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Luciano Biondo

GILDA
VENDITRICE GENIALE
La Cinematica della Genialità
e le nuove tecniche di vendita e di marketing
presentate attraverso un racconto umoristico
a scopo didattico.

“Versione Beta” 1.0.0


Aidea, Milano
© Copyright 1991 Luciano Biondo
C/o Aidea Sas - via Sanzio 32, Milano - Tel. 02.4801.4174 - Fax
02.4851.0373
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PRESENTAZIONE DELL’EDIZIONE ELETTRONICA

Questo è la penultima versione del libro Gilda Venditrice Geniale, quella


precedente l’ultimo “lavoro di lima” prima della pubblicazione, avvenuta
nel 1991. In termini informatici, può essere definita una «versione beta».

Per concessione dell’autore, è distribuita e distribuibile gratuitamente.

Le aziende che vogliano far omaggio ai loro venditori del libro, potranno
acquistarle presso:
Aidea Sas, via Sanzio 32, 20149 Milano
Tel. 02.4801.4174 Fax 02.4851.0373.
Il prezzo di copertina è di lire 60.000. Non si effettuano spedizioni per
meno di 10 copie. L’edizione è cartonata e con copertina a colori. Se i
vostri prodotti sono di qualità, un piccolo stimolo ai vostri uomini può
portare a molte nuove vendite.

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PRESENTAZIONE IN QUARTA DI COPERTINA

Simone, un giovane dirigente sposato da tre mesi, rivede dopo tanto


tempo la bellissima Gilda, che si rivela più simpatica del previsto. Ma alla
Trumbo Electronic Computer, i concorrenti di Simone, stanno tramando
per conquistare la leadership di mercato con mezzi non convenzionali: per
loro conto scende in campo la celebre fotomodella Click, mentre Michela,
la gelosissima moglie di Simone, decide che...
Mentre la trama si dipana leggera ed avvincente, costellata da gag e
battute irresistibili, il lettore si trova, quasi senza accorgersene, immerso
in un corso di marketing di eccezionale chiarezza ed utilità.
Fra un episodio e l'altro, la tecnica della trattativa, l'organizzazione del
lavoro, i metodi per trovare nuova clientela, la vendita al telefono, il
ruolo dell'immagine, la gestione della zona, i rapporti con la propria
azienda, la massimizzazione dei margini di contribuzione, ed altro ancora,
vengono trattati in maniera concreta ed operativa, con ricchezza di
realistici esempi.
La Cinematica della Genialità, scienza che ha ben studiato lo sviluppo
delle idee d'acquisto, fornisce chiavi interpretative nuovissime, rendendo
il libro prezioso non solo per i venditori, ma anche per gli imprenditori, i
dirigenti commerciali, gli esperti di marketing e chiunque voglia
comprendere a fondo i processi decisionali senza faticare più del giusto,
ma anzi divertendosi.

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PREFAZIONE ALL’EDIZIONE STAMPATA

Questo libro è destinato ai venditori, ai direttori vendite, ai direttori


marketing, agli imprenditori, a tutti coloro che, pur non vendendo nel
senso letterale del termine, sono a contatto con la clientela e lavorano per
soddisfarla.
Esso insegna alcune nuove tecniche commerciali, molto efficaci, basate
sulla Cinematica della Genialità. E' questa una nuova disciplina
psicologica, presentata per la prima volta nel 1985, che studia i
meccanismi psicologici delle persone mentre lavorano, e in particolare i
processi che portano alle decisioni e all'azione, sia mediante processi
razionali, sia mediante processi emotivi.
Col termine «Genialità» intendiamo la capacità di utilizzare e far fruttare
l'intelligenza che madre natura ci ha dato. «Cinematica» è la scienza che
studia le possibilità di movimento dei meccanismi. «Cinematica della
Genialità» è la scienza che studia il funzionamento dei meccanismi
cerebrali in base ai quali l'uomo utilizza le sue intelligenze per produrre
decisioni e per tramutare i pensieri in azione.
Questa disciplina ha scoperto, fra le altre cose, quali sono "le manopole"
su cui bisogna agire per persuadere, convincere, far fare con piena
soddisfazione della controparte. E quali sono i risultati pratici? In una
inchiesta svolta su venditori di differenti settori che hanno frequentato un
corso di tecniche di vendita basate sulla Cinematica della Genialità, oltre il
70% ha dichiarato che nel mese successivo al corso «ha venduto
decisamente di più» o «ha venduto uguale ma con minor numero di
visite».
Le tecniche di vendita basate sulla Cinematica della Genialità, però, non
fanno migliorare soltanto il fatturato: esse consentono di dare un servizio
al cliente decisamente migliore, cosicché non solo i venditori, ma anche i
clienti traggono deciso vantaggio da un ampio uso delle tecniche proposte.
E poiché un più qualificato servizio al cliente, almeno in molti casi, ha un
valore ben quantificabile, le tecniche esposte in questo libro consentono di
migliorare anche l'immagine aziendale ed i margini di contribuzione.
In questo libro i venditori troveranno una serie di suggerimenti pratici
per rendere più redditizia la trattativa, ed altri riguardanti
l'organizzazione del lavoro di vendita, l'uso del telefono e del mailing, i
metodi per procurarsi nuova clientela.
Il dirigente commerciale e i venditori che intendono fare carriera
troveranno anche una serie di strumenti per incrementare i margini, per
massimizzare i profitti e la loro evoluzione nel tempo, per gestire la zona,
per elaborare strategie.

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Chi, infine, si sta avvicinando adesso al lavoro di vendita, e magari sta
vagliando un'offerta di lavoro nel settore, leggendo il libro potrà rendersi
conto di quali e quanti siano gli aspetti entusiasmanti di questa
meravigliosa professione.
Resta un ultimo quesito: impadronirsi di queste conoscenze sarà lavoro
faticoso e difficile?
Noi siamo fermamente convinti di due verità lapalissiane:
• non è affatto detto che una scienza molto utile debba per forza essere
esposta in modo molto noioso;
• in ogni caso, quando ci si diverte, si impara di più.
Per questo abbiamo scelto di dare a questo libro la forma di racconto
umoristico a scopo didattico. In pratica si tratta di una storia in cui i
personaggi, oltre ad incontrarsi, innamorarsi e combinarne di cotte e di
crude, trovano ripetutamente l'occasione di dialogare su problemi di
vendita, insegnando come si diventa venditori "geniali".
Insieme con le tecniche, verranno presentati numerosi esempi. Per lo più,
essi si riferiscono alla vendita di computer, assicurazioni e servizi
finanziari: abbiamo scelto questi articoli perché sono abbastanza semplici
da essere conosciuti da tutti e abbastanza complessi da vendere da
richiedere l'uso di tecniche d'avanguardia. Va però precisato che le
medesime tecniche possono essere applicate alla vendita di qualunque
prodotto o servizio, sia all'utilizzatore finale, sia all'intermediario
commerciale.
Prima di salutare il lettore e augurargli buona lettura,
desideriamo precisare che i personaggi, i luoghi e le aziende
citate nel testo sono frutto di fantasia e non hanno alcun
riferimento con personaggi reali.

LUCIANO BIONDO

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RINGRAZIAMENTO

Le tecniche di marketing esposte in questo libro sono il frutto di ricerche


scientifiche che si sono protratte per numerosi anni. L'autore desidera
ringraziare le seguenti ditte:

AMBRO ITALIA SpA (Gruppo Ambroveneto)


CAGLIFICIO CLERICI SpA

che, avendo sponsorizzato gli studi necessari per sviluppare le


applicazioni della Cinematica della Genialità ai problemi della vendita,
hanno reso possibile la redazione di quest'opera.

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CAPITOLO 1°

Un incontro casuale
Una donna che non appartiene a nessuno
Quando gli uomini sono cattivi meccanici
Bartolomiao si spaventa
Si può essere felici senza televisione?

Sapendo che in serata la TV trasmetterà la semifinale del campionato di


pallacanestro, uscendo dal lavoro non si sente la fatica. Conscio di questa
fondamentale regola della vita, Simone avviò la macchina e, malgrado la
pioggia scrosciante, si accinse tutto allegro a percorrere i 46 semafori
che, con le rispettive ragguardevoli code, lo separavano da casa. Non
v'era dubbio: da quando era stato nominato Direttore Vendite della
Poliufficio 2000, il lavoro si era fatto davvero interessante. E per
sottolineare il clima di soddisfazione gagliarda, niente meglio di un po' di
buona musica: Simone inserì nel cruscotto l'ultimo compact disk dei Beep
Hoola e alzò il volume al massimo.
Dopo il piazzale prospiciente il fiume, cominciava il tratto di strada senza
traffico. Cominciava a farsi buio, ma nè la poca luce nè la tanta velocità
impedirono a Simone, appena passato il ponte sul Torrente Piccolo, di
scorgere ferma sulla destra la macchina della bellissima Gilda Bing, e
vicino ad essa la sunnominata bellissima Gilda Bing bagnata fradicia con
una ruota in mano. Non era difficile dedurre che la ruota apparteneva
all'automobile che a sua volta apparteneva a Gilda Bing.
Gilda Bing, invece, non apparteneva a nessuno. Qualche anno fa si era
quasi fidanzata con un cugino di Simone, poi c'era stato un ripensamento
e le rispettive strade si erano divise. Era da quei tempi che non vedeva più
nemmeno Simone.
— Ohei, Gilda! Che fai lì sotto l'acqua? — urlò Simone tirando giù il
finestrino e fermandosi accanto alla macchina di Gilda.
Prima di proseguire nella lettura, cortesemente immaginate di essere una
bella ragazza che si sta recando a un impegno di lavoro, e di essere in
ritardo, virtù in cui le belle ragazze eccellono molto. Immaginate anche,
mentre siete a metà strada, di forare una gomma, e di intendervi di
meccanica quanto basta a non sapere la differenza che passa fra un crick e
un piatto di cetrioli. Immaginate di avere addosso il vestito nuovo,
naturalmente tutto bianco. Immaginate di averci messo una mezz'ora
buona per togliere la ruota sgonfia, e poi di non riuscire a mettere su
quella sana. Immaginate infine di aver dovuto svolgere tutte le operazioni
sotto un diluvio di quelli che allagherebbero tutte le cantine perfino nel

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Sahara. Che cosa vi manca per essere felici? E' chiaro: un imbecille che vi
chieda: «Che cosa fai lì sotto l'acqua?».
Tenendo conto di questa sagace analisi psicologica, converrete che la
risposta di Gilda denotò animo aristocratico e squisitezza di sentimenti,
perché chiunque altro, al suo posto, avrebbe risposto di peggio.
— Pezzo di bischero incartato, vieni giù a darmi una mano, Maremma
maiala!
Simone in realtà era già sceso per offrire i suoi servigi. Ma quel tale che
aveva inventato la leggenda secondo cui le donne non sanno niente di
meccanica, ma gli uomini invece sì, non doveva aver considerato Simone
nel suo "panel" d'osservazione statistica. Il fatto è che ai due ci vollero
altri 30 minuti buoni, e un corrispondente numero di tentativi, prima che
il lavoro potesse dirsi compiuto. Per essere precisi, la ruota era stata
fissata orgogliosamente al suo posto esattamente 1 minuto e 58 secondi
prima che smettesse di piovere.
— Vieni a casa mia — propose Simone asciugandosi la fronte con la
mano e sporcandosi così di nero l'unico pezzetto di pelle che ancora era
rimasto quasi pulito. — E' qui vicino, ci facciamo una doccia e intanto
Michela ci preparerà qualcosa di caldo da mettere sotto i denti. Potrai
anche telefonare al tuo cliente per fissare un nuovo appuntamento.
Michela era, da tre mesi tre, la moglie di Simone. Da sempre, invece, era
una ragazza simpatica, di corporatura minuta, tutt'altro che brutta, con
due occhi verdi che il volto proponeva nella massima evidenza circondati
da capelli biondi naturali, e decisamente gelosa. Ma avrebbe senz'altro
compreso che non era il caso di mandare Gilda da un cliente conciata in
quel modo, senza contare il ritardo di un'ora e passa sull'appuntamento.
Così i due si avviarono, e giunsero dopo poco alla casa di Simone e
Michela, in una linda costruzione di periferia che, quando sorse in via dei
Tulipani, nella ridente cittadina di Campoalto, aveva tosto ottenuto dai
locali competenti uffici di potersi fregiare (in esclusiva assoluta) del
numero civico 53.
L'appartamento era arredato senza sfarzo, ma con molto buon gusto.
Michela era intenta a sistemare alcune zinie acquistate al mercato nel vaso
grande sopra la tavola del soggiorno, quando sentì suonare il campanello.
Aprì, e vide una scena abbastanza apocalittica, anzi, quasi apocalittica o
addirittura apocalittica. Simone e Gilda erano bagnati come succede al
"cattivo" nei telefilm quando viene fatto cadere nella piscina poco prima
del lieto fine definitivo. Avevano i capelli incollati alle guance. Erano
sporchi di grasso e di nero dalla fronte alla punta delle scarpe, ombelico
probabilmente compreso. Stavano in piedi sopra lo zerbino strusciando i
piedi lentamente, senza convinzione.

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Vista la scena, il gatto Bartolomiao, che era venuto come sempre a
curiosare saltellando, fece un rapido dietro-front e scappò sopra la
credenza. Michela invece, affrontò con piglio e decisione la situazione
apocalittica ponendo una domanda tipicamente femminile:
— Simone, cosa fai con un'altra donna?
Prima di proseguire nella lettura, tranquillizzatevi. Michela ebbe presto
tutte le spiegazioni del caso, anche quelle non esplicitamente richieste. Si
fece in quattro e imprestò alcuni suoi vestiti a Gilda perché si potesse
cambiare. E poco dopo, davanti a un meraviglioso piatto di spaghetti alla
carbonara, nota specialità della casa, la vita appariva decisamente
migliore, e l'allegria non tardò ad impadronirsi dell'ambiente.
Si dà poi il caso che Gilda fosse un po' più grande di Michela, così la
maglietta prestatale da Michela le risultava un po' stretta sul davanti, ma
al contrario la minigonna prestatale da Michela appariva un po' stretta sul
di dietro, e insomma il tutto era tale che Simone si dimenticò
completamente della pallacanestro, e la conversazione si sviluppò intensa e
fitta per tutta la serata. E fu così che, a un certo punto, venne fuori il
Problema.

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CAPITOLO 2°

Un collega poco famoso


Un elemento importante: la Torpedo Spider
Come triplicare le offerte senza fare niente
Prodotto, soluzione, strumento assecondante
Gilda lo vuole proprio

Conoscete Gustavo Cappelletti? Se la risposta è no, non fatevene un


dramma. Due anni fa, quando la compagnia dei telefoni gli cambiò il
numero in seguito a dei lavori di ampliamento della centrale, ebbe il suo
nome scritto due volte (col numero vecchio e con quello nuovo)
sull'elenco degli abbonati, e crediamo che quello sia stato il suo momento
di massima notorietà.
Gustavo Cappeletti viene qui citato perché è lui il problema di Gilda. O
meglio, lui non c'entra nemmeno, eppure c'entra del tutto. Cercheremo di
essere più chiari fornendo qualche ulteriore dettaglio, ma senza tirarla
per le lunghe. Il lettore è pregato di aver fiducia.
Gilda Bing e Gustavo Cappelletti lavorano entrambi nell'agenzia
assicurativa di Vittorio Esposito, dove svolgono mansioni di vendita,
insieme con un'altra trentina di persone.
— Come va il lavoro? — chiese ad un certo punto Michela nel corso della
conversazione, rivolgendosi a Gilda.
— A schifio. Mi hanno incartata. Hanno scelto il Gustavo Cappelletti.
Adesso il capo area è lui.
Qualche minuto di passi indietro permisero di appurare che Gilda
aspirava alla posizione di capo area, ma che non ce l'aveva fatta.
— Certo che un aumento di stipendio ti ci voleva proprio. Non vorrai
mica continuare con quel catorcio di macchina, dico io! — scherzò
Michela, senza sapere di toccare un argomento caldo caldo, in cui Gilda si
buttò a capofitto.
— Proprio ieri avevo visto una Torpedo Spider usata che era un
bocconcino... Tutta nera, con già la radio dentro e...
Simone la interruppe comprendendo che l'argomento non aveva alcuna
probabilità di essere liquidato in fretta se qualcuno non aiutava il destino
con una certa energia.
— Come mai proprio il Cappelletti?
— Banale. Nell'ultimo mese ha venduto quasi il doppio di me.
Il gatto Bartolomiao, che stava ascoltando attentamente, scosse la testa in
segno di disappunto.

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— E non potevi vendere il doppio anche tu? — chiese Michela, che,
evidentemente, non aveva mai provato a vendere alcunché.
Il gatto Bartolomiao si mise a ridere sotto i baffi, anche perché gli
sarebbe stato difficile ridere sopra.
Gilda invece guardò Michela un po' di traverso, e a Michela gli sovvenne
che era ora di lavare i piatti.
— E' una fortuna che quel Cappelletti abbia venduto tanto — concluse
Simone che era rimasto solo con Gilda.
— Maremma maiala, anche tu ti ci metti? — chiese Gilda con aria di
sconforto.
— Non scherzo mica. Quando qualcuno vende più di te, significa che è
possibile vendere più di quello che tu vendi. Ed è una fortuna, perché
significa che il mercato tira.
— Ovvio — pensò Bartolomiao annuendo.
— Banale — concluse Gilda, molto più perplessa di Bartolomiao.
— In poche parole, visto che è possibile vendere di più, dobbiamo solo
stabilire come. E poi anche tu venderai il doppio.
— Vediamo come — pensò Bartolomiao annuendo.
— Vediamo come — concluse Gilda sempre più perplessa.
— Vediamo un po' — chiese Simone. — Tu vendi servizi assicurativi e
finanziari. Quanti tipi di servizi vendi?
— Dunque... tre tipi di assicurazione sulla vita... due tipi di polizze
malattie... la globale abitazione... furto... incendio... e tre fondi di
investimento.
— Quindi in tutto trentatrè tipi di servizi fra assicurativi e finanziari.
— Ma che dici... in tutto sono undici!
— Ahi ahi, Gilda, se pensi ancora che siano undici hai ben poche
probabilità di aumentare le vendite!
— Maremma maiala! Mi stai prendendo in giro?
— Adesso ti spiego. Secondo te, il tuo cliente compera un fondo di
investimento azionario così come esso "oggettivamente" è, o in realtà
compera quello che "lui" vede nel fondo azionario?
— Ovviamente compera quello che "lui" ci vede dentro.
— Esatto. In termini tecnici diciamo che il cliente compera una
"immagine": l'immagine che si è fatta del tuo fondo di investimento.
In tempi recenti la Cinematica della Genialità (una nuova disciplina
psicologica che studia le persone mentre lavorano) ha scoperto che il
cliente percepisce tre tipi di immagine fondamentali: prodotto, soluzione,
strumento assecondante. Per esempio uno può acquistare un orologio,
oppure una soluzione al problema di arrivare in tempo agli appuntamenti
(probabilmente un orologio), oppure uno strumento per assecondare il
suo desiderio di prestigio (forse un orologio d'oro di gran marca). In tutti

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e tre i casi torna a casa con un orologio, ma il vero oggetto dell'acquisto è
stato assai diverso nei tre casi.
— Sì, ma si tratta sempre di un orologio. Tre percezioni diverse, se vuoi,
ma sempre lo stesso oggetto.
— Per il venditore è sempre un orologio. Ma per il cliente sono tre cose
completamente differenti. Questo è dimostrato da due fatti concreti ed
eccezionalmente importanti.
Il primo è: un medesimo cliente può acquistare un oggetto come soluzione
dopo essersi categoricamente rifiutato di acquistarlo quando gli è stato
presentato come prodotto (o viceversa, oppure come strumento
assecondante): e questo può accadere anche nel corso della stessa visita.
Non ti è mai capitato un cliente che ti dice: «Non sono disposto a
comperare l'assicurazione sulla vita ma sono disposto a comperare quella
contro i furti»?
— Un sacco di volte.
— Bene, nello stesso modo puoi trovare un cliente che non è disposto a
comperare il «fondo di investimento - prodotto», ma è disposto a
comperare il «fondo di investimento - soluzione» oppure il «fondo di
investimento - strumento assecondante».
— Allora per lui sono proprio due cose diverse. Ma... vuoi dire che che
posso tornare oggi stesso dal Galbusera, il cliente maledetto che ieri non
ha voluto sottoscrivere il mio fondo di investimento, e riuscire a
venderglielo, se solo glielo presento con un'altra immagine? Sarebbe
super!
— Certo che puoi, ma non gasarti troppo: è una cosa che già molti altri
venditori hanno fatto. Anche a me è successo più di una volta! Perché, dal
punto di vista del cliente, tu non gli stai più rifacendo la stessa proposta di
ieri, ma una completamente diversa.
— Continua. Mi interessa.
— Il secondo fatto concreto che dimostra che, cambiando l'immagine, è
come se cambiassimo l'oggetto proposto al cliente, è il seguente: se trovi
un cliente che è disposto a comperare sia un oggetto-prodotto, sia lo stesso
oggetto ma visto come oggetto-soluzione, sia lo stesso oggetto visto come
oggetto-strumento assecondante, il cliente farà i tre acquisti a prezzi
diversi, secondo quale dei tre acquista. In generale, l'oggettostrumento
assecondante può essere venduto a un prezzo più alto del medesimo
oggetto-soluzione e questo a sua volta a prezzo più alto del medesimo
oggetto-prodotto.
— Ma questa è una rivoluzione nel marketing!
— Nessuna rivoluzione. Perché mai la camicetta di cotone che hai
addosso, firmata Dior, costa più di una camicetta di seta senza alcuna
firma? In realtà, quello che ti sto dicendo viene applicato nel marketing

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tutti i giorni. Però non era stato mai spiegato chiaramente, e quando si
procede ad intuito anziché con un metodo si colgono le opportunità solo
in piccola parte. Così ci sono un sacco di aziende che vendono a prezzo
più basso di quello che, con piena soddisfazione del cliente, potrebbero
invece spuntare.
— Incredibile. E questo vale per tutti gli oggetti e per tutti i servizi?
— Certo. Non solo gli orologi, ma qualunque oggetto o servizio possono
essere visti dal cliente come prodotto (un oggetto o una prestazione noti,
definiti da un nome), o come soluzione (qualunque cosa elimini un
problema) o come uno strumento assecondante (un mezzo per procurarsi
emozioni basate sull'affermazione di se stesso).
— Fammi qualche altro esempio.
— Per esempio, io vendo computer. Alcune volte vendo un computer-
prodotto: in genere ho di fronte un cliente che è disposto a comperare un
computer, e nel corso della trattativa io devo dimostrargli che il mio
computer ha qualcosa in più degli altri computer.
Altre volte vendo computer-soluzioni: in questo caso faccio parlare il
cliente finché non mi racconta qualche suo problema. Per esempio ieri ho
trovato un artigiano che voleva fare a basso prezzo della pubblicità per i
suoi prodotti.
— E che c'entra con i computer?
— Gli ho chiesto se gli poteva interessare di stampare un giornalino
aziendale che può essere inviato alla clientela con una tariffa postale
estremamente conveniente. Ottenuto l'assenso, gli ho chiesto se sarebbe
stato disposto a spendere 15 bigliettoni per avere la tipografia in casa. Mi
ha detto di sì, e a quel punto gli ho venduto un computer, una stampante
laser e un corso di formazione per la sua segretaria: e non ho nemmeno
dovuto spiegargli che caratteristiche aveva il computer.
Altri clienti invece comprano il prestigio che è associato all'avere un
personal sulla scrivania. Altri, che magari hanno poco affetto per la
prole, vogliono sentirsi per un giorno dei padri perfetti, e comperano un
computer potentissimo per il figlio. Sono due dei mille esempi possibili di
acquisto di computer-strumento assecondante.
Quando Gilda cominciava ad entusiasmarsi per un argomento, gli occhi
neri neri incominciavano a brillare. In quel momento, sembravano
proprio la pubblicità del miglior liquido per lavare i vetri.
— Così adesso che lo so ho il triplo di cose da vendere — concluse Gilda.
— E posso triplicare le vendite!
Lo diceva senza troppa convinzione, per cui fu piacevolmente stupita dalla
flemma sicura con cui Simone le rispose.
— In realtà i più riescono solo a raddoppiarle... Naturalmente bisogna
darsi da fare un po' per migliorare se stessi. Perché una trattativa adatta a

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vendere un prodotto è assai diversa da quella con cui dovrà cercare di
vendere una soluzione e entrambe saranno assai diverse da quella idonea a
vendere uno strumento assecondante. Per fortuna, la Cinematica della
Genialità, oltre ad aver scoperto che ci sono tre "immagini" fondamentali,
ha identificato le argomentazioni migliori per vendere ciascuna di esse.
Un venditore — concluse Simone — che seguisse un canovaccio standard
di trattativa (per esempio quella basata sulla tecnica delle domande, nota a
tutti i direttori vendite) ha solo una probabilità su tre di influire
positivamente sul cliente. Per cui hai ragione tu... bisognerebbe riuscire a
triplicarle, le vendite.
— Mi basta raddoppiarle. Voglio fargliela vedere io, al Cappelletti!
— E ci riuscirai. E adesso, attenta a quello che è successo. Io ti ho fatto
una proposta: studiare delle tecniche di vendita. Tu avresti potuto
accettarla perché le mie tecniche sono «simili alle altre tecniche di vendita
ma un po' meglio», e in questo caso avresti accettato una proposta-
prodotto. Non è stato così. Oppure potevo farti la proposta come
soluzione al tuo problema di avere una promozione. Ma non ho scelto
questa strada. Tu hai accettato la mia proposta per farla vedere al
Cappelletti, cioè per affermare te stessa. Hai accettato la proposta-
strumento assecondante. E gli strumenti assecondanti generano sempre un
grande entusiasmo. Per questo sono sicuro che ce la farai. Così come ce la
faranno tutti i lettori di questo libro che vogliono realizzarsi e affermare
se stessi. Sempre che ce ne sia qualcuno che lo vuole... non è da tutti,
volerlo davvero.
— Lo voglio. Voglio stracciare Cappelletti. Voglio la Torpedo Spider.
— Ti aiuterò volentieri, promise Simone.
— Lo voglio. Pagherò qualunque prezzo...
— Su questo ci conto proprio — disse Simone sfoderando il suo miglior
sorriso tipo playboy che si tuffa da un soleggiato trampolino in quel di
Hollywood. Ma poi, vedendo che stava tornando Michela, fece
rapidamente tornare serissimi e la faccia e il discorso.
— Ti porterò dal professor Gatto: vedrai come è interessante quando
spiega la psicologia in termini chiari e alla portata di tutti — fu l'ultima
frase di Simone, densa di prospettive. Prospettive di tipo serio e
professionale, naturalmente. Per prospettive di altro genere, bisognerà
attendere un momento più favorevole, che l'autore del libro cercherà di
creare al più presto. Chissà se i nostri eroi ne approfitteranno?

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CAPITOLO 3°

Una passeggiata mano nella mano


Com'è fatto il cervello del cliente
Pensiero pratico, logico e creativo
Come diventare una persona geniale
Gilda sorride di un sorriso diverso

— L'autore del suo libro ha fatto del suo meglio, vero? — disse Simone
cercando di prendere la mano di Gilda mentre traversavano i prati.
Era un sabato pomeriggio, e Simone stava accompagnando Gilda dal
professor Gatto. Il professor Gatto abitava fuori città, in una villetta tutta
bianca con le persiane verdi, che stava sulla cima di una leggera salita
costituita da un prato di erba verdissima.
L'autore del libro aveva contribuito stabilendo che era una soleggiata
giornata di primavera, e facendo in modo che alcuni passerotti della zona,
anziché mangiare moscerini e lamentarsi fra di loro per l'inquinamento
dell'aria, come facevano di solito, quel giorno decidessero di cantare
soavi melodie.
Ma anche il potere degli autori dei libri è limitato. Perché Gilda era una
donna venditrice, ma finché non l'avesse fatta vedere al Cappelletti, la
venditrice aveva la prevalenza sulla donna. E così Gilda pensava soltanto a
cosa il professor Gatto le avrebbe detto per aiutarla a vendere di più.
I due arrivarono in cima alla salita mano nella mano, perché Gilda era
una venditrice donna, e, si sa, le donne ogni tanto smettono di pensare.
Il professor Gatto era intento a lavori di giardinaggio quando scorse
Simone con Gilda.
— Avanti, venite! Ciao, Simone!
— Il mio nome è Bing, Gilda Bing — si presentò Gilda con aria molto
professionale.
— Vieni, Gilda, accomodati! — disse il professor Gatto avviandosi con
cordialità verso l'ingresso di casa.
A vederlo con un paio di cesoie in mano, il professor Gatto sembrava una
di quelle persone di grande intelligenza che, andate in pensione giovani,
riescono a fare un sacco di cose e a godersi la vita.
La verità è invece che il professor Gatto era una di quelle persone di
grande intelligenza che, andate in pensione, riescono comunque a essere
giovani e a fare un sacco di cose e a godersi la vita.
Ex studente universitario, ex campione provinciale di salto in alto, ex
suonatore di banjo, ex venditore, ex dirigente d'azienda, Mario Gatto era
chiamato da tutti «il professore» per la sua cultura e la sua saggezza. Non

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era nemmeno laureato, avendo dovuto interrompere gli studi quando gli
mancavano quattro esami alla laurea per alcune difficoltà economiche
della famiglia. Ma per chi badava alla sostanza, e non ai titoli, il professor
Gatto era ben più di un qualunque professore universitario.
Il professor Gatto, quando era solo il soldato semplice Gatto, era vicino di
branda del padre di Michela, e l'amicizia sviluppatasi nella circostanza era
continuata nel tempo, estendendosi poi a tutta la famiglia di Michela, e
naturalmente a Simone, quando costui, sette od otto anni fa, aveva
cominciato a intraprendere il cammino che l'avrebbe portato al
matrimonio. Ma Simone continuava a dargli del «lei», come del resto
facevano quasi tutti, anche gli amici più intimi, in segno di deferente
stima.
Il professor Gatto fece entrare i giovani ospiti nel salotto, e si sedettero
attorno a una bottiglia di vino rosso "produzione propria", che il
professore aveva stappato due ore prima, affinché si perfezionasse
l'aroma.
— Come le dicevo per telefono — disse Simone dopo una decina di
minuti di convenevoli, la mia amica Gilda vorrebbe impadronirsi delle
nuove tecniche di marketing operativo e di vendita scoperte dalla
Cinematica della Genialità. Qualcosa ho cercato di spiegarglielo io. Ma
visto che io a mia volta le ho imparate dal professor Gatto, ho pensato
che...
— Che cosa ti ha già detto, Gilda? — si informò il professore.
— Mi ha spiegato che ci sono tre tipi di immagine: prodotto, soluzione,
strumento assecondante; e che il cliente percepisce le tre immagini di una
medesima offerta come se fossero tre offerte completamente differenti.
Ma è un concetto difficile da capire. E non mi ha spiegato come mai è
proprio così.
— Tutto è dovuto al modo in cui è fatto il cervello umano, Gilda. Esso ha
una struttura modulare, e le sue varie parti si sono specializzate nello
svolgere specifiche attività.
— Come un'azienda, che ha vari specialisti che svolgono differenti
funzioni?
— Proprio così.
— Oh bella. E qual è il modulo che fa da direttore generale?
— Proprio qui è il punto. Anziché avere un solo direttore generale, il
cervello umano ne ha tre, che si alternano a prendere la direzione delle
operazioni.
— Chissà che casino!
— In effetti, qualche problema si crea. Perché ogni "direttore generale"
ovviamente organizza il pensiero secondo i propri gusti e le proprie
inclinazioni, e ognuno dei tre ha un modo di comportarsi tutto suo.

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Il risultato è che ogni uomo ha tre distinti modi di pensare, cioè tre
distinte procedure in base alle quali organizza le proprie intelligenze
specialistiche, le idee, i ricordi e le percezioni allo scopo di decidere le
azioni. E alterna i tre modi suddetti, senza rendersene conto.
I tre modi di pensare si chiamano «Pensiero Pratico», «Pensiero Logico»,
«Pensiero Creativo». Ognuno dei tre comprende due sottocategorie. Puoi
vederle nel disegno seguente.

L’uomo possiede sei dimensioni dipensiero, esse, collegate a due a due, danno origine ai
tre tipi di pensiero: proatico, logico e creativo. Nessuno di questi tipi di pensiero può dirsi
superiore agli altri: tutti hanno uguale importanza. Purtroppo l’uomo non sfrutta questo
«spazio dimensionale» come dovrebbe, e di qui nascono tutte le difficoltà umane nella
comuinicazione con gli altri e nei rapporti con se stessi.

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— Vuol dire che anch'io so pensare in tre modi diversi? Non me ne ero
mai accorta. E ogni quanto tempo cambio pensiero?
— Si può cambiare il tipo di pensiero attivo in pochi istanti. Ma in
generale esiste una certa resistenza al cambiamento: per cui è possibile che
si resti nello stesso tipo di pensiero anche per ore.
— E anche il mio cliente, deduco, ha tre tipi di pensiero. Che cosa
succede se il cliente usa un pensiero diverso dal mio? Forse che posso
vendere solo se attivo lo stesso pensiero che sta usando il mio cliente?
Come una TV, che può ricevere solo se è sintonizzata sullo stesso canale
su cui è sintonizzata la trasmittente?
— Certo, anche il tuo cliente ha a disposizione tre tipi di pensiero. Ma ne
usa (salvo rarissime eccezioni) uno solo per volta.
Non è però necessario che tu usi lo stesso tipo di pensiero del tuo cliente:
quello che conta è che tu emetta un messaggio che sia adatto al tipo di
pensiero che il cliente sta usando.
Se ci riesci, si hanno le condizioni ottimali per comunicare, e se lavori
bene puoi persuadere e convincere.
Ma se il tuo messaggio non è "sintonizzato" col tipo di pensiero che il tuo
cliente sta usando, succede una cosa strana: riesci a trasmettergli
informazioni (il che ti dà l'illusione di comunicare), ma non è
assolutamente possibile persuadere, motivare, convincere, far sorgere
desiderio, indurre all'azione. In altre parole, chiacchieri ma non vendi.
Anzi, molte volte si ottiene addirittura (ovviamente senza volerlo) di
dissuadere il cliente dall'acquisto, nel caso avesse deciso di comperare già
prima che il venditore arrivasse.
— Ma il cliente resta con lo stesso tipo di pensiero per tutta una
trattativa?
— Se il tuo messaggio è adatto al suo modo di pensare, egli non cambia
tipo di pensiero nel corso di una trattativa. Attenzione però: se te ne vai e
ritorni dopo qualche giorno o dopo qualche ora per una nuova visita,
potresti trovarlo in un pensiero differente da quello in cui l'avevi lasciato.
— Ci sono uguali probabilità di trovarlo in pensiero pratico, oppure
logico, oppure creativo?
— Se vai da un cliente che non conosci, hai uguale probabilità di trovarlo
in pensiero pratico, oppure logico, oppure creativo: l'umanità utilizza i
tre pensieri in misura all'incirca uguale.
Se invece vai a trovare un cliente che conosci già, è più probabile che lo
trovi nello stesso pensiero in cui l'hai trovato le altre volte. Ognuno di noi
infatti ha un suo "pensiero preferito", che utilizza più spesso degli altri:
all'incirca per l'80% del tempo.
— Chiarissimo.

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Simone, che seguiva la scena attraverso un calice ricolmo di vino rosso
"produzione propria", osservando Gilda pensava che doveva esserci un
quarto tipo di pensiero: il pensiero osceno. Ma non gli sembrava il
momento di fare battute di spirito. Era bello invece vedere come Gilda si
interessava alla cosa. Dibatteva, interrogava, cercava di capire. E quando
il professore introduceva un concetto importante, sbatteva le palpebre
ripetutamente, su e giù sopra le iridi nere. Gilda era proprio una ragazza
in gamba.
— Scommetto che esiste una relazione fra i tre tipi di pensiero e i tre tipi
di immagine — proseguì Gilda. — Ho indovinato?
— E' proprio così. Il cliente che usa il pensiero pratico acquista prodotti.
Qualunque sia l'offerta, il pensiero pratico la interpreta sotto forma di
cose concrete, cose rientranti in categorie conosciute.
Invece il cliente in pensiero logico acquista soluzioni. Il pensiero logico
ragiona per obiettivi, interpreta la vita come una serie di problemi che
devono via via venire risolti, e esamina l'offerta esclusivamente per
vedere se rappresenta una soluzione ai propri problemi.
Infine, il cliente in pensiero creativo acquista strumenti assecondanti. Il
pensiero creativo ricerca delle emozioni che siano un'affermazione di sè,
della propria libertà, della propria iniziativa. Se tu fossi davvero potente,
libera di fare quello che vuoi, non costretta a sacrifici per sopravvivere,
piena di pregi e priva di difetti, sempre al centro dell'ammirazione,
proveresti delle emozioni piacevoli. Il pensiero creativo ricerca tali
medesime emozioni, senza però pretendere di essere davvero (nei fatti)
potente, libero, non costretto a sacrifici, privo di difetti, al centro reale
dell'attenzione. E si procura tali emozioni con acquisti che assecondino
queste emozioni. Per esempio, tante volte io acquisto una gardenia e me la
metto all'occhiello quando passeggio per il corso, e questo mi dà la
sensazione di tornare giovane e rubacuori. In altre parole, grazie alla
gardenia provo le stesse emozioni che proverei se fossi davvero giovane e
rubacuori.
— E ciascun cliente può acquistare sia prodotti, sia soluzioni, sia
strumenti assecondanti?
— Sì, perché ciascuna persona può attivare sia il pensiero pratico, sia il
pensiero logico, sia il pensiero creativo. Ma attenzione a questi fatti
importanti (tanto importanti che su di essi il libro tornerà più volte, con
chiarimenti e approfondimenti):
1. Se usa il pensiero pratico, acquista (o rifiuta) prodotti. E viceversa: se
acquista (o rifiuta) prodotti è sicuramente in pensiero pratico. Il pensiero
pratico non è in grado di percepire in un primo tempo il problema e
successivamente una soluzione come concetti astratti. Il pensiero pratico

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ragiona in termini di azioni e cose. Inoltre il pensiero pratico non è
sensibile agli strumenti assecondanti.
2. Se usa il pensiero logico, acquista (o rifiuta) soluzioni. E viceversa: se
ragiona per problemi (definendo le sue necessità prima di cominciare a
pensare alla soluzione) e ricerca soluzioni con un processo analitico (cioè
esaminando un dettaglio per vedere se risponde alle sue necessità, poi
passando al dettaglio successivo, e così via), è senz'altro in pensiero
logico. Il pensiero logico è in grado di assegnare un valore alle cose
esclusivamente in funzione dell'utilità di tali cose nei confronti di un
obiettivo o di un problema. E anch'esso non è sensibile agli strumenti
assecondanti.
3. Se usa il pensiero creativo, acquista strumenti assecondanti (o ritiene
che l'offerta non assecondi nessuna delle emozioni prima descritte, e
allora ignora l'offerta; oppure non acquista perché non ha abbastanza
soldi). E viceversa: se una persona si lascia attrarre da uno strumento
assecondante, certamente sta usando il pensiero creativo. Il pensiero
creativo non è attratto da una cosa oggettivamente migliore delle altre, nè
da una soluzione oggettivamente migliore. Il pensiero creativo ricerca
cose e soluzioni emotivamente migliori.
— Ho un dubbio: se un cliente acquista in pensiero creativo, acquista su
base emotiva. Dopo un po', non è che si accorge di essere stato fregato e
si pente dell'acquisto?
— Vedo che indossi le scarpe di una marca molto in voga fra i giovani.
Ti sei pentita di averle acquistate?
— Assolutamente no. Sono di moda, ce le hanno tutti i miei amici: quelli
giusti e ganzi, naturalmente.
— Vedi? Eppure avresti potuto comperare delle scarpe oggettivamente
migliori ad un prezzo minore. Ma la cosa non ti turba. In realtà le tue
scarpe sono emotivamente migliori: ti danno la sensazione di essere
moderna e di far parte di un gruppo giusto e ganzo.
— Vuol dire che le ha comperate il mio pensiero creativo?
— Proprio così, e non c'è nulla di male in questo. E' più che lecito
spendere i propri soldi per procurarsi delle emozioni. Ed è anche
piacevole, per cui poi non ci si pente affatto. Anzi, è scientificamente
provato che un certo numero di acquisti di questo tipo è assolutamente
necessario per la salute psicologica dell'individuo.
— Ma allora — chiese Simone — come spiega le cosiddette "vendite con
lo strappo", quelle in cui il venditore forza emotivamente il cliente
all'acquisto e "fugge" non appena ha il contratto firmato in mano? Non
sono vendite emotive anch'esse? E non lasciano forse il cliente fortemente
insoddisfatto?

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— Non bisogna confondere l'emotività con lo strumento assecondante.
Tutti e tre i pensieri possono subire emozioni, non solo quello creativo. Il
pensiero creativo acquista un particolare genere di emozioni, che
potremmo chiamare "benigno". Un venditore può sfruttare anche altri tipi
di emozioni, ma corre il rischio di lasciare terra bruciata, e di non poter
ritornare dallo stesso cliente.
— Il buon venditore lascia sempre il cliente soddisfatto dell'acquisto —
confermò Gilda. — Così soddisfatto che diviene «referenza attiva», cioè
persona che spontaneamente riferisce ad altri di essere soddisfatto
dell'acquisto, procurando così nuovi clienti al venditore.
— Bene — concluse il Professore — vedo che hai già imparato qual è il
vero obiettivo della vendita. La Cinematica della Genialità indica qual è la
strada migliore per raggiungere tale obiettivo.
La conversazione si protraeva ormai da tempo, e fuori si era fatto scuro.
Ma Gilda aveva un'altra domanda.
— Lei ha detto che gli uomini alternano nel loro cervello i tre "direttori
generali". Ma non è possibile convincere i tre direttori generali a lavorare
in équipe, anziché uno per volta? In altre parole, è possibile usare
contemporaneamente tutti e tre i tipi di pensiero?
— E' possibile. Anzi, è il punto di arrivo che ogni uomo dovrebbe
raggiungere. Però, se ti guardi in giro, di persone capaci di farlo non ne
troverai molte. Anzi, se ne conosci anche una sola puoi dirti fortunata.
Se imparerai a comunicare in modo adatto al tipo di pensiero del tuo
cliente, diventerai una vera venditrice. Se imparerai a usare tutti e tre i
tuoi pensieri contemporaneamente, diventerai una persona geniale.
Diventare "geniale" significa riuscire a far fruttare al massimo la tua
intelligenza, cioè il più grande dei talenti che il Padreterno ti ha dato. E ti
darà una capacità di fronteggiare gli avvenimenti che nemmeno te la
immagini.
Faremo festa tutti quando ci verrai a dire di sentirti una venditrice
geniale.
E il professore alzò il bicchiere in un brindisi beneaugurante.
Simone sorrise. Pensava che simili slogan fossero nati solo per motivare i
venditori, e che non bisognava prenderli troppo sul serio.
Gilda sorrise, ma di un sorriso tutto diverso. Si era data alla vendita
anche perché non era riuscita a laurearsi in architettura, e da allora
considerava i tecnici di ogni tipo come fossero una specie superiore. Ma
adesso incominciava a capire il mestiere che aveva intrapreso. Il mestiere
di "tecnico" che, anziché le macchine, studia e capisce l'uomo: la
macchina più complessa che si sia mai vista sulla faccia della terra: e la
più appassionante.

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CAPITOLO 4°

Chiazze blu sui capelli bianchi


Cosa dicono i dirigenti quando sono tra loro
Una segretaria tutt'altro che timida
Arriva la fotomodella
Una strana partita di tennis

Avete mai visto una sardina? E' un buon punto di partenza. Allora,
immaginate di avere una sardina e di riuscire a farle mangiare quattro
marmitte di vermi al ragù: la vostra sardina diventerà un po' più
cicciottella, pur mantenendo all'incirca la stessa lunghezza. Pensate ora di
riuscire a persuaderla ad ingoiare tutta intera una stecca di tondino per
cemento armato, di quello grosso del numero nove: la vostra sardina
diventerà parecchio più rigida. Supponete ora di far indossare alla vostra
sardina due tacchi a spillo da dodici centimetri, e una gonna a tubo
abbastanza stretta da non permettere passi più lunghi di una spanna e otto
millimetri. Se ora avete abbastanza pazienza di attendere che si formi un
certo strato di peluria nera sul labbro superiore della sardina suddetta,
otterrete una raffigurazione abbastanza conforme a quella della signora
Caterina Assunta Consuelo Carmenáita Annabella Trumbo, Presidente
della Trumbo Computer Elettronica, principale concorrente della
Poliufficio 2000, l'azienda di Simone.
Tranne una differenza: la sardina ha dei meravigliosi riflessi blu sulla
pelle nera, opera mirabile della natura; la signora Trumbo ha delle strane
chiazze blu sui capelli bianchi, opera meno mirabile del suo parrucchiere.
Risponderemo ora alle principali domande.
Prima domanda: ma non avevano nessuno di meglio da nominare
Presidente, alla Trumbo Computer Elettronica? Certo che ce l'avevano,
ma non potevano nominarlo perché la signora Trumbo possedeva il 100%
delle azioni, dopo la morte del marito, il simpaticissimo Mario Trumbo,
avvenuta a causa di un eccessivo miscuglio di whisky e champagne in
occasione di una gita a Parigi che doveva essere di lavoro.
Seconda domanda: ma era necessario un nome così lungo per la signora
Trumbo? In effetti, i suoi dipendenti avrebbero preferito chiamarla
sempre con le sole iniziali dei nomi, ma non lo facevano mai quando lei
era presente, per motivi abbastanza ovvi a chi prova a vedere che sigla ne
viene fuori.
Terza domanda: e chi era tutta quella gente che stava con la signora
Trumbo, lei a capotavola, e tutti gli altri attorno al tavolo, in
quell'ambiente così austero?

