
zionalista o appartenente al realismo totalitario . Oppure interpreto la
relazione come un riassunto, come una somma di azioni di cui cerche­
rò in una tappa ulteriore di comprendere la logica. Considero ora la
relazione statistica come un dato descrittivo che occorre spiegare. La

225
Effetti "perversi " dell'azione sociale

spiegazione verrà in seguito ottenuta con la costruzione di un modello


generatore di tipo interazionista .
Per illustrare queste considerazioni prendiamo un caso molto sem­
plice: i demografi hanno osservato una ·relazione inversa tra igiene ali­
mentare e natalità . A parità di altri fattori, ad uno sviluppo piu elevato
del livello di igiene alimentare corrisponde un tasso di natalità piu bas­
so. Si può riassumere questo risultato con una proposizione del tipo
"A (anteriore a B) spiega B " . Tuttavia questa proposizione è descritti­
va nel senso che la ragione della relazione che enuncia rimane oscura.
Quanto alla spiegazione di questa proposizione, essa risiede nell'appli­
cazione di un modello generatore interazionista che interpreta questo
risultato come un effetto di composizione. Perciò si può osservare l'i­
potesi seguente: poiché lo sviluppo dell'igiene ha l'effetto di ridurre la
mortalità infantile e un'unità familiare tende (piu o meno oscuramente)
ad una data dimensione, essa può a parità di altri fattori mettere al
mondo un numero di bambini tanto inferiore quanto piu sviluppata è
l'igiene.
Queste considerazioni si applicano ai modelli di analisi statistica
piu complessi della semplice regressione di una variabile sull'altra. In
ogni caso, si ha interesse a considerare i modelli di analisi causale in
grado di fornire un insieme di proposizioni descrittive spiegabili con
l'aiuto di modelli generatori di tipo interazionista .
Per concludere questa sezione sui paradigmi deterministici, farò
ora qualche considerazione di ordine storico che mi accontenterò di
elencare succintamente non potendo svilupparli nel presente contesto .
In effetti ci si può domandare perché i paradigmi deterministici goda­
no tradizionalmente di un favore considerevole in sociologia. A livello
di ipotesi si possono fare le seguenti considerazioni:
1 ) Come Léon Brunschvicg60 e Robert Nisbet" 1 hanno mostrato in­
dipendentemente, la nascita della sociologia come branca separata del­
le scienze sociali è indissolubilmente legata alla reazione romantica alla
filosofia dei lumi. La filosofia dei lumi aveva sviluppato l'utopia di so­
cietà fondate sulla ragione, il contratto, il consenso, l'eguaglianza. Dopo
le scosse della Rivoluzione francese, la reazione romantica sviluppa l'u­
topia inversa di una società fondata sulla tradizione e le differenze so­
ciali, capace di ritrovare il calore della Gemeinschaft. E. incontestabile
che questi temi, che appaiono con Bonald e de Maistre, vengono rego­
larmente ripresi dalla sociologia a partire dal momento in cui essa si
istituzionalizza. Questo legame tra la sociologia e la reazione romantica
alla filosofia dei lumi non implicava naturalmente il rifiuto incondizio­
nato dell'immagine dell' homo sociologicus che questa aveva introdot­
to. Tuttavia essa spiega il sospetto del sociologo per l'iconografia che
fa dell' homo sociologicus un individuo intenzionale. ·

2) La fase di istituzionalizzazione della sociologia è contempora-


6 0 Lf:oN BRUNSCHVICG, Le progrès de la conscience dans la philosophie occidentale, PUF,
Paris 1 927, 2' edizione del 1 95 3 .
6 1 RosERT NISBET, The Sociological Tradition, Basic Books, N e w York 1 9 6 6 .

226
Determinismi sociali e libertà individuale

nea allo sviluppo spettacolare delle scienze della natura, fisica e chimi­
ca. Era naturale che in modo piu o meno cosciente i paradigmi utilizza­
ti da queste discipline fossero stati percepiti da molti sociologi come
modelli degni di essere imitati. Questa concezione è largamente diffu­
sa nel cosiddetto movimento della statistica morale.
3) La sociologia si è tradizionalmente preoccupata di fenomeni
(crimini e suicidio) a prima vista poco accessibili ad interpretazioni che
si basano sulla definizione di homo sociologicus che era stata adottata
dalla filosofia dei lumi. 62
4) Certi concetti fondamentali su cui si basa la tradizione sociolo­
gica sembrano anch'es � i escludere questa immagine . A partire dal mo­
mento in cui si insiste sulla nozione di tradizione nell'analisi dei com­
portamenti sociali, si privilegiano, per usare i termini di Schutz,"3 i
Weil-Motive rispetto ai Wozu-Motive. Su questo punto ricordiamo le
nostre considerazioni sui comportamenti rituali. Essi non si possono
spiegare con i Weil-Motive finché questi ultimi appaiono come strut­
ture stabili: il pedone che, obbedendo a· un Weil-Motiv, trasporta in­
definitivamente i pezzi di carta di cui spera di sbarazzarsi si porrà una
domanda naturale : Wozu? perché (nel sensò di a che scopo? ) .

8 . Conclusione

N on ritornerò sulla tipologia relativamente complessa dei paradig­


mi fondamentali della sociologia, che l'analisi precedente permette di
individuare.

