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Il diritto sindacale è una disciplina giuridica recente; la sua storia è parte non secondaria
della storia del movimento operaio. Infatti la ricostruzione delle origini del diritto sindacale
può aprirsi proprio facendo riferimento al fatto che la fabbrica e la grande industria sono
stati il motore della storia del movimento operaio.
- L’industria meccanica —> grazie alle misure di sostegno diretto del settore
ferromeccanico
- era presente già su tutto il territorio nazionale, a che se quantitamente era concentrata
al Nord
- Aveva già prodotto la divisione del lavoro su base territoriale, con la specializzazione
del varie zone nella produzione di un solo prodotto
- All’efficenza tecnica non faceva riscontro un ambiente di lavoro che tenesse in alcun
modo conto delle esigenze umane ed igieniche dei lavoratori
Accanto alla grande fabbrica meccanizzata esistevano tuttavia anche vecchi opifici e
piccole fabbriche:
La giornata lavorativa:
- Nelle filande, dove lavoravano donne e bambini era di 15/6 ore —> le donne erano
preferite come lavoratrici in quanto potevano pagarle ancora meno, perchè
scioperavano di meno ed erano più tranquille
I salari:
- Erosi da forme di cointeressenza per rendere gli operi partecipi della cattiva
produzione, delle soste forzate e e non retribuite, degli indennizzi per lavori difettosi e
arnesi rotti
L’esigenza di varare una “legislazione sciale” era messa in evidenza da tutti gli intellettuali
del tempo, ma la legislazione protettiva tardava ad intervenire, a causa dell’opposizione
tenace degli industriali.
La prima fase della legislazione sociale in Italia si esaurì tutta nella lunga vicenda
parlamentare che portò all’approvazione della L. 3657/1886 sul lavoro dei fanciulli, che fu
incompleta e poverissima nei contenuti.
Alle donne toccò aspettare altri 16 anni per vedere una prima legge che desse loro un
minimo di tutela.
L’abolizione delle corporazioni, soppresse con lo Statuto Albertino (1848) e nel regno
d’Italia cin la L. 1797/ 1864, chiudeva definitivamente l’epoca della rigida
regolamentazione del lavoro per arti e mestieri. Per quando il divieto di ogni forma di
associazione temporanea o pertenete tra i lavoratori (di cui alla legge che aboliva le
corporazioni) non incidesse direttamente sulla libertà di associarsi per scopi sindacali
(riconosciuta come corollario del diritto di riunione sancito dall’art.32 dello Statuto
Albertino), la liberalizzazione nell’esercizio delle professioni e de mestieri costituì un
ostacolo all’organizzazione autonoma e all’azione collettiva degli operai, che conobbe un
effettivo sviluppo solo nell’ultimo decennio del secolo.
- Il riconoscimento avvenne quando erano già in crisi, investite dalla lotta condotta dal
Partito Operaio Italiano (1885), le cui sezioni erano costituite da:
-associazioni
-leghe di resistenza di semplici lavoratori
Molte di queste leghe e società aderirono al Partito dei Lavoratori Italiani (1892), che poi
assunse il nome di: Partito Socialista Italiano nel 1895.
L’associazionismo operaio aveva già assunto dagli anni 70’ una connotazione sindacale,
per quanto ancora rudimentale.
Nasce nel 1872: l’Associazione tra gli operai tipografi italiani che:
Nacquero negli stessi anni altre associazioni di mestiere e altre leghe di resistenza che si
proponevano l’obbiettivo di:
- Alle Cdl vi erano che sezioni miste di SMS, di cooperative e associazioni varie.
Nel 1893= venne istituita la Federazione Nazionale delle Camere del Lavoro,
con il compito di:
- coordinare le iniziative
Dopo pochi mesi di distanza iniziarono a ricostituirsi, il movimento camerale era già
profondamente cambiato.
Nel 1900:
La sua estensione a tutto un settore del mondo della produzione, comprensivo di diverse attività
e mestieri operai
- contrattazione sindacale
- Elaborazione della piattaforma rivendicativa generale +della direzione delle agitazuinu e degli
scioperi
Sviluppo: lento
Le prime furono:
Essa era:
- Costituita da tutte le organizzazioni aderenti alle federazioni nazionali di mestiere e alle locali
Camere del Lavoro
- A lei attribuita dal proprio statuto la direzione generale del movimento proletario
- In netta supremazia sulle organizzazioni di categoria e sulle strutture orizzontali locali (Cdl)
Negli anni successivi, questo accentramento venne accentuato: venne riservato alla
Confederazione il potere di proclamare gli scioperi.
Venne quindi disciplinata in modo più preciso la presenza di due livelli di organizzazione:
L’assenza di un’organizzazione sindacale degli operai all’interno dei luoghi dei lavoro ( alla
quale gli industriali si opponevano) era frutto di una scelta politica della CGdL),
preoccupata che l’unità di categoria potesse frantumassi in mille rivendicazioni
aziendalistiche.
Esse:
- Formate da operai delegati dai loro compagni di lavoro a trattare con il datore di lavoro, in
occasione di agitazioni e di vertenze aziendali.
Sono= uno strumento dell’istanza sindacale per controllare i propri aderenti e per esercitare
pressioni e coazioni sui non organizzati
Questo panorama sindacale inizia a complicarsi nel secondo decennio del 1900. Infatti:
- da una parte = la CGdL subì una scissione nel 1912 ad opera dei sindacalisti
rivoluzionari ( guidati da De Ambris), i quali costituirono un nuovo sindacato: USI,
caratterizzato dalla massima autonomia alle federazioni nazionali di categoria e alle
strutture orizzontali. Nel
1914, l’USI, con lo scontro tra neutralisti e interventisti ( periodo 1 g.m. ) fu anche essa
scissa in 2. E la minoranza interventista nel 1918 diede luogo alla costituzione della UIL
- Dall’altre parte = nel 1918 nacque la Confederazione dei lavoratori italiani (CIL)
Essa era una confederazione sindacale cattolica. Rifiutava la lotta di classe e auspicava
la collaborazione tra capitale e lavoro. Obiettivo:
—> maggior sviluppo della legislazione sociale
—> estensione della contrattazione collettiva
Organizzazione interna:
—> presente livello verticale ( che faceva capo alle Federazioni Nazionali ).
—> presente anche un livello orizzontale ( le unioni del lavoro, che nei fatti svolgevano
compiti di direzione dell’azione sindacale a livello locale )
Obiettivo —> tutelare interessi industriali e dell’industria e di ricercare nel rispetto della
libertà di lavoro “ buone intese” con gli operai. Quindi anche la contrattazione con le
leghe operai è tra gli obbiettivi, a patto tuttavia che il sindacato rimanesse fuori dalla
fabbrica.
Questo modello della lega torinese si Estes rapidamente, tant’è che emerse agli industriali
la necessità di un’organizzazione centralizzata nazionale:
Le vicende appena espostesi si svolsero in un quadro giuridico che conobbe anche esso
una notevole evoluzione.
- la legge 1797/1864
- Disposizioni contenute negli art. 385-388 del Codie penale sardo italiano del 1859, che
sancivano il divieto di coalizione, cioè di ogni accordo tra industriali o operai, diretto a
far pressione sulla controparte perchè accettasse condizioni meno favorevoli: “principi
di esecuzione” della coalizione, che costituivano elemento essenziale del reato, erano:
la serrata e lo sciopero
Nel 1887 il Ministro di Grazia e Giustizia Zanardelli presento alle Camere il suo progetto di
codice penale, che conteneva 3 articoli sui delitti contro la libertà del lavoro:
Nel 1878 fu istituita dal Ministro Crispi una Commissione permanente di inchieste sugli
scioperi, che accolse, tra le proposte avanzate per risolvere i conflitti di lavoro, quella di
istituire un “collegio dei probiviri”—> scopo conciliare e decidere sulle controversie sorte
tra industriali e operai, contribuendo così a conservare la pace sociale.
Ai lavori della commissione fece seguito nel 1883 un progetto di legge sull’istituzione dei
Collegi dei Probiviri, il cui fine esplicito era la “ pacificazione sociale”.
Nel 1891 il Governo presto un proprio progetto, molto più favorevole agli industriali, che
divenne legge: L.25/1893:
—> prevedeva che i Collegi dei probiviri non dovessero essere obbligatoriamente
costituti, la loro costituzione era lasciata alla volontà delle parti interessate
—> sulla questione della competenza dei Collegi: l’ufficio di conciliazione aveva una
competenza più ampia di quella della giuria
I colleghi si estesero progressivamente a settori come l’impiego privato, ma già nel 1923
cominciarono i primi attacchi a questa istituzione: che si conclusero nel 1928 con la
demolizione da parte del legislatore fascista dell’intero edificio proibivirale.
- salari
Dati i limiti imposti dal legislatore alla competenza dei Collegi dei probiviri, le grandi
questioni collettivo restarono al di fuori della loro giurisdizione ( come scioperi ).
Le statuizioni dei Collegi in ordine all’efficacia ultra partes e l’inderogabilità del contratto
collettivo risultavano fragili: sulla sola base del diritto ( civile) allora vigente non sembrava
possibile né:
- estendere l’efficacia del c.c. ultra partes—> cioè oltre i limiti della rappresentanza
negoziale delle parti che lo avevano stipulato
- o di lavoro cumulativo
Il c.c. era concepito come un contratto unico, in grado di produrre un effetto obbligatorio
per il datore di lavoro che si era vincolato, con un’unica promessa, verso un gruppo di
lavoratori, rappresentati dall’associazione stipulante.
- c.c. —> a cui assegnava la funzione normativa di disciplinare i futuri contratti individuali
di lavoro
L’effetto obbligatorio del contratto collettivo non poteva essere eliminato mediante il
consenso del singolo lavoratore.
Il c.c. era vincolante per entrambe le parti, ma tale vincolatività e ( efficacia obbligatoria )
non comportava anche l’efficacia reale del c.c. ( o effetto normativo —> vale a dire la n
nullità delle clausole difformi del contratto individuale)
In seno al quale le federazioni dei lavoratori vennero chiamate a designare sette operai.
“Le parti stesse e gli altri interessati potranno ignorare le stipulazioni difformi come se non
fossero mai state concluse e potranno esigere quanto i concordati esigevano —> i datori
di lavoro e i lavoratori sarebbero stati obbligati a rispettare i concordati anche nei conflitti
di lavoro conclusi con persone non vincolari dalla tariffe ( cioè estranee alle associazioni
stipulanti ).
La proposta non ebbe buona accoglienza: il dissenso più radicale riguardava il carattere
facoltativo della registrazione delle associazioni sindacali, osteggiata da quanti già
penavano ad un intervento della legge più forte.
Qui daremo sinteticamente conto della legislazione sindacale che regolò i rapporti
collettavi dal 1926 fino al 1944 segnando il passaggio dal sistema caratterizzato
dall’astensione legislativa ad un sistema
- l’iniziativa sindacale negli anni della guerra fu molto ridotta, ma la pressione operaia
durante la guerra aumentò e si temeva che potesse esplodere all’indomani della
guerra, sulla spinta delle rivendicazione di tuti coloro che avevano copiato il proprio
dovere verso la patria e temevano di non ottenere nulla in cambio dei tanti sacrifici fatti.
—> i primi a farsi sentire furono: i contadini poveri e i braccianti
—> insieme alle lotte degli operai dell’industria del 1919
Consiglio di Fabbrica —> il movimento dei consigli nel 1920 usci sconfitto al termine di
una lotta sindacale promossa dalla FIAT, capofila della controffensiva industriale.
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- Ad essa dovevano fare capo: 1- la corporazione del lavoro industriale 2- agricolo 3- del
commercio 4- delle classi medie e intellettuali 5- della gente del mare.
- Essa lavorava alla costruzione di rapporti di collaborazione col padronato, per avere in
cambio il riconoscimento che lo scarso peso numerico non le avrebbe consentito di
ottenere
- 1924: il Governo emanò un decreto: r.d.l. 64/1924 con il quale i sindacati erano posti
sotto il controllo del Prefetto —> poteva:
1) revocare o annullare gli atti delle organizzazioni sindacali,
2) scioglierne i consigli di amministrazione
3) liquidarne il patrimonio
se avesse avuto il fondato sospetto di abusi alla pubblica fiducia o di illecite erogazioni
di fondi per scopi diversi dall’assistenza economica e morale dei lavoratori
- La crisi politica, seguita dal delitto Matteotti, ebbe riflessi sul sindacalismo fascista, che
attraversò un periodo di difficoltà, nel quale si manifestò la tendenza a rendere la
Confederazione autonoma dal PNF. —> ma il colpo di stato del 1925, modificando la
situazione politica, spezzo via anche dubbi e incertezze.
- La CGdL che aveva cercato di resistere al regime di polizia si sciolse nel 1927
Sciopero e serrata
Magistratura del Lavoro ( non rilevante, dura quanto il fascismo )
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Capitolo 1):
Per ogni categoria doveva essere riconosciuta legalmente una solo ass. sindacale.
“Categoria” —> il complesso di coloro che svolgevano una stessa attività economico-
professionale, e che erano perciò considerati portatori di interessi comuni, tutelabili mediante
la costituzione di una associazione che li rappresentasse.
Inoltre le ass. sindacali potevano anche imporre il pagamenti di contributi anche ai non iscritti,
in base al principio che anche costoro si giovavano dell’attività delle associazioni sindacali
riconosciute.
L’art.6: esclude dal riconoscimento le ass. miste di datori di lavoro e lavoratori, miste di
lavoratori intellettuali e manuali.
Art 3: prevedeva organi centrali di collegamento tra rapp. Dei lavoratori e dei datori di lavoro:
le Corporazioni:
- Erano 22, una per ogni settore di produzione, istituite nel 1934
- Emesse su richiesta delle ass. collegate, ed emanate dal capo del Governo erano le:
ordinanze corporative —> fonte del diritto —> esercizio di questo potere normativo è
scarso.
L’organizzazione delle ass. riconosciute venne modificata nel 1934, realizzando una
centralizzazione della sua struttura., organizzata su due livelli:
Venne ricovato il riconoscimento giuridico delle associazioni di livello inferiore, sostituite dalle
union provinciali —> uffici provinciali delle Confederazioni.
Veniva cosi eliminato il livello associativo più vicino al mondo del lavoro. Il controllo politico
diveniva in tal modo più semplice e diretto.
La dirigenza era formata da burocrati fedeli al regime, infatti la nomina del presidente e dei
consigli direttivi era soggetta ad approvazione governativa. Le qualità morali ( avere la tessere
del PNF ) che erano richieste per i dirigenti delle organizzazioni erano richiesta anche per i
dipendenti delle organizzazioni -> dovevano essere fascisti “doc”
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Capitolo 2):
La funzione affidata dalla legge alle ass. riconosciute consisteva nel: stipulare contratti collettivi
corporativi.
Art.10: i contratti collettivi corporativi ( c.c.c.) stipulati dalle ass. di datori di lavoro, lavoratori,
artisti e di professionisti legamenti riconosciute avevano effetto rispetto a tutti i datori di lavoro,
lavoratori, artisti e professionisti della categoria a cui il contratto si riferiva, e che esse
rappresentavano legalmente.
Il c.c.c. :
- appartiene di per sé al diritto pubblico, perchè pubblici sono i soggetti che lo pongono in
essere e anche le funzioni che esso persegue
- Il carattere pubblicistico non risolveva comunque la questione della sua natura giuridica,
alquanto controversa
- È dotato dalla legge di efficacia normativa non solo per le parti stipulanti, ma anche per i terzi
non soci delle associazioni stipulanti —> l’individuazione della funzione normativa del c.c.c.
produsse il risultato di svuotare del suo contenuto tipico il meccanismo contrattuale,
riducendolo ad un mero sistema di formulazione bilaterale di norme giuridiche.
Possiamo ora leggere tale disciplina nel codice civile —> artt. 2067 a 2078 —> in essi furono
riscritte le disposizioni contenute nella legge del 1926 e nel regolamento di attuazione. La gran
parte di questi artt. oggi è abrogata a seguito:
Della disciplina del c.c.c è necessario ricordare solo quelle parti che presentano interesse anche
per lo studioso di diritto sindacale attuale:
PARTI STIPULANTI
- il regolamento stabiliva che: “possono stipulare c.c.c. di lavoro le ass. sindacali legalmente
riconosciute, se essi non vengono stipulati da quest’ultime saranno nulli”
- entrata in vigore del nuovo regime non comportava tuttavia la nullità dei c.c. precedentemente
stipulati.
EFFICIACIA SOGGETTIVA
La legge conferiva efficacia erga omnes, cioè la capacità di produrre effetti nei confronti di tutti i
datori di lavoro e i lavoratori appartenenti alla categoria per la quale il contratto era stato
stipulato.
L’AMBITO DI APPLICAZIONE
Secondo quarto previsto dal regolamento, poi riscritto nell’art. 2069 c.c. (abrogato) il contratto
collettivo c. doveva contenere l’indicazione della:
- categoria
- Impresa
- territorio di efficacia
Se: il contratto collettivo non definiva il proprio ambito di applicazione (categoria contrattuale),
allora si applicava a tutti coloro che erano legalmente rappresentati dalle associazioni stipulanti,
secondo quanto risultava dagli elenchi formati al fine dell’applicazione dei contributi sindacali
(categoria sindacale —> cioè l’ambito della rappresentanza legale) (continua di là) 13
Art.2070 funzione: risolvere un problema —> quale c.c.c. applicare quando non vi fosse perfetta
corrispondenza tra l’inquadramento sindacale del datore di lavoro e l’attività effettivamente svolta.
A norma dell’art. 2070 c.c., ai fini dell’applicazione del c.c.c. l’appartenenza alla categoria
professionale si determinava:
- Ma in base alla attività esercitata dall’imprenditore. Se poi l’imprenditore esercita distinte attività
aventi carattere autonomo, si dovevano applicare ai rispettivi rapporti di lavoro i contratti
collettivi corrispondenti alle singole attività.
IL CONTENUTO
- una parte contrattuale (oggi diciamo “obbligatoria”) —> erano contenuti diritti e doveri
reciproci delle parti stipulanti
- una parte normativa ( oggi =) —> erano stabilite i diritti e doveri reciproci delle parti del
contratto individuale di lavoro destinatarie del contratto collettivo
Questa è l’unica parte che costituisce il contenuto obbligatorio del c.c.c. limitatamente alle
clausole essenziali -> esse si distinguono tra: stabilite a garanzia del datore di lavoro e a garanzia
dei lavoratori.
Eventuali lacune:
- se parziali—> annullamento
Art 2073: l’efficacia del c.c.c. poteva venir meno, ove 3 mesi almeno prima della scadenza, una
delle associazioni stipulanti notificasse all’altra la “denunzia” del c.c.c., finalizzata ad aprire le
trattative per la stipulazione di un nuovo contratto collettivo.
Art.2074: la scadenza tuttavia non produceva la cessazione degli effetti del contratto, in quanto
questo art. prevedeva che il contratto scaduto fosse ultrattivo, che continuasse cioè a produrre
effetti fino a che non intervenisse un “ nuovo c.c.c.”
INDEROGABILITA’
L’art.2077 c.c. —> riformulava un art. del regolamento di attuazione della legge del 1926.
L’art 54 del reg.d. sancì l’inderogabilità del c.c. (efficacia normativa o reale: nullità e sostituzione
automatica delle clausole difformi dei contratti individuali di lavoro)
L’art. 10 specificava come chi non rispettasse il c.c.c fosse responsabile civilmente.
il c.c.c costituiva la disciplina giuridica comune di tutti i rapporti individuali di lavoro fra datori
di lavoro e lavoratori della categoria alla quale si applicava il c.c.c. —> ilc.c.c. limitava
l’autonomia contrattuale individuale
Il c.c. spiegava pertanto la propria efficacia normativa ( detta anche reale) sia nei confronti dei
contratti individuali preesistenti, sia di quelli successivi alla sua entra in vigore, determinando la
modificazione del contenuto dei contratti individuali presenti e futuri.
C) L’eccezione alla regola era rappresentata dalla presenza di speciali condizioni dei contratti
individuali più favorevoli ai lavoratori, che restavano salve ( in quanto, trovando fonte nel contratto
individuale potevano essere modificate solo consensualmente dalle parti del contratto individuale)
A fronte della funzione livellatrice dei c.c.c., lo spazio riservato all’autonomia individuale si
restringeva alla stipulazione di clausole poste in essere in relazione a speciali attitudini del
lavoratore, che il datore di lavoro intendesse premiare con un trattamento di maggior favore
L’inderogabilità del c.c.c consentì alla dottrina del tempo di costruire la teoria del contratto collettivo
come fonte eteronoma di disciplina del contenuto di contratti individuali di lavoro
Capitolo 3):
Proibizione sciopero e serrata.
Provvedimento penalmente sanzionato era la più dura conseguenza della privazione della libertà
sindacale imposta ai lavoratori. Questo capitolo fu riscritto a breve distanza di tempo, in modo
oppio analitico nel Codice penale di Rocco del 1930.
Capitolo 4):
Art.13: era di competenza della Magistratura del lavoro la decisione di “ tutte le controversie relative
alla disciplina dei rapporti collegi i di lavoro, che concentrano sia l’applicazione de c.c.c sia la
richiesta di nuove condizioni di lavoro”
Legittimati ad agire erano solo le ass. sindacali riconosciute, e prima era necessario un tentativo di
risoluzione amichevole della controversia. Le decisioni emesse in confronto delle ass. avevano
efficacia erga omnes.
La necessità di questo organo può essere visto come la contropartita aa fronte della abolizione del
diritto di sciopero. Ma fin dall’inizio era chiaro che si trattasse di una contropartita fittizia
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Il patto di Roma
- emanazione del r.d.l. n°721/1943 con cui vennero smantellate le istituzioni tipicamente
corporative—> le organizzazioni sindacale di diritto pubblico venivano invece poste
sotto gestione commissariale, affidata ad uomini dell’antifascismo.
- Buozzi (giustiziato dai nazisti nel 1944) e Mazzini stipularono il 2 settembre del 1943 il:
primo contratto collettivo post fascista —> esso era l’accordo istitutivo delle
Commissioni interne di fabbrica, che rinascevano dopo quasi 20 anni. Ma questo
accordo nasceva ad efficacia sospesa e differita, a causa degli avvenimenti politici
successivi, che rimandavano la ripartenza dell’attività sindacale.
L’8 settembre dopo la firma dell’armistizio con i tedeschi questi occupano l’italo fino a
Napoli e il re fuggi verso Brindisi dove fondo la nuova sede del governo Badoglio.
L’8 settembre del 1943 il governo fascista riportato al potere dai tedeschi aveva
dichiarato decaduti i commissari antifascisti —> comincio allora la fase delle riunioni
clandestine dei sindacalisti antifascisti —> socialisti / comunisti / democristiani
tra i quali vi erano divergenze profonde.
- democrazia cristiana
- Partito comunista
- Partito socialista
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- Con l’unità sindacale, il sindacato si proponeva per la prima volta nel ruolo di
componente della società nazionale, come forza autonoma rispetto ai partiti politici
- La CGIl unitaria si divide “una struttura di massa, capace di accogliere e dirigere una
base diversificata e in rapidissima crescita”
- Le adesioni al sindacato nel 1945 —> 1 milione, nel 1946 —> 6 milioni
- Nei suoi primi 2 anni di vita firmo importanti accordi agendo in una prospettiva
essenzialmente politica di unità e solidarietà nazionale, su cui convergevano sia la
concezione marxiana sia il solidarismo sociale cristiano.
- Ogni modificazione del rapporto di forza sulla scena politica era dunque destinata a
riflettersi immediatamente in seno al sindacato. E la dipendenza dalle scelte dei partiti
divenne più che mai evidente nel 1947—> nel giugno di questo anno a Firenze, si tenne
il primo congresso della CGIL in un clima di grande tensione, in quanto vi erano duri
contrasti con la corrente cristiana e le correnti comuniste (maggioritaria) e socialiste.
Essi vertevano sul problema dell’intervento della Confederazione sui problemi politici. Un
compromesso fu rappresentato dall’art. 9 dello statuto , limitando l’interventi politico del
sindacato ad ipotesi eccezionali. Questo compromesso inizialmente salvò l’unità.
—> per l’indipendenza del sindacato con le correnti repubblicane e la corrente socialista
autonoma
—> il patto rappresentava una rottura dell’unità sindacale; l’occasione formale si presentò
a poca distanza di tempo: il 14 luglio del 1948, Palmiro Togliatti, segretario del partito
comunista, subì un attentato, dal quale usci gravemente ferito —> al diffondersi della
notizia, nel clima teso dia sul periodo, decine di camere del Lavoro proclamarono
spontaneamente lo sciopero. Fermare questo sciopero era essenziale anche per evitare la
rottura con la corrente cristiana: per farlo la CGIL decise di proclamare essa stessa lo
sciopero, per poi poterlo sospendere il giorno successivo. Questa decisione però non
impedì la rottura.
L’unità sindacale ebbe, quindi, però vita breve: nel 1948 la CGIL suoi una scissione
interna, con l’uscita dei socialisti autonomisti e dei democristiani, che costituirono altre
confederazioni. Da allora di unità sindacale non si è più parlato.
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L’unità sindacale si era costituita in un momento della vita politica del paese che si era
ormai concluso; la larga maggioranza che la sinistra comunista e socialista deteneva nella
CGIL non corrispondeva più agli equilibri politici e parlamentari, dove la aggiroanza era
saldamente nelle mani del centro-destra.
- CISL —> di ispirazione cattolica, che si proponeva in contrasto con la CGIL come
sindacato apolitico, non classista, e rivendicativo
Si apriva una fase di intenso conflitto tra sindaci, il cui risultato fu l’indebolimento
dell’intero movimento sindacale, di cui furono ovviamente i lavoratori a pagarne il prezzo
più alto.
- la sua emanazione venne preceduta dall’ordinanza numero 28 con cui glia lleati
imposero lo scioglimento delle organizzazioni sindacali fasciste.
Sancisce che per i rapporti collettivi e individuali restano in vigore, salvo le successive
modifiche, le norme connette nei contratti collettivi, negli accordi economici e nelle
sentenze della Magistratura del Lavoro.
Può sembrare sorprendente che un decreto che elimina tute le istituzioni corporative
mantenga invece in vita le norme da queste prodotte. Ma ci sono delle ragioni storiche ch
giustificano questa azione: scelta motivata da ragioni di urgenza, in quanto in quel
momento più di mezza Italia era in guerra.
La prima contrattazione collettiva vide luce solo alla fine del 1945. Ai tempi infatti la
disciplina dei rapporti di lavoro era contenuta quasi esclusivamente nei contratti
corporativi, quindi eliminando quest’ultimi i lavoratori si sarebbero tratti privi di una
disciplina minima uniforme delle condizioni di lavoro
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L’art 43 prevedeva che la conservazione in vita, detta ultrattività ,dei contratti collettivi
corporativi trovasse un termine finale nella sopravvivenza di successive modifiche.
Mettendo un termine all’ultrattività delle norme corporative il legislatore mostrava di
ritenere che in tempi ragionevolmente brevi sarebbe stato messo in vigore un nuovo
ordinamento sindacale, sostitutivo del precedente.
Stando cosi le cose, il termine posto dal legislatore all’ultrattività dei c.c.c. , ricorre do
all’espressione “ salvo successive modifiche” poneva dei problemi interpretativi di non
facile soluzione.
2 questioni interpretative:
- Prima questione:
Se e in che misura, un nuovo contratto collettivo, privo di efficacia erga omnes,
potesse essere considerato una successiva modifica del c.c.c.
La giurisprudenza dell’epoca rispondeva affermando che: nel caso in cui il datore di
lavoro fosse stato vincolato ad applicare il nuovo contratto collettivo, allora si sarebbe
verificata la “successiva modifica” di cui parla l’art 43. —> e di conseguenza, la
sostituzione del vecchio c.c.c. con il nuovo. Ove inca kl dato di lavoro non fosse stato
vincolato all’applicazione del nuovo c.c. di diritto comune, i rapporti di lavoro sarebbero
stati ancora regolati dal vecchio c.c.c..
La giurisprudenza costituiva l’obbligo del datore di lavoro di applicare il nuovo c..c
facendola discende dalla applicazione delle regole in materia di associazioni di diritto
privato.
• Se.ì, viceversa, il datore di lavoro non è iscritto all’ass. Stipulante, il nuovo contratto
collettivo non entra neppur in discussione, egli continuerà ad essere obbliato ad
applicare il c.c.c.
- Seconda questione:
Se il n.c.c. potesse derogare in peggio per i lavoratori al c.c.c.
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Nelle discussioni in assemblea costituente, eletta il 2 giugno del 1946, i temi dominanti
riguardarono la natura giuridica del sindacato e la regolamentazione dello sciopero.
sindacato corporativo VS
era radicata nel Ma anche la sinistra vedeva nel c.c. erga omnes
gruppo dirigente un’insostituibile garanzia e non metteva in discussione
democristiano.
che ciò dovesse implicare il riconoscimento giuridico del
sindacato.
In fine, con un ordine del giorno, concordato tra le maggiori forze politiche, venne
proposto il testo definitivo del primo comma dell’art.39 approvato dall’assemblea:
- da un lato possono essere spiegati come presupposti logici delle previsioni contenute
nel 4 comma —> primo profilo
- Dall’altro possono essere spiegate come conseguenze logiche del principio di libertà
sindacale affermato nel 1 comma —> secondo profilo
“abbiamo voluto costituire un sindacato che fosse l’opposto del sindacato quale era nel
regime passato. Per questo si è detto che l’unico vincolo verso lo Stato è la
registrazione”:
“Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro
registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge”.
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per sottolineare ancora una volta come la Costituzione Repubblicana sancisse principi
opposti a quelli contenuti nella legge sindacale fascista.
“E` condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un
ordinamento interno a base democratica”.
Anzitutto, come affermo Di Vittorio, i sindacati per poter stipulare c.c. dovevano avere il
“ riconoscimento della personalità giuridica “ e pero aggiunse “nello stabilire le condizioni
di questo riconoscimento si devono nello stesso tempo garantire:
- indipendenza
- Autonomia
Ma non era semplice conciliare l’indipendenza e la libertà dei sindacati con il potere di
stipulare c.c. generalmente obbligatori, che vincolano non solo i datori di lavoro e i
lavoratori non iscritti ai sindaci stipulanti, ma anche i sindaci che non hanno partecipato
alla stipulazione; anche perché quello dell’efficacia erga omnes era il problema sul quale
si registrava la maggior distanza trave posizioni delle forze politiche.
Ragioni storiche della mancata attuazione dei commi: 2,3, e 4 dell’art. 39 Cost
Il costituente aveva costruito un modello addosso alla CGIL unitaria, eppure nel 1947
quando il testo dell’art.39 elaborato in sottocommissione approdò in Assemblea, la
21
situazione sul fronte sindacale era già caratterizzata da quelle tensioni e da quei contrasti
che, nel luglio del 1948 avrebbero portato alla rottura del patto di unità. E infatti, pochi
mesi dopo l’entrata in vigore della Costituzione, l’abito su misura divenne inservibile: anzi
si tradusse in ulteriore motivo di scontro.
- Atteggiamento CISL: affermava ora la natura privatistica del sindacato e la sua totale
autonomia dallo stato —> contraria all’attuazione dell’art.39 cost
2)
Nel roso della prima legislatura (1948-1953), solo il disegno di legge del Ministro del
Lavoro Rubinacci venne presentato al Parlamento, ma non fu mai discusso. Era un
progetto di un’organica legge sindacale di stampo neo corporativo, la cui applicazione si
profilo subito impraticabile, per l’opposizione delle sinistre, della CGIL e della CISL.
Il fronte sindacale:
- era d’accordo almeno nell’afferire la necessità di dare efficacia erga omnes ai c.c. Ma il
problema era quello di stabilire quali contrario e stipulati da chi: e qui i contrasti
riemergevano.
Negli anni successivi, il disimpiego del governo porterà forze politiche e i sindacati a
cercare soluzioni di ripiego, nel tentativo di sciogliere, almeno in via transitoria, il nodo
dell’effigia erga omnes dei c.c.
- La CISL —> proponeva invece la estensione erga omnes dei c.c. con decreto
presidenziale, emanato a seguito di una complessa procedura da svolgere nell’ambito
di una commissione sindacale paritetica cui era affidata l’individuazione dei c.c. da
estendere
Le due proposte possono essere considerate le premesse di quello che sarà, nel 1959,
l’esito della vicenda: cioè la L.741/1959, detta: legge Vigorelli, che previde l’estensione
erga omnes ( con decreto legislativo) dei c.c. di diritto comune.
22
La “carenza legislativa”
Solo negli ultimi tempi la crisi del sistema di relazioni industriali e la convinzione diffusa
della necessità di un intervento legislativo hanno riportato l’attenzione sull’art. 39 Cost.
In questo capitolo cercheremo di ricostituire una lunga stagione del diritto sindacale,
caratterizzata dal mancato intervento della legge.
Questa stagione copre l’arco di 20 anni: benché la legge prevista dall’art. 39 non fu mai
stata emanata, possiamo dire che la stagione si sia chiusa, almeno in parte con un
intervento legislativo: la L. 300/1970 detta: Statuto dei Lavoratori
All’inizio degli anni 50’, le relazioni industriali erano segnate dalla situazione determinatasi
a seguito della scissione nel 1948.
Il periodo tra il 1948 e il 1954 fu per la CGIL un periodo di dure lotte, da cui la CGIL uscì
indebolita ma non battuta. La strategia politico-sindacale della CGIL prese forma nel:
“Piano del Lavoro”, promosso al congresso di Genova del 1949 dal segretario generale Di
Vittorio, che pero era considerato dal Governo inattuabile e strumentale.
Il problema del rapporto tra i sindaci e lo Stato era al centro della politica sindacale della
CGIL. Proprio la questione dell’intervento della legge e specialmente della mancata
attuazione dell’art.39 della costituzione costituiva uno dei punti di maggior contrasto tra
CISL e CGIL.
Aveva alla base una concezione del sindacato come una organizzazione che si determina
autonomamente in via associativa.
Una visione rigidamente associata del sindacato comporta la qualificazione del vincolo
sindacale come rappresentanza dei soci: la concezione della CISL era dunque in netto
contrasto con quella della CGIL, basata invece sulla rappresentanza sindacale come
rappresentanza della classe.
Nella concezione associativa del sindacato, l’interesse collettivo è l’interesse proprio della
associazione sindacale; il potere della associazione è staccato da quello dei soci, ma
capace di disporre nella loro sfera giuridica.
23
1. IL METODO CONTRATTUALE:
Era visto come strumento prioritario della azione del sindacato, e come fine della
sua attività era ragione della sua esistenza
Per quanto compromissoria, questa posizione ebbe tuttavia il merito di aprire, nella CGIL;
una fase di riflessione autocritica che avviò ad un processo di faticosa ricerca dell’unità di
azione sindacale.
La riflessione si apri anche nella CISL dopo la svolta del 1958 quando fu denunciato
l’operato della FIM-CISL dovuto a delle interferenze della FIAT nelle elezioni della
Commissione Interna. La FIM perse quasi tutti i voti, ma da quella sconfitta nacque un
sindacato nuovo, una avanguardia combattiva impegnata in molti anni in prima linea nella
battaglia contro l’unità sindacale.
La mancanza di una legge sindacale non implicava affatto la rinuncia all’esercizio da parte
dell’esecutivo, del controllo del movimento sindacale.
Nei primi anni 50 si verificarono infatti alcuni interventi del potere esecutivo: alla
repressione dell’attività sindacale, dei comizi, dei cortei, degli scioperi talora
corrispondeva, sul piano giudiziario, l’orientamento fortemente restrittivo in materia di
sciopero dei giudici, che condannavano non solo gli scioperi politici ma ogni forma
“anomala” di lotta.
24
Un’inversione di tendenza si verificò tuttavia già nel corso degli stessi anni 50’ con una
serie di interventi legislativi nel segno del disgelo istituzionale di cui almeno 2 devono
essere ricordati: —> furono l’occasione per un primo disegno tra CISL e
CGIL, che doveva portare alla fine degli anni 60’ alla
prima esperienza di unità di azione sindacale.
1. L.1589/1956 —> legge fortemente voluta dalla CISL e dalla sinistra democristiana
—> l’Art.3 c.3: prevedeva che entro un anno dalla entrata in vigore, le
imprese a prevalente partecipazione statale sarebbero dovute
uscire da Confindustria, associandosi in una separata
organizzazione sindacale delle imprese a capitale pubblico.
In sostanza, ad avviso della Corte, con lo sganciamento imposto alle imprese pubbliche
lo Stato aveva auto determinato la propria scelta associativa: ciò che è legittimo e
rispettoso dei principi di auto-organizzazione e di autonomia sindacale.
25
Dalla svolta degli anni 60’ “all’autunno caldo”: le grandi trasformazioni del sistema
di relazioni industriali
Gli intensi anni 60 sono stati, nel nostro Paese un periodo di grandi trasformazioni
economiche, politiche e sociali, sostenute anche d forti tensioni ideali. Ci limiteremo qui a
richiamare solo i fatti salienti ai quali sono collegate le evoluzioni delle teorie e delle prassi
sindacali, che hanno spinto il diritto sindacale italiano verso la svolta dell’intervento della
legge.
IL CONTESTO ECONOMICO-POLITICO
- quadro politico: sulla fine degli anni 50 era nato il primo Governo che, allargando la
coalizione al partito socialdemocratico, poneva le premesse per l’esperienza dei
Governi di centro-sinistra del decennio successivo. L’alleanza tra democristiani e
socialisti resterà la coalizione di Governo dominante dell’intero declino e dei 2 decenni
successivi.
- quadro economico: gli anni 60 furono caratterizzati dalla grave crisi congiunturale
degli anni 1964-1965, che fece seguito all’eccezionale sviluppo industriale tra il 1959 e
il 1963. Fu una fase recessiva breve, ma con perduranti effetti sul calo degli
investimenti, e delle esportazioni, e produsse l’esportazione dei capitali all’estero.
La recessione nell’industria determinò un calo nella occupazione, che si prolungo fino
al 1966, tornando normale solo nel 1969.
Data la brevità della recessione, la riorganizzazione ricomincio molto presto: la crescita
della produttività dell’industria fu elevata, e su questo influì sicuramente un nuovo
modello organizzativo proveniente dagli USA, bastato sulla intensità e sulla
parcellizziate del lavoro —> la nuova organizzazione del lavoro trasformava
profondamente la condizione operaia: divisione e ricomposizione scientifica del lavoro
accentuava la gerarchia nell’impresa, deprimevano il ruolo degli operai, vi era un
Il rinnovo del c.c. dei metalmeccanici nel 1959, guidato dalle 3 Confederazioni era stata la
prima esperienza di unità di azione.
La resistenza di Confindustria durò ancora per mesi e fu piegata solo dopo uno sciopero
generale di tutta l’industria: l’accordo che finemente venne stipulato era analogo a quello
dell’industria pubblica; anche in questo accordo:
Il contratto venne accolto com una grande vittoria dei metalmeccanici e di tutto il
movimento sindacale: la prima dopo tanti anni di difficoltà e sconfitte.