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Quello a destra, col completo grigio, era Luigi, il Direttore Generale.
Piccolo grasso e pelato, era stato assunto più di vent'anni fa per
accompagnare in macchina la signorina (a quell'epoca) Trumbo. Venne
scelto perché era piccolo, e non faceva sfigurare la signorina (ora vedova)
Trumbo nel caso avesse dovuto scendere dalla macchina e accompagnarla
a piedi. Nei vent'anni successivi non sono emersi altri motivi di merito,
anche se tutti convenivano che, con più tempo a disposizione, si sarebbero
forse potuti trovare. Nel frattempo aveva fatto carriera modificando in
meglio il titolo gerarchico, mentre il lavoro effettivo, a ben vedere, non
era cambiato gran che.
Dopo di lui, in gessato blu, il Direttore Amministrativo rag. Balla. Non
andava mai in ferie, e questo l'aveva fatto a suo tempo preferire al dott.
Calzetta, che sapeva la contabilità.
Sull'altro lato, il sig. Franciati, in giacca a quadri pantaloni a righe e
cravatta a pallini. Direttore Vendite.
Vistosi ed evidenti, nell'aspetto generale del sig. Franciati, i capelli, ricci
ed abbondanti, di colore castano, con dei riflessi rossi qua e là.
Dopo di lui, il Direttore di Produzione ing. Birillo. Alto alto, col collo
lungo e la testa piccola, nessuno si ricordava più se Birillo era un
soprannome o era il cognome vero. Forse non lo sapeva più nemmeno lui,
malgrado l'amore verso se stesso fosse l'unica cosa in cui risultasse
davvero competente.
Ultimo a sinistra, il dott. Marcolini. L'unico sveglio della combriccola, in
pratica quello che mandava avanti la baracca. L'anno prossimo
l'avrebbero fatto dirigente, o almeno questo era quanto gli promettevano
da più di vent'anni. Comunque, intanto l'avevano ammesso al Consiglio di
Amministrazione col titolo di Uditore Aggiunto, anche perché era l'unico
del gruppo che quando telefonava al bar riusciva a farsi portare il caffè in
tempi brevi.
Sì, perché quello che abbiamo or ora descritto era appunto il Consiglio di
Amministrazione della Trumbo Computer Elettronica, riunito all'ultimo
piano del Trumbo Empire Building per esaminare i bilanci aziendali
nonché le strategie a lungo termine.
— ...E dato che dobbiamo finalmente stabilire delle serie strategie di
lungo respiro — (la signora Trumbo, che per la verità parlava già da
tempo, concludeva il suo noioso discorso) — nonché la famosa
pianificazione per obiettivi che costantemente mi sollecitate, vorrei
chiedervi le vostre proposte sulle cose da fare la settimana prossima.
Scrosciò un applauso, ma nessuno prese la parola. Tutti sapevano infatti
che la fine del discorso era solo un'abile finta, e che di lì a poco la signora
Trumbo avrebbe inequivocabilmente specificato che cosa lei voleva che

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gli altri facessero la settimana prossima. E' un modo molto diffuso di
stabilire le strategie di lungo termine.
Non fu necessario attendere molto, analogamente a quanto avvenuto negli
ultimi otto anni, essendo la signora Trumbo diventata Presidente appunto
otto anni fa.
— Non essendovi proposte, vi comunicherò quanto intendo fare —
riprese infatti a parlare la signora Trumbo. E tutti si apprestarono a
prendere appunti, perché quando diceva «intendo fare» significava in
pratica «intendo che facciate».
— La Poliufficio 2000 sta portandoci via quote di mercato. Da quando c'è
quel tal nuovo direttore vendite... come diavolo si chiama... Simon...
Venne interrotta da un rumore sordo, misto fra singulto e starnuto,
emesso da Franciati, il Direttore Vendite. Gli era giusto venuto in mente
che l'anno prima aveva visto Simone per un colloquio di lavoro, e l'aveva
scartato, giudicandolo incapace. E il mese dopo Simone era stato assunto
alla Poliufficio 2000. Franciati (ci credereste?) ritenne opportuno di non
rendere l'episodio di pubblica conoscenza.
— Che c'è Franciati? — chiese però la signora Trumbo.
— Volevo dire che siamo in forte recupero — disse abilmente Franciati.
— Sta per partire la nuova campagna pubblicitaria, abbiamo finalmente
trovato l'agente giusto per il Veneto, che era rimasto scoperto da tempo. I
risultati non potranno mancare. Sempre che la produzione faccia il suo
dovere... negli ultimi tempi abbiamo avuto problemi con le consegne.
— Non è esatto... — Birillo (il Direttore della Produzione, per chi non
ricorda bene i nomi) scattò in piedi per la replica. Anzi quasi quasi
pensava di calare l'asso nella manica. Perché la nipote della sua portinaia
era stata compagna di scuola di Michela, e per quella via aveva saputo
tutto sulla storia di Simone che non era stato assunto da Franciati. E
attendeva da tempo il momento giusto per dirlo davanti a tutti, sistemando
una volta per tutte quel presuntuoso di direttore vendite, così antipatico,
con quei capelli ricci a chiazze rosse. Già si immaginava la faccia di tutta
l'assemblea, e quella della signora Trumbo soprattutto, quando avrebbe
svelato quel particolare. Ma giudicò che non era ancora il momento
opportuno. L'attacco di Franciati, in fondo, era solo una prima
schermaglia. Avrebbe svelato tutto non appena la discussione si fosse
scaldata un po'.
— Non è esatto. La colpa delle consegne in ritardo non è della
produzione. E' dell'assistenza tecnica, che non prepara per tempo i
manuali. E' evidente che non possiamo consegnare un impianto
elettronico senza la documentazione tecnica. E l'assistenza tecnica non
dipende dalla Direzione Produzione, bensì dalla Direzione Generale.

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— Non diciamo stupidaggini... — saltò su Luigi, che era appunto il
Direttore Generale, e che si preparava da tempo ad intervenire. Perché
tutte le volte che Franciati sollevava un problema, andava a finire dopo
poco che la colpa era della Direzione Generale. Luigi odiava Franciati.
Innanzitutto perché Luigi, pelato come una palla di biliardo, non
sopportava tutti quei capelli di Franciati, folti, ricci, castani, con quelle
orribili chiazze rosse. Poi perché Franciati, essendo il Direttore Vendite
ma non avendo la patente, era l'unico dirigente ad avere un autista a
disposizione, mentre lui, l'autista, doveva farlo per la signora Trumbo.
Ma adesso le cose stavano per cambiare. Dovete sapere che il suo dentista
era il medesimo da cui si serviva Simone, e per quella via aveva saputo
pochi giorni orsono un fatto curioso: Simone, prima di trovare impiego
alla Poliufficio 2000, si era offerto alla Trumbo Computer Elettronica, ed
era stato visto da Franciati, che l'aveva giudicato negativamente.
Quest'oggi Luigi avrebbe svelato tutto: chissà la faccia della signora
Trumbo, nello scoprire che Luigi, che lei considerava solo un autista, era
invece sempre al corrente di tutto quanto succedeva nell'azienda, e che
nessun misfatto gli sfuggiva, e che lui era responsabilmente capace di
inchiodare i responsabili alle loro responsabilità.
Però non era ancora il momento di fare lo show-down. Bisognava
attendere che la discussione fosse più a buon punto, per ottenere il
massimo effetto.
— Non diciamo stupidaggini — tuonò dunque Luigi squarciando
l'assemblea con la sua voce in falsetto da secondo soprano. — I manuali
devono comprendere le specifiche tecniche elaborate dal centro EDP, che,
chissà perché, in questa azienda dipende dalla Direzione Amministrativa,
anziché dalla Direzione Generale. E se il qui presente rag. Balla volesse
raccomandare ai suoi collaboratori di sbrigarsi a elaborare i dati, noi
potremmo fare i manuali puntualmente.
— Ma come si fa a prendersela con l'elaborazione dati... — Il rag. Balla
attendeva da tempo di essere coinvolto. Quando parla Franciati, poi la
colpa è di Balla. Sono otto anni di consigli di amministrazione che va a
finire così. Ma fra poco avrebbe sistemato definitivamente le cose, cari
miei, e sistemato in un colpo solo quel dannato Franciati, con i suoi
capelli a chiazze rosse e la signora Trumbo, con i suoi capelli a chiazze
blu. Balla, Direttore Amministrativo, puntava alla direzione generale, ma
non essendo stato a suo tempo prescelto covava un certo desiderio di
rivincita nei confronti della signora Trumbo.
Ora era avvenuto che, nel sistemare l'archivio, gli erano venute in mano
delle schede di valutazione dei candidati che avevano risposto in passato a
offerte di impiego. E ne aveva trovata una alquanto scottante. Riguardava
proprio quel tale che oggi, lavorando come direttore vendite della

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Poliufficio 2000, stava conquistando quote di mercato e mettendo in crisi
la Trumbo Computer Elettronica. Ebbene, non ci crederete, ma era stato
giudicato un perfetto incompetente, e la firma che avvalorava simile
giudizio era proprio quella di Franciati.
Non era però ancora il momento giusto per fare i fuochi d'artificio. Più
tardi, però, li avrebbe fatti scoppiare certamente. Aspettare per credere.
— Ma come si fa a prendersela con l'elaborazione dati — disse dunque il
rag. Balla — quando è noto a tutti che non si possono elaborare dati che
non ci sono? Se la parte operativa inviasse i dati tutti i lunedì mattina,
come dovrebbe fare, tanto per non far nomi, il qui presente dott.
Marcolini, tutto il lavoro si svolgerebbe senza ritardi.
— Facciamo quel che si può col personale a disposizione — si difese
immediatamente Marcolini — e potremmo certamente fare meglio se non
dovessimo perdere tutto quel tempo a correggere gli ordini portati dagli
agenti diretti da Franciati, che sembrano non saper compilare
correttamente un modulo che è uno, e non capiscono che un venditore non
deve solo vendere, ma anche collaborare attivamente al flusso delle
informazioni.
Marcolini era incerto se aggiungere il racconto di un piccante episodio,
relativo ad una mancata assunzione, che riguardava Franciati e il direttore
vendite della Poliufficio 2000, episodio che gli era stato appena raccontato
da un fornitore che riforniva anche la Poliufficio 2000. Ma decise di
attendere, ritenendo che il momento non fosse ancora quello migliore per
fare il giusto colpo sulla signora Trumbo. Tornò dunque al problema da
cui si era partiti, che era quello delle consegne in ritardo, accorgendosi
però che la cosa era ormai superata, perché la Luisa stava facendo le
consegne proprio in quel momento. In effetti, nessuno prestava più
attenzione a Marcolini, sempre per via della Luisa.
La quale non era affatto un'impiegata del magazzino o delle spedizioni,
come qualcheduno avrà ipotizzato dimostrando una creatività da
carabiniere, bensì la segretaria di Marcolini, che era venuta a portare i
caffè. La Luisa, arrivando, aveva attirato l'attenzione della parte maschile
della tribù, i quali signori, trovandola niente male, commentavano col
consueto maschilismo che la ragazza era brava ed efficiente. La Luisa poi,
tornando indietro col vassoio vuoto, anche per via della gonna corta,
aveva a maggior ragione attirato l'attenzione della parte maschile della
tribù, i quali signori, come se fossero ad un funerale, avevano
commentato che le persone si apprezzano davvero solo quando se ne
vanno.
— Proprio questo volevo dire! — tuonò la signora Trumbo, che
desiderava riprendere il controllo della discussione.

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La parte maschile della tribù, che stava ancora guardando la porta d'uscita
ormai chiusa, si voltò dalla parte opposta tutti insieme, come gli spettatori
ad una partita di tennis.
Ma in quel momento la porta si riaprì. Poiché era ancora la Luisa, la
parte maschile della tribù girò la testa tutta insieme, come gli spettatori di
una partita di tennis, quando al servizio segue repentina una volée di
dritto da fondo campo.
— I suoi dirigenti devono essere tutti del partito conservatore, signora
Trumbo, perché guardano sempre dietro!
La Luisa, infilata la testa nella porta, aveva voluto lanciare una sacrosanta
frecciatina, prima di sparire richiudendo l'uscio. Per poter mandare
avanti la baracca praticamente da solo, Marcolini aveva dovuto scegliersi
una segretaria tutt'altro che timida.
— Proprio questo volevo dire! — riprese la signora Trumbo col sorriso
sulle labbra. Come tutti i grandi capi, anche la signora Trumbo amava i
lazzi e i frizzi, purché riguardassero gli altri.
Immediatamente la parte maschile della tribù si rigirò tutta insieme verso
di lei, come nelle tribune del tennis quando la volée da fondo campo viene
abilmente respinta con un rovescio incrociato.
— Proprio questo volevo dire, che l'intelligenza degli uomini si ottenebra
quando scende in campo una donna come si deve. Guardate qua.
E con un gesto imperioso accese la lavagna luminosa. La parte maschile
della tribù voltò la testa tutti insieme verso lo schermo. La partita di
tennis continuava.
Ma se davvero si fosse trattato di tennis, questo non era un colpo normale.
Oh no! Questo era uno smash da far accapponare la pelle, o uno di quei
passanti lungolinea che sorpassano l'avversario incredulo, lasciandolo a
bocca spalancata (il tennis è uno sport in cui i giocatori possono stare con
la bocca spalancata, ma solo quando la pallina è già passata, sennò è
pericoloso).
La lavagna luminosa aveva proiettato sullo schermo l'immagine di una
ragazza che era come uno smash per almeno tre distinti motivi, che
elencheremo con precisione, affinché il lettore apprezzi la nostra capacità
di cronaca e di certosina interpretazione dei fatti.
Il primo motivo era l'aspetto generale della ragazza, fotografata da
davanti mentre correva sulla spiaggia: alta, sottile ma non magra, capelli
corti con taglio alla francese, movimenti leggiadri da antilope, così a
prima vista doveva essere un'indossatrice di successo, anzi, di molto
successo.
Il secondo motivo era il particolare abbigliamento della suddetta ragazza,
in quanto costituito esclusivamente da un vestito giallo davvero maiuscolo,
nel senso che era proprio minuscolo, e in tutti i sensi (altezza e

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larghezza). Questo secondo motivo è secondo noi rilevante, anche se una
parte della critica presente quel giorno sostiene che la parte maschile della
tribù non guardasse poi tanto l'abbigliamento.
Il terzo motivo era un dettaglio del suddetto abbigliamento, in quanto una
consistente parte del vestito, anziché dislocato nella apposita postazione, la
ragazza lo teneva in mano, scoprendo una delicata biancheria che non
poteva certo lasciare indifferente chi possedesse anche solo qualche traccia
di cromosomi maschili.
— Questa è Click — disse la signora Trumbo, e i dirigenti dell'azienda si
affrettarono a prendere appunti.
— Il suo vero nome è Clic Clik vedova Cliquot, ma gli amici la chiamano
Click. E possiamo considerarci amici in quanto da oggi Click fa parte
della nostra azienda, con regolare contratto di impiego.
— Dove la possiamo trovare? — chiese Birillo con l'aria di chi si sta
ricordando di avere un urgente impegno di lavoro che lo costringe ad
assentarsi, e sbaragliando in velocità il rag. Balla, che aveva perso tempo
a pettinarsi meglio.
— Sulla copertina di Vogue o alle sfilate di Dior, cretino! — rispose la
signora Trumbo. — Click è una delle più note fotomodelle internazionali.
Ma, dato che per motivi di età comincia ad uscire dal grande giro, anche
se dalla foto non sembrerebbe proprio in declino, ella gradisce avere
qualche incarico d'altro tipo da aziende affermate come la nostra.
Ho assunto Click con il preciso compito di, diciamo così, "distrarre" quel
dannato direttore vendite della Poliufficio 2000. In altre parole deve
fargli perdere la testa e fargli trascurare il lavoro, consentendoci di
recuperare le nostre quote di mercato e di passare al contrattacco.
Ordunque, ho saputo che la Poliufficio 2000 intende aprire una nuova
filiale a Vicolungo. Il suo dannato direttore vendite è partito l'altro ieri e
si tratterrà laggiù per tutto il tempo necessario all'avviamento della
filiale. La signorina Click da lunedì prossimo sarà a Vicolungo, e
comincerà il suo delicato lavoro. La vostra reazione alla fotografia mi
conferma che non ci vorrà molto tempo affinché il lavoro di Click abbia
successo, togliendo di mezzo l'uomo migliore dei nostri concorrenti: siate
quindi pronti ad approfittare del momento favorevole.
E con questo ritengo di avere tra l'altro rimediato agli errori di quel
pistola di Franciati, che è stato un pistola due volte. La prima quando non
è stato capace di assumere quel dannato genio del marketing che oggi fa il
direttore vendite della Poliufficio 2000, la seconda quando ha raccontato
tutto al suo parrucchiere, senza sapere che è anche il mio parrucchiere.
La riunione è chiusa — concluse la signora Trumbo alzandosi e
andandosene senza attendere commenti.

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I consiglieri di amministrazione chinarono sospirando la testa verso il
basso, tutti insieme, come ad una partita di tennis gli spettatori in tribuna,
quando la pallina si affossa nella rete, e la partita è finita.

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CAPITOLO 5°

Ecco da chi andava Gilda quel giorno


Un'attesa proficua
La tecnica per vendere un "prodotto"
Come evitare la richiesta di sconti
Un cappellino tutto rosa

— Sono Bing, Gilda Bing. Ho un appuntamento col sig. Daniele Franciati.


— Un attimoooo! — rispose con voce da computer la receptionist
centralinista della Trumbo Computer Elettronica, fra una risposta e l'altra
al telefono, «un attimo che le passo il direttore», «Trumbo Computer
Elettronica buongiorno», «resti in linea», «Trumbo Computer Elettronica
buongiorno», «le passo la segretaria», «Trumbo Computer Elettronica
buongiorno», «ma lei chi è?», «signor Franciati c'è una certa Milda
Ding», «Trumbo Computer Elettronica Buongiorno», «le passo
l'interno», eccetera eccetera.
L'atrio della Trumbo Computer Elettronica era ampio e freddo, con
alcune poltrone per l'attesa dei visitatori. Gilda si sedette e dopo una
decina di minuti apparve un cumulo di capelli ricci castani con evidenti
riflessi rossi, sotto il quale si intravvedeva la faccia di Daniele Franciati in
formato sorriso di lusso.
— Buongiorno signorina Bing. Benvenuta.
— Innanzitutto mi voglio scusare per il contrattempo della settimana
scorsa. Proprio mentre stavo venendo da lei ho forato una gomma, e
pioveva che Dio la mandava. Pensi che avevo il vestito nuovo bianco e
non le dico come lo ho conciato nel tentativo di trasformarmi in
meccanica gommista.
— In Formula Uno cambiano tutte e quattro le gomme in meno di 10
secondi!
— E io ci ho messo 10 minuti solo per trovare la ruota di scorta. Pensi
che era di dietro sotto il bagagliaio, tutta nascosta. E io la cercavo nel
cofano davanti, dove c'è invece un mucchio di ferraglia. Ma veniamo a
noi.
— Questa volta sono io che ho qualche difficoltà con l'appuntamento. Sto
tenendo un corso ad un gruppo di nostri agenti. Abbiamo iniziato un po'
in ritardo, e così non abbiamo ancora terminato. Avrei bisogno di una
mezz'oretta. Desidera che le faccia portare dei giornali? O preferisce
uscire a bere un caffè e ci vediamo fra mezz'ora? Oppure ho un'idea
migliore: si unisca anche lei al gruppo: sto spiegando i nostri nuovi

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modelli agli agenti, magari interessa anche a lei sapere quali sono le
ultime novità dell'informatica.
Gilda non amava molto quando la facevano aspettare. Ma nella vendita, si
sa, ogni tanto capita. E la cosa migliore è sfruttare il tempo delle attese
per cercare di ottenere qualche informazione sul cliente e sulla sua
attività. Quando si entra in trattativa, più cose si sanno del cliente, meglio
è. E poi, Gilda era dannatamente curiosa.
— Certo, entro l'anno anch'io dovrò comprare un personal, è senz'altro
utile approfittare per cominciare a vedere che cosa offre il mercato —
mentì Gilda dopo aver optato rapidamente per l'ultima delle alternative
proposte.
Franciati accompagnò Gilda nella terza porta a destra, che dava in un
grande show-room, dove erano esposti tutti i modelli della Trumbo
Computer Elettronica, e dove una dozzina di agenti, che stavano
attendendo il ritorno di Franciati, si mostrarono piacevolmente sorpresi
per l'ingresso della nuova arrivata: se si trattava di un nuovo modello
Trumbo, bisognava riconoscere che era molto più affascinante dei
precedenti.
Gilda si presentò e si unì al gruppo, mentre Franciati proseguiva la sua
lezione.
— Allora. Vediamo se ricordate quanto abbiamo discusso prima. Noi che
cosa vendiamo?
— Computer. Ottimi computer — disse quello con la giacca verde.
E qual è il problema che incontriamo?
— Che ci sono un sacco di concorrenti che hanno la malaugurata idea di
vendere computer anche loro — disse ironicamente il piccolotto coi baffi.
— Esatto. E in conseguenza di questo che cosa bisogna dimostrare al
cliente?
— Che i nostri computer sono migliori di quelli che vendono gli altri —
arrivò per primo a rispondere uno con una vaga somiglianza col generale
Washington.
L'arrivo di Gilda aveva infatti riscaldato l'atmosfera, e tutti cercavano di
rispondere anche alle domande più ovvie, per mettersi in qualche modo in
evidenza.
— Molto bene. E quanto tempo abbiamo a disposizione per questo?
— Dipende dal tempo che ci mette a disposizione il cliente. Ma se non
riusciremo a fargli intuire entro i primi cinque minuti che noi gli
offriamo qualcosa di meglio di quello che gli offrono gli altri,
difficilmente ci concederà più di cinque minuti di vera attenzione —
rispose il piccoletto senza baffi.
— Bisogna però considerare che il tempo speso in convenevoli iniziali,
cioè per rompere il ghiaccio, non fa parte del conteggio. In altre parole,

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abbiamo a disposizione cinque minuti a partire dal momento in cui inizia
la trattativa vera e propria, rottura del ghiaccio esclusa — precisò
opportunamente il Washington.
— Lei ha detto che dobbiamo comportarci — aggiunse Giacca Verde —
come se il cliente ci avesse posto questa domanda: «Che cosa mi date più
degli altri?». E dobbiamo riuscire dare una risposta a questo quesito al
massimo in cinque minuti.
— Bravi, bravi — approvò Franciati. Ed è qui che cominciano le
difficoltà. In primo luogo: chi sono «gli altri»? Se noi stiamo per esempio
tentando di vendere un computer, con che cosa il cliente paragona il
computer che gli proponiamo?
— Coi computer dei concorrenti — disse il ciccione.
— Sì, ma che cosa intende il cliente con la parola «computer»? Qual è la
sua percezione di «computer»? Che cos'è per lui un «computer»? Di
fronte a questa parola, lui potrebbe avere in testa un generico sistema di
elaborazione dati. Oppure un personal computer. Oppure un computer
superveloce dell'ultima generazione. Oppure un macchinario utile, ma
dannatamente complesso da usare per una persona normale.
— E fa differenza? — chiese il ciccione.
— Certo che fa differenza. Perché tu devi dimostrargli di dargli qualcosa
in più di quello che lui pensa che un computer sia. E allora: se lui pensa
che i computer siano personal computer e basta, potrai dirgli che noi gli
diamo un superveloce. Se lui pensa che deve scegliere fra superveloci, gli
dirai che il nostro è il superveloce con più memoria, oppure che è l'unico
col servizio di «assistenza lampo». Se invece pensa che il computer sia una
macchina per lui utilissima ma difficile da usare, gli dirai che i nostri
computer sono come gli altri computer salvo che in una cosa: che sono
facilissimi da usare. Naturalmente non basta che glielo dici, devi riuscire
a dimostrarlo, in maniera semplice e chiara.
— Ma non potrei dire tutto a tutti? — diceva il ciccione, insistendo a
sbagliare.
— Noooo! Hai cinque minuti di tempo per stampargli in testa un'idea: che
noi gli diamo qualcosa in più degli altri. Il che significa: dirglielo,
dimostrarglielo, ripeterglielo. E tutto in cinque minuti. Se gli descrivi
dieci vantaggi diversi (e i nostri computer sono così buoni che potremmo
descrivergliene cento), gli fai un polverone mentale. L'unica cosa che
ricorderà è: «è venuto un tale e mi ha detto che i suoi computer sono
fenomenali, meglio di qua, meglio di là, meglio in tutto» senza
assolutamente ricordarsi «perché» sono meglio. E a questo punto si
ricorderà che anche i concorrenti hanno detto «che i loro computer sono
meglio di qua, meglio di là e meglio in tutto». E concluderà che tutti i
computer sono uguali. E sai che cosa significa questo?

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— Ehm... no... — disse il ciccione arrossendo.
— Che il cliente deciderà che tutti i computer sono uguali ed è solo una
questione di prezzo. Comincerà a chiederti uno sconto, poi andrà dal
concorrente e gli dirà: «La Trumbo Computer Elettronica mi dà il
computer per cento bigliettoni» e il concorrente gli farà il prezzo di
novanta. Allora tornerà da te e ti dirà: «Se mi fate ottantacinque potrei
comperare da voi». Tu perdi delle ore a convincere il direttore vendite a
concederti lo sconto, poi vai dal cliente e gli dici: «O.K. per
ottantacinque». Ma lui non compra ancora: torna dal concorrente e gli
dice «se mi fate ottanta...»
— E' una scena che ho già vista — ammise il ciccione.
— E la vedrai sempre più spesso, se non riesci a mettere una cosa in testa
al cliente: che il nostro computer gli dà qualcosa che gli altri non danno.
Che il nostro computer è diverso dagli altri. Che non si può farne «solo»
una questione di prezzo. Quindi: un solo vantaggio in più degli altri, ma
capito bene dal cliente, assimilato, ricordato, imparato a memoria. Tra
l'altro, il cliente è molto più disposto ad accettare che noi forniamo un
solo vantaggio in più: in fondo, tutti sono specialisti in qualcosa. E così
basta una dimostrazione meno profonda, per far credere che il vantaggio
esiste. Se tu pretendi di affermare che hai cento vantaggi più di tutti gli
altri, il cliente tende a non crederci: dovresti dargli una dimostrazione
tecnica irreprensibile, e per di più in cinque minuti: è assolutamente
impossibile. E' chiaro?
Il ciccione non osava più parlare. Ma l'unica cosa chiara è che era chiaro
che non tutto era chiaro. Fu Washington che osò fare la domanda che
avevano in mente tutti.
— Questo per i primi cinque minuti. Ma poi la trattativa prosegue e si
descrivono gli altri vantaggi?
— Noooooo! Se hai conquistato una vera attenzione nei primi cinque
minuti iniziali, poi ribadirai lo stesso vantaggio altre volte, chiederai il
parere del cliente, gli chiederai come pensa di sfruttare questo vantaggio
nella sua attività, poi gli dimostrerai un'altra volta (e in modo diverso)
che questo vantaggio esiste. Tutti gli altri vantaggi sono ignorati, oppure
trattati in modo molto marginale. Puoi utilizzare solo un secondo
vantaggio importante, ma alla fine, al momento di concludere, per dare
l'ultima spinta ad una decisione sostanzialmente già presa.
— Insomma: puntare su una sola motivazione d'acquisto, più
eventualmente una seconda al momento di concludere, ma non di più.
— Esatto.
— Ma noi abbiamo molti vantaggi rispetto ai concorrenti. Di quale
dobbiamo parlare?

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— Perché pensi che dal cliente ci mandiamo un venditore, anziché un
catalogo illustrato o una sontuosa videocassetta? — Franciati cominciava a
spazientirsi. — Proprio perché occorre una persona intelligente per
superare le tre difficoltà della vendita, che sono:
1) capire qual è il punto di riferimento del cliente, cioè con che cosa
paragonerà mentalmente la nostra offerta, ovvero che cosa intende lui con
la parola «computer», cioè che cosa ha capito del computer quando gliene
parlavano gli altri;
2) capire quale, fra gli svariati vantaggi «in più degli altri» che possiamo
garantire, è quello cui «quel» cliente è maggiormente interessato;
3) che tutto questo bisogna capirlo prima di descrivere il nostro
computer.
Gilda si divertiva ad osservare gli agenti della Trumbo non meno di
quanto costoro cercassero di osservare Gilda. Gilda quel giorno vestiva in
maniera professionale e assai castigata, con un tailleur nero con giacca di
linea maschile e la cartella di cuoio chiaro, e sembrava proprio un
manager di Harvard. Ma poi si era messa sui capelli neri un minuscolo
vezzoso cappellino rosa, che contrastando con la linea austera del resto
(ma non con lo smalto delle unghie, che era invece dell'identica sfumatura
di colore) faceva più richiamo di un nudo integrale. Mettete poi il tutto in
un luogo normalmente riservato a truce lavoro e capirete perché, per
conoscere la pressione sanguigna cui erano pervenuti gli agenti della
Trumbo, non occorressero particolari attrezzature mediche, ma bastasse
un po' di logica.
Gilda, dunque, osservava gli agenti della Trumbo, e notò che
cominciavano ad essere perplessi. Ma nessuno osava intervenire, per
paura di fare brutta figura.
— Avete paura di non farcela — chiese allora Franciati — a superare
queste tre difficoltà della vendita? Eppure è più facile di quel che pensate.
Vediamo di arrivarci da soli. Chi è che possiede le informazioni che ci
servono?
— Il cliente stesso? — azzardò Giacca Verde.
— Bravo. Il cliente stesso — confermò Franciati. E allora che cosa
dovremo fare?
— Farlo parlare prima di presentargli la nostra offerta — rispose il
piccolotto coi baffi.
— E che cosa dobbiamo fare noi, per far parlare il cliente?
— Delle opportune domande — arguì felicemente Washington.
— Alle volte il cliente, interrogato, parla e ci fa capire quello che
dobbiamo capire. Naturalmente, se ci ricordiamo di ascoltare quello che il
cliente dice, e non ci distraiamo sul più bello. Vero Pellacani?
Il ciccione annuì, sempre più rosso.

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— Altre volte invece si presenta un problema: il cliente non vede perché
dovrebbe spiegarci che cosa sa già dei computer e che cosa ne pensa. In
fondo, lui ha accettato il colloquio pensando che noi parlassimo di
computer a lui, e non viceversa. Questa difficoltà vi spaventa?
— A me no — disse il ciccione ponendo a segno un inaspettato recupero.
— Posso sempre giustificare le mie domande con una frase del tipo
«Potrò essere molto più breve nella mia esposizione se lei mi informa su
che cosa sa già riguardo ai computer e mi dice che cosa ne pensa». E se
non basta potrei aggiungere in un momento successivo: «E che cosa finora
non ha trovato nei computer? In altre parole, esiste qualche vantaggio
che, se l'avesse riscontrato nei computer dei concorrenti che ha esaminato
in passato, l'avrebbe forse convinta all'acquisto?».
— Bravo Pellacani — si compiacque Franciati. E' un'ottima idea.
— Avrei una domanda — aggiunse però il piccolotto coi baffi. — Finora
abbiamo fatto il caso di un cliente che intende comperare un computer, e
che sta scegliendo quale computer comperare: il nostro oppure quello di
un concorrente.
— Non è esatto — lo interruppe Franciati. Stiamo considerando anche
coloro che non hanno mai comprato un computer, ma l'avrebbero
acquistato se avesse avuto un vantaggio in più: e lo comprerà da noi se
dimostreremo che gli diamo appunto quel vantaggio. Proprio questo tipo
di cliente era implicito nel suggerimento che ci ha dato or ora il collega
Pellacani.
— Io parlo di quelli che non vogliono proprio saperne di comperare —
insistette il piccolotto coi baffi. — Le racconto che cosa mi è capitato ieri.
Il cliente mi ha detto che il computer non lo comprerà mai perché è
troppo difficile da capire. Io gli ho chiesto allora: «Ma se esistesse un
computer che è veramente facile da utilizzare, lei sarebbe disposto a
investire cento bigliettoni per averlo?» E lui mi ha risposto che secondo
lui non esistono computer facili da utilizzare e che non esisteranno mai.
— Ci sono molti modi di superare questa obiezione... — disse Franciati
accarezzandosi il mento e riflettendo sui fatti esposti.
— Me ne dica uno solo, che comincio a usare quello. Mi dica il sistema
che si usa più spesso, quello che va bene il maggior numero di volte.
— Quando un cliente rifiuta il tuo prodotto e si dimostra prevenuto in un
giudizio negativo, la cosa migliore è di dimostrargli che lui «sta già
facendo» quello che tu gli proponi di fare.
— Non capisco.
— Nel caso specifico, tu dovevi dimostrargli che lui usa già un computer,
e che tu gli proponi di usarne uno ancora migliore.
— Mi sta prendendo in giro? Quello lì non ha mai usato un computer in
vita sua.

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— Dovevi dirgli: «Lei, signor Cliente, non usa già una segreteria
telefonica? Non è altro che un computer che registra automaticamente dei
messaggi. Io le propongo un computer che, con altrettanto semplici
comandi, le permette di registrare anche lettere e dati. E poi, signor
Cliente, non ha forse in casa un televisore che lei comanda con i tasti del
telecomando? Io le propongo una tastiera dello stesso tipo, un po' più
grande, e con cui può vedere anche dei dati e dei disegni che ha fatto lei,
o addirittura disegnarli con incredibile facilità.»
— Non sta mica scherzando? — disse il Generale Washington.
— Mi sembra incredibile — aggiunse uno con gli occhiali che non era
ancora intervenuto.
— Non scherzo affatto — disse Franciati. — E' un'ottima tecnica per
superare le obiezioni. Quando uno ti dice che lui non farà mai una certa
cosa, digli che la sta già facendo, poi dimostraglielo, e poi, prima che si
sia ripreso dalla sorpresa, prosegui dicendo che tu gli proponi di
continuare a fare così, con un vantaggio supplementare. Assumi un
atteggiamento di chi minimizza il problema e semplifica ogni cosa. La
posizione che assumi col corpo, la gesticolazione delle braccia, lo
sguardo, devono, senza dirlo, lanciare questo messaggio: «Ma che cosa
crede che sia il mondo moderno? Un mondo in cui si deve fare quello che
si faceva già prima, con solo una piccola differenza in meglio, che però
val la pena di comprare.»
E così dicendo, Franciati concluse il suo discorso ed aggiornò la riunione
alla settimana successiva.
— E adesso vediamo se i suoi fondi di investimento mi danno qualcosa in
più degli investimenti che ho fatto finora — disse Franciati rivolto a
Gilda, invitandola a seguirla nel suo ufficio.

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CAPITOLO 6°

Il professore viene interrotto


La psicologia del cliente pratico
I meccanismi decisionali
Come si realizza la qualità del servizio
Una buona soluzione delle pene d'amore

Achille Campanile, romanziere ed umorista, scriveva che i grandi


pensatori sono quelli che non hanno pensieri, altrimenti avrebbero altro a
cui pensare.
Tale definizione si attagliava perfettamente al professor Gatto, che,
sebbene sempre indaffarato in qualche occupazione, si dimostrava in ogni
occasione sereno, gentile, disponibile. Cosicché, pur vedendo arrivare
Gilda proprio nel bel mezzo di un complicato lavoro di genere casalingo,
l'accolse con soddisfazione, come se l'incontro fosse stato conseguenza di
un invito.
Per la precisione, il professor Gatto stava riordinando il solaio, e quando
Gilda giunse da lui trovò la casa piena di pile di oggetti che potremmo
definire di antiquariato.
— Caspita, quante antichità! — scherzò Gilda, tanto per attaccare
discorso.
— Diceva Flaubert che le antichità sono un'invenzione moderna, e non
aveva tutti i torti — ribatté il professor Gatto. — In realtà queste sono
solo cose che non servono più, e che bisogna avere il coraggio di buttare
via. Come va il lavoro, Gilda?
— Molto bene. Anzi ottimamente. Praticamente benissimo. Però va male.
— Se ho ben capito — ridacchiò il professore — il morale è buono, c'è
qualche grosso contratto in vista, ma le vendite realizzate sono poche. E'
una cosa che capita a molti venditori.
— Macché — rispose Gilda. Tutto il contrario. Sono appena stata a
trovare un cliente...
— Hai venduto?
— Sì: un contrattone.
— Complimenti! E allora che cosa c'è che non va?
— E' che non so perché ho venduto. E' successo che in pratica il cliente
mi ha detto come dovevo fare per vendergli, però a me pareva una cosa
strana perché non avevo mai fatto così, ma ci ho voluto provare e ho
stravenduto, però Maremma maiala ancora adesso non sono convinta di
quello che ho fatto, perché avevo sempre pensato che per vendere invece
bisognasse...

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Gilda stava cominciando a diventare confusa, e al professor Gatto ci
vollero molta pazienza e molte domande per riuscire a capire la
situazione. Per evitare al lettore un'analoga fatica, l'autore del libro ha
pensato di limitarsi a riassumere i punti fondamentali del dialogo.
In breve, Gilda raccontò della sua visita a Franciati, della lezione di
vendita che aveva sentito mentre aspettava, e di una grossa vendita,
ottenuta seguendo le regole stesse appena udite da Franciati. Poi Gilda
chiarì le sue perplessità: le regole di vendita sentite da Franciati non la
convincevano, pur avendo ella constatato che funzionavano. Infine Gilda
chiese aiuto al professore per interpretare la situazione.
— Tu come vendi di solito, Gilda? — chiese il professore.
— Noi vendiamo soluzioni su misura, e allora...
— Alt. Ti ricordi che cosa abbiamo detto la volta scorsa che ci siamo
incontrati?
Gilda andò a ripassare il capitolo 2° e il capitolo 3° di questo libro, che lei
conosceva bene essendoci addirittura nata, e ciò la mise in grado di
rispondere in maniera appropriata e chiara.
— Che ci sono alcuni clienti che comprano soluzioni, altri che comprano
prodotti, altri ancora che comprano strumenti assecondanti. Tutto dipende
dal tipo di pensiero che hanno attivato al momento dell'acquisto. Se stanno
usando il pensiero pratico, nell'offerta percepiscono un prodotto (e il
venditore dovrà quindi presentare un prodotto), se stanno usando il
pensiero logico, nell'offerta percepiscono una soluzione (e il venditore
dovrà cercar di vendere soluzioni), se stanno usando il pensiero creativo
nell'offerta percepiscono uno strumento assecondante (e il venditore
dovrà cercare di vendere uno strumento assecondante).
— Perfetto. Ora tu di solito vendi soluzioni, e per farlo seguirai un
insieme di regole molto diverse da quelle esposte da Franciati. Vero?
— Verissimo.
— Franciati, invece, ti ha detto con quali regole si vendono prodotti.
— Allora le regole di Franciati sono giuste?
— Sono giuste se il tuo cliente usa il pensiero pratico, e tu stai vendendo
prodotti. Sono sbagliate se il cliente usa il pensiero logico, e tu stai
vendendo soluzioni.
— E come faccio a sapere che pensiero usa il cliente?
— Vedrai che fra non molto riuscirai a riconoscerlo. Anzi, ci riuscirà
chiunque sia arrivato a leggere il capitolo 16°. Prima, bisogna imparare
alcune cosette.
— Un'altra domanda. Allora il venditore non deve conoscere una sola
tecnica di vendita, ma più d'una?
— Esatto. Tre, per la precisione: una per vendere prodotti, una per
vendere soluzioni e una per vendere strumenti assecondanti.

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— E perché nell'azienda dove lavoro me ne hanno insegnato una sola?
— Da qualche parte bisogna pur cominciare, no? Comunque, non
preoccuparti di aver imparato qualcosa di sbagliato: nella tua azienda ti
hanno certamente dato degli ottimi suggerimenti. Ci sono tante buone
regole di vendita sui libri e nei corsi aziendali, e La Cinematica della
Genialità le accoglie e le conferma tutte. L'unica cosa che la Cinematica
della Genialità fa in più è di dirti quali di esse funzionano col cliente che
hai di fronte, e quali no (pur funzionando egregiamente con altri clienti).
La frase era importante, e il professor Gatto la sottolineò con una breve
pausa, durante la quale scovò un vassoio di biscotti.
— Ne vuoi? — chiese il professore.
— Volentieri — disse Gilda prendendo il più gustoso e addentandolo.
— Li ho appena trovati in solaio — disse il professore facendoglielo
andare di traverso.
Poi tornarono alle cose serie.
— Ma perché le regole di Franciati sono giuste? — chiese Gilda.
Questa volta fu il professore a ingoiare di traverso.
— Intendo dire, com'è fatto il pensiero pratico? — insisteva Gilda. —
Perché per vendere a un cliente che usa il pensiero pratico bisogna
seguire proprio quelle regole?
— Ho capito, ho capito — si arrese il professore. Devo spiegarti tutto: e
non è facile. Ma lo faccio volentieri.
Il pensiero pratico ha un obiettivo fondamentale: permettere all'uomo di
saper che cosa fare col minimo dispendio di energia mentale. Il pensiero
pratico serve a saper che cosa fare pensando il meno possibile.
Esso è fatto di due parti: il pensiero assertivo e il pensiero scientifico. Il
primo è quantitativamente molto più importante: chi usa il pensiero
pratico usa quasi sempre il pensiero assertivo, e solo in pochi momenti il
pensiero scientifico.
Il pensiero assertivo dunque esamina la realtà presente per decidere che
cosa conviene fare. Per prendere questa decisione, paragona la realtà
presente con l'esperienza, e cerca nei propri ricordi situazioni simili a
quella attuale. Ciò permette di sapere rapidamente cosa fare: ciò che andò
bene nella situazione "vecchia" andrà bene anche in quella "nuova".
— Sembra un modo faticoso: ogni volta, per decidere che cosa fare,
anche la più banale, devo ripensare a tutta la mia esperienza, a tutta la mia
vita?
— Devi pensare di avere dentro di te un enorme schedario a cassetti,
pieno di fotografie. Queste fotografie rappresentano tutto ciò che hai visto
nella vita, o almeno quello che ricordi. Queste fotografie sono ben
ordinate, suddivise per categorie: in un cassetto dello schedario ci sono
tutte le fotografie di «case», in un'altro cassetto tutte le fotografie di

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«alberi» e così via con un numero enorme di cassetti. Ogni cassetto, cioè
ogni categoria, ha le sue istruzioni d'uso.
Adesso i tuoi occhi vedono una nuova fotografia: la situazione presente. Il
tuo cervello la confronta con le fotografie vecchie secondo un criterio di
somiglianza generale. In base a questo confronto, anche la nuova
fotografia viene archiviata in un cassetto. Ad esso corrispondono
istruzioni d'uso: in altre parole, decidendo a quale categoria la nuova
situazione appartiene, automaticamente decidi anche che cosa fare.
— Non si potrebbe fare un esempio? — chiese opportunamente Gilda.
— Ecco qua qualcosa che non hai mai visto prima. — disse il professor
Gatto raccogliendo un oggetto da una pila di vecchie cose. — Che cos'è
questo?
— Mi sembra un quadro ad olio.
— E che cosa potresti farne?
— Potrei appenderlo in camera mia. Ma ho già tutte le pareti piene di
poster.
— Vedi? Per prima cosa tu hai classificato l'oggetto nella categoria
"quadri ad olio". Questa categoria è già corredata, nella tua testa, di
istruzioni per l'uso che tengono conto dei tuoi gusti e della tua esperienza:
i quadri vanno appesi al muro, ma solo se c'è posto dopo aver appeso i
poster. Questo processo ti ha permesso di decidere rapidamente e con
poca fatica che cosa devi fare con l'oggetto nuovo che ti ho proposto.
— E che c'è di strano?
— Di strano, nulla. Ma si possono fare alcune osservazioni molto utili per
chi vuole migliorare la tecnica di vendita.
Innanzitutto, quello che ti ho mostrato non era esattamente un quadro,
bensì una riproduzione di un quadro famoso. Poi non era ad olio, ma
dipinto con colori acrilici.
— Colori acrilici? Che cosa sono?
— Non avendo trovato nel tuo archivio a cassetti il concetto di colore
acrilico, hai preso quello che ci assomigliava di più: e così il quadro l'hai
fatto diventare ad olio. Il pensiero pratico non è molto preciso, cerca in
tutti i modi di fare confronti con le cose note, e riduce il nuovo al noto.
Così succede che tu alle volte presenti al cliente una sensazionale novità, e
il cliente ti risponde che una cosa del genere lui ce l'ha già. Tu
approfondisci, e scopri che naturalmente lui possiede un prodotto molto
diverso, e cerchi di spiegarglielo, eppure lui insiste a dire che ce l'ha già.
— Mi è successo un sacco di volte. Il mio cliente confonde il mio
Investimento Reddito con un normalissimo fondo di investimento.
— Questo è dovuto alle approssimazioni compiute dal pensiero pratico.
— E che cosa devo fare col mio cliente?

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— Se il tuo cliente compra abitualmente fondi di investimento, devi dirgli
che Investimento Reddito è proprio un fondo di investimento, che però ha
un vantaggio in più rispetto agli altri fondi di investimento, e che quindi,
dovendo comperare un fondo di investimento, tanto vale comperare
Investimento Reddito.
Se invece lui non compra abitualmente fondi di investimento, il primo
tentativo puoi farlo spiegandogli che Investimento Reddito si differenzia
da un fondo di investimento per un unico motivo, ma molto importante, e
che questo "vantaggio in più" rende Investimento Reddito appetibile, al
contrario del fondo di investimento che non lo è.
— Lei dice sempre come Franciati: "un" vantaggio in più. Perché uno
solo?
— Perché il pensiero pratico vuole pensare il meno possibile per decidere
che cosa fare, e non segue discorsi complicati, così come non segue quelli
troppo teorici, perché deve concretamente confrontare ogni cosa con cose
note.
Se ti dico che i colori acrilici sono come quelli ad olio, solo un po' più
brillanti, tu capisci tutto subito. Infatti sono riuscito a presentare il nuovo
come via di mezzo fra due cose conosciute: i colori ad olio e la
brillantezza. Se ti spiego che cosa veramente è un colore acrilico, con
formula chimica e tutto il resto, il pensiero pratico va in crisi, perché non
riesce più a compiere un raffronto fra informazioni troppo nuove e
l'esperienza. Il risultato? Smetterai di stare attenta molto prima di aver
capito che i colori acrilici hanno anche altri vantaggi, oltre la brillantezza.
— Lei ha detto prima: «Se il cliente non compra abitualmente fondi di
investimento, il primo tentativo puoi farlo spiegandogli che Investimento
Reddito si differenzia da un fondo di investimento per un unico motivo,
ma molto importante.» E se questo non funziona, il secondo tentativo qual
è?
— La tecnica del "l'hai già fatto" che ti ha spiegato Franciati.
— Quella proprio mi sembrava forzata. Lei mi dice invece che è giusta.
Perché?
— Ricordi l'oggetto che ti ho mostrato prima? L'hai classificato come
quadro ad olio, e hai deciso che non ti interessa un quadro ad olio. Per
me, però, non è un quadro ad olio. Devi sapere che esso è stato dipinto
tanti anni fa da una splendida ragazza di nome Marisa, che frequentava
con me il liceo. Io quell'oggetto non lo classifico fra i «quadri», ma fra i
«ricordi d'amore»: categoria che prevede, come istruzioni per l'uso, di
conservarli con cura e apprezzamento. Per cui questo quadro, che ho
ritrovato in solaio, lo appenderò in salotto al posto d'onore. Capisci che
cosa significa tutto questo?