6 2 In proposito citiamo le interessanti analisi di ]ACK D ouGLAS , The Social Meanings o/


Suicide, Princeton University Press, Princeton 1 967; ]EAN BAECHLER, Les Suicides, Cal­
mann-Lévy, Paris 1 975, sul fenomeno del suicidio. Baechler tenta di spiegare il fenomeno
limitandosi.ai mezzi della psicologia razionale. Benché il suo proposito sollevi delle difficoltà,
rappresenta un'incontestabile innovazione . Riguardo all'influenza della fisica come modello
scientifico si può ricordare la testimonianza costituita dai lavori di Henry Adams, che all'inizio
del XX secolo cerca di applicare alla storia ciò che egli chiama la "regola delle fasi" (la durata
di ciascuna fase intellettuale è la radice quadrata della durata della fase precedente) o la Méca­
nique sociale di HARET (Paris 1 9 1 0). Naturalmente l'influenza del paradigma fisico è visibile in
Durkheim e in Quételet, in maniera meno estrema.
63 ALFRED ScHi:nz, Collected Papers: II. Studies in Social Theory, in A. BRODERSEN (a cu­
ra di), Martinus Nijhoff, La Haye 1 964. Si veda anche GEORG HENRIK voN WRtGHT, Explana­
tion and Understanding, Routledge and Kegan Pau!, London 1 97 1 . I Weil-Motive di Schutz
pongono implicitamente il problema dell'utilizzazione dei concetti della psicoanalisi in sociolo­
gia. L'inconscio è un concetto utile quando vi è discordanza tra Wozu e Weil. Su questo pun­
to credo che il dogmatismo sia fuori stagione. Si può dire che la sociologia e a maggior ragione
la macrosociologia si preoccupano in generale dei fenomeni che risultano dalla composizione
di comportamenti sociali banali, cioè di comportamenti in cui Weil e Wozu coincidono. Al
contrario, quando gli interessi del sociologo lo avvicinano all'individuo, è naturalmente facile
utilizzare degli schemi psicoanalitici. Sociologi orientati soprattutto verso la psicologia sociale
come Lazarsfeld negli studi di sociologia politica e Zeisel negli studi sul consumo, si sono
preoccupati di utilizzare le risorse della psicoanalisi. Si veda P AUL LAZARSFELD , An Episode in
the History of Social Research: a Memoir, in "Perspectives in American History " , vol. 2,
1 9 6 8 , pp. 270-337; HANS ZEISEL, L'école viennoise des recherches de motivations, in "Revue
française de Sociologie ", IX, n. l , 1 9 6 8 , pp. 3-12. Si può affermare che un'opera come Vot­
ing di Lazarsfeld rappresenta una sociologia del Weil incerta tra la spiegazione dei Weil­
Motive con il Ciò e con il Wozu. Nei limiti di questo testo posso solamente fare notare que­
sto problema.

227
Effetti "perversi " dell'azione sociale

Un importante risultato di questa analisi è dato dall'asimmetria che


essa stabilisce tra modelli interazionisti e modelli deterministici. Solo i
primi sembrano poter fondare l'analisi sociologica. In tutti i casi in cui
i sociologi sono riusciti a decifrare fenomeni oscuri, hanno utilizzato
analisi di tipo interazionista: il fenomeno in questione è spiegato con
la composizione di azioni individuali la cui logica non può essere ricon­
dotta a schemi di tipo stimolo-risposta o causa-effetto . Anche nel caso
limite dei comportamenti rituali, la nozione di intenzionalità non può
mai essere scartata. Negli altri casi le intenzioni e le preferenze degli
attori giocano un ruolo essenziale nell'analisi.
Le considerazioni precedenti suggeriscono piu in generale che è
impossibile poggiare l'analisi sociologica su un modello che in un 'mo­
do o nell'altro fa dei comportamenti individuali il prodotto di strutture
sociali. Cercando di eliminare la libertà del soggetto il sociologo rischia
di cadere nei meandri dei paradigmi riduzionisti.
La difficoltà di definire la nozione di libertà in modo soddisfacente
è proverbiale . Ci si è sforzati di precisarne il significato nell'analisi pre­
cedente. Prima di tutto occorre insistere sulla bipartizione ideale che
può essere stabilita tra l'insieme dei comportamenti che possono esse­
re scelti senza consultazione o approvazione tacita degli altri e l'insie­
me dei comportamenti che suppongono un'intesa. Senza consultare
nessuno posso andare a fare una passeggiata dove piu mi aggrada, deci­
dere di entrare o meno all'università ( se le condizioni di età e di livello
di istruzione sono soddisfatte) , comprare un oggetto oggi piuttosto che
domani. In compenso se sono professore di chimica non posso metter­
mi ad insegnare la geografia . Certamente, se si tratta di classificare ef­
fettivamente nelle due categorie tutti i comportamenti immaginabili, si
incontrerebbero delle difficoltà pratiche , ma la distinzione è essenzia­
le. Per renderla piu evidente abbiamo associato ai suoi due termini i
concetti di "stato di natura" e di "contratto" ripresi dalla filosofia poli­
tica del XVIII secolo. Questi concetti tuttavia presentano dei moderni
sinonimi: un comportamento classificato nella categoria dello "stato di
natura" appartiene alla sfera privata dell'individuo o , come si può dire
in altro modo, ai diritti di proprietà che gli sono garantiti (la nozione
di proprietà supera evidentemente in questo contesto la proprietà di
oggetti). Idealmente la lista di questi comportamenti definisce in que­
sto modo la sfera privata (i diritti di proprietà) o, in altri termini, le
libertà dell'individuo . Secondo l'uso, le libertà sono in effetti i com­
portamenti che l'individuo può adottare senza consultare gli altri . Il so­
ciologo non può escludere gli effetti sociali di queste libertà dal suo
campo di ricerca. Sia Marx che Tocqueville sono sufficienti ad illustra­
re la loro importanza nel campo dell'analisi del mutamento sociale . La
convergenza delle scelte effettuate dai negozianti e dai proprietari ter­
rieri francesi del secolo XVI I I , secondo le brillanti analisi dell'A ncien
Régime, è responsabile di svariati fenomeni sociali. Reciprocamente,
ogni tipo di fenomeno macrosociale, compresi quelli che appartengono
all'aspetto morfologico, come la distribuzione delle città secondo la lo-

