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DIRITTO DEL LAVORO

Il diritto del lavoro ha la necessità di avere molti riferimenti normativi ed è una materia sottoposta spesso a
revisione da parte del legislatore.
Non è una fonte eteronoma ma una fonte autonoma (come, ad esempio, il contratto che dal 1970 ha effetto
soltanto tra le parti).
Nell’ambito del diritto del lavoro è fonte autonoma anche il contratto collettivo che ha una rilevanza
fondamentale (contrattazione collettiva del diritto sindacale).
La giurisprudenza ha una particolare sensibilità: siamo sempre in un sistema di diritto positivo dove il
giudice interpreta la norma ed è la BOCCA DELLA LEGGE (non fonte del diritto), ma nell’ambito del
diritto del lavoro ci sono casi in cui:

 mancano le norme e quindi i giudici interpretano i principi


 casi in cui ci sono dei casi molto delicati e quindi i giudici utilizzano in modo più rilevante i criteri
dell’equità.
Fonti:
 Costituzione
 Fonti sovranazionali: OIL (organizzazione internazionale del lavoro facente parte dell’ONU ma nata
in precedenza nel 1919)
 CEDU
 Diritto dell’unione
 Diritto sindacale, contrattazione collettiva e sciopero
 Codice civile
 Contratti in generale
Il diritto del lavoro si occupa soprattutto di lavoro subordinato e nasce con la nascita delle grandi fabbriche
dalla rivoluzione Industriale.
Visione del filmato degli anni ’30 di Charlie Chaplin “LA GRANDE FABBRICA”
Lo spezzone del film ci fa comprendere da dove nasce l’esigenza di una normativa (diritto del lavoro).
Film del 1936, c’è la catena di montaggio che comincia a emergere negli Stati Uniti (nei primi anni 20).
Sono le macchine a dare il tempo di lavoro:
 grandi possibilità di infortunio
 necessità di controllo anche tecnologico
 salubrità luoghi di lavoro.
Il lavoro è sempre esistito, nelle varie epoche è però stato regolato in modi differenti: per molto tempo,
durante tutta l’epoca romana con un’economia schiavista vi è una tipologia di lavoro che non è necessario
regolamentare.
In epoca romana vi era invece un diffuso utilizzo del contratto di LOCATIO: contratto usato in diverse
attività.
Questo contratto nell’ambito lavorativo è usato nella modalità di LOCATIO-CONDUCTIO con due
tipologie:
 LOCATIO OPERIS: contratto tipico con cui si andava dall’artigiano chiedendo di confezionare un
certo utensile.

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 LOCATIO OPERARUM: con cui effettivamente era regolato il lavoro in alcune modalità
somiglianti all’odierno lavoro subordinato.
Cambiano i tempi, con il medio-evo abbiamo differenti modalità di regolazione del lavoro: in quel momento
sono gli artigiani che hanno una forte importanza nell’ambito della produzione economica e anche qui vi
sono delle particolari modalità regolative nell’ambito dei lavori di fatica: come, ad esempio, i legami di
vassallaggio. (servitù della gleba).
Vi erano in quel periodo anche delle modalità produttive particolari nel 1300-1400: comincia a rifiorire la
vita in Europa.
 A Firenze con la rivolta dei Ciompi verso la fine del 1300: i lavoratori della lana (salariati) sono
corporazioni di artigiani che hanno il potere nella Firenze del tempo e che cercano di avere un posto
nella gestione della città.
Si rivoltano, ottengono di entrare nell’ambito della gestione del governo e del comune di Firenze ma
ad un certo punto questa rivolta viene stroncata.
 Durante la Jacquerie in Francia: siamo nell’ambito del lavoro terriero con tentativi di rivolta da parte
di coloro che sono addetti a compiti più faticosi e che però fallisce.
Per molto tempo le corporazioni hanno avuto il monopolio di quel mestiere, mettevano regole particolari per
accedervi e potevano impedire l’entrata a chi non presentava determinati requisiti.
Le corporazioni impediscono molto spesso una libera circolazione di forze, e vengono poi abrogate con la
Rivoluzione Francese poiché si pensava fossero opprimenti rispetto ai nuovi principi.
In questi periodi avviene una divisione del potere nell’ambito dell’assetto sociale del tempo:
 Aristocrazia
 Clero
 Terzo stato
Con rapporti di legami personali.
Questo va avanti per molti anni.
Nel 1400 nasce una nuova classe: quella imprenditoriale dei mercanti (coloro che andavano in giro a
commerciare) che diventano sempre più importanti fino a quando nel 1700 (Illuminismo) si arriva alla
Rivoluzione Francese.
Questa è una vera rivoluzione con la quale cambia il sistema e i rapporti tra i soggetti.
Emergono i principi di:
 Eguaglianza
 Libertà
 Solidarietà
Emerge il terzo stato ovvero la grande categoria della gente comune, dei mercanti e dei borghesi.
Parallelamente accade che continuano a svilupparsi le tecnologie (anche produttive), a partire dalla Gran
Bretagna per poi evolversi in tutto il mondo (rivoluzione industriale).
La rivoluzione industriale è quel fenomeno che interviene come una forza maggiore rispetto a quella
francese, cambiando radicalmente il sistema produttivo e il modo di vivere.
Vi è la nascita della grande fabbrica e abbiamo un fenomeno particolarmente rilevante che emerge in tutti i
paesi: le persone si spostano significativamente dalle campagne alle città poiché le tecnologie consentono
coltivazioni che rendono molto di più e con un risparmio notevole.

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Vi è una massa di persone che si sposta dalle campagne (dove avevano vissuto su rapporti legati ai
proprietari terrieri e su cui ancora oggi abbiamo contratti) e vanno a lavorare nelle città, dove le grandi
fabbriche hanno necessità di manodopera.
Con la legge le Chapelier del 1791: venivano abolite le corporazioni con il divieto di crearne altre.
Negli anni successivi questa legge (nascente nella Francia repubblicana) sarà uno dei problemi da risolvere
nel momento in cui nascono le prime organizzazioni sindacali che hanno l’intento di esporsi a tutela dei
lavoratori.
La distribuzione delle fabbriche avviene:
 Regno Unito (metà 700)
 Francia
 Germania
 Italia
In Francia e in Germania si trovano le prime leggi a tutela dei lavoratori nell’800, in Italia avviene tutto un
po' più tardi. (seconda metà 800).
Le prime fabbriche sono luoghi in cui il lavoro è messo male, siamo in un momento in cui l’offerta di lavoro
è molto alta, ma dall’altra parte il sistema che fino ad allora si era basato su principi codicistici e contrattuali
inizia ad essere solo un problema di domanda e offerta.
Le prime fabbriche sono molto sporche, il lavoro era molto pesante e durava circa 15-17 ore, dove
lavoravano anche donne e bambini (pagati la metà) e dove se qualcosa non fosse andato bene si sarebbe stato
cacciati senza preavviso da un giorno all’altro, con paghe molto basse al limite della sopravvivenza.
Si ampliano i settori delle ferrovie e del tessile.
VISIONE DEL FILM “I COMPAGNI” DI MONICELLI
Ci mostra le lotte sindacali che portano alla nascita del lavoro tutelato.
Siamo nell’800 epoca di grande cambiamento, soprattutto nel campo delle idee:
 Manifesto di Marx ed Hegel del 1848
 Il capitale del 1867.
L’approccio Marxiano è quello della lotta delle classi (tema forte), ci sono però anche altre visioni che
partono da punti diversi arrivando alla stessa conclusione come quella della dottrina sociale della chiesa.
È in quegli anni che la ciclica di Leone 13 “DE RERUM NOVARUM” del 1891 chiede un reddito
sufficiente poiché emerge la necessità di paghe adeguate alla sopravvivenza.
In Italia più tardi, cominciano ad emergere le prime leggi sociali che intervengono nella tutela del più debole.
 1876 Legge sul lavoro dei fanciulli
 1898 cassa nazionale e previdenza
 1902 tutela del lavoro delle donne
Nel 1891 a Milano nasce la camera del lavoro in contrapposizione alla camera di commercio, l’idea è quella
di creare un luogo in cui i lavoratori si possano trovare e discutere insieme.
Queste esigenze di unirsi per chiedere miglioramenti (paghe, condizioni, orari di lavoro) vengono espresse
attraverso modalità associative:
 Leghe di resistenza

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 Società di mutuo soccorso (avevano come esigenza fondamentale quella di aiutare gli operai alle
esigenze di vita (infortuni, malattie, licenziamenti, vecchiaia).
Prima di allora per queste richieste non vi era tutela, si creano delle vere e proprie casse e si aiutano i
colleghi che hanno bisogno.
La legge del 1893 sui Probi Viri fu importante:
i Probi Viri erano un tribunale del lavoro composto da esponenti di associazioni professionali e sindacali che
avevano il compito di dirimere le controversie in materia di lavoro, con competenza limitata: sono un primo
grado di giudizio a cui segue la Corte di appello e di cassazione.
I Probi Viri ebbero un ruolo fondamentale poiché dalla loro “equità” emersero regole che andarono via via a
consolidarsi.
In quegli anni nasce e si consolida il concordato di tariffa (successivamente chiamato contratto collettivo).
È un accordo che comincia a partire dall’800 prima a livello aziendale e poi territoriale che prevede la
necessità di regole comuni.
Inizialmente siamo in un mercato senza regole, vi è concorrenza tra le singole imprese, vi è molta domanda
di lavoro e vi sono molti lavoratori che cercano di vendere il loro prodotto.
Emerge la necessità di prevedere tariffe eque per sopravvivere e la necessità di evitare la concorrenza al
ribasso: con riferimento al diritto tedesco: il primo che comincia ad approfondire la questione in Italia è
Giuseppe Messina.
Le norme in materia di lavoro cominciano ad essere perse, emerge la necessità di un contratto di lavoro con
la figura di Ludovico Barassi che partendo dal Codice civile comincia a far emergere le particolarità del
diritto del lavoro. (comincia a parlare di lavoro subordinato).
Nel frattempo, nascono i sindacati, nel 1901 FIOM e nel 1906 confederazione generale italiana del lavoro
dopo le tensioni delle difficoltà economiche del periodo.
In quel periodo cominciano ad emergere i primi concordati.
Il concordato di tariffa è un accordo tra le parti, uno dei primi contratti che coinvolgono più persone e che
fanno riferimento a fenomeni complessi.
Il contratto collettivo non è una legge universale ma un contratto che ha forza di legge tra le parti.
 Efficacia soggettiva del contratto (a chi si applica)
 A cosa si rifà (al contratto che ha forza di legge solo tra le parti)
In quegli anni i Probi Viri arrivano a dire che il contratto collettivo va obbligatoriamente adottato ma negli
altri gradi di giudizio viene ribaltato tutto poiché le regole dal punto di vista civilistico non potevano essere
universali.
In Germania prevale un approccio interpretativo che ritiene che sia il contratto in sé a potersi imporre, in
Italia viene inserito nell’ambito civilistico.
In quei tempi non esisteva un contratto tipico di lavoro (1865), i riferimenti erano al Codice civile (1865) e al
contratto di locazione.
Siamo nell’Italia di fine ‘800 ed è con la Rivoluzione Francese che; accanto a quella industriale prima e
all’espansione delle nuove idee filosofiche e politiche poi; trovano concretezza nel socialismo di fine ‘800 ed
inizia ad emergere il diritto del lavoro.
Abbiamo ancora il Codice civile del 1875.

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Il Regno d'Italia nasce formalmente derivando dal Regno di Sardegna nel 1871, i primi riferimenti normativi
del regno di Italia derivano direttamente da quelli che erano in vigore nel regno di Sardegna (statuto
Albertino).
I riferimenti sono soprattutto legati alla Francia e alla modalità con cui i codici napoleonici avevano
trasmesso i principi nascenti dal codice Giustinianeo e giunti fino a noi.
Per il diritto del lavoro il contratto di riferimento era il diritto di locazione dove il lavoro era soltanto a tempo
determinato.
L'idea era quella imposta dalla Rivoluzione francese: togliere tutti i legami servili creati nel medioevo che
non avevano un tempo definito.
ES. il lavoro in fabbrica necessita di un legame giuridico particolare e diverso che deve durare nel tempo e
soprattutto con particolari tutele.
Con la legge LE CHAPELIER si volevano appunto spezzare questi legami, questa legge arriva ad avere un
vero e proprio valore anche su fonti normative del regno di Italia e di Sardegna.
Queste fonti normative comportano però da un lato la difficoltà per le nascenti associazioni sindacali di
essere pienamente riconosciute ed avere piena efficacia e dall’altro viene proibito lo sciopero. (astensione dal
lavoro da parte degli operai con il fine di premere sulla controparte per ottenere migliori condizioni di
lavoro).
I primi diritti sociali sono ottenuti attraverso le lotte sindacali dalle rappresentanze delle commissioni
interne: necessità per la classe operaia in condizione precaria di unirsi per ottenere migliori condizioni di vita
e di lavoro.
Lo sciopero inizialmente proibito successivamente continua ad essere fonte di attenzione del legislatore
perché è una modalità che limita ed ostacola la libertà di commercio, proprio in virtù di queste esigenze
abbiamo una serie di interventi normativi che limita fortemente lo sciopero:
Inizialmente nel regno di Sardegna lo sciopero è considerato un reato.
 Nel 1859 nel Codice penale lo sciopero è reato.
Lo sciopero rimane reato fino all’approvazione del Codice penale Zanardelli del 1889, dove rimane reato se
svolto con violenza o minacce.
Successivamente torna ad essere un reato in epoca fascista con il Codice penale Rocco del 1930 e poi diverrà
un diritto costituzionale tutelato con la costituzione del 1948.
All’inizio del 900 le associazioni sindacali premono per chiedere nuovi diritti e nuove tutele, dall'altro lato la
borghesia illuminata del tempo riesce a far approvare dal Parlamento alcune leggi in materia di lavoro.
Importante è il ruolo dei Probi-Viri che attraverso la propria giurisprudenza cominciano ad introdurre
nell’ordinamento delle novità:
 Il licenziamento dopo uno sciopero non corrisponde a criteri di equità e giustizia.
 Cominciano ad essere stipulati contratti con durata nel tempo illimitata.
 Si comincia ad entrare nel merito della necessarietà di giustificare o meno un licenziamento. (la
sanzione è di tipo risarcitorio)
In una giurisprudenza di fine ‘800, si ritenne licenziamento giustificato quello legato al fatto che un operaio
non si fosse tolto il cappello al momento dell’entrata in fabbrica.
Il tempo passa ed emergono delle nuove associazioni sindacali ed emerge sempre di più la necessità di
intervenire sul piano normativo.

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I progetti di legge cominciano ad essere scritti in parlamento.
La Prima Guerra Mondiale interrompe le attività normative e la vita di tutti i giorni:
 Nel mondo del lavoro entra una grande quantità di donne (poi verranno tutelate dalla legge).
A partire da quegli anni:
 Biennio dopo la rivoluzione di ottobre in Russia dove le organizzazioni politiche e sindacali tentano
di ottenere diritti più chiari ed evidenti per il lavoro e i lavoratori.
 Reazione molto forte da parte del partito fascista che nasce nel 1922 (marcia su Roma)
I sindacati sono i primi che subiscono queste reazioni.
Con la dittatura fascista vengono espulsi partiti e sindacati riconoscendo associazioni sindacali che mostrano
segni di educazione morale e sicura fede nazionale.
Dal 1925 con il colpo di stato e con la legge 563/1926: viene introdotto l’ordinamento corporativo.
Nel 1924 era stata approvata una legge sull’impiego privato che derivava dai progetti dei primi anni del ‘900:
viene per la prima volta introdotto il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
L’impiego privato era una tipologia di lavoro applicabile ai soli impiegati e non agli operai.
Nel 1926 con l’ordinamento corporativo viene imposto un sistema che prevede l’esistenza di un solo
sindacato a tutela dei lavoratori, una sola associazione sindacale che tutela le imprese.
Queste associazioni stipulavano un contratto collettivo con efficacia normativa (che rientrava nelle fonti del
diritto) erga omnes: valeva per tutti i lavoratori e per tutte le imprese.
Il contratto collettivo si applica a prescindere dall’iscrizione del lavoratore o del datore al sindacato che ha
firmato quel contratto.
Ci sono una serie di norme che hanno riguardato il sistema corporativo che è stato poi soppresso nel 1943
con la caduta del Fascismo.
Nel Codice civile sono inserite norme che regolamentano il contratto collettivo corporativo e che quindi
tendenzialmente sono cadute con la soppressione dello stesso.
Nonostante la caduta del sistema corporativo, alcune norme hanno continuato ad avere efficacia nel sistema
repubblicano.
Il contratto collettivo è stato definito da Carnelutti come avente forma del contratto ma anima della legge.
È un contratto (fonte normativa autonoma che nasce da un accordo tra le parti) ma ha la volontà di
disciplinare anche i rapporti tra le parti.
Questo risultato viene incontro alle esigenze: efficacia oggettiva (rapporto tra contratto collettivo ed
individuale).
Le norme che fanno parte dell’ordinamento corporativo e che in teoria sarebbero da considerare decadute ma
che continuano ad avere un ruolo in epoca repubblicana sono le norme 2074 e 2070 e 2077 del c.c.

ARTICOLO 2070
L'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si
determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore [2082, 2195; Cost. 39](1).
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Se l'imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti
di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività.
Quando il datore di lavoro esercita non professionalmente un'attività organizzata, si applica il
contratto collettivo che regola i rapporti di lavoro relativi alle imprese che esercitano la stessa attività.
È una norma che fa riferimento alla categoria professionale, cioè il confine entro cui quel contratto collettivo
dovrà avere la sua efficacia che viene predeterminata dalla legge.
All’interno di quella categoria il contratto collettivo ha efficacia nei confronti di tutti coloro i quali vi
rientrano.
ARTICOLO 2074
Articolo implicitamente abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo,
[Il contratto collettivo, anche quando è stato denunziato [2073, 2075], continua a produrre i suoi effetti
dopo la scadenza, fino a che sia intervenuto un nuovo regolamento collettivo.]
ARTICOLO 2077
I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto
collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.
Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono
sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più
favorevoli ai prestatori di lavoro [1339, 1419, 2066] (1).
È un rapporto che implica che, prevale sempre il contratto collettivo, salvo i casi in cui il contratto
individuale preveda condizioni più favorevoli.
Il contratto individuale non può mai prevedere condizioni peggiorative.
Il contratto collettivo corporativo ha una valenza normativa di tipo pubblicistico ed ha efficacia soggettiva
erga omnes.
Nel frattempo, vi è la 2 guerra mondiale, il sistema fascista cade grazie all’apporto di una resistenza dei
sindacati.
Tra la primavera del 1943/4 si ebbero numerosi scioperi.
Poco prima della fine della guerra, si ebbe una rinascita delle forme di associazionismo nelle imprese: patto
Gozzi-Mazzini (rappresentanti dei sindacati che riemergevano dopo il periodo fascista tornano e firmano
accordi molto importanti).
Questo patto viene firmato nel settembre 1943 e ripristina le commissioni interne e i luoghi di
rappresentanza.
Nel giugno 1944 abbiamo il patto di Roma e la volontà di ricostituire un sindacato unitario: la CGIL unitaria.
La CGIL voleva ricostituire un unico sindacato al cui interno far ricostituire i rappresentanti comunisti,
socialisti, democristiani e socialdemocratici.
Tutto questo ebbe vita breve, poiché negli anni ’40 comincia la guerra Fredda e il confronto tra USA e
Unione Sovietica.
Con gli accordi della 2 guerra mondiale l’Italia è sotto l’alleanza atlantica ma di lì a poco abbiamo il partito
comunista che viene escluso dall’ambito del governo ed una scissione tra i grandi sindacati che si
costituiranno in forme che oggi vediamo ancora: CGIL (socialista) CISL (demo-cristiani) IUL (social-demo).

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Nel frattempo, si costituisce la repubblica nel 1946 dove l’Assemblea costituente vede come partito di
maggioranza i demo-cristiani, subito dopo il partito comunista, socialista e i liberali.
La costituzione repubblicana fa una modifica significativa nell’assetto sistemico italiano.
La costituzione italiana prende spunto da ciò che è accaduto in altri paesi e stati ma con essa abbiamo un
passaggio dallo stato gestore a quello regolatore (che interviene).
Lo stato repubblicano-sociale interviene nell’assetto economico e sociale, attraverso una serie di norme che
fanno riferimento a valori ben determinati.
La costituzione economica che rappresenta i valori fondamentali dello stato repubblicano è incarnata negli
articoli: 3 e 41 della costituzione.
L’art. 3 è l’articolo fondamentale che riguarda l’uguaglianza non solo formale (statuto albertino) ma anche
sostanziale.
L’art. 41 prevedendo la libertà di impresa prevede che questa non possa essere assoluta ma debba essere
correlata e limitata dai principi fondamentali e legata alla presenza dell’uomo nelle dinamiche economiche.
È la presenza della persona umana che rappresenta il pilastro della nostra costituzione.
In questo nuovo assetto il lavoro ha una sua funzione fondamentale sin dall’inizio.
Nella formazione della costituzione l’Assemblea costituente si divide in sezioni e sottogruppi dove ciascuno
si occupa di una materia e alla fine si decide di inserire alcuni principi fondamentali all’inizio della stessa.
Tra i principi fondamentali il lavoro ha un ruolo molto rilevante sin dal primo articolo.
ARTICOLO 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Questa è la modalità con cui la costituzione qualifica il principio lavorista, la lettura più accreditata tra coloro
che hanno approfondito questo aspetto è quella di Mortati: individua il solenne impegno della repubblica a
proclamare l’impegno sociale dello stato.
Per comprendere il significato dell’articolo 1 è importante leggere cosa disse Fanfani (democristiano).
Questa è la risposta di quello che è stato presidente della Corte costituzionale Zagrebelsky rispetto
all’onorevole Brunetta.
In realtà Brunetta si domandava perché l’art.1 dovesse fare riferimento al lavoro e fosse quindi una frase
presa da qualche riferimento al partito comunista.
La risposta la offrì Fanfani che propose anche a nome di altri (Moro, Crassi) la formula della costituzione
tutt’ora vigente:
Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro e si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla
fatica e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto dell’uomo, di trovare nel suo
sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale.
Si fa riferimento quindi al diritto e al dovere di ogni uomo di impegnarsi per contribuire al bene della
comunità.
Principio che i costituzionalisti avevano ripreso dall’enciclica “DE RERUM NOVARUM” di fine ‘800 che
Papa Leone 13 aveva scritto.
ARTICOLO 2
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La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale.
Principio fondamentale che trova applicazione in tutte le materie giuridiche ma che anche nell’ambito
dell’intero ordinamento.
Fa riferimento all’uomo in generale e vi è un riconoscimento importante sia dell’individualità che della
collettività.
Da qui nasce tra gli altri, anche il dovere inderogabile di solidarietà (lavoro).
È letto in combinato disposto con l’art: 41, 4, 35 costituzione.
È un articolo che ha una sua rilevanza fondamentale anche nel diritto del lavoro.
La Corte costituzionale ha richiamato questo articolo in materia di collocamento, in materia di disabilità,
licenziamento, danni ed infortuni.
Tra le formazioni sociali richiamate dall’art.2 c’è sicuramente il riferimento alle organizzazioni sindacali.
ARTICOLO 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8,
19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto
la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale.
È uno dei perni fondamentali della costituzione economica, non fa riferimento solo al principio di
eguaglianza formale (1 comma) ma anche a quello sostanziale (2 comma).
Si fa riferimento da un lato ai cittadini e dall’altro ai lavoratori.
In questo caso il concetto di lavoro è molto ampio ma in alcuni casi poi si restringe.
Eguaglianza sostanziale: intervento concreto e diretto dello stato per ovviare alle differenze insiste
nell’assetto economico e sociale della comunità.
Necessità con l’art. 3 di trattare tutti allo stesso modo e quindi secondo i principi enunciati dallo stesso.

TRIBUNALE:
 NEMINEM LAEDERE = non fare del male a nessuno
 RECTE VIVERE = vivere onestamente
 SUN QUIQUE TRIBUERE =dare a ciascuno il suo, dare a ciascuno quello che gli è proprio.
Principi della tradizione romana giunti fino a noi.
In questo caso abbiamo un principio di eguaglianza, si ribalta tutto con il riconoscimento dello stato e
l’intervento per rimuovere gli ostacoli che limitando libertà ed eguaglianza impediscono il pieno sviluppo
della persona umana.
In ambito lavoristico:
 il primo comma è un immediato riferimento al diritto antidiscriminatorio.

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 Presunzione di illegittimità di leggi differenziate (superabili da giudizio di razionalità e
ragionevolezza)
Questo giudizio ci consente di dire che il principio di parità va contemplato con la necessità di eliminare le
distorsioni che impediscono la piena partecipazione.
C’è ad esempio nell’ambito del pubblico impiego un obbligo di imparzialità delle P.A.
ARTICOLO 3 IN COMBINATO DISPOSTO CON L’ARTICOLO 41:
Esiste un principio di parità di trattamento retributivo?
ES: se due lavoratori fanno lo stesso lavoro devono per forza essere pagati allo stesso modo?
Se la differenza di trattamento è basata solo su un fattore discriminante questo è di per sé illegittimo.
Se oltre a questo fattore è presente un principio di parità di trattamento a parità di lavoro?
Quello che in realtà si è detto dalla Corte costituzionale è che non esiste un principio di parità di trattamento
nel nostro ordinamento.
È un principio che trova la sua ragion d’essere nell’art.41 (libertà di impresa), nella libertà dei privati di
pagare qualcuno più rispetto ad un altro.
I casi di applicazione dell’art. 3 sono vasti e sono legati all’importanza dell’art. stesso.
Viene comunque sottolineato dalla corte è il principio di ragionevolezza.
ARTICOLO 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano
effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o
una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
È un articolo molto importante: nel primo comma tratta del diritto al lavoro e nel secondo comma del dovere
al lavoro espresso in un margine più ampio: necessità di svolgere una funzione che concorra al benessere
della società.
Uno stato democratico che riconosce il diritto di scelta individuale pur prevedendo il dovere di
partecipazione attiva al progresso sociale.
Il diritto al lavoro del 1 comma è un termine che ha ampi approcci, qualunque tipo di attività lavorativa
(subordinato o autonomo).
Emerge però un problema immediato interpretativo:
LA REPUBBLICA RICONOSCE A TUTTI I CITTADINI IL DIRITTO AL LAVORO:
Significa che se io non ho lavoro ho il diritto soggettivo di andare in un qualunque luogo che rappresenti lo
stato o comunque un potere pubblico che sia la regione o il comune e di potere pubblico regione o ministero
e di dire: guarda, l'articolo quattro dice che ho diritto al lavoro e tu mi devi assumere?
No, però la questione non è banale.
Negli anni ’50 accade un episodio che ha come personaggio principale un uomo, sociologo, Danilo Dolci,
un'attivista che stava dalla parte degli ultimi, con la gente che per strada, con gli operai che scioperavano
nelle fabbriche e con i braccianti.

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Prova in Sicilia a dire con riferimento all’art.4 che c’era in un paesino una strada dissestata e lui stesso
inventò uno sciopero alla rovescia.
Diceva: “beh se io sono un lavoratore che lavora attivamente e sciopero, significa che mi astengo dal
lavorare; se sono un disoccupato e sciopero a quel punto lavoro.”
L’idea era quella di mettere assieme i disoccupati del luogo e portarli a ricostruire la strada dissestata.
(lavoro sociale).
Questo episodio portò a reazioni molto pesanti da parte dello Stato: Danilo Dolci venne arrestato e venne
processato e il suo processo ebbe un eco enorme in Italia.
I grandi intellettuali del tempo appoggiarono Dolci e addirittura fu difeso da Calamandrei.
 Può questo riferimento del primo comma significare che un lavoratore può chiedere ed ottenere dallo
stato un lavoro? NO, perché nella giurisprudenza l’art. 4 è visto solo come una norma
programmatica (impegna lo stato a fare di tutto per promuovere il diritto al lavoro) ma non è un
diritto correlato ad una norma immediatamente precettiva.
Al contrario vi sono alcuni articoli che hanno valenza immediatamente precettiva: art.36.
Calamandrei nel ’55 fece una proposta legata alla nuova costituzione: si trova quella che è la frase ripresa
“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione andate nelle montagne
dove caddero i partigiani, nelle carceri dove vennero imprigionati...”
ARTICOLO 11
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;
promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
In questo articolo è fondato il principio della prevalenza del diritto dell’unione europea rispetto a quello
interno.
La Corte costituzionale italiana arriva a conclusioni simili nell’84 e secondo la stessa vi è una necessità di
applicazione o non applicazione.
 Se c’è un contratto la norma italiana va disapplicata.
Oggi è fondato anche nell’articolo 117 comma 1.
Vi sono anche ulteriori diritti importanti dal punto di vista del lavoro:
 Art 21 (libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero)
Nel diritto del lavoro questo principio ebbe difficoltà ad essere attuato e lo fu pienamente nel ’70 con
l’approvazione dello statuto dei lavoratori.
ARTICOLO 9
Riforma recente che ha introdotto la tutela ambientale.
Il problema lavoro-ambiente è sempre stato rilevante.
È possibile inquinare per garantire lavoro ed esistenza di una fabbrica?
ES: Ilva di Taranto
ARTICOLI PIU PRETTAMENTE COLLEGATI AL DIRITTO DEL LAVORO

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Si trovano nel titolo III “Rapporti Economici”
Sono nella prima parte della costituzione, direttamente collegata al ruolo che lo stato sociale comincia ad
avere: la necessità di intervento nel consenso sociale.
Art 35.
“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i
diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e
tutela il lavoro italiano all'estero.”
È una norma importante che pone dei principi significativi di diverso tipo.
In generale il primo comma tutela il lavoro in tutte le sue forme, non solo quello subordinato.
Vi è un riferimento poi alla necessità della formazione continuativa correlata al lavoro e all’attività
economica e professionale. (recepita dal legislatore negli ultimi anni soprattutto dopo le innovazioni
tecnologiche).
Il primo comma ha svolto un ruolo molto importante: sul licenziamento.
Il licenziamento tratta dell’atto unilaterale di recesso da parte del datore di lavoro, mentre il recesso
unilaterale da parte del lavoratore prende il nome di “dimissione”.
Il Codice civile del 1942, che contiene la legge del 1924 sull’impiego privato, che viene successivamente
trasposta ed estesa a tutte le tipologie di lavoratori, finalmente inizia a regolamentare il contratto di lavoro
subordinato come contratto di lavoro particolare.
Nel Codice civile del 1942 non era stata prevista una disciplina particolare in materia di licenziamento,
l’art.2118 cc prevedeva per entrambe le parti del rapporto di lavoro parità di trattamento e prevedeva una
libertà di recesso salvo un periodo di preavviso.
Ai sensi di questo articolo entrambe le parti avevano la possibilità in qualunque momento, una volta
instaurato il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di recedere informando con un certo
preavviso l’altra parte.
In Costituzione, in particolare nella III commissione che si occupava di lavoro, in sede di Assemblea
costituente era emerso il problema del licenziamento, perché è una delle questioni più delicate in materia di
lavoro.
È possibile lasciare così libertà in materia?
In quel momento storico si era preferito non inserire in costituzione una norma specifica, nel corso del tempo
a partire dagli articoli 3, 4 e art.35 la Corte costituzionale negli anni 2000 decise che il licenziamento ha
copertura costituzionale, è quindi necessario che un imprenditore per licenziare debba motivare questo
licenziamento. (giustificazione)
Questo soprattutto in merito a sentenze recenti, a partire dal 2018 la Corte costituzionale è intervenuta con
alcune sentenze:
 Ritenuta incostituzionale la riforma introdotta nel 2015 che prevedeva soltanto un risarcimento
legato all’anzianità di servizio.

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Ciò che in ogni caso ha copertura costituzionale è solo la necessità di giustificare il licenziamento e non la
sanzione legata ad un eventuale licenziamento illegittimo.
La reintegrazione (sanzione principale che per lungo tempo nel nostro ordinamento c’è stata per le aziende
con più di 15 dipendenti) non ha copertura costituzionale.
A questa conclusione le Corte ci arriva anche grazie al diritto sovranazionale e al diritto UE.
Altro punto importante dell’art.35, con riferimento alle organizzazioni internazionali del lavoro
(OIL=ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO, oggi sede ONU che nasce nel 1919)
nell’ambito della società delle nazioni, è molto importante poiché dalla dichiarazione di Philadelphia del
1944 con cui viene riformata dopo il dopoguerra, aderisce al principio che il lavoro non è una merce come le
altre e il fattore umano nelle relazioni di lavoro è fondamentale.
Anche l’ultimo comma dell’art.35 ha una forte importanza dal punto di vista dell’emigrazione.
Noi siamo da anni abituati ad essere un paese oggetto di immigrazione da parte di altri stati, ma storicamente
l’Italia è sempre stato un paese molto povero e quindi un paese a forte emigrazione per trovare lavoro e
nuove occupazioni. (Americhe, Canada, Australia...)
Questa consapevolezza ha fatto sì che i padri costituenti inserissero un principio di libertà di emigrazione.
Nel dopoguerra l’Italia che era un paese povero ha dovuto firmare con propri partner europei (Belgio,
Francia, Germania) accordi in cui venivano barattati lavoratori emigranti e aiuti economici (materie prime
energetiche).
Gli ultimi anni hanno visto un altro tipo di emigrazione: dall’Italia all’estero per trovare un lavoro.
ART.36
“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in
ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”
L’art. 36 veicola uno dei principi fulcro: una giusta retribuzione per il lavoro svolto.
È un principio radicato nel tempo:
 Nella Bibbia si trovano riferimenti inerenti ad esso.
 Nell’enciclica “DE RERUM NOVARUM di Leone XIII” per cui uno tra i doveri fondamentali dei
datori di lavoro era quello di dare a ciascuno la giusta retribuzione.
È un principio radicato anche in altri filoni culturali:
 Quello socialista è uno di quelli per il quale il principio della giusta retribuzione è fondamentale.
È un principio che in epoca moderna è stato accolto, dalla metà del XX secolo, dove le più innovative
costituzioni fanno riferimento ad esso.
Si trovano riferimenti legati al salario minimo legale sia nella convenzione OIL del 1926 n.28, sia
nell’ambito Rooseveltiano dove nel 1938 si parla appunto del salario minimo.
Nella III commissione, si parte dall’idea che la proposta sul riconoscimento di una retribuzione
proporzionata a qualità e quantità del lavoro svolto, passa quasi all’unanimità.
Nella stessa costituzione Fanfani propose la versione che ancora oggi troviamo in vigore.

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La stessa III commissione propose il concetto di “ADEGUATEZZA” piuttosto che quello di sufficienza
introdotto poi nella fase finale di discussione.
Dalla lettura dei primi commentatori (Mortati) si comprende come questo articolo sia la chiave svolta del
diritto del lavoro, principio rilevante.
Una questione più dibattuta dell’art. fu quella della sua portata giuridica, sia in dottrina che in
giurisprudenza.
È una norma programmatica o precettiva?
Il fatto che emerge fin dall’inizio, in dottrina, è quello che attiene alla forza precettiva e immediata della
norma e anche la giurisprudenza negli anni ’50 arriva a questa conclusione.
Si contano tre sentenze di merito che parlano della norma vista dal punto di vista programmatico, per il resto
a partire dalla Cassazione degli anni ’50 capiamo che l’art. ha valenza prettamente precettiva.
“L’art. 36 della costituzione ha carattere precettivo ed è di applicazione immediata.” – 1953
Cassazione
“Si inserisce nei quadro dei diritti assoluti ed irrinunciabili del lavoratore.” - 1955 Cassazione
“Essendo inderogabile dalle parti in danno del datore di lavoro, si impone a tutti i datori di lavoro
senza distinzione.” – Cassazione 1956.
“Da ciò deriva la nullità di qualsiasi accordo espresso o tacito avente carattere generale o particolare
che si trovi in contrasto con l’art.36” -sezioni unite Cassazione 1960
Dal carattere precettivo e inderogabile dell’art. non deriva un principio di parità di trattamento per parità di
lavoro (guardando all’art.3), questo non esiste nel nostro ordinamento.
Vi è la possibilità quindi del datore di lavoro di pagare in modo differente lavoratori che svolgono la
medesima mansione. (senza in ogni caso discriminazioni)
Si parla di datori di lavoro privati poiché quelli pubblici sono necessitati a pagare tutti allo stesso modo in
relazione ai principi degli art.97/98 della P.A.
PROPORZIONALITA O SUFFICIENZA?

Proporzionalità= carattere economico, retribuzione proporzionata al lavoro svolto.


Sufficienza= obbligazione sociale che sia dottrina che giurisprudenza considerano una cosa sola.
A chi si applica l’art. 36?
 Al lavoratore in tutte le forme?
No. La giurisprudenza ha ritenuto che significhi “lavoro subordinato” adeguato in ogni caso alle varie
tipologie dello stesso:
 Indeterminato
 Part- time= ore ridotte rispetto al tempo pieno e paga inferiore.
LAVORATORE SOCIO?
 Cosa vuol dire sufficiente?
Stipulazione di un concordato di tariffa contratto collettivo
Alcune volte sono previsti salari minimi legali, per i quali determinate norme impongono al datore di lavoro
di non pagare il lavoratore al di sotto di una certa soglia.

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Vi è una direttiva UE che ha un riferimento alla giusta retribuzione.
 Salario minimo per un settore? (modalità con cui lo stato interviene con erogazioni dirette)
Fare un salario minimo che valga per tutto il settore significherebbe prendere come riferimento la
retribuzione più bassa e far sì che si abbia un abbassamento della distribuzione.
Questo dipende da come viene attuato, l’idea di coloro che sono d’accordo è di prevedere il “salario minimo”
come scalino più basso e usare strumenti come la contrattazione collettiva per aumentare le retribuzioni.
Altre risorse, poi, sono le modalità con cui lo stato interviene con erogazioni dirette.
Gli stati sociali hanno, nell’ambito del loro Welfare State, strumenti che intervengono a tutela delle famiglie
in particolare difficoltà.
Indennità di povertà = erogazione monetaria di tipo sociale che viene erogata in relazione alle condizioni
dell’individuo o del nucleo famigliare.
Questa erogazione è sempre stata presente nei paesi del nord Europa che sin dal 1900 hanno avuto uno stato
sociale molto sviluppato: finanziato attraverso la tassazione (pesa su tutti i contribuenti) e a volte invece
attraverso l’assicurazione previdenziale.
Quello che poi è stato proposto fino ad ora solo in sede teorica è quello che viene chiamato REDDITO DI
CITTADINANZA.
Il reddito di cittadinanza, proposto da alcuni pensatori da circa 20 anni, dovrebbe essere estremamente
innovativo: erogazione monetaria che lo stato da a tutti i cittadini a prescindere dalla loro situazione
economica.
Il sistema produttivo oggi è cambiato: il profitto non viene solo dalla produzione ma anche dal tempo libero.
(i dati vengono usati e producono immensi profitti)
Essendo molto complicato dare valore economico a queste modalità, una situazione economica potrebbe
essere quella di pagare tutti quanti un certo minimo e poi ovviamente c’è la totale rivoluzione dei sistemi di
prelievo fiscale. (per ora solo teorico)
Quello che da noi oggi è chiamato come tale non è basato su questa idea teorica, ma è quello che abbiamo
definito “indennità di povertà”, quello che in Italia in precedenza era chiamato reddito di inclusione.
L’Italia in realtà non lo aveva mai avuto, è dalla fine degli anni ’90 che sono stati fatti dei concreti tentativi
con il governo Prodi e poi nel 2013 Letta lo introdusse.
Il primo governo Conte, quando introduce quello che chiama reddito di cittadinanza, rispetto al reddito di
inclusione stanzia del denaro e allarga le maglie di erogazione.
Dal punto di vista concreto, quello di inclusione aveva come riferimento gli enti locali mentre quello di
cittadinanza ha un approccio nazionale.
Da noi questo principio di giusta retribuzione è attuato attraverso il contratto collettivo.
Fin dagli anni ’50 è il rinvio al contratto collettivo che permette di ritenere quale debba essere una
retribuzione proporzionale e sufficiente.
Oggi i contratti collettivi non hanno efficacia erga omnes come nel sistema corporativo, ma hanno la normale
efficacia di qualsiasi contratto.
Art. 1321/1372 cc  Ha effetto nei confronti di coloro i quali lo hanno firmato, solo tra le parti.

Il contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali attraverso il meccanismo dell’iscrizione


sindacale (mandato con rappresentanza) ha effetto nei confronti di coloro che sono iscritti presso i sindacati e
hanno firmato quel contratto.

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Il contratto collettivo ha efficacia soggettiva soltanto tra coloro che sono iscritti alle organizzazioni sindacali
stipulate, poi nel corso del tempo la giurisprudenza ha cercato di allargare l’ambito di efficacia soggettiva:
 Riferimento all’art.36 della costituzione
Nel nostro ordinamento un datore di lavoro può tranquillamente non applicare alcun contratto collettivo.
Siamo in un sistema di libertà contrattuale.
Quello che deve fare è rispettare il principio costituzionale di proporzionalità e sufficienza della retribuzione.
Come si fa a farla rispettare se il datore non attua alcun contratto collettivo?
 Se lo applica e lo ha firmato: si suppone che quel contratto sia coerente con l’articolo 36
Ci sono casi in cui i contratti collettivi sono considerati nulli perché non hanno rispettato l’art. 36.
Tendenzialmente se il contratto è firmato dalle rappresentanze sindacali più grandi, quel contratto è
considerato coerente.
I problemi sorgono nei casi di imprenditori che non hanno firmato alcun contratto collettivo.
Il nostro è un paese con più del 90 % di imprese sotto i 10 dipendenti.
SUPPONIAMO
Cosa succede se, un lavoratore lavora in un’impresa che non attua un contratto collettivo e vede che un
lavoratore, suo amico, che lavora in una vicina impresa e fa la stessa mansione guadagna 3 volte quello che
guadagna lui?
(Lui 300, il suo amico 1.000).

Questo lavoratore potrà rivolgersi al giudice e impugnare la clausola del suo contratto individuale dicendo
che contrasta con l’art. 36.
Il giudice cosa può fare?
Il giudice fa dei passi logici.
1. Rendersi conto che la differenza è tale per cui quella retribuzione è contraria al principio dell’art.36

2. Visto che il giudice sa che l’art.36 è immediatamente precettivo, gli consente di dichiarare nulla la
clausola retributiva del contratto individuale. (che sia scritta o meno visto che nel rapporto di lavoro
subordinato la forma scritta non è necessaria)
3. I giudici sono solo bocca della legge e non fonte di diritto... allora come possono riempire quel
vuoto? I giudici hanno sin dall’inizio usato una norma del Codice civile già esistente.
ART.2099 CODICE CIVILE
La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere
corrisposta [nella misura determinata dalle norme corporative], con le modalità e nei termini in uso
nel luogo in cui il lavoro viene eseguito.
In mancanza di norme corporative o di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice
[tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali].
Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai
prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura.
Il secondo comma, in combinato disposto con l’art.36 della costituzione per interpretazione UNANIME è lo
strumento che consente al giudice di riempire il vuoto.
 Art. 36 nullità causa retributiva
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 Art. 2099 possibilità per il giudice di riempire il vuoto

Questa interpretazione unanime inizialmente è stata discussa perché la norma fa riferimento alla mancanza di
accordo tra le parti ma in realtà l’accordo nel contratto era presente (300euro).
N.B: uno può riferirsi alla volontà concreta delle parti di aver dato la propria volontà davvero o perché
costretto. Accettando i 300 euro probabilmente non aveva altre possibilità di lavoro.
Se andiamo a vedere le norme sulla nullità vediamo che, se la volontà delle parti è sul punto essenziale del
contratto, questo porta la nullità dell’intero contratto e non solo della clausola con la possibilità di riempire il
vuoto.
 Per la giurisprudenza questa è un’interpretazione costituzionalmente orientata: la necessità di far sì
che trovi applicazione il principio dell’art.36 della costituzione che consente di leggere il principio
come in “mancanza di retribuzione.
Come fa il giudice?
Cerca un contratto collettivo con cui parametrare la situazione.
La soluzione è riprendere l’art. 2070cc facente parte delle norme pensate ed inserite per il solo contratto
corporativo, che quindi in teoria non dovrebbero più valere per i contratti di diritto comune.
La giurisprudenza ci dice che l’art 2070 non trova applicazione salvo che per quando riguarda la retribuzione
in caso in cui sia messo in discussione l’art. 36.
Ai sensi dell’art. 2070 = contratto collettivo trovato dal giudice (va a vedere cosa svolge il lavoratore).
ES: ditta che costruisce frigoriferi  contratto metalmeccanici
A quel punto guarda i minimi del contratto dei metalmeccanici e può:
 Decidere di applicare il minimo costituzionale (non il minimo del contratto).
N. B= la retribuzione è composta da una serie di voci, nel minimo costituzionale rientra:
- retribuzione base
- indennità di contingenza
- XII mensilità
Oggi i contratti collettivi ce lo dicono quale è questo minimo.
Il giudice poi, a seconda del caso decide autonomamente (con motivazione) di abbassare o alzare quel
minimo.
L’art. 36 al secondo comma ci dice che la durata massima della giornata di lavoro è stabilita dalla legge.
Per diverso tempo è stata di 8 ore giornaliere (la battaglia di arrivo per i sindacati è stata dura.)
In Italia era stata inserita negli anni 30 in virtù di convenzioni OIL nella legislazione, rimasta in vigore per
molto tempo.
Oggi la normativa in vigore (d.lgs. 66/2003) è un decreto che attua una direttiva UE che non prevede più un
limite massimo giornaliero ma dei tempi di lavoro medi settimanali.
L’unica norma che fissa in termini giornalieri il periodo massimo di lavoro è la norma che prevede un
periodo di almeno undici ore di riposo giornaliero consecutive.
La Corte costituzionale non è ancora intervenuta ma in passato aveva affermato che non è necessario che il
limite massimo sia lo stesso per tutte le tipologie di lavoro.

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L’ultimo comma prevede che il lavoratore ha diritto a riposo (solitamente la domenica), ferie annuali
retribuite e non può rinunziarvi. (Principio rilevante entrato in quelli fondamentali della materia e in quello
dell’unione Europea.)
In varie occasioni la Corte di giustizia dell’UE ha affermato che il datore di lavoro non può trasformare le
ferie a cui il lavoratore ha diritto in crediti economici, salvo casi particolari (es. fine del rapporto di lavoro)
Sul riposo settimanale, normalmente coincidente con la domenica, ci fu un caso negli anni ’60 in cui la corte
ritenne incostituzionale alcune situazioni:
 Ferie annuali: art. 2109 cc prevedeva la possibilità di godere delle ferie solamente dopo un anno di
ininterrotto servizio. La corte nel ’63 ha ritenuto incostituzionale questa norma.
Le ferie sono un diritto, ad oggi sono quattro settimane, le decide il lavoratore, ma dipende dalle necessità
produttiva, tenendo sempre conto delle esigenze del lavoratore.
Art. 37
La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al
lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione
familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il
diritto alla parità di retribuzione.
È un articolo importante, dedicato a coloro che sono visti dal giudice costituzionale fragili nel mondo del
lavoro: donne e minori.
Si detta un principio fondamentale, che è quello di uguaglianza e non discriminazione e della necessità di
parità di trattamento tra donne e uomini.
Il linguaggio è probabilmente diverso da quello che useremmo oggi, in riferimento soprattutto alla “necessità
di consentire l’adempimento della sua essenziale funzione famigliare e assicurare alla madre e al bambino
una speciale adeguata protezione” lascia intendere che i padri costituenti avevano una visione più
paternalistica rispetto ad oggi.
La costituzione è il risultato di un grande compromesso tra varie posizioni teoriche e principi, in questo
articolo si manifesta l’approccio di una cultura cattolica.
È necessario in ogni caso cogliere da un lato l’importanza di questo articolo:
 Le donne in Italia votano per la prima volta per l’Assemblea costituente
 Oggi siamo in una situazione in cui abbiamo alla presidenza del consiglio una donna, al partito
dell’opposizione una donna, alla Corte costituzionale una donna, alla cassazione una donna.
Il principio di parità ha avuto molti progressi.
Dal punto di vista retributivo i dati ci dicono che i principi costituzionali di questo articolo sono stati poi
attuati tramite norme introducendo il d. lgs n. 198/2016 in cui sono previsti degli strumenti per rendere
effettivi tali principi di parità.
Vi sono inoltre dei consiglieri di parità ad ogni livello:
 Comunale
 Provinciale
 Regionale
 Nazionale
Vi è la possibilità di proporre azioni positive e modalità con cui se un sesso rispetto all’altro si trova in

situazione di inferiorità introduce strumenti che cercano di attenuarla.


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Attenendoci ai dati notiamo una differenza ancora marcata rispetto alla retribuzione:
 Al nord si hanno i tassi di attività più elevati ed in linea con quelli del nord Europa.
 Il vero problema italiano dal punto di vista del mercato del lavoro è il Sud dove vi è un tasso di
attività femminile pari al 30 percento.
Queste differenze retributive non sono mai legate al singolo lavoratore.
Il principio di non discriminazione retributiva è fatto valere nell’ordinamento e nella giurisprudenza.
Quello che in realtà evidenziano i dati è l’ammontare globale delle retribuzioni; le donne guadagnano molto
meno perché normalmente svolgono il part-time e lavorano spesso in settori in cui vi sono retribuzioni più
basse.
Il principio di non discriminazione retributiva è in ogni caso un passaggio dell’ordinamento italiano e del
diritto europeo poiché proprio dalla non discriminazione di genere nasce quello che poi è diventato uno dei
più importanti strumenti che l’UE ha per diritto sociale.
Nasce tutto dall’art. 119 del trattato CE del 1957, unico articolo a prevedere diritti sociali, articolo che
prevedeva la necessità di un pari trattamento retributivo tra donne e uomini.
Da questa norma nasce quello che sarà il diritto sociale sul piano dell’Unione Europea.
Il contenuto dell’art. 37 comincia a differenziarsi rispetto al principio dell’Unione Europea:
ESEMPI DI 2 NORME CHE PER ANNI NEL NOSTRO ORDINAMENTO SONO STATE ATTUATE E
CONSIDERATE A TUTELA DEL LAVORO FEMMINILE E CHE INVECE LA CORTE DI GIUSTIZIA
UE HA RITENUTO CONTRARIE AI PRINCIPI DELL’UNIONE:
 Divieto del lavoro notturno
 Età pensionabile
Per anni le donne hanno avuto un trattamento particolare in riferimento al lavoro notturno, vi era un divieto
generalizzato o comunque ampie modalità di tutela rispetto agli uomini, poi ritenuto dalla corte di giustizia
contrario ai principi di parità di trattamento.
Oggi il lavoro notturno ha delle tutele per tutti i lavoratori, maggiori per la donna in gravidanza e non per la
donna lavoratrice in quanto tale.
In Italia dal punto di vista pensionistico le donne andavano in pensione 5 anni prima rispetto agli uomini e
l’idea era quella di venire incontro agli anni che le donne avevano dedicato al lavoro di cura, anche in questo
caso la corte di giustizia attuando il principio di parità, ha ritenuto discriminatoria questa visione.
Oggi donne e uomini vanno in pensione alla stessa età.

I principi di non discriminazione si sono diffusi poi nel diritto interno e nascono dal diritto UE; si parla di
distinzione tra discriminazione:
 Diretta
Qualunque atto o fatto che tratta per la sola differenza di genere o qualsiasi altro motivo discriminante una
persona in un modo diverso dagli altri.
Non ha possibilità di giustificazione.
 Indiretta
Tipo di discriminazione che se pur formalmente a fronte di un atto o fatto è puramente neutra, nasconde delle
forme di trattamento differenziato.
Può essere in qualche modo giustificata.
ES: Altezza
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 Se in un bando di assunzione si prevede un’altezza minima di 1.70 quella tipologia di bando è
considerata discriminazione indiretta poiché statisticamente le donne sono normalmente più basse
degli uomini.
A volte è giustificabile: se ad esempio il bando riguarda l’assunzione dei corazzieri della repubblica.
In questo caso è un bando che ha una sua giustificazione pur essendo discriminatorio.
Nel nostro ordinamento abbiamo il d. lgs n 198/2016 (codice delle pari opportunità) e il 151/2001 che
prevedono norme a tutela di maternità e paternità.
I minori hanno una tutela particolare.
In generale quando la legge stabilisce il minimo di età per il lavoro salariato è fissato generalmente a 16 anni
(< di 18 anni).
Per quanto riguarda il lavoro noi abbiamo una capacità giuridica speciale: il sedicenne può autonomamente
stipulare un contratto lavorativo. (15 anni per contratto di apprendistato).

Vi è la possibilità che anche i minori di anni 16 possano lavorare ma a loro tutela vi sono norme molto forti:
 Non hanno capacità giuridica, non possono siglare loro il contratto (tutore)
Art. 38
Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento
e all'assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in
caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L'assistenza privata è libera.
Articolo che riguarda assistenza e previdenza sociale, come lo stato sociale risponde ai bisogni primari di un
cittadino e di un lavoratore.
Il primo comma fa riferimento ad ogni cittadino inabile o sprovvisto di messi necessari: riferimento generale.
Tutti questi cittadini hanno diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di
infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia e disoccupazione involontaria. Questi sono i grandi bisogni che
spesso sono legati a quello che accade sul posto di lavoro.
Per comprendere la modalità con cui il 2 comma dell’art. 38 entra nel vivo di questi bisogni dobbiamo
comprendere quello che gli studiosi ci indicano come modo migliore per affrontarli.
Vi sono due grandi sistemi di WELFARE:
1. Sistema Bismarchiano (cancelliere tedesco dell’800 che ha introdotto un sistema basato sulle
assicurazioni, che coprono un avvenimento futuro ed incerto attraverso un premio)
Utilizza questo contratto per coprire anche le situazioni future ed incerte che possono capitare al
lavoratore (infortunio, malattia, vecchiaia, disoccupazione involontaria).
La copertura di questo sistema è a tutela delle parti del rapporto.
Il contratto prevede che le parti paghino un premio assicurativo e lo stato, esterno al sistema,
interviene solo in caso di problematiche varie.
Il sistema è finanziato dai contributi previdenziali.

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2. Sistema ispirato a Lord Beveridge che nella Gran Bretagna è stato ministro.
Subito dopo la 2 guerra mondiale scrive un rapporto per il governo inglese e cerca in qualche modo
di entrare nel merito della costruzione di un sistema Welfare che tuteli al meglio grandi parti di
popolazione in difficoltà e che avesse molte più coperture.
Non è un sistema di tipo assicurativo ma pensato sulla cittadinanza, dove il finanziamento è pensato
al prelievo fiscale e sulla generalità dei contribuenti.
Si basa quindi sulle tasse che tutti i cittadini pagano.
In Assemblea costituente si decide di tenere quello che già era nato negli anni precedenti:
 Nel 1924 c’è la prima legge sull’impiego privato
 Negli anni’30 vengono emanate norme che fanno riferimento al sistema previdenziale e assicurativo.
(modello Bismarchiano) basato su un contributo di 1/3 da parte del lavoratore e 2/3 del datore di
lavoro (1/3 dello stipendio).
Si decide di inserire questo riferimento già in vigore in Italia che rimane anche successivamente.

È UN SISTEMA COSTITUZIONALMENTE NECESSARIO?


La Corte costituzionale ha detto di no, il nostro paese potrebbe tranquillamente introdurre un Welfare di
cittadinanza, questo ce lo permettono gli articoli:
 Art. 4
 Art. 35
 Art. 38
In ogni caso, se ad un certo punto il legislatore vuole modificare questa modalità di approccio e quindi
decidere che il Welfare ha più importanza, è libero di farlo.
Anche noi abbiamo alcuni interventi basati sulla cittadinanza: SSN (legge del 1978)
Mentre prima del 1978 anche il SSN era costruito attorno alla modalità di tipo assicurativo, successivamente
è stato modificato a tutela generale, finanziato con il prelievo dalla fiscalità generale.
Un ruolo principale lo hanno le regioni ma la parte che riguarda la malattia si continua a rifare al sistema
assicurativo.
Anche per pensioni, invalidità e vecchiaia il sistema ha subito alcune modifiche: i grandi sistemi
previdenziali pensionistici hanno quattro variabili da tenere in conto:
1. Il sistema può essere contributivo o retributivo (il calcolo viene fatto sulle ultime retribuzioni oppure
sul quantum dei contributi versati). Il nostro paese nel 1995 con la riforma Dini passa da un sistema
retributivo ad un sistema contributivo.
Colui che versa la pensione è l’INPS, ente pubblico, ad esso viene erogato ogni anno il 30 percento di
contributi. (una parte per pensioni, disoccupazione e vecchiaia).
Vengono dati dal datore di lavoro all’INPS e fanno parte di quelle erogazioni che coprono le pensioni.
Il motivo del passaggio è il cambiamento del sistema produttivo e delle modalità di lavoro, rispetto ad un
sistema come quello diffuso fino a qualche anno prima (stesso lavoro per tutta la vita) non c’è molta
differenza.
Se invece molte persone lavorano con contratti precari, cambiano lavoro o non lavorano per anni... ci si trova
davanti a molti buchi contributivi ed ecco che a quel punto il sistema per reggere deve cambiare.
2. Sistema a ripartizione (i versamenti versati dai lavoratori coprono direttamente le pensioni) e a
capitalizzazione (uno mette via i contributi versati e quelli servono a coprire la propria pensione).
L’Italia nonostante il passaggio, ha mantenuto il sistema a ripartizione: coloro che lavorano pagano le
pensioni di coloro che sono in pensione.
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Questo significa che ci deve essere un forte collegamento tra le due parti, da questo punto di vista il fatto che
molti partano per l’estero o il fatto che il tasso di natalità sia elevato potrebbe cominciare a essere un
problema per la tenuta del sistema pensionistico.
Il problema legato alla disoccupazione involontaria è legato al fatto che deve essere un evento futuro ed
incerto e non legato alla volontà del legislatore.
Ci sono articoli molto importanti per quanto riguarda il diritto sindacale.
Art. 39
L'organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o
centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base
democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione
dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli
appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
È un articolo molto importante che fa riferimento ad alcuni aspetti essenziali.
“L’organizzazione sindacale è libera”, è una risposta al 20ennio fascista.
Gli altri commi non hanno mai avuto attuazione, il contratto collettivo nel nostro ordinamento non ha
efficacia erga omnes.
L’art. 39 nel 2-3-4 comma aveva in mente quello che aveva funzionato nel sistema corporativo, dove,
nonostante gli aspetti negativi, qualcosa aveva funzionato: era stato risolto il problema legato al contratto
collettivo.
Il legislatore costituzionale vorrebbe tentare di riprendere quel modello (dare efficacia erga omnes al
contratto collettivo in un sistema di libertà democratica, che in Italia si cercava di introdurre dal 1900) poiché
in realtà l’aspetto negativo del sistema corporativo era che si vietava qualunque altro tipo di sindacato se non
quello del partito).
Anche altri paesi prevedevano con sistemi diversi, l’efficacia erga omnes del contratto collettivo.
Quello che nella costituzione si tenta di fare è richiedere ai sindacati la registrazione presso uffici e un ordine
interno a base democratica.
Fino dagli anni ’50 si è proposto un modo di applicazione ma nel corso del tempo ci si è accorti che c’era
una volontà politica di non attuazione dell’articolo.
Da un lato non lo voleva la CGIL (rinasce unitaria nel ’43 ma fino al 50 si divide in CGIL, CISL, UIL)
CGIL= legata per lungo tempo al partito comunista e per lungo tempo messa all’opposizione
CISL= legata alla democrazia cristiana
UIL
Inizialmente sia la CGIL che la CISL erano contrarie all’attuazione di questo articolo, la CGIL perché negli
anni ’50 era vista troppo vicino ai comunisti e sostanzialmente esclusa dalla grande contrattazione e la CGIL
aveva timore della registrazione e dei controlli.
La CISL aveva un timore legato all’ultimo comma che parla di “rappresentanza unitaria in proporzione degli
iscritti” perché storicamente la CGIL (5.000.000) CISL (3.000.000) UIL (1.800.000).
La CGIL era il sindacato rappresentativo e da parte della CISL c’era timore di non avere nulla in mano nel
caso di un contratto collettivo.
22
C’erano altre ragioni: c’era una modalità con cui il sistema sindacale lavorava in autonomia anche in
riferimento al potere statutario.
La scelta di non attuare l’articolo 39 è stata seguita senza creare troppi problemi.
In realtà da qualche anno non è più così perché quelle che erano le grandi confederazioni sindacali, che nelle
mani avevano un potere sindacale molto vasto nell’ambito delle relazioni industriali, oggi non lo hanno più e
negli ultimi anni sono emersi problemi riguardo al fatto che non esiste contratto collettivo che abbia valenza
generale.
Ancora oggi si discute sul fatto che sia arrivato il momento di risolvere alcuni problemi legati alle differenze
tra contratti collettivi e sindacati e di attuare l’art. 39 (anche per risolvere problemi legati all’art. 36cost).
Dell’art. 39 l’unica norma in vigore è quella del comma 1.
Pur non attuati, gli altri commi hanno in ogni caso conseguenze giuridiche: conseguenze di tipo impeditivo.
Il fatto che l’art. 39 sia scritto in modo articolato così da prevedere un procedimento specifico per giungere al

contratto erga omnes, impedisce al legislatore di trovare una soluzione alternativa.

Comunque, la dottrina e la giurisprudenza affermarono che in ogni caso i contratti collettivi potevano
continuare ad essere stipulati pur non avendo l’efficacia erga omnes (solo efficacia pari a tutti gli altri
contratti).
Nel ’59 il governo tenta di introdurre nell’ordinamento un meccanismo per cercare di giungere allo stesso
risultato ma con strumenti differenti (senza attuare l’art. 39 che aveva portato varie complicazioni).
Il parlamento prevede una legge delega, che delega il governo, al fine di predisporre tutele minime per tutti i
lavoratori e di emanare un certo numero di direttive ai vari delegati che avrebbero dovuto, per ogni settore,
recepire il contratto collettivo stipulato in quel settore dalle parti sociali.
È quello che avviene in Francia: abbiamo un contratto che ha forza di legge solo tra le parti, che viene
introdotto con una norma di legge (contratto delegato) e in questo modo ne acquisisce la forza, diventando
forza della legge.
Questo è quello che accade oggi nelle norme bianche o nel caso del diritto penale per le norme riguardanti gli
stupefacenti.
Si arriva davanti alla Corte costituzionale che all’inizio degli anni ’60 che dichiara questo meccanismo
contrario all’art. 39.
La stessa corte in quel caso interviene 2 volte:
1. In via transitoria dando via libera ai primi decreti delegati
2. Con un secondo tentativo del legislatore l’anno successivo la corte lo afferma incostituzionale.
L’art. 39 impone che per arrivare all’efficacia del contratto collettivo erga omnes bisogna seguire questo iter.
Ci sono alcuni ambiti in cui vi sono contratti collettivi generalizzati che la corte ha lasciato passare perché
non rientrano nel caso dell’art. 39.
Art. 40
Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano.
Lo sciopero è stato:
 Reato
 Illecito civile
 Reato

23
Nel 1948 diventa un diritto.
La decisione presa dai padri costituenti è quella di prevedere che lo sciopero sia un DIRITTO che ha dei
limiti rimandati alla legge.
Lo sciopero è un diritto individuale ad esercizio collettivo ma in altri ordinamenti è una mera libertà.

Art.41
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente,
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.
Articolo che fa riferimento alla costituzione economica, il nostro è un paese che si basa sulla libertà di
impresa e che raccoglie i principi generali ma che prevede una serie di limiti alla libertà di impresa.
L’art. 41 contiene un riferimento fondamentale: accanto all’idea che l’iniziativa economica privata è libera,
viene riconosciuta l’importanza del funzionamento dell’impresa.
In questo articolo c’è la giustificazione a quei poteri di cui è dotato il datore di lavoro e l’imprenditore.
Una delle caratteristiche fondamentali del contratto di lavoro subordinato è la sottoposizione al potere
direttivo e disciplinare del datore di lavoro.
È un contratto che consente giuridicamente ad una delle due parti di avere dei poteri rilevanti nei confronti
dell’altra parte:
 Di disciplina
 Di controllo
 Direttivo
Nell’ambito del contratto di lavoro il datore di lavoro più sanzionare un eventuale inadempimento dell’altra
parte.
L’art. 41 che tutela la libertà di impresa insita la necessità che l’impresa funzioni e questo accade se al suo
interno vi è una modalità organizzativa di tipo gerarchico. (oggi di tipo orizzontale)
Un potere così forte non può essere lasciato alla discrezionalità di colui che lo esercita ma deve
necessariamente avere dei limiti molto rilevanti.
ES: licenziamento con giustificazione
Questo principio viene fatto proprio dalla giurisprudenza che afferma il giudice non può entrare mai nel
merito delle scelte dell’imprenditore. (tutela dell’art. 41)
ES: la scelta se esternalizzare o meno il proprio call center interno è del datore di lavoro.
Art. 45
La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di
speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne
assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità.
La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.

