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IGOR VITALE
Dr. Psicologia del lavoro
Tecniche conversazionali
di Igor Vitale
In questo manuale troverai alcune strategie di conversazione e di relazione che possono essere usate
agevolmente nella vita personale e professionale. Molte di queste si basano su teorie e approcci
come la psicologia cognitiva e strategica, la Programmazione Neurolinguistica.
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Riassumendo, questo approccio è basato sulla risoluzione di complicati problemi con strategie di
comunicazione (apparentemente) semplici.
Nei primi due testi principali (L’Arte del cambiamento, Suggestione Ristrutturazione =
cambiamento) vengono delineati alcuni punti da seguire per eseguire un efficace comunicazione
strategico, che riassumerò qui, rivisitandole in parte, e cercando di fornirti materiali e indicazioni
nella maniera più semplice possibile.
E’ una modalità comunicativa molto simile al ricalco di cui parlano Bandler e Grinder.
Il primo passaggio è cogliere la modalità rappresentazionali del cliente, successivamente bisogna
rispondere utilizzando lo stesso linguaggio e le stesse rappresentazioni, in questo modo:
a) lo si fa sentire compreso e a proprio agio
b) acquisisce il potere di dirottare dall’interno il suo disfunzionale sistema di percezione e
reazioni nei confronti della realtà.
La psicologia della persuasione [Cialdini, 1989], afferma che le persone simili tra di loro, trovano
più facilmente l’accordo.
Esistono somiglianze fisiche, nel tono di voce, nelle preferenze musicali, nell’abbigliamento, ma
esistono anche differenze fisiche, nel tono di voce, nelle preferenze musicali, nell’abbigliamento.
Per le somiglianze fisiche e magari anche nell’abbigliamento possiamo correggere di poco il nostro
tiro, ma per produrre, mediante una tecnica, una somiglianza (che crea più facilmente l’accordo),
possiamo utilizzare una modalità comunicativa che viene definita in PNL come rispecchiamento.
Il rispecchiamento è la tecnica sicuramente più adottata per entrare in relazione con l’altro. Il
rispecchiamento consiste nell’adozione del registro verbale e non verbale del proprio interlocutore.
Siamo naturalmente attratti dalle persone a noi simili, tutta la ricerca sul favoritismo verso il gruppo
di appartenenza ne è un esempio. Il rispecchiamento è quindi uno strumento cardine per aumentare
la somiglianza percepita tra interlocutori, favorendone così la comunicazione e lo scambio agevole
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di idee. Il rispecchiamento può avvenire a vari livelli, una persona può infatti “rispecchiare”
l’orientamento del corpo, l’uso delle mani e delle gambe, le espressioni facciali, ma anche aspetti
più di dettaglio ma non meno importanti come il respiro e il tono, ritmo e colore della voce.
Il rispecchiamento è una tecnica naturale, le persone che vanno d’accordo, infatti, si rispecchiano
naturalmente l’un l’altra, assumendo un registro verbale e non verbale simile, ma ottenendo anche
valori fisiologici molto simili come il battito cardiaco, le onde dell’elettroencefalogramma e la
frequenza respiratoria. L’effetto rispecchiamento è dovuto a una particolare classe di neuroni
chiamati “neuroni specchio” (Rizzolatti, 1996), neuroni che si attivano quando si osserva l’altro
compiere una determinata azione. Ad esempio, se una persona osserva l’altro mentre sorride, si
attiverà in lui una classe di neuroni specchio deputati all’azione del sorriso. In qualche misura, la
comunicazione dell’altro ci influenza anche a un livello neurofisiologico. Di fronte a questa realtà,
la scelta può declinarsi verso la consapevolezza e l’uso di strumenti come il rispecchiamento oppure
verso l’accettazione passiva e inconsapevole della comunicazione altrui.
Quando due persone vanno particolarmente d’accordo, assumono generalmente le stesse posture del
corpo.