228
Determinismi sociali e libertà individuale

ro dimensione , possono essere il risultato di un effetto di composizio­


ne dovuto alla convergenza di azioni individuali incluse nella sfera del­
le libertà .
Consideriamo ora l'altra classe di comportamenti. Questi, essendo
sottomessi al "contratto " , sono esclusi dalla sfera privata. In altre paro­
le , questi comportamenti sarebbero descritti come elementi costitutivi
dei "ruoli" sociali. Neppure questi comportamenti possono essere ri­
dotti a schemi di tipo stimolo-risposta o causa-effetto. Essenzialmente,
un comportamento incluso in un ruolo corrisponde a delle sanzioni so­
ciali (positive o negative ) di diverso tipo. Tuttavia la nozione di sanzio­
ne implica quella di responsabilità, di aspettativa e di scelta. I semafori
e la minaccia che rappresentano per me i vigili urbani, mi inducono ad
arrestare l'automobile , non sono la causa del mio arresto. D'altra parte
i termini del contratto che costituisce un ruolo solo raramente vengo­
no definiti con là precisione che caratterizza il significato dei semafori
e l'ammontare delle multe in caso di infrazione alle regole della circo­
lazione. Il mio "ruolo" di professore corrisponde ad un sistema di ob­
bligazioni, norme e sanzioni, ma questi elementi sono estremamente
complessi e alcuni di essi sono definiti in modo elastico. Lasciano
posto ad un margine di interpretazione piu o meno largo secondo i ca­
si, cioè a delle contraddizioni.
Il sociologo non può trascurare di prendere in considerazione que­
ste differenti manifestazioni della libertà individuale . Il manifestarsi di
comportamenti "devianti" , di effetti di composizione, il mutamento
sociale sono nella maggior parte dei casi incomprensibili se non ci si
sforza di individuare con l'analisi il posto occupato dalla libertà in que­
ste differenti manifestazioni.
Il sociologo non può negare ulteriormente l'esistenza della libertà
del soggetto malgrado il numero di tentativi effettuati in questa dire­
zione . La vulgata sociologica vuole che i comportamenti del consuma­
tore siano puramente e semplicemente determinati dal martellamento
pubblicitario . Se le cose stanno davvero cosi, come è possibile spiega­
re , come sottolinea Lindbeck,"' che le agenzie pubblicitarie devono ef­
fettuare inchieste sulle motivazioni e che una notevole proporzione di
prodotti lanciati con grandi campagne pubblicitarie fallisca pietosamen­
te, come le statistiche commerciali dimostrano? La stessa vulgata vuole
che lo "status socio-professionale" o il livello di istruzione raggiunto
da un individuo siano il risultato di determinismi sociali. Tuttavia le
correlazioni statistiche , molto spesso basse, che sostengono questa in­
terpretazione non implicano in alcun modo un'eliminazione delle no­
zioni di scelta e di libertà. L'individuo che possiede 1 . 000 franchi e
quello che ne ha in tutto 1 0 non si trovano nella stessa situazione
quando viene loro offerto di giocare ad una lotteria strutturata in un
certo modo con una puntata i l O franchi. Data una certa struttura della
lotteria, è probabile che il primo manifesti minori esitazioni del secon-

64 AssAR LrNDBECK, L'économie selon la nouvelle gauche, Mame, Paris 1 97 1 .

229
Effetti "perversi " dell'azione sociale

do. Tuttavia la correlazione che verrà certamente riscontrata tra entità


della fortuna degli individui e accettazione della lotteria, non implica
una interpretazione di tipo deterministico. Una tale interpretazione ha
al contrario l'effetto spiacevole di rendere completamente incompren­
sibile un altro dato, relativo cioè alle variazioni della correlazione con
la struttura della lotteria.
Per spiegare queste variazioni, occorre considerare le situazioni in
cui sono posti gli individui, come situazioni di scelta. Certamente in
certi casi questa scelta è forzata nella misura in cui, tra le opzioni teo­
ricamente possibili, un'opzione domina le altre per il valore delle san­
zioni (positive o negative) che vi sono associate. Niente mi impedisce
di aggredire l'agente di polizia che ha appena finito di appiopparmi una
multa, ma le conseguenze che in questo caso dovrò sopportare , mi dis­
suaderanno senza dubbio . Analogamente la diseguaglianza ha degli ef­
fetti incontestabili sulla libertà. E evidente che le opzioni del povero
riguardanti il consumo sono piu ristrette di quelle del ricco. Al limite
si possono incontrare delle situazioni a cui, data una certa variabile in­
dipendente, corrisponde una chiusura massima del sistema di opzioni.
Al di qua di un certo limite mi troverò costretto a dedicare tutte le mie
risorse all'acquisizione quotidiana di un tozzo di pane, ma si tratta di
casi limite . Se questi casi limite corrispondessero a situazioni universal­
mente osservabili non vi sarebbero controindicazioni nell'utilizzo dei
paradigmi di tipo deterministico. Tuttavia questi casi limite non si pos­
sono considerare situazioni tipiche senza autocondannarsi contempora­
neamente all'uso di teorie semp licistiche come quelle che caratterizza­
no una buona parte della sociologia dell'educazione, del consumo, per­
fino della sociologia politica di oggi.
Per finire, ricorderò una proposizione su cui mi sono soffermato
lungamente, cioè: gli effetti di composizione, che sono cosi importanti
nell'analisi sociologica, non possono essere analizzati e non possono as­
sumere significato se non all'interno dei paradigmi di tipo interazioni­
sta. Solo attori il cui comportamento è intenzionale possono realizzare
un effetto di composizione come quello del dilemma del prigioniero .
Reciprocamente, quando un fenomeno sociale traduce la presenza di
un effetto di dilemma del prigioniero, questo fenomeno non può esse­
re spiegato se non in un linguaggio che comprenda le nozioni di inten­
zione, anticipazione, scelta e preferenza. Fenomeni sociali elementari
come la coda davanti al pasticciere all'uscita dalla messa sono incom­
prensibili in un linguaggio che non tiene conto di questo vocabolario
di base . Come si possono spiegare fenomeni infinitamente piu com­
plessi come quelli di cui tradizionalmente si occupa la sociologia dell'e­
ducazione o la sociologia politica, per esempio, partendo da un lin­
guaggio cosi povero? Per indicare l'importanza di questi effetti di com­
posizione nell'analisi sociologica, Marx fa ricorso al concetto di dialet­
tica. Sfortunatamente egli usò lo stesso termine in altri sensi.
Mi occuperò ora di un altro importante aspetto. L'analisi prece­
dente ha mostrato che è ·possibile identificare una molteplicità di para-