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Le cooperative sono un importante aspetto dell’imprenditoria italiana, sono società dove il lavoratore è allo
stesso tempo socio e vi è un superamento dell’idea di lavoro-capitale. (superamento del plusvalore)
Il lavoratore è anche padrone dell’impresa.
Oggi esiste una legge introdotta nel 2001 (n.142) che tutela il lavoro in cooperativa: viene tutelato con la
previsione di 2 rapporti giuridici:
 Sociale (lavoratore come socio)

 Rapporto di lavoro (il socio ha un lavoro che può essere autonomo, subordinato o cooperato)
Le cooperative hanno anche molti contributi da parte dello stato (fiscali e contributivi) e nel corso del tempo
sono state introdotte norme per evitare le false cooperative.
Art. 46
Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la
Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi,
alla gestione delle aziende.
Viene definita cogestione, in realtà l’art. 46 in Italia non è mai stato attuato in modo definitivo, e nel 2003 vi
è stata una riforma delle norme del Codice civile in materia di diritto commerciale.
In quelle modifiche è stato possibile per gli istituti delle società di avere più possibilità (gestione con la
possibilità teorica di cogestione da parte dei sindacati).
Il vero problema italiano è l’eccesso di piccole imprese, un sistema tale funziona solo con imprese grandi.
Art. 117
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,
nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea;
diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario;
sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle
risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;
o) previdenza sociale;
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p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei
dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;
s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a:
a) rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni;
b) commercio con l'estero;
c) tutela e sicurezza del lavoro;
d) istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e della
formazione professionale;
e) professioni;
f) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
g) tutela della salute;
H) alimentazione;
i) ordinamento sportivo;
J) protezione civile e governo del territorio;
K) porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione;
L) ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;
M) previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario; N) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività
culturali;
O) casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e
agrario a carattere regionale.
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la
determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata
alla legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza,
partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono
all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto
delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere
sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle
Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le
Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne
nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle
cariche elettive.
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La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle
proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti
territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.
Per aver presente la modalità con cui il lavoro è visto nell’ambito della divisione dei poteri si fa riferimento
al suddetto articolo, pubblicato nel 2001 con la riforma del titolo V.
Precedentemente la costituzione aveva previsto un generale potere legislativo dello stato centrale e i limiti
entro i quali le regioni avevano potestà normativa.
Nel 2001 l’ambito viene ribaltato, sono stati definiti gli ambiti in cui intervengono i vari organi, tutto quello
che non è previsto è di potestà regionale.
Lo stesso articolo ha introdotto una modalità con cui, nel 1 comma, i vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali intervengono nell’ambito dell’ordinamento interno.
In materia di lavoro in particolare:
 Problema della potestà legislativa in materia di diritto del lavoro.
La corte è intervenuta con la sentenza n. 50/2005 affermando che spetta soltanto allo stato poiché la lettera
(L) fa riferimento all’ordinamento civile, nel quale rientra il diritto del lavoro.
RIFERIMENTO ALLE LEGGI PIU’ IMPORTANTI DI DIRITTO DEL LAVORO.
Il diritto del lavoro interviene nell’ambito di una relazione contrattuale, quella del contratto di lavoro
subordinato, dove vi sono due parti, su piani diversi, dal punto di vista tecnico giuridico.
 Il datore di lavoro che ha molti più poteri nei confronti della controparte (lavoratore subordinato) al
fine di far funzionare al meglio l’impresa per ottemperare al principio dell’art. 41 “il diritto del
lavoro interviene per limitare quei poteri.”
Nella relazione contrattuale la differenza di peso è sul piano economico e sociale, non solo perché
l’imprenditore è più ricco di un lavoratore, ma proprio per una questione che riguarda il fatto che:
l’imprenditore ha la proprietà dei mezzi di produzione e dell’impresa; quindi, la relazione di fungibilità o
infungibilità dell’elemento lavoro non è lo stesso da entrambe le parti.
L’imprenditore non ha sempre e per forza bisogno di quel lavoratore li, al bisogno ne trova un altro; il
lavoratore ha bisogno invece di lavorare poiché dal lavoro deriva il reddito che permette di vivere e far
vivere la famiglia. (peso socioeconomico diverso).
Anche questo aspetto rientra negli obiettivi che il diritto del lavoro ha nella costituzione, che vede l’uomo
prevalere sulla condizione economica (principio dell’OIL del 1944 “l’uomo non è una merce come le altre”)
quindi il diritto del lavoro ha la funzione di tutela del contraente debole.
Molte però sono le situazioni giuridiche in cui l’ordinamento interviene in modo diverso dalla normale
normativa civilistica in cui:
 I contraenti sono considerati uguali
 Si lascia molta autonomia alle parti
 L’ordinamento interviene solo al regolare alcune modalità di intervento che possono mettere in crisi
la pari autonomia contrattuale tra le parti.
Vi sono dei casi (commercio e diritto dei consumatori) dove l’ordinamento interviene a protezione del
contraente debole (consumatore) rispetto al professionista, con norme imperative e sanzioni a tutela della
condizione di parità.
Anche nelle locazioni, nonostante la disciplina dell’equo canone sia cambiata, tutt’ora vi sono norme che
tutelano il conduttore rispetto al locatore poiché considerato contraente debole.

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Il diritto del lavoro non interviene solo a tutela del contraente debole, le regole del diritto del lavoro
costituiscono (nell’ottica della nostra costituzione interventista) una parte del diritto, dell’economia, del
mercato e della concorrenza.

Non vi è una contrapposizione tra diritto del lavoro, dinamiche sociali e contrattazione economica.
L’idea è che le regole del diritto del lavoro rientrano in un sistema in cui le imprese hanno come finalità
fondamentale certamente il profitto; (perché il nostro articolo 41 riconosce la finalità di profitto nell'impresa)
ma con le limitazioni previste dalla necessità di “responsabilità sociale dell'impresa”: cioè l'impresa è un
soggetto che vive e si muove all'interno di un contesto storico, sociologico ed economico ben preciso (la
costituzione economica è collegata agli articolo 3 e 41) e anche le regole del lavoro rientrano nello stesso
diritto della concorrenza.
Quali sono gli strumenti con cui il diritto del lavoro cerca di far perseguire questi obiettivi?
 Utilizzo della norma imperativa (strumento principale)
Negli ultimi tempi gli strumenti si sono differenziati.
La norma imperativa e inderogabile rimane lo strumento principale che ha funzione di riequilibrare lo
squilibrio contrattuale tra le parti e tutelare il contraente debole ma ha anche altre finalità di tipo
pubblicistico:
ES: disciplina in orario di lavoro: situazione in cui sin dagli anni ’20 si cerca di imporre un limite massimo di
orario di lavoro, ma c’è anche la necessità di tutelare interessi generali come creare maggior occasioni di
lavoro, tutelare minori e tutelare la gravidanza (nullità del licenziamento durante la gravidanza).
Negli ultimi anni sono emerse altre tecniche di regolazione indirette, incentivanti e promozionali: ad esempio
basati su sconti fiscali o previdenziali per coloro che usano alcuni contratti collettivi rispetto ad altri.
Nell’ambito dell’emersione dal lavoro nero abbiamo delle modalità che attenuano le sanzioni che sarebbero
previste per chi non applica queste regole.
Queste tecniche incentivanti hanno la necessità di coordinarsi anche con altre regole:
 Diritto UE e divieto di aiuti di stato
 Possibilità di scelta degli operatori di mercato
Tra tutte, la norma imperativa è la tecnica che ha maggiore importanza.
Il diritto del lavoro è una materia delicata perché interviene in modo diretto nelle dinamiche sociali ed
economiche, proprio per questo è soggetto a valutazioni diverse da parte di coloro che hanno diversi
orientamenti.
Può capitare che alcune norme, a seconda di chi sieda al potere in quel momento, vengano cambiate in senso
più o meno restrittivo: restrizione libertà imprenditore.
Tendenzialmente si nota una distinzione tra destra (tutela imprenditori) e sinistra (tutela lavoratori) ma
questa modalità non sempre è una regola fissa.
Quando parliamo di legislatore non si intende la parte politica che in quel momento ha deciso una certa
legge, il legislatore è colui che decide nell’ambito dell’ordinamento.
Il diritto del lavoro repubblicano parte dal Codice civile, approvato in epoca fascista, tutt’ora in vigore che
contiene numerose norme concernenti il diritto del lavoro.
Con l’accodo Buozzi-Mazzini si introducono le commissioni interne nelle fabbriche italiane e nell’accordo vi
sono già principi riguardanti il diritto sindacale italiano, tra cui la volontà di creare un unico sindacato.

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Verso la fine della guerra vi è una prima ordinanza e poi un decreto luogotenenziale che sopprime
l’ordinamento corporativo: da questo momento tutte le norme che erano state inserite nel Codice civile del
1942 che riguardavano il contratto collettivo corporativo devono intendersi soppresse, salvo alcune eccezioni
che, pur teoricamente facenti parti dell’ordinamento corporativo, sono state richiamate anche in epoca
successiva.
Gli anni ’50 sono per l’Italia anni positivi, anni della grande rinascita (miracolo italiano con grandi livelli di
PIL) ma c’è una situazione, subito dopo la guerra, di grandi masse di lavoratori disoccupati. Vi sono
difficoltà a trovare lavoro e vi è la necessità per lo stato di intervenire direttamente nel collocamento.
(posizione di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro al di fuori della relazione di lavoro)
Il soggetto intermediario mette in contatto le due parti ma resta esterno al contratto di lavoro.
Fino a quel momento questa funzione era stata nelle mani dei sindacati o delle agenzie private, i sindacati in
epoca corporativa avevano avuto un ruolo fondamentale in tema di collocamento.
A fronte della necessità di garantire un approccio di tipo oggettivo a coloro che cercano lavoro (evitare
favoritismi) si decide di intervenire con una norma che prevede il collocamento pubblico.
Il collocamento a partire da questa legge (oggi abrogata) è necessariamente pubblico, gli uffici di
collocamento fanno parte del ministero del lavoro (ramificazioni territoriali) che ha il compito di stilare un
elenco di coloro che cercano lavoro e a cui tutte le imprese devono rivolgersi quando hanno necessità di
personale.
Gli elenchi erano formati attraverso il criterio dell’iscrizione e da una serie di previsioni (bisogno concreto).
Vi erano anche diverse eccezioni che lasciavano la possibilità di assumere direttamente da parte degli
imprenditori (alte qualifiche, quadri).
Vi era poi la necessità di dare un visto alla successiva assunzione, questo collocamento pubblico aveva anche
una copertura penale per cui era reato per un soggetto svolgere attività di collocamento.
Un’altra legge riguarda le lavoratrici madri, anche in questo caso vi era una protezione e si ha un intervento
del legislatore per tutelare il licenziamento in gravidanza (sino al primo anno di vita del bambino).
Gli anni ’50 sono anni in cui la CGIL viene lasciata ai margini, ci si trova davanti a governi monocolore
della democrazia cristiana.
Fino a metà anni ’50 vi è lo scontro nella guerra fredda, a metà anni ’50 cominciano alcune aperture: i
sindacati (CGIL E CISL) cominciano a collaborare e si comincia a trovare un concreto intervento anche dai
partiti dell’opposizione.
Gli anni ’60 si aprono con un grosso scontro politico: nel momento in cui il governo della democrazia
cristiana entra in crisi apre l’entrata in governo dell’MSI (continuazione del partito fascista) entra il governo
Tambroni e vi è un grande scontro sociale.
Questo governo dura molto poco e vi è l’apertura dei governi successivi (centro sinistra).
Vi è in realtà una grande frattura tra partito socialista e partito comunista, quello socialista nel ’62 entra al
governo.
A partire da quegli anni abbiamo la stagione dei governi di centro sinistra:
 Democrazia Cristiana
 PSI
 PSDI
 REPUBBLICANI
VI SONO ALCUNE LEGGI IMPORTANTI:
A. LEGGE 1369/1960

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Legge che nasce da una ricerca del parlamento italiano sulla situazione e sulle condizioni di lavoro nelle
imprese italiane: ci si rende conto di situazioni particolarmente gravi, in cui i lavoratori molto spesso sono
sottopagati e non hanno diritto ai diritti loro previsti dalla normativa.
Quello che emerge soprattutto nel sud Italia è il fenomeno del Caporalato, fenomeno penalizzante nei
confronti del lavoro e dei lavoratori.
Il Caporalato prende il nome da quelli che vengono definiti Caporali, il fenomeno è quello di un soggetto che
prende accordi (in agricoltura o nell’edilizia solitamente) con il padrone della tenuta agricola:
“io ti faccio raccogliere i pomodori, tu mi paghi tot e poi ci penso io”
Ed è lui poi che si preoccupa di raccogliere i pomodori, li paga poco, li alloggia in situazioni pesanti e si
tiene gran parte del guadagno.
IN TERMINI GIURIDICI:

Noi abbiamo tre soggetti che fanno parte di una relazione e la relazione non è come dovrebbe essere (tra
colui che ha la proprietà dell’atto e colui che la lavora) ma c’è un terzo soggetto che interviene nella
relazione anche senza legame. (interposizione di lavoro).
Un conto è l’intermediazione, altro è l’interposizione.
È un fenomeno che nel 1960 si decide di vietare totalmente, anche oggi è considerato vietato.
È un fenomeno in cui non vi è relazione diretta tra colui che comanda e colui che lavora.
Per molti anni è stato considerato totalmente da vietare, a partire dagli anni ’90 esiste un’eccezione (il lavoro
interinale) che oggi viene chiamata somministrazione di lavoro.
La somministrazione di lavoro è tecnicamente una cosa simile:
 l’agenzia (ADECCO) prende accordi per un certo numero di lavoratori
 l’azienda si rivolge alla Adecco per chiedere lavoratori
 L’Adecco assume lei i lavoratori qualificati e li manda a lavorare
La differenza è che la legge prevede determinate regole specifiche:
1. Il soggetto è un soggetto di cui ci si può fidare (Adecco deve avere capitale sociale, deve essere
iscritta in un elenco specifico)
2. Vi sono regole che prevedono il trattamento di questi lavoratori
In quel momento si cerca in ogni caso di vietare qualunque fenomeno di interposizione di lavoro, anche
quello di prevedere la necessità che i lavoratori, che lavorano in un’impresa attraverso un appalto esterno,
siano trattati allo stesso modo di quelli che vi lavorano all’interno.
La legge è stata abrogata nel 2003 con il decreto legislativo 276/2003 che ha introdotto la somministrazione
di lavoro e, già prima, con la legge n3/1997 era stato introdotto il lavoro interinale come eccezione.
LEGGE CHE RIGUARDA I CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO

In un primo momento nel Codice civile del 1865 il contratto di lavoro poteva essere solo a termine, in quel
tempo la preoccupazione era quella di lasciare legami che ricordassero il lavoro servile.
Dalla legge del 1924 e poi nel Codice civile del 1992 (che ha come riferimento la fabbrica) la regola diventa
il lavoro a tempo indeterminato poiché la necessità produttiva rende necessario che vi sia un rapporto che
continui nel tempo.
La modalità con cui il legislatore interviene è quello di uno scambio tra tutele e contratto a tempo
indeterminato (molto tutelante nei confronti del lavoratore, consapevole che continuerà a ricevere una

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retribuzione nel tempo con una sicurezza famigliare in più) a fronte delle modalità con cui all’interno di quel
rapporto contrattuale l’uso della manodopera è molto flessibile.
I poteri imprenditoriali consentono di fare eccezioni a quelle che sono le regole civilistiche sull’oggetto e la
causa del contratto.
Quello che è previsto nel Codice civile del 1942 è, sì il contratto a tempo indeterminato come regola
generale, ma le ragioni eccezionali per cui è possibile utilizzare un contratto a tempo determinato in realtà
(art. 2097) erano delle giustificazioni molto flebili:
 Forma scritta
 Necessità di un fine al lavoro (finalità).

Quello di cui ci si rende conto in quella modalità su cui il parlamento negli anni ’50 aveva indagato era l’uso
del contratto a tempo determinato per sviare da quelle che erano le norme a tutela dei licenziamenti
illegittimi. (in quel momento non c’era una legge, la legge verrà approvata nel 1966 ma c’erano dei contratti
collettivi, soprattutto industriali, che lo prevedevano)

In quel caso il parlamento si rese conto dell’utilizzo fraudolento dei contratti a tempo determinato, questo fu
il momento per cui, il fatto che in quel momento era arrivato al potere un governo di centro-sinistra (che
aveva più attenzione al lavoro e ai diritti sociali dei lavoratori) porta il legislatore ad approvare la legge:
13/1962 che ha avuto molta importanza nell’ordinamento italiano e che è stata poi abrogata nel 2001.

Questa legge prevedeva l’esplicita menzione del contratto a tempo determinato come eccezione e la
tassatività delle ragioni per cui non era possibile, per un imprenditore, usare il contratto a tempo determinato.
Possibile usare quello a termine:

 Caso di sostituzione di un lavoratore che va a fare il militare (vi era l’obbligo)


 In caso di gravidanza
 Nel caso di esigenze temporanee e imprevedibili dell’impresa

Alcune regole poi sono state introdotte nel 2018 e ancora oggi si parla di modificazione di esse.

LICENZIAMENTO

Nella costituzione repubblicana non vi erano norme che prevedevano necessariamente una tutela per il
licenziamento illegittimo; il riferimento normativo era l’art. 2118/2119 del Codice civile: la possibilità per
entrambe le parti di recedere dal rapporto prima del tempo solo dando un preavviso all’altra parte, però fin
dagli anni ’40 erano state introdotte alcune norme collettive.

Per 2 anni dopo la guerra era stato introdotto un divieto generalizzato di licenziamento (vedi pandemia,
previsti sussidi alle aziende), per evitare che venissero licenziati lavoratori senza motivi reali.

Subito dopo in realtà non vennero approvate leggi a tutela del licenziamento illegittimo, vi erano però,
soprattutto nel settore industriale, dei contratti collettivi/accordi che tutelavano i lavoratori.

Nel 1966 si introduce (ci si sta avvicinando al ’68 dove nelle strade i lavoratori cominciano a farsi sentire per
maggiori tutele) la necessità che un licenziamento, per essere legittimo, debba essere motivato (giusta causa
o giustificato motivo soggettivo o oggettivo), questa legge è tutt’ora in vigore e in essa si trovano i
riferimenti su cosa significhi giustificato motivo: art.3 legge 604/1966.

La sanzione che viene inizialmente prevista è solo risarcitoria (i sindacati e i movimenti sono contrari); ma
una legge solamente risarcitoria ha come effetto quello di non tutelare a sufficienza i lavoratori licenziati o la
possibilità del lavoratore di licenziare liberamente a fronte soltanto di un costo economico.

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Quello che accade in quegli anni è che il legislatore si rende conto (dopo il ’68) e nel 1970 interviene con
l’art. 18 dello statuto dei lavoratori.

“Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai
sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col
matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al
decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo
54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive
modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da
un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro,
imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro,
indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati
dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell'ordine di
reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio
entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di cui
al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al
licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.

Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento
del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal
fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del
licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di
estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento
non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è
condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore è
data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro,
un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta
determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale.
La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito
della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla già menzionata
comunicazione.

Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o
della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il
fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei
contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il
datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di
un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del
licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel
periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto
percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.

In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della
retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi
previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione,
maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata
contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che
sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata
32
al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest'ultimo caso,
qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla
gestione corrispondente all'attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi
costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto
quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro,
salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai
sensi del terzo comma.

Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo
soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con
effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità
risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro
mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto
conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento
e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.

Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione
di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della
procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15
luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con
attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla
gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e
un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica
motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che
vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle
previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.

Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui
accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e
10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneità fisica o
psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110,
secondo comma, del Codice civile. Può altresì applicare la già menzionata disciplina nell'ipotesi in cui
accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del già menzionato giustificato
motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini
della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di
cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e
del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio
1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda
formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari,
trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo (1)(2).

Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non
imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto
luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta
di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che
nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel
medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva,
singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e
non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.

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Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all'ottavo comma si tiene conto dei lavoratori
assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto,
tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto
dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro
entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui
all'ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.

Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla
comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende
ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel
periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente
articolo.

Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e
del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di
merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova
forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice
medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e
sesto comma del Codice di procedura civile.

L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.

Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera
alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui all'undicesimo comma, non impugnata
o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al
pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della
retribuzione dovuta al lavoratore.

È una norma che recentemente è stata modificata e che in quel momento introduce una sanzione uguale per
tutte le violazioni: necessità di giustificare un licenziamento (nullo, annullabile o illegittimo) e quella della
reintegrazione.

La reintegrazione è la necessità che il lavoratore licenziato ingiustamente venga reintegrato e venga


ricostituito il suo rapporto di lavoro.

La reintegrazione è la ricostituzione della situazione prima dell’eventuale inadempimento, può però


inevitabilmente portare dei disagi all’imprenditore, motivo per cui il legislatore del 1970 prevede la
reintegrazione solo per le aziende con più di 15 dipendenti.

Per molti anni le sanzioni sono state divise tra:

 Grandi imprese (> di 15 dipendenti) = reintegrazione

 Piccole imprese (< di 15 dipendenti) = solo sanzione monetaria

Lo statuto dei lavoratori ha anche avuto un’importanza particolare in materia di diritti individuali dei
lavoratori, si diceva che con lo stesso statuto la costituzione entrava in fabbrica.

Lo statuto si distingue:

 Parte dedicata ai diritti dei lavoratori nell’impresa (primo tra tutti libertà di pensiero)
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 Diritti sindacali

Gli anni ’70 sono anni in cui emergono crisi per l’Italia anche dal punto di vista economico.

1973 crisi petrolifera.

L’Italia è un paese che tradizionalmente non ha direttamente materie prime da cui attingere e le deve tutte
importare dall’estero, in quel periodo vi era stata appunto la crisi petrolifera: i grandi produttori di petrolio
avevano deciso di influire sulla produzione (far alzare il prezzo).

Nel ’73 con il Gold Exchange (sistema economico che collegava il dollaro all’oro) si comincia a parlare di
una nuova epoca: Post-Fordismo.

Abbiamo poi delle ricadute di queste crisi: crisi sociali e politiche; si iniziano a vedere delle forme di
terrorismo nero e rosso.

Vi sono contrapposizioni ideologiche che si basano sulla violenza e portano a sconvolgimenti molto
rilevanti.

Sul piano economico c’è un altro elemento: periodo di altissima inflazione (adesso crescita inflazione
rispetto agli ultimi 20 anni), agli inizi degli anni ’80 con livelli molto elevati.

Le prime leggi degli anni ’70 sono frutto del periodo di crescita e dell’introduzione dei diritti dei lavoratori.

1973 introdotto il processo del lavoro, ha un carattere: veloce, orale e il giudice può intervenire anche in
materia di prova, la decisione del giudice ha immediata esecutività.

Il processo del lavoro servirà per le modifiche al processo civile:

 Oralità
 Ragionevole durata
 Un solo atto
 Intervento soggetti collettivi (sindacati)

Nel 1970 viene approvato l’art. 28 dello statuto che consente ai sindacati di intervenire per tutelare i
lavoratori nel caso in cui il legislatore volesse infrangere i limiti imposti dal legislatore.

A partire dal 1975 i problemi si fanno più forti e in qualche modo cambiano le necessità, vi è la necessità di
fare fronte alle crisi e alla crescita dell’inflazione, viene chiesto ai sindacati di farsi parte attiva per cercare di
fermare l’inflazione e per evitare aumenti eccessivi delle retribuzioni nell’ambito dei rinnovi contrattuali.

Necessario superare la cosiddetta “scala mobile” meccanismo di automatico aumento degli stipendi a fronte
dell’aumento dell’inflazione.

Proprio a causa di questo meccanismo, vi furono scontri tra i sindacati all'inizio degli anni ’80.

Nell’83 si ha l’accordo Scotti in cui le parti sociali si impegnano a cercare un nuovo meccanismo che superi
quello della scala mobile.

Questo accordo venne poi sottoscritto nel 1984 tra il governo Craxi e solo tra UIL/CISL. (prima rottura di un
tentativo di unione sindacale).

La riforma del TFR del 1982 rientra nell’ambito del tentativo di introdurre norme che in qualche modo
limitassero la crescita esponenziale delle retribuzioni.

 Legge ancora in vigore (nel Codice civile 2120), una parte della retribuzione che viene accantonata e
resta in mano all’azienda pur facente parte della retribuzione annua del lavoratore, oppure viene
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lasciata presso l’INPS e viene riconsegnata al lavoratore nel momento in cui viene a cessare il
rapporto lavorativo.

In quegli anni si ha un altro fenomeno importante: miglioramenti tecnologici (primi robot delle catene
produttive nel 1980), non siamo più nel Fordismo ma emerge un nuovo sistema produttivo.

Vi è un miglioramento dei trasporti, si parla di post-fordismo (anche tutt’ora poiché non si è trovata una
chiara identificazione di un assetto preciso).

Da un lato significa che gli effetti si sentano direttamente nelle fabbriche (FIAT nel ’70 ha centinaia di
migliaia di operai), dagli anni ’80 si hanno i grandi licenziamenti dovuti a questi miglioramenti.

Vi è la necessità di intervenire con riferimento a nuove tipologie di lavoro, quello che richiedono è quello di
avere rapporti più flessibili (più legato alla domanda che all’offerta, la produzione cambia in base a quello
che viene chiesto).

Anche nell’ambito del lavoro vengono richieste tipologie contrattuali più flessibili rispetto al classico
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

La prima modalità di intervento è: la legge del 1984 (part-time e contratti di formazione).

Nel frattempo, nell’83 era stata introdotta una modifica alla legge del ’62 (in materia di contratti a tempo
determinato) per permettere di usare il contratto a termine anche nei casi di punte di produzione cicliche
(produzione di panettoni = picco a Natale).

Il legislatore si trova a riconoscere il part-time come autonoma forma contrattuale e ad introdurre il contratto
di formazione lavoro.

Gli anni ’90 si aprono con una sistematizzazione delle norme in materia dii licenziamento, con l’introduzione
di una norma in materia di licenziamento collettivo (una pluralità di soggetti, più di cinque licenziamenti
nell’ambito di 120 giorni). Legge 223/1991 che è una legge di derivazione comunitaria (direttiva 1975).

Nel 1993 viene privatizzato il pubblico impiego.

Pubblici dipendenti restano pubblici dipendenti dello stato, delle regioni, dei comuni.

Quello che cambia è la regolamentazione con norme del diritto privato anche i lavoratori pubblici.

Fino a quel momento e in virtù di una normativa introdotto da Cavour dove il pubblico impiego aveva un
approccio regolativo di tipo pubblicistico, era sottoposto al diritto amministrativo (giudici amministrativi
referenti).

L’atto con cui veniva assunto un lavoratore pubblico era di tipo amministrativo, oggi non è più così, proprio
in virtù di riforme del ‘93/’98, oggi tutto è contenuto nel testo unico decreto legislativo 175/2001: alla
maggioranza dei pubblici impiegati si applicano le stesse norme di diritto privato che si applicano ai privati;
salvo alcune eccezioni e alcuni soggetti particolari per cui il ruolo dello stato è talmente importante da non
poter essere sottoposto a regolazione privatistica. (docenti universitari)

Altre norme con impatto significativo, sono norme che riguardano il lavoro (nel ’94 d.lgs. comunitario e
81/2008 sulla sicurezza sul lavoro).

Vi è il superamento del monopolio del collocamento pubblico a partire dal ’91 con un primo intervento
molto rilevante, nel ’96 vi è una riforma del collocamento e negli anni 2000 vedremo che si interviene
nuovamente: dal monopolio pubblico si passa alla possibilità anche per i privati di entrare nell’ambito del
collocamento.

36
Rimane una parte legata al pubblico dove le regioni hanno un ruolo fondamentale (art.117).

Nel 1995 c’era stata la riforma Dini delle pensioni e con la legge nel 1996/1997 si introduce il rapporto di
lavoro interinale.

A partire dagli anni 2000 ci sono interventi importanti sul piano delle tipologie lavorative; si interviene con
modalità regolative che vanno più incontro alle esigenze delle imprese, rispetto a quanto avveniva
precedentemente.

La legge 368/2001 abroga la legge del ‘62 (la n 230) e modifica la necessaria tassatività delle ragioni
giustificative del contratto a termine.

Nel 2001 viene introdotta una necessità di giustificare, per il contratto a termine, ma per ragioni più generali
(produttive, sostitutive).

Viene poi modificata la legge sugli orari di lavoro, per flessibilizzare tali orari, venendo incontro alle
direttive (=atti che vanno attuati all’interno di uno stato membro, ma a seconda della volontà del legislatore
una direttiva può essere attuata in modo diverso da un’altra) dell’Unione Europea.

Nel Decreto legislativo 276/2003, ritroviamo questa volontà di intervenire inserendo maggiore flessibilità
(nel 2003 viene introdotta la somministrazione di lavoro che va a sostituire il lavoro interinale, cioè si passa
da un divieto di interposizione di lavoro ad un divieto generale di interposizione, ma si accetta una
interposizione più controllata e regolata, cioè la somministrazione di lavoro).

Nuova rottura tra i grandi sindacati (nell’84 si ebbe una prima rottura, poi negli anni ‘90 viene superata
questa rottura per poi riformarsi), si hanno degli accordi collettivi che vengono firmati soltanto da CISL e
UIL (senza la firma della CGIL).

Tale rottura culmina con la vicenda di Pomigliano (207-2010) e il rifiuto della CGIL di firmare il contratto
collettivo di categoria da un lato e dall’altro l’uscita della FIAT dal sistema di contrattazione collettiva.

(Oggi i rapporti tra sindacati sono migliorati, dal 2016 hanno iniziato a firmare congiuntamente)

Il TU sulla sicurezza sul lavoro, d.lgs. 81/2008 va a sostituire il precedente intervento introdotto negli anni
‘90 e che ha come riferimento principale una direttiva europea.

Il collegato lavoro del 2010 è un atto (governo centro-dx) che introduce delle riforme riguardanti la
flessibilità.

Il 2011 è un anno di grande crisi economica per cui cade il governo Berlusconi.

Il governo interviene bloccando gli stipendi dei pubblici dipendenti (salvo i magistrati) e con alcune norme
che intervengono rendendo il contratto collettivo strumento per intervenire sulle retribuzioni.

Successivamente con un governo tecnico, il governo Monti, si fecero delle riforme strutturali, tra cui la
riforma Fornero (legge 92/2012), che intervenne in materia di pensioni.

Nella riforma Fornero viene anche modificato l’art 18 dello statuto dei lavoratori (dalla sanzione unica
vengono introdotte sanzioni diversificate).

Torna al governo il centro-sx, governo Renzi, (solitamente la sx interviene con più diritti per il lavoro,
mentre la dx con più libertà per le imprese -> questo governo è l’eccezione a questa tendenza) che interviene
con una serie di norme, tra cui un intervento ulteriore in materia di licenziamento (d.lgs. nel 2015 numero
22-23-80-81-148-149-150-151).

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Viene realizzato anche un intervento sull’indennità di povertà (fino a quel momento l’Italia non aveva uno
strumento di questo tipo) nel 2017, con il governo Letta, che ha introdotto il reddito di inclusione, che è una
prima modalità di indennità di povertà, cioè l’indennità erogata a persone sotto una certa soglia; questo
reddito di inclusione viene poi chiamato "reddito di cittadinanza" (governo giallo-verde) con cui viene
ampliato l’accesso e viene allargato anche lo stanziamento (monetario).

Negli ultimi due anni abbiamo degli interventi significativi della Corte costituzionale in materia di
licenziamento: la Corte costituzionale interviene sulle norme, in particolare la sentenza del luglio 2022 con
cui si tratta dei trattamenti sanzionatori in materia di piccole imprese (la Corte costituzionale afferma che
anche un’impresa con pochi dipendenti ha una forza economica tale per cui non è possibile applicare una
sanzione, molto bassa, che è applicabile anche al singolo artigiano).

FONTI SOVRANAZIONALI

Tre riferimenti molto rilevanti per il diritto del lavoro:

1. Sul piano del diritto internazionale i riferimenti più importanti sono legati all’OIL (o ILO) →
Organizzazione Internazionale del Lavoro, che è un’organizzazione che nasce nel 1919 sulla spinta
del Presidente americano Wilson (per la necessità di non trovare troppe differenze riguardanti il
lavoro tra le varie nazioni, perchè ciò influisce sulla concorrenza).

2. Nell'ambito delle Nazioni Unite, dopo la Seconda guerra mondiale, l’OIL ha una seconda rinascita.
L’OIL, rispetto alle altre organizzazioni internazionali (che sono composte dai rappresentanti degli
Stati) ha un diverso tipo di organizzazione, in cui oltre agli Stati vi sono altri soggetti, cioè i
rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, per cui i sindacati internazionali dei lavoratori e
sindacati internazionali dei datori di lavoro eleggono i propri rappresentanti in sede OIL.
Altra caratteristica di questa organizzazione, è che i rappresentanti hanno un ruolo attivo nell’OIL.

In sede OIL, ci sono alcune eccezioni, cioè ci sono alcune convenzioni fondamentali (“core conventions”),
che sono considerate immediatamente in vigore per tutti gli Stati che fanno parte dell’OIL, a prescindere che
essi le abbiano ratificate (eccezione rispetto al diritto internazionale generale).

L’estrema differenza di tutela del lavoro e dei lavoratori che i singoli Stati hanno è un problema, perchè ha
delle dinamiche che a volte sono difficilmente controllabili dallo Stato stesso -> ciò fa pensare alla necessità
di un approccio più globale e unitario.

Convenzione sui marittimi (2006): primo tentativo in seno all’OIL, con cui si tenta di mettere insieme tutte le
convenzioni approvate precedentemente in un unico atto e si interviene prevedendo anche delle modalità di
tipo sanzionatorio e di controllo più restrittive.

Il lavoro marittimo è un lavoro di importanza mondiale, dunque la necessità di prevedere tutele minime per
tutti coloro che lavorano su nave a prescindere dalla nazionalità è qualcosa di necessario; questa convenzione
però non risolve tutti i problemi, ma è un primo passo.

Nel nostro ordinamento hanno importanza due riferimenti (oltre alle Nazioni Unite di cui abbiamo parlato)
europei:

- Consiglio d’Europa (formato da circa 50 nazioni europee)

- L’Unione Europa (27 Stati)

Consiglio d’Europa: l’atto principale del Consiglio d’Europa è la convenzione europea dei diritti dell’uomo
(CEDU).

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Il contenuto di questa convenzione è una serie di diritti individuali (diritto alla vita, diritto ad un equo
processo). Le violazioni delle norme della CEDU rientrano nel nuovo art.117 (che ha modificato il titolo V e
ha previsto una nuova definizione di coloro che hanno la potestà legislativa tra stato e regioni e ha anche
fatto un riferimento agli obblighi internazionali dell’Italia) e attraverso il primo comma dell’art 117 tali
violazioni sono considerate un parametro interposto per eventualmente considerare incostituzionale anche
una norma interna.

Altro importante strumento sovranazionale è la carta sociale europea, che riguarda diritti sociali, tra cui
anche diritti riguardanti il lavoro (es. equa retribuzione, diritto di associazione, etc.). L’efficacia giuridica di
questa carta è molto più contestata rispetto a quella della CEDU, infatti la CEDU secondo la nostra Corte
Costituzionale è considerata norma interposta ai sensi dell’art 117 primo comma, mentre la Carta Sociale
Europea no, perchè la Corte costituzionale afferma che i due atti hanno diversa modalità di costruzione: la
CEDU ha una sua Corte (Corte europea dei diritti dell’uomo), mentre la carta sociale europea ha delle
modalità interpretative formate da comitati politici, quindi secondo la Corte non hanno il medesimo effetto
giuridico.

Unione europea: le sue norme hanno una forte influenza per i singoli Stati.

Dopo la Seconda guerra mondiale nasce una necessità di creare un vincolo tra gli stati europei. Si parte
dall’idea per cui la Seconda guerra mondiale nasce da forti ragioni derivate dal contrasto tra Francia e
Germania, nell’800, e che ha base tra chi, tra queste due potenze, può utilizzare le grandi risorse economiche
del carbone delle regioni confinanti.

Il primo tentativo, quindi, viene fatto con il trattato di Parigi del 1951, con cui si costituisce una Comunità
europea del carbone e dell’acciaio, cioè Francia e Germania si mettono assieme e utilizzano assieme tali
risorse. Al binomio Francia/Germania si aggiungono Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Belgio (i 6 Paesi
fondatori dell’Ue).

Nel 1952 viene firmato il trattato CED (Comunità Europea di Difesa che però non viene poi ratificato) e
l’anno successivo viene proposto un trattato di ausilio politico, la CEP (Comunità europea Politica che però
rimase un progetto).

La Guerra Fredda è un periodo complesso per l’Europa, questo processo non prosegue. I padri fondatori
provano a creare una comunità federale europea, ma non riescono; dunque, nel ‘57 a Roma vengono firmati
due trattati: il trattato CEE (Comunità economica europea) e il trattato CEEA (Comunità europea
dell’energia atomica).

A partire dal ‘57 abbiamo quindi la formazione della Comunità Economica Europea, che si basa su tre trattati
fondamentali:

1. trattato CECA, (1952)


2. trattato CEE (1957)
3. il trattato CEA. (1957)

La prima cosa che si vuole fare è quella di creare uno spazio economico europeo, all’interno del quale
possano circolare i fattori produttivi, quindi i beni, i lavoratori, i servizi e i capitali (4 libertà fondamentali su
cui si costruirà il resto).

A questo primo progetto dei 6 Paesi fondatori si aggiungono poi altri Paesi: anni ‘70 Regno Unito, Irlanda e
Danimarca; negli anni ‘80 Grecia, Spagna e Portogallo, e con l’ingresso di questi ultimi, avendo una
situazione economico-sociale molto diversa dagli altri stati, si era dunque deciso, (poiché nel trattato vi erano
norme che riguardavano l’economia e l’unica norma sociale era l’art 119 CEE sulla parità di retribuzione tra

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uomini e donne che aveva comunque valenza economica), che dei diritti sociali se ne occupavano i singoli
stati e non la CEE (di cui si occupava solo di economia), diventerà una priorità dell’Ue.

Si aggiungono poi Austria, Finlandia e Svezia e nei primi anni 2000 ed altri stati verso Est.

I tre trattati hanno subito delle variazioni nel tempo (es. atto unico europeo, trattato di Maastricht, trattato di
Amsterdam, trattato di Lisbona, ecc.).

Nel ‘92 viene creata l’Unione Europea accanto alla CEE; con il trattato di Lisbona si parla solo di Unione
Europea e di due trattati: un trattato sui principi generali e un secondo trattato sul funzionamento dell’Ue che
contiene in sé quelli che erano i veri pilastri.

Trattato dell’Unione Europea Art 13:

“L'Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli
obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la
coerenza, l'efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni.” (Consiglio europeo/Consiglio
d’Europa)

L’Ue ha istituzioni formate in modo diverso; in realtà non è una istituzione definibile come federazione tra
stati e nemmeno un’organizzazione internazionale, è un ibrido.

Il Parlamento europeo è costituito da soggetti che vengono eletti dai singoli Stati.

Il Consiglio Europeo è un’istituzione che vede i rappresentanti degli Stati e si riunisce spesso e a seconda
della materia che discute si riunisce a composizione differenziata (cioè ad es. se decide in materia di
agricoltura, si riuniscono i ministri dell’agricoltura dei paesi membri, però comunque può decidere lo Stato).

Questa istituzione è rappresentativa, introdotta dal trattato di Lisbona, in cui siedono i capi di stato e di
governo.

La commissione europea è un altro organo importante, in quanto veglia sul trattato, è formata da un certo
numero di rappresentanti degli Stati che, nel momento in cui siedono in commissione, non sono più
rappresentanti degli Stati (a diff. del Consiglio) ma tale organo rappresenta l’intera Europa, interviene a
salvaguardia del trattato e ha dei compiti fondamentali.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sede a Lussemburgo, formata da giudici mandati dei singoli
Stati e da avvocati generali che hanno il compito di preparare alcune decisioni per la Corte di Giustizia. La
CG è da diversi anni affiancata da un Tribunale dell’Ue, che decide in primo grado su alcune questioni.

Il procedimento normativo oggi è legato alla modalità con cui si arriva ad approvare gli atti dell’Ue, i più
importanti sono:

 regolamenti (forza vincolante sia verticale, cioè nei confronti dello stato, sia orizzontale, cioè nei
confronti dei cittadini dell’Ue, ovvero coloro che hanno la cittadinanza degli Stati membri),
 direttive (atti normativi con la necessità di essere attuati dall'ordinamento interno degli stati membri,
quindi vincolano solo gli stati membri)
 decisioni (riguardano la singola impresa, il singolo cittadino)

I trattati partono dalle basi socioeconomiche e sono il fondamento dell’Unione Europea che poi nel corso del
tempo ha fatto molti passi avanti:

 ampliato le materie di cui si occupa (il lavoro ha anche oggi un importante ruolo nelle materie
dell’UE)

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 si è allargata molto (dai 6 stati fondatori oggi sono 27 in tutto, altri hanno fatto domanda per farne
parte)

Il fatto che l’Unione Europea nasca dal mettere insieme le questioni economiche (creare uno spazio doganale
e di scambio) ha avuto importanza fino ad oggi anche se molte cose sono cambiate.

I trattati in vigore oggi sono: TUE E TFUE

Vi è stato un grande cambiamento con il trattato di Lisbona firmato nel 2007 ed entrato in vigore dal 2009.

Il parlamento europeo è un’istituzione che si è formata attraverso le libere elezioni a cui tutti i cittadini
dell’Unione partecipano, non è un parlamento come quelli nazionali (che hanno tutto il potere statutario) ma
ha accresciuto i suoi poteri e con il trattato di Lisbona oggi è un’istituzione che con il consiglio deve
approvare gli atti che poi entreranno in vigore:

 regolamenti: che si applicano immediatamente a tutti i cittadini a prescindere da quale posizione


occupino.
 Direttive: si applicano in via indiretta poiché vincolano gli stati che a seguito devono applicarle, la
corte di giustizia è intervenuta quando gli stati erano restii ad applicarle
 Decisioni: che vanno a colpire i singoli, ad esempio le imprese.

Il consiglio europeo è formato dai rappresentanti degli stati che insieme al parlamento prende le decisioni per
mettere in atto gli atti dell’Ue.

La commissione europea è considerata il guardiano dei trattati, è colei che segnala e sanziona eventuali
inadempienze sia da parte degli stati, sia da parte dei singoli (delle imprese in materia di concorrenza).

La commissione ha anche un altro importantissimo compito che è quello di iniziare il processo legislativo.

Il processo legislativo inizia sempre e soltanto da una proposta della commissione che poi viene portata al
parlamento che la approva e poi la passa al consiglio che la approva nuovamente.

A seconda della materia sono necessarie determinate maggioranze:

 Unanimità: per materie legate all’unanimità degli stati

 Maggioranze qualificate: in relazione alla popolazione degli stati.

La corte di giustizia è un organo importante che nasce nel 1951 con il trattato della CECA, essa è l’unica che
può interpretare i trattati.

Interviene in varie situazioni: ad esempio quando la commissione deve valutare una sanzione per uno stato
membro.

È l’unica che può interpretare i trattati e la sua interpretazione è uniforme per tutti i paesi membri.

CHI PUO’ RIVOLGERSI ALLA CORTE?

 Tutti i giudici
 Gli stati membri

Lo devono fare gli altri giudici (da noi ad esempio la Cassazione), possono farlo anche i giudici di primo
grado e ad esempio in Italia all’inizio erano le preture che sollevavano grandi questioni alla corte.

Questo potere interpretativo della corte ha permesso un passo fondamentale che non è scritto nei trattati: la
prevalenza del diritto dell’unione rispetto a quello internazionale.

41
Questo emerge già da alcune sentenze degli anni ’60, vi sono alcune sentenze anche nel 1963, 65, 70.

La corte di giustizia dice che perché i trattati possano assolvere alla funzione loro assegnata dagli stati
membri è necessario che il diritto dell’unione prevalga sul diritto nazionale. (ci ha messo un po' ad essere
compresa e recepita dagli stati nazionali).

Le corti costituzionali in Italia e in Germania ci hanno messo degli anni perché questa vicenda fosse
effettivamente accettata.

La Corte costituzionale italiana dopo varie pronunce ha detto, con la sentenza Granital (1984), che dall’Art.
11 in riferimento alle limitazioni di sovranità necessarie, si trova il riferimento necessario a dire che debba
prevalere il diritto dell’UE.

La Corte costituzionale italiana dice una cosa particolare, c’è una differenza rispetto alle affermazioni della
corte di giustizia dell’unione europea.

Secondo la corte di giustizia dell’unione il rapporto tra diritto dell’unione e diritti nazionali è un rapporto di
tipo gerarchico (gerarchia delle fonti), la Corte costituzionale italiana ha un approccio diverso: si tratta di due
ordinamenti paralleli, entrambe perfettamente legittimi e nel caso di contrasto tra le norme una va applicata,
l’altra viene disapplicata (successivamente non applicata per evitare vizi).

Tra norma europea e norma italiana se vi è un contrasto, quella interna va non applicata (lo deve fare
qualsiasi giudice), non per forza la corte.

La corte però ci dice anche che ci sono dei limiti all’applicazione del diritto dell’unione: (teoria dei
controlimiti)

 Prevale il diritto dell’unione salvo nel caso in cui si ponesse in contrasto con i principi fondamentali
della costituzione italiana.

In questo caso è la Corte costituzionale italiana che ritiene di dover avere l’ultima parola.

La teoria dei controlimiti sembrava essere solo teorica in realtà pochi anni fa è emersa nella sentenza Taricco
(corte di giustizia UE-diritto tributario) riguardante una questione penale sul mancato pagamento dell’iva.

La questione riguardava la prescrizione (possibilità di applicare o meno la sanzione penale nel momento in
cui era trascorso un tempo tale da rendere il reato prescritto).

La corte di giustizia non era interessata in quanto i principi derivavano dalla direttiva dell’unione e quindi la
sanzione andava applicata in ogni caso; la Corte costituzionale afferma che per essa la prescrizione è
principio fondamentale e si rischia un contrasto (risolto tra le due corti).

Nel caso in cui accada una questione di controlimiti la Corte costituzionale ha affermato che quella norma
non può trovare applicazione nell’ordinamento italiano.

Es: concessioni balneari (diritto Ue prevale-norma interna va disapplicata)

TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA

I primi articoli sono i più importanti, in esso ci sono i principi e le norme che erano nel trattato CEE del 1957
(presenti nel TFUE).

ART.2

L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia,
dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone
appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata
42
dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla
parità tra donne e uomini.

Articolo 3 (ex articolo 2 del TUE)

L'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.

L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui
sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i
controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro
quest'ultima.

Il comma 3 è stato poi modificato con il trattato di Lisbona:

L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su
una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato
fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello
di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e
tecnologico.

Questo riferimento all’economia sociale di mercato per la modalità con cui si è arrivati a questa norma, non
trova il riferimento alla libera concorrenza (sempre considerata obbiettivo e strumento funzionale nel
mercato libero).

Quello che è emerso è l’eccessivo sbilanciamento nel liberalismo di mercato (vero e proprio pilastro sociale).

Il primo passo è stato affermare che la sana concorrenza è uno strumento (non un fine a sé) e nello stesso
modo anche per il riferimento all’economia sociale (stessa importanza delle libertà economiche), si sposta
così la struttura del trattato verso i diritti sociali.

Insieme a questo l’Unione all’art.6:

L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso
valore giuridico dei trattati.

Il trattato è chiamato diritto primario, principi fondamentali.

Le direttive e i regolamenti sono il diritto secondario e devono essere in coerenza con i principi del diritto
primario.

La carta dei diritti fondamentali è una carta, siglata a Nizza nel 2000 che al momento della sigla non aveva
valore giuridico, ma solo politico. Ha avuto valore giuridico dal 2009.

Per quanto riguarda il diritto del lavoro vi sono alcuni principi molto importanti:

 Principio di non discriminazione (art. 21 carta)

“È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della
pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni
personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale,
il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. Nell'ambito d'applicazione dei
trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base
alla nazionalità.”

43
 Il principio di parità tra uomini e donne: nasce come unico articolo nel trattato del ’57 ed è uno dei
principi rilevanti. (art. 23)

La parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di
occupazione, di lavoro e di retribuzione.

Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi
specifici a favore del sesso sottorappresentato.

 Disabili
 Nel capo IV, la solidarietà

DIRITTI IMMEDIATAMENTE CORRELABILI IN MATERIA DI LAVORO:

 Diritti dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa


 Diritto di negoziazione collettive
 Diritto di accesso ai servizi di collocamento
 Tutela in caso di licenziamento ingiustificato in relazione al diritto comunitario e alla prassi
nazionale
 Condizioni di lavoro giuste ed eque
 Diritto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro
 Sicurezza sociale e assistenza, protezione della salute.

La carta dei diritti fondamentali per altro prevede diritti che debbono comunque essere limitati all’ambito
delle materie di cui l’UE è competente, non è possibile che da un diritto si possa ampliare la competenza
dell’unione.

C’è un articolo che ha chiarito quali sono le competenze dell’unione e il rapporto tra questa e gli stati
nazionali, la delimitazione del principio di competenza si fonda sull’attribuzione (unione competente solo in
quello che i trattati dicono) i principi sono di:

 Sussidiarietà (principio per il quale è competente colui che è più vicino alla questione da risolvere),
la competenza dell’unione c’è nel momento in cui lo stato nazionale non può occuparsene.
 Proporzionalità

MATERIE DI COMPETENZA UNIONE EUROPEA:

Bisogna patire da un nucleo fondamentale: le libertà fondamentali (economiche e di circolazione).

Le 4 libertà fondamentali.

- libera circolazione delle merci


- libera circolazione delle persone
- libera circolazione dei servizi
- libera circolazione dei capitali

Tutto questo è dato con un approccio di tipo economico, queste quattro libertà sono fattori della produzione.

Come si è sviluppato il diritto dell’unione nel tempo, quello che è accaduto nell’ambito della libera
circolazione delle merci (primo fattore che è entrato in vigore dopo l’approvazione dei trattati del 1957) e su
cui si è sviluppata gran parte della giurisprudenza e della corte di giustizia: è punto fondamentale.

44
Per libera circolazione delle merci si intende la necessità di creare uno spazio comune tra i paesi membri in
cui le merci possano circolare liberamente, per farlo si comprende un’unione doganale che si estende al
complesso degli scambi di merce e si traduce in due punti:

1. divieto degli stati membri ai dazi doganali dell’importazione ed esportazione


2. divieto di qualsiasi tassa di tale effetto equivalente

Questi sono i fattori per la creazione di un mercato unico, solo l’unione ha competenze per trattare con terzi,
gli stati membri non ne hanno.

Dazio doganale (film: non ci resta che piangere -1492) è la necessità di pagare un dazio (tassa) per il solo
fatto di varcare un confine.

Questo è vietato e non hanno particolari dubbi interpretativi, normalmente è data una percentuale sul valore
del bene.

Il dazio doganale è anche strumento di politica economica:

Es: modalità con cui l’unione europea (unico spazio, unico organismo) prevede dazi doganali rispetto alle
merci cinesi. (sono prodotte con costi produttivi più bassi, il tasso doganale ha la funzione di preservare la
produzione interna).

Art. 34/35

“Sono vietati tra gli stati membri le restrizioni quantitative all’importazione, nonché qualsiasi misura
di effetto equivalente.”

“Sono vietate tra gli stati membri le restrizioni quantitative all’esportazione e qualsiasi misura di
effetto equivalente.”

Le restrizioni quantitative sono il divieto ad uno stato di mettere delle percentuali massime di merce che può
essere importata o esportata rispetto ad un altro paese dell’unione.

Quello che non è chiaro è il significato della misura di effetto equivalente.

Lo stesso trattato (si passa prima dalle decisioni della corte di giustizia) ci dà qualche possibilità di
eccezione:

- moralità pubblica

- ordine pubblico
- pubblica sicurezza
- salute
- tutela della proprietà industriale

La modalità con cui la corte di giustizia ha interpretato queste norme fin dagli anni ’60 ci da l’idea del ruolo
svolto dalla stessa, la corte (affermato dal trattato) non vieta le eventuali indennità che vanno a remunerare
un servizio reso da un operatore economico:

ES: per molti anni tra Francia e Spagna c’è stato un problema nel passaggio dei crediti (diversi binari usati),
la cosa è stata risolta con miglioramenti tecnologici ma per molti anni i treni si fermavano al confine francese
e le merci dovevano essere scaricate, messe su un camion, portate in Spagna e ricaricate su un treno
spagnolo.

Questo era un servizio concreto, effettivo e quindi poteva essere remunerato, non era considerata una tassa
d’effetto equivalente oppure un dazio.
45
Le eccezioni sono solo quelle considerate dalla stessa corte e sono uguali per ogni stato.

Per quanto riguarda le tasse di effetto equivalenze vi sono state diverse sentenze:

1. sentenza TASSONVILLE 1974

Che riguardava un’esportazione tra Francia e Belgio di prodotti che non erano certificati, non avevano quindi
le certificazioni richieste dal paese di arrivo.

Non è una questione di diritto doganale ma una questione legata a ragioni di certificazione del prodotto.

Può un paese impedire l’importazione di un prodotto solo perché non è coerente con le sue certificazioni
interne?

La corte di giustizia ci dice: NO!!

Ci dice inoltre che sono considerate vietate in quanto considerate misure di effetto equivalente che tutte le
regolamentazioni commerciali degli stati membri suscettibili di ostacolare direttamente o indirettamente in
fatto o in potenza il commercio intracomunitario.

2. sentenza CASSIS DE DIJON del 1989

In questo caso il problema era l’importazione di questo liquore in Germania e la questione riguardava sempre
una regola di tipo commerciale su una regola tedesca legata alla percentuale di alcool contenuto in un
determinato prodotto per poterlo vendere come alcolico.

Anche in questo caso però la corte di giustizia ritiene che una regola di questo tipo, che impedisca il
commercio, sia contraria alle norme del trattato.

Da qui la corte esprime un altro concetto che rende l’idea che in uno spazio doganale comune le regole degli
stati di partenza devono essere riconosciute anche in quelli di arrivo.

3. sentenza KECK e MITHOUARD del 1993

La questione riguardava le modalità di vendita di determinati prodotti.

Sulla questione della modalità di vendita la corte di giustizia si ferma e si rende conto che la sua
giurisprudenza era avanti rispetto alle competenze dei singoli stati membri e ci dice che le singole modalità
di vendita non rientrano nelle modalità di tasse di effetto equivalente.

Non tutto rientra nelle tasse di effetto equivalente.

CONCORRENZA E AIUTI DI STATO:

Nell’ambito del trattato l’idea è quella che nello spazio comune del mercato interno vi sia un generale
principio di libertà di concorrenza.

La sana concorrenza è uno strumento fondamentale per il trattato nell’ambito del funzionamento del mercato
interno, la sana concorrenza è comunque legata all’economia sociale di mercato (art. 3 TUE)

Per assicurare che la sana concorrenza rimanga un qualcosa di fondamentale il trattato prevede alcune norme
applicabili direttamente alle imprese private (art. 101), alcune norme dedicate solo alle imprese pubbliche,
alcune norme dedicate solo alla regolamentazione degli aiuti di stato.

QUALI SONO LE NORME APPLICABILI ALLE IMPRESE?

Art. 101 TUE

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Sono considerati incompatibili con il mercato interno: tutti gli accordi tra imprese, le decisioni di
associazioni di imprese e le pratiche concordate che possono pregiudicare il commercio tra Stati
membri e che hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza
all'interno del mercato interno, e in particolare quelli che:

(a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita o qualsiasi altra condizione
commerciale;

(b) limitare o controllare la produzione, i mercati, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;

(c) condividere mercati o fonti di approvvigionamento;

(d) applicare condizioni dissimili alle operazioni equivalenti con altre parti commerciali, ponendole
così in uno svantaggio competitivo;

(e) subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte delle altre parti di obbligazioni
supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non hanno alcun collegamento con
l'oggetto di tali contratti.

Sono vietati gli accordi che possano pregiudicare il commercio tra stati membri.

Secondo la corte di giustizia, l’impresa è qualunque persona fisica o giuridica che svolga un’attività
economica rilevante.

Anche l’ufficio pubblico di collocamento italiano è stato considerato sottoposto alle regole legate alla libertà
di concorrenza.

Una sentenza (JOB CENTER 2 – 1996) disse che il monopolio pubblico di collocamento quando non è
funzionante non è correlato alle regole della libera concorrenza.

La nozione di accordo è molto ampia, può trattarsi di:

- accordi scritti

- accordi verbali

Sono sostanzialmente correlati all’applicazione dell’art. 101 anche gli accordi interprofessionali conclusi
nell’ambito di un ente di diritto pubblico, però la corte nel 1996 con la sentenza Albani ci dice che non è
considerato applicabile l’art. 101 in quegli accordi tra categorie datoriali e lavoratori che perseguano fini
sociali.

È un accordo collettivo che aveva come fine la creazione di un sistema di pensione complementare, la
questione rimane aperta.

L’art. 101 resta in ogni caso come riferimento.

Perché l’intesa possa rientrare nell’ambito di applicazione del trattato sono necessarie:

- pregiudizio al commercio tra stati membri (interpretato dalla corte di giustizia con il medesimo
approccio usato nella sentenza TASSONVILLE) possibilità che l’accordo possa esercitare
direttamente/indirettamente, in atto o in potenza un’influenza sullo scambio tra stati membri in modo
da influenzare la concorrenza.

La corte di giustizia ha creato una regola “DE MINIMIS” che ha escluso dal divieto quelle intese che
comunque hanno un effetto minimo (sotto il 10/5 percento per i mercati) sul mercato di cui si tratta.

Nel trattato si hanno alcune intese considerate vietate:


47
- possibilità di fissare precedentemente i prezzi di vendita
- limitare o controllare la produzione

Quello che è comunque possibile è che vi siano accordi che in qualche modo abbiano un’importanza per il
mercato interno.

Vi sono anche qui dei regolamenti che nascono da una proposta della commissione che ci dicono quali sono
le intese ammesse (alcune lo sono sempre ES: costruzione di macchinari eccessivamente costosi).

L’UE ha una valenza sovranazionale.

Altra modalità con cui la concorrenza viene garantita è quella contenuta nell’art. 102 TUE

“È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al
commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione
dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.”

Non è la posizione dominante in sé ma lo sfruttamento abusivo di essa.

Posizione di abuso dominante che consente all’impresa di ostacolare il permanere di una concorrenza
effettiva nel mercato preso in considerazione e ottenere comportamenti indifferenti e indipendenti.

Per far riferimento alla posizione dominante va individuato il mercato rilevante, ovvero l’ambito in cui quel
prodotto può avere la sua distribuzione.

L’abuso è evidente (secondo la corte di giustizia in diversi casi) quando l’impresa incide sulla struttura del
mercato riducendo i livelli di concorrenza e mira ad escludere dal mercato un’impresa concorrente (es:
impresa che vende a prezzi di costo inferiore) (impresa produttrice lega con contratti particolari i venditori di
pezzi).

In entrambe gli articoli, l’istituzione che ha il potere principale è la commissione europea che ha la
possibilità di verificare se le singole imprese hanno stipulati accordi, se vi è abuso dominante e interviene
con sanzioni che dopo le ultime modifiche arrivano ad una riduzione significativa del fatturato in azienda.
(es: grandi imprese con fatturati elevati).

Sono sottoposte alle regole di concorrenza tutte le imprese che operano in Europa, non solo quelle europee.

ES: sanzionare MICROSOFT per la vendita di PC con il proprio programma di browser.

Si è imposto all’azienda di lasciare libertà ai consumatori.

Le nuove modalità di intervento hanno consentito alle commissioni antitrust di fare attivare le norme sulla
concorrenza.

Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:

a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di


transazione non eque;

b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;

c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;

d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di


prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso
con l'oggetto dei contratti stessi.
48
Art. 106 (IMPRESE PUBBLICHE)

Alle imprese pubbliche tendenzialmente si applicano anche le norme dell’art. 101/102 però spesso esse
hanno finalità di tutela di interessi pubblici che il trattato riconosce.

Il trattato non entra nel merito della decisione degli stati membri di avere o meno imprese direttamente
finanziate e gestite dallo stato, sempre che quelle pubbliche usino le stesse regole di quelle private.

Lo stato non può intervenire con aiuti di stato, salvo deroghe contenute nei trattati.

Es: pandemia ha sospeso le norme in materia di stato per consentire agli stati di gestire la situazione.

Per garantire una concorrenza sana è necessario vietare gli aiuti di stato.

“Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui
incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali,
sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare
la concorrenza.”

2. Sono compatibili con il mercato interno:

a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza
discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti;

b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi
eccezionali;

c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che
risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi
economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il
Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera.

L’aiuto è rilevante nella misura in cui incide sullo scambio (visto anche in via solo potenziale).

Non è aiuto di stato un eventuale disposizione statuale con cui viene economicamente regolato tutto un
settore.

ES: se io stato fornisco aiuti per l’acquisto di auto elettriche, questo non è aiuto di stato (lo è solo se lo do ad
una determinata azienda).

Per intervento pubblico si intende anche quello fatto da qualsiasi ente pubblico o privato autorizzato o
disegnato dallo stato.

La risorsa statale è stata considerata tale nel senso più ampio:

- erogazione monetaria
- sconto fiscale
- sconto previdenziale
- riduzione oneri sociali

La corte di giustizia è intervenuta nell’ambito anche di settori di porti e aeroporti (noi abbiamo anche solo
approcci potenziali che possano incidere).

Anche in questo caso vi è una regola “de limiti” = 250.000 in 3 esercizi finanziari.

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Fino a questo importo non è considerato aiuto di stato.

La delicatezza con cui lo stato in materia di lavoro può e deve intervenire (strumento=esenzione fiscale o
contributiva) è delineata dalla sentenza del 2002 sui contratti di formazione e lavoro.

Vi era stata una decisione del 99’ che aveva condannato l’Italia alla violazione dell’art. 87 (aiuti di stato).

I contratti di formazione e lavoro sono stati introdotti nel ’84, pensati come contratto per i giovani (fino ai 40
anni), inizialmente l’idea era sino ai 25.

Nell’84 era stata introdotta questa novità con due modalità incentivanti:

1. lo sconto previdenziale elevato


2. possibilità di assumere direttamente (monopolio pubblico dell’ufficio di collocamento)

La corte nel 2002 ci dice che questa forma di aiuto era considerato aiuto di stato, incompatibile con i trattati.

L’Italia è stata condannata per aiuti illegittimi e violazione delle norme in materia di aiuti di stato.

LIBERA CIRCOLAZIONE DI PERSONE, SERVIZI E CAPITALI:

la libera circolazione delle persone si intende sempre con un approccio economico.

Nel trattato europeo tale materia si divide in 3 grandi gruppi di norme:

1. Primo gruppo: lavoratori subordinati (art. 45), secondo la corte è lavoratore ai sensi del trattato colui
che fornisce per un certo periodo di tempo delle prestazioni tramite le quali riceve una retribuzione.
Rientra in questo articolo, colui che svolge un’attività di tirocinio, chi è disoccupato in cerca di
lavoro.
Approccio interpretativo di tipo espansivo.
Il principio comune è la non discriminazione del lavoratore. Con il trattato di Maastricht nasce l’idea
del cittadino dell’UE inserito all’interno della direttiva 38 del 2004.
Parando di cittadinanza dell’Ue, c’è una differenza netta tra chi lavora e coloro che non lo fanno,
questi ultimi possono circolare liberamente negli stati membri solo con dei limiti: solo per tre mesi e
devono essere coperti da un’assicurazione per malattia.
2. Diritto di stabilimento (lavoro autonomo o d’impresa stabilmente svolto in un altro stato membro.)
3. Libera circolazione dei servizi (il lavoratore autonomo svolge un’attività TEMPORANEAMENTE
su un altro stato membro).