E’ necessario dunque fare attenzione al linguaggio del corpo dell’interlocutore per imitarlo.
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Non conviene lasciare alla deriva la nostra analisi, rendendoci conto a posteriori di come essa
funzioni, ma dobbiamo utilizzare una serie di punti di riferimento chiedendoci:
2° passo: Il secondo passo è quello di imitare il linguaggio paraverbale. Che cos’è il linguaggio
paraverbale?
Il linguaggio paraverbale, riguarda tutti quegli aspetti delle parole che non sono di significato.
Possiamo dunque fare attenzione
Dopo aver fatto attenzione alle modalità paraverbali di comunicazione, possiamo rispecchiare anche
quelle.
3° passo: Possiamo ora imitare le parole effettivamente verbalizzate. Anche questo terzo passo
contribuisce significativamente a farsi percepire come più simili all’interlocutore.
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Per questo passo è necessario ricordarsi che esistono, principalmente, due tipi di significati delle
parole.
1. un significato letterale: il significato delle parole così come lo ritroviamo sul vocabolario
2. un significato personale: il significato delle parole personalmente inteso, una sorta di
significato personalizzato.
Il primo passo è percepire come nella maggior parte dei le persone attribuiscano dei significati del
tutto personali alle parole che utilizzano e che percepiscono.
Possiamo schematizzare quindi due persone-in-conversazione, di fatto, come mondi simbolici in
interazione. Un mondo simbolico rappresenta tutte le attribuzioni personali di significato alle
parole. La questione da ricordare sta nel fatto che i mondi di significati quasi mai corrispondono al
significato letterale ritrovato nel vocabolario.
Ad esempio la parola “mamma” rievoca in ogni persona il significato della propria madre, del
rapporto con la propria madre, e non semplicemente il suo significato biologico e letterale.
Pensa che ogni volta che pronunci una parola, evochi nell’altro una serie di significati che non può
essere racchiusa nel significato letterale del termine, ma che è molto più ampio.
Se pensate di avere concezioni diverse rispetto a termini utilizzati dall’altro, conviene spesso
chiedere all’altro il significato delle proprie parole mediante la seguente formula:
Esempio:
Il nostro interlocutore potrebbe affermare
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Vittorio: “Lui si che è un uomo di successo, è conveniente imparare da lui per diventare uomini di
successo.”
Risposta: “ Vittorio, cos’è per te il successo?”
Possiamo in questo modo entrare nel suo mondo di significati per esplorare cosa significa per lui la
parola “successo” e quindi utilizzare la stessa parola, con lo stesso significato.
Ha poco senso rispecchiare le parole altrui se attribuiamo significati differenti alle stesse parole.
Se ad esempio non indagassi sul significato di “successo” nell’esempio riportato, potrei continuare a
parlare col mio interlocutore, di due concetti diversi, categorizzandoli con la stessa parola,
determinando una ovvia incomprensione.
Dopo aver imitato gli aspetti non verbali, paraverbali e verbali del nostro interlocutore, siamo ad un
buon punto, ma non è detto che siamo entrati in rispecchiamento.
Per valutare se siamo entrati in rispecchiamento è opportuno operare una verifica e rispondere alle
seguenti domande:
1° verifica
Quando imito il suo linguaggio (verbale, non-verbale, paraverbale), l’interlocutore mi segue o
cambia postura, ritmo delle parole e timbro utilizzato?
Se il soggetto al mio imitare, non accetta l’imitazione e cambia registro non-verbale, ci troviamo
probabilmente di fronte a una persona che non è d’accordo con noi, e non ha intenzione di mettersi
in discussione.
Se il soggetto invece accetta il mio rispecchiamento, allora possiamo operare una seconda verifica.
Il rispecchiamento è tale per cui, abbiamo una figura vera (l’altro) e una figura nello specchio (noi),
al muoversi della figura vera, deve corrispondere quella nello specchio, ma soprattutto al muoversi
della figura nello specchio, deve corrispondere quella vera.