230
Determinismi sociali e libertà individuale

digmi interazionisti nel campo della sociologia. Per questo aspetto, la


sociologia si distingue per esempio dall'economia. Complessivamente
la teoria economica si basa su un paradigma che la tradizione ha defini­
to individualismo metodologico. Si pone quindi immediatamente un
problema epistemologico: il problema della coerenza logica di una di­
sciplina che utilizza simultaneamente parecchi tipi di paradigmi.
In realtà la risposta a questo problema è piu semplice di quanto
non sembri. Consideriamo un comportamento elementare e cerchiamo
di analizzarlo in modo esa uriente. Analizziamo per esempio il compor­
tamento della signora Bianchi che rifornisce il suo paniere familiare.
Immaginiamo che essa abbia alla fine optato per una serie di prodotti
acquistati a certi prezzi e in certe quantità. Il suo paniere può essere
rappresentato dal vettore Q. Supponiamo che Q rappresenti il fenome­
no da spiegare. N el caso piu generale entreremo nel seguente schema
esplicativo:
l ) Dati relativi ai processi di socializzazione a cui è stata sottoposta
la signora Bianchi ( sa cucinare quel piatto ma non quell'altro) ; essa è
stata abituata a "fare i conti" oppure a spendere con larghezza; ha delle
prevenzioni contro le conserve .
2) Dati relativi alle risorse a sua disposizione ( risorse monetarie
ma anche risorse cognitive per cui non comprende nella lista dei possi­
bili acquisti quel dato prodotto perché non lo conosce) .
3 ) Una rappresentazione degli obiettivi da raggiungere (acquistare
gli ingredienti necessari ad alimentare una famiglia per un dato perio­
do) .
4) Dati relativi ai valori che sottostanno a questa rappresentazione
( importanza attribuita all'igiene alimentare, alla composizione dei pa­
sti, all'equilibrio tra i differenti pasti; lunghezza ideale del periodo co­
perto dagli acquisti).
5 ) Dati relativi alle costrizioni strutturali che caratterizzano il suo
ambiante (dimensione della famiglia, appetito di ciascuno, dimensione
del frigorifero ) .
6) Dati relativi alle limitazioni determinate dal sistema sociale nel
suo insieme (il prezzo del prodotto A, sostitutivo del prodotto B, è il
doppio del prezzo di B ) .
7 ) Dati relativi al mutamento delle limitazioni nel tempo e even­
tualmente alla percezione di questo mutamento da parte della signora
Bianchi (il prezzo del prodotto A è aumentato del 20% dal mese scor­
so, ma la signora Bianchi non si ricorda esattamente e crede in un au­
mento del 3 0 % ) .
8 ) Piu in generale dati relativi alle distorsioni percettive eventuali
da parte della signora Bianchi relative alle opzioni a cui si trova di fron­
te ( ci sono delle crisi sul mercato, ma non se n'è accorta) .
Questo elenco non è certamente esauriente, m a fornisce un'idea
sufficiente del tipo di schema a cui si arriva piu o meno necessariamen­
te quando si vuole cercare di comprendere una particolare azione. An-

23 1
Effetti "perversi" dell'azione sociale

che nel caso di azioni apparentemente semplici, questo schema assume


una notevole complessità.
Tuttavia il problema che abbiamo esaminato nel corso dell'analisi
non riguarda analisi di azioni particolari, di cui la sociologia si occupa
raramente, ed è quello relativo alla rappresentazione che occorre dare
della logica di azioni particolari nella prospettiva della spiegazione di
un fenomeno sociale che si suppone conseguenza di queste azioni . In
questo caso la rappresentazione dell'azione può e deve nella maggior
parte dei casi essere semplificata rispetto allo schema complesso che
occorrerebbe adottare per spiegare esaurientemente una particolare
azione. Se si considera una particolare decisione di investimento, è ne­
cessario ricorrere ad uno schema complesso del tipo che ho appena de­
scritto . Analogamente se si vuole spiegare perché quel proprietario
fondiario ha acquistato quella carica reale a Romorantin nel 1 77 5 , si
deve disporre di dati sulla localizzazione della sua proprietà, delle sue
risorse, sulla sua biografia, le autorità locali, la sua rete di relazioni e
su molti altri elementi. Ma se lo scopo è quello di spiegare perché i
proprietari fondiari francesi trascuravano piu spesso la terra degli in­
glesi, è sufficiente utilizzare uno schema molto piu semplice e sottoli­
neare che un certo numero di dati strutturali portavano alla conseguen­
za che il sistema delle opzioni e il valore delle opzioni erano media­
mente differenti nei due éasi. :E: allora sufficiente applicare il semplice
schema di un decisore razionale per arrivare a concludere che l'opzio­
ne 0 1 essendo in media offerta con piu frequenza è socialmente piu
valorizzata rispetto a 02 in Francia rispetto alla Gran Bretagna, e deve
essere scelta in media con piu frequenza. In questo esempio Tacque­
ville adotta uno schema elementare: l'azione è supposta intenzionale,
razionale e utilitarista. Ciò non significa che l'autore consideri ogni
azione riducibile a questo schema, ma solo che gli è sembrato suffi­
ciente a spiegare il fenomeno che si è preoccupato di spiegare. La rap­
presentazione utilitaristica dell'azione che caratterizza l'analisi possie­
de, in altri termini, uno status metodologico e non ontologico: per i
bisogni dell'analisi è sufficiente adottare uno schema utilitaristico sem­
plice, anche se questo schema sembra irrealistico quando lo si confron­
ta con un caso reale qualunque. Le stesse considerazioni sono aplicabi­
li all'esempio di Marx che ho richiamato in precedenza: una decisione
particolare di investimento appartiene sempre ad uno schema comples­
so. Ci si può tuttavia accontentare di una rappresentazione molto sem­
plificata se si tratta di comprendere la logica per cui in un sistema capi­
talistico ciascuno è costretto ad aumentare la produttività perché tutti
lo fanno .
La proposizione che speravo di mettere in evidenza con questo
esempio è la seguente: se mi sembra illusorio volere spiegare un feno­
meno sociale con un metodo diverso dal modello di tipo interazionista,
questo modello può assumere forme piu o meno complesse e diversifi­
cate in funzione del fenomeno da spiegare . Come mostrano gli esempi
di Tocqueville, Marx, Merton e molti altri, molto spesso è sufficiente