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— Che la decisione di azione dipende da quale è la categoria (il famoso
cassetto dello schedario) in cui si è classificato l'oggetto.
— Allora immagina di avere un cliente che ha deciso che Investimento
Reddito è un fondo di investimento, e che le sue "istruzioni per l'uso"
prevedono che i fondi di investimento sono cose da non comprare. Come
te la cavi?
— Devo dirgli che lo fa già? — azzardò Gilda assai perplessa. — Ma
come si fa?
— Se ti sei procurata in precedenza delle informazioni sul cliente (per
esempio facendolo parlare), puoi riuscirci. Per esempio puoi dirgli: «Lei
non fa già degli investimenti differenziati? I suoi soldi sono un po' in
banca, un po' in obbligazioni, un po' investiti in azioni, un po' in oro o in
terreni. E fa molto bene a investire in cose diverse, perché questo
aumenta la sicurezza. Investimento Reddito fa proprio questo, ed anzi un
po' meglio, perché i suoi soldi vengono ripartiti in un numero ancora
maggiore di investimenti diversi, aumentando così ulteriormente la
sicurezza. Io le propongo di fare quello che ha sempre fatto, anzi un po'
meglio perché Investimento Reddito le dà un vantaggio in più>»
Tutto questo equivale a dirgli: «Tu, caro cliente, hai un cassetto chiamato
"fondi di investimento" che prevede, come istruzioni per l'uso, di non
comprare. Però ne hai un altro chiamato "investimenti differenziati" che
prevede invece, come istruzioni per l'uso, di comprare. Tu avevi messo
Investimento Reddito nella prima categoria, e per questo lo rifiuti. Io ti
invito a mettere invece Investimento Reddito nella seconda categoria, così
comperi.» Questo è la spiegazione del motivo per cui la tecnica funziona.
— Ma non potrei più semplicemente dirgli «Signor cliente, lei si è
sbagliato, Investimento Reddito non è un normale fondo di investimento
ma una cosa molto diversa.»? Ovviamente, dicendoglielo con un po' più
di diplomazia.
— Il pensiero assertivo è basato su questo meccanismo: facciamo
rientrare il nuovo in una situazione nota, dopo di che ci comportiamo
come abbiamo sempre fatto in tali circostanze.
Ora, se tu ritieni di aver già vissuto una situazione e di sapere che cosa
fare in essa, ti sentirai molto sicura delle tue decisioni, o no?
— Se è una cosa di cui mi sento pratica, mi sentirò molto sicura.
— Ti sentirai molto sicura delle tue decisioni e delle tue opinioni, riterrai
di aver ragione. Ed è molto difficile prendere una persona che ritiene di
aver ragione e convincerla che invece sta sbagliando.
— Non ci sono speranze?
— Una c'è: è il pensiero scientifico, l'altra parte del pensiero pratico. Il
pensiero scientifico svolge un'unica importante funzione: mettere dei
dubbi. Il cliente ammetterà che potrebbe sbagliarsi solo se passerà dal

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pensiero assertivo a quello scientifico. Purtroppo questo avviene con
difficoltà: ti avevo anticipato che le persone in pensiero pratico sono quasi
sempre in pensiero assertivo, e quasi mai in pensiero scientifico. Il
miglior modo di suscitare nel cliente pensiero scientifico è una serie di
domande chiuse, molto direttive ma contemporaneamente coinvolgenti.
Ma è una tecnica difficile, per il momento ti consiglio di puntare sulle
altre due tecniche viste prima.
— Una curiosità: la scienza è basata sul pensiero scientifico?
— Assolutamente no: la scienza è basata su tutti i pensieri e non su uno
solo. Invece è vero che il mestiere di scienziato prevede un uso del
pensiero scientifico superiore alla media. Lo scienziato, infatti, anche
quando è sicurissimo di una cosa, deve provarla con un esperimento: e la
necessità di prova sorge solo quando sei disposta ad ammettere che le cose
potrebbero anche andare diversamente.
— Vorrei ricapitolare le tecniche di vendita che mi ha insegnato
Franciati, lei mi dica se ho capito giusto.
Innanzitutto, vedere che cosa il cliente intende con la parola computer.
Questo significa: vediamo di capire in quale cassetto il cliente ha
catalogato la nostra proposta.
Poi, dire che il nostro è meglio per un solo vantaggio fondamentale:
questo perché il pensiero pratico non ama i discorsi complicati e teorici.
Terzo, ripetere il vantaggio molte volte, perché il pensiero pratico è
abbastanza impreciso, e i concetti gli vanno ribaditi molte volte se non
vogliamo che i colori acrilici diventino ad olio nella testa del cliente.
Quarto, avendo a disposizione più vantaggi, cercare di far parlare il
cliente per cercare di sapere "prima" quale vantaggio gli interesserà di
più.
Quinto, in caso di difficoltà vedere se si riesce ad applicare la tecnica del
"l'hai già fatto".
— Comincia ad applicare queste cose e ti troverai subito meglio. Col
tempo, scoprirai anche qualche altra regoletta altrettanto utile. Te lo dico
perché è stimolante sapere che ti incammini su una strada dove sono
possibili molti perfezionamenti. — Ma devo stare attenta a una cosa:
queste regole valgono solo per i clienti pratici, cioè quelli che comprano
un prodotto.
— Esatto.
— Mi scusi, professore, ma comportandosi così si è ancora dei
professionisti della vendita? Non è meglio offrire al cliente un servizio,
cioè una consulenza per risolvere i suoi problemi?
— Secondo te, Gilda, come si dà un buon servizio al cliente? Aiutandolo a
realizzare i suoi desideri, o dandogli una consulenza anche se lui non la
vuole?

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— Aiutandolo a realizzare i suoi desideri. Ma bisogna pur dare al cliente
qualcosa in più di un semplice prodotto...
— Certo, a un cliente bisogna sempre dare un buon servizio. Oggi la
qualità della collaborazione venditore-cliente è un fattore fondamentale
per la nostra economia. Ripeto: sempre un buon servizio, sempre un'alta
qualità di collaborazione: su questi due punti si misura la professionalità
del venditore.
Quello che è sbagliato è ritenere che "servizio" significhi per forza
"consulenza".
Se il cliente ti chiede una consulenza, o ti propone un problema da
risolvere, o insieme siete arrivati a determinare un problema che occorre
risolvere, in tutti questi casi devi dare una consulenza professionale al
cliente: e darla bene. In altre parole: coi clienti in pensiero logico, dare
un servizio significa dare una consulenza e un'assistenza nel tempo.
Se il cliente si diverte a trovare da solo ciò che deve fare, e ti chiede di
fornirgli gli strumenti per farlo (cioè i prodotti necessari), dargli una
soluzione equivale a togliergli il gusto della vita, è peggio che infilargli
due dita negli occhi. Dare un servizio, in questo caso, significa invece
consentire al cliente di trovare i prodotti migliori per ciò che vuole fare:
e non credere che al giorno d'oggi, con tutte le alternative presenti sul
mercato, sia una cosa facile. Bisogna saper spiegare i prodotti in modo
adatto al tipo di pensiero del cliente, in modo che questi capisca tutto ciò
che gli serve ed esattamente ciò che gli serve, e magari con la minore
fatica mentale possibile. Quello che ho detto vale sia per il cliente in
pensiero pratico sia per quello in pensiero creativo. Oggi abbiamo visto
come agire col cliente in pensiero pratico: quello in pensiero creativo
preferirei rimandarlo ad altra giornata.
— Una curiosità sul pensiero pratico. Ci sono situazioni commerciali in
cui il cliente deve essere per forza in pensiero pratico?
— Il cliente è in pensiero pratico tutte le volte che acquista prodotti, e ci
sono situazioni commerciali in cui è difficile che si possa comprare (e
vendere) qualcosa di diverso da prodotti.
Una di queste è il negozio a libero servizio, cioè quello che la gente
chiama "supermercato". Qui, non essendoci commessi, è quasi impossibile
vendere soluzioni: si vendono quasi sempre prodotti, e meno spesso
strumenti assecondanti. Chi si occupa di merchandising (cioè le tecniche
di esposizione nei supermercati) sa benissimo che il prodotto deve essere
esposto in modo da evidenziare un unico vantaggio in più, cioè un'unica
motivazione d'acquisto. Gli americani chiamano questo USP: Unic Selling
Proposition (tradotto significa: unica proposta di vendita).
— Quindi nel merchandising scopriamo che si è sempre fatto quello che
Franciati ha insegnato.

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— Brava. Un altro caso in cui è assai frequente che si vendano prodotti è
la vendita al telefono: la brevità della telefonata, e il fatto di non disporre
della possibilità di mostrare immagini, rendono assai arduo vendere
soluzioni o strumenti assecondanti.
— Infatti, quando cercavo di vendere soluzioni al telefono facevo quasi
sempre un buco nell'acqua.
— Non mi stupisce — disse il professor Gatto, alzandosi come per porre
termine alla lezione. — Era un errore che faceva spesso anche Simone. A
proposito, l'hai visto di recente?
Sentendo quel nome, Gilda cominciò a rabbuiarsi. Ma come, un'onesta
ragazza incontra un vecchio amico, si compera un cappellino rosa che è
una sciccheria, gira tutta la città per trovare uno smalto per unghie dello
stesso colore, si prepara psicologicamente a stare insieme con lui in un
romanticissimo tramonto di fuoco giusto per potergli dire che a lei di lui
non gli importa nulla, e intanto quel disgraziato se ne parte per Vicolungo
e rovina tutto.
— Che ne direbbe di una bella pizza, professore? — disse Gilda
cambiando volutamente discorso. — Conosco un posticino due isolati più
avanti della chiesa di S. Gioachino...
Se l'aspirina va bene per il mal di testa, sembra che la pizza risulti
eccellente contro il mal d'amore. Specie quella alla marinara, che è piena
d'aglio. Se il lettore vuole, può venire anche lui. La conversazione del
professor Gatto è sempre interessante, e Gilda è proprio stupenda.

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CAPITOLO 7°

Una lettera del lettore Bergozzi


Un'incredibile banda di fotografi
Sir Reginald e la Regina di Talponia
Simone ha un altro incontro casuale
Si progetta un furto

Scrive il lettore Filippo Bergozzi di Porto Recanati: «Egregio autore, il


romanzo mi sembra poco aderente alla realtà. Ma come: Simone, fresco
fresco di matrimonio, se la fa con Gilda, calda calda di natura, e Michela
non dice niente? Non subodora qualcosa? Non si accorge di nulla? Che
cosa sta facendo Michela? La prego di darmi urgentemente notizie. Anche
perché qui si parla sempre di Gilda, ma a me piace di più Michela, perché
è bionda, ha gli occhi verdi ed ha lo stesso nome di una ragazza favolosa
di Bergamo Alta che mi è molto simpatica.»
Risponde l'autore del libro, ing. Luciano Biondo: «Lei ha perfettamente
ragione, signor Bergozzi. Abbiamo trascurato un po' Michela, che
certamente, in fatto di sex appeal, non è seconda a nessuno. In realtà,
Michela ha subodorato tutto: è noto che, per subodorare, le mogli sono
molto più efficaci dei cani da tartufi. E poi, Simone e Gilda si erano fatti
vedere da tutti, mentre si recavano dal professor Gatto mano nella mano.
Il fatto che Simone sia partito per Vicolungo non è certo sufficiente a
tranquillizzare una moglie gelosa: si può esser certi che Michela sta già
tramando qualcosa, e che presto la vedremo in azione.
Peraltro, signor Bergozzi, la prego di voler considerare che abbiamo
molti lettori da accontentare, ognuno con le sue preferenze. Per cui non si
arrabbi se, nel frattempo, sposteremo l'attenzione su un altro personaggio
femminile che non ha niente da invidiare, in quanto femmina, nè a Gilda
nè a Michela.»
Il personaggio in questione è Click, che stava passeggiando sul lungolago
in compagnia di Sir Reginald, col quale aveva avviato una cordiale
conversazione.
Sir Reginald, soprannominato «Il Pirata», era giovane e pieno di energia,
ma camminava caracollando come chi è abituato a solcare i mari su
improbabili galeoni a vela, e aveva un pezzo di pelle marrone sull'occhio
sinistro, che gli dava un'aria di avventuriero famoso.
— E così sono qui a Vicolungo a cercare un certo non precisato Simone,
per farlo innamorare e distrarlo dal lavoro — disse Click.
Sir Reginald annuì.

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— Certo che avrebbero dovuto darmi almeno una fotografia — proseguì
Click. — Come si fa a trovare una persona che non conosci senza una
fotografia?
Sir Reginald non poteva che essere d'accordo.
— Ma alla Trumbo non ce l'avevano, la fotografia, perché quando
Simone era venuto per il colloquio di selezione, quel cervellone di
Franciati si era dimenticato di chiedergliela.
Sir Reginald non rideva mai, ma quando sentiva nominare Franciati gli
risultava difficile restare serio. Era così buffo, con quei capelli ricci e con
quelle cravatte fuori moda...
— Sai cosa ti dico, Sir Reginald? Facciamoci un bel cono gelato. Qui da
Gino fanno dei sorbetti squisiti.
Sir Reginald approvò dimenando entusiasticamente la coda.
Sir Reginald era un cane cocker di colore avana, con le orecchie lunghe
lunghe. Quando usciva, ripiegava l'orecchio sinistro fino a formare una
striscia orizzontale che gli copriva l'occhio dello stesso lato, perché così
assumeva un'aria esotica che gli faceva avere maggior fascino sulle
cagnette. Era soprannominato «Il Pirata» perché la sua principale
passione era di raccogliere bande di cagnacci bastardi e di capitanarli a
compiere ogni genere di soperchierie nei confronti di ogni altra specie
animale.
Non so se avete notato quanto sanno essere belli i cani, e quanto nel
contempo sanno essere buffi. In quest'ultima attività sono peraltro
surclassati dai padroni dei cani, insuperabili nel rendersi buffi senza
necessariamente essere anche belli.
Di solito si diventa padroni di un cane, e subito si comincia a sbagliare. Il
primo errore è quello di dire: «Mi sono preso un cane». In realtà, è il
cane che si è preso l'uomo. E non ci vuole molto per vedere chi è, dei
due, quello che comanda.
Il cane è simpaticissimo quando è piccolo, anche se produce una quantità
di pipì impressionante se rapportata al volume. I giapponesi dovrebbero
imparare dai cani che cos'è la produttività.
Poi diventa più grande, e il problema si modifica. La produzione è
sempre notevole, ma va esportata all'esterno. Il guaio è che il cane non
può uscire da solo: bisogna accompagnarlo fuori, legato con il guinzaglio.
E' chiaro il motivo per cui bisogna usare il guinzaglio: se fosse senza, il
cane andrebbe dove vuole lui. Con il guinzaglio, invece, ci va lo stesso,
con il padrone attaccato. Chissà quante volte avete visto anche voi una
elegante signora aggrappata ad un guinzaglio che strilla (la signora, non il
guinzaglio): «Buono, Fuffi, buono!», mentre lei punta i piedi e Fuffi la
trascina nel mezzo di un'aiuola o al centro di una pozzanghera.

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Il cane, poi, quando passeggia ha dei gusti tutti suoi. Immagino che voi,
dovendo passeggiare, fareste quattro passi in piazza, o andreste al caffè
con le cameriere in topless, o fareste un giretto a far compere nei negozi.
Se aveste gli stessi gusti dei cani, dovreste invece andare ai bagni pubblici,
poi ai gabinetti della stazione centrale, infine alla toilette della
metropolitana.
Il cane, quando passeggia, ama i posti dove gli altri cani fanno i loro
bisogni. E si trascina il padrone, che coscienziosamente non molla il
guinzaglio, in posti dove pullulano gli escrementi di antica e recente data.
Così la signora, che avevamo visto passare disperatamente attaccata al suo
Fuffi, può scegliere se metterci subito una scarpa dentro e non pensarci
più, o se tentare qualche dribbling, col rischio di incespicare e di finirci
dentro col sedere strettamente fasciato nella minigonna nuova.
I cani poi non hanno mai fretta di tornare a casa. Continuano ad
annaffiare tutti gli alberi e gli spigoli che incontrano, sotto gli occhi
benevoli del padrone. Il quale, a furia di osservare, comincia a provare
gli stessi stimoli anche lui, e mentre è lì fermo in piedi comincia a
spostare il peso da un piede all'altro, sempre più in fretta, finchè decide di
convincere il cane a ritornare: cosa che gli costerà però non meno di
cinque biscotti. Chissà che cosa ne pensano i cani dei loro padroni, di
questa strana specie che appena torna a casa deve correre in bagno,
anziché godersi qualche biscotto anche lui.
Quando Click e Sir Reginald uscirono dalla gelateria, trovarono un
nugolo di fotografi dilettanti ad attenderli. La cosa era del tutto normale.
Click era una fotomodella famosa, e non appena arrivava in un posto si
spargeva la voce, e più d'uno dei maschietti locali arrivava con gran
armeggiare di attrezzature fotoottiche a chiederle se per piacere poteva
mettersi in posa un attimo che lui gli avrebbe fatto una foto
incredibilmente bella.
Click non amava queste situazioni, ed era solita rifiutarsi di fare lavoro
straordinario. Non dobbiamo infatti dimenticare che per Click il farsi
fotografare era lavoro, e che nei momenti di relax chiunque ha voglia di
non lavorare più.
Ma questa volta il caso era diverso. I fotografi erano assai numerosi,
almeno una quindicina, ed erano alti tutti da un metro a un metro e venti,
avevano un'età di circa nove anni, ed erano incredibilmente buffi perché
le macchine fotografiche che tenevano in mano erano più grandi di loro.
Erano peraltro attrezzatissimi, con esposimetro filtri flash e treppiedi.
— Siamo della scuola elementare di Vicolungo — spiegò il più grande del
gruppo. — Il maestro di scuola ci ha dato da fare una ricerca fotografica
sui monumenti di Vicolungo e vorremmo chiederle se potessimo farle
qualche foto vicino ai principali monumenti del luogo.

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— I monumenti sono una noia mortale — aggiunse un altro, — era un
po' che cercavamo qualcosa per renderli digeribili, quando abbiamo visto
lei.
— In altre parole, nessuno può aver voglia di leggere una ricerca piena di
chiese di statue e di palazzi — chiarì una bambina con la faccia simpatica,
— ma se ci mettiamo un po' di sesso...
— Col sesso si vende di tutto oggi — spiegò serissimo quello grande. —
E' uno dei principali strumenti di marketing.
— Avevamo pensato a sesso e violenza — disse uno dal fondo, — ma la
violenza proprio non ci piace.
— E il sesso sì? — si informò Click un po' stupita.
— A noi no, ma al nostro maestro sì. Tutti i lunedì compera Playboy
all'edicola, poi se ne vergogna e compra anche il Corriere e infila
Playboy dentro il Corriere.
— La volta scorsa dovevamo fare una ricerca sui quadri del settecento. Io
ci ho messo solo quadri con donne ignude, e ho preso un voto migliore di
tutti gli altri.
— E' facile far fare quello che si vuole agli adulti. Hanno gusti ben
definiti. Basta metterci seno e natiche. Gli adulti però non li chiamano
così, preferiscono chiamarli...
— Lasciamo perdere! — lo interruppe Click.
Ma i bambini erano ormai lanciati.
— Le chiediamo un po' di collaborazione, signorina. Non è facile per noi
trovare altri seni e natiche di analoga fattezza.
— Anche le gambe non sono male, lunghe e ben tornite. Un bel
prodottino adatto al pubblico di massa.
— Potremmo pensare di stampare la nostra ricerca in più di cento copie.
— Scommetto che la vorrebbero anche i maestri delle altre scuole.
— Potrebbe cominciare a mettersi vicino a quella fontana signorina?
Potrebbe essere il primo monumento della nostra ricerca.
— Lei si metta lì, no un po' più a destra, no adesso troppo, ecco un
pochino più avanti — disse un bambino dai grandi occhi verdi.
— Diaframma undici un centoventicinquesimo di secondo! — sentenziò
l'addetto all'esposimetro.
I bambini erano organizzatissimi. In men che non si dica avevano montato
i treppiedi, si erano schierati a semicerchio, ognuno intento a studiare
l'inquadratura migliore.
Click non poteva certo rifiutare un aiuto a dei fotografi così ben
organizzati. E si mise in posa dinanzi alla fontana. Click era davvero bella
e vestiva con semplicità: scarpette rosse, una gonna rossa lunga fino al
ginocchio e una vaporosa camicetta bianca.

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Nel frattempo Sir Reginald era rimasto ad osservare la scenetta, che gli
era sembrata assai gustosa. Ma d'un tratto scorse un poco più in là due
colleghi cani, e pensò che era giunto il momento di organizzare una
spedizione punitiva contro le talpe della vicina aiuola di petunie. Partì di
scatto, e il guinzaglio diede uno strattone a Click, facendola cadere nella
fontana.
I bambini erano entusiasti.
— Non speravo che la signorina collaborasse tanto! — disse uno mentre
fotografava Click con la testa sott'acqua e le gambe fuori, tese verso
l'alto.
— Luigi, tieni inquadrato l'inguine e attendi un movimento giusto! —
sentenziò uno del crocchio che stava emergendo come leader. — Monica
attenta alla camicetta, devi prenderla nel momento in cui esce dall'acqua,
è il momento della massima trasparenza. Umberto, avvicina il riflettore.
Emanuele, inquadra il viso quando il volto esce dall'acqua, devi
inquadrare i capelli mentre sgocciolano. Marcello, vieni vicino col
registratore, vedrai che ci scappa qualcosa anche per la ricerca sulle
parolacce che dobbiamo fare la settimana prossima.
— Allargate il diaframma di tre scatti, portatevi a un cinquecentesimo di
secondo! — urlava l'addetto all'esposimetro.
— Adesso, Luigi, adesso che si rialza vedrai che la gonna le andrà fuori
posto! — continuava il leader. — Di profilo, Emanuele, devi riprenderla
di profilo! Scatta pure tutto il rullino, Monica, vedrai che papà ce ne
compera un altro quando saprà come abbiamo consumato il primo!
— Mi raccomando ragazzi, riprendete anche la fontana — rincalzava
quello con l'esposimetro. — Sapete come sono ipocriti gli adulti. Se c'è
solo la ragazza ci censurano tutto, se c'è anche la fontana sono foto d'arte!
La battaglia di Sir Reginald e i suoi filibustieri contro la Regina di
Talponia si stava intanto svolgendo alacremente sotto le petunie. L'aiuola
era molto grande, come ben si conviene ad una località che vuole attirare
i turisti con le sue proverbiali bellezze, e le petunie assai fitte e splendide
nei loro variopinti colori. Un vigile si avvicinò preoccupato.
— Signorina, sono suoi quei diciassette cani? — chiese il vigile con aria
truce che non prometteva nulla di buono. — Senza contare che è proibito
fare il bagno nella fontana.
— Diciassette? — chiese Click da dentro all'acqua passandosi la mano
sugli occhi e spargendo il rimmel un po' dappertutto. — Diciassette cosa?
— Cani, signorina, diciassette cani. Senza contare che è proibito fare il
bagno nella fontana.
Bisognava riconoscere che Sir Reginald era un vero maestro nel
reclutamento.
— No, io di cane ne ho uno solo, il cocker con l'orecchio sull'occhio.

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— Cioè il capo, vero signorina? Colui che comanda gli altri sedici cani...
anzi no, ora sono già ventiquattro. Sono tutti in contravvenzione, in
quanto stanno calpestando le petunie. Senza contare che è proibito fare il
bagno nella fontana.
— Io non sto facendo il bagno nella fontana. Ci sono caduta dentro.
— Ma non vorrà mica sostenere di esserci caduta rimanendo asciutta,
vero? Quindi lei sta facendo il bagno. E dovrà pagare ventiquattro multe
per i ventiquattro cani che calpestano le aiuole di petunie... anzi no, ora
sono trentadue. Senza contare che è proibito fare il bagno nella fontana.
— Un momento, ghisa, non intralci il nostro lavoro — disse uno dei
marmocchi. — Ci lasci finire le nostre foto, se no lo diciamo al maestro.
Sa, questa è Click, una fotomodella famosa, non succederà più che un
personaggio simile lavori per le scuole elementari di Vicolungo.
— Click? — sobbalzò il vigile. — Oh, mi scusi signorina Click, non
l'avevo riconosciuta, quando l'ho vista su Penthouse lei aveva un altro
vestito, anzi non ce l'aveva affatto, e così mi sono confuso. Ma che cosa fa
nella fontana? Non lo sa che è proibito fare il bagno nella fontana? Oh,
già, ma lei non sta facendo il bagno, lei ci è caduta dentro. Mi farebbe un
autografo, signorina Click? Se mi attende vado a casa a prendere la copia
di Penthouse, così lei mi fa la dedica proprio sul paginone che la
raffigura. Chissà che invidia proverà il mio amico Giuseppe, il vigile di
Vicocorto, quando gliela farò vedere! Non si preoccupi per il suo
delizioso cagnolino, signorina, adesso provvedo io a riportarglielo e ad
allontanare tutti quegli orribili cagnacci che l'hanno traviato. Mi attenda,
signorina Click, arrivo subito con la copia di Penthouse.
E il vigile se ne andò, lasciando Click ammutolita, seduta nell'acqua in
mezzo alla fontana. Click cominciava a sentirsi a disagio, anche perché
l'aria era fresca e c'era un venticello frizzante, una cosa deliziosa per chi
passeggia sul lungolago di Vicolungo con un bel golfino di cachemire
acquistato nella locale organizzatissima boutique, ma un po' meno per chi
staziona in mezzo a una fontana, con tutti gli abiti bagnati, e senza nulla
per asciugarsi. Senza contare che è proibito fare il bagno nella fontana.
— Maremma maiala, ma che succede qui? — Un giovanotto (niente male,
a prima vista) aveva fermato la macchina accanto alla fontana ed era sceso
a vedere. — Signorina, ha bisogno di aiuto? Tenga la mia giacca, la usi
per asciugarsi. Aspetti, ho anche un plaid nel bagagliaio. Non è la
giornata giusta per restare con i vestiti inzuppati d'acqua. Senza contare
che è proibito fare il bagno nella fontana.
Dopo poco, Click era in piedi, fuori della fontana, e avvolta in un plaid
caldo e soprattutto asciutto.
— Permetta che mi presenti, mi chiamo Simone — disse il giovanotto. —
Sono il Direttore Vendite della Poliufficio 2000, e sono qui a Vicolungo

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per lavoro. Curiosamente non ho nulla da fare stasera, e se volessimo
andare a cena insieme...
Click sorrise, intuendo che un autentico colpo di fortuna l'aveva fatta
incontrare proprio con la persona che doveva ritrovare in quel di
Vicolungo. Simone interpretò il sorriso come a lui diretto, e si ringalluzzì
tutto.
Click continuò il suo servizio fotografico: non si poteva deludere la scuola
elementare di Vicolungo. Fu il servizio fotografico più curioso della
storia, fatto da una bella ragazza dentro a un plaid, e da tanti marmocchi
che la fotografarono davanti al Battistero del Brunelleschi, poi in Piazza
Garibaldi, dove furono raggiunti dal vigile che ebbe la sua dedica, e
infine, all'interno della chiesa di S. Crispino, davanti agli affreschi
trecenteschi dai vividi colori che raffigurano, in venti episodi, la storia
del santo omonimo.
Simone andò dietro al gruppo, divertendosi la sua parte nel vedere come
Click stava al gioco.
Le fotomodelle sono spesso vuote e altezzose, troppo poco intelligenti per
vedere che il loro successo è tutta facciata: ma Click, più che una
fotomodella, era la ragazza della porta accanto, la compagna di scuola
che, senza essere la prima della classe, è però sempre promossa
egregiamente in tutte le materie, e forse troppo buona d'animo per la
professione che si era trovata ad interpretare. Aveva fatto la fotomodella
perché, con quel fisico, non si vedeva proprio come potesse farne a meno,
ma capiva che non era il suo lavoro vero, perché stare in mezzo a tutti
quei bambini la divertiva di più.
Simone e Click finirono la serata in un grazioso ristorantino della zona.
Click accettò con piacere l'invito, nel pieno rispetto degli accordi di
lavoro che aveva assunto con la signora Caterina Assunta Consuelo
Carmenáita Annabella Trumbo, Presidente della Trumbo Computer
Elettronica. Quanto a Simone, non sembrava aver bisogno di un incentivo
economico per gradire la compagnia di Click. I due restarono insieme
fino a tardi, e Click ebbe occasione di sbattere le lunghissime ciglia e di
sospirare quanto basta a cuocere Simone meglio che in un forno a
microonde, e Simone ebbe l'occasione di parlare per farsi bello dicendo
anche quello che avrebbe fatto meglio a tacere.
Quando a notte inoltrata Click tornò in albergo, prese un foglio di carta e
scrisse alla signora Trumbo.
«Rapporto n° 1. Da Click alla signora Trumbo. Data odierna.»
(Click non perdeva mai tempo a consultare il calendario.)
«Gentile signora Trumbo, oggi ho agganciato il pollastro. Non sembra
affatto difficile da cucinare. Al massimo entro dieci giorni non si
ricorderà più nemmeno il suo nome. Per maggiore sicurezza, mi spedisca

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una valigia di biancheria intima di seta colorata, anche perché quella che
avevo su oggi si è sciupata in un banale incidente fontanesco.
Il pollastro sembra anche piuttosto ingenuo: basta fargli domande e ti dice
tutto.
Così ho scoperto che tiene sempre con sè un'agenda dove ha annotato,
oltre gli indirizzi e impegni di lavoro, tutti gli obiettivi commerciali e le
strategie per realizzarli. E' un grosso fascicolo ad anelli, in cuoio
marrone, col disegno di una tigre stampata in oro sulla copertina.
Il 31 di questo mese è un mercoledì. Per allora, Simone sarà nelle mie
mani. Mi farò invitare a cena al Ristorante al Molo.
Alle 9.30 in punto, trafugherò l'agenda di Simone, e la lascerò nella
toilette delle signore del ristorante suddetto. Lei deve incaricare il rag.
Balla e l'ing. Birillo di venire a Vicolungo il giorno 31. Ho già appurato
che il pollastro non li conosce.
Il rag. Balla e l'ing. Birillo dovranno passare dalla toilette delle signore
alle 9.31 esatte. Prenderanno l'agenda del pollastro e la fotocopieranno
tutta, inoltre strapperanno tutte le pagine dove ci sono gli indirizzi dei
clienti. La riporteranno nella toilette delle signore alle 10.00. Io intanto
farò in modo che il pollastro non si accorga di niente.
Alle 10.01 passerò a ritirare l'agenda (o meglio quel che resta di essa)
nella toilette delle signore. La rimetterò al suo posto nella borsa del
pollastro. Lui non si accorgerà di niente. Per maggiore sicurezza, quella
sera non indosserò la biancheria intima di seta colorata che lei mi avrà
mandato nella valigia, nè alcun altro tipo di biancheria intima. Vedrà che
il pollastro terrà gli occhi dappertutto, tranne che sulla sua borsa.
Preghi il rag. Balla e l'ing. Birillo di rispettare rigorosamente gli orari.
Sincronizziamo gli orologi: adesso sono le 2.32 di notte. Spedirò la lettera
per espresso, così la dovrebbe ricevere domani verso le 10.
Sua affezionatissima Click.»
Leccò la busta, ci mise un francobollo e la spedì.

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CAPITOLO 8°

Come si vendono le "soluzioni"


La Tecnica delle Domande
Il Costo del Non Acquisto
Una gonna con uno spacco lungo lungo
Cappelletti accetta la sfida

Se Gilda avesse compilato una classifica delle persone che le risultano più
simpatiche, Gustavo Cappelletti avrebbe occupato la posizione subito dopo
Alfonso C. Pirlotti e subito prima di Lucio J. Corbellini: vale a dire, si
sarebbe piazzato al penultimo posto. Ma se la classifica avesse riguardato
le capacità manageriali, certamente Cappelletti sarebbe risultato in lizza
per le primissime piazze: ottimo venditore e addestratore efficace, era
sinceramente apprezzato da tutti i suoi uomini. E così quel giorno,
essendovi in programma una lezione di tecnica di vendita tenuta da
Cappelletti, tutti i venditori della premiata Agenzia Assicurativa Vittorio
Esposito erano arrivati in ufficio la mattina presto. Anche Gilda era
arrivata puntualissima per l'inizio dei lavori.
— La nostra immagine commerciale è basata sul fornire al cliente un
servizio — esordì Cappelletti. — I venditori della nostra agenzia non
vendono polizze, bensì soluzioni. E perché si possa parlare di soluzioni,
che cosa deve avere il cliente?
— Un problema! — intervenne opportunamente l'assicuratore
Bentivoglio.
— Giusto. E se il cliente ha un problema, che cosa bisogna fare?
— Farselo dire, sollecitandolo con opportune domande! — rispose
prontamente il venditore Frappetti.
— Bene. E ricordate che tipo di domande bisogna fare?
— Soprattutto domande aperte, perché queste consentono al cliente di
riflettere e di parlare molto — rispose per tutti Maggi.
— Giusto. Ricordo che le domande aperte sono quelle cui non è possibile
rispondere con un semplice «sì» oppure «no», o comunque scegliendo fra
due alternative: queste ultime si chiamano domande chiuse.
— Ho notato che quando faccio domande col cliente mi vengono però più
spontanee le domande chiuse — osservò Frapetti.
— Succede a molti — lo consolò Cappelletti. — Ma se vuoi essere certo
che la domanda risulterà aperta, dovrai iniziare la domanda con una di
queste parole, che ti consiglio di imparare a memoria:
chi, che cosa, dove, quando, come, perché, quale, quanto, da che punto di
vista, fino a che punto, in che senso.

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— Ieri ero da un cliente — intervenne Bentivoglio — e gli ho chiesto:
«quali sono i problemi che lei sente di più?» e lui mi ha risposto: «Non ho
nessun problema. Sto bene così.» Io ho fatto una domanda aperta, ma non
ne ho cavato nulla.
— Infatti solo una piccola parte di clienti sanno di avere dei problemi che
non hanno ancora risolto — spiegò Cappelletti. — Con questa piccola
parte è facile: ci si fa spiegare il problema e si propone una soluzione. Ma
il guaio è appunto questo: la gran parte delle persone ritiene di non avere
problemi e di star bene così. In realtà non è vero: tutti potremmo star
meglio di come stiamo (nessuno è mai arrivato alla perfezione).
— Dobbiamo fare allora delle domande che facciano riflettere il cliente
sul "poco" che ha e su quanto di meglio invece potrebbe avere — ipotizzò
Gilda.
— Esatto. Non possiamo essere noi a dire al cliente che la sua situazione
attuale non è soddisfacente: egli si offenderebbe, dato che invece ritiene di
star bene così. Bisogna che ci arrivi da solo, mediante un'opportuna
riflessione, a stabilire che quello che possiede già non è sufficiente. Il
compito del venditore è di guidare tale riflessione stimolandola con
domande. La gran parte delle domande dovranno essere aperte, perché le
domande aperte fanno riflettere di più di una domanda chiusa.
— Se ho capito bene, — disse Maggi — nel momento in cui il cliente
scopre che ha un'opportunità di miglioramento, desidererà tale
miglioramento, e quindi potrà acquistare.
— Pensare così è un errore che molti venditori commettono. In realtà
non è l'opportunità di miglioramento che motiva all'acquisto, bensì i guai
che si passerebbero qualora non si migliorasse. Per vendere una soluzione
bisogna che il cliente rifletta su quanto starà male se non acquista nulla (e
non su quanto starà bene se acquista). Questo purtroppo complica le cose:
se non vogliamo passare per iettatori, occorre molta diplomazia. Noi
dobbiamo agire solo con domande, è lui che deve arrivarci a pensare ai
guai che passerà e ai costi che dovrà sostenere se non acquista.
— Questo è strano — disse Maggi. Nel posto dove lavoravo prima, mi
dicevano che il venditore deve avere un atteggiamento positivo.
— E' vero, l'atteggiamento del venditore deve essere positivo. Per
esempio, sin dai primi minuti di incontro si cercherà di commentare il
fatto che è una bella giornata, si cercherà di dire che troviamo il cliente in
ottima forma, ci dimostreremo contenti del nostro lavoro e della nostra
vita, propenderemo all'ottimismo in ogni situazione, ci congratuleremo
sinceramente ogni volta che il cliente ci racconta qualcosa di cui è
soddisfatto, l'ambiente che creiamo dovrà dare la sensazione che
qualunque problema esistesse potrà (e dovrà) essere risolto facilmente. I
pensieri del cliente, invece dovranno essere negativi: una sola cosa lo

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convincerà ad acquistare subito: la convinzione che, non acquistando
nulla, ci perde dei soldi o comunque subisce situazioni spiacevoli.
— E' come le cliniche svizzere e gli ospedali italiani — aggiunse Gilda,
quasi per spiegare meglio il concetto a se stessa. — Nelle cliniche svizzere
i locali assomigliano a un albergo, le infermiere sono eleganti, il
personale che vi lavora è sereno e allegro. Entrandovi, si ha la sensazione
di essere in un posto dove vive gente sana, o tutt'al più persone
provvisoriamente ammalate, ma che diventeranno sane al più presto.
Negli ospedali italiani, invece, si ha la sensazione di vivere in un
lazzaretto per diversi. Così chi può permetterselo preferisce curarsi in
una clinica svizzera piuttosto che in un ospedale italiano. Ma se non
pensasse di essere malato non andrebbe nè nella clinica svizzera nè
nell'ospedale italiano. In altre parole, il cliente, se acquista, acquista dalla
clinica svizzera, perché qui vendono il loro servizio con atteggiamento
positivo. Ma non acquista, se non pensa di avere un problema serio.
Gilda indossava quel mattino la sua gonna nera lunga, quella con lo
spacco, e mentre si spostava per sedersi più comoda la stoffa scivolava
con facilità, essendo la pelle sottostante fresca e liscissima. Non si può
certo biasimare Frapetti e Bentivoglio che, trovandosi casualmente di
posto secondo l'angolo giusto per un'osservazione accurata, cominciavano
a distrarsi. Ma perfino loro vennero bruscamente ricondotti
all'argomento da una domanda interessante del procacciatore Palazzini.
— Che domande devo fare per far venire in mente un problema serio a
uno che crede di star bene così?
Palazzini, essendo alle prime armi, interveniva solo per fare domande
molto concrete.
— Per esempio, che domande dovrei fare a un architetto che non ha una
sufficiente copertura pensionistica, ma che non se ne è ancora reso conto?
Perché se invece se ne rendesse conto, potrei vendergli una bella polizza
vita.
— Per far venire in mente un problema occorre procedere per gradi —
rispose Cappelletti.
— Prima bisogna far venire in mente la situazione attuale: per esempio,
che egli oggi guadagna 100 bigliettoni al mese, e che con questi può
permettersi alcuni piccoli lussi: teatro una volta alla settimana, un
viaggetto all'estero due volte l'anno, una collaboratrice domestica giovane
ed efficiente, regalare la moto al figlio, e così via. E che attualmente egli
ha diritto a una pensione di 15 bigliettoni che incasserà quando sarà
vecchio e con la quale non potrà certo permettersi di mantenere l'attuale
tenore di vita.
Il secondo gradino è di fargli venire in mente la situazione desiderata. Per
esempio, che a 70 anni poter disporre di una collaboratrice domestica è

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ancora più importante che oggi, che fare un regalo al nipotino è ancora
più piacevole che farlo al figlio, che ci sono molte persone anziane che
viaggiano molto divertendosi un sacco (anche perché da anziani hanno
molto più tempo libero), eccetera.
Il terzo ed ultimo gradino è di fargli venire in mente il «costo del non
acquisto», cioè che cosa perde se non compra la vostra assicurazione. Per
esempio, che dovrà passare la vacanza a Rimini anziché alle Seichelles, e a
Rimini potrà fermarsi solo una settimana. Che anziché la Turandot alla
Scala col tenore Boganoff dovrà accontentarsi di vedere alla TV il
complesso dei Beep Hoola. E immaginarsi la faccia che farà quando dovrà
spiegare al nipotino che non può comperargli il gelato tutte le volte che
lui lo viene a trovare.
Il primo gradino genera attenzione, il secondo desiderio, ma solo l'ultimo
genera azione.
— Sì, ma che domande devo fare per fargli venire in mente tutte queste
cose? — insisteva Palazzini.
Cappelletti non rispose, ma suddivise i venditori in sottogruppi, lasciando
loro quindici minuti per provare a scrivere domande che sembravano
loro adatte a far venire in mente al cliente cose come quelle descritte
precedentemente. Al termine, col contributo di tutti, venne fuori il
seguente elenco, che Cappelletti annotò alla lavagna.
Quanti siete in famiglia?
Ci sono altre persone che vivono con voi?
Qual è il suo reddito attuale?
Quali sono i suoi hobbies preferiti?
Dove passa le sue vacanze?
Fino a che punto le piace fare dei regali ai suoi familiari?
Quando andrà in pensione?
Quale sarà il suo reddito da pensionato?
Come vorrebbe che fosse la sua vita quando raggiungerà... diciamo i 70
anni?
Quali abitudini attuali le piacerebbe conservare?
Come sfrutterà il fatto di avere più tempo libero?
Se, giunto a una certa età, disponesse di un po' di denaro in più, come lo
spenderebbe?
Se invece disponesse di meno denaro, a che cosa rinuncerebbe?
Può indicarmi quali dei suoi attuali hobbies potranno essere mantenuti e
quali no col reddito previsto a quell'epoca?
Fino a che punto una collaborazione domestica o infermieristica è utile
per persone di una certa età?
Come vivono, secondo lei, coloro che non ne possono disporre?

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Secondo lei, se un nonno è indigente, fino a che punto un nipotino di
pochi anni capirà che non deve chiedergli un regalo?
Per evitare tutte questi orribili disagi, quanto è disposto a risparmiare
oggi?
— Hai capito Palazzini? — concluse Cappelletti. — Se hai in mente un
problema dettagliato in tutti e tre i suoi gradini, non devi far altro che le
domande che farebbero venir fuori quel problema. Anche se la situazione
del cliente è poi diversa da quella che tu avevi immaginato, le domande
sono quelle giuste lo stesso.
Gilda accavallò le gambe e si sistemò la gonna. Frapetti e Bentivoglio
sospirarono quasi simultaneamente per la delusione, dimostrando che, per
quanto riguarda l'atteggiamento positivo, non ne erano ancora affatto
padroni. Intanto Gilda aveva preso la parola:
— Ma se chiedo al cliente quanto guadagna e cose del genere, è facile che
non voglia rispondere. Siamo in Italia, e le tasse...
— E' vero. Infatti spesso bisogna aggiungere alla domanda una breve
frase di spiegazione. Per esempio: «Le chiedo questo perché noi
lavoriamo su misura e se possiamo avere qualche informazione potremo
presentarle un progetto su misura per le sue necessità». Naturalmente non
tutte le domande richiedono una giustificazione, solo quelle più delicate,
specie nei momenti iniziali. Un buon sistema è quello di cercare di
rimandare le domande più indiscrete un po' più avanti, iniziando con
quelle che non possono creare problemi di riservatezza.
— Avrei un quesito — intervenne Frapetti. Il nostro sottogruppo era
incerto se doveva preparare solo domande adatte a vendere una polizza
vita, o anche altre, adatte per esempio a vendere una polizza infortuni o
una contro i furti negli appartamenti: dopo tutto, vendiamo anche quelle...
— Il venditore deve avere chiare in testa un numero di domande molto
elevato. Se portassimo il discorso solo sull'argomento "pensione",
potremmo infatti scoprire che il cliente ha già risolto il problema: per
esempio può essersi già assicurato con un concorrente, oppure aver
adottato qualche altra valida forma di risparmio. Dobbiamo quindi
sondare il terreno su vari possibili problemi, e insistere su quelli in cui il
cliente appare scoperto, lasciando perdere rapidamente gli altri. La
trattativa è un lungo gioco di pazienza, alla fine del quale è possibile una
grossa vendita.
Perché se emerge un problema, non è detto che tu gli possa vendere solo
una polizza. Per esempio, all'architetto visto prima serve anche una
polizza infortuni (perché altrimenti un infortunio potrebbe ridurre la sua
capacità di risparmio e vanificare la certezza di una vecchiaia felice) e una
polizza per i furti (altrimenti rischia di dover spendere quanto ha
risparmiato per ricomprare ciò che gli è stato rubato). Ricorda:

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1) fai molte domande, perché il cliente potrebbe avere anche più di un
problema;
2) anche se il problema che ha è uno solo, puoi vendergli più cose.
La strada da seguire è la seguente:
1) fai emergere almeno un problema;
2) fai in modo che il cliente pensi di avere una grossa perdita se non
risolve il problema, e fatti dire quanto è questa perdita;
3) cerca di sapere quanto il cliente è disposto a spendere per evitare la
perdita, ed eventualmente resta in argomento fino a riuscire a fargli
elevare la disponibilità di spesa;
4) dai la soluzione più completa possibile che puoi dare con la spesa messa
in budget.
— Avrei un quesito — intervenne di nuovo Frapetti. O meglio, una
paura: non è che insistendo in questa misura sui problemi facciamo del
terrorismo psicologico? Per esempio, se un cliente vuole investire una
certa cifra e chiede un consiglio, è giusto insistere tanto sui problemi? Nel
vendere finanza ci vuole una certa eleganza, non le pare?
— In tutte le vendite ci vuole eleganza, non solo quando si vende finanza.
In effetti, c'è un'eccezione importante alla regola prima vista. Ora te la
spiego.
Succede talvolta che il cliente ti pone un problema ed ha già deciso, sin
dall'inizio della trattativa, che seguirà i tuoi consigli, qualunque essi siano.
Perché si verifichi questo caso occorre che il cliente conosca te oppure
l'organizzazione che rappresenti abbastanza da avere piena fiducia.
In questo caso, e solo in questo caso, la vendita mantiene un tono
rassicurante. Generalmente si inizia verificando insieme che le volte
precedenti il cliente è stato consigliato bene, e che lo sarà anche questa
volta. Oppure si riferiscono dettagliati esempi di problemi consimili
risolti per altri clienti. Infine si illustra la soluzione e si chiude.
Purtroppo, l'ipotesi che abbiamo fatto è piuttosto rara. Di norma il
cliente, all'inizio della trattativa, non ha ancora deciso se comprerà da te o
da un altro, o addirittura ritiene di non aver bisogno di nulla. In questo
caso si applicano le regole che abbiamo visto prima.
Attenzione dunque a non confondere i due casi, e ricordate: quando
proponete la soluzione, se il cliente ha già intimamente deciso che
comprerà da voi andrà tutto bene, ma se non ha ancora intimamente
deciso che comprerà da voi, dicendogli la soluzione perdete ogni speranza
di concludere.
Chiaro?
Frapetti annuì. La lezione volgeva al termine, e c'era quell'aria di
soddisfazione e contemporaneamente di rilassatezza che assale le persone

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quando sanno di aver appena compiuto un lavoro utile e produttivo.
Un'aria che facilita le conversazioni informali, le battute, le piccole sfide.
— Lei parla bene, non c'è che dire — disse Frapetti. — Ma ci sono dei
clienti cui non si riesce a vendere neanche a morire.
— Non è vero — rispose Cappelletti, — tutte le persone possono
comperare da noi. Siamo assicuratori, e tutte le persone hanno problemi
assicurativi. Basta saperglieli rendere evidenti.
— Provi un po' a renderglielo evidente a certi clienti che conosco io. La
signora Michela, per esempio. E' un'amica di mia moglie e abita in via
dei Tulipani 53. E' sposata da poco, e suo marito è un dirigente della
Poliufficio 2000, uno che guadagna bene. Ho provato già tre volte ad
assicurarla senza successo. Non c'è verso di fare nulla.
A Gilda venne da ridere. Michela ha un caratterino piuttosto energico, e
se la immaginò che buttava fuori di casa Frapetti sotto gli occhi
compiaciuti del gatto Bartolomiao. Gilda aveva subito classificato Michela
come una cui non era nemmeno il caso di tentare di vendere. Ma
Cappelletti accettò la sfida, e le sue parole furono per Gilda una bella
lezione.
— D'accordo, Frapetti, proverò ad andare a vendere a questa tal signora
Michela. Non so se venderò, ma voglio dimostrarti che un venditore ha
sempre interesse a tornare dal cliente, anche se questo ha già detto di no
tre volte.