Il principio generale è la libera circolazione ma da questo punto di vista cominciano ad emergere alcuni
problemi in materia di lavoro: negli anni ’80 soprattutto, nel momento in cui Spagna e Portogallo entrano a
far parte dell’Unione, sorgono problematiche perché questi due stati erano molto arretrati dal punto di vista
economico e sociale, quindi emerge la possibilità che le imprese spagnole e portoghesi, che hanno un costo
molto più basso, cominciano a fare concorrenza offrendo servizi a costi molto più contenuti: questo prende il
nome di dumping sociale, ovvero concorrenza falsata, che si basa solo sul costo del lavoro.

La prima reazione degli stati è applicare le loro norme a coloro che vanno a prestare servizi nei loro stati. La
corte nel 1990 ha emesso una sentenza che stabilisce: in materia di distacco dei lavoratori, lo stato di arrivo
impone a tutte le imprese (sia locali, sia esterne) la sua legislazione sociale.

La libera circolazione dei servizi riguarda anche i lavoratori autonomi: si pone un grande problema: la
commissione a partire dagli anni ’90 cerca di creare una situazione il più possibile omogenea e per farlo era
opportuno continuare a portare avanti le norme dello stato di partenza.

50
La questione è stata risolta dal punto di vista del distacco transnazionale, tramite un compromesso:
ammettendo che il distacco delle persone e dei servizi sia diverso dalla libera circolazione delle merci,
bisogna evitare che lo stato d’arrivo non lavori per una vera e propria integrazione; QUINDI, lo stato di
arrivo non ha il diritto di imporre in maniera completa la propria legislazione, ma SOLO UN NUCLEO di
diritti specificatamente inseriti nella direttiva del 1996 n.71.

Inizialmente nel trattato CEE, la norma principale era la non discriminazione di genere, ad oggi questo
articolo corrisponde al numero 157.

Le norme in materia di lavoro si sono ampliate, il primo strumento che è stato utilizzato è legato a un articolo
(n.114) che prevede un principio di ravvicinamento delle legislazioni, è una norma flessibile che consente in
virtù del principio di avvicinare sempre di più le norme dei diversi paesi dell’unione.

A partire dall’atto unico del 1987 e del trattato di Amsterdam del ’97 sono stati inseriti atti in materia di
occupazione e anche un titolo legato alla politica sociale, con riferimento alla carta dei diritti sociali
fondamentali e dei riferimenti generali alla possibilità dell’UE di sostenere e completare settori particolari.

In ambito comunitario ricordiamo tre direttive che riguardano alcune norme comuni in materia di lavoro:

 part-time,
 sicurezza sul lavoro
 salute.

PILASTRO EUROPEO DEI DIRTTI SOCIALI:

Firmato nel 2017, contiene diritti sociali che si basano sui principi fondamentali.

È un testo che non ha valore giuridico nonostante sia stato firmato da parlamento, consiglio e commissione, è
importante per il suo contenuto e per le sue finalità.

DIRITTO SINDACALE

Art.39 cost:

4 commi, ma l’unico che consideriamo concretamente in vigore è il primo, gli altri 3 pur non essendo mai
stati attuati hanno comunque una forza impeditiva.

L'organizzazione sindacale è libera.

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o
centrali, secondo le norme di legge.

È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base
democratica.

I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione


dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli
appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

Partiamo dal primo comma: alcune affermazioni molto nette sono una dichiarazione di un principio
fondamentale di libertà.

Questo primo comma è strettamente collegato all’art.18 dove viene sancito il principio di libertà di
associazione.

Nel momento in cui lo scopo sindacale è dimostrato, ecco che la costituzione prevede una modalità
regolativa di favore, rispetto alle altre associazioni.
51
Un’associazione sindacale non è vietata nemmeno dalla legge penale, al contrario di ciò che accade nell’art.
18.

L’idea è quella di far prevalere l’organizzazione sindacale nella maniera più libera possibile.

I sindacati sono associazioni che non hanno personalità giuridica (possibilità di rendere autonoma la società
dal punto di vista dei debiti e dei crediti).

La libertà sancita dal primo comma si riferisce anche all’impossibilità dello stato di entrare nel merito della
modalità di esercizio della propria libertà sindacale. Sicuramente l’art-39 copre i sindacati dei lavoratori, c’è
stata una discussione se questo articolo possa essere esteso anche ai sindacati dei datori di lavoro, oppure se
questi ultimi debbano continuare a seguire l’art. 18.

La Corte costituzionale è intervenuta dopo che nel 1956 una legge dello stato aveva agito in materia di
partecipazioni pubbliche, aveva ritenuto di creare un ministero apposito alle partecipazioni statali, sul piano
del diritto sindacale era successa una cosa rilevante: le imprese pubbliche avevano creato una propria
associazione di rappresentanza, diversa da quella degli imprenditori privati. Proprio in questa vicenda la
corte aveva richiamato l’art. 39 anche per i sindacati dei datori di lavoro, grazie alla carta dei diritti
fondamentali che ha la stessa valenza dei trattati e quindi è al pari della costituzione, si ritiene che l’art. 39
sia alla pari sia per i datori di lavoro e sia per i lavoratori.

Il principio di libertà sindacale è inteso anche in senso negativo, ovvero dare la possibilità al lavoratore di
non iscriversi a nessun sindacato.

Questo principio ha avuto anche qualche limitazione:

Le convenzioni internazionali dell’OIL concedono agli stati membri la possibilità di non prevedere per la
polizia e militari l’associazione sindacale.

Il divieto per i militati è stato ritenuto contrario all’art. 39 in virtù di una modalità nuova dell’art.117, la corte
europea per i diritti dell’uomo ha ritenuto contrario questo principio rispetto alla carta dei diritti
fondamentali.

Nel 2018, in virtù della CEDU i militari possono formare associazioni sindacali.

Sia per la polizia e per i militari permane il diritto di sciopero.

Come sono intesi i sindacati per i lavoratori?

Non esiste un’imposizione su cui devono essere costruiti i sindacati, ma nel corso del tempo si sono definite
le modalità tramite le quali funzionano e lavorano queste associazioni: esistono moltissime tipologie di
sindacati, è emerso che nel corso del tempo le tre grandi confederazioni sindacali si sono imposte come
rappresentanti di gran parte dei lavoratori italiani.

I sindacati confederali sono la CGIL, CISL E UILL.

Ogni categoria si associa per aderire a una confederazione.

All’inizio le associazioni riguardavano specifici rami di industria (es metalmeccanico), oppure si parlava di
sindacati dei mestieri, questo ricorda il periodo delle corporazioni.

Nella prassi sindacale le strutture sui luoghi di lavoro sono state diverse, varie, a seconda dei momenti storici
e delle situazioni.

Una struttura sindacale può essere direttamente correlata alla modalità con cui gli stessi lavoratori operano in
azienda (diretta, democratica forte dal punto di vista rappresentativo) ma con meno capacità di una struttura

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che faccia riferimento non tanto al lavoratore eletto sul posto ma al sindacalista mandato dal sindacato
esterno.

A seconda del tipo di struttura abbiamo una modalità di intervento che cambia nella sua struttura e nella sua
dinamica di funzionamento.

I due concetti sono innanzitutto:

1. Che cosa significa essere un sindacato? Chi rappresenta un sindacato?


2. La differenza tra rappresentanza e rappresentatività

La rappresentanza è un concetto intimamente giuridico: è la modalità con cui nell'ordinamento gli effetti
giuridici di un atto o di un comportamento possono essere traslati da una persona a un'altra; vi è anche un
contrasto tipico: quello di mandato.

Il mandato con rappresentanza è la modalità con cui un atto compiuto dal rappresentante riverbera i suoi
effetti direttamente nella sfera giuridica del rappresentato.

Ci si è resi conto che se da un lato questo è un concetto che può essere utilizzato anche l'ambito delle
associazioni sindacali nel momento in cui un lavoratore si iscrive al sindacato dal punto di vista giuridico
questo è un mandato con rappresentanza, per rappresentarlo nell'ambito di quello che riguarda le questioni
lavorative (non tutto).

Il lavoratore che si iscrive a un sindacato dà mandato al sindacato di rappresentarlo sulle questioni che lo
riguardano.

C'è questo concetto di rappresentanza però il sindacato è anche altro, non è soltanto la somma degli individui
dei lavoratori che rappresenta.

Il sindacato ha una propria configurazione e volontà, che mette insieme quello che gli è stato chiesto ma a
volte va anche oltre, si comporta in un certo modo anche perché ritiene di fare il bene di coloro che
rappresenta.

Questo concetto è pregiudicò ci dice Gino Giugni, uno dei più grandi studiosi di diritto sindacale, “il
concetto di rappresentatività contiene questa forza del sindacato che è anche altro”.

Per capire quanto altro sia dobbiamo anche qui fare riferimento alle differenze che sussistono tra i vari
sindacati.

Parliamo di una differenza tra:

 Sindacato classe
 Sindacato associazione

Il sindacato classe come idea di partenza fa riferimento al Marxismo, questa è l'idea del sindacato classe ed è
più vicino storicamente a quello che è sempre stato il comportamento della CGIL, cioè l'idea di un sindacato
che fa il bene della classe operaia che si comporta e agisce cercando di operare al meglio per la classe
operaia.

Sindacato associazione (CISL) si comporta come una vera e propria associazione, fa i beni dei propri iscritti
mentre il sindacato classe fa il bene della classe operaia a prescindere se siano essi iscritti o meno ai
sindacati.

I termini rappresentanza e rappresentatività sono intesi come sinonimi.

Nel corso del tempo si sono viste varie forme di rappresentanza sui luoghi di lavoro:

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 Consigli di fabbrica: tipici, prima e dopo il periodo corporativo.
 Cisl per lungo tempo fu un unico sindacato che interloquiva con i datori di lavoro (sezioni sindacali
aziendali come modalità di intervento che prevedevano legame diretto con il sindacato esterno
(CISL).

In un primo periodo l’idea era quella che lo stato non interviene, lascia la libertà ai sindacati.

Alla fine degli anni 60, si arriva alla definizione di uno statuto dei diritti dei lavoratori.

Legge 300 del 1970.

Prevede l’approvazione di norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, libertà e attività sindacale
sui luoghi di lavoro e norme sul collocamento.

C’è la scelta anche di regolare per legge una forma di rappresentanza aziendale, il legislatore cerca di mettere
insieme:

 Necessità di un collegamento con la base dei luoghi di lavoro


 Tenere la possibilità di un collegamento esterno con i grandi sindacati

Insieme al disegno di legge dello statuto vi era anche la legge di accompagnamento.

La firma è di Giacomo Brodolini che nel ’69 (momento in cui era stata scritta la relazione) era ministro del
lavoro, era stato vicesegretario della CGIL, socialista che aveva partecipato alla resistenza e aveva messo
assieme un gruppo di lavoro di alto profilo.

Nel gruppo di lavoro c’era anche Gino Giugni che lo presiedeva.

L’idea è quella di dividere lo statuto dei lavoratori in tre grandi parti, di attuare sui luoghi di lavoro i principi
della costituzione.

Uno degli slogan che accompagnava questa legge era “LA COSTITUZIONE È ENTRATA IN FABBRICA”

Fino a quel momento i principi consolidati nel testo costituzionale erano discussi direttamente sul luogo di
lavoro.

Lo statuto dei lavoratori aveva questo primo ambito di riferimento contenuto nel titolo 1, che aveva come
riferimento alcune proposte che già negli anni ’50 i sindacati confederati (soprattutto CGIL aveva proposto).

A tal fine nel titolo 1 del seguente testo, si è ritenuto di riaffermare il principio di libertà di opinione, di
eliminare sistemi di vigilanza e controllo disciplinare non compatibili con i principi della costituzione.

TITOLO 1 rapporto individuale di lavoro

Titoli 2-3 rapporti collettivi di lavoro

Nel titolo 2-3 vengono previste delle modalità con cui la rappresentanza sindacale è garantita a livello di
impresa.

L’Onorevole Brodolini afferma che “Il presente disegno di legge lunge dal proporsi di prefigurare uno
schema fisso di rappresentanza sindacale”.

Il disegno di legge intende solo agevolare la presenza della rappresentanza sindacale nelle forme che il
sindacato stesso intenderà attribuirgli e a tale scopo persegue lungo un duplice binario.”

Il legislatore è attento a non prefigurare uno schema fisso di rappresentanza perché è ben consapevole del
primo comma dell'articolo 39 cost:

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Art. 39

La libertà sindacale è personale e assoluta.

Quindi nelle modalità con cui i sindacati tendono a perseguire il loro scopo, quello di rappresentare i
lavoratori e le forme, il legislatore non interviene in modo concreto e netto ma cerca di agevolare la presenza
della rappresentanza sindacale.

COME?

In due binari:

1. Garanzie per il libero esercizio dell’attività sindacale e per la protezione dei lavoratori da
discriminazione di qualunque genere che incidono sulla sfera della libertà sindacale, politica o
religiosa. (2 titolo statuto, rivolto a tutte le associazioni sindacali, a prescindere dalla loro forza
rappresentativa)
2. Si fonda sul principio di forza rappresentativa del sindacato stesso, consiste in una serie di norme che
mirano ad agevolare l’esercizio dell’attività sindacale nell’impresa, norme necessarie in quanto la
cura e semplice garanzia di libertà e non interferenza nella sfera dei singoli non sarebbe ancora
sufficiente a garantire l’effettiva presenza dei sindacati nei luoghi di lavoro.

Le ultime norme trovano applicazione per i sindacati effettivamente rappresentativi.

Fin dal ’69 si trova riferimento all’effettiva rappresentatività del sindacato.

Struttura dello statuto in tre grandi parti:

 Norme a tutela dell’individuo nel rapporto contrattuale


 Tutela della libertà sindacale (2-3 parte) nei due binari.

Il titolo tre prevede delle norme che incidono sulla libertà dell’imprenditore e perché abbiano effettività
concreta devono essere limitate.

Il titolo 2 “DELLA LIBERTA’ SINDACALE” si occupa di alcune norme, delle quali 2 sono quelle centrali.

Art. 14 statuto

“Diritto di associazione e di libertà sindacale.”

“Diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e svolgere attività sindacali è garantito a tutti i
lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro”.

Garanzia di:

 Costituire
 Aderire
 Svolgere attività sindacale (fare proselitismo sindacale, accedere al luogo di lavoro)

C’è anche il diritto di dare comunicati sindacali e di distribuirli, rientra all’interno dell’art.14.

Art. 15

Abbiamo una concreta modalità con cui l’ordinamento vuole evitare che sussistano atti discriminatori.

Questo articolo 15, che nasce con riferimento ai diritti dello statuto dei lavoratori, diviene ed è uno dei
pilastri del diritto antidiscriminatorio italiano (nel tempo sono state inserite altre ragioni discriminatorie).

“È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:


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a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una
associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;

b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei


trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua
affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di
discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata
sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.”

L’ordinamento interviene in modo netto già dal 1970, il riferimento fondamentale è quello di garantire la
libertà sindacale, sia in senso positivo che in senso negativo.

La protezione del lavoratore in relazione alla sua partecipazione ad uno sciopero, in quelle che sono gli
aspetti più rilevanti della sua vita: licenziamento, assegnazioni, trasferimenti.

Questo nucleo è stato poi nel corso del tempo esteso ad altri fattori discriminanti, l’ultimo comma è stato
modificato nel 2003 (d. lgsl che fa riferimento a due direttive comunitarie del diritto dell’unione europea in
materia antidiscriminatoria) riguardante le disposizioni del comma precedente:

 La nullità è legata anche ad eventuali fini discriminatori su politica, razza, lingua, sesso, handicap,
orientamento.

È vietato anche qualunque trattamento economico collettivo discriminatorio, ovvero la concessione di


trattamenti economici di maggiore favore aventi carattere discriminatorio.

Nel nostro ordinamento non esiste un principio di parità di trattamento retributivo a parità di mansione.

Sono vietati anche i cosiddetti sindacati gialli (di comodo), finanziati o costituiti dal datore di lavoro e che
solo formalmente dovrebbero proteggere il lavoratore ma che in realtà sono finanziati dai datori.

Vi è poi un caso particolare:

Art. 18 Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.

Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai
sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col
matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al
decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo
54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive
modificazioni, ovvero perchè riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da
un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro,
imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro,
indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati
dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell'ordine di
reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio
entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità di cui
al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al
licenziamento dichiarato inefficace perchè intimato in forma orale.

Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento
del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal

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fine un’indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del
licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di
estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento
non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è
condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore è
data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro,
un’indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta
determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale.
La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito
della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta
comunicazione.

Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o
della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perchè il
fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei
contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il
datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di
un’indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del
licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel
periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché' quanto avrebbe potuto
percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura
dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di
fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali
dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella
misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari
al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di
lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello
svolgimento di altre attività lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra
gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa
svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito
dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia
ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto
l’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.

Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo
soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con
effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità
risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro
mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto
conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del
comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.

Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione
di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della
procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15
luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con
attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla
gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e

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un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica
motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che
vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle
previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.

Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui
accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e
10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o
psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110,
secondo comma, del Codice civile. Può altresì applicare la già menzionata disciplina nell'ipotesi in cui
accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del già menzionato giustificato
motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini
della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di
cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e
del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio
1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda
formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari,
trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.

Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non
imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto
luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta
di imprenditore agricolo, nonché' al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che
nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel
medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva,
singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e
non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.

Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all'ottavo comma si tiene conto dei lavoratori
assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto,
tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto
dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro
entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui
all'ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.

Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché' effettuata entro il termine di quindici giorni dalla
comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende
ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel
periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente
articolo.

Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e
del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di
merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova
forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice
medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e
sesto comma del Codice di procedura civile.

L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.


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Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera
alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui all'undicesimo comma, non impugnata
o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al
pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della
retribuzione dovuta al lavoratore.

Oggi trova un’applicazione limitata a seguito delle modifiche degli ultimi anni.

Perché il legislatore, che ha ritenuto di dover inserire nel titolo 2 dello statuto le norme che tutelano tutte le
associazioni sindacali (libertà sindacale), ha inserito una norma che tutela il licenziamento illegittimo?

Nel 1970 la novità dell’art. 18 rispetto alla legge 604 del 1966 era stata la sanzione reintegratoria per
qualsiasi tipo di licenziamento illegittimo.

La tutela piena attraverso la sanzione tutela direttamente e indirettamente non solo il lavoratore ma anche
l’associazione sindacale nel suo complesso. (Il lavoratore molto spesso non agisce perché ha paura delle
conseguenze).

Lo stesso articolo 18 tutela anche i lavoratori delegati sindacali e la libertà del lavoratore di fare attività
sindacale senza alcuna conseguenza sul suo rapporto lavorativo.

La divisione tra titolo 2 (norme applicabili a tutti i sindacati) e titolo 3 (pensate solo per alcuni sindacati) non
è solo nella relazione di Brodolini ma è stata anche confermata dalla Corte costituzionale.

La corte è intervenuta più volte e ha affermato anche che a quei diritti debba essere aggiunto l’art. 26 che è
applicabile, seppur contenuto nel titolo 3, a tutti i sindacati.

Art. 26

I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro
organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento
dell'attività aziendale.

[Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario nonché
sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori
intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la
segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale].

[Nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi, il lavoratore ha
diritto di chiedere il versamento del contributo sindacale all'associazione da lui indicata].

L’art. è da intendere inserito nel titolo 2.

TITOLO 3 “DELL’ATTIVITÀ SINDACALE”

È l’ambito più problematico dello statuto e del diritto sindacale.

Per attuare l’idea di riservare alcuni diritti solo per alcune tipologie di sindacato, il legislatore decide di
prevedere una particolare forma di rappresentanza sui luoghi di lavoro, nel momento in cui il sindacato
voglia godere di quei diritti particolari.

Inizialmente l’idea del legislatore del 1970 era quella di creare una forma di rappresentanza che avesse come
riferimento l’impresa ed il sindacato esterno (CISL).

Art. n. 19

Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali. (RSA)


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Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità
produttiva, nell'ambito:

[a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale];

b) delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro (nazionali o
provinciali) applicati nell'unità produttiva.

Nell'ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di
coordinamento.

È ad iniziativa dei lavoratori (collegamento con la base dell’impresa, iniziativa da parte dei lavoratori
dell’impresa) però essi non possono da soli formare una RSA ma devono avere un qualche collegamento
(non si prevede una forma rigida di rapporto) con un sindacato esterno (non può essere uno qualunque)
effettivamente rappresentativo, concretamente dotato di effettiva forza rappresentativa.

Nel 1970 si è creato un concetto (su cui da tempo si teorizzava) sulle confederazioni maggiormente
rappresentative sul piano nazionale.

Confederazioni: non basta una federazione.

La federazione è la struttura di categoria, la confederazione mette assieme più categorie.

All’inizio il problema era come assicurare che le tre grandi confederazioni sindacali potessero effettivamente
costituire loro rappresentanza all’interno dell’azienda e l’idea che esse fossero le più rappresentative sul
piano nazionale.

La giurisprudenza ha ritenuto che il concetto di “confederazione maggiormente rappresentativa” sia un limite


superato e che il sindacato può tranquillamente costituire la sua RSA, non vincolato dal n. di sindacati che
superano questo limite e collegato ad una serie di parametri.

Nel frattempo, nel ’77 il legislatore era pervenuto a far sì che i beni immobili dell’ex sindacato fascista
fossero distribuiti ai nuovi sindacati repubblicani, prevedendo una lista di quelli che erano i sindacati
rilevanti dell'epoca vedendo più o meno la forza rappresentativa che avevano; quindi c'era un elenco di
sindacati ai quali sono stati ceduti quei beni: c'erano sicuramente Cgil, Cisl e Uil ma c'erano anche un'altra
serie di sindacati: sicuramente c'era Ugl e altre sigle sindacali.

La prima cosa che la giurisprudenza ha detto è che il concetto di sindacato maggiormente rappresentativo
non è per forza correlato all'elenco che il legislatore ha fatto, è autonomo da esso.

Tra i criteri che la giurisprudenza nel corso degli anni ha enucleato per comprendere chi potesse avere essere
considerazione maggiormente rappresentativa sul piano nazionale c’era ad esempio la necessità di essere
presenti in varie categorie.

C'è un’idea, per esempio, di dover essere presente su tutto il territorio nazionale: non basta un sindacato
regionale magari presente con forza in un settore e in un luogo territorialmente preciso: bisogna avere una
presenza ed una posizione nazionale.

Però i vari criteri erano stati abbastanza raggiungibili e molte associazioni sindacali sono state considerate
dalla giurisprudenza confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

Non tutti però: nei primi anni 80, in un periodo complesso dovuto all’alta inflazione e alla crisi economica
cominciano a nascere e ad avere maggiore forza rappresentativa nuove sigle sindacali:

60
Il legislatore del 70 aveva previsto oltre al criterio di cui alla lettera a) anche un criterio dove nel momento in
cui un sindacato non è considerato maggiormente rappresentativo può comunque costituire una propria RSA
se ha firmato un contratto collettivo di lavoro che in quel momento è nazionale o provinciale.

Accade normalmente però, che a firmare questi contratti collettivi siano le grandi categorie e molto spesso
questo criterio non ha trovato effettiva applicazione.

Ecco che per diversi anni si tenta di arrivare davanti alla Corte costituzionale dicendo che l’art. 19,
prevedendo alcuni diritti solo per alcuni sindacati, viola il comma 1 dell’art. 39 che prevede un generale
principio di libertà sindacale.

La corte, proprio in virtù della struttura dello statuto, che prevede il secondo titolo applicabile a tutti, ci dice
che non è contrario all'articolo 39 purché ovviamente la scelta selettiva sia razionale e mostri come siano i
sindacati effettivamente rappresentativi. (rigetta per molti anni tutte le questioni che le vengono sottoposte in
materia di art. 19)

Nel frattempo, accade che i movimenti sindacali, soprattutto quelli che non si sentono rappresentati da questo
testo, ritengono che il testo dell'articolo 19 non possa più andare bene e quindi vengono proposti nel 1995
due referendum abrogativi, che passano prima il vaglio della Corte costituzionale e poi devono avere un
certo numero di firme che la corte di cassazione dice se sono state raggiunte.

1. Prevedeva l’abrogazione totale dell’art. 19 (non passa)


2. Modifica parziale dello stesso (passa)

La Corte costituzionale ha detto che andava bene il referendum perché era si razionale la scelta del
legislatore ma non era costituzionalmente necessaria.

Il testo che vediamo è quello derivante dalla modifica referendaria con effetto dal 21/09/1995: viene abrogata
la lettera a) e vengono abrogati i riferimenti al contratto collettivo nazionale.

Quello che rimane dal 1995 in poi è un unico criterio di accesso ai diritti previsti al titolo 3: la firma di un
contratto collettivo di lavoro applicato nell’unità produttiva.

Passano gli anni e nel frattempo per risolvere problemi legati alla modalità con cui erano state pensate le
RSA (che sono pensate per un singolo sindacato esterno, in un’azienda possono essercene più di una sempre
legate al sindacato che ha i requisiti) si pensa di creare un sistema parallelo che viene creato attraverso un
accordo collettivo nel 1993 (crisi della moneta) tra le associazioni sindacali sulle abrogazioni della scala
mobile, dove si decide di creare una nuova struttura di rappresentanza sindacale sui luoghi di lavoro parallela
alle RSA.

Si crea il sistema fattizio dove la fonte è un accordo, oggi “testo unico sulla rappresentanza” del 2014.

Con il sistema delle RSU l’idea è quella di creare un’unica forma di rappresentanza all’interno della quale ci
sono rappresentanti sindacali di vari sindacati.

Nel 1995 aveva iniziato ad operare il sistema delle RSU che fa sì che i problemi legati a questa nuova
modalità con cui l’art.19 prevede l’accesso al titolo 3 non creino problemi particolari.

I problemi cominciano invece ad emergere diversi anni dopo, nel 2007/2008 durante la grande crisi tra le
grandi organizzazioni sindacali e la questione nasce sostanzialmente con il caso Fiat (caso di Pomigliano
D’Arco).

Che cosa succede?

61
Succede che in una sede produttiva della Fiat viene proposta una modifica radicale degli assetti produttivi
(cambio di turni, vengono modificate le pause, vengono ridotti gli orari, vengono ridotte le pause).

La Fiat si lamenta che l'assenteismo su quel sito è molto elevato (le ragioni: quando ci sono le partite del
Napoli, quando ci sono le elezioni politiche), in quell'accordo ci sono dei profili più rigidi anche su alcuni
diritti dei lavoratori.

Esempio: non è più prevista la possibilità di pagare i primi tre giorni di malattia, che normalmente la legge
non copre ma che normalmente gli accordi collettivi coprono; è previsto anche qualche tipo di rinuncia
all'assenteismo da parte dei singoli lavoratori (la questione viene discussa pensando si volesse toccare il
diritto di sciopero).

Si crea un grande attrito tra le forze sindacali, la Fiat dice nel caso non passi questo accordo andrà a produrre
in Polonia.
Questo accordo vede una divisione netta fra FIOM E CGIL (settore metalmeccanico):

 La Fiom dice di non firmare


 FIM e UILM che invece sono le federazioni metalmeccaniche di Cisl e Uil firmano l’accordo.
Questo accordo viene poi portato al voto tra gli operai e passa, anche se non con la percentuale che ci si
aspettava (60 %).
1. Primo passo = grande rottura tra le confederazioni.
2. (riguarda sempre Fiat) a quel punto decide di uscire dall'ambito della rappresentanza delle aziende e
decide di uscire dal contratto collettivo nazionale del settore metalmeccanico e si fa sostanzialmente
un contratto collettivo soltanto di Fiat, di primo livello nazionale, e diversi contratti collettivi di
secondo livello a seconda dei siti produttivi.
Qual è la conseguenza?

La conseguenza che ci interessa è che un sindacato come la Fiom, la Cgil, che decide poi di non firmare il
contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici (che in qualche modo aveva inserito tutte queste
modifiche), Fiat si trova priva del requisito, si trova in una situazione in cui la Fiom (la Fiom nel settore
metalmeccanico) è il sindacato di gran lunga più rappresentativo degli altri due messi assieme.
La questione torna alla Corte costituzionale nel 2013.

Aveva portato all'esplosione delle cause giudiziarie, nel 2009-2010-2011 si erano moltiplicate le cause nei
tribunali italiani e le decisioni dei giudici non erano così uniformi e i giudici si erano divisi.

Probabilmente la maggioranza dei giudici diceva: “Mi dispiace FIOM ma questo è il testo della legge; è vero
che tu hai una grande forza rappresentativa ma se si dice che deve essere firmato il contratto e tu non hai
firmato non puoi costituire una tua RSA.”
C’era un altro orientamento minoritario che diceva che l’art. 19 comunque doveva essere correlato alla forza
rappresentativa di un sindacato ma questo stesso orientamento minoritario aveva determinato alcuni criteri:
(il giudice non lo può fare, deve solo interpretare la norma).

Quello che accade è che 2 o 3 giudici sollevano la questione di costituzionalità davanti alla corte e la stessa
corte dopo dieci volte di intervento (no violazione dell’art.19) arriva ad un’interpretazione diversa, si rende
conto che un sistema che esclude dalla rappresentanza il sindacato più rappresentante di tutti non va bene sul
piano della ragionevolezza. (Vizio della norma)

Con la sentenza del 23/07/2013 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della lettera b) art.19, la corte l’ha
ritenuto parzialmente incostituzionale nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale

62
aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di
contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa
agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori. (sostituisce il criterio della firma con quello della
partecipazione)

Mentre la firma è un criterio più chiaro la partecipazione è un criterio molto più largo e questo, infatti, ha
portato alla necessità di ripensare al sistema generale della rappresentanza.

Quindi il requisito resta la firma e se non c'è la firma ci può essere la partecipazione.

La modalità con cui la Corte costituzionale ha risolto la questione è molto legata al caso concreto.
L'aggiunta del riferimento al criterio della partecipazione ha a che fare col primo comma dell'articolo 39?
Certamente ha a che fare con la modalità con cui la Corte costituzionale interpreta la possibilità di riservare
alcuni diritti con il primo comma dell’art. 39 ma in particolare il fatto che abbia scelto questa strada era
semplificata dal fatto che, nel caso di specie, la Fiom aveva partecipato e già in precedenza la Corte
costituzionale aveva detto che comunque la firma doveva essere una firma vera, di qualcuno che già aveva
partecipato.

La partecipazione è un criterio che la Corte aveva già utilizzato per rendere concreta ed effettiva la modalità
con cui viene scritto un contratto collettivo.

Oggi il problema è:
Essendoci ormai solo il riferimento alla partecipazione, io sindacato nuovo ho il diritto a partecipare o il
datore di lavoro mi può escludere?
La giurisprudenza fin qui ha detto che non c’è alcun diritto di un sindacato ad essere chiamato a partecipare
alla contrattazione, perché quest’ultima rimane nel diritto privato. (Le parti devono volerlo entrambi)
DIRITTI CONTENUTI NEL TITOLO 3
Pensati per le RSA e anche per le RSU che nell’ambito dell’accordo hanno un collegamento diretto con le
RSA.
 ASSEMBLEA (Art. 20)
“I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori
dell'orario di lavoro, nonché durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà
corrisposta la normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione
collettiva.
Le riunioni - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi - sono indette,
singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell'unità produttiva, con
ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle
convocazioni, comunicate al datore di lavoro.
Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato
che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale. (RSA)
Ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi
di lavoro, anche aziendali.”
La prima questione da osservare è che non vi sono limiti alla possibilità di fare assemblea fuori dall’orario di
lavoro. (sempre garantita)

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Quello che invece ha un limite, perchè si tratta di ora retribuita, sono le assemblee che si svolgono durante
l'orario di lavoro nei limiti di dieci ore annue.
Cosa si intende per dieci ore annue?
Il testo normativo fa riferimento ai lavoratori e quindi una prima interpretazione è stata quella che:
 Se si fa riferimento ai lavoratori significa che ciascun lavoratore ha diritto a dieci ore lavorative
annue.
Ormai da qualche anno la giurisprudenza, a partire da una sentenza della Cassazione del 2009, afferma che
non è così.
In realtà il limite dieci ore annue deve essere visto dal punto di vista del datore di lavoro.
Quindi è il tempo massimo delle ore che possono incidere sul datore di lavoro e il datore di lavoro può essere
chiamato a pagare e a retribuire come ore di assemblea ma non ne può pagare più di 10 all'anno.
Ultimamente si è creato un problema legato al fatto che c’è una forte contrapposizione tra le sigle sindacali:
 Nel momento in cui il datore di lavoro ha ricevuto richieste fino a dieci ore è obbligato a concederle,
il resto è autorizzato a non farlo.
Il datore di lavoro è onerato di un onere di Pati, deve subire, deve venire incontro alle richieste dei sindacati
al fine di fare l’assemblea, deve mettere a disposizione i locali perché essa sia fatta.
È illegittimo prevedere un locale a 30 minuti dalla sede di lavoro.
Deve mettere a disposizione ogni strumento necessario.
Le materie devono essere riferite, tutto quello che i sindacati dicono essere di interesse normalmente viene
ritenuto tale.
Possono partecipare previo preavviso al datore dirigenti esterni ma non il datore, salvo esigenze particolari.
Art. 21 REFERENDUM
“Il datore di lavoro deve consentire nell'ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell'orario di lavoro, di
referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all'attività sindacale, indetti da tutte le
rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori
appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata.
Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di
lavoro anche aziendali.”
Vi sono poi delle norme specifiche:
Art. 22
Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali.
“Il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui al
precedente articolo 19, dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto solo
previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza.
Le disposizioni di cui al comma precedente ed ai commi quarto, quinto, sesto e settimo dell'articolo 18
si applicano sino alla fine del terzo mese successivo a quello in cui è stata eletta la commissione interna
per i candidati nelle elezioni della commissione stessa e sino alla fine dell'anno successivo a quello in
cui è cessato l'incarico per tutti gli altri.”
Unità produttiva non significa reparto, è una sede autonoma.
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Trasferimento da un reparto all’altro non rientra per la giurisprudenza in questo ambito.
Molto spesso sono i contratti collettivi che tutelano il dirigente anche dai trasferimenti collettivi da un
contratto all’altro).
Art. 23
Permessi retribuiti.
I dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 hanno diritto, per
l'espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti.
Salvo clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavoro hanno diritto ai permessi di cui al primo
comma almeno:
a) un dirigente per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano
fino a 200 dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;
b) un dirigente ogni 300 o frazione di 300 dipendenti per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale
nelle unità produttive che occupano fino a 3.000 dipendenti della categoria per cui la stessa è
organizzata;
c) un dirigente ogni 500 o frazione di 500 dipendenti della categoria per cui è organizzata la
rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive di maggiori dimensioni, in aggiunta al
numero minimo di cui alla precedente lettera b).
I permessi retribuiti di cui al presente articolo non potranno essere inferiori a otto ore mensili nelle
aziende di cui alle lettere b) e c) del comma precedente; nelle aziende di cui alla lettera a) i permessi
retribuiti non potranno essere inferiori ad un'ora all'anno per ciascun dipendente.
Il lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al primo comma deve darne comunicazione scritta
al datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
La norma prevede specificatamente quanti siano i permessi a cui hanno diritto.
I permessi retributivi non potranno essere inferiori a 8 ore mensili, in quelle più piccole 1 ora all’anno.
Questi permessi devono essere usati per attività sindacali.
Vi sono decine di sentenze che condannano lavoratori sindacalisti che approfittano di questo diritto per uso
differente (abuso del diritto).
Vi sono poi anche un certo numero di permessi non retribuiti (permettono l’astensione ma non si è pagati).
ARTICOLO N.24
Permessi non retribuiti.
“I dirigenti sindacali aziendali di cui all'articolo 23 hanno diritto a permessi non retribuiti per la
partecipazione a trattative sindacali o a congressi e convegni di natura sindacale, in misura non
inferiore a otto giorni all'anno.
I lavoratori che intendano esercitare il diritto di cui al comma precedente devono darne
comunicazione scritta al datore di lavoro di regola tre giorni prima, tramite le rappresentanze
sindacali aziendali.”

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ARTICOLO N.25
Diritto di affissione.
“Le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di
lavoro ha l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all'interno dell'unità
produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.”
Salvo il limite della norma penale.
Esempio: se un’affermazione possa trasformarsi in diffamazione o ingiuria.
Le bacheche possono essere anche virtuali, il limite è quello della continenza delle affermazioni.
ARTICOLO N.26
Contributi sindacali.
I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro
organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento
dell'attività aziendale.
[Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario nonché
sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori
intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la
segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale].
[Nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi, il lavoratore ha
diritto di chiedere il versamento del contributo sindacale all'associazione da lui indicata].
Sono pensati per tutti.
Sono stati aboliti nel 1995 2 commi (referendum art.19-26)
È stata eliminata una modalità di erogazione del contributo sindacale.
I contributi sindacali sono la modalità con cui i sindacati si finanziano: dai contributi dei propri iscritti.
Normalmente il lavoratore chiede al datore di lavoro di pagare l’iscrizione al sindacato e il datore trattiene
ogni mese sulla paga una parte di quell’erogazione.
Questa cosa prevista nella legge è stata eliminata dal referendum.
Il problema è nato laddove il contratto collettivo non si applica:
 Può eventualmente il datore di lavoro rifiutare una richiesta del lavoratore di pagare lui direttamente
il sindacato e di trattenere una parte di stipendio?
Dopo varie discussioni la giurisprudenza ha ritenuto che si tratti di cessione del credito e non di delegazione
di pagamento.
1. Con la delegazione io delego un debito che ho ad un altro, perché lo paghi
2. La cessione del credito: io chiedo un mio debito perché venga dato ad un altro.
Il contratto di lavoro è un contratto sinallagmatico (a prestazioni corrispettive), io posso applicare entrambe
gli istituti.
Il lavoratore è creditore dello stipendio ed è debitore della prestazione lavorativa e nei confronti del
sindacato.

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La cassazione ci dice che in questo caso bisogna guardare dal punto di vista del credito che il lavoratore ha
nei confronti del datore e quindi può cedere il proprio credito (colui che lo deve cedere non può dire nulla ma
colui che è delegato può rifiutarsi).
Questa modalità se pur eliminata, oggi è presente nei contratti collettivi e se pur non vi siano contratti
collettivi va configurata come cessione del credito e quindi il datore non può rifiutarsi.
ARTICOLO N.27
Locali delle rappresentanze sindacali aziendali.
“Il datore di lavoro nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti pone permanentemente a
disposizione delle rappresentanze sindacali aziendali, per l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo
locale comune all'interno dell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.
Nelle unità produttive con un numero inferiore di dipendenti le rappresentanze sindacali aziendali
hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni”.
CAMPO DI APPLICAZIONE
È legato al fatto che le disposizioni del titolo 3 si applicano a ciascuna sede che occupa più di 15 dipendenti.
(Imprese industriali e commerciali o imprese agricole che ne occupano 5)
Quella contenuta nello statuto dei lavoratori è la modalità con cui la legge stabilisce come devono essere
costituite le rappresentanze collettive a livello di impresa.
Nell’art. 19 è evidente che il modello normativo prevede la possibilità che ciascun sindacato (che abbia i
requisiti) possa costituire una sua RSA, in ogni unità produttiva > di 15 dipendenti ci possa essere più di una
RSA.
Questo crea qualche difficoltà nell’ambito della rappresentanza con il datore di lavoro: da sempre i sindacati
cercano di unirsi e questa esigenza ha portato all’emergere di un parallelo sistema di rappresentanza sui
luoghi di lavoro. (RUS= rappresentanze sindacali unitarie)
È un sistema che è stato introdotto con un accordo nel 1993; oggi quell’accordo è stato ribadito e in parte
modificato nel 2014. (testo unico sulla rappresentanza che è un accordo tra Confindustria e CGIL, CISL,
UILL)
È un accordo stipulato nell’ambito del settore industriale e successivamente esteso anche ad altri settori.
TESTO UNICO SULLA RAPPRESENTANZA DEL 2014
Questo accordo è diviso in 4 parti:
1. Misura e certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria
2. Regolamentazione delle rappresentanze in azienda
3. Titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria ed aziendale
4. Disposizioni relative alle clausole e alle procedure di raffreddamento e alle clausole sulle conseguenze
dell’inadempimento.
PARTE 2
Riguarda le modalità con cui sono costituite e funzionano le rappresentanze sindacali unitarie.
N.B. è un accordo tra le parti, l’accesso alle RSU è volontario.
Nell’accordo, le parti che decino di usare le RSU, si mettono d’accordo per non usare la norma (sostituire
RSU alle RSA)
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Questo vale solo se vi è la volontà di:
 Sottoscrivere l’accordo
 Utilizzarlo nell’impresa
PARTE SECONDA:
REGOLAMENTAZIONE DELLE RAPPRESENTANZE IN AZIENDA
Sezione prima: regole generali sulle forme della rappresentanza in azienda
Le parti contraenti il presente accordo concordano che in ogni singola unità produttiva con più di
quindici dipendenti dovrà essere adottata una sola forma di rappresentanza.
(le parti decidono di costituire assieme una sola forma di rappresentanza aziendale invece di usare la
possibilità data dalla legge per cui ciascuno si costituisce la propria RSA).
QUALI SONO LE REGOLE PER COSTITUIRE UNA RSU?
2. Composizione
Alla costituzione della RSU si procede mediante elezione a suffragio universale ed a scrutinio segreto
tra liste concorrenti.
La modalità di costituzione è diversa rispetto alle RSA, nelle RSA il rappresentante viene nominato dal
sindacato esterno che ha la forza rappresentativa dell’art. 19.
Nelle RSU ci si mette tutti assieme (più organizzazioni sindacali diverse) e per decidere si utilizza il metodo
democratico attraverso le elezioni.
In ogni azienda i vari sindacati propongono delle liste ai vari lavoratori dell’azienda, i lavoratori votano e si
compone l’RSU: composta da un numero di rappresentanti in coerenza con le elezioni avvenute in sede
aziendale.
Non era così nel 1993, l’elezione a suffragio universale aveva come scopo quello di eleggere i 2/3 di coloro
che ne facevano parte.
C’era 1/3 riservato a quelli che avevano firmato l’accordo del 1993.
Nel 1993 era una novità assoluta questo sistema e quindi i grandi sindacati avevano timore che nelle elezioni
ci potessero essere sindacati base che potessero prevalere.
Dal 2014 le RSU sono composte interamente da rappresentanti eletti e non nominati.
Il numero dei componenti le RSU sarà pari almeno a:
a) 3 componenti per la RSU costituita nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti;
b) 3 componenti ogni 300 o frazione di 300 dipendenti nelle unità produttive che occupano fino a 3000
dipendenti;
c) 3 componenti ogni 500 o frazione di 500 dipendenti nelle unità produttive di maggiori dimensioni, in
aggiunta al numero di cui alla precedente lett. b).
Due sono gli aspetti fondamentali contenuti negli articoli 4 e 5 della seconda parte:
4. Diritti, permessi, libertà sindacali, tutele e modalità di esercizio
I componenti delle RSU subentrano ai dirigenti delle RSA nella titolarità di diritti, permessi, libertà
sindacali e tutele già loro spettanti; per effetto delle disposizioni di cui al titolo 3° della legge n.
300/1970.
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5. Clausola di armonizzazione
Le RSU subentrano alle RSA ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni
ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge.
Nell’accordo le RSU subentrano ai diritti previsti dallo statuto per le singole RSA.
Questa modalità ha creato qualche problema interpretativo nella giurisprudenza soprattutto in alcuni casi in
cui non era ben chiaro chi dovesse decidere della RSU.
Con il sistema delle RSA abbiamo diverse rappresentanze sindacali, ciascuna correlata ad un unico
sindacato; con il sistema delle RSU abbiamo un unico ambito di rappresentanza formato al suo interno da più
rappresentanze sindacali.
Ma chi decide di promulgare o fare un’assemblea, RSU a maggioranza o ciascun membro delle RSU?
L’assemblea è il caso che ha visto più pronunce da parte della giurisprudenza: ci si è posti il problema ed
essa ha risposto dicendo che decide ciascuno membro della RSU anche singolarmente:
Può decidere certamente la maggioranza ma anche il singolo membro della RSU.
A questa decisione ci si è arrivati proprio interpretando questi articoli 4 e 5 e correlandoli alle norme dello
statuto.
Per alcune decisioni l’RSU decide a maggioranza (la giurisprudenza oltre agli articoli 4 e 5 si è basata anche
sull’art. 7):
7. Decisioni
“Le decisioni relative a materie di competenza delle RSU sono assunte dalle stesse, a maggioranza, in
base a quanto previsto nella parte terza del presente accordo che recepisce i contenuti dell’accordo
interconfederale 28 giugno 2011.”
La parte terza del presente accordo riguarda la contrattazione collettiva.
Decide a maggioranza sempre, quindi anche sull’assemblea, o soltanto con riferimento alla parte terza del
progetto d’accordo e quindi alla contrattazione collettiva?
La giurisprudenza ci dice che:
A maggioranza decide quando emerge la questione della contrattazione collettiva ma nelle normali
dinamiche di tutela di esercizio dei diritti sindacali la modalità con cui l’RSU è legata alle singole RSA e ai
singoli diritti previsti per le RSA nello statuto dei lavoratori, fanno sì che riemerga quella modalità con cui è
stata creata l’RSU.
L’RSU da un lato è un unico strumento di rappresentanza che si fonda sulle elezioni ma dall’altro è frutto di
un accordo tra organizzazioni sindacali diverse, ciascuna delle quali porta avanti precise modalità e precisi
obiettivi di politica sindacale.
Anche la modalità con cui la stessa RSU è costruita:
ES: l’RSU è costituita in modo i componenti restino in carica tre anni, in caso di dimissione il componente
sarà sostituito dal primo dei nuovi eletti e il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un
componente dell’RSU ne determina la decadenza e la sostituzione con il primo dei nuovi eletti (questa è una
parte introdotta nel 2014).
ES: Queste regole sono diverse rispetto alle altre regole democratiche. Il parlamento è eletto a suffragio
universale ma una volta che i membri del Parlamento sono eletti, ciascuno rappresenta la nazione, se
cambiano casacca, non è che quel membro deve dimettersi: non c’è un vincolo di mandato.

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Nel nostro caso si.
Cosa significa vincolo di mandato?
Anche gli elementi esterni, singoli sindacati, hanno un ruolo all’interno del sistema di rappresentanza
sindacale per cui prevale il vincolo di mandato per il quale uno cambia il sindacato:
ES: era nella Cisl, si iscrive alla UILL, decade e viene ripescato quello della lista Cisl perché deve rimanere
la percentuale tra le liste.
Quindi quali sono le differenze tra RSA e RSU?
Le differenze sono diverse:
1. Fonte regolativa: una la legge, l’altra l’accordo
2. Modalità funzionamento: Le RSA sono nominante dai sindacati esterni attraverso la regola dell’articolo 19
dello statuto, nell’ambito delle RSU i membri sono eletti.
Nel momento in cui è formata una RSU coloro che hanno scritto l’accordo e che ne avevano la possibilità
rinunciano a formare la propria RSA per formare l’RSU.
È possibile che insieme all’RSU ci sia anche una o più RSA?
Si, alla condizione che nel caso in cui quei sindacati che hanno costituito l’RSA non hanno firmato l’accordo
2014 e hanno comunque i requisiti dell’art. 19. (in questo caso ci può essere coesistenza)
IL CONTRATTO COLLETTIVO
Vista la mancata attuazione del comma 2-3-4 dell’art. 39 della costituzione e la mancanza dei requisiti
previsti nel contratto collettivo, la contrattazione si è sempre usata nel nostro ordinamento e si è sviluppata
una particolare tipologia di contratto collettivo:
- Non è quello previsto teoricamente dai costituenti
- Non ha efficacia erga omnes (ha efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria)
Qual è il contratto collettivo che esiste oggi?
È quello definito contratto collettivo di diritto comune.
Dottrina e giurisprudenza hanno affermato da subito che la possibilità per i sindacati di stipulare comunque
contratti collettivi di diritto comune rientra normalmente nello stesso 1 comma dell’art. 39. (principio di
libertà sindacale e accordi tra sindacati sono possibili).
Il contratto collettivo è lo strumento con cui le parti decidono di trovare un accordo tra loro.
Dal punto di vista giuridico il contratto collettivo di diritto comune è quello che ha la stessa forza giuridica
dei normali contratti e rispetta le normali regole del Codice civile (art. 1321e seguenti) con alcune
particolarità.
- Il contratto collettivo è comunque firmato da soggetti collettivi o da entrambe le parti quando sono due
sindacati.
ES: contratti collettivi aziendali: in cui abbiamo un soggetto singolo, persona giuridica (datore di lavoro) che
contratta con uno o più soggetti collettivi (RSU).
La funzione del contratto collettivo è particolare rispetto alle altre tipologie contrattuali.
- c’è sempre una questione economica di base

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- la sua funzione è di tipo normativo: ha come funzione principale quella di dare delle regole particolari che
vadano ad essere recepite nel contratto individuale e vadano a regolare il rapporto di lavoro che si instaurerà
tra i lavoratori e i datori di lavoro.
Nel contratto collettivo, se pure rimane sempre all’interno delle regole civilistiche, c’è anche il problema
della forma:
- il nostro Codice civile non impone dei vincoli in materia di forma, salvo che sia la legge stessa a
prevederlo.
Il principio generale è quello della libertà di forma, ci sono però alcune tipologie vincolate a varie tipologie
di forma.
Il contratto collettivo non fa eccezione a questo principio generale e quindi non c’è un principio generale di
forma scritta.
ES: contratto metalmeccanici firmato nel 2021, in teoria i contratti collettivi nazionali hanno efficacia
triennale.
Nel nostro ordinamento i contratti collettivi devono essere mandati al CNEL che raccoglie i contratti
collettivi.
In Italia ce ne sono circa 900 (contratti collettivi nazionali) e sono esplosi negli ultimi anni, qualche anno fa
erano meno di 1/3.
Il contratto collettivo non ha formalmente vincoli di forma.
Elementi fondamentali del contratto:
- volontà
- causa
- Oggetto
- forma (solo se prevista dalla legge)
Qui la legge non prevede la necessità della forma scritta anche se indirettamente prevede la necessità che il
contratto collettivo sia depositato presso il CNEL, quindi diciamo che per depositarli, quelli nazionali sono
strutturati in forma scritta.
Il contratto collettivo non scritto lo si trova in alcuni casi: sono soprattutto nei casi dei contratti aziendali.
Per esempio, in materia di usi aziendali solitamente si fa riferimento al fatto che sono applicati per fatti
concludenti ma vengono considerati contratti collettivi.
Vi sono tre aspetti fondamentali:
- Il campo di applicazione,
- Efficacia soggettiva
- Efficacia oggettiva
Il campo di applicazione è sostanzialmente il confine entro cui il contratto collettivo può avere effetto (è il
concetto di categoria).
L’efficacia soggettiva: confine dei soggetti a cui il contratto collettivo si applica (campo di applicazione ed
efficacia soggettiva in alcuni casi possono coincidere: se noi ci troviamo davanti a un contratto collettivo di

71
efficacia erga omnes, basta capire qual è la categoria e l’efficacia soggettiva è automaticamente “tutti coloro
che stanno all’interno di quella tipologia”.)
Il problema nasce nel momento in cui noi abbiamo un contratto collettivo di diritto comune che ha forza di
legge solo tra le parti (1321 cc).
Tra le parti si intende, coloro iscritti alle associazioni sindacali stipulanti.
Nell’ambito del contratto collettivo di diritto comune non c’è più coincidenza fra campo di applicazione ed
efficace soggettiva, noi abbiamo un campo di applicazione ma poi all’interno di quel campo di applicazione
possiamo avere diversi contratti collettivi che hanno efficacia nei confronti di soggetti diversi, perché nel
nostro sistema abbiamo un principio di libertà sindacale e quindi ci possono essere tante associazioni
sindacali che stipulano contratti collettivi diversi.
La prima questione che ci si è posti è: che cosa si intende per categoria?
Come si fa a stabilire il recinto entro cui il contratto collettivo può esercitare i propri aspetti? (campo di
applicazione)
In epoca corporativa: vi era un solo sindacato da parte dei datori di lavoro e un solo sindacato da parte dei
lavoratori; c’era una definizione ontologica (precede il contesto attuale) e il riferimento normativo era l’art.
2070 cc:
Art. 2070 cc
“L'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si
determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore [2082, 2195; Cost. 39].”
A lungo ci siamo chiesti se l’articolo 2070cc potesse continuare ad essere applicato anche al contratto
collettivo di diritto comune, le norme sindacali nel Codice civile sono state scritte per il contratto
corporativo.
La risposta è NO.
L’articolo 2070cc non si applica al contratto collettivo di diritto comune: c’è solo un’eccezione in cui questo
2070cc si applica ed è il riferimento all’articolo 36 della costituzione.
Soltanto in quel caso quando non abbiamo alcun contratto collettivo che si applica, il giudice deve capire
quale funzione applicare e allora li sì che c’è la possibilità di utilizzare l’articolo 2070 per andare a scovare il
contratto collettivo su cui fare il paragone.
Qual è il modo in cui oggi viene disegnato il campo di applicazione del contratto collettivo?
Si fa normalmente riferimento alla volontà delle parti, siamo in un sistema civilistico in cui la volontà delle
parti ha un valore preminente.

Contratto collettivo nazionale di lavoro 5 febbraio 2021


Per i lavoratori addetti all’industria metalmeccanica privata e alla installazione di impianti.
All’inizio troviamo chi sono i soggetti firmatari.
Anche nell’ambito del settore metalmeccanico ci sono più contratti; questo non è l’unico ma è il più
importante perché è firmato dalle grandi confederazioni sindacali.

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Chi firma è:
 Federmeccanica (datore di lavoro)
 Assistal (Confederazione mediazione delle singole federazioni nell’ambito dei sindacati dei datori di
lavoro del settore meccanico)
Dal lato invece dei sindacati dei lavoratori abbiamo:
 Film (legata alla Cisl)
 Fiom (assistita dalla CGIL)
 Uilm (assistita dalla UIL)
Campo di applicazione
In questo caso troviamo un campo di applicazione molto vasto e preciso:
- Metalmeccanico
- siderurgico…
Il campo di applicazione non è una categoria ontologicamente predisposta ma è una categoria descritta e
decisa dalle parti.
Nel contratto collettivo di diritto comune è la volontà delle parti che prevale, non si applica articolo 2070cc
ma sono le parti che decidono qual è il campo di applicazione.
La seconda grande questione è legata all’efficacia soggettiva del contratto collettivo.
A chi si applica il nostro contratto collettivo del settore metalmeccanico?
Il contratto collettivo non ha efficacia erga omnes, perché non è mai stato applicato il 2-3-4 comma
dell’articolo 39.
Questa è la regola generale, ci sono delle eccezioni:
- in materia di licenziamento collettivo dove si applica l’accordo. (la Corte costituzionale dice che è giusto
che si applichi a tutti perché non è un collettivo normativo previsto dall’art. 39: in materia di sciopero e nel
settore della P.A).
Da questo concetto generale poi emergono tutta una serie di conseguenze:
1. Può un imprenditore non avere alcun contratto collettivo?
Sì, certamente, non c’è un obbligo ad avere un contratto collettivo e non c’è alcuno obbligo ad iscriversi ad
un sindacato che ha firmato il contratto.
L’imprenditore ben può non avere alcun contratto collettivo che si applica alla sua impresa, salvo la
questione della retribuzione.
L’imprenditore che non applica alcun contratto collettivo ma paghi dignitosamente i propri dipendenti non
ha un eventuale contrasto con l’articolo 36 della costituzione.
In teoria per applicare il contratto collettivo ed avere efficacia soggettiva entrambe le parti (datore di lavoro e
lavoratori) dovrebbero essere iscritti a un sindacato.
La giurisprudenza ci ha detto che assieme ad altri criteri, che in qualche modo cercano di estendere l’ambito
di efficacia soggettiva dei contratti collettivi, è però quello che da un punto di vista concreto basta che lo sia

73
il datore di lavoro, perché il datore di lavoro se è iscritto ad un sindacato applica il contratto collettivo quello
stipulato dalla sua organizzazione e sarà portato ad applicare quel contratto collettivo a tutti i suoi dipendenti.
Perché gli imprenditori che lavorano bene sono comunque predisposti ad applicare i contratti collettivi?
Perché è più semplice, indicano già regole condivise, c’è risparmio anche nei costi di transazione, c’è un
interesse per l’imprenditore di applicare quel contratto collettivo.
L’ordinamento prevede, non può obbligare, delle modalità che invitano ad applicarlo.
ES: È possibile usare gli appalti pubblici soltanto se si applicano a determinati contratti collettivi.
Ci sono delle modalità indirette per spingere gli imprenditori ad applicare il contratto collettivo, per garantire
giuste regole ai lavoratori sia dal punto di vista retributivo che dal punto di vista normativo; ma c’è anche
una finalità legata al buon funzionamento del sistema, alla pace sociale e alla giusta concorrenza.
Giurisprudenza e dottrina ci dicono che basta che sia il datore di lavoro ad essere iscritto ad una associazione
perché questo nella generalità dei casi poi possa essere esteso a tutti i lavoratori di quella di impresa.
Cosa succede nel momento in cui l’imprenditore decide di non applicare alcun contratto collettivi?
Il singolo rapporto di lavoro è regolato da tre fonti regolative:
- il contratto individuale
- il contratto collettivo
- la legge
ES: per i permessi in materia di disabili è la legge che prevede le modalità di utilizzo dei permessi per
l’assistenza.
Il contratto collettivo specifica quelle modalità oppure può prevedere in alcuni casi dei diritti in più.
Quei diritti in più non ci saranno, sarà più complicato riuscire a capire come applicare quei diritti previsti
dalla legge.
Alcune modalità regolative se le scriverà lui (il datore stesso) con il regolamento aziendale e c’è un accordo
che prevede la possibilità di imporre determinate modalità entro i vincoli della legge.
A volte è sconsigliabile non applicare alcun contratto collettivo.
Nel contratto collettivo spesso ci sono regole applicate che specificano alcune norme di legge o prevedono
modalità concordate fra le parti per cui una norma può essere effettivamente applicata in un certo modo
piuttosto che in un altro.
Nel corso del tempo la giurisprudenza ha sempre cercato di estendere l’ambito di applicazione dei contratti
collettivi, fermo restando che l’imprenditore può benissimo non applicare alcun contratto collettivo.
La giurisprudenza ha utilizzato vari criteri interpretativi che estendono l’ambito di applicazione.

Quando fa un uso di questi strumenti?


Nel caso di un imprenditore che non applica alcun contratto collettivo.
Alcuni strumenti applicativi sono semplici:
1. richiami impliciti o espliciti contenuti nel contratto individuale (il rapporto di lavoro è regolato
innanzitutto dal contratto)
Nel contratto individuale spesso c’è una clausola che dice:

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“Per tutto quanto non contenuto in questo accordo si fa riferimento al contratto collettivo del settore
Metalmeccanico.”

Se c’è per esempio una clausola di questo tipo per la giurisprudenza questo è un rinvio esplicito a quel
contratto, non importa che l’imprenditore sia un iscritto, quel contratto collettivo si applica in ogni caso.
Anche se non c’è questo rinvio e per fatti concludenti le parti alla fine arrivano ad applicare le regole di un
determinato contratto collettivo.
Sia se c’è richiamo esplicito, sia in caso di rinvio implicito al contratto collettivo: la giurisprudenza ha
sempre detto che quel contratto collettivo si applica per intero.
2. riferimento alla retribuzione.
Emerge nel caso di un imprenditore che non applica alcun contratto collettivo e paga molto meno di un
contratto collettivo.
La questione legata all’articolo 36 emerge quando le differenze retributive sono consistenti rispetto al
contenuto di un contratto collettivo.

Il giudice utilizza l’articolo 36 della costituzione:


Articolo 36
“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in
ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”
- Se la retribuzione è considerata non proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e non sufficiente questo
comporta la nullità della clausola individuale del contratto.
- Possibilità data dal giudice per l’articolo 2099 cc:
Art. 2099cc
“La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere
corrisposta [nella misura determinata dalle norme corporative], con le modalità e nei termini in uso
nel luogo in cui il lavoro viene eseguito.
In mancanza di [norme corporative o di] accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice
[tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali].
Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai
prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura.
In mancanza di accordo tra le parti ha consentito alla giurisprudenza di arrivare a una nullità parziale e non
ad una nullità di tutto il contratto.
(Se la nullità andasse a incidere su clausole essenziali ci sarebbe la nullità dell’intero contratto).
La giurisprudenza utilizzando il proprio potere interpretativo costituzionalmente orientato ha permesso di
tenere la nullità della sola clausola individuale.
E l’articolo 1099cc consente al giudice di decidere la retribuzione.
Come fa?

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Va a trovare cosa fa l’imprenditore, prende il contratto di quel settore e va a vedere quali sono i minimi
costituzionali contenuti nel contratto collettivo.
Partendo da lì decide concretamente la retribuzione tenuto conto che possa anche decidere di inserire una
retribuzione più alta o più bassa di quella previsto dal contratto collettivo nel minimo costituzionale. (sta
comunque applicando l’art. 36 della costituzione).
Questo è un altro modo per cui la giurisprudenza possa estendere l’ambito dell’efficacia soggettiva del
contratto collettivo soltanto con riferimento alla retribuzione: se ci dovessero essere alcuni istituti previsti
soltanto dalla contrattazione collettiva il lavoratore non ne potrà usufruire.
ES: i primi tre giorni di malattia.
La legge prevede la copertura per la malattia a partire dal quarto giorno.
Normalmente è la contrattazione collettiva che colma quella differenza cioè che prevede una copertura per i
primi tre giorni di malattia. (questo è un caso in cui se non c’è un contratto collettivo quel lavoratore non
avrà diritto alla malattia dei primi tre giorni).
efficacia oggettiva
Qual è il rapporto fra il contratto collettivo e il contratto individuale?
Questo è un rapporto che può essere visto in due modi diversi:
1. in senso statico
2. in senso dinamico
In senso statico si intende in quel momento lì, in quel momento storico ben preciso (il rapporto di lavoro è
regolato dal contratto individuale, dal contratto collettivo e dalla legge).
La legge è una fonte eteronoma, si applica a tutti a prescindere dalla modalità con cui qualcuno può muoversi
in un determinato sistema.
La legge generalmente prevale sia sul contratto collettivo che sul contratto individuale.
Nel diritto del lavoro nella maggior parte dei casi sono norme imperative.
Quello che emerge (già all’inizio del 900 quando si cominciava a parlare di un contratto collettivo e quale
debba essere il rapporto tra contratto collettivo, contratto individuale) sono entrambi atti di autonomia:
- quello collettivo è atto bilaterale, ma fanno riferimento entrambi alla volontà delle parti.
Qual è il rapporto fra loro, cosa prevale?
Nel periodo corporativo questa grande problematica era stata risolta con riferimento al contratto collettivo
corporativo, attraverso l’articolo 2077cc.
L’articolo 2077 è quello che ci definisce l’efficacia oggettiva del contratto collettivo in epoca corporativa.
(rapporto statico tra contratto collettivo e contratto individuale)
ARTICOLO 2077cc
I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto
collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.
Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono
sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più
favorevoli ai prestatori di lavoro.