232
Determinismi sociali e libertà individuale

porsi un semplice schema di azione per spiegare fenomeni sociali com­


plessi. Le stesse considerazioni valgono per la rappresentazione delle
costrizioni strutturali. In certi casi si può, come fa Marx , contentarsi di
classificare gli agenti in diversi gruppi poco numerosi che si distinguo­
no per le risorse che hanno a disposizione ( classi sociali) . La stessa cosa
fa Merton nell'analisi del circolo vizioso dello sciopero dei negri dopo
la prima guerra mondiale . In altri casi, una descrizione piu complessa
delle costrizioni strutturali è indispensabile. Analogamente certe anali­
si implicano l'introduzione di elementi di tipo cognitivo (nell'esempio
precedente, l'opinione dei bianchi riguardo la supposta incapacità dei
negri di dar prova di solidarietà sindacale ) . In altri casi questi elementi
sono inutili: la teoria di Olson mostra che si può fare a meno di intro­
durre elementi di questo tipo se si vuole capire perché il successo di
un fornitore di beni collettivi può aumentare considerevolmente se è
in grado di offrire alla potenziale clientela beni e servizi individuali.
Allo stesso modo un fenomeno richiamerà differenti paradigmi a se­
conda che sia originato da un insieme di azioni indipendenti che ap­
paiono in un contesto di stato di natura o da azioni che appaiono in un
contesto di contratto . Il concetto di ruolo non è molto utile nel primo
caso e essenziale nel secondo, poco utile per esempio nell'analisi del­
l'aumento della domanda di istruzione, è indispensabile invece se si
vuole spiegare perché gli studenti americani degli anni Sessanta si di­
mostrano tanto piu malcontenti dei loro professori quanto migliori so­
no le università che frequentano.
In altre parole la mia tesi sostiene che un paradigma non può esse­
re giudicato su un piano antologico, ma solo sul piano metodologico.
La psicologia razionale è evidentemente insufficiente a spiegare la ne­
vrosi, ma è largamente sufficiente a spiegare molti casi di comporta­
mento quotidiano: quelli che piu frequentemente interessano la socio­
logia. Le costrizioni strutturali possono presentare una grande com­
plessità, ma in molti casi ci si può accontentare di semplici descrizioni
(le classi sociali in Marx , i negri e i bianchi in Merton ) . Non è realisti­
co supporre che gli individui abbiano sempre una rappresentazione
esatta delle opzioni che vengono loro offerte , dei vantaggi e degli in­
convenienti relativi a ciascuna di esse. Si può tuttavia formulare l'ipote­
si che mediamente quando un'opzione 0 1 è preferibile ad un'opzione
02, questa differenza venga percepita. In breve non si può dire che un
paradigma sia vero o falso, realistico o irreale, può essere invece piu o
meno adatto al fenomeno che si desidera analizzare.
La mia risposta al problema della coerenza dei paradigmi sociologi­
ci in definitiva è la seguente: prima di tutto affermo che la pertinenza
di un paradigma dipende in modo decisivo dal contesto della ricerca e
soprattutto dalla struttura del fenomeno che si cerca di studiare . Se­
condariamente i diversi tipi di paradigmi interazionisti si distinguono
gli uni dagli altri, non tanto per differenze sintattiche, ma per differenze
nelle categorie dei dati presi in considerazione . In certi casi, ma non
in tutti, è pertinente introdurre dati relativi ai risultati dei processi di

233
Effetti "p erversi " dell'azione sociale

socializzazione ; in altri casi i dati di questo tipo sono messi tra parente­
si ed esclusi dallo schema esplicativo. In certi casi ma non in tutti, è
pertinente introdurre dati relativi alle sanzioni che un soggetto può in­
contrare optando per 01 o per 02• La casella dei dati relativi alle san­
zioni può invece rimanere vantaggiosamente vuota quando il fenome­
no studiato conduce a considerare le azioni che lo compongono come
appartenenti ad un contesto di stato di natura.
In definitiva i diversi tipi di paradigmi interazionisti vengono creati
mettendo tra parentesi, in ciascun caso, questo o quel tipo di dati. Ri­
mane comunque tra questi diversi tipi una unità sintattica che deriva
dall'unicità dell'atomo logico che compone questi paradigmi, cioè la
nozione di azione individuale, in altre parole il comportamento inten­
zionale.
In compenso , paradigmi deterministici e interazionisti si distinguo­
no radicalmente per la rispettiva sintassi, poiché nel primo caso, le so­
le proposizioni ammesse sono della forma "A (anteriore a B) spiega
(con i diversi significati della parola spiegare) B " .