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CAPITOLO 9°

Michela è gelosa
Due genitori di un'altra generazione
Bartolomiao e gli sviluppi piccanti
Un esempio di trattativa
Un invito imprevisto

Narrano le istorie che il Principe di Condé abbia dormito profondamente


prima di una qualche importante battaglia (un noto concorrente
dell'autore del libro sostiene che si trattasse della battaglia di Rocroi,
avvenuta nel 1643): ma in fondo non si capisce che cosa ci sia di
eccezionale nel dormire prima di recarsi al lavoro. E' molto più difficile
dormire durante la battaglia, per esempio, specie se uno si trova in prima
linea. E anche dopo la battaglia molti trovano difficoltà ad appisolarsi,
specie se hanno uno squarcio nella pancia o qualcosa del genere. Ma
prima della battaglia, che cosa c'è di difficile? Ma forse il Principe di
Condé aveva un bravissimo addetto alle pubbliche relazioni, che riusciva a
far parlare bene del suo cliente gli organi di stampa in ogni occasione, e
magari l'avrà pure fatto intervistare al telegiornale. In casa di Michela,
comunque, prima della battaglia non si dormiva affatto.
Quale battaglia? Ma è ovvio: quella che Michela stava per scatenare per
dare una sonora lezione al maritino Simone, un po' per far contento il
lettore Filippo Bergozzi di Porto Recanati, che attendeva ormai da due
capitoli, e un po' perché era proprio arrabbiata, come ben si conviene a
una moglie gelosa.
E che cosa fa una donna gelosa prima della battaglia, visto che non
dormiva, come abbiamo già anticipato? Ma lo sanno tutti che cosa fa una
moglie gelosa: telefona alla mamma.
— Pronto mamma?
— Ciao Michela. Cosa c'è di nuovo?
— Volevo sapere come sta il papà. Gli hanno tolto il gesso alla gamba?
— Sì, da due ore. L'ho accompagnato in ospedale stamattina presto, ma
sai come sono gli ospedali, l'hanno fatto aspettare un sacco di tempo.
Comunque adesso è a casa.
— E sta bene?
— Direi di sì. Sta già correndo dietro alla cameriera.
— E non ti preoccupi?
— Per il momento no. E' ancora più veloce lei.
— Beata te. Io invece sono disperata.
— Per la cameriera?

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— No, per Simone. Ha cominciato a fare il birichino.
— Con la cameriera?
— No, mamma, lo sai che la cameriera non ce l'abbiamo.
— Hai ragione, è sempre più difficile trovarne.
— Mamma, non scherzare, ho paura che Simone mi tradisca.
— Con chi?
— Con la sua amica Gilda.
— E' simpatica?
— Altro che. Ed è bella per giunta, accidenti se è bella.
— Meno male. Sai le chiacchiere dei vicini, se si fosse messo con una
racchia e bisbetica. Così, invece, è tutto in regola.
— Mamma, ma non scherzare, io sono disperata! A tre mesi dalle nozze!
— Io direi di fartela amica.
— Chi?
— Ma questa Gilda! E' raro trovare un'amica simpatica. Da quando i
Mariotti si sono trasferiti, per spettegolare un po' devo fare più di sei
fermate d'autobus e andare dalla Carla. Più vicino non c'è più nessuno
con cui chiacchierare. Per cui ti dico: figlia mia, tientele buone le amiche
simpatiche!
— Accidenti mamma, possibile che non si riesca mai a parlare con voi
dell'altra generazione? Che diate così poca importanza alla fedeltà? Che
non abbiate il senso dell'onore? Io sono gelosa, mamma, gelosa!
— Puoi sempre farti vedere con un'altro. Così diventerà geloso anche lui.
Forse.
— Con un altro chi?
— Ma il primo che capita, figlia mia. Le scelte accurate si fanno solo per
avventure più importanti.
— Ma io non voglio avventure più importanti! Io sono una moglie seria!
E fedele! E forse cornuta!
— Allora va bene il primo che capita. E ora ti saluto, figlia mia, perché
devo andare a ripassarmi il trucco: sta per arrivare il garzone del
fruttivendolo con la spesa.
— E va bene, il primo che capita! — disse Michela mettendo giù la
cornetta, e andando ad aprire alla porta, ché avevano suonato. Il gatto
Bartolomiao, che era molto curioso, e che aveva capito che ci potevano
essere sviluppi piccanti per la sua padrona, era già davanti al battente, in
attesa che la porta si aprisse per vedere chi era.
Al mondo, ci sono persone più fortunate ed altre meno fortunate. Avevo
un amico che era fortunatissimo: a qualunque ora suonassero alla porta,
era sempre una bellissima ragazza. Alle volte una rossa dalla scollatura
provocante, oppure una bionda alta ed esile con gli occhi diafani, e se
invece era una mora potete giurarci che era una di quelle tutto pepe dai

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fianchi procaci e dalle labbra carnose. E non ho mai capito perché fosse
così, in fondo il mio amico non aveva niente di speciale, a parte un conto
in banca con una quindicina di miliardi di dollari.
Forse voi adesso vorreste sapere se anche Michela era altrettanto
fortunata. Lo sapremo subito. Infatti ella aprì la porta e apparve...
— Cappelletti, sono Gustavo Cappelletti dell'Agenzia Assicurativa
Vittorio Esposito. Avevo un appuntamento con la signora Michela.
Il gatto Bartolomiao, dopo aver sommariamente valutato il sex-
appeal del nuovo venuto, scosse la testa sconsolato e tornò sul suo cuscino
rosa a sfogliare l'ultimo numero di Playcat.
— Compermesso... Posso entrare?... Posso sedermi qui?... Ho visto un bel
gatto. Ce l'ha da molto tempo?
— Da tre mesi. E' stato un regalo di mio marito Simone per il
matrimonio.
— Caspita, ma lei è una sposa novella, allora! Dove vi siete sposati?
— Alla chiesa di S. Stanislao.
— Quella fuori città?
— Sì, è un posto molto grazioso. Era una splendida giornata di sole,
quando siamo usciti dalla chiesa e ci siamo trovati subito in mezzo al
verde del boschetto di pini, e lì abbiamo fatto le fotografie. Poi la chiesa è
annessa a un convento di frati, ed erano tutti fuori ad attenderci ed
applaudirci nei loro sai marrone. E' stata una cerimonia ecologica e
simpatica. Dicono "sposa bagnata sposa fortunata", ma non è mica vero, è
meglio una giornata di sole, dico io.
— Complimenti, non tutti sono così fortunati!
— E così adesso sono qui col mio gatto. Si chiama Bartolomiao. E' un
birbante, mi ha graffiato tutte le tende, ha sempre voglia di giocare.
— Birbante ma simpatico, vero?
— Sì, dico io, tutti dovrebbero avere un gatto o un cane in casa, tengono
compagnia.
— E' proprio vero. Ma veniamo a noi. Scopo della mia visita è quello di
esaminare insieme le sue eventuali problematiche nel settore assicurativo e
finanziario, e trovare insieme vantaggiose soluzioni.
— Scusi, dico io, ma in parole povere che cosa vuol dire? Che cosa
vende? Assicurazioni?
— Sì e no, in realtà noi non vendiamo assicurazioni, perché forniamo
consulenza e vendiamo soluzioni su misura. Proprio per poterle
presentare una proposta costruita sulle sue specifiche esigenze, vorrei
farle alcune domande. Lei ha nulla in contrario se le pongo qualche
quesito, allo scopo appunto di darle qualche vantaggio maggiore?

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— Faccia pure, ma non ho capito a cosa serve. — E intanto Michela si
aggiustò i capelli con la mano, e si sedette di tre quarti, cercando di
assumere una posizione il più possibile affascinante.
— Dunque... in famiglia siete in due, o c'è qualche altra persona che abita
con voi?
— No no, siamo solo noi due, più Bartolomiao.
Cappelletti aveva tirato fuori uno stampato, e prendeva appunti, come
dovrebbero fare tutti i buoni venditori nel corso di una trattativa, quando
si vendono soluzioni, cosa che per l'appunto Cappelletti stava cercando di
fare.
— Posso chiederle qual'è il reddito familiare? Glielo chiedo per vedere se
posso aiutarla a fare in modo che questo reddito non venga mai meno.
— Io faccio la casalinga, mio marito è dirigente commerciale e guadagna
circa 120 bigliettoni al mese. Ma le sarei grata se lei volesse spiegarmi
che cosa vende facendo un po' in fretta, sa, non ho mica tanto tempo da
perdere.
— Vede, noi vendiamo soluzioni su misura, quindi devo prendere le
misure per farle una buona proposta.
— Ma lei non è di un'agenzia assicurativa?
— Sì, l'Agenzia Vittorio Esposito. Un'ottima agenzia.
— E i contratti assicurativi che proponete sono scritti a mano o sono
stampati? Perché se sono già stampati come fate a dire che sono su
misura?
— In effetti noi proponiamo contratti assicurativi che sono stampati,
come del resto tutti, però...
— Ah, finalmente gliel'ho fatto dire che vendete contratti assicurativi.
Guardi che lei casca male. Io non credo nelle assicurazioni.
— Sicché lei non è ancora assicurata? — chiese Cappelletti cercando di
riprendere il filo del suo discorso, e predisponendosi ad annotare le
informazioni sul suo stampato.
— No, a parte l'assicurazione dell'auto, naturalmente, in quanto questa è
obbligatoria per legge. Però se le sue assicurazioni hanno qualcosa di
diverso dalle altre me lo spieghi. Comunque non credo che cambierò idea.
Intanto che parlava, Michela accavallò le gambe, cercando di far scivolare
la gonna verso l'alto.
— Le nostre assicurazioni sono diverse perché tengono conto delle
esigenze del cliente attraverso una serie di dati variabili e appendici...
— E, per essere concreti, che cosa dicono queste appendici?
— Appunto, se lei mi dà qualche informazione io sceglierò le clausole che
vanno meglio per lei e tornerò fra qualche giorno con una proposta su
misura...

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— In poche parole, dico io, lei è un venditore di assicurazioni, oggi lei mi
fa delle domande ma non vende, poi torna fra un po' di giorni per
vendere assicurazioni. Ma lo sa che lei è proprio buffo?
Cappelletti stava lavorando con notevole abilità, anzi, si può addirittura
affermare che Cappelletti era identico a uno di quegli eccezionali
venditori che si trovano descritti nei manuali. Il guaio è che il cliente,
invece, era molto diverso da quello che si trova descritto nei manuali. E'
una cosa che succede spesso, nei libri che insegnano a vendere: i venditori
sono raffigurati con minuziosa perfezione, mentre la descrizione dei
clienti è clamorosamente sballata e non rispecchia affatto la realtà.
Cappelletti, però, non perdeva mai la pazienza, e si sa che la fortuna aiuta
coloro che non si arrendono davanti alle difficoltà.
— E' un modo buffo che procura però vantaggi a clienti come lei —
rispose Cappelletti.
— Comunque mi va l'idea che ci sia un nuovo incontro fra qualche
giorno — disse Michela sistemandosi la camicetta sulla spalla e
approfittandone per slacciare furtivamente un bottone in più. — Domandi
pure quello che le serve.
— Quando suo marito andrà in pensione, ci saranno altri redditi, oltre
appunto la pensione dell'Inps?
— No, nessuno. Ma ci manca tanto di quel tempo... Chissà quante cose
cambieranno.
— Attualmente, qual è la vostra possibilità di risparmio? Quanto spendete
subito, e quanto mettete da parte?
— E' difficile dirlo dopo tre mesi. Comunque abbiamo deciso di mettere
da parte 40 bigliettoni al mese perché vorremmo un giorno poter
acquistare la casa in cui abitiamo, e finora ci siamo riusciti.
— Molto bene. Avete degli hobbies particolari?
— Ci piace giocare a tennis, sciare, viaggiare, soprattutto d'estate.
— Pensate che la famiglia dovrà aumentare?
— I figli mi piacciono, ma vorrei aspettare almeno un paio d'anni.
— Bene, direi che ho gli elementi per studiare una soluzione su misura.
Verrò a proporgliela presto, ci vogliamo fissare un nuovo appuntamento?
— Volentieri.
— Che ne direbbe del 31 di questo mese? E' un mercoledì.
— Aggiudicato.
— Allora verrò qui da lei il 31 di questo mese alle ore...
— Ho un'idea migliore. Perché non ci vediamo a cena?
Cappelletti, cui non erano sfuggite le manovre attorno ai capelli e alla
camicetta, cominciò a pensare che la situazione si prospettava migliore del
previsto.
— Che ne direbbe di una buona pizza da Gennariello?

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— Se non può permettersi qualcosa di più elegante, posso sempre pagare
la mia parte.
— Ma no, dicevo una pizzeria in omaggio alla sua giovane età... — cercò
di salvarsi in corner Cappelletti. — Anch'io preferisco un posto più di
classe... Che ne direbbe del Frou Frou, cucina francese, quello annesso
all'Hotel Palace?
— E' un posto per vecchi barbogi e giapponesi di passaggio... Perché non
facciamo una puntata fuori città, dico io, lontano da sguardi indiscreti?
— Le propongo il Ristorante al Molo, appena fuori di Vicolungo. E'
eccellente, ambiente giovane, si mangia bene. Come in tutta la zona di
Vicolungo, del resto.
— Vicolungo? Lei sì che conosce i miei gusti! D'accordo signor
Cappelletti, anzi, posso chiamarla Gustavo?
— Certo Michela!
— Bravo Gustavo, vedrai, sarà una serata fantastica.
E in men che non si dica lo buttò fuori della porta.
Cappelletti si ritrovò sul pianerottolo con le idee un po' confuse. Non gli
era chiaro se aveva fatto una conquista, o si era invece costosamente
accollato il costo di una costosa cena. Però, considerando l'estetica di
Michela, nonché l'importanza che la nostra cultura attribuisce ai fattori
estetici, era chiaro che valeva la pena di approfondire l'argomento.
Michela invece, con lo sguardo fisso nel vuoto, preparava le mosse
successive. La battaglia era appena cominciata.
E Bartolomiao? Il gatto si era divertito ad assistere alla trattativa
commerciale. Quel Cappelletti era davvero bravo. Eppure, con Michela
non era riuscito a vendere. Come mai? Forse, l'unico che avrebbe potuto
spiegarlo era il professor Gatto. Infatti, una persona che si sceglie quel
cognome (pensava Bartolomiao) non può che essere uno in gamba.

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CAPITOLO 10°

Una cravatta nuova


Come "far ragionare" un cliente ostinato nel rifiuto
La psicologia del cliente logico
Come far decidere gli indecisi
L'importanza delle prechiusure

Ma dov'era il professor Gatto? Il professor Gatto era a casa sua (anche la


fantasia degli autori dei libri ha dei limiti) e si era messo la cravatta
nuova, sapendo di dover entrare in scena in questo capitolo.
Per la verità, si era messo la cravatta nuova anche perché attendeva una
visita di Gilda. Il professor Gatto non aveva più l'età per far concorrenza
a Simone o ad altri nella conquista delle belle ragazze, ma riteneva che
quando il Padreterno faceva dei capolavori simili, anche le figure di
contorno dovevano adeguarsi, per quel che potevano.
Gilda sbucò in fondo al vialetto esattamente all'ora convenuta. Diavolo
d'una ragazza: se fosse stata attesa da uno spasimante con un mazzo di
rose rosse in mano, non l'avrebbe fatto aspettare meno di trenta minuti.
Ma quando si trattava di lavoro, era di una puntualità cronometrica. Cosa
del resto importantissima per chiunque si occupi di vendite.
La conversazione si spostò assai presto sulla trattativa di Cappelletti a casa
di Michela.
— Ha saputo della visita di Cappelletti a Michela? — chiese infatti Gilda.
— Altro che! — rispose il professor Gatto. L'ho letta nel precedente
capitolo. Che cosa credevi, che un libro utile come questo potesse
mancare nella mia biblioteca?
— E che cosa ne pensa, della trattativa? — chiese Gilda.
— Vediamo se ci arrivi da sola — disse il professor Gatto. — Che cosa
Cappelletti ha cercato di vendere?
— Soluzioni. L'ha detto lui stesso.
— E che tipo di pensiero deve avere il cliente per poter comprare
soluzioni?
— Il pensiero logico.
— E durante la trattativa Michela era in pensiero logico?
— Dall'esito della trattativa, bisognerebbe dire di no.
— E infatti non lo era. Per l'esattezza, si trovava in pensiero pratico.
— Quello che lei mi ha spiegato nel capitolo 6°, l'ultima volta che ci
siamo visti?
— Esatto, proprio quello. E adesso dimmi: Michela e Cappelletti si sono
scambiati informazioni?

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— Direi di sì: Cappelletti, per esempio, si è procurato un certo numero di
dati.
— E ritieni che sia anche riuscito a operare un convincimento su
Michela?
— Direi di no. Se venderà, venderà nel prossimo incontro: in questa
trattativa non ha spostato le decisioni di Michela di un solo millimetro.
— Questo è appunto quello che succede quando il venditore usa una
strategia commerciale che non è tarata sul pensiero usato dal cliente: si
possono scambiare informazioni, ma non convincimento, motivazione,
persuasione. E adesso vediamo un po': che cosa pensi che succederà nel
prossimo incontro?
— Cappelletti arriverà con una soluzione studiata su misura per Michela.
— Scusa, ma "soluzione" di che?
— Di un problema, immagino.
— E quale sarebbe questo problema?
— Non saprei... in effetti, nel colloquio, non è emerso alcun problema.
— Quindi, nel prossimo incontro Cappelletti non potrà presentare nessuna
soluzione. Potrà invece cercare di vendere una polizza assicurativa (o un
insieme di polizze) che possano ragionevolmente esser proposte ad una
persona che si trovi in quella tal situazione in cui si trova Michela. E farà
bene a farlo secondo quelle regole che ti ha insegnato a suo tempo
Franciati. Se qualcuno vuole ripassarle, sono nel capitolo 5°.
— Però Cappelletti, nel prossimo incontro, potrà vendere.
— Certamente. Ma, innanzitutto, ha sprecato una visita: la vendita di
polizze poteva esser tentata già al primo incontro. Non ci vuole infatti
molto tempo perché il venditore o il cliente stesso scarti le polizze che
non sono ragionevolmente proponibili a Michela. A ben guardare, tutto
quello che si è ottenuto con la prima visita e il successivo studio della
proposta è esattamente questo. In secondo luogo, ha riempito la testa al
cliente di termini astratti (soluzioni, appendici di cui si ignora ancora il
contenuto, ecc.) cui il cliente non è in grado di dare un significato: il
cliente, avendo trovato il venditore inconcludente, spesso ci ripensa e
disdice il nuovo appuntamento. — E' successo anche a me, qualche volta.
Torniamo però alla trattativa fra Cappelletti e Michela. Che cosa avrebbe
dovuto fare Cappelletti, secondo lei?
— Secondo me, dato che Michela era in pensiero pratico, doveva smettere
di parlare di soluzioni e parlare invece di assicurazioni, seguendo le
istruzioni che tu hai sentito da Franciati nel capitolo 5°.
Vorrei fare però una precisazione: questa che ti ho detto non è l'unica
possibilità per un venditore che conosca profondamente la Cinematica
della Genialità, ma per uno che non ne è ancora molto esperto è la scelta
più consigliabile.

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— Ma non è facile vendere assicurazioni a Michela. Lei ha detto che nelle
assicurazioni non ci crede.
— Si possono usare le tecniche che ti ho insegnato l'altra volta: le ricordi
ancora?
— Una consisteva nel convenire che era giusto rifiutare le assicurazioni
fin tanto che esse non presentavano il vantaggio in più che noi invece
siamo in grado di offrire, l'altra era la tecnica del "l'hai già fatto". Fra le
due, quest'ultima è quella da preferire.
— Bravissima. C'era poi un'altra possibilità, di cui avevo accennato
l'esistenza, ma che non ti avevo spiegato.
— Mi pare si riferisse ad una sequenza di domande chiuse.
— Esatto. Sai che cos'è una domanda "chiusa"?
— Sì, certo. E' una domanda che permette di scegliere solo fra due
alternative.
— Una serie di domande chiuse, ben mirate, possono portare in pensiero
scientifico il cliente che si trovava in pensiero assertivo. Ti ricordo che il
pensiero pratico si divide appunto in pensiero assertivo e pensiero
scientifico. Il pensiero assertivo è quello attivo per la stragrande
maggioranza del tempo, e dà una grande sicurezza nelle proprie opinioni,
per cui si ritiene di avere senz'altro ragione: potremmo chiamarlo anche
"pensiero dell'aver ragione". Il pensiero scientifico è al contrario il
pensiero del dubbio: potremmo chiamarlo "pensiero dell'aver torto", dato
che il dubbio porta molto spesso alla constatazione che in effetti si era
sbagliato qualcosa.
Allora, Michela aveva affermato che lei non ritiene conveniente
assicurarsi. Lo ha detto in pensiero assertivo, quindi (ahimè) con la piena
convinzione di aver ragione. Noi abbiamo bisogno che le venga invece il
dubbio di aver detto una cosa errata, cioè bisogna che lei passi in pensiero
scientifico, e questa è una cosa non facile da ottenere. Ebbene, si può
sperare di riuscirci con una serie di domande chiuse.
— Veniamo al concreto. Che domande avrebbe dovuto fare?
— Per esempio: «Indipendentemente da quanto un'assicurazione può
piacere, signora Michela, se succede qualcosa, è meglio dover pagare o di
tasca propria o essere rimborsati? E' d'accordo che, se una situazione di
rischio si verifica, chi non è assicurato deve sopportare un costo? Secondo
lei è vero che ognuno dovrebbe preoccuparsi sempre di spendere il meno
possibile?»
Ogni quattro o cinque domande chiuse, è bene inserirne una di aperta, per
dare un po' di respiro al cliente. Per domanda "aperta" intendiamo una
cui non sia possibile rispondere semplicemente scegliendo fra due
alternative. Per esempio si potrebbe a questo punto chiedere: «Qual'è il
suo parere sul risparmio, signora Michela?»

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Poi si riparte con una seconda serie di domande chiuse. Per esempio: «E'
vero o non è vero che un sacco di persone ritengono utile assicurarsi?
Dobbiamo pensare che siano tutti privi di buon senso, o è più giusto
affermare che evidentemente esistono molti casi particolari in cui le
assicurazioni si rivelano oggettivamente utili? Possiamo concludere che
esistono al mondo delle situazioni in cui assicurarsi è conveniente?
Preferisce allora arroccarsi dietro un rifiuto di principio, o è più saggio
vedere serenamente se il suo caso rientra o no fra quelli in cui le
assicurazioni sono oggettivamente utili?»
— Queste domande me le devo imparare a memoria.
— Non è necessario. Devi invece imparare bene la tecnica che serve a
portare gli assertivi in pensiero scientifico: ricorda, domande chiuse, a
sequenze di quattro o cinque domande, sempre attendendo la risposta del
cliente prima di passare alla domanda successiva. Se al posto della
domanda chiusa tu utilizzassi un'affermazione con lo stesso significato,
non otterresti nessun risultato.
— Tutto questo, se il cliente è in pensiero pratico, come lo era Michela.
Ma ora mi chiedo: non potrebbe darsi che, quando Cappelletti tornerà da
Michela, la trovi in pensiero logico?
— E' possibilissimo, anche se non molto probabile. In questo caso tutto
ricomincerà da capo. Cappelletti dovrà ripetere tal quale la trattativa già
svolta, e otterrà risultati assai migliori. Se invece si limiterà (come alcuni
venditori fanno) a presentare "la soluzione", farà fiasco anche questa
volta, perché non si possono vendere soluzioni se non è emerso prima un
problema.
— Ma com'è fatto questo pensiero logico? Perché solo il pensiero logico
può acquistare soluzioni, e perché il pensiero logico può acquistare solo
soluzioni?
— Il pensiero logico è fatto di due parti: analizzare e collegare, come si
era già visto nel grafico delle dimensioni di pensiero, nel capitolo 3°.
— Che cosa significa "analizzare"?
— Significa concentrare l'attenzione su singoli particolari della
situazione, ritenuti importanti.
— Per esempio, analizzando se una certa camicetta sta bene con una certa
gonna, prima guardo se sono dello stesso tipo (cioè entrambe eleganti o
entrambe sportive), poi vado alla luce e guardo se i colori si intonano, poi
concentro la mia attenzione sui disegni delle stoffe, decidendo per
esempio che una camicia a righe richiede una gonna a tinta unita.
— Se fai così, ragioni appunto in pensiero logico. Se invece operassi la
tua scelta con un'unica occhiata complessiva, senza soffermarti sull'uno o
l'altro dei particolari, vorrebbe dire che staresti usando il pensiero
pratico.

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— Ho capito. Ma perché ha usato il termine "concentrare l'attenzione"?
— Perché nessuno mai concentra la propria attenzione su "tutto" quello
che i propri sensi stanno percependo in quel momento. Occorre in
qualche modo operare una scelta. Tutti e tre i tipi di pensiero operano
delle scelte, ma lo fanno in modo diverso. Il pensiero logico decide
coscientemente su che cosa concentrare l'attenzione, scegliendo una per
una le cose ritenute importanti, e concentrando l'attenzione su di esse, una
per una, una dopo l'altra nel tempo.
— Per "cose importanti" che cosa si intende? Le percezioni che riceviamo
attraverso i cinque sensi?
— Sì, ma non solo quelle. Ci sono anche le esperienze e le conoscenze. Il
pensiero logico conserva le esperienze e le conoscenze sotto forma di
regole. Analizzare significa scegliere le percezioni da tenere in
considerazione e le regole da utilizzare.
— E "collegare" che cosa significa?
— Collegare significa mettere insieme percezioni e regole prescelte per
arrivare a delle conclusioni.
— Mi può fare un esempio?
— Un esempio molto noto di collegamento logico (già gli antichi Greci
l'avevano scoperto) è il "sillogismo". Esso, date due affermazioni,
consente di ricavarne una terza. Gli antichi Greci erano soliti fare questo
esempio: essi sapevano che Socrate è un uomo, e sapevano anche che tutti
gli uomini sono mortali; ebbene, da queste due affermazioni si può
ricavare che Socrate è mortale. Gli antichi greci chiamarono appunto
"sillogismo" il processo mentale che consente di ricavare la terza
affermazione dalle prime due.
Attraverso tanti sillogismi (cioè ragionamenti simile a questo) e ad altri
collegamenti elementari di minore importanza, il nostro pensiero logico
"collega" le cose, pervenendo a delle conclusioni.
— La strategia che mi ha insegnato Cappelletti nella sua lezione (quella
che c'è nel capitolo 8°, tanto per intenderci), va bene con i clienti in
pensiero logico?
— Certo che va bene. e adesso ti spiego perché. Che cosa ti ha suggerito
di fare, Cappelletti, nella prima parte della trattativa?
— Di fare un certo numero di domande, che riguardino:
a) la situazione in cui il cliente si trova;
b) la situazione in cui il cliente si potrebbe trovare, se acquistasse;
c) i disagi causati dal fatto che il cliente si trova nella situazione a),
anziché in quella b).
— Molto bene. Con queste domande costringerai il cliente a concentrare
l'attenzione su un certo numero di fatti importanti, uno alla volta.

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— E questo non è altro che quello che prima avevamo chiamato
"analizzare".
— Brava. Con le tue domande costringi il cliente ad analizzare. E questo
naturalmente può avvenire solo se il cliente sta usando il pensiero logico,
dato che analizzare fa parte del pensiero logico. E ora dimmi: fino a che
punto prosegui con le domande?
— Fino al punto in cui lui collega, cioè mette insieme il tutto e capisce
che ha un problema.
— Bravissima. E poi cosa fai?
— Ricomincio a farlo analizzare. Gli faccio altre domande perché
concentri la sua attenzione sui disagi che è (o sarà) costretto a soffrire se
non risolve il problema, ovvero sui "costi" generati dal fatto di non aver
risolto il problema. Inoltre dovrò usare altre domande per obbligarlo a
concentrare l'attenzione su alcune regole di vita a lui ben note: per
esempio che conviene spendere 10 oggi per risparmiare 100 domani,
oppure che una persona intelligente previene i problemi anziché
risolverli, oppure che risolvere i problemi fa parte del suo ruolo, oppure
che lui è responsabile del benessere dei suoi figli, o insomma qualunque
regola di vita che mi possa tornar utile.
— Bravissima. E fino a quando continui con tutte queste domande?
— Fino a quando lui non riesce a collegare le cose fra di loro, e giungere
alla conclusione che lui si trova nell'assoluta necessità di far qualcosa, e
subito, per risolvere il suo problema.
— Sei una cannonata, Gilda. Allora tutto ti è chiaro adesso?
— C'è una cosa che non capisco. Perché Cappelletti raccomanda tanto di
ottenere degli impegni, da parte del cliente, prima di presentare la
soluzione? Visto che noi abbiamo delle ottime soluzioni, intendo dire,
l'averle ben valutate non aiuterebbe il cliente a prendere la decisione
d'acquisto?
— Il pensiero logico procede in passi successivi quando deve prendere
delle decisioni. Analizza, poi collega, eventualmente analizza ancora e poi
collega ancora, e attraverso tutto questo giunge a scegliere che cosa è
meglio fare. A questo punto si chiede quando è meglio farla. Infine la fa.
Ma in questi passi successivi cambia, e di molto, la parte emotiva che
accompagna il ragionamento. All'inizio, quando si percepisce il problema
ma si ignora la soluzione, c'è una forte carica emotiva, data dalla
preoccupazione. Quando si trova la soluzione, la carica emotiva scende
molto, in quanto la situazione appare sotto controllo (anche se non ancora
risolta). Così, quando è il momento di fare, il pensiero logico spesso
giunge alla conclusione che "bisognerebbe fare così e così", ma che in
fondo non c'è fretta; anzi, un attimo di attesa può aiutare a perfezionare la
soluzione stessa.

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Il pensiero logico è un pensiero molto attivo quando si tratta di percepire
problemi e trovare soluzioni. E' molto meno attivo quando si tratta di
agire.
Se il tuo cliente ragiona in pensiero logico, il rischio che corri è che egli
riconosca che la soluzione è buona, ma che poi trovi una scusa per
rimandare il momento dell'acquisto (per esempio dicendo che ne deve
parlare con sua moglie, oppure che attende un incasso che deve arrivare a
giorni, o altre cose del genere). Tu te ne vai via pensando: «Oggi non ha
acquistato ma l'ho convinto, alla prossima visita comprerà di sicuro» e ti
senti il contratto in tasca, e poi il cliente invece continua a rimandare. Tu
non capisci perché, visto che non contesta per niente la bontà della
soluzione. Tu continui a visitarlo, e lui ha sempre un nuovo motivo per
rimandare. Risultato: gran tempo perso e nessun contratto firmato.
— Se penso a quante volte mi è successo, mi vengono i brividi. Avevo
sempre pensato che il cliente fosse un indeciso.
— E lo è, un indeciso. Quello che occorre sapere è che se vendi soluzioni
tratti con persone che ragionano in pensiero logico, e che le persone sono
sempre un po' più indecise quando ragionano in pensiero logico.
— E si può fare qualcosa?
— Certo che si può, anzi, si deve. Bisogna mettere fieno in cascina
quando la tensione emotiva è ancora alta: cioè prima che si conosca la
soluzione. Prima di dire la soluzione al cliente, bisogna ottenere dal
cliente un esplicito accordo almeno su quanto segue:
1) che il problema è grave e che non si può fare a meno di fare qualcosa,
2) che il tuo cliente è in grado di decidere da solo, senza dover consultare
altri,
3) che il tuo cliente prenderà una decisione definitiva (sì o no) subito,
appena sentita la soluzione proposta.
E' poi molto utile raggiungere ulteriori accordi, sempre prima di dire la
soluzione: per esempio, convenire che la soluzione sarà senz'altro
giudicata accettabile se costerà «meno di tot» (cioè meno di una certa
cifra concordata col cliente).
— E come si fa a raggiungere questi accordi?
— Con le cosiddette "prechiusure", cioè frasi che comincino con «se
troveremo una buona soluzione» o qualcosa del genere. Per esempio:
- Possiamo affermare, signor cliente, che il problema è grave e che, se
troveremo una buona soluzione, vale la pena di decidere subito?
- Se troveremo una buona soluzione, deciderà lei da solo o dovrà
consultare altre persone?
- Se troveremo una soluzione che costi meno di tot, ammesso che
riusciremo a trovarne una con un costo così basso, posso contare su un
suo acquisto certo?

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— E se mi dice che dovrà consultarsi con sua moglie?
— Devi fissare un appuntamento alla presenza di entrambi, e non dare
nessuna soluzione.
— Ma il cliente mi dice di indicargli intanto la soluzione, e che lui la
riferirà alla consorte.
— Scusa, ma è il cliente che deve convincere te o sei tu che devi
convincere lui? Devi spiegare al cliente che tu devi trovare una soluzione
apposta per loro, e che comincerai a cercarla solo quando il problema è
completamente definito, incluso il parere della moglie. Un ingegnere può
progettare un ponte solo quando conosce come sono fatte entrambe le
sponde del fiume, e non una sola. E così devi fare tu, prima di progettare
la soluzione.
— Concludendo, dire la soluzione solo dopo aver avuto un «sì» a tutte le
prechiusure.
— Esatto. Per quanto possa sembrare strano, il cliente in pensiero logico
prende la fondamentale decisione di acquisto prima di conoscere la
soluzione, e non dopo.
— Lei mi ha convinto che la strategia di vendita di soluzioni, così come
me l'aveva illustrata Cappelletti, va benissimo se il cliente ragiona in
pensiero logico. Ma perché invece non va bene se il cliente ragiona in
pensiero pratico?
— Il pensiero pratico, quando vede una situazione nuova, la classifica
come simile a situazioni già incontrate e già provviste di "istruzioni per
l'uso". In questo modo decide che cosa fare anche nella situazione nuova.
Pensiero, classificazione e decisione d'azione sono di fatto contemporanei,
e quindi incompatibili con un processo che invece pretenderebbe prima di
farlo riflettere fino a riconoscere un problema, poi fargli trovare una
soluzione, il tutto in tempi successivi e ben distinti.
— Maremma maiala! Finora avevo considerato la Cinematica della
Genialità come una cosa divertente e curiosa. Ma comincio a rendermi
conto che è una cosa dannatamente importante.
— Per un venditore, è forse la cosa più importante che si sia scoperta in
questo secolo.
— E che cosa succede quando avviene l'inverso? Quando cioè il venditore
tenta di vendere prodotti a un cliente in pensiero logico?
— E' un caso ancora più frequente: i venditori che sanno vendere solo
prodotti sono infatti più numerosi di quelli che sanno vendere solo
soluzioni.
— La mia azienda insegna a vendere soluzioni.
— Probabilmente, lo fa proprio considerando che i venditori che sanno
vendere soluzioni sono più rari di quelli che sanno vendere prodotti.

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— Okay. Torniamo a noi. Che cosa succede se il venditore cerca di
vendere prodotti a un cliente in pensiero logico?
— Anche in questo caso, ahimè, le cose vanno altrettanto male. Ora ti
spiego perché.
I prodotti sono apprezzati in quanto servono a qualcosa (e questo implica
che si sappia per che cosa sono utili). Quando proponi un prodotto, tu
proponi contemporaneamente «ciò che fornisce l'utilità» e
(implicitamente) «a che cosa serve», mentre il pensiero logico vuole
esaminare le due cose in tempi successivi: prima «a che cosa serve» (il
problema) e solo poi (dopo aver ampiamente constatato l'esistenza del
problema) «ciò che fornisce l'utilità» (la soluzione). C'è quindi una
evidente difficoltà di comunicazione se non si rispetta tale desiderio.
Ma c'è anche di peggio. Si è visto prima che il cliente in pensiero logico
prende la sua decisione di agire quando conosce il problema ma non
ancora la soluzione. Proponendo le due cose insieme, il pensiero logico
del cliente non ha più a disposizione il tempo per decidere di agire. Per
questo motivo, il pensiero logico non è in grado di acquistare prodotti.
— Ma queste sono le tombe della vendita!
— Hai detto bene. Si perdono più vendite per questi motivi che per tutti
gli altri messi insieme. E pensa che abbiamo esaminato solo il pensiero
pratico e il pensiero logico, ma c'è anche quello creativo.

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CAPITOLO 11°

Anche il professor Gatto sbaglia


La creatività: come produrre buone idee
La psicologia del cliente creativo
Rendere il cliente protagonista
Pure Gilda a Vicolungo

— Come sta Simone? — chiese il professor Gatto in una pausa dei lavori.
— Bene. E' a Vicolungo, adesso, ad aprire una nuova filiale per la sua
azienda. Sono andata a trovarlo un paio di volte: mi sembra che stia
facendo un ottimo lavoro. Ha trovato dei venditori giovani e grintosi,
adesso li sta addestrando. Non appena troverà un buon capo filiale, potrà
ritornare alla base.
— Mi fa piacere sentire che le cose vanno bene. Simone è un ragazzo in
gamba, merita successo.
Nel sentire nominare Simone, Gilda si distrasse, più o meno come colui
che, mentre sta studiando per preparare l'esame di matematica, scopre che
alla radio stanno dicendo i risultati delle partite.
Il professor Gatto capì che conveniva attendere qualche minuto, prima di
proseguire con la sua lezione, altrimenti nella testa della sua allieva
sarebbe rimasto ben poco.
— Senti un po', — propose il professore — ho del salame ben stagionato
che ho fatto io, in cantina. Ne vuoi qualche fetta? C'è anche dell'autentico
pane di segale.
— Per essere perfetto, ci vorrebbe un buon bicchiere di barbera accanto
— fu la pronta risposta di Gilda.
— Finalmente una ragazza moderna che non apprezzi solo gli
hamburgher e le cole! Vengo subito con una bottiglia degna di te — disse
il professor Gatto sparendo giù per le scale.
Dopo poco i due erano intenti ad armeggiare con le mandibole, e la
visione della vita progressivamente migliorava. Non è facile, così a prima
botta, fare una classifica degli attrezzi più utili all'uomo, ma non c'è
dubbio che le mandibole vanno annoverate nelle primissime posizioni.
Il professor Gatto aveva selezionato una bottiglia di vino veramente
eccezionale. Egli era felice quando gli capitava d'aver gente giovane per
casa, e quasi si emozionava.
Riempì due bicchieri di barbera, e si alzò di scatto per un brindisi. Alzò il
calice, ma inavvertitamente vi intinse dentro la cravatta nuova, che
divenne tutta rosso vinaccia.

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Sono quelle cose che accadono ai geni, e anche alle persone normali. Ma
c'è una grande differenza fra gli uni e le altre: i geni, quando cominciano
a combinare pasticci, non la smettono più.
Il professore, per rimediare, posò infatti il calice sul tavolo, cosicché la
cravatta, rimasta libera, potè a sua volta andare a posarsi sulla camicia,
colorando di rosso vinaccia anche quella.
Nel tentativo di fermare lo scempio che la cravatta stava poi facendo sul
panciotto di lino celeste (celeste all'inizio, adesso non si può dire) diede
una gomitata alla bottiglia, e sporcò di vino tutto il tavolo.
Allora mise in salvo il suo bicchiere sulla sedia, e prese dei giornali
vecchi e li mise sul tavolo, per assorbire il vino. Il professor Gatto
cominciò a pensare che doveva stare attento, per non macchiarsi gli abiti
ancora di più. Cosicché, venuto il momento di togliere dal tavolo i
giornali inzuppati, per non sporcarsi, indietreggiò accuratamente un poco,
lasciando il giusto spazio. Naturalmente, così facendo urtò la sedia,
facendo cadere il bicchiere pieno, che fortunatamente non si ruppe.
Sempre più in affanno, tolse allora il bicchiere dalla sedia, e lo appoggiò
sul tavolo, che era ormai ragionevolmente asciutto. (E' difficile, così a
prima botta, stabilire i posti migliori per appoggiare i bicchieri, ma non
v'è dubbio che i tavoli siano meglio delle sedie.)
Il professor Gatto era lanciato, e nulla poteva ormai distoglierlo dal suo
brindisi: il piacere di avere intorno una ragazza bella come Gilda andava
commemorato degnamente. Per cui il professore riempì un altro
bicchiere (o meglio, lo riempì a metà, ché di vino ne era rimasto tanto
dappertutto, ma poco nella bottiglia) e lo alzò con un fragoroso evviva.
E finalmente, soddisfatto, si sedette sulla sedia, zuppa di vino.
Gilda, nel frattempo, era finita sotto il tavolo dal gran ridere. Non si
aspettava una scena del genere da una persona sempre perfettamente
equilibrata come il professor Gatto.
Goccia dopo goccia, gli ultimi residui di barbera le finivano addosso. Ma
lei era in jeans e maglietta, e la cosa non era grave.
— Dovevamo parlare del pensiero creativo — disse il professor Gatto,
dopo aver sostituito l'abito color celeste con un gessato bordeaux (non si
sa mai...).
— Se creatività è sinonimo di follia — osservò Gilda — bisogna
ammettere che è il momento giusto.
— Il pensiero creativo non appartiene certo ai folli, o almeno non vi
appartiene più degli altri due. Il pensiero creativo è un terzo modo con
cui il cervello umano organizza le sue risorse per produrre decisioni e
azioni. E' bene precisare che tutti e tre i pensieri sono di ugual valore,
non ce n'è uno che possa essere giudicato migliore o peggiore degli altri.

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Il pensiero creativo è un infaticabile produttore di idee. Esso è fatto di
due parti: scoprire e inventare.
"Scoprire" significa vedere le cose da punti di vista diversi, alla costante
ricerca di un modo anticonvenzionale di interpretare le cose, con
l'obiettivo di giungere a conclusioni impreviste ma utili.
— Si potrebbe fare qualche esempio di questo pensiero in azione?
— Un primo esempio si ha quando l'uomo cerca di rompere gli schemi
del «si è sempre fatto così». Per esempio, per secoli gli industriali hanno
dovuto risolvere il problema di riuscire a vendere quello che
producevano. Poi qualcuno ha pensato che bisognava produrre quello che
si vende, e sono nate le ricerche di mercato sulla base delle quali si decide
che cosa produrre.
Un altro esempio famoso è quello di Denis Papin. Tante persone prima di
lui avevano osservato una pentola che bolle con il vapore che solleva il
coperchio, ma evidentemente avevano esaminato la cosa solo dal punto di
vista culinario. Papin invece intuì che una forza che sposta un coperchio
può spostare anche qualcosa di più importante: e inventò la macchina a
vapore.
Anche l'umorismo è dovuto alla funzione "scoprire". Infatti esso è molto
spesso basato sul fatto che gli stessi fatti, interpretati da punti di vista
diversi, portano a conclusioni diverse, una delle quali è quella "normale",
e l'altra è buffa, oppure fortemente imprevista.
— "Scoprire" porta quindi a nuove idee.
— Certamente, ma sempre partendo da una serie di informazioni già
note, che vengono viste da punti di vista originali.
"Inventare", invece, è un processo che genera idee nuove e corrispondenti
azioni. Quando si inventa, le idee prodotte non hanno molti punti in
comune con le idee precedenti, o comunque presentano almeno un
elemento decisamente nuovo.
— Ma tutte queste idee prodotte sono anche "buone" idee?
— Non sempre.
— E allora bisognerà valutarle, cioè scegliere quelle da tenere e quelle da
abbandonare.
— E qui sorge la difficoltà. Perché il giudizio é nemico della creatività.
— In che senso?
— Si osserva sperimentalmente che tutte le volte che qualcuno emette dei
giudizi, in una certa situazione, diminuisce la sua facoltà di produrre idee.
La cosa si può spiegare considerando che un giudizio definisce come
cattive certe idee, e automaticamente definisce un'area dove non bisogna
cercare idee.
— Spiegati meglio.