26
• La CISL —> sempre stata positiva verso un sistema contrattuale articolato su più livelli
e favorevole al superamento della contrattazione nazionale esclusiva.
• La CGIL —> all’inizio invece era negativa -> dopo (anni 1955/56) si modifico man mano
prendeva coscienza della nuova condizione operaia, la CGIL riconosceva la centralità
rivendicativa della fabbrica e anche essa alla fine sposò la strategia della artiolazione
contrattuale.
I c.c. stipulati tra il 1965 e il 1966, in un quadro reso difficile dalle vicende della politica e
dell’economia, non portarono innovazioni significative, facendo segnare una battuta di
arresto al processo di decentramento contrattuale, e lasciarono irrisolto il nodo della
contrattazione aziendale.
Anche il 1969 “si era aperto sotto l’insegna della forte pressione, ancora non controllata
dai sindacati che si caratterizzata con l’emergere di scioperi selvaggi, attuato da gruppi di
lavoratori con obiettivi egualitari e di lotta contro la tradizionale organizzazione del lavoro.
La contrattazione articolata del 1962 insomma era travolta e per sempre.
- stava l’idea del rapporto diretto tra il gruppo omogeneo per condizioni di lavoro e chi lo
rappresenta nei rapporti con il padrone
- Stava anche la contestazione del sindacato e della sua organizzazione e dei suoi
metodi nella gestione delle vertenze.
- Costruire nelle fabbriche una organizzazione sindacale duratura (che sarà dal 1970 il
Consiglio di Fabbrica/ Consiglio dei delegati).
Il rinnovo dei quadri sindacali di azienda, che permise l’elezione a delegati di giovani
sindacalisti idealmente vicini al movimento, e la loro intensa attività conflittuale e
contrattuale, consentì un primo recupero del controllo sindacale sulla base, che costituì
27
L’autunno caldo del 1969 ebbe per protagonisti i metalmeccanici guidati dalle
federazioni FIOM,FIM, UILM, e vide scioperi e manifestazioni di massa, in un clima di
grande tensione.
Il contratto con i metalmeccanici si chiuse, grazie alla mediazione svolta del Ministro del
Lavoro sia per le mores pubbliche sia per quelle private nel 1969. Trattative caratterizzate
da una intensa partecipazione dei lavoratori. —> con questo contatto si chiude l’autunno
caldo e sia prova un capitolo nuove delle relazioni industriali: la richiesta degli industriali
di proporre i limiti alla contrattazione aziendale venne respinta (come nel modello di
contrattazione del 1962) e non più avanzata.
- (anni 50/60)
- entrambe segnate dal mancato intervento della legge, conseguente ai pochi tentativi
fatti per dare attuazione all’art.39 Cost.
Negli anni successivi all’entrata in vigore della Cost. il vuoto legislativo dovuto alla
mancata attuazione dell’art.39 Cost. Portò i giuristi a dedicare scarsa attenzione a questa
parte del diritto del lavoro. Atteggiamento che però durò poco. L’astensione della legge
comporta sostituire al meccanismo dell’art.39 un altro meccanismo, che trovasse al di
fuori della legge di attuazione dell’art.39 la propria base —> a ciò si occuparono i giuristi
a cui si deve quella operazione di politica del diritto che può essere riassunta con
l’espressione: PRIVATIZZAZIONE DEL DIRITO SINDACALE, il cui esito è stato la
costituzione del diritto sindacale extra-legislativo.
Prima fase
Nella prima fase della sua elaborazione teorica, la privatizzazione del diritto sindacale ha
come nucleo centrale la costruzione della nozione di autonomia collettiva, il cui autore è
Francesco Santoro Passarelli che la elaborò in una serie di saggi scritti dal 1949.
L’autonomia privata collettiva è appunto l’autonomia di cui dispone un gruppo sociale per
la realizzazione di un interesse collettivo.
28
“La definizione di autonomia collettiva gettò le radici sistematiche della nostra materia”
affermò Giugni —> autore di una teoria che partendo dalla critica di quella di Passarelli,
costituirà la nuova base costruttiva del diruto sindacale extra-legislativo negli anni 60’.
La teoria dell’autonomia collettiva, sul piano giuridico, attribuiva rilievo agli interessi dei
gruppi considerati in quanto tali superbì e quindi destinati a prevalere sugli interessi dei
singoli che appartengono al gruppo. Il fulcro della teoria è infatti il concetto di:
Fu Carlo Esposito che spazzò via in un saggio i residui “corporativi” che ancora potevano
trovarsi nella costruzione dell’autonomia collettiva e dell’interesse collettivo indivisibile di
Santoro Passatelli —> se egli aveva trovato nel codice civile il fondamento della sua
teoria dell’autonomia collettiva privata, Esposito trovava invece nell’art. 39, c.1 Cost il
fondamento della privatizzazione del diritto sindacale.
Cosi affermata la natura del sindacato come associazione di diritto privato, che persegue
interessi economici e si propone scopi privati, la dottrina dell’epoca poteva rileggere
l’intero art.39 declassando l’obbligo della registrazione a mero onere, ed afferrando la
legittima esistenza dei sindacati di diritto comune anche dopo un’eventuale ma non
auspicabile attuazione dell’art. 39 cost.
Non tutti, all’epoca, erano d’accordo con la lettura privatistica dell’art. 39. proposta da
Esposito, in quanto:
- Dall’altro i giuristi vicini alla CGIL concentravano ancora il loro interesse sull’attuazione
dell’art.39 cost. e della contrattazione collettiva erga omnes ivi prevista; attuazione che
avrebbe richiesto l’intervento della legge sindacale previsto appunto dall’art.39.
29
Le opinioni dissenzienti non ebbero però fortuna e l’autonomia collettava privata era
destinata a costituire la base teorica del diritto sindacale post-costituzionale.
All’invio degli anni 60’ era passata l’idea che il nostro sistema di relazioni industriali
poteva vivere e svilupparsi al di fuori di una legge di cui non aveva bisogno.
Sul finire degli anni 50’, la dottrina del diritto sindacale conobbe un’importante
rinnovamento, considerato giustamente come la svolta dottrinale del secondo decennio
post-bellico.
Seconda fase
Fase di decisiva trasformazione del diritto sindacale.
Facciamo riferimento alla riflessione fatta da: Gino Giugni, autore nel 1960 di una
monografia che diede avvio al rinnovamento metodologico degli studi di diritto sindacale.
Per Giugni—> pretendere di continuare ad inquadrare la realtà dei rapporti sindacali nelle
strettoie di quelle poche disposizioni del codice civile, che costituiscono il piccolo
apparato normativo che sorregge la torria dell’autonomia collettiva, era una operazione
non più accettabile.
Il problema più urgente della rifondazione teorica del diritto sindacale italiano era quello di
conferire ai fatti di accedere al diritto -> trasformare i fatti in norme
- É la base teorica del diritto sindacale a partire dall’inizio degli anni 60’.
- Ha molto successo—> grazie alla: convinzione che l’autonomo sviluppo del sistema di relazioni
industriali fosse la premessa della trasformazione in senso democratico della società italiana.
- Basata su 3 punti:
Il negotiating machinery è costituito dalle norme che riservano competenze alle associazioni
che si sono reciprocamente riconosciute, che dettano le regole del gioco nel conflitto, c he
predispongono procedure intersindacali di composizione del conflitto.
• Il sistema normativo dinamico vive di una vita giudica propria, è cioè dotato di una giuridicità
originaria, che non richiede ne riconoscimenti, ne legittimazioni da parte dello Stato.
• Il sistema normativo dinamico entra in contatto con il sistema normativo statuale, per la via
dell’interpretazione giudiziale dei contratti collettivi
Il nucleo “politico” su cui si basa questa teoria: è il ruolo marginale dello Stato + autosufficienza e
autosufficienza della legalità sindacale
30
Il rafforzamento della negotiating machinery: era lo strumento che sorreggeva la costruzione giuridica.
La realtà dell’epoca di Giugni era ancora dominata da una c.c. nazionale di categoria di
vecchio stampo, accompagnata nei luoghi di lavoro da una rappresentanza dei lavoratori
ancora affidata alle sole Commissioni Interne.
L’idea è che Giugni abbai fornito un modello descrittivo, capace di descrivere il sistema di
relazioni industriali.
O la democrazia entra nelle fabbriche, o non ci sarà più democrazia -> questa era l’idea
che aveva portato quelle forze politiche che tanto erano contrarie all’attuazione della
legge prevista dall’art.39 Cost. a progettare un intervento legislativo che portasse
appunto la democrazia nelle fabbriche.
L’idea di uno statuto, cioè di una carta dei “diritti dei lavoratori” non era nuova, in quanto:
- Era già stata proposta da Di Vittorio nel 1952, in un congresso della CGIL
A cambiare la prospettiva furono le vincere sindacali del 1968/9 che rendevano non più
rinviabile un intervento di legge.
- Segui una linea originale che lo rendeva molto diverso dalla Carta dei diritti a cui si era
penato in passato
- Scopo:
• Da un alto si proponeva di realizzare quei principi di difesa della libertà e dignità del
lavoro che erano stabiliti dalla stessa carta costituzionale
- Altro Obiettivo:
- Legge approvata dal Parlamento nel 1970—> L. 300/1970 (detta: statuto dei lavoratori)
Dalle vicende del 1968/9 è nato un sistema sindacale diverso, più forte e più complesso
dominato dalle 3 grandi Confederazioni, protagoniste della scena politica oltre che di
quella sindacale.
31
É importante precisare che lo steso Giugni, che rivendicava il merito di essersi opposto
all’attuazione dell’art.39 della Cost., contribuendo cosi alla costituzione del sistema di
relazioni industriali su base meramente volontaristica, già nel 1967 invocava l’intervento
legislativo.
INNOVAZIONE DELLO ST.L. = aver costruito, mediante l’ampio riconoscimento dei diritti
sindacali, le condizioni indispensabili perchè i lavoratori possano esercitare effettivamente
i propri diritti.
Titolo III dello St.l. -> incentiva l’azione sindacale nei luoghi di lavoro mediante il
riconoscimento delle rappresentanze sindacali costituite nell’ambito dei sindacati aderenti
alle Confederazioni maggiormente rappresentative.
Proprio la parte “promozionale” dello statuto era quella che all’epoca doveva suscitare le
maggiori reazioni:
- il settore moderato e conservatore della dottrina giuridica: aveva accolto male la legge,
sommergendola di critiche tecniche, che pero non riuscivano a celare l’ostilità di tipo
politico per un intervento legislativo cosi evidentemente a favore delle 3 maggiori
confederazioni.
La storia di mezzo secolo di applicazione dello St.l. smentirà molte di qieste illusioni e
preoccupazioni e critiche.
32
Nel corso die primi decenni che ci separano dall’entrata in vigore dello Statuto dei
Lavoratori, le relazioni industriali hanno conosciuto in Italia molti mutamenti passando
attraverso varie fasi e alterne vicende. I più forti scossoni al sistema di relazioni industriali
so sono registrati però nell’ultimo decennio.
Tra la seconda metà degli anni 70’ e l’inizio degli anni 80’:
In una situazione di crisi economica e del mercato del lavoro, presero avvio le prime
esperienze di negoziazione triangolare di provvedimenti di politica economica e sociale
tra:
- il Governo
- Confindustria
- Le 3 maggiori Confederazioni
Protocollo del 1983 —> “Accordo Scotti” —> Obiettivo era quello di: controllare la
dinamica salariale e il tasso di inflazione.
I risultati raggiunti con questo accordo portarono il Governo a riaprire la trattativa con le
parti sociali l’anno successivo, per il congelamento degli aumenti salariali automatici
(indennità di contingenza) legati al sistema della scala mobile.
Esso consentiva il parziale recupero del potere di acquisto dei salari, mediante
un ,meccanismo di aumento automatico della retribuzione: l’indennità di contingenza,
corrisposta all’epoca trimestralmente , era calcolata sulla base dell’indice dell’aumento
dei prezzi rilevato dall’ISTAT.
L’Accordo di San Valentino del 1984 —> al quale il Governo divide efficacia recependolo
nel d.l 70/1984.
Lo scontro politico e la lacerazione sindacale che ne derivarono, a partire dalla rottura del
Patto federativo stipulato nel 1972 tra CGIL, CISL, e UIL, portarono a una situazione di
instabilità delle relazioni industriali , con effetti negativi sulla tenuta delle strutture
sindacali nei luoghi di lavoro e ricadute sulla contrattazione aziendale, che perse di
importanza anche quantitativamente.
L’unità di azione sindacale conobbe una fase di crisi a causa della crescente divergenza
di strategie fra CGIL, UIL, e CISL.
33
pubblici poteri nelle relazioni industriali, che si realizzò con la stipulazione nel 1992
dell’accordo triangolare che abolì la scala mobile e nel 1993 del:
—> poneva per la prima volta le basi di un sistema contrattuale regatò nella struttura e nel
funzionamento.
—> ma per produrre tutti i risultati che pro metteva il sistema contrattuale delineato nel
Protocollo avrebbe dovuto trovare il fine necessario sostegno nella legge che il
Governo si era impegnato a promuovere, per sciogliere i due nodi lasciati irrisolti
dalla mancata attuazione dell’art.39 Cost.:
Questo inadempimento degli impegni assunti dal Governo è l’origine delle più gravi
inefficienze del sistema contrattuale
A queste inefficienze si tentò di porre rimedio con il Patto sociale per lo sviluppo e
l’occupazione del 1998: “Patto di Natale”. Ma, ancora una volta tuttavia sarebbe stato
necessario un intervento legislativo che mettesse ordine nel sistema delle relazioni
industriali: ma per un intervento riformatore di questo calibro mancavano evidentemente
le condizioni politiche.
Ma dopo il quinquennio 1996-2001, governato dal centro sinistra, il Governo era tornato
nelle mani del centro-destra, che aveva manifestato le proprie intenzioni nel:
—> Il “dialogo sociale” era presentato come metodo alternativo rispetto al modello di
concertazione sociale degli anni 90’, ritenuto troppo vincolante per il potere esecutivo, del
quale limitava la capacità decisionale, subordinandola al raggiungimento del consenso
delle parti sociali.
- da un lato: enfatizzava il negoziato diretto tra le parti sociali rispetto a quello tripartito,
ma implicava una netta separazione tra la contrattazione collettiva e la legge,
riconoscendo a quest’ultima un ruolo sostituivo della contrattazione collettiva.
34
non è una mera consultazione, ma contrattazione tra Governo e parti sociali, alla ricerca
di un consenso che garantisca l’effettività delle politiche in materia sociale.
—> Del metodo del “dialogo sociale” prefigurato dal libro bianco si trova ampia traccia
nella: Legge Biagi (l.d.30/2003) —> riforma del mercato del lavoro che ridimensionava il
ruolo che la legislazione precedente affidava alla contrattazione collettiva e valorizzava gli
enti bilaterali (organismi paritetici che associano sindacati dei lavoratori e associazioni
imprenditoriali).
L’abbandono da parte del Governo nel periodo 2001-2006 del modello di concertazione
sciale degli anni novanta produsse effetti negativi per la tenuta delle relazioni industriali.
Dopo le elezioni del 2006, e il ritorno al Governo del centro sinistra, il modello della
concertazione sociale degli anni 90’ venne ripreso con il Protocollo sul welfare del 2007,
ma le differenze rispetto agli anni 90’ erano molte, non è perciò un caso che la CGIL
abbai deciso di sottoscriver il patto con difficoltà.
Nel 2008:
Il sistema di relazioni industriali costruito con il protocollo del 1993 era entrato
definitivamente in crisi.
Al riforma del sistema contrattuale, vale a dire quell’insieme di regole alle quali affidare la
nuova architettura delle relazioni industriali, venne disegnata in un insieme di accordi non
sottoscritti dalla CGIL.
In questi accordi il Governo era stato presente nella trattativa, ma non aveva assunto
impegni.
- L’apertura di un più ampio spazio per negoziare deroghe, nei contratti collettivi
aziendali, al contratto nazionale di categoria su singoli istituti economici e normativi
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Il caso FIAT
Nel 2010 esplose il: CASO FIAT
- In un contesto di incertezza delle regole determinata dagli Accordi separati del 2009
Gli accordi separati del 2009 avevano creato le premesse, aprendo formalmente la crisi
del sistema di regole dettate dal Protocollo del 1993; ma il passo decisivo per portare la
crisi alle sue estreme conseguenze era stato segnato dall’iniziativa della FIAT di premere
l’acceleratore della autonomia della contrattazione aziendale, sganciandola dai vincoli del
c.c.n. di categoria e dagli stessi vincoli derivanti dall’appartenenza a Confindustria.
All’epoca vigeva il c.c.n. dei metalmeccanici, sottoscritto anche dalla FIOM, la cui
scadenza era prevista al 31 dicembre 2011
- con il quale si introducevano una serie di deroghe al c.c.n vigente: queste deroghe
previste dall’accodo non erano legittimate dall’intesa del 15 ottobre del 2009, tra
Federmeccanica, FIM-CISL ed UILM, la quale non si limitava ad aggiornare la parte
economica biennale del c.n. per l’industria metalmeccanica privata vigente, ma entrava
anche nella disciplina della parte normativa quadriennale, che sarebbe scaduta il 31
dicembre del 2001. Un accordo raggiunto il 29 settembre 2010 tra Federmeccanica,
FIM ed UILM, era successivamente intervento a “sanare” la lacuna: a sanare, perchè
tale assenza avrebbe dovuto essere riempita prima, non dopo l’accordo di Pomigliano
del giugno del 2010.
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Un primo cambio di marcia era avvenuto quando la FIAT, il 16 dicembre del 2010 aveva dato vita ad
una scissione parziale, separando:
la produzione di auto (FIAT G. Automobiles S.p.A) dalla produzione di macchine agricole e industriali.
Per il settore automobilistico era stato stipulato “il contratto collettivo Mirafonti”:
- Del 23 dicembre 2010
- Definito come contratto collettivo di primo livello -> cioè di livello nazionale di
categoria, non di livello aziendale, del tutto autonomo rispetto al contratto collettivo
nazionale dei metalmeccanici ancora in vigore
- Contratto che è diventato di tutte le società e gli stabilimenti del gruppo FIAT
un contratto aziendale per i dipendenti della new company Fabbrica Italia Pomigliano,
stabilimento di Pomigliano, provenienti da FIAT Group Automobile S.p.A, e da altre
società del gruppo FIAT
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• Alla luce di questo Accordo si può dire che: gli accordi del caso FIAT, che certamente
avevano portato allo scoperto la crisi del sistema di relazioni industriali basata sul
Protocollo del 1993 non sono stati il motore di un nuovo ordinamento basta sulla
marginalizzazione del contratto nazionale e sulla visione sindacale MA sono stati una
contrattazione al di fuori del sistema, che all’epoca era anomala (oggi non lo sarebbe).
• Introduceva nuove regole, che superavano la logica “separatista” degli accordi del
2009; l’accordo pero non disciplinava tutte le materie regolate dagli accordi del 2009
implicitamente confermandone alcune.
Così facendo le parti sostanzialmente ribadivano scelte già compiute nel 1993, ma con
una differenza: l’AI apriva un ampio spazio alla contrattazione aziendale, consentendo che
in quella sede si introdussero specifiche intese modificative, cioè deroghe al contratto
nazionale, purché giustificate da finalità ampie ma non generiche.
L’apertura di questo spazio era condizionato ad una serie di Regole tra le quali
assumevano grande rilievo:
- quelle relative alla rappresentatività sindacale -> soglie minime di rappresentatività per
l’accesso al tavolo delle trattative al c.c.n. di categoria
- alla verifica del consenso della maggioranza dei lavoratori collegate all’efficacia del
contratto
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A distanza di meno di 2 mesi dall’’AI del 2011 il Governo allora in carica infilava a
sorpresa nel d.l. 138/2011 convertito nella L.148/2011 una disposizione che ben poco
aveva a che fare con quella manovra, ma molto invece con le vicende, allora in corso, del
caso FIAT.
Esso è:
- il primo intervento diretto della legge sulla efficacia erga omnes del c.c.
- un intervento che sovverte le regole del sistema contrattuale ridefinite dalle parti scoiali
nell’AI di 2 mesi prima.
Mantenuto in vigore per tutta la XVI legislatura, l’art.8, è sopravvissuto anche nella
legislatura successiva —> nessuna iniziativa è stata infatti assunta per l’abrogazione
dell’art.8, che resta perciò in vigore ameno in attesa che nella neonata legislatura XVIII
qualcuno si faccia carico dei problemi che la presenza nell’ordinamento che questa
controversa disposizione solleva.
La dergoabilità alla legge ad opera del c.c. non è una novità, la legislazione degli ultimi
decenni è infatti ricca di esempi, ma si tratta sempre di casi specifici e predeterminati dal
legislatore; ciò che rappresenta una novità è invece: l’attribuzione alla contrattazione
collettiva locale o aziendale di una competenza quasi generale derogare alla legge-> tale
ampiezza e genericità dell’art.8 rende difficoltoso individuare dei limiti entro i quali il
contratto di “prossimità” possa legittimamente derogare alla legge.
- Documento programmatico
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- Sottoscritto da una parte significativa delle organizzazioni dei datori di lavoro e delle
Confederazioni sindacali, ma non dalla CGIL, in forte dissenso sulle parti del
documento relative:
• Rappresentatività sindacale
- Deprime il ruolo del c.c.n. ( a differenza dell’accordo del 2011), a vantaggio del maggior
spazio e autonomia lasciata alla contrattazione aziendale, anche derogatoria.
- accordo interconfederale
- Obiettivo: mettere a punto una serie di regole del sistema contrattuale strettamente
collegate a quelle già definite con L’AI del 2011.
- Rappresentatività sindacale —> determinazione della soglia minima per l’accesso alle
trattative contrattuali
- Efficacia del c.c.n. di categoria, del quali le parti ribadiamo il ruolo centrale nel sistema
contrattuale, affidandogli il compito di garantire trattamenti comuni per tuti i lavoratori
del settore.
- 10 gennaio 2014
- Accordo interconfederale
- Con esso si da attuazione a quanto previsto dal Protocollo del 2013 in materia di
misurazione della rappresentatività sindacale.
• Per la costituzione nei luoghi di lavoro delle rappresentanze sindacali unitarie dei
lavoratori su base elettiva (RSU) (regole che sostituiscono quelle del protocollo del
1993, rimanete fino ad allora in vigore)
4. “Patto di Fabbrica”
- accordo interconfederale
- 9 marzo 2018
40
• e dall’altro l’auspicio per la definizione di un quadro normativo ( cioè una legge) che
recepisca le intese raggiunte interconfederali
+ appunti
41
LA LIBERTA’ SINDACALE
Introduzione
Alle disposizioni costituzionali si sono aggiunte nel tempo altre disposizioni di varia
provenienza.
Fino ad epoca recente è stato invece pressoché assente il diritto dell’UE. Solo a partire
dal 1 dicembre 2009, con l’entrata in vigore del TUE, che all’art.6 richiama la CARTA UE,
attribuendole lo stesso valore giuridico dei Trattati, i diritti di azione sindacale,
negoziazione collettiva e sciopero (previsti dall’art 28 CARTA UE) sono entrati a pieno
titolo a far parte nel diritto dell’UE.
Le nozioni di base in tema di libertà e autonomia sindacale, che sono l’oggetti di questo
capitolo, restano ancorate alla tradizionale concezione “privatistica”, conseguenza, ma
anche frutto duraturo, della mancata attuazione legislativa dei commi 2, 3, e 4 dell’art.39
Cost.
42
L’art.39 non definisce alcuna definizione del predicato “sindacale”, rinviando perciò a
dati di esperienza.
• Dal punto di vista del FINE, può essere dunque definita come “sindacale”: ogni attività
diretta all’avutotela degli interessi connessi allo svolgimento di un’attività di lavoro, non
necessariamente del solo lavoro subordinato.
Il predicato “sindacale” lo abbiamo riferito alla attività non alla libertà non a caso. Infatti
secondo una opinione largamente diffusa, oggetto della garanzia costituzionale è proprio
l’attività finalizzata all’organizzazione sindacale.
La libertà sindacale, infatti, come tutte le libertà, non è solo “libertà da” interferenze dei
pubblici poteri e anche dei soggetti privati ( in particolare nel caso, dei datori di lavoro),
ma è anche e sopratutto “libertà di” agire.
• Art.12 CARTA UE
43
- nè l’art. 39 Cost.
- nè la Carta sociale europea del 1961, che all’art.5 fa riferimento solo alla libertà positiva
di costituire organizzazioni sindacali o di aderirvi —> firmata a Torino e ratificata in Italia
con legge n°929/1965
Queste clausole sono state per lungo tempo ammesse in Gran Bretagna e nel 1981 sono
state per dichiarate illegittime dalla Corte Europea dei deisti dell’uomo, per violazione
dell’art.11 del CEDU, che garantisce il diritto di fondare sindacati e di aderirvi liberamente,
senza altre restrizioni che quelle previste dalla legge come necessarie per salvaguardare
l’ordine pubblico, la sicurezza e i diritti fondamentali delle persone.
Per trovare una definitiva risposta alla questione della libertà sindacale negativa occorre
fare riferimento allo Statuto dei lavoratori, che all’ Art.15 St.lav. prevede:
- Sancisce dunque la nullità di qualsiasi clausola di union security, a garanzia del diritto
di Goni lavoratore di scegliere liberamente e di dissentire.
Abbiamo detto che può essere definita come “sindacale” “ogni attività diretta
all’autotutela degli interessi connessi allo svolgimento di un’attività di lavoro”.
vieta ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere con
mesi finanziari associazioni sindacali di lavoratori.
Il divieto rende evidente che può definirsi come “sindacale” solo un’organizzazione
autenticamente tale, cioè “atteggiata antagonisticamente nei confronti della controparte”.
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Atteggiamento antagonistico non significa che il sindaco, per essere genuino non debba
essere disponibile a contrattare ed eventualmente ad accettare le proposte della
controparte.
Il divieto dei sindacati di comodo ( o sindacarti gialli ) implica perciò il divieto di sindacati
misti di lavoratori e datori di lavoro.
Il divieto di sindacati non pone limiti alla libertà sindacale garantita dall’art.39 c.1 Cost e
non rappresenta perciò un’illecita interferenza del legislatore nell’ordinamento sindacale.
Peraltro, l’art 17 St. lav. non è una norma nuova per il nostro diritto sindacale —> il divieto
di costituire sindacati di comodo ha infatti :
- un precedente diretto nella Convenzione OIL n°98/1949, che vieta ogni ingerenza delle
associazioni dell’una parte nelle associazioni dell’altra parte.
Il divieto di cui all’art.17 colpisce anche dei comportamenti che non sono tipizzati a
propri, per esempio: assunzioni discriminatorie, privilegi ingiustificati..
É da pero specificare che la libertà di associazione, di cui all’art.18 Cost. tutela anche il
sindacato di comodo i cui fini non sono vietati dalla legge penale. L’associazione di
comodo potrà dunque continuare ad esistere, senza esser eliminata, ma non potrà agire
come sindacato, non essendo genuinamente tale; e il datore di lavoro condannato dovrà
cessare il comportamento antisindacale consistente nel sostegno esplicito o occulto a
questa associazione, e rimuovere gli effetti pregiudizievoli che ne siano derivati agli altri
sindacati e ai singoli lavoratori.
libertà sindacale (ma non dell’azione sindacale -> al diritto di sciopero non
corrisponde un diritto di serrata).
La simmetria sarebbe stat certo piu evidente se avrebbero tratto attuazione i commi
2,3,4 dell’art.39 Cost., poiché la registrazione delle associazioni di ambedue le parti
avrebbe co portato la parificazione del loro regime giuridico.
Nel diritto vigente l’estensione della garanzia della libertà sindacale agli imprenditori, e
di conseguenza della qualificazione come “sindacali” delle loro organizzazioni, può
trovare fondamento in:
• S. 1/1960 Corte Cost. e S. 29/1960 Corte Cost. —> che hanno ricondotto
all’art.39 c.1. la libertà di organizzazione e azione sindacale dei datori di lavoro
• Art.28 La Carta UE —> prevede per i lavoratori, per i datori di lavoro e per le loro
organizzazioni eguali diritti di negoziazione collettiva e di ricorso ad azioni collettive
per la difesa dei propri interessi in caso di conflitto.
Ovviamente dire che l’art.39.c1. estende anche ai datori di lavoro la libertà sindacale non
significa che le due categorie abbiano gli stessi diritti: lo Statuto dei Lavoratori nel
prevedere norme di sostegno dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro non prende
neanche in considerazione la libertà sindacale degli imprenditori., confermando che il
privilegio riservito ai sindacati dei lavoratori trova il proprio fondamento nel principio di
eguaglianza in senso sostanziale di cui all’art. 3 c.2. Cost.
Del tutto peculiare è la rappresentanza sindacale die darti di lavoro pubblici, istituita con
d.lgs. 29/1993 che prende il nome di ARAN (agenzia per la rappresentanza negoziale
delle pubbliche amministrazioni): dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e
rappresa legalmente le pubbliche amministrazioni nella contrattazione collettiva di livello
nazionale.
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1. Per quanto riguarda : militari di carriera —> l’art.1475 d.lgs. 66/2010 esclude che
possano aderire o costituire associazioni sindacali e che possano esercitare il
diritto allo sciopero. —> giustificazione di questo si ha in base alle funzioni e compitìni
che i militari di carriera sono chiamati a svolgere, che a loro volta avrebbero giustificato
una organizzazione gerarchica e una displica incompatibile con l’attività sindacale.
invece di prevedere
In quanto essi legittimano le restrizioni alla libertà sindacale dei militari ma non il divieto
di associarsi sindacalmente.
2. Per quanto riguarda la: Polizia di Stato, la sua smilitarizzazione ha portato ad opera
della L.121/1981 un affievolimento dei pesanti limiti alla libertà sindacale che gravavano
sugli appartenenti alla Polizia quando era ancora militare.
Necessità di evitare che gli addetti alla tutela dell’ordine pubblico subiscano
condizionamenti politico-sindacali.
- Uno verticale -> di categoria : la Federazione Nazionale (per ogni categoria era
riconosciuta una sola Federazione n. Di datori di lavoro e una sola per i lavoratori).
47
Con il ritorno della libertà sindacale nel dopoguerra: è rinato anche il pluralismo sindacale,
che determina la presenza di più organizzazioni sindacali alle quali aderiscono, per libera
scelta e in ragione delle loro personali opinioni, i lavoratori occupati in un medesimo
settore produttivo.
- Struttura nazionale (nella quale confluiscono sia le strutture regionali sia le strutture
nazionali di categoria: Federazioni)
Il pluralismo si manifesta anche nella scelta di una struttura organizzativa legata alla
definizione dell’interesse collettivo tutelato, e dunque di un’area di rappresentanza
ristretta ad :
Questi sindacati sono detti autonomi per distinguerli dai sindacati confederati. E questi
sindacati autonomi sono andati peraltro progressivamente a riunirsi in organizzazioni di
tipo confederale ( CISAL / CONFSAL / CISAS ) anche se conservano una connotazione
prevalentemente settoriale, che distingue queste nuove Confederazioni dalle altre 3
Confederazioni.
Inoltre, occorre ricordare che sono presenti organizzazioni sindacali caratterizzate d una
fluidità organizzativa che rende problematica la loro qualificazione come associazioni.
Inoltre, CISL / CGIL / UIL aderiscono anche alla CIS -> Confederazione sindacale
internazionale, nota anche come : ITUC )
48
Merita segnalare che, in contrapposizione con quanto anticipato, nell’ultimo periodo si sta
sta sviluppando una tendenza alla ricomposizione della frammentazione organizzativa
A livello europeo gli imprenditori sono organizzati nella Business Europe e nella UAPME
(per le imprese di piccola e media dimensione) e nella CEEP (per i datori di lavoro
pubblici)
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- nè sempre vero
- nè necessario
Non essendo mai stata emanata la legge di attuazione dei commi 2/3/4 nel nostro
ordinamento i sindaci non possono chiedere la “registrazione” e conseguire per questa
via la personalità giuridica prevista dalla Costituzione.
La mancanza di una disciplina legale speciale ha indotto gli interpreti a cercare nel diritto
comune (privato) le regole applicabili a questi soggetti:
cioè artt. 36/37/38 codice civile in base alle quali:
• quando sono organizzati in forma associativa i sindacati hanno allora soggettività
giuridica delle associazioni non riconosciute.
• il fondo comune permane (non può essere diviso tra gli associati) fino allo scioglimento
della associazione
- l’ass. non riconosciuta -> coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione
dell’associazione possono essere chiamati a rispondere personalmente e
illimitatamente.
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La pochezza della disciplina legale delle associazioni non riconosciute non esclude che
ad esse possano essere applicate in via analogica alcune disposizioni contenute negli
artt. 14-35 codice civile, in quanto riferibili al fenomeno associativo e non strettamente
connesse al riconoscimento giuridico dell’associazione. Questi articoli contengono regole
di democrazia interna dell’associazione, non derogabili dalla volontà degli associati.
Esempi:
Art. 24.c.2 —> l’associato può sempre recedere dalla associazione se non ha assunto
l’obbligo di farne parte per un tempo determinato
Art. 24 c.3 —> l’esclusione dell’associato non può essere deliberata dall’associazione che
per gravi motivi
L’estensione analogica delle disposizioni che abbiamo sopra citato implica che l’atto
costitutivo, lo statuto non sono le fonti esclusive dell’ordinamento intento
dell’associazione sindacale, che risulta invece regolato anche dalla legge. (p.117 ?)
Il sindacato che definisce la propria area di rappresentanza per ramo di industria o settore
di attività, una delle maggiori implicazioni della qualificazione del sindacato come
associazione non riconosciuta è l’abbandono dell’idea che l’organizzazione sindacale
debba essere conforme a presunte categorie di datori di lavoro o di lavoratori esistenti in
natura e la cui naturale identità possa essere fissata d aleggi o dalle autorità.
Quindi: a differenza del periodo corporativo -> dove le categorie dei datori di lavoro o dei
lavoratori era predefinite e quindi preesistevano alle associazione rappresentative,
Nel diritto sindacale fondato sul principio della libertà sindacale -> il sindaco preesiste alla
categoria.
La “categoria” -> è:
- contrattuale -> è il campo di applicazione del contratto collettivo (non c’entra è per distinguere i termini)
Alla luce del principio di libertà sindacale è dunque legittimo che sia considerato
categoria da una associazione sindacale quello che non è considerato categoria da
un’altra.
La dottrina ha qualificato questo rapporto facendo ricorso alla categoria privatistica della
“rappresentanza volontaria”-> cioè quel meccanismo giuridico mediante il quale la
volontà negoziale viene formata ed espressa da un
soggetto diverso da quello a cui sono
immediatamente imputabili gli eff. g. dell’atto compiut
interesse collettivo —> sintesi e non somma di interessi individuali e come tale
indivisibile e diverso dall’interesse individuale degli associati.
Il cuore del problema della rappresentanza sindacale sta nel trovare una ragione giuridica
della subordinazione dell’autonomia individuale dei singoli iscritti all’autonomia del
sindacato (autonomia collettiva), spiegando perchè gli scritti sono vincolati dagli atti
compiuti dal sindacato (il contratto collettivo in primo luogo).
- la dottrina più risalente ha ravvisato il fondamento del potere negoziale del sindacato
nel: mandato di rappresentanza sindacale che ogni associato conferisce al sindaco al
momento della iscrizione. Spiegazione di tipo individualistico, nella misura in cui viene
ancora ricondotta alla volontà individuale la legittimazione del sindacato ad agire per
conto degli iscritti
- La dottrina meno remota ha ravvisato invece detto fondamento: nel contratto
associativo, cioè il contratto di adesione vincola l’aderente nei termini e nei modi
previsti dallo statuto del sindacato —> teoria nota come rappresentanza associativa
valorizza l’autonomia statuale dell’associazione rispetto alla volontà individuale degli
iscritti, spiegando cosi la prevalenza dell’interesse collettivo sull’interesse individuale
Dalla fine degli anni 60 del secolo scorso si sono fatte però strada nella elaborazione
della dottrina ricostruzioni del potere negoziale del sindacato che alla
rappresentanza volontaria non hanno più fatto riferimento:
—> il potere viene considerato come proprio del sindacato, cioè autonomo e non
fondato sul mandato degli iscritti.
—> l’interesse collettivo è definito come interesse proprio del sindacato, che esprime una
mediazione tra interessi diversi, che non sono solo e necessariamente gli interessi dei
suoi iscritti.
Questo importante passaggio teorico che coglie il carattere strutturale collettivo ( non
individualistico ) del sindacato, ha aperto la strada alla ricerca di nuove basi giuridiche del
potere negoziale dei sindacati: potere che nella prassi appare più vicino agli schemi della
rappresentanza politica che a quello della rappresentanza volontaria associativa di diritto
privato.
La rappresentatività sindacale
RAPPRESENTATIVITÀ —> non coincide con rappresentanza
Il collegamento non emergeva neppure nelle prime ricostruzioni del concetto di maggiore
rappresentatività proposte dagli interpreti a ridosso dell’entrata in vigore dello Statuto dei
lavoratori, dove la maggiore rappresentatività era utilizzata dall’art.19 per qualificare e
selezionare i sindaci nel cui ambito potevano essere costituite le rappresentanze sindacali
aziendali (RSA).
L’obiettivo era di dare ai contratti collettivi stipulati dai s.m.r efficacia erga omnes:
un’efficacia generale che non poteva certo trovare fondamento nella costituzione della
rappresentanza negoziale del sindacato come rappresentanza volontaria
L’obiettivo dell’efficacia generale (erga omnes) per quanto di primaria importanza, non
poteva pero essere centrato —> la ragione fondamentale è che la formula del s.m.r. era
destinata a conoscere un lento declino, a fronte della crescente frammentazione e
complessità che avrebbe dovuto esprimere. La maggiore rappresentatività è stata
ancora un criterio di selezione e qualificazione dei soggetti collettivi, largamente
utilizzato dalla legge; ciò che invece a partire dagli anni 90 tende progressivamente a
scomparire è la presunzione di maggiore rappresentatività, che aveva fatto delle 3
maggiori Confederazioni i s.m.r. per antonomasia.
La formulazione che avuto maggior successo è quella che ha fatto la sua comparsa
ufficiale nell’art. 19 St. Lav., dove il legislatore prevedeva che le rappresentanze sindacali
aziendali (titolari dei diritti sindacali di cui al titolo III della stessa legge) fossero costituite
nell’ambito delle associazioni aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative
sul piano nazionale.
54
- da un lato dall’esperienza
- dall’altro era anche una scelta politica -> quella di privilegiare le organizzazioni
sindacali di più ampie dimensioni, capaci di compensare i diverso egoismi di settore.
L’art.19 St.l è stato modificato, e la modificata ha fatto venire meno proprio la scelta a
favore delle Confederazioni maggiormente rappresentative; nella legislazione sia coeva
sia posteriore allo Statuto, tuttavia questa scelta è ancora largamente presente, anche se
attualmente il legislatore ha dimostrato una preferenza per altri criteri selettivi, che alle
Confederazioni non fanno più riferimento. Ciò rende necessario interrogarsi sul significato
dell’espressione “Confederazioni maggiormente rappresentative”.