234
Nella collana "I fatti e le idee. Saggi e Biografie "

371. T. H. RrGBY, Il partito comunista sovzetzco. 1917/1976 L. 8.000


372. L'Italia dalla liberazione alla repubblica. Scritti di G. Quazza,
H. Michel, E. Colletti, D. W. Ellwood, G. Filatov, P. Guillen,
D. Sepié, T. Sala, E. Santarelli, G. Vaccarino, P. Scoppola, C.
Dellavalle, L. Ganapini, A. Gibelli, M. Legnani, A. Rossi Doria,
M. A. Salvati, P. Barucci, M. Flores L. 10.000
373. THOMAS S. SZAsz, Il mito della droga. La persecuzione rituale
delle droghe, dei drogati e degli spacciatori L. 3.800
374. LuciE 0LBRECHTS·TYTECA, Il comico del discorso. Un contributo
alla teoria generale del comico e del riso L. 9.000
375. VALERIAN V. KUJBYsEV, Scritti sulla pianificazione sovietica.
1924/1935. Introduzione di Lisa Foa L. 7.000
376. MOISEJ ]A. GrNZBURG, Saggi sull'architettura costruttivista. A
cura di Emilio Battisti. Con saggio introduttivo di Guido Canella L. 8.000
377. BRONISLAW MINe, Economia politica del socialismo L. 5.000
378. TIGRAN S. CHAcATUROV, L'economia sovietica nella fase attuale
di sviluppo L. 7.000
379. FRANZ NEUMANN, Behemoth. Struttura e pratica del nazional­
socialismo. Introduzione di E. Collotti L. 10.000
380. ETTORE RoTELLI, L'alternativa delle autonomie. Istituzioni locali
e tendenze politiche dell'Italia moderna L. 8.000
381. AA. VV., Società rurale e Resistenza nelle Venezie. At ti del
Convegno di Belluno, 24-26 ottobre 1975 L. 12.000
382. BRuNo BETTELHEIM, Il mondo incantato. Uso, importanza e si­
gnificati psicoanalitici delle fiabe ( 6 ed. ) L. 8.000
383. RoY PASCAL, Dal naturalismo all'espressionismo. Letteratura e
società in Austria e Germania (1880-1918) L. 8.000
384. DAVID W. ELLWOOD, L'alleato nemico. La politica dell'occupa­
zione anglo-americana in Italia (1 943-1946) L. 12.000
385. AA. VV., Il compromesso sovietico. Per la critica dell'economia
politica dell'URSS. Introduzione di G. Kay L. 6.000
386. HANNS ErsLER, Musica della rivoluzione. A cura e con uno stu­
dio di Luca Lombardi. Prefazione di Diego Carpitella L. 10.000
387. G. BELL, Mercato dell'eurodollaro e sistema finanziario interna­
zionale. Prefazione di Marco Villani L. 3.500
388. HEINZ ABOSCH, Trockij e il bolscevismo L. 4.500
389. EDOARDO PERSICO, Oltre l'architettura. Scritti scelti e lettere.
Prefazione e cura di Riccardo Mariani L. 8.000
390. ALEXANDER RABINOWITCH, I bolscevichi al potere. La rivolu­
zione del 1 9 1 7 a Pietroburgo L. 12.000
392. K. SHIBATA, N. 0KISHIO, I. STEEDMAN, G. HODGSON, B. SCHE­
FOLD, Accumulazione del capitale e progresso tecnico. Intro­
duzione e cura di E. Screpanti e M. Zenezini L. 5.000
393. FERDINANDO ORMEA, Le origini dello stalinismo nel PCI. Storia
della "svolta " comunista degli anni Trenta L. 9.000
394. PAOLO PEZZINO, La riforma agraria in Calabria. Intervento pub-
blico e dinamica sociale in un'area del Mezzogiorno 1950-1970 L. 8.500
395. MrcHEL FoucAULT, La volontà di sapere L. 3.800
396. MAURIZIO CALVESI, Avanguardia di massa L. 7.000
397. UMBERTO ARTIOLI e FRANCESCO BARTOLI, Teatro e corpo glorio­
so. Saggio su Antonin Artaud L. 9.000
398. PAUL GrNSBORG, Daniele Manin e la rivoluzicne veneziana del
1848-49 L. 10.000
399. AA. VV., Violenza e psicanalisi. Documenti del Convegno inter­
nazionale di psicanalisi. Milano, 24-26 novembre 1977. Introdu­
zione e cura di Armando Verdiglione L. 6.000
400. SILVANO TAGLIAGAMBE, Scienza, filosofia, politica in Unione Sovie­
tica 192 4-1939 L. 15.000
401. RoBERT AARON GoRDON, Crescita e ciclo nell'economia americana
dal 1919 al 1973 L. 6.500
402. AooLFO PEPE, Lotta di classe e crisi industriale in I talia. La
svolta del 1913 L. 6.500
403. MARIANGIOLA REINERI, Cattolici e fascismo a Torino 1 925-1943 L. 9.000
404. ]oHN MAYNARD KEYNES, Trattato della moneta. Vol. I : Teoria
pura della moneta L. 6.500
405. lSRAEL GETZLER, Martov. Biografia politica di un socialdemocra­
tico russo L. 8.000
406. FRANCO CRESPI, Esistenza e simbolico. Prospettive per una cultura
alternativa L. 4.500
407. AGNES HELLER, Istinto e aggressività. Introduzione a un'antropo­
logia sociale marxista. Prefazione di Pier Aldo Rovatti L. 3.800
408. GIORGIO QUINTAVALLE, La comunicazione intrapsichica. Saggi di
semiotica psicanalitica. Introduzione di Franco Fornari L. 4.500
409. F. FERGNANI, La cosa umana. Esistenza e dialettica nella filosofia