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— Supponi di avere un negozio, e di guadagnarti da vivere in esso. Se ci
sono pochi clienti che vengono nel tuo negozio, e tu dici che questa
situazione è "brutta", cercherai solo idee per far venire più persone nel
tuo negozio. Non ti verrà mai in mente, invece, di sviluppare idee per
diminuirle.
— Diminuirle ancora di più? Mi sembra proprio un'idea pessima.
— Eppure, ci potrebbero essere delle idee che sono buone pur facendo
diminuire i clienti che vengono nel tuo negozio. Ma il giudizio che hai
appena dato ti impedirà di trovarle.
Il pensiero creativo, invece, deve la sua forza al fatto che cerca idee
nuove dappertutto. Per esempio, visto che pochi clienti entrano nel tuo
negozio, potresti pensare di portare il tuo negozio dai clienti. E' così che
si sono inventate le vendite per corrispondenza.
— E' vero, se decido di vendere per corrispondenza i clienti che vengono
nel mio negozio probabilmente diminuiscono. Eppure è un'idea da
prendere certamente in considerazione.
— Visto?
— Cosicché, per avere idee è meglio non giudicare? E allora come fa il
pensiero creativo a scegliere le idee da tenere e quelle da abbandonare?
Forse che non opera scelte?
— Non è esatto. Il pensiero creativo valuta le idee, ma anziché farlo
razionalmente, lo fa emotivamente. Alle persone creative piacciono le
idee che sono ricche di emozioni: ma non tutte le emozioni, bensì una
particolare categoria di emozioni, chiamate «egoemozioni».
— Egoemozioni? E che cosa vuol dire?
— Emozioni "centrate sull'io".
— Si può fare qualche esempio?
— Certamente. Appartengono alla categoria delle egoemozioni: il sentirsi
importante, il sentirsi al centro dell'attenzione, la sensazione di avere
potere, il prestigio, il veder affermate le proprie idee, il realizzare un
sogno antico, il successo, il riconoscimento del successo, il sentirsi
un'eroe, fare il protagonista, essere l'elemento chiave, il competere per
vincere, la conquista dell'altro sesso.
— Veniamo al sodo. Il cliente in pensiero creativo che cosa acquista?
— Il cliente in pensiero creativo sviluppa delle idee e cerca di realizzare
quelle che gli sembrano ricche di egoemozioni.
In pratica, egli comprerà i tuoi prodotti:
- se li ritiene utili per poter sviluppare realizzare e affermare una sua
idea;
- se mediante l'acquisto egli ritiene di potersi procurare prestigio,
successo, o un'altra delle egoemozioni sopra citate;

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- se, nel momento in cui acquista, il farlo lo fa sentire importante, o lo fa
sentire un eroe, o lo fa sentire protagonista, eccetera.
In termini tecnici, diciamo che il cliente in pensiero creativo acquista uno
«strumento assecondante», cioè uno strumento che gli procura delle
egoemozioni. Voglio essere ben chiaro su questo punto: il cliente vuole
l'egoemozione, acquista lo strumento solo perché questo è l'unico mezzo
di procurarsi l'egoemozione.
— Vendere emotivamente mi lascia sempre un po' perplessa: ho paura
che il cliente poi rimanga insoddisfatto. Ne avevamo già parlato, però...
— Come avevo già spiegato la prima volta che ci siamo visti (nel capitolo
3°, tanto per intenderci), non c'è nulla di male a vendere egoemozioni:
anzi, sarebbe un pessimo servizio per il cliente se tu gli vendessi qualcosa
di diverso, se egli desidera egoemozioni. E' infatti scientificamente
provato che le egoemozioni sono assolutamente indispensabili per l'uomo,
un vero nutrimento per la salute psicologica. Se hai qualche dubbio in
proposito, leggiti i libri di Maslow o di Dyer, tanto per citare i più noti.
— Quindi lei dice che il cliente rimarrà soddisfatto nel tempo...
— Certo, molto soddisfatto. Ne vuoi una prova? C'è un oggetto in casa
tua, cui sei particolarmente affezionata, e cui non rinunceresti per nessuna
ragione?
— Sì. Oreste.
— Oreste?
— Oreste. E' un piccolo orso di pelouche. L'ho acquistato tre anni fa
perché mi ricordava Ciro. Ciro era un ragazzo di quattordici anni, che io
amavo follemente quando io ne avevo dieci. Oreste ha i capelli arruffati
identici a quelli di Ciro, e anche la forma degli occhi è la stessa.
— Bene. Quando l'hai acquistato, in che pensiero eri?
— Non mi ricordo di certo, Sono passati tre anni.
— Andiamo per esclusione. Hai forse pensato dentro di te: «Ho bisogno di
un orso di pelouche, e, dovendone acquistare uno, comprerò Oreste,
perché ha il vantaggio supplementare di ricordarmi Ciro?» Se hai pensato
questo, vuol dire che eri in pensiero pratico.
— No, in realtà non avevo nessun bisogno di un orso di pelouche. L'ho
comprato perché mi ricordava Ciro.
— Allora hai forse pensato: «Ho il problema di ricordarmi di Ciro. Non
vorrei dimenticarmi di lui o scordare anche solo la forma dei suoi occhi e
dei suoi capelli. Ma per fortuna c'è una soluzione: compero Oreste e non
me ne dimenticherò più.» Se questa era la tua motivazione d'acquisto,
allora eri in pensiero logico.
— Non era certo così — disse ridendo Gilda. — Per esclusione, dovevo
essere in pensiero creativo. Ma non capisco bene che egoemozione ho
comprato. Un ricordo è anch'esso una egoemozione?

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— In un certo senso, Oreste ti faceva sentire ancora Ciro vicino, e questo
ti faceva sentire importante, non abbandonata da lui, ancora protagonista
di una competizione amorosa che si può ancora vincere.
— Ma è un'illusione.
— Il fatto che ci sia sotto un'illusione non ti ha impedito di restare
soddisfattissima nel tempo dell'acquisto di Oreste. E non credere di essere
l'unica: tutti noi abbiamo in casa un "Oreste", un qualcosa che ci ricorda
qualcuno. E questo è solo uno dei tanti esempi di acquisti fatti dal nostro
pensiero creativo.
La conclusione, però, vale anche per tutti gli altri acquisti: in genere
restiamo contentissimi nel tempo quando abbiamo acquistato strumenti
assecondanti. Saranno "illusioni", come dici tu, ma quasi sempre danno
molta più felicità degli acquisti "razionali". Il cliente, come tutti, vuole
esser felice, e apprezza il venditore che gli ha fornito questo rarissimo
ingrediente della vita.
— Così, vendendo strumenti assecondanti, farò felice il mio cliente ed
egli mi resterà fedele nel tempo.
— Alt. La fedeltà d'acquisto è una cosa assai diversa dalla soddisfazione
d'aver acquistato. Il cliente che ha acquistato in pensiero creativo è
soddisfatto, facilmente ti manderà altri clienti parlando bene di te, ma non
è per nulla fedele.
— Quale è il più fedele?
— Senz'altro il cliente che ha acquistato in pensiero logico. Chi acquista
soluzioni, rimane psicologicamente legato al professionista che gli ha
trovato le soluzioni stesse.
Segue in classifica, ma con grande distacco, il cliente in pensiero pratico.
Egli torna dallo stesso fornitore per abitudine e anche perché così sa che
non avrà brutte sorprese, ma lo abbandona senza alcuna remora
psicologica se si convince che un altro gli fa un'offerta migliore.
Il cliente in pensiero creativo è un'autentico farfallone. Non dimenticare
che egli non ha comperato i tuoi prodotti, bensì le sue idee, di cui i tuoi
prodotti sono stati per qualche momento un'ingrediente indispensabile.
Egli pertanto rimane fedele al fornitore delle idee (cioè se stesso) e non al
fornitore dei prodotti (cioè tu).
— Il cliente creativo ha uno svantaggio: è meno fedele. Presenta però
anche dei vantaggi?
— Sì. Fra tutti, il cliente creativo è quello che ha più voglia di acquistare.
— Perché? Qual è il suo processo mentale?
— Il suo processo mentale è questo. Egli osserva la tua offerta, per
esempio un'assicurazione, e vi mantiene l'attenzione per poco tempo (il
pensiero creativo è molto veloce, in poco tempo sviluppa una gran

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quantità di pensiero). Contemporaneamente attiva le sue dimensioni di
pensiero: inventare e scoprire.
Se inventa un'idea per cui la tua offerta rappresenta una componente
indispensabile, vuol comprare. Se sviluppa idee con le quali le tue
proposte non c'entrano niente, non comprerà nulla.
Se scopre, vedendo le cose da punti di vista insoliti, che la tua
assicurazione è fonte di egoemozioni, allora vuol comprare. Altrimenti,
non vuol comprare.
— Quest'ultimo punto non mi è chiaro.
— Il modo di vedere le cose più usuale, nei confronti di un'assicurazione,
è: «l'assicurazione serve a assicurare». Il pensiero creativo è poco
interessato a questo modo di vedere le cose (proprio perché essendo
usuale risulta meno divertente), e ne cerca degli altri.
Per esempio, potrebbe venirgli in mente che «un'assicurazione serve a
dimostrare il proprio eroismo»: il padre, a fronte di un sacrificio
finanziario considerevole, assicura il benessere dei propri figli fino alla
maggiore età. Se gli viene in mente una cosa del genere, è molto facile
che voglia comprare.
— E non si potrebbe dirglielo che l'assicurazione serve a essere eroi?
— Ahimè no. Deve essere un'idea sua, se l'idea è di un'altro passa la
voglia di comprare.
— Ma in compenso, se ho ben capito, se l'idea è sua, la voglia di
comprare è molto forte.
— Talmente forte, che il cliente creativo è disposto a comperare anche a
prezzi molto elevati. Del resto, una corretta valutazione del prezzo può
essere fatta solo con giudizi razionali, mentre il pensiero creativo, che
valuta emotivamente, considera il prezzo una cosa del tutto secondaria.
— Chiaro.
Si era fatto tardi, ma Gilda non se ne accorgeva. E non se ne accorgeva
neanche il professor Gatto, che era sempre entusiasta di comunicare le sue
conoscenze. Il lettore attento avrà anche capito perché: mentre insegna, il
professore si sente attivo e protagonista, perciò è disposto a pagare anche
un prezzo alto, in termini di fatica e di tempo. Se i venditori si
ricordassero sempre di rendere il cliente un po' più protagonista,
otterrebbero da lui molto di più.
Ma si era fatto tardi, e venne il tempo dei saluti.
— Quando posso tornare da lei? — chiese Gilda.
— Quando vuoi — rispose il professore. — Ma, forse, a questo punto ti
converrebbe frequentare un vero e proprio corso su queste cose. Ce n'è
uno ottimo che si intitola «Genialità nella Vendita» e che si tiene fra pochi
giorni a Vicolungo. Fra i docenti ci sarà anche l'ing. Luciano Biondo, il

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direttore dell'équipe che ha scoperto la Cinematica della Genialità. Ti
consiglio di frequentarlo.
— A Vicolungo ha detto? Ci andrò di sicuro.

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CAPITOLO 12°

Il rasoio elettrico è una grande invenzione


Come vendere gli "strumenti assecondanti"
Tecnica di vendita in pensiero creativo
L'alibi logico
Suscitare desiderio con una storia

Ignaro di quello che il destino gli stava preparando, Simone si alzò quella
mattina di ottimo umore. Aprì la finestra, e si mise ad ammirare la
bellezza del lago nelle prime luci del mattino. Era una splendida giornata,
come spesso a Vicolungo, località dal clima invidiabile, e dov'è facile, per
il turista, avere la fortuna di una giornata di sole. Era il 31 del mese, di
un ottimo mese. Tutti i mesi dovrebbero essere così.
Il lavoro stava andando bene. La filiale della Poliufficio 2000 era bella ed
elegante, e questo l'aveva non poco aiutato a reclutare i venditori giusti: si
sa, la cura dell'estetica è molto importante in svariate situazioni. (No,
signor Bottilli, non si arrabbi!) Aveva formato un gruppetto di sette
giovani in gamba, e lui gli stava insegnando a lavorare in gruppo e a
vendere efficacemente, spiegando con chiarezza e bravura la Cinematica
della Genialità. (No, signor Bottilli, non si arrabbi!) Oggi avrebbe
spiegato le tecniche di vendita per il cliente in pensiero creativo,
completando così la prima parte del corso di introduzione dei neoassunti.
No, signor Bottilli, non si arrabbi! Il signor Bottilli, lettore residente a
Ivrea in provincia di Torino, sta borbottando da tempo, in quanto
sostiene, e ritengo giustamente, che uno non si alza di buon umore al
mattino solo perché il lavoro va bene. E' vero, signor Bottilli, quello era
solo il cosiddetto "alibi logico" (se vuol sapere che cosa vuol dire, legga
tutto intero il capitolo).
Il vero motivo per cui Simone si era alzato effervescente come una
bottiglia di champagne di gran marca, era quello più vecchio del mondo,
ma che tutti, prima o poi, riscoprono incredibilmente come nuovo:
l'esistenza dell'altro sesso.
Col quale altro sesso, indubbiamente, Simone pareva avere una fortuna
eccezionale. Gilda era proprio carina: era venuta due o tre volte a
Vicolungo apposta per trovarlo, e anche se in fondo l'avventura erotica
non aveva avuto ancora altri sviluppi, la partenza era sicuramente buona.
Ma poi, che fretta c'era di concludere con Gilda, quando uno si trovava
attorno Click? E se la trovava attorno dappertutto, sempre per caso.
Quando usciva dall'ufficio, la vedeva quasi ogni sera: sembra che ella
avesse un'amica che visitava spesso proprio lì di fronte. Al mattino, la

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incontrava andando a comperare il giornale: avevano evidentemente
l'abitudine di uscire alla stessa ora. A mezzogiorno, Simone preferiva un
veloce panino a un pasto più ricco, e si recava da Umberto, un locale
simpatico dove facevano dei panini favolosi: era più che giustificato che
anche Click si fornisse dal medesimo fornitore, ed era più che piacevole
scambiare due chiacchiere insieme. E infine, visto che tutti e due avevano
poche conoscenze sul posto, e che non si sapeva come passare le serate,
era ovvio passarle spesso insieme.
Insomma, Click era una vera manna piovuta dal cielo, e il destino
(pensava Simone) li faceva incontrare spesso.
Talvolta, poi, c'era un'occasione più ghiotta delle altre. Stasera, per
esempio, avrebbe portato Click a cena al Ristorante al Molo, locale assai
elegante e raffinato, e nell'occasione avrebbe cercato senz'altro di
intensificare il corteggiamento, con l'evidente scopo di raggiungere
risultati concreti.
Tutto allegro, Simone canticchiava facendosi la barba e, mentre le note
salivano forti e allegre al cielo, risultava l'unico elemento che stonava col
paesaggio idilliaco, o, per essere più precisi, che stonava e basta.
E' incredibile quanta gente al mondo crede di cantare meglio di Caruso o
di suonare come Paganini (che almeno aveva il pregio di non farlo due
volte) o di comporre parimenti a Mozart. Essi si riconoscono soprattutto
alle feste. Se voi date una festa in casa vostra, vi aspettate giustamente che
gli invitati portino qualche bottiglia di whisky o un regalo per i bambini.
E tutti, chi più o chi meno, arrivano infatti con un minuscolo pacchettino.
Finché non arriva "uno di quelli". Voi lo vedete arrivare con un'enorme
scatolone, e voi già gongolate e gli chiedete: «Che mi hai portato? Un
gelato gigantesco? Un trenino elettrico per Pierino? Un intero ramo di
orchidee? Due casse di vodka? Quattromila pasticcini?». Macché: ha
portato una chitarra. Adesso la serata è segnata: tutta la festa consisterà in
una sottile battaglia psicologica fra il maledetto, che attende che lo
invitino a suonare, e i rimanenti ventisei invitati, che faranno di tutto per
sbadatamente dimenticarsene.
Bisogna stare attenti, quando si invitano gli amici. Gli unici che si possono
invitare con una certa tranquillità sono quelli che suonano il pianoforte a
coda: di solito non se lo portano dietro. Ma appena lo strumento
diminuisce di dimensioni, aumenta il pericolo. I più terrificanti sono
quelli che si dilettano con la fisarmonica a bocca: possono introdurtela in
casa senza che tu nemmeno te ne accorga, e possa approntare qualche
difesa per tempo, per esempio chiedendo ai vicini di protestare per il
baccano al momento opportuno.
In fondo, i meno temibili sono proprio quelli che cantano facendosi la
barba: intanto le stonature sono coperte dal rumore del rasoio elettrico

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(grande invenzione, a pensarci bene!), e poi la barba del protagonista
finisce fortunatamente prima che ne venga troppa agli ascoltatori.
Quando Simone arrivò in ufficio, radunò i suoi sette collaboratori e diede
subito inizio alla lezione programmata.
— Quest'oggi parleremo dei clienti in pensiero creativo — disse Simone
introducendo i lavori, — ma prima desidererei vedere se ci sono
domande sulla lezione precedente, che riguardava la vendita di soluzioni
ai clienti in pensiero logico.
Seguì qualche istante di silenzio. Quando un dirigente chiede ai suoi
collaboratori se ci sono domande, l'unica domanda che passa per la testa
dei collaboratori è: «E perché mai proprio io dovrei fare una domanda?».
Essendo la domanda nella testa di tutti, ma non venendone affatto fuori a
voce alta, toccò a Simone di proseguire.
— Vediamo allora se qualcuno di voi sa dirmi alcune domande utili per
far emergere nel cliente problemi che noi potremmo risolvere con i
nostri computer e attrezzature per l'ufficio.
Ci fu un coraggioso che provò a parlare per primo.
— Per esempio... Quali attrezzature usate attualmente? Perché avete
scelto a suo tempo tali attrezzature? Come giudica il livello di efficienza
dell'ufficio? Quando qualcuno si lamenta delle attuali procedure, su che
cosa si appuntano le critiche? Qual è il parere dei dirigenti sull'attuale
produttività del lavoro?
— Che cosa ne pensano gli impiegati della possibilità di lavorare con
meno fatica? — aggiunse un altro. — Quali possibilità di miglioramento
avete scoperto? Che cosa state già facendo per aumentare l'efficienza?
— Che importanza date all'abbattimento dei costi? — intervenne un terzo.
— Ritenete possibile diminuire i costi del 10%? Perché? Se fosse
possibile, sareste disposti a fare un modesto investimento per raggiungere
tale risultato?
Ormai tutto il gruppo contribuiva, ed esponevano le domande che
ritenevano di poter correttamente utilizzare in una trattativa. Alcune
erano domande per scoprire la situazione attuale, altre per far emergere
una situazione desiderata, altre infine per far concludere che,
accontentandosi della situazione attuale, si avevano dei costi, che invece si
sarebbero potuti più intelligentemente evitare. E poi c'erano anche delle
domande che erano delle vere e proprie prechiusure, che, come si sa,
sono indispensabili quando si tratta con clienti in pensiero logico.
— Che cosa direbbe l'amministratore delegato se scoprisse che non si
sono tagliati i costi che si potevano tagliare? Se riuscissimo a dimostrare
che il risparmio sui costi che avverrà nei primi mesi sarà di almeno 100
bigliettoni al mese, sareste disposti a investire 500 bigliettoni?

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— Fino a che punto vi preoccupa il fatto che il vostro principale
concorrente stia ribassando i listini? Ritenete di poter abbassare i listini
anche voi senza diminuire gli utili? Quali azioni potrebbero esser fatte per
mantenere uguali gli utili pur con listini più bassi? Se ci fosse una buona
soluzione a questo problema, sareste disposti a prendere una decisione
immediata?
— Bene, bene — intervenne Simone. Vedo che avete le idee chiare.
Passiamo allora al cliente in pensiero creativo, quello che acquista
strumenti assecondanti.
Ci sono due livelli di abilità nel venditore di strumenti assecondanti.
Cominciamo a raggiungere il primo, cui dovrete arrivare tutti.
Successivamente vedremo le tecniche che solo i più bravi di voi
riusciranno a gestire bene.
Il cliente in pensiero creativo è un cliente che esamina la vostra offerta e
nel contempo produce idee.
Le sue idee possono essere di tre tipi:
1) idee che comportano la necessità di acquistare da voi;
2) idee che non hanno niente a che vedere con un eventuale acquisto;
3) idee che escludono la possibilità di acquistare.
Le idee del terzo tipo sono fortunatamente rarissime. Più frequenti quelle
del secondo tipo: il cliente ne produce una gran quantità, di solito
abbandonandole abbastanza rapidamente.
— Veniamo al sodo — disse il coraggioso. — Che cosa dobbiamo fare?
— Voi dovete conversare col cliente parlando sempre con molto
entusiasmo, e senza mai esprimere critiche o giudizi troppo decisi: questo
è infatti il miglior ambiente per suscitare la sua creatività.
Un po' parlerete voi, un po' parlerà lui. Non è necessario che seguiate un
filo logico molto preciso, anzi, è meglio se saltate un po' di palo in
frasca... senza esagerare, naturalmente. Il cliente creativo presta
attenzione al medesimo argomento per un tempo abbastanza limitato, per
cui non è male passare piuttosto rapidamente a un'altra caratteristica del
prodotto o addirittura a un altro prodotto o addirittura a un altro
problema...
— Mi scusi — chiese uno, — in questa fase dobbiamo parlare di prodotti
o di problemi?
— Vanno bene entrambe le cose, tanto è solo una fase preliminare,
durante la quale voi dovete preoccuparvi soprattutto di mantenere le
condizioni necessarie allo sviluppo della creatività: molto entusiasmo e
pochi giudizi.
— Fino a quando dura questa fase preliminare?
— Fino al momento in cui vi accorgete che il cliente ha pensato un'idea
che comporta la necessità di un acquisto.

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— Da che cosa ce se ne accorge?
— Dal fatto che il cliente comincia a pensare a qualcosa con una
concentrazione decisamente superiore a quella dimostrata fino a quel
momento. Di solito il suo sguardo si sposta e si fissa nel vuoto dietro di
voi, come accade spesso a coloro che stanno riflettendo. Comincia a fare
domande sulla vostra offerta. Non dovete aspettarvi molte domande, di
solito ne fa poche, ma ben precise, non di carattere generale, bensì su
specifici dettagli della vostra offerta. Un sintomo molto caratteristico (e
curioso) è che queste domande il più delle volte non riguardano quello di
cui stavate parlando, bensì l'argomento che avreste avuto in animo di
trattare fra cinque o dieci minuti.
— E che cosa dobbiamo fare quando osserviamo questi sintomi?
— Stare assolutamente zitti, limitandovi a rispondere alle sue domande, in
maniera breve ma tecnicamente perfetta ed esatta. Attenzione, si può
dover stare zitti anche per più di dieci minuti di fila.
La situazione è strana, perché il cliente sta zitto anche lui. Ma non
preoccupatevi, va bene così.
— Ma a che diavolo sta pensando, il cliente?
— Gli è venuta in mente un'idea per la quale la vostra offerta può
risultargli utile, e, se l'idea gli appare ricca di egoemozioni, vuol
realizzarla a tutti i costi. A questo punto egli cerca di convincersi che è
possibile realizzare la sua idea: è possibile in quanto la vostra offerta
consente appunto di realizzarla. In altre parole, egli cerca di convincere
se medesimo che la vostra offerta va bene e deve essere acquistata. Si
vende da solo, ed è per questo che vi consiglio di stare zitti: lui è molto
più bravo a convincere se stesso di quanto non possiate esserlo voi.
Alle volte pensa ad alta voce, e allora è ben chiaro quello che sta
succedendo; altre volte pensa mentalmente, e allora non saprete forse mai
quello che ha in testa. Ma l'importante non è saperlo, bensì aiutarlo ad
ottenere ciò che lui vuole.
— E perché ci fa delle domande ben precise?
— Mentre si vende, qua e là, gli mancherà la competenza tecnica
necessaria: per questo vi farà alcune specifiche domande, che riguardano
quelle informazioni che egli ritiene necessarie per convincere se stesso.
Naturalmente voi dovete fornirgli tali informazioni, ma solo quelle,
altrimenti lo confondete mentre egli sta costruendo un meraviglioso
discorso per convincere se stesso.
— Ma non potremmo aiutarlo a perfezionare le sue idee? O dargli
qualche consiglio su come fare? O mostrargli qualche vantaggio in più di
quelli a cui lui ha pensato?
Simone si spiegò con un paragone.

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— Avete mai visto un bambino che gioca alacremente con un giocattolo,
divertendosi molto? Ebbene, immaginate di portargli via il giocattolo per
spiegargli che non si gioca "così" ma "cosà", che le regole del gioco sono
altre, o che si divertirebbe molto di più se giocasse facendo come dite voi.
Quale sarebbe il risultato di questa vostra azione?
— Che smetterebbe immediatamente di giocare con quel giocattolo, e che
si cercherebbe qualcos'altro da fare — disse uno. — Io lo so bene, ho
quattro figli.
— Bene, il cliente farebbe la stessa cosa: perderebbe ogni interesse. E' lui
che deve "giocare" sviluppando idee e provando egoemozioni, non voi.
Non avete idea di quante vendite si perdano al mondo perché il venditore
ha voluto "giocare lui". Voi non fatelo. Dare un buon servizio significa
accontentare il cliente, non fargli vedere che voi siete bravi (cercando
quindi di mettervi voi al centro dell'attenzione, anziché lui).
— Allora dobbiamo proprio stare zitti, rispondendo solo alle domande?
— Sì, e stando bene attenti alle sue reazioni, perché fra non molto vorrà
comprare, e voi dovete essere pronti a sottoporgli il contratto.
— Questa regola di dire solo le informazioni richieste ha delle eccezioni?
— Una sola. Talvolta il cliente creativo ha bisogno di un "alibi logico", e
allora bisogna darglielo.
— Alibi logico? Che cosa vuol dire?
— Il cliente creativo vuole acquistare a seguito di motivazioni emotive.
Talvolta si rende conto che le sue motivazioni non sono razionali, e questo
può metterlo a disagio: perché da una parte vuole assolutamente
comperare, dall'altra non vuole dimostrarsi irrazionale di fronte a se
stesso.
Allora ha bisogno di trovare un motivo "razionale" per acquistare. In
realtà lui acquista per ben altri motivi, ma farà finta, di fronte a se stesso,
di aver acquistato per il motivo razionale, e non per quelli emotivi.
Questo motivo razionale lo chiamiamo "alibi logico". Sia il cliente sia il
venditore sanno benissimo che non è il vero motivo dell'acquisto, ma
entrambi fanno finta di credere che lo sia.
In molti casi il venditore deve fornire l'alibi logico. Deve proporre un
motivo razionale di acquisto, ma deve essere un'argomentazione
brevissima, che non necessita di essere spiegata, altrimenti si distrae il
cliente dalle motivazioni d'acquisto vere.
— Può fare un esempio?
— Quello che vi sto per raccontare mi è capitato il mese scorso. Un mio
vecchio cliente aveva visto un film con la sua attrice preferita. L'attrice
interpretava il ruolo di una segretaria, e nel film ella, avendo avuto due
diverse proposte di impiego, sceglieva di lavorare in un ufficio dotato di
apparecchiature modernissime. Quando il mio cliente ha visto il catalogo

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con le nostre macchine dell'ultima generazione, gli è venuto il desiderio
di avere un ufficio altrettanto moderno. Mi ha fatto diverse domande per
accertarsi che il computer che aveva intimamente già deciso di acquistare
fosse effettivamente "il più moderno" sul mercato. Ma poi stentava a
decidersi. Gli ho detto allora: «Tra l'altro questo è un buon momento per
acquistare, c'è il rischio di uno sciopero dei doganieri, e da quel momento
non potremmo più garantire consegne immediate», e lui si è deciso.
— Se ho ben capito questo è l'alibi logico — disse uno.
— La vera motivazione è che un computer moderno gli dava la
sensazione di poter assumere un giorno una segretaria bellissima —
aggiunse un secondo.
— Mentre il vantaggio di garantirsi le consegne immediate con una
decisione veloce costituiva l'alibi logico — precisò un terzo.
— E quando ho salutato il mio cliente — concluse Simone — gli ho detto:
«Lei sì che sa approfittare dei momenti favorevoli, chissà quante persone,
dopo aver firmato l'assegno, dovranno attendere un mese per avere il
loro computer, con evidente danno aziendale. Lei invece riceverà tutto
domani mattina.» In altre parole, ho fatto finta di crederci anch'io,
all'alibi logico.
— Una sola cosa ancora — disse uno dal fondo. Lei ha accennato prima
ad un secondo livello di abilità del venditore.
— Sì, il venditore più bravo non si limita ad attendere e riconoscere il
momento in cui al cliente viene un'idea che comporterà l'acquisto. Il
venditore più bravo riesce a provocare nel cliente creativo idee che
comportino l'acquisto e che siano ricche di egoemozioni.
— Bisogna suggerirgli tali idee? Forse dirgliele?
— Assolutamente no, perché devono essere idee sue, che sono venute in
mente a lui. Voi dovete provocargli le idee "giuste", ma non dirgliele, e
nemmeno far capire che gliele suggerite.
— E come si fa?
— Ci sono diversi sistemi.
— Ce ne suggerisca uno per cominciare.
— Voi sapete bene che, prima di entrare in trattativa col cliente, di solito
si spendono cinque o dieci minuti su argomenti che non hanno niente a
che vedere con la vendita, così, tanto per rompere il ghiaccio. Ebbene, in
questa conversazione preliminare si raccontano delle storie, che sembrano
non avere nessuna relazione con la vendita che seguirà, ma invece ce
l'hanno, e tendono a suggerire l'esistenza di egoemozioni.
— Ci faccia un esempio, se no non capiamo.
— Ecco. Supponete che entri da un cliente in pensiero creativo cui spero
di vendere un computer. Per rompere il ghiaccio parliamo (per esempio)
delle rispettive vacanze. A un certo punto dirò: «Quest'anno sono stato al

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mare a Spiaggiabianca. Ma non ci si può tornare. Posto bellissimo, per
carità. Ma sono i bambini che ci sono lì che non vanno bene. No, no, a
Spiaggiabianca non ci si può tornare.»
A questo punto mi fermo, e attendo che il cliente chieda «Come mai?» o
qualcosa del genere. E' essenziale che il cliente dimostri, intervenendo, di
essere al massimo dell'attenzione, altrimenti è inutile andare avanti:
vorrebbe dire che l'esca non sta funzionando.
Se il cliente si dimostra interessato, continuo. «I bambini d'oggi non mi
piacciono. Sono troppo legati agli status symbol. La maglietta deve essere
di quella marca, il giubbino di quell'altra, le scarpe di quell'altra ancora.
Chi non li ha, è fuori dal gruppo. Pensa che un giorno hanno organizzato
una partita di calcio: possessori di scarpe marca Tizio contro possessori di
computer marca Caio. Oddio, a me va anche bene questa moda perché io
campo vendendo proprio i computer Caio, ma è ingiusto che chi non ce li
ha non possa giocare a pallone. Così si vedevano i bambini esclusi che
andavano dal padre piangendo a chiedere perché loro non avevano le
scarpe Tizio, mentre i padri più fortunati si pavoneggiavano sotto
l'ombrellone con le signore dell'ombrellone accanto dicendo che loro la
moda la conoscono e hanno regalato ai figli gli oggetti giusti. No, no, non
vado più in un posto dove si discrimina per giocare a calcio.»
E' importante che il discorso finisca con un'affermazione che non ha
niente a vedere con i computer, per nascondere il vero scopo del discorso
stesso.
Poi si continua a parlare di vacanze per cinque minuti, poi si comincia a
parlare di computer, si lasciano passare altri cinque minuti e poi si
presenta la nostra offerta "famiglia felice", che, come sapete, mira a
vendere al padre un computer per il figlio.
Se l'esca ha funzionato, il cliente vedrà nel computer proposto uno status
symbol, senza che nessuno gliel'abbia detto esplicitamente, e uno
strumento per dimostrarsi un padre perfetto o per pavoneggiarsi sotto
l'ombrellone.
— Capisco. Mi sembra una tecnica difficile.
— E' difficile trovare delle storie molto buone, ma se ne trovi la tecnica è
più facile di quel che sembra. Ho incaricato la nostra agenzia pubblicitaria
di studiarne qualcuna, non appena saranno pronte le potremo utilizzare
tutti. Ma pensateci un poco anche voi, perché, ora che avete capito che
tipo di storie servono, l'idea buona può venire a chiunque.

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CAPITOLO 13°

C'è traffico verso Vicolungo


Che cosa c'entra la Moka Express?
Le incredibili specialità del cuoco Serafino
Qualcosa non funziona
Per fortuna Simone è rimbambito

— Hai visto il mio pacchetto di sigarette? — chiese il rag. Balla, che in


quel momento era alla guida della macchina che filava veloce verso
Vicolungo.
L'ing. Birillo mise una mano sotto il sedere, e ne tirò fuori un qualcosa
alto non più di un foglio di carta e perfettamente stirato.
— Le avevi messe sul mio sedile — disse porgendo il "qualcosa". Il rag.
Balla rifiutò l'oggetto. Improvvisamente, chissà perché, gli era venuto in
mente che era meglio fumare la pipa.
— E tu , hai visto i miei occhiali da sole? — chiese invece l'ing. Birillo.
Erano infatti appena arrivati in riva al lago, e il sole, riflettendosi
sull'acqua, feriva gli occhi.
— Erano sul mio sedile, ma io non sono sbadato come te, e prima di
sedermi li ho spostati — disse con evidente allusione il rag. Balla.
— E dove li hai messi?
— Sul tuo sedile.
— L'ing. Birillo mise un'altra volta le mani sotto il sedere, e ne estrasse
un ammasso di frammenti di vetro e plastica.
— Ma non guardi mai dove ti siedi? — ironizzò Balla.
— E tu non guardi mai dove metti le cose! — controironizzò Birillo. E'
un quarto d'ora che cerchi la tua pipa senza trovarla. — E, mentre
parlava, mise una terza volta le mani sotto il sedere, e tirò fuori una pipa
di radica passandola al collega.
Il rag. Balla prese la pipa, la mise in bocca, cambiò espressione del viso,
la ritirò fuori, la portò vicino al naso, l'annusò meglio, e rinunciò a
fumare la pipa.
C'era traffico, quel giorno, sull'autostrada che porta a Vicolungo.
Qualche chilometro più indietro, rispetto al rag. Balla e all'ing. Birillo,
un'altra macchina divorava (si fa per dire) l'asfalto. A bordo Michela,
affascinante più che mai, fresca di parrucchiere, con un meraviglioso
abito da sera verde come i suoi occhi e lungo come i suoi occhi, stava al
posto di guida, tentando di far superare alla vecchia carretta nelle sue
mani l'invalicabile muro dei quaranta orari. Al suo fianco stava il
principe azzurro designato a rendere romantica la serata: Gustavo

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Cappelletti, tutto verde anche lui, non nel senso del vestito (ci mancava
solo quello!), ma nel senso che era verde la faccia e lo sguardo pareva
quello di una trota che commemorava il quindicesimo giorno dalla
propria morte. Cappelletti soffriva il mal d'auto, ed essendosi aggravata,
negli ultimi chilometri, la sensazione di aver ingoiato un esercito di
cavallette vive, aveva dovuto chiedere a Michela di guidare lei.
— Hai visto che splendida giornata? — diceva ogni tanto Michela, tanto
per rendere la conversazione un po' più animata.
— Blob blob — rispondeva Cappelletti con le mani sullo stomaco.
— Il lago di Vicolungoo è davvero splendido in questa stagione! —
insisteva cocciutamente Michela.
— Blob blob — insisteva Cappelletti cocciuto anche lui.
— Tra poco saremo a Vicolungo — continuava Michela, che per la verità
cominciava ad accorgersi che la gita risultava un po' meno eccitante del
previsto.
— Blob blob — commentò Cappelletti, dando vita ad una costruzione
sintattica che era stata ampiamente prevista dagli osservatori più arguti.
— Siamo in anticipo, potremo fare quattro passi sul lungolago prima di
andare a cena.
— Blob blob blob blob — disse Cappelletti, cui la prospettiva di scendere
finalmente dall'auto aveva raddoppiato le forze.
Michela, naturalmente, aveva previsto di arrivare un po' in anticipo.
Voleva farsi vedere da tutti a Vicolungo col suo nuovo corteggiatore, e il
lungolago era il posto più indicato: sicuramente qualcuno l'avrebbe vista e
avrebbe riferito la cosa a Simone. Si sa come sono le voci: il paese è
piccolo, la gente mormora, le voci corrono, ingigantiscono le cose, e
questo avrebbe fatto il gioco di Michela. Che, come i lettori ricorderanno,
voleva far ingelosire Simone, affinché Simone dimenticasse Gilda.
Poi c'era da andare a cena con Cappelletti, ma questo era il prezzo da
pagare, e comunque Michela pensava di sapersi ampiamente difendere se
Cappelletti avesse voluto qualcosa più di una romantica passeggiata sul
lungolago.
C'era traffico, quel giorno, sull'autostrada che porta a Vicolungo.
In attesa di poter acquistare la Torpedo Spider usata, che come forse
ricorderete rappresentava il suo sogno non troppo nascosto,
Gilda viaggiava verso Vicolungo sulla sua utilitaria milleusi. Come aveva
consigliato il professor Gatto, Gilda si era iscritta al corso di «Genialità
nella Vendita» tenuto dall'ing. Luciano Biondo, ed era partita con qualche
giorno di anticipo. Non lontano da Vicolungo abitava Francesca, una sua
amica di infanzia, e Gilda pensava di fermarsi un po' di tempo da lei
prima di trasferirsi a Vicolungo per il corso.

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Se c'era traffico sull'autostrada per Vicolungo, c'era un certo movimento
anche a Vicolungo.
Nel suo grazioso residence, Click, che era forse un po' svitata ma
sicuramente professionale, stava studiando il maquillage con assoluta
perfezione, in modo da garantire il successo dell'operazione concordata
con la ditta Trumbo anche se avesse dovuto sedurre un pupazzo di
ghiaccio.
Lungi da potersi paragonare con simile oggetto, qualche isolato più in là
Simone stava consumando il pavimento della sua camera d'albergo a furia
di riprovare il percorso che collegava il cassetto delle camicie, l'armadio
con le cravatte e lo specchio del bagno per studiare la migliore
combinazione possibile. Finora il record del circuito era di sette secondi e
trentadue centesimi, ma probabilmente sarebbe stato ulteriormente
migliorato con l'esercizio.
Infine, al Ristorante al Molo, Serafino, il cuoco, spiegava ai camerieri,
schierati nel salone grande, quali sublimi delizie aveva preparato per i
buongustai che avevano prenotato il tavolo.
Gli avventori non tardarono ad arrivare.
— Sono Gustavo Cappelletti — disse verso le otto e quindici un signore
accompagnato da una donna davvero affascinante. Ho prenotato un tavolo.
— Cappelletti... Cappelletti... ecco qui... nel salone grande, vicino alla
finestra — rispose l'addetto al ricevimento.
— Sono Clic Clik vedova Cliquot detta Click — disse verso le otto e
trenta una donna davvero affascinante accompagnata da un signore. — Ho
prenotato un tavolo.
— Click... Click... ecco qui... nella saletta al piano superiore, uno
splendido tavolo d'angolo — fu la risposta.
— Siamo Balla e Birillo — dissero verso le otto e quaranta due signori
che s'accompagnavano fra di loro, in evidente mancanza di meglio.
Abbiamo prenotato un tavolo.
— Balla e Birillo del bowling?
— No, Balla e Birillo della Trumbo.
— Ah. Balla... Birillo... ecco qui... nel salone grande, di fronte
all'orchestra — indicò l'incaricato.
Pian piano, il locale si riempiva, e presto i camerieri diedero inizio alla
battaglia.
Come diceva Jerome, il sentirsi la coscienza tranquilla rende felici e
soddisfatti, ma il sentirsi la pancia piena fa il medesimo effetto e poi costa
meno. E' difficile dire, così a prima botta, quanti dei commensali
avessero la coscienza tranquilla, ma è certo che tutti facevano del loro
meglio per riempirsi la pancia nel migliore dei modi.

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Il cuoco Serafino aveva esordito con una terrina di fegato di cinghiale,
poi un carpaccio con crescione e rucola, quindi un sorbetto al limone, e
adesso si era giunti all'aragosta alla champenoise. Ed eravamo solo agli
antipasti.
Ma con tutto questo, Serafino doveva dimostrarsi un autentico dilettante,
se confrontato con l'abilità con cui Click si cucinava Simone.
Costui era ormai innamorato fradicio, e, per usare un'espressione cara a
Wodehouse, si guardava la sua compagna con due occhi spalancati grandi
come le guarnizioni di gomma di una Moka Express da due tazze, senza
spiccicar parola.
Un piano più sotto stavano Cappelletti e Michela in lieto conversare.
Da quando i giornali hanno cominciato a interessarsi e scrivere di queste
cose, si è scoperto che le abitudini erotiche degli esseri umani sono assai
più variate di quanto non si potesse precedentemente immaginare. E così
non saprei proprio dire se qualcuno di voi ha mai pensato di sodomizzare
un gatto maschio di robusta costituzione. Ma, anche se non l'avete mai
fatto, non dovrebbe esservi difficile immaginare quale sarebbe, nel caso
specifico, la reazione del gatto.
L'istessa identica reazione l'aveva Michela tutte le volte che Cappelletti
allungava una mano sulla sua spalla o si avvicinava a meno di settanta
centimetri. Ma non appena anche l'ultima propaggine di Cappelletti si
allontanava oltre la soglia suddetta, Michela diventava immediatamente
provocante ed incredibilmente seducente.
Il fatto è che Michela aveva visto in sala alcuni dirigenti di una ditta
concorrente a quella di Simone, e pensava che, tramite quella via, Simone
potesse essere raggiunto da qualche informazione che l'avrebbe
certamente fatto ingelosire.
Quanto a Cappelletti, egli era rifiorito a nuova vita, essendo notoriamente
la terza bottiglia di Prosecco di Conegliano la miglior cura contro il mal
d'auto. Per maggiore sicurezza, al momento dell'aragosta Cappelletti si
stava già scolando la quinta, e la serata gli sembrava eccezionalmente
gradevole. Per la verità, Cappelletti non capiva molto il comportamento
double- face di Michela, e che cosa ci fosse di speciale in una distanza di
centimetri settanta esatti, che segnavano il cambiamento di
comportamento. Cappelletti decise ben presto di stazionare a settantuno
centimetri, il che gli permetteva di godere di una compagnia
sufficientemente erotica, attendendo momenti migliori per l'affondo.
Più in là, Balla e Birillo ripassavano il piano d'azione. Si erano ricordati
di prenotare solo all'ultimo momento, così il loro tavolo era il peggiore
del ristorante, vicinissimo all'orchestra. Quando il trombone suonava le
note basse, Birillo doveva spostare la testa per fargli spazio, e quando il

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batterista pigiava sul pedale della grancassa, Balla faceva un salto sulla
seggiola di quindici centimetri.
Tutto questo non è poi così grave quando l'orchestra suona uno slow fox
o una beguine, ma quella sera c'era invece in programma un'esibizione di
musica funk.
— Alle 9.30 in punto Click ruberà l'agenda — disse Balla.
— Alle 9.31 esatte tu andrai nella toilette delle signore — disse Birillo.
— Trafugherai l'agenda e me la porterai.
— Alle 9.32 tu andrai a fotocopiare l'agenda con la fotocopiatrice che la
signora Trumbo ci ha messo in macchina — proseguì Balla.
— Ah, ecco perché il sedile mi sembrava così duro. Mi ci ero seduto
sopra — disse Birillo.
— Entro le 9.50 dovrai aver finito e tornare al tavolo — disse Balla.
— E fra le 9.50 e le 9.55 tu strapperai le pagine dove ci sono gli indirizzi
dei clienti — disse Birillo con una risata sardonica. — Quel dannato
direttore vendite non saprà più dove andare a vendere.
— E alle 10.00 esatte tu riporterai l'agenda, o meglio quel che resta di
essa, nella toilette delle signore — disse Birillo.
— E Click farà il resto — conclusero tutti e due insieme.
— Finita la cena ci recheremo al molo numero quattro — riprese Balla.
— E fuggiremo col sommergibile che la signora Trumbo ha
appositamente affittato, attraversando in profondità il lago fino a
Vicocorto — riprese Birillo.
— E da qui torneremo a casa con l'autostop, senza lasciare traccia —
conclusero entrambi.
— Controlliamo gli orologi. Che ora fai? — chiese Balla.
— Le nove e dieci. E tu? — chiese Birillo.
— Io faccio le nove e trenta — disse Balla.
— Facciamo la media: sono le nove e venti — conclusero all'unisono.
Nel frattempo Click aveva già estratto l'agenda dal borsello di Simone, e
l'aveva fatta sparire, sedendocisi sopra. Simone non si era accorto di
nulla, tutto intento a chiedersi quale meravigliosa forza divina aveva
indotto Click a slacciarsi un altro bottoncino della camicetta.
Di lì a poco (ma che caso!) un pezzetto d'aragosta si impigliò nei denti di
Click, che dovette andare in bagno a sciacquarsi la bocca. Il campanile
della chiesa batteva le nove e mezza.
Non potevano sentirlo Balla e Birillo, che stavano facendosi una notevole
competenza di musica rock sparata nelle orecchie a 4000 watt diviso 40
centimetri. E Balla si recò nella toilette delle signore, compatibilmente col
proprio orologio, cioè con cinque buoni minuti di ritardo.
Balla perlustrò la toilette da un capo all'altro, ma la famosa agenda ad
anelli in cuoio marrone, col disegno di una tigre stampata in oro sulla

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copertina, che Click aveva lasciato nella toilette proprio vicino alla
finestra, non c'era più.
Il cuoco Serafino aveva proseguito con grande ricercatezza. Risotto al
barolo e funghi porcini, ravioli di patate e tartufi, faraona in coccio, e un
contorno delizioso di ribes farcito con fette d'anguria, la grande specialità
della casa.
Ma Click non riusciva a gustare più niente. Tornata alle 10.01 esatte nella
toilette con la scusa d'incipriarsi il naso, e non avendo trovato l'agenda di
Simone, aveva cominciato a preoccuparsi. Lasciò perfino mezza porzione
buona di ribes farcito con fette d'anguria, avendo perso tutto d'un colpo
appetito ed allegria.
— Un po' di tiramisù? — suggerì in quella il cameriere. Ma ci voleva ben
altro per tirare su una ragazza che vedeva svanire il frutto di alcune
settimane di duro lavoro.
— Un po' di champagne? — propose in quella Simone, cui era sembrato
di cogliere un lieve appannamento nella sua deliziosa compagna, e che
Simone attribuiva a stanchezza.
«Povero Simone» pensava Click. «In fondo lui è buono, si è innamorato
come un agnellino, non ha mai cercato di mettermi le mani addosso e
forse è il primo che trovo che sia così corretto, mi ha portato a cena in un
posto che forse gli costa metà stipendio ed ha sfidato per me le ire di una
moglie gelosa. E io ho cercato di imbrogliarlo.»
— Hai degli occhi deliziosi, mi piace stare con te — disse proprio in quel
momento Simone.
«Per fortuna è un rimbambito che non si è accorto di nulla» pensò Click.
E cercò di arrivare a fine serata in modo che Simone continuasse a non
accorgersi di nulla.