55
La legge aveva cosi dettato dei criteri per definire la “maggiore rappresentatività” ->
restava solo di capire se quei criteri servivano solo per distribuire il patrimonio o se
avevano una portata generale che doveva guidare l’interpretazione di altre leggi. Le
opinioni in merito erano divergenti.
La Cassazione ha finito per ritenere non decisiva, ai fini della valutazione della maggiore
rappresentatività di un sindacato l’inclusione nella tabella, dovendosi in ogni caso
verificare se i requisiti della maggiore rappresentatività si fossero mantenuti nel tempo e
fossero presenti nel momento in cui il giudice effettua la valutazione. ( s.1320/1986 )
Da qui il criterio è passato ad altre leggi, nelle quali ai contratti stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale è affidata la funzione di
integrare o modificare la regolamentazione posta dalla legge. Quindi la funzione del
criterio di maggiore rappresentatività comparativa continua ad essere essenzialmente
quella di individuare il contratto collettivo autorizzato dalla legge ad introdurre integrazioni
o deroghe alla disciplina legale, o a sostituirsi ad essa.
—> dove il legislatore ha specificato che i contratti collettivi ai quali fa rinvio sono i
“contratti collettivi nazionali, territoriali, o aziendali stipulati da associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali
stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale
unitaria”
56
Quali parametri possono essere utilizzati ai fini di una valutazione che deve essere appunto
“comparativa”?
- si tratta di una valutazione che guarda al livello nazionale della categoria ( e non a
quello pluricategoriale) -> di conseguenza alcuni parametri utilizzati per valutare la
rappresentatività delle Confederazioni non risultano più idonei.
Però il legislatore non fornisce nuovi criteri di valutazione, nonostante appunto quelli della
maggiore rappresentatività siano inutilizzabili, in quanto la valutazione comparativa, che
impone appunto di “pesare” la rappresentatività, non può basarsi su presunzioni e fattori
notori, ma deve fare ricorso più che altro ai numeri; ma la domanda è su quali numeri
debba basarsi il giudizio…? —> questo cirteiro non è in grado di dare risposte appaganti
a questa domanda, in quanto lo potrebbe fare solo una disciplina legale che fornisse
strumenti anche minimaliste consentirebbero di valutare tale rappresentatività.
Il problema è che il legislatore non ha indicato criteri, manca infatti una disciplina
legislativa della rappresentatività sindacale nel settore privato. Una disciplina esiste ma
nel settore pubblico fin dal 1997. ( parte V )
Per quanto riguarda la stipulazione del contratto collettivo nazionale di categoria (CCNL)
le parti hanno fissato una soglia minima di rappresentatività sindacale nel settore o
comparto non inferiore al 5% —> il raggiungimento della soglia era necessario per
sedere al tavolo della contrattazione collettiva
nazionale
—> si tratta di una regola convenzionale di accreditamento reciproco
—> significa, in sostanza, che es. Confindustria si impegna a non negoziare i contratti
nazionali con sindacati che non raggiungono questa soglia di rappresentatività
—> il sistema è “aperto” verso i sindaci terzi che, pur non avendo sottoscritto il T.U.
avranno diritto a partecipare alle trattative per il rinnovo del contratto nazionale ove
raggiungano la soglia di rappresentatività del 5%
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Per quanto riguarda invece la regola che attiene al modo di calcolare o pesare la
rappresentatività, le parti, ispirandosi al modello in vigore nel settore pubblico, hanno
concluso che:
Già con l’Accordo del 28 giugno 2011 e specialmente con i due accordi successivi, il
Protocollo del 2013 e nel T.U. della rappresentanza del 2014, le parti sociali hanno dunque
concordato regole che consentono di “pesare” la rappresentatività dei sindacati,
fissando, come sopra scritto, una soglia minima di rappresentatività sotto la quale i
sindaco non sono ammessi al tavolo della contrattazione nazionale.
Mentre con il Patto della fabbrica del 2018 viene stabilita l’estensione del criterio della
maggiore rappresentatività comparativa alle organizzazioni dei datori di lavoro ai fini di
accesso alla contrattazione collettiva nazionale di categoria e di efficacia del contratto
collettivo nazionale di categoria e di efficacia del contratto collettivo. Il percorso per la
misurazione e la certificazione della rappresentatività sono ancora da definire.
É bene sottolineare, che questo è avvenuto sul piano della contrattazione tra le parti
sociali, in quanto il legislatore non ne ha ancora tenuto conto.
Resta, vigente l’art.8 della L.148/2011 che fa generico riferimento ad “associazioni dei
lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale”; la
genericità del criterio segna un decisivo passo indietro rispetto a quando previsto
dall’Accordo interconfederale del 28 giungo 2011 e appare oggi difficile da combinare
con le regole autonomamente definite dalle parti sociali negli accordi successivi.
L’art. 8 non si occupa della stipulazione dei contratti nazionali, perchè l’obiettivo del
legislatore è quello di garantire efficacia generale ad accordi aziendali che derogano
(anche in pejus) ai contratti collettivi nazionali (ma anche alla legge)
58
A) LE COMMISSIONI INTERNE
• scrutinio segreto
• suffragio universale
- L’attività della CI deve essere ispirata alla collaborazione con il datore di lavoro
- La Ci avesse funzioni:
• Propositive
• Consultive
• Conciliative
- Il punto debole e anche opero punto chiave della disciplina era rappresentato
dall’espressa esclusione delle CI dalla competenza contrattuale a livello di azienda,
riservata alle organizzazioni sindacali territoriali —> CGIL e CONFINDUSTRIA si
erano dunque accordate per escludere implicitamente la natura sindacale in senso
stretto di questo organismo rappresentativo
—> un organismo rappresentativo direttamente velettò dai lavoratori nei luoghi di
lavoro, non significava ancora la creazione di uno spazio giuridico e politico per la
presenza del sindaco in fabbrica, ma certo restituiva ai lavoratori almeno di uno
59
- differenza rispetto a quello del 1947 stava nel fatto che in questo successivo
pesavano le conseguenze negative della scissione della CGIL unitaria e della
concorrenza conflittuale tra le Confederazioni
- Anche il clima politico era assai diverso, e nelle fabbriche la discriminazione dei
lavoratori iscritti e militanti della CGIL era molto pesante
- Gia dal 1950, e quindi di conseguenza anche testo accordo ne era privo, era stata
soppressa la competenza delle CI in materia di licenziamenti individuali e collettivi
4. L’ultimo accordo interconfederale sulle CI venne stipulato nel 1966, caratterizzato da:
- l’esclusione della competenza contrattuale era però rafforzata dalla previsione, nei
contratti collettivi stipulati nella stagione 62-63, della riserva della competenza in
materia di contrattazione aziendale a favore dei sindacati provinciali
Quindi: mai regolate dalla legge le CI hanno vissuto fino all’entrata in vigore dello ST. LAV.
e anche oltre, ma fin da subito era apparso evidente che i profondi mutamenti intervenuti
negli anni precedenti all’emanazione dello Statuto avrebbero determinato la rapida
obsolescenza di organismi rappresentativi non più in grado di gestire la conflittualità
aziendale di quei tempi.
Non riempirono il vuoto di rappresentanza sindacale dei lavoratori nelle aziende neppure
le sanzioni sindacali aziendali (SAS) nate per iniziativa della CISL, e poi adottate anche
dalla CGIL.
Le SAS —> nucleo elementare del sistema organizzativo e anello di congiunzione tra
movimento sindacale e vita aziendale
—> la realtà restava però al di sotto delle parole: il potere contrattuale in azienda
era infatti ancora affidato al sindacato provinciale di categoria
La CSIL —> aveva fin dalle sue origini teorizzato il superamento della contrattazione
collettiva nazionale esclusiva e la necessità di un sistema contrattuale
articolato su più livelli; la teoria dell’articolazione contrattuale necessitava
essere completata dalla presenza del sindacato in azienda.
60
La CGIL —> il suo atteggiamento inizialmente negativo comincio a modificarsi dagli anni
1955-1956: passando cosi da un atteggiamento di totale preclusione verso
la formazione di una struttura del sindacato in azienda, alla proposta di
creare sezioni sindacali di fabbrica, alle quali affidare tutti i compiti del
sindacato di azienda.
—> faceva pero eccezione il potere contrattuale che, anche per la CGIL, doveva
rimanere prerogativa esclusiva del sindacato territoriale di categoria = con
ciò la CGIL ribadiva la sua avversione verso i sindacati di azienda.
Ne CISL, ne CGIL fecero mai un vero tentativo per avviare l’effettivo intervento delle SAS
nella contrattazione aziendale, e neppure avanzarono mai richiede alla controparte
sartoriale di conoscere formalmente le SAS
Come abbiamo visto a pagina 27, in quella fase detta: “dal maggio francese all’autunno
caldo”, ci furono varie lotte e accordi da cui scaturì una nuova forma di rappresentanza
dei lavoratori:
Una prima realizzazione erano stati i delegati di cottimo -> funzioni tecniche di controllo
sull’organizzazione del lavoro e di ausilio alla attività delle CI
Tra il 1968/69 —> i delegati vennero proposti come rappresentanti dei lavoratori in
sostituzione della CI
Tra il 1970/72 —> i delegati di reparto e di gruppo omogeneo si costruirono in CdF, che si
diffusero prima nel settore industriale e dopo anche in altri settori con il
Patto Federativo del 1972
- In esso le Confederazioni individuarono nel CdF l’istanza sindacale unitaria di base con poteri di
contrattazione nei luoghi di lavoro.
• I lavoratori non iscritti alle 3 confederazioni che per loro libera scelta intendano parteciparvi
• I lavoratori iscritti alle 3 confederazioni che per loro libera scelta intendano parteciparvi
- in ogni caso doveva essere però assicurata la rappresentanza della Federazione delle
Confederazioni —> quindi il sistema elettorale prevedeva che nel Consiglio una parte dei seggi
fosse necessariamente riservata a lavoratori iscritti scelti dalla Confederazioni come propri
rappresentanti
- Fa del Consiglio un organo bifronte: in parte espressione diretta dei lavoratori, e in parte
espressione diretta del sindacato
- Comunque non rappresentò una disciplina generale del sistema elettorale e delle competenze del
CdF -> e anche questo può essere messo nel conto del declino deo CdF degli anni 80, che vide
Dal punto di vista giuridico, la vicenda dei CdF si è intrecciata per molti anni con quella
delle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) previste dall’art 19 St.Lav.
61
Art. 14.
Diritto di associazione e di attività sindacale.
Insieme agli artt. 15,16,17 questa disposizione costituisce innanzitutto una più articolata e
approfondita rilettura, sul piano aziendale, del principio stesso di libertà
dell’organizzazione sindacale, sancito dall’art.39 c.1. Cost.
L’art.14 ha dunque la funzione di: garantire, in termini generali, la titolarità individuale dei
diritti di libertà e attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro. La garanzia si estende
alla costituzione di rappresentanze di sindacati ovvero alla creazione di sindacati aziendali
nuovi, con l’unico limite rappresentato dal divieto di cui all’art.17 St.Lav riguardante i
sindacati di comodo.
Il suo ruolo è stato messo in evidenza dalla sentenza della corte costituzionale: s.54/1974.
Nella quale la corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale
dell’art.19 St.Lav.
Ad avviso della Corte, l’art.14 garantisce a tutti i lavoratori, in conformità al precetto di cui
all’art.39 Cost., il diritto di organizzarsi liberamente e di svolgere attorta sindacale
all’interno dei luoghi di lavoro.
L’art.14 svolge il ruolo di pilastro di sostegno della disposizione nella quale sono
regolate: le RSA —> rappresentanze sindacali aziendali —> Art 19 St.Lav.
La Sentenza 54/1974:
- con essa la corte afferma la piena legittimità dei criteri selettivi dell’art.19 let. a) e b)
- La corte aveva respinto le eccezioni sollevate con motivazioni che all’epoca fecero
discutere:
• con il criterio di cui alla lett. a) = la corte specifica che il legislatore ha indicato un
criterio valutativo, la cui esistenza può essere verificata in ogni momento. Il criterio
non si riferisce infatti ad una comparazione fra le varie Confederazioni nazionali,
bensì ad una effettività che può essere sempre conseguita da Confederazione
nazionale. Secondo la Corte la legge aveva preso atto di una differenza
effettivamente esistente, e sempre verificabile, e aveva differenziato il trattamento in
ragione di tale effettiva differenza.
• con il criterio di cui alla lettera b) = questo era basato, ad avviso della corte sul
riferimento oggettivo e preciso ad un fatto specifico 8 la firma del c.c.n. o
provinciale) la cui realizzazione è aperta ad ogni singola associazione sindacale
- La Corte quindi aveva concluso, indicando questi criteri che il legislatore non ha violato
i principi di eguaglianza (art.3 Cost.) e di libertà sindacale (art.39 cost.), perché non ha
operato alcuna discriminazione fra le associazioni sindacali: infatti, i requisiti di
rappresentatività di cui al primo e al secondo criterio sono sempre direttamente
conseguibili da ogni associazione sindacale
- La Corte, con questa sentenza, aveva avallato (sostenuto) il privilegio che il legislatore
aveva assicurato ai sindacati presenti a livello extra-aziendale, e il contestuale disfavore
verso i sindacati presenti a livello extra-aziendale
La Sentenza 334/1988:
- riporta l’attenzione sul criterio di cui alla lett. a), nel quale la legge riferiva la
rappresentatività non alla consistenza del sindacato nell’ambito della categoria (come
prevede invece l’art.39 c.4 cost.), ma nell’ambito confederale, cioè nell’ambito
dell’insieme delle categorie.
—> L’occasione era rappresentata dal rifiuto opposto da un’impresa alla costituzione di
una RSA nell’ambito del “sindacato nazionale dei quadri” (sindaco monocategoriale e
non firmatario del contratto collettivo nazionale o provinciale applicato nell’unità
produttiva)
- La Corte aveva affermato che la scelta del legislatore a favore delle Confederazioni
corrispondeva ad una precisa opzione a favore di un processo di aggregazione degli
interessi dei vari gruppi professionali, anche al fine di ricomporre le spinte
particolaristiche e di raccordare la tutela dei lavoratori occupati con quella dei non
occupato, coerentemente, peraltro, sulla spinta dell’intera Carta Costituzionale.
63
La Sentenza 30/1990:
- salva ancora una volta la legittimità costituzionale dell’art.19
- All’origine di questo internet stavano due sentenze della Corte di Cassazione, che
avevano dichiarato nulli, per violazione dell’art.17 St.Lav., gli accordi con i quali alcuni
sindacati, privi dei requisiti di cui alla lettera a) e b) dell’art.19, avevano ottenuto dalle
imprese il riconoscimento delle prerogative proprie delle RSA (nel caso specifico:
permessi sindacali retribuiti)
—> la Corte Costituzionale escludeva che un accordo di tale genere implicasse
necessariamente la natura di comodo del sindacato, MA affermava, tuttavia, che tale
accordo costituisce una deroga ai criteri inderogabili dell’art.19 St.Lav.
- il punto è: la Corte si diceva “consapevole” del fatto che, a causa delle trasformazioni
verificatesi e le diversificazioni degli interessi è andata progressivamente attenuandosi
l’idoneità del modello disegnato nell’art.19 a rispecchiare l’effettiva rappresentatività
dei sindacati
Nel 1994 erano stati promossi alcuni referendum abrogativi sull’art.19 e sull’art.26 St.Lav.
Nel 1996 era stata avanzata una questione di legittimità costituzionale sul nuovo testo
dell’art.19 —> ma la Corte con la sentenza:
Sentenza 244/1996:
- ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale sul nuovo testo, solvata
da alcuni giudici che sostenevano la incompatibilità con gli artt. 39 e 3 Cost.
- Secondo i giudici che hanno avanzato tale questione, il nuovo testo, consentendo la
costituzione di RSA nell’ambito di qualsiasi associazione sindacale anche meramente
aziendale, purché firmataria di un contratto collettivo applicato all’unità produttiva,
avrebbe permesso in sostanza al datore di lavoro di interferire nella costituzione delle
RSA “accreditando”, mediante la stipulazione del contratto collettivo, i sindaci a lui più
graditi —> ciò in sostanza avrebbe integrato la violazione dell’art.17 St.Lav.
• Per essere firmatarie le associazioni sindacali devono aver preso attivamente parte
alla trattativa contrattuale
• il contratto collettivo di cui si tratta non può essere un contratto qualsiasi, ma deve
essere un vero contratto collettivo —> cioè un contratto che regoli in modo organico i
rapporti di lavoro
Ordinanza 345/1996:
- in essa la Corte Cost. ribadisce la legittimità costituzionale del nuovo art.19 St.Lav.
• o come sindacato sfuggito al controllo degli associati, cioè non più rispettoso del
precetto costituzionale di democrazia interna
Le precisazioni della Corte Costituzionale erano servite a risolvere alcuni problemi alcuni
problemi interpretativi posti dal nuovo testo, ma non tutti e nemmeno i più importanti
Un problema, sul quale si sono registrati in giurisprudenza alcuni diversi orientamenti, a tiene alla
definizione della natura del contratto collettivo cui fa riferimento l’art.19. Secondo:
- un primo orientamento, più fedele alla s. 1996, il c.c. di cui all’art.19 deve avere carattere normativo —>
cioè deve regolare un rilevante numero di istituti relativi ai contratti individuali di lavoro
- un secondo orientamento, il c.c. di cui all’art.19 può avere anche un carattere meramente gestionale —>
(contratti di gestione di crisi aziendali, contratti riguardanti la mobilità dei lavoratori..) in quanto esprime
la capacità negoziale dell’organizzazione sindacale.
Alla base del 2 orientamento favorevole ad una interpretazione estensiva dell’art.19, sta la considerazione
che, essendo la firma apposta sul contratto collettivo un requisito legale di accesso del sindacato
all’esercizio delle prerogative di cui al Titolo III St. Lav., una interpretazione ristrettiva può portare al
risultato, non compatibile con gli artt. 3 e 39 cost, di attribuire in sostanza al datore di lavoro il potere di
decidere in ordine ai diritti della propria controparte sindacale
Il 1 orientamento costituisce una obiezione che questa apertura delle maglie dell’art.19 finisca per favorire
una frammentazione sindacale alla quale la Corte costituzionale aveva cercato di dare un freno.
66
La mancata sottoscrizione del contratto collettivo applicato all’unità produttiva può infatti
impedire l’acceso alla costituzione di RSA e all’esercizio dei diritti sindacali a sindacati
che, pur godendo di largo consenso fra i lavoratori e di una cospicua rappresentanza
associativa (numero di iscritti), e pur avendo partecipato alle trattivi, non siano d’accordo
su una determinata soluzione contrattuale, e di conseguenza non sottoscrivono il
contratto.
É accaduto che la FIOM-CGIL, non firmataria del contratto, era stata privata dei benefici
di cui al Titolo III St.Lav. —> esito che è apparso a molti paradossale, tenuto conto che la
FIOM era largamente rappresentativa nella categoria e che, poteva vantare un elevata
rappresentatività nelle aziende del gruppo FIAT, nelle quali era stata da sempre presente.
La sua rappresentatività era confermata, tra l’altro, dall’alto numero di “no” nei
referendum indetti per sottoporre all’approvazione dei lavoratori interessati i nuovi
contratti.
Tale esito paradossale riapriva la questione della conformità dell’art.19 all’art. 39 c.1.
Cost. —> questione che si poneva, ove la disposizione statutaria fosse interpretata nel
senso che i lavoratori che aderiscono ad un sindacato non firmatario del c.c. applicato
nell’azienda sono privati del diritto alla propria rappresentanza sindacale.
Chiamati a decidere una serie di ricorsi della FIOM i giudici avevano espresso
orientamenti diversi:
Il requisito della «firma» nell’art. 19 St. Lav. impone che il sindacato debba apporre la
propria sottoscrizione al contratto collettivo → altrimenti preclusa costituzione RSA e
fruizione diritti tit. IIII —>Trib. Torino, 13 aprile 2012
L’espressione «firma» può essere intesa anche come «partecipazione alla trattativa» —
>Trib. Bologna, decreto, 27 marzo 2012
Non è possibile accogliere la seconda lettura, perché la norma richiede la firma. Viene
quindi sollevata questione di costituzionalità art. 19 St. Lav. → asserito contrasto con
artt. 2, 3 e 39, comma 1, Cost. —>Trib. Modena, ordinanza, 4 giugno 2012.
Viene chiesto alla Corte non l’annullamento dell’intero art.19 che “avrebbe creato un
vuoto normativo colmatile solo con il legislatore”, ma una “pronuncia additiva di
accoglimento” che estendesse l’applicabilità dell’art.19 a le associazioni sindacali non
firmatarie del c.c. applicato all’unità produttiva
La Corte Costituzionale è stata così investita della questione, sulla quale ha deciso con la:
Sentenza 23 luglio n°231 —> con la quale si chiude la vicenda dei diritti sindacali della
FIOM nelle aziende del gruppo FIAT
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“nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale possa essere costituita
anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non essendo firmatarie dei contratti
collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione
relativa gli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”
Caratteristiche:
Ricordiamo che:
Nella sentenza 244/1996 e nell’ordinanza 345/1996 la sottoscrizione del c.c. era basata,
ad avviso della Corte Cost, sulla rappresentatività effettiva del sindacato, ovvero sulla
capacità di imporsi come controparte contrattuale
La vicenda della esclusione della FIOM, sindacato la cui forza, per numero di iscritti e per
successo elettorale (nelle elezioni di RSU), era un dato di fatto indiscutibile, ha messo la
Corte Costituzionale difronte la necessità di riscrivere l’art.19 St.Lav.
A fronte del caso infatti: la corte è stata costretta a prendere atto che in mancanza di
sottoscrizione del contratto, e dunque in presenza di dissenso, si spezza il nesso che
nell’art.19 tiene insieme la rappresentanza sindacale dei lavoratori in azienda e la
rappresentatività del sindaco misurata nel suo consenso alla stipulazione del contratto.
Non resta che ammettere che la selezione a favore dei soli sindacati firmatari premia i
sindaci “consonati”, cioè d’accordo con il datore di lavoro, in spregio dei principi costituz.
di eguaglianza e libertà sindacale.
• Dall’altro la funzione costitutiva di requisito di accesso alle prerogative dell’ Titolo III
St.Lav.
68
Regole sulla partecipazione alle trattative contrattuali sono state recentemente dalle
Confederazioni nel T.U. sulla rappresentanza 10 gennaio 2014.
Resta comunque il problema più generale della legittimità dell’esclusione di un sindacato
più o meno rappresentativo dalle trattative, che coinvolge la questione della presenza e
della estensione, nel nostro ordinamento dell’obbligo del datore di lavoro a trattare
(vedi Parte III, Cap IV)
Art.19 St. Lav: “prevede che le RSA possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori
in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di
contratti collettivi applicati nell'unità produttiva.”
E lo statuto aggiunge: in ogni unità produttiva che occupa almeno 15 dipendenti, infatti:
Art.35 St.Lav: “le disposizioni del titolo III, ad eccezione del primo comma dell'articolo
27, della presente legge si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o
reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano
alle imprese agricole che occupano più di 5 dipendenti.
Natura giuridica e struttura delle RSA sono regolate dalla prima parte dell’art.19 c.1.
rimasto immutato nella formulazione originaria
la giurisprudenza è ferma nell’escludere ogni potere del datore di lavoro di porre limiti o
condizioni all’iniziativa dei lavoratori.
Durante il dibattito parlamentare: il titolo III dello Statuto passò da una originaria
impostazione marcatamente associativa (R.S.A costruite ad iniziativa delle associazioni
sindacali) ad una impostazione associativa corretta (R.S.A. costituite ad iniziativa degli
scritti) e infine, quella definitiva, aperta ed elastica (R.S.A. dei lavoratori nell’ambito delle
associazioni sindacali maggiormente rappresentative).
- non iscritti
Tuttavia, è vero che l’iniziativa spetta ai lavoratori ma non è meno verro che le RSA
possono formarsi solo se il sindacato ne ammette la costituzione nel proprio ambito—>
occorre infatti una, anche se informale una recezione delle RSA da parte del sindacato di
riferimento, che potrebbe anche sconfessare l’iniziativa dei lavoratori, cosa che è
avvenuta.
Una parte della giurisprudenza di merito si è espressa nel senso che la revoca da parte
del sindacato determina il venir meno del riconoscimento delle RSA.
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Struttura
La legge nulla dice quanto alla struttura delle RSA e le opinioni degli interpreti divergono.
La RSA non è un organo del sindaco, ma una struttura dotata di una propria
autonoma soggettività giuridica.
La struttura della RSA è quindi aperta —> detta apertura ha consentito, per un lungo
periodo, che diritti e poteri che la legge riserva alle RSA fossero esercitati dai CdF, che in
verità del Patto Federativo (1972), CGIL, CISL, e UIL avevano riconosciuto come propria
struttura di base.
I contratti collettivi prevedevano per lo più la presa d’atto da parte delle aziende della
volontà dei sindacati firmatari di considerare i CdF come una RSA, con conseguente
attribuzione ai CdF:
- Di riconoscimento ai membri del CdF dei diritti e dei poteri che il Titolo III dello statuto
riserva ai “dirigentesi” delle RSA
Dal punto di vista giuridico il CdF poteva essere legittimamente considerato come una
RSA unitaria.
La identificazione delle CdF in RSA non risolleva dunque tutti i problemi, che infatti
emersero prepotentemente nel cimenti in cui la rottura dell’unità fra le 3 Confederazioni
portò alla rottura del Patto Federativo e alla conseguente crisi dei CdF, con il ritorno a
RSA serate.
La disciplina legale delle RSA convince con la disciplina contrattuale di una forma diversa
di rappresentanza sindacale: le RSU —> rappresentanze sindacali unitarie
Le RSU:
- si sono diffuse nei luoghi di lavoro, specie nel settore industriale (terziario ancora RSA)
disegnata dal Protocollo del luglio del 1993 + ’AI del dicembre del 1993.
La disciplina è rimasta invariata per molti anni —> solo 20 anni dopo le parti sociali hanno
infatti messo mano ad una riforma che modifica la struttura della rappresentanza
sindacale die lavoratori dei luoghi di lavoro, con il:
70
All’inizio degli anni 90, quando i parametri di Maastricht avevano reso ineludibile la
necessità di risanare il bilancio dello Stato, i sindacati costituivano per il Governo e per gli
imprenditori “una risorsa chiave per la realizzazione di politiche consensuali di
moderazione salariale”.
Una serie di accordi interconfederali precedette l’avvio di quella politica dei redditi che
sarà successivamente realizzata attraverso la negoziazione tra Governo e parti sociali di 2
Protocolli:
1° -> Protocollo del luglio del 1992 e 2° -> Protocollo del luglio del 1993
1° —> aveva posto le premesse per il successivo Protocollo del 1993, dettando le linee
guida per la riforma del sistema contrattuale, che aveva trovato poi nel P. 1993
la sua definizione —> questa parte del P. 1993, (perfezionato con l’AI 1993) nella
quale era prevista la nuova struttura sindacale aziendale RSU, trovava infatti la sua
indispensabile base nelle nuove regole che governano la contrattazione collettiva.
La trattazione che segue si riferisce alla disciplina prevista dai nuovi accordi, segnalando
alcune differenze rispetto alla disciplina del 1993.
1993
L’AI 1993: prendeva una struttura delle RSU a composizione mista:
- in parte elettiva -> i 2/3 dei componenti della RSU erano eletti a suffragio universale dai
lavoratori della unità produttiva con più di 15 dipendenti, iscritti e non iscritti, ai
sindacati in possesso dei requisiti previsti per presentare le liste.
- In parte associativa -> 1/3 dei componenti della RSU era invece eletto o disegnato dalle
associazione sindaci firmatarie del c. c. n. applicato all’unità produttiva.
2013
Il protocollo del 2013, come attuato dal T.U. sulla rappresentanza, ha soppresso:
la riserva del 1/3, sancendo cosi la composizione totalmente elettiva della RSU.
La principale implicazione è sicuramente il venir meno del vincolo della RSU con le
organizzazioni sindacali di livello nazionale firmatarie del contratto collettivo di categoria,
alle quali era rivestita la designazione di 1/3 dei componenti.
Il rapporto con le organizzazioni sindacali che operano all’estero del luogo di lavoro
tuttavia sussiste, non facendo del tutto venire a meno la dimensione associativa, perchè
l’elezione dei rappresentanti, cioè dei componenti della RSU, avviene: sulla base di liste
presentate dalle:
1. Che accettino formalmente i contenuti dell’AI 28 giugno 2011 + P. 2013 + T.U 2014
2. Che la lista sia corredata da un numero di firme dei lavoratori dipendenti dall’unità
produttiva pari al 5% degli aventi diritto al voto nelle aziende con oltre 60 dipend.
71
Componenti RSU
Durano in carica 3 anni, alla scadenza dei quali decadono automaticamente
2. Si impegnano a non costituire RSA nelle realtà in cui siano state o vengano
costituite RSU
Questa regola concordata dovrebbe evitare che, in futuro, possano ripetersi vicende
come quelle verificatesi alla FIAT.
Tuttavia, il passaggio dalle RSA alle RSU è prefigurato nel T.U. in modo molto prudente:
- nel caso di unità produttive con più > di 15 dipendenti —> ove non siamo mai state
costituite forme di rappresentanza sindacale, le parti prevedono che:
“qualora non si proceda alla costituzione di RSU ma si opti per RSA, l’eventuale
passaggio alle RSU (da RSU -> RSA) potrà avvenire se deciso dalle organizzazioni
sindacali che rappresentino a livello nazionale, la maggioranza del 50% +1
- nel caso di unità produttive con più > 15 dipendenti —> in cui fossero già presenti le
RSA, il passaggio dalle RSA alle -> RSU potrà avvenire solo se definito unitariamente
dalle organizzazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie del P. 2013.
Le RSU sono viste come un canale unico di rappresentanza dei lavoratori, poiché nello
stesso organismo confluiscono sia:
Quindi:
72
2. L’accordo del 1993, allora vigente, prevedeva la decadenza solo in caso di dimissioni.
Questo orientamento può considerarsi superato, perchè il vincolo associativo tra l’eletto e
la lista sindacale in cui è stato candidato risulta rafforzato dalla clausola contenuta nel
• Un’altro problema è la questione pratica del rilievo da attribuire al vincolo associativo dei
componenti con la propria organizzazione di appartenenza.
La questione si era posta all’attenzione dei giudici perché alcuni sindacati che avevano
partecipato all’elezione della RSU (della quale risultavano componenti alcuni eletti nelle
loro liste), chiedevano di esercitare autonomamente, come autonoma componente della
RSU, uno dei poteri che il Titolo III St.Lav. attribuisce alle RSA, in particolare il potere di
d’indice l’assemblea.
Il problema era stato affrontato più volte dalla giurisprudenza che aveva fornito soluzioni
contrastanti:
Altre volte la stessa cassazione aveva affermato invece il contrario, essendo il potere
di indire assemblee attribuito all’art. 20 St.Lav. alla singola RSA che può
autonomamente esercitarlo, questo diritto non poteva essere negato alla singola
componente della RSU.
73
- il potere di indire assemblee è attibuito dalla legge alle singole RSA, per la ragione che
la legge prevede non un organismo di rappresentanza unitario (RSU), ma un pluralità di
organismi rappresentativi le RSA
- L’attribuzione del potere solo alla RSU unitariamente intesa ha, nella logica dell’AI del
1993 il non trascurabile fine di evitare forme di concorrenza tra componenti eletti nelle
diverse liste
Di queste perplessità —> non hanno tenuto conto le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, che hanno sposato la tesi 2), quindi dell’attribuzione del potere di convocare
l’assemblea anche alla singola componente della RSU.
- Assemblea non deliberante -> può essere convocata anche dalle singole componenti
- Assemblea deliberante -> non può essere convocata dalle singole componenti, ma
dalla RSU nella sua collegialità, e dunque secondo la decisione della maggioranza dei
suoi componenti
Il T.U. sulla rappresentanza prende che i componenti della RSU subentrino ai dirigenti
delle RSA nella:
- Titolarità di diritti - Permessi -Libertà sindacali -Tutele già loro spettanti —> per effetto
delle disposizioni di cui al Titolo III St. Lav.
Tali diritti attribuiti dallo Stato ai dirigenti delle RSA restano prerogativa della persona del
sindacalista e non della RSU nel suo complesso.
Secondo quanto previsto dall’AI del 1993, spettava alla RSU la competenza a stipulare
il contratto collettivo aziendale, nei limiti e nelle modalità previste dal c.c.n. ma, negli
anni la disciplina si è leggermente modificata:
- AI 1993 —> la competenza contrattuale era attribuita alla RSA congiuntamente con le
strutture territoriali delle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo.
- AI 2011 —> prevede che i c.c.a. avessero efficacia per tutto il personale in forza
nell’azienda “se approvati dalla maggioranza dei componenti delle rappresentanze
sindacali unitarie elette secondo le regole interconfederali vigenti —> così decidendo
l’accordo attribuiva implicitamente alle RSU la competenza negoziale esclusiva.
La regola è ad oggi ribadita dal T.U. sulla rappresentanza
Pur avendo espresso una netta preferenza nella costituzione di RSU, le parti non possono
escludere che nella unità produttiva con più di 15 d. possano essere costituite RSA.
Del resto, la via contrattuale alla disciplina delle rappresentanze sindacali dei lavoratori
nei luoghi di lavoro, non è autosufficiente.
2. Vi è il problema delle org. sind. che non partecipano alla elezione delle RSU:
nell’ambito di queste org., se vi sono i requisiti dell’art.19, i lavoratori potranno
74
3. Vi è il problema delle imprese in cui il datore di lavoro non applichi alcun c.c. e
manchino quindi di conseguenza i presupposti necessari per la costituzione di RSA
—> caso non di coesistenza tra RSU e RSA, ma di mancanza di rappresentanza
sindacale dei lavoratori nei luoghi di lavoro
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è una figura che è istituita attualmente
dagli artt. 47/50 T.U. della salute e sicurezza 2008, nei luoghi di lavoro.
Art.9 St.La. —> “I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare
l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle
malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e
l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro
integrità fisica.”
—> Non fornisce indicazioni in ordine alla struttura, alla composizione di tali
rappresentanze di cui all’art.9 —> per la prevalente dottrina queste
rappresentanze potevano identificarsi con le RSA o da organismi di
rappresentanza costituito ad hoc da personale interno all’azienda.
Art.47 T.U. :
TERRITORIO
- Livello dei siti produttivi —> RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA DEI SITI
PRODUTTIVI
Per quanto ancora il modello di riferimento sia l’art.9 statuto la disciplina del 2008
accentua la istituzionalizzazione del RLS
—> dispone l’elezione dei RLS in un unica giornata su tutto il territorio nazionale
75
Il Titolo II dello St.Lav, rubricato: “della libertà sindacale”, contiene una serie di
disposizioni il cui obiettivo è quello di:
rafforzare l’effettività del principio di libertà sindacale all’interno dei luoghi di lavoro
vietando all’imprenditore di ostacolare, anche indirettamente, l’esercizio di tale libertà.
Art.14 —> riafferma nei confronti del datore di lavoro la libertà dell’organizzazione
sindacale sancita dall’art.39 c.1
b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei
provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale
ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di
discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata
sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.”
Let. a) —> Tale divietò colpisce le cosiddette clausole di union security., la cui contrarietà al principio
di libertà sindacale è sancita anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Per quanto tali clausole siano estranee alla nostra tradizione sindacale, questa lettera ne
prevede la nullità accordando in tal modo protezione alla libertà sindacale negativa del
singolo lavoratore
Let.b) —> trova un propio precedente diretto nella convenzione OIL n°98/1949, di cui tuttavia non
costituisce una semplice traduzione in quanto l’art.15 menziona espressamente il diritto
alla partecipazione ad uno sciopero, che la Convenzione non include nell’ambito delle
libertà che devono essere protette.
Comma 2—> estendeva in origine il divieto e la nullità agli atti/patti diretti a fini di discriminazione
politica e religiosa. Dopo sono stati aggiunti altri fattori di discriminazione:
Diretto —> secondo l’interpretazione prevalente in dottrina diretto non significa “intenzionalmente
diretto”, MA che l’atto/patto devono risultare “oggettivamente” idonei a produrre la
lesione del diritto tutelato.
76
dimostrabile volontà di arrecare pregiudizio, esorbiterebbe dal divieto di discriminazione
disparità di trattamento pure effettivamente pregiudizievoli.
Scaricato da Roberto Giuliani (robertogiuliani96@hotmail.com)
lOMoARcPSD|11578335
—> la giurisprudenza secondo la quale elemento determinante perchè possa configurarsi una
discriminazione è l’intento soggettivo o psicologico del soggetto che pone in essere l’atto
è risalente.
- dall’altro la s. Cass. 6575/2016 ha segnato un revirement della S.C. che pare avere
finalmente spostato la concezione oggettiva della discriminazione.
L’elenco dei fattori di discriminazione previsti dall’art.15 ha carattere aperto e non tassativo.
La questione è emersa in una serie di casi giurisprudenziali nei quali la ricorrente: FIOM-CGIL ha
contestato la discriminazione sindacale ai suoi danni da parte di aziende del Gruppo FIAT, sulla base
di “convinzioni personali” (art.15 c.2.).
Nella specie la FIOM lamentava l’esclusione di 19 lavoratori iscritti al sindacato ricorrente dalle
assunzioni.
I giudici hanno riconosciuto che l’affiliazione sindacale rientra tra le convinzioni personali e che
pertanto le tutele processuali sono utilizzabili anche in casi di discriminazione collettiva per ragioni
sindacali.
Questa vicenda si è conclusa con la sentenza Cass. 5581/2014 che ha dichiarato inammissibile il
ricorso contro la condanna della FIAT per discriminazione sindacale.
L’applicazione in giudizio dell’art.15 è stata molto scusa, essendo la materia stata assorbita nella
ampia fattispecie della condotta antisindacale —> art.28 St.Lav.
Molti degli interrogativi che la dottrina si è posta non hanno quindi trovato risposta nella esperienza.
Uno di questi è: se la nullità prevista dall’art.15 colpisca anche comportamenti materiali o omissivi
Il pretore, su domanda dei lavoratori nei cui confronti è stata attuata la discriminazione di cui al comma
precedente o delle associazioni sindacali alle quali questi hanno dato mandato, accertati i fatti, condanna
il datore di lavoro al pagamento, a favore del fondo adeguamento pensioni, di una somma pari all'importo
dei trattamenti economici di maggior favore illegittimamente corrisposti nel periodo massimo di un anno.”
Questo divieto tiene conto che: la discriminazione di carattere sindacale può avvenire, da parte del
datore di lavoro, non solo provando il prestatore di lavoro di particolari benefici, o arrecandogli
comunque danno, bensì molto più sottilmente attribuendogli particolari benefici ai lavoratori che
tengano un determinato comportamento e condizionandoli, così nell’esercizio della libertà sindacale.