di Sartre L. 8.000
410. CLAUDIO DELLAVALLE, Operai, industriali e partito comunista
nel Biellese 1 940-1945. Prefazione di Guido Quazza L. 8.500
4 1 1 . GINo BENZONI, Gli affanni della cultura. Intellettuali e potere
nell'Italia della Controriforma e barocca L. 6.000
412. NoRWOOD R. HANSON, I modelli della scoperta scientifica. Ricerca
sui fondamenti concettuali della scienza L. 8.000
413. GIAN CARLO JocTEAU, La magistratura e i conflitti di lavoro du­
rante il fascismo 1926-1934. Prefazione di Nicola Tranfaglia L. 12 .000
414. F. L. CARSTEN, La rivoluzione nell'Europa centrale 1918-1919 L. 10.000
415. LEGA NAZIONALE DELLE COOPERATIVE E MUTUE/FONDAZIONE GrAN·
GIACOMO FELTRINELLI, Il movimento cooperativo nella storia
d'Italia 1854-1975. A cura di Fabio Fabbri L. 15.000
416. ]OHN MAYNARD KEYNES , Trattato della moneta. Vol. I I : Teoria
applicata alla moneta L. 7 .500
417. CLAUDIO G. SEGRÈ, L'Italia in Libia. Dall'età giolittiana a Ghed­
dafi. Prefazione di Giorgio Rochat L. 6.500
418. ARMANDO VERDIGLIONE, La dissidenza freudiana L. 6.000
419. HERMANN WEBER, La trasformazione del comunismo tedesco. La
stalinizzazione della KPD nella Repubblica di Weimar L. 15.000
420. GIUSEPPE ToMASI DI LAMPEDUSA, Invito alle Lettere francesi
del Cinquecento L. 4.000
421. GIULIO BARSANTI, Dalla storia naturale alla storia della natu­
ra. Saggio su Lamarck L. 6.000
422. Guroo FERRARO, Il linguaggio del mito. V al ori simbolici e realta
sociale nelle mitologie primitive L. 7.000
423. PAOLO TRANCHINA, Norma e antinorma. Esperienze di psicanalisi e
di lotte antistituzionali. Prefazione di Agostino Pirella L. 10 .000
424. ANTONELLO VENTURI, Rivoluzionari russi in Italia L. 8.000
425. RÉNÉ ScHÉRER, GuY HoCQUENGHEM, Co-ire. Album sistematico ·
dell'infanzia L. 5.000
426. W. PAGEL, Le idee biologiche di Harvey. Aspetti scelti e sfondo
storico. In Appendice: William Harvey rivisitato L. 18.000
427. I STITUTO NAZIONALE PER LA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBE·
RAZIONE IN ITALIA/ISTITUTO GRAMSCI, Le brigate Garibaldi nel­
la Resistenza. Documenti, vol. I : Agosto 1 943-Maggio 1944. A
cura di Giampiero Carocci e Gaetano Grassi L. 12 .000
428. ISTITUTO NAZIONALE PER LA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBE·
RAZIONE IN ITALIA/IsTITUTO GRAMSCI, Le brigate Garibaldi nel­
la Resistenza. Documenti, vol. I I : Giugno-Novembre 1944. A
cura di Gabriella Nisticò L. 16 .000
429. ISTITUTO NAZIONALE PER LA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBE­
RAZIONE IN ITALIA/ISTITUTO GRAMSCI, Le brigate Garibaldi nel­
la Resistenza. Documenti, vol. III: Dicembre 1944-maggio 1945
A cura di Claudio Pavone L. 18.000
430. H. ]AMES BuRGWYN, Il revisionismo fascista. La sfida dt Musso­
lini alle grandi potenze nei Balcani e sul Danubio 1925-1933 L. 10.000
43 1 . SALVATORE BrAsco, L'inflazione nei paesi capitalistici industria­
lizzati. Il ruolo della loro interdipendenza 1968-1978 L. 8.000
432. MrcHEL FAURÉ, Jacques Prévert e il Gruppo Ottobre. Prefazio­
ne di Antonio Attisani L. 6.500
433 . KARL MARX, La moneta e il credito. Raccolta di Scritti. Introdu­
zione e cura di S. De Brunhoff e P. Evenoryk L. 1 3 .000
434. EsTER DE FoRT, Storia della scuola elementare in Italia. Vol. I.
Dall'Unità all'età giolittiana L. 8.000
435. BENJAMIN CoRIAT, La fabbrica e il cronometro. Saggio sulla pro­
duzione di massa L. 6.000
436. PAOLO Rossr, I segni del tempo. Storia della terra e storia delle
nazioni da Hooke a Vico L. 12.000
437. Lucy FREEMAN, La storia di Anna O. Con una nota di Luisa
Muraro e Zulma Paggi L. 4.500
438. L'arte, la psicanalisi. Documenti del convegno internazionale di
psicanalisi, Milano 23-25 novembre 1978. A cura di Armando
Verdiglione L. 7.500
439. ]EAN BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte (3 ed.) L. 10.000
440. ERWIN PANOFSKY, La vita e le opere di A/brecht Diirer L. 15 .000
441 . PAUL K. FEYERABEND, Contro il metodo. Abbouo di una teoria
anarchica della conoscenza. Prefazione di Giulio Giorello L. 7.500
442 . ANTONIO NEGRI, Marx oltre Marx. Quaderno di lavoro sui
Grundrisse (3 ed.) L. 6.000
443. CHARLES WEBSTER, La grande instaurazione. Scienza e riforma
sociale nella rivoluzione puritana. A cura di Pietro Corsi L. 22.000
444. RoMANO CANOSA, Storia del manicomio in Italia dall'unità a oggi
(2 ed. ) L. 10.000