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CAPITOLO 14°

L'organizzazione dello schedario


Gestire collaborazioni, la zona, l'azienda
Come aumentare margini e profitti
La qualità della vendita
Simone ricco per poche ore

Si dice che chi si sente la coscienza fuori posto, non riesca a dormire.
Click pensava che la colpa fosse dell'aragosta, ma è un fatto che quella
notte non dormì per niente.
Il giorno dopo procurò di incontrarsi con Simone, e chiese di parlargli.
Simone era furioso. Spiegò che la sera prima, al ristorante o per strada o
chissà quando, aveva smarrito un'agenda preziosissima. Era tornato il
mattino stesso al ristorante pronto a dare mance a destra e manca se
gliel'avessero ritrovata, ma nessuno dei camerieri l'aveva vista. Eppure
era facile da riconoscere: era in cuoio marrone, con una tigre in oro
disegnata sopra.
— E' un vero guaio, anche se devo riconoscere che una serata passata con
te vale più di mille guai — concluse Simone.
Click accusò il colpo, anche se cercò di non farlo capire.
— Ci tenevi informazioni importanti? — chiese Click fingendosi ingenua.
— Dovevo avertene già parlato un giorno... — disse Simone. — Ci tengo
gli appuntamenti, gli indirizzi, e un certo numero di pagine con le nostre
strategie di vendita.
— Quelle che hanno reso la tua azienda la leader sul mercato? — chiese
Click.
Ma Simone non le badava. Era rimasto ancora alla domanda precedente.
— No, in realtà tutto questo non è poi così importante. L'elenco degli
appuntamenti ce l'ha in copia anche la mia segretaria; quanto agli
indirizzi, abbiamo tre schedari, in ufficio, dove sono annotati tutti gli
indirizzi che ci servono.
In uno ci sono le schede di tutti i nostri clienti: quelli che hanno già
acquistato da noi, e che pertanto andiamo a visitare regolarmente, una
volta al mese. Ci sono la ragione sociale, i nomi e le funzioni dei dirigenti
che ci interessano, i vari indirizzi e telefoni. Vi annotiamo inoltre tutti gli
acquisti fatti e tutte le informazioni utili per la trattativa. Appena esce da
un cliente, ogni nostro venditore è tenuto a scrivere sulla scheda tutto ciò
che intende fare nella visita successiva: abbiamo scoperto che questo, con
tutte le informazioni ben fresche nella memoria, è il momento migliore
per pianificare le azioni da intraprendere nell'incontro successivo.

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Nel secondo schedario ci sono i clienti potenziali: clienti cui non siamo
riusciti a vendere, ma che abbiamo deciso di visitare ugualmente perché
riteniamo di poter vendere loro in un periodo futuro. Nelle schede
teniamo le stesse informazioni che ci sono nelle schede dei clienti, tranne
ovviamente gli acquisti fatti. Una grande differenza è che il primo
schedario è ordinato in ordine alfabetico, mentre il secondo è ordinato
per data.
— Secondo la data dell'ultima visita? — chiese Click.
— No, secondo la data in cui riteniamo di doverci andare la prossima
volta. Fin tanto che non siamo riusciti a "entrare" dal cliente, cioè a
ottenere un primo ordine, sappiamo che il cliente non ci consulterà se
avrà bisogno di acquistare, preferendo egli rivolgersi ai consueti
fornitori. Bisogna riuscire allora ad individuare il momento in cui lui
decide di acquistare qualcosa (non dimenticare che noi vendiamo
computer, che è un articolo che non si acquista tutti i giorni), e in quel
momento farci vivi noi per proporre le nostre offerte. Quando esce da
uno di questi clienti potenziali dopo una visita, il nostro venditore è tenuto
a stabilire quando dovrà tornare dal medesimo cliente: alle volte deciderà
di tornare dopo qualche mese, perché non si prevedono acquisti a breve,
alle volte deciderà di tornare dopo pochi giorni, perché ha il sospetto che
ci sia qualcosa che bolle in pentola.
— E il terzo schedario?
— Lì ci sono le schede dei clienti possibili: indirizzi di persone che per il
momento non riteniamo conveniente visitare, ma sui quali conserviamo
ogni informazione che riusciamo a raccogliere, in modo da averle a
disposizione quando ci saranno le condizioni ottimali per andare da loro.
Questo schedario è organizzato per località. Quando un venditore sa di
dover viaggiare in una certa zona, ed ha del tempo libero fra un aereo e
l'altro, prima di partire guarda in questo schedario, e cerca ispirazione
per riempire meglio il proprio tempo lavorativo, pianificando una visita
ad un nominativo nuovo.
— Un'ottima organizzazione.
— Sì, e con questi schedari in perfetto ordine non ci mettrò certo molto a
ricostruire la mia agenda.
— E allora che cosa ti preoccupa? D'aver perso le pagine con le strategie
di vendita? Erano segrete?
— Oh, le nostre strategie non sono certo un segreto. Sono quelle
suggerite dalla Cinematica della Genialità.
— Oh no! — esclamò Click, che cominciava a rendersi conto di aver
lavorato per niente.

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— Oh sì, invece — disse Simone, che non aveva capito. La Cinematica
della Genialità ha dato degli eccellenti suggerimenti per fissare le
strategie.
Click cominciava a interessarsi. Cominciava a interessarsi a Simone. Ed
anche a quello che Simone faceva.
— E in che cosa consistono? — chiese Click.
Si riassumono in tre principi. In primo luogo il venditore deve gestire
collaborazioni. Poi deve gestire una zona. Infine deve gestire un'azienda.
— Che cosa vuol dire "gestire collaborazioni"?
— Al giorno d'oggi, il venditore e il cliente devono collaborare.
Molto tempo fa, il rapporto fra i due era conflittuale: ognuno badava ai
propri interessi, a scapito dell'altro. Oggi si comincia a capire che
entrambi guadagnano di più se il venditore aiuta il cliente a guadagnare, e
se il cliente aiuta il venditore a servirlo meglio: in altre parole, se
collaborano.
— Che cosa intendi per "far guadagnare il cliente"?
— O ridurre i suoi costi, o aumentare i suoi incassi, o ridurre il suo
stress, o aumentare la sua soddisfazione nel lavoro, o una combinazione di
queste cose.
— Chiaro. Vai avanti.
— Naturalmente, non è facile avviare e mantenere un rapporto di piena
collaborazione. Il venditore deve procurarsi credibilità dimostrando al
cliente che riesce a farlo guadagnare di più, e poi gestire questa credibilità
facendola fruttare. Questo è il primo principio di una corretta strategia di
vendita.
— Bene. E qual è il secondo?
— Riuscire a gestire la zona.
— Che cosa vuol dire?
— Il venditore ha a disposizione una zona, cioè un'area geografica dove
vivono un certo numero di possibili acquirenti e dove egli è autorizzato a
vendere. Questa zona, per l'azienda, è una risorsa, cioè qualcosa che deve
fruttare.
Gestire la zona significa fare in modo che questa risorsa frutti il massimo.
— Se ho ben capito, si tratta di vendere il più possibile.
— No. Gestire una zona non significa realizzare il massimo fatturato
possibile, bensì il massimo profitto possibile. Inoltre significa che
l'evoluzione nel tempo del profitto deve essere la migliore possibile.
— Non mi è chiaro.
— Cominciamo col profitto. Un'azienda non guadagna in misura uguale
su tutte le vendite. Ci sono dei prodotti che si possono vendere a un
prezzo molto più alto del costo di produzione, ed altri che si possono
vendere solo a un prezzo molto vicino al costo di produzione: sui primi il

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profitto è alto e sui secondi è molto più basso. Ci sono poi dei contratti
che si riesce a far firmare a prezzo pieno, mentre in altri casi si devono
concedere sconti o facilitazioni di pagamento (che in pratica sono
anch'esse uno sconto).
— Allora per massimizzare i profitti bisogna vendere solo a prezzo alto e
senza sconti.
— No, non è così semplice. Perché se vendi solo quando puoi vendere a
prezzo alto, vendi ovviamente di meno (dovrai rinunciare alle vendite che
potresti concludere solo a prezzo basso). E se vendi di meno,
generalmente aumentano i costi di produzione. Avrai notato anche tu che
un prodotto fatto da un artigiano costa di più di uno prodotto in serie: più
pezzi uguali si producono, meno costa il singolo pezzo.
Per questi motivi, all'azienda sono utili anche le vendite fatte a prezzo
molto tirato. Per mezzo di tali vendite, l'azienda riesce ad aumentare il
numero dei pezzi prodotti, e di conseguenza riesce a diminuire il costo di
produzione del singolo pezzo.
Aumentare i profitti significa fare in modo che ci sia la quantità di
venduto (in modo da poter produrre a basso costo) e che ci sia anche la
qualità del venduto (un sufficiente numero di vendite ad alto guadagno).
— Capisco. Avevi parlato anche di evoluzione nel tempo.
— Sì. Un venditore potrebbe vendere tanto e a prezzo alto, eppure essere
un cattivo venditore. Per esempio, lo sarebbe se lasciasse i suoi clienti
scontenti di avere acquistato. Sarebbero tutti clienti che non
acquisterebbero più.
Il venditore deve fare in modo che i clienti attuali diventino fedeli, e
creare le condizioni per poter invece strappare clienti alla concorrenza.
Inoltre, egli deve studiare il modo di aumentare i profitti che si realizzano
su ciascuna vendita, riuscendo a valorizzare l'offerta, e quindi a "far
digerire" un prezzo più alto. In questo modo, man mano che il tempo
passa le vendite saranno sempre migliori, e più numerose, e più
redditizie.
Riassumendo, se la zona è ben gestita si avranno profitti elevati e un
favorevole andamento dei profitti nel tempo.
— E quali sono le tue strategie per gestire al meglio la zona?
— Qui viene in aiuto la Cinematica della Genialità, che ha scoperto che si
ha la migliore situazione quando si ha un terzo della clientela che acquista
prodotti, un terzo della clientela che acquista soluzioni e un terzo della
clientela che acquista strumenti assecondanti.
— Come mai?
— Chi vende prodotti riesce in genere a realizzare buoni fatturati con
trattative relativamente brevi, ma in genere con un margine di guadagno
contenuto. In altre parole, così facendo si realizza la quantità del venduto,

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ma difficilmente la qualità. Chi vende soluzioni riesce a realizzare
margini di guadagno molto più elevati, perché la cifra richiesta al cliente
corrisponde non solo alla merce ma anche ad un servizio di consulenza.
Inoltre, vendendo soluzioni si ottiene un'elevatissima fedeltà da parte del
cliente, perché non si cambia volentieri un professionista che ti ha risolto
in passato dei problemi con pieno successo. Però vendere soluzioni
implica trattative più lunghe e faticose, in quanto si deve dare un servizio
di consulenza, e darla implica dei costi. Le vendite di soluzioni danno la
qualità della vendita, ma è difficile poter realizzare anche la quantità.
La clientela che compera strumenti assecondanti compera a prezzo alto e
con trattative veloci, e rimane generalmente assai soddisfatta dell'acquisto,
ma ciò nonostante non rimane fedele al fornitore. La volta dopo potrebbe
comperare da un altro o non comperare da nessuno. Le vendite di
strumenti assecondanti danno quantità e profitto, ma difficilmente
garantiscono il buon andamento nel tempo.
— E' strano. Non garantiscono il buon andamento nel tempo pur essendo
il cliente soddisfatto dell'acquisto.
— Proprio così. Chi non conosce questa possibilità un po' particolare,
confonde la qualità della vendita con la soddisfazione nel cliente. Invece
per me la qualità della vendita è di più della semplice soddisfazione del
cliente. Ripeto: qualità significa massimizzazione del profitto e favorevole
andamento del profitto nel tempo. Per raggiungere questo risultato la
soddisfazione del cliente è necessaria, ma non sufficiente.
— Una curiosità. E chi acquista prodotti com'è, dal punto di vista della
fedeltà?
— Medio. Compera dal medesimo fornitore per abitudine e non per scelta
convinta. Così c'è sempre il rischio che qualcuno lo induca a scelte
diverse.
— Torniamo alla gestione della zona. Sembrerebbe che, fornendo i tre
tipi di clientela risultati commerciali assai diversi, un bel misto dei tre sia
la cosa migliore.
— Proprio così. Un'analisi svolta in numerose aziende di vari settori ha
confermato che quasi sempre la situazione ideale è avere clienti di tutti e
tre i tipi, in ugual proporzione.
— Allora un venditore che cosa deve fare?
— Deve ripensare a tutti i suoi clienti e chiedersi che cosa essi hanno
"veramente" comperato: se prodotti, soluzioni, o strumenti assecondanti.
Se scopre di avere clienti di tutti e tre i tipi e in proporzioni fra loro
uguali, significa che il venditore sta gestendo bene la zona. Se scopre di
avere solo clienti che hanno acquistato prodotti (questo è il caso più
frequente), oppure solo clienti che hanno acquistato soluzioni, oppure solo

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clienti che hanno acquistato clienti assecondanti, farà bene a preoccuparsi
e a cambiare qualcosa.
— Cambiare cosa?
— In genere, il venditore dovrà perfezionare le sue tecniche di vendita:
probabilmente egli è capace di vendere a una sola categoria di clienti, e
deve imparare a vendere anche alle altre due. In qualche caso, invece, è
l'azienda che deve riconsiderare la sua politica commerciale.
— Puoi spiegarmi anche l'ultimo punto? Che cosa vuol dire "gestire
un'azienda"?
— Significa che l'azienda non mette a disposizione del venditore solo
della merce da vendere. Gli mette a disposizione un'organizzazione, una
struttura, un insieme di persone che lavorano per soddisfare il cliente.
Il guaio è che tutte queste risorse funzionano male (e qualche volta non
funzionano affatto) se il venditore non collabora attivamente per farle
funzionare. Il venditore deve chiedersi di quali informazioni in sede
possono aver bisogno, di quali aiuti, e fornirli, perché in questo modo si
procurerà qualcosa di grande valore da dare al cliente.
— Ma non si può certo chiedere al singolo venditore di far funzionare
tutta l'azienda.
— Qui non si tratta di chiedere, ma di vedere che cosa conviene a
ciascuno. Il venditore ha tutta la convenienza a contribuire a far
funzionare l'organizzazione, e spesso un contributo apparentemente
modesto ha un'importanza fondamentale a questo scopo.
— Quale contributo?
— Soprattutto quello necessario a informare l'organizzazione, in termini
di fatti e di numeri, su ciò che accade nel mercato. Il guaio è che
informare un'organizzazione non è così semplice come informare una
persona. Occorrono pazienza e savoir-faire perché le informazioni
vengano davvero utilizzate.
E' una cosa curiosa. Quando il venditore è dal cliente, si rende
perfettamente conto che non basta informare, bisogna anche persuadere.
Quando parla con la sua azienda, il venditore ritiene di aver fatto il
massimo se ha detto le cose una volta. Invece anche in questo caso occorre
persuadere.
— Allora gestire l'azienda significa collaborare per farla funzionare.
— Non solo. Significa anche valorizzarla. Ricordarsi che non si vende
solo della merce, ma tutta un'organizzazione.
Quando le cose vanno male, o c'è qualche (normalissimo) incidente di
percorso, il venditore spesso si rivolge al cliente dicendo: «Non è colpa
mia, è in sede che hanno combinato il pasticcio.» E' un errore molto
grave: il venditore svilisce l'organizzazione che deve invece valorizzare
agli occhi del cliente.

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— E' incredibile. Credevo che la vendita fosse un compito facile, un
mestiere dove si rifugia chi non ha successo altrove.
— E' esattamente il contrario. Chi sa vendere vende, chi non sa vendere
lavora altrove. E' una frase che suona dura, che può non piacere, ma è
terribilmente vera.
— Chi l'avrebbe detto! Per fare il venditore occorrono delle vere e
proprie capacità dirigenziali!
— Certo, un buon venditore sa dirigere. E molto bene. Deve dirigere un
rapporto con la clientela, lo sfruttamento di una zona, contribuire a far
funzionare un'organizzazione. E in più deve dirigere se stesso.
Fare l'ingegnere in un centro ricerche è molto più facile: c'è tutta
un'organizzazione che ti dirige e che ti indica in quali direzioni muoversi.
Un venditore è quasi sempre solo in zona, e può fruire di questi aiuti in
maniera molto minore. Fare il venditore è bello, proprio perché è
difficile.
— Ma non è troppo difficile?
— E' difficile, e chi riesce a farlo bene è un protagonista e guadagna
sempre moltissimo. Chi guadagna meno non sa ancora farlo bene, sta
imparando. Tutti quelli che oggi guadagnano moltissimo, ieri stavano
imparando. E' una legge naturale.
Click cominciava a provare per Simone un'enorme ammirazione. Finora
l'aveva considerato un pollastro, ma adesso cominciava ad accorgersi che
essere buoni non significa non avere attributi. Alludeva proprio a quegli
attributi per la cui mancanza sono famosi i pollastri.
— Comunque adesso ti dico perché mi dispiace tanto per la mia agenda.
E' una questione di cavalli.
— Avevi un appuntamento con un cavallo?
— No, avevo la ricevuta di una scommessa su di un cavallo.
— Giochi sui cavalli?
— E' la prima volta che lo faccio. Avevo scoperto che nella terza corsa
correva un cavallo di nome Click. Ci ho giocato sopra una bella cifra.
— Un cavallo che si chiama Click? Non l'avevo mai sentito.
— Infatti era la prima volta che correva. Per questo era dato dagli
allibratori 130 a 1.
— E ha vinto?
— Ha vinto. E ho vinto anch'io. Mille bigliettoni.
— Mille? Ma sei ricco!
— Ero ricco, prima di perdere l'agenda. La ricevuta era nell'agenda.
— E adesso?
— Niente ricevuta, niente bigliettoni.
Click era sconvolta.

Pagina 105
— Con quei soldi — proseguì Simone — avrei voluto offrirti una
vacanza alle Isole Tropichelles. Sarebbe stato un po' come un viaggio di
nozze.
— Di nozze?
— Non importa. Non importa per i soldi. L'importante è che sia rimasta
tu — concluse Simone. — Mi dai un bacio?
Quando un uomo chiede un bacio a una donna, può darsi che era il
momento giusto o può darsi che non lo era. Se non lo era, la donna non
glielo dà, e generalmente ride. Se era il momento giusto, la donna si mette
a piangere.
Comunque vada, l'uomo è sfortunato.
Click scoppiò in un mare di lacrime. Simone dovette consolarla, e Click
confessò tutto. Tutto ma proprio tutto: i rapporti con la ditta Trumbo, gli
incontri che non erano casuali, e il furto dell'agenda. Ma Simone non potè
nemmeno arrabbiarsi, perché Click concluse il suo discorso dicendo:
— Però adesso, Simone, ti amo.
Ripensandoci bene, qualche volta anche l'uomo è fortunato.

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CAPITOLO 15°

Che cosa si tocca con un dito


Una seduzione di tipo classico
Arriva un tornado
La terribile lotta fra donne
I calzini di Cappelletti

Quando comincia una storia d'amore appassionata, non si può mai sapere
come va a finire.
E' invece molto più facile sapere dove si va a finire.
Nella stanza d'albergo di Simone, quella sera, tutto appariva molto
diverso dal solito, perché quella sera in stanza erano in due.
Erano appena arrivati, dopo una di quelle poche sere, nella vita, in cui a
due persone, contemporaneamente, era sembrato di toccare il cielo con un
dito.
E' difficile dire, così a prima botta, quale debba essere il posto migliore
per metterci il dito. Credo siano pochi, però, quelli che, potendo
scegliere, deciderebbero di tenerlo ritto in alto. De gustibus.
Comunque, se avevano toccato il cielo con un dito, Click e Simone si
erano stufati presto, ed anche un osservatore disattento se ne sarebbe
accorto. Per esempio Simone, il dito, lo teneva sull'interruttore della luce,
nel tentativo di abbassare la luminosità e procurare un ambiente più
romantico.
Non è facile, però, con gli interruttori dei grandi alberghi. Gli
interruttori degli alberghi non sono come quelli di casa, che pigi il tasto e
s'accende il lampadario, e ripigi il tasto e si spegne. Quelli degli alberghi
sono fatti così: si inizia che le luci sono spente, pigi il bottone e si accende
l'abat-jour, lo pigi un'altra volta e si accende la luce in centro, lo pigi
un'altra volta e si accende la luce sul comodino e si spegne l'abat-jour, lo
pigi ancora e si spegne la luce in centro, lo pigi ancora e si accende la luce
in centro e si spegne quella del comodino, lo pigi ancora e si accende la
luce del bagno, lo pigi ancora e si spegne la luce in centro lasciando
accesa quella in bagno, lo pigi ancora e si spegne tutto. Facile. Lo sanno
tutti, quelli che vanno nei grandi alberghi.
Lo sanno tutti come funziona cominciando con le luci spente. Ma se
cominci che è accesa la luce in centro, quante volte devi pigiare il bottone
perché si spenga la luce in centro e si accenda l'abat-jour e resti accesa la
luce del bagno?
Simone da circa quindici minuti stava tentando vanamente di risolvere il
problema pigiando per tentativi il pulsante col dito. Avrebbe meglio

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potuto fare i calcoli con uno dei suoi computer, ma i computer vanno ad
elettricità, e quante volte si sarebbe dovuto pigiare il bottone mettendo il
computer nella presa dell'abat-jour per riuscire ad accendere il computer?
Nemmeno Click aveva più il dito in alto. L'aveva in basso, e lo stava
usando per stabilire se la temperatura dell'acqua nella vasca da bagno era
quella giusta.
Click aveva in mente un piano di seduzione di tipo classico: restare sola in
bagno, spogliarsi, fare un bel bagno di schiuma, indossare una seducente
camicia da notte, attendere che Simone fosse a letto e uscire dalla stanza
da bagno come Venere dalle acque.
Nella famosa valigia di biancheria speditale dalla ditta Trumbo, Click
aveva scovato una mise da notte in velo rosa che avrebbe fatto
dimenticare a chiunque perfino le agende con la tigre d'oro.
Simone, più prosaico, si stava preparando all'incontro d'amore lavandosi i
denti. Seduzione sì, ma igiene innanzitutto.
E non mettetevi a criticare le loro scelte, o a stabilire che cosa avreste
invece fatto voi al loro posto, perché quando due arrivano a fare
all'amore hanno diritto di organizzare l'avvenimento come credono. In
fondo, il problema vero è arrivarci, a fare all'amore.
Lo dico perché giusto in quel momento si spalancò la porta ed entrò un
tornado.
Risultava difficile dire che era entrata una donna: lo si sarebbe potuto
affermare solo se si avesse avuto a disposizione una moviola, come si usa
in televisione per commentare le partite di calcio.
Con la moviola, tutti avrebbero avuto il tempo di vedere che ciò che era
entrato possedeva due gambe, due braccia, ed altre componenti
tipicamente (e deliziosamente) femminili.
Ma a velocità naturale, era impossibile distinguere alcunché. Dire che era
un tornado era ancora una pietosa bugia per ingentilire gli avvenimenti.
— Cavoli, tua moglie! — disse Click, che, come tutte le donne, sopperiva
con il sesto senso a ciò che i primi cinque non riuscivano a percepire.
— Ghhsstffst! — disse invece Simone, che aveva la bocca piena di
dentifricio.
Il tornado non amava molto la conversazione, perché non disse nulla, ma
prese Click per il bavero e la gettò nella vasca da bagno, tutta vestita.
Poi il tornado entrò anche lei nella vasca da bagno, senza nemmeno
togliersi il cappotto, per discutere la questione più a fondo.
— Ghhsstffst! Ghhsstffst! — diceva Simone, con la bocca piena di
dentifricio, saltellando qua e là e cercando di schivare gli spruzzi d'acqua.
Click era un tipo sempre disponibile a discutere sugli ultimi avvenimenti e
a scambiarsi un parere sull'interpretazione dei fatti, ma non gradiva
essere presa per il collo e tenuta con la testa sotto il livello dell'acqua.

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Senza contare che una donna di classe non fa mai il bagno senza aver
prima versato nella vasca i sali profumati. E lei non aveva avuto ancora il
tempo di versarli.
Dapprima tentò di far conoscere il proprio punto di vista serenamente, e
disse due o tre volte:
— Glu glu glu!
che è un'argomentazione strettamente logica, considerando che la testa era
sotto il livello dell'acqua.
Poi, visto che con la diplomazia non otteneva alcunché, Click sollevò di
peso il tornado e lo buttò nel lavandino, ficcandocelo seduto dentro, con
le gambe penzoloni, e facendo cadere tutti gli oggetti che erano in quella
zona. Immediatamente aprì il rubinetto dell'acqua calda per scottarle il
posteriore che così avrebbe imparato.
Bella battaglia.
Il tornado saltò giù dal lavandino cacciando un urlo, e si gettò addosso a
Click. Completamente avvinghiate l'una con l'altra, tentavano
reciprocamente di mordersi il naso: praticamente un perfetto corpo a
corpo, fra due corpi praticamente perfetti, sebbene umidi.
— Ghhsstffst! Ghhsstffst! — diceva Simone, che era rimasto con lo
spazzolino in bocca, e, mentre con le braccia faceva segno alle due
combattenti di stare calme, saltellava qua e là nel tentativo di conservarsi
asciutto. In uno dei saltelli finì col pestare il tubetto del dentifricio
facendo uscire tutta la pasta. Poi mise il piede sulla pasta, scivolò e cadde
dentro la vasca da bagno.
A vederlo nella vasca, con lo spazzolino in bocca, i piedi in alto e le
braccia ad agitarsi alla ricerca di un impossibile equilibrio, Click e il
tornado scoppiarono a ridere. Gli prese ad entrambe un convulso tale, che
non la finivano più.
Click finì un po' prima, e ne approfittò per tagliare la corda. Simone
intanto si rialzò, e si sciacquò i denti nel bidè, che era l'unico sanitario
rimasto libero.
— Maremma maiala! — fu il commento del tornado, appena si accorse
che erano rimasti soli.
— Gilda! Che cosa fai qui? — disse Simone non appena si ritrovò in
grado di parlare.
— Che cosa ho fatto si dovrebbe esser capito! — rispose la donna, che
stava lentamente abbandonando le sembianze di tornado per assumere
quelle deliziose che caratterizzavano Gilda.
— Non sapevo che tu fossi a Vicolungo!
— Non ne avevo dubbi!
— Quando sei arrivata?

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— Questa mattina presto. Da oggi, seguo qui un corso di Genialità nella
Vendita.
— E come mi hai trovato?
— Abbastanza indaffarato, direi!
— No, intendevo dire, come hai fatto a sapere qual era la mia stanza?
— C'è un signore, giù nell'atrio, con un berretto in testa, che ha
l'apposito compito di fornire questo tipo di informazioni.
Simone cominciava a capire che Gilda non gli avrebbe permesso di
intavolare una conversazione generica, come se nulla fosse successo, e si
arrese.
Gilda diede a Simone una bella lavata di capo, in confronto alla quale i
bagni e i controbagni che si erano visti finora dovevano considerarsi una
bazzeccola, poi lo strapazzò una seconda volta tanto per essere più chiara,
concluse con talune frasi appropriate, infine, per castigo, lo lasciò a
dormire da solo.
Più o meno alla stessa ora, Michela, che, completamente ignara di Click,
credeva di doversi semplicemente preoccupare di Gilda, aveva pensato di
farsi vedere nuovamente a Vicolungo in romantica compagnia, per meglio
perseguire la strategia dell'ingelosimento.
Prese quindi il telefono e fece il numero di Cappelletti.
— Pronto? — disse uno mezzo addormentato con la voce di chi non
capisce come mai la sveglia sia suonata così presto.
— Ciao Gustavo. Continuo a pensare a te. — disse Michela. Il gatto
Bartolomiao, nell'udire una bugia così spudorata, inorridì sotto i baffi e si
mise le zampe sulle orecchie per non sentire.
— Mi fa piacere essere pensato da una meravigliosa giovane signora... Ma
che ore sono? — rispose Cappelletti.
— L'ora di prendere iniziative se vuoi conquistarmi, dico io.
Bartolomiao non ne poteva più. Andò a prendersi il suo registratore
walkman, si mise gli auricolari in ambedue le orecchie, infilò la cassetta
di Rock a Cat, e con la punta della coda spostò il volume al massimo,
isolandosi completamente.
— Come hai detto? — chiese Cappelletti che cominciava lentamente a
connettere.
— Ho detto che è l'ora di prendere iniziative se vuoi conquistarmi.
— Adesso?
— No, domani. Ma. essendo passata già da un po' la mezzanotte, oggi è
già domani, dico io.
— Giusto — dovette convenire Cappelletti.
— E allora domani, cioè oggi, ti invito a cena a Vicolungo. In fondo,
sono obbligata a ricambiare. Passo a prenderti nel primo pomeriggio,
ceneremo al Grand'Hotel.

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— Ma domani è giorno di lavoro...
— E cosa credi, di conquistarmi senza lavorare, dico io? E non mettere i
calzini azzurri con i pantaloni marrone, come hai fatto l'altra volta,
facevano schifo.
— Non c'è pericolo. I pantaloni marrone li ho mandati in tintoria a
lavare.
— E i calzini no? Guarda che i calzini vanno lavati più spesso dei
pantaloni, e non di meno, dico io. Guai a te se domani hai ancora addosso
quei calzini azzurri. E poi, ti sembra l'ora adatta per telefonare a una
signora? Per parlare di calzini, poi! Ci vuole un po' più di rispetto per le
signore sposate, dico io!
E mise giù.
Il pomeriggio seguente, bella come una rosa di maggio, Michela andò a
prendersi il suo corteggiatore e insieme partirono per Vicolungo.
Ma anche Vittorio Esposito, il titolare dell'agenzia assicurativa di cui
Cappelletti era capo area, desiderava incontrarsi con Cappelletti quel
pomeriggio. Ed avendo appreso che il suo collaboratore, anziché essere al
lavoro, se ne stava andando a spasso in compagnia di una bella signora,
cominciò a preoccuparsi.
Chi è abituato a dirigere un'azienda, ha dovuto per necessità imparare a
prendere decisioni importanti in tempi brevi. Per cui Vittorio Esposito
non perse tempo in inutili ragionamenti, e, salito in macchina, partì subito
alla volta di Vicolungo, con l'intenzione di raggiungere Cappelletti al
Grand'Hotel e di mettere bene in chiaro alcune cosette.

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CAPITOLO 16°

Simone incontra Gilda


I corsi sono meglio
La rottura del ghiaccio
Come riconoscere il tipo di pensiero del cliente
Simone recupera energie

Il giorno dopo, all'intervallo di mezzogiorno, Simone incontrò


casualmente Gilda in paninoteca.
— Come va il tuo corso, Gilda?
— Stupendo, davvero stupendo. Frequentare un corso è una cosa molto
diversa dal sentire le cose da te o dal professor Gatto. In un corso ci sono
tanti altri partecipanti, ci si scambia le idee e le esperienze, il dubbio di
uno costringe anche gli altri a riflettere ulteriormente e a comprendere
con più chiarezza. E c'è anche la possibilità di provare subito le nuove
tecniche di vendita che ti insegnano, dialogando con un collega che si
presta a recitare il ruolo del cliente. Senza contare che il nostro docente
utilizza una gran varietà di supporti, per esempio oggi abbiamo visto dei
filmati televisivi, che illustrano alcune situazioni molto meglio di
qualunque racconto.
— E' giusto che sia così. Ci sono diversi strumenti che possono servire a
formarsi e a perfezionare la propria professionalità, e bisogna utilizzarli
tutti. Un libro, per esempio, è lo strumento migliore per conoscere nuove
informazioni. Un corso, è lo strumento migliore per imparare a fare.
Non è sufficiente solo leggere libri, e nemmeno è sufficiente solo fare
corsi. Occorrono tutte e due le cose: il mondo cambia velocemente,
bisogna aggiornarsi intensamente e utilizzando tutti i mezzi a disposizione.
La televisione, per esempio. Che cosa ti hanno fatto vedere oggi?
— Oggi c'era in programma il metodo per riconoscere il tipo di pensiero
che è utilizzato dal cliente. Aspetta, ti faccio un riassunto, così tu controlli
che ho capito tutto giusto. Hai tempo?
— Per te ho sempre tutto il tempo che vuoi.
— Dunque. Innanzitutto ci hanno detto che la chiave della trattativa è nei
primi minuti: quando si rompe il ghiaccio.
Ci hanno spiegato che è un grave errore entrare subito in trattativa, e che
occorre prima creare un ambiente disteso e sereno.
— E' vero. Nei primi mesi che facevo il venditore, avevo proprio questo
difetto. Cominciavo a parlare e a parlare, senza preoccuparmi di rendere
il cliente protagonista. Invece il cliente deve essere protagonista fin
dall'inizio. Deve poter controllare che noi ci interessiamo a lui come

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persona, e non solo perché potrebbe firmarci un contratto. Deve
verificare che noi badiamo a lui, prima di poter pretendere che lui badi a
noi e alla nostra trattativa di vendita.
— Al corso ci hanno detto che il miglior modo di rompere il ghiaccio è
far parlare il cliente per una decina di minuti almeno, su argomenti di suo
interesse, o comunque non di vendita.
— E' esatto.
— Questo in verità ce l'avevano sempre detto anche nella nostra agenzia
assicurativa. Ma qui al corso ci hanno insegnato una cosa importantissima:
che se in quei dieci minuti facciamo davvero parlare il cliente, invece di
parlare sempre noi, possiamo capire che tipo di pensiero sta usando in
quel momento: il pensiero pratico, oppure quello logico oppure quello
creativo.
— E questo è molto utile, perché ti dice se devi cercare di vendergli
prodotti, soluzioni o strumenti assecondanti.
— Proprio così. L'istruttore ha detto che il tipo di pensiero del cliente
rimane il medesimo per tutta la trattativa, se noi gli parliamo in maniera
adatta ad esso. In altre parole, se scegliamo la strategia di vendita
corrispondente al suo pensiero, il suo pensiero non cambia, ed anche la
nostra strategia continua ad andare bene. E' molto comodo.
— Ti confermo che ho verificato queste verità moltissime volte.
— La chiave è, dunque, analizzare il cliente mentre parla, in quei dieci
minuti iniziali. Dal modo in cui si esprime, possiamo capire che tipo di
pensiero usa. Il metodo da usare l'istruttore lo ha chiamato "metodo del
pallottoliere".
— Il famoso pallottoliere a tre righe?
— Esatto. Noi dobbiamo immaginare di avere un pallottoliere con tre
righe. La prima riga corrisponde al pensiero pratico, la seconda al
pensiero logico, la terza al pensiero creativo.
Mentre il cliente parla, dovremo fare attenzione ai cosiddetti "indizi di
pensiero", cioè cose che lui dice che ci fanno pensare che usi un pensiero
piuttosto che l'altro.
Per esempio, l'espressione «non solo... ma anche...» è un indizio di
pensiero logico. Altri modi di esprimersi sono indizi di pensiero pratico o
di pensiero creativo.
E' incredibile quanti indizi di pensiero l'interlocutore ci fornisce. Pensa,
oggi ci è stata presentata una registrazione televisiva di alcuni minuti: noi
avevamo trovato chi uno, chi due indizi di pensiero. Poi l'istruttore ha
riproiettato il filmato fermandosi continuamente, e ce ne ha fatto scoprire
alcune decine. In pratica, ce n'è uno ogni pochi secondi, capisci? Per
questo quelli molto abili riescono a classificare il cliente in meno di un
minuto!

Pagina 113
— Io non ci sono ancora riuscito, ma è indubbio che, a essere capaci di
vederli, di indizi ce ne sono tanti.
— Sì, ma non sono tutti dello stesso tipo. Cioè tu riconosci nel cliente un
indizio di pensiero logico, poi uno di pensiero pratico, poi uno logico, poi
un altro logico, poi uno creativo, e così via.
— Se fossero tutti dello stesso tipo sarebbe più facile. Invece bisogna
regolarsi secondo la maggioranza.
— Per questo ci hanno insegnato il metodo del pallottoliere. Io ho in
mente l'immagine del pallottoliere, e ogni volta che scopro un indizio di
pensiero di un certo tipo immagino di spostare una pallina sulla riga
corrispondente. Alla fine avrò spostato molte palline, e su una delle tre
righe quelle spostate sono più numerose. La riga che ha più palline
spostate è quella che mi dice che pensiero usa il cliente.
— In realtà non è che un decidere a maggioranza. L'immagine del
pallottoliere rende a molti il conteggio più facile.
— Immagino che in alcuni casi la maggioranza di palline, su una delle tre
righe, sarà schiacciante, per cui non avrò dubbi. Ma immagino che ci
saranno anche dei casi in cui la maggioranza sarà risicata, per cui mi
verrà il dubbio di aver sbagliato. Tu che hai più esperienza di me,
Simone, che ne dici?
— E' proprio così, ma non devi preoccuparti più di tanto. Fai la tua
analisi meglio che puoi, e poi prendi serenamente una decisione. Vedrai
che indovinerai molto spesso, e te ne accorgerai dal fatto che avrai la
sensazione di dominare la trattativa e dal fatto che i risultati della
trattativa saranno soddisfacenti. Col tempo le tue capacità si
perfezioneranno e nel giro di pochi mesi azzeccherai il 99% delle
diagnosi.
— Ma se intanto sbaglio?
— E' ampiamente dimostrato che sin dal primo giorno si vende molto di
più prendendo una decisione e seguendo la strategia corrispondente, che
non prendendo alcuna decisione per paura di sbagliare. L'importante è
che tu cominci a conoscere un buon numero di indizi di pensiero, in modo
da poterli riconoscere quando si presentano. Un poco di studio qui è
davvero necessario. Vediamo se sai dirmi qualche indizio di pensiero.
— Un primo indizio è rappresentato dalla professione. Infatti:
- usano spessissimo il pensiero pratico i politici di professione, gli
imprenditori di prima generazione (cioè quelli che hanno creato l'azienda,
non essendosi limitati ad ereditarla), i dirigenti di alto livello delle grandi
aziende, i dirigenti che hanno raggiunto notorietà presso il grande
pubblico;

Pagina 114
- usano spesso il pensiero logico i tecnici, gli ingegneri, i consulenti, i
formatori aziendali, coloro che insegnano per passione più ancora che per
necessità, coloro che nelle aziende occupano posizioni di staff;
- usano spessissimo il pensiero creativo gli artisti, i pubblicitari, i
venditori (specie se vendono prodotti con limitato contenuto tecnico), gli
umoristi, gli architetti, coloro che per professione devono esprimersi per
mezzo di immagini.
— E' un indizio molto utile, perché possiamo averlo prima ancora di
incontrare il cliente, ma non dobbiamo basarci esclusivamente su di esso
— precisò opportunamente Simone.
— Infatti, è solo una pallina sul pallottoliere, dobbiamo trovarne almeno
una decina dello stesso tipo per fare una buona diagnosi.
— Quali sono gli indizi di pensiero pratico?
— Ne abbiamo visto tanti — rispose Gilda. — Vediamo se me ne ricordo
qualcuno:
* il cliente esprime grande sicurezza, vicina all'arroganza;
* il cliente denota un'evidente pretesa di aver ragione, spesso espressa
esplicitamente;
* il cliente esprime giudizi sommari e approssimativi in un'area dove egli
agisce operativamente (e quindi dove sarebbe certamente in grado di
esprimersi in maniera tecnicamente più precisa);
* nel tentativo di spiegare le sue idee, è evidente che il cliente ricerca il
sostantivo o l'aggettivo "giusto" che rispecchi il suo pensiero, e se lo trova
non suole fornire ulteriori spiegazioni;
* tende alla polarizzazione (cioè ad identificare le cose come "bianche"
oppure "nere" senza vie di mezzo);
* si basa su pregiudizi e su luoghi comuni;
* gesticolazione che esprime temperamento autoritario (esempio: mano a
pugno con indice teso in alto);
* evidente preferenza per i vocaboli concreti rispetto ai vocaboli astratti;
* evidente preferenza per il fare rispetto al ragionare;
* dà maggiore importanza alle tattiche che alle strategie;
* è accentratore e molto lontano da un corretto concetto di delega;
* usa più volentieri le istruzioni operative ("d'inverno metti l'olio con
l'etichetta verde") di quelle metodologiche ("d'inverno metti l'olio più
fluido").
— Naturalmente, se il cliente mette in evidenza uno di questi indizi più
volte, bisogna spostare altrettante palline sul tuo pallottoliere mentale.
— Esatto, me ne stavo dimenticando. Adesso provo a dirti indizi di
pensiero logico:

Pagina 115
* tende a non esprimere giudizi decisi, quando fa un'affermazione decisa
subito dopo l'attenua (esempio: «La libertà è fondamentale, almeno in
molti casi»);
* per dire una cosa dice prima il contrario di quel che pensa (esempio: «il
ministro sarà anche una brava persona, ma in questo caso ha rubato»);
* usa frasi del tipo «non solo... ma anche...», dove ci sono due frasi, e
quella che esprime il suo vero pensiero è la seconda;
* usa esposizioni ordinate, spesso introdotte da: «In primo luogo...», «In
secondo luogo...», «In terzo luogo...», «Infine...»;
* nell'esprimersi usa schemi mentali ordinati, come «pro e contro»,
«vantaggi e svantaggi», «somiglianze e differenze»;
* fa delle premesse prima di esporre una sua opinione;
* fornisce ampie spiegazioni non richieste e generalmente non necessarie
(spesso interrompe addirittura la spiegazione per spiegare un punto della
spiegazione);
* comprende in maniera lenta e approfondita;
* parla in termini di obiettivi facendo derivare ogni tattica da una più
ampia strategia;
* usa più volentieri le istruzioni metodologiche rispetto a quelle
operative;
* per dire quello che vuole dire impiega un tempo superiore alla media;
* lavora volentieri in gruppo e in posizioni subordinate.
— Direi che è un elenco piuttosto buono.
— Oh, sai, è facile, abbiamo visto diversi esempi con dei filmati televisivi
e abbiamo avuto il tempo di soffermarci a lungo su ciascuno. Queste cose
si imparano molto bene vedendo degli esempi.
— E che indizi conosci per il pensiero creativo?
— Questi:
* fa evidenti sforzi per interpretare le cose da punti di vista originali o
secondo logiche inconsuete;
* fa battute di spirito;
* si dimostra esibizionista;
* sente meno lo stress e, di fronte all'insuccesso, ritrova la serenità più
facilmente della media;
* parla con entusiasmo di quello che fa e sembra pretendere uguale
entusiasmo dall'interlocutore;
* ha molti hobbies;
* cambia frequentemente i suoi hobbies;
* si appassiona per cose irraggiungibili senza preoccuparsi troppo se sono
irraggiungibili (come me con la Torpedo Spider!);
* non si preoccupa minimamente di fare le cose come si son sempre fatte;

Pagina 116
* quando parla, riesce con poche parole a suscitare nell'ascoltatore
immagini molto vive;
* nell'esprimersi, fa molti paragoni, buona parte dei quali (o tutti)
improvvisati;
* in un dialogo, pur essendo disposto ad ascoltare, e pur non disprezzando
minimamente l'opinione altrui, segue le sue idee senza tener molto conto
delle idee altrui; in questo però non è arrogante nè pretende di aver
ragione;
* non sente alcun bisogno psicologico di sentirsi nel giusto per far le cose
che vuol fare;
* produce ragionamenti a velocità superiore alla media;
* è più gradevole da ascoltare della media.
— Complimenti, Gilda! Hai utilizzato molto bene la tua giornata, oggi.
— E non è ancora finita, c'è un'altra lezione nel pomeriggio. Hanno detto
che il nostro gruppo è eccezionalmente buono, e hanno promesso di
insegnarci tecniche molto avanzate. Non vedo l'ora che venga il tempo di
tornare in aula!
Il panino era finito, e Simone guardò Gilda che si incamminava verso il
luogo ove si teneva il corso. Benedetta ragazza! Capace di combinarne di
tutti i colori (e Simone la sera prima aveva potuto ammirare l'intera
tavolozza, e poi oggi sembrava che non fosse successo niente), ma anche
capace di imparare in fretta e bene. Simone ripensava a quanto poco
tempo era passato da quando aveva cominciato a spiegare a Gilda la
Cinematica della Genialità, ed era ammirato nel constatare quanti
progressi aveva fatto.
— Un panino ristora, — disse fra sè e sè Simone — una pausa tonifica, e
incontrare Gilda fa... fa...
E mentre cercava una parola che nessuno scrittore sarebbe probabilmente
mai riuscito ad inventare, Simone tornò al lavoro tutto pieno di nuove
energie.