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2° verifica
Nel momento in cui tu e il tuo interlocutore utilizzate lo stesso linguaggio (verbale, paraverbale,
non-verbale), puoi introdurre nel sistema di relazione alcune modifiche.
La seconda verifica ha quindi due aspetti
1. Verifica
2. Modifica
Se si è veramente in rispecchiamento, alle proprie modifiche comunicative (verbali, non verbali,
paraverbali) seguono delle modifiche analoghe nell’interlocutore. Ad esempio se una persona ha
una certa ansia, posso formulare prima un rispecchiamento mostrando una comunicazione allerta,
successivamente posso verificare se il rispecchiamento è stato attuato apportando modifiche, e
quindi rilassando la comunicazione. Se il rilassamento si produce anche nell’interlocutore siamo in
rispecchiamento.
Stavo conducendo un’ attività di coaching ad una ragazza riguardo il suo metodo di studio.
Dopo aver definito il problema, abbiamo cominciato a valutare il suo metodo di studio.
Attraverso una breve analisi del linguaggio del corpo, mi sono reso conto di questi principali
indicatori nei confronti dell’attività di studio.
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A questo punto avrei potuto imporre il mio parere, affermando magari con modalità aggressive che
non è quello il modo di studiare, che studiare con due voci in mente (una che ti dice di studiare e
l’altra no) è poco opportuno e produttivo. Ma a cosa sarebbe servito? Probabilmente a nulla, i
consigli non vanno dati in maniera aggressiva.
Noi possiamo dare consigli anche senza parlare, mediante la tecnica del rispecchiamento. Ho
dunque assunto modalità asimmetriche e tonalità vocali acute inizialmente e presentando critiche
agli autori a livello verbale.
Quindi ho svolto i primi tre passi dello schema
1. Imitazione a livello non-verbale
2. Imitazione a livello para-verbale
3. Imitazione a livello verbale
La seconda verifica, ha sempre una doppia funzione (verifica e modifica). Ho dunque, al fine di
produrre uno stato più consapevole e flessibile allo studio, cominciato a modificare la mia
comunicazione para-verbale rilassando la voce, e quella non verbale assumendo posizioni
simmetriche e una comunicazione verbali più sicura.
Per rispecchiamento lo stesso ha fatto lei, cominciando a studiare più efficacemente il testo.
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E’ bene inoltre ricordarsi che la modifica, se funziona, porta a un cambio di prospettiva, è bene
utilizzare consapevolmente questa tecnica al fine di produrre cambi di prospettiva opportuni e non
casuali.
Scrive Nardone [1991]: “La pratica clinica ha fatto evidenziare che l’utilizzo di affermazioni
negative, nei confronti del comportamento o delle idee del paziente, tende a colpevolizzarlo e a
promuovere reazioni di irrigidimento e rifiuto. […] da questa prospettiva in psicoterapia, invece che
criticare e negare l’operato del paziente, anche se tale operato è assolutamente errato o
disfunzionale, troviamo più produttivo gratificare la persona e mediante tale gratificazione, dare
delle ingiunzioni per la modifica del suo comportamento. Ad es.: nei confronti di due genitori
estremamente iperprotettivi, che con le loro cure familiari hanno indotto il figlio all’insicurezza e
labilità psicologica, l’azione del terapeuta sarà di complimentarsi con loro e di gratificarli per i
grandi sforzi compiuti nell’accudire un figlio così problematico e per i loro grandi sacrifici nel
proteggerlo da tutti i possibili pericoli di questo mondo. “E siccome siete stati così bravi fino ad ora,
sono sicuro che sarete altrettanto bravi nel fare in modo che egli assuma le sue responsabilità”.
E’ una strategia che funziona bene anche con clienti generalmente diffidenti, perché evita di
criticare.