Collettivi —> che si trova solo nella rubrica dell’art.16, si intende: quando fil trattamento economico
sia diretto ad avvantaggiare non il singolo lavoratore ma alcuni lavoratori individuati o un
gruppo individuabile (trattamenti discriminatori individuali trovano disciplina nell’art.15).
Trattamento eco. discriminatorio—> cioè qualsiasi beneficio, continuativo o occasionale, che non
consista necessariamente in una somma di denaro, ma che 77 sia
comunque valutabile economicamente
- premio antisciopero
- secondo parte della dottrina -> la nullità per violazione di norma imperativa di legge non
potrebbe essere tuttavia esclusa, e l’azione di nullità dovrebbe essere esperibile da lavoratore
offeso
- Altra parte della dottrina -> afferma che l’azione di nullità con effetti ex tunc di rimosso del
trattamento discriminatorio, potrebbe in sostanza risolversi in una azione di alcuni lavoratori
contro altri ( i beneficiari) e in considerazione di ciò il legislatore non ne avrebbe previsto la
esperibilità.
L’art.16 -> non prevede alcuna sanzione di tipo riparatorio ma solo una sanzione
amministrativa a carico del datore di lavoro.
I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro
organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento
dell'attività aziendale.
Benché inserito nel Titolo III dello St.Lav., dedicato alle rappresentanze sindacali,
l’art.26 St.Lav, contiene una disposizione che per destinatari i lavoratori uti singuli, garantendo a
loro di svolgere attività tipicamente sindaci come quelle di:
La dottrina prevalente limita il diritto allo svolgimento di tali attività nell’ambito sindacale,
escludendo che questo diritto si estenda oltre tali confini.
—> esso è diretto NON a garantire il normale svolgimento della attività lavorativa da parte della
78
Il testo originario dell’art.26 prendeva ai commi 2 e 3, poi cancellati dal referendum del 1995, il
diritto delle associazioni sindacali di percepire, e il speculare obbligo per il datore di lavoro di
versare i:
Contributi sindacali —> volontariamente versati dai lavoratori tramite trattenute sul salario
Nelle intenzioni dei proponenti il Referendum abrogativo del 1995, sopprimendo la base legale del
diritto dei sindacati di percepire i contributi trattenuti sulle retribuzioni dei lavoratori, doveva:
1. eliminare del tutto il sistema della delega per il pagamento dei contributi sindacali o,
del resto la Corte cost. con s. 13/1995 = aveva chiarito che l’intento del referendum abrogativo
doveva essere inteso solo come volontà di eliminare la base legale dell’obbligo del datore di lavoro,
lasciando all’autonomia privata la scelta in ordine al siete, a di riscossione dei contributi sindacali.
—> non è dubbio allora che il dato di lavoro che applica il contratto collettivo sia obbligato, oggi dal
contratto, ieri dalla legge, ad effettuare le trattenute e a versare i contributi
—> per ciò che attiene ai sindacati, è ugualmente indubbio che quelli che hanno firmato il contratto
collettivo siano beneficiari dei contributi pagati dai lavoratori con il sistema della delega
Quanto ai sindaci non firmatari del contratto collettivo —> questi potranno beneficare della delega
ad hoc rilasciata dal singolo lavoratore.
Nel T.U. 2014 le Confederazioni firmatarie hanno peraltro stabilito che le imprese provvederanno ad
accettare le deleghe dei lavoratori a favore delle organizzazioni sindacali che aderiscono al T.U. o ne
recepiscano integralmente i contenuti, anche s non firmatarie del contratto collettivo.
Resta però da vedere se il datore di lavoro, che non è più obbligato dalla legge, possa
legittimamente rifiutarsi di operare la trattenuta sulla retribuzione del lavoratore senza che ciò
incorra in una condotta antisindacale.
Sulla questione si era registrato in passato un orientamento non univoco della giurisprudenza:
- Da un lato—> si era orientati nel senso di ricondurre il sistema del pagamento dei contributi
sindaci su delega del lavoratore all’istituto civilistico della: delegazione di pagamento:
• il datore di lavoro -> debitore, delegato del lavoratore
Tanto premesso, essendo venuto a meno l’obbligo legale, e in assenza dell’obbligo contrattuale
previsto dal c.c., si riteneva che il datore di lavoro potesse legittimamente rifiutarsi di effettuare la
trattenuta sulla busta paga, ciò in quanto ai fini di delegazione di pagamento, si necessita il
consenso del delegato. 79
A sostegno di questo orientamento (il prevalente): Cass. 1968/2004 e Cass. 10616/2004.
- Dall’altro —> altre sentenze affermavano il contrario, qualificando la fattispecie in termini di:
cessione del credito:
il lavoratore trasferisce il credito al sindacato senza che il trasferimento del credito richieda il
consenso del datore di lavoro (debitore di retribuzione ceduto).
Conclusione= per dirimere il contrasto, sulla questione sono intervenute le S.U. della corte di
Cassazione con la: S. 28269/2005 —> esse hanno accolto la tesi della cessione parziale del credito
retributivo (2), escludendo che in tal modo si crei un illegittimo aggravio della posizione del datore
di lavoro debitore.
Alla sentenza delle S.U. hanno fatto seguito altre sentenze orientate nello stesso modo e così
l’orientamento si è consolidato.
Il Titolo III
Il Titolo III dello St.Lav. rubricato: attività sindacale, contiene le norme cosiddette:
promozionali e di sostegno dell’attività sindacale sei luoghi di lavoro
“Cioè un insieme di disposizioni che vanno oltre la tutela della libertà sindacale perchè
non definiscono solo uno spazio di autodeterminazione del soggetto titolare della libertà,
e un divietò per tutti gli altri soggetti di interferivi, MA danno vita, in testa al soggetto
tutelato, pretese configurabili come diritti soggettivi verso l’imprenditore, sul quale grano
gli obblighi corrispondenti"
Soggetti tutelati questa volta non sono i singoli lavoratori e non le associazioni sindacali in
generale, MA le RSA, costituite ad iniziativa dei lavoratori ai sensi dell’art.19 st.Lav.
• le disposizioni che prevedono diritti dei dirigenti delle RSA —> art. 23 e 24
• le disposizioni che prevedono speciali tutele per i dirigenti delle RSA —> art.18 e 22
80
I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell'orario di
lavoro, nonché durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la
normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva.
Le riunioni - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi - sono indette,
singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell'unità produttiva, con
ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle
convocazioni, comunicate al datore di lavoro.
Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato
che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.
Ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi
di lavoro, anche aziendali.
L’assemblea
—> la sua partecipazione costituisce l’esercizio della libertà garantita dall’art.39 c.1
—> non è limitata ai soli lavoratori iscritti al soggetto sindacale che la ha convocata, ma è
aperta a tutti i lavoratori della unità produttiva.
Comma 1
—> attribuisce ai lavoratori il diritto di riunirsi in assemblea nella unità produttiva in cui
prestano al loro opera:
- dentro l’orario di lavoro—> nei limiti minimi di 10 ore annue retribuite o nei più.
Tali limiti devono essere intesi come limite massimo di ore retribuite, non come limite
massimo di ore utilizzabili per lo svolgimento di assemblee durante l’orario di lavoro
Comma 2
—> per quanto attiene alla convocazione, quando è presente una RSU, questa subentra
nelle prerogative delle RSA (ricordo s. 13978/2017)
81
Problema: a chi devono essere imputata le 10 ore annue retribuite? —> 3 orientamenti:
1. Secondo alcuni l’interpretazione del monte ore è individuale -> dunque costituisce un
limite di partecipazione individuale alle assemblee ma non un limite per la
convocazione delle assemblee da parte delle RSA/U
2. Secondo altri il computo deve esser fatto con riferimento alla collettività per la quale la
assemblea è indetta -> il monte ore costituisce un limite per la convocazione
3. Tesi intermedia, ogni RSA o la RSU può convocare assemblee per un limite di 10 ore,
e il lavoratore sceglie di partecipare in ragione delle 10 ore retribuite che gli spettano
per partecipare alle assemblee convocate durante l’orario di lavoro
- assemblea retribuita durante l’orario di lavoro -> monte ore attribuito alla generalità dei
lavoratori e quindi alle RSA cumulativamente
- assemblea non retribuita fuori dall’orario di lavoro -> il diritto a partecipare è un diritto
individuale dei lavoratori
Di conseguenza, la facoltà di indire una assemblea retribuita non sarebbe più esercitabile
da una RSA, dalla RSU o da un sindaco firmatario del c.c. quando le ore di assemblea
retribuita siano state quindi “consumate”/prenotate —> la corte quindi aderisce al 2
orientamento interpretativo
- stante la riserva a favore delle RSA del potere di convocazione ci si è chiesti se sia
ammissibile lo svolgimento di assemblee spontanee autoconvocate dai lavoratori: la
risposta è positiva in quanto basata sull’art.14 St.Lav. che attribuisce a tutti i lavoratori
il diritto alla attività sindacale nei luoghi di lavoro, tra i quali fa parte anche il diritto di
riunione —> le assemblee spontanee dovranno svolgersi però al di fuori dell’orario di
lavoro: ciò in quanto l’esercizio del diritto di riunione durante l’orario di lavoro è
sottoposta dalla legge al filtro costruito dalla convocazione da parte delle RSA.
- Le assemblee devono avere come oggetto: materie di interesse sindacale o del lavoro
- L’ordine del giorno deve essere comunicato al datore di lavoro, il quale potrà rifiutarsi di
concedere i locali, se l’ordine del giorno non abbia a che fare con la materia legittima.
Comma 3 —>
Prevede che alle assemblee possano partecipare anche i “dirigenti esterni del sindacato
che ha costituito la RSA”, previo preavviso al datore di lavoro -> lapsus del legislatore, la
RSA è costituita ad iniziativa dei lavoratori nell’ambito di un sindacato, e non direttamente
dal sindacato.
82
Benché la legge taccia sul punto: si ritiene illegittima la pretesa del datore di lavoro di
partecipare alla assemblea
Comma 4 —>
Prevede chi può stabilire ulteriori modalità di esercizio del diritto di assemblea: i contratti
collettivi -> quindi: No RSA/ RSU / datore di lavoro
Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di
lavoro anche aziendali.
Referendum sindacale
• costituisce, come l’assemblea, uno strumento di partecipazione dei lavoratori alle
decisioni e alle politiche contrattuali dei sindacati
• può avere:
- carattere generale -> riguarda tutti i lavoratori della azienda o della unità produttiva
interessata
Il ricorso alla consultazione referendaria non avviene spesso, è più usato il referendum
come strumento di verifica del consenso dei lavoratori:
Ne derivano 2 questioni:
83
—> è stata giudicata una condotta antisindacale l’indizione del referendum da parte
del datore di lavoro al fine di condurre la trattativa per il rinnovo del contratto
integrativo aziendale direttamente con i lavoratori, violando così le prerogative delle
RSA.
2. Riguarda l’esito del referendum: nel caso in cui il giudizio espresso dalla
maggioranza dei lavoratori sia negativo, quale effetto produrrà tale visto sulla validità
dell’accordo? Ad avviso della Cassazione: nessuno —> perchè gli esiti del referendum
hanno rilevanza solo nei rapporti interni tra rappresentanza sindacale e lavoratori.
Questo orientamento potrebbe modificarsi: tenuto conto della importanza che la
consultazione referendaria dei lavoratori ha assunto nelle nuove discipline
interconfederali: il T.U. 2014 sottopone infatti l’efficacia del c.c.aziendale stipulato
stipulato dalle RSA maggioritarie alla condizione che il contratto ottenga il voto
favorevole della maggioranza dei lavoratori e che alla consultazione abbia partecipato
almeno il 50%+1 degli aventi diritto al voto
Prima che fosse sancito dalla legge tale diritto era riconosciuto dalla contrattazione
collettiva—> ma era condivisa l’idea che, in assenza di norme che garantissero
espressamente si sindacati il diritto di affissione in azienda, tale diritto non potesse essere
riconosciuto sulla sola base dell’art.39 c.1 Cost.
Problema: relativo alla titolare del diritto di affissione —> l’art.25, attribuendolo alle RSA al
plurale, esclude che lo possa esercitare anche il singolo lavoratore, o un comitato
spontaneo di lavoratori.
84
Non è escluso il diritto pero dei singoli lavoratori di fare volantinaggio nei luoghi di lavoro,
riconducibile alla attivò di proselitismo sindacale.
Orientamento prevalente attribuisce tale diritto a ciascuna RSA. —> Cass. 1199/200
Nelle unità produttive con un numero inferiore di dipendenti le rappresentanze sindacali aziendali
hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni.
Come il diritto di affissione, anche il diritto di usufruire di locali dove riunirsi era previsto
dalla contrattazione collettiva. A questo articolo la dottrina attribuisce molta importanza,
considerando il diritto di usufruire di locali nell’unità produttiva uno strumento essenziale
per l’esercizio di una funzione di rappresentanza sindacale dei lavoratori.
Esse sono: responsabili della gestione dei locali, essendo escluso il potere di vigilanza o
di regolamentazione dell’uso da parte del datore di lavoro
L’art.27 riserva l’uso dei locali: all’esercizio delle funzioni di rappresentanza sindacale—> è
dubbio quindi se sia possibile a dirigenti esterni di accedere a detti locali senza il
permesso del datore i lavoro
Disponibilità permanente -> per la giurisprudenza questi locali non devono essere destinai
solo ed esclusivamente alle RSA
• Le disposizioni che prevedono diritti dei dirigenti delle RSA —> art. 23 e 24
Il titolo III dello statuto non regola solo i poteri propri delle RSA, cioè i poteri che le sono attribuiti
per lo svolgimento della sua funzione rappresentativa, ma che i diritti propri dei rappresentanti
sindacali.
Salvo clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavoro hanno diritto ai permessi di cui al primo
comma almeno:
a) un dirigente per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano
fino a 200 dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;
85
b) un dirigente ogni 300 o frazione di 300 dipendenti per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale
nelle unità produttive che occupano fino a 3.000 dipendenti della categoria per cui la stessa è
organizzata;
c) un dirigente ogni 500 o frazione di 500 dipendenti della categoria per cui è organizzata la
rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive di maggiori dimensioni, in aggiunta al
numero minimo di cui alla precedente lettera b).
I permessi retribuiti di cui al presente articolo non potranno essere inferiori a otto ore mensili nelle
aziende di cui alle lettere b) e c) del comma precedente; nelle aziende di cui alla lettera a) i permessi
retribuiti non potranno essere inferiori ad un'ora all'anno per ciascun dipendente.
Il lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al primo comma deve darne comunicazione scritta al
datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
I dirigenti delle RSA hanno diritto di usufruire di permessi retributivi per l’ “espletamento
del loro mandato”, cioè per consentire loro di svolgere liberamente, e al riparo da eventuali
ritorsioni del datore di lavoro, l’attività sindacale nei luoghi di lavoro.
Il permesso:
- costituisce: un’ipotesi di sospensione legale dell’esecuzione del rapporto di lavoro per
svolgere attività connesse alla propria funzione di rappresentane sindacale.
- Il titolare di tale permesso non è tenuto a diliscare il motivo per cui richiede tale
permesso
- Il datore di lavoro non ha diritto di accertare preventivamente la natura della attività che
il richiedente intende svolgere
- Il lavoratore che intende esercitare tale diritto deve solo darne comunicazione scritta al
datore di lavoro 24 ore prima tramite le RSA (ult. comma)
- L’uso del permesso per ragioni diverse da quelle previste dall’art.23 può essere
contestato ex post dal datore di lavoro
Tale diritto trova un limite: nella presenza del cosiddetto monte ore -> cioè nella quantità
massima di ore di permesso di cui il rappresentare sindacale può usufruire.
Il comma 2 —> stabilisce un limite minimo: derogabile in melius dalla contrattazione
collettiva
I dirigenti:
- Tale diritto spetta: ai soli dirigenti e il suo numero è limitato e variabile in relazione alla
dimensione della unità produttiva —> comma 2
- l’art.19 non prende che le RSA debbano essere costruite da un numero determinato di
componenti
86
I lavoratori che intendano esercitare il diritto di cui al comma precedente devono darne comunicazione
scritta al datore di lavoro di regola tre giorni prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
I permessi sono usufruibili in misura non inferiore a 8 giorni l’anno, senza rinviare alla
contrattazione collettiva la possibilità di condizioni di miglior favore, possibilità che, nel
silenzio della legge, non si considera preclusa.
Per la natura del diritto e per le condizioni di esercizio vale ciò che è scritto per i permessi
retribuiti.
2. La richiesta deve essere fatta per iscritto tramite la RSA o la RSU, e deve avvenire con
un preavviso di regola di 3 giorni.
La definizione dei limiti e delle modalità di esercizio del diritto ai permessi è rinviata
nell’art. 30 alla contrattazione collettiva—>essa in genere prevede:
La natura e la funzione dei permessi dell’art.30 sono le medesime dei permessi di cui
all’art.23 e 24 St.Lav. —> il diritto al permesso è sempre un diritto: soggettivo pieno e
incondizionato
L’art.30, essendo al di fuori del Titolo III dello statuto, è estraneo al campo di applicazione
delle disposizioni in detto Titolo contenute: i limiti previsto nell’art.35 non trovano perciò
applicazione.
L’aspettativa determina una sospensione del rapporto di lavoro e deve essere richiesta
dall’interessato. Esso è un diritto del lavoratore, e quindi un atto dovuto dal datore di
lavoro. L’unico controllo che il datore di lavoro può fare è sul carattere prov/naz incarico.
87
• le disposizioni che prevedono speciali tutele/garanzie per i dirigenti delle RSA nei
casi di licenziamento e trasferimento —> art.18 e 22
La speciale tutela ad essi riservata si giustifica perché lo svolgimento della attività sindacale
può esporre ad ritorsioni del datore di lavoro, anche per questo detta tutela dura che oltre la
scadenza del mandato.
Le disposizioni di cui al comma precedente ed ai commi quarto, quinto, sesto e settimo dell'articolo
18 si applicano sino alla fine del terzo mese successivo a quello in cui è stata eletta la commissione
interna per i candidati nelle elezioni della commissione stessa e sino alla fine dell'anno successivo a
quello in cui è cessato l'incarico per tutti gli altri.
Comma 1—> prevede che i dirigenti delle RSA non possano essere trasferiti da una unità
produttiva ad un’altra senza nulla-osta delle associazioni sindacali di appartenenza.
non è previsto un numero di beneficiari preciso dato dalla legge —> la giurisprudenza
(Cass. 10438/1990) preoccupata da una possibile proliferazione di tutele, colma la lacuna
della legge fornendo una interpretazione restrittiva dell’art.22, e riconoscendo perciò
come beneficiari solo i:
- Dall’altro -> non fa proprie le preoccupazioni dei giudici in ordine alla definizione del
numero di soggetti tutelati
In ogni caso, tale preoccupazione del rischio della proliferazione dei soggetti tutelati
appare oggi poco rilevante, in quanto ad oggi è molto affievolito tale rischio dalla
sostituzione delle RSA con le RSU -> che hanno un numero definito di membri ai quali
(tutti e senza distinzione di ruolo) il T.U. 2014 estende i diritti e le tutele che lo Statuto
riserva ai “dirigenti” delle RSA.
L’interesse tutelato da questa disposizione è definibile come collettivo e non individuale ->
(nel senso di interesse esclusivamente proprio del dirigente della RSA o componente
della RSU): il nulla-osta senza il quale il trasferimento è illecito è infatti una prerogativa del
sindacato.
Trasferimento:
- è il punto più controverso della intestazione dell’art.22
- è definito dal legislatore come spostamento del lavoratore da una unità produttiva ad
un’altra.
88
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice
medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e
sesto comma del codice di procedura civile. —> comma 12
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa. —> comma 13
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera
alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui all'undicesimo comma, non impugnata
o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al
pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della
retribuzione dovuta al lavoratore. (5). —> comma 14
Ai lavoratori di cui all’art.22 St.Lav., quindi: dirigenti delle RSA e componenti delle RSU,
l’art.18 garantisce una speciale tutela processuale in caso di licenziamento .
Nella esperienza pratica questa tutela ha avuto scarso riscontro, in quanto si predilige
l’art.28 riguardante la repressione della condotta antisindacale -> più rapido, = efficienza.
—> essa anticipa a tipica la sentenza con cui il giudice deciderà il merito della causa
—> può essere emanata quando il giudice medesimo ritenga irrilevanti o insufficienti gli
lenti di prova fortini dal lavoratore
L’art.18 prende anche una sanzione aggiuntiva -> scopo indurre il datore di lavoro di
procedere prontamente alla reintegrazione del lavoratore/sindacalista
Il datore di lavoro che non ottempera all’ordine di reintegrazione del dirigente di RSA
illegittimamente licenziato (indipendentemente dal fatto che sia stia presentata istanza di
reintegrazione anticipata) è tenuto per ogni giorno di ritardo, al pagando al Fondo
Pensioni dei lavoratori indipendenti (INPS) di una somma pari all’importo della
retribuzione dovuta al lavoratore.
89
Il campo di applicazione del Titolo III è l’unità produttiva. A differenza del Titolo IV e II
che sono di applicazione generale.
L’art.35 definisce il campo di applicazione nei seguenti termini: per le imprese industriali e
commercial le disposizioni del Titolo III si applicano:
“a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio, o reparto autonomo che occupano più di 15
dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano anche alle imprese agricole che occupano
più di 5 dipendenti” —> soglia minima di occupati che deve raggiungere ogni unità prod.
L’art.35 comma 1, a differenza degli articoli precedenti, non parla di unità produttiva ma
ne fa una esemplificazione dell’ambito di applicazione con le parole appunto: sede,
stabilimento… Avvalendosi di questa esemplificazione è stata elaborata la definizione di
unità produttiva che ad oggi è usata nella giurisprudenza.
Con la S. 55/1974 la Corte Cost. delinea criteri per la definizione di unità produttiva come:
- Economico-strutturale
Sulla base di questi criteri la giurisprudenza ha poi affermato che per unità produttiva
debba intendersi:
Le RSA non possono essere costituite in unità produttive con un numero di occupati
inferiore a 15 per l’industria e 5 per la agricoltura; e nelle unità produttive dove non
possono essere costituite RSA non potranno essere esercitati quei diritti e quelle
prerogative che la legge riconduce alle RSA/RSU: assemblea, referendum, i permessi
retributivi, l’affissione, l’uso di locali per le riunioni.
La previsione di soglie minime di lavoratori ha suscito dubbi di legittimità, che però sono
stati respinti dalla Corte Costituzionale con la s. 189/1975, secondo cui la scelta politica
del legislatore è ragionevole -> in unità produttive minime non si riuscirebbe neanche a
distinguere tra rappresenti e rappresentanti.
90
- Altre leggi
- Accordi interconfederali
Tra le funzioni delle RSA previste dal Titolo III non rientra il: potere di stipulare contratti
collettivi a livello aziendale, che lo St.Lav. attribuisce alle RSA solo nei 2 particolari casi
regolati dagli artt:
MA nei fatti = le RSA hanno svolto il ruolo di agenti contrattuali a livello aziendale, in
modo tanto rilevante da fare progressivamente decrescere l’intervento, in tale
contrattazione, dei sindacati provinciali.
(costituisce una eccezione rilevante la contrattazione del gruppo FIAT, nella quale a
stipulare i contratti sono stati chiamati i sindacati provinciali di categoria e le federazioni
nazionali).
L’Accordo quadro del gennaio 2009: non aveva aveva modificato le competenze
contrattuali delle rappresentanze sindacali
T.U. sulla rappresentanza del 2014: ha ribadito la competenza esclusiva che sancisce l’AI.
Il potere contrattuale delle RSA e delle RSU trova ampia conferma nella legislazione
recente in materia di diritto del lavoro, che devolve ai contratti collettivi anche aziendali
importanti funzioni di regolamentazione delle condizioni di lavoro: così l’art.51 d.lgs.
81/2015, richiamato da disposizioni legislative successive, che espressamente
menziona i contratti collettivi aziendali stipulati dalle RSA o dalle RSU
91
- nella legge
- In materia di lavori flessibili —>Il diritto delle RSU di ricevere periodiche informazioni
sull’andamento della occupazione di lavoratori: a termine, part-time, somministrati,
intermittenti
Nel diritto dell’UE, l’informazione e la consultazione dei lavoratori o dei loro rappresentanti
sono regolate su 2 livelli diversi:
La Direttiva CE 94/45 sui Compattai Aziendali Europei (CAE), applicabili nelle imprese e
nei gruppi di imprese di dimensione comunitaria, la prima emanata in materia di
informazione e consultazione dei lavoratori, è stata sostituita dalla direttiva di modifica
2009/38, il cui scopo è: “migliorare il diritto alla informazione e alla consultazione dei
lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensione comunitaria”.
Nelle imprese di dimensione comunitaria con almeno: 1000 dipendenti negli Stati membri
dell’Unione e con stabilimenti, ciascuno con almeno 150 dipendenti, situati in almeno 2
stati membri, la direttiva 2009/38 prende:
Il CAE -> è uno speciale organismo di rappresentanza dei lavoratori; la sua costituzione
deve avvenire mediante accordo tra le parti (direzione aziendale e DSN).
La direttiva -> rinvia agli accordi tra le parti la definizione delle modalità di esercizio dei
diritti di informazione e consultazione
92
Stante la ampia autonomia delle parti sociali, la Direttiva si limita a prendere alcune regole
generali:
in materia di protezione dei rappresentanti dei lavoratori, che devono essere analoghe a
quelle previste per i rappresentanti dei lavoratori dalla legislazione e/o dalle prassi vigenti
nello Stato in cui sono impiegati, nonché il diritto alla retribuzione per i periodi di assenza
necessari allo svolgimento delle loro funzioni e il diritto dei rappresentanti alla formazione.
• Informazione —> consiste nella trasmissione di dati da parte del datore di lavoro ai
rappresentanti dei lavoratori per consentire questi ultimi di prendere conoscenza della
questione trattata e di esaminarla. Essa deve avvenire con tempi, modalità, e contenuti
che consentano ai rappresentanti dei lavoratori di procedere ad una valutazione
approfondita e di prepara la consultazione
Ambedue: hanno ad oggetto le sole questioni transnazionali che incidono notevolmente
negli interessi dei lavoratori, e la competenza dei CAE è pertanto limitata a tali questioni.
La direttiva non prevede invece l’attribuzione del potere negoziale ai CAE; non prende
perciò posizione sui ruoli che di fatto i CAE hanno assunto, producendo testi di natura in
senso lato contrattuale, noti come: trasnational texts
- d.lgs. 74/2002 -> che si uniforma all’AI, riproducendo nel testo del decreto anche la
scelta di garantire alle associazioni firmatarie del contratto nazionale una posizione di
preminenza-> preminenza che nella disciplina delle RSU che aveva all’epoca fonte
contrattuale nell’Ai del 1993, e in questo caso invece veniva ad avere fonte anche
legale.
Le lacune della disciplina erano molte, e non furono completamente colmate neanche
dalla D. Del 2009, che resta carente per quanto riguarda la responsabilità del datore di
lavoro per violazione degli obblighi di informazione e consultazione dei lavoratori.
La direttiva 2009/38 è stata recepita con il d.lgs. 113/2012 che ha abrogato e sostituto
quello del 2002.
Per quanto riguarda i componenti del CAE: questi sono ancora designati:
- per 1/3 -> dalle organizzazioni sindacali stipulanti il c.c.nazionale applicato alla impresa
- con la D. 2003/72 -> relativa al coinvolgimento dei lavoratori nella Società cooperativa
europea (SCE), recepita con il d.lgs. 48/2007
93
Ambedue = per quanto prevedano come forma di coinvolgimento dei lavoratori anche
l’informazione e la consultazione hanno come obiettivo quello della partecipazione dei
lavoratori alle attività della SE e della SCE
La legge 92/2012: “Legge Fornero” -> delega il Governo ad emanare norme in materia di
partecipazione e controllo sulla gestione delle aziende dei lavoratori, mediante loro
rappresentanti. La delega però non è stata attuata e, le parti sociali (Accordo sulla
produttività del 2012) avevano espresso la loro contrarietà all’intervento legislativo, in
materie che ritengano che debbano restare regolate nell’ambito di un sistema di relazioni
industriali autoregolato.
Passi in vanti in questa direzione non se ne erano fatti, ma sulla partecipazione dei
lavoratori torno ora l’AI 2018: “Patto della Fabbrica”—> lett. e):
Questa volta si può dure che si tratta di un passo avanti nella direzione del
coinvolgimento dei lavoratori nella organizzazione della impresa.
- Rende obbligatoria l’infrazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese con più di
50 addetti e negli stabilimenti con più di 20 addetti situati nel territorio di uno stato
membro —> più elevate dalle discipline legali presenti in Italia in materia di
licenziamenti collettivi e trasferimento di azienda, ma comunque più basse rispetto
quelle previste da alcuni contratti collettivi.
É stata recepita con il d.lgs. 25/2007, che rimane allo stesso livello di genericità della
direttiva, limitandosi in sostanza:
Ogni valutazione sull’impatto di questa normativa sul sistema delle relazioni industriali è
rinviato alla verifica della sua implementazione contrattuale, nella quel dovrebbe trovare
spazio la valorizzazione del livello aziendale e del ruolo delle rappresentanze sindacali nei
luoghi di lavoro.
94
Diversamente da quanto previsto dall’art.15 St.Lav. (che sancisce la nullità di ogni atto o
patto discriminatorio per ragioni sindaci da chiunque posti in essere), il:
è solo:
il datore di lavoro —> imprenditore o non, pubblico o privato che sia.
Ciò non significa che debba trattarsi di un comportamento posto in essere personalmente
dal datore di lavoro: i comportamenti antisindacali dei dirigenti o comunque di coloro che
nella azienda sono delegati ad esercitare il potere in tutto o in parte del datore di lavoro
sono ricondotti dalla legge a quest’ultimo —> il datore di lavoro sarà dunque chiamato a
rispondere anche delle condotte antisindacali poste in essere dai propri dipendenti
- prestatoti di lavoro
- datori di lavoro (si è escuso che il ricorso, ai sensi dell’art.28 possa essere proposto nei
confronti delle associazioni dei datori di lavoro; o ancora da un sindacato escusò dalla
contrattazione collettiva nei confronti di altri sindacati)
specifica come l’espressione datore di lavoro non può essere dilatata sino a comprendere
la società cooperativa nei suoi rapporti con i soci. Da ciò si deduce l’orientamento sopra
95
Il comportamento antisindacale
Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della
libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle
associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore (1) del luogo ove è posto in essere il
comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie
informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di
lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento
illegittimo e la rimozione degli effetti. —> art.28 comma 1
- atti giuridici
- comportamenti omissivi
96
—> è necessario precisare che: le incertezze sul carattere intenzionale o meno della
condotta antisindacale si possono dunque dirsi superate, ma è necessario
specificare che la stessa Cassazione alle volte è più favorevole ad una
interpretazione intermedia tra intenzionalità e oggettività:
- Ove si tratti di una lesione diretta di una prerogativa sindacale -> questa
costituisce di per sé condotta antisindacale, indipendentemente
dall’intento lesivo
L’art.28 c.1. prevede che il ricorso al Tribunale del luogo in cui è stato posto in essere il
comportamento del quale si intende denunciare il carattere antisindacale sia proposto:
“Dagli organi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbaino interesse”
Sono questi i soggetti che quindi hanno per legge la legittimazione esclusiva ad agire in
giudizio —> la riserva della legittimazione attiva a favore dei sindacati aveva suscitato
dubbi sulla legittimità costituzionale che poi vennero però respinti dalla
Corte Cost. con la: Sentenza n°54/1974
La Corte Cost. è tornata altre 2 volte sulla questione della legittimazione attiva:
1. Sentenza 334/1988 —> in cui la Corte ha ribadito che il sindacato non agisce nel
procedimento di cui all’art.28 come rappresentante dei lavoratori, ma come portatore di un
interesse collettivo proprio
2. Sentenza 89/1995 —> La corte ha ribadito ce la dimensione organizzativa nazionale del
sindaco legittimato ad agire:
- consente una idonea selezione “dell’interesse collettivo rilevante da porre a base del
conflitto con la parte imprenditoriale”
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- corrisponde al ruolo tradizionalmente svolto dal movimento sindacale italiano
Scaricato da Roberto Giuliani (robertogiuliani96@hotmail.com)
lOMoARcPSD|11578335
Inoltre questa disposizione: “Dagli organi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi
abbaino interesse” ha dato luogo a 2 problematiche interpretative:
CHE COSA DEBBA INTENDERSI CON ASSOCIAZIONI NAZIONALI —> IN CHE COSA
CONSISTE IL REQUISITO DELLA DIMENSIONE NAZIONALE DEL SINDACATO
É opinione comune che per essere legittimato al ricorso il sindacato non debba
necessariamente avere una struttura pluricategoriale nè debba aderire a Confederazioni
nazionali.
Più controversa è la questione di che cosa si debba intendere per associazione nazionale,
questione sulla quale vi sono più orientamenti interpretativi:
PERO’= nascono nuove divergenze interpretative in merito agli indici dai quali debba
dedursi l’esistenza di una tale dimensione —> in sostanza: ciò su cui si discute è:
98
Il punto 2 è stato condiviso dalla Cassazione nel 2002, per la quale vanno valorizzati il
contenuto degli statuti come strumenti di identificazione della legittimazione ex art. 28
Ma nella più recente giurisprudenza prevale il punto 1 -> anche se anche su questo punto
non in maniera univoca:
- non solo la stipulazione del c.c.n. ma anche di Goni altro elemento indicativo in
concreto di una attività sindacale a livello nazionale
- altre volte sembra volersi restringere alla stipulazione del c.c.n. l’indice della diffusione
nazione del sindaco e dell’effettività della sua azione
CHE COSA DEBBA INTENDERSI PER ORGANISMI LOCALI DELLE ASS. NAZIONALI
Secondo la più consolidata giurisprudenza della Cassazione, per organismi locali delle
associazioni sindacali si devono intendere, in quanto più vicini alle reali condizioni
esistenti nei singoli luoghi di lavoro:
le articolazioni più periferiche delle strutture sindacali nazionali -> cioè di norma i sindacati
provinciali di categoria
- degli organismi locali delle confederazioni nazionali che non siano incardinati in un
sindacato di categoria nazionale
La specificazione di quali siano gli organismi locali legittimati ad agire deve dedursi dagli
statuti interni delle associazioni medesime che individuano le strutture provinciali o di
zona o di comprensorio.
Non ha avuto successo la tesi di definire come “organismi locali” delle associazioni
sindacali nazionali le RSA e le RSU, esclusione ribadita anche dalla Cassazione, in
quanto: esse sono strutture autonome dal punto di vista organizzativo, non sono inserite
organicamente nella struttura verticale dei sindaci nel cui ambito sono costituite, e sono
rappresentative dei lavoratori della unità produttiva e non del sindacato di rifermento nella
unità produttiva.
Il ricorso in giudizio per la repressione della condotta antisindacale spetta agli organismi
locali delle ass. sindaci nazionali:“che vi abbiano interesse”
In tal modo il legislatore ribadisce una regola del diritto processuale, secondo cui l’azione
giudiziaria è riservata al titolare di un interesse giuridicamente rilevante.
99
- libertà
- attività sindacale
Con la Sentenza della Corte Cost. n°54/1974 essa specifica che l’interesse ad agire è un:
Interesse collettivo —> perciò riferibile al sindacato e non al singolo lavoratore; tant’è
che la legge legittima al ricorso della condotta antisindacale il sindaco in via esclusiva.
• Dal punto di vista sostanziale la condotta antisindacale può essere plurioffensiva, nel
senso che può determinare contemporaneamente:
• Dal punto di vista processuale l’interesse giuridico rilevante è però il solo interesse
collettivo —> infatti secondo quanto ha affermato la Corte Costituzionale nella
S.54/1997 il legislatore ha introdotto uno strumento processuale “per tutelare in via
d’urgenza interessi che trascendono quello del singolo e che si aggiunge ai mezzi di
tutela individuale”
Potrà allora avvenire che lo stesso fatto (es. licenziamento di un lavoratore) dia luogo a 2
pronunce diverse:
- mentre l’azione intentata dal lavoratore potrebbe essere accolta, in quanto potrebbe
essere dichiarato illegittimo il suo licenziamento.
II. Ulteriore questione relativa questa volta alla possibilità di configurare una
condotta antisindacale quando la fonte delle prerogative del sindacato, e nella
specie delle RSA o della RSU che si assumono violate sia il contratto
collettivo e non la legge.
Questione conclusa con un orientamento dei giudici favorevole in questo senso: cioè essi
non escludono che la violazione di diritti sindacali che trovano fonte nel c.c. sia
configurabile come condotta antisindacale.
In particolare non quando si tratti della violazione delle prerogative sindacali ma delle
clausole normative del c.c.; la giurisprudenza ritiene che si configuri la condotta
antisindacale quando la violazione sia reiterata e sistematica ,e sia perciò lesiva della
credibilità del sindaco firmatario.
100
III. Un’altra questione che assume rilevo è quella del rifiuto del datore di lavoro di
trattare con il sindacato
Nel nostro ordinamento non è previsto un generale obbligo a trattare con i sindacati per il
datore di lavoro; l’obbligo, tuttavia, può sussistere quando:
- ha tuttavia ravvisato gli estremi della condotta antisindacale nel rifiuto immotivato di
trattare con la RSU, perchè tale comportamento può essere giudicato co orario ai
principi di buona fede e correttezza nelle relazioni industriali
- Non considera condotta antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di contrarre su laterei
che il c.c. nazionale esclude dalle materie di competenza della contrattazione
decentrata.
Nella motivazione della sentenza 231/2013 sull’art.19 la Corte cost. configura come
condotta antisindacale l’eventuale, non giustificata, esclusione dalle trattative contrattuali
di un sindaco, la cui rappresentatività sia “acquisita”—> è sufficiente una tale
affermazione per dire che in tal modo la corte ha introdotto un obbligo a trattare in capo
dal datore di lavoro?
Quindi si considera che la Corte si sia pronunciata con quella frase in merito alla
distinzione concettuale tra: libertà e arbitrio
La libertà del datore di lavoro di trattare con chi vuole non è assoluta: la Corte fa grave sul
datore di lavoro l’onere della giustificazione dell’esclusione dal tavolo negoziale del
sindaco, che nei fatti goda di un significativo consenso tra i lavoratori.
Il procedimento e le sanzioni
Al datore di lavoro che non attemperà all’ordine del giudice si applica la sezione di cui
all’art.650 cod.pen. che prevede: l’arresto fino a 3 mesi o l’ammenda.
Il giudice decide decide solo sulla mancata ottemperanza del datore di lavoro dell’ordine
del giudice, perchè questo è il reato di cui si tratta, ma non è compito suo valutare se la
condotta antisindacale sussisteva o meno.
102
- contrattazione collettiva nel settore privato -> questo che facciamo ora
- contrattazione collettiva nel settore pubblico -> disciplinata dalla legge -> Parte V
I contratti collettivi stipulati a partire dalla fine della 2°guerra mondiale sono detti:
Per segnalare che la loro disciplina, in mancanza di una legge che specificatamente li
riguardi, deve essere rinvenuta nel diritto privato, e più in particolare nelle disposizioni del
codice civile in materia di contratti.