Pagina 117
CAPITOLO 17°

Pochi clienti alla trattoria Da Peppino


Una borsetta con sorpresa
Sono tanti quelli in gamba
Gilda dà le dimissioni a modo suo
Click fa una proposta

Simone, quella sera, non sapeva dove andare a cena. Il Ristorante al Molo
era chiuso per turno settimanale di riposo, e in quelle circostanze non
v'era dubbio che convenisse andare alla trattoria Da Peppino, cucina
casalinga di eccellente fattura.
Ma lì, probabilmente, avrebbe incontrato Gilda, mentre forse era più
opportuna una serata riposante. E così decise di provare il ristorante del
Grand'Hotel, dove non era mai stato.
Quanto a Gilda, si era incamminata per andare a cena alla trattoria Da
Peppino, ma, dopo aver fatto più di metà strada, pensò che probabilmente
lì avrebbe incontrato quella disgraziata che la sera precedente, nel bagno
di Simone, si era ostinatamente rifiutata di morire affogata. E, parendogli
che la partita non necessitasse di tempi supplementari, pensò che era
meglio evitare una nuova discussione, e ripiegò sul ristorante del
Grand'Hotel.
Click, professionista esemplare nella seduzione di uomini sposati, riteneva
che fosse ancora troppo presto per ottenere che Simone la presentasse a
sua moglie dicendo «E' una collega di lavoro» o qualcosa del genere, e
che simile incontro avesse più probabilità di successo fra alcuni secoli.
Pensò quindi di evitare la coppia, e così decise di non andare a cena da
Peppino, dove li avrebbe certamente incontrati. Con un fischio chiamò Sir
Reginald, il cane cocker soprannominato "Il Pirata", e insieme puntarono
sul ristorante del Grand'Hotel.
Neanche a farlo apposta, il ristorante del Grand'Hotel era proprio quello
cui avevano deciso di recarsi Michela e Cappelletti, nonché
(all'iseguimento di Cappelletti) Vittorio Esposito, come i lettori di buona
memoria sanno già, avendolo letto alcune pagine più indietro.
All'ora giusta, come si sarà intuito, al Grand'Hotel c'erano tutti, e non
sembravano troppo contenti di esserci. Ma Gilda, che era la più abile di
tutti, fu lesta a proporre:
— Facciamo una tavolata unica?
Click, cui non pareva vero di poter far la pace con quella che credeva
essere la moglie di Simone, approvò con entusiasmo. E il cameriere
preparò un tavolo per sei.

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Cappelletti, che conosceva le qualità traumaturgiche del Prosecco di
Conegliano, si affrettò ad ordinarne un congruo numero di bottiglie, e a
riempire un altrettanto congruo numero di volte i bicchieri di tutti.
Dopo alcuni minuti di imbarazzo, e un ulteriore supplemento di Prosecco,
i commensali non avevano più l'aria bellicosa dei giapponesi alle
Filippine, pur conservando tutti un'espressione simile a quella di un
pugile quando suona il gong di inizio della prima ripresa.
Ci voleva dell'altro Prosecco. Cappelletti si alzò e disse con entusiasmo:
— E adesso facciamo un brindisi alla riconciliazione!
— Chi si deve riconciliare? — chiese il cameriere accorrendo con una
nuova bottiglia ben ghiacciata.
— Non lo so, io arrivo adesso — disse Cappelletti, — ma con le facce che
ci sono in giro non c'è dubbio che ci sia qualcosa da riconciliare.
Anche le mezze cartucce, ogni tanto, hanno qualche intuizione geniale.
Fu Click a rompere il ghiaccio.
— Desidero innanzitutto scusarmi con la moglie di Simone — esordì
Click.
Michela non capiva il motivo di quelle scuse. Non capiva neanche perché
Click parlasse girata in direzione di Gilda. «Forse ha il torcicollo» pensò.
— Poi sarebbe bello che ci presentassimo — continuò Click. Io sono
Click. Vedo delle facce nuove.
— Vittorio Esposito, piacere — disse uno del gruppo.
— Gustavo Cappelletti, assicuratore, molto lieto.
— E io sono Michela, la moglie di Simone.
— Chi cavolo sei? — disse Click sbalordita.
— Michela, la moglie di Simone.
— La moglie di chi???
— Di Simone. Che c'è di strano?
— Ma allora, il tornado, chi è? — chiese volgendosi verso Gilda.
— Io? Oh, un'amica... — rispose Gilda con indifferenza.
Michela cominciò a guardare Gilda di traverso. Quell'indifferenza era
troppo indifferente.
— Cavoli, ma quello chi è? Mandrake? E pensare che io mi stavo
innamorando di lui perché lo vedevo educatino e indifeso! — commentò
Click.
— Innamorando di chi? — chiese Michela, che ci capiva sempre meno.
Con molta cortesia e pazienza Gilda fece a Michela un riassunto delle
puntate precedenti.
— ...ma io non potevo permettere che Click si portasse via Simone —
spiegò Gilda. — A tre mesi dalle nozze, poi! E' una cosa indegna.
Michela cominciò a guardare Gilda con simpatia. Non più con gli occhi di
traverso, ma con gli occhi ben dritti.

Pagina 119
— Se proprio dovrà farlo, dovrà farlo con me — continuò Gilda.
Michela ricominciò a guardarla con gli occhi di traverso.
— Ma è il caso che non si faccia illusioni, non ho nessuna intenzione di
starci — precisò Gilda.
Michela ricominciò a guardarla con gli occhi dritti.
— Almeno per il momento — concluse Gilda sospirando.
Michela la guardò con un occhio diritto e uno di traverso.
Ritenendo di saperne ormai abbastanza, Michela prese la sua borsetta, che
era di cospicue dimensioni, e la sbatté sulla testa di Simone, con un
gagliardo movimento a due mani, dall'alto verso il basso.
L'urto fu violento, e fece lo stesso rumore che si sentì nel 1928 quando
deragliò il treno postale a Roncisvalle. Il fermaglio di chiusura della
borsa si ruppe, e dalla borsa scivolò a terra un quaderno ad anelli di cuoio
marrone, con una tigre disegnata in oro.
— L'agenda! — Esclamarono all'unisono Simone e Click.
— Come mai ce l'hai tu? — chiese Simone.
— Il 31 del mese scorso ero qui a Vicolungo e ho cenato al Ristorante al
Molo. A un certo punto ho dovuto andare in bagno e ho visto la tua
agenda nella toilette delle signore, appoggiata vicino alla finestra. L'ho
riconosciuta subito. Evidentemente dovevi averla persa, anche se mi
piacerebbe proprio sapere come mai l'avevi persa proprio in quel posto.
Forse che avevi cambiato sesso, per conquistare anche qualche maschietto,
oltre a tutte le femmine del luogo?
Per evitare ulteriori polemiche, la spiegazione venne immediatamente
fornita da Click, che fece un riassunto delle puntate precedenti che non
erano state riassunte nel precedente riassunto delle puntate precedenti. E
con questo, le puntate precedenti erano state ormai riassunte tutte.
— Finalmente hai di nuovo la tua agenda! — esclamò Click. — Oh,
Michela, questo è il più bel giorno della mia vita! — E la baciò in fronte.
— Finalmente ho di nuovo la mia ricevuta della scommessa! — disse
Simone. Ma non fece in tempo a dire che era il più bel giorno della sua
vita.
— L'agenda l'hai ritrovata, la ricevuta no — precisò Michela. Quella l'ho
presa io. Anzi, l'ho già incassata. Con quei soldi quest'estate mi porterai
in vacanza alle Isole Tropichelles, dico io.
A Simone non restò che abbozzare.
Michela si rivolse a Click.
— E adesso, cara Click, mi vorresti spiegare che cosa facevi in camera di
mio marito prima che arrivasse Gilda?
Quando si trattava di cavarsi d'impiccio con la dialettica, Click era più
abile di un'anguilla.

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— Nulla, ero lì per lavoro — rispose Click tirando fuori il suo contratto
con la ditta Trumbo. — Come puoi controllare, non si trattava di rapporti
sentimentali, ma di sporchi rapporti d'affari, come sempre nella vita. Ma
adesso è tutto finito, ho già dato le dimissioni dalla ditta Trumbo.
Nell'occhio di Click era spuntata una lacrima, e Michela capì che non era
affatto vero che era tutto finito. Ma capì anche che nulla era successo e
che nulla sarebbe più successo in futuro. E così fece finta di non aver
capito niente, e abbracciò Click, restituendole il bacio in fronte, con
sincerità ed amicizia.
Eh sì, caro lettore, le donne in gamba, in questo libro, non erano due, ma
tre.
Anche Sir Reginald era in gamba, nel senso più letterale della parola.
Scocciato perché Michela non aveva portato con sè il gatto Bartolomiao, il
che avrebbe reso la serata ben più eccitante e movimentata, Sir Reginald
aveva inventato un nuovo gioco: la Roulette Russa del Cameriere. In
breve, egli si nascondeva sotto una sedia, cambiando sedia di continuo, e
quando il cameriere si avvicinava per servire il commensale che stava
sulla sedia soprastante, Sir Reginald gli mordeva il polpaccio.
Tra un urlo e l'altro dei camerieri che vincevano alla roulette, Simone si
riprese lentamente dalla botta. E, benché ancora discretamente suonato,
pensò di passare subito al contrattacco.
— E tu, santerellina, che cosa fai con quel gaglioffo? — disse a Michela,
alludendo a Cappelletti.
Ma anche Michela, in fatto di dialettica, non era male.
— E' il nostro assicuratore. Ci deve fare un'assicurazione contro i furti in
casa. Sai, al giorno d'oggi ci sono tanti ladri... Volevo parlartene prima di
firmare il contratto, per questo sono venuta qui, così come ero venuta al
31 del mese scorso, ma non ti avevo trovato. Vero Cappelletti?
— Cerrrrrto! — rispose Cappelletti, che non aveva capito niente, ma
credeva d'aver capito d'aver venduto una polizza.
— Ah, ma allora eri qua per lavoro! — intervenne Vittorio Esposito. —
Sia lodato il cielo! E io che credevo che mi stessi tradendo con una donna!
E mentre diceva questo si alzò, si avvicinò a Cappelletti e lo baciò sulla
bocca con folgorante passione. Tutti lo guardarono sbalorditi.
— Le tre donne presenti, davvero tutte bellissime, devono avere un po' di
comprensione, — commentò Esposito quando dovette sospendere
l'operazione per respirare — c'è anche chi preferisce gli uomini.
Ci fu una risata generale. Ma. di colpo, Gilda smise di ridere.
— Maremma maiala! — disse rivolta a Vittorio Esposito, che, come i
lettori ricorderanno, era datore di lavoro di Gilda, oltre che di
Cappelletti. — Senta un po' lei... ma quella volta che Cappelletti fu
promosso e io no... sì, insomma, quando lei ha nominato Cappelletti capo

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area... la scelta era stata per motivi di lavoro o... lei comprende vero
quello che voglio dire...
— In effetti... — ammise Vittorio Esposito — quel posto sarebbe dovuto
essere tuo... Certo, Cappelletti aveva un record di vendite più elevato, ma
tu, Gilda, mi sembravi essere molto più abile di lui nel dirigere le
persone. Ma non ho potuto promuoverti, perché Cappelletti aveva
minacciato che mi avrebbe abbandonato se non avessi promosso lui.
Gilda era troppo intelligente per discutere di fronte a simili meschinerie.
Prese una penna e scrisse immediatamente la lettera di dimissioni. La
firmò, e la mise nella sua borsetta (anche la sua era di dimensioni
ragguardevoli: usavano grandi, le borsette, quell'anno). Poi mise nella sua
borsetta anche la formaggiera, il macinino del pepe e due bottiglie vuote
di Prosecco. Infine picchiò la borsa sulla testa pelata di Vittorio Esposito
trentadue volte di fila, affinché il concetto delle dimissioni risultasse
sufficientemente chiaro.
Click prese la palla al balzo.
— Senti, Gilda, adesso sei senza lavoro. Che ne dici se facciamo società?
— Società noi due? — chiese Gilda incredula.
— Cavoli! Se penso che cosa è successo quando ci siamo conosciute, e se
penso che ciò nonostante stiamo diventando amiche, concludo che non
potrei trovare una socia migliore. Qualunque cosa ci succeda nel campo
degli affari, non ci dividereremo mai, ma lavoreremo sempre unite per
superare ogni difficoltà.
— Non hai tutti i torti... Ma che genere di società?
— Apriamo un'agenzia assicurativa qui a Vicolungo. E' un bel posto,
questo. Ci si vive bene, e mi sembra un ottimo luogo per sviluppare
affari.
— Ma, scusa Click, chi te lo fa fare? Tu sei una donna ricca. Perché
dovresti metterti a fare un lavoro impegnativo com'è il lavoro di vendita?
— E' vero, di soldi ne ho guadagnati a palate, facendo la fotomodella. Ma
non ci sono solo i soldi nella vita. Hai mai sentito parlare di egoemozioni?
Io non mi vergogno delle mie egoemozioni: voglio invece soddisfarle.
— Facendo la venditrice?
— Ormai non sono più giovanissima, Gilda. Cinque anni fa ero la
fotomodella dell'anno. Adesso a malapena potrei risultare la fotomodella
della settimana. Ancora due o tre anni e sarò una scarpa vecchia, a
chiedere in ginocchio la carità di un po' di lavoro. No, no, a me è sempre
piaciuto essere al centro dell'attenzione. E voglio continuare a restarci. A
vent'anni, se sei fortunata, puoi stare al centro dell'attenzione per la
bellezza del tuo corpo. Ma più avanti con l'età, se vuoi essere al centro
dell'attenzione devi dimostrare la bellezza della tua intelligenza.

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— Questo è vero — ammise Gilda. — Nessun lavoro permette di
dimostrare le proprie capacità come quello di vendita. Ma tu non hai mai
venduto... dovrai imparare.
— In Calabria c'è un proverbio che dice: «Nessuno nasce imparato».
Imparerò anch'io, un po' alla volta, come tutti. Anche il mestiere di
fotomodella ho dovuto impararlo: non basta essere belle, sai?
— Maremma maiala! Sembri sicura di farcela...
— Non sembro, sono. Simone, oltre a farmi innamorare di sè, mi ha fatto
innamorare del lavoro di vendita. E questo ultimo amore, se Michela
permette, vorrei conservarlo e mantenerlo sempre.
Michela strizzò l'occhio sorridendo in segno di approvazione, e propose
un brindisi. Aggiungendo però un importante dettaglio.
— Vi prego solo di una cosa, amiche: di venire a lavorare qui a
Vicolungo solo il giorno che Simone terminerà la sua missione qui e
tornerà a lavorare in città.
— Non c'è bisogno di attendere — disse Simone. — La filiale qui è ormai
avviata, ho avuto una lunga telefonata oggi con la direzione della
Poliufficio 2000 e mi hanno detto che con questo venerdì la mia trasferta
si può considerare conclusa. Con lunedì torno alla base.
Sir Reginald, sotto il tavolo, scodinzolò per approvazione.

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CAPITOLO 18°

Gilda e Click nascondono gli anni


Obiettivi ambiziosi e misurabili
L'immagine del venditore di elevato livello
Come ci si procura nuova clientela
Chi è la più vanitosa?

L'impiegato dell'ufficio comunale era un giovane efficiente e simpatico,


con un naso aguzzo che sarebbe stato l'ideale per aprire le lattine di birra.
Gilda e Click si erano appunto recate negli uffici comunali di Vicolungo
per sbrigare le pratiche burocratiche necessarie all'apertura della nuova
agenzia assicurativa.
— Vediamo un po'... — disse l'impiegato esaminando un grosso plico con
certificati, domande, ed altre cose inutili che tutte le burocrazie del
mondo non si stancano mai di produrre e far produrre a loro esclusivo
uso e consumo, così, tanto per sentirsi indispensabili. — Chi delle due è
Bing?
— Io. Gilda Bing.
— E io sono Clic Clik vedova Cliquot, per gli amici Click.
— Di anni? — chiese solerte l'impiegato.
— E' scritto sul documento, lo legga pure — rispose Gilda.
— Ma non ad alta voce — aggiunse subito Click. — C'è gente...
— Va bene, va bene! — si adeguò ridendo l'impiegato. — E' tutto in
regola. Sicché voi vorreste...
— ...aprire l'agenzia di brokeraggio assicurativo «Clik & Bing» —
rispose Click, sveltissima.
— L'agenzia di brokeraggio assicurativo «Bing & Clik» — la corresse
subito Gilda. — I cognomi vanno in ordine alfabetico! — aggiunse poi,
rivolgendosi a Click con l'aria di un affettuoso ma severo rimprovero.
— E va bene, però chi capita secondo ha il diritto di metterci anche il
nome e non solo il cognome — fu la pronta replica di Click, la cui
velocità di reazione non era affatto inferiore alla vanità.
E così a Vicolungo fu aperta l'agenzia di brokeraggio assicurativo «Bing
& Clic Clik Cliquot», e tutti quelli che passavano, vedendo l'insegna,
pensavano che fosse un negozio di fuochi artificiali.
Ma, in fondo, "fare i fuochi artificiali" era proprio quello che le due
fanciulle volevano. Un venditore sbaglia sempre quando non si pone
obiettivi decisamente ambiziosi: ebbene, nè Gilda nè Click erano persone
adatte a commettere questo genere di errori. Anzi, avevano un obiettivo

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molto chiaro: entro quattro anni avrebbero conquistato la leadership del
mercato nella contrada.
— Un momento — disse Gilda. — Fissare degli obiettivi non serve a
nulla se non si tratta di obiettivi misurabili. "Leadership di mercato" è un
concetto vago. Dobbiamo esplicitarlo mediante dei numeri.
— Mi sono informata — disse Click cercando il foglio giusto in un plico
di appunti che era stato appoggiato sul nuovissimo tavolo di noce. Le due
ragazze si trovavano nella sala riunioni del loro attrezzatissimo ufficio, e
stavano procedendo a gettare le basi dei loro successi futuri.
— Ecco qua — disse Click. — L'attuale leader è la Assivico. Ha il 9% del
mercato. Segue la Kranz con il 6%, poi via via tutti gli altri assicuratori.
— Allora il nostro obiettivo è conquistare il 10% del mercato locale in
quattro anni.
— Bene. Adesso abbiamo un numero preciso. E dobbiamo fissare un
piano per raggiungere questo 10%.
— Cominciamo col proporre qualche azione concreta — disse Gilda. —
Magari anche piccole idee, ma concrete.
— Per cominciare, non dovrai più dire «Maremma maiala» — rispose
Click.
— Maremma bastarda! E perché? Ma che c'entra?
— Nemmeno «Maremma bastarda» va bene. Vedi, un venditore deve
fornire al pubblico un'immagine di elevato livello. Se no, gli obiettivi di
elevato livello possiamo scordarceli.
— Ma l'immagine di elevato livello non si forma proponendo dei buoni
servizi?
— Non è sufficiente — disse Click che la sapeva lunga, visto che in tutta
la sua vita di fotomodella aveva venduto proprio un'immagine di elevato
livello. — Le persone si sentono più sicure acquistando da persone il cui
aspetto fisico corrisponde al ruolo. Tu stessa rimarresti istintivamente
perplessa sulle capacità del nostro commercialista se lui ti ricevesse in
maglietta e scarpette di gomma, così come non chiederesti mai a un
signore in gessato grigio incontrato all'Accademia dei Lincei di darti
lezioni di tennis, mentre comperi volentieri le uova fresche da un
contadino che le venda sul bordo della strada la domenica mentre ti fai
una gita fuori porta (e tu capisci che è un contadino proprio dal modo in
cui è vestito) . Un consulente assicurativo deve non solo essere un buon
consulente assicurativo, ma anche apparire tale in tutti i suoi dettagli. C'è
qualcosa di stonato se usa un'esclamazione adatta a uno scaricatore di
porto.
— Hai ragione... ma allora anche tu dovrai rinunciare alle tue celebri
provocantissime minigonne...

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— Certo. In questo libro siamo state fin troppo sexy. E' giusto che lo
siamo state: siamo giovani, piuttosto bellocce, e nient'affatto imbranate.
Ma ora dobbiamo entrambe darci una regolata. E se vogliamo qualche
avventuretta con qualche ragazzotto gagliardo, ce lo dovremo procurare
ad almeno 300 chilometri da Vicolungo. Insomma, qui tutti ci devono
ritenere dedite esclusivamente al lavoro. Spero di non offenderti se parlo
sinceramente di queste cose.
— Approvato — concluse Gilda, che non si aspettava tanto buon senso in
una socia che finora aveva apprezzato soprattutto per la simpatia. — E
nessuna preoccupazione di offenderci a vicenda, nè ora nè mai: per i
professionisti della vendita ogni critica costruttiva vale quanto una
miniera d'oro. Solo se si conoscono i propri errori vi si può porre
rimedio, e se vogliamo diventare i leader del mercato dobbiamo sbagliare
il meno possibile.
— E adesso, vediamo di stabilire il modo migliore per cercare nuova
clientela — propose Click, cambiando discorso.
— Dovremo svolgere tre tipi di azioni: azioni finalizzate dirette, azioni
finalizzate indirette, azioni di relazione — suggerì Gilda, che, fra le due,
aveva maggiore esperienza.
— Che cosa vuol dire?
— Azioni finalizzate sono quelle che ci procureranno dei colloqui di
trattativa, nel corso dei quali, con opportune tecniche di vendita, potremo
suscitare il desiderio dei nostri servizi assicurativi e soddisfare i desideri
stessi.
Le azioni finalizzate dirette sono quelle svolte nei confronti delle
medesime persone cui vogliamo proporre i nostri servizi. Per esempio, se
telefoni a un tuo conoscente chiedendogli un appuntamento l'indomani per
parlare di lavoro, stai compiendo un'azione finalizzata diretta.
Le azioni finalizzate indirette sono quelle che ti procurano l'occasione di
compiere con più elevata efficacia successive azioni finalizzate dirette. Per
esempio, se tu contatti il Presidente del Sindacato dei Tassisti e riesci a
ottenere una sua lettera di presentazione ai tassisti, compi un'azione
finalizzata indiretta. E' ovvio che una lettera del genere ti servirà per
poter richiedere un appuntamento ai singoli tassisti con elevata probabilità
che te lo concedano.
— Questo è l'unico tipo di azioni finalizzate indirette?
— No, qui il campo è apertissimo alla fantasia. Di azioni finalizzate
indirette se ne possono inventare tante, di semplici e complesse.
— Dimmene una semplice.
— La più semplice, e forse anche la più efficace, è ricordarsi di chiedere
a tutti coloro con cui entri in contatto (clienti che hanno acquistato o

Pagina 126
clienti potenziali che per il momento hanno rifiutato l'acquisto) di
presentarti ai loro amici.
— E lo fanno?
— Lo fanno quasi sempre se tu glielo chiedi con cortese fermezza. —
Come si fa?
— Devi cominciare con una domanda preliminare. Se hanno acquistato,
chiederai loro se, oltre a essere soddisfatti di ciò che hanno acquistato,
sono soddisfatti anche della persona che ha procurato l'affare (cioè tu). Se
non hanno acquistato, chiederai loro se, indipendentemente dal fatto di
non aver potuto trovare ciò che rispondeva alle loro esigenze, sono
rimasti soddisfatti del modo in cui sono stati comunque informati e se
ritengono che tu li abbia trattati con elevata professionalità.
— Penso proprio che dovranno rispondere di sì in entrambe le situazioni.
Lavoro bene, io!
— Appunto, e infatti se hai lavorato bene rispondono di sì. A questo
punto chiederai loro di prendere la loro agenda (non dimenticare questa
richiesta!) e di vedere a quali loro amici potrebbero presentarti.
Specificherai che non devono dirti chi potrebbe comperare, ma solo nomi
da cui tu ti recherai a svolgere il medesimo servizio informativo con la
medesima professionalità che loro hanno riscontrato.
— A questo punto mi diranno alcuni nomi e io ne prenderò nota.
— Ma non è finito. Dopo che hai preso nota dei nomi (non prima!),
chiederai loro di telefonare ai loro amici e di chiedere loro
l'appuntamento per te, e di farlo subito. Se questo non è possibile, tirerai
fuori alcune copie di una lettera prestampata che dice più o meno: «Ti
presento la signora Clic Clik Cliquot. Lavora nel campo assicurativo e
svolge un servizio informativo con grande professionalità. E' una
conoscenza che val la pena di stringere, per cui, anche se non avrai nulla
da acquistare da lei, ricaverai comunque dei sicuri vantaggi ricevendola e
dedicandole alcuni minuti». Su ogni foglio scrivi a mano l'indirizzo di
uno degli amici che ti hanno indicato, e chiederai loro di firmare le
lettere.
— E lo fanno?
— Una gran parte lo fa. E non sarà certo una minoranza poco
collaborativa a fermarci.
— Giusto.
— Certo che è giusto, maremma maia... pardon, landa suina!
— «Landa suina» può andare, ma solo con gli amici. Torniamo però alle
azioni finalizzate indirette. E' un concetto importante, voglio capirlo
bene. Avevi detto che ci sono anche azioni finalizzate indirette complesse.
— Per esempio. è un'azione finalizzata indiretta il lavorare per
procurarsi un colloquio col segretario provinciale della Federazione

Pagina 127
Albergatori, al quale chiederai di inviare una lettera a tutti gli associati,
per invitarli a distribuire in ogni camera dell'albergo un tuo dépliant, in
cui sia contenuto un coupon da inviarsi per chiedere ulteriori
informazioni e che (finalmente) ti procurerà un colloquio.
— Quindi le azioni finalizzate indirette possono essere anche... molto
indirette.
— Le azioni finalizzate indirette sono gradini di una scala. La scala può
essere composta da due o da moltissimi gradini, quello che importa sono
due cose: che l'ultimo gradino sia un colloquio di vendita, e che si abbia
in mente tutta la scala fin dall'inizio.
— E le azioni di relazione?
— Sono azioni che ti fanno genericamente conoscere in giro. Queste
conoscenze ti serviranno per poter proporre, quando sarà il momento
giusto, delle azioni finalizzate. Inoltre, queste conoscenze faranno sì che
quando qualcuno che non ti aspetti avrà delle necessità assicurative,
sapendo vagamente che lavori nel settore ed avendo di te un'elevata stima
personale, ti contatterà per avere un'offerta.
— Le azioni di relazione dovrebbero essermi congeniali — disse Click.—
Vediamo di fare un elenco di che cosa potrei fare. Tu scrivi che io detto.
— Sono pronta.
— Potrei recarmi in tutti quei luoghi dove confluiscono numerose
persone ed è possibile fare conoscenze. Potrei iscrivermi ad una palestra,
frequentare il club nautico, andare alle gite sciistiche organizzate in
pullmann da qualche club sportivo... oltre a tutto si unisce l'utile al
dilettevole.
— Okay per il dilettevole, però guarda che non basta essere presente.
Devi farti notare con un ruolo attivo: organizzare qualcosa, risultare
utile, fare il capogruppo in qualche attività...
— Giusto. Allora vediamo... potrei organizzare le trasferte dei tifosi della
locale squadra di calcio... poi ho sentito che si parla di istituire un
servizio di pullmann per accompagnare a scuola i bambini delle
elementari: potrei raccogliere firme in favore dell'iniziativa e portarle a
chi deve decidere: questo mi consentirebbe di conoscere i genitori di tutti
i bambini di Vicolungo.
— Inoltre in ogni ambiente devi stare bene attenta a cogliere ogni
occasione per allargare il giro delle conoscenze: per esempio, so che la
palestra qui all'angolo è frequentata dal presidente del club del bridge...
— Questo è niente. Al club nautico ci va sempre il presidente
dell'Associazione Industriali di Vicocorto. Con la mia bellezza potrei
tentare di conquistarlo.
— Eh no! — la riprese giustamente Gilda. — Non mischiamo lavoro con
iniziative private, come tu stessa correttamente hai detto prima.

Pagina 128
— Ma lo facevo per lavoro... per accelerare i tempi. Mica penserai che
mi interessi davvero quel vegliardo!
— Con questi personaggi altolocati non bisogna accelerare i tempi, ma
lavorare a medio termine. Prima devi fare in modo di vederlo più volte e
scambiare qualche parola banale, poi devi attendere che ti si presenti
l'occasione di fargli un favore (basta anche una cosa da niente: per
esempio guardargli i bambini mentre lui e sua moglie fanno un giro in
barca), poi si stringe un po' più amicizia, e solo a questo punto gli dirai
che fai l'assicuratrice, ma senza soffermartici. Noi vogliamo che lui ci
presenti agli associati, ma, se vuoi il suo appoggio pieno, questa dovrà
essere una sua idea, e non qualcosa che gli abbiamo proposto noi.
Naturalmente ciò non significa aspettare passivamente, ma significa
lavorare per creare l'occasione in cui tale idea possa venirgli.
— Hai ragione — concluse Click, che non aveva esperienza commerciale,
ma era svelta a capire. — Mi immaginavo che per vendere occorresse una
strategia, ma ora scopro che anche per procurarsi degli appuntamenti
occorre una strategia.
— E' proprio così. Naturalmente sono possibili anche azioni più a breve
termine. Vediamo per esempio se siamo in grado di intraprendere qualche
azione finalizzata indiretta.
— Per il momento però non conosciamo il presidente di nessuna
associazione.
— E allora dovremo inventare qualcosa. Come dice il proverbio, chi non
ha amicizie abbia creatività.
— Perché non organizziamo una presentazione di nostri servizi, magari
offrendo un cocktail?
— Perché probabilmente non ci verrebbe nessuno. A meno che la
presentazione non sia in mezzo a qualcosa che attira la gente e la induce a
venire, oppure che avvenga in un posto dove la gente c'è già per altri
motivi: per esempio nei locali di una mensa aziendale.
— Senti un po': ho un amico che è un dirigente dell'ufficio delle imposte.
Perché non organizziamo un meeting in cui si spiega la nuova legge sulla
tassazione delle società? Probabilmente verrebbero tutti i piccoli
imprenditori della zona che devono fare la dichiarazione fiscale proprio il
mese prossimo, e a metà potremmo fare una breve presentazione del
nostro piano di assicurazione "Azienda Sicura".
— E' una buona idea. Si può organizzare con un investimento contenuto,
alla portata delle tasche di due venditrici all'inizio quali siamo noi, e
potrebbe dare un buon risultato. Quello che più mi interessa, però —
concluse Gilda — è che tu capisca che cosa si deve intendere per "azioni
finalizzate indirette". Perché se capisci bene qual è il genere di idee che ci
servono, nel giro di qualche giorno ne troverai sicuramente molte di

Pagina 129
buone, e fra di esse potremo scegliere, magari consigliandoci con
qualcuno che ha più esperienza di noi.
— E poi ci sono anche le azioni finalizzate dirette.
— Certo. Dovremo fare un gran numero di telefonate a persone
sconosciute. Alcune di esse accetteranno l'appuntamento, e potremo
cominciare a vendere.
— Prendiamo allora la guida del telefono e cominciamo dalla lettera A.
— Hai già fatto due errori.
— Due?
— Il primo è quello di prendere la guida telefonica alfabetica. E' meglio
procedere il più possibile per categorie omogenee: per esempio tentare
con tutti i negozianti, poi con gli avvocati e così via. Infatti,
concentrandoti su una categoria specifica, contatti delle persone che hanno
dei punti in comune tra di loro: dopo poco questi punti in comune
cominci a conoscerli anche tu e ti è più facile avviare un discorso. Senza
contare che, se c'è la possibilità di farsi aiutare con un'azione finalizzata
indiretta, la nostra mente, grazie alla concentrazione, è molto più veloce a
riconoscerla e svilupparla.
— E il secondo errore?
— In ogni categoria omogenea, non conviene cominciare dalla lettera A.
Quelli che hanno il cognome con le lettere che cominciano con A e B sono
i più bersagliati dai venditori: telefonano loro non solo i venditori "seri",
ma anche quelli che fanno venti telefonate e poi... cambiano mestiere.
Cominceremo da una lettera intermedia dell'alfabeto... per esempio G
come Gilda — disse Gilda, che non aveva ancora digerito bene il fatto che
il nome di Click apparisse tre volte nell'insegna aziendale e il proprio,
invece, una volta sola.
Egregi lettori, non vogliamo concedere a due ragazze così belle di essere
entrambe vanitosette? Anche perché vedrete che i risultati commerciali
che di lì a poco otterranno giustificano invero parecchi chili di vanità.
Anzi, magari nel capitolo successivo vedremo qualche altra azione che
esse hanno compiuto per raggiungere la leadership del mercato. Chissà
che cosa hanno escogitato?

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CAPITOLO 19°

Come scrivere una lettera promozionale


La telefonata per ottenere un appuntamento
Il metodo di Murray Roman
Vendere per telefono
Pippotto Defilippis applaude Click

Dopo qualche mese, Click era diventata bravissima a procurare


appuntamenti per sè e per i collaboratori che nel frattempo l'agenzia
andava reclutando.
Per prima cosa, si procurava un elenco di nominativi suddivisi per
professione. C'era una ditta specializzata, non lontano da Campione, che
forniva elenchi di questo tipo con una modica spesa, e in qualche caso,
poi, si poteva ottenere quel che serviva da albi professionali o addirittura
dalle pagine gialle.
Per esempio, c'era stata quella volta che Click era alle prese con tutti i
parrucchieri della contrada.
Subito dopo essersi procurati gli indirizzi, Click aveva preparato il testo
di una lettera promozionale indirizzata ai parrucchieri. Per la verità,
quella volta il parto era stato assai travagliato.
In un primo tempo, Click aveva concepito una lettera che diceva più o
meno così:
«Egregio signore,
l'attività di parrucchiere non prevede purtroppo, come lei ben sa, un
trattamento pensionistico proporzionato ai lunghi anni di lavoro. Per
questo le proponiamo una pensione integrativa che lei potrà costruirsi
scegliendo in una vasta gamma di soluzioni personalizzate. La nostra
incaricata, signorina Clic Clik vedova Cliquot, le telefonerà nei prossimi
giorni per fissare un appuntamento e presentarle interessanti opportunità.
Con i migliori saluti
Bing & Clic Clik Cliquot.»
Dopo aver preparato tale bozza, Click l'aveva fatta vedere ad un paio di
parrucchieri di sua conoscenza, chiedendo loro un parere. E' molto
opportuno, prima di investire tempo e quattrini in un'iniziativa
promozionale, fare un piccolo test sperimentandola su qualcuno.
Quando Click chiese ai suoi due amici parrucchieri che cosa ne
pensavano, ottenne una frase di generica approvazione. Ma siccome
l'approvazione era appunto generica, Click andò oltre e chiese se,
ricevendo una simile lettera, avrebbero senz'altro aderito

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all'appuntamento: e capì che la lettera non faceva proprio venir voglia di
"agire".
Click allora discusse la cosa con Gilda, che le spiegò che quella lettera
proponeva considerazioni logiche per dimostrare la necessità di un
appuntamento.
— Se proponiamo al lettore una situazione problema-soluzione, attiviamo
il suo pensiero logico — aveva detto Gilda. — Purtroppo, dei tre tipi di
pensiero che l'uomo usa, quello logico è quello con minor propensione
all'azione. Questo fatto me l'aveva spiegato il professor Gatto, una
persona deliziosa che ti farò conoscere alla prima occasione, ancora nel
capitolo 11°, e successivamente ho avuto molte occasioni per verificarlo
nella pratica. Tornando a noi, siccome con la nostra lettera noi vogliamo
provocare un'azione, cioè un colloquio di vendita, un messaggio logico è
sconsigliabile.
— Quale tipo di pensiero dovremmo attivare al suo posto? — chiese
Click, che già in altre occasioni aveva scoperto quanto la Cinematica della
Genialità potesse esserle utile, e desiderava apprenderla meglio.
— Senz'altro quello creativo. Esso è quello con la maggiore propensione
all'azione; tieni poi conto che i messaggi creativi sono quelli più gradevoli
a leggersi, cosicché aumenta la probabilità che la nostra lettera sia
effettivamente letta prima di finire nel cestino.
— E come si fa un messaggio che attivi il pensiero creativo?
— Facendo in modo che la nostra lettera susciti egoemozioni. Anche il
concetto di egoemozioni me l'aveva spiegato il professor Gatto, nel
capitolo 11°. Sono per esempio egoemozioni: il sentirsi importante, il
sentirsi al centro dell'attenzione, la sensazione di avere potere, il
prestigio, il veder affermate le proprie idee, il realizzare un sogno antico,
il successo, ed altre ancora che trovi appunto nel capitolo 11°. In una sola
parola, la nostra lettera avrà successo se propone al parrucchiere
un'azione in cui egli si senta protagonista.
Click si ripassò i capitoli del libro citati ed anche qualche altro (Click non
era una di quelle che leggono tanto per leggere, ma che leggono per
imparare, e quindi conosceva l'importanza fondamentale dei ripassi) e
buttò giù una nuova versione della lettera così concepita.
«Al protagonista della bellezza di tante donne.
Lei fa tanto per gli altri, ogni giorno, contribuendo con abilità e
professionalità a rendere le donne più belle. Un giorno, però, deciderà di
ritirarsi dall'attività e quel giorno si chiederà: «E che cosa ho fatto per
me stesso?»
Se vuole essere protagonista anche del proprio benessere, la nostra ditta le
può fornire alcuni strumenti per costruirsi un domani migliore. Vogliamo
parlarne? Le telefonerò per un appuntamento.

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Clic Clik Cliquot
della Bing & Clic Click Cliquot.
P.S. Sono curiosa di vedere se i protagonisti rimangono tali anche dopo
aver abbassato la saracinesca.»
I due parrucchieri che avevano accettato cortesemente di fare da cavie
sostennero che questa lettera era molto più motivante della precedente,
anche se non ancora perfetta.
Ma a questo punto Click decise di passare all'azione, perché se si aspetta
che tutto sia perfetto non si agisce mai. Del resto, alcune correzioni
potevano essere apportate anche successivamente, nel corso della
campagna. E in effetti alcuni giorni più tardi la lettera era decisamente
migliore. Ma non riporteremo in questo libro la versione definitiva,
perché, come diceva Gilda, l'importante è che il lettore capisca in che
direzione deve cercare le idee, e se lo capisce, le idee del lettore saranno
certamente più adatte alla sua specifica situazione di quelle di Click, per
quanto buone queste ultime possano essere. E poi, chi deve essere il vero
protagonista, Click o voi?
Preparata la lettera, Click ideò una strategia. Infatti, pochi giorni di prove
l'avevano convinta che si ottengono appuntamenti molto più numerosi se
si usa un insieme di messaggi telefonici e messaggi scritti, piuttosto che
solo gli uni o solo gli altri.
Prima telefonava al parrucchiere (il cui nome era stato ricavato
dall'elenco) preannunciandogli che gli aveva scritto una lettera
importante, e che l'avrebbe richiamato per averne un parere.
Il giorno stesso spediva la lettera al parrucchiere, e quattro giorni dopo lo
richiamava al telefono, facendo seguito alla lettera e chiedendo un
appuntamento.
La telefonata era volutamente succinta. Diceva più o meno:
«Sono Clic della Bing & Clic Clik Cliquot. Ha ricevuto la mia lettera?»
I più rispondevano di sì, ma anche nei rari casi in cui dicevano di non
averla vista Click proseguiva nello stesso modo:
«Come anticipavo nella lettera, desidero fissare un appuntamento per
esaminare insieme una proposta interessante nel campo della sicurezza.
Preferisce domani mattina alle nove o giovedì nel pomeriggio?»
La proposta prevedeva sempre due alternative, una con un'orario preciso
e una più libera. Naturalmente Click avrebbe accettato un appuntamento
anche in una differente collocazione, ma il proporre la scelta fra due
alternative è un vecchio artificio dei venditori per indurre più facilmente
all'azione.
Molto spesso il parrucchiere poneva alcuni quesiti. Il più frequente era:
«Di che cosa si tratta?» e in questo caso Click rispondeva: «Le chiedo un

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appuntamento proprio perché non si può parlarne efficacemente per
telefono. Preferisce domani alle nove o giovedì nel pomeriggio?»
Altre volte, il parrucchiere avanzava delle obiezioni. Molte volte diceva
di non aver tempo, e la risposta era: «Proprio farle risparmiare tempo,
proponendole l'informazione al momento giusto, è l'obiettivo del
colloquio. Preferisce domani alle nove o giovedì nel pomeriggio?»
In qualche caso, il parrucchiere rifiutava l'appuntamento, dicendo di non
essere interessato alla cosa. Ma Click faceva un altro tentativo anche in
questa circostanza, dicendo: «Nessuno può essere interessato a una
proposta finché non ha avuto la possibilità di valutarla. E qui c'è qualcosa
di diverso dal solito. Per poterlo valutare, preferisce domani alle nove o
giovedì pomeriggio?»
Un giorno, Click chiese a Gilda:
— Ho scoperto che se si insiste con fermezza, senza mai dire nulla
sull'offerta che intenderemo presentare, ma soltanto riproponendo le due
alternative, si ottengono appuntamenti anche con parrucchieri che
sembravano proprio rifiutare ogni contatto. Come mai?
— E' semplice — rispose Gilda. — Se il cliente rifiuta, è perché ha capito
che tu vuoi cercare di vendergli qualcosa. Ora, succede una cosa curiosa:
tutti abbiamo bisogno di ricevere dei venditori, per essere informati e
consigliati su ciò che non conosciamo, ma nessuno ha il tempo di ricevere
tutti i venditori che gli si propongono.
— E' vero. Anche noi, quando abbiamo comprato la fotocopiatrice, non
abbiamo ricevuto tutti i venditori che ci avevano telefonato.
— E infatti ogni cliente è costretto a fare una selezione. E adesso dimmi:
dovendo scegliere un venditore da ricevere, chi sceglieresti, un "signor
venditore" o una mezza calzetta?
— Un "signor venditore", è ovvio.
— E adesso dimmi: come giudicheresti un venditore che si arrende alla
prima obiezione del cliente?
— "Una mezza calzetta" sembra proprio la definizione... calzante.
— Se allora tu non ti lasci scoraggiare dai primi rifiuti, ma insisti
dimostrando entusiasmo per il tuo lavoro, come se mai nessuno ti avesse
rifiutato un incontro, il cliente qualche volta pensa: «Ma allora Click è
una signora venditrice. Voglio conoscerla, perché magari riesco a
instaurare una collaborazione che mi sarà utile nel tempo.» Troppi
venditori si arrendono invece subito, e assumono un tono di voce e una
atteggiamento caratteristici di chi riceve continuamente rifiuti. In questo
modo comunicano involontariamente al cliente di essere la famosa "mezza
calzetta" con cui non è il caso di perdere tempo. Ed è la nostra fortuna
che i venditori della concorrenza siano così: altrimenti come faremmo a
portar via loro il 10% del mercato?

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— Non ci avevo pensato! — disse Click ridendo e concludendo
l'argomento.
Naturalmente, anche la telefonata migliore non può avere successo con
tutti i clienti potenziali cui si telefona: c'è sempre qualcuno che non
accetta l'incontro.
Ma, per ogni cliente che rifiuta, c'è un venditore che escogita un'idea
nuova. E' una massima vecchia quanto il mondo: chi non compra è solo
uno che non ha ancora comprato.
E Click stava sperimentando con molto successo una differente iniziativa.
L'idea gli era venuta leggendo un libro di Murray Roman, un esperto
americano che ha ottenuto grossissimi successi nella vendita telefonica e
ha descritto in un interessante libro i metodi usati.
Dovete sapere che, a Vicolungo, il personaggio del giorno era Marcello
Pallonetto, che di mestiere (alle volte il destino è scritto nei cognomi)
faceva il centravanti della locale squadra di calcio, ed essendo, al
contrario di molti atleti famosi, anche di elevata cultura e di piacevole
conversazione, era molto conosciuto anche da chi per il calcio non faceva
pazzie.
Investendo un discreto numero di bigliettoni (ma nemmeno troppi:
Pallonetto sapeva che la sua notorietà era limitata alla zona di Vicolungo,
e che quindi non poteva chiedere più di tanto), Click aveva ottenuto che
Pallonetto incidesse una cassetta in cui diceva:
«Buongiorno, sono Marcello Pallonetto, sì, sì, proprio il centravanti della
squadra di calcio di Vicolungo. Sono lieto di avere l'occasione di
conoscerla. Le telefono perché ho scoperto che la ditta Bing & Clic Clik
Cliquot propone alla clientela delle proposte davvero utili ed interessanti.
Le passerò ora al telefono la signora Clic Clik Cliquot, che fisserà un
appuntamento per consentire anche a lei di conoscere ed esaminare tali
proposte. Nell'occasione, la signora Clic Clik Cliquot le porterà una mia
lettera per lei e una mia foto con autografo. Arrivederci.»
Click telefonava a un cliente potenziale il cui nominativo era stato tratto
dagli elenchi del telefono, e, dopo aver verificato di parlare con la
persona cercata, diceva:
«Signor Taldeitali, ho un messaggio registrato per lei da parte di
Marcello Pallonetto. Glielo faccio sentire subito.»
E subito avviava la cassetta nel suo registratore, tenendo la cornetta del
microfono ben vicina all'altoparlante.
Al termine del messaggio registrato, Click riprendeva la linea e
concordava l'appuntamento.
Click era molto contenta di questo metodo, perché, nelle prime prove
fatte, la resa in termini di appuntamenti era risultata molto elevata.