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Tra contratto collettivo e contratto individuale prevale il contratto collettivo.
Sia perché il contratto individuale si deve uniformare al contratto collettivo, sia perché vi è un limite di
divieto generale di regolamentazioni difformi in senso peggiorativo: mentre è consentito dalla stessa norma
un miglioramento.
Il problema emerge nuovamente invece in un sistema come quello attuale in cui, da un lato il nostro articolo
39 cost. non è mai stato attuato e il contratto collettivo non è un contratto erga omnes ma fa riferimento alle
regole del diritto civile. (problematiche che erano emerse ai primi del 900: sistema liberale, libertà sindacale
e contrattuale, come posso arrivare a questa conclusione?)
Questa modalità è quella a cui bisognerebbe arrivare perché il contratto collettivo abbia un senso.
Se noi non abbiamo questo rapporto fra contratto collettivo e contratto individuale non ha senso stipulare il
contratto collettivo, se i contratti individuali possono cambiare anche in peggio.
La giurisprudenza nei primi anni era molto pragmatica: applicazione dell’art. 2077cc
(era stato costruito in epoca corporativa, era stato pensato per il contratto collettivo corporativo ma secondo
la giurisprudenza poteva comunque continuare ad applicarsi anche con riferimento al rapporto tra contratto
collettivo di diritto comune e contratto individuale di lavoro)
Per la dottrina la questione era più complessa e diceva che: l’articolo 2077cc è stato scritto per il contratto
corporativo, passi il caso in cui ci sia un contratto collettivo ad efficacia erga omnes come quello
cooperativo.
In un sistema invece che fa riferimento alla volontà delle parti, che fa riferimento al Codice civile e ai
principi di libertà sindacale e individuale questo è un po’ forzato.
Si è in parte tolto nel 1973 quando con la modifica del processo del lavoro articolo 109 codice di procedura
civile è stata modificata anche una norma del codice civile in modo tale da risolvere dal punto di vista
interpretativo la questione.
La norma di riferimento è l’articolo 2113 del Codice civile in materia di rinunce e transazioni.
ARTICOLO 2113cc
Le rinunzie [1236] e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da
disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui
all'articolo 409 del Codice di procedura civile, non sono valide.
L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza [2964], entro sei mesi dalla data di
cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo
la cessazione medesima [197 disp. att.].
Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto
scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.
Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli
articoli 185, 410, 411, 412 ter e 412 quater del Codice di procedura civile.
La norma esisteva già nel Codice civile del 1942 ed è una norma di maggior favore per i lavoratori.
Cos’è una rinuncia, cos’è una transazione?
La rinuncia è quell’atto unilaterale con cui una parte rinuncia al diritto che aveva nei confronti di un altro
soggetto.

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La transazione è un contratto (bilaterali) con cui le parti facendosi reciproche concessioni arrivano a trovare
accordo (in quanto c’è stato in precedenza un contratto tipico previsto dal Codice civile).
Le transazioni e le rinunce nella normalità dei casi hanno effetto:
- La rinuncia (atto unilaterale recettizio, nel momento in cui arriva all’altra parte)
- La transazione (atto bilaterale, nel momento in cui la volontà delle parti è coerente con l’atto)
Il legislatore, anche quello del 1942, sa bene che nel rapporto di lavoro la forza contrattuale delle parti non è
per niente bilanciata ma una parte è molto più forte dell’altra: si prevede la possibilità che rinunce e
transazioni possano essere imposte da una parte nei confronti dell’altra.
Imprenditore, so che ti dovrei due anni di arretrati (retribuzione) ma facciamo così: io ti do 6 mesi e siamo
pari. (prevedeva già la possibilità quando la transazione o la rinuncia faceva riferimento a disposizioni
inderogabili della legge, di impugnare quella rinuncia o quella transazione entro sei mesi (termine di
decadenza particolare)
Nel 1973 il legislatore ha aggiunto accordi o contratti collettivi e questa aggiunta ha fatto sì che
nell’interpretazione dominante le disposizioni inderogabili non siano più soltanto quelle della legge ma
anche quelle dei contratti o accordi collettivi.
Questa è la modifica che ha portato alla risoluzione di quella che viene chiamata efficacia oggettiva.
Facendo sì che anche contratti collettivi vengono in qualche modo messi su un piano simile a quello della
legge, nell’ambito delle disposizioni inderogabili, ecco che si ritiene che debba permanere quel rapporto di
inderogabilità del contratto collettivo nei confronti del contratto individuale.
Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale è da vedere anche in senso dinamico ovvero capire
come quel rapporto (tra contratto collettivo e individuale) si modifichi a seconda del passare del tempo.
Cosa accade normalmente a un rapporto di lavoro?
Un rapporto di lavoro viene stipulato a partire da un certo momento e va avanti per lungo tempo, e nel
frattempo i contratti collettivi vengono stipulati nuovamente e rinnovati e si modificano.
Se al momento in cui sono stato assunto il contratto collettivo prevedeva un determinato diritto, una
determinata modalità regolativa e poi nel corso del tempo quella modalità regolativa cambia: cosa accade al
mio rapporto di lavoro?
Si applica la nuova modalità regolativa o no?
Ci sono stati dei periodi in cui tutto sommato questa questione non provocava problemi perché fino agli anni
70, i contratti collettivi man mano che venivano stipulati nuovamente prevedevano nuovi ulteriori diritti.
Era normale che nuovi diritti si applicassero a tutti quanti e nessuno aveva nulla da dire.
A partire dagli anni 80 (crisi inflattiva) ci troviamo davanti ai nuovi contratti collettivi che prevedono
condizioni peggiorative rispetto al passato; quindi, comincia a emergere qualcuno che dice:
No, quando io sono stato assunto il contratto collettivo prevedeva una certa cosa e quindi devo continuare ad
applicare quanto detto.
Dal punto di vista giuridico:
In un primo momento l’idea era quella che il contratto collettivo si integrasse direttamente nel contratto
individuale. (se quindi un contratto collettivo viene integrato nel contratto individuale, per cambiare le regole
c’è bisogno dell’accordo e anche del singolo lavoratore)
Accade però che la giurisprudenza comincia ad avere un approccio interpretativo diverso.
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Il contratto collettivo si ritiene che agisca sul contratto individuale come se fosse una fonte eteronoma.
(legge)
Cosa accade se una legge cambia?
Si applica a tutti, anche le modifica in peggio, salvo il diritto quesito (già entrato nell’ambito della sfera
giuridica del singolo)
Es: pensioni, se un contratto collettivo prevede alcuni requisiti (necessario lavorare per 20 anni per
accedervi) e il contratto collettivo cambia in peggio (aumento anni) ha un diritto quesito colui che i 20 anni li
ha già raggiunti con la vigenza del precedente contratto collettivo.
Se ad esempio ha 18 anni a lui si applicheranno i 25 anni previsti dalla normativa del nuovo contratto.
Emerge anche nel rapporto in senso dinamico la necessità di arrivare ad un approccio interpretativo di questo
tipo.
CONTRATTO COLLETTIVO DEL 2008
Il contratto collettivo ha varie sezioni, divise in ulteriori parti.
Normalmente quando si parla di contratto collettivo si distingue tra due grandi parti:
1. parte obbligatoria
Obbliga le associazioni che hanno sottoscritto il contratto, nella parte obbligatoria solitamente ci sono le
regole sindacali, le regole con cui le parti vicendevolmente decidono di comportarsi l’uno nei confronti
dell’altro.
ES: sezione 3 (sistema di regole contrattuali)
Vi sono poi altre parti che rientrano in essa: sistema di relazioni sindacali.
Obbliga in ogni caso direttamente le parti che hanno sottoscritto il contratto.
2. parte normativa
È la parte del contratto collettivo che ha la funzione normativa di prevedere le regole che non sono
direttamente vincolanti per le parti collettive che hanno sottoscritto il contratto ma sono delle regole che
verranno usate per regolare in futuro i rapporti individuali di coloro che lavorano in aziende che applicano
quel contratto collettivo. (parte più rilevante del contratto collettivo)
Per la Corte costituzionale i contratti collettivi normativi sono quelli previsti dall’art. 39, altre tipologie di
accordi normativi se non hanno la funzione normativa, in alcuni casi esulano dallo stesso articolo.
La parte tipicamente normativa si trova nella sezione 4 (disciplina dei rapporti individuali di lavoro)
Es: sezione due ha delle norme oltre che di valenza obbligatoria anche di valenza normativa.
Nel contratto collettivo vi sono altri due aspetti rilevanti:
1. Interpretazione
2. Efficacia nel tempo
In entrambe i casi le questioni che sono state poste agli interpreti fanno riferimento alla nostra duplice
valenza del contratto collettivo (corpo del contratto e anima della legge).
Si parte sempre dalle nozioni civilistiche (Codice civile) ma c’è sempre l’aspetto della funzione normativa e
della necessità in qualche modo di assestare le regole che partono dal diritto civile per essere poi adattate alla
tipicità del contratto collettivo.
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Quali regole si applicano per interpretare un contratto collettivo?
Le questioni discusse sono:
- usare le stesse norme che vengono usate per interpretare la legge (preleggi ad esempio ART.12)
Per interpretare un contratto si parte dalle norme del Codice civile (riguardanti l’interpretazione del
contratto) e si comincia dalla volontà delle parti. (approccio diverso)
È prevalsa l’idea degli interpreti che in merito al contratto collettivo di diritto comune si debba sempre
partire dal Codice civile. (primo step)
Dell’interpretazione del contratto (art. 1362 e seguenti)
Nei contratti la prima norma (1362) è quella da cui si parte, l’intenzione dei contraenti.
ARTICOLO 1362 CC
Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non
limitarsi al senso letterale delle parole.
Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo
anche posteriore alla conclusione del contratto [1326] (2).
Esistono in ogni caso varie regole e si è soliti dividerle tra:
1. modalità di interpretazione soggettiva
2. modalità di interpretazione oggettiva (1363cc)
ART 1363cc
Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso
che risulta dal complesso dell'atto.
Non fa riferimento all’intenzione delle parti ma all’interpretazione complessiva delle clausole.
Nel normale contratto questa è una regola successiva (dove non è evidente in modo netto la volontà delle
parti).
Nell’ambito del contratto collettivo dagli anni ’60 la giurisprudenza comincia ad affermare che in materia la
norma principale è l’approccio oggettivo.
Negli ultimi anni è emerso un passo ulteriore: non solo vengono usate le norme di tipo oggettivo (1367cc),
ma la necessità di interpretare il contratto collettivo in coerenza con quello che prevede l’ordinamento
lavoristico.
Si parte sempre dalle norme codicistiche ma laddove vi sia un dubbio interpretativo prevale l’approccio che
rende coerente la norma con il sistema del diritto del lavoro (particolarità del contratto collettivo).
Un’altra questione che è emersa dal punto di vista pratico:
ES: in procedura civile tradizionalmente si arriva in cassazione attraverso un ricorso con motivi specifici.
Per anni il problema è stato: Come fa la Cassazione a dare un’interpretazione coerente di un contratto
collettivo? (per i singoli contratti non interviene, lo fanno i giudici di 1 grado, lei valuta la coerenza).
Il problema si è posto anche in ambito di contrattazione collettiva:
- contratto con funzione normativa.

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Quello che è stato pensato è stato di valutare la violazione o la falsa applicazione degli art. 1362 in materia di
interpretazione della legge.
Vi era in oltre un problema di allegazione del contratto: il giudice conosce la legge (scontato) ma qui si tratta
di contratto e non sempre il giudice lo conosce; quindi, vi è la necessità di allegarlo.
Ad un certo punto il legislatore ha deciso di intervenire anche sulle norme processuali che prevedono come si
ricorre in cassazione prevedendo come motivazione aggiuntiva anche la violazione del contratto collettivo.
(per assicurare la funzione normativa)
Il contratto collettivo di diritto comune continua ad essere considerato un normale contratto di diritto privato
ma sono emerse le sue particolarità.
2. efficacia del contratto collettivo nel tempo e possibilità di recesso.
La prima questione riguarda il terzo capitolo del Codice civile riguardante il contratto collettivo corporativo.
(2070, 2077, 2074cc).
Art. 2074 cc
Articolo implicitamente abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, [Il
contratto collettivo, anche quando è stato denunziato [2073, 2075], continua a produrre i suoi effetti
dopo la scadenza, fino a che sia intervenuto un nuovo regolamento collettivo.]
Cosa significa denunzia?
Possibilità ancora esistente per cui i contratti collettivi abbiano delle clausole di rinnovo automatico, salvo il
caso in cui una delle parti denunzi (per lei il rinnovo non ci sarà), c’è un termine entro il quale si possa fare.
In ogni caso il contratto collettivo corporativo anche nel momento in cui veniva a scadere, continuava a
produrre i propri effetti. (fino al nuovo)
Anche sull’art. 2074 si è posta la questione: è possibile applicarlo anche al contratto collettivo di diritto
comune?
Prevale l’approccio della giurisprudenza che dice che non è possibile, questa norma non si applica ad esse.
Il contratto collettivo di diritto comune viene a scadere nel momento in cui termina il periodo di efficacia (3
anni).
Le parti stesse possono inserire nel contratto collettivo una norma simile a questa:
- Es: il contratto collettivo del settore metalmeccanico ne ha una: si prevede che esso, anche dopo la
scadenza continui a produrre i suoi effetti (sino a nuovo contratto).
Il contratto collettivo può avere o meno anche la clausola di rinnovo automatico, se non ne ha il contratto
cessa la sua efficacia al termine dei tre anni.
Cosa accade nel periodo in cui il contratto collettivo non è più efficace?
La giurisprudenza in alcuni casi ha affermato che ci potrebbero essere dei problemi di copertura retributiva e
dei diritti per i lavoratori:
in realtà non è rilevante, visto che nel nostro ordinamento il lavoratore può benissimo non avere alcun
contratto collettivo e visto che al limite c’è la possibilità di attuare il procedimento per l’art.36 della
costituzione.
ES: manca la copertura e le retribuzioni scendono? È utilizzabile l’art. 36 cost
È possibile recedere da un contratto collettivo? (recesso unilaterale)

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- dimissioni (da parte del lavoratore)
- licenziamento (da parte del datore)
La giurisprudenza ci dice che è possibile farlo per quanto riguarda quelli a tempo indeterminato, non è
possibile mantenere obblighi che non abbiano una fine.
Lo si può fare dando un preavviso all’altra parte.
Per quello nazionale (a tempo determinato) la questione è stata discusa nel momento della rottura tra le
grandi confederazioni.
Tradizionalmente si è sempre detto che non è possibile recedere ante tempo da un contratto collettivo a
tempo determinato.
Normalmente si era detto (fino al 2009) che non fosse possibile.
Ad un certo punto soprattutto nel settore metalmeccanico, alcune parti sono uscite dal contratto collettivo in
vigore e ne hanno firmato un altro: qualcuno ha affermato che poteva essere in qualche modo possibile
recedere.
La Cassazione ha chiarito che NON è possibile recedere da un contratto collettivo a tempo determinato.
La questione della contrattazione collettiva si è posta anche per la volontà di sistematizzare le regole in
materia.
Non è mai stata emanata una legge e le regole che hanno cercato di regolamentare il rapporto tra contratti
collettivi e modalità di emersione degli effetti sono state poste dalle parti sindacali in autonomia.
La prassi sindacale ha visto emergere (anni ’60) sempre con un accordo, tra le grandi organizzazioni
sindacali, un nuovo sistema contrattuale.
Si parla di contrattazione articolata perché già dal ’62 viene pensato un sistema su livelli:
- nazionale
- aziendale
- sovra aziendale (territoriale)
Distretti aziendali (piccoli settori che fanno la stessa cosa)
Dal 1962 si crea un sistema concordato di regole: sistema di contrattazione articolata (che si pone come
riferimento)
Passano gli anni ed emergono le crisi (‘70/’80 su prezzi e inflazione) ed è necessario che le organizzazioni
sindacali si facciano parte attiva, inserendo nel sistema delle regole che limitino l’aumento delle retribuzioni
(eliminare effetto scala mobile).
Le retribuzioni a seconda dei settori aumentavano in percentuale diversa:
- con un primo accordo nel 1975 si decide un punto unico di aumento (percentuale uguale per tutti della scala
mobile)
- nell’ ‘83/84 con l’accordo di San Valentino (CGIL rompe per questo): diversa modalità per calcolare gli
aumenti retributivi, che dopo qualche anno viene inserito nel protocollo del 1993.
L’accordo (con il presidente del consiglio Ciampi) supera lo strumento della scala mobile per l’aumento
delle retribuzioni e sistematizza il sistema contrattuale.

82
Viene superata la scala mobile con un sistema che prevedeva la necessità che il governo annualmente dicesse
quale era l’inflazione per l’anno dopo e le parti avevano l’onere di trattare gli aumenti retributivi partendo da
quel dato. (eventuali scostamenti dovevano essere risolti attraverso un accordo successivo).
Nell’ambito della contrattazione si prevedevano due ambiti:
- Nazionale
- Locale
- aziendale
L’idea dell’accordo del 1993 era un sistema che prevedeva un rinnovo ogni 4 anni per la parte normativa e 2
anni per la parte economica.
Questo sistema non ha funzionato, nel nostro sistema le retribuzioni hanno perso parecchio del loro valore
reale anche rispetto ad altri paesi. (unico con calo drastico)
La necessità di superare il sistema di misura degli aumenti retributivi e di verificare la tenuta del rapporto tra
contratti collettivi ha posto alle parti sindacali la necessità di nuovi accordi.
Negli anni 2000 le parti sindacali hanno cominciato a litigare, nel 2009 (governo Berlusconi) viene proposto
un accordo quadro sugli assetti contrattuali che superasse quello del ’93. (non c’è la firma della CGIL)
COSA PREVEDE?
L’assetto della contrattazione collettiva è confermato su due livelli:
1. contratto collettivo nazionale di categoria
2. secondo livello
Si prevede una durata triennale, sia per la parte economica che normativa (superate differenze del precedente
accordo).
Ha la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi.
Come si procede per l’aumento delle retribuzioni?
Si è deciso di utilizzare un indice IPCA (di carattere oggettivo) e che prevede quanto aumenteranno i prezzi.
La decisione prevede si l’indice ma decurtato della dinamica dei prezzi energetici importati.
L’Italia ha sempre dovuto importare i beni energetici e l’aumento dell’inflazione è derivato dall’aumento di
questi beni.
Non si è trovato però un nuovo sistema condiviso da tutti che sostituisca questo IPCA.
Dopo il 2013 le parti sindacali hanno ricominciato a parlarsi e hanno ricominciato a sottoscrivere contratti
collettivi assieme:
- quello del 2021 è firmato da FIM, UILM e FIOM (nel 2009 e 2012 no)
Con i nuovi rinnovi le parti se ne sono fregate dell’IPCA e hanno stipulato accordi differenti (ma il tasso era
basso non c’erano problemi di aumento).
Oggi il tasso è alto e i datori di lavoro vogliono come riferimento l’IPCA.
A partire da quel periodo di crisi emergono altre necessità:
- dal 2011 crisi del governo Berlusconi e una delle questioni fatte presente al governo in estate (problema e
pericolo default italiano).
83
Draghi manda una lettera al governo italiano dicendo: dare maggior rilevanza alla contrattazione aziendale,
far sì che gli aumenti retributivi per garantire la solidità del sistema, attraverso la contrattazione aziendale.
Viene usata dal governo attraverso l’articolo 8 del d.lgs 148/2011 e dall’altro spinge le parti sociali a trovare
nuovi accordi su 2 aspetti:
1. misura della rappresentanza (fino a quel punto non era chiaro chi rappresentasse chi)
2. necessità che i contratti collettivi siano fatti rispettare anche da coloro che non ne condividono a pieno il
contenuto (efficacia erga omnes ha una sua valenza).
Non si arriva però ad attuare l’art. 39 cost. (ancora oggi si parla di possibilità di attuazione) attraverso 3
accordi (2011, 2013, 2014) viene formato il “TESTO UNICO SULLA RAPPRESENTANZA” (2014).
Con questi accordi, stipulati:
- giugno 2011, 2013, 2014
Quella che emerge come necessità è:

 Misura e certificazione della rappresentanza


 Modalità dell’efficacia della contrattazione collettiva aziendale e di categoria
1. Le parti sociali decidono di prevedere una serie di procedure per dare una configurazione oggettiva alla
forza rappresentativa dei sindacati (si prende come esempio il pubblico impiego (oggi decreto legislativo
165/2001)

COSA SI UTILIZZA COME METODO PER LA MISURA DELLA FORZA RAPPRESENTATIVA?


- fino a quel momento erano i sindacati stessi a rivelarlo, si prova però a misurarlo oggettivamente: si guarda
il dato oggettivo che ci rimanda a quel numero (deleghe relative ai contributi versati dai lavoratori (vedi art.
26 statuto lavoratori = possibilità per il singolo lavoratore di detrarre ogni mese una percentuale)
I datori di lavoro hanno il numero di coloro che hanno chiesto questa modalità e quindi è un dato oggettivo.
Da un lato è la misura delle deleghe relative ai contributi sindacali dall’altro i dati elettorali ottenuti in
occasione delle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie.
Le RSU possono essere utilizzate anche per misurare la forza rappresentativa di un sindacato: ogni tot fanno
le elezioni, si presentano i singoli sindacati e ottengono un certo numero di voti (se io misuro quanti voti
ottiene la Cgil o la Cisl e la Uil nelle varie imprese quando si fanno le lezioni ho un altro dato).
Perché si decide di utilizzare entrambi questi sistemi?
Perché non tutti devono al datore di lavoro pagare i propri contributi sindacati, uno può decidere per
qualunque motivo di pagarli lui, tra l’altro non in tutte le imprese ci sono le RSU (non emergono in maniera
così chiara i dati legati alle elezioni)
Quindi decide di utilizzare entrambi questi dati e fare la media.
ES: Se il sindacato FIOM (settore metalmeccanico) avrà il 20% di dati associativi e 30% in quello delle
elezioni RSU allora avrà una forza rappresentativa del 25 percento. (20+30/2)
A che cosa serve?
È lo stesso strumento che la legge aveva prodotto da quello che Massimo D’Antona (uno dei grandi lavoristi
degli anni ’90) aveva inserito nella legge sul pubblico impiego.

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Inizialmente veniva dato il compito da un lato all’INPS e dall’altro al CNEL di calcolare la forza
rappresentativa dei sindacati: questo nel corso del tempo è stato modificato nel senso che il CNEL ad un
certo punto (referendum costituzionale) cambia un po’ le proprie competenze e alla fine si decide che sia
solo l’INPS a dover fare questi lavori di misurazione della forza rappresentativa di un sindacato.
Quello che poi viene a finalità di utilizzo di questi dati sono per due motivi particolari:
1. Possibilità di sedersi al tavolo della contrattazione
Chi può sedersi al tavolo della contrattazione?
Coloro che superano la soglia del 5%.
2. se poi il contratto collettivo viene firmato dalla maggioranza del 50%+1 diventa non modificabile dalle
parti che invece hanno votato contro. Le parti sindacali si obbligano (parlando di un accordo autonomo fra
parti sindacali che hanno sottoscritto gli accordi del 2011 del 2013 e del 2014).
La grande novità però è proprio quella che riguarda la possibilità per il contratto collettivo di avere una
efficacia generalizzata: sostanzialmente si prevede cioè che le parti firmatarie si auto obbligano ad osservare
il contenuto del contratto collettivo anche qualora loro non lo abbiano approvato, ma lo abbia fatto la
maggioranza del 50 percento+1 nel sistema previsto dall’accordo del 2014.
Parte terza che riguarda (la titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e
aziendale).
“Il contratto collettivo nazionale di lavoro ha la funzione di garantire la certezza di trattamenti
economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio
nazionale.”
Per far questo l’accordo riprende il contenuto e la funzione di quello che è il contratto collettivo nazionale e
poi però aggiunge queste novità importanti:
“Sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le Federazioni delle organizzazioni Sindacali
firmatarie del presente accordo e dell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo del
31 maggio 2013, che abbiano, nell’ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro,
una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tale fine la media fra il dato associativo
(percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale voti ottenuti su voti espressi)
come risultante dalla ponderazione effettuata dal Cnel.
Nel rispetto della libertà e autonomia di ogni Organizzazione Sindacale, le Federazioni di categoria -
per ogni singolo CCNL - decideranno le modalità di definizione della piattaforma e della delegazione
trattante e le relative attribuzioni con proprio regolamento.”
Per ogni Federazione di categoria (metalmeccanico, il settore del commercio, settore del trasporti, del tessile
eccetera) e per ogni singolo contratto nazionale le singole federazioni decideranno le modalità di definizione
della piattaforma.
Cos’è la piattaforma?
È un termine utilizzato dai sindacati per dire che sono le richieste che i sindacati fanno alle organizzazioni
imprenditoriali. (cioè il punto di partenza per una trattativa)
“In ambito si cercherà di favorire la presentazione di piattaforme unitarie; quindi, le singole
organizzazioni sindacali debbono cercare richieste unitarie tra i singoli sindacati.
Ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 19 e ss della legge 20
maggio 1970, n. 300, si intendono partecipanti alla negoziazione le organizzazioni che abbiano

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raggiunto il 5% di rappresentanza, secondo i criteri concordati nel presente accordo, e che abbiano
partecipato alla
negoziazione in quanto hanno contribuito alla definizione della piattaforma e hanno fatto parte della
delegazione trattante l’ultimo rinnovo del C.C.N.L definito secondo le regole del presente accordo.
12.40 MIN.”
Quello che si tenta di fare è provare a dare la propria interpretazione sul significato di partecipazione alla
trattativa.
La Corte costituzionale ha considerato parzialmente incostituzionale l’articolo 19 nella parte in cui anche
colui che non firma ma ha partecipato non è ritenuto coerente con l’articolo 19.
Può formare RSA anche chi ha soltanto partecipato alla trattativa.
Partecipare = raggiungere il 5% e contribuire alla definizione della piattaforma, far parte della delegazione
trattante.
Possono questi criteri essere effettivamente utilizzati dai giudici per capire chi è partecipante e chi no?
No, non tutti e tre.
Il primo sì poiché è certamente un dato oggettivo (5% media tra dato associativo e dato elettorale)
I contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti formalmente dalle Organizzazioni Sindacali che
rappresentino almeno il 50% +1 della rappresentanza, come sopra determinata, previa consultazione
certificata delle lavoratrici e dei lavoratori, a maggioranza semplice - le cui modalità saranno stabilite
dalle categorie per ogni singolo contratto – saranno efficaci ed esigibili.
La sottoscrizione formale dell’accordo, come sopra descritta, costituirà l’atto vincolante per entrambe
le Parti.
Questa è la parte in cui le parti che hanno sottoscritto questo accordo si impegnano ad osservare il risultato
della contrattazione collettiva votato dalla maggioranza.
Questo vale anche per il contratto collettivo aziendale.
La contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate e con le modalità previste dal
contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge.
Il contratto collettivo aziendale nel sistema di contrattazione articolata è in qualche modo sempre stato
inserito in un sistema in cui il contratto collettivo nazionale si occupa di una cosa e il contratto collettivo
aziendale si occupa di un’altra.
La giurisprudenza ci ha detto in realtà che sempre di contratti collettivi si tratta.
I sistemi che si basano su accordi non riescono ad imporre un sistema vincolante, sono contratti collettivi
entrambe quindi non può il contratto collettivo aziendale essere sottoposto al contratto collettivo nazionale.
Nel rapporto tra contratto nazionale e contratto aziendale non può trovare spazio l’articolo 2067, quello vale
solo per il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale.
COME SI FA, NEL CASO DI UNA CONTRADDIZIONE, A CAPIRE QUALE ANDARE A
GUARDARE?
Prevale l’aspetto più vicino alla questione da risolvere, normalmente il contratto aziendale si occupa di
questioni più legate alle singole vicende aziendali.
Sull’efficacia soggettiva del contratto collettivo aziendale: pur essendo un contratto collettivo ha però (in
virtù della particolarità del contesto in cui viene stipulato: la singola impresa in cui c’è un solo datore di
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lavoro e diversi lavoratori difesi dal sindacato) efficacia tendenzialmente generalizzata salvo la possibilità di
contestazione da parte di colui che è iscritto al sindacato che ha contestato quel contratto collettivo aziendale.
Il contratto collettivo aziendale ha una sua particolarità: il luogo, l’ambito di regolazione (la singola azienda,
il numero ridotto di lavoratori, un unico datore e un numero ristretto di lavoratori) e ha quindi un’efficacia
soggettiva tendenzialmente vincolante cioè si applica a tutti i lavoratori di quell’impresa salvo però la
possibilità di contestare il contenuto del contratto da parte di colui che è iscritto a un’associazione sindacale
che ha concretamente contestato quel contratto e non lo ha firmato.
Non c’è una vera e propria efficacia erga omnes perché la legge non prevede determinate modalità di
intervento nel contratto collettivo aziendale ma in concreto nell’ambito della singola azienda è vincolante nei
confronti di tutti salvo coloro che lo hanno esplicitamente contestato (però devono essere iscritti ai sindacati
che non lo hanno firmato e lo hanno contestato fin dall’inizio).
Nell’accordo del 2014 però si tenta di fare un passaggio ulteriore nell’ambito della vincolatività generale.
I contratti collettivi aziendali per le parti economiche e normative sono efficaci ed esigibili per tutto il
personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali, espressione delle Confederazioni sindacali
firmatarie dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, del Protocollo d’intesa del 31 maggio
2013 e del presente Accordo, o che comunque tali accordi abbiano formalmente accettato, operanti
all’interno dell’azienda, se approvati dalla maggioranza dei componenti delle rappresentanze sindacali
unitarie elette secondo le regole interconfederali convenute con il presente Accordo.
Se il contratto collettivo aziendale è approvato dalla maggioranza dei componenti della RSU (in questo caso
vale la regola della maggioranza) questo si applica nei confronti di tutti lavoratori di quell’azienda.
Se non c’è RSU ma ci sono RSA ecco che è prevista anche qui la possibilità di arrivare a un contratto
collettivo aziendale vincolante per tutti.
COME?
In caso di presenza delle rappresentanze sindacali aziendali costituite ex art. 19 della legge n. 300/70, i
suddetti contratti collettivi aziendali esplicano pari efficacia se approvati dalle rappresentanze
sindacali aziendali costituite nell’ambito delle associazioni sindacali che, singolarmente o insieme ad
altre, risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite
dai lavoratori dell’azienda nell’anno precedente a quello in cui avviene la stipulazione, rilevati e
comunicati ai sensi della presente intesa.
Si fa riferimento al numero di deleghe legate ai contributi sindacali perché qui non c’è la RSU, sono in carica
comunque, tre anni e c’è la possibilità di far votare i lavoratori.

I contratti collettivi aziendali approvati dalle rappresentanze sindacali aziendali con le modalità sopra
indicate devono essere sottoposti al voto dei lavoratori promosso dalle rappresentanze sindacali
aziendali a seguito di una richiesta avanzata, entro 10 giorni dalla conclusione del contratto, da
almeno una organizzazione sindacale espressione di una delle Confederazioni sindacali firmatarie del
presente accordo o almeno dal 30% dei lavoratori dell’impresa. Per la validità della consultazione è
necessaria la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto. L’intesa è respinta con il voto
espresso dalla maggioranza semplice dei votanti.
Quello che prevede la parte terza è innanzitutto la misura della forza rappresentativa dei sindacati (deleghe
da un lato e voti espressi dall’altro) al fine di sedersi al tavolo della trattativa ma soprattutto di prevedere una
vincolatività generalizzata del contratto collettivo approvato dalla maggioranza.
(Questo vale sia per il contratto collettivo nazionale sia per il contratto collettivo aziendale)
Se aziendale ovviamente sono previste le due situazioni che si possono configurare:

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1. Se c’è la RSU allora in questo caso basta la decisione a maggioranza da parte dell’RSU
2. Se ci sono singole RSA intervengono le modalità che abbiamo visto: si può arrivare in ogni caso a
prevedere un contratto collettivo che ha efficacia generalizzata in quel contesto aziendale.
In quest’ultimo caso è prevista la possibilità di indire un referendum.
Sono previste poi nella parte quarta alcune disposizioni che sostanzialmente prevedono delle sanzioni per
eventuale non rispetto di quanto contenuto nel resto dell’accordo (rimane SOLO un accordo).
Rimane solo un accordo che non ha ancora materialmente avuto attuazione, stiamo ancora parlando di regole
sulla carta, nonostante il testo unico sia del 2014 per varie problematiche non abbiamo ancora avuto una
concreta modalità di vedere se questo sistema funzioni.
Decreto-legge del 2011 è ancora in vigore e non è mai stato abrogato.
L’ultimo accordo interconfederale della serie è stato siglato dalle grandi confederazioni (Confindustria da un
lato Cgil Cisl e Uil dall’altro), il settore industriale è sempre quello più vivo, più concreto in cui le relazioni
industriali arrivano ad accordi molto più facilmente rispetto ad altri settori.
In questo accordo del 2018 ci sono due questioni in parte innovative:
È un accordo molto ampio sullo sviluppo economico (subito dopo c’è stata la pandemia e quindi ha posto
qualche problema anche alle idee che c’erano in quel momento) e ancora non abbiamo un nuovo accordo tra
le parti confederali post pandemia.
La contrattazione collettiva continua ad articolarsi due livelli:

 Nazionale
 Aziendale
Quello nazionale deve assolvere alla sua principale funzione di regolazione dei rapporti di lavoro e di
trattamenti economici e normativi comuni a tutti i lavoratori del settore.
1. È stato inserito un nuovo punto:
- il contratto che e indica ai contratti collettivi nazionali di categoria come trattare la parte retributiva.
(I riferimenti alla retribuzione minima che l’articolo 36 prevede di proporzionalità e sufficienza attuato
tramite contrattazione collettiva partono da quello che la giurisprudenza ha sempre chiamato “minimo
costituzionale”).
Le parti sociali hanno voluto intervenire su quell’ambito e quindi dire ai contratti collettivi “ditelo voi qual è
il trattamento minimo (TEM) che equivale al minimo costituzionale”.
I nuovi contratti collettivi contengono:
- il trattamento economico minimo (TEM)
- il trattamento economico complessivo (TEC)
2. L’idea è che anche i sindacati dei datori di lavoro dovrebbero misurare la propria forza
rappresentativa perché quello di cui ci si è resi conto è che negli ultimi anni molto spesso il problema
più che dai sindacati dei lavoratori è emerso dai sindacati dei datori di lavoro.
Queste sono le due questioni innovative introdotte nell’accordo del 2018.
STRUMENTI DI LOTTA: LO SCIOPERO
Art. 40 costituzione

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Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano.
Nelle convenzioni OIL fondamentali (del 48 e del 49) in cui fa riferimento alla rappresentanza sindacale da
un lato e alla contrattazione collettiva dall’altro; non c’è un riferimento esplicito allo sciopero e la questione
era stata anche discussa.
Tradizionalmente la dottrina aveva affermato che comunque, implicitamente, lo sciopero doveva essere
correlato alla libertà sindacale, nel 2012 i datori di lavoro dicono che se le convenzioni non dicono nulla in
materia di sciopero, vuol dire che lo sciopero non è regolato.
Questa affermazione apre un grossissimo scontro con i rappresentanti dei lavoratori e alla fine la questione
viene risolta nel 2015 quando una dichiarazione trilaterale (da parte dei governi da un lato e delle parti
sociali dall’altro) riprende l’approccio interpretativo che era già a maggioranza in precedenza: cioè anche
nell’ambito dell’OIL lo sciopero è considerato un principio fondamentale strettamente correlato al principio
di libertà di associazione sindacale.
Un po’ più chiaro è l’approccio interpretativo che deriva dall’interpretazione dell’articolo 11 della CEDU.
L’articolo 11 della CEDU
Art. 11 Libertà di riunione e di associazione.
1. Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà d’associazione, ivi compreso il
diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire a essi per la difesa dei propri interessi.
2. L’esercizio di questi diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite
dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale,
alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o
della morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Il presente articolo non osta a che
restrizioni legittime siano imposte all’esercizio di tali diritti da parte dei membri delle forze armate,
della polizia o dell’amministrazione dello Stato.
Contiene il principio di libertà l’associazione, non fa riferimento esplicito allo sciopero ma qui la Corte
europea dei diritti dell’uomo (a partire da una serie di sentenze importanti dal 2008 in poi contro la Turchia
contro la Russia e contro l’Ucraina: in particolare venivano basta proposti all’attenzione della Corte dei
divieti di sciopero nel pubblico impiego) ha affermato che lo sciopero è un diritto strettamente correlato
all’articolo 11 della CEDU, strettamente correlato al principio di libertà di associazione sindacale.
Nonostante i padri costituenti abbiamo deciso di inserire lo sciopero in un articolo autonomo (art.40) la Corte
costituzionale ha nel corso del tempo chiarito come siano molto stretti i rapporti tra:

 l’articolo 39: libertà di associazione e contrattazione collettiva


 Sciopero
La modalità con cui gli Stati europei guardano allo sciopero non è la stessa.
In Francia: riconoscimento esplicito dello sciopero nel preambolo della costituzione con una formula molto
simile a quella italiana.
(la costituzione italiana aveva deciso come compromesso tra due posizioni differenti di utilizzare proprio
l’espressione che già era contenuta nella costituzione francese).
In Germania, per esempio, non esiste una norma esplicita sullo sciopero ma la giurisprudenza costituzionale
tedesca ha ritenuto che lo sciopero abbia copertura costituzionale e sia legato all’articolo 9 della costituzione
tedesca che garantisce la libertà di associazione.

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Nel Regno unito vi è un sistema diverso: in Gran Bretagna lo sciopero non è considerato un diritto ma una
libertà. C’è libertà di sciopero ma cambia la prospettiva sul piano civilistico (se una è libertà qualche
conseguenza ci può essere)
Lo sciopero è certamente un diritto individuale ad esercizio collettivo invece la serrata (modalità con cui è
l’imprenditore a decidere di chiudere l’azienda) nel nostro ordinamento non è considerata un diritto ma una
libertà.
Non c’è la possibilità punire penalmente la serrata ma la configurazione civilistica è diversa: se un
imprenditore esercita la propria libertà di chiudere l’azienda, deve comunque pagare i lavoratori.
La configurazione di libertà non incide sul rapporto civilistico sinallagmatico.
Nel corso del tempo lo sciopero è stato configurato dal punto di vista giuridico in modo diverso:

 inizialmente era un reato (legge le Chapelier)


 diventa una libertà, con il codice Zanardelli non è più un reato, salvo lo sciopero commesso con
violenza e minaccia.
 Lo sciopero torna ad essere un reato con il codice Rocco che introduce una serie di norme nel Codice
penale che puniscono lo sciopero a seconda della finalità.
Lo sciopero con la costituzione repubblicana viene considerato un diritto.
È quindi un diritto soggettivo che comporta diverse conseguenze:

 la prima conseguenza è la configurazione dello sciopero come diritto pubblico di libertà: cioè ha una
conseguenza diretta nei confronti dello Stato, (lo stato non può emanare norme che contrastano con
tale diritto).
Lo sciopero è un diritto che si ritiene sia individuale ma che abbia necessità, per il suo concreto esercizio, di
una collettività.
Lo sciopero in quanto tale è l’astensione collettiva dal lavoro.
Definire lo sciopero come diritto individuale ad esercizio collettivo permette di dire che anche un singolo
lavoratore può scioperare: quando evidentemente ha come scopo fondamentale quello di chiedere, ai suoi
compagni e ai suoi colleghi di scioperare con lui.
L’astensione anche di un solo lavoratore è considerato sciopero (è evidente che l’astensione di un lavoratore
che dice di scioperare ma poi va a fare shopping in centro non è considerato sciopero ma inadempimento ed
ha anche delle conseguenze)
Vi è stata però una discussione in dottrina su che tipo di diritto sia effettivamente:

 Un primo approccio interpretativo che era abbastanza diffuso soprattutto negli anni 50 era quello di
considerarlo un diritto meramente potestativo.
Definirlo diritto potestativo si intende sottolinearne la parte economica, nel senso che questo sarebbe un
potere attribuito ai lavoratori nei confronti del datore di lavoro che comporta una sospensione del rapporto.
(nell’ambito del rapporto di lavoro, nell’ambito del collegamento contrattuale tra lavoratore e datore di
lavoro).
A partire dagli anni ‘70 si è cominciato a parlare di sciopero come diritto assoluto della personalità con un
riferimento ben preciso agli articoli 2 e 3 della costituzione (come uno degli strumenti che rendono concreta
l’eguaglianza sostanziale)
Cosa cambia se io interpreto lo sciopero come diritto potestativo o come diritto assoluto della persona?

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Quando lo sciopero è definito tale? Quando gli scioperanti utilizzano lo strumento per chiedere al datore di
lavoro nuove modalità, aumenti retributivi, nuove regolamentazioni eccetera.
Ma se io vado in piazza e sciopero contro la guerra questo è considerato sciopero ai sensi dell’articolo 40
oppure no?
Cosa accade nel momento in cui i lavoratori scioperano sul rapporto di lavoro?
Si tratta dell’esercizio di un diritto e comporta evidentemente l’impossibilità che l’esercizio di un diritto
possa comportare un qualche tipo di inadempimento anche civilistico: però i lavoratori che scioperano non
sono retribuiti.
L’esercizio dello sciopero comporta la sospensione del rapporto di lavoro: si applicano i principi civilistici
per cui se in un rapporto sinallagmatico una parte non adempie alla propria obbligazione, anche l’altra può
non farlo.
L’art. 40 è il compromesso tra chi voleva inserire dei limiti in costituzione e chi aveva detto che non ci
dovevano essere.
Nel corso del tempo in realtà non è mai stata attuata una legge generale che regola lo sciopero.
Sono state emanate diverse leggi specifiche: ad esempio in materia di centrali nucleari dove c’è un generale
divieto di sciopero salvo con modalità regolative ben precise, polizia e militari.
Né polizia, né militari possono scioperare e questo per via della posizione particolare e del ruolo che hanno
nell’ambito del potere statuale riconosciuto anche dalla carta costituzionale e dalle convenzioni
internazionali.
Vi è poi una legge emanata nel 1990 che regola lo sciopero nell’ambito dei servizi pubblici essenziali.
(quando lo sciopero ha a che fare con servizi pubblici essenziali)
Quali sono i limiti dello sciopero?
I limiti dello sciopero sono emersi tramite l’interpretazione della giurisprudenza sull’articolo 40. (con una
differenza tra i primi anni di approcci interpretativi della giurisprudenza e il periodo successivo).
Con la sentenza della Cassazione 711/1980 si configura proprio questo cambio interpretativo di quali siano i
limiti dello sciopero, fino a quel momento si parlava di limiti interni al diritto di sciopero (si parlava di limiti
interni come di limiti correlati la stessa nozione astratta di sciopero, si partiva da una aprioristica di sciopero
quale astensione collettiva concertata di tutti i lavoratori per tutta la giornata lavorativa).
Partendo da lì la giurisprudenza diceva: quello che non corrisponde a questa definizione non è sciopero e
quindi può eventualmente comportare conseguenze di tipo civilistico.
Emerge proprio negli anni ‘70 una differente modalità con cui le parti sociali cominciano a scioperare:
In particolare, due sono le tipiche questioni:

 il cosiddetto sciopero a singhiozzo


 Il cosiddetto sciopero a scacchiera
Sono delle modalità con cui si cercava di ridurre al minimo le perdite economiche durante uno sciopero e
massimizzando il danno all’imprenditore.
Sciopero a singhiozzo: Sciopero per un periodo, poi riprendo a lavorare, poi sciopero per un altro periodo
molto breve, poi riprendo a lavorare…
Con sciopero a scacchiera si intende quella modalità per cui all’interno di un’azienda sciopera un reparto e
un altro lavora, un altro sciopera e un altro lavora…

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In questo è un modo si cerca di recare il maggior danno con la minima perdita della produzione.
Inizialmente, quindi, la giurisprudenza configurava queste nuove tipologie di sciopero come non sciopero: le
escludeva dalla configurazione di sciopero e quindi si arrivava a conseguenze di tipo sanzionatorio.
A partire dal 1980 con la Cassazione numero 711 si cambia radicalmente prospettiva: non c’è più una
definizione aprioristica tipica di sciopero, ma da quel momento in poi lo sciopero è considerato tale quando
siano le parti sociali stesse a definirlo così.
Dove sta da quel momento in poi il limite?
Non più nella definizione ma passa ad essere un limite esterno.
Cosa si intende per limite esterno?
Si intende limite correlato a tutti quei diritti costituzionalmente tutelati, passa l’idea che lo sciopero sia sì un
diritto costituzionalmente tutelato, ma non è l’unico diritto tutelato dalla costituzione.
Lo sciopero incontra i limiti derivanti dall’esercizio degli altri diritti costituzionalmente tutelati.
Il primo contemperamento di interessi lo fa già la nostra Cassazione del 1980 provando a definire quali sono
i limiti in relazione all’articolo 41 della costituzione (iniziativa economica privata).
Quando prevale lo sciopero e quando invece prevale la libertà dell’imprenditore di esercitare il proprio diritto
di iniziativa economica privata?
La Cassazione definisce a questo fine: tra danno alla produzione e danno alla produttività.
La Cassazione afferma che è normale che l’esercizio di uno sciopero provochi dei danni: se tutta una
fabbrica si ferma tutto il giorno quantomeno in quella giornata l’azienda avrà un danno dalla mancata
produzione, ma è un danno che rientra nella normale modalità con cui viene attuato il diritto costituzionale di
sciopero.
Da questo punto di vista prevale il diritto di sciopero e il nostro imprenditore non potrà chiedere nulla in
relazione a quello che viene definito danno alla produzione. (è la finalità stessa dello sciopero che pone in
qualche modo di creare un danno all’imprenditore proprio per convincerlo a trattarlo).
Diverso invece è quello che viene definito danno alla produttività e qui lo sciopero esorbita dalle sue finalità.
Cosa si intende per danno alla produttività?
L’esempio più classico che comincia a fare la stessa Cassazione: è quando lo sciopero produce un danno alla
possibilità di produrre in futuro; danneggia i macchinari (per un certo periodo l’impresa non può produrre)
allora quello è un danno non coperto dall’esercizio del diritto di sciopero e quindi può produrre conseguenze
e quindi e sarà vietato.
Lo sciopero non deve pregiudicare irreparabilmente la capacità produttiva.
Questo approccio interpretativo va avanti negli anni e si consolida nella giurisprudenza, fino a un certo punto
in cui negli anni 2015,6,7 emerge una problematica in parte differente:

 Sciopero delle mansioni:


La modalità con cui di sciopera in alcuni casi comporta l’astensione non dall’attività lavorativa in generale
ma soltanto da alcune mansioni nell’ambito del proprio lavoro.
Questo accade soprattutto nel caso di Poste Italiane.
ES: A un certo punto all’interno di Poste Italiane i postini hanno, nel loro regolamento contrattuale, il dovere
di coprire eventuali assenti per malattia o altre ragioni e quindi di fare oltre al loro percorso anche quello del
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collega assente. Per scioperare in Poste Italiane i portalettere decidono di non coprire i colleghi assenti:
cosiddetto sciopero delle mansioni.
Questo è sciopero oppure no?
La decisione della giurisprudenza e della Cassazione è quella per cui questo non è sciopero.
La ragione addotta dalle varie sentenze è che in realtà questa è una modalità lavorativa prevista dai contratti
collettivi e dalle regolamentazioni aziendali e quindi in quanto tale soltanto quella parte di mansione non
rientra nella definizione di sciopero.
Il codice Rocco del 1930 che è il Codice penale in vigore conteneva una serie di articoli che prevedevano il
reato di sciopero:

 l’articolo 502 serate sciopero per fini contrattuali


 503 serrate di sciopero per fini non contrattuali
Il legislatore non è mai intervenuto in questi articoli, ci ha pensato la giurisprudenza e la Corte
costituzionale.
L’unica norma dichiarata completamente ed esplicitamente incostituzionale è l’articolo 502 del Codice
penale (serrate e sciopero per fini contrattuali) con questa sentenza del 1960 la Corte costituzionale ha
dichiarato l’incostituzionalità della norma rispetto agli articoli 39 e 40 della Costituzione.
La Corte è intervenuta varie volte:

 nel 62 in relazione lavoratori marittimi ha ritenuto che anche nell’ambito del lavoro marittimo sia
lecito l’esercizio dello sciopero.
 nel 69 in parte sul boicottaggio
 nel 74 nell’ambito dell’articolo 503
Il Codice penale differenziava lo sciopero a seconda della finalità con cui veniva esercitato, l’articolo 502 era
il classico sciopero per fini contrattuali.
Già nell’articolo 503 nell’ambito dello sciopero per fini non contrattuali vi rientrano quelli che sono stati
definiti a seconda dei casi:

 scioperi economici
 scioperi economici politici
 scioperi politici
La Corte costituzionale in questi ambiti ha ritenuto di dichiarare in generale incostituzionale la norma
lasciando una piccola parte di norma ancora in vigore:
Oggi lo sciopero (sia economico, che economico politico, che politico) è punito dal Codice penale soltanto
nel caso in cui sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale (colpo di stato) o sia diretto ad impedire
od ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi della volontà popolare.
Non abbiamo avuto ancora mai una concreta modalità di vedere in giurisprudenza ciò che accade ma questa
seconda possibilità dello sciopero che sia diretto a impedire ed ostacolare il libero esercizio dei poteri
legittimi è più concretamente realizzabile.
ES: se durante uno sciopero si impedisce ai parlamentari di entrare in Parlamento o ai giudici costituzionali
di entrare alla Corte costituzionale. (quello astrattamente potrebbe essere uno sciopero che impedisce o
ostacola il libero esercizio dei poteri legittimi)
Lo sciopero è ovviamente un atto volontario, quindi i sindacati proclamano normalmente uno sciopero e i
lavoratori decidono se scioperare o meno.
93
Vi è quindi piena libertà per i lavoratori di non scioperare.
Cosa succede per un datore di lavoro che vuole sostituire eventualmente i lavoratori che hanno scioperato?
Lo può fare o non lo può fare?
Si parla di crumiraggio interno od esterno. (Crumiri sono coloro che entrano a lavorare invece di scioperare
con i loro colleghi). Nel nostro ordinamento è certamente vietato il crumiraggio esterno.
Cosa significa?
Il datore di lavoro per sostituire lavoratori che scioperano non può prendere dall’esterno altri lavoratori per
sostituirli. In altri ordinamenti come in quello britannico questo non è vietato.
Un po’ più complessa invece è la questione del crumiraggio interno.
Per crumiraggio interno si intende la possibilità che il datore di lavoro utilizzi lavoratori che sono già alle sue
dipendenze e che abbiano deciso di entrare spontaneamente.
Il datore di lavoro li può spostare su mansioni non coerenti con quelle loro proprie e che vanno a sostituire
quelle dei lavoratori che invece hanno scioperato?
Si, è possibile ma il datore di lavoro è sempre e comunque tenuto ad osservare l’articolo 2103 del Codice
civile.
Art. 2103 cc
(Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti
all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo
stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo
stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché
rientranti nella medesima categoria legale.
Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il
cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove
mansioni.
Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore,
purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.
Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto,
a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del
trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari
modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.
Nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono
essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di
inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione
dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di
vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o
conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente
all'attività svolta e l'assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la
medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo
fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

94
Il lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate
ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto
comma, ogni patto contrario è nullo.))
Nell’ambito dell’articolo 2103 del Codice civile ci sono dei limiti alla possibilità di modifica unilaterale delle
mansioni da parte del datore di lavoro. (modificato nel 2015 oggi è un po’ meno rigido rispetto al passato)
DIRITTO DI SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI
Legge che è stata approvata nel giugno del 1990 (una settimana prima dell’inizio dei mondiali).
Si parla di servizi pubblici essenziali:

 trasporti
 sanità
 scuole
Non abbiamo un normale rapporto tra lavoratori e datori di lavoro.
Il danno che viene provocato dallo sciopero non lo facciamo tanto nei confronti del datore di lavoro ma più
che altro il danno lo facciamo nei confronti degli utenti di quel servizio (cittadini che si devono muovere) e
questo è uno dei motivi per cui già la Corte costituzionale in materia di sciopero aveva detto: che quando ci
sono di mezzo altri diritti costituzionalmente tutelati è necessario che lo sciopero debba trovare dei limiti.
La legge prova proprio a porre dei limiti: Innanzitutto considera servizi pubblici essenziali
indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro: (novità introdotta nel 2000), quando si parla
di servizi pubblici essenziali non stiamo parlando soltanto di lavoratori subordinati ma anche eventualmente
di autonomi, anche se svolti in concessione o convenzione.
legge 146 del 1990
Sono quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati.
Nel comma due viene vengono elencati una serie di specifici diritti.
Non è un elenco tassativo, quello che è tassativo è l’aspetto fondamentale del diritto della persona
costituzionalmente tutelata.
Cosa prevede, quali sono i limiti per lo sciopero?

 Preavviso minimo non inferiore a quello previsto dal comma 5 (10 giorni), salvo che ci siano
pericoli sulla sicurezza sul lavoro
 Prestazioni indispensabili
Deve essere deciso in anticipo, deve essere temporalmente definito. (Questa, per esempio, è una grande
differenza rispetto ad altri Stati).
Nel preavviso ci deve essere anche la necessaria configurabilità di un tempo definito rispetto allo sciopero.
Poi ci sono delle modalità che cercano di evitare quello sciopero:

 c’è la necessità, per esempio, di trovare una mediazione su questioni che emergono
 c’è della necessità di non influire eccessivamente su coloro che usufruiscono di quel servizio,
quindi, non sono possibili scioperi uno dietro l’altro.
Dove sono inserite le prestazioni indispensabili?

95
Le prestazioni indispensabili sono inserite normalmente nei contratti o negli accordi collettivi oppure nei
regolamenti di servizi.
L’accordo collettivo (eccezione articolo 39) in questo caso ha efficacia erga omnes.
La Corte costituzionale afferma che questo non è un accordo collettivo di tipo normativo (previsto
dall’articolo 39) semplicemente interviene nell’ambito di un potere unilaterale che la legge accorda
sostanzialmente alle imprese che erogano questi servizi e che viene limitato ed è in qualche modo
disciplinato attraverso quell’accordo.
È prevista anche la possibilità eventualmente per il potere pubblico (a livello di ministero se lo sciopero ha
carattere nazionale o a livello di prefetto se lo sciopero ha carattere locale) di precettazione, quando vi è il
pericolo reale di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti degli utenti: il ministro o il prefetto possono
precettare i lavoratori. (lo sciopero verrà procrastinato).
Per garantire il rispetto della legge e per comminare eventuali sanzioni è stata istituita dalla medesima legge
una commissione di garanzia.
La commissione di garanzia è considerata un’autorità indipendente, composta da cinque membri, designata
dai presidenti di Camera e Senato (nominati tra esperti di diritto del lavoro, diritto costituzionale e relazioni
industriali) che ha una serie di compiti:

 regolare l’esercizio del diritto di sciopero


 prevenire gli scioperi illegittimi
 sanzionare i comportamenti illeciti
La commissione solitamente utilizza una comunicazione preventiva.
La commissione decide attraverso delle delibere e una è quella di interpretare la legge in materia di sciopero.
La commissione nel corso del tempo ha avuto modo di inserire nella lista dei servizi essenziali anche che
quelli che vengono chiamati servizi strumentali.
Esempio: Servizio essenziale è certamente il trasporto pubblico
Cosa è stato definito servizio strumentale?
ES: La pulizia dei mezzi
Quando il servizio di pulizia viene utilizzato per rendere accettabile, anche durante l’esercizio di uno
sciopero, il viaggio del treno ecco che quel servizio di pulizia è considerato strumentale al servizio essenziale
e quindi coperto dalla legge.
Nella carta dei diritti fondamentali (stesso valore giuridico dei trattati) lo sciopero è considerato un diritto
fondamentale.
Che il diritto di sciopero sia visto dai vari stati in maniera differente ha delle conseguenze:

 sul piano delle relazioni sindacali.


In Italia non solo il singolo lavoratore è coperto ma anche eventuali conseguenze sanzionatorie (previste dal
TUR) non valgono per i singoli lavoratori.
Fino a questo momento lo sciopero è considerato un diritto individuale.
TITOLO IV
DISPOSIZIONI VARIE E GENERALI
ARTICOLO N.28 statuto dei lavoratori
96
Repressione della condotta antisindacale.
Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio
della libertà e dell'attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali
delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto in essere
il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie
informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di
lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento
illegittimo e la rimozione degli effetti.
L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il pretore in
funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato a norma del comma successivo.
Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto
alle parti, opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro che decide con sentenza
immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del Codice di
procedura civile.
Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata
nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell'art. 650 del Codice penale.
Ha avuto e ha tutt’ora una fondamentale importanza sia come strumento processuale e sia di modalità con cui
possono essere fatte valere le norme dello statuto e i diritti fondamentali.
Norma oggetto di modalità per cui oggi esistono vari ambiti di applicazione: consumatori, discriminazioni.
Si dubita che L’RSU sia soggetto sottoponibile all’uso dello stesso articolo. (si parla di enti locali).
Il decreto è immediatamente esecutivo: deve essere motivato.
Anche sul piano processuale è una norma significativa.
Tutela l’esercizio della libertà sindacale e del diritto di sciopero.
Tutela quei comportamenti antisindacali: esempio eventuale licenziamento di un lavoratore che sia anche
delegato aziendale. (approccio oggettivo di tale comportamento: anche un datore di lavoro che magari non ha
nessuna intenzione di colpire un sindacato, ma materialmente quel comportamento oggettivamente lede il
sindacato, quel comportamento è considerato antisindacale).
Il comportamento antisindacale deve avere una sua concreta attualità, deve essere una cosa che lede in quel
momento un diritto sindacale tutelato.
La giurisprudenza ha detto che: si, ci deve essere l’attualità del comportamento, ma se un comportamento
anche futuro è collegato a comportamenti reiterati nel tempo allora sarà possibile per i sindacati chiedere di
vietare un comportamento anche se non ancora avvenuto.
TIPOLOGIE CONTRATTUALI
La grande suddivisione è tra:

 lavoro subordinato
 lavoro autonomo
Tenendo presente che il lavoro esiste anche in altre tipologie contrattuali, anche se non prevale la parte
personale (contratti di impresa, contratti societari).
Come l’ordinamento regolamenta il lavoro personale?
La questione riguarda una grande divisione che esiste nel nostro ordinamento. (autonomo e subordinato)

97
Da questa classificazione discendono una serie di importanti conseguenze, legate all’idea che l’ordinamento
ha delle due tipologie.
Lavoro subordinato = emerge la modalità con cui la prestazione lavorativa viene esercitata nei confronti di
un’altra persona (nei cui confronti il lavoratore si subordina).
Lavoro autonomo= l’autonomia del lavoratore emerge in tutta la sua consistenza.
Da questa differenza emergono diverse differenze regolative che partono dall’idea che aveva il legislatore
per cui il lavoratore subordinato è la parte particolarmente debole del rapporto di lavoro.
Il concetto tecnico di subordinazione cambia a seconda del punto di vista, a volte oltre che giuridico è anche
economico-sociale e si basa sui poteri del contratto.
Una parte del contratto è particolarmente debole e anche soggetta all’altra parte.
Vi è quindi la necessità che l’ordinamento tuteli la parte debole. (oggi non c’è ancora questa l’idea, vi sono
lavoratori subordinati che hanno una forza maggiore sia economica, che sociale e giuridica).
Dall’altro lato il lavoratore autonomo che tradizionalmente è visto come una figura forte, che si impone alla
controparte contrattuale (avvocato, architetto, medico), il codice, per le prestazioni di lavoro personali, lo
pensa in modo diverso (la figura forte è il lavoratore e la figura debole il committente).
Da questa differenziazione discendono diverse conseguenze giuridiche.
Il lavoro subordinato è caratterizzato da tutele forti che proteggono il lavoratore dagli eccessi di potere.
(l’idea di una differenza di potere discende dalla necessità di far funzionare un’impresa, art. 41 costituzione)
Questa tutela avviene attraverso una disciplina inderogabile, la norma imperativa che impone un determinato
comportamento alle parti e non permette deroghe.
Sono previste anche tutele collettive, il contratto collettivo ha valore di fonte.
Il rapporto di lavoro subordinato è disciplinato da:

 contratto individuale
 contratto collettivo
 legge
Esiste un processo del lavoro in cui rientrano i lavoratori subordinati e SOLO ALCUNE tipologie di lavoro
autonomo. (NO AVVOCATI, SI CONTRATTO DI AGENZIA poiché più debole rispetto ad altre tipologie
di lavoro autonomo).
Vi è poi un’altra modalità con cui sono organizzate la previdenza e l’assistenza nell’ambito del lavoro
subordinato: sono previste norme che prevedono la necessità dei contributi previdenziali. (il nostro è un
sistema assicurativo che tutela i lavoratori dai problemi legati a: malattia, infortunio, pensioni attraverso il
prelievo diviso: 1/3 lavoratore, 2/3 datore di lavoro: il totale del prelievo arriva al 33 % dello stipendio
mensile).
Il rapporto di lavoro subordinato ha una modalità di costo più consistente di quello autonomo (la previdenza
se la paga lui; paga meno (casse previdenziali dell’ordine)).
Anche in regime di prelievo fiscale c’è differenza: i datori di lavoro sono considerati sostituti di imposta,
sono loro che pagano direttamente l’agenzia delle entrate e poi trattengono quello che il lavoratore avrebbe
dovuto pagare dal suo stipendio. (oggi le percentuali di IRPEF sono molto più elevate di quelle dei lavoratori
autonomi)
Nell’ambito del lavoro autonomo vi è una modalità generale (2222 cc):

98
Art. 2222 cc: prestazioni d’opera
Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo [2225] un'opera o un servizio, con
lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si
applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV
[1655].
È la modalità con cui si regola il lavoro dei professionisti.
Vi sono poi alcune specifiche modalità di lavoro che rientrano nell’insieme del lavoro autonomo ma hanno
delle loro specifiche regole: le collaborazioni continuative e coordinate nelle quali tra il committente e il
prestatore autonomo si instaura una relazione continuativa e coordinata. (all’interno di questo insieme
troviamo un sottoinsieme in cui l’intervento del committente è più significativo).
Vi sono poi prestazioni di lavoro autonomo occasionali.
Vi sono anche altre tipologie di lavoro autonomo come il socio d’opera o il socio di cooperativa e questa
tipologia (l’associazione in partecipazione) è in realtà una tipologia che è stata superata.
Quali sono le caratteristiche del lavoro autonomo?
È un regime tendenzialmente legato al diritto civile e normalmente si parla del classico diritto dei contratti
tra i privati dove le norme inderogabili sono poche, si tratta di norme di una disciplina derogabile dalle parti.
La modalità con cui il prelievo previdenziale fiscale è previsto in queste tipologie di lavoro autonomo è più
leggera anche se grava soltanto sul lavoratore autonomo.
Questa differenza sul prelievo previdenziale fiscale è una delle ragioni, tra cui per esempio in molti casi ci si
può trovare davanti a prestazioni che formalmente sono di lavoro autonomo ma sostanzialmente sono di
lavoro subordinato; perché il datore di lavoro vuole evitare di pagare eccessivamente gli aspetti previdenziali
e fiscali legati al lavoro subordinato.
In casi del genere prevale la sostanza, prevale l’effettività della prestazione.
Come si fa a distinguere tra lavoro subordinato e lavoro autonomo?
Vi è un riferimento normativo specifico per il lavoro subordinato nell’articolo 2094 cc e un riferimento
specifico per il lavoro autonomo nell’articolo 2222 cc.
Art. 2222cc
Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo [2225] un'opera o un servizio, con
lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si
applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV
[1655].
Abbiamo un rapporto obbligatorio che prevede un corrispettivo che non è a titolo gratuito: una persona si
obbliga a compiere un’opera o un servizio con caratteristiche di lavoro prevalentemente proprio e soprattutto
senza subordinazione.
L’articolo 2222 cc si basa fondamentalmente nell’ambito della descrizione di un lavoro che non ha un
vincolo di subordinazione; quindi, la parte fondamentale per comprendere quando stiamo parlando del
lavoratore autonomo è legata a comprendere cosa sia la subordinazione e quando è presente.
Per comprendere effettivamente quando sussiste il contratto d’opera (in caso di lavoro autonomo) dobbiamo
comprendere quando non c’è il vincolo di subordinazione e quindi tornare all’articolo 2094cc (si comprende
quando c’è subordinazione e quando no)
Art. 2094 cc
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Prestatore di lavoro subordinato
È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa,
prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione
dell'imprenditore. [3, 2086, 2095, 2104, 2238, 2239; 36, 46 Cost.].
Questa è la nozione di lavoro subordinato: rispetto alla modalità con cui il codice solitamente ci descrive una
tipologia contrattuale, qui troviamo una modalità specifica per cui si descrive la persona del lavoratore e
prestatore di lavoro subordinato. (collegamenti dell’epoca corporativa in cui si riteneva che sia la parte del
lavoro che quello dell’impresa dovessero essere collocati all’interno di un sistema in cui l’elemento statuale
era al centro).