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Alcuni aspetti della comunicazione non verbale, ci fanno intuire lo stato d’animo del soggetto,
anticipare le reazioni e le espressioni della persona, in qualche modo, paradossalmente la blocca.
Esempio 1: Mettiamo il caso che io stia spiegando un determinato concetto, e noti in alcuni sguardi
perplessi. Prima di una loro reazione (distrazione, confutazione), posso anticiparle io affermando:
“…e capisco che per alcuni di voi ci sia perplessità riguardo questo aspetto, ma ci tengo a precisare
che proprio per questo…”. In questo modo il soggetto si sente compreso e anticipato, di solito,
questo evita il protrarsi di distrazioni e perplessità.
Esempio 2: Allo stesso modo, posso, paradossalmente anticipare una reazione di rabbia: “questo
probabilmente ti farà arrabbiare, ma questo è il mio lavoro e devo proprio dirtelo…”. In questo
modo con persone resistenti e oppositive, si scatenerà una reazione contraria, quindi non si farà
arrabbiare il soggetto.
4. La ristrutturazione
Come abbiamo detto la psicoterapia breve strategica si ispira largamente al pensiero di Watzlawick,
e la ristrutturazione è una tecnica che si basa largamente su un punto di Watzlawick.
Watzlawick, Beavin e Jackson, scrivono sulla Pragmatica della comunicazione umana (1967, trad.it
1971): “un fenomeno resta inspiegabile finché non ha un campo di osservazioni così ampio da
contenere il contesto di riferimento”. In buona sostanza se prendiamo un fenomeno e ne
modifichiamo il contesto, cambierà anche il significato del fenomeno stesso.
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Un qualsiasi fenomeno psicologico, può essere compreso il cornici di diverso tipo in modo da
produrre risultati differenti.
Generalmente le persone sono molto legate alle proprie idee, attaccare direttamente un’ idea
disfunzionale può produrre dunque un effetto di irrigidimento nello stesso, cambiando invece il
contesto si lascia l’illusione di non aver attaccato l’idea, ma si riconduce un idea senza intaccarla in
un contesto diverso.
Fatto sta che indirettamente il significato del contesto e il significato del fenomeno sono collegati…
E al variare del contesto varia anche il significato del fenomeno (azioni, comportamenti etc…).
Scrive Nardone [1991]: “nell’eseguire ristrutturazioni non si cambia il significato di quello che il
paziente ci riferisce. Ma si cambiano le cornici d iquesto. Ovviamente cambiando la corinice, si
cambia in modo indiretto il significato stesso dell’evento.
6.L’ironia
L’ironia ha un potere straordinario nel ristrutturare attraverso il senso dell’umor o il ridicolo
situazioni che viste nella loro tragicità o nella loro estrema serietà vengono vissute come
inaccettabili ed immutabili. Quando una persona riesce a fare dell’autoironia, in relazione a propri
problemi , è giù un bel po’ avanti nel processo di soluzione di questi ultimi
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Come abbiamo affermato nel capitolo relativo alla psicoterapia di Nardone, le domande in qualche
modo determinano il range di risposte possibili.
In breve possiamo dividere le domande rispetto al grado di direttività.
Una domanda è tanto più direttiva quanto più riduce le alternative di risposta.
Domande direttive:
Ad esempio se affermo: “Secondo te è giusto o sbagliato che accada questo?”, fornisco al mio
interlocutore due risposte più accessibili in memoria (giusto vs sbagliato), oppure se affermo
“Preferisci bere ora il caffè o tra mezz’ora”, fornisco al mio interlocutore due possibili risposte
(adesso, tra mezz’ora).
E’ ovvio che a domande simili possono essere date anche risposte “fuori” da quelle previste dalla
domanda, ma è anche vero che la domanda rende accessibili in memoria quelle alternative che
nomina, in quanto per il semplice fatto di essere state nominate, la mente dell’ interlocutore per
capire di cosa si tratta deve attivare i significati delle parole, e i significati attivati sono anche quelli
più accessibili, dal momento che sono nella memoria di lavoro.