Dopo l’entrata in vigore della Costituzione, e a causa della mancata attuazione dell’art.39
c.2/3/4 il contratto collettivo pare dunque essere tornato alle origini, almeno nel senso che
negli anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione dottrina e giurisprudenza si
sono trovate, come già era avvenuto ai primi commentatori all’inizio del secolo ventesimo,
a dover costituire una teoria del contratto collettivo in assenza di una legge che ne
dettasse la disciplina.
1. È un’ atto di autonomia privata, che come tale non è fonte del diritto oggettivo.
La teoria del contratto collettivo di diritto comune trova il proprio fondamento nella teoria
della rappresentanza sindacale che pur essendo stata sottoposta a profonde revisioni non
è mai stata abbandonata: la giurisprudenza continua infatti a farvi ricorso.
103
Rinviando a quanto detto parlando della privatizzazione del diritto sindacale, conseguente
alla mancata attuazione dei commi 2/3/4 dell’art.39 Cost, ricordiamo qui che il contratto
collettivo di di diritto comune è sì un contratto, ma è caratterizzato da uno scopo che ne
spiega insieme il carattere: collettivo e la tipicità.
—> funzione che consiste nel predeterminare il contenuto essenziale di quegli stessi
contratti, sia per tanto riguarda il trattamento economico dei lavoratori, sia per quanto
riguarda tutti gli altri istituiti o aspetti che rilevano nella attuazione del rapporto di lavoro.
—> regolare in modo uniforme il contenuti dei contratti individuali di lavoro, dettando
altresì regole per lo svolgimento dei rapporti di lavoro.
—> questa parte comprende tutte quelle clausole (es. orario) che disciplinano il rapporto
di lavoro tra le 2 parti: datore di lavoro e lavoratore, che è il rapporto individuale di lavoro
Regolare rapporti in corso di esecuzione o futuri rapporti intercorrenti NON già tra le
parti contraenti (cioè tra i sindacati che lo stipulano) MA tra altri e diversi soggetti (i
singoli datori di lavoro e lavoratori), in virtù del potere di rappresentanza volontaria che
questi hanno conferito o successivamente conferiranno durante la vigenza del contratto,
alla parti collettive, all’atto di adesione alle stesse.
senza definire cosa sia o come debba essere un contratto collettivo la legge prende in
considerazione questo prodotto della autonomia collettiva.
104
Presuppone tuttavia la stesura per iscritto dei contratti collettivi l’art.17 L.936/1986, che
prevede il deposito dei contratti collettivi presso l’archivio del CNEL.
Tuttavia, tenendo conto del fatto che i soggetti che stipulano i contratti collettivi sono ≠
dai soggetti destinati della maggior parte delle sue clausole (quelle della funzione/parte
normativa e non quelle della funzione/parte obbligatoria) la dottrina si è espressa nel
senso della prevalenza dei criteri oggettivi di interpretazione -> ai quali il giudice deve
far ricorso quando i criteri soggettivi non siano sufficienti a ricostruire la comune volontà.
Nell’ambito dei criteri oggettivi: particolare rilievo è attibuito al criterio di cui all’art.1363:
“le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a
ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto”—> rilievo spiegato dalle finalità
dell’oggetto del contratto collettivo.
Inoltre piuttosto che ricostruire la comune volontà delle organizzazioni sindacali stipulanti,
il giudice adegua dunque il significato della clausola contrattuale, attribuendole un
significato coerente e non contrario con norme di legge: significato che le parti
potrebbero anche non aver voluto attribuire alla clausola —> ma detto adeguamento sale
ala validità della clausola, dato che il contrasto con una norma di legge la renderebbe
nulla.
Gli interpreti escludono la possibilità del ricorso alla analogia—> non è dunque ammesso:
La disciplina processuale:
Fino al 2006:
la dottrina/giurisprudenza riteneva che la interpretazione del contratto
collettivo si sostanziasse in un accertamento di fatto, riservato al giudice di
merito, ed escludeva pertanto la possibilità di ricorso alla Corte di Cassazione
per violazione o falsa applicazione del contratto collettivo; in quanto la
Cassazione è solo giudice che interpreta il diritto non fatti (merito).
Il nuovo testo dell’art.360 del cod.proc.civile estende i motivi del ricorso per cassazione
anche alle norme dei contratti collettivi e accordi nazionali di lavoro (nazionali, perchè la
interpretazione dei contratti collettivi aziendali resta di esclusiva competenza del giudice
di merito).
Questa possibilità solleva però una questione: è legittimo domandarsi se tale estensione
non stravolga la tradizionale concezione del contratto collettivo come atto negoziale di
autonomia privata, equiparandolo alla fonti del diritto oggettivo.
Questione posta anche alla Corte Cost. che la ha dichiarata inammissibile con:
Ordinanza n°298/2007
1. libertà del giudice di merito (di un giudizio diverso da quello interessato al ricorso
pregiudiziale) di non uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Cassazione
- Deflazionare il processo del lavoro e ridurre la durata del processo —> la deflazione è
affidata alla capacità del procedimento di affermarsi nella pratica giudiziaria come
strumento per la formazione di precedenti utili l’interpretazione dei contratti collettivi
Riprendiamo un concetto accennato prima per fare una fondamentale distinzione tra:
• PARTE NORMATIVA —> è la parte del contratto collettivo maggiore di cui sono
destinatari i datori di lavoro e i lavoratori ai quali si applica il contratto collettivo e per i
quali il contratto collettivo costituisce una delle principali fonti (concorrente con la legge
e con lo stesso contratto individuale) che disciplinano i rapporti di lavoro.
Svolge la funzione fondamentale e originaria del contratto collettivo.
Quindi le clausole che vanno a costituire la parte normativa del contrato collettivo
contengono regole riguardanti:
- Orari di lavoro
- Festività
- Ferie
- Norme disciplinari
- Trattamento retributivo …
• PARTE OBBLIGATORIA —> rappresenta un’altra funzione del contratto collettivo, che
progressivamente si è andata ad affiancare a quella normativa. Questa funzione è
assolta da quelle clausole che sono dirette, non a creare diritti ed obblighi delle parti del
contratti individuale di lavoro, ma ad instaurare rapporti obbligatori direttamente tra i
sindacati stipulanti e a regolare i rapporti tra di loro.
Quindi le clausole che vanno a costituire la parte obbligatoria del contratto collettivo
sono:
107
La dottrina sottolinea il collegamento tra parte obbligatoria e parte normativa del c.c.
affermando: il carattere strumentale della obbligatoria sulla normativa.
La strumentalità non deve essere comunque fraintesa: se una clausola è ricondotta alla
parte obbligatoria del contratto collettivo, è oggetto di una disciplina giuridica diversa da
quella propria della parte normativa.
La violazione delle clausole obbligatorie ha infatti rilevanza solo nei rapporti tra gli
stipulanti del contratto collettivo di diritto comune cioè: i sindacati, e non nei rapporti tra le
parti del contratto individuale di lavoro —> di conseguenza saranno esperiti i rimedi di
diritto comune per inadempimento del contratto e sarà altresì esperibile, se vi sono i
presupposti, il ricorso per condotta antisindacale.
Tale distinzione tale due parti del c.c. è molto chiara dal punto di vista teorico, ma non lo
è sempre dal punto di vista pratico: spesso esse si intrecciano, rendendo in tal modo
rilevante anche sul piano dei rapporti di lavoro la violazione di una clausola della parte
obbligatoria —> quando questo avviene la dottrina qualifica tali clausole con il nome di:
miste
- Le clausole in materia di appalti e trasferimento per ramo di azienda che pongono limiti
al decentramento produttivo in funzione di salvaguardare l’occupazione.
108
Abbiamo detto che: la funzione essenziale del contratto collettivo è quella di regolare il
contenuto dei contratti individuali di lavoro degli iscritti ai sindacati stipulanti.
In linea di principio, solo il datore di lavoro iscritto all’organizzazione sindacale dei datori di
lavoro stipulante è tenuto, in ragione del proprio vincolo associativo, all’applicazione del
contratto collettivo nei confronti dei soli lavoratori iscritti alle organizzazioni sindacali dei
lavoratori stipulanti.
Se poi il datore di lavoro recede dalla propria organizzazione, si libera dall’obbligo di
applicare i contratti collettivi successivi al recesso, restando il suo obbliò limitato
all’applicazione del solo contratto vigete nel momento in cui il recesso si è verificato, e
fino alla scendeva del contratto stesso.
Distinguiamo:
- Efficacia oggettiva
- Efficacia soggettiva —> individua i destinatari, cioè gli obbligati alla applicazione
del contratto collettivo
L’efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune resta comunque limitata;
in quanto dal punto di vista strettamente giuridico l’efficacia erga omnes può essere
garantita solo dalla legge. Tanto limitata che, negli anni 50’ il maggior problema era
certamente quello della diffusa disapplicazione del contratti collettivi: problema di
dimensione tanto imponente che il parlamento fu costretto a porvi rimedio con
l’emanazione di una apposita legge.
—> consentì di realizzare, nel iro di 15 mesi, l’estensione erga omnes dei contratti
collettivi nazionali di categoria e integrativi provinciali stipulati nel corso del declino
precedente.
—> con essa il legislatore si proponeva di risolvere in via transitoria (cioè nell’attesa di una
legge di attuazione del comma 4 dell’art.39 Cost), il problema della limitata efficacia
soggettiva dei contratti collettivi di diritto comune, per la cui applicazione resta
essenziale l’iscrizione del datore di lavoro all’organizzazione sindacale stipulante.
—> l’estensione erga omnes dei contratti collettivi di diritto comune serviva anche per
risolvere il problema della integrale sostituzione dei vecchi contratti collettivi corporativi
ultrattivi
109
—> il legislatore delegava dunque il Governo ad emanare decreti legislativi, nei quali
dovevano essere recepiti i contratti collettivi nazionali di categoria e integrativi provinciali
stipulati prima della entrata in vigore della legge
—> L’estensione erga omnes dell’efficacia del contratto collettivo avveniva appunto
mediante la recezione nel decreto -> un decreto per ogni contratto collettivo di cui si
estendeva la efficacia. Per recedere nei decreti i c.c. dovevano essere depositati a tra dei
sindaci stipulanti presso il Ministero del Lavoro, che provvedeva alla loro pubblicazione in
un apposito bollettino.
—> tenendo presente la finalità di detto intervento, è importante precisare che: la Corte
Cost. specificò che l’estensione erga omnes riguardava solo la parte normativa, non
quella obbligatoria. —> S. n°8/1966 e S. n°50/1966
—> prevedeva un dovere per il Governo di: “uniformarsi a tutte le clausole del contratto
collettivo” —> es. non poteva essere modificata la categoria contrattuale, cioè il campo di
applicazione del contratto, come definito nel contratto medesimo
—> non potevano essere modificate o soppresse singole clausole contrattuali -> il testo
doveva essere recepito nella sua interezza, poi sarebbe spettato al giudice dichiarare la
nullità della clausola contraria alla legge, qualora la questione fosse stata sollevata in
giudizio
—> la legge in sostanza si limitava a prescrivere che: tutti i datori di lavoro, iscritti e
non iscritti ai sindacati datoriali stipulanti, che in ragione dell’attività effettivamente
esercitata rientrassero nell’ambito della categoria per la quale era stato stipulato il
contratto collettivo poi recepito nel decreto del Governo, dovessero applicare il
contratto collettivo a tutti i posti dipendenti.
Uno dei punti più rilevanti della legge Vigorelli era l’introduzione del:
principio di maggior favore per i lavoratori come regola del rapporto tra contratti collettivi
Esso costituiva una novità perchè l’art.2077 codice civile, che contiene la regola della
prevalenza delle clausole più favorevoli al lavoratore, disciplina il rapporto tra contratto
collettivo e contratto individuale di lavoro e NON il rapporto tra contratti collettivi.
La legge Vigorelli regolava anzitutto il rapporto tra contratti collettivi di diverso livello —>
era prevista infatti l’estensione erga omnes:
- sia dei contratti provinciali integrativi (stipulati sulla base del rinvio contenuto nel
contratto collettivo nazionale)
- sia dei contratti provinciali autonomi rispetto ai contratti nazionali (all’epoca poco
frequenti).
In questo ultimo caso l’estensione era però sottoposta alla condizione che essi
contenessero condizioni di miglior favore rispetto al contratto nazionale.
La legge così fissava la regola della prevalenza: del c.c. di inferiore livello più
favorevole, sul c.c. nazionale meno favorevole.
110
Lo stesso principio della prevalenza del contratto collettivo più favorevole era poi
formulata nell’art.7 della legge, che regolava i rapporti tra contratti collettivi nazionali di
categoria e la loro secessione nel tempo.
L’art.7 prevedeva:
1. Che il c.c. esteso erga omnes mediante la recezione nel decreto legislativo si
sostituisse di diritto ai trattamenti in atto: ciò che determinava il definitivo venir meno
dei:
3. Che il c.c. esteso erga omnes conservasse l’efficacia oltre la scadenza -> fosse cioè
ultrattivo e fino a quando non fosse sostituito da altro c.c. avanti efficacia per tutti gli
apparteniti alla categoria (quindi erga omnes) —> per una sostituzione completa si
necessitava che il contratto collettivo seguite avesse la medesima officia di quello che
si andava a sostituire.
Per quanto riguarda la IPOTESI 2: il Parlamento aveva fatto un tentativo per rendere più
stabile e quindi meno transitorio il meccanismo della Legge Vigorelli, emanando la:
L. N°1027/1960 -> che prorogava di 10 mesi il termine per il deposito dei c.c.
consentendo così al Governo di emanare i d.lgs. di estensione dei
nuovi contratti stipulati nel frattempo
La S. 106/1962 della Corte Cost. annullò questa legge affermando che: “anche una sola
reiterazione della delega toglie alla legge i caratteri della transitorietà e della eccezionalità
e finisce col sostituire al sistema costituzionale un altro sistema arbitrariamente costituito
dal legislatore e pertanto illegittimo.
111
Secondo quanto previsto dall’art. 7, ferma restando l’efficacia erga omnes del c.c. esteso,
i datori di lavoro affilati alle associazioni dei datori di lavoro che avevano successivamente
stipulato nuovi contratti collettivi di diritto comune e che quindi erano obbligati per
vincolo associato ad applicare tale contratto ai propri dipendenti, potevano sostituire i
trattamenti economici e normativi previsti dal c.c. erga omnes con i trattamenti previsti dal
nuovo con c.c. solo se questi ultimi erano più favorevoli ai lavoratori.
1. Nelle prime sentenze emesse in materia la Cassazione aveva operato il confronto tra:
c.c. recepiti in decreto e c.c. di diritto comune con riferimento alle singole clausole,
conformemente all’orientamento seguito per il raffronto tra c.c. e norme inderogabili di
legge —> criterio del cumulo.
Il risultato pratico era: il cumulo fra i trattamenti derivanti dal contratto recepito e quelli
più favorevoli derivanti dal contrato collettivo di diritto comune applicabile
2. Dopo la stessa Corte si è orientata per l’adozione del criterio del conglobamento.
Operando il raffronto con riferimento:
- Altre alla complessiva disciplina di ciascun istituto, conforme a quello utilizzato sul
piano dei rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro.
Nel confronto tra contratti collettivi si dovrà guardare all’insieme della disciplina della
retribuzione nell’uno e nell’altro contratto e valutare se, complessivamente il trattamento
retributivo risulti nel secondo contratto più favorevole che nel primo.
Questo cirteiro del conglobamento è tuttora utilizzato dalla giurisprudenza nel raffronto tra
c.c. di diritto comune.
Come abbiamo letto, l’estensione erga omnes dei contratti collettivi ad opera della legge
costituisce nella nostra esperienza giuridica post-costituzionale un episodio unico e forse
non ripetibile.
- dall’altro il tentativo di estendere erga omnes i contratti collettivi di diritto comune con il
sistema dei decreti è stato bloccato una volta per tutte dalla Corte Costituzionale.
112
Quindi: la legge Vigorelli chiudeva una travagliata vicenda della contrattazione collettiva
post-bellica.
Ma la ripresa della contrattazione collettiva agli insidi egli anni 60 riapriva il problema della
sostituzione dei vecchi c.c. estesi erga omnes con i nuovi c.c. di diritto comune —>
riproponendo per intero il problema della limitata efficacia soggettiva di questi contratti.
criteri interpretativi —> che consentono di dare applicazione al c.c. di diritto comune
anche al di fuori della rappresentanza sindacale strettamente
intesa.
Sono 2:
1. ADESIONE ESPLICITA
Riguarda il comportamento delle parti del contratto individuale di lavoro, le quali, ai
fini della determinazione del contenuto del contratto, abbiano fatto ESPLICITO
RINVIO al contratto collettivo.
—> così facendo affermano i giudici, le parti hanno recepito il c.c., determinando il
contenuto del c. individuale per relationem.
Quando ciò avviene il datore di lavoro non si può liberare unilateralmente dall’obbligo
di applicare il c.c., in quanto tale obbligo ha font nel contratto individuale
2. ADESIONE IMPLICITA
Riguarda il comportamento del datore di lavoro, il quale non essendo obbligato da un
vincolo associativo ( non iscritto ) decida di applicare spontaneamente, nei contratti
individuali di lavoro di cui è parte, l’intero contratto collettivo o numerose clausole di
esso. Questo metodo costituisce una IMPLICITA ADESIONE al c.c.
Questa implicita adesione opera solo se il numero e l’importanza delle clausole
recepite consente di ritenere che si sia voluto recepire l’intero contratto.
L’adesione ha in ogni caso oggetto ad uno specifico c.c. e non i c.c. successivi, che il
datore di lavoro può dichiara di non voler applicare —> infatti la applicazione
spontanea di un c.c. non dà luogo ad un uso normativo
Il lavoratore che pretende l’applicazione del c.c. dovrà provarne la recezione esplicita o
implicita: ma sarà sufficiente, per soddisfare l’onere ella prova, la mancata contestazione
da parte del datore di lavoro, o la prova che il rapporto tra le parti si sa svolto nel
presupposto dell’applicazione del c.c.
- vincolo associato
- adesione esplicita
- adesione implicita
è tenuto ad applicarlo nei confronti dei lavoratori che da lui dipendono, senza distinzioni
tra iscritti e non iscritti ai sindaci stipulanti.
Si giustifica per:
- anche perchè d'altronde i sindacati simulano i contratti collettivi per la genericità dei
lavoratori e non per i soli iscritti —> di ciò troviamo conferma negli AI del 2011 e 2014.
113
- anche perchè il datore di lavoro applica in modo uniforme ai propri dipendenti il c.c.
non solo per evitare una doppia contabilità, ma anche per non incentivare con il suo
comportamento l’iscrizione dei lavoratori ai sindacati stipulanti
Fino a che i c.c. sono stati sottoscritti unitariamente dai sindaci maggiormente
rappresentativi, l’applicazione di questa regola giurisprudenziale, elaborata nell’evidente
intento di garantire, nell’interesse die lavoratori, l’applicazione uniforme del c.c., non ha
dato luogo a particolari problemi.
- i giudici quando in vari casi i sindacati non stipulati hanno fatto ricorso
- e parti sociali —> nell’AI 2013 e nel T.U. 2014 hanno dettato in materia regole ispirate al
principio di maggioranza, dirette a garantire l’applicabilità del contratto collettivo anche
ai lavoratori iscritti ai sindacati dissenzienti. (P. IV Cap.II s.II )
- I contratti di categoria
Stipulati solo da alcune delle organizzazioni sindacali che
- I contratti aziendali
avevano stipulato il precedente contratto, e che
dissentendo dai contenuti del nuovo contratto ne rifiutano
la sottoscrizione
Il giudice se ritiene che la retribuzione prevista dal c.individuale di lavoro, inferiore a quella
garantita dal c.c. di categoria (che nella specie non trova applicazione), sia contraria ai
principi di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost. (al quale è riconosciuta
immediata percettività anche nei rapporti tra privati), dichiara la nullità della clausola del
c.individuale, e facendo ricorso all’art. 2099 del cod.civ., in base al quale: “in mancanza di
114
A norma dell’art. 2070 comma 1 codice civile ai fini della applicazione del c.c.
l’appartenenza alla categoria professionale si determinava in base all’attività esercitata
dall’imprenditore.
Gli orientamenti della giurisprudenza, a differenza della dottrina invece non furono
unanimi.
1. Il primo problema sorge quando il datore di lavoro esercita una certa attività (es.
impresa produttrice di tessuti) che rientra nella categoria alla quale si riferisce un certo
c.c. (nell’es. il c.c. della industria tessile), ma non essendo il datore di lavoro iscritto
all’organizzazione stipulante e non avendo aderito, nè esplicitamente nè
implicitamente per fatti concludenti al c.c.:
115
Infine, non mancano decisioni nelle quali i giudici ritengono ancora applicabile la regola
contenuta nell’art.2070 c.2 a norma della quale se l’imprenditore esercita distinte attività
autonoma si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro i c.c. corrispondenti alle singole
attività: tuttavia, al fine di rispettare il principio della libertà sindacale, l’applicazione dei
diversi c.c. è subordinata alla condizione che il datore di lavoro sia iscritto o meno a un
sindacato o che abbia aderito ai c.c.
P.254/255
116
La disposizione più importante nella disciplina del c.c. corporativo era certamente quella
contenuta nell’art.2077 codice civile intitolato: “all’inderogabilità del c.c.”.
Il c.c. costituisce la disciplina giuridica come a tutti i rapporti individuali di lavoro fra
datori di lavoro e lavoratore della categoria alla quale si applica il c.c.
Le clausole difformi al c.c. nel c.individuale sono sostituite di diritto dalle clausole del
c.c. —> inserzione automatica
Il c.c. spiega la propria efficacia normativa (detta anche reale) nei confronti dei
contratti individuali preesistenti e successivi alla sua entrata in vigore comportando la
modificazione di tutti i contratti individuali di lavoro
Q ciò fanno eccezione le sole clausole dette “speciale condizioni” individuali più
favorevoli ai lavoratori.
L’inderogabilità del c.c. aveva consentito alla dottrina corporativa di costituire la teoria del
c.c. come fonte eteronoma di disciplina dei contenuti dei c.individuali di lavoro.
L’inderogabilità in pejus…
Nel corso degli anni 50 del 1900, la giurisprudenza ed un settore della dottrina
affermarono:
L’intento evidente di questa operazione era quello di dare forza al c.c. di diritto comune in
un periodo nel quale il dibattito alla attuazione dell’art.39 Cost. era aperto
MA: un altro argo settore della dottrina era contrario alla applicazione dell’art. 2077 al
c.c. di diritto comune in quanto:
PREVALSE: l’orientamento che si era consolidato era quello favorevole alla applicazione
dell’art.2077 —> in virtù del nesso coessenziale tra inderogabilità e funzione del c.c.,
indipendentemente dalla sua efficacia.
Tant’è che si finì per legittimare la tesi che l’inderogabilità fosse divenuta ormai norma di
diritto giurisprudenziale vivente
117
Il legislatore riformulando l’art. 2113 codice civile stabilì: l’invalidità delle rinunce e delle
transazioni del lavoratore su diritti derivanti da “norme inderogabili della legge e dei
contratti collettivi”.
≠
Dal vecchio testo che sanciva la inderogabilità della legge e delle norme corporative
Sul punto 2 si registrano opinioni divergenti, chi lo ritiene ancora inapplicabile sostiene
che: il c.c. diviene fonte di integrazione del c. individuale per mezzo dell’art.2113, che
attribuisce al contratto collettivo la qualità di fonte normativa inderogabile del contenuto
del contratto individuale.
Qualificare il contratto collettivo di diritto comune come una "fonte eteronoma” significa
significa dire che il c.c. determina la disciplina dei rapporti individuali di lavoro,
indipendentemente, e anche in contrasto, dalla volontà della parti del contratto
individuale, alla stessa stregua per le norme imperative di legge.
Poiché l’inderogabilità del c.c. implica che il contenuto dei cl individuali già stipulati o che
saranno successivamente stipulati si deve uniformare alle clausole del c.c.,
l’inderogabilità implica anche che al sopravvivere di un nuovo c.c. applicabile, i c.
Individuali vi si dovranno uniformare —> diritti e obblighi che trovavano fonte nel
precedente c.c. saranno sostituiti dai nuovi diritti e nuovi obblighi che trovano fonte nel
nuovo c.c
QUINDI: il contenuto dei c.individuali segue le vicende della fonte che li disciplina
A norma dell’art. 2077 c.2 del codice civile, alla regola dell’inderogabilità del c.c. fanno
eccezione le sole clausole dette “speciali condizioni” individuali più favorevoli al
lavoratore, che hanno fonte nel c. individuale di lavoro.
Nel contratto corporativo questo poteva avvenire solo se si trattasse di una “speciale
condizione” —> la funzione “livellatrice” assegnata al c.c. corporativo limitava così lo
spazio riservato all’autonomia individuale, restringendolo alla stipulazione di clausole
118
poste in essere in relazione a speciali attitudini del lavoratore, che il datore di lavoro
intendere premiare con un trattamento di miglior favore.
Quindi nel periodo corporativo la deroga al c.c. di diritto comune era dunque ammessa
solo per le clausole stipulate intuite personae, cioè per quelle clausole riguardanti il
singolo lavoratore e le peculiarità tecniche della sua prestazione.
Diversamente dalla legge, i contratti collettivi sono discipline a termine, cioè soggette a
scadenza.
Anche per il fatto che il c.c., essendo un contratto è soggetto al principio generale della
non perpetuità del vincolo obbligatorio, dunque anche s era stata di scadenza non fosse
stata prevista tra le parti, i vincoli obbligatori che trovano fonte nel contratto collettivo non
potrebbero essere perpetui e le parti dovrebbero disporre di uno strumento giuridico
( recesso unilaterale ) per porre essi a termine.
—> che ove il c.c. abbia un termine di durata, il recesso unilaterale ante tempus sarebbe
illegittimo.
—> la possibilità di recedere spetta però alle sole parti stipulanti: al singolo datore di
lavoro non è consentito recedere unilateralmente ( a meno che non si tratti di un
c.c.aziendale)
- una durata del contratto la cui definizione è rimessa esclusivamente alla volontà delle
parti.
- secondo il P. 1993 durata del contratto era quadriennale per la parte normative e
duennale per la parte retributiva; a partire dalla applicazione delle nuove regole del
sistema contrattuale la durata è triennale, senza più distinzione tra parte normativa e
retributiva.
- La proroga o il rinnovo tacito di anno in anno del contratto scaduto che possono essere
evitata mediante disdetta, che ciascuna delle parti può dare ordinariamente 3 mesi
prima della scadenza ( la disdetta, non serve ad anticipare la data d scadenza del
contratto ed è ≠ dal recesso unilaterale , ma solo ad evitare che il contratto scaduto
continui a produrre effetti).
La scadenza del c.c. apre una vicenda complessa, legata non solo alle trattative per il
rinnovo, ma anche agli effetti che si producono nella disciplina dei c.individuali
nell’intervallo di tempo che separa la scendeva del c.c. dall’entrata in vigore del nuovo
contratto.
119
LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
- Nel primo periodo dopo la fine della 2° guerra mondiale e durante tutti gli anni 50 del
1900, la contrattazione collettiva è stata decisamente caratterizzata da:
Proprio con l’accordo sul conglobamento del 1954, che riconosceva alle Federazioni
nazionali il potere di negoziare autonomamente le variazioni retributive, consentì di dare
nuovo impulso alla contrattazione nazionale di categoria, che fino ad allora aveva
riconosciuto difficoltà e ritardi.
- Lo scenario della contrattazione collettiva subì una notevole modificazione all’inizio degli
anni 60, quando cominciarono le lotte per il rinnovo dei contratti collettivi di importanti
categorie dell’industria, e in particolare di quella dei metalmeccanici, la cui lunga vertenza
si concluse con al stipulazione dei contratti dell’industria pubblica e privata del 1962-3,
che riconoscevano formalmente:
“LA CONTRATTAZIONE ARTICOLATA”—> segnando il passaggio dalla
contrattazione nazionale esclusiva ad un sistema contrattuale coordinato su
più livelli di contrattazione.
In ogni caso la contrattazione decentrata (anche quella aziendale) era ancora n elle mani
dei sindaci provinciali, perchè ancora non erano presenti soggetti sindacali organizzati a
livello aziendale ai quali fosse riconosciuta competenza contrattuale.
-Il nodo della contrattazione aziendale venne al pettine poco dopo, nella stagione delle
lotte operaie del 1968-69, caratterizzata da una intesa attività conflittuale e contrattuale,
che ebbe il proprio sbocco nelle vicende dell’autunno caldo del 1969, il cui epicentro fu il
rinnovo del contratto dei metalmeccanici.
Con la stipulazione di questo contratto si aprì un capitolo nuovo delle relazioni industriali,
nel quale ebbe un largo sviluppo la contrattazione aziendale.
120
- A partire dalla seconda metà degli anni 70 del secolo scorso, la crisi economica e le
sfavorevoli condizioni del mercato del lavoro determinarono un processo di nuova
centralizzazione della contrattazione collettiva, che portò al ridimensionamento della
contrattazione aziendale, alla quale sottrasse spazio la politica di modernazione salariale
e la scelta di obiettivi di carattere politico generale da parte delle Confederazioni.
É questo il periodo in cui emerge il problema dei rapporti tra contratti collettivi di diverso
livello: nei contratti aziendali si introducevano talora deroghe peggiorative rispetto al
contratto nazionale di categoria, e assumeva una centralità fino ad allora sconosciuta la
questione della tutela del dissenso dei lavoratori, che contestavano l’operato dei
rappresentanti sindacali.
In questo periodo perdono potere i CdF, che erano stati protagonisti della contrattazione
aziendale. Quest’ultima invece ora tornava sempre più spesso nelle mani dei sindacati
provinciali o addirittura nazionali.
La frustrazione della base, la crisi dei CdF, la stessa centralizzazione contrattuale, tutto
contribuiva ad aprire la crisi di rappresentatività che comincia ad investire le grandi
Confederazioni dei lavoratori
- Una ripresa della contrattazione collettiva a tutti i livelli si ebbe solo nella 2° metà degli
anni 80 del 1900. Ma ancora una volta la ripresa avveniva in un quadro privo di regole
- Le regole arrivarono all’inizio degli anni 90: il Pr. 1993 fu stimolato in un quadro
economico e politico profondamente mutato.
Premessa:
Il Protocollo del 1993 poneva per la prima volta le basi di un sistema contrattuale regolato
nella struttura e nel funzionamento.
Le regole del sistema contrattuale sono state successivamente modificate da una serie di
Accordi interconfederali e anche dall’intervento del legislatore.
121
Detta ripartizione delle competenze si basava sul sistema delle: clausole di rinvio —> dal
livello nazionale a quello aziendale.
La coerenza tra i 2 livelli del sistema contrattuale era affidata alla disciplina delle RSU e
alla competenza negoziale congiunta di queste con le associazioni territoriali dei sindaci
nazionali
Nella seconda metà del anni 90 erano infatti aumentate le esperienze di contrattazione
territoriale regionale, provinciale o di distretto —> più vicina alle esigenze delle realtà locali
e delle strutture produttive di piccole dimensioni, alle quali non era in grado di rispondere
nè:
- la contrattazione aziendale
La contrattazione territoriale subì però una battuta di arresto negli anni successivi, dopo
aver trovato sostegno nel Patto di Natale (1998), anche a causa di un quadro normativo
disordinato.
Il sistema contrattuale del P.1993 è rimasto in piedi fino al 2009. Ma della sua riforma si
era già largamente discusso anche negli anni precedenti e le questioni principali erano 3:
2. Le clausole di uscita —> la previsione da parte dei contratti nazionali di categoria della
possibilità di introdurre, a livello aziendale e/o territoriale deroghe al contratto
nazionale stesso
3. L’introduzione del livello territoriale di contrattazione , non come livello aggiuntivo cioè
come 3° livello intermedio tra nazionale e aziendale MA come livello alternativo a
quello aziendale
122
Ma la questione più controversa era quella della revisione della dinamica degli effetti
economici dei contratti collettivi che secondo il Protocollo del 1993 doveva essere
coerente con i tassi di inflazione programmata.
Raccogliendo parte dei frutti sul dibattito sulla riformare del sistema contrattuale, e dopo
una lunga e faticosa trattativa tra le parti sociali con la mediazione del governo, era stato
stipulato: L’Accordo Quadro del 2009 (AQ).
L’Accordo è stato superato nelle sue parti essenziali (quelle sulla contrattazione aziendale
in specifico) dai successivi AI del 2011/ 2013/ e 2014 sottoscritti unitariamente da CGIL,
CISL, e UIL ; e solo alcune parti non regolate dai nuovi AI possono ritenersi confermate.
- Primo livello —> è quello del c.c.n. di categoria -> con vigenza di 3 anni per la
parte normativa e anche per la parte economica, distinzione quindi abrogata.
Al contratto di primo livello era attribuita la funzione di garantire la certezza dei
trattamenti eco. e normativi comuni peer tutti i lavoratori del settore ovunque
impiegati nel territorio nazionale
• Per la dinamica degli effetti economici il tasso di inflazione programmata di cui al P.1993
era sostituito dal nuovo indice previsionale costruito sulla base dell’IPCA:
- cioè l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia,
depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importanti
• Grande rilievo assumeva nell’AI del 2009, che è l’accordo sempre non sottoscritto dalla
CGIL che ha dato attuazione al AQ 2009, la contrattazione di 2° livello. L’AI del 2009 si
proponeva infatti di incentivare e valorizzare la contrattazione aziendale, o in altenrstvia
quella territoriale, nell’ottica di un decentramento regolato dal centro.
• Il punto più interessante e innovativo nell’ AI del 2009, nella parte riguardante la
contrattazione di 2° livello era rappresentato dalle: clausole di uscita -> intese dirette a
derogare il c.c.n. di categoria, e questi accordi derogatori dovevano essere
preventivamente approvati dalle parti stipulanti i c.c.n. di lavoro della categoria
interessata.
—> questa parte dell’AI è venuta in considerazione nel dibattito suscitato dal primo
accordo stipulato nel “caso FIAT” (accordo di Pomigliano). L’accordo aziendale della
FIAT, non sottoscritto dalla CGIL; introduceva deroghe peggiorative al c.c.n. della
categoria dei metalmeccanici, ma la clausola di uscita prevista dall’AI del 2009 non era
123
applicabile, in quanto non prevista dal c.c.n. di categoria allora vigente. Allora si era
cercato di porre rimedio con un successivo accordo “separato” anche esso.
- Nel quale le parti ribadivano il ruolo centrale del CCNL e nello stesso tempo
affermavano di condividere l’obiettivo di favorire lo sviluppo e la diffusione della
contrattazione collettiva aziendale, precisando però che:
“la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate, in tutto o in
parte dal CCNL o dalla legge.”
- predeterminare le competenze
Il secondo tempo è rappresentato da: il Protocollo del 2013 e il T.U. del 2014:
- Regole che riguardano al fase iniziale del procedimento negoziale del c.c.n. di
categoria:
«nel rispetto della libertà e autonomia di ogni organizzazione sindacale, le Federazioni
di categoria - per ogni singolo contratto collettivo nazionale - decideranno le modalità
di definizione della piattaforma e della delegazione trattante e le relative attribuzioni con
proprio regolamento. In tale ambito, e in coerenza con le regole definite nella presente
intesa, le organizzazioni sindacali favoriranno, in ogni categoria, la presentazione di
piattaforme unitarie. (...) Fermo restando quanto previsto al secondo paragrafo, in
assenza di piattaforma unitaria, la parte datoriale favorirà, in ogni categoria, che la
negoziazione si avvii sulla base della piattaforma presentata da organizzazioni sindacali
che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel settore pari almeno al
50% +1».
- potrebbero prefigura l’affermazione di una rigida regola di maggioranza: nel sensi che,
posta la partecipazione alla contrattazione nazionale di categoria di una larga platea di
sindaci rappresentativi il c.c. sul quale converge il consenso della maggioranza si
impone a che alla minoranza dissenziente —> ma proprio la previsione della verifica del
124
consenso dei lavoratori in caso di divergenze rilevanti tra i sindacati partecipanti alle
trattative rende evidente che le parti hanno ritenuto più opportuno subordinare al
consenso della maggioranza dei lavoratori destinatari, l’applicazione di un contratto sul
quale converga il consenso solo della maggioranza dei sindacati partecipanti alla
negoziazione.
- In ogni casi è chiaro che l’insieme di queste regole non implica l’efficacia erga omnes
del c.c., ma solo l’effetto vincolante nei confronti delle parti che hanno partecipato alla
trattativa.
L’efficacia erga omnes, cioè l’estensione degli effetti del c.c. anche ai sindaci non
partecipanti alla trattativa potrebbe essere stabilita solo dalla legge.
Essa è una parte molto corposa che il T.U. 2014 ha ripreso dall’AI del 2011, senza
sostanziali modificazioni e riguarda regole di contenuto innovativo rispetto però all’AQ e
AI 2009.
Ferme restando le regole del T.U. 2014, il più recente AI, che è questo del 2018, introduce
una serie di regole:
- il primo obiettivo —> affidato all’estensione della soglia minima di rappresentanza alle
organizzazioni datoriali, è disboscare la giungla della contrattazione nazionale di
categoria
Questo Ai prevede che alcune componenti del TEC (Trattamento economico complessivo)
,saranno definite in sede aziendale, e saranno perciò diversificati da azienda a azienda.
Nella parte dedicata alla contrattazione collettiva definita di prossimità, cioè quella
aziendale e territoriale, il legislatore ha scavalcato L’AI 28 giugno 2011, stipulato appena 2
mesi prima, prevedendo che i contrati collettivi aziendali/territoriali possono derogare, con
effetti erga omnes, ai contratti collettivi nazionali di categoria., senza vincoli nè
procedurali nè sostanziali
—> la serie delle materie su cui è possibile la deroga è aperta, e l’efficacia generale,
125
dunque anche nei confronti dei lavoratori iscritti ai sindaci dissenzienti, è condizionata ad
un generico criterio maggioritario.
a non applicare questa disposizione di legge ( “Una legge Contro L’accordo”), nella realtà
si registra una certa diffusione della contrattazione aziendale che fa uso dell'ampio spazio
di deroga al contratto collettivo nazionale e alla legge garantito dall'art. 8, legge n.
148/2011. Sino ad ora Governo e parlamento sembra aver dimenticato tale art.8.
Poiché il rinvio all'art. 51 ricorre anche nella legislazione successiva che regola materie
estranee a quelle regolate dal d.lgs. n. 81/201524, l'art. 51 va assumendo il carattere di
regola generale: regola che, secondo alcuni, supera, se non addirittura abroga
implicitamente, anche in ragione della successione delle leggi nel tempo, la regola
contenuta nell'art. 8, legge n. 148/2011.
La tesi sarebbe convincente se vi fosse piena sovrapponibili tra l’art.8 e il 51, ma così non
è, perchè:
- l’art.51 —> seleziona i soggetti (organizzazioni sindacali) che le leggi, nelle clausole di
rinvio, autorizzano ad intervenire mediante la contrattazione collettiva anche di livello
aziendale.