 È prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga mediante retribuzione = troviamo un


riferimento al fatto che non si tratta di prestazione a titolo gratuito. (parliamo di retribuzione)
 Collaborare con l’impresa = possibilità di prestare il proprio lavoro (prestazione di lavoro personale
che può essere sia intellettuale che manuale) alle dipendenze e sotto la direzione di qualcuno.
Nell’art. 2094 comprendiamo che alcuni elementi non ci fanno comprendere in modo conclusivo quale è la
differenza tra lavoro subordinato e lavoro autonomo.
Abbiamo il termine “retribuzione” che nell’ambito dell’articolo 2222 cc era “corrispettivo”.
Non è però una differenza significativa, entrambi sono obbligazioni a titolo oneroso:

 la retribuzione è un esborso monetario che viene erogato continuativamente e ogni certo tempo,
normalmente a base mensile.
 Il compenso o corrispettivo è legato al lavoratore autonomo ma non è detto che alcune tipologie di
lavoro autonomo abbiano un corrispettivo che possa essere erogato ogni certo tempo.
Abbiamo poi il termine “collaborare” che ha certamente un significato, negli ultimi anni la dottrina è tornata
sul significato del termine nell’impresa ma anche questo però è un termine che ci aiuta poco.
Anche in alcune tipologie di contratti in cui il lavoro è parte dello schema contrattuale, contiene il termine.
Lo stesso contratto di appalto prevede la possibilità che il committente e l’appaltatore COLLABORINO.
Il significato del termine è in parte diverso ma non è quello che ci serve per comprendere la vera differenza.
 “prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale”
Non abbiamo una definizione che ci permetta di trovare una differenza sostanziale, anche nell’ambito del
lavoro autonomo vi è la possibilità di differenziare tra prestazione intellettuale e manuale.
Quello che ci permette di differenziare il lavoro subordinato da quello autonomo lo troviamo nei termini:
“Alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.” (subordinazione)
Normalmente la giurisprudenza parla di subordinazione come sottoposizione al potere direttivo e disciplinare
del datore. (termini tautologici “alle dipendenze” e “sotto la direzione”)
Subordinazione è anche intesa come ETERODIREZIONE.
Un’altra modalità interpretativa (minoritaria) ritiene che questi due termini non siano equivalenti ma ci sia
una differenza:
Arriva alla definizione di subordinazione come: DOPPIA ALIENITA’ (si parlerebbe di subordinazione
quando il lavoratore, inserito in un ambito organizzativo altrui, non gode del profitto derivante dal suo lavoro
che invece va al datore)

100
La Corte costituzionale negli anni ’90 ha esaminato questa teoria e l’idea è stata di ampliare il significato del
termine. (alcuni casi restano dubbi sul concetto di subordinazione come doppia alienità)

Ma come facciamo a capire se siamo in una situazione di ETERODIREZIONE?


Vi sono due criteri:
a) Criterio sussuntivo (parte dall’idea della sussunzione del caso concreto nel caso astratto)
Il giudice utilizza con questo criterio il sillogismo giuridico.
SILLOGISMO:
 Premessa maggiore (norma generale e astratta)
 Premessa minore (Caso concreto)
 Conclusione che deriva dal rapporto causale tra le due
Il criterio di tipo sussuntivo parte dall’idea di una:
 Premessa maggiore = esistenza della subordinazione come eterodirezione, cioè sottoposizione al
potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro.
E se è possibile sussumere il caso concreto in questa nozione generale ed astratta si arriva conclusione.
b) Criterio Tipologico
Vuole arrivare alla stessa conclusione (capire la tipologia di lavoro), ma il sistema è diverso; passo per passo
a seconda di elementi tipici del lavoro subordinato si arriva a verificare se effettivamente sussistano quegli
elementi.
Questo criterio viene applicato attraverso gli indici della subordinazione (si ritiene che il lavoro subordinato
abbia delle modalità tipiche di esercizio della subordinazione):
 L’orario di lavoro
Se siamo nell’ambito del lavoro subordinato l’orario è deciso dal datore di lavoro ed è imposto al lavoratore
che deve sottostare.
ES: se arriva tutti i giorni fuori orario può essere sottoposto a provvedimenti disciplinari.
 Sussistenza di provvedimenti disciplinari
Il lavoratore autonomo non è sottoposto ad alcun provvedimento.
 Necessità di chiedere permessi (entrata/uscita)
 Necessità di chiedere come vengano organizzate le ferie
 Proprietà dei mezzi con cui il lavoratore eroga la prestazione lavorativa
Nel lavoro subordinato solitamente sono i datori di lavoro a mettere a disposizione i mezzi di lavoro, nel caso
del lavoro autonomo i mezzi sono di proprietà del lavoratore.
 Modalità di erogazione del compenso
Quella che è chiamata retribuzione è erogata mensilmente.
 Modalità di effettuazione delle trattenute
 Inserimento nell’organizzazione del lavoratore
Normalmente il lavoratore subordinato va a lavorare nel luogo in cui il datore ha il suo luogo produttivo.

101
Gli indici della subordinazione assumono rilievo solo quando sono:
- Tanti
- Precisi
- Concordanti
Se ne prendo uno solo non è detto che effettivamente risolva la questione.
ES: solitamente l’orario di lavoro è imposto dal datore di lavoro al lavoratore subordinato, mentre il
lavoratore autonomo non è sottoposto ad orario stabilito da altri:
- L’avvocato che assume un rapporto di collaborazione con un’associazione di consumatori.
L’avvocato rimane lavoratore autonomo ma in questo contratto vi possono essere delle clausole che
obbligano l’avvocato ad essere presente in determinati orari.
Qual è la possibilità delle parti di decidere in autonomia?
Tutta la normativa costruita nel tempo attorno al lavoro subordinato, arriva alla conclusione che quello che
viene definito “nomen iuris” (nome che le parti danno al contratto) ha solo valore relativo e non basta al
giudice per definirlo tale.
- se non corrisponde, il giudice può ritenere il contratto parzialmente nullo e di riqualificarlo con relative
conseguenze.
Negli ultimi anni la giurisprudenza ha cominciato a dare una rilevanza al “nomen iuris”:
Se la tipologia lavorativa al giudice non è chiara, usa quello che hanno scritto le parti e né da una rilevanza.
La Corte costituzionale negli anni ’90 ha chiarito come vi sia un’assoluta indisponibilità del tipo contrattuale:
Quello che in concreto è lavoro subordinato, lo è anche necessariamente: nemmeno il legislatore può ritenere
che una modalità lavorativa subordinata possa rientrare nell’ambito del lavoro autonomo.
Il LAVORO SUBORDINATO È INDISPONIBILE ANCHE AL LEGISLATORE.
All’interno del lavoro subordinato vi sono diverse tipologie di contratto:
 TIPICA = a tempo pieno indeterminato
 Che differiscono dalla precedente per qualche caratteristica
Le difficoltà inerenti alla qualificazione del rapporto di lavoro sono state riscontrate soprattutto negli ultimi
anni in cui anche il lavoro subordinato ha cominciato a non essere esattamente più quello che era prima (è
cambiato molto rispetto all’essenziale da cui era partito il codice civile).
Negli ultimi anni questa modalità non è sempre verificabile in modo semplice poiché è cambiato il modo di
lavorare: c’è più autonomia anche nel lavoro subordinato.
Vi sono alcune tipologie (Lavoro agile) che danno la possibilità di utile lavoro (vedi pandemia).
Tutto questo ha portato il legislatore ad introdurre una modalità che possa verificare al meglio in partenza
quale sia la volontà delle parti. (CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI)
Che cosa si intende?

102
Si intende la modalità con cui le due parti di un contratto di lavoro, prima ancora che il contratto sia stato
eseguito, vanno davanti ad un soggetto terzo (la commissione di certificazione) e certificano se quel tipo di
contratto corrisponde a ciò che hanno detto e se contiene tutto.
Se il contratto viene certificato abbiamo un riconoscimento in più; è un metodo usato nei contratti molto
lunghi: ad esempio l’appalto.
La certificazione non è necessaria, è in più se le parti vogliono dare validità a quello che hanno scritto.
GIURISPRUDENZA ARTICOLO 2094 CC
Tribunale Roma, sez. lav., 17/01/2017, n. 363
I referenti concreti della subordinazione si distinguono in essenziali e sussidiari: sono essenziali
l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, con
conseguente limitazione dell’autonomia del lavoratore e suo inserimento nell’organizzazione
aziendale ; sono, invece, elementi sussidiari l’assenza di rischio nell’attività d’impresa, la continuità
della prestazione personale, l’osservanza di un orario di lavoro predefinito, la cadenza e la misura
fissa della retribuzione.
Quello che abbiamo definito inizialmente come verifica prioritaria con ragionamento di tipo sillogistico
“eterodirezione”, questo tribunale lo chiama come elemento essenziale (assoggettamento del lavoratore)
Come elementi sussidiari si utilizzano gli indici della subordinazione.
CASSAZIONE CIVILE, SEZ. LAV., 27/10/2016, N. 21710
Il rapporto di lavoro del responsabile di call center si qualifica come subordinato laddove ricorrano
elementi quali l'adeguamento alle direttive datoriali (seppure non di dettaglio, bensì generali e
programmatiche), nonché l'osservanza di un orario di lavoro giornaliero (più lungo rispetto a quello
degli altri operatori), non rilevando in senso contrario il difetto di prova in ordine al mancato esercizio
del potere di controllo e disciplinare da parte del datore di lavoro.
Che cos’è il lavoratore di call center? È colui che lavora rispondendo a chiamate o chiamando.
Colui che risponde da chiamate esterne è definito call center in pound.
Nell’ambito del call center è possibile che una prestazione lavorativa sia esercitata come subordinata oppure
come autonoma.
Secondo la giurisprudenza qualunque tipologia lavorativa può essere effettivamente inquadrata sia come
lavoro subordinato che come autonomo.
Non c’è la necessità che una tipologia lavorativa sia per forza su subordinata o per forza autonoma, quello
che conta è la modalità concreta con cui quella prestazione lavorativa viene eseguita.
Sono da qualificarsi come subordinati i call center di tipo in pound poiché normalmente è il lavoratore ad
aspettare le chiamate dall’esterno.
Se il lavoratore lavora in un call center di tipo out pound, nella prassi ha la possibilità di muoversi con più
autonomia e in questi casi sussiste il caso di lavoro autonomo.

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I, 30/09/2016, N. 19596

Giustizia Civile Massimario 2017


Le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono
cumulabili purché si accerti l'attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed
è altresì necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova

103
del vincolo di subordinazione e cioè dell'assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al
potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società.
Può un amministratore delegato essere al contempo lavoratore subordinato?
Può solo quando l’amministratore è sottoposto al potere direttivo e disciplinare di un altro (consiglio di
amministrazione).
CASSAZIONE CIVILE, SEZ. LAV., 20/07/2016, N. 14947
Parti: CIGA Hotels S.r.l. e C. D.G.R.  
Fonti: Diritto & Giustizia 2016, 21 luglio
In ragione del carattere atipico della prestazione avente ad oggetto l'attività di accompagnamento di
turisti nello shopping assistendoli logisticamente in varia maniera, deve essere cassata la decisione dei
giudici del merito che ne hanno riconosciuto il carattere subordinato senza previo accertamento
dell'esistenza di un orario di lavoro obbligatorio e di una modalità della pretesa retribuzione, né
previa attenta verifica della sussistenza di presunte pretese direttive in ordine ad una attività molto
atipica e molto fluida.
La cassazione rimanda al giudice di merito il caso in cui quella prestazione lavorativa non era stata sviscerata
totalmente e non era stato verificato se vi fossero gli indici che richiamassero la subordinazione.
CASSAZIONE CIVILE, SEZ. LAV., 16/05/2016, N. 10004
Parti: Soci. C. A. & C.  C.  Inps  
Fonti: Foro it. 2016, 7-8, I, 2416
Il carattere elementare e ripetitivo delle mansioni svolte (nella specie, riconducibili alla figura del
pizzaiolo) non è di per sé indicativo dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ove non sia
ulteriormente accertato l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e
disciplinare del datore di lavoro ovvero, in mancanza, la ravvisabilità di indici sussidiari quali la
continuità e durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, l'osservanza dell'orario di
lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale.
CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I, 10/05/2016, N. 9463
Parti: Colombo Carlo C. Fallimento della Hammond S.p.A.  
Fonti: Giustizia Civile Massimario 2016
Ai fini della qualificazione come lavoro subordinato del rapporto di lavoro del dirigente, quando
questi sia titolare di cariche sociali che ne fanno un "alter ego" dell'imprenditore (preposto alla
direzione dell'intera organizzazione aziendale o di una branca o settore autonomo di essa), è necessario
- ove non sussista alcuna formalizzazione di un contratto di lavoro subordinato di dirigente - verificare
se il lavoro dallo stesso svolto possa comunque essere inquadrato all'interno della specifica
organizzazione aziendale, individuando la caratterizzazione delle mansioni svolte, e se possa ritenersi
assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini ed ai controlli del datore di
lavoro (e, in particolare, dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso), nonché al
coordinamento dell'attività lavorativa in funzione dell'assetto organizzativo aziendale.
Il dirigente (alter ego dell’imprenditore) può essere un lavoratore subordinato? SI.

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. LAV., 19/02/2016, N. 3303

104
Parti: Soci. Euro progetti fin.   C.  Logoteta   
Fonti: Foro it. 2016, 4, I, 1246
Posto che l'indice principale di subordinazione ai sensi dell'art. 2094 c.c. è costituito
dall'assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, va
qualificato come subordinato il rapporto caratterizzato dalla presenza giornaliera e continua del
prestatore, con sottoposizione della sua attività al puntuale controllo datoriale, senza che rilevi in senso
contrario il difforme nomen iuris utilizzato dalle parti.
NOMEN IURIS = come le parti hanno definito il contratto.
CASSAZIONE CIVILE, SEZ. LAV., 10/07/2015, N. 14434
Parti: Splend'Or S.r.l.  C.  INPS ed altri  
Fonti: Giustizia Civile Massimario 2015
La sussistenza dell'elemento della subordinazione nell'ambito di un contratto di lavoro va
correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze
istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l'inserimento del
lavoratore nell'organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un
accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità. Tale principio è applicabile anche in caso di
attività svolta da una lavoratrice legata da vincolo di coniugio e di affinità ai titolari della società
datrice di lavoro, laddove venga ravvisata l'irrilevanza del vincolo di familiarità rispetto alle concrete
modalità della prestazione nel contesto aziendale.
Il riferimento alla modalità qualificatoria è legato ad accertamenti di fatto: solo i giudici di 1 e 2 grado, la
cassazione può entrare solo nel merito della fase di interpretazione.
All’interno della famiglia vi può essere lavoro subordinato ma legato al fatto che la sussistenza di legami
familiari pone la necessità di verificare gli elementi con molta attenzione.
Nell’ambito familiare vi sono contratti tipici e vi è la possibilità di far valere il lavoro gratuito.
APP. BARISTA LAVORO SUBORDINATO
Decisone della Corte di appello.
Il processo del lavoro ha una sua modalità particolare:
- Atto di citazione
Si parla della necessità di accertare un rapporto di natura subordinata.
Le parti avevano inserito i capitoli di prova (come ci si rivolge al giudice).
Si inseriscono i casi fattuali:
I testimoni devono SOLO esplicitare quello che hanno visto (no considerazioni personali).
I capitoli di prova sono costruiti in questo modo:
 È vero che la signora non ha lavorato…
In questo caso c’era la deduzione di aver lavorato come cameriera e barista per diversi mesi e sosteneva di
essere stata licenziata verbalmente perché incinta.
In questo caso si tratta di lavoratrice in nero che chiede l’accertamento della sua condizione di lavoratrice
subordinata.

105
Il tribunale aveva escluso che fossero emersi gli elementi tipici della subordinazione e in questo caso:
1. grado: no subordinazione: nessun assoggettamento.
Quando si parla di lavoro in nero e una parte chiede al giudice di verificare l’esistenza di una subordinazione
è la parte che deve provare. (non è semplice, si chiamano i testimoni, oltre che le documentazioni, buste
paga, ordini, provvedimenti…)
In altri casi la prova può essere a carico del datore.
Vengono richiamate le modalità con cui alcune prestazioni elementari, pur non certe, possono fornire
indicazioni: indici sussidiari.
Vengono richiamati i precedenti della cassazione e in questo caso cambiando la sentenza in primo grado è
accertata la sussistenza del lavoro subordinato e che l’allontanamento della lavoratrice ha carattere
DISCRIMINATORIO.
COME VEDE LA GIURISPRUDENZA L’ARTICOLO 2094CC? (In materia di lavoro subordinato)
Le caratteristiche sono simili:
L’elemento essenziale è:
 Libera occupazione della disciplina del lavoro subordinato
 La sottoposizione del dipendente al potere disciplinare di controllo del datore.
Tale soggezione rappresenta l’essenza stessa del rapporto, qualora la subordinazione non sia agevolmente
apprezzabile occorrerà richiamare altri elementi:
 Continuità della prestazione
 Rispetto di un orario predeterminato
 Retribuzione su un compenso prestabilito
 Assenza di rischio in capo al lavoratore
Per rischio si intende il rischio di impresa. (esempio: nel contratto di appalto)
Una delle caratteristiche che distinguono il contratto di appalto genuino da quello che non lo è; è proprio la
sussistenza del rischio di impresa.
In questo caso si richiede l’assenza del rischio di impresa poiché deve valutare se il lavoratore è un
lavoratore subordinato.
APPELLLO ROMA
Vi è sempre la verifica attraverso l’assoggettamento del lavoratore alle direttive, agli ordini e ai controlli del
datore e al coordinamento della sua attività lavorativa.
Poi vi sono gli elementi sintomatici della subordinazione sussidiari:
 Inserimento nell’organizzazione
 Vincoli orari
 Retribuzione fissa

CASSAZIONE
In presenza degli indici sintomatici di cui all’art. 2094cc si configura nell’esistenza del rapporto di lavoro
subordinato anche l’ipotesi di una prestazione svolta da una lavoratrice legata da vincoli di coniugio e di

106
affinità ai titolari della società datrice, escludendosi pertanto in un simile caso sia la fattispecie dell’impresa
familiare sia la gratuità delle prestazioni.
“lo stagista che non dimostra l’esistenza di elementi tipici della subordinazione non può pretendere
l’assunzione.”
Lo stage NON è un rapporto di lavoro ma è una modalità di apprendimento particolare sul luogo di lavoro.
Può capitare che un ragazzo stagista sia poi fatto lavorare come se fosse un lavoratore subordinato (in questo
caso può essere richiesto al giudice la verifica della sussistenza di una condizione di subordinazione).
Costituisce lavoro subordinato di tipo giornalistico quello svolto da fotografi che nel realizzare, pur con
autonomia tecnica, foto a carattere informativo degli articoli: risultano stabilmente inseriti nell’assetto
organizzativo del giornale.
QUALI SONO LE FORME DI LAVORO AUTONOMO?
Noi in Italia abbiamo un tasso di attività che in media è sul 60%.
Dal punto di vista della differenza tra autonomo e subordinato, l’Italia ha una sua particolarità rispetto ad
altri paesi europei.
Da noi esistono molti più lavoratori autonomi: (tasso di evasione elevato)
 Tasso del 70 % di subordinazione.
 Tasso del 25 % come lavoratore autonomo.
Nel lavoro autonomo ci sono delle differenziazioni:

 Professioni tipicamente autonome (avvocati, architetti, medici, notai) regolate attraverso gli ordini
che ne vincolano l’accesso e gestiscono previdenza e assistenza.
 Professioni senza ordine che dagli anni ’90 si possono iscrivere presso l’INPS ad un autonomo
settore per previdenza e assistenza.
Accanto a queste figure di lavoro autonomo, vi sono altre figure che si pongono in situazione di confine:
In relazione a queste figure vi sono dei casi in cui si trovano dei falsi lavoratori autonomi: sostanzialmente
subordinati. (datori risparmiano sul costo del lavoro)
Questo è il caso delle collaborazioni coordinate e continuative.
La particolarità è la continuatività della collaborazione spesso svolta con un solo committente.
La caratteristica delle professioni autonome (avvocati) è quella di avere molti committenti (lavoratore forte
che può rifiutare tranquillamente).
Il collaboratore normalmente stipula invece il contratto con un solo committente che ha necessità che le
attività permangono nel tempo.
Quella del collaboratore è una forma sempre esistita e collocata nel lavoro autonomo, se ne parla per la prima
volta nella legge VIGORELLI del 1959 (superare la mancata attuazione dell’art. 39)
Dopo qualche anno, c’è un riferimento nell’art 409 del codice di procedura civile (1973) dove la competenza
dei giudici del lavoro si estende anche:

 Per lavoratori subordinati


 Per lavoratori autonomi deboli (agenti, collaboratori continuativi)

107
Nel 1995 (riforma Dini) si inserisce una tutela previdenziale anche per i lavoratori coordinati e continuativi:
inizialmente si prevede un versamento per la copertura previdenziale: del 10%. (differenza subordinati pari al
33%) motivo per cui è esploso l’uso di questo “Falso collaboratore”.
Il legislatore interviene varie volte:
Con il decreto legislativo n 276/2003 viene introdotto il lavoro a progetto e le collaborazioni
coordinate e continuative a progetto (scritto, con un termine); in mancanza quel rapporto sarebbe
stato trasformato in subordinato.
Per anni è stato in vigore, oggi non lo è più, ma al contempo è stata aumentata la percentuale di contributi da
versare (dal 10% al 2008 al 33%).
Nel frattempo, il contratto di lavoro a progetto è stato reso ancora più rigoroso: aumentando i limiti.
Nel 2005 con il JOBS ACT si è deciso di abolire il contratto di lavoro a progetto, si è tornato all’idea delle
collaborazioni (lavoro autonomo) ma al contempo è stata introdotta un’altra tipologia di lavoro:
I. COLLABORAZIONI ETEROORGANIZZATE (sottoinsieme delle precedenti: le caratteristiche
sono più simili al lavoro subordinato) ma non sono considerati subordinati, si applica in ogni caso
però la disciplina del lavoro subordinato.
ART: 2 DEL DECRETO LEGISLATIVO 81/2015 (CONTRATTI ATIPICI)
Collaborazioni organizzate dal committente
1. A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai
rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali,
continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente [anche con riferimento
ai tempi e al luogo di lavoro]. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le
modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali (1) (B).
Questo riferimento è emerso dopo la scrittura della norma: caso rider.
2. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento:
a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti
il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative
del relativo settore (C);
b) alle collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria
l'iscrizione in appositi albi professionali;
c) alle attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di
amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive
dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti
di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall'articolo 90 della
legge 27 dicembre 2002, n. 289 [nonché' delle società sportive dilettantistiche lucrative] (2) (D).d-bis)
alle collaborazioni prestate nell'ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli da parte
delle fondazioni di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367 (E)(3). d-ter) alle collaborazioni
degli operatori che prestano le attività di cui alla legge 21 marzo 2001, n. 74(4).
3. Le parti possono richiedere alle commissioni di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276, la certificazione dell'assenza dei requisiti di cui al comma 1. Il lavoratore può

108
farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce manda to o da
un avvocato o da un consulente del lavoro.
4. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione nei confronti delle pubbliche
amministrazioni. [Dal 1° gennaio 2018 è comunque fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di
stipulare i contratti di collaborazione di cui al comma 1.]
La parte che le differenzia dalle normali collaborazioni: è il fatto che è il committente ad organizzare le
modalità di esecuzione.
Il legislatore nel 2017 è tornato sull’art. 409 C.p.c intervenendo sulle collaborazioni.
ART 409 C.P.C
Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a:
1) rapporti (1) di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di una impresa (2);
2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore
diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni
specializzate agrarie (3);
3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si
concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se
non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle
modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza
autonomamente l'attività lavorativa (4); (aggiunta 2017)
4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente
attività economica;
5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché
non siano devoluti dalla legge ad altro giudice.
Dopo il suo intervento è stato aggiunto un comma che rende noto cosa si intenda per collaborazione
coordinata e continuativa: rimane lavoratore autonomo.
Rimangono nell’ambito del lavoro autonomo, se ci troviamo nel sottoinsieme l’autonomia del collaboratore
diminuisce (non è automaticamente subordinato) e quindi si applicano le norme relative al lavoro
subordinato, salvo incompatibilità.
PROSEGUE ARTICOLO 2
2. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento:
a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti
il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative
del relativo settore (C); se c’è un contratto nazionale che regolamenta quella tipologia non si applicano
quelle modalità (libertà sindacale).
b) alle collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria
l'iscrizione in appositi albi professionali;
Avvocati, architetti etc., per loro, a volte, non si applicano.
c) alle attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di
amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;

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d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive
dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti
di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall'articolo 90 della
legge 27 dicembre 2002, n. 289 [, nonché' delle società sportive dilettantistiche lucrative] (2) (D).d-bis)
alle collaborazioni prestate nell'ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli da parte
delle fondazioni di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367 (E)(3). d-ter) alle collaborazioni
degli operatori che prestano le attività di cui alla legge 21 marzo 2001, n. 74(4).
3. Le parti possono richiedere alle commissioni di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276, la certificazione dell'assenza dei requisiti di cui al comma 1. Il lavoratore può
farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce manda to o da
un avvocato o da un consulente del lavoro.
4. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione nei confronti delle pubbliche
amministrazioni. [Dal 1° gennaio 2018 è comunque fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di
stipulare i contratti di collaborazione di cui al comma 1.]
Vi sono casi in cui la disposizione del comma 1 non trova applicazione.
Cosa accade se queste disposizioni non si applicano? Continuano a trovare applicazioni le norme per le
normali collaborazioni.
RIDER
Sono delle persone che fanno delle consegne a domicilio e lavorano tramite piattaforma.
Dal punto di vista giuridico hanno creato diversi problemi: è lavoro subordinato o lavoro autonomo?
In realtà negli anni ’80 c’era stato un fenomeno simile (FILM: IL RAGAZZO DEL PONY EXPRESS).
Vi erano tanti ragazzi che andavano a domicilio: i pony express avevano i walkie talkie: parlavano con una
centrale che prendeva gli ordini e avvisava i singoli su dove dovevano fare la consegna.
Anche la loro situazione aveva portato un grande dibattito.
In quel momento specifico prevalse l’idea che quello fosse lavoro autonomo: quello che era stato considerato
elemento fondamentale era la possibilità per il pony di RIFIUTARE LA CHIAMATA.
La questione riemerge in modo più complicata oggi: vi è un soggetto che ha bisogno di cibo e chiama un
soggetto terzo perché glielo porti.
Noi abbiamo un approccio diverso poiché c’è una tecnologia diversa e non passiva della stessa app.
L’app ha un ruolo attivo: derivante dalle stelline che lo stesso consumatore lascia a fine servizio che viene
incorporata negli algoritmi e ha una ricaduta su quello che il RIDER può, deve o è costretto a fare.
- meno consegne, orari diversi o addirittura divieto di accesso all’applicazione.
In particolare, la prima sentenza che si occupa di RIDER è quella di Torino, che in primo grado considera
lavoratori autonomi.
Si va in Appello che cambia l’impostazione: No, sono si autonomi, ma etero organizzati:
- la modalità di esecuzione è continuativa, coordinata (con il committente = piattaforma) e organizzata.
Anche la cassazione del 2020 ha seguito la stessa opinione (distinguendo tra eterodiretto ed etero
organizzato).
Sono quindi considerati collaboratori coordinati e continuativi etero organizzati.

110
Il modo con la quale interviene è stata considerata come caratteristica per considerazione di
subordinazione. (TRALASCIA) Al momento in Italia è considerato etero organizzato.
Il legislatore ha fatto proprio tutto questo ed ha aggiunto delle ulteriori tutele:
Tutela del lavoro tramite piattaforme in digitale (livelli minimi di tutela)
Forma contrattuale scritta
Necessità di tutela relativa al compenso
I RIDER venivano pagati solo in relazione alle consegne effettuate, successivamente si è cercato di avere
determinate retribuzioni minime.
Si prevede un compenso minimo orario
Divieto di discriminazione e sicurezza (copertura infortuni sul lavoro)
Il legislatore ha applicato la legge nel 2017 che riguarda alcune tutele per il lavoro autonomo in generale:
Divieto di porre condizioni eccessivamente a favore del committente
Divieto di discriminazione
Maternità
Rimane aperta la questione delle professioni false autonome.
Esistono altre figure di lavoro autonomo:
Prima della modifica del 2015 era l’associazione in partecipazione: modalità con cui il conferimento
in una società può avvenire con il conferimento non solo di capitali ma anche di altro.
“L’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili dell’impresa verso il conto di un
corrispettivo di un determinato apporto.”
Facendo riferimento ad un determinato apporto in senso generico, fino al 2015 era riconosciuto che l’apporto
potesse essere qualsiasi cosa: una cosa determinata, un immobile, partecipazione azionaria.
Questa questione dell’associato in partecipazione (aveva riferimento nelle commende medievale) in cui nelle
prime grandi modalità di organizzazione del commercio: c’era chi metteva capitale, chi ci metteva il lavoro e
poi si divideva l’utile.
Negli anni 2012/2013 era emerso uno scandalo (Calzedonia) che nei negozi aveva delle commesse
inquadrate come: associate in partecipazione.
Il legislatore ha cercato di rendere più difficile l’utilizzo di questa categoria di lavoro.
La giurisprudenza ha tentato di trovare la modalità di riconoscere quando vi era un lavoro subordinato
mascherato e quando vi era un rapporto di associazione di partecipazione.
Nel 2015 è stato aggiunto un secondo comma:
Nel caso in cui l’associato sia una persona fisica, l’accordo di cui al primo comma non può consistere,
nemmeno in parte, ad una prestazione di lavoro.
Altro caso rilevante di lavoro e società è il lavoro in cooperativa: in particolare, vi è la legge 142/2001 dove
c’è un intervento del legislatore.
Le cooperative sono delle particolari società che hanno delle finalità mutualistiche (venire in contro alle
esigenze dei soci).
COOP=esigenza dei soci di avere alimentari a prezzi contenuti e di qualità.
COOPERATIVE DI LAVORO = dare ai soci migliori occasioni di lavoro.

111
Questa duplice accezione del soggetto che da una parte è socio, dall’altra parte è lavoratore ha sempre creato
qualche problema interpretativo.
Ai soci di cooperativa tradizionalmente non si applicava l’art.36 perché si diceva che non si fosse
liberamente un lavoratore ma un ibrido.
Grazie a questa legge il legislatore ha separato il ruolo di socio da quello di lavoratore.
I soci lavoratori hanno un ruolo nella gestione dell’impresa (decidono cosa deve fare) particolare.
Art. 1.
(Soci lavoratori di cooperativa).
1. Le disposizioni della presente legge si riferiscono alle cooperative nelle quali il rapporto mutualistico
abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio, sulla base di previsioni di
regolamento che definiscono l'organizzazione del lavoro dei soci.
2. I soci lavoratori di cooperativa:
a) concorrono alla gestione dell'impresa partecipando alla formazione degli organi sociali e alla
definizione della struttura di direzione e conduzione dell'impresa;
b) partecipano alla elaborazione di programmi di sviluppo e alle decisioni concernenti le scelte
strategiche, nonché alla realizzazione dei processi produttivi dell'azienda;
c) contribuiscono alla formazione del capitale sociale e partecipano al rischio d'impresa, ai risultati
economici ed alle decisioni sulla loro destinazione;
d) mettono a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato
dell'attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa
stessa.
3. Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente
all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, in forma
subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione
coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali.
Dall'instaurazione dei già menzionati rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i
relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti
dalla presente legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi
o da qualsiasi altra fonte.
Si desume dal comma 3 che vi sono due tipi di rapporto: associativo e di lavoro.
Il rapporto di lavoro è instaurato in una delle forme previste dall’ordinamento.
Le norme applicabili sono quelle dei lavoratori subordinati, salvo eventuali specificità.
È il tribunale del lavoro che ha la competenza principale quando dallo scioglimento del rapporto di socio si
ha una ricaduta anche sul rapporto lavorativo.
Ci sono alcune modalità di trattamento economico:
Possibilità di applicare alcuni riferimenti alla retribuzione minima (art. 7 decreto legislativo 2007)
LAVORO OCCASIONALE
Nasce nel 2003 (decreto legislativo 276) sull’esempio della Francia questa nuova modalità lavorativa.
Viene pensata con uno strumento Vaucher che viene dato dal committente al lavoratore:

112
 Il committente compra il buono dal tabaccaio (10 euro), lo dà al lavoratore che a sua volta andrà in
un altro tabaccaio e riceve i suoi 7 euro.
Il legislatore voleva regolare i lavoretti, si partiva da:

 Prestazioni occasionali di giardinaggio


 Ripetizioni
Il legislatore su impronta della Francia decide in questi casi di usare un modo per limitare il tasso di evasione
e di pagare i contributi previdenziali. (C’è la parte della copertura previdenziale che copre eventuali
infortuni)
Nel corso del tempo intervengono i vari governi:
- 2003, 2004, 2006, 2007, 2008, 2012, 2013 e 2015, in cui a seconda del governo in carica vengono tolti i
limiti di impedimento per l’uso di questa tipologia lavorativa:
Nel 2017, dopo la riforma del Jobs act (che aveva rimosso ogni limite, tranne quello per limitare chi poteva
utilizzarla), accade che i sindacati si rendono conto che il numero di Vaucher passa da poche migliaia a più
di 2 milioni.
Questa tipologia a quel punto dal 2017 viene usata come tipologia lavorativa anche nei settori industriali, da
imprenditori che prendevano un lavoratore in nero e poi tiravano il Vaucher davanti all’ispettore.
Nel 2017 i sindacati prendono le firme per un referendum che si sarebbe dovuto dare nel maggio 2017.
Il governo Renzi decide di abrogare i Vaucher, a giugno viene inserita e creata un’altra tipologia lavorativa
che reintegra gran parte dei limiti aboliti precedentemente e molto simile ai Vaucher.
Vi sono due modalità di possibile uso del lavoro occasionale:

 Libretto di famiglia
 Contratto di prestazione occasionale
Tali tipologie di contratto di lavoro, presentano profili di specificità in relazione all’oggetto della
prestazione, alla misura minima dei compensi e dei connessi diritti di contribuzione sociale obbligatoria,
nonché alle modalità di assolvimento degli adempimenti informativi verso l’Istituto.
Libretto di famiglia (LF)
Possono fare ricorso a prestazioni di lavoro occasionali tramite Libretto Famiglia (LF) soltanto le persone
fisiche che non esercitano attività professionale o d’impresa.
Mediante il Libretto Famiglia, l’utilizzatore può remunerare esclusivamente le prestazioni di lavoro
occasionali rese in suo favore per:

 lavori domestici, inclusi i lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione


 assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità
 insegnamento privato supplementare
Il Libretto Famiglia è composto da titoli di pagamento, il cui valore nominale è fissato in 10,00 euro,
utilizzabili per compensare prestazioni di durata non superiore ad un’ora.
Il valore nominale di 10 euro è così suddiviso:

 € 8,00 per il compenso a favore del prestatore


 € 1,65 per la contribuzione ivs alla Gestione separata INPS
 € 0,25 per il premio assicurativo INAIL

113
 € 0,10 per il finanziamento degli oneri di gestione della prestazione di lavoro occasionale e
dell’erogazione del compenso al prestatore
Al termine della prestazione lavorativa, e comunque entro il terzo giorno del mese successivo a quello di
svolgimento della prestazione stessa, l’utilizzatore – tramite la piattaforma telematica – è tenuto a
comunicare:

 i dati identificativi del prestatore


 il luogo di svolgimento della prestazione
 il numero di titoli utilizzati per il pagamento della prestazione
 la durata della prestazione
 l’ambito di svolgimento della prestazione
 altre informazioni per la gestione del rapporto
Contratto di prestazione occasionale (Cpo)
Il Contratto di prestazione occasionale (Cpo) è il contratto mediante il quale un utilizzatore acquisisce, con
modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità.
Possono fare ricorso al Contratto di prestazione occasionale (Cpo), professionisti, lavoratori autonomi,
imprenditori, associazioni, fondazioni ed altri enti di natura privata, nonché amministrazioni pubbliche (con
specifiche regolamentazioni valide per la pubblica amministrazione e per le imprese del settore agricolo).
La misura del compenso è fissata dalle parti, purché non inferiore al livello minimo, in 9,00 €/ora di
prestazione lavorativa. Inoltre, l’importo del compenso giornaliero non può essere inferiore alla misura
minima fissata per la remunerazione di quattro ore lavorative, pari a 36,00 €/giorno, anche qualora la durata
effettiva della prestazione lavorativa giornaliera sia inferiore a quattro ore.
Al compenso spettante al prestatore, si applicano i seguenti oneri a carico dell’utilizzatore:

 contribuzione IVS Gestione separata INPS nella misura del 33,0% (ossia, 2,97€/ora)
 premio assicurativo INAIL nella misura del 3,5 % (ossia, 0,32€/ora)
 Sui versamenti complessivi effettuati dall’utilizzatore sono dovuti gli oneri di gestione della
prestazione di lavoro occasionale e dell’erogazione del compenso al prestatore nella misura dell’1,0
%.
Non è ammesso il ricorso al contratto di prestazione lavoro occasionale ai datori di lavoro che hanno alle
proprie dipendenze più di 5 lavoratori subordinati a tempo indeterminato: il calcolo numerico si fa su base
semestrale dal 8° al 3° semestre antecedente la data di svolgimento della prestazione occasionale.
Inoltre, è fatto divieto di utilizzo di questa formula contrattuale per:

 imprese edili e settori affini


 nell’ambito di esecuzione di appalti (d’opera o servizi)
 in agricoltura (salvo casi particolari)
Allo scopo di semplificare gli adempimenti informativi del Contratto di prestazione occasionale, nell’ambito
di un’unica comunicazione si adempiono gli obblighi di informazione preventiva e di rendicontazione della
prestazione lavorativa.
A tal fine, almeno sessanta minuti prima dell’inizio dello svolgimento della prestazione lavorativa,
l’utilizzatore, tramite la piattaforma informatica INPS o avvalendosi dei servizi di contact center messi a
disposizione dall’INPS, è tenuto a fornire le seguenti informazioni:

 i dati identificativi del prestatore


 la misura del compenso pattuita

114
 il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa
 la data e l’ora di inizio e di termine della prestazione lavorativa
 il settore di impiego del prestatore
 altre informazioni per la gestione del rapporto di lavoro.
La comunicazione avviene mediante l’utilizzo di un calendario giornaliero gestito attraverso la procedura
INPS, con l’indicazione giornaliera delle prestazioni.
Essendo una comunicazione preventiva, laddove, per evenienza di carattere straordinario (per es.,
indisponibilità sopravvenuta del prestatore), la prestazione medesima non dovesse essere resa, l’utilizzatore
effettua (procedura telematica INPS) la revoca della dichiarazione inoltrata, purché ciò avvenga entro le ore
24.00 del 3° giorno successivo a quello originariamente previsto per lo svolgimento della singola
prestazione.
LAVORO SUBORDINATO
Le varie tipologie di lavoro hanno delle particolarità rispetto al contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato che però resta il riferimento fondamentale per la regolamentazione:

 disciplina
 trattamento
 causa
Tutto quello che non è contenuto nelle norme speciali dedicate ad alcune tipologie particolari, si rimanda alla
disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e del relativo rapporto, salvo eventuali
specificità.
Per il lavoro subordinato è necessario capire se ci troviamo all’interno della subordinazione (inquadramento)
prima di entrare nelle regole giuridiche da applicare.
Dopo aver compreso che ci troviamo in una situazione in cui sussiste l’etero direzione (sottoposizione al
potere direttivo e disciplinare del datore) bisogna verificare quale tipologia di lavoro subordinato abbiamo.
Vi sono alcuni rapporti che sono chiamati: rapporti di lavoro speciali che non hanno differenze strutturali
(rispetto al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato) ma hanno delle specificità di disciplina.
(settori particolari)

LAVORO SPORTIVO
Tipologia di lavoro speciale, oggetto di un primo intervento regolativo nel 1981, con una legge che si
occupava solo di sportivi professionisti (calciatori).
Oggi questa legge è stata abrogata con il decreto legislativo 36/2021 entrato in vigore dal 1/01/2023.
COSA È STATO FATTO?
È stato allargato l’ambito in cui la disciplina normativa trova attuazione, vi è un riferimento alla possibilità
che ci siano altri settori che possano passare al professionismo (femminile).
C’è stata la possibilità di tutela anche per sportivi dilettanti e non solo professionisti, restano fuori solo gli
sportivi amatoriali (esclusa qualsiasi remunerazione).
Oggi, nell’ambito del lavoro sportivo, vi è la possibilità di utilizzare tutte le tipologie contrattuali presenti
nell’ordinamento:

115
 lavoro subordinato
 lavoro autonomo
 collaborazioni continuative e coordinate
 collaborazioni etero organizzate
Ci sono delle specificità di disciplina:
1. Riconoscimento dell’autonomia dello sport (ente che lo rappresenta è il C.O.N.I)
Per il lavoro si applicano le norme del diritto del lavoro subordinato con qualche specificità:

 Il contratto di lavoro sportivo deve essere coerente con il modello presentato dal CONI
Vi sono delle norme che non si applicano al lavoro sportivo:

 Licenziamento
 Contrattazione a termine (per gli sportivi professionisti esiste un unico termine massimo di 5 anni ed
esiste la possibilità di reiterare questo limite senza vincoli).
È impossibile recedere unilaterale prima della fine del termine del contratto salvo che tutte le parti siano
d’accordo. (giocatore-società)
Per il resto si applica la disciplina del lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Per i professionisti c’è sempre e comunque una presunzione di subordinazione, perché la modalità con cui il
professionista svolge la sua attività è direttamente correlata alle modalità con cui la subordinazione viene
esercitata.
LAVORO A DOMICILIO
È una tipologia lavorativa che ha avuto molto spazio in passato e tutt’ora in alcuni settori (tessile).
Il lavoratore a domicilio è colui che lavora a casa ma nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato.
Questa legge del 1973 che è ancora in vigore prevede una specifica disciplina: siamo sempre nell’ambito
della subordinazione, tiene a precisare che la modalità con cui si verifica la subordinazione (etero direzione)
è legata all’elemento direttivo; anche se non c’è la possibile continua modalità di ordini dal datore (poiché
lavora a casa). Già presente nella Firenze del ‘300, oggi nella linea della produzione.
Nel 1973 il legislatore ha cercato di definire che quella è una tipologia di lavoro subordinato.
Quando si parla di:

 TELELAVORO (schema più rigido, lavoro da casa ma con una postazione fissa al computer e di
orario)
Vi sono contratti normativi e accordi: accordo del 2004 è il più rilevante.
Si tratta non di una tipologia contrattuale ma di una modalità di esercizio dell’attività lavorativa: con cui la
subordinazione viene organizzata con modalità flessibili.

 Lavoro agile (possibilità di utilizzo flessibile dello stesso orario di lavoro)


Qui è presente la legge 81/2017 per il lavoro autonomo: in quella legge c’è una parte che riguarda appunto il
lavoro agile.
Nel lavoro agile si guarda più al risultato che alla modalità. (parliamo comunque di lavoro subordinato in cui
alcuni elementi sono più flessibili).
Alcuni riferimenti sono stati ripresi durante la pandemia.
116
- Decreti-legge che hanno ripreso le norme dandogli ulteriore forza, per portare avanti determinati lavori,
attraverso deroghe e modifiche.
LAVORO DOMESTICO
In questo caso il tipo di lavoro è legato al luogo e alla particolarità del datore di lavoro (famiglia).
Il lavoro domestico è lavoro subordinato, vi sono alcune specifiche norme che regolano il lavoro domestico
nel Codice civile.
C’è una legge del 1958 (tutt’ora in vigore ma con un campo di attuazione limitato) si applica solo al lavoro
domestico fisso (almeno 4 ore al giorno e che vivono presso la famiglia).
Ci sono delle convenzioni internazionali approvate nel 2011 per un ulteriore tutela.
La particolarità in questo ambito è l’esclusione delle norme sul licenziamento, salvo quello discriminatorio.
Nel lavoro domestico non vi è la necessità di giustificare un licenziamento, è correlato al fatto che siamo
nell’ambito familiare e non di impresa.
La Corte costituzionale ha ritenuto NON INCOSTITUZIONALE LA NON APPLICABILITA’ del divieto di
licenziamento durante la maternità (introdotto negli anni ’50) escluso nel lavoro domestico.
Vi sono dei contratti collettivi che specificano il lavoro in quell’ambito ma solitamente si applicano le norme
relative al lavoro subordinato.
LAVORO NAUTICO
Ha una sua particolarità: è ricompreso tra i rapporti speciali di lavoro.
Ha due tipologie:

 Marittimo (su navi)


 Aeronautico (su aerei)
Sono entrambi disciplinati nel codice della navigazione (codice approvato nel ’42 che ha una particolare
disciplina).
L’art. 1 del codice della navigazione prevede dei principi generali secondo cui le questioni vanno risolte
all’interno del codice stesso e l’eventuale applicazione di norme esterne (diritto del lavoro) sono applicabili
in modo RESIDUALE.
Nel corso del tempo vi è stata un’attenuazione rispetto a questa specificità e attraverso vari interventi si è
arrivato a ritenere che oggi il lavoro marittimo sia molto più vicino al normale lavoro subordinato (rispetto
all’art.1.
Prima sentenza della Corte costituzionale c’è stata per lo sciopero dei lavoratori nautici, il codice della
navigazione non lo conteneva (reato), la Corte ha affermato però che l’art. 40 costituzione si applica anche al
lavoro marittimo.
La corte è intervenuta anche per quanto riguarda le norme in materia di licenziamento, fino a qual momento
al lavoro marittimo era applicabile la possibilità di sciogliere unilateralmente il contratto.
Il motivo della specialità del lavoro marittimo è legato alla sicurezza della navigazione (sono quindi
giustificate modalità normative differenti).
A differenza del contratto di lavoro subordinato, il contratto di arruolamento necessita di forma:

 Scritta
 Per atto pubblico (davanti ad autorità marittima)
117
Vi sono delle specificità anche legate al fatto che le competenze di chi lavora per mare devono essere
accertate. (iscrizione alle matricole solo con determinate caratteristiche)
La specificità si vede anche nell’ambito del collocamento e anche durante il periodo di navigazione (il
comandante sulla nave ha un potere gerarchico rispetto a tutti coloro presenti sulla nave).
LAVORO PENITENZIARIO
La riforma del 1975 ha avuto un impatto particolare e in quell’ambito c’è anche una parte dedicata al lavoro.
(interno o esterno al carcere art.21)
Anche in questi casi vi sono specialità della disciplina.
Il detenuto può lavorare attraverso tre tipologie di lavoro:
1. Dentro al carcere (date dall’amministrazione penitenziaria)
2. Fuori dal carcere (presso operatori privati con applicazione delle normali regole di lavoro salvo
regole relative alla sicurezza)
3. Le aziende private entrano in carcere e aprono ambiti di produzione. (Opera e Bollate)
LAVORO GIORNALISTICO
È un normale lavoro subordinato a tempo indeterminato ma in cui la necessità di essere iscritto all’ordine è
una eventuale ragione per la nullità del contratto di lavoro.
LAVORO NEI TRASPORTI
Nei trasporti delle tranvie vi sono norme speciali per la sicurezza legate alle regole degli anni ’30.
TIPOLOGIE ATIPICHE

 Lavoro a tempo determinato


 Lavoro a tempo parziale
 Lavoro intermittente
 Contratti di formazione-lavoro
 Apprendistato
 Stage
Queste tipologie atipiche hanno un’accezione di tipo sociologico, perché differenti dal tipico contratto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato.
La tipicità dipende dai punti di vista, sono legate al passaggio dal sistema Fordista al sistema post-Fordista.
La produzione è cambiata dagli inizi anni ’80.
Con questo passaggio si intende che:
Nel sistema Fordista:

 Si produceva tutto in una fabbrica nello stesso momento


 La produzione era legata a rifornimenti che venivano in quella fabbrica
 Necessità di avere tutto il ciclo produttivo in un luogo
 La produzione era legata a forti quantitativi di produzione
Nel sistema post-Fordista:

 Nuove tecnologie
 Possibilità di far viaggiare le merci
 Nuovi mercati dove il costo del lavoro era più basso
118
 Evoluzione dei consumatori
 Necessità di prodotti individualizzati.
Si produce meno e attraverso una lunga filiera produttiva.
Da queste necessità di cambiamento produttivo sono emerse necessità di usare forme lavorative più flessibili.
(flessibilità riferita alla modalità anche di conclusione di un contratto)
CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO A TEMPO DETERMINATO
Oggi le norme in vigore sono nel decreto legislativo 81/2015.
Il Codice civile del 1865 all’art. 1628: prevedeva che nessuno può obbligare la propria opera all’altrui
servizio a tempo o per una determinata impresa. (Regno di Sardegna)
Nel frattempo, emerge l’industrializzazione e quindi: scambio tra sicurezza del lavoro e flessibilità nell’uso
della forza lavoro.
Il lavoro in fabbrica con questo scambio diventa il tipico contratto di lavoro Fordista.
In Italia emerge nel 1924. La legge sull’impiego privato prevede il riconoscimento del lavoro subordinato
come a tempo indeterminato e il termine diventa un’eccezione.
Nell’evoluzione della tipologia il rapporto tra regola ed eccezione (tra indeterminato e a termine) cambia
negli anni, questo rapporto era contenuto anche nell’art. 2097 in modo abbastanza flebile:
Art. 2097
Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato se il termine non risulta dalla specialità del
rapporto o da atto scritto.
Dall’indagine degli anni ’50 si capisce come in realtà l’utilizzo da parte degli imprenditori di contratti a
termine il più delle volte fosse abusivo. (era però difficile dimostrarlo)
Nel 1962 (governo di centro-sinistra) una prima legge emanata è quella sul contratto a tempo determinato:
La legge 230 del 1962 pone delle rigidità: il contratto a tempo determinato deve essere SEMPRE giustificato
per ragioni eccezionali:

 Lavori stagionali
 Lavori con diritto alla conservazione del posto (militari o gravidanza)
 Lavoro nello spettacolo
A partire dagli anni ’80 i datori di lavoro insistono per un uso più flessibile proprio nel passaggio da un
sistema all’altro.
La giurisprudenza aveva ritenuto che i picchi di produzione (produttori di panettoni: picco solo a Natale) non
erano tipologie adatte a contratti a tempo determinato.
Il legislatore interviene per aggiungere la possibilità dei picchi di produzione ripetuti.
Il legislatore nell’ ’87 permette alla contrattazione collettiva di prevedere essa stessa altre ragioni
giustificanti.
La legge del 1962 è stata abrogata dal decreto legislativo 368/2001 raggiunto dalla direttiva dell’UE 70/1999
(una delle 3 direttive in materia di lavoro atipico).

 1977 part-time
 2008 somministrazione

119
Le prime due direttive derivano da un accordo tra le grandi parti sindacali e l’UE.
Questa direttiva entra in vigore due anni dopo e nel 2001 vi è la necessità di attuarla nell’ordinamento.
In quel caso il governo dell’epoca (Berlusconi II) approfitta della necessità di attuarla per modificare la
normativa in materia di contratto a tempo determinato.
Viene abrogata la legge del 1962 e viene introdotto un sistema differente:

 Non ci sono più ragioni eccezionali e tassative


 Introdotta una causale unica (più vaga)
Quello che il decreto dice è che queste ragioni devono poi essere giustificate in contratto.
Questa normativa ha subito diverse modifiche fino a quando è stata abrogata con il Jobs Act e con il decreto
legislativo 81/2015 che ha previsto modalità differenti.
La direttiva 70/1999 è una direttiva in vigore dal 2001 che contiene alcune rilevanze:

 È relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.


Lo scopo della direttiva è quello di attuare l’accordo. (luglio 2001 termine)
L’accordo è composto da:

 Preambolo
 Considerazioni generali
 Accordo
Tutto quello che precede l’accordo non ha immediato effetto giuridico ma è necessario dal punto di vista
interpretativo.
6. considerando che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei
rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il
rendimento
Ha una fondamentale importanza, è una delle questioni poste in relazione al diritto interno.
La corte di giustizia ha detto che c’è sempre il rapporto tra normativa e deroga.
7. considerando che l'utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni
oggettive è un modo di prevenire gli abusi;
8. considerando che i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica
dell'impiego in alcuni settori, occupazioni e attività atta a soddisfare sia i datori di lavoro sia i
lavoratori
Ci sono due questioni che la direttiva va a tutelare:

 Principio di non discriminazione (parità di trattamento tra termine e indeterminato)


Principio di non discriminazione (clausola 4)
1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere
trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di
avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni
oggettive.

 Misura di prevenzione degli abusi (derivanti dall’uso di una successione di contratti a tempo
determinato)
120
Misure di prevenzione degli abusi (clausola 5)
1. Per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a
tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei
contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di
norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori
e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
Non posso usare il rapporto a tempo determinato in moda da oltrepassare la normativa generale.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del
caso, stabilire a
quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
a) devono essere considerati «successivi»;
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato.
4. IL PRESENTE ACCORDO NON PREGIUDICA IL DIRITTO DELLE PARTI SOCIALI DI
CONCLUDERE, AL LIVELLO APPROPRIATO, IVI COMPRESO QUELLOEUROPEO, ACCORDI CHE
ADATTINO E/O COMPLETINO LE DISPOSIZIONI DEL PRESENTE ACCORDO IN MODO DA
TENERE CONTO DELLE ESIGENZE SPECIFICHE DELLE PARTI SOCIALI INTERESSATE.
In quel periodo di cambiamento del diritto interno i giudici italiani hanno affermato la violazione della
direttiva UE.
Nella clausola di non regresso (punto 4 maiuscolo), la corte di giustizia ha affermato che gli stati possono
modificare la loro normativa interna purché la riduzione di tutela non sia l’unico motivo.
Oggi si ha una regolamentazione molto più flessibile rispetto ad altri paesi.
Il 6 considerando viene usato nell’interpretazione della corte che è arrivata a dire che: il ricorso ai contratti a
tempo determinato riveste carattere eccezionale rispetto a quelli a tempo indeterminato (sentenza Lufthansa
2011-109/2009).
Con la sentenza Bianca del 2012: si dice che le esigenze devono essere temporanee, il rapporto di regola
deroga è legato alla temporaneità dell’uso del contratto a termine.
COSA SUCCEDE SE C’E’ UNA VIOLAZIONE DEL CONTENUTO DELLA NORMATIVA IN
MATERIA DI CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO?
L’ordinamento italiano aveva introdotto un’indennità risarcitoria limitata: quello che dice la corte è che è
compatibile con la direttiva dell’unione.
La corte dice: non per forza la trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato è l’unica forma
di sanzione prevista dalla direttiva (effettiva a far sì che il comportamento non sia ripetuto.)
La Corte costituzionale aveva già espresso la propria opinione in merito: dicendo che l’Italia aveva già una
legislazione conforme alla direttiva UE.
La necessità di attuare qualche precetto fu la giustificazione del legislatore (d. legislativo 368/2001) di
attuare l’accordo tra le parti sociali senza la firma della CGIL.

121
Si decide poi di cambiare la disciplina del rapporto a tempo determinato:

 Viene eliminato l’elenco tassativo


 Viene eliminato l’art. 1 della legge del 1962 (il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato
salvo le eccezioni)
Una delle questioni su cui riflettere era il rapporto tra regola ed eccezione.
Alla fine, la corte di giustizia ammette che questo principio sia già insito nella direttiva, quindi nonostante
nel decreto legislativo 368/2001 non venne riproposto questo principio era contenuto.
Il decreto legislativo 368/2001:

 Elimina le eccezioni tassative


 Prevede clausola generale molto più flessibile (è prevista la posizione più inferte al contratto di
lavoro a fronte di ragioni di carattere: tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo)
Il decreto prevedeva anche la necessità di specificare per iscritto (ab sustanziam) le ragioni di carattere
previste dalla clausola generale.
ESEMPIO: picchi di produzione dei panettoni (sarebbe stato possibile usare il picco produttivo per assumere
lavoratori a termine purché nel contratto fosse stato scritto).
“le ragioni di carattere produttivo correlate alla maggior produzione dei panettoni natalizi”
Negli anni 2000 e in relazione ai governi succedutosi negli anni; si è assistito ad interventi regolativi
frequenti.
1. Nel 2008 (governo Prodi) si decise di reinserire la clausola che prevedeva il rapporto di regola a
deroga tra tempo determinato e tempo indeterminato.
Alla fine dopo varie soluzioni si decise di inserire “il sesto considerando” cioè quello della direttiva dell’UE
sottolineando che i contratti a tempo indeterminato sono la forma comune nei rapporti di lavoro.
Nel 2010 ci fu un intervento abbastanza ampio in materia di lavoro:
Con il governo di centro destra “collegato lavoro” (dove per la prima volta il presidente della Repubblica in
quel campo decise di non firmare una legge approvata dal parlamento) vengono fatte due cose in materia di
lavoro a tempo determinato:

 Si interviene in ambito processuale (anche per il contratto a termine venne inserita la decadenza):
fino a quel momento l’impugnazione del contratto a tempo determinato dava luogo a questioni di
nullità.
Quello che fa la legge in questo caso è prevedere anche in relazione all’impugnazione del contratto a tempo
determinato la decadenza. (stesso principio che veniva utilizzato in materia di licenziamento).
Nel 2010 viene modificata anche la modalità con cui il termine di decadenza può essere fatto valere: quello
che fa nel 2010 il collegato lavoro è prevedere un doppio termine:

 Un primo termine per impugnare la questione con un atto stragiudiziale (raccomandata al datore di
lavoro della volontà di impugnare)
60 giorni per il licenziamento e 120 giorni per il lavoro a termine
 Un secondo termine di decadenza per impugnare la questione in tribunale.
Sul lavoro a tempo determinato la questione di nullità poteva prevedere anche semplicemente il fatto di
aspettare senza un termine.

122
La seconda questione che viene inserita nel contratto a tempo determinato nel 2010 è quella di prevedere per
il passato, nel caso in cui il giudice dovesse decidere di trasformare il contratto a termine in un contratto di
lavoro a tempo indeterminato, una indennità risarcitoria per limitare il risarcimento ottenibile dal lavoratore.
(indennità risarcitoria da 2,5 a 12 mensilità onnicomprensiva).
Nel 2012 (governo Monti governo di unità nazionale) si interviene con la riforma Fornero in vari ambiti in
materia di lavoro e anche sul contratto a tempo determinato:
COME?
Con una novità significativa rispetto al passato:
Nel 2012 prevede la possibilità di un primo contratto senza necessità di giustificazione e poi eventuali
proroghe e rinnovi invece avrebbero continuato a rispettare la causale. (per la prima volta dal 1924).
Questo primo intervento della legge Fornero viene utilizzato ancora più in profondità da parte dei governi
successivi:

 Nel 2013 vengono previste alcune tipologie di contratto a tempo determinato senza ragioni
causali (start-up innovative.
 Nel 2014/2015 il governo Renzi interviene eliminando la necessità di inserire le ragioni causali al
contratto a tempo determinato. (non soltanto per il primo contratto ma per tutte le modalità).
Questa modalità viene inserita nel decreto legislativo 81/2015.
Nel 2018 con il decreto DIGNITA’ (primo governo 5 Stelle/Lega al governo) viene modificata nuovamente
la normativa del contratto a termine e si torna alla modalità che era stata prevista nel 2011 (primo contratto a
tempo determinato libero per primi 12 mesi e poi la necessità di inserire una giustificazione causale).
Nel 2018 viene anche ridotta la durata massima del contratto a tempo determinato (fino a quel momento era
sempre stato di 36 mesi) a 24 mesi.
DECRETO LEGISLATIVO 81/2015
Art. 1
Forma contrattuale comune
1. Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di
lavoro.
Norma che nel decreto 368/2001 era stata tolta, poi rimessa e poi modificata: oggi è stata inserita
nell’articolo uno del decreto legislativo 81/2015.
Questo rapporto di regola/deroga non varrà più soltanto per il contratto a tempo determinato ma per tutte le
tipologie contrattuali.
CAPO III
Lavoro a tempo determinato
Articolo 19
Apposizione del termine e durata massima
1. Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici
mesi.
Per i primi 12 mesi non è necessaria alcuna giustificazione causale.
Disciplina modificata nel 2018:
123
Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in
presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
a) esigenze temporanee (anche non molto brevi) e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero
esigenze di sostituzione di altri lavoratori (carattere sostitutivo non solo previsto per legge come la
maternità). (creare nuovo prodotto)
In questo caso il legislatore riprende alcune modalità di intervento della legge del 1962.
b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività
ordinaria;
vi sono ancora dubbi interpretativi soprattutto sulla non programmabilità.
Ci si è chiesti se i picchi di produzione siano protetti da questo punto (programmabilità).
oggi abbiamo un periodo di 12 mesi senza produzione (imprenditore potrebbe usare ogni anno il periodo di
12 mesi per coprire quella esigenza ma con altri lavoratori).
b-bis) specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all'articolo 51.
Introdotta nel periodo pandemico per evitare che i contratti a termine venissero a scadenza, scaduta il
30/09/2022.
Al momento non è più in vigore ma può anche essere che si possa trovare un punto di incontro per
reinserirla.
1.1. Il termine di durata superiore a dodici mesi, ma comunque non eccedente ventiquattro mesi, di cui
al comma 1 del presente articolo, può essere apposto ai contratti di lavoro subordinato qualora si
verifichino specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di lavoro di cui all'articolo 51, ai sensi
della lettera b-bis) del medesimo comma 1, fino al 30 settembre 2022 (3).
1-bis. In caso di stipulazione di un contratto di durata superiore a dodici mesi in assenza delle
condizioni di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di
superamento del termine di dodici mesi.
La sanzione della trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato è la normale
sanzione prevista in caso di violazione delle norme in relazione al contratto a termine.
2. Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l'eccezione delle attività ' stagionali di
cui all'articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo
stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo
svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di
interruzione tra un contratto e l'altro, non può superare i ventiquattro mesi. Ai fini del computo di
tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e
categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell'ambito di somministrazioni di lavoro a tempo
determinato. Qualora il limite dei ventiquattro mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di
una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di
tale superamento.
È la clausola che contiene la durata massima, con alcune eccezioni:

 I contratti collettivi potrebbero prevedere in teoria una durata superiore ai 24 mesi.


 Il termine massimo di 24 mesi può essere legato ad un solo contratto ma anche indipendentemente
dai periodi di interruzione (per una serie di contratti successivi non per forza di seguito).
La durata massima è comunque legata al tipo di mansione concretamente svolta dal lavoratore.