Quindi di fronte a una domanda direttiva come “quanto ti piace lavorare?”, si attiverà più
probabilmente, nella memoria dell’interlocutore, tutta quella serie di elementi piacevoli dell’attività
lavorativa, e più probabilmente la risposta sarà coerente alla piacevolezza del lavoro piuttosto che
agli elementi negativi, ma allo stesso tempo non sarà impossibile da parte dell’interlocutore
risponderci qualcosa che è “fuori” dalle possibili risposte coerenti alla domanda, ad esempio con:
“non mi piace per niente lavorare”.
Una domanda direttiva, può essere utile nel momento in cui si vuole indirizzare la risposta del
nostro interlocutore, ma allo stesso tempo lo limita la libertà del soggetto di rispondere in maniera
personale, in quanto gli limiti le risposte più accessibili in memoria.
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Attivazione nella
Utilizzo di memoria di lavoro
determinate parole dei significati
associati alle parole
A:“a lungo andare le persone ti deludono” B attiva in memoria il tema della delusione
Ovviamente come ho scritto sul capitolo relativo alla PNL, ognuno ha un personalissimo significato
associato alle parole. Nell’esempio il soggetto A parla di delusione, il soggetto B attiva in memoria
il suo significato di delusione, ma non è detto che entrambi condividano lo stesso significato di
delusione, ad esempio B potrebbe circoscrivere il significato di delusione esclusivamente alle
delusioni sentimentali, oppure potrebbe essere più sensibile alle delusioni o meno.
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B evoca suo significato personale sulla delusione. Il tema più accessibile è la delusione
Passo n.3 – Il soggetto B ha attivato in memoria il tema della delusione, la sua risposta sarà
fortemente influenzata da questo.
Riassumendo:
Domanda: Tutte le parole utilizzate da chi pone la domanda attivano una serie di significati nella
memoria dell’interlocutore.
Elaborazione: I significati (personali) rievocati saranno quelli su cui il soggetto si focalizzerà più
probabilmente
Risposta: La risposta prodotta avrà più probabilmente a che fare con questi significati rievocati in
quanto saranno più facili da recuperare in memoria
Bene, ora è importante pensare che, ogni volta che parliamo con qualcun altro, attiviamo nella sua
mente (se ci ascolta) diverse informazioni specifiche, e ogni volta che un interlocutore ci parla (se
lo ascoltiamo) attiverà in noi determinate informazioni specifiche.
Non è sempre giusto o sbagliato fare domande direttive, ma bisogna essere consapevoli della loro
forma per utilizzarle efficacemente.
Come si indirizza una domanda verso alcune alternative piuttosto che su altre?
Per evocare in memoria dell’interlocutore determinati aspetti del flusso di esperienza posso
includere le alternative di risposta nella domanda, ad esempio questi modi. In questo modo le
possibili risposte sono suggerite da chi fa la domanda.
Ovviamente un abile soggetto può scegliere convenientemente le alternative
Come si può osservare, nella parti sottolineato è il soggetto che fa la domanda a suggerirne la
risposta, influenzando l’interlocutore nel rispondere.
Ad esempio nella seconda domanda, pongo il possibile giudizio relativo all’ “affrontare le
relazioni” che si può disporre solamente in termini giusti o sbagliati, ma l’interlocutore potrebbe
pensarla diversamente (ad esempio potrebbe pensare che sia conveniente o sconveniente)
Se invece in maniera non direttiva dico al soggetto: “Cosa ne pensi delle persone che si relazionano
in maniera dominante?”, lascio al soggetto un’ infinita gamma di possibilità.
Metodo 2 – Presupposizioni
Quando si fanno delle domande che presentano la presupposizione, rispondere affermativamente
alla domanda significa rispondere affermativamente anche alla presupposizione.