Ciò non di meno, pare quanto mai opportuno che in tutti gli ambiti nei quali
il legislatore fa rinvio alla contrattazione collettiva sia stata “ripristinata” una corretta
gerarchia delle fonti, nel senso che è la legge ad attribuire, mediante specifici rinvii,
126
Gli orientamenti della giurisprudenza a cui faremo rifermento si sono firmati proprio nel
contenzioso innescato da queste vicende.
La scadenza del c.c. apre una fase nuova, governata da altre regole:
2. in parte contrattuali e in parte legali in materia di effetti conseguenti alla scadenza c.c.
• La clausola di tregua sindacale —> stabilendo che durante i 3 mesi precedenti alla
scadenza del contratto e per il mese successivo, le parti non dovessero assumere
iniziative unilaterali ne procedere ad azioni dirette (come sciopero o serrata): la
violazione di questo periodo di raffreddamento del conflitto comportava in capo alla
parte responsabile, l’anticipazione o lo slittamento di 3 mesi del termine a partire dal
quale decorrerà il periodo di vacanza contrattuale.
Queste regole sono state modificate dall’AQ del 2009, e gli AI 2009 di attuazione che
prevedono:
- Il termine per la presentazione delle proposte per il rinnovo del CCNL è di 6 mesi prima
della scadenza del contratto.
127
- Le trattative per il rinnovo del c.c. fino al 2009 si erano concluse ordinariamente con
una ipotesi di accordo —> che veniva sottoposta alla approvazione dei lavoratori o
mediante assemblee o referendum; e in caso di esito positivo della consultazione
l’accordo era ratificato ( con effetto retroattivo).
Le regole procedurali per lo svolgimento della consultazione sono definite nei c.c. di
categoria.
In attesa del rinnovo del c.c. e della sua sostituzione con un nuovo contratto, il c..c privo
di clausola di ultrattività e definitivamente scaduto —> cessa di produrre effetti, non
avendo più la efficacia quindi di disciplinare i rapporti di lavoro.
A tali rapporti restano invece applicabili le altre discipline contrattuali e legali vigenti al
momento della scadenza e non travolte dalla scadenza del contratto collettivo; la Cassazione
ha affermato che, dopo la scadenza del c.c., i rapporti di lavoro restano disciplina da esso,
quando risulti per fatti concludenti la prosecuzione della sua applicazione.
L’impatto della scadenza del c.c. sui contratti individuali si giustifica nella teoria che
configura il c.c. come una fonte eteronoma, concorrente con la fonte individuale, oltre con
quella legale.
Secondo una opinione largamente diffusa in dottrina e anche in una buona parte della
giurisprudenza:
ove l’entità del trattamento economico trovi fonte del c.c. applicato dalle parti del c.
individuale di lavoro (non in una clausola individuale intutitu personae o in un uso
aziendale) alla scadenza del c.c., al quale il c. Individuale si era uniformato, ed in attesa
128
dell’entrata in vigore di un nuovo contratto, può essere pattuita a livello individuale una
retribuzione inferiore rispetto a quella prevista dal c.c. scaduto.
Un limite tuttavia sussiste: La cassazione ha più volte ribadito che la nuova disciplina può
modificare in senso peggiorativo il trattamento retributivo precedente—> la retribuzione è
dunque riducibile MA resta in ogni caso ferma la osservanza della tutela del
lavoratore offerta dall’Art.36 Cost.
Benché questo sia l’orientamento prevalente nella giurisprudenza della Cassazione (nel 2003), la
Corte alle volte se ne è discosta. Precisando quanto aveva affermato diversi anni addietro
(1995), la storia contemporanea ha infatti affermato che la scadenza del contratto collettivo non
determina l’automatica cessazione delle clausole a contenuto retributivo, essendo la
retribuzione un bene a rilevanza costituzionale (art.36 Cost.)
Sulla questione sono però intervenute le S.U. della Cassazione, ribadendo che la applicazione
di una regola di ultrattività del c.c. in contrasto con l’intento delle parti stipulanti non è
compatibile con la garanzia dell’autonomia collettiva di cui all’art.39 c.1 Cost —> le clausole
retributive, hanno affermato le Sezioni Unite della Cassazione, non hanno efficacia vincolante
diretta per il periodo successivo alla scadenza contrattuale, pur potendo conservare un rilievo
indiretto sul piano del rapporto individuale di lavoro, quale parametri per la determinazione della
giusta retribuzione ex art. 36 Cost.
QUINDI: potemmo dire che le S.U. hanno provveduto ha reimpostare la questione nei suoi
termini tradizionali e consolidati.
Pur i nuovi assunti in linea di massima non rappresenta un ostacolo il principio della parità
di trattamento —> in quanto secondo l’orientamento prevalente l’ordinamento italiano
non prevede tale principio.
La questione del venir meno della parte retributiva del c.c. scaduto non deve essere
confusa con una diversa questione che riguarda: l’eventuale sopravvivenza di quei
trattamenti economici e normativi che trovano fonte nel c. Individuale -> si tratta della
129
ipotesi in cui, a livello individuale sia pattuito un livello di trattamento più favorevole di
quello previsto dal c.c.
Ciò sembra sufficiente a risolvere in senso positivo la questione della sopravvivenza di tali
clausole alla scadenza del c.c., MA la soluzione in realtà non è cosi semplice, in quanto
questi trattamenti possono essere oggetto di RIASSORBIMENTO, e venire perciò meno
con la sopravvenienza del nuovo c.c.
—> corrisposti per ragioni non attinenti alle qualità personali del singolo lavoratore
—> per essi vale la presunzione semplice di assorbimento: essi sono dunque
. conglobati nel nuovo trattamento retributivo previsto dal nuovo c.c., a meno che:
—> sono invece sottratti al assorbimento, restando perciò in vita e si cumulano al nuovo
. trattamento retributivo
—> la ragione di questa differenza, rappresentata dal cumulo di detti super minimi, sta
. nella estraneità di tali clausole, di carattere strettamente personale, all’area coperta
. dalla contrattazione collettiva.
—> l’onere della prova che il super minimo sia effettivamente “di merito” e non”generico”
grava sul lavoratore che ne chiede la conservazione.
In Conclusione:
Le clausole più favorevoli del c.individuale possono sopravvivere alle modificazioni che
intervengono a livello della fonte di disciplina del rapporto di lavoro ( il c.c. ), MA:
- da un lato -> deve trattarsi di trattamenti più favorevoli che trovano effettivamente la
loro fonte nel c.individuale
- dall’altro -> deve trattarsi di clausole più favorevoli stipulate intutitu personae
130
Quando al contratto collettivo scaduto faccia seguito il rinnovo del contratto, si verifica la
secessione della nuova disciplina alla precedente.
La secessione apre il problema della sostituzione dei trattamenti previsti dal c.c. scaduto
con i nuovi trattamenti.
quali siano le circostanze in cui possa verificarsi la successione/sostituzione del nuovo c.c.
al precedente.
La questione si pone quando le parti che hanno stipulato il nuovo c.c. non sono le
medesime che hanno stipulato il precedente —> è il caso di quei c.c. separati
Per co prendere al meglio quali siano i problemi coinvolti faremo ricorso ad un esempio
storico: IL CASO DEL RINNOVO “SEPARATO” DEL CCNL DEI METALMECCANICI
Alla luce dell’orientamento interpretativo di cui abbiamo fatto riferimento nel capitolo
precedente, il datore di lavoro iscritto all’organizzazione datoriale che ha stipulato il c.c. si
obbliga ad applicare il contratto vigente a tutti i propri dipendenti, indipendentemente
dalla loro affiliazione sindacale.
La circostanza che una o più delle organizzazioni sindacali che avevano stipulato il
precedente co rato non avessero sottoscritto anche quello nuovo era stata fin qui
considerata, in linea di principio, priva di rilevanza.
MA queste regole sono state elaborate in via interpretativa quando sussisteva una unità di
azione sindacale, e quando dalla applicazione del nuovo c.c. di categoria i lavoratori
traevano vantaggio—> il quadro muta quando venga a meno l’unità di azione
sindacale
La vicenda più importante finita nella aule giudiziarie è quella legata al c.c. dei metalmeccanici,
che ha fatto da sfondo al "CASO FIAT”:
- Il CCNL dei metalmeccanici del 2008 ( in vigore fino al 31 dicembre 2011, ma ultrattivo) era
stato disdettato nel 2009 da FIM-CISL e UILM nella prospettiva della attuazione delle nuove
regole di cui agli AQ e AI di attuazione del 2009, non sottoscritti dalla CGIL.
- Questi sindacati avevano quindi situato con Federmeccanica il 15 ottobre del 2009 un accordo
“separato”.
- Scaduto il c.c. del 2008 si erano aperte le trattative per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici:
Federmeccanica di intesa con FIM-CISL e UILM-UIL avevano escluso dalle trattative la
FIOM, in quanto non firmataria dell’accordo “sperato del 2009”, stipulato mentre era
ancorai vigore il CCNL del 2008 che era stato invece sottoscritto anche dalla FIOM
- Le parti hanno ritenuto che il rinnovo avesse come base di partenza l’a corso del 2009 e gli
accordi successivi, con i quali era stato modificato il CCNL del 2008.
- La FIOM aveva fatto ricorso contro la esclusione dalle trattative, ma il giudice le aveva dato
torto
131
A) Il primo e principale problema è se, essendo ancora vigente il c.c. unitario del 2008, un
nuovo contratto ( accordi del 2009 e successivi ) potesse sostituirlo, non essendo stato
sottoscritto dal sindaco maggiormente rappresentativo della categoria: FIOM-CGIL, che
giudicava il nuovo c.c. peggiorativo rispetto al precedente.
Premettiamo che la dottrina prevalente è concorde nel ritenere che nulla impedisca alle
parti o una sola di esse di recedere dal contratto prima della scadenza, e soprattuto di
sovrapporre al primo un nuovo contratto; anche la maggior parte dei giudici che sia Ono
pronunciati sulla questione a seguito dei ricordi promossi dalla FIOM è stata di questo
avviso.
MA se a stipulare il nuovo contratto sono alcune e non tutte le parti che hanno stipulato il
c.c. precedente, e questo contratto è ancora in vigore, si verifica una situazione di:
“CONCORRENZA TRA VECCHIO E NUOVO CONTRATTO”
—> in sostanza: il problema della sostituzione si risolve nel problema della applicabilità
del nuovo contrato ai lavoratori che, aderendo al sindacato non firmatario pretendono di
vedersi applicato (fino alla scadenza) il contratto precedente.
Come si risolve?
2. Per il secondo orientamento, la tutela della libertà sindacale dei lavoratori legittima il
loro rifiuto di vedersi applicato un contratto collettivo non firmato dal sindaco al quale
aderiscono.
Questa risposta rimette in discussione la regola giurisprudenziale che vincola il datore
di lavoro ad applicare uniformemente il c.c. a tuti i propri dipendenti, prospettando la
necessità di tornare alla concezione della rappresentanza sindacale come
rappresentanza dei soli iscritti al sindacato o, al massimo, dei soli lavoratori
consenzienti.
132
- in primo luogo trascura di considerare che, almeno quando il datore di lavoro sia
iscritto alla organizzazione stipulante, il c.c. opera come fonte eteronoma e la sua
vincolatività non dipende dalla recezione nel contratto individuale mediante
clausola di rinvio
ORIENTAMENTO PREVALENTE: nella giurisprudenza formatasi sin qui sulla vicenda è nel
senso della non applicabilità del nuovo c.c. separato ai lavoratori aderenti al sindacato
non firmatario, o che comunque non abbiano espressamente richiesto l’applicazione del
nuovo contratto separato.
Tuttavia secondo alcuni giudici, gli aumenti salariali previsti dal nuovo contratto collettivo
devono essere applicati a tutti i dipendenti, in quanto la mancata applicazione
costituirebbe una discriminazione collettiva vietata dall’art.16 St.Lav. —> decisione e
valutazione comunque opinabile.
B) Un secondo problema è se, una volta scaduto un CCNL che sia stato sottoscritto solo
da alcune organizzazioni sindacali, il sindacato non firmatario possa essere escluso dalle
trattative per il rinnovo del contratto. Qui le risposte possono variare a seconda della
peculiarità del caso che si esamina
Il caso, che ha portato alla attenzione di tutti i l problema della composizione del tavolo
negoziale è quello del rinnovo del CCNL dei metalmeccanici, dalle cui trattative
federmeccanica, d’intesa con FIM-CISL e UILM-UIL avevano escluso la FIOM.
Nel caso il problema si è posto perchè con l’AI 28 giugno 2011 le Confederazioni avevano
concordantemente definito una siterei di regole relative sia alla composizione del tavolo
negoziale, ammettendo solo i sindacati che raggiungessero la soglia di rappresentatività
del 5%, sia alla funzione del CCNL di garantire trattamenti economici e normativi uniformi
a tutti i lavoratori destinatari.
Tali regole sono state successivamente confermate dal Protocollo del 2013 e dal T.U.
sulla rappresentanza 2014.
La FIOM esclusa dal tavolo delle trattative per volontà non solo di Federmeccanica ma
anche di FiM-CISL, UILM-UIL, aveva contestato in giudizio a tuti questi soggetti
l’inadempimento degli obblighi contrattuali assunti con la stipulazione del AI del 2011, alla
quale si sarebbero dovuto attenere le Federazioni di categoria che aderiscono alle
Confederazioni firmatarie, chiedendo inoltre al giudice di annullare il CCNL nel frattempo
eventualmente stipulato.
Ad avviso del giudice, l’AI è fonte di obbligazione per le sole Confederazioni firmatarie; la
Federazione che adotta comportamenti non coerenti con quanto disposto dall’AI
133
Il giudice ha quindi preliminarmente escluso che l’AI 28 giugno 2011 fosse fonte di
obbligazione per Federmeccanica, FIM-CISL, UILM-UIL, e dunque che imponesse la
presenza al tavolo delle trattative dei sindacati che avessero raggiunto il 5%; di
conseguenza ha escluso che dall’AI potesse derivare l’imposizione di un obbligo a
trattare con il sindacato rappresentativo; perciò ha respinto il ricorso della FIOM.
I diritti quesiti
Torniamo ora all’ipotesi, largamente diffusa nella pratica, in cui non è contestata la
successione di un c.c. nazionale ad un precedente c.c., stipulato dagli stessi soggetti e
per la medesima categoria.
Una massima giurisprudenziale ormai consolidata afferma: in caso di successione tra c.c.
di didietro comune, dello stesso livello ma anche di diverso livello, le clausole del nuovo
contratto si sostituiscono in toto alle precedenti:
“Le disposizioni dei c.c. non si incorporano nel contenuto dei c.individuali dando luogo a
diritti quesiti sottratti al potere dei sindacati, MA invece operano dall’esterno sui singoli
rapporti di lavoro come fonte eteronoma di regolamento concorrente con la fonte
individuale.
La sostituzione del nuovo al vecchio contratto non può però incidere sui:
—> il diritto quesito non si congiura invece quando si sia in presenza di stazioni future o
di fattispecie in via di consolidamento relative alla naturale evoluzione del rapporto di
lavoro.
Un problema diverso si pone nel caso della modifica con effetto retroattivo, ad opera di
un successivo c.c., della disciplina di:
134
La questione dell’effetto retroattivo della modifica in pejus è stata risolta dalla Cassazione
con la S. 4839/2001, sulla base di 3 regole interconnesse:
In dottrina, per contro, si sottolinea come mentre deve escludersi che rientri nel potere
negoziale dei sindacati disporre di diritti dei lavoratori che trovano al loro fonte nella legge
o nel c.individuale di lavoro, rientra invece nella: “attività di amministrazione del contratto
collettivo” e alla competenza propria dei sindacati, la stipulazione di accordi diretti a
risolvere delle controversie interpretative o di applicazione del contratto collettivo in
vigore —> tali accordi modificando il contratto travolgono anche delle situazioni di debito/
credito che da esso traevano origine —> in tale ultimo caso resta però ferma l’intangibilità
dei diritti nascenti del c.c. ma che per essersi perfezionati in capo al soggetto individuale,
rientrano ormai nella sua sfera dispositiva —> alla fine, dunque, il limite al potere
dispositivo delle organizzazioni sindacali è rappresentato dai diritti quesiti dei lavoratori.
In dottrina —> si discusse a lungo sulla natura giuridica dei contratti stipulati dalle CI,
135
La Cassazione affermò (fine anni 60’, inizio 70’) allora che il contratto aziendale:
“Non è la somma di contratti individuali conclusi tra il datore di lavoro e singoli lavoratori,
ma un atto generale di autonomia negoziale che, concernendo una pluralità di lavoratori
collettivamente considerati e soggettivamente non identificati nel contratto e identificabili
solo quando entrino a far parte di una determinata azienda, realizza una uniforme
disciplina dell'interesse collettivo di costoro con efficacia normativa generalizzata, che è
tipica della contrattazione collettiva anche se limitata ad una sola azienda”
lavoratori non iscritti ai sindacati provinciali che avevano stipulato il contratto, ma solo in
teoria, perchè nella pratica mancarono le occasioni per occuparsene —> perchè:
- il ciclo conflittuale degli ultimi anni 70’ travolse il sistema della contrattazione articolata,
facendo svolgere al c.aziendale una funzione non integrativa ma sostitutiva/
modificativa del CCNL
L’efficacia generale del c.aziendale -> cioè nei confronti di tutti i lavoratori occupati
nella azienda:
era comunemente affermata o presupposta; questo perchè il contrato prevedeva in
genere trattamenti migliorativi per tutti i lavoratori dell’impresa, non vi era interesse ne per
il datore di lavoro che lo stipulava, ne dei lavoratori che ne traevano vantaggio di
metterne in discussione l’efficacia generale.
- d’altra parte, il legislatore faceva sempre più spesso rinvio alla contrattazione collettiva
(anche aziendale) devolvendole il potere di introdurre deroghe a talune disposizioni di
legge. Anche in questo caso si poneva il problema dell'efficacia del contratto aziendale,
quando a stipularlo fossero soggetti (come le RSA, o come gli stessi CdF) privi di
potere di rappresentanza generale dei lavoratori nell'ambito dell’azienda.
136
orientamenti giurisprudenziali
In mancanza di discipline legali e contrattuali a cui fare riferimento, il problema legato alla
efficacia soggettiva del c.aziendale è stata in passato ripetutamente affrontato dalla
giurisprudenza.
1993 -> solo in questo anno con Il P. 1993 sopravvenne la disciplina contrattuale che
regolava:
|QUINDI|: la giurisprudenza ha elaborato una propria teoria, che però oggi deve fare i
conti con le nuove discipline contrattuali legali che sono sopravvenute nel tempo, nelle
quali l’efficacia del c.aziendale è stata direttamente collegata alla rappresentatività dei
soggetti stipulanti.
La Cassazione ha affermato: “il c.c.aziendale, che si trova in una condizione paritaria quanto a
forza giuridica rispetto al c.c. di superiore livello (CCNL), vincola, indipendentemente dalla loro
affiliazione sindacale, tutti i lavoratori della azienda, stante l’attitudine del c.aziendale ad
incidere su interessi collettivi indivisibili dei lavoratori”
Oppure:
Un interesse collettivo indivisibile, che giustifica l'efficacia generale del contratto collettivo
aziendale, pareva alla Corte ravvisabile quando la deroga in pejus fosse in qualche modo
compensata da un vantaggio corrispondente ad un interesse collettivo dei lavoratori (ad
esempio, si diminuisce la retribuzione, ma si salvano posti di lavoro); dove tale
compensazione mancasse del tutto, il contratto avrebbe vincolato solo coloro che sono
vincolati in base alle regole della rappresentanza associativa (dunque gli iscritti al
sindacato o gli aderenti alle RSA stipulanti).
Dalla Giurisprudenza più recente si è ottenuta ad oggi, in conclusione, questa regola, che
rappresenta una correzione parziale alla teoria sopra detta:
Il c.c.aziendale ha una efficacia generale intrinseca, che non viene negata, anzi viene
ribadito che l’estensione generalizzata dell’efficacia soggetti dei c.c.aziendali costituisce
una regola generale in ragione degli interessi collettivi inscindibili che perseguono; ma
mette anche in evidenza come il principio di libertà sindacale imponga di non estendere
l’efficacia del c.c.aziendale ai lavoratori che, aderendo ad un sindacato diverso da quello
che ha stipulato il contratto, ne condividano il dissenso.
137
Il problema della officia soggettiva del c.c.aziendale ha trovato una soluzione a sé nel
caso di quegli accordi collettivi ai quali si attribuisce una:
Si tratta di accordi che non hanno la funzione di predeterminare il trattamento economico e normativo dei
lavoratori, bensì quella di concordare un provvedimento di gestione del personale.
Questi accordi non producono direttamente effetti sui rapporti individuali di lavoro, e
dunque:
“Non appartengono alle specie dei c.c. normativi, i soli contemplati dall’art.39 c.4 cost.,
destinati a regolare i rapporti individuali di lavoro di una o più categorie professionali o di
una o più singole imprese. Si tratta di un tipo diverso di contratto, la cui efficacia diretta si
esplica solo verso degli imprenditori stipulanti o del singolo imprenditore nel caso di
accordo aziendale” —> S.268/1994 Corte Cost.
Sempre secondo la Corte Cost, la questione dell’efficacia erga omnes non si pone in
riferimento a questo tipo di contratti gestionali: l’imprenditore che al contratto si è
vincolato lo applicherà nei confronti di tutti i suoi dipendenti; ove si tratti di un c.c.
previsto dalla legge, l’efficacia nei confronti dei singoli lavoratori si fonda sulla legge (che
rinvia appunto al c.c.)
CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ
Una considerazione a sé meritano i contratti di solidarietà previsti dalla legge n. 863/1984
e successive modificazioni.
Si tratta di contratti collettivi aziendali stipulati dal datore di lavoro con le associazioni
aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, per il
raggiungimento di due distinti obiettivi:
138
Nell’AI 28 giungo 2011 le parti sociali avevano affrontato il problema dell’efficacia generale
del c.aziendale partendo dai soggetti della contrattazione aziendale.
Le regole stabilite dall’AI sono state ribadite nel T.U. 2014, ed ora daremo conto delle
regola da questo previste:
Della Parte: DATORE DI LAVORO —> non si pongono problemi particolari perchè il
soggetto stipulante è lo stesso datore di lavoro, che stipula il contratto per conto proprio
o con l’assistenza della associazione imprenditoriale d appartenenza, ed assume in
proprio le obbligazioni di cui il contratto è fonte.
Della parte dei: LAVORATORI —> si pongono problemi a causa della possibile presenza
in azienda di rappresentanze diverse: RSU O RSA
- P.1993 agente contrattuale era la RSU e la sua competenza era però concorrente con quella delle
strutture territoriali dei sindacati firmatari del CCNL di categoria.
- AI del 2011 conferma la scelta a favore della RSU ma aveva però attribuito implicitamente alla RSU
competenza contrattuale esclusiva
- T.U. 2014 conferma l’Ai 2011
Quando a stipulare il contratto collettivo aziendale è la RU, e questo organismo collegiale e unitario è
l'unico interlocutore del datore di lavoro, era convinzione già diffusa che il contratto avesse efficacia
generale —> come ha affermato un giudice, «il contratto stipulato dalla RU è vincolante per tutti i
lavoratori che hanno partecipato all'elezione perché il mandato che ha ad oggetto proprio la gestione
degli interessi indivisibilmente riferiti all'azienda, si sovrappone al rapporto associativo»; «nel voto deve
ritenersi compresa la volontà del lavoratore di accettare le regole elettorali e quindi la rappresentanza dei
soggetti risultati vincitori».
QUINDI: la RSU, essendo eletta a scrutinio universale dai lavoratori dell'impresa, li rappresenta tutti:
anche quelli che hanno votato per candidati della minoranza, o addirittura per candidati non eletti,
ed anche quelli che non sono andati a votare, avendone il diritto.
Tuttavia occorre tenere presente che: all’interno delle RSU sono normalmente presenti una maggioranza e
una minoranza, e spesso l’operato della maggioranza non è condiviso da quello della minoranza e ove si
tratti della sottoscrizione di un accordo, avviene che la minoranza lo contesti, e pretenda che non sia
applicato anche ai lavoratori che nella minoranza si riconoscono —> per dare al problema del possibile
conflitto interno alla RSU una soluzione nel senso dell’efficacia generale del c.aziendale l’AI 2011 aveva
stabilito che:
“Ai c.c.aziendali per le parti economiche e normative sono efficaci per tutto il personale in forza e 139
vincolano tutti i sindaci, espressione delle confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo
interconfederale, operati all’interno dell’azienda se approvati dalla maggioranza dei componenti delle RSU”
Scaricato da Roberto Giuliani (robertogiuliani96@hotmail.com)
lOMoARcPSD|11578335
L’applicazione alla RSU della regola dei maggioranza viene rafforzata dal T.U. 2014, che alla efficacia
generale, già prevista dall’AI del 2011, aggiunge la: esigibilità del c.c.aziendale approvato appunto dalla
maggioranza.
L’esigibilità è a sua volta rafforzata dalla prevista definizione di una: clausola di tregua sindacale —> che
obbliga tutte le componenti delle RSU, incluse le minoranze dissenzienti, ad astenersi da comportamenti
attivi od omissivi che impediscono l’esigibilità dei c.c.aziendali, approvati alle condizioni previste e
disciplinate dal T.U.
In tutte le ipotesi in cui al tavolo della contrattazione aziendale non siedano tutti i soggetti che
rappresentano i lavoratori, e in tutte le ipotesi in cui l’accordo non porti la firma di organizzazioni sindacali
rappresentative, si pone il problema dell’efficacia soggettiva dell’accordo.
Anche su questa controversa questione (resa scottante dalle vicende della contrattazione aziendale FIAT
derogatoria "separata") era intervenuto l'AI del 2011. In tale accordo le parti, pur avendo l'evidente
intenzione di rilanciare le RSU, sembravano avere accettato l'idea che in aziende, che pure aderiscono a
Confindustria (e dunque tenute all'epoca ad applicare il Protocollo e l'AI del 1993, per questa parte allora
vigenti), la rappresentanza dei lavoratori potesse essere affidata, anziché alla RSU, alle RSA costituite ai
sensi dell'art. 19 St. lav.
La situazione è stata chiarita con il Protocollo del 2013 e il T.U. 2014, che:
- d'altra parte regolano il rapporto tra RSU e (residuali) RSA nel modo che abbiamo già detto.
Per quanto riguarda l’efficacia soggettiva del c.c. aziendale stipulato dalle RSA, il T.U. detta le
seguenti regole:
“In caso di presenza di RSA costituite ex art.19, i suddetti c.c.aziendali esplicano pari efficacia”, cioè
efficacia nei confronti di tutti i lavoratori della azienda, “se approvati dalle RSA costituite nell’ambito di
associazioni sindacali che, singolarmente o insieme ad altre, risultino destinatarie della maggioranza
delle deleghe relative ai contribuiti sindacali conferite dai lavoratori della azienda nell’anno precedente a
quello in cui avviene la stipulazione, rilevati e comunicati direttamente dall’azienda.
Inoltre, i contratti collettivi aziendali approvati dalle RSA con le modalità sopra indicate devono essere
sottoposti: al voto dei lavoratori promosso dalle RSA a seguito di una richiesta avanzata, entro 10 giorni
dalla conclusione del contratto, da:
Per la validità della consultazione è necessaria la partecipazione del 50% +1 degli aventi diritto al voto.
L'intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza semplice dei votanti».
1. Riguarda il criterio maggioritario adottato: la maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali
fa riferimento al dato associativo —> il c.c.aziendale per essere efficace verso tutti i lavoratori dovrà
essere stipulato dalle RSA costituite nell’ambito dei sindacati che, nel c.aziendale, hanno il maggior
numero di iscritti
2. Riguarda la verifica del consenso/dissenso dei lavoratori destinatari del c.c.aziendale —> è qui
prevista la eventuale verifica ex post del dissenso della maggioranza dei lavoratori ai quali si pretende
che il c.aziendale sia applicato, indipendentemente dal fatto che siano stati rappresentanti nella
negoziazione, perchè non sindacalizzati o aderenti ad un sindaco escluso dalla negoziazione
140
LE DIFFERENZE TRA TALI REGOLE STA NELLA DIVERSITÀ DEI SOGGETTI STIPULANTI:
Le RSA non sono elette dai lavoratori, ma costituite ad iniziativa dei lavoratori nell’ambito di sindaci ai
quali aderiscono; di conseguenza non rappresentano la generalità dei lavoratori, ma ciascuna i lavoratori
che in essa si riconoscono —> per poter applicare il c.aziendale stipulato da una RSA anche ai lavoratori
non rappresentati, le parti sociali hanno ritenuto necessario adottare un meccanismo che consenta di
verificare anzitutto il consenso delle RSA maggioritarie, e in secondo luogo die lavoratori destinatari.
La deroga in meluis non provoca infatti normalmente problemi, a meno che il CCNL non
preveda inderogabilità.
ritrovata l’unità tra le maggiori confederazioni sindacali almeno sulla definizione delle regole
- AI unitario 28 giugno 2011 —> che pur, confermando la previsione di possibili deroghe
al CCNL ad opera del c.aziendale, a tuttavia assoggettato la stipulazione di Italia
accordi derogatori a condizioni diverse rispetto al 2009.
In questo paragrafo ricostruiamo lo stato della questione dei rapporti tra c.c. di diverso livello,
partendo dalla giurisprudenza, per andare alle regole dettate dalle parti sociali fino poi alle regole
dettate dal legislatore.
A) Giurisprudenza
Va premesso l’orientamento in merito: all’efficacia soggettiva del c.c.aziendale che, come
detto, è favorevole a riconoscere l’efficacia generale, salvi i casi di aperto dissennò dei
lavoratori non rappresentati nella negoziazione.
- ablativi
- gestionali —> termine usato in questo caso nel senso della gestione di una crisi
aziendale, alla quale le parti fanno fronte mediante la stipulazione di un accordo
141
3. Di rendere più flessibile l’uso della forza lavoro in cambio di controparte in termini
I giudici escludono infatti anche in questo caso l'applicabilità dell'art. 2077 cod. civ., e
dunque la prevalenza del trattamento più favorevole.
La Cassazione in un primo tempo aveva ritenuto che il problema del conflitto tra contratti collettivi di
diverso livello potesse essere regolato in base al criterio cronologico:
secondo cui la norma successiva prevale comunque sulla norma precedente —> la tesi era fondata sul
presupposto della pari dignità tra:
- c.c.aziendale (atto di autonomia negoziale che ha la funzione e l'efficacia normativa tipica di ogni c.c.)
La tesi della prevalenza del contratto successivo (1980), ma non il suo presupposto cioè la pari dignità e
funzione dei contratti collettivi indipendentemente dal livello, è stata successivamente abbandonata dalla
S.C., con il decisivo argomento che:
l'applicazione di tale criterio presuppone che si tratti di norme provenienti dalla stessa fonte, mentre nel
caso si tratta di fonti diverse, dotate di pari forza giuridica, e di reciproca autonomia.
La Corte, pur mostrando un certo cauto favore per la tesi della prevalenza del:
- contratto aziendale in quanto norma speciale -> più vicina alle situazioni da regolare,
suggerita da un settore della dottrina, ha ritenuto che il problema possa essere risolto avvalendosi
piuttosto del criterio della competenza:
in base a tale criterio, è legittimo l'accordo aziendale derogatorio in pejus, se la deroga ha ad oggetto
una materia per la quale la contrattazione aziendale può essere ritenuta, interpretando la volontà delle
parti, competente a disporre.
1. i livelli di contrattazione diano vita ad un sistema funzionalmente coordinato, dal quale sia possibile
dedurre l'esistenza di norme giuridicamente vincolanti in ordine alla ripartizione delle competenze
contrattuali, e
2. i contratti di diverso livello siano conclusi tra soggetti collegati tra di loro nell'ambito di un sistema
organizzato di ripartizione delle competenze.
È questo il caso della contrattazione aziendale successiva al Protocollo del 1993, che si collocava
nell'ambito del sistema contrattuale da questo delineato.
Ciò non toglie tuttavia che nella contrattazione aziendale si verificassero casi di violazione dei limiti di
competenza.
La giurisprudenza, d'accordo con l'opinione prevalente in dottrina, ha ritenuto che le clausole del
Protocollo relative alla competenza dei diversi livelli contrattuali avessero: natura obbligatoria e non
normativa, e che la loro violazione non avesse effetto sulla validità del contratto con cui i limiti erano
stati violati.
Come vedremo oltre (sub b), le regole contrattuali sulla competenza derogatoria della
contrattazione aziendale sono mutate: ma la loro qualificazione come regole della
parte obbligatoria del contratto collettivo sembra ancora attuale.
142
B) Le parti sociali
La competenza della contrattazione aziendale a deroghe al c.nazionale è stata negli ultimi
anni al centro di un dibattito, nel quale si è fatta largo spazio l’opinione favorevole a
liberare, almeno in parte, la contrattazione aziendale dal vincolo del rispetto del
c.nazionale.
Il T.U. sulla rappresentanza, che riproduce quanto già detto nel AI 2011, ha previsto la
“clausola di uscita”, vale a dire la possibilità che il c.c.aziendale introduca deroghe,
dette specifiche intese nelle quali rientrano anche le deroghe in pejus, al c.nazionale.
1) Nella prima parte è prevista la possibilità che siano stipulati c.c.aziendali derogatori,
ma nei limiti e con le procedure previste dal c.c.nazionale
—> tali contratti avranno efficacia generale se stipulati secondo le regole illustrate
sopra, relative all’efficacia erga omnes del c.c.aziendale (maggioranza della RSU,
oppure RSA maggioritarie ed esito negativo dell’eventuale referendum abrogativo)
(b) Al caso, anche futuro, nel quale il c.nazionale non disponga in materia
Il contratto dovrà essere stipulato d'intesa, e cioè congiuntamente, tra la RSU o le RSA e i
sindacati territoriali aderenti alle Confederazioni firmatarie dell'Accordo Interconfederale
—> il contratto dovrà dunque trovare il consenso degli organismi rappresentativi di livello
Non è però chiaro se, nei casi (a) e (b), ai fini dell'efficacia generale dei contratti derogatori
dovranno essere applicate le stesse regole che si applicano nell'ipotesi 1: la coerenza
interna dell'Accordo farebbe propendere per la risposta positiva.
• Art.8 L.148/2011 —> ha dettato, sotto il titolo di “sostegno della contrattazione collettiva
di prossimità”, nuove regole in materia di efficacia dei c.aziendali e territoriali derogatori
Comma 2-> sono elencate le materie sulle quali può intervenire la contrattazione aziendale
(o territoriale) derogatoria.
Comma 2-bis -> la competenza derogatoria è estesa anche alle leggi in materia di lavoro,
fatti salvi solo il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle
normative comunitarie e convenzioni internazionali sul lavoro —> aprendo
seri interrogativi alla conformità di una simile previsione a fondamentali
principi costituzionali
OSSERVAZIONI:
I. I limiti sostanziali/funzionali che l’AI del 2011 pone alla contrattazione aziendale
vengono forzati: ai sensi dell’art.8 la contrattazione aziendale/territoriale può infatti
intervenire su una serie di materie, assai più ampia e genericamente indicata rispetto
a quella prevista dall’Accordo —> che era ampia ma limitata alle gestione di situazioni
di crisi o alla presenza di investimenti significativi.
Questo ampiamente del raggio di azione di una contrattazione collettiva aziendale
mette in discussione il ruolo centrale fino ad ora affidato al CCNL, che le parti hanno
affermato nel AI 2011, e ribadito negli accordi unitari successivi.
Tale ampliamento deve essere controllato, pena la modificazione del ruolo del
contratto aziendale
- Gli Al —> prevedono che le clausole di uscita possano essere stipulate, a regime:
solo nei limiti e con le procedure previste dal contratto nazionale di categoria (in
via transitoria, o nel silenzio del contratto collettivo varranno le regole richiamate sopra,
sub ipotesi 2).
- L'art. 8, comma 1 —> non fa invece alcun riferimento al contratto collettivo nazionale,
prevedendone solo la derogabilità ad opera della contrattazione aziendale o territoriale:
la legge autorizza perciò una contrattazione locale del tutto svincolata da quella
nazionale, e dunque al di fuori del sistema previsto dagli AI.
É vero che questa previsione impedisce certo alle parti sociali di ricondurre la
contrattazione locale sotto il controllo della contrattazione nazionale;
ma non è meno vero che un contratto aziendale che, pur violando le regole imposte
dagli AI, fosse conforme alla legge, non potrebbe essere giudicato invalido.
III. Differenze notevoli corrono tra la disciplina interconfederale e l'art. 8 relativamente alla
definizione dei soggetti stipulanti gli accordi derogatori dotati di efficacia generale:
144
Diversamente da quanto previsto nell'AI, che individua come agenti contrattuali a livello
aziendale la RSU o le RSA, il legislatore assegna la competenza contrattuale a (e non ai)
sindacati comparativamente più rappresentativi non solo sul piano nazionale, ma
anche sul piano territoriale: ciò che costituisce la rottura di una consolidata tradizione
(che ha sempre misurato la rappresentatività su base nazionale), a favore di un criterio
molto incerto;
- il richiamo all’AI è alla lettera limitato alle sole “rappresentano sindacali” e non è invece
esteso all’insieme delle regole dettate al fine di garantire che il c.aziendale derogatorio
sia stipulato da soggetti che rappresentano la maggioranza dei lavoratori interessati,
con regole giustamente differenziate a seconda che a stipulare siano RSA o RSU
- l’art.8 si riferisce ance alla contrattazione territoriale che non è invece prevista dall’AI
- la contrattazione aziendale efficace erga omnes vive, nella previsione del legislatore, al
di fuori di un sistema contrattuale regolato, come lo è invece dal punto di vista dei
vincoli sostanziali e procedurali nell’AI.
• Art.51 D.lgs 81/2015—> Gli interrogativi lasciati dall’art.8 sono molti e per risolverli si
attende appunto l’intervento del legislatore che per molti è questo art.51
Art.51 specifica che: “i contratti collettivi ai quali la legge fa rinvio (lo stesso d.lgs 81/2015
e leggi successive) sono:
- “i c.c.aziendali stipulati dalle loro rappresentanza sindacali aziendali (RSA) ovvero dalla
rappresentanza sindacale unitaria” (RSU)
QUINDI: ove la legge non specifichi il livello contrattuale al quale fa rinvio, deve ritenersi
che il rinvio operi indifferentemente al livello nazionale e a quello aziendale, rispetto al
quale ultimo l’art.51 stabilisce solo i requisiti soggettivi dell’agente contrattuale abilitato.
Al riguardo, oltre a “legificare” le RSU (la cui fonte istituiva è, e resta, contrattuale), sia
pure in via indiretta, e limitatamente alla competenza contrattuale aziendale, il legislatore
prede in considerazione i c.c. aziendali stipulati dalle RSA che fanno capo a (non ai)
sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.