124
3. Fermo quanto disposto al comma 2, un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi
soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso la direzione territoriale del
lavoro competente per territorio (ufficio del ministero del lavoro). In caso di mancato rispetto della
descritta procedura, nonché' di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si
trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione (C).
4. Con l'eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici giorni, l'apposizione del
termine al contratto è privo di effetto se non risulta da atto scritto, una copia del quale deve essere
consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della
prestazione. L'atto scritto contiene, in caso di rinnovo, la specificazione delle esigenze di cui al comma
1 in base alle quali è stipulato; in caso di proroga dello stesso rapporto tale indicazione è necessaria
solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi.
5. Il datore di lavoro informa i lavoratori a tempo determinato, nonché' le rappresentanze sindacali
aziendali ovvero la rappresentanza sindacale unitaria, circa i posti vacanti che si rendono disponibili
nell'impresa, secondo le modalità definite dai contratti collettivi.
Vi sono alcuni divieti specifici espressi:
Articolo 20
Divieti
1. L'apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
inserito fin dal decreto 368/2001, rimasto invariato da allora.
Divieto di crumiraggio esterno: deriva dal riconoscimento del diritto di sciopero nell’art.40.
Vi sono poi norme che tentano di impedire un abuso da parte del datore di lavoro:
Per esempio: se il datore di lavoro ha utilizzato la legge sui licenziamenti collettivi: legge 223/91 che
regolamenta la modalità con cui un datore di lavoro non può licenziare più di 5 lavoratori nell’arco di 120
giorni e se lo ha fatto non potrà usare contratti a tempo determinato per un certo tempo.
Stessa cosa se un datore di lavoro utilizza la cassa integrazione: la cassa integrazione è un istituto che
interviene quando l’impresa è temporaneamente in crisi e in questo caso è l’INPS a pagare il lavoratore.
Anche in questo caso si vuole evitare che pur formalmente in crisi si voglia in qualche modo sostituire i
lavoratori stabili con lavoratori precari.
Ultima modalità introdotta nel 2001 che è stata interpretata in modo rigoroso dalla giurisprudenza: “non è
ammesso l’utilizzo dei contratti a termine quando i datori non hanno effettuato la valutazione dei rischi in
materia di salute e sicurezza.”
I datori di lavoro sono obbligati a prevedere quali sono i rischi legati al pericolo infortuni della propria
impresa e lo devono fare costantemente e per tutti i lavoratori. (Specificatamente dedicato al contratto a
tempo determinato e alle altre forme di lavoro flessibili).
I datori di lavoro non si devono limitare a prevedere dei rischi generali per il lavoro futuro, ma devono
prevedere specificatamente per i lavoratori a termine quali sono i rischi, pena la conversione del contratto in
contratto a tempo indeterminato. (da un punto di vista percentuale gli infortuni sono maggiori per quei
lavoratori che non sono assunti stabilmente.)
Articolo 21
Proroghe e rinnovi
125
Proroga = l’unica modifica è il termine, il contratto rimane tale per tutto il resto.
Rinnovo = il contratto finisce e ne viene stipulato un altro.
01. Il contratto può essere rinnovato solo a fronte delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1. Il
contratto può essere prorogato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza
delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1. In caso di violazione di quanto disposto dal primo e dal
secondo periodo, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. I contratti per attività
stagionali, di cui al comma 2 del presente articolo, possono essere rinnovati o prorogati anche in
assenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1.
1. Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore,
solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a ventiquattro mesi, e, comunque, per un
massimo di quattro volte nell'arco di ventiquattro mesi a prescindere dal numero dei contratti.
Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo
indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga.

 Nei primi 12 mesi non c’è necessità di giustificazione.


 Le proroghe possono essere massimo 4 volte in 24 mesi.
Con il rinnovo è necessario far passare del tempo tra un contratto e l’altro.
2. Qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di
un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di
durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
Nel 2012 questi termini erano stati aumentati enormemente: evitare di creare abuso nella successione dei
contratti.
Questa idea c’è anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia.
Le disposizioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori
impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali nonché' nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. Fino all'adozione del decreto di cui al
secondo periodo continuano a trovare applicazione le disposizioni del decreto del Presidente della
Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525.
Con attività stagionali si fa riferimento al decreto del P.D.R (raccolta nocciole, produzione lino…) che si
ripetono di anno in anno per esigenze legate a fattori esterni naturali.
Articolo 22
Continuazione del rapporto oltre la scadenza del termine
1. Fermi i limiti di durata massima di cui all'articolo 19, se il rapporto di lavoro continua dopo la
scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a
corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del
rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo e al 40 per cento per ciascun giorno
ulteriore.
2. Qualora il rapporto di lavoro continui oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata
inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in
contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei già menzionati termini.
Normativa che è rimasta tale dagli anni ’90: si voleva attenuare il carattere sanzionatorio e quindi non
prevedere l’immediata trasformazione di un contratto da termine a tempo indeterminato il giorno dopo della
scadenza del contratto. (a volte magari l’imprenditore semplicemente si dimentica)

126
Questa norma, quindi, attenua la sanzione per un periodo immediatamente successivo alla scadenza: quindi
per 10 giorni abbiamo una sanzione attenuata (maggiorazione della retribuzione del 20%) per ciascun giorno
superiore al decimo abbiamo il 40 %, poi invece a quel punto diventa dolosa evidentemente la volontà di
tenere il lavoratore e non è più scusabile ecco che oltre il trentesimo giorno abbiamo la trasformazione del
contratto.
Nel 2015 poi venne introdotto anche un altro limite: quello del numero complessivo di contratti a tempo
determinato.
Era una modalità di intervento da parte della contrattazione collettiva. Erano i contratti collettivi che
prevedevano la percentuale massima di utilizzo di un contratto a tempo determinato.
Il legislatore del 2014 (legge delega) /2015 (decreto legislativo 81) anche riprendendo quanto previsto dalla
clausola 5 interviene stabilendo lui una percentuale massima di utilizzo di lavoratori a tempo determinato.
Un imprenditore può utilizzare al massimo il 20% dei lavoratori a termine rispetto alla forza di lavoro stabile
esistente in impresa.
Con questa normativa innanzitutto ci sono delle tipologie particolari di lavoro che sono escluse da questo
20%:

 per esempio le startup


 per esempio, l’avvio di nuova attività dove: addirittura tutta la forza lavoro può essere utilizzata.
 attività stagionali
 lavoratori assenti
 lavoratori nello spettacolo
 lavoratori > di 50 anni
Nel 2015 il decreto legislativo si prevede l’esclusione della trasformazione in contratto a tempo
indeterminato.
Es: io legislatore prevedo il 20% come limite massimo di percentuale di utilizzo di lavoratori a tempo
determinato.
Cosa succede se l’impresa eccede quella percentuale?
Prima con riferimento alle norme relative al contingentamento la giurisprudenza diceva che anche quei casi
ci doveva essere la trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato.
Quello che però fa legislatore del 2015 è escludere la trasformazione quindi la sanzione non può più essere
quella della trasformazione del contratto. (vi sono sanzioni che sono tipo amministrativo)
Questo è un problema (sanzioni amministrative):

 questo non lo possiamo considerare un elemento direttamente correlato alla direttiva perché in
qualche modo non è così rilevante dal punto di vista dell’impedire eventuali comportamenti contrari
all’abuso.
 Se si parla di sanzione amministrativa vuol dire che chi può intervenire è l’ispettore del lavoro e
anche dubbio che un lavoratore che voglia impugnare un contratto a termine possa utilizzare la
questione del superamento del 20%.
Il fatto che sia una sanzione amministrativa fa dubitare del fatto che abbia la legittimazione attiva dal punto
di vista processuale.
Può un lavoratore chiedere una sanzione amministrativa?
In realtà il legislatore ha inserito una sanzione difficilmente attuabile.

127
Articolo 24
Diritti di precedenza
Vi sono poi diritti di precedenza in relazione a chi ha prestato un tempo superiore a sei mesi.
Sono in realtà diritti di precedenza che non sono veri e propri diritti azionabili ma semplicemente danno la
possibilità quando il datore di lavoro ha un posto a tempo indeterminato in quell’ambito.
C’è un diritto di precedenza anche per il lavoratore che svolge attività stagionali.
Articolo 25
Principio di non discriminazione
1. Al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento economico e normativo in atto nell'impresa
per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli
inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione
collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato, sempre che non sia obiettivamente
incompatibile con la natura del contratto a tempo determinato.
2. Nel caso di inosservanza degli obblighi di cui al comma 1, il datore di lavoro è punito con la sanzione
amministrativa da 25,82 euro a 154,94 euro. Se l'inosservanza si riferisce a più di cinque lavoratori, si
applica la sanzione amministrativa da 154,94 euro a 1.032,91 euro.
C’è un generale principio di parità di trattamento sia normativo che retributivo tra lavoratore a termine e
lavoratore a tempo pieno, salvo che non ci siano obiettive incompatibilità. (es: premio aziendale che fa
riferimento a un periodo necessariamente di un anno, conteggiato sul risultato che arriva a fine anno e il
nostro lavoratore magari ha lavorato solo tre mesi: quello è evidentemente un caso che potrebbe essere
obiettivamente incompatibile)
La Corte di giustizia nel corso del tempo ha esteso questo principio di non discriminazione.
La Corte è intervenuta in materia di anzianità di servizio.
ES: se un lavoratore lavora a carico per un certo periodo magari anche qualche anno con contratto a tempo
determinato per lo stesso datore di lavoro e poi viene assunto a tempo indeterminato.
Io lavoratore ho diritto a che mi sia calcolata l’anzianità di servizio?
Inizialmente si prevedevano due modalità regolative diverse:

 Un conto era funziona termine


 Un conto era l’assunzione a tempo indeterminato
La corte di giustizia ha detto: proprio in virtù del principio di non discriminazione e in virtù di questo ampio
riferimento sia al trattamento economico che a quello normativo, si ritiene che la dove l’attività è più
sensibile è riconosciuta anche l’anzianità di servizio.
MODIFICA INTRODOTTA NEL 2010
Articolo 28
Decadenza e tutele
1. L'impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire, con le modalità previste dal
primo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, entro centottanta giorni dalla cessazione
del singolo contratto. Trova altresì applicazione il secondo comma del suddetto articolo 6.
ARTICOLO N.6 (legge)
128
Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della
sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch' essa in forma scritta, dei
motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la
volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad
impugnare il licenziamento stesso.
L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal
deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla
comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando
la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la
conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo
espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal
rifiuto o dal mancato accordo.
A conoscere delle controversie derivanti dall'applicazione della presente legge è competente il pretore.
Vi è quindi la necessità, anche per il contratto a tempo determinato di impugnare con questi due termini di
decadenza:

 Il primo che è diventato di 180 giorni


 Il secondo che rimane di 180 giorni
Quello che cambia è la modalità con cui il giudice interviene: prima c’era la nullità (vale ex-tunc,
dall’inizio). Dal primo contratto io posso ricostituire il rapporto e prevedere gli arretrati.
Oggi il contratto si trasforma ex-nunc e per il passato è prevista l’indennità onnicomprensiva.
Noi abbiamo una particolare modalità con cui il contratto a tempo determinato è disciplinato nel pubblico
impiego: (decreto 165/2001)
Nell’ambito del pubblico impiego i riferimenti normativi sono gli stessi che riguardano i lavoratori privati
salvo quello che concerne il decreto legislativo 165/2001.
CHE COSA PREVEDE LA NORMATIVA IN MATERIA DI PUBBLICO IMPIEGO?
Prevede che non è possibile trasformare il contratto a tempo determinato e i contratti simili in un contratto
subordinato a tempo indeterminato, perché l’art. 97 della costituzione pone:

 Questione legata a caratteri fiscali e tributari (non posso aumentare gli oneri di spesa di una P.A)
 Nei pubblici impieghi si accede per concorso.
La questione è andata davanti alla Corte costituzionale e alla corte di giustizia.
La Corte costituzionale ha ripreso queste due ragioni per giustificare l’art. 36 del decreto legislativo
165/2001.
Anche la Corte di giustizia ha detto che non è necessario prevedere per forza la sanzione della
trasformazione, basta che la sanzione sia effettiva e sufficiente per evitare l’abuso.
Restano esclusi dal campo di applicazione alcune tipologie specifiche:

 Contratti di lavoro a tempo determinato come dirigenti che non possono avere durata > a cinque anni
e c’è la possibilità di recesso dopo il biennio.
Questa modalità di intervento del dirigente era già prevista nella legge del ’62.
Vi erano anche alcune modalità specifiche particolari:

 Contratti non superiori a tre giorni nel turismo e pubblici servizi.


129
Anche nel punto di impiego la disciplina applicabile è quella del Codice civile, quella che si applica ai
rapporti inter privati salvo le eccezioni di alcune particolarità tutte contenute nel decreto legislativo 165/2001
tra queste particolarità:

 nel pubblico impiego non è possibile convertire il contratto in contratto a tempo indeterminato, è
possibile utilizzare i contratti a tempo determinato.
C’è la possibilità che un contratto a tempo determinato utilizzato nel pubblico impiego sia utilizzato in modo
contrario alla norma: quindi c’è la possibilità di ritenerlo illegittimo ma in questo caso non potrò chiedere al
giudice di convertire il contratto (nel pubblico impiego c’è la necessità di accesso per concorso e ci sono i
limiti di spesa finanziata).
La clausola in cui questa cosa emerge è l’art. 36 del decreto 165/2001 che prevede in generale che le
pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo
indeterminato.
Il secondo comma dell’articolo ci dice che le P.A. possono stipulare varie tipologie di contratti di lavoro:
Le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato,
contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato,
nonché' avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal Codice civile e dalle altre leggi sui
rapporti di lavoro nell'impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda
l'applicazione nelle amministrazioni pubbliche.
Il comma 5 dell’art. 36 del decreto:
5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di
lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti
di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni
responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla
prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di
recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione
sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente
articolo sono responsabili anche ai sensi dell'articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà
conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 30
luglio 1999, n. 286.
Questa clausola è passata al vaglio sia della Corte costituzionale che della corte di giustizia e per tornare alla
direttiva 70/1999 la Corte di giustizia ha affermato: che va bene non prevedere come sanzione la
conversione, va bene anche una sanzione economica pur che sia effettiva.
EFFETTIVITA’ = vuol dire che sia coerente con la finalità della direttiva.
ES: Se la direttiva prevede il divieto di abuso, la sanzione deve anche convincere gli altri imprenditori, gli
altri agenti economici a non utilizzare abusivamente la funzione della direttiva.
La sanzione deve essere:

 equilibrata
 coerente
 effettiva
con la finalità.
LAVORO A TEMPO PARZIALE

130
Questa è una tipologia lavorativa la cui differenza rispetto al normale contratto di lavoro subordinato a tempo
pieno e indeterminato è proprio nell’ambito dell’orario di lavoro: qui non siamo in un caso di lavoro a tempo
pieno ma siamo in caso di lavoro a tempo parziale.
È il tempo di lavoro che si differenzia rispetto al contratto di lavoro subordinato tipico.
La prima volta che viene introdotta in Italia questa tipologia lavorativa è con la legge del 1984.
C’era stato già alla fine degli anni ’70 il primo tentativo (primo riferimento provvisorio).
La legge dell’84 in realtà prevedeva pochi riferimenti normativi, per gran parte del contenuto di questa nuova
tipologia contrattuale si faceva riferimento alla contrattazione collettiva.
A partire dalla legge del 1984 si erano aperte una serie di questioni che riguardavano la possibilità o meno di
una modifica unilaterale da parte del datore di lavoro dell’orario di lavoro del dipendente e che cosa sarebbe
invece accaduto in mancanza di:

 forma scritta
 evidenti inadempimenti rispetto al quadro normativo
Passa un po’ di tempo e il lavoro a tempo parziale si diffonde in Italia.
Il lavoro a tempo parziale è una tipologia lavorativa in cui il ruolo delle donne risulta grandemente
maggioritario.
In tutta Europa tra i lavoratori e le lavoratrici che lavorano a part time l’ottanta % sono donne: le donne
normalmente sono più occupate dei lavori di cura e molto spesso utilizzano il lavoro a tempo parziale.

 Volontariamente e consapevolmente
 Imposto (nel senso che sono lavori proposti che vengono accettati perché non si trova altro)
Nell’ambito del diritto dell’unione vi è un unico articolo del trattato del 1957 (che faceva riferimento alle
questioni sociali) art. 119 trattato CEE che corrisponde oggi all’art. 157 del TFUE.
Il principio fondamentale è quello della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso
femminile.
Questo principio, che è stato il principio fondamentale da cui è nato il diritto antidiscriminatorio prima
nell’unione e poi nell’ambito nazionale, ha avuto con riferimento al lavoro a tempo parziale un’ampia
possibilità di approfondimento.

 causa del 75 (nell’ambito di una questione belga) del caso Defrenne


La signora Defrenne, hostess che viveva a Bruxelles pone una questione al tribunale del lavoro che solleva la
questione davanti alla Corte di giustizia.
La questione verte sull’interpretazione dell’articolo 119 del trattato.
La questione riguarda in questo caso una differenza di trattamento tra donne lavoratrici e uomini lavoratori,
riguardo all’automatica cessazione del rapporto al compimento del quarantesimo anno.
La questione viene davanti al giudice comunitario e fa riferimento direttamente a una differenza di
trattamento normativo dell’uomo.
Quello che decide la corte riguarda innanzitutto l’applicabilità immediata dell’articolo 119 e poi contenuto in
ambito applicativo.

131
La Corte di giustizia cerca di dare un’importanza fondamentale all’articolo 119 che può essere fatto valere
direttamente dinanzi ai giudici nazionali: ha valore diretto e immediato e comporta che gli stati evitino
discriminazioni sul sesso tra uomini e donne lavoratrici.
2. la seconda è la sentenza che per la prima volta usa il part-time come ambito nella quale la
discriminazione tra donne e uomini è più evidente.
Causa 56/1980 che vede la signora Gentil e riguarda il Regno Unito.
COSA SUCCEDE?
In questo caso la differenza è abbastanza significativa:
Stabilimento che occupa 89 persone di cui 35 maschi e 54 femmine, i dipendenti maschi lavorano tutti. salvo
uno, a tempo pieno. Le donne sono quelle che in maggioranza lavorano a part- time.
Accade che chi lavora ad orario ridotto guadagna il 10% in meno rispetto alla tariffa oraria.
Un’ora di lavoro viene pagata in x per i lavoratori a tempo e il 90% di x per i lavoratori e soprattutto le
lavoratrici che lavorano a tempo parziale.
CHE COSA FA LA CORTE?
Utilizza quell’art.119 che vieta le discriminazioni tra lavoratrici e lavoratori di tipo retributivo e di tipo
normativo nell’ambito del part-time attraverso la constatazione che la maggior parte di coloro che lavorano
part-time sono donne.
Conclusione: la differenza di retribuzione tra lavoratori a tempo pieno ed a orario ridotto costituisce una
discriminazione vietata all’articolo 119 se si tratta di un mezzo indiretto per ridurre il livello di retribuzione
dei lavoratori ad orario ridotto in ragione del fatto che questo gruppo di lavoratori è composto
prevalentemente di persone di sesso femminile. (proprio da qui viene coniato il termine di discriminazione
indiretta)
La direttiva nel ’97 nell’ambito delle modalità con cui la commissione europea decide di intervenire sulle
tipologie di lavoro flessibili, standard e tipiche: riguarda proprio il part-time.
C’erano stati dei tentativi, nei primi anni ’90, della commissione di intervenire direttamente sul lavoro
atipico regolamentando quelle tipologie in modo più ampio e alla fine degli anni ’90 si decise di intervenire
con l’aiuto dei sindacati.
Anche questa è correlata a un accordo tra le grandi confederazioni sindacali. (direttiva del consiglio relativa
all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso da UNICE, CEF e CES) oggi sono diverse le sigle,
sono le associazioni che rappresentano i datori di lavoro pubblici, i datori di lavoro privati e sindacato dei
lavoratori.
Anche in questo caso abbiamo una direttiva che si limita a far proprio un accordo avvenuto tra le grandi
confederazioni sindacali.
In questo caso abbiamo in realtà una modalità di intervento meno rilevante rispetto alla direttiva sul tempo
determinato, anche qui abbiamo:

 preambolo
 considerazioni generali (considerando)
C’è la possibilità che il tempo parziale possa essere uno strumento correlato alla necessità di promuovere
l’occupazione e le pari opportunità: quindi hanno come obiettivo l’aumento di densità occupazionale e
organizzazione del lavoro più flessibile.

132
Hanno come obiettivo: facilitare l’accesso al tempo parziale per uomini e donne per conciliare soprattutto
vita professionale e familiare.
L’idea è quella che part-time possa avere come obiettivo quello di facilitare la possibilità che il lavoro venga
coniugato con un altro tipo di attività (anche quello di cura ma non solo)
Esempio: la possibilità di continuare la propria formazione.
Che cosa fa la direttiva?
Clausola 2: Campo di applicazione
1. Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo parziale che hanno un contratto o un rapporto di
lavoro definito per legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in ogni Stato membro.
2. Gli Stati membri, dopo aver consultato le parti sociali conformemente alla legge, ai contratti
collettivi o alle prassi nazionali, e/o le parti sociali a livello appropriato conformemente alle prassi
nazionali relative alle relazioni industriali, possono, per ragioni obiettive, escludere totalmente o
parzialmente dalle disposizioni del presente accordo i lavoratori a tempo parziale che lavorano su base
occasionale. Queste esclusioni dovrebbero essere riesaminate periodicamente al fine di stabilire se le
ragioni obiettive che le hanno determinate rimangono valide.
Clausola 3: Definizioni
Ai fini del presente accordo si intende per:
1) «lavoratore a tempo parziale», il lavoratore il cui orario di lavoro normale, calcolato su base
settimanale o in media su un periodo di impiego che può andare fino ad un anno, è inferiore a quello di
un lavoratore a tempo pieno comparabile;
2) «lavoratore a tempo pieno comparabile», il lavoratore a tempo pieno dello stesso stabilimento, che
ha lo stesso tipo di contratto o di rapporto di lavoro e un lavoro/occupazione identico o simile, tenendo
conto di altre considerazioni che possono includere l’anzianità e le qualifiche/competenze.
Qualora non esistesse nessun lavoratore a tempo pieno comparabile nello stesso stabilimento, il
paragone si effettuerebbe con riferimento al contratto collettivo applicabile o, in assenza di contratto
collettivo applicabile, conformemente alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi nazionali.
Nel 2000 la Francia fu costretta a modificare la propria regolazione normativa perché nelle leggi francesi per
parlare di part-time bisognava avere un minimo di orario di lavoro lavorato.
Il fatto è che qui si preveda come definizione “inferiore all’orario pieno” ma senza un limite verso il basso
costrinse la Francia al cambiamento.
Il punto fondamentale è la clausola 4:
Clausola 4: Principio di non-discriminazione
1. Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere
trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di
lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive.
2. Dove opportuno, si applica il principio «pro rata temporis».
Il principio fondamentale in materia di part-time è che la retribuzione è proporzionata al tempo di lavoro.
3. Le modalità di applicazione della presente clausola sono definite dagli Stati membri e/o dalle parti
sociali, tenuto conto della legislazione europea e delle leggi, dei contratti collettivi e delle prassi
nazionali.

133
4. Quando ragioni obiettive lo giustificano, gli Stati membri, dopo aver consultato le parti sociali
conformemente alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi nazionali, e/o le parti sociali possono, se
del caso, subordinare l’accesso a condizioni di impiego particolari ad un periodo di anzianità, ad una
durata del lavoro o a condizioni salariali. I criteri di accesso dei lavoratori a tempo parziale a
condizioni di impiego particolari dovrebbero essere riesaminati periodicamente tenendo conto del
principio di non-discrimina.
Vi sono stati molti interventi sia dalla giurisprudenza che dalla Corte:
ES: non è che se io lavoro a part time però a tempo pieno ho diritto a meno giorni di vacanza.
I giorni di ferie sono gli stessi, però con la solita retribuzione. (stessa cosa vale per l’anzianità di servizio).
Poi ci sono vari riferimenti sulla necessità di non prevedere differenze di trattamento.
2. Il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o
viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio
per la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a
licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello
stabilimento considerato.
Anche qui c’è una clausola di non regresso:
2. L’attuazione delle disposizioni del presente accordo non costituisce giustificazione valida per
ridurre il livello generale di protezione dei lavoratori nell’ambito coperto dal presente accordo e ciò
senza pregiudizio per il diritto degli Stati membri e/o le parti sociali di sviluppare, tenuto conto
dell’evoluzione della situazione, disposizioni legislative, normative o contrattuali differenti, e senza
pregiudizio per l’applicazione della clausola 5.1 purché il principio di non-discriminazione
contemplato alla clausola 4.1 sia rispettato.
Nell’ordinamento nazionale la direttiva viene utilizzata come occasione per migliorare una normativa con
molte lacune e viene approvato il decreto 61 del 2000 che conteneva una serie di interventi.
Anche sul part-time negli anni 2000 vi sono stati diversi governi che si sono succeduti e sono intervenuti e
cambiando in modo considerevole la regolamentazione in materia di part-time.
CLAUSOLE ELASTICHE
La possibilità o meno per il datore di lavoro di modificare unilateralmente l’orario di lavoro.
C’era già stata nel 92 una sentenza della Corte costituzionale che aveva detto che c’era la possibilità di
intervenire, di prevedere delle clausole elastiche in materia di part time ma questo non poteva dare la
possibilità al datore di lavoro di modificare l’orario senza tener conto delle necessità del lavoratore o della
lavoratrice a tempo parziale.
Attualmente la normativa in vigore in materia di part-time è sempre contenuta all’interno del decreto
legislativo 81/2015.
Lavoro a orario ridotto e lavoro a tempo parziale.
Nel rapporto di lavoro subordinato anche a tempo determinato (sappiamo che il part time può essere a tempo
determinato o indeterminato)
CAPO II
Lavoro a orario ridotto e flessibile, Lavoro a tempo parziale.
Articolo 4

134
Definizione
1. Nel rapporto di lavoro subordinato, anche a tempo determinato, l'assunzione può avvenire a tempo
pieno, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o a tempo parziale.
Il decreto legislativo 61/2000 era molto più chiaro:
Vi sono tre tipologie di part-time:
1. Orizzontale
Tipologia in cui la diminuzione dell’orario è orizzontale (è minore dell’orario pieno tutti i giorni)
ES: 4 ore al giorno per tutta la settimana (invece delle normali 40 ore settimanali)
2. Verticale
Diminuzione dell’orario di lavoro rispetto a quello a tempo pieno: significa che io lavoro qualche giorno a
tempo pieno, il restante a tempo ridotto.
ES: part-time week-end.
3. misto
Nel 2015 si è scelto di fare un riferimento implicito alle definizioni che molto spesso ritornano (si parla di
assunzione a tempo parziale)
Anche nel decreto legislativo 81/2015 quando si parla di lavoro a tempo parziale si intende comunque un
orario ridotto.
Articolo 5
Forma e contenuti del contratto di lavoro a tempo parziale
1. Il contratto di lavoro a tempo parziale stipulato in forma scritta ai fini della prova.
Qui abbiamo una forma scritta ab-probationem, quello che conta è l’uso davanti al giudice.
Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e
della collocazione temporale dell’orario in riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno del
contratto.
Questa collocazione dell’orario (tempo parziale) può essere modificata unilateralmente dal datore di lavoro?
Articolo 6
Lavoro supplementare, lavoro straordinario, clausole elastiche.
Il riferimento iniziale è legato al lavoro supplementare: la normativa differenzia tra:

 lavoro supplementare
È quello che copre la differenza tra lavoro a tempo parziale e lavoro a tempo pieno.
ES: se io lavoro 4 ore la mattina, il lavoro supplementare saranno le 4 ore di differenza fino alle 8 ore
previste tipicamente nel tempo pieno.

 lavoro straordinario
È il lavoro previsto oltre l’orario a tempo pieno.

 Clausole elastiche

135
È la possibilità di spostare le quattro ore.
Il mio datore di lavoro non mi chiede di aggiungere altre quattro ore il lunedì, ma mi chiede di lavorare il
pomeriggio invece che la mattina.
È possibile che il datore me lo imponga e che io abbia conseguenze nel caso in cui io non lo rispetti?
1. Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, il datore di lavoro ha la facoltà di richiedere,
entro i limiti dell'orario normale di lavoro di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003, lo
svolgimento di prestazioni supplementari, intendendosi per tali quelle svolte oltre l'orario concordato
fra le parti ai sensi dell'articolo 5, comma 2, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi.
Se il contratto collettivo lo prevede, in ambito part-time, è possibile usare clausole di lavoro supplementare.
In questo caso il datore me lo può imporre.
Se il contratto collettivo lo prevede, prevederà anche le modalità di uso di quella modalità.
2. Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non disciplini il lavoro
supplementare, il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro
supplementare in misura non superiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate. In
tale ipotesi, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da
comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale. Il lavoro
supplementare è retribuito con una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di
fatto, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi
indiretti e differiti.
La scelta dell’attuale legislatore è una via di mezzo tra il prevederla soltanto se c’è il contratto collettivo o
prevedere piena libertà dell’accordo delle parti. (qui è la legge a stabilire i vincoli).

 Fino al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate


Il lavoratore può rifiutarlo quando sopraggiungono esigenze particolari: lavorative, di salute, famigliari o di
formazione.
3. Nel rapporto di lavoro a tempo parziale è consentito lo svolgimento di prestazioni di lavoro
straordinario, così come definito dall'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 66 del
2003.
4. Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, le parti del contratto di lavoro a tempo
parziale possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della collocazione
temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata.
È possibile modificare le mie quattro ore, soprattutto pensata per il part-time verticale sempre se previsto dal
contratto collettivo.
5. Nei casi di cui al comma 4, il prestatore di lavoro ha diritto a un preavviso di due giorni lavorativi,
fatte salve le diverse intese tra le parti, nonché' a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle
forme determinate dai contratti collettivi.
6. Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto non disciplini le clausole elastiche queste
possono essere pattuite per iscritto dalle parti avanti alle commissioni di certificazione, con facoltà del
lavoratore di farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce
mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. Le clausole elastiche prevedono, a pena di
nullità, le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro, con preavviso di due giorni
lavorativi, può modificare la collocazione temporale della prestazione e variarne in aumento la durata,
nonché' la misura massima dell'aumento, che non può eccedere il limite del 25 per cento della normale
prestazione annua a tempo parziale. Le modifiche dell'orario di cui al secondo periodo comportano il
136
diritto del lavoratore ad una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di f atto,
comprensiva dell'incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti.
C’è la necessità che ci sia un terzo che certifichi la reale volontà delle parti.
Una volta accettata il lavoratore non ha possibilità di modifica, salvo caso particolare di malattia oncologica.
7. Al lavoratore che si trova nelle condizioni di cui all'articolo 8, commi da 3 a 5, ovvero in qu elle di
cui all'articolo 10, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di
revocare il consenso prestato alla clausola elastica.
8. Il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell'orario di lavoro non costituisce giustificato
motivo di licenziamento.

Articolo 7
Trattamento del lavoratore a tempo parziale
1. Il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al
lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento.
2. Il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il
suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della
prestazione lavorativa. I contratti collettivi possono modulare la durata del periodo di prova, del
periodo di preavviso in caso di licenziamento o dimissioni e quella del periodo di conservazione del
posto di lavoro in caso di malattia e infortunio in relazione all'articolazione dell'orario di lavoro.
Articolo 8
Trasformazione del rapporto
1. Il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a
tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Dipende molto dai casi.
Se si riesce a provare che il licenziamento è legato solo e soltanto al rifiuto del lavoratore di trasformare il
suo rapporto di lavoro, questo sarà considerato inefficace.
Vi sono casi di licenziamento, legati a ragioni di tipo oggettivo (esterne alla volontà delle parti), in cui la
necessità di modificare il tipo di rapporto di lavoro era coerente con la necessità di fare fronte a crisi o
riorganizzare.
Anche la giurisprudenza ritiene assoluto e non superabile quel rifiuto del lavoratore a trasformare il proprio
rapporto.
ES: io lavoratrice che vengo licenziata, posso impugnare dicendo che non c’è una ragione oggettiva.
(ritenuto ingiustificato dalla legge)
2. Su accordo delle parti risultante da atto scritto è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro
a tempo pieno in rapporto a tempo parziale.
3. I lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché' da
gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa,

137
eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una
commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente,
hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale. A
richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto
di lavoro a tempo pieno.
4. In caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il
coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché' nel caso in cui il lavoratore o la
lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa con
connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, che abbia
necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, è
riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
5. In caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a
tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 104 del
1992, è riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo
parziale.
6. Il lavoratore il cui rapporto sia trasformato da tempo pieno in tempo parziale ha diritto di per
cedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l'espletamento delle stesse mansioni o di
mansioni di pari livello e categoria legale rispetto a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo
parziale.
7. Il lavoratore può chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale od entro i limiti del
congedo ancora spettante ai sensi del Capo V del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, la
trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purché' con una
riduzione d'orario non superiore al 50 per cento. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla
trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta.
8. In caso di assunzione di personale a tempo parziale il datore di lavoro è tenuto a darne tempestiva
informazione al personale già dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unità produttive site
nello stesso ambito comunale, anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei
locali dell'impresa, ed a prendere in considerazione le domande di trasformazione a tempo parziale dei
rapporti dei dipendenti a tempo pieno.
Si fa riferimento anche a cosa accade al lavoratore che ha particolari patologie.
C’è anche un riferimento, per esempio, a casi di disabilità.
C’è la possibilità di richiedere per una volta, in relazione ai congedi parentali la possibilità di trasformare il
proprio rapporto da tempo pieno a parziale.
Articolo 10
Sanzioni
1. In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda
del lavoratore è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo
restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed
al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese.
Anche il legislatore fa sì che eventuali conclusioni sanzionatorie siano le stesse rispetto ad una eventuale
norma che abbia detto che c’è la forma scritta a fini sostanziali.
Se manca la prova, comunque, è possibile richiedere la trasformazione della prova.

138
Nel 2015 sono state inserite sanzioni meno rilevanti nel momento in cui il problema riguardi la sola
collocazione temporale dell’orario: in questi casi la sanzione è sostanzialmente l’integrazione reddituale:
quindi il diritto a ricevere compensi che non erano stati ottenuti.
3. Lo svolgimento di prestazioni in esecuzione di clausole elastiche senza il rispetto delle condizioni,
delle modalità e dei limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi comporta il diritto del
lavoratore, in aggiunta alla retribuzione dovuta, a un'ulteriore somma a titolo di risarcimento del
danno.
Ci sono delle modalità particolari legate alla disciplina previdenziale.
Dal punto di vista delle sanzioni in realtà, soprattutto se stiamo parlando di un lavoro part-time a tempo
indeterminato, non è che ci sia molta differenza rispetto alla conversione del contratto oppure rispetto al fatto
che il giudice conteggi esattamente il l’orario effettivamente effettuato.
LAVORO INTERMITTENTE
È una particolare disciplina introdotta nel nostro ordinamento nel 2003 accanto ad altre tipologie di lavoro
come il lavoro ripartito (cioè la possibilità che si dava di suddividere una tipologia contrattuale a tempo
pieno in due): quella tipologia è stata abbandonata dall’attuale legislatore.
Il lavoro intermittente è rimasto, il job sharing non è più stato riproposto.
Il Job Sharing legava due parti contrattuali come condebitori in solido della prestazione lavorativa.
Resta la forma legata al lavoro intermittente chiamato anche volgarmente lavoro a chiamata.
Questa è una forma lavorativa molto flessibile: precaria nel momento in cui sia una forma di lavoro utilizzata
da un lavoratore o da una lavoratrice per aggiungere del tempo.
ES: studenti, una tipologia di questo tipo può far bene (non è necessaria una elevata retribuzione).
Questa modalità oggi è regolata dal legislatore, con dei limiti. È un lavoro subordinato, particolare.
Articolo 13
Definizione e casi di ricorso al lavoro intermittente
1. Il contratto di lavoro intermittente è il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un
lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa
in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con
riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell'arco della
settimana, del mese o dell'anno. In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro
intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Qui dentro troviamo la definizione.
Tipologia di lavoro che può essere a tempo determinato e indeterminato e la prestazione è legata alle
esigenze del datore di lavoro.
2. Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con meno di 24 anni
di età, purché' le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni.
Questo è un requisito soggettivo, legato al lavoratore.
Il nostro mercato del lavoro è estremamente debole nell’ambito dei soggetti < di 25 e > di 55.
Noi abbiamo un sistema previdenziale che prevede il termine di età a 67 anni.

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3. In ogni caso, con l'eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il
contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro,
per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di
tre anni solari. In caso di superamento del già menzionato periodo il relativo rapporto si trasforma in
un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
800 giorni in tre anni = 1 anno e mezzo.
Non può essere usata per sostituire lavoratori a tempo pieno. (introdotta nel 2008)
4. Nei periodi in cui non ne viene utilizzata la prestazione il lavoratore intermittente non matura alcun
trattamento economico e normativo, salvo che abbia garantito al datore di lavoro la propria
disponibilità a rispondere alle chiamate, nel qual caso gli spetta l’indennità di disponibilità di cui
all'articolo 16.
vi sono due tipologie di rapporto intermittente:

 non c’è alcuna obbligazione (nemmeno del lavoratore di rispondere alla chiamata).
 Quella dove c’è l’indennità di disponibilità l’obbligazione sussiste, se rifiuta può essere ritenuto
inadempiente.
5. Le disposizioni della presente sezione non trovano applicazione ai rapporti di lavoro alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni.
Articolo 14
Divieti
1. È vietato il ricorso al lavoro intermittente:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti
collettivi a norma degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che hanno riguardato
lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente, ovvero presso
unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario in
regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il
contratto di lavoro intermittente;
c) ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della
normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Oltre al divieto di sostituire lavoratori in sciopero (art.40) è importante la mancanza di presentazione della
valutazione dei rischi (per sicurezza).
Articolo 15
Forma e comunicazioni
1. Il contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ai fini della prova dei seguenti
elementi:
a) durata e ipotesi, oggettive o soggettive, che consentono la stipulazione del contratto a norma
dell'articolo 13;
b) luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso
di chiamata del lavoratore, che non può essere inferiore a un giorno lavorativo;

140
c) trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e relativa
indennità di disponibilità, ove prevista;
d) forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione
di lavoro, nonché' modalità di rilevazione della prestazione;
e) tempi e modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità;
f) misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.
2. Fatte salve le previsioni più favorevoli dei contratti collettivi, il datore di lavoro è tenuto a informare
con cadenza annuale le rappresentanze sindacali aziendali o la rappresentanza sindacale unitaria
sull'andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente.
Onere informativo ai sindacati.
3. Prima dell'inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non
superiore a trenta giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata alla direzione
territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms o posta elettronica. Con decreto del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la
pubblica amministrazione, possono essere individuate modalità applicative della disposizione di cui al
primo periodo, nonché' ulteriori modalità di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie.
In caso di violazione degli obblighi di cui al presente comma si applica la sanzione amministrativa da
euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Non
si applica la procedura di diffida di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124
C’è la necessità che il datore di lavoro comunichi prima dell’inizio della prestazione al ministero il fatto che
sta cominciando una nuova prestazione lavorativa.
Articolo 16
Indennità di disponibilità
1. La misura dell’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, è determinata dai
contratti collettivi e non è comunque inferiore all'importo fissato con decreto del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale.
2. L’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.
3. L’indennità di disponibilità è assoggettata a contribuzione previdenziale per il suo effettivo
ammontare, in deroga alla normativa in materia di minimale contributivo
L’indennità è valida per quel tipo di ammontare.
Esistono delle norme che prevedono retribuzioni minime su cui si fanno i calcoli per gli oneri previdenziali.
La legge degli anni ’80 (metà) prevede il minimale contributivo.
Vi è anche un principio di non discriminazione.
SENTENZA CORTE DI GIUSTIZIA CASO ABERCROMBIE
Negozi che avevano utilizzato un marketing di vendita particolare: vi erano i modelli (contavano sul lavoro
giovanile attraverso contratti intermittenti.
Il caso nasce da una prestazione di lavoro intermittente il cui contratto automaticamente viene a cessare nel
momento in cui il lavoratore compie 25 anni. (soggettiva)
Si apre un contenzioso legato ad un fattore discriminatorio (età)
141
In Italia i primi due gradi (tribunale e appello) affermano la discriminazione (incompatibile con il diritto
UE).
La cassazione solleva la questione davanti alla corte di giustizia che decide che si tratta di discriminazioni
(indirette) ma vi è la possibilità che ci sia una giustificazione.
In questo caso la giustificazione secondo la corte c’è: legata alla particolarità del mercato del lavoro italiano
dove i giovani fanno fatica a trovare lavoro.
RIFERIMENTI:

 Art.21 carta dei diritti fondamentali dell’unione


 Specifiche direttive in materia di discriminazione.
Secondo la Corte di giustizia questa è una discriminazione indiretta ma ci sono ragioni oggettive per ritenerla
giustificata:
ragioni che il governo italiano aveva portato davanti alla corte legate alle particolarità del mercato del lavoro
italiano.
Per i critici non era una sentenza soddisfacente: in realtà qui si utilizza un rapporto di lavoro deteriore
rispetto a quello normale come strumento per aumentare il tasso di occupazione.
Prevedere incentivi di contratti che hanno modalità di regolazioni peggiorative è un qualcosa di dubbio
rispetto ai risultati e anche dal punto di vista etico morale.
LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO
Tipologia particolare che ha delle caratteristiche proprie.
Il punto fondamentale è che per parlare di somministrazione di lavoro bisogna far riferimento SEMPRE a tre
soggetti:

 Lavoratore
 Datore di lavoro (ha una sua finalità imprenditoriale particolare: è un’agenzia del lavoro che ha la
finalità di affidare i lavoratori ad altre imprese = prestare lavoratori).
Nel 1960 (legge abrogata) con una legge, dove la possibilità di prevedere 3 soggetti deriva da quello che
nella prassi accadeva di frequente nel caporalato, (oggi reato): si decise di vietare l’interposizione di lavoro
(somministrazione).
L’idea del caporalato è legata alla figura del caporale che:

 prende un numero di lavoratori,


 lì porta al cantiere
 prende lui stesso accordi con il capo (tu paghi me e poi ci penso io)
Risultato = i lavoratori sono sfruttati due volte.
Nel (in Italia più tardi) ’97, viene approvata una legge che introduce quello che allora veniva chiamato
lavoro interinale (eccezione al divieto) è possibile per imprese ben controllate di usare la somministrazione
(prestazione di lavoro).
Nel 2003 viene abrogata:

 la legge del ‘97


 la legge 1369/1960

142
Viene approvato il decreto legislativo n. 276/2003 quello che veniva chiamato lavoro interinale viene
chiamata “Somministrazione di lavoro”.
Nel 2008 viene approvata la direttiva (dopo quella del part-time ’97 e determinato ’99).
In Italia poi il decreto legislativo 81/2015 modifica ancora la situazione: inserisce la somministrazione di
lavoro all’interno del decreto (tra le altre tipologie di lavoro flessibili e atipiche esistenti nell’ordinamento) e
mantiene il riferimento agli articoli 4 e 5 del decreto 276/2003 con riferimento alle modalità con cui le
imprese di somministrazione possono ottenere la facoltà di stare sul mercato e di operare con quella
modalità.
I tre soggetti sono:

 Agenzie di lavoro (DECCO) che per operare devono avere i requisiti previsti dagli articoli 4 e 5 del
decreto legislativo 276/2003.
Vi sono tre soggetti ma SOLO DUE contratti:
1. Tra agenzia di lavoro e l’impresa che utilizzerà il lavoro stesso (contratto di somministrazione di
tipo commerciale con ad oggetto la modalità con cui l’agenzia trasferisce i lavoratori e il prezzo che
l’impresa dovrà pagare (retribuzioni, servizio).
2. Tra l’agenzia di lavoro e il lavoratore sussiste un vero e proprio contratto di lavoro somministrato.
CHE TIPO DI RAPPORTO SUSSISTE TRA LAVORATORE ED IMPRESSA UTILIZZATRICE?
Tra impresa e lavoratore sussiste un rapporto di fatto (e non contrattuale):
Il lavoratore lavora presso l’impresa utilizzatrice ma il suo datore di lavoro resta l’agenzia di
somministrazione.
Questo rapporto di fatto non è privo di conseguenze: lo schema della somministrazione prevede che alcuni
dei poteri datoriali (controllo e verifica di inadempimenti) sono delegati dall’agenzia all’impresa che li
utilizza.
DIRETTIVA 104/2008
Diversa rispetto alle altre due (part-time e determinato) perché non nasce da un accordo tra le parti sociali ma
ha una derivazione comunitaria (la commissione comincia la trafila per l’approvazione di un atto UE, poi
parlamento e consiglio approveranno).
Il risultato è una direttiva che riconosce l’importanza della somministrazione di lavoro (necessario porre dei
limiti), viene chiamato lavoro temporaneo tramite agenzia:
(11) Il lavoro tramite agenzia interinale risponde non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma
anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti.
Contribuisce pertanto alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione al mercato del lavoro e
all’inserimento in tale mercato.
C’è sempre l’idea che le tipologie contrattuali non siano per forza un male o un bene, possono essere
entrambe, se c’è la necessità di prevedere un tipo di regolazione.
(12) La presente direttiva stabilisce un quadro normativo che tuteli i lavoratori tramite agenzia
interinale che sia non discriminatorio, trasparente e proporzionato nel rispetto della diversità dei
mercati del lavoro e delle relazioni industriali.
QUALI SONO LE MODALITA’ CON CUI LA DIRETTIVA INTERVIENE?
Articolo 2

143
Finalità
La presente direttiva è volta a garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale e migliorare
la qualità del lavoro tramite agenzia interinale garantendo il rispetto del principio della parità di
trattamento di cui all’articolo 5 nei confronti dei lavoratori tramite agenzia interinale e riconoscendo
tali agenzie quali datori di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità di inquadrare
adeguatamente il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di contribuire efficacemente alla
creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili.
Articolo 3
Definizioni
1. Ai fini della presente direttiva si intende per:
a) «lavoratore»: qualsiasi persona che, nello Stato membro interessato, è protetta in qualità di
lavoratore nel quadro del diritto nazionale del lavoro;
b) «agenzia interinale»: qualsiasi persona fisica o giuridica che, conformemente alla legislazione
nazionale, sottoscrive contratti di lavoro o inizia rapporti di lavoro con lavoratori tramite agenzia
interinale al fine di inviarli in missione presso imprese utilizzatrici affinché prestino temporaneamente
la loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse;
c) «lavoratore tramite agenzia interinale»: il lavoratore che sottoscrive un contratto di lavoro o inizia
un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale (il datore di lavoro è l’agenzia), al fine di essere inviato
in missione presso un’impresa utilizzatrice per prestare temporaneamente la propria opera sotto il
controllo e la direzione della stessa;
Il nostro ordinamento nel 2003 aveva fatto una scelta: prevedere la somministrazione a tempo indeterminato
(possibilità che l’agenzia possa inviare un lavoratore a tempo indeterminato).
Oggi è ancora possibile, sono anche stati eliminati precedenti limiti.
Si ritiene che solo per questo NON vi sia una violazione della direttiva. (vi si fuoriesce solamente)
d) «impresa utilizzatrice»: qualsiasi persona fisica o giuridica presso cui e sotto il cui controllo e
direzione un lavoratore tramite agenzia interinale presti temporaneamente la propria opera;
La direttiva prevede il principio della parità di trattamento.
Articolo 5
Principio della parità di trattamento
1. Per tutta la durata della missione presso un’impresa utilizzatrice, le condizioni di base di lavoro e
d’occupazione dei lavoratori tramite agenzia interinale sono almeno identici a quelle che si
applicherebbero loro se fossero direttamente impiegati dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo
lavoro.
Il punto di riferimento per la parità di trattamento è il lavoratore subordinato a tempo indeterminato
dell’impresa utilizzatrice.
COSA MANCA?
Manca una clausola (come quella della direttiva 99/70) che vieta l’abuso nella successione dei contratti a
tempo determinato. (questa è stata l’oggetto della frattura tra stati membri e della differenza tra parlamento
(che voleva inserirla) e consiglio che non voleva).

144
La clausola di per sé non c’è, ma nella direttiva ci sono dei riferimenti indiretti che fanno riferimento ad una
volontà di non abuso del lavoro interinale. (colti dalle prime sentenze della corte di giustizia)
ES: La sentenza del 2020.
Non c’è una clausola espressa ma la direttiva impone che lo stato debba adottare misure al fine di preservare
la natura temporanea del lavoro interinale.
Art. 4/5 del decreto legislativo 276/2003 (sostituito in gran parte dal decreto legislativo 81/2015)
Art. 4.
1. Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è istituito un apposito albo delle agenzie per il
lavoro ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione
del personale, supporto alla ricollocazione professionale. Il già menzionato albo è articolato in cinque
sezioni:
a) agenzie di somministrazione di lavoro abilitate allo svolgimento di tutte le attività di cui all'articolo
20;
b) agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente
una delle attività specifiche di cui all'articolo 20, comma 3, lettere da a) a h);
c) agenzie di intermediazione;
d) agenzie di ricerca e selezione del personale;
e) agenzie di supporto alla ricollocazione professionale.
Rientrano in una diversa attività rispetto alla somministrazione: sono tutte attività in cui il soggetto agenzia
per il lavoro sta all’esterno della relazione contrattuale (diff. Tra intermediazione e interposizione).
Nella somministrazione il soggetto fa parte della relazione contrattuale.
L’art. 4 prevede un unico albo per agenzie che possono fare tutte queste attività, se sono diverse c’è la
possibilità che ne faccia alcune oppure tutte.
L’albo è articolato in 5 sezioni.
2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rilascia entro sessanta giorni dalla richiesta e previo
accertamento della sussistenza dei requisiti giuridici e finanziari di cui all'articolo 5, l'autorizzazione
provvisoria all'esercizio delle attività per le quali viene fatta richiesta di autorizzazione, provvedendo
contestualmente alla iscrizione delle agenzie nel predetto albo.
Per essere inseriti nell’albo è necessario essere in possesso di determinati requisiti:

 Giuridici
 Finanziari
Decorsi due anni, entro i novanta giorni successivi, i soggetti autorizzati possono richiedere
l’autorizzazione a tempo indeterminato. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rilascia
l’autorizzazione a tempo indeterminato entro novanta giorni dalla richiesta, previa verifica del
rispetto degli obblighi di legge e del contratto collettivo e, in ogni caso, subordinatamente al corretto
andamento della attività svolta (3).
ARTICOLO N.5
Requisiti giuridici e finanziari (1)
1. I requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo di cui all'articolo 4 sono:
145
a) la costituzione della agenzia nella forma di società di capitali ovvero cooperativa o consorzio di
cooperative, italiana o di altro Stato membro della Unione europea. Per le agenzie di cui alle lettere d)
ed e) è ammessa anche la forma della società di persone;
Perché la società di capitale? Perché già di per sé ha delle modalità di controllo molto rilevanti, anche solo
per gli amministratori (che per esserlo non devono avere commesso reati.
b) la sede legale o una sua dipendenza nel territorio dello Stato o di altro Stato membro della Unione
europea;
c) la disponibilità di uffici in locali idonei allo specifico uso e di adeguate competenze professionali,
dimostrabili per titoli o per specifiche esperienze nel settore delle risorse umane o nelle relazioni
industriali, secondo quanto precisato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con decreto da
adottarsi, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano e sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente
decreto legislativo (2);
d) in capo agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti muniti di rappresentanza e ai soci
accomandatari: assenza di condanne penali, anche non definitive, ivi comprese le sanzioni sostitutive
di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni, per delitti contro
il patrimonio, per delitti contro la fede pubblica o contro l'economia pubblica, per il delitto previsto
dall'articolo 416-bis del codice penale, o per delitti non colposi per i quali la legge commini la pena
della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, per delitti o contravvenzioni previsti da leggi
dirette alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o, in ogni caso, previsti da leggi in materia di lavoro
o di previdenza sociale; assenza, altresì, di sottoposizione alle misure di prevenzione disposte ai sensi
della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, o della legge 13 settembre
1982, n. 646, e successive modificazioni;
e) nel caso di soggetti polifunzionali, non caratterizzati da un oggetto sociale esclusivo, presenza di
distinte divisioni operative, gestite con strumenti di contabilità analitica, tali da consentire di
conoscere tutti i dati economico-gestionali specifici;
nella legge del ’97 sul lavoro interinale c’era la necessità che l’oggetto sociale fosse esclusivamente quello
del lavoro interinale.
Nel 2003 si è deciso di prevedere per coloro che fanno più settori di prevedere distinte sezioni operative
interne (soprattutto dal punto di vista della sezione economico-finanziaria per tutelare i lavoratori
somministrati).
2. Per l'esercizio delle attività di cui all'articolo 20, oltre ai requisiti di cui al comma l, è richiesta:
a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 600.000 euro ovvero la disponibilità di 600.000
euro tra capitale sociale versato e riserve indivisibili nel caso in cui l'agenzia sia costituita in forma
cooperativa;
per coloro che fanno tutte le attività.
b) la garanzia che l'attività interessi un ambito distribuito sull'intero territorio nazionale e comunque
non inferiore a quattro regioni;
c) a garanzia dei crediti dei lavoratori impiegati e dei corrispondenti crediti contributivi degli enti
previdenziali, la disposizione, per i primi due anni, di un deposito cauzionale di 350.000 euro presso un
istituto di credito avente sede o dipendenza nei territorio nazionale o di altro Stato membro della
Unione europea; a decorrere dal terzo anno solare, la disposizione, in luogo della cauzione, di una
fideiussione bancaria o assicurativa o rilasciata da intermediari iscritti nell'elenco speciale di cui all'

146
articolo 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 , che svolgono in via prevalente o esclusiva
attività di rilascio di garanzie, a ciò autorizzati dal Ministero dell'economia e delle finanze, non
inferiore al 5 per cento del fatturato, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, realizzato nell'anno
precedente e comunque non inferiore a 350.000 euro. Sono esonerate dalla prestazione delle garanzie
di cui alla presente lettera le società che abbiano assolto ad obblighi analoghi previsti per le stesse
finalità dalla legislazione di altro Stato membro della Unione europea (4)(A);
d) la regolare contribuzione ai fondi per la formazione e l'integrazione del reddito di cui all'articolo 12,
il regolare versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, il rispetto degli obblighi previsti dal
contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro applicabile;
e) nel caso di cooperative di produzione e lavoro, oltre ai requisiti indicati al comma 1 e nel presente
comma 2, la presenza di almeno sessanta soci e tra di essi, come socio sovventore, almeno un fondo
mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge
31 gennaio 1992, n. 59, e successive modificazioni;
f) l'indicazione della somministrazione di lavoro di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), come oggetto
sociale prevalente, anche se non esclusivo (5).
4. Per l'esercizio dell’attività di intermediazione, oltre ai requisiti di cui al comma 1, è richiesta:
a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 50.000 euro;
b) la garanzia che l'attività interessi un ambito distribuito sull'intero territorio nazionale e comunque
non inferiore a quattro regioni;
c) l'indicazione della attività di intermediazione di cui all'articolo 4, comma 1, lettera c), come oggetto
sociale prevalente, anche se non esclusivo.
La legge continua a prevedere oltre alle sanzioni civilistiche anche sanzioni pensali legate direttamente alle
agenzie che non sono autorizzate.
ARTICOLO N.18
Sanzioni (1)
1. L'esercizio non autorizzato delle attività di cui all' articolo 4 , comma 1, lettere a) e b), è punito con
la pena dell'ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro.
Sanzione penale che è stata ridotta rispetto al passato ma che qualcosa fa ancora.
È stato previsto ed inserito nell’ordinamento lo specifico reato di caporalato.
È punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con la multa da 500 a 1000 euro chiunque recluta
manodopera allo scopo di destinarla a lavoro presso terzi.”
Il reato di caporalato oggi è legato all’interposizione non regolata ma che sia in condizioni di sfruttamento e
approfittando dello stato di visione dei lavoratori.
Non sempre se c’è una mancata iscrizione o autorizzazione c’è sempre il caso di caporalato.
REGOLAZIONE DELLA SOMMINISTRAZIONE
Nasce nel 2003 e viene ripresa nel 2015.
Sussiste sempre un divieto di interposizione?
La questione nasce perché nel 2003 viene abrogata la legge 1369/70 che prevedeva il divieto generalizzato.

147
L’interpretazione della maggioranza degli interpreti ha portato a dire che il divieto generalizzato di
interposizione di lavoro è ancora valido.
COME È REGOLATA NEL DECRETO LEGISLATIVO 81/2015?
L’interposizione di lavoro è regolata definendo il contrasto di somministrazione di lavoro (contratto di tipo
commerciale che lega l’agenzia all’impresa)
il contratto di somministrazione è il contratto (nel nostro ordinamento anche a tempo indeterminato) con il
quale un’agenzia di somministrazione autorizzata (sensi decreto 276/2003) mette a disposizione di un
utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali per tutta la durata della missione, svolgono la loro
attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore.
Questa è una modalità già prevista dalla legge con cui alcuni dei poteri del datore di lavoro (agenzia)
vengono traslati all’utilizzatore che può controllare il lavoratore.
Articolo 31
Somministrazione di lavoro a tempo indeterminato e determinato (A)
1. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall'utilizzatore, il numero dei lavoratori
somministrati con contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato non può eccedere il
20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l'utilizzatore al 1°
gennaio dell'anno di stipula del già menzionato contratto, con un arrotondamento del decimale
all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attività nel corso
dell'anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al
momento della stipula del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato. Possono
essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministratore a
tempo indeterminato. Nel caso in cui il contratto di somministrazione tra l'agenzia di
somministrazione e l'utilizzatore sia a tempo determinato l'utilizzatore può impiegare in missione, per
periodi superiori a ventiquattro mesi anche non continuativi, il medesimo lavoratore somministrato,
per il quale l'agenzia di somministrazione abbia comunicato all'utilizzatore l'assunzione a tempo
indeterminato, sen za che ciò determini in capo all'utilizzatore stesso la costituzione di un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato.
Il limite massimo è il 20%.
Il contratto commerciale può essere sia a tempo determinato che indeterminato e la stessa cosa vale anche
per il contratto di lavoro.
La cosa rilevante è che se c’è un contratto di somministrazione a tempo indeterminato è necessario che sia a
tempo indeterminato anche il contratto di lavoro.
C’è poi la possibilità che il lavoratore sia assunto dall’agenzia a tempo indeterminato e sia mandato solo a
tempo determinato presso l’imprenditore.
2. Salva diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall'utilizzatore e fermo restando il limite
disposto dall'articolo 23 (contratto a tempo determinato), il numero dei lavoratori assunti con contratto a
tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere
complessivamente il 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso
l'utilizzatore al 1° gennaio dell'anno di stipulazione dei predetti contratti, con arrotondamento del
decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attività nel
corso dell'anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in
forza al momento della stipulazione del contratto di somministrazione di lavoro. E' in ogni caso esente
da limiti quantitativi la somministrazione a tempo determinato di lavoratori di cui all'articolo 8,
comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, di soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di

148
trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o
molto svantaggiati ai sensi de i numeri 4) e 99) dell'articolo 2 del regolamento (UE) n. 651/2014 della
Commissione, del 17 giugno 2014, come individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali.
Quello che vuole fare il legislatore è prevedere un limite massimo per i lavoratori nel caso di lavoro
temporaneo presso un utilizzatore.
Questo 30 % è pensato per coprire: tempo determinato + somministrazione a tempo determinato.
L’idea è quella che il tempo determinato aveva già il suo 20%, qui si prevede il 30% (10 % legato alla
somministrazione).
Se in quell’impresa vi sono solo lavoratori somministrati deve prevalere l’idea che valga anche per loro il
30%.

Articolo 32
Divieti
1. Il contratto di somministrazione di lavoro è vietato:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti
collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, che hanno riguardato lavoratori
adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro, salvo che il
contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale
non superiore a tre mesi;
c) presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione
dell'orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle stesse
mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro;
d) da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della
normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Vi sono gli stessi divieti utilizzati per il contratto a tempo determinato.
Articolo 33
Forma del contratto di somministrazione
1. Il contratto di somministrazione di lavoro è stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi:
a) gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore;
L’agenzia che è iscritta all’albo nel contratto deve inserire il numero di autorizzazione rilasciata dal
ministero del lavoro.
b) il numero dei lavoratori da somministrare;
c) l'indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione
adottate;
d) la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro;
e) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e l'inquadramento dei medesimi;

149
f) il luogo, l'orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori
Siamo nel contratto di tipo commerciale che è stipulato tra agenzia e impresa: normalmente il lavoratore non
è a conoscenza del contenuto del contratto (è esterno al contratto).
Il legislatore prevede:
3. Le informazioni di cui al comma 1, nonché' la data di inizio e la durata prevedibile della missione,
devono essere comunicate per iscritto al lavoratore da parte del somministratore all'atto della
stipulazione del contratto di lavoro ovvero all'atto dell'invio in missione presso l'utilizzatore
Questo è un onere che la legge da all’agenzia di informare il lavoratore, per iscritto, del contenuto del
contratto.
È fondamentale soprattutto nel momento dell’impugnazione del contratto.
Tra il contratto di somministrazione e quello di lavoro secondo la giurisprudenza ci sarebbe un collegamento
di tipo causale. (se per caso cade uno, cade anche l’altro)
Possibilità di interpretare il fenomeno come unico (due contratti collegati).
Articolo 34
Disciplina dei rapporti di lavoro
Il legislatore (già dal 2003) dice: per il contratto di lavoro si deve guardare come la disciplina tratta i normali
contratti di lavoro:

 Subordinato a tempo indeterminato se si tratta di contratti di lavoro subordinato a tempo


indeterminato
 Subordinato a tempo determinato se si tratta di temporaneità
1. In caso di assunzione a tempo indeterminato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è
soggetto alla disciplina prevista per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Nel contratto di
lavoro è determinata l’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dal
somministratore al lavoratore per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione,
nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile al somministratore e comunque non inferiore
all'importo fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. L’indennità di
disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.
Questa indennità di disponibilità è di circa 800 euro e viene erogata nei periodi in cui un lavoratore assunto a
tempo indeterminato dall’agenzia ha finito la propria missione presso l’utilizzatore ed è in attesa di altra
missione.
È particolare anche l’ipotesi di licenziamento per ragioni oggettive nel caso di un lavoratore assunto
dall’agenzia di somministrazione a tempo indeterminato:

 La ragione oggettiva non può essere quella della fine della missione.
Debbano essere comprovate le impossibilità di mandare il lavoratore presso un’altra impresa utilizzatrice.
2.In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è
soggetto alla disciplina di cui al capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma
2, 23 e 24. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il
consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo
applicato dal somministratore.
Oggi, dopo l’intervento del 2018 c’è stata la decisione di estendere al contratto di lavoro somministrato
anche la questione causale.

150
ES: non si trova più l’esclusione dell’art. 19, quelli esclusi sono:

 Art.21 comma 2
 Art.23
 Art.24
Articolo 21
Proroghe e rinnovi
2. Qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di
un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di
durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Le
disposizioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati
nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché'
nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. Fino all'adozione del decreto di cui al secondo periodo
continuano a trovare applicazione le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre
1963, n. 1525.
Articolo 23
Numero complessivo di contratti a tempo determinato
1. Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi non possono essere assunti lavoratori a tempo
determinato in misura superiore al 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in
forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore
qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attività nel corso dell'anno, il limite
percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento
dell'assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile
stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.
2. Sono esenti dal limite di cui al comma 1, nonché' da eventuali limitazioni quantitative previste da
contratti collettivi, i contratti a tempo determinato conclusi:
a) nella fase di avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi, anche in misura non
uniforme con riferimento ad aree geografiche e comparti merceologici;
b) da imprese start-up innovative di cui all'articolo 25, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 179 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, per il periodo di quattro an ni dalla
costituzione della società ovvero per il più limitato periodo previsto dal comma 3 del suddetto articolo
25 per le società già costituite;
c) per lo svolgimento delle attività stagionali di cui all'articolo 21, comma 2;
d) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi o per la produzione di
specifiche opere audiovisive (1);
e) per sostituzione di lavoratori assenti;
f) con lavoratori di età superiore a 50 anni.
3. Il limite percentuale di cui al comma 1 non si applica, inoltre, ai contratti di lavoro a tempo
determinato stipulati per la realizzazione e il monitoraggio di iniziative di cooperazione allo sviluppo
di cui alla legge 11 agosto 2014, n. 125, ovvero tra università private, incluse le filiazioni di università
straniere, istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere
attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di
coordinamento e direzione della stessa, tra istituti della cultura di appartenenza statale ovvero enti,
pubblici e privati derivanti da trasformazione di precedenti enti pubblici, vigilati dal Ministero dei
151
beni e delle attività culturali e del turismo, ad esclusione delle fondazioni di produzione musicale di cui
al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, e lavoratori impiegati per soddisfare esigenze temporanee
legate alla realizzazione di mostre, eventi e manifestazioni di interesse culturale. I contratti di lavoro a
tempo determinato che hanno ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica
o di cooperazione allo sviluppo di cui alla legge 11 agosto 2014, n. 125, possono avere durata pari a
quella del progetto al quale si riferiscono(2).
4. In caso di violazione del limite percentuale di cui al comma 1, restando esclusa la trasformazione dei
contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, per ciascun lavoratore si applica una sanzione
amministrativa di importo pari:
a) al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di
durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale
non e' superiore a uno;
b) al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di
durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è
superiore a uno.
5. I contratti collettivi definiscono modalità e contenuti delle informazioni da rendere alle
rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria dei lavoratori in merito
all'utilizzo del lavoro a tempo determinato.
Articolo 24
Diritti di precedenza
1. Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, il lavoratore che, nell'esecuzione di uno o più
contratti a tempo determinato presso la stessa azienda, ha prestato attività lavorativa per un periodo
superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal
datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione
dei rapporti a termine.
2. Per le lavoratrici, il congedo di maternità di cui al Capo III del decreto legislativo n. 151 del 2001, e
successive modificazioni, usufruito nell'esecuzione di un contratto a tempo determinato presso lo
stesso datore di lavoro, concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il
diritto di precedenza di cui al comma 1. Alle medesime lavoratrici è altresì riconosciuto, alle stesse
condizioni di cui al comma 1, il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo determinato effettuate
dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in
esecuzione dei precedenti rapporti a termine.
3. Il lavoratore assunto a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di
precedenza rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di lavoro per
le medesime attività stagionali.
4. Il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nell'atto scritto di cui all' articolo 19,
comma 4, e può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti per iscritto la propria volontà
in tal senso al datore di lavoro entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro nei casi di
cui ai commi 1 e 2, ed entro tre mesi nel caso di cui al comma 3. Il diritto di precedenza si estingue una
volta trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto.
Le questioni decise dalla contrattazione collettiva riguardano le proroghe.
“il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato con consenso del
lavoratore per atto scritto nei casi e per la durata prevista del contratto applicato dal
somministratore.”