Questa domanda presuppone un accordo con l’argomento, e quindi, se la domanda viene accettata la
risposta godrà di una serie di risposte poco affermative a del tutto affermative.
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- Domanda come: come possiamo fare a risolvere questo problema? Come pensi che
le persone si relazionino?
- Domanda cosa è per te: Cos’è per te l’amicizia?
Riassumendo
Domande direttive
Vantaggi - influenzano maggiormente la risposta
- sono più specifiche e quindi ci fanno ottenere subito le
risposte desiderate
Svantaggi - forzano il soggetto nella risposta, non enucleano il modo di
rispondere del soggetto
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1. Domande direttive: quando vogliamo indagare sul che cosa il soggetto pensa
nello specifico di un determinato argomento
2. Domande non direttive: quando vogliamo indagare sul come categorizza e
considera un determinato argomento.
Ad esempio se utilizzassimo questo criterio per formulare una selezione del personale, potremmo
utilizzare domande direttive per indagare sui requisiti tecnici richiesti (ad es. “Sa utilizzare il
pacchetto Office?), in quanto in quel caso ci servirebbe conoscere semplicemente se il requisito
richiesto (il che cosa) è soddisfatto o no.
Ma se volessimo indagare come il soggetto ha vissuto la sua precedente esperienza lavorativa e
come personalmente costruisce il significato di quell’ esperienza sarebbe opportuno utilizzare
domande non direttive (Gandolfi, in Zucchi, 2004), ad esempio mediante “Com’era il tuo
precedente lavoro?”
Ho annoverato tra i vantaggi delle domande direttive, l’influenzamento nella risposta del soggetto.
Perché è così importante e persuasivo questo aspetto?
Avviene perché entra in gioco un fattore di “effetto coerenza”, che cos’è?
Se una domanda produce più probabilmente determinate risposte, faremo affermare al nostro
interlocutore determinate cose, e quelle risposte (dovute più alla domanda, che all’interlocutore
stesso) tenderanno ad affermarsi per un effetto di coerenza.
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Uno studio di psicologia sociale di Albert Mehrabian stima così le percentuali di influenza delle
modalità comunicative dell’uomo
55% comunicazione non verbale
38% comunicazione paraverbale
7% comunicazione verbale
Questo significa che nell’influenzare la risposta l’aspetto più efficace è la comunicazione non
verbale (postura, gesti, espressioni facciali…), ad essa segue la comunicazione paraverbale (ritmo,
tonalità, segregati verbali) , ed infine le parole.
In termini di efficacia è meglio dire banalità con convinzione e una comunicazione non verbale
efficace che dire saggezze con una comunicazione non verbale mal impostata.
Uno studio di Capozza, Contarello, Manganelli (1978), ha verificato che i seguenti indicatori non
verbali sono associati ad un atteggiamento più positivo
1. La minor distanza
2. Maggior contatto visivo
3. Orientazione più diretta
4. Postura aperta e disponibile
5. Postura rilassata
6. Inclinazione del busto verso l’altro
7. assenza della posizione di mani ai fianchi (in piedi)
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I sette indicatori trovati da Capozza, Contarello e Manganelli sono tutti indicatori che forniscono
all’interlocutore la percezione di essere ascoltati e presi in considerazione come pari, è però
opportuno ricordare alcune considerazioni.
Alcuni indicatori, se esasperati, producono l’effetto contrario, ad esempio una distanza minima può
imbarazzare l’altro, così come un contatto visivo fisso e insistente può portare ad una sensazione di
fastidio.
Marco Paret ha classificato una serie di atti di gradimento e di rifiuto non verbali, se osservati
nell’interlocutore (ma anche in noi stessi, tramite un’ auto-osservazione) possiamo raccogliere
informazioni a proposito di ciò che sta pensando l’interlocutore, o ciò che il nostro inconscio ci sta
suggerendo.