Il legislatore non solo non tiene conto delle regole fissate nel T.U. 2014 per la verifica della
effettiva rappresentatività nell’ambito negoziale, ma interviene indirettamente anche
sull’art.19 St.Lav., individuando nelle sole RSA costituite nell’ambito delle associazioni
145
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale quelle dotate, in via esclusiva,
della competenza a contrattare sulle materie oggetto del rinvio da parte della legge.
Nel tempo:
- Protocollo del 1993—> aveva previsto una durata determinata per i c.aziendali di 4 anni
- AI 2011 e successivi —> nulla dicono, quindi si intende confermata la durata di 3 anni
Premesso questo, è avvenuto speso in passato che c.aziendali stipulati nelle aziende
fossero privi di scadenza.
146
Molto più problematica la soluzione nel caso in cui il trattamento più favorevole di una
determinata collettività di lavoratori trovi fonte in un uso aziendale
• 1996 —> S. 9690/1996 Cassazione ha ispirato un nuovo orientamento in base al quale: l’uso
aziendale è definito come fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo, che agisce sul piano
dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.
L’uso aziendale presuppone non già una semplice reiterazione di comportamenti, ma uno specifico
intento negoziale di regolare anche per il futuro determinati aspetti del rapporto lavorativo.
Tale orientamento equipara gli effetti dell’uso aziendale a quelli del c.c.aziendale.
Tale orientamento riporta l’uso aziendale all’intento della dialettica dei rapporti collettivi.
Sollecitato dalla dottrina che avare criticato il precedente nella convinzione che i trattamenti collettivi
che i giudici riconducevano a comportamenti individuali e spontanei del datore di lavoro, dovessero
essere invece ricondotti ad accordi collettivi aziendali, anche informali o taci, in difetto di un
interlocutore sindacale.
Occorre in proposito rilevare che, se effettivamente la fonte del trattamento fosse un uso aziendale
assimilabile (alla luce della volontà delle parti) ad un accordo collettivo, la questione della sopravvivenza
del trattamento ad un accordo collettivo successivo che ne prevedesse la soppressione dovrebbe essere
senz'altro risolta facendo ricorso ai criteri elaborati per regolare la successione tra contratti del medesimo
livello.
Ci pare tuttavia che non si possa presumere sempre e assolutamente che si tratti di un accordo collettivo e
non invece di comportamento unilaterale e spontaneo del datore, e che tutto alla fine debba risolversi
(come peraltro affermano i giudici) nella ricostruzione della volontà delle parti.
- conferma l'assimilazione dell'efficacia dell'uso aziendale sul piano dei rapporti individuali a quella del
c.c.aziendale,
- qualifica l'uso aziendale come "fonte sociale” —> così definendo le fonti eteronome:
- contratto aziendale,
- regolamento d'azienda,
- usi aziendali
147
dirette a disciplinare in modo uniforme i rapporti di lavoro con riferimento alla collettività impersonale
Scaricato da Roberto Giuliani (robertogiuliani96@hotmail.com)
lOMoARcPSD|11578335
- nazionale di categoria,
- territoriale,
- aziendale
Una risposta a questo problema il legislatore l’ha fornita con la l’art.51 rinviando
ciò che abbiamo detto e diremo oltre.
B) Il secondo problema è quello: dell’efficacia soggettiva dei c.c. ai quali la legge abbia
delegato la funzione di integrare, sostituire o modificare la disciplina legale di un
determinato istituto (ancora una volta al di fuori della ipotesi regolata dall’art.8).
3 OPINIONI DIVERGENTI:
1. Ritiene che i c.c. a cui la legge fa rinvio abbaino efficacia erga omnes —> Ci sono
varie spiegazioni di questa opinione:
- una sta nel vedere nel rinvio una vera devoluzione di funzioni normative dalla
legge alla contrattazione collettiva, in ragione della quale il c.c. sarebbe dotato
della stessa efficacia generale propria della legge devolvente. Il c.c. delegato
diverrebbe una fonte extra ordinem.
- L’altra si basa sulla maggiore rappresentatività dei sindacati che li hanno
stipulati, rappresentatività che giustificherebbe la supremazia del c.c. stipulato
da questi sindacati su altre pattuizioni collettive e sulle pattuizioni individuali
degli iscritti e dei non iscritti
2. Esclude la efficacia generale dei c.c. “delegati” (a cui la legge fa rinvio), criticando la
precedente per la sua “pubblicizzazione del c.c.”. Afferma che i c.c. “delegati”
rimangono atti di autonomia privata, quindi il c.c. malgrado il rinvio operato dalla
legge sarebbe ancora una fonte normativa di natura negoziale.
148
3. Concorda con la opinione (2) sulla natura dei c.c. “delegati” come atti di autonomia
privata e sulla loro efficacia soggettiva limitata -> inter partes e non ultra partes.
Ma diverge in un aspetto: le clausole contrattuali che contengono limitazioni/
modifiche / integrazioni della legge non hanno funzione normativa, ma si tratterebbe
di clausole obbligatorie, fonte cioè di obbligazione tra le sole parti stipulanti.
- le leggi che fanno rinvio alla contrattazione collettiva estendendo erga omnes l’efficacia
dei c.c. “delegati” e,
- l’art.39 c.4.
ha formato oggetto di alcune decisioni della Corte Costituzionale, che hanno aperto la
strada alla teorizzazione della: DIFFERENZIAZIONE FUNZIONALE DEI C.C.
- Teoria che consente di ritenere che non ogni intervento legislativo che direttamente o
indirettamente estenda l’efficacia dei c.c. sia in conflitto con l’inattuato comma 4.
- Si tratta della s. 268/1994 Corte Cost. nella quale quest’ultima ha qualificato come
contratti gestionali quei c.c. mediante i quali gli imprenditori si auto-limitano
nell’esercizio di un potere altrimenti libero, escludendo che per tali contratti si ponga
la questione dell’efficacia erga omnes negli stessi termini in cui si pone per i c.c. che
regolano il trattamento economico e normativo dei lavoratori —> la corte ha dunque
proposto una diversificazione funzionale che poi è stata approfondita dalla dottrina
- Livello
- Carattere gestionale
Giustamente si rileva come tutto ciò sia avvenuto in un quadro legale inadeguato, nel
quale è evidente la sproporzione tra la rilevanza dei compiti affidati alla contrattazione
collettiva dalla legge e la mancanza di regole generali e certe in materia di selezione dei
soggetti sindacali legittimati a stipulare c.c. ai quali la stessa legge attribuisce
implicitamente efficacia generale
149
la legge è inderogabile, e il c.c. può derogare ad essa solo con clausole più favorevoli
ai lavoratori.
Il c.c. non può apportare deroghe in pejus a ciò che è previsto per legge,
(derivante da plurime sentenze della corte costituzionale)
La legge quindi può porre vincoli e limiti inderogabili alla contrattazione collettiva: purché
ciò sia giustificato dalla presenza di interessi generali.
• Con la legislazione dell’emergenza della 2° metà degli anni 70’, aveva subito molte
alterazioni, che rispondevano ad esigenze di delegiferazione del diritto del lavoro —>
cioè sostituzione della fonte legale rigida con la più flessibile fonte contrattuale.
Nella legislazione del lavoro si era andato infatti progressivamente arricchendo il ruolo
della contrattazione collettiva alla quale la legge delegava direttamente funzioni
normative, chiamandola ad integrare la disciplina legale, e talora ad apportare deroghe
anche in pejus alla legge.
• Con la seconda metà degli anni 80’ —> il fenomeno di alterazione del rapporto
gerarchico aumenta: la legge ha autorizzato la contrattazione collettiva ad attenuare i
vincoli legali nella disciplina di taluni istituti contrattuali, soprattuto nel campo dei
rapporti di lavoro flessibili (contratto a termine; part-time; apprendistato; di
somministrazione) completandola o modificandola.
• Con Legge Biagi (“riforma del mercato del lavoro”) —> si sono verificate modificazioni
importanti nel ruolo assegnato dalla legge alla contrattazione collettiva, e hanno avuto
seguito nella legislazione successiva culminata con l’emanazione dei decreti legislativi
in attuazione della legge delega n°183/2014 (“Jobs Act”).
Nel diritto vigente i numerosissimi rinvii investono molteplici aspetti della disciplina del
contratto di lavoro standard e dei contratti di lavoro non standard.
• Facoltativi —> la legge prevede come non necessario l’intervento della contrattazione
collettiva -> in caso di inerzia della contrattazione c. la disciplina dell’istituto è affidata:
- all’autonomia individuale
- Funzioni di sostituzione del precetto legale -> qui la legge ha funzione suppletiva
150
- dall’altro lato perchè la legge accresce lo spazio dell’autonomia individuale (non tanto
collettiva)
Il rapporto tra legge e contrattazione collettiva così istituto mette in evidenza, ad onta del
massiccio ricorso al rinvio, la scelta del legislatore di depotenziare l’autonomia collettiva,
costringendola al ruolo “servente” di un disegno politico che trova realizzazione nella
minuziosa regolazione ad opera della legge dei rapporti di lavoro.
Problemi di costituzionalità.
+
Con la s. 221/2012 -> l’elenco delle materie in cui la contrattazione aziendale può
derogare è tassativo e la l’art.8 è una norma eccezionale e non si applica se non nei tempi
e nei casi previsti
Malgrado ciò se questa parte dell’art.8 rimarrà in vigore potrebbero manifestarsi tutte le
sue potenziali capacità di riformare radicalmente il diritto del lavoro, mettendone in
discussine un valore fondamenta: la inderogabilità della legislazione di tutela dei lavoratori
Ciò non significa che la legge non possa in alcun caso essere derogata da una disciplina
contrattuale collettiva, ma perchè la deroga non si ponga in contrasto ai principi
costituzionali che tutelano il lavoro occorre che la legge stessa definisca precisamente
quale contrattazione, quindi livello e rappresentatività dei soggetti stipulanti, ed entro
quali limiti, sia autorizzata ad operare la deroga, escludendo in ogni caso la derogabilità
delle disposizioni di legge che garantiscono diritti fondamentali dei lavoratori.
151
Tutti questi profili di incostituzionalità attendono il vaglio della Corte Costituzionale se mai
ciò sarà.
É importante rilevare in tutto questo che è ormai considerazione diffusa che l’art.8 abbia
perso buona parte del proprio rilievo:
- il parziale superamento nei fatti dell’art.8 è frutto dei d.lgs. noti come: JOBS ACT -> nel
quale il legislatore fa largo usi del rinvio alla contrattazione collettiva
• Art.51 L.81/2015 —> che individua attraverso la qualificazione dei soggetti stipulanti
tutti i c.c. (indifferentemente se aziendali o nazionali) ai quali lo stesso d. 81/2015 rinvia
I dubbi NON investono la scelta dei sindacati comparativamente più rappresentativi quali
soggetti stipulanti dei contratti collettivi nazionali di categoria ai quali la legge attribuisce
funzione normativa (integrativa o derogatoria in pejus della legge): si tratta di una scelta
collaudata, giustificata dalla necessità di selezionare i contratti collettivi ai quali è affidata
la funzione normativa, in base alla affidabilità (maggiore rappresentatività comparativa) dei
contraenti.
La selezione così compiuta dal legislatore interroga sulla ragionevolezza di una scelta che
rischia di mettere in discussione i principi fondamentali di pluralismo e democraticità
sanciti dall'art. 39 Cost.
152
Fino all’entrata in vigore del Trattamento di Lisbona (2009), i diritti sociali tra i quali
rientrano i diritti sindacali:
- Associazione sindacale
- Contrattazione collettiva
- Sciopero
dovevano essere “tenuti presenti” dalla Comunità e dagli Stati, ma non costituivano un
limite assoluto e neppure una finalità prioritaria dell’azione della Comunità e degli Stati.
Attualmente lo “statuto” dei diritti sociali è, almeno in teoria, più sicuro dal momento che,
la Carta UE espressamente richiama dall’art.6 comma 1 TUE, è una fonte in senso
tecnico, e rientra nel diritto primario dell’Unione.
Inserisce tra i diritti fondamentali 3 diritti la cui disciplina è esclusa dalle competenze
dell’UE (ai sensi dell’art. 153 c.5 TFUE), che sono:
3. Il diritto di sciopero
Alcune decisioni della Corte di Giustizia dell’UE hanno portato all’attenzione la questione
dell’ingresso del diritto di sciopero tra i diritti fondamentali garantiti dall’UE e, con esso,
del difficile bilanciamento tra diritto di sciopero e libertà economiche.
Allo stato attuale, tuttavia, l’esclusione dei diritti sindacali dalla competenza di cui
all’art.153 c.5 TFUE implica che l’UE non può intervenire con normative proprie sui
rapporti intersindacali e sul conflitto collettivo, su cui hanno competenza esclusiva gli
Stati membri.
La promozione del “dialogo sociale” tra le parti e della contrattazione collettiva è entrata
stabilmente a far parte dei compiti della Commissione europea.
Il favore del diritto dell’UE verso il modello contrattuale si esprime altresì nella
disposizione di cui all’art.153 c.3 TFUE in base alla quale “uno Stato membro può affidare
alle parti sociali, a loro richiesta congiunta, il compito di mettere in atto le direttive”,
nell’ambito delle materie di cui all’art.153 TFUE.
Lo Stato, che è il soggetto obbligato alla trasposizione delle direttive ove abbia
demandato alle parti sociali il compito della trasposizione mediante contratto collettivo,
deve esercitare anche il controllo sulla loro attività normativa.
Nel Patto di Natale del dicembre 1998, parti sociali e Governo avevano indicato nella
concertazione sociale la via maestra per la trasposizione delle direttive: ciò
malgrado i limiti e le difficoltà che la trasposizione per questa via incontra in Italia.
La Corte di Giustizia aveva denunciato la mancanza nel nostro sistema giuridico dia
cruenti idonei a garantire l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi, ritenendo
che tale mancanza costituisse una insormontabile ostacolo alla trasposizione delle
direttive mediante i c.c.
153
In tempi più recenti si è andata manifestando, tra gli studiosi italiani, un’opinione
favorevole al superamento di quell’ostacolo: la giurisprudenza della Corte Costituzionale
che sottrae al conflitto con l’art.39 c.4, quei c.c. ai quali può essere assegnata una
funzione diversa da quella propria dei CCNL di categoria nella loro parte normativa
previsti dall’inattuata disposizione costituzionale.
Non meno rilevante l’argomento basato sulla primatè del diritto dell’UE e sulla estraneità
perciò dell’ordinamento giuridico nazionale della questione relativa all’efficacia generale
dei c.c. che traspongono direttive comunitarie, che sarebbe questione di diritto dell’UE e
non di diritto interno.
Non vi è dubbio che i c.c. siano per il diritto comunitario, “strumenti di attuazione del
diritto derivato”: da ciò si fa discendere la conseguenza che “eventuali meccanismi legali
di estensione delle norme concordate tra le parti sociali per mettere in atto la direttiva
risponderebbero ad esigenze ordinamenti autonome del diritto comunitario, come tali
diverse ed eccedenti rispetto al campo di applicazione della disposizione costituzionale”.
La legge europea contiene invece disposizioni legislative che danno diretta attuazione alle
direttive o che modificano disposizioni vigenti oggetto di procedure d’infrazione nei
confronti dell’Italia o di sentenze di condanna della CGUE
154
L’ingresso ufficiale della contrattazione collettiva nel settore pubblico è avvenuto in epoca
recente, e il suo sviluppo è strettamente legato alla privatizzazione della disciplina del
rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione (p.a.).
—> per la prima volta riconobbe alla contrattazione collettiva, già diffusa in alcuni
comparti del settore pubblico, un ruolo di FONTE della regolamentazione dei rapporti di
pubblico impiego, sia pure limitatamente alla parte non riservata alla legge.
—> tuttavia però non prevedeva ancora la contrattualizzazione della disciplina dei rapporti
di pubblico impiego.
—> l’elenco delle materie riservate alla legge era molto lungo + il c.c. non aveva efficacia
diretta, ma solo mediata: una volta stipulato doveva essere recepito in un decreto
presidenziale -> i sistematici ritardi nella ricezione dei c..c nei decreti determinò la crisi di
questo modello di regolamentazione.
Tale crisi aprì la strada ad una molto più incisiva riforma della disciplina del lavoro nel
settore pubblico avvenuta in fasi successive.
Il legislatore ha perseguito il disegno di ricondurre sotto il dominio del diritto privato e del
diritto del lavoro in particolare la disciplina dall’impiego presso le p.a., nell’intento di
eliminare la diversità che caratterizzava lo statuto giuridico dei pubblici dipendenti.
tuttavia, e qui permane la diversità tra lavoro pubblico e privato, l’autonomia della
p.a. è limitata non in funzione della protezione degli interessi privati ma pubblici ->
questo perché la privatizzazione del rapporto di lavoro non comporta la privatizzazione
del datore di lavoro, che rimane un soggetto pubblico tenuto ad attenersi ai criteri di
imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione (art.97 Cost.)
155
La soluzione ha trovato l’avallo della Corte Costituzionale con la S.313/1996 —> la corte
si è dimostrata subito favorevole alla fuoriuscita della disciplina del pubblico impiego dal
regime pubblicistico in cui era rimasta ingabbiata.
SECONDA FASE:
Il disegno della privatizzazione ancora incerto lacunoso nella prima fase è stato portato a
compimento nella seconda fase, nella quale è stata decisiva l’opera di Massimo D’Antona
—> il progetto ruotava attorno a 3 capisaldi:
—> il progetto aveva preso corpo ed era culminato nel: d.lgs. 165/2001
- Pur fallendo nell’obiettivo della compilazione di un vero T.U., aveva ordinato la materia.
- Rispetto alla legislazione del 92/93 il passo avanti nella privatizzazione era notevole
- Ha aperto un grosso varco nel muro che separa l’organizzazione degli uffici riservata
alla legge dalla gestione del personale, mettendo anche un parte non piccola
dell’organizzazione sul tavolo della contrattazione collettiva —> mediante una ambigua
formula: “materie relative al rapporti di lavoro” il d.lgs. ha consentito di recuperare alla
contrattazione tutta l’aerea della bassa organizzazione.
Come è andata? Questi 2 obiettivi non furono raggiunti, il d.lgs. ebbe scarso successo.
TERZA FASE:
- non ha avuto il tempo di entrare pienamente in funzione: sotto la spinta della crisi
economica e dell’esigenza di contenere la spesa pubblica, il d.l. 78/2010 bloccava i
rinnovi dei contratti nazionali scaduti tutti nel 2009, bloccando così anche le retribuzioni
dei lavoratori del settore pubblico. Questo blocco è stato prorogato fino al 31 dicembre
del 2015.
- Lo sblocco si ebbe con la S.178/2015 della Corte Cost. con la quale essa dichiara la
illegittimità “sopravvenuta” del prolungamento del blocco, per violazione dell’art.39 c.1.
e dell’art.28 Carta UE che garantiscono il diritto dei sindacati alla negoziazione
156
collettiva: prerogativa messa a repentaglio appunto dalla normativa sul blocco della
contrattazione.
QUARTA FASE:
Nel frattempo del blocco e della sentenza era stato avviato un ampio progetto di riforma,
anticipato da alcune disposizioni essenzialmente dirette a tagliare la spesa pubblica. Tale
progetto è poi confluito nella emanazione dei d.lgs. 74 e 75 del 2017 detti:
“Riforma Madia”:
Il lasso di tempo che ha separato la legge delega (2015) dai d.lgs. è dovuto all’intervento
demolitorio della Corte Cost. (sentenza n. 251/2016) sulla legge delega per violazione
delle prerogative delle Regioni e della "leale collaborazione" tra Stato e Regioni.
A seguito del parere del Consiglio di Stato, che ha ritenuto non fossero necessari
interventi sulla legge dichiarata incostituzionale, la legge delega non è più tornata in
Parlamento, mentre il Governo ha provveduto a dare esecuzione al giudicato
costituzionale nei decreti legislativi.
La “Riforma Brunetta” aveva come obiettivo principale la riduzione dei costi della p.a.; ma
ad essi accoppiava anche obiettivi di miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia della
p.a., nel quale era incluso il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo dei
pubblici dipendenti.
Per realizzare i propri obiettivi si affidava allo strumento di una regolazione per legge a
tuto campo, uno strumento che:
Quindi: la riforma brunetta conteneva un massiccio ritorno alla disciplina per legge del
lavoro pubblico e la rilegificazione avveniva a danno della contrattazione collettiva.
Nella disciplina pre vigete la riforma brunetta: d.lgs. 165/2001 erano ridotti al minimo sia
lo spazio riservato alla legge sia lo spazio riservato agli atti normativi unilaterali della p.a.
ed era anche scomparso l’elenco delle materie riservate alla legge previsto nel 1993.
La scelta del legislatore non riguardava solo l’estensione della competenza: alla
contrattazione collettiva era affidato infatti il compito precipuo di delegificare la disciplina
del lavoro pubblico sovrapponendosi alla legge -> tale innovazione instaurava un
rapporto anomalo tra legge e contratto collettivo, anche se riconosciuto legittimo dalla
Corte Cost.
Detto rapporto anomalo era stato riportato alla “normalità” dalla riforma Brunetta: in
quanto il suo art.1 rovesciava questo rapporto delimitando il ruolo del c.c. nello spazio
residuale non occupato dalla legge.
157
Inoltre attribuisce alla contrattazione collettiva potestà derogatoria nei confronti della
legge, che si estende anche a normative antecedenti al 2017.
1. perchè si ritiene che la legge futura può sempre escludere la propria derogabilità ai
danni della contrattazione collettiva
3. Tale potere “spetta solo ai c.c. nazionali e solo nelle materie affidate alle
contrattazione collettiva e nel rispetto dei principi stabiliti”
Affida ancora una volta la riforma della p.a all’intervento legislativo centralizzato, con
norme generali e astratto che prescindono dalla considerazione delle profonde differenze
che concorrono tra i diversi settori della p.a. e lasciano aperto il nodo della dirigenza
pubblica
158
Premessa:
Malgrado l'alleggerimento dei vincoli imposti dalla “Riforma Brunetta” anche dopo la “Riforma
Madia” l'intervento della legge nell'area dell'autonomia collettiva resta più marcato di quanto
non lo fosse nella fase della seconda privatizzazione del lavoro pubblico.
Una parte consistente dell'allineamento agli assetti del sistema contrattuale del settore
privato, anziché essere demandato all'autonomia collettiva, come accade nel settore
privato, è stato direttamente realizzato dal legislatore.
L'allineamento investe molti aspetti sostanziali e procedurali della contrattazione, tra cui:
- Funzioni centrali
- Funzioni locali
- Istruzione e Ricerca
- Sanità
- Le Confederazioni rappresentative.
159
La disciplina contrattuale dei rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze della p.a. ha
un vasto campo di applicazione, ma vi sono delle eccezioni:
- Magistrati
- Forze armate
- Polizia
- Docenti universitari
L’aerea di applicazione del 165/2001 coincide con l’area assoggettata alla contrattazione
collettiva del del settore pubblico e coinvolge anche la dirigenza pubblica.
Nel 1993 erano state escluse dall’area di competenza della contrattazione collettiva 7
materie che erano riservate alla legge o agli atti normativi dell’amministrazione.
Il 165/2001 non aveva più fatto riferimento alle 7 materie riservate alla legge; era definita
l’area di competenza riservata agli atti normativi delle amministrazioni e comprendeva la
definizione delle linee fondamentali dell’organizzazione degli uffici.
- Secondo alcuni —> le 7 materie essendo estranee all’area dei rapporti di lavoro non
potevano rientrare nella competenza della contrattazione
In caso di violazione dei limiti imposti dalla legge era previsto che le clausole del
c.c.nazionale fossero nulle e sostituite di diritto, applicando così al c.c.nazionale pubblico
la regola che si ritiene applicabile al c.c. privato in caso di violazione delle norme
inderogabili di legge.
160
Con la Riforma Madia l’area della competenza della c.c. torna ad allargarsi:
- alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio,
- della mobilità
Non diversamente da quanto previsto dalla riforma Brunetta, sono invece escluse dalla
contrattazione collettiva le materie attinenti:
I livelli contrattuali
Nella prima disciplina della contrattazione collettiva del settore pubblico (1993) erano
configurati 3 livelli di contrattazione.
Sono stati riaccorpati in macro aree quei settori omogenei o affini della p.a. che in
passato erano dieci in 4.
Hanno durata triennale (3 anni) senza più distinzione tra parte normativa ed economica
b) CONTRATTO INTEGRATIVO
La contrattazione integrativa è quella che si svolge al livello della singola p.a. o della
singola unità amministrativa.
161
La valorizzazione della contrattazione integrativa era stata prevista dall’Intesa sugli assetti
della contrattazione nel settore pubblico (2009), in cui si affermava che questo livello
poteva costituire un valido strumento per migliorare l’efficienza e la produttività del lavoro
pubblico.
La pretesa valorizzazione avviene nel contesto di una serie di stringenti regole che
costringono la contrattazione integrativa entro il ristretto spazio delimitato dal CCNL.
A tali politiche dovrà essere destinata una quota prevalente del trattamento
La contrattazione integrativa deve svolgersi sulle materie e eni limiti previsti dal contratto
nazionale di comparto, tra i soggetti e con le procedure previste da questo.
La p.a. non può sottoscrivere contratti integrativi in contrasto con i vincoli posti dal
c.nazionale, le eventuali clausole contrastanti sono nulle e non possono essere applicate.
Per tuto il periodo in cui il rinnovo del c.c. nazionali di comparto è stato bloccato, è stata
bloccata anche la contrattazione integrativa; questo anche perché essa ha come
fondamentale presupposto la contrattazione nazionale, che ne determina le competenze.
1. L’ARAN
A livello nazionale, la parte pubblica contratta mediante l’ARAN.
La sua struttura è stata ridisegnata più volte e l’ultima Riforma è quella Brunetta che le
ha apportato modifiche poi confermate nella Riforma Madia.
162
- Presidente -> nominato dal PDR su proposta del Ministro per la p.a. e
l’innovazione
2. I SINDACATI RAPPRESENTATIVI
La disciplina legale ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento criteri di
selezione dei soggetti sindacali legittimati a stipulare i c.c. nazionali di comparto e
pertanto ammessi al tavolo delle trattative.
Dato associativo:
É espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento di contributi sindacali rispetto al totale delle
deleghe rilasciate nell’ambito considerato. Il versamento dei contributi mediante delega è previsto dai
c.c. di comparto e il conteggio delle deleghe a favore di ciascun sindacato consente di valutarne la
consistenza associativa.
Questo dato: calcola infatti la percentuale sul numero totale dei lavoratori sindacalizzati, cioè dei
lavoratori che pagano i contributi sindacali mediante delega
Dato elettorale
É espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nella elezione delle rappresentanze unitarie del personale.
Questo dato: registra il livello di consenso di cui un sindaco gode tra iscritti e non iscritti
Le RSU nel settore pubblico trovano la loro fonte istitutiva anzitutto nella legge ( e solo
successivamente nella c.c. alla quale la legge fa rinvio) sono:
Interamente elettive —> elette a suffragio universale e con voto segreto, tutti i seggi sono
ripartiti tra tutte le liste sindacali concorrenti proporzionalmente ai voti ottenuti.
164
L’accordo del 1998 ha assicurato la tendenziale sostituzione: delle RSA, delle quali
l’art.42 prevede la possibile costituzione, con le RSU che subentrano nei diritti e nelle
prerogative delle RSA:
- questa clausola è analoga alla “clausola di salvaguardia” prevista dal settore privato
La RSU: è titolare esclusiva dei diritti di informazione e partecipazione previsti dalla legge
o dai c.c. ed è legittimata a stipulare i contratti collettivi integrativi, ma in via solo
potenzialmente esclusiva perchè può essere affiancata da rappresentanti dei sindacati
firmatari del contratto di comparto: e infetti l’AI del 1998 ha previsto la competenza
contrattuale concorrente, in conformità a quanto era previsto dagli AI del 1993 nel settore
privato, anche se nel privato non è più cos’ perchè alla RSU è stata attribuita competenza
esclusiva.
L’AI del 1998 ha anche stabilito che la RSU, vista la sua collegialità assume le sue
decisioni a maggioranza.
I. Fase preliminare: le risorse destinate alla contrattazione sono definite dal Ministro
dell’economia e delle finanze il quale, con apposita norma da inserire nella legge di
stabilità “quantifica l’onere derivante dalla contrattazione collettiva, con specifica
indicazione di quello da porre a carico del bilancio dello Stato e quello al quale
provvedono le amministrazioni pubbliche.
II. Quantificate le risorse disponibili, l’avvio della contrattazione vera e propria deve
essere preceduto dalle deliberazioni di indirizzo dei Comitati di settore.
Gli atti di indirizzo devono essere sottoposti al Governo, che ha 20 giorni di tempo per
eventuali osservazioni, decorsi, gli atti possono essere trasmetti all’ARAN
III. Vengono individuati gli agenti contrattuali ai sensi dell’art.43 secondi i criteri di
rappresentatività
IV. Si avvia la trattativa contrattuale vera e propria della quale l’ARAN terrà
costantemente informato il Comitato di settore interessato.
165
VI. Acquisito il parere favorevole l’ARAN trasmette alla Conte dei Conti la quantificazione
dei costi contrattuali, la Corte dei conti controlla la copertura finanziaria delle spese
previste dal contratto e certifica l’attendibilità dei costi quantificati, deliberando entro
15 giorni dalla trasmissione della quantificazione dei costi.
VII. A norma dell’art.43 c.3 l’ARAN prima di sottoscrivere il CCNL deve tuttavia verificare
che sull’ipotesi di accordo confisca il consenso delle organizzazioni sindacali che
rappresentano almeno il 51% come media tra dato associativo ed elettorale nel
comparto o nell’area contrattuale, o, in mancanza, almeno il 60% del dato elettorale
nel medesimo ambito.
Il consenso non è però espresso direttamente dagli interessati come avverrebbe se
l’ipotesi di accordo fosse sottoposta a referendum fra lavoratori i destinatari, ma
attraverso le organizzazioni sindacali che rappresentano, nella media tra dato
associativo e dato elettorale, o nella significativa maggioranza del solo dato elettorale,
la maggioranza dei lavoratori interessati.
VIII. L’accertamento del consenso della maggiorammo dei destinatari svolge certamente
un ruolo i portante poiché il c.c. nel settore pubblico ha una almeno implicita efficacia
erga omnes: il legislatore sembra essersi preoccupato di mettere in piedi un
meccanismo, che pur non essendo quello previsto dall’art.39 c.4 Cost., ad esso
quanto meno si ispirasse, collegando l’efficacia generale del c.c. al principio di
maggioranza.
IX. I CCNL redatti in forma scritta sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale
X. La disciplina del procedimento negoziale del CCNL si ci elude con alcune norme
innovative: art.47-bis “tutela retributivo per i dipendenti pubblici” con le quali il
legislatore ha ritenuto di porre rimedio al grave problema dei ritardi della
contrattazione pubblica. Disposizione mai usata per ora.
CONTRATTAZIONE INTEGRATIVA
Le p.a. sono tenute a trasmettere all’ARAN entro 5 giorni dalla sottoscrizione il c.c. e
l’indicazione delle modalità di copertura dei costi.
Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione integrativa è effettuato dal:
Collegio dei Revisori dei conti.
166
Le p.a. sono inoltre tenute a inviare ogni anno al Ministero dell’economia e delle finanze
specifiche informazioni sui costi della contrattazione integrativa.
La riforma Madia ha introdotto alcune importanti novità sia di carattere procedurale, sia di
carattere sostanziale:
- L’art. 40, c. 3 ter, prevede che nel caso in cui non si raggiunga l'accordo per la
stipulazione del contratto integrativo, e qualora il protrarsi delle trattative determini un
pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa, l'amministrazione interessata
possa provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo fino
alla successiva sottoscrizione, proseguendo tuttavia le trattative al fine di pervenire in
tempi celeri alla conclusione dell’accordo.
- La riforma Madia ha introdotto anche una disposizione il cui evidente obiettivo è quello
di combattere l'assenteismo dei pubblici dipendenti.
Si tratta di una misura punitiva che rischia di colpire indiscriminatamente "furbetti del
cartellino", lavoratori di salute cagionevole, e lavoratori zelanti.
Secondo quanto disposto dall'art. 40, c. 4 bis: “I contratti collettivi nazionali di lavoro
devono prevedere apposite clausole che impediscono incrementi della consistenza
complessiva delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori, nei casi in cui i dati
sulle assenze, a livello di amministrazione o di sede di contrattazione integrativa, rilevati a
consuntivo, evidenzino, anche con riferimento alla concentrazione in determinati periodi in cui
è necessario assicurare continuità nell'erogazione dei servizi all'utenza o, comunque, in
continuità con le giornate festive e di riposo settimanale, significativi scostamenti rispetto a dati
medi annuali nazionali o di settore”.
Le difficoltà di applicazione di una misura siffatta sono evidenti: non è infatti chiaro
quali assenze debbano essere computate, né in che cosa consista lo scostamento
"significativo" dai dati annuali medi del settore; meglio sarebbe allora optare, come è
parso voler fare il Governo, su misure premiali per incentivare una più elevata presenza
in servizio dei dipendenti.
167
Per ciò che attiene l’efficacia soggettiva: il legislatore non prevede espressamente
l’efficacia generale del CCNL, ma nonostante ciò l’efficacia generale è tuttavia
deducibile dai 2 diversi strumenti utilizzai della legge per ottenerla in via indiretta:
2. SECONDO STRUMENTO = previsto dall’art.45 c.2. che impone alle p.a. l’obbligo di
garantire ai propri dipendenti la parità di trattamento contrattuale e comunque
trattamenti non inferiore a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi.
Si tratta di una regola giustificata da esigenze di standardizzazione dei trattamenti
anche in favore dei lavoratori non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti,
mediante appunto l’estensione in via indiretta dell’efficacia soggettiva del
contratto collettivo.
affermando che esso non realizza quell'efficacia erga omnes che l'art. 39, c. 4, Cost.,
riserva ai contratti stipulati secondo le regole ivi previste, ma «si colloca sul diverso piano
delle conseguenze che derivano per un verso dal vincolo di conformarsi imposto alle p.a.,
e per l'altro, dal legame che avvince il contratto individuale al contratto collettivo».
Il vincolo che grava sulle p.a. di conformarsi al contratto collettivo costituisce, ad avviso
della Corte, funzione diretta di un preciso dovere della p.a. .
Una prima opinione —> pur condividendo la scelta della Corte di ricondurre il contratto
collettivo pubblico al contratto collettivo privatistico, sottolinea come la formula usata dal
legislatore sia stata interpretata dalla Corte nel senso della incorporazione del contratto
collettivo nei contratti individuali di lavoro. Ma l'incorporazione è in aperta contraddizione
con la natura di "fonte" eteronoma attribuita al contratto collettivo che, secondo la legge,
ha l'efficacia diretta propria di una fonte di disciplina dei rapporti individuali, e non opera
dunque per la via indiretta dell'incorporazione nei contratti individuali.
Una seconda opinione —> critica invece la Corte proprio per aver ricondotto il contratto
collettivo pubblico al contratto collettivo privatistico, trascurando il fatto che si tratta di un
contratto «nuovo e dalle marcate caratteristiche, nelle quali è racchiusa la sua più intima e
moderna essenza di fonte del diritto», come tale dotata, in sé, di efficacia erga omnes.
Le opinioni critiche espresse dai commentatori ci riportano al cuore del problema, e cioè
la definizione della natura giuridica del contratto collettivo pubblico, al quale si ricollega
anche la questione dell'efficacia erga omnes (diretta o solo indiretta) del contratto.
168
2 opinioni
QUELLA PREVALENTE:
Secondo questa opinione il c.c. del settore pubblico non è tuttavia un c.c. di “diritto
comune” ma un contratto nominato: la legge disciplina infatti i soggetti, le procedure, gli
effetti che non sono quelli propri del c.c. del settore privato ma che come ha affermato la
Corte Cost. son sono in contrasto con l’art.39 Cost.
QUELLA CONTRARIA:
Il c.c. è un contratto di diritto pubblico, fonte del diritto, dotata come tale di efficacia
generale.
Secondo questa opinione la funzione della contrattazione collettiva non può esaurirsi in
quella tradizionale di assicurare adeguati livelli di tutela dei lavoratori tipica del settore
privato, ma deve contemporaneamente rispondere all’esigenza di realizzare, insieme a
tale tutela, le finalità di cui all’a.97 Cost.
Qui viene vista la contrattazione collettiva del settore pubblico come funzionalizzata,
cioè tenuta a farsi carico anche di interessi diversi da quelli delle parti contrapposte.
Non può tuttavia essere omessa la considerazione dei molti elementi di specialità che
contraddistinguono questa contrattazione, che allontanano il procedimento negoziale e il
suo stesso prodotto (il contratto collettivo) dalla contrattazione e dai contratti del settore
privato:
- il potere di controllo preventivo della Corte dei conti, la cui certificazione positiva è
condizione di efficacia delle clausole contrattuali;
Le regole sostanziali e processuali relative all’interpretazione dei c.c. del settore pubblico,
che abbiamo richiamato sopra, sono state ritenute coerenti con le “peculiarità” del c.c. di
questo settore, la cui uniforme applicazione deve essere perseguita anche per i suoi
riflessi sui valori protetti dall’art.97 Cost.
Di tale coerenza si potrebbe dubitare oggi, dato che, il legislatore ha introdotto uno
speciale regime processuale del c.c. di diritto comune, che riduce appunto, la distanza
che lo sperava in passato dalla disciplina del c.c. del settore pubblico.
169
Ricorso in via pregiudiziale in Cassazione rinvio a p.106 —> il procedimento di cui all'art.
420-bis è stato infatti modellato sul procedimento previsto dall’Art. 64 del 165/2001,
nell'intento di realizzare per il settore privato gli stessi obiettivi che il legislatore si era
proposto di realizzare per il settore pubblico:
170
IL DIRITTO DI SCIOPERO
SCIOPERO = forma più incisiva di autotelaio degli interessi dei lavoratori, e una loro tipica
azione di lotta.
- Prima un reato
- Poi finalmente un diritto —> ma dire diritto, non è ancora abbastanza, perchè la sua
natura e la sua estensione hanno formato oggetto di interpretazioni che nel tempo si sono
profondamente modificate.
Negli anni 50’: del secolo scorso, il potere esecutivo interveniva direttamente e
indirettamente nella repressione dell’attività sindacale; e all’attività repressiva del
Governo vi era parallelamente sul piano giudiziario un orientamento fortemente restrittivo
dei giudici in materia di sciopero—> erano condannati:
- scioperi politici -> considerati azioni di lotta al di fuori al di fuori della garanzia
costituzionale del diritto di sciopero e considerati reati come nel periodo fascista
- ogni forma “anomala” di lotta -> es. scioperi a singhiozzo, era considerata illecita, fonte
di responsabilità disciplinare per i lavoratori che le avessero adottate.
Negli anni 60’ l’atteggiamento dell'esecutivo e del giudiziario iniziò a modificarsi, via via
che il quadro politico si modificava con la formazione di governi di colazione con socialisti
e centristi. Ad accelerare i tempi furono però le vicende politico-sindacali del 1968/9, che
resero urgente l’intervento di una nuova legge che istituisse un nuovo quadro giuridico
delle relazioni industriali.