445. ALDo TAGLIAFERRI, Beckett e l'iperdeterminazione letteraria.
Edizione riveduta e ampliata L. 7.500
446. ANGELICA BALABANOFF, La mia vita di rivoluzionaria L. 7.000
447. SAMUEL GoMPERS, Settant'anni della mia vita. Introduzione e
cura di Piero Bairati L. 8.000
448. ANGELO PoRTA (a cura di), La moneta dei primi economisti
marginalisti L. 6.500
449. HuBERTUS BERGWITZ, Una libera repubblica nell'Osso/a parti­
giana. Prefazione di Mario Pacor L. 6.000
45 1. SEBASTIANO BRusco, Agricoltura ricca e classi sociali L. 8.000
452. FELICE CAVALLOTTI, Lettere dal 1860 al 1898. Introduzione
di Cristina Vernizzi. Prefazione di Alessandro Galante Gar­
rone L. 9.000
453. UGo DoTTI, Niccolò Machiavelli. La fenomenologia del potere
(2 ed.) L. 6.000
455. RossANA BossAGLIA, Il "Novecento italiano". Storia, documenti,
iconografia L. 8.500
456. GrAN GIACOMO MIGONE, Gli Stati Uniti e il fascismo. Alle origini
dell'egemonia americana in I talia L 13 .000
457. SILVANO TAGLIAGAMBE, La mediazione linguistica. Il rapporto
pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel L. 10.000
458. SERGIO Rossi, Dalle botteghe alle accademie. Realtà sociale e
teorie artistiche a Firenze dal XIV al XVI secolo L. 7.000
459. FRANK RosENGARTEN, Silvio Trentin dall'interventismo alla Resi­
stenza L. 10 .000
460. Poesia degli anni Settanta. Introduzione, antologia e note ai
testi di Antonio Porta. Prefazione di Enzo Siciliano ( 3 ed.) L. 10.000
461 . FRANCO SBARBERI, I comunisti italiani e lo stato 1 929-1945 L. 8.000
462. LELIO BAsso, Socialismo e rivoluzione L. 13 .000
463. F. Fox PIVEN/R.A. CLOWARD, I movimenti dei poveri. I loro
successi, i loro fallimenti L. 10 .000
464. ERNST BLOCH, Thomas Munzer teologo della rivoluzione. A cura
di Stefano Zecchi L. 8.000
465. Dove va la psichiatria? Pareri a confronto su salute mentale e
manicomi in Italia dopo la nuova legge. A cura di Luigi Onnis e
Giuditta Lo Russo L. 6.500
466. REINHARD BENDIX, Re o popolo. Il potere e il mandato di gover­
nare. Prefazione di Alberto Martinelli L. 18 .000
467. IsTITUTO NAZIONALE PER LA STORIA DEL MoviMENTO DI LIBE­
RAZIONE IN ITALIA, Resistenza e ricostruzione in Liguria. Ver­
bali del CLN ligure. 1 944/1946. Introduzione e cura di Paride
Rugafiori L. 30.000
468. EZRA PouND, Lettere 1907-1 958. Prefazione e cura di Aldo Ta­
gliaferri L. 8.000
469. Gumo D. NERI, Aporie della realizzazione. Filosofia e ideologia
nel socialismo reale L. 6.000
470. RoBERTO CAMPAR!, Hollywood-Cinecittà. Il racconto che cambia L. 10.000
47 1 . AuGUSTO GENTILI, Da Tiziano a Tiziano. Mito e allegoria nella
cultura veneziana del Cinquecento L. 15 .000
472. BRUNO SCHULZ, Lettere perdute e frammenti. A cura di Jerzy
Ficowski. Prefazione di Andrzej Zielinski L. 10.000
473. ANTONIO NEGRI, Il comunismo e la guerra L. 5.500
474. FRANKLIN RAUSKY, Mesmer o la rivoluzione terapeutica L. 9.000
475. MARIA EMANUELA ScRIBANO, Natura umana e società competitiva.
Studio su Mandeville L. 8.000
476. FoNDAZIONE GIANGIACOMO FELTRINELLI, L'Italia unita nella sto­
riografia del secondo dopoguerra. A cura di Nicola Tranfaglia L. 12.000
477. ANTONIO PRETE, Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi L. 8.000
478. GEORGES LAPASSADE, Saggio sulla transe. A cura di Gianni De
Martino L. 8.000
479. MARTIN CARNOY, La scuola come imperialismo culturale L. 12.000
480. DOLORES HAYDEN, Sette utopie americane. L'architettura del so­
cialismo comunitario 1 790-1975. Con in appendice uno scritto
di Gianni Baget-Bozzo . L. 25.000
482. MARGARET C. ]AcOB, I newtoniani e la rivoluzione inglese 1689-
1 720 L. 12.000
483. ELENA AGAROSSI/BRADLEY F. SMITH, La resa tedesca in Italia L. 12 .000
484. MoRTON SCHATZMAN, Storia di Ruth. Un'incalzante indagine
psichiatrica L. 10.000
486. PIERRE CLASTRES, Cronaca di una tribu. Il mondo degli indiani
guayaki cacciatori nomadi del Paraguay L. 10.000
487. ANTONio NEGRI, L'anomalia selvaggia. Saggio su potere e potenza
in Baruch Spinoza L. 10 .000
488. FRANCO RELLA, Il silenzio e le parole. Il pensiero nel tempo della
crisi L. 10.000
489. PAUL K. FEYERABEND, La scienza in una società libera L. 9.500
490. THOMAS S. SzAsz, Il mito della psicoterapia. La cura della mente
come religione, retorica e repressione L. 10.000
Stampato nel mese di marzo 1981 da "La Tipografica Varese "

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