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Naturalmente, quando si recava all'appuntamento Click portava con sè la
foto con autografo di Pallonetto (se ne era fatte preparare alcune
centinaia) e una lettera stampata (ma con firma autografa) di Pallonetto
che confermava di aver favorito l'appuntamento perché convinto della
bontà delle proposte della ditta Bing & Clic Clik Cliquot.
Click non usava il telefono però solo per ottenere appuntamenti. Il
telefono è un potentissimo mezzo di vendita, da solo o in combinazione
con un mailing. Naturalmente, come tutti i mezzi di questo mondo, il
telefono dà buoni risultati solo se usato nelle circostanze giuste.
E già mi immagino la faccia di Pippotto Defilippis, un mio amico di
Torino cui ho regalato una copia del mio libro perché so che ha appena
iniziato un'attività di vendita, e poi perché così ero sicuro che almeno un
lettore questo libro l'avrebbe avuto. Pippotto Defilippis si sta infatti
chiedendo in questo momento:
— Ma quali sono le "circostanze giuste"?
Andiamo, Pippotto, arrivaci da solo. Secondo te, il telefono andrà bene
per vendere soluzioni?
— Non credo — starà dicendo Pippotto. — Vendere soluzioni implica
per il cliente di pensare a un problema e valutare soluzioni; per il
venditore implica comprendere un problema e costruire soluzioni su
misura. Sono operazioni che difficilmente si possono fare in pochi minuti,
che è la durata tipica di una telefonata, e probabilmente impossibili se
abbiamo interrotto il cliente mentre faceva qualcos'altro. Una soluzione si
potrà fornire per telefono solo in pochi casi particolari, e su iniziativa del
cliente, non nostra. Al massimo, per telefono si può migliorare o
completare una soluzione già concordata, ma non proporne una ex novo.
Bravo, Pippotto. E uno strumento assecondante sarà facile da vendere per
telefono? Ricorda che per vendere uno strumento assecondante il
venditore ha bisogno di creare un ambiente ricco di creatività ed
entusiasmo, che ha bisogno di capire quello che il cliente sta pensando
anche se non lo dice, che deve comunque adeguarsi alle idee del cliente
piuttosto che proporre le proprie, che spesso sono necessari periodi di
silenzio piuttosto lunghi nel corso della trattativa, e infine che il cliente
deve essere ben concentrato sulla tua proposta, perché deve produrre idee
che la riguardino. Si potrà fare tutto questo comodamente al telefono?
— No di certo. Ci sono: per telefono si possono vendere bene solo
prodotti.
Proprio così, Pippotto. Prodotti di facile comprensione per il cliente o
prodotti completamente nuovi?
— Prodotti di facile comprensione.
Ma che, naturalmente, abbiano un vantaggio in più, anch'esso facilmente
comprensibile.

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— Un momento — dice Pippotto che ha perfettamente ragione a
riprendermi. — Che il vantaggio in più sia facilmente comprensibile non
basta!
Vero, vero, Pippotto. Siccome per telefono non ho di solito la possibilità
di comprendere quale vantaggio interesserà il mio cliente in maniera
particolare, bisogna che il mio prodotto disponga di un vantaggio
proponibile a tutti, cioè un vantaggio che risulti interessante per almeno il
50% della popolazione cui mi rivolgo.
Ricapitoliamo: bisogna proporre:
- un prodotto di facile comprensione,
- che abbia un vantaggio in più di largo interesse
- e facile da capire.
In questo caso posso vendere con relativa facilità per telefono, sia a vecchi
clienti, sia a clienti potenziali che non abbiamo mai incontrato.
— Anche a clienti nuovi?
Certo. In questo caso ti aiuterà molto, però, il poterti presentare a nome
di una conoscenza comune. Inoltre ti aiuterà molto l'abbinamento della
telefonata con una lettera contenente fotografie, descrizioni dettagliate, e
simili. Comunque, ho visto effettuare tantissime vendite anche in
situazioni che non prevedevano alcuno di questi aiuti.
— Cambiando argomento, posso chiedere ancora una cosa? — starà
dicendo Pippotto. — E Gilda, che cosa fa? Abbiamo visto che Click non
se la cava affatto male: potete darci informazioni anche di Gilda? Anche
se non posso più sperare di vedere Gilda in abito sexy, non vorrei
perderla di vista. Ormai è diventata per me un'amica, e ci sono
affezionato.
E va bene, Pippotto. Che cosa fa Gilda vediamolo subito, nel prossimo
capitolo. Non prima di aver salutato con un applauso Click, che ha
terminato, in questo libro, la sua recitazione. Ma non preoccuparti, la
rincontrerai certamente nei libri successivi della stessa serie, con un sacco
di idee nuove in testa.

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CAPITOLO 20°

Da venditrice geniale a manager geniale


Tecniche speciali per venditori eccezionali
Il portafoglio di offerte diventa più vasto
Il metodo attrattivo
Gilda stravince con la qualità

Gilda, in giacca e gonna blu, e camicetta molto accollata a righe verticali


bianche e verdi, aveva un atteggiamento austero, adatto alla sua nuova
professione di Direttore Vendite, ma restava pur sempre bellissima.
Era riuscita a reclutare quattro bravissimi venditori, e li stava dirigendo
con molta capacità. Perciò i venditori la apprezzavano molto, e non tanto
per la sua bellezza, che pur aveva aiutato ad instaurare un rapporto
collaborativo, bensì per la sua professionalità, che nel tempo si era
sviluppata sempre più.
A Vicolungo non c'era più solo la Gilda-venditrice, ma si andava
affacciando sul palcoscenico una grande Gilda-manager. Manager
"geniale", naturalmente, poiché anche nella conduzione degli uomini
Gilda aveva cercato di rendere operativi gli ampi suggerimenti che la
Cinematica della Genialità fornisce anche per questo tipo di professione.
Gilda si era resa conto ben presto che la propria leadership sarebbe stata
strettamente legata ai progressi nel lavoro che i suoi collaboratori
avrebbero realizzato. Per cui aveva dedicato ampio tempo alla formazione
e all'addestramento dei suoi quattro venditori, sia con riunioni in aula,
che consentono riflessioni più profonde, sia con affiancamenti sul campo,
che meglio permettono di favorire l'applicazione pratica.
Quel giorno, Gilda era in sala riunioni con i suoi quattro venditori, ed
aveva una buona notizia da dare loro.
— Il vostro impegno ha fatto sì che abbiamo completato il ciclo delle
riunioni formative sulla Cinematica della Genialità in tempi più rapidi del
previsto — esordì Gilda. — E devo confermarvi che i risultati di vendita
sono proporzionali ai progressi che fate nell'apprendimento delle tecniche
commerciali. Anche il mese scorso abbiamo battuto il nostro record di
gruppo. Complimenti.
In sala erano tutti soddisfatti.
— Per premio, quest'oggi vi proporrò alcuni cenni su alcune tecniche di
vendita di livello elevato, che nei casi normali non si propongono a
venditori con meno di un anno di esperienza. Ma i risultati eccellenti che
avete appena ottenuto mi impedisce di ritenere che voi rappresentiate il
caso "normale".

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— "Tecniche di livello elevato" significa tecniche complesse? — chiese
uno senza affatto spaventarsi, ma solo per cercare di predisporre la
propria mente al giusto livello di attenzione e concentrazione.
— Sono cose semplici, talvolta addirittura ovvie: nella vendita (come in
ogni altra scienza) non c'è niente che si possa definire davvero complicato
— fu la risposta di Gilda. — L'unica complicazione è che, più cose
conosci, più sono le cose cui devi pensare contemporaneamente, mentre
vendi. Per questo motivo i corsi per venditori non insegnano mai "tutto"
quel che c'è da sapere nella vendita, ma solo una parte, e il resto verrà
appreso in momenti successivi.
— Quindi, mentre vendo, devo pensare ad altre cose, oltre alle
informazioni tecniche che devo riferire al cliente?
— Certo. Mentre vendi, non puoi limitarti a pensare a cosa dire. Devi
anche cercare di capire il cliente: riconoscere il tipo di pensiero che sta
utilizzando, innanzitutto, e poi capire il suo carattere, la sua situazione, i
suoi gusti, i suoi progetti, e sulla base di questo elaborare la strategia della
tua presentazione: che cosa proporre e soprattutto come proporlo. Tutto
questo mentre contemporaneamente parli e conduci la conversazione.
— Non è facile.
— Non è facile, ma l'hai già fatto un sacco di volte anche prima di
cominciare a vendere. Progettare contemporaneamente un'azione e la
strategia in cui questa azione si deve inquadrare fa parte delle attività
quotidiane del genere umano. Quando si fanno dei pettegolezzi, per
esempio, tutti riescono istintivamente a partecipare alla conversazione, e
contemporaneamente a pensare una strategia per meglio utilizzare le
informazioni ricevute per sparlare della vittima in maniera ancor più
crudele. E quando si fa dello sport, per esempio il basket o il rugby, è
cosa normale effettuare un passaggio e contemporaneamente pensare se è
il momento di rallentare il gioco o di accelerarlo, se bisogna rischiare di
più in attacco o proteggere meglio la difesa, e così via.
— Insisto a dire che è difficile.
— E io insisto a dire che è proprio questa difficoltà che rende la cosa
stimolante. E' bello giocare a golf proprio perché la buca in cui bisogna
buttare la pallina è piccola. Nessuno si divertirebbe, se non fosse difficile
mandargliela dentro.
La vendita è un mestiere enormemente tecnico. La competenza che
occorre è molto simile a quella necessaria per fare l'ingegnere capo dei
meccanici in una squadra di Formula Uno.
L'unica differenza è che il motore che il venditore deve far funzionare al
meglio è il proprio cervello. Il capo meccanico della Ferrari o della
Honda sa ciò che si può ottenere con la benzina. Il venditore sa quello che
si può ottenere con le tecniche di genialità.

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— E allora, quali sono queste tecniche di elevato livello?
— La prima ha a che vedere con ciò che si vende. Noi che cosa vendiamo
al cliente?
— Assicurazioni, che a loro volta possono essere interpretate come
prodotto, o come soluzione, o come strumento assecondante. Questo
semplice fatto ci ha permesso di moltiplicare per tre il nostro portafoglio
di offerte, consentendoci di avere più cose da vendere, più alternative da
proporre al cliente... in una parola, ci ha consentito di dare al cliente una
collaborazione di elevata qualità, su cui è basato ogni nostro successo.
— Ebbene. ora vi insegno come moltiplicare il nostro portafoglio di
offerte per un coefficiente molto superiore a tre.
Tutti la guardavano sbalorditi. Era quasi un gioco di prestigio.
— E' in realtà una cosa abbastanza ovvia, — continuò Gilda, — ma che
non viene quasi mai presa in considerazione per stabilire la strategia del
colloquio, per intenderci quella che si stabilisce mentre si è dal cliente.
Perché la verità è che non sempre noi vendiamo assicurazioni. O, almeno,
in molti casi potremmo (e dovremmo) vendere altro.
— Oh bella, e che cosa allora?
— In qualche caso, noi possiamo vendere il fornitore, con questo
intendendo noi stessi, oppure la compagnia assicuratrice che
rappresentiamo, oppure (ed è la cosa migliore) ambedue le cose insieme.
In pratica, anziché discutere col cliente se deve o no acquistare le nostre
assicurazioni (viste come prodotto, oppure come soluzione, oppure come
strumento assecondante), si discute col cliente se il fornitore dobbiamo
essere noi o qualcun altro. E' ovvio che se il fornitore prescelto saremo
noi, automaticamente venderemo le nostre assicurazioni.
— E anche il fornitore può essere visto come prodotto, o come soluzione
, o come strumento assecondante?
— Certo! Complimenti sinceri per esserci arrivato da solo.
Gilda non perdeva mai l'occasione di complimentarsi con i suoi uomini,
quando questi facevano qualcosa di giusto. E' un ottimo strumento per
aumentare la propria leadership.
— Il fornitore — proseguì Gilda — può essere proposto a un cliente in
pensiero pratico: in questo caso (fornitore-prodotto) il venditore metterà
in risalto che noi siamo fornitori migliori, perché diamo un unico
vantaggio in più, ma molto importante per quello specifico cliente,
rispetto agli altri fornitori.
Oppure, il fornitore può essere proposto ad un cliente in pensiero logico:
in questo caso (fornitore-soluzione) il venditore dovrà far emergere un
problema, e successivamente dimostrare che collaborare con noi ne è la
migliore soluzione.

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Infine, il fornitore può essere proposto a un cliente in pensiero creativo.
In questo caso (fornitore-strumento assecondante) il venditore dovrà
riuscire a creare le condizioni perché al cliente venga una fulminante
idea: che avere noi come fornitore è fonte di egoemozioni. Chiaro?
Avuto un assenso da parte di tutti, Gilda propose ai venditori di lavorare
alcuni minuti da soli, per vedere se trovavano qualche altro tipo di offerta
su cui una trattativa potesse ragionevolmente vertere.
Lasciò alcune decine di minuti di tempo per lavorare, passati i quali Gilda
tornò in sala riunioni per sentire le conclusioni cui erano pervenuti i suoi
uomini.
Costoro avevano elaborato un elevato numero di idee. Uno dei quattro
riferì i risultati a nome di tutti.
— Innanzitutto — disse — la trattativa potrebbe vertere sul momento
dell'acquisto. In altre parole, non si discute col cliente di che cosa
bisognerebbe acquistare, dandolo per scontato, ma soltanto di "quando"
conviene acquistare. E' chiaro che se convinceremo il cliente che bisogna
acquistare subito, egli acquisterà da noi, che siamo lì proprio in quel
momento. Il momento dell'acquisto potrà essere visto dal cliente come
momento-prodotto (acquistare subito dà un vantaggio in più), momento-
soluzione (l'immediatezza dell'acquisto è la soluzione di un problema
precedentemente emerso) o momento-strumento assecondante (è
l'immediatezza dell'acquisto, e non il semplice acquisto, ciò che conferisce
prestigio o qualche altra egoemozione).
Un'altra cosa attorno a cui potremmo impostare la trattativa è il servizio
che noi forniamo. Per esempio, la comodità di fare tutte le operazioni
stando a casa propria, anziché doversi recare in agenzia tutte le volte che
c'è bisogno di qualcosa. L'idea c'è venuta considerando la vendita degli
abbonamenti ai giornali e alle riviste: è infatti evidente che chi si abbona
acquista la comodità di ricevere lo stampato a casa, e non il giornale, che
comunque acquisterebbe all'edicola.
Non sto a dire che anche questa comodità di servizio può essere vista
come prodotto, soluzione oppure strumento assecondante: ormai tutto
questo dovrebbe essere chiaro a tutti. E' invece importante chiarire che la
comodità è solo uno degli aspetti del servizio che può essere venduto: ce
ne sono molti altri, per esempio la semplicità, l'utilità, l'occasione, la
novità, l'economia, la simpatia, la professionalità.
Altre cose che potrebbero essere oggetto di una trattativa sono:
l'assistenza successiva all'acquisto, un servizio di informazione
permanente, il nostro metodo di lavoro, l'utilità di diversificare i
fornitori (per i clienti nuovi) o al contrario l'utilità di avere un fornitore
unico (per i clienti acquisiti, ma che hanno rapporti anche con altri
fornitori di assicurazioni), perfino la qualità del servizio, ma a patto che

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questa non sia una parola generica, ma corrisponda a fatti concreti e
dimostrabili. Per esempio, molti fornitori di beni industriali vendono il
fatto che la qualità della loro produzione è dovuta a procedure descritte in
un apposito manuale e certificata da appositi organismi di controllo.
Se noi riusciremo a convincere il cliente e ottenere il suo consenso totale
su anche uno solo dei punti sopra esposti, il risultato pratico sarà sempre
che noi venderemo le nostre assicurazioni.
Nel terminare la mia relazione, devo per l'ennesima volta precisare che
ognuna di queste trattative può essere fatta sia a un cliente in pensiero
pratico, sia a uno in pensiero logico sia a uno in pensiero creativo. Nei tre
casi, la nostra proposta dovrà essere presentata come proposta-prodotto o
come proposta-soluzione o come proposta-strumento assecondante: ciò
implica che dovremo di volta in volta scegliere la più adatta fra le tre
strategie di vendita che ormai conosciamo bene... o che comunque ci
sforziamo giorno per giorno di conoscere sempre meglio.
Il portavoce del gruppo si sedette, attendendo un commento di Gilda. La
quale, essendo veramente contenta del lavoro svolto, non mancò di
segnalarlo ufficialmente.
— E visto che siete stati così bravi, vi spiegherò oggi stesso anche l'ultima
delle tecniche di elevato livello. Che cosa vi ho sempre detto di fare, nei
primi minuti in cui siete da un cliente?
— Di farlo parlare, per creare le condizioni psicologiche serene
necessarie per una buona trattativa, e contemporaneamente per capire il
suo tipo di pensiero. Dopo aver compreso se il cliente ragiona in pensiero
pratico, oppure logico, oppure creativo, adegueremo a ciò la nostra
strategia di vendita.
— Benissimo. Quello che hai appena descritto è il metodo adattivo: noi ci
adattiamo al cliente e al suo tipo di pensiero (pratico o logico o creativo).
Ma esiste un altro metodo: il metodo attrattivo. Esso consiste nel far usare
al cliente il tipo di pensiero che a noi fa più comodo, e poi iniziare e
condurre la trattativa in quel tipo di pensiero.
— Molto divertente. Ma conviene davvero?
— Non sempre. Infatti questo implica una fatica e soprattutto del tempo
supplementare: e non sempre val la pena di spendere tali risorse, dato che
noi siamo comunque in grado di adattarci al cliente. Ci sono però delle
situazioni in cui tale tecnica risulta utile.
— Per esempio?
— Supponi per esempio che il nostro prodotto sia oggettivamente
inferiore a quello della concorrenza, per prestazioni, prezzo o entrambe
le cose. Se a questo punto trovi un cliente pratico, dovresti dimostrargli
che il nostro prodotto ha un vantaggio in più: che, purtroppo, non esiste.
Allora cosa fai? Una possibilità è di non parlargli di assicurazioni, bensì

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di qualcosa d'altro: per esempio il momento di assicurarsi (da proporre
come momento-prodotto): ne abbiamo appunto parlato prima. L'altra è
quello di portare il cliente in un altro pensiero, per esempio quello logico:
in tal caso egli non potrà più fare confronti fra il nostro prodotto e quelli
della concorrenza (confronto in cui risulteremmo perdenti), ma solo fra
la soluzione nostra e quella della concorrenza: e la nostra maggiore abilità
di "medici" potrà metterci in posizione di privilegio anche se i
"medicinali" di cui disponiamo sono oggettivamente inferiori. Oppure
portarlo in pensiero creativo, se riteniamo di potergli assecondare le
egoemozioni in modo migliore e più immediato di quanto non possa fare
la concorrenza.
Le cose saranno naturalmente molto più facili se il cliente cambia il suo
tipo di pensiero nella fase di presa di contatto, cioè prima che inizi la
trattativa vera e propria. E' possibile fargli cambiare pensiero anche nel
corso della trattativa, ma il tutto diviene enormemente più complicato da
gestire.
Uno dei quattro venditori chiese la parola.
— Prima di procedere, vorrei ringraziarla, Gilda, per averci messo in
grado di comprendere con simile chiarezza queste cose. Il verificare che
sono in grado di discutere di psicologia a questi elevatissimi livelli tecnici
mi rende molto orgoglioso del mestiere che mi sono scelto.
Gli altri approvarono con un brusio.
— Ma, naturalmente, — egli proseguì — sono interessato all'aspetto
operativo: come si fa a far cambiare tipo di pensiero al cliente?
— Devi organizzare il tuo messaggio in modo che esso possa essere
compreso solo da una persona che usi il pensiero che tu vuoi attivare.
Facciamo un esempio: se hai di fronte una persona che vuoi portare in
pensiero pratico, e siete in fase di presa di contatto, e state parlando (che
so io) delle sue vacanze, tu dovrai parlare di vacanze in maniera
rigorosamente assertiva. Userai di continuo frasi assolutistiche («Le cose
stanno così e basta») o tendenti alla polarizzazione fra due alternative
(«Non usiamo mezzi termini, signor Taldeitali, le vacanze o sono
riposanti o sono una schifezza»), porterai la conversazione in termini di
"aver ragione" o "aver torto" cercando di fargli dire che lui ha
assolutamente ragione, farai frequentemente riferimento a pregiudizi e
luoghi comuni dandoli per veri, e una volta trovato la parola giusta per
definire un concetto («Negli alberghi devono essere cortesi, efficienti ed
affabili») eviterai accuratamente di spiegare che cosa intendi con quegli
aggettivi. Al contrario, se vuoi suscitare pensiero logico cercherai di
impostare il discorso in termini di problemi seguiti da soluzioni, porterai
il cliente a compilare tabelline mentali di "pro" e "contro", modererai
tutti i suoi giudizi più decisi facendo notare che ogni regola ha le sue

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eccezioni. Suscitare il pensiero creativo è un po' più difficile: se vuoi
ottenerlo, porta subito il discorso sui suoi hobbies, e dagli molto spazio
perché dica tutto quello che vuole, e non contrastarlo. Invitalo a produrre
idee nuove, prima di riportare il discorso sul lavoro. Ricordati di
apprezzare ogni sua battuta umoristica (anche se non molto riuscita):
interessano le battute umoristiche "sue", non eventuali barzellette.
Naturalmente oggi su questo abbiamo fatto solo un cenno. Ma se batterete
il record anche il mese prossimo vi iscriverò ad un corso tenuto dall'ing.
Biondo dove questi argomenti vengono dibattuti nei dettagli.
— Con queste tecniche, si riesce sempre a portare il cliente nel pensiero
da noi voluto? — chiese uno.
— Sempre no, ma molto spesso sì. Comunque, se tu usi queste tecniche
nella fase di presa di contatto non corri particolari rischi: se non ci riesci,
alla peggio tutto resta come prima.
I quattro venditori erano motivatissimi, ma Gilda quel giorno voleva
stravincere, anche perché era la fine del libro e voleva che il lettore si
ricordasse di lei più che di Click o Michela.
— Ma ho un'altra sorpresa per voi — disse Gilda. — Poco fa voi stessi
avete ricordato che ci sono aziende, nel mondo industriale, che vendono la
qualità dei loro servizi, codificata in un manuale e riconosciuta da appositi
enti.
Bene, anche noi avremo presto qualcosa di simile. Ho convinto le
compagnie assicuratrici che rappresentiamo ad aderire ad un progetto per
il "miglioramento della qualità dell'azione di vendita e dei rapporti con la
clientela". Ci aiuterà in questo progetto una nota società di consulenza,
Aidea Srl di Milano, che è diretta dall'ing. Luciano Biondo, direttore
dell'équipe che ha scoperto la Cinematica della Genialità, nonché autore di
questo libro.
— E in che cosa consisterà il progetto?
— Il progetto avrà lo scopo di attivare organicamente le risorse di tutti
per migliorare la qualità dell'azione commerciale. Il punto di partenza
sarà costituito dai problemi o reclami o lamentele che ogni tanto tutti i
venditori (anche quelli delle migliori aziende) raccolgono sul campo. E
così questi fatti spiacevoli, anziché essere delle grane da risolvere in
qualche modo, diventeranno delle occasioni per migliorare il servizio in
maniera definitiva. Si costituiranno dei "gruppi di qualità" dove saranno
coinvolti rappresentanti della vendita, dell'amministrazione, di coloro che
producono i servizi (nel nostro caso i rami delle compagnie), i
liquidatori, eccetera.
— E come si svolgerà il lavoro?
— Un po' di pazienza, lo vedrete prestissimo, perché il progetto partirà
già la settimana prossima. Vi prego di tener presente inoltre che quello in

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cui trovate vita è un libro, non dobbiamo trasformarlo proprio noi in un
dépliant pubblicitario dell'intervento di consulenza. Quello che conta è
che questo fatto testimonia in modo reale e concreto quello che è da
sempre il nostro obiettivo: la qualità del servizio.
Il lettore non si stupirà se, con simili premesse, l'agenzia di brokeraggio
assicurativo Bing & Clic Clik Cliquot conquistò il 10% del mercato
ancora prima dei quattro anni preventivati. E ciò creò le premesse per
quel che accadrà nel prossimo capitolo, che è l'ultimo di questa storia.

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CAPITOLO 21°

Simone agricoltore dilettante


Un polverone turbocompresso
Nessuno mai seppe dov'erano andati
La "regola numero uno" della vendita
Un amico del lettore e un indirizzo da ricordare

Il giorno in cui accaddero questi fatti, nella ridente cittadina di


Campoalto, era passato qualche tempo rispetto al resto della storia. Sapete
come sono le cose: le persone vanno a vivere in due città diverse, passa un
giorno dopo l'altro, si è continuamente indaffarati, e quando ci si rivede è
difficile per i protagonisti dire, così a prima botta, se sono passati dei
mesi oppure degli anni. Forse, era passata una via di mezzo.
Il giorno in cui accaddero questi fatti, dunque, era una domenica mattina,
e Simone si stava dedicando al suo nuovo hobby di Agricoltore Dilettante.
E' questo un mestiere che si va sempre più diffondendo fra coloro che,
abitando in città, possono disporre di un fazzoletto di terra. Di solito tutto
comincia un venerdì sera, quando uno, stufo di mangiare prodotti
surgelati, decide che adesso vuole avere dei piselli freschi, coltivati da sè
medesimo.
Il giorno dopo, sabato, ci si reca in un negozio specializzato in
Agricoltori Dilettanti, perché è l'unico che vende delle zappe su cui ci sia
scritto "zappa professionale". La loro caratteristica normale è di costare
quattro volte di più di una zappa veramente professionale ma venduta in
un negozio per agricoltori normali.
A Campoalto c'è appunto un negozio del genere, che tutti conoscono
anche perché in una gabbia sistemata all'ingresso c'è un corvo parlante
che dice «Ciao» a tutti i clienti che transitano. L'Agricoltore Dilettante ci
passa usualmente l'intero pomeriggio del sabato per stabilire che la zappa
professionale con manico verde rigido è meglio della zappa professionale
con manico rosso semiflessibile (o viceversa, secondo i gusti), e torna a
casa con diversi bigliettoni in meno ma con una zappa nuova fiammante e
tanti buoni propositi.
La mattina dopo, domenica, l'Agricoltore Dilettante alle otto di mattina è
già sul posto, e comincia a zappare. Verso mezzogiorno, giudicando dalle
mani bollenti e dalla spina dorsale al calor bianco, l'Agricoltore Dilettante
ritiene di aver dissodato non meno di quattordici ettari di terreno, mentre
un osservatore meno coinvolto direbbe che ha dissodato un angolino in
cui potrebbero crescere, al massimo, due chili di piselli, baccelli
compresi. (Il bello è che l'Agricoltore Dilettante, in quello spazio,

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vorrebbe far crescere, oltre ai piselli, anche il prezzemolo, i pomodori,
ovviamente il basilico, e possibilmente due o tre filari di viti.)
Il sabato successivo, l'Agricoltore Dilettante ritorna al negozio, e acquista
un sacco da quaranta chili di piselli per semina. La domenica mattina,
provvede a seminarli tutti, approfittando del tempo favorevole.
Terminato il lavoro, va a lavarsi le mani, e, appena ha girato lo sguardo,
un nugolo enorme di corvi ed altri uccellacci piomba sui semi,
mangiandosi tutto.
Nelle cittadine, a causa dell'urbanizzazione, di corvi e di uccelli in genere
se ne vedono sempre meno, eppure in queste circostanze ne arriva un
numero impressionante. Io credo che sia stato il corvo parlante del
negozio ad avvertire i colleghi via fax.
Dopo pochi secondi si sono pappati l'intera semina, cosicché quando
l'Agricoltore Dilettante, lavatosi le mani, s'affaccia al balcone a rimirare
il lavoro svolto, non s'accorge di nulla.
Naturalmente, Madre Natura ha pensato a tutto, ed ha posto qualche limite
perfino alla vista dei corvi, laonde qualche pisello da semina in realtà è
rimasto al suo posto, giusto quanto basta a far crescere i due chili di
piselli che ci potevano stare in quel terreno.
Ma Madre Natura deve pensare anche alle erbacce, e per questo ha
inventato l'Agricoltore Dilettante. Il quale, qualche sabato dopo, torna al
negozio, e si fa rifilare i famosi "accrescitori brevettati per piselli". In
pratica, si tratta di normalissimi bastoni di legno, lunghi lunghi, da
piantare nell'orto allo scopo di legarvi le piante di piselli quando saranno
cresciute. L'Agricoltore Dilettante non ne compera mai meno di quaranta,
in ragione di dodici bigliettoni l'uno.
Tornato a casa, l'Agricoltore Dilettante provvede a piantare gli
accrescitori brevettati (o bastoni, che dir si voglia) nell'orto. E, tra quello
che calpesta in prima persona, e quello che distrugge manovrando i
bastoni, annienta completamente i minuscoli germogli di piselli che
cominciavano a crescere. E con questo, si ottiene definitivamente via
libera per l'amoscino, la gramigna, l'erba puzzola, la borrana e quante
altre erbacce vogliate immaginare.
Questa è la dura vita dell'Agricoltore Dilettante.
Ordunque, Simone era per l'appunto intento a quest'ultima fase del
lavoro, consistente nel piantare gli accrescitori brevettati e nel creare
l'habitat ideale per le erbacce, e Michela, dal balcone, lo guardava
giustamente scettica, ma in fondo anch'ella divertita.
In quella, si vide dal lontano orizzonte avvicinarsi uno strano polverone.
Qualcosa di simile lo facevano un tempo le automobili molto veloci
quando le strade erano ancora in terra battuta, ma a Campoalto,
ovviamente, le strade erano asfaltate tutte ormai da tempo immemorabile,

Pagina 147
inoltre il polverone in questione si avvicinava a una velocità notevolmente
superiore.
La testa del polverone, costituita da una Torpedo Superrossa
turbocompressa da far girar la testa, si fermò proprio davanti alla casa di
Simone.
— Maremma ma... pardon, landa suina! — disse la guidatrice. — Salta su
che ti porto a fare un giro! Dopo tutto, se ce l'ho, questa macchina, è
anche merito tuo!
Quel giorno Simone e Gilda tornarono di sera, anzi di notte, molto tardi,
e nessuno mai seppe dov'erano andati.
E Michela, che aveva visto tutto, come l'ha presa?
Per capire gli avvenimenti spostiamoci un anno più avanti. E' una cosa
che gli autori di libri devono fare spesso, quando l'editore ha richiesto
ventuno capitoli, e si è già al ventunesimo.
Un anno più avanti, ordunque, Michela e Simone continuavano ad essere
una coppia perfetta, e ad amarsi profondamente. Michela non aveva mai
detto niente sul giro in macchina con Gilda, per almeno quattro buoni
motivi.
Il primo è che in fondo Gilda aveva salvato Simone dal far l'amore con
Click, quindi, nella peggiore delle ipotesi, la partita si sarebbe chiusa in
pareggio, uno a uno.
Il secondo è che Gilda è una ragazza curiosa, ed era capacissima di aver
girato sulla sua supermacchina nuova fino alle tre di notte senza fermarsi
mai.
Il terzo è che Simone era salito in macchina con la zappa professionale e
trentacinque accrescitori brevettati per piselli, e questo l'avrebbe alquanto
intralciato in eventuali movimenti erotici.
Il quarto (e fondamentale) è che in tutto l'anno successivo Gilda non si era
fatta più vedere, e dunque non costituiva pericolo reale.
E infine, se Simone era un bel ragazzo, qualche ammiratrice doveva pur
averla, no? E quelle che non si fanno più vive, pensava Michela, vanno
benissimo.
In ogni caso, per evitare eventuali pericoli futuri, Michela si iscrisse ad
un corso di tecnica di vendita.
— Dico io: se Simone — spiegò Michela al gatto Bartolomiao —
incontrerà un'altra venditrice carina e bisognosa d'aiuto, l'aiuto glielo
darò io!
Bartolomiao fece le fusa, e il sol ridea, calando dietro il Resegone.

***

Pagina 148
— Un momento, un momento! — gridò Michela all'autore del libro. Non
vorrai mica finire il libro qui?
— Certo che sì — risposi io. — Ho promesso all'editore ventuno capitoli,
questo è appunto il ventunesimo. Che cosa manca?
— Hai fatto conoscere al lettore un sacco di amici nuovi: Simone, Gilda,
Click, il professor Gatto, Balla e Birillo, e tanti altri, e soprattutto me. E'
ora, dico io, di presentare al lettore anche un altro amico, che l'ha
seguito e accompagnato per tutto questo tempo.
— E chi sarebbe?
— Ma tu, l'autore del libro!
— Vuoi dire che debbo parlare di me? Mi piace moltissimo. Quanto
spazio ho a disposizione? Una pagina? Venti pagine? Trentacinque
capitoli?
— Dieci righe vanno benissimo.
— Sono nato a Venezia nel 1944 e ho fatto l'infanzia a Trento. Poi mi
sono trasferito a Milano dove mi sono laureato in Ingegneria Elettronica.
Ho deciso subito di dedicarmi alla formazione del personale, e ho lavorato
all'Olivetti (dove ho imparato il mestiere dal famoso tecnico
dell'apprendimento David J. Klaus), nel gruppo Wall Street Institute (che
mi ha dato la possibilità di creare nuove metodologie didattiche che hanno
consentito a molte decine di migliaia di allievi di apprendere con
maggiore efficienza), presso lo Studio Mario Silvano (dove ho imparato
da un grandissimo maestro, Mario Silvano, il mestiere della consulenza),
e successivamente in proprio. Lavoro nella formazione dal 1970 e nella
consulenza dal 1976. Nel 1991-92 hoi insegnato Metodologie di Studio,
presso il Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo (LIUC) di
Castellanza (Varese), agli studenti che ivi frequentano il corso di laurea in
Economia Aziendale. Sono contento della mia professione anche perché
sono sempre stato richiesto da clienti qualificatissimi (Assicurazioni
Generali, Bull, Credito Svizzero, Fideuram, Pubblica Amministrazione
del Canton Ticino, Unione Banche Svizzere, Unipol, e tanti tanti altri), e
alcuni di essi (in particolare Ambro Italia) hanno anche sponsorizzato
talune ricerche scientifiche svolte dalla mia équipe di tecnici. Sono
specializzato nello sviluppo della qualità del servizio al cliente e tengo
corsi su tecniche di vendita e su tecniche manageriali. Mi piace la musica
e suono il banjo come il professor Gatto. Se poi qualcuno vuol sapere di
più su di me, più che leggere una descrizione dovrebbe conoscermi
personalmente. Lasciami dire a ciascun lettore che sarò ben lieto di
incontrarlo e di parlargli assieme.
— Che programmi hai per il futuro?
— Voglio scrivere un altro libro, intitolato «Pensare da Manager». In
esso si spiegherà come, imparando ad utilizzare meglio tutti e tre i propri

Pagina 149
pensieri (pratico, logico e creativo), si può enormemente aumentare la
propria leadership. — Ci sarò anch'io?
— Certo, insieme con Simone, Gilda, Click e tutti gli altri.
— Allora mi interessa. Come faccio ad averne una copia?
— Annotati l’URL su Internet: http://www.aidea.it. Quando sarà
pubblicato, lì ne troverai notizia.
— Semplice semplice. Lo faccio subito, dico io.
— Benissimo.
— Serve anche ai manager commerciali?
— Certo. A chiunque debba condurre uomini, riuscendo ad influire
positivamente su di loro.
— Ti spiego perché te l'ho chiesto. Il lavoro di vendita comincia a piacere
anche a me, e forse un giorno diventerò addirittura manager. Se mi sono
iscritta ad un corso, non è solo per tenermi stretto Simone, come avevi
scritto sopra. Questo è solo (per usare le tue parole) l'alibi logico. Il vero
motivo è che imparare a vendere, dico io, mi interessa davvero.
— E fai benissimo. E' un mestiere fantastico, in cui le soddisfazioni non
possono mancare, se solo si rispetta la "regola numero uno" della vendita.
— Regola numero uno? E qual è?
— La migliore definizione è probabilmente quella data nel 1954 da Frank
Bettger: «Il più importante segreto dell'arte del vendere è: scoprite quel
che il cliente vuole ed aiutatelo ad ottenerlo.»
— E la Cinematica della Genialità, dico io, non serve proprio a questo?
— La Cinematica della Genialità aiuta a scoprire che cosa il cliente vuole,
indicandoti se egli vuole un prodotto, una soluzione o uno strumento
assecondante. E' la prima cosa da sapere, se vuoi capire davvero che cosa
vuole.
Inoltre, ti indica come aiutare il cliente ad ottenere ciò che egli vuole,
dandoti delle regole da seguire per migliorare la tua comunicazione e
renderla più efficace.
Infine, ti dice come funziona la sua procedura di decisione (che dipende
dal tipo di pensiero che egli ha attivato), e ti informa su quali saranno i
passaggi decisionali per lui difficili, e su cui quindi va aiutato.
Il cliente in pensiero pratico ha difficoltà a uscire dalle proprie abitudini,
e quindi va aiutato presentandogli il nuovo come qualcosa a lui familiare.
La tecnica del "l'hai già fatto" per superare i rifiuti è l'aspetto più
evidente di questa strategia.
Il cliente in pensiero logico ha difficoltà a passare all'azione, e va aiutato
in questo. Con lui bisogna usare sempre un numero elevatissimo di
prechiusure.
Il cliente in pensiero creativo ha bisogno di veder accettate le sue idee:
dobbiamo imparare ad accettarle (cosa molto più difficile di quel che

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sembra, col cliente creativo) e ad assecondarle, rinunciando a suggerire
alternative che paiono migliori a noi (ma non a lui): perché è la scala di
valori del cliente quella che deve valere, e non la nostra.
— Allora queste tecniche non sono manipolazioni? Non sono un modo per
vendere a tutti i costi? Allora un po' di "spinta" all'acquisto è una cosa
indispensabile?
— Assolutamente indispensabile: se vuoi aiutare davvero il cliente, devi
aiutarlo a superare le sue difficoltà. Naturalmente devi saper quali sono le
sue difficoltà (che dipendono dal tipo di pensiero usato), in modo che tu
possa "spingere dalla stessa parte" in cui spinge lui. Altrimenti che razza
di aiuto è? — E adesso dimmi. Che cosa consigli al lettore, dopo aver
letto questo libro, per perfezionare ulteriormente le proprie capacità di
vendita?
— Di seguire un corso di Genialità nella Vendita. Un libro fornisce
informazioni, e quindi insegna a sapere, un corso fornisce capacità, e
quindi insegna a fare: c'è una bella differenza.
— Tutti i corsi vanno bene?
— In giro ci sono ottimi corsi di tecnica di vendita. Molti sono
organizzati dalle stesse aziende: probabilmente, anche nell'azienda dove il
lettore lavora se ne fanno.
— Quelli basati sulla Cinematica della Genialità sono i migliori?
— Sono come gli altri, ma con un grosso vantaggio in più: essi insegnano
non solo come aumentare le vendite, ma anche come aumentare i margini
di contribuzione.
Voglio farti notare che, in pratica, quest'ultima cosa non è altro che la
famosa "qualità" della vendita. Infatti tu potrai aumentare i tuoi margini
di contribuzione solo se il cliente attribuisce un valore maggiore a ciò che
gli viene dato, ed è quindi disposto a spendere di più.
— Come ci si iscrive ad un corso di Cinematica della Genialità?
— Rivolgiti ad Aidea Sas, via Sanzio 32, 20149 Milano, telefono
02.48.01.41.74, fax 02.4851.0373, e-mail: ascolto@aidea.it. Potrai
trovare dei corsi interaziendali, cioè cui si iscrivono persone singole,
provenienti da diverse aziende. Ma si ottengono risultati migliori se il
corso è aziendale, cioè creato appositamente per una singola azienda e
frequentato solo da venditori di tale azienda. Il lettore farà quindi bene a
sentire il servizio formazione dell'azienda in cui lavora, oppure il proprio
direttore commerciale, per vedere se esistono le condizioni per
organizzare, con l'aiuto di Aidea, un corso aziendale.
— Aidea è l'unico fornitore di tali corsi?
— Possono insegnare la Cinematica della Genialità solo Aidea Srl e le
aziende che da essa hanno acquistato i diritti. Cinematica della Genialità,
così come Pensiero Pratico, Logico e Creativo, e diverse altre "parole

Pagina 151
chiave", sono marchi registrati. Se l'azienda in cui lavori ha acquistato i
diritti, l'insegnamento sarà certamente ottimo: Aidea Sas cede infatti i
diritti di utilizzazione del marchio solo a docenti che hanno seguito un
approfondito training e garantiscono di frequentare tutti gli
aggiornamenti periodici, che sono numerosi.
Se hai dei dubbi, telefona ad Aidea che ti confermerà se, trattandosi di
Cinematica della Genialità, il corso che intendi seguire è tenuto da un
docente autorizzato oppure se è un "pirata" che, oltre ad agire
illegalmente, probabilmente ti insegnerà qualcosa di sbagliato.
— Quanto durano i corsi?
— Poche giornate a tempo pieno. Ma non devi pensare che in pochi
giorni tu possa imparare un mestiere complesso come la vendita. Come
tutte le cose, anche la vendita va imparata un po' alla volta: un corso,
alcuni mesi per impadronirsi con l'uso delle tecniche apprese, poi un altro
corso, e così via.
— Il lettore dovrà quindi seguire più corsi?
— Su un argomento come le tecniche di vendita, noi riteniamo che un
venditore debba frequentare da cinque a dieci giornate l'anno di corso,
suddivise in tre o quattro corsi. E questo per tutta la vita lavorativa.
— La Cinematica della Genialità si impara in un unico corso?
— Attualmente abbiamo in catalogo sette corsi di livello crescente,
ognuno corredato da uno o più corsi di ripresa e approfondimento.
Inoltre ci sono dei corsi specialistici: vendita al telefono, vendita in fiera,
vendita ad organizzazioni complesse, ed altre cose del genere. Il contenuto
di questo libro corrisponde, grosso modo, ai primi due livelli.
— E ce ne sono altri cinque, più i corsi specialistici?
— Per il momento. Tutti gli anni creiamo qualcosa di nuovo. Ma è giusto
che sia così: al giorno d'oggi le conoscenze umane, in tutti i campi,
raddoppiano ogni quattro o cinque anni: chi non si tiene al passo, con
idonee azioni di formazione, resta indietro come resta indietro
un'automobile se ci si dimentica di fare il pieno di benzina.
— Questo per i venditori. Ma. oltre che da loro, il libro sarà letto anche
da direttori commerciali, da direttori marketing, da imprenditori, dico io.
A loro che cosa consigli?
— Se un venditore deve utilizzare la Cinematica della Genialità, un
dirigente se ne deve avvalere. Questo si può ottenere in due modi:
imparandola a fondo, oppure utilizzando un consulente che la conosca a
fondo. Se ne potranno trarre grossi vantaggi nel miglioramento della
politica commerciale, della qualità della vendita e (tanto per essere
concreti) dei profitti. Anche per questo, basta rivolgersi ad Aidea.
— Allora mi devo proprio segnare quell'indirizzo che mi hai detto.
Ripetimelo.

Pagina 152
— Brava. Scrivilo sulla tua agenda. Aidea Sas, via Sanzio 32, 20149
Milano, telefono 02.48.01.41.74, fax 02.4851.0373, e-mail:
ascolto@aidea.it.

Pagina 153
IL PARERE DI ALCUNI CLIENTI
(pubblicato nella controcopertina dell’edizione a stampa).

«Ritengo che l'ing. Biondo sia uno dei massimi esperti di comunicazione
interpersonale, e mi sono ripetutamente avvalso della sua collaborazione
per le aziende del Gruppo e per me personalmente.»
ERNESTO PELLEGRINI, Presidente Gruppo Pellegrini e Presidente
Inter

«I venditori delle aziende che dirigo hanno seguito diversi seminari sulla
Cinematica della Genialità, perché essa fornisce eccellenti strumenti per
migliorare il servizio al cliente, per aumentare il fatturato, per migliorare
i margini di contribuzione.»
MARTINO VERGA, Imprenditore e Presidente Unione Industriali di
Como.

«La Cinematica della Genialità ha ripetutamente mandato la mia


motivazione alle stelle, perché a me piace lavorare ottenendo sempre
grandi successi, e con la Cinematica della Genialità si ottengono.»
PAOLO MOSCATELLI, Agente Generale La Fondiaria, Campi Bisenzio.

«La Cinematica della Genialità si è rivelata assai utile ai nostri funzionari


commerciali per meglio comunicare e meglio lavorare in gruppo. I
seminari che abbiamo tenuto su di essa hanno risposto in modo adeguato
ad un'importante esigenza della nostra azienda.»
ANGELO ANSELMI, Responsabile Pianificazione e Sviluppo delle
Risorse Umane, Bull Italia.

«Ho seguito un corso di tecnica di vendita basata sulla Cinematica della


Genialità e devo dire che sono cose concrete, che servono davvero.»
DOMENICO GUIDI, Direttore di Filiale, Banca Popolare Commercio e
Industria, Busto Arsizio (Varese).

«Da ormai due anni insegnamo la Cinematica della Genialità ai nostri


funzionari dirigenti, perché si è rivelata uno strumento eccellente per
comunicare e persuadere meglio.»
PAOLO BOSCACCI, Responsabile Ufficio Perfezionamento
Professionale, Cancelleria dello Stato del Canton Ticino.

«Nella mia vita professionale ho seguito moltissimi seminari. Quelli di


vendita basati sulla Cinematica della Genialità, evoluti ma semplici e facili

Pagina 154
da trasmettere, si sono rivelati enormemente utili, non solo sulla spinta
dell'entusiasmo iniziale, ma anche e ancor più a distanza di tempo.»
CARLO MELOTTI, Agente Generale Agos per il Piemonte e Valle
d'Aosta.

«Per un imprenditore, la Cinematica della Genialità è di un'utilità


estrema.»
DARIO CUROTTI, Imprenditore, Dubois Chemical Italiana.

«La qualità del servizio alla clientela è per noi importantissima, e la


Cinematica della Genialità aiuta moltissimo a realizzarla concretamente.»
PIERRE JOSEPH VICARI, Responsabile Coordinatore Valle d'Aosta,
Fideuram.

«Quando mia figlia ha espresso il desiderio di frequentare un corso di


comunicazione, le ho subito consigliato la Cinematica della Genialità
insegnata dall'ing. Biondo, che conoscevo per aver egli tenuto degli
efficacissimi seminari a un centinaio di venditori da me diretti.»
RODOLFO BARBIERI, Manager di Divisione, Programma Italia
(Gruppo Fininvest).

«L'ing. Biondo è uno dei pochi che ha portato un pensiero veramente


nuovo. Abbiamo organizzato con lui un corso di Genialità nella Vendita
per i nostri Animatori di Vendita, e ne siamo rimasti pienamente
soddisfatti.»
MARIO ACIERNO, Direttore Scuola Bancaria e Dirigenziale dell'Unione
Banche Svizzere (UBS), Lugano.

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© Copyright 1991 Luciano Biondo
C/o Aidea Sas - via Sanzio 32, Milano - Tel. 02.4801.4174 - Fax 02.4851.0373
e-mail: lucianobiondo@aidea.it - http://www.aidea.it
edizione elettronica del 21 agosto 1998

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