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Il contratto collettivo prevede un numero max di sei proroghe (non si hanno decisioni definite)
Vi sono poi delle modalità:

 Principio della parità di trattamento dei dipendenti al pari livello dell’utilizzatore


 Condizioni economiche normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari
livello dell’utilizzatore.
Qui l’Italia ha una disciplina più avanzata rispetto alla direttiva (condizioni di base).
Vi è la necessità che l’utilizzatore sia obbligato in solido al somministratore a corrispondere ai lavoratori
trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi previdenziali.
L’obbligato è il datore di lavoro (agenzia), l’obbligazione in solido è un’ulteriore garanzia per il lavoratore
che se non è pagato dall’agenzia può richiedere all’utilizzatore le retribuzioni non ricevute.
OBBLIGAZIONE IN SOLIDO = dà la possibilità al creditore di avvalersi presso il coobbligato in solido
anche per tutto il credito. Non mette in discussione il rapporto principale: l’obbligato principale resta
l’agenzia.
Importante e particolare è il caso dello IUS VARIANDI dove l’utilizzatore deve dare immediata
comunicazione scritta al somministratore quando utilizza il lavoratore in altre mansioni.
PUO’ L’IMPRESA DIRETTAMENTE USARE IL POTERE DISCIPLINARE? NO, è potere del datore.
L’impresa deve immediatamente comunicare all’agenzia l’accaduto.
8. In caso di somministrazione di lavoro a tempo determinato] è nulla ogni clausola diretta a
limitare, anche indirettamente, la facoltà dell'utilizzatore di assumere il lavoratore al termine della sua
missione (4).
È una obbligazione che deriva dalla direttiva 104/2008.
L’idea è che per il legislatore la cosa migliore sia un’assunzione diretta.
I contratti collettivi stabiliscono anche quali sono i caratteri delle indennità che le agenzie debbono dare al
lavoratore per trattenerlo presso di loro.
Articolo 36
Diritti sindacali e garanzie collettive
1. Ai lavoratori delle agenzie di somministrazione si applicano i diritti sindacali previsti dalla legge n.
300 del 1970, e successive modificazioni.
2. Il lavoratore somministrato ha diritto a esercitare presso l'utilizzatore, per tutta la durata della
missione, i diritti di libertà e di attività sindacale, nonché' a partecipare alle assemblee del personale
dipendente delle imprese utilizzatrici.
3. Ogni dodici mesi l'utilizzatore, anche per il tramite della associazione dei datori di lavoro alla quale
aderisce o conferisce mandato, comunica alle rappresentanze sindacali aziendali ovvero alla
rappresentanza sindacale unitaria o, in mancanza, agli organismi territoriali di categoria delle
associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il numero dei
contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei
lavoratori interessati.
Il nostro lavoratore lavora materialmente presso l’impresa ma è dipendente dell’agenzia.
Necessario il riconoscimento di esercitare i diritti sindacali.

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Articolo 38
Somministrazione irregolare
1. In mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono
considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore.
2. Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli
articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può chiedere, anche
soltanto nei confronti dell'utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di
quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione.
Articolo 38 bis 2
Somministrazione fraudolenta (A)
1. Ferme restando le sanzioni di cui all'articolo 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, quando
la somministrazione di lavoro e' posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di
legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, il somministratore e l'utilizzatore sono puniti con la
pena dell'ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.
Vi sono tre tipologie di reato:

 Art. 18 decreto legislativo 276/2003


 Art. 38 bis decreto legislativo 81/2015
 Caporalato
Quello della somministrazione è uno schema trilaterale, con un diretto impatto sulla modalità di
organizzazione e gestione dei rapporti di lavoro.
VISIONE FILM---------PAUL, ME E GLI ALTRI.
Impatto del regista in Inghilterra, massiccia privatizzazione e in questo caso si coglie un dialogo tra
lavoratori in una azienda che gestisce le ferrovie, che è stata privatizzata e che da quel momento ha una
gestione lavorativa molto frammentata: accanto ai lavoratori che continuano ad essere nell’azienda, ce ne
sono altri che dalla stessa sono stati licenziati e assunti da altre con modalità differenti (tra cui la
somministrazione).
Due punti sono fondamentali:

 Complessità organizzativa che si viene a creare tra lavoratori (alle dipendenze dell’agenzia e che
vengono mandati a lavorare presso un’altra azienda e devono uscire)
 Attenzione alla sicurezza: emerge dai dati che le tipologie di lavoro flessibili e frammentate hanno
tassi di infortuni più elevate.
ES: divieti di uso della somministrazione per chi non ha previsto delle modalità peculiari per la salute e la
sicurezza.
UTILIZZABILITA’ DELL’APPALTO NELLA GESTIONE AZIENDALE
L’appalto è un contratto tipico, di tipo commerciale, (art.1655 cc):
L'appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione [2082] dei mezzi necessari e
con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in
danaro.
È un normale contratto di tipo commerciale tra due imprese (o anche tra una persona fisica ed un’impresa):
ES: il proprietario di un fondo, dà in appalto un’azienda esterna la costruzione della sua casa.
154
L’appaltatore segue le direttive del committente.
In ambito di lavoro quello che viene dato in appalto riguarda la cessione di servizi.
ES: soggetti delle guardiole
ES: soggetti che fanno le pulizie
In passato entrambe queste funzioni erano all’interno della stessa azienda, negli anni questi servizi (che non
coincidono con l’attività produttiva dell’impresa) sono stati esternalizzati ad azienda esterna che ha come
fine quel tipo di attività.
Quello che viene stipulato è un contratto di appalto di servizi.
Questa è una modalità particolare, (quando nel mezzo vi sono aziende pubbliche entra a far parte una
regolamentazione europea direttiva) attuata attraverso il codice degli appalti (regola le modalità di appalti
delle P.A).
L’idea alla base è quella per cui deve essere garantita la libera concorrenza:

 Appositi bandi
 Appalti temporanei (un certo numero di anni)
 Gare aperte di appalto
Oggi governo e parlamento dovrebbero approvare una nuova versione del codice d’appalto.
Il lavoro, nella modalità di gestione degli appalti, ha una rilevanza molto forte rispetto all’ambito degli
strumenti usati dall’impresa.
ES: se io avessi un ambito legato al settore della pulizia, questo potrebbe essere svolto semplicemente dal
lavoratore, senza grandi macchinari. Quindi risulterebbe molto difficile comprendere se quel lavoratore è
davvero un lavoratore dell’impresa appaltatrice e non fittizia per far sì che usi quel lavoratore facendo finta
che lavori per un altro.
Quando parliamo di appalti di servizi, dove il fattore lavoro è preponderante, il problema si pone.
Il legislatore ha sempre previsto ulteriori modalità regolative per evitare questo: è possibile usare l’appalto
solo quando l’impresa appaltatrice è una vera impresa, che ha alle sue dipendenze una serie di lavoratori.
Bisogna evitare la commissione (formalmente assunti da altri ma diretti lui stesso)
Nella legge 1369/1960 (vieta interposizione di lavoro e appalto interno alle imprese), si prevedeva il vero
appalto ma regolato in modo molto restrittivo.
L’art. 29 del decreto legislativo 276/2003 (ancora in vigore che si applicano agli appalti di servizi)
Capo II
APPALTO E DISTACCO
ARTICOLO N.29
Appalto
1. Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato
e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di
lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in
relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere
organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione,
da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa.

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2. Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di
lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare
metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, in caso di
appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con
l'appaltatore, nonché' con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla
cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di
trattamento di fine rapporto…
Il fine è quello di riconoscere l’appalto di servizi solo quando si parla di un vero appaltatore, quando
l’impresa è una vera appaltatrice che si assume il rischio di impresa.
La norma, infatti, differenza l’appalto dalla somministrazione di lavoro.
L’appalto è legato ad una impresa, che:

 Fa una determinata attività


 Che ha i suoi lavoratori
 Assume il rischio di impresa
Questa impresa sarà chiamata ad operare tramite contratto d’appalto e a seconda dell’impresa manderà
determinate persone.
Ci sono altre problematiche riguardo ad un servizio svolto tramite appalto:

 L’appalto viene a cessare, l’impresa committente fa una nuova gara d’appalto che viene vinta da
un’altra impresa.
ES: fino a pochi mesi fa i servizi di ristorazione Bicocca erano gestiti dalla SODEXO, nell’ultima gara di
appalto ha perso ed è arrivata una nuova impresa (cambiando anche dei principi).
Noi in questo caso siamo abituati a vedere le stesse persone, ci sono delle regole contrattuali (contratti
collettivi) che prevedono la possibilità di riassunzione dei lavoratori che lavoravano per il precedente
appaltatore.
Nel caso di appalto/non appalto si applica l’art. 38 del decreto legislativo 81/2015
Somministrazione irregolare
1. In mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono
considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore.
2. Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli
articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può chiedere, anche
soltanto nei confronti dell'utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di
quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione.
3. Nelle ipotesi di cui al comma 2 tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o
di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la
prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli
atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il
periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal
soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione.
4. La disposizione di cui al comma 2 non trova applicazione nei confronti delle pubbliche
amministrazioni.

156
Si utilizza quando ci si trova davanti a contratti di appalto solo formali, dove il soggetto appaltatore non è
una vera e propria impresa (quel lavoratore formalmente dipendente della società appaltatrice viene visto in
un’ottica diversa).
ES: il servizio di pulizia viene esercitato da un’azienda che, non è formalmente un’impresa autonoma che fa
impresa di pulizia, è solo un soggetto vuoto che si presta a trovare personale da mandare a fare pulizie.
COSA SUCCEDE SE IL LAVORATORE SI RIVOLGE AD UN GIUDICE, CHE VERIFICA CHE
QUELLO NON SIA APPALTO GENUINO (VERA IMPRESA CHE ORGANIZZA I MEZZI E
ASSUMEN IL RUOLO DI DATORE)?
Si applica l’art. 38 del decreto 81/2015, in cui vi sono i tre soggetti (appaltante, appaltatore e dipendente
dell’appaltatore) dove quel rapporto si riconosce come una somministrazione di lavoro, dove la società
appaltatrice è agenzia per il lavoro non iscritta alle liste del ministero.
Il contratto di somministrazione è nullo e viene riconosciuto il rapporto di lavoro tra soggetto utilizzatore e
lavoratore. L’impresa presso cui il lavoratore presta servizio è obbligata ad assumere quel lavoratore (se
privata).
TIPOLOGIA CONTRATTUALE ATIPICA: CONTRATTO A CONTENUTO FORMATIVO
NEL 2003 con il decreto legislativo 276 viene introdotto il contratto di inserimento che aveva sostituito il
contratto di formazione – lavoro (con più attenzione alle regole in materia di aiuti di stato).
Oggi non esistono più queste modalità, ma qualcosa si ritrova nella disciplina dell’apprendistato.
L’apprendistato è una disciplina contrattuale che trova diversi antecedenti storici (nel medioevo gli
apprendisti erano coloro che imparavano una professione).
Oggi quando parliamo di apprendistato possiamo parlare di vero e proprio contratto di lavoro peculiare.
Ha in sé una parte di formazione che viene erogata dal datore di lavoro, si parla di contratto di lavoro a causa
mista (si incide su uno degli elementi essenziali del contratto).
In tutti i contratti la causa è: lavoro subordinato-retribuzione.
In questo caso abbiamo: lavoro subordinato-retribuzione/formazione (causa mista).
Il Codice civile sotto la terminologia “tirocinio” (termine ambiguo) si trova agli articoli 2130/4 con
riferimento ad un contratto particolare, oggi viene usato per gli stage (non è detto però che sia sempre così, a
volte si parla di tirocinio per la pratica professionale).
Lo stage non è un contratto ma solo formazione: lo scambio è in quel caso accordo-formazione.
L’apprendistato invece è un contratto di lavoro a causa mista.
L’apprendistato ha avuto modalità regolative particolari, per molti anni c’è stata in vigore la legge n. 25/1955
in materia di apprendistato.
A partire dal 2003 l’apprendistato ha subito una serie di modifiche.
Dal 2011/12 e nel 2015 è andato a sostituire anche le altre tipologie di lavoro di tipo formativo.
I passaggi fondamentali sono all’interno del decreto legislativo 276/2003 che per la prima volta ha introdotto
tre tipologie di apprendistato (non è più unico).
Vi è stato poi un testo unico nel 20011 che aveva ripreso in mano la questione della regolazione
dell’apprendistato.

157
Anche la legge Fornero del 2012 è intervenuta per prevedere alcune differenti regole. (ancora in vigore che
troviamo nell’ambito del decreto 81/2015.
Se la causa è nulla = nullità del contratto (vale per qualsiasi elemento)
Se per caso manca la formazione, il contratto è nullo.
Siamo in presenza di norme imperative quindi la conseguenza della nullità sarà la trasformazione del
rapporto in un rapporto subordinato a tempo in determinato sin dall’origine.
Vi sono oneri contributivi molto bassi, questo è il motivo per cui si invogliano gli imprenditori ad assumere
con contratti di apprendistato.
Lo sconto sugli oneri contributivi però potrebbe essere visto come aiuto di stato. (il legislatore deve
assicurarsi che siano legittimi).
1. Prima tipologia è pensata per lavoratori da 15 a 25 anni.
2. Pensata per lavoratori da 18 anni a 29 anni
3. Pensata per lavoratori da 18 anni a 29 anni.
Sono età pensate per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro ma legate a quelle che per l’UE sono
regole condivise.
25 anni = pensata per l’idea di giovane
29 = possibilità che l’’Unione dà per inserirvi anche persone che hanno un certo tipo di formazione
(universitari).
La durata dei contratti è limitata nel tempo e va da 3 a 5 anni.
Si è posto fin dal 2003 un problema di competenza tra stato e regioni (nato dopo la riforma del titolo V del
2001).
DECRETO LEGISLATIVO 81/2015
CAPO V
Apprendistato
Articolo 41
Definizione
1. L'apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla
occupazione dei giovani.
Questo riferimento dell’apprendistato come contratto di lavoro a tempo indeterminato non è sempre stato
così: vi è una durata per la formazione.
Il contratto di apprendistato inizialmente era un contratto con termine, nel corso del tempo, dopo vari
interventi è stato pensato come un contratto di per sé a tempo indeterminato, in cui però a tempo determinato
è l’ambito formativo.
Solo nei primi 3/5 anni (il legislatore di recente ha introdotto una durata minima di 6 mesi a 3/5 anni)
sussiste quella causa mista di Retribuzione/formazione.
Se si prosegue, si continua come normale lavoro subordinato a tempo indeterminato in cui la regolazione
sarà quella dei normali lavori subordinati.
Vi è un momento, al termine della formazione, in cui le parti possono liberamente recedere. Una volta che si
è scelto di proseguire il recesso non sarà più libero ma dovrà essere giustificato necessariamente.
158
2. Il contratto di apprendistato si articola nelle seguenti tipologie:
a) apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria
superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;
b) apprendistato professionalizzante;
c) apprendistato di alta formazione e ricerca.
La prima e la terza tipologia hanno una peculiarità rispetto alla seconda, poiché direttamente correlati ai
percorsi scolastici:
1. Legata ad un percorso di scuola superiore (istruzione secondaria).
3.. Formazione di terzo livello (università, master, tutorati).
La seconda tipologia è un percorso che ha un ambito formativo ma sganciato da quelli formali scolastici.
È un tipo di formazione prettamente professionale, è il vecchio apprendistato.
3. L'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria
superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e quello di alta formazione e ricerca
integrano organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro, con riferimento ai titoli di
istruzione e formazione e alle qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n.13, nell'ambito del Quadro europeo delle
qualificazioni.
L’idea del sistema duale è un sistema che ha anche nella formazione professionale un punto fondamentale.
ES: le modifiche scolastiche (buona scuola) sono legate anche a questo.
Articolo 42
Disciplina generale
1. Il contratto di apprendistato è stipulato in forma scritta ai fini della prova. (ab probationem). Il
contratto di apprendistato contiene, in forma sintetica, il piano formativo individuale definito anche
sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali di cui all'
articolo 2, comma 1, lettera h), è necessario che il piano formativo individuale sia contenuto nel contratto
di apprendistato.
2. Il contratto di apprendistato ha una durata minima non inferiore a sei mesi, fatto salvo quanto
previsto dagli articoli 43, comma 8, e 44, comma 5.
3. Durante l'apprendistato trovano applicazione le sanzioni previste dalla normativa vigente per il
licenziamento illegittimo.
Le norme per il licenziamento illegittimo valgono prima (per tutto il periodo formativo) e dopo.
4. Al termine del periodo di apprendistato le parti possono recedere dal contratto, ai sensi dell'articolo
2118 del Codice civile, con preavviso decorrente dal medesimo termine. Durante il periodo di
preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle
parti recede il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato.
5. Salvo quanto disposto dai commi da 1 a 4, la disciplina del contratto di apprendistato è rimessa ad
accordi interconfederali ovvero ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni
sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nel rispetto dei seguenti principi:

159
a) divieto di retribuzione a cottimo (modalità di misurazione della retribuzione legata alla quantità di
produzione).
b) possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto a quello spettante in
applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro ai lavoratori addetti a mansioni che richiedono
qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto, o, in alternativa,
di stabilire la retribuzione dell'apprendista in misura percentuale e proporzionata all’anzianità di
servizio;
modalità introdotta dal 2003 pensata per invogliare l’imprenditore ad assumere con il contratto di
apprendistato, l’idea è quella che l’apprendista (che deve imparare) non sia immediatamente produttivo.
c) presenza di un tutore o referente aziendale;
d) possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi
paritetici interprofessionali di cui all'articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e all'articolo 12
del decreto legislativo n. 276 del 2003, anche attraverso accordi con le regioni e le province autonome
di Trento e Bolzano;
e) possibilità del riconoscimento, sulla base dei risultati conseguiti nel percorso di formazione, esterna
e interna alla impresa, della qualificazione professionale ai fini contrattuali e delle competenze
acquisite ai fini del proseguimento degli studi nonché' nei percorsi di istruzione degli adulti;
f) registrazione della formazione effettuata e della qualificazione professionale ai fini contrattuali
eventualmente acquisita nel libretto formativo del cittadino di cui all'articolo 2, comma 1, lettera i), del
decreto legislativo n. 276 del 2003;
g) possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di
sospensione involontaria del lavoro, di durata superiore a trenta giorni;
h) possibilità di definire forme e modalità per la conferma in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per
la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato.
6. Per gli apprendisti l'applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria si
estende alle seguenti forme:
a) assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
b) assicurazione contro le malattie;
c) assicurazione contro l’invalidità e vecchiaia;
d) maternità;
e) assegno familiare;
f) assicurazione sociale per l'impiego
7. Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, direttamente o
indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione autorizzate, non può superare il
rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo
datore di lavoro. Tale rapporto non può superare il 100 per cento per i datori di lavoro che occupano
un numero di lavoratori inferiore a dieci unità. È in ogni caso esclusa la possibilità di utilizzare
apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato. Il datore di lavoro che non abbia
alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero
inferiore a tre, può assumere apprendisti in numero non superiore a tre. Le disposizioni di cui al
presente comma non si applicano alle imprese artigiane per le quali trovano applicazione le
disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443.
160
Anche l’agenzia di somministrazione può inviare apprendisti.
In ogni caso è necessario che nuovi apprendisti possano essere assunti dal datore solo se in precedenza ha
mantenuto almeno il 20% di apprendisti nella sua azienda.
(il 92% delle imprese italiane ha meno di 10 dipendenti)
8. Ferma restando la possibilità per i contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dalle associazioni
sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, di individuare limiti diversi da
quelli previsti dal presente comma, esclusivamente per i datori di lavoro che occupano almeno
cinquanta dipendenti, l'assunzione di nuovi apprendisti con contratto di apprendistato
professionalizzante e' subordinata alla prosecuzione, a tempo indeterminato, del rapporto di lavoro al
termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il
20 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro, restando esclusi dal computo i
rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, dimissioni o licenziamento per giusta causa.
Qualora non sia rispettata la già menzionata percentuale, è in ogni caso consentita l'assunzione di un
apprendista con contratto professionalizzante. Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti di cui al
presente comma sono considerati ordinari lavoratori subordinati a tempo indeterminato sin dalla data
di costituzione del rapporto.
Articolo 43
Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore
e il certificato di specializzazione tecnica superiore. (1)
1. L'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e il certificato di specializzazione tecnica
superiore è strutturato in modo da coniugare la formazione effettuata in azienda con l'istruzione e la
formazione professionale svolta dalle istituzioni formative che operano nell'ambito dei sistemi
regionali di istruzione e formazione sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al decreto
legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e di quelli di cui all'articolo 46.
2. Possono essere assunti con il contratto di cui al comma 1, in tutti i settori di attività, i giovani che
hanno compiuto i 15 anni di età e fino al compimento dei 25. La durata del contratto è determinata in
considerazione della qualifica o del diploma da conseguire e non può in ogni caso essere superiore a tre
anni o a quattro anni nel caso di diploma professionale quadriennale.
3. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 46, comma 1, la regolamentazione dell'apprendistato
per la qualifica e il diploma professionale e il certificato di specializzazione tecnica superiore è rimessa
alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano.
Stiamo parlando della modifica del titolo V (potestà legislativa).
Chi può o deve erogare la formazione?
ES: nell’ambito della legislazione concorrente, anche quella legata all’istruzione (escluse le formazioni
professionali in mano alle regioni).
La Corte costituzionale è intervenuta a partire dal decreto legislativo del 2003 (che per la prima volta aveva
previsto modalità di intervento nell’ambito dell’apprendistato, prevedendo una competenza solo statuale), la
corte ha precisato che nell’ambito dell’apprendistato sussiste una competenza statale per la formazione
interna all’azienda. Costituisce competenza regionale la formazione esterna all’azienda.
Secondo la Corte la formazione interna all’azienda è strettamente correlata al sinallagma contrattuale (causa
mista).
L’istruzione è di competenza concorrente ma lo stato dà le regole di base.

161
Lo stato può esplicitare e delegare la regione nell’ambito della regolamentazione dell’apprendistato per la
qualifica di diploma professionale, ma in assenza di regolamentazione regionale è rimessa al ministero del
lavoro: lo stato comunque ha qualche competenza.
Articolo 44
Apprendistato professionalizzante (A)
1. Possono essere assunti in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con contratto di apprendistato
professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione professionale ai fini contrattuali, i
soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Per i soggetti in possesso di una qualifica professionale,
conseguita ai sensi del decreto legislativo n. 226 del 2005, il contratto di apprendistato
professionalizzante può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età. La qualificazione
professionale al cui conseguimento è finalizzato il contratto è determinata dalle parti del contratto
sulla base dei profili o qualificazioni professionali previsti per il settore di riferimento dai sistemi di
inquadramento del personale di cui ai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
2. Gli accordi interconfederali e i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni
sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono, in ragione del tipo di
qualificazione professionale ai fini contrattuali da conseguire, la durata e le modalità di erogazione
della formazione per l'acquisizione delle relative competenze tecnico-professionali e specialistiche,
nonché' la durata anche minima del periodo di apprendistato, che non può essere superiore a tre anni
ovvero cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura dell'artigiano individuati dalla
contrattazione collettiva di riferimento.
3. La formazione di tipo professionalizzante, svolta sotto la responsabilità del datore di lavoro, è
integrata, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o
esterna alla azienda a, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte
complessivo non superiore a centoventi ore per la durata del triennio e disciplinata dalle regioni e dalle
province autonome di Trento e Bolzano.
Articolo 45
Apprendistato di alta formazione e di ricerca (A) (1)
1. Possono essere assunti in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con contratto di apprendistato
per il conseguimento di titoli di studio universitari e della alta formazione, compresi i dottorati di
ricerca, i diplomi relativi ai percorsi degli istituti tecnici superiori di cui all'articolo 7 del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2008, per attività di ricerca, nonché' per il
praticantato per l'accesso alle professioni ordinistiche, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni in
possesso di diploma di istruzione secondaria superiore o di un diploma professionale conseguito nei
percorsi di istruzione e formazione professionale integrato da un certificato di specializzazione tecnica
superiore o del diploma di maturità professionale all'esito del corso annuale integrativo.
2. Il datore di lavoro che intende stipulare un contratto di cui al comma 1 sottoscrive un protocollo con
l'istituzione formativa a cui lo studente è iscritto o con l'ente di ricerca, che stabilisce la durata e le
modalità, anche temporali, della formazione a carico del datore di lavoro, secondo lo schema definito
con il decreto di cui all'articolo 46, comma 1. Il suddetto protocollo stabilisce, altresì, il numero dei
crediti formativi riconoscibili a ciascuno studente per la formazione a carico del datore di lavoro in
ragione del numero di ore di formazione svolte in azienda, anche in deroga al limite di cui all'articolo
2, comma 147, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24
novembre 2006, n. 286. I principi e le modalità di attribuzione dei crediti formativi sono definiti con il
decreto di cui all'articolo 46, comma 1. La formazione esterna all'azienda è svolta nell'istituzione

162
formativa a cui lo studente è iscritto e nei percorsi di istruzione tecnica superiore e non può, di norma,
essere superiore al 60 per cento dell'orario ordinamentale.
3. Per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa il datore di lavoro è esonerato da ogni
obbligo retributivo. Per le ore di formazione a carico del datore di lavoro è riconosciuta al lavoratore
una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta. Sono fatte salve le diverse
previsioni dei contratti collettivi.
Per queste tipologie di apprendistato, dove la formazione è più rilevante, l’idea è che l’ambito formativo sia
più forte.
STAGE / TIROCINI
Quando parliamo di stage NON si parla di un contratto di lavoro e nemmeno di un rapporto di lavoro.
Parliamo di stage in relazione alla modalità di erogazione della formazione sul posto di lavoro.
In ambito di scambio c’è solo la formazione, erogata dal datore.
L’interesse dell’imprenditore è quello di formare la futura lavoratrice come è meglio per la propria azienda.
(un pericolo è l’abuso = la stagista viene usata come vera e propria lavoratrice non pagata)
COMPETENZA
La Corte costituzionale nella sentenza 50/2005 e ripetuta nel 2012: in materia di stage sono competenti
SOLO le regioni.
Non esiste una solo tipologia di stage; quello qui inteso è quello extra-curricolare (solo regione dal 2001).
Le attività di stage intra-curricolare sono parte del percorso formativo. (ambito anche della legislazione
concorrente in materia di istruzione, quindi concorrenza tra stato e regione)
Si è deciso, fermo restando la competenza regionale esclusiva, nell’ambito della conferenza stato/regioni, di
emanare delle linee guida (2013-2017) e la legge di bilancio 2022 ha previsto la necessità che la conferenza
intervenga con nuove linee guida (evitare abuso).
Al momento non si è espressa e le linee in vigore sono quelle del 2017.
La durata massima è di 12 mesi salvo eccezioni particolari, la durata minima non inferiore a due mesi.
C’è un soggetto promotore (università, servizi impiego) e un soggetto ospitante. Vi è poi lo stagista che va
presso il soggetto ospitante.
L’impresa, prima di far andare lo stagista, deve aver stipulato un accordo con il soggetto promotore dove
viene regolato il progetto formativo.
C’è un tutor sia per il soggetto promotore che per quello ospitante.
Vi è un’assicurazione contro infortuni sul lavoro, è prevista un’indennità di partecipazione, idea di indennità
di rimborso spese non obbligatoria ma a scelta della regione se applicarla o meno). (lo stagista non è pagato).
Se lo stage non viene concretamente realizzato secondo queste modalità: si ha immediatamente la possibilità
di chiedere al giudice la trasformazione del contratto di lavoro (con la necessità di provare il tutto).
COLLOCAMENTO
Visione: inizio “ladri di biciclette”.
È la storia di questo signor. Ricci, davanti ad un ufficio di collocamento (Roma nel 1940, tanta
disoccupazione e difficoltà di trovare lavoro).

163
In epoca prefascista, nel ‘900, l’accesso al lavoro era gestito dalle organizzazioni sindacali che avevano il
compito di aiutare i lavoratori a trovare lavoro.
Durante il periodo corporativo, l’accesso al collocamento viene gestito dai sindacati corporativi.
COSA SUCCEDE CON L’ENTRATA IN VIGORE DELLA COSTITUZIONE?
Ci si rende conto che il lavoro è un aspetto fondamentale, la nostra costituzione pensa al lavoro come
elemento centrale per la costruzione di un nuovo rapporto tra cittadini e stato.
È un momento di grandissima difficoltà, anche se poi comincia la ricostruzione (anni ’50 crescita e occasioni
di lavoro).
COSA AVVENIVA NORMALMENTE?
C’erano soggetti privati che intervenivano nell’ambito dell’intermediazione: come spesso capita però, in
mancanza di regolazione c’erano abusi. (gli amici venivano scelti rispetto agli altri, c’era magari anche la
possibilità di lucrare qualcosa).
Lo stato decide di intervenire con una legge: 264/1949 che introduce in Italia i principi generali diffusi in
ambito OIL. (necessità di un collocamento pubblico).
La legge del 1949 interviene in maniera molto severa: esiste solo il collocamento pubblico in regime di
monopolio, (l’unico che può intervenire nell’ambito dell’intermediazione) e vi è la necessità di seguire una
procedura particolare.
I lavoratori vengono inviati alle imprese tramite chiamata numerica, non c’è la possibilità della chiamata
nominativa. Per essere mandati in azienda bisogna passare dal nullaosta dell’ufficio di collocamento.
Concretamente: i lavoratori si iscrivevano nelle liste di collocamento e quando l’impresa chiedeva un certo
numero di lavoratori (dal punto di vista numerico e di mansione), l’ufficio di collocamento pescava dalle
proprie liste i nomi in ordine cronologico insieme ad altri criteri di tipo sociale; e venivano poi mandate.
(le liste venivano tenute dagli uffici territoriali del ministero del lavoro)
Il sistema era talmente rigido che qualsiasi tipo di distonia con tale procedura era sanzionata duramente.

 In ogni caso vi era la necessità che il lavoratore non dovesse pagare nulla.
Questo sistema resta in vigore a lungo anche se il suo funzionamento era abbastanza scarso (già con lo
statuto dei lavoratori si era tentato di renderlo più funzionale).
Con la legge 223/1991 si cancella la chiamata numerica (si dà la possibilità alle imprese di assumere
nominativamente il lavoratore), rimane invariato il bisogno del nullaosta dell’ufficio di collocamento.
Con dei provvedimenti nel 96/97 che viene introdotta l’assunzione nominativa e viene estesa la possibilità di
gestire il servizio di intermediazione anche ai datori privati.
Il sistema attuale di collocamento in vigore è contenuto nel decreto legislativo 150 del 2015. (sempre
nell’ambito delle riforme del jobs act).
Nel 96/97 erano vi già delle tendenze del legislatore all'epoca di modificare il sistema di collocamento ma ci
sono anche due eventi, dal punto di vista sovranazionale, che lo aiutano in queste azioni:

 In sede OIL cambia la prospettiva: rispetto alle convenzioni del 48 e del 49 in cui collocamento
pubblico del monopolio è altamente consigliato; c’è una convenzione del 97 che invita gli stati
membri ad aprire anche ai privati.

164
Nello stesso tempo c’è una sentenza della Corte di giustizia dell’unione europea del 1996 “job center 2”
(concorrenza nell’ambito del diritto dell’unione) che condanna l’Italia per il proprio sistema di monopolio
pubblico del collocamento.
Condanna il monopolio pubblico italiano perché non funzionante, non aveva come finalità quello di trovare
un lavoro alle persone che lo cercavano.
Oggi è in vigore decreto legislativo 150 del 2015, oggi noi abbiamo un sistema di collocamento misto:
pubblico e privato.
L’articolo 4 della costituzione sul diritto al lavoro comunque contiene una necessità costituzionale di
intervento pubblico ma non c’è più il Monopolio.
L’intervento pubblico funziona accanto a un sistema privato. (decreto legislativo 276/2003 =
somministrazione i criteri sono gli stessi che riguardano le esperienze che fanno le agenzie per il lavoro
nell'ambito della somministrazione)
MERCATO DEL LAVORO ITALIANO
L’INSTAT pubblica un report sull’andamento del mercato del lavoro.
In questo report si trovano riferimenti al:

 tasso di attività
 tasso di disoccupazione
 tasso di occupazione
Il tasso di disoccupazione che oggi è 78/79%. Per essere considerato disoccupato però non basta non avere
un lavoro ma bisogna anche essere tra coloro che attivamente lo cercano.
Molto più oggettivo come dato è quello del tasso di occupazione.
Si vede attraverso le percentuali, tasso di occupazione maschile (misurato tra persone attive quindi tra i 15 e i
65 anni) del 70,1% è quello che l’unione europea chiede come punto di arrivo.
Gli occupati italiani sono circa 23 milioni:

 % molto significativa di personale dipendente (80%)


 Tasso di contratti a termine più elevato rispetto al passato
 Tasso di lavoratori autonomi più elevato rispetto ad altri paesi
Il tasso di disoccupazione adesso è sceso ma abbiamo un tasso di inattività (non cercano lavoro).
ES: vi sono anche molti giovani che non studiano e non lavorano (NET).
Questo è il quadro su cui intervengono le norme in accesso al lavoro oggi in vigore.
Siamo nell'ambito del decreto legislativo 150 del 2015 ed è uno di quegli ambiti riformati nel 2015.
Come funziona oggi il sistema di accesso al lavoro?
È prevista innanzitutto una rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro. Si è cercato di creare un
sistema per mettere in contatto tutti coloro che operano l’ambito del mercato del lavoro:

 CENTRI PER L’IMPIEGO = servizi di collocamento pubblici (hanno un riferimento di competenza


regionale)
 AGENZIE PER IL LAVORO = sono soggetti privati che intervengono nell'ambito del
collocamento: riferimenti nel decreto legislativo 276/2015 articoli 4-5-6.

165
 Altri soggetti tra cui UN'AGENZIA NAZIONALE PER LE POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO
(ANPAL): un'agenzia nazionale che ha compiti molto importanti di coordinamento.
È una novità del decreto legislativo 150/2015 e del Jobs act.
Fino a quel momento non esisteva un vero e proprio organo nazionale che mettesse assieme tutte le varie
questioni che hanno a che fare con l’accesso al lavoro.
CHE COSA SONO LE POLITICHE E QUAL È LA DIFFERENZA DALLE POLITICHE PASSIVE?
Per cercare di spingere il lavoro esistono una serie di modalità con cui il legislatore interviene, attraverso
aiuti e interventi nei confronti delle imprese (contribuzione, agevolazioni fiscali, modalità di regolazione
tendenti a rendere meno rigide le norme).
A favore dei lavoratori interviene attraverso politiche di formazione (modalità che consentono ai lavoratori
di formarsi continuamente di essere pronti a tutte le nuove offerte di lavoro che emergono dalle imprese
anche in relazione alle novità tecnologiche che continuamente modificano gli assetti produttivi) e attraverso
erogazioni monetarie di diverso tipo.

 Tasse di integrazione
 NASPI
 Reddito di cittadinanza
Dal punto di vista degli economisti sono definite politiche attive: quelle che dovrebbero incentivare le
imprese all'assunzione e quindi:

 Aiuti di tipo fiscale


 Sconti di tipo previdenziale
 Aiuti alla formazione
Sono invece considerate politiche passive le erogazioni economiche direttamente erogate ai lavoratori.
L’idea è che le politiche attive rimettano in moto la volontà del lavoratore di cercare lavoro e la volontà
dell’impresa di assumere il lavoratore, la politica passiva è quella che lascia le cose come sono quindi non
sprona il lavoratore a cercare una nuova occupazione.
L’ANPAL ha un ruolo di coordinamento fra tutti coloro che intervengono nell’ambito del collocamento.
Due regionali:

 All’INPS spetta il compito di erogare il reddito di cittadinanza


 L’INAIL che è l'ente pubblico che ha la funzione di gestire le questioni che riguardano gli infortuni
sul lavoro e le questioni che riguardano la disabilità, le agenzie private per il lavoro e i vari fondi per
la formazione professionale...
Le questioni legate al collocamento e alle politiche attive del lavoro sono anche oggetto di intervento della
conferenza fra stato e regioni perché nell’ambito del collocamento abbiamo competenze regionali molto
spinte e una competenza statuale legata soprattutto al livello minimo dei servizi.
In maniera di collocamento la competenza rimane regionale grazie all’intervento del 2001 che ha dato alle
regioni questi compiti.
QUAL È LA COMPETENZA DELL’ANPAL?
All'ANPAL sono conferite le seguenti funzioni:
a) coordinamento della gestione dell'Assicurazione Sociale per l'Impiego, dei servizi e delle misure di
politica attiva del lavoro di cui all'articolo 18, del collocamento dei disabili di cui alla legge n. 68 del

166
1999, nonché' delle politiche di attivazione dei lavoratori disoccupati, con particolare riferimento ai
beneficiari di prestazioni di sostegno del reddito collegate alla cessazione del rapporto di lavoro (1);
b) definizione degli standard di servizio in relazione alle misure di cui all'articolo 18 del presente
decreto;
c) determinazione delle modalità operative e dell'ammontare dell'assegno di ricollocazione e di altre
forme di coinvolgimento dei privati accreditati ai sensi dell'articolo 12;
d) coordinamento dell’attività della rete Eores,
e) definizione delle metodologie di profilazione degli utenti,
f) promozione e coordinamento,
g) sviluppo e gestione integrata del sistema informativo unitario delle politiche del lavoro,
h) gestione dell'albo nazionale di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 276 del 2003…
COME FUNZIONA OGGI?
Articolo 12
ACCREDITAMENTO DEI SERVIZI PER IL LAVORO
Le Regioni e le Province autonome definiscono i propri regimi di accreditamento, ai sensi dell'articolo
7 del decreto legislativo n. 276 del 2003, secondo criteri definiti con decreto del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, previa intesa in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base dei seguenti principi.
Fanno riferimento a come le singole regioni accreditano servizi privati.
C’è un riferimento alla modalità con cui le singole regioni possono accreditare i privati che fanno
intermediazione.
C’è un sistema informativo unitario, in teoria dovrebbero essere nessi a rete tutti i servizi regionali per la
ricerca del lavoro. (in teoria perché ci sono regioni che hanno sistemi informatici più avanzati ma altre
meno).
COME FUNZIONA IL SERVIZIO?
Articolo 18
Servizi e misure di politica attiva del lavoro
Allo scopo di costruire i percorsi più adeguati all’inserimento e il reinserimento nel mercato del
lavoro, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano costituiscono propri uffici territoriali,
denominati centri per l'impiego, per svolgere in forma integrata, nei confronti dei disoccupati,
lavoratori beneficiari di strumenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro e a rischio
di disoccupazione, le seguenti attività:
a) orientamento di base, analisi delle competenze in relazione alla situazione del mercato del lavoro
locale e profilazione;

b) ausilio alla ricerca di una occupazione

Vuol dire che un soggetto disoccupato va presso un centro per l'impiego e la persona che è nel centro per
l'impiego dovrebbe avere una serie di dati, su tutte delle imprese che stanno cercando lavoro in quel
momento, raccoglie il curriculum, ( se il lavoratore non lo ha ancora fatto lo aiuta a costruirlo), verifica tutto
il suo percorso e verifica le modalità con cui il percorso passato (formazione) verifica la possibilità o di

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mandarlo direttamente presso un’impresa o di consigliargli come essere più pronto a rispondere alle
richieste.
c) orientamento specialistico e individualizzato, mediante bilancio delle competenze ed analisi degli
eventuali fabbisogni in termini di formazione, esperienze di lavoro o altre misure di politica attiva del
lavoro, con riferimento all'adeguatezza del profilo alla domanda di lavoro espressa a livello
territoriale, nazionale ed europea.
d) orientamento individualizzato all'autoimpiego e tutoraggio per le fasi successive all'avvio
dell'impresa;
e) avviamento ad attività di formazione ai fini della qualificazione e riqualificazione professionale,
dell'autoimpiego e dell'immediato inserimento lavorativo;
f) accompagnamento al lavoro, anche attraverso l'utilizzo dell'assegno individuale di ricollocazione;
g) promozione di esperienze lavorative ai fini di un incremento delle competenze, anche mediante lo
strumento del tirocinio;
h) gestione, anche in forma indiretta, di incentivi all’attività di lavoro autonomo;
i) gestione di incentivi alla mobilità territoriale;
l) gestione di strumenti finalizzati alla conciliazione dei tempi di lavoro con gli obblighi di cura nei
confronti di minori o di soggetti non autosufficienti;
m) promozione di prestazioni di lavoro socialmente utile, ai sensi dell'articolo 26 del presente decreto.
ES: Una misura di politica sono proprio quelle legate alla formazione, legate alla possibilità di seguire
determinati percorsi formativi organizzati dalle ragioni.
Questa insistenza sul lavoro autonomo è stata inserita nel corpo del decreto dopo la legge sul lavoro
autonomo del 2017 e l’idea che quello che tutto venga fatto dallo stesso centro per l’impiego.
CHE COSA DEVE FARE IL NOSTRO DISOCCUPATO CHE STA CERCANDO LAVORO?
Nell'articolo 19 del decreto legislativo 150/2015 oggi abbiamo la nozione di DISOCCUPATO.
Sono considerati disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema
informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all'articolo 13, la propria immediata disponibilità
allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro
concordate con il centro per l'impiego.
In realtà l’ISTAT, per esempio, considera occupati anche coloro che lavorano anche soltanto una o due ore a
settimana. Quella non è una vera e propria occupazione che consente di vivere.
Lo stato di disoccupazione è sospeso in caso di rapporto di lavoro subordinato di durata fino a sei
mesi.
Il legislatore ritiene che non possa ritenersi superato lo stato di occupazione anche se lavora fino a sei mesi.
5. Sulla base delle informazioni fornite in sede di registrazione, gli utenti dei servizi per l'impiego
vengono assegnati ad una classe di profilazione, allo scopo di valutarne il livello di occupabilita',
secondo una procedura automatizzata di elaborazione dei dati in linea con i migliori standard
internazionali.
6. La classe di profilazione è aggiornata automaticamente ogni novanta giorni, tenendo conto della
durata della disoccupazione e delle altre informazioni raccolte mediante le attività di servizio.

168
Poi vi è la classe di profilazione: il lavoratore viene inserito per valutarne il livello di occupabilità: (da
maggior possibilità di essere occupato fino a gravi difficoltà di trovare occupazione).
Quello che fa il centro per l'impiego è proprio quello di provare a suddividere le maggiori o minori difficoltà
nella possibilità di trovare un impiego.
PERCHE’?
L’idea è quella di concentrare l’attenzione su coloro che sono più problematici. (se uno è in una classe più
difficoltosa, ha la possibilità di accedere a maggiori possibilità di formazione, avere anche erogazioni
monetarie di un certo tipo).
Accanto all’ iscrizione c’è quello che viene definito pazzo di servizio personalizzato:
Articolo 20
Patto di servizio personalizzato
1. Allo scopo di confermare lo stato di disoccupazione, i lavoratori disoccupati contattano i centri per
l'impiego, con le modalità definite da questi, entro 30 giorni dalla data della dichiarazione di cui
all'articolo 19, comma 1, e, in mancanza, sono convocati dai centri per l'impiego, entro il termine
stabilito con il decreto di cui all'articolo 2, comma 1, per la profilazione e la stipula di un patto di
servizio personalizzato.
2. Il patto di cui al comma 1 deve contenere almeno i seguenti elementi:
a) l'individuazione di un responsabile delle attività;
b) la definizione del profilo personale di occupabilità secondo le modalità tecniche predisposte
dall'ANPAL;
c) la definizione degli atti di ricerca attiva che devono essere compiuti e la tempistica degli stessi;
d) la frequenza ordinaria di contatti con il responsabile delle attività;
e) le modalità con cui la ricerca attiva di lavoro è dimostrata al responsabile delle attività.
Sostanzialmente quello che è stato inserito nel 97 è una modalità con cui si vuole, per iscritto, chiarire quali
sono i doveri e gli obblighi di colui che cerca lavoro da un lato e del centro per l’impiego dall’altro.
Perché alla base del sistema, che anche in Italia si è diffuso a partire dal 97, c’è l’idea di tentare di
coinvolgere in modo molto più concreto e più attivo il lavoratore disoccupato, talaltro subordinando
eventuali erogazioni economiche all'effettivo impegno del lavoratore.
QUALE IMPEGNO?
3. Nel patto di cui al comma 1 deve essere inoltre riportata la disponibilità del richiedente alle seguenti
attività:
a) partecipazione a iniziative e laboratori per il rafforzamento delle competenze nella ricerca attiva di
lavoro quali, in via esemplificativa, la stesura del curriculum vitae e la preparazione per sostenere
colloqui di lavoro o altra iniziativa di orientamento;
b) partecipazione a iniziative di carattere formativo o di riqualificazione o altra iniziativa di politica
attiva o di attivazione;
c) accettazione di congrue offerte di lavoro, come definite ai sensi dell'articolo 25 del presente decreto.
QUANDO IL LAVORATORE PUÒ RIFIUTARE UNA PROPOSTA LAVORATIVA CHE NON RITIENE
CONGRUA, PERCHÉ PER ESEMPIO HA LAVORATO SEMPRE IN UN CERTO AMBITO, HA

169
AVUTO UN LIVELLO RETRIBUTIVO DI UN CERTO TIPO E MAGARI GLI VIENE OFFERTO UN
LAVORO DEQUALIFICANTE RISPETTO A QUELLO CHE HA FATTO IN PASSATO CON LIVELLI
RETRIBUTIVI CHE LUI NON RITIENE ADEGUATI?
Ci sono dei riferimenti che dicono fino a quando il lavoratore può rifiutare senza perdere le facilitazioni ma
soprattutto l'indennità di disoccupazione.
Articolo 25
Offerta di lavoro congrua
1. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali provvede alla definizione di offerta di lavoro congrua,
su proposta dell'ANPAL, sulla base dei seguenti principi:
a) coerenza con le esperienze e le competenze maturate;
b) distanza dal domicilio e tempi di trasferimento mediante mezzi di trasporto pubblico;
c) durata della disoccupazione;
d) retribuzione superiore di almeno il 20 per cento rispetto alla indennità percepita nell'ultimo mese
precedente, da computare senza considerare l'eventuale integrazione a carico dei fondi di solidarietà,
di cui agli articoli 26 e seguenti del decreto legislativo attuativo della delega di cui all'articolo 1,
comma 2, della legge n. 183 del 2014, ovvero, per i beneficiari di Reddito di cittadinanza, superiore di
almeno il 10 per cento rispetto al beneficio mensile massimo fruibile da un solo individuo, inclusivo
della componente ad integrazione del reddito dei nuclei residenti in abitazione in locazione,
riproporzionata in base all'orario di lavoro previsto nel contratto individuale di lavoro(1);
L’assegno di ricollocazione è una cosa ulteriore che si affianca all’indennità di disoccupazione (acronimo
naspi) ed è una somma denominata “assegno individuale di ricollocazione” spendibile presso i centri per
l’impiego, presso i servizi accreditati ed è utilizzabile per ottenere un servizio. (voucher che viene dato a
coloro sono in difficoltà e che possono ottenere servizi concreti per cercare di trovare nuova occupazione).
Accanto ai centri per l'impiego pubblici operano anche le agenzie per il lavoro private (decreto legislativo
276/2003):
a) agenzie di somministrazione di lavoro abilitate allo svolgimento di tutte le attività di cui
all'articolo 20;
b) agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente
una delle attività specifiche di cui all'articolo 20, comma 3, lettere da a) a h);
c) agenzie di intermediazione (che è il collocamento cioè il soggetto che interviene dall’esterno per
mettere insieme il lavoratore e il datore di lavoro)
d) agenzie di ricerca e selezione del personale
Qual è la differenza?
Queste agenzie quando fanno questo lavorano solo per l’impresa.
L’impresa è ha bisogno di un tot di dirigenti, se li vuole scegliere lei quindi non vuole avere un vero e
proprio intermediario, vuole che gli venga data una lista di nomi di gente di un certo tipo, e quindi quello che
fa l’agenzia di ricerca e selezione è proprio: cercare e stilare un elenco che lascia all’impresa.
e) agenzie di supporto alla ricollocazione professionale (2).
È un servizio che normalmente fanno le imprese quando si liberano di qualcuno, licenziano un dirigente,
nell’accordo di risoluzione consensuale c’è anche un supporto alla ricollocazione.

170
Ci sono requisiti giuridici e finanziari meno rilevanti rispetto alle agenzie che fanno anche somministrazione.
ART. 6 DECRETO LEGISLATIVO 276/2003
Prevede anche alcuni soggetti che hanno già immediatamente un un'autorizzazione per legge.
Art. 6.
1. Sono autorizzati allo svolgimento delle attività di intermediazione:
a) gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari, a condizione che rendano
pubblici e gratuitamente accessibili sui relativi siti istituzionali i curricula dei propri studenti
all'ultimo anno di corso e fino ad almeno dodici mesi successivi alla data del conseguimento del titolo
di studio;
b) le università, pubbliche e private, e i consorzi universitari, a condizione che rendano pubblici e
gratuitamente accessibili sui relativi siti istituzionali i curricula dei propri studenti dalla data di
immatricolazione e fino ad almeno dodici mesi successivi alla data del conseguimento del titolo di
studio;
c) i comuni, singoli o associati nelle forme delle unioni di comuni e delle comunità montane, e le
camere di commercio;
d) le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale anche per il tramite delle associazioni territoriali e delle società di servizi controllate;
e) i patronati, gli enti bilaterali e le associazioni senza fini di lucro che hanno per oggetto la tutela del
lavoro, l'assistenza e la promozione delle attività imprenditoriali, la progettazione e l'erogazione di
percorsi formativi e di alternanza, la tutela della disabilità;
f) i gestori di siti internet a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e che
rendano pubblici sul sito medesimo i dati identificativi del legale rappresentante;
f-bis) l'Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo e dello sport
professionistico, con esclusivo riferimento ai lavoratori dello spettacolo come definiti ai sensi della
normativa vigente (2).
Questa è la modalità con cui il sistema prevede un ausilio per cercare un lavoro.
Siamo in un sistema cui è stata superata la chiamata nominativa e indiretta quindi l’assunzione è fatta:

 Immediatamente, direttamente e nominativamente dal singolo datore di lavoro.


Quindi c'è la libertà completa di assunzione.
Rimangono alcuni limiti per le imprese: rimane in vigore un sistema legato al diritto al lavoro dei disabili.
La legge numero 68 del 1999 è una legge che oggi (anche in questo caso diretta) prevede una serie di oneri e
di obblighi.
COSA SI INTENDE COME PERSONA DISABILE?
ARTICOLO N.1
Collocamento dei disabili.
1. La presente legge ha come finalità la promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa
delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato.
Essa si applica:

171
a) alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di
handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento,
accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile in conformità alla
tabella indicativa delle percentuali di invalidità per minorazioni e malattie invalidanti approvata, ai
sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509, dal Ministero della sanità sulla
base della classificazione internazionale delle menomazioni elaborata dalla Organizzazione mondiale
della sanità, nonché' alle persone nelle condizioni di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 12 giugno
1984, n. 222 (1);
b) alle persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento, accertata
dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
(INAIL) in base alle disposizioni vigenti;
c) alle persone non vedenti o sordomute, di cui alle leggi 27 maggio 1970, n. 382, e successive
modificazioni, e 26 maggio 1970, n. 381, e successive modificazioni (hanno modalità autonome)
d) alle persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni
ascritte dalla prima all'ottava categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia
di pensioni di guerra, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915,
e successive modificazioni.
CHE COSA È PREVISTO?
ARTICOLO N.2
Collocamento mirato.
1. Per collocamento mirato dei disabili si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che
permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di
inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e
soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi
quotidiani di lavoro e di relazione.
La disabilità rientra anche tra i fattori discriminanti secondo le direttive dell’unione e secondo le norme oggi
in vigore in Italia; in particolare il nostro articolo 15.
I datori di lavoro pubblici e privati sono comunque tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori disabili
nella seguente misura.
Nel 99 si è allargata la platea e si è diminuito l’obbligo.
È stata prevista anche la possibilità per l’impresa che proprio non vuole, di non farlo, ma pagando una penale
continuativa.
ARTICOLO N.3
Assunzioni obbligatorie. Quote di riserva.
1. I datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori
appartenenti alle categorie di cui all'articolo 1 nella seguente misura:
a) sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti;
b) due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti;
c) un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti (1).
ARTICOLO 4

172
Si entra nel merito di quello che accade durante il rapporto di lavoro.
4. I lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di
infortunio o malattia non possono essere computati nella quota di riserva di cui all'art. 3 se hanno
subito una riduzione della capacità lavorativa inferiore al 60 per cento o, comunque, se sono divenuti
inabili a causa dell'inadempimento da parte del datore di lavoro, accertato in sede giurisdizionale,
delle norme in materia di sicurezza ed igiene del lavoro. Per i predetti lavoratori l'infortunio o la
malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere
adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori. Nel caso di destinazione a
mansioni inferiori essi hanno diritto alla conservazione del più favorevole trattamento corrispondente
alle mansioni di provenienza. Qualora per i predetti lavoratori non sia possibile l'assegnazione a
mansioni equivalenti o inferiori, gli stessi vengono avviati, dagli uffici competenti di cui all'art. 6,
comma 1, presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità lavorative, senza
inserimento nella graduatoria di cui all'art. 8.
Non si vuole dare una giustificazione al datore di lavoro che in qualche modo ha una responsabilità diretta in
relazione della inabilità.
È una garanzia in più per i lavoratori disabili nel momento in cui abbiano anche, per esempio, un
peggioramento della propria condizione iniziale di disabilità.
Il datore di lavoro potrà licenziarli, (Cassazione sì) ma solo quando l’inabilità e la visibilità finale è tale da
non avere la possibilità neanche concreta di poter svolgere l’attività lavorativa.
Il datore di lavoro, per la giurisprudenza, non deve modificare il proprio assetto produttivo organizzativo per
tenere in conto alle nuove esigenze ma eventualmente operare dei piccoli accorgimenti.
Ci sono poi delle significative modalità di intervento legate alla possibilità di sottoscrivere convenzioni
particolari con i con i centri per l’impiego. Gli articoli 11 12 e 13 prevedono le possibili convenzioni che le
imprese possono sottoscrivere con i centri per l'impiego per prevedere dei collocamenti individualizzati che
possono anche essere più o meno invasivi rispetto alle questioni che normalmente sono previste dalla legge.
COSA ACCADE PER I LAVORATORI CHE NON HANNO UN’OCCUPAZIONE E LA STANNO
CERCANDO OPPURE CHE L’AVEVANO E AD UN CERTO PUNTO SONO STATI LICENZIATI?
L’ordinamento prevede anche degli interventi diretti nei confronti dei lavoratori tramite erogazioni
monetarie.
Tre tipologie:

 cassa integrazione/guadagni
 indennità di disoccupazione naspi
 reddito di cittadinanza
CASSA INTEGRAZIONE
La cassa integrazione è una particolarità italiana, non esiste molti altri paesi europei, per la prima volta
introdotta negli anni 30 e poi soprattutto durante la Seconda guerra mondiale e che è stata mantenuta anche
successivamente.
Il fine questo è quello che un intervento pubblico che preveda trattamenti di integrazione salariale per periodi
temporanei, molto brevi, legati a difficoltà soltanto temporanee delle imprese.
ES: l’impresa che a un certo punto, per una tempesta, viene colpita da un fulmine che rovina gli impianti e
che rende impossibile produrre per un mese.
Siamo in una situazione in cui abbiamo un evento esterno, la responsabilità certamente non è
dell’imprenditore e non è del lavoratore, a stretta applicazione civilistica ci troveremmo in una situazione in
173
cui il lavoratore non avrebbe lo stipendio ma il datore di lavoro non sarebbe tenuto a pagarlo, perché il
lavoratore non può lavorare per impossibilità sopravvenuta.
Per evitare una situazione di questo genere, che andrebbe a gravare molto più sul lavoratore, interviene il
pubblico.
Oggi interviene INPS ed eroga quella mensilità (80%).
CHI PAGA PER LA CASSA INTEGRAZIONE?
In primo luogo, pagano le imprese e i lavoratori: una parte del 33% legato ai contributi previdenziali e in
questi casi le imprese che utilizzano la cassa integrazione sono comunque obbligate a pagare una percentuale
ulteriore.
Recentemente, dopo il periodo pandemico, il legislatore ha ampliato l’ambito delle imprese che possono
usufruire di questo strumento, oggi in pratica sono coperti tutti i lavoratori subordinati.
Il trattamento di integrazione salariale ammonta all'ottanta per 100% della retribuzione globale.
CON UN LIMITE:
La soglia massima è 1171 per chi guadagna fino al 2100 € e 1167 per guadagna più di 2100.
DURATA MASSIMA
24 mesi in un quinquennio mobile.
Il tempo passa, quei 24 mesi li calcolo tenendo presente 5 anni prima al primo momento in cui cominciò a
godere della cassa integrazione.
A carico delle imprese c’è un contributo addizionale. (la domanda di integrazione salariale confermate parte
le fanno le imprese e debbono pagare un contributo).
È previsto poi il riconoscimento della cosiddetta “contribuzione figurativa”.
Quel periodo, anche se l’impresa non paga direttamente lo stipendio e i relativi contributi, dal punto di vista
del sistema pubblico (soprattutto per quanto riguarda la pensione) è un periodo considerato come lavoro.
Si differenzia tra cassa integrazione ordinaria e cassa integrazione straordinaria.
Campo di applicazione:
Sono innanzitutto le imprese industriali il primo ambito presso cui si applica, ma vi è un lungo elenco.
CAUSALI
Situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non comportati dall’impresa e dai dipendenti, incluse le
intemperie stagionali, situazioni temporanee di mercato (e la durata è in questo caso di 13 settimane
continuative e prorogabili in un massimo di 52 settimane)
C’è la necessita comunque di passare attraverso una procedura di informazione e consultazione dei sindacati.
Quella straordinaria: si applica alle imprese che abbiano occupato più di 15 dipendenti.
ES. società industriali, artigiani, appaltatrici ristorazioni e pulizia, attività commerciali…
CAUSALI

 Riorganizzazione aziendale
 Crisi aziendale ad esclusione dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda.

174
La cassa integrazione è uno strumento pensato per le imprese che abbiano tutte le possibilità di riprendersi:
ovviamente la cassa integrazione ordinaria vale per quelle molto brevi, in cui siamo sicuri che un’impresa
per un caso non può produrre per qualche tempo, allora si ha un intervento di integrazione salariale.
Per l'intervento straordinario (cioè quando c'è una crisi dell'azienda) è stata introdotta questa necessità di
escludere i casi di cessazione dell’azienda perché è un problema di oneri per le casse pubbliche. In passato
soprattutto, la cassa integrazione straordinaria a volte è stata anche prevista da espliciti interventi con decreti-
legge appositi per aziende.
La durata massima è di 24 mesi.
NASPI
Indennità di disoccupazione, pensata per aiutare i lavoratori disoccupati che hanno perso il lavoro.
Oggi il riferimento è all’articolo 3 del decreto legislativo 22/2015.
1. La Naspi è riconosciuta ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione
e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:
a) siano in stato di disoccupazione ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 21
aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni;
b) possano far valere, nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici
settimane di contribuzione;
c) possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei
dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione (1).
La durata massima è legata alla contribuzione, si fa riferimento alla metà delle settimane di contribuzione.
ES: una persona che ha sempre lavorato in 4 anni, il massimo sono 2 anni ottenibili dalla NASPI.
2. La Naspi è riconosciuta anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei
casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell'ambito della procedura di cui
all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dall'articolo 1, comma 40, della legge
n. 92 del 2012.
Articolo 4
Calcolo e misura (A)
1. La Naspi è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni
divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33.

2. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia pari o inferiore nel 2015 all'importo di 1.195 euro,
rivalutato annualmente sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le
famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell'anno precedente, la Naspi è pari al 75 per cento
della retribuzione mensile. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia superiore al predetto importo
l’indennità è pari al 75 per cento del predetto importo incrementato di una somma pari al 25 per cento
della differenza tra la retribuzione mensile e il predetto importo. La Naspi non può in ogni caso
superare nel 2015 l'importo mensile massimo di 1.300 euro, rivalutato annualmente sulla base della
variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati
intercorsa nell'anno precedente.
3. La Naspi si riduce del 3 per cento ogni mese a decorrere dal primo giorno del quarto mese di
fruizione. Con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2022, la NASpI si

175
riduce del 3 per cento ogni mese a decorrere dal primo giorno del sesto mese di fruizione; tale
riduzione decorre dal primo giorno dell'ottavo mese di fruizione per i beneficiari della Naspi che
abbiano compiuto il cinquantacinquesimo anno di età alla data di presentazione della domanda (1)(2).
4. Alla Naspi non si applica il prelievo contributivo di cui all'articolo 26 della legge 28 febbraio 1986, n.
41.
REDDITO DI CITTADINANZA
È un’indennità di povertà.
Il problema a riguardo è stato di aver confuso le indennità legate alla disoccupazione (NASPI) con
un’indennità che in tutta Europa è pensata solo per evitare che esistano soglie eccessive di povertà, che
quindi ha dei riferimenti di accesso legati alla mancanza di reddito e alla possibilità di vivere.
RAPPORTO DI LAVORO
Stiamo parlando del lavoro subordinato, del rapporto di lavoro subordinato.
Le fonti del rapporto di lavoro subordinato sono:

 Contratto individuale
 Contratto collettivo
 Legge
Il rapporto di lavoro subordinato trova una sua configurazione nell’art. 2094. (la subordinazione si sostanzia
nell’eterodirezione, nella soggezione del lavoratore al potere disciplinare del datore.
Quando parliamo di rapporto di lavoro e di diritti/obblighi delle parti abbiamo come riferimento la tipologia
standard di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato; ma che salvo alcune situazioni particolari
legate all’oggettività del rapporto, si applicano anche a tutte le tipologie contrattuali (subordinate).
LA FONTE DI LAVORO SUBORDINATO è IL CONTRATTO.
ART. 2094
È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa,
prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione
dell’imprenditore.
Questo articolo approccia la questione in modo diverso rispetto alle tipologie contrattuali conosciute
nell’ambito civile. Si inizia parlando del prestatore di lavoro subordinato, la discussione (su quale sia la fonte
del rapporto di lavoro) è stata vinta da coloro i quali ritengono che fonte del rapporto di lavoro sia una fonte
contrattuale.
Si parla di contratto di lavoro come un contratto sinallagmatico (di scambio tra prestazione e
controprestazione) quindi entrambe le parti hanno dei diritti e doveri e sono a loro volta creditori di qualcosa
e debitori di altro.
Se la fonte è contrattuale bisogna tener a mente gli elementi del contratto: accordo, causa, oggetto e forma.
CAUSA
La causa è la ragione giuridica dell’esistenza del contratto.
Lo scambio tra lavoro subordinato e retribuzione rientra nella causa del contratto.
La maggioranza della dottrina preferisce ritenere che l’ambito organizzativo (organizzazione del datore di
lavoro) resti al di fuori della causa del contratto.

176
Se la causa è legata allo scambio, l’oggetto del contratto sarà correlato alla specifica prestazione lavorativa
che viene effettivamente eseguita. La questione resta sulle modalità con cui le mansioni (all’interno del
lavoro subordinato) possono essere o meno unilateralmente modificate.
Nell’art. 2103 del Codice civile troviamo i limiti e i modi con cui il datore può modificare unilateralmente le
mansioni del lavoratore.
L’accordo, (volontà dei soggetti), rientra nelle modalità con cui ogni contratto è costituito, vi deve essere una
volontà non viziata (da errore, violenza, dolo). Abbiamo le due parti che volontariamente sottoscrivono e
danno inizio al contratto.
Da un lato abbiamo il datore di lavoro che coincide con l’imprenditore, colui che ai sensi dell’art. 2082
esercita un’attività economica organizzata ai fini della produzione e scambio di beni e servizi.
Non è sempre un imprenditore però, il codice regolamenta la materia del lavoro a partire dal lavoro
d’impresa. Ci sono poi norme che affermano che, qualora il datore non sia un imprenditore, si applicano
comunque quelle norme salvo eventuali specificità ulteriori.
L’art. 2086 è stato modificato nel 2019 e accanto al primo comma è stata inserita un ulteriore caratteristica:
ovvero che il datore deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e
alle dimensioni dell’impresa.
Il prestatore di lavoro subordinato è colui che svolge attività di lavoro subordinato e proprio la modalità con
cui l’oggetto del contratto e la causa stessa fanno riferimento all’attività lavorativa prestata dalla persona, ci
fa capire la peculiarità della mansione. Abbiamo una persona che da un lato è soggetto (che stipula un
contratto) e dall’altro è parte dell’oggetto della causa, è il suo lavoro che dà la realizzazione dell’oggetto.
Nell’ambito del lavoro esiste un ulteriore nozione detta “capacità giudica speciale” che ci dice quando un
lavoratore può sottoscrivere un contratto di lavoro, ad oggi a partire dai 16 anni (idea di terminare il ciclo di
studi). C’è un’eccezione a quest’età nel caso di apprendistato che parte dai 15 anni (in settori particolari).
Per quanto riguarda la forma abbiamo un generale principio di libertà, salvo i casi previsti dalla legge in cui
vi è una forma di contratto obbligatoria come la compravendita di un’immobile.
Nell’ambito del diritto del lavoro ci sono diversi casi in cui la forma è un vincolo previsto dalla legge
(atipiche o non standard) ES: contratto di arruolamento marittimo.
Necessari sono gli oneri formativi, è necessario che il datore una volta sottoscritto il contratto di lavoro
subordinato, informi il lavoratore degli elementi essenziali del contratto. L’informazione è un obbligo che
sorge successivamente alla conclusione del contratto (altrimenti sanzioni).
Stabilito inizialmente da una direttiva del 1991.
Nel 2022 è stato modificato l’onere formativo e sono state aggiunte delle informazioni da dare al lavoratore
anche circa alle condizioni lavorative che saranno applicate a quel rapporto di lavoro. (decreto
TRASPARENZA)
Informazioni sul rapporto di lavoro (art.4)
1. Il datore di lavoro pubblico e privato è tenuto a comunicare al lavoratore, secondo le modalità di cui
al comma 2, le seguenti informazioni:
a) l'identità delle parti
b) il luogo di lavoro.
c) la sede o il domicilio del datore di lavoro;
d) l'inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore
177
e) la data di inizio del rapporto di lavoro;
f) la tipologia di rapporto di lavoro, precisando in caso di rapporti a termine la durata prevista dello
stesso;
I riferimenti si trovano nel contratto individuale sottoscritto dalle parti: abbiamo una parte contrattuale, il
datore di lavoro che è la parte più forte, con meno esigenze di proseguire il rapporto di lavoro e dall’altra
parte il lavoratore.
Accade che il contratto di lavoro normalmente è stipulato per iscritto tramite una proposta contrattuale
formulata dal datore al lavoratore che decide se accettare o meno o contrattare sulle clausole. Su questa
proposta normalmente sono previsti gli elementi assolutamente essenziali: orari di lavoro, retribuzione,
lavoro. Tutto il resto è previsto dal contratto collettivo previsto per quel lavoro.
Quando viene sottoscritto un contratto inizia il rapporto di lavoro e ci troviamo davanti a quelle modalità di
esecuzione del rapporto che non ha termine, il termine c’è solo in alcuni casi.
Il codice interviene nella modalità con cui il rapporto funziona e la prima cosa da comprendere è nell’ART.
2126 che afferma che nullità o annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo
in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa.
Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in
ogni caso diritto alla retribuzione.
ES: killer che uccide una persona. (illiceità dell’oggetto e della causa)
ES: prostituzione (anche in questo caso illiceità dell’oggetto). Negli ultimi anni si discute su questo.
Il secondo comma è stato molto spesso correlato all’attività di lavoro in nero.
ES: giornalista assunto senza essere iscritto all’albo.
Il Codice civile entra nel merito di una divisione tra i lavoratori subordinati (vengono suddivisi in categorie
legali) con l’art. 2095 e fa riferimento alle categorie legali prevedendone quattro:

 operai,
 quadri,(inserita nell’85)
 impiegati
 dirigenti.
Il termine categoria viene anche utilizzato come riferimento al contratto collettivo, che interviene sulla
suddivisione dicendo quali sono le mansioni delle categorie per ogni materia contrattuale (categoria legale o
contrattuale).
La classificazione unica fa riferimento a quando operai e impiegati vennero messi insieme.
A. Dirigente è l’alter-ego dell’imprenditore.
Aiuta direttamente l’imprenditore a fare andare avanti l’impresa.
Viene considerato tale colui che ha al di sotto di sé i lavoratori ai quali esprime indicazioni, prevede
sanzioni. La giurisprudenza ha distinto tra dirigenti veri e propri e falsi dirigenti che magari sono considerati
tali da parte dell’impresa ma che non hanno il vero e proprio ruolo del dirigente riguardo sanzioni o
indicazioni.

Le imprese hanno ampliato l’ambito dei dirigenti perché sono sottratti a una serie di norme imperative di
legge che valgono per gli altri lavoratori.
178
In particolare, la regola più rilevante è che ai dirigenti non si applicano le norme sul licenziamento. I
dirigenti hanno loro norme contrattuali, non si applicano le norme di legge in materia di licenziamento
individuale.
B. Impiegati e operai sono due tipiche categorie del lavoro subordinato.
Gli impiegati sono coloro che svolgono attività di tipo intellettivo (uffici, imprese), mentre gli operai sono
coloro che svolgono attività di tipo manuale. (legge del ’24 per gli impiegati che poi viene estesa a tutti)
Gli operai inizialmente erano pagati con calcolo legati alle ore di lavoro prestate, gli impiegati venivano
pagati al mese o ogni quindici giorni. Oggi le differenze tra i due sono molto poche.
Anche i contratti collettivi a partire dagli anni 70 inseriscono un'unica categoria per entrambi.
C. Quadri sono una categoria a sé.
Inseriti quando gli impiegati di alto livello chiedevano di essere pagati di più ed essere soggetti a proprie
modalità regolative. Anche ai quadri si applica la disciplina del licenziamento.
La modifica dell’art.2013 con il Jobs Act (2015) ha ridato importanza alle categorie legali.
L’art. 2096 fa riferimento all’assunzione in prova, parliamo della modalità con cui un contratto viene
stipulato. È un istituto particolare che dal punto di vista giuridico è considerato una condizione (elemento
accidentale), rientra nella condizione e si è sempre discusso però se si tratta di una condizione risolutiva (il
rapporto rinasca ma può cessare se quella condizione nasce e si presenta) o una condizione sospensiva
(sospende l’entrata in vigore di una disciplina). L’assunzione di prova si applica a qualsiasi tipo di lavoro
subordinato, anche quelli atipici non standard.
Proprio perché l’oggetto è legato alle mansioni, si dà modo alle parti di verificare da entrambi i punti di vista
se quel rapporto di lavoro è coerente alle aspettative di entrambi e quindi si prevede un periodo in cui le parti
si mettono reciprocamente alla prova, in questo periodo ognuno può recedere unilateralmente senza
preavviso, hanno libertà di recesso.
Il decreto trasparente prevede un limite di tempo al periodo di prova per un massimo di 6 mesi. (cambia a
seconda delle categorie).
Terminato il periodo di prova il contratto diviene effettivo e si applicano le modalità del licenziamento. La
lunghezza del patto di prova viene stabilita dai contratti collettivi che applica una modalità per ogni
disciplina lavorativa. I contratti collettivi possono prevede il limite ma solo verso il basso.
Se la prova non è stata correttamente eseguita ciascuna delle parti può recedere senza problemi salvo che non
venga provato che non si sia riusciti a fare l’esperimento del patto di prova, il lavoratore potrà essere
rimandato per terminare il periodo di prova poiché il licenziamento precoce non gli ha messo di terminare
l’esperimento. Se si prova se il licenziamento è dovuto a un motivo discriminatorio, termina la prova e
l’origine del contratto viene fissato sin dall’inizio della prova.
Alcuni diritti del lavoratore sono riconoscibili nello statuo dei lavoratori, in altri casi troviamo norme che
limitano i poteri del datore e poi troveremo anche obblighi in capo al lavoratore e datore di lavoro.
Primo diritto a cui si fa riferimento è la libertà di opinione; tutela della salute e dell’integrità fisica.

DIRITTI ED OBBLIGHI DELLE PARTI


DIRITTI DEL LAVORATORE

179
TITOLO I
DELLA LIBERTÀ E DIGNITÀ DEL LAVORATORE
ARTICOLO N.1
Libertà di opinione.
I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei
luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei
principi della Costituzione e delle norme della presente legge.
Entro quanto il diritto di critica è giustificato dalla giurisprudenza?

- Continenza formale (verità delle affermazioni)


- Continenza sostanziale (modo in cui le cose vengono dette)

ES: riferimento al buon lavoratore


ART. 2104
Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta,
dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale.
Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite
dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.
ART. 2105
Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con
l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione
dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
La diligenza è il metro con cui viene misurato l’adempimento, la modalità con cui viene prestata la
prestazione. Il buon lavoratore è colui che viene assunto dopo che si è formato in relazione a quella
mansione. L’obbligo di obbedienza giuridicamente è subordinazione.
Nel caso di mancata diligenza?
ES: lavoratore addetto alla guida del muletto.
Deve saperlo usare, se per caso il muletto va addosso ad un macchinario costoso?
Se si verifica che, in realtà non lo sapeva usare, potrebbe esserci anche una conseguenza legata al
risarcimento dei danni.
Se invece vi è stata la diligenza, non si applica.
COSA ACCADE NEL CASO IN CUI UN LAVORATORE (CHE SA CHE UNA DETERMINATA COSA
DEVE ESSERE FATTA IN UN DETERMINATO MODO) SI TROVA DAVANTI AD UN ORDINE DI
FARLA IN UN ALTRO MODO?
In questo caso prevale l’obbedienza, perché giuridicamente essa è la SUBORDINAZIONE (ART: 2094).
In ogni caso applicando i principi di buona fede e correttezza.
I doveri più rilevanti in capo al lavoratore sono contenuti agli articoli 2104/2105 cc:

- Dovere di diligenza (metro di misurazione dell’adempimento)

180
L’art. 2104 cc contiene l’importante riferimento all’obbedienza, (la subordinazione sta nella causa del
contratto).

- Dovere di obbedienza
- Dovere di fedeltà

COSA SI INTENDE PER FEDELTA’? Art. 2105cc


Art. 2105 Obbligo di fedeltà
Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con
l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione
dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
Si comprende che l’obbligo di fedeltà si suddivide in due obbligazioni distinte:

- Non deve trattare affari per conto proprio o per terzi in concorrenza con l’imprenditore. (obbligo di
non concorrenza).
Durante l’orario di lavoro il lavoratore non può andare a lavorare da altre parti.
Se il lavoratore finisce di lavorare alle 17.00, alle 17.30 non può andare a lavorare in un’impresa che ha una
concorrenza con l’imprenditore. (nemmeno autonoma)
Non vi è, in ogni caso, il divieto di svolgere altre attività lavorative, salvo la concorrenza.
Questo dovere nei confronti del datore termina con la cessazione del rapporto, salvo la presenza di un patto
di non concorrenza.

- né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso


in modo da poter recare ad essa pregiudizio. (obbligo di non divulgazione)
Dovere che dura per sempre, non termina con il cessare del rapporto di lavoro.
Con questa norma NON si impedisce al lavoratore di parlare del suo lavoro, e non si tutelano nemmeno
segreti industriali.
ES: La Coca-Cola non è coperta da brevetto proprio per evitare che questo diventi pubblico. Dal 1900
nessuno sa cosa ci sia dentro. (vi sono norme molto più rigide per il segreto industriale)
L’oggetto: NORME ATTINENTI ALL’ORGANIZZAZIONE E AI METODI DI PRODUZIONE
DELL’IMPRESA.
ES: Una lavoratrice che lavora per Y.S.L, addetta alla produzione di un profumo.
Il contenuto del profumo è coperto da segreto industriale.
La lavoratrice potrà però sicuramente parlare del lavoro ma NON POTRA’ DIRE ASSOLUTAMENTE
NULLA sui metodi di produzione.
L’obbligo cessa quando il contenuto diventa oggetto di pubblica notizia.

PATTO DI NON CONCORRENZA


Art. 2125 cc

181
Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del prestatore di lavoro, per il tempo
successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto [1350, n. 13, 2725], se non
è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro
determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli
altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata [2105, 2557, 2596].
Possibilità che quell’obbligo di non concorrenza possa essere prorogato. (vari casi in cui è necessario)
Proprio per tutelare il lavoratore, la norma prevede una serie di tutele:

- patto deve essere scritto


- necessario un corrispettivo: il prestatore si vincola ad un non fare (accompagnato ad un obbligo di
dare)
- limiti di: oggetto, tempo e luogo. (limitato alle attività svolte dal lavoratore, max 3 anni per
lavoratori normali con eccezioni di 5 anni, luogo)
ES: lavoratore di utensileria di Cinisello (vale per 3 anni, non può valere un patto esteso su tutta la nazione)
ES: lavoratore di utensili per una MULTINAZIONALE (vale per 5 anni, in quel caso il vincolo è giustificato
anche con limiti sovranazionali)
Il patto viene stipulato al momento della cessazione, accade però che a volte vengano stipulati all’inizio del
rapporto (con voce nelle buste paga) - se non viene messo in atto sarà tenuto a restituire quanto dovuto e
risarcire i danni.
OBBLIGO DI NON STORNO = NON FREGARE LA CLIENTELA (giurisprudenza non convinta che
rientri nell’art.2125.
A volte le parti leggono tra le righe ed interpretano il contratto.
ES: Caso del direttore DE BORTOLI che per anni aveva lavorato al “Corriere” e poi comincia a scrivere per
un Giornale.
MOTIVO = probabilmente aveva firmato un patto di non concorrenza con validità sul territorio nazionale,
ma il territorio svizzero non valeva.
4) A fronte del suddetto patto, l’azienda corrisponderà a titolo di corrispettivo un importo pari a
………. (se l’importo è calcolato in percentuale alla RAL -retribuzione annua lorda-, occorre
specificare quali voci della busta paga hanno contribuito al calcolo) con le seguenti modalità ………e a
partire dal ………………. fino al ………………………….
– Il corrispettivo è stato determinato da un esame congiunto delle parti, in relazione alla riduzione di
guadagno imposto al dipendente a causa del suddetto patto.
– In caso di inadempienza da parte del Sig. ………, per cui, qualora dopo la cessazione del rapporto di
lavoro, il Signor ………… dovesse svolgere attività in contrasto col presente patto, sarà tenuto a
corrispondere all’azienda, ai sensi dell’articolo 1382 del Codice civile, l’importo ricevuto come
corrispettivo, a titolo di penale, salva la prova del maggior danno;

DOVERE DI RISPETTARE L’ORARIO DI LAVORO


Il tempo della prestazione di lavoro è fondamentale, modalità più usata per commisurare la retribuzione.
L’orario di lavoro è considerato un elemento essenziale, rientrante nell’oggetto.

182
Nella normalità dei casi è imposto dal datore di lavoro.
L’orario è uno degli aspetti che incidono maggiormente sulla vita lavorativa e sul quale si è portata molta
attenzione da parte degli interpreti. (metà ‘800 si richiede un limite di orario previsto)
Di orario di lavoro parla anche la Costituzione all’art.36.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge [2107, 2108 c.c.]. (riserva relativa)
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi [2109].
La questione diventa regolata dal piano Nazionale e Sovranazionale nel 1923.
Nel 1923 viene emanata una Convenzione OIL e una legge che stabilisce un limite massimo di 8 ore al
giorno e 48 settimanali.
Viene abrogato dal decreto legislativo che attualmente regola l’orario di lavoro. (66/2003)
È un decreto approvato nel 2003, in un momento in cui il legislatore è più favorevole alle imprese.
ES: Non c’è un limite alla durata massima della giornata lavorativa, ma c’è una norma che prevede la
necessità di un periodo di riposo di almeno undici ore.
Il decreto ha previsto una gestione flessibile dell’orario di lavoro:

- 40 ore durata media settimanale

ci possono però essere dei picchi superiori e inferiori.


a) "orario di lavoro": qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di
lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni.
ES: il tempo “tuta” è orario di lavoro?
Secondo la giurisprudenza si, deve essere pagato.
ES: Ryanair utilizza il diritto irlandese, che ha una disciplina lavoristica molto più flessibile.
Per loro è orario di lavoro dal momento in cui si chiude la porta dell’aereo.
ES: i vari giochini sul volo sono fatti perché parte della retribuzione è calcolata a cottimo.
La Corte di giustizia ha ritenuto che il percorso lavorativo non rientri in orario di lavoro, salvo quando il
trasferimento sia correlato alla prestazione lavorativa.
La stessa è intervenuta sull’orario di lavoro dei medici o dei lavoratori notturni: ci dice che orario di lavoro
anche quello notturno che può essere pagato in modo differente. (in unità produttive viene pagato come
straordinario)
d) "periodo notturno": periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la
mezzanotte e le cinque del mattino.

e) "lavoratore notturno":
Qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro
giornaliero impiegato in modo normale;
Articolo 2
Campo di applicazione.

183
1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano a tutti i settori di attività pubblici e
privati con le uniche eccezioni del lavoro della gente di mare di cui alla direttiva 1999/63/CE, del
personale di volo nella aviazione civile di cui alla direttiva 2000/79/CE e dei lavoratori mobili per
quanto attiene ai profili di cui alla direttiva 2002/15/CE.
Articolo 3
Orario normale di lavoro.
1. L'orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali.
2. I contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire
l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno.
Articolo 4
Durata massima dell'orario di lavoro.
1. I contratti collettivi di lavoro stabiliscono la durata massima settimanale dell'orario di lavoro.
2. La durata media dell'orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette
giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario.

I contratti collettivi solitamente prevedono modalità più concrete dell’orario di lavoro.


ES: metalmeccanici: il percorso di arrivo esula dall’orario di lavoro.
Vi sono poi delle modalità che prevedono cosa accade in caso di eccezioni, recuperi…
Articolo 5
Lavoro straordinario.
1. Il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario deve essere contenuto.
3. In difetto di disciplina collettiva applicabile, il ricorso al lavoro straordinario è ammesso soltanto
previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le duecentocinquanta
ore annuali.
5. Il lavoro straordinario deve essere computato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive
previste dai contratti collettivi di lavoro. l contratti collettivi possono in ogni caso consentire che, in
alternativa o in aggiunta alle maggiorazioni retributive, i lavoratori usufruiscano di riposi
compensativi.
Articolo 6
Criteri di computo.
1. I periodi di ferie annue e di assenza per malattia non sono presi in considerazione ai fini del computo della
media di cui all'articolo 4.
2. Nel caso del lavoro straordinario, se il riposo compensativo di cui ha beneficiato il lavoratore è
previsto in alternativa o in aggiunta alla maggioranza retributiva.
Articolo 7
Riposo giornaliero.
1. Ferma restando la durata normale dell'orario settimanale, il lavoratore ha diritto ha undici ore di
riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo
184
fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di
reperibilità (1)
Articolo 8
Pause.
1. Qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un
intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai
fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di
attenuare il lavoro monotono e ripetitivo.
Articolo 9
Riposi settimanali.
1. Il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore
consecutive, di regola in coincidenza con la domenica (in relazione alla religione cattolica).
- se si lavora la domenica si ha diritto a delle maggiorazioni, non concedere il riposo ogni sette giorni
sarebbe considerato nullità.
Articolo 10
Ferie annuali (A)
1. Fermo restando quanto previsto dall' articolo 2109 del Codice civile, il prestatore di lavoro ha
diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo
quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui
all' articolo 2 , comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del
lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al
termine dell'anno di maturazione (1).
ART: 2109 cc
Il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la
domenica [Cost. 36].
Ha anche diritto [dopo un anno d'ininterrotto servizio] (1) ad un periodo annuale di ferie retribuito
[2243], possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze
dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge,
[dalle norme corporative,] dagli usi o secondo equità (2).
L'imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il
godimento delle ferie.
Non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso indicato nell'articolo 2118 [2751, n. 4].
Inizialmente scritto così ma va letto in combinato disposto con le altre norme.
In riferimento allo stesso articolo 36, la Corte costituzionale ha ritenuto illegittima la parte in cui prevedeva
che il diritto alle ferie nascesse dopo un anno di ininterrotto servizio, il conteggio comincia subito.
Anche la Corte di giustizia dell’UE ha affermato che è illegittimo e che il conteggio parte dall’inizio del
rapporto di lavoro.
2.Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità
per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro. Salvo interruzione del rapporto.

185
3. Nel caso di orario espresso come media ai sensi dell'articolo 3, comma 2, contratti collettivi
stabiliscono criteri e modalità di regolazione.
Articolo 11
Limitazioni al lavoro notturno.
1. L'inidoneità al lavoro notturno può essere accertata attraverso le competenti strutture sanitarie
pubbliche.
2. I contratti collettivi stabiliscono i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di
effettuare lavoro notturno. È in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6,
dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Non
sono inoltre obbligati a prestare lavoro notturno:
a) la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre
convivente con la stessa;
b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età
inferiore a dodici anni (A);
b-bis) la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del
minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di età o, in alternativa ed alle stesse
condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa (1);
c) la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5
febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.
Articolo 13
Durata del lavoro notturno.
1. L'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro
ore, salva l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di
riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite.
Articolo 14
Tutela in caso di prestazioni di lavoro notturno.
1. La valutazione dello stato di salute dei lavoratori notturni deve avvenire a cura e a spese del datore
di lavoro, o per il tramite delle competenti strutture sanitarie pubbliche di cui all'articolo 11 o per il
tramite del medico competente di cui all' articolo 17 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 , e
successive modificazioni, attraverso controlli preventivi e periodici, almeno ogni due anni, volti a
verificare l'assenza di controindicazioni al lavoro notturno a cui sono adibiti i lavoratori stessi (1)(A).

Articolo 15
Trasferimento al lavoro diurno.
1. Qualora sopraggiungano condizioni di salute che comportino l'inidoneità alla prestazione di lavoro
notturno, accertata dal medico competente o dalle strutture sanitarie pubbliche, il lavoratore verrà
assegnato al lavoro diurno, in altre mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili.

186
2. La contrattazione collettiva definisce le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al comma
precedente e individua le soluzioni nel caso in cui l'assegnazione prevista dal comma citato non risulti
applicabile.
Come è calcolata la durata media dell’orario lavoro?
3. Ai fini della disposizione di cui al comma 2, la durata media dell'orario di lavoro deve essere
calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi.
4. I contratti collettivi di lavoro possono in ogni caso elevare il limite di cui al comma 3 fino a sei mesi
ovvero fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro,
specificate negli stessi contratti collettivi.
[5. In caso di superamento delle 48 ore di lavoro settimanale, attraverso prestazioni di lavoro
straordinario, per le unità produttive che occupano più di dieci dipendenti il datore di lavoro è tenuto
a informare, entro trenta giorni dalla scadenza del periodo di riferimento di cui ai precedenti commi 3
e 4, la Direzione provinciale del lavoro -Settore ispezione del lavoro competente per territorio. I
contratti collettivi di lavoro possono stabilire le modalità per adempiere al predetto obbligo di
comunicazione (1).]
ART. 24 DECRETO LEGISLATIVO 151/2015
Art. 24. Cessione dei riposi e delle ferie
1. Fermi restando i diritti di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, i lavoratori possono cedere a
titolo gratuito i riposi e le ferie da loro maturati ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro,
al fine di consentire a questi ultimi di assistere i figli minori che per le particolari condizioni di salute
necessitano di cure costanti, nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti
collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale applicabili al rapporto di lavoro.
È emersa l’esigenza da parte di alcuni dipendenti che però avevano terminato le ferie.
Possono cederne solo una parte.
DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO
Nel contratto di lavoro le due parti non sono sullo stesso piano (né economico, né regolamentare).
La modalità di organizzazione (art.2086cc) prevede per l’impresa un’organizzazione gerarchica.
ART: 2086cc
[I]. L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori
[2094 ss.].
[II]. L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto
organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in
funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale,
nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti
dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. (2)
La differenza tra le due parti è una differenza di regolamentazione giuridica che trova la sua giustificazione
nell’art.41 costituzione.
L'iniziativa economica privata è libera. (architrave della costituzione che giustifica l’esistenza
dell’impresa gerarchica)

187
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente,
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Limiti al potere del datore di lavoro ben precisi che emergono in tutto l’ordinamento.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali [cfr. art. 43].
L’imprenditore in virtù della sua posizione gerarchica detiene una serie di poteri:

- Direttivo
- Di controllo
- Disciplinare

Tutti correlati direttamente all’assetto contrattuale del contratto di lavoro subordinato; la causa stessa del
contratto (scambio tra lavoro sub/retribuzione) fa si che l’imprenditore abbia nei confronti del lavoratore
questi poteri.
LIMITI AI POTERI DEL DATORE:
Art. 2103cc
Art. 2103 Mansioni del lavoratore (le mansioni corrispondono all’oggetto del contratto che deve essere
determinato o determinabile)
l’articolo contempera da un lato l’oggetto del contratto con il potere riconosciuto al datore di modificare
unilateralmente le mansioni del lavoratore (IUS VARIANDI). (per il buon andamento dell’impresa entro
determinati limiti)
L’art. ha subito delle modifiche: i limiti precedentemente erano flebili vi era solo l’impossibilità di diminuire
la retribuzione o di mutare la posizione sostanzialmente.
Con lo statuto dei lavoratori il legislatore del 1970 ritiene di dover ampliare i limiti a tutela del lavoratore:
inizialmente la modalità di modifica delle mansioni viene suddivisa in tre parti:

- Mansioni superiori
- Mansioni equivalenti
- Mansioni inferiori

Si riconosce una libertà unilaterale del datore di modificare la mansione del lavoratore (in modo orizzontale).
C’è il concetto di mansione equivalente (termini entro cui il datore può muoversi).
Vi è poi la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni superiori (piena libertà di spostarlo, ma a tutela della
professionalità del lavoratore, c’è l’obbligo del datore di ritenerle definitive trascorsi almeno tre mesi.
(mansioni superiori = retribuzioni maggiori)
Ogni patto contrario è nullo. (qualunque modifica delle mansioni in senso deteriore è vietata dalla norma).

Nel 2015, all’interno del Jobs Act, si sono introdotte numerose modifiche:

- Modificata l’idea delle mansioni equivalenti (modificati i limiti, resi più flessibili)

[I]. Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti
all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo

188
stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. (non più mansioni
equivalenti)
La norma poi introduce la possibilità per il datore di modificare le mansioni anche in senso inferiore:
[II]. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo
stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché
rientranti nella medesima categoria legale.
[III]. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo
formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione
delle nuove mansioni.
[IV]. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore,
purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.
Un livello inferiore può essere effettuato anche per altre ragioni presenti nei contratti collettivi.
[V]. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per
iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del
trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari
modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.
La giurisprudenza aveva ritenuto possibile modificare in senso peggiorativo le mansioni ma solo nei casi in
cui:

- La modifica avrebbe salvato il lavoratore da situazioni peggiori.

Es: per ragioni oggettive il datore sarebbe stato costretto a licenziarlo per i cambiamenti negli assetti
organizzativi in generale.
[VI]. Nelle sedi di cui all'articolo 2113, (rinunce o transazioni) quarto comma, o avanti alle commissioni
di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria
legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla
conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle
condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui
aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Sedi art. 2113: (viene verificata la veridicità della volontà del lavoratore)

- Davanti al giudice,
- Sede sindacale,
- Davanti alle commissioni di conciliazione
- …

[VII]. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento


corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del
lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in
servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.
Rispetto al passato è la volontà del lavoratore di rifiutare ed il periodo che passa da tre a sei mesi anche per
operai.
[IX]. Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al
sesto comma, ogni patto contrario è nullo.
In considerazione al primo comma è cambiato il concetto di mansioni “orizzontali”: non c’è più il concetto di
mansioni equivalenti ma c’è il riferimento a livello.
189
Nel concetto di equivalenza la giurisprudenza aveva inserito il concetto di professionalità acquisita a
prescindere dalla definizione contrattuale.

- Anni ’80, in un tribunale di Milano con una sentenza di un lavoratore che lavorava alla SIP:
era un lavoratore che (in un momento di sviluppo tecnologico) doveva dare le info a coloro che
chiamavano al numero di telefono. Fino ad un certo tempo c’era una persona che materialmente
rispondeva alle chiamate, da un certo momento in poi l’addetto era sempre incaricato di dare
informazioni ma c’era la possibilità di una risposta automatica.
Si va davanti ad un giudice (si lamentava di essere demansionato) il tribunale di Milano: in questo
caso ci troviamo davanti ad un caso di sfruttamento (non può più estrinsecare la competenza
acquisita).
In questo concetto si ritrova il significato di equivalenza.
Oggi sarebbe difficile considerarlo un demansionamento, poiché la categoria legale è la medesima.
Categoria legale = operai, quadri, impiegati e dirigenti previsti dall’art.2095cc
LIVELLO CONTRATTUALE
In relazione al:

- Contratto collettivo metalmeccanici 2008 (classico sistema di inquadramento professionale unico


’73)
Qui il livello retributivo è correlato all’inquadramento professionale, ed in esso sono descritte le tipologie
professionali che fanno parte di quel livello.
Vi è normalmente un riferimento al livello di inquadramento contrattuale: classificazione unica articolata su
sette livelli:
1. Basso livello: lavoratori di attività produttive semplici per le quali non occorre molta pratica, non vi
occorre conoscenza specifica.
Si parte dalla più bassa alla più elevata che richiede maggiori richieste.
Declaratoria e una esemplificazione delle tipologie che rientrano in quella categoria: saldatore, cassaio,
dattilografo.
2. Specifica preparazione risultante da diploma di qualifica.
Riparatore, collaudatore…
Le più elevate hanno funzioni direttive, autonomia decisionale legata a mansioni e livelli più elevati.
Vi è una specifica modalità di inquadramento dei quadri.
In relazione al livello era previsto un certo tipo di retribuzione. (quasi il doppio dalla più bassa alla più alta)

- Contratto collettivo metalmeccanici 2021

Per la prima volta dal ’73 si trova una modifica sostanziale del sistema di classificazione professionale.
I lavoratori rientranti nelle diverse categorie legali di quadri, impiegati e operai sono inquadrati in
una classificazione unica articolata in nove livelli di inquadramento ricompresi in quattro campi di
responsabilità di ruolo:
D. Ruoli Operativi: Livelli D1 e D2;
Livello D1

190
Appartengono a questo livello:
i lavoratori che svolgono attività produttive, amministrative o di servizio elementari relative a un
limitato numero di posizioni di lavoro di uno specifico ambito operativo/funzionale secondo istruzioni
di lavoro definite. Per questo ruolo non sono richieste conoscenze e/o abilità professionali specifiche
ma competenze digitali, aritmetiche e di comunicazione di base. In funzione dei contesti aziendali tali
lavoratori sono coordinati nella partecipazione alle iniziative di miglioramento aziendale.
Livello D2
Appartengono a questo livello:
i lavoratori che con limitata autonomia svolgono attività produttive, tecniche, amministrative o di
servizio ordinarie in un’area di lavoro determinata di uno specifico ambito operativo/produttivo o
funzionale. Sono richieste conoscenze e abilità specifiche adeguate all’applicazione di istruzioni e
procedure di lavoro utilizzando strumenti e sistemi, anche digitali, preimpostati.
In funzione dei contesti aziendali esercitano una limitata iniziativa di adattamento, manutenzione e
regolazione su attività e strumenti, interagiscono col proprio gruppo di lavoro, riportano
autonomamente gli avanzamenti operativi e le anomalie identificate, utilizzando rapporti preimpostati
o informatizzati e semplici strumenti di comunicazione digitale, adottando la corretta terminologia
tecnica di base anche di origine straniera. Tali lavoratori sono normalmente coinvolti utilizzando le
metodologie prescritte nelle eventuali iniziative o sistemi di miglioramento aziendale.
C. Ruoli Tecnico Specifici: Livelli C1, C2 e C3;
B. Ruoli Specialistici e Gestionali: Livelli B1, B2 e B3;
A. Ruoli di Gestione del cambiamento e Innovazione: Livello A1
Le parti sociali avevano dei limiti nell’uso dello IUS VARIANDI, possono essere usati all’interno delle
grandi famiglie.
La mansione equivalente consentiva alla giurisprudenza di riconoscere la professionalità acquisita del
lavoratore, che manca nella nuova modifica. (necessità di salvaguardare)
LUOGO DELLA PRESTAZIONE (elemento essenziale)
Vi è la possibilità di una modifica unilaterale da parte del datore? SI! (potere direttivo del datore ma con
limiti)
Art. 2103 comma 8
Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate
ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Vi sono limiti correlati al divieto di trasferimento da un’unità produttiva all’altra.
UNITA’ PRODUTTIVA = meno di un’azienda intera ma con un’autonomia funzionale, possono essere
assetti produttivi in ambiti territoriali diversi.
Comprovate = correlate sia al sito di partenza che di arrivo.
Le ragioni devono essere chiare ed esplicite.
Nell’unità produttiva non abbiamo limiti, il lavoratore può essere trasferito da un reparto all’altro (rientra nei
poteri del datore di lavoro ma con dei limiti: non può essere una sanzione disciplinare)
ES: la giurisprudenza consente di farlo per incompatibilità tra lavoratori.

191
I delegati sindacali hanno delle tutele maggiori. (nullaosta del sindacato)
Salvo quanto detto, ogni patto contrario è nullo.
Il demansionamento rimane vietato salvo le eccezioni del comma: 2/4/6 e nel caso di demansionamento non
giustificato c’è la possibilità del lavoratore di richiedere il riconoscimento delle mansioni e il risarcimento
del danno: ES: MOBBING (messo ai margini dal datore (verticale) o dai colleghi (orizzontale)).
MOBBING 2103/1087 cc
POTERE DI CONTROLLO E VIGILANZA
Rientra nell’ambito dei poteri dell’imprenditore di verificare che la controprestazione sinallagmatica sia
concretamente eseguita. (con limiti concreti)
I vincoli al potere di controllo sono siti nello statuto dei lavoratori.
Il legislatore differenzia tra:

- Poteri che vanno ad influire direttamente sulla persona del lavoratore


- Necessità dell’imprenditore di garantire la propria impresa (se c’è pericolo, vi è più flessibilità)

ARTICOLO N.2
Guardie giurate.
Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del
testo unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, soltanto per scopi di tutela del
patrimonio aziendale.
Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono
alla tutela del patrimonio aziendale.
È fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull'attività lavorativa le guardie di cui al
primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo
svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti
di cui al primo comma.
In caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni di cui al presente
articolo, l'Ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il
provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi (1).
Il datore di lavoro ha sempre il potere di controllo e vigilanza che NON può delegare alle guardie giurate.
La giurisprudenza in alcuni casi garantisce al datore di farlo quando ci sono prove che sia parte del
lavoratore un pericolo di violare il patrimonio aziendale.

ARTICOLO N.3
Personale di vigilanza.
I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa
debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.
ARTICOLO N.5
Accertamenti sanitari.

192
Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o
infortunio del lavoratore dipendente.
Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli
istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda.
Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici
ed istituti specializzati di diritto pubblico.
Vincolo che limita i poteri del datore di lavoro a controllare che il lavoratore a casa in malattia stia davvero
male. (lo si fa attraverso L’ASL stabilito dai contratti collettivi)
È impossibile anche che il datore usi servizi privati investigativi sul lavoratore al di fuori del posto di lavoro.
ARTICOLO N.6
Visite personali di controllo.
Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai
fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle
materie prime o dei prodotti.
In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite
all'uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che
avvengano con l'applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di
lavoratori.
Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché, ferme restando le condizioni
di cui al secondo comma del presente articolo, le relative modalità debbono essere concordate dal
datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la
commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del
lavoro (1).
Contro i provvedimenti della Direzione regionale del lavoro di cui al precedente comma, il datore di
lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure
i sindacati dei lavoratori di cui al successivo articolo 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla
comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.
VISITE PERSONALI DI CONTROLLO = accertamenti sul luogo di lavoro in casi particolari (es: industria
che produce diamanti, il lavoratore potrebbe rubarli).:

- Se vi sono criteri oggettivi che lo consentano


- Se la modalità è concordata con le parti sociali

Da noi non è possibile! Possono farlo le forze dell’ordine ma solo in alcuni casi.

POTERE DIRETTIVO
ART: 1460 cc “ECCEZIONE DI INADEMPIMENTO”
Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua
obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo
che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del
contratto.
Tuttavia, non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla
buona fede.
193
Lascia la possibilità ad una delle parti, che subisce un inadempimento da parte dell’altra, di non adempiere la
propria obbligazione.
Si applica anche al contratto di lavoro subordinato.
Nel lavoro subordinato, il rischio per un lavoratore che non adempie la prestazione è elevato.
Nel contratto di lavoro subordinato i poteri del datore di lavoro sono significativi, vi è il potere disciplinare
(sanzionare inadempimento, arrivando persino al licenziamento).
Ci deve, nel caso del lavoro subordinato, un chiaro ed evidente inadempimento da parte del datore di lavoro
perché il lavoratore possa rifiutare legittimamente.
QUANDO PU0’ RIFIUTARE LEGITTIMAMENTE? Quando la direttiva è contraria alla legge.
I casi più tipici sono quelli legati alla sicurezza sul lavoro.

 ES: Ci sono delle mansioni particolarmente pericolose.


Andare su una gru che arriva magari a 20,30, 40 m di altezza.
Ci sono degli operai super specializzati per compiere lavori a quelle altezze e sanno bene come si fa.
Questo è proprio uno dei casi in cui la giurisprudenza ritiene giustificato l'eventuale rifiuto di un lavoratore
che magari, nel momento in cui non c'è l'addetto alla gru, viene preso dal datore di lavoro e gli viene chiesto
di sostituire il lavoratore assente.
In questi casi il lavoratore può legittimamente rifiutarsi di adempiere quella mansione.

 ES: Eventuali ordini che siano palesemente contrari alla legge.


Il datore ordina ad un impiegato di distruggere determinati documenti.
In questo caso ci sono anche questioni sul piano penale.
Sì, è possibile rifiutare ma con molta cautela.
Il potere direttivo resta un potere assolutamente fondamentale nell'ambito del contratto di lavoro subordinato.
POTERE DI CONTROLLO
I limiti sono contenuti in un paio norme di legge a partire soprattutto dallo statuto dei lavoratori.
ARTICOLO N.4
Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo.
Contiene esplicite norme correlate alla modalità con cui il datore può utilizzare eventuali strumenti di
controllo a distanza dell'attività del lavoratore.
Questo articolo ha subito una profonda modifica nel 2015, con il Jobs Act.
Prima di questa modifica, c’era un comma di apertura:
“È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza
dell'attività dei lavoratori.” (legato al 1970 con le prime grandi telecamere)
Nell'accezione di impianti audiovisivi sono sempre stati ricomprese anche le innovazioni tecnologiche dal
1970 ad ogg.
Questo primo comma ora non c'è più.
1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a
distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative
e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale (aggiunta 2015) e
194
possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o
dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive
ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato
dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di
accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa
autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità
produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali.
Se ci sono impianti audiovisivi o altri strumenti da cui derivi anche la possibilità di controllo a distanza del
lavoratore, possono essere utilizzati esclusivamente per esigenze di tutela del patrimonio aziendale e
sicurezza sul lavoro.
Il testo precedente era chiaro: c’era un generale divieto di utilizzo di strumenti di controllo per controllare a
distanza l’attività dei lavoratori e poi c'erano delle eccezioni (quando l’attività dei lavoratori non è la finalità
principale del controllo ma c'è anche la possibilità).
ES: Se io impresa decido che, la prestazione di quel lavoratore è legata a un luogo, vicino ad una cassaforte
in cui io ho delle cose molto importanti e temo che qualcuno passa e me le rubi: posso mettere una
telecamera che ha la finalità di garantire che nessuno rubi ma che per esigenze legate alla modalità di
configurazione degli spazi; la telecamera riprenda anche l’attività dei lavoratori. (giustificato sempre che ci
sia l'accordo sindacale).
Nella nuova configurazione permane il divieto generalizzato?
SI! Nonostante la norma sia cambiata, la struttura è rimasta invariata. (c'è la possibilità con accordo
sindacale)
Nel 2015 sono stati introdotti due commi ulteriori.
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere
la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
In questo caso non è necessario un accordo sindacale.
3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 (con accordo) e 2 (senza accordo) sono utilizzabili a tutti
i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle
modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. (oggi tutela della privacy)
Cosa significa che le informazioni raccolte possano essere utilizzati a tutti i fini connessi al rapporto di
lavoro?
ES: licenziamento
Cosa sono questi strumenti utilizzati dal lavoratore?
ES: Tablet
ES: Chip nelle scarpe? (c’è stato un provvedimento
ES: Amazon aveva introdotto una specie di mano robotica per i suoi addetti che sostanzialmente guidava gli
addetti al magazzino a fare determinati movimenti per velocizzare le modalità.
La competenza a decidere è dei giudici del lavoro nel momento in cui vi è eventuale violazione dell'articolo
quattro e del controllo del datore di lavoro.
C'è poi una competenza prima del garante della Privacy e poi dei giudici amministrativi per quello che
riguarda le questioni legate alla privacy.
195
La mano robotica in realtà è vietata nell'ordinamento italiano, il Chip sulle scarpe è una questione che rimane
aperta.
Più semplici sono gli strumenti di registrazione degli accessi, (es: badge), tutte computerizzate anche usati a
fini disciplinari.
CONTROLLI DIFENSIVI
Sono controlli utilizzati dal datore di lavoro, correlati al patrimonio aziendale.
La giurisprudenza per lungo tempo aveva ritenuto che i controlli difensivi fossero legittimi anche quando
andassero al di là dell'articolo quattro. (prima che il riferimento alla tutela del patrimonio aziendale sia
entrata nel nuovo testo dell'articolo 15)
A partire da questo momento in poi c'è stata un'altra discussione.
I controlli difensivi oggi sono stati riassorbiti nell'articolo quattro oppure restano all'esterno di esso e quindi
il datore di lavoro continua ad avere la possibilità di effettuarli senza i limiti?
CASSAZIONE 2015 - n. 10955
La questione riguarda un licenziamento di un lavoratore che:
1) in data 21/8/2012 si era allontanato dal posto di lavoro per una telefonata privata di circa 15 minuti
che gli aveva impedito di intervenire prontamente su di una pressa, bloccata da una lamiera che era
rimasta incastrata nei meccanismi; 2) nello stesso giorno era stato trovato, nel suo armadietto
aziendale, un dispositivo elettronico (IPad) accesso e in collegamento con la rete elettrica; 3) nei giorni
successivi, in orari esattamente indicati, si era intrattenuto con il suo cellulare a conversare su face
book.
Il licenziamento è stato intimato per giusta causa.
Come si è arrivati al licenziamento?
1.3.- E' rimasto accertato nella precedente fase di merito che, previa autorizzazione dei vertici
aziendali, il responsabile delle risorse umane della Pellicani Abruzzo s.r.l. ha creato un falso profilo di
donna su face book con richiesta di "amicizia" al D. L., con il quale aveva poi "chattato in più
occasioni", in orari che la stessa azienda aveva riscontrato concomitanti con quelli di lavoro del
dipendente, e da posizione, accertata sempre attraverso face-book, coincidente con la zona industriale
in cui ha sede lo stabilimento della società.
Questa modalità di intervento del datore di lavoro è o meno coerente con la normativa?
Il presupposto è che la vigilanza sul lavoro, purché necessario all’organizzazione produttiva vada mantenuta
in una dimensione umana.
7.5.- Il potere di controllo del datore di lavoro deve dunque trovare un contemperamento nel diritto
alla riservatezza del dipendente, ed anche l'esigenza, pur meritevole di tutela, del datore di lavoro di
evitare condotte illecite da parte dei dipendenti non può assumere portata tale da giustificare un
sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore.
1.6. - Benchè non siano mancati precedenti di segno contrario (Cass., 3 aprile 2002, n. 4746), tale
esigenza di tutela della riservatezza del lavoratore sussiste anche con riferimento ai cosiddetti
"controlli difensivi" ossia a quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori,
quando tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal
rapporto di lavoro e non la tutela di beni estranei al rapporto stesso, ove la sorveglianza venga attuata
mediante strumenti che presentino quei requisiti strutturali e quelle potenzialità lesive, la cui

196
utilizzazione è subordinata al previo accordo con il sindacato o all'intervento dell'Ispettorato del
lavoro".
Quando c'è l'attività lavorativa del dipendente, ci sono le garanzie dell'articolo quattro.
Se controlli difensivi riguardano altro, cioè beni strumentali della società, (es. il caso più tipico era
posizionare eventuali telecamere per evitare che qualche dipendente potesse rubare per esempio i bagagli dei
viaggiatori in aeroporto).
1.7. - Diversamente, ove il controllo sia diretto non già a verificare l'esatto adempimento delle
obbligazioni direttamente scaturenti dal rapporto di lavoro, ma a tutelare beni del patrimonio
aziendale ovvero ad impedire la perpetrazione di comportamenti illeciti, si è fuori dallo schema
normativo della L. n. 300 del 1970, art. 4.

1.8. - Si è così ritenuto che l'attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali per conoscere il
testo di messaggi di posta elettronica, inviati da un dipendente bancario a soggetti cui forniva
informazioni acquisite in ragione del servizio, prescinde dalla pura e semplice sorveglianza
sull'esecuzione della prestazione lavorativa ed è, invece, diretta ad accertare la perpetrazione di
eventuali comportamenti illeciti (poi effettivamente riscontrati) (Cass., n. 2722/2012). Così come è stata
ritenuta legittima l'utilizzazione, da parte del datore di lavoro, di registrazioni video operate fuori
dall'azienda da un soggetto terzo, estraneo all'impresa e ai lavoratori dipendenti della stessa, per
esclusive finalità "difensive" del proprio ufficio e della documentazione in esso custodita (Cass., 28
gennaio 2011, n. 2117).

In ogni caso non escludono il potere dell'imprenditore, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., di
controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica o anche attraverso
personale esterno -
- Nell'ambito dei controlli cosiddetti "occulti", la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di
affermarne la legittimità, ove gli illeciti del lavoratore non riguardino il mero inadempimento della
prestazione lavorativa, ma incidano sul patrimonio aziendale.
1.11.- Da questo panorama giurisprudenziale, può trarsi il principio della tendenziale ammissibilità
dei controlli difensivi "occulti", anche ad opera di personale estraneo all'organizzazione aziendale, in
quanto diretti all'accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della
prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, ferma comunque restando la
necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e
rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l'interesse del datore di lavoro
al controllo ed alla difesa della organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi, e, in ogni
caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale.
Secondo la Corte (falso profilo Facebook) la fattispecie in esame rispetta questi limiti e si pone al di fuori del
campo di applicazione dell'articolo quattro.
La Corte di Cassazione ricostruisce questa vicenda all'interno della più ampia questione dei controlli
difensivi e fuori dall'articolo quattro.
1.12.- Ad avviso del Collegio, la fattispecie in esame rispetta questi limiti e si pone al di fuori del campo
di applicazione dell'art. 4 dello statuto dei lavoratori. Infatti, il datore di lavoro ha posto in essere una
attività di controllo che non ha avuto ad oggetto l'attività lavorativa più propriamente detta ed il suo
esatto adempimento, ma l'eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente,
poi effettivamente riscontrati, e già manifestatisi nei giorni precedenti, allorché il lavoratore era stato
sorpreso al telefono lontano dalla pressa cui era addetto (che era così rimasta incustodita per oltre

197
dieci minuti e si era bloccata), ed era stata scoperta la sua detenzione in azienda di un dispositivo
elettronico utile per conversazioni via internet.
Il controllo difensivo era dunque destinato a riscontare e sanzionare un comportamento idoneo a
ledere il patrimonio aziendale, sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli
impianti. Si è trattato di un controllo ex post, sollecitato dagli episodi occorsi nei giorni precedenti, e
cioè dal riscontro della violazione da parte del dipendente della disposizione aziendale che vieta l'uso
del telefono cellulare e lo svolgimento di attività extralavorativa durante l'orario di servizio.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che
liquida in Euro 100,00 per esborsi e 4.000,00, per compensi professionali, oltre oneri accessori come
per legge.
Con il nuovo testo ci si è chiesti: ora i controlli difensivi rientrano all'interno dell'articolo quattro e quindi
non è più possibile per il datore di lavoro effettuare delle manovre di controllo totalmente al di fuori?
La giurisprudenza con la sentenza del 2021 ha sostanzialmente ritenuto che in generale i controlli difensivi
oggi rientrano nell'articolo quattro ma esulano da esso alcuni controlli difensivi in senso stretto.
CONTROLLI DIFENSIVI IN SENSO STRETTO = Legati a illeciti specifici commessi da un dipendente
specifico, su cui c'è già un minimo di sospetto.
CASSAZIONE 2021 N. 25732
2. In seguito all'accertamento della diffusione di un virus nella rete aziendale l'amministrazione del
sistema informatico della Fondazione aveva eseguito un accesso sul computer della lavoratrice,
appurando che nella cartella di download del disco fisso della C. era presente un file scaricato che
aveva propagato il virus che, partito dal computer aziendale in uso alla lavoratrice, aveva iniziato a
propagarsi nella rete della Fondazione, criptando i files all'interno di vari dischi di rete, rendendo gli
stessi illeggibili e quindi inutilizzabili. In occasione dell'intervento venivano in rilievo numerosi accessi
- da parte della lavoratrice a siti che all'evidenza erano stati visitati per ragioni private, per un tempo
lungo, tale da integrare una sostanziale interruzione della prestazione lavorativa.
In quell'occasione si era scoperto che la lavoratrice aveva a fatto accesso a numerosi siti per ragioni private,
integrato da una sostanziale interruzione della prestazione lavorativa. (l'uso di Internet da parte delle aziende
cambia a seconda dei casi, ci sono ovviamente mansioni che in qualche modo rendono necessario che i
singoli lavoratori abbiano libero accesso alle reti aziendali)
10. Diversamente dal giudice dell'opposizione, però, la Corte di merito ha ritenuto che l'ingente
numero di accessi ad internet avesse natura ludica e privata.
10.La norma contemplava, in sostanza, due livelli di protezione della sfera privata del lavoratore: uno
pieno, mediante la previsione del divieto assoluto di uso di impianti audiovisivi e di altre
apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori non sorretto da ragioni
inerenti all'impresa (ossia, il cd. controllo fine a sé stesso); l'altro affievolito, ove le ragioni del
controllo fossero state riconducibili ad esigenze oggettive dell'impresa, ferma restando l'attuazione del
controllo stesso con l'osservanza di determinate "procedure di garanzia".
Viene fuori come la categoria dei controlli difensivi sia stata una categoria elaborata dalla giurisprudenza per
consentire al datore di lavoro di contrastare eventuali comportamenti illeciti.
I controlli difensivi esulano dall’articolo quattro quando vi erano alcune condizioni: due condizioni
necessarie ed una eventuale:

 iniziativa datoriale avesse l’attività specifica di accertare determinati comportamenti illeciti.


 Illeciti fossero lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale
 Controlli fossero stati ex post

198
22.Sebbene i "controlli difensivi" fossero sottratti all'area di operatività dell'originaria versione dell'art. 4,
comma 2, St. lav., era chiaro nella giurisprudenza che essi non potevano comunque essere esercitati
liberamente dal datore di lavoro al di fuori di regole di civiltà e di criteri ragionevoli volti a garantire, con
l'impiego di determinati accorgimenti e cautele, un adeguato bilanciamento tra le esigenze di salvaguardia
della dignità e riservatezza del dipendente e quelle di protezione, da parte del datore di lavoro, dei beni (in
senso lato) aziendali.
Sono sopravvissuti i controlli difensivi nel regime delle nuove normative fissate dall’art.4 o no?
“I controlli aventi ad oggetto il patrimonio aziendale sono, ai sensi della nuova versione dell'art. 4
St.lav., assoggettati ai presupposti di legittimità ivi previsti, per cui si pone la questione se i "controlli
difensivi" non debbano oramai ritenersi completamente attratti nell'area di operatività dell'art. 4 St.
lav., avendo il legislatore indicato, tra le esigenze da soddisfare mediante l'impiego dei dispositivi
potenzialmente fonte di controllo, accanto a quelle organizzative e produttive e a quelle relative alla
sicurezza del lavoro, per l'appunto quelle di "tutela del patrimonio aziendale", ovvero se anche sotto
l'impero della nuova versione dell'art. 4 St. lav. debba continuare a riconoscersi ai "controlli
difensivi" diritto di cittadinanza.
29. Ritiene la Corte che possa soccorrere in questo contesto la distinzione tra i "controlli difensivi" in
senso lato e quelli in senso stretto.
31. Occorre perciò distinguere tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i
dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a
contatto con tale patrimonio, controlli che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle
previsioni dell'art. 4 novellato in tutti i suoi aspetti e "controlli difensivi" in senso stretto, diretti ad
accertare specificamente condotte illecite ascrivibili - in base a concreti indizi - a singoli dipendenti,
anche se questo si verifica durante la prestazione di lavoro.
32. Si può ritenere che questi ultimi controlli, anche se effettuati con strumenti tecnologici, non avendo
ad oggetto la normale attività del lavoratore, si situino, anche oggi, all'esterno del perimetro
applicativo dell'art.4.

35. Inoltre, la tesi della sopravvivenza dei "controlli difensivi", sotto il profilo della sua compatibilità
con la tutela della riservatezza di cui all'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, trova
conforto nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo che, in particolare nella
sentenza di Grande Camera del 17 ottobre 2019, nel caso López Ribalda e altri c. Spagna.
CEDU = norma interposta in grado di prevalere anche sui principi costituzionalmente rilevanti.

Si trattava di una fattispecie nella quale il gestore di un supermercato, dopo aver riscontrato discrepanze tra
le scorte di magazzino e gli incassi di fine giornata, e sospettando che ciò dipendesse da illecite condotte
appropriativi di beni e/o denaro aziendale poste in essere da uno o più dipendenti, aveva installato all'interno
del negozio dei dispositivi di videoripresa all'insaputa dei lavoratori, in posizione utile alla sorveglianza
generalizzata ed indistinta di tutto il personale di volta in volta addetto al bancone di cassa, in tal modo
appurando che le condotte sospettate si verificavano effettivamente. La Corte Europea ha ritenuto la
legittimità dell'iniziativa datoriale, in quanto proporzionata rispetto al fine (in sé legittimo) di tutelare
l'interesse organizzativo-patrimoniale del datore di lavoro, ritenendo quindi che le corti nazionali avessero
correttamente valutato che le misure adottate a tutela della privacy dei ricorrenti erano appropriate.
36. Ciò, naturalmente, non vuol dire che il datore di lavoro, in presenza di un sospetto di attività
illecita, possa avere mano libera nel porre in essere controlli sul lavoratore interessato.

199
37.Innanzitutto, va riaffermato il principio, già richiamato, espresso dalla giurisprudenza di questa
Corte formatasi nel vigore della precedente formulazione dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori,
secondo cui in nessun caso può essere giustificato un sostanziale annullamento di ogni forma di
garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore.
40. Inoltre, e il punto è particolarmente rilevante nel caso in esame, per essere in ipotesi legittimo, il
controllo "difensivo in senso stretto" dovrebbe quindi essere mirato, nonché attuato ex post, ossia a
seguito del comportamento illecito di uno o più lavoratori del cui avvenuto compimento il datore abbia
avuto il fondato sospetto, sicché non avrebbe ad oggetto l’attività" - in senso tecnico - del lavoratore
medesimo. Il che è sostanzialmente in linea con gli ultimi approdi della giurisprudenza di questa
Corte, più sopra richiamati, in materia di "controlli difensivi" nella vigenza della superata disciplina.

La corte Europea pone un caso che nel nostro ordinamento non è detto che sia sempre legittimo.
44.Può, quindi, in buona sostanza, parlarsi di controllo ex post solo ove, a seguito del fondato sospetto
del datore circa la commissione di illeciti ad opera del lavoratore, il datore stesso provveda, da quel
momento, alla raccolta delle informazioni.
" Sono consentiti i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela
di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato
sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le
esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica,
rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il
controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto.
Non ricorrendo le condizioni suddette la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti
dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua della L. n. 300 del 1970, art. 4, in particolare dei suoi
commi 2 e 3".
In ogni caso, comunque, anche in relazione a questi strumenti vi è la necessità di tutela della privacy.
La tutela della privacy non è uno strumento particolarmente complesso laddove l'informazione si data
specificatamente a colui che deve subire in qualche modo l'utilizzo potenziale dei propri dati personali.
Nel nostro caso il punto è quello legato soprattutto agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la
prestazione lavorativa cui risultati possono essere utilizzati anche a fini disciplinari purché ne sia data
informazione.

PROVVEDIMENTO GARANTE PRIVACY 2018


1.1. All’esito degli accertamenti ispettivi effettuati l’8 e 9 novembre 2017 dal Nucleo Speciale Privacy
della Guardia di finanza su delega dell’Autorità presso la sede legale della Faiella Nicola s.r.l. (di
seguito, anche solo “la società”), in relazione al trattamento di dati personali effettuato mediante un
sistema di localizzazione geografica di veicoli aziendali e di videosorveglianza nell’ambito dell’attività
di raccolta e trasporto di rifiuti (anche speciali e pericolosi), di trasporto acqua e merci nonché di
esecuzione di lavori di espurgo era emerso che:
a. la società per lo svolgimento della propria attività utilizza una flotta di 16 automezzi, di cui 13 dotati
di sistema di geolocalizzazione “i cui dispositivi sono stati forniti […] dalla Visirun s.p.a”; in relazione
a tale sistema la titolarità del trattamento “è in capo” alla società (cfr. verbale accertamenti ispettivi 8-
9.11.2017, p. 2-3);

200
b. il sistema di localizzazione è stato attivato “qualche settimana” dopo la stipula del contratto con il
fornitore del servizio (Visirun s.p.a, già Mobivision s.r.l.) avvenuto il 12 maggio del 2012 (cfr. verbale
cit., p. 3);
c. al sistema accede l’amministratore unico della società, tramite collegamento al sito web/area clienti
del fornitore del servizio ed autenticazione attraverso “indirizzo di posta elettronico societario […] e
[…] apposita password di 14 caratteri” (cfr. verbale cit., p. 3);
d. il sistema consente di “visualizzare su mappa elettronica la posizione dei 13 automezzi
[…]localizzare gli automezzi più vicini ad un indirizzo specifico; controllare il percorso, il tempo di
guida e la velocità media tenuta da ogni veicolo; avere un report riassuntivo in tempo reale dello stato
degli automezzi […]; vedere l’elenco della flotta monitorata con sistema GPS, riportando i dati della
targa, la data, lo stato del mezzo, la mappa cartografica, le soste/fermate effettuate; aggiornare la
posizione geografica dell’automezzo ogni due minuti” (cfr. verbale cit., p. 3);

Sono stati informati i singoli lavoratori del fatto che ci sono questi strumenti e che i dati possano in qualche
modo essere utilizzati e quali dati vengono presi?
i. prima dell’installazione del sistema gli autisti sono stati informati oralmente ed hanno fornito
“verbalmente il loro consenso”; la società ha organizzato corsi di formazione sul sistema di
localizzazione dei veicoli.
LA DISCIPLINA LAVORISTICA
6.1. È stato accertato che la raccolta sistematica dei dati relativi alla posizione dei veicoli e la
consultazione delle informazioni messe a disposizione attraverso l’accesso alla piattaforma web, sia in
tempo reale sia attraverso elaborazioni e report conservati per un esteso periodo di tempo (365 giorni),
consente alla società di effettuare il controllo dell’attività dei dipendenti.
Fino a qui il garante ha utilizzato i propri poteri che ha nell’ambito della disciplina della privacy.
Si è ritenuto che la disciplina sia altresì in contrasto con le norme in materia di controllo a distanza.
Considerato, tuttavia, che in data 20.11.2017 la società ha sottoscritto un accordo ai sensi dell’art. 4, l.
20.5.1970, n. 300, sotto tale profilo il trattamento effettuato è risultato illecito sino alla data della
sottoscrizione dell’accordo.
Può un accordo aziendale bypassare anche il fatto che il singolo lavoratore sia totalmente all'oscuro della
modalità con cui il trattamento è stato fatto?
SI!
Il sistema di geolocalizzazione è stato ritenuto illegittimo, non di per sé, ma perché in violazione con le
norme in materia di garante privacy.
In particolare, si ingiunge ai sensi dell’art. 58, par. 2, lett. d), del Regolamento (UE) 2016/679, a
Visirun S.p.A. di informare i propri clienti, indipendentemente da una richiesta in tal senso, della
possibilità di modificare il sistema rispetto alla impostazione standard, selezionando le funzionalità
disponibili e modificando i parametri principali in relazione alle finalità perseguite dal cliente/titolare
del trattamento. Ciò in base al principio di liceità e correttezza dei trattamenti.
POTERE DISCIPLINARE
Le stesse ragioni che portano l'ordinamento a ritenere correttamente inserite in un contratto un potere di
verifica, controllo e di intervento anche da parte di una delle due parti del contratto è giustificato dall'articolo
41 della costituzione e vale anche per il potere disciplinare.

201
Cos'è il potere disciplinare?
La facoltà di sanzionare immediatamente l'eventuale inadempimento da parte del lavoratore.
Nell'ambito del diritto dei contratti non esiste un potere di questo tipo.
ES: Se vuoi stipulate un contratto di compravendita con qualcuno e verificate che la macchina che vi è stata
consegnata ha dei difetti, agire con la forza diventa un illecito. Bisogna andare dal giudice, provare che c'è
stato un contratto, provare che c'è stato un inadempimento e poi eseguire l'eventuale decisione del giudice.
Quello che avviene qui, perché c'è un'impresa che deve funzionare in maniera corretta e veloce, c'è la
necessità, in caso di inadempimento da parte di un lavoratore (che è inserito sistema produttivo), questo
possa essere sanzionato ed eventualmente espulso.
Un tale potere, proprio perché rilevante e invasivo nei confronti della persona del lavoratore, è contorniato da
limiti specificati in due norme: uno è l'articolo 2106 l'altra è l'articolo 7 dello statuto dei lavoratori.
Art. 2106 cc Sanzioni disciplinari
L’inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all’applicazione
di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione (e in conformità delle norme corporative).
Un primo principio assolutamente centrale nell'ambito del potere disciplinare che è la necessità che ci sia una
proporzionalità tra sanzione disciplinare e il comportamento illecito che porta alla sanzione.
ES: Se io arrivo in ritardo 5 minuti, tu datore di lavoro non mi può licenziare.
L'articolo 7 pone ulteriori specifici limiti al potere disciplinare, però già questo è un limite particolarmente
rilevante. (la sanzione deve essere sempre proporzionata all'infrazione commessa.)
Ulteriori limiti sono contenuti nell'articolo 7 dello statuto dei lavoratori.
ARTICOLO N.7
Sanzioni disciplinari.
Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può
essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei
lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è
stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano.
Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore
senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.
Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o
conferisce mandato.
Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni
disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre, la multa non può
essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal
servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.
In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere
applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha
dato causa.