Dopo l’emanazione dello Statuto dei Lavoratori, che pure sullo sciopero interviene solo
indirettamente, le teorie del diritto di sciopero sono cambiate, pure in assenza di una
modificazione del quadro giuridico che specificatamente riguardi lo sciopero: non
regolato dalla legge era, e non regolato è rimasto fino ad ora.
≠
SCIOPERO —> costituisce l’aspetto prevalente del conflitto organizzato
Si intende che il ricorso allo sciopero a sua volta può generare conflitto: ma ancora una
volta occorre distinguere tra il conflitto e le armi di cui le parti possono disporre per
risolverlo.
Codice Zanardelli (1889) —> sciopero viene depenalizzato con anche la serrata; ma
comunque restava una mancata esecuzione del della prestazione lavorativa, che secondo
i giudici di allora rendeva legittimo il licenziamento.
Codice Rocco (1930) —> si torna al diritto penale con l’avvento del fascismo. Qui lo
sciopero e la serrata sono reati.
1. L’uno relativo al SETTORE PRIVATO (collocato nel capo dedicato ai delitti contro
l’economia pubblica)
• Art. 502 c.p. = prevedeva il reato di serrata e di sciopero per fini contrattuali, e si trattava
allora come ora delle azioni di lotta più ricorrenti, poste in essere per rivendicare nuove
condizioni di lavoro.
L’azione criminosa —> dello sciopero era uguale a quella della serrata, però in più era
caratterizzata però dal fatto di essere collettiva, e consisteva:
• Art. 503 c.p. = prendeva il reato di serrata e di sciopero per fini non contrattuali, quindi
per fine politico.
L’azione criminosa —> era la stessa della art.502.
• Art. 504 c.p. = prevedeva il reato di serrata e di sciopero per fini non contrattuali, quindi
per fine di costringere l’Autorità a dare o ad omettere un provvedimento o di
influire sulla sua deliberazione.
172
2. L’altro relativo al SETTORE PUBBLICO E DEI PUBBLICI SERVIZI (collocato nel capo
dedicato ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione)
Lo sciopero dei: pubblici dipendenti e degli addetti a pubblici servizi (anche se dipendenti
di imprese private sempre concessionarie di pubblici servizi) era regalato dall’Art.330 c.p.
denominato “abbandono collettivo”.
Tale articolo e seguenti sono stati abrogati solo con la L.146/1990 —> sullo sciopero dei
pubblici servizi essenziali.
- La Convenzione OIL 87/1948 sulla libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale
- CEDU e il suo art.11, che non contempla espressamente il diritto di sciopero, ma nella
interpretazione di tale art. la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che lo
sciopero costituisce un corollario inscindibile dei diritti di associazione e negoziazione
collettiva garantiti dall’art.11 CEDU
• Il diritto dell’UE
Nel diritto dell’UE il diritto di sciopero fa la sua comparsa ufficiale nel 2000 con:
Art.28 della Carta UE —> che prevede il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro, o delle
rispettive organizzazioni, di “ricorrere in caso di confitti di
interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi,
compreso lo sciopero conformemente al diritto dell’Unione e
della legislazione e prassi nazionali”
173
La formulazione, che riproduce quella del preambolo della Costituzione francese del
1946, è il frutto del compromesso raggiunto, in seno all'Assemblea Costituente, tra le
posizioni della:
- quelle dei cattolici —> favorevoli al riconoscimento del diritto, purché circoscritto
nell'ambito del conflitto economico e sociale, e limitato dalla legge quanto a modalità
di esercizio
Ma fatta eccezione per la materia dello sciopero nei pubblici servizi, oggetto di una
specifica disciplina legale a partire dal 1990, la legge alla quale l'art. 40 Cost. affida la
regolamentazione del diritto di sciopero non è stata emanata, essenzialmente per
ragioni di opportunità politica.
Il mancato intervento della legge non ha tuttavia determinato una lacuna nella disciplina
della materia: al di là di qualche sporadica disposizione legislativa (che citeremo oltre), è
stato il lavoro interpretativo condotto negli anni:
- dai giuristi,
- dai giudici
DIRITTO SOGGETTIVO.
Lo stesso art. 40 rinvia alla legge la definizione delle condizioni per il suo legittimo
esercizio —> il rinvio:
Nei paragrafi che seguono riassumeremo brevemente i risultati della cospicua opera
creativa sin qui svolta dagli interpreti nella definizione della natura e dei limiti del diritto di
sciopero.
Natura giuridica
Dal carattere percettivo ne consegue chele disposizioni del c.p. Rocco sono incompatibili
con la garanzia costituzionale del diritto di sciopero. Evidenza che però ha faticato ad
174
emergere, tant’è che la Corte Cost. ha dovuto pronunciarsi più volte per annullare gli artt.
prima citatati quasi integralmente e annullare nella sua totalità l’art.502.
Per quanto riguarda la natura del diritto di sciopero -> la discussione è stata lunga e
intensa e non si può ancora dire conclusa.
Configurava il diritto di sciopero come diritto potestativo, vale a dire come potere
attribuito ai lavoratori di «sospendere i relativi rapporti di lavoro mediante una
manifestazione di volontà di per se stessa idonea a produrre una modificazione in loro
favore del contratto».
I suoi fini legittimi, se visto come diritto potestativi, sono: solo i fini contrattuali, cioè
economico-professionali in senso stretto.
Si sono affermate diverse concezioni del diritto di sciopero, qualificato dalla dottrina
alternativamente come:
La qualificazione del diritto di sciopero come diritto assoluto della persona o libertà
fondamentale si è affermata nel tempo, prevalendo sulla precedente costruzione del
diritto di sciopero come diritto potestativo, in ragione del:
Se qualificato come libertà fondamentale i fini legittimi sono anche, oltre quelli
contrattuali, quelli politici -> cioè economico-politici
Al di là delle divergenze interpretative, possiamo dire che, nel nostro diritto positivo, il
diritto di sciopero è qualificato come diritto fondamentale, in quanto riposa su norme
giuridiche fondamentali:
- l'art. 40 Cost,
- l'art. 28 CDFUE
175
Titolarità
Diritto di sciopero = diritto individuale ad esercizio collettivo —> in quanto titolare del
diritto è il singolo lavoratore, ma l’esercizio del diritto, essendo connesso alla tutela di un
interesse collettivo dei lavoratori, è necessariamente collettivo.
Abbiamo detto che lo sciopero è un diritto di cui è titolare ciascun lavoratore, ma occorre
precisare quali lavoratori concretamente ne sono titolari:
- Lavoratori subordinati -> nel settore privato, pubblicare e gli addetti ai pubblici servizi
- Lavoratori autonomi -> quando però i loro rapporti con il committente siano
caratterizzati dalla subordinazione economica
- Polizia
a) L'esercizio del diritto di sciopero non esige una proclamazione sindacale, neppure
nell'ambito dei servizi pubblici dove pure la legge detta regole minuziose in ordine alla
proclamazione dello sciopero.
La proclamazione dello sciopero non è dunque una prerogativa sindacale, anche se
nella maggior parte dei casi sono proprio le organizzazioni sindacali a prendere
l'iniziativa di proclamare lo sciopero.
Secondo la definizione dello sciopero, corrente in giurisprudenza e in dottrina, lo
sciopero consiste in un'astensione dal lavoro collettiva e concordata: ciò significa che
una qualche deliberazione (del sindacato, ma anche di un gruppo spontaneo di
lavoratori) è necessaria, se non altro a fini organizzativi, ma non si richiede che la
deliberazione sia formalizzata.
b) Il diritto italiano non distingue tra sciopero spontaneo, (altrimenti detto "selvaggio"),
figura invece che altri ordinamenti prevedono, e sciopero organizzato.
Nel nostro ordinamento, lo sciopero può essere sia un'azione collettiva spontanea,
concordata direttamente tra i lavoratori interessati, sia un'azione organizzata dai
sindacati.
- Limiti interni -> quelli che condizionano l’estensione del diritto di sciopero
- Limiti esterni -> quelli che condizionano le modalità di esercizio del diritto di sciopero
176
• Limiti inter ni
A. definizione della nozione giudica di diritto di sciopero -> l’estensione del diritto
varia a seconda che si ritenga che l’art.40 Cost. garantisca il diritto ad una azione
conflittuale che abbia determinate caratteristiche e non altre
sciopero, che era: solo l’astensione concertata e completa dal lavoro, effettuata dai lavoratori nei
confronti di un datore di lavoro, al fine di tutelare un proprio interesse economico-professionale
collettivo.
Tale “definizione” aveva la funzione di sottrarre alla tutela garantita dall'art. 40 tutte quelle astensioni
dal lavoro che non corrispondessero a tale nozione giuridica come:
- di solidarietà e di protesta
Queste ultime forme di sciopero erano considerate dalla giurisprudenza illecite anche perché erano
considerate in grado di produrre un effetto dannoso sull'organizzazione aziendale maggiore di quello
che si riteneva lo sciopero potesse legittimamente produrre in base alle regole del diritto dei contratti.
partendo dalla constatazione che il nostro ordinamento non contiene una definizione di sciopero, ma si
limita ad assumere questo termine nel significato che le è proprio nel contesto sociale di riferimento.
Sentenza n. 711/1980 —> con la parola sciopero, nel nostro contesto sociale si suole intendere nulla
più che un'astensione collettiva dal lavoro, disposta da una pluralità di lavoratori, per il raggiungimento
di un fine comune.
A tale essenziale nozione rimane estranea qualsiasi delimitazione attinente all'ampiezza dell'astensione:
- se necessariamente estesa a tutto il nucleo aziendale, o se limitata a determinati settori di esso ->
esempio nello sciopero a scacchiera ed in quello parziale.
All'anzidetta nozione di sciopero rimane estranea anche ogni considerazione dei suoi effetti, più o
meno dannosi per l'azienda. Il danno inflitto alla produzione dell'impresa è allo stesso tempo la
conseguenza normale e il fine legittimo dello sciopero.
B. definizione delle finalità del legittimo esercizio del diritto di sciopero —>
l’estensione del diritto varia a seconda che si ritenga che il ricorso allo sciopero sia
legittimo per alcune finalità e non per altre.
Essendo acquisito che limiti interni al diritto di sciopero non possano essere fatti
discendere dalla nozione giuridica di sciopero, altri limiti interni possono essere fatti
discendere invece:
- dalla definizione degli interessi per la tutela dei quali si assume che il diritto sia stato
riconosciuto.
177
Il merito dell’allargamento dell’area degli interessi collettivi per i quali è legittimo il ricorso allo sciopero
(dai soli economico-professionali, anche agli economico-politici) è riconosciuto alla:
Corte Costituzionale, che ha cancellato quasi per intero le disposizioni del c.p. Rocco 502 s.s.
S. 29/1960 —> la Corte interviene sull’art. 502 c.2 che qualificava come reato lo sciopero a
fini contrattuali, ovvero quello finalizzato a premere sul datore di lavoro per ottenere un
trattamento migliore (offensivo) o evitare l’introduzione di una regolamentazione
peggiorativa (difensivo) -> norma incompatibile con il riconoscimento del diritto di
sciopero
—> Pur non avendo dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art.505, la Corte aveva
dunque aperto la strada ad un sensibile allargamento degli scopi per i quali lo
sciopero può essere legittimamente esercitato.
S. 290/1974 —> sentenza additiva di accoglimento, con la quale la Corte ha stabilito che il reato di
SCIOPERO POLITICO è incompatibile con l’art.40 Cost, fatta eccezione per il caso
(non previsto dall’Art.503) in cui lo sciopero sia diretto a:
—> nella motivazione della sentenza, la Corte Cost. distingue tra le:
- rivendicazioni politiche in senso stretto -> che pur costituendo legittimo esercizio
della libertà di opinione, restano al di fuori della protezione dell’art.40; cioè non
costituiscono sciopero ai sensi dell’art.40
—> La corte ha del resto affermato che, nella maggior parte dei casi, non è possibile
tracciare una distinzione netta tra sciopero politico e economico-professionale, dato
che spesso anche queste ultime hanno come controparte non i datori di
lavoro ma il Governo
S.165/1983 —> la Corte Cost. ha dichiarato l’illegittimità dell’art.504 c.p., con gli stessi termini e con
le medesime motivazioni di cui alla S.290/1974
Il controllo giudiziaria sulle finalità legittime o illegittime dello sciopero ha dunque perso via via di
importanza, poiché è ormai largamente riconosciuta la laicità anche dello sciopero politico.
• Limiti ester ni
In via generale, può affermarsi che l’esercizio del diritto di sciopero trova limiti nella tutela
degli altrui diritti ed interessi di pari o preminente dignità.
L’esistenza di tali limiti esterni ha influenza non sulla sussistenza del diritto di sciopero
stesso, ma sulla leicità delle modalità di esercizio del diritto adottate dagli scioperanti,
governate da una serie di complesse regole.
- sciopero a scacchiera —> viene effettuato a scaglioni tra i vari reparti di uno
stabilimento o di diversi stabilimenti di una stessa impresa: cosi mentre un reparto
lavora l’altro si ferma, e viceversa -> effetti di disorganizzazione
• Ogni altro forma di sciopero in cui l’astensione dal lavoro non sia continuativa e
non interessi contemporaneamente l’intera manodopera occupata in una fabbrica o
in un ufficio
Costituisce dunque sciopero legittimo, ai sensi dell’art.40, ogni astensione collettiva dal
lavoro, totale o parziale che sia, lunga o breve, continuativa o intermettente.
L’esercizio del diritto di sciopero è però illecito, e quindi non gode della protezione
dell’art.40, quando sia effettuato senza le dovute cautele e accorgimenti, tanto da
apparire idoneo a pregiudicare irreparabilmente non la produzione, ma la:
- la funzionalità o,
- Laval —> conflitto tra diritto di sciopero e libertà di circolazione dei servizi
179
se sia legittima l’azione collettiva dei lavoratori di uno Stato membro diretta ad imporre ad
una impresa impaltatrice con sede in altro Stato membro l’applicazione delle condizioni di
lavoro previste dal c.c. applicato dall’impresa appaltante, o se tale azione costituisca una
illegittima limitazione della libertà di circolazione nel mercato unico europeo di un’impresa
- dall’altro all’epoca del 2007 la Carta UE non era ancora vincolante, in quanto la otterrà
solo nel 2009 con l’entrata in vigore dei Trattati.
Mentre l’esclusione dello sciopero e dei diritti di negoziazione e di azione collettiva dalla
competenza dell’UE ha il significato di un limite posto all’intervento normativo diretto
dall’Unione, l’inclusione dello sciopero tra i diritti fondamentali dell’UE lascia aperta alla
Corte di giustizia la porta dell’intervento sul diritto interno degli Stati membri, di cui
controlla la compatibilità con il diritto dell’UE.
La Risposta: l’azione collettiva può costituire una restrizione alle libertà economiche o un
ostacolo al loro esercizio.
Così formulato il bilanciamento tra tra diritto di sciopero e libertà economiche sembra
presentarsi rovesciato rispetto al bilanciamento effettuato alla luce della tradizione
costituzionale italiana che accorda priorità ai diritti sociali rispetto alle libertà economiche.
Nel diritto dell’UE viceversa, la libertà economica può legittimamente espandersi fino al
limite in ci non intacca il contenuto essenziale del diritto fondamentale di azione collettiva.
Per concludere: attualmente alla luce dell’art.28 della Carta UE si può affermare che il
diritto di ricorrere allo sciopero per difendere gli interessi dei lavoratori costituisce un
diritto fondamentale tutelato nell’UE —> la forza vincolante della Carta UE porta infatti
con sé il vantaggio di dare luogo ad una modificazione degli equilibri interni al diritto
europeo —> le libertà economiche subiscono il bilanciamento con i diritti sociali, co i
quali devono necessariamente conciliarsi.
Ancora in materia di limiti all’esercizio del diritto di sciopero è necessario precisare che:
il diritto italiano non obbliga i soggetti promotori dello sciopero a cercare preventivamente
una soluzione pacifica del conflitto.
Questo obbligo può essere invece previsto dalle stesse parti nel contratto collettivo,
mediante una clausola detta:
180
Esse furono:
- Introdotte nella contrattazione collettiva nei primi anni 60’, ma poi conobbero nei fatti
un rapido declino.
Era peraltro fortemente controverso il loro carattere vincolante nei confronti dei singoli
lavoratori. L’opinione prevalente riteneva infatti che queste clausole facessero perciò
parte della “parte obbligatoria” del c.c. e si escludeva con ciò l’effetto normativo di
regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro, limitandone il carattere vincolante alle
sole parti collettive che le avessero stipulate.
- Le clausole di tregua sindacale hanno conosciuto negli ultimi anni una nuova stagione.
L’AI 2011 e P. 2013 e T.U. 2014 —> prevedono che i c.c.aziendali, stipulati alle condizioni
previste dall’Accordo, definiscano clausole di tregua di questo tipo: ma con la
precisazione che vincolano solo i sindaci firmatari e non i singoli lavoratori, come già era
emerso negli anni 60’.
Questo sulla base della titolarità individuale del diritto di sciopero, e sulla conseguente
indisponibilità di tale diritto da parte die sindacati.
La clausola di tregua è rafforzata nei 2 accordi del 2014 e 2013 dalla previsione di
sanzioni a carico delle organizzazioni sindacali che le abbiano violate.
181
Erano prevedibili:
- dal punto di vista giuridico, pare infatti legittimo esprimere dubbi sulla validità di
clausole che si pongono in contrasto con norme fondamentali, imponendo limitazioni di
diritti di libertà —> la libertà sindacale è sancita dall'art. 39, c. 1, Cost.;
- ove poi la repressione delle "azioni di contrasto di ogni natura" dovesse essere
interpretata nel senso di una limitazione del diritto al ricorso al giudice, il contrasto con
l'art. 24 Cost. sarebbe del tutto evidente.
Il T.U. prevede che tali contratti definiscano clausole di tregua sindacale e sanzionatorie,
finalizzate a garantire l'esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva.
- il datore di lavoro,
- insistono sulla affermazione della regola di maggioranza —> in base alla quale il
contratto approvato dalla maggioranza vincola anche la minoranza dissenziente, tenuta
ad astenersi da ogni "azione di contrasto" e
182
Lo sciopero, dato che consiste in una astensione dal lavoro, consiste anche in un
inadempimento della prestazione lavorativa, consentito nella misura in cui costituisca
esercizio legittimo del diritto appunto di astenersi dal lavoro.
Il lavoratore che si sia astenuto dalla prestazione lavorativa per esercitare il proprio diritto
di sciopero perde la retribuzione —> perdita che corrisponde alla durata dell’astensione
dal lavoro —> quantificazione della perdita della retribuzione diviene difficile nel caso di
scioperi articolati
Secondo la Cassazione -> non è legittimo per il datore di lavoro rifiutare la prestazione del
lavoratore tra una sospensione e un’altra durante uno sciopero a singhiozzo, perchè
sarebbe un illegittimo rifiuto della prestazione lavorativa, come non può rifiutare la
prestazione durante lo sciopero a singhiozzo dei lavoratori non scioperanti. Quindi dovrà
essere calcolata la retribuzione non in base al giorno, ma in base ai tempi della giornata in
cui l’adempimento non è stato sospeso.
—> si risolve in sostanza nell’apprezzamento della proficuità delle prestazioni offerte, alla
luce dell’organizzazione aziendale che il datore di lavoro non è tenuto a modificare al fine
di utilizzare le prestazioni.
Nella pratica sindacale è frequente il ricorso ad altre forme di lotta che non sempre la
giurisprudenza riconduce alla fattispecie di sciopero.
183
Esse sono:
• Sciopero pignolo —> applicazione rigorosa e pedante delle direttive e dei regolamenti,
che determina il rallentamento di tutte le operazioni
Viste come inadempimenti parziali della prestazione lavorativa, escludendo che potessero
essere ricondotti alla nozione giuridica di sciopero allora corrente, e di conseguenza
essere considerato legittimo esercizio del diritto, anche quando era evidente che i
comportamenti individuali rientravano in una azione di autotutela collettiva.
Con la S. 711/1980 della Cassazione, e alla mutata concezione dello sciopero che ha
portato con sé, si era manifestato in giurisprudenza qualche dissenso in orine alla
qualificazione degli scioperi consistenti in astensioni parziali.
Restano senz’altro fuori dalla nozione dia sciopero, alcune connesse alla nozione di
sciopero, altre alternative ad esso:
Può essere:
- Sciopero bianco —> consiste nella occupazione di azienda, in quanto gli scioperanti
permangono in azienda, che invece di abbondare i luoghi di lavoro vi ci trattengono allo
scopo di: per impedire che il datore di lavoro possa utilizzare i non scioperanti.
L’occupazione ha luogo quando la permanenza si prolunghi oltre la giornata lavorativa,
e gli scioperanti presidino l’azienda anche di notte.
184
PREMESSA
Negli anni 80’ e 90’ si è assistito al fenomeno della: “terziarizzazione” del conflitto che
implica:
Nei servizi pubblici (settore terziario) lo sciopero non ha bisogno di essere lungo e
numeroso per essere efficace -> anche il solo effetto “annuncio” è il più delle volte
sufficiente a creare la paralisi del servizio.
Proprio per fronteggiare la esplosione della conflittualità sindacale dei servizi pubblici,
verso la fine degli anni 80’ il Parlamento si mise al lavoro, prendendo in considerazioni le
porreste avanzate in quegli anni dalle grandi Confederazioni sindacali, fino arrivare al
risultato che è rappresentato dalla: Legge 146/1990
La L.146/1990:
- esisteva una displica giuridica, come in tutti gli altri settori, alla quale avevano dato un
contributo rilevante giudici, giuristi e la Corte Costituzionale
- s. 46/1958
- s. 123/1962
- s. 31/1969
- s. 222/1976
- s. 125/1980
La Corte era arrivata alla fine ad affermare la legittimità dello sciopero economico-
professionale dei pubblici dipendenti e degli addetti ai pubblici servizi, e la
conseguente non applicabilità degli artt. 330 e 333.
La Corte aveva però individuato all’interno dei pubblici servizi una categoria detta:
“pubblici servizi essenziali” -> servizi di preminente interesse generale, per i quali
doveva permanere un particolare regime giuridico
dello sciopero
185
Secondo la Corte nei servizi pubblici essenziali lo sciopero era penalmente lecito solo se
non arrecava pregiudizio agli interessi generali preminenti degli utenti: di conseguenza, lo
sciopero poteva essere legittimamente esercitato solo se la legge o, in mancanza,
l’autoregolamentazione sindacale, avessero previsto regole atte a garantire il
funzionamento minimo del servizio, vale a dire le presentazioni indispensabili ad
assicurare un’efficienza del servizio sufficiente a salvaguardare gli interessi generalo
preminenti degli utenti.
Con questa decisione la Corte aveva aperto le porte alla regolamentazione sindacale
dello sciopero nei servizi pubblici essenziali -> conseguenza furono i:
“Codici di auto-regolamentazione”
—> adottati negli anni 80’ dalle maggiori sindacati presenti nel settore dei pubblici servizi,
prevedendo una serie di prestazioni da erogare in caso di sciopero, che assicuravano il
funzionamento minimo del servizio colpito dallo sciopero.
—> però non ebbero successo -> ogni codice era applicabile ai lavoratori affiliati al
sindacato che lo aveva adottato, ma non era in grado di vincolare i lavoratori non affiliati,
che restavano pertanto liberi di esercitare lo sciopero senza sicurare le prestazioni
indispensabili previste dal codice sindacale.
—> lo scarso successo rese evidente la necessità dell’intervento della legge, infatti anche
i sindaci divenirono favorevoli ad una legge perchè ormai l’opinione pubblica era molto
dissenziente sul loro operato in quanto vi erano continui scioperi di questi servizi che i
codici non erano in grado di regolamentare. Quindi la collaborazione tra Governo e
sindacati diede poi vita alla legge 146/1990 che ebbe molto consenso dell’opinione
pubblica.
La L.146/1990 è stata riformata dopo 10 anni dalla sua entrata in vigore dalla L.83/2000,
che ha colmato delle lacune che si erano rese visibili in quegli anni.
Art.1 c.1. L.146/1990 ->“al fine di limitare l’esercizio del diritto di sciopero, sono considerati
come pubblici servizi essenziali i servizi volti a garantire il godimento dei diritti della
persona costituzionalmente tutelati alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà
di circolazione, all’assistenza e alla previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di
comunicazione” —> l’elenco dei diritti degli utenti tutelati è tassativo.
Art.1 c.2 L.146/1990 -> contiene invece un elenco esemplificato dei servizi pubblici
essenziali la cui erogazione assicura il godimento di quei diritti.
É un elenco molto lungo che comprende: servizi sanitari, igiene urbana, protezione civile,
trasporto aereo, ferroviario e marittimo, le scuole, le poste…
—> ha progressivamente inserito nella lista dei servizi pubblici essenziali nuovi servizi e
una serie di servizi strumentali nei quali l’astensione dal lavoro può determinare serie
conseguenze negative sul funzionamento dei servizi principali.
186
4 ATTORI PRINCIPALI:
Nell’ambito dei servizi pubblici definiti dall’art.1 L.146, la legge affida la regolamentazione
dell’esercizio del diritto di sciopero a 4 attori: Legge / Parti sociali / CGS / Autorità Amm
Le regole legali nella legge del 1990 erano poche e sono stata ampliate dalla legge del
2000, e aumento di regole comporta aumento dei limiti direttamente posti dalla legge
all’esercizio del diritto di sciopero.
Queste regole hanno una portata generale cioè si applicano a tutti i pubblici servizi
essenziali e sono:
- datore di lavoro e
III. Preavviso minimo di dieci giorni —> il preavviso intercorre tra la proclamazione e
l'effettuazione dello sciopero;
IV. Durata determinata dello sciopero —> vale a dire divieto di sciopero ad oltranza
- scioperanti,
I datori di lavoro sono inoltre tenuti ad informare gli utenti, almeno 5 giorni prima, sulle
modalità dello sciopero e sugli eventuali servizi alternativi disponibili. I media (radio,
televisione e giornali) sono egualmente tenuti a dare informazioni agli utenti sulle modalità
dello sciopero e sulle prestazioni indispensabili assicurate.
mentre le regole legali hanno una portata generale, la disciplina delle prestazioni
indispensabili deve essere definita servizio per servizio —> la legge prevede che il compito
di porre in essere tali discipline specifiche sia affidato alle PARTI SOCIALI, in particolare:
- quando si tratta dello sciopero dei lavoratori subordinati -> la legge prevede che la
disciplina delle prestazioni indispensabili sia contenuta in accordi collettivi stipulati
tra: il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori (se a.aziendali) oppure
tra sindacati dei datori di lavoro e sindacati dei lavoratori (se CCNL)
187
QUINDI: per la legge le fonti principali della disciplina delle prestazioni indispensabili
relativo all’esercizio del diritto di sciopero sono:
- l’accordo collettivo e
- il codice di autoregolamentazione
Inoltre, la legge aggiunge che io compito di porre in essere tale disciplina può essere
affidato in via sussidiaria dalla legge alla CGS che può esercitarlo solo in mancanza di un
idoneo accordo o codice.
Non è di facile soluzione il problema degli effetti degli accordi collettivi e dei codici di
autoregolamentazione che regolano l’esercizio del diritto di sciopero.
Se vi è una “valutazione positiva” da parte della CGS i sindacati, gli scioperanti e i datori
di lavoro sono tenuti ad assicurare durante gli scioperi le prestazioni indispensabili
previste dall’ accordo o dal codice.
ECCEZIONE = a questa regola fanno eccezione quelle parti degli accordi collettivi
che contengono: clausole procedurali di raffreddamento e conciliazione dei conflitti
—> la valutazione della idoneità non produce un effetto di estensione dell’efficacia
delle regole procedurali nei confronti delle organizzazioni sindacali rimaste
estranee alla loro negoziazione.
- sia sulla tesi della efficacia obbligatoria e non normativa di tali clausole
Il criterio al quale la CGS deve ispirare le proprie valutazioni corrisponde allo scopo che
la legge enuncia come ragione della limitazione dell'esercizio del diritto di sciopero:
cioè, come prevede l'art. 1, c. 2, lo scopo di contemperare il diritto di sciopero con i diritti
degli utenti costituzionalmente tutelati.
In linea di principio dunque i diritti degli utenti, fatta eccezione per la vita la salute e la
sicurezza che non possono subire limitazioni, non hanno senz'altro priorità sul diritto di
sciopero, ma questo e quelli vanno contemperati, individuando caso per caso le misure
necessarie perché l'esercizio del diritto di sciopero non pregiudichi i diritti degli utenti, che
la legge impone che siano comunque salvaguardati solo nel loro contenuto essenziale (e
dunque non per intero).
188
criterio quantitativo, al quale la CGS deve attenersi nel formulare le proprie valutazioni
sull'idoneità di accordi/codici:
- il personale comandato in servizio per garantire tali prestazioni indispensabili non deve
ordinariamente superare il 30% del personale normalmente impiegato
• LA CGS
• Autorità indipendente
• Ad essa la legge affida il compito di: garantire il contemperamento tra diritti di rango
costituzionale -> come nella specie sono il diritto di sciopero e i diritti della persona
degli utenti
• Le sue delibere sono atti amministrativi e sono soggette al controllo giudiziario del
giudice amministrativo
• Ha 3 funzioni:
1. Regolare l’esercizio del diritto di sciopero nell’ambito dei servizi pubblici essenziali con la
“valutazione della idoneità” —> funzione normativa
La CGS è tenuta ad esercitare il proprio potere regolamentare in 2 casi:
—> nel caso in cui abbai fatto una valutazione negativa di un accordo/codice
—> nel caso in cui l’accordo non sia stato stipulato o il codice non sia stato adottato.
In entrambi i casi la CGS è tenuta a formulare una proposta alle parti sull’insieme delle prestazioni
indispensabili e delle altre misure che devono essere garantite in caso di sciopero.
La proposta è sottoposta alle parti e alle organizzazioni degli utenti, che hanno 15 giorni per formulare
le proprie osservazioni, decorsi i quali la CGS ha ancora 20 giorni per emanare la propria
regolamentazione provvisoria —> in quanto suscettibile di essere sostituita in ogni momento
dall’accordo o dal codice se valutati idonei.
Al momento in cui l’autorità amministrativa fa pervenire alla CGS la comunicazione della proclamazione
di cui sciopero nell’ambito di un servizio pubblico essenziale:
- se individua qualche ragione di illegittimità dello sciopero invia una comunicazione immediata alla
organizzazione sindacale responsabile della proclamazione
- se la comunicazione non è sufficiente, allora la CGS delibera un invito formale (ordine) al sindacato
proclamante per rinviare o revocare lo sciopero.
Inoltre la CGS può segnalare l’autorità amministrativa competente l’opportunità di intervenire 189
al fine di evitare un pericolo reale di pregiudizio grave e imminente ai diritti degli utenti
3. Sanzionare i comportamenti illeciti dei datori di lavoro e delle organizzazioni o associazioni dei
lavoratori autonomi, liberi professionisti e piccoli imprenditori tenuti in occasione dello sciopero
Le sanzioni sono diverse per natura e meccanismo di applicazione a seconda dei destinatari.
- le sanzioni cosiddette collettive a carico delle organizzazioni sindacali dei lavoratori (sospensione
dei permessi sindacali retribuiti ovvero dei contributi associativi, oppure esclusione dalle trattative
per un periodo di due mesi);
- le sanzioni amministrative a carico delle organizzazioni dei lavoratori autonomi, liberi professionisti e
piccoli imprenditori, nonché dei dirigenti e responsabili di aziende e pubbliche amministrazioni, dei
responsabili legali dei soggetti sindacali che non fruiscono di permessi sindacali e contributi
riscossi dal datore di lavoro.
- Il procedimento deve essere aperto con un atto notificato alle parti interessate,
- La delibera di valutazione, che deve essere motivata, deve essere notificata alle parti e trasmessa
alla Direzione provinciale del lavoro (ora ITL: ispettorato territoriale del lavoro) in tutti i casi in cui
competa all'ITL l'applicazione della sanzione amministrativa.
- Ove si tratti di una delibera di valutazione negativa, nella delibera dovrà essere indicato anche il
termine entro il quale essa deve essere applicata.
La legge affida alla CGS sia la valutazione del comportamento, sia l'irrogazione della sanzione,
mentre resta affidata ad altri solo l’applicazione delle sanzioni (es. datore di lavoro).
NON RIENTRA NELLE COMPETENZE: la valutazione del comportamento dei singoli lavoratori, in
quanto una loro violazione delle regole in materia di esercizio del diritto di sciopero costituisce una
violazione del contratto di lavoro.
La legge 83/2000 prevede infatti che l’applicazione delle sanzioni disciplinari proporzionali alla gravità
dell’infrazione, escusò in ogni caso il licenziamento spetti al datore di lavoro.
Tuttavia, se la CGS ha formulato una valutazione negativa del comportamento delle organizzazioni
sindacali che hanno proclamato lo sciopero, prescrive al datore di lavoro l’applicazione della sanzione
disciplinare —> per ricordare così al datore di lavoro che è suo obbligo applicarla ai lavoratori che si
l’ordinanza di precettazione —> essa può essere messa solo quando lo sciopero è in
grado di costituire un “pericolo grave di pregiudizio grave ed imminente” ai diritti degli
utenti -> può verificarsi anche quando lo sciopero è legittimo ma preoccupano i suoi
effetti
GLI STEP:
1. L’autorità amministrativa competente a seguito di una delibera di segnalazione della
CGS, o di propria iniziativa in caso di urgenza, invita le parti a rinunciare a porre in essere
l’azione di sciopero che provoca tale pericolo.
190
A livello teorico —> dato che la legge affida alla CGS lil potere di sollecitare l’intervento
della autorità amministrativa, in linea di principio, spetta alla CGS
valutare se i presupposti per l’intervento amministrativo sussistano,
quindi è la CGS che decide se e come l’autorità deve intervenire.
A livello pratico —> il ruolo del Governo è quello di un vero protagonista, il ricorso alla
precettazione è frequente.
3. L’ordinanza non può essere emanata più tardi di 48 ore prima dello sciopero.
191
LA SERRATA
Rispetto allo sciopero il peso della serrata è modesto, poiché nella pratica il ricorso a
questo strumento di autotelai da parte dei datori di lavoro è poco frequente.
Può essere:
- a carattere offensivo -> se costituisce una iniziativa assunta per anticipare o prevenire
l’azione dei lavoratori
Il codice penale Rocco, agli artt.502 s.s. prevedeva insieme al reato di sciopero anche
quello di serrata.
Non è citata la serrata nella nostra Carta Costituzionale, ma non è una dimenticanza, anzi
è una scelta dei costituenti, che rifiutarono di accettare che sciopero e serrata dovessero
essere posti sullo stesso piano, come se si trattasse di fenomeni di carattere speculare.
L’art.28 Carta UE: riconosce quella “parità delle armi” che la nostra costituzione ha
negato alla serata, anche qui senza per menzionarla.
Che nel nostro ordinamento la serata non sia un diritto dei lavoratori è sempre stato
pacifico. Ma il problema che si è posto in passato è stato se:
S.29/1960 —> la Corte decidendo la questione di legittimità sull’art.502 (serrata per fini
contrattuali), considerava, preliminarmente, che il arcato esplicito riconoscimento nella
Costituzione di un diritto di serrata non implica che “possa dirsi compatibile col sistema
sancito dalla Costituzione quella norma penale che a suo tempo fu disposta contro la
serrata dal sistema corporativo”. La Corte conclude valutando la serrata come un
comportamento penalmente lecito, rinviando al legislatore la sua disciplina.
S.141/1967 —> ribadisce quanto affermato nella sentenze precedente sulla leicità penale
della serrata per fini contrattuali, ma la Corte, decidendo sulla legittimità dell’art.505
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(serrata per fini di solidarietà e di protesta), fa restare fermo in vigore il divieto penalmente
sanzionato di serrata per fini diversi da quelli contrattuali.
La richiesta della Corte di un intervento legislativo per disciplinare la serrata non ha più
avuto riscontri, in quanto non è mai stata emanata una legge. Ciò non significa che una
disciplina non suscita, poiché ancora una volta interpreti come dottrina e giurisprudenza
hanno affidato il compito di dettare tale disciplina al diritto privato.
La serrata per fini contrattuali, non è più un reato, ma non è neppure un diritto, è piuttosto
una libertà, riconducibile nell'ambito dell'art. 39, c.1.
La violazione consiste nel rifiuto illegittimo di ricevere le prestazioni offerte dai lavoratori
che sono disponibili a lavorare, ma non possono farlo, a causa della sospensione
dell'attività aziendale.
Il datore di lavoro è creditore delle prestazioni lavorative, ed egli che omette di cooperare
all'adempimento dei lavoratori che sono i debitori delle prestazioni lavorative versa in una
situazione di mora del creditore (art. 1206 cod.civ.), ed è pertanto tenuto a risarcire ai
lavoratori il danno, corrispondente alla retribuzione che sarebbe normalmente spettata
loro.
Una prima ipotesi —> secondo l'orientamento della giurisprudenza prevalente, il datore di
lavoro è liberato dall'obbligo di utilizzare e retribuire le prestazioni di lavoro offerte quando
sussista una sopravvenuta temporanea impossibilità di utilizzare tali prestazioni.
Una seconda ipotesi —> detta: serrata di ritorsione, si verifica quando il datore di lavoro
sospenda l’attività aziendale in risposta ad uno sciopero articolato -> ma essendo lo
sciopero articolato legittimo, il lavoratore si vede responsabile di una condotta
antisindacale di cui all’art.28 St.Lav.
193
Problema connesso è quello dei limiti in cui l’adozione di misure dirette a contenere gli
effetti dannosi dello sciopero possa considerarsi lecita.
Secondo la comune opinione infatti, la soggezione del datore di lavoro allo sciopero,
mentre rende illeciti i comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio del diritto di
sciopero da parte dei lavoratori, non esclude la possibilità di reagire ad esso, adottando
appunto le misure che ritenga necessarie a limitare i danni.
• Crumiraggio interno —> quando vengono utilizzati lavoratori dipendenti dal datore di
lavoro che non partecipano allo sciopero.
Viene riconosciuto come legittimo dall’opinione prevalente, ma ponendo particolare
attenzione alla circostanza che i lavoratori non scioperanti siano correttamente utilizzati
nel rispetto delle prescrizioni legali e contrattuali relative alla loro assunzione e alla loro
utilizzazione: l’utilizzazione in mansioni inferiori è consentita per specifiche esigenze
aziendali, purché si tratti di attività marginali funzionalmente accessorie.
• Crumiraggi esterno —> quando il datore di lavoro, per ridurre gli effetti dello sciopero,
faccia ricorso all’assunzione di lavoratori esterni.
Le vigenti discipline del contratto di lavoro a te mio determinato, della somministrazione
di lavoro e del lavoro intermittente vietano il ricorso alla stipulazione di contrati di lavoro
“flessibili” per sostituire lavoratori in sciopero.
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