Attenzione: il fatto che il soggetto ci comunichi qualcosa a livello non-verbale non significhi che il
soggetto sia del tutto consapevole di quello che provi. Se affermiamo ad esempio: “l’inclinazione
della tua schiena mi fa capire che sei disinteressato all’argomento di conversazione, ora cambierò
argomento” non fa che indurre nell’interlocutore risposte di difesa o di resistenza come “non è vero,
ero molto interessato!”
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naso
7.Mordicchiamento labbro superiore Carenza di tipo sessuale, l’argomento evoca
inconsciamente pulsioni sessuali
8.Mordicchiamento labbro inferiore Carenza energetica di tipo affettivo
9.Grattamento o massaggio orecchio Espressione di pulsioni represse di tipo sessuale
sull’argomento o nei confronti dell’interlocutore
10.Giocare con la collana Carenze affettivo-sessuali
11.Giocare con anello/bracciale A) carenza affettiva
11a. Movimenti rotatori B) carenza sessuale
11b. Movimenti ascendenti/discendenti
12.Toccarsi/giocare con la cravatta Carenza energetica di tipo sessuale
La rigidità corporea (ad esempio avere le ginocchia tese) è sintomo di insicurezza, le persone che
adottano questa posizione hanno bisogno di un appoggio saldo alla realtà, che, non trovato
interiormente, viene riprodotto nella postura corporea.
Per un approfondimento del tema del non verbale si rimanda all’apposito capitolo, mentre nel
seguente paragrafo verrà fornito un approfondimento a proposito degli aspetti verbali della
comunicazione
a. Utilizzano il ricalco-guida
b. Utilizzano l’indicativo presente
c. Non hanno segregati verbali
d. Utilizzano uno stile affermativo
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2. Espressione che contraddicono: non è così, lei sbaglia, lei è in errore, non è esatto,
impossibile
3. Espressioni predicatorie: adesso le spiego
4. Espressioni dubitative: non so se le può interessare, io sarei, forse le farebbe piacere
5. Espressioni velleitarie: vedrà che si troverà bene, se farà così vedrà che, sarà sicuramente
interessante per lei
6. Appelli di fiducia: mi creda, si fidi, abbia fiducia, stia tranquillo, glielo raccomando
7. Espressioni cerimoniose: una persona come lei, come lei ben sa, non vorrei disturbarla,
come lei mi insegna
Queste espressioni sono da eliminare perché suggeriscono un senso di squilibrio con l’altro. Se
voglio infatti comunicare efficacemente con qualcuno dovrò mettermi al suo stesso livello, senza
cercare né di dominare, né di sottomettermi all’altro, in ultima analisi non conviene neanche
utilizzare espressioni che dimostrino insicurezza.
Un espressione predicatoria pone noi stessi in una presunta dominanza che non fa altro che
mostrare uno squilibrio tra noi e il nostro interlocutore, mostrandoci one-up nella comunicazione
quando non ce n’è bisogno. Ricordiamo inoltre che uno dei meccanismi di persuasione (si rimanda
al capitolo dedicato) più efficaci è quello della somiglianza. Come possiamo essere percepiti come
simili se siamo i primi a porci su un piedistallo?
Lo stesso vale per le espressioni negative, che contraddicono, velleitarie, di fiducia.
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A volte le persone farciscono le proprie espressioni con complimenti e frasi cerimoniose per tenersi
buono l’altro, in realtà questo è contro-indicato nel momento in cui quei complimenti e cerimonie
non sono riconosciuto nell’altro provocando un conflitto di ruolo.
In ogni caso è quasi sempre sconveniente porre l’altro in un piano diverso dal nostro, quindi sia le
frasi eccessivamente cerimoniose che le frasi che svalutano pongono l’altro su un piano diverso dal
nostro (superiore o inferiore), cosa che ostacola la comunicazione.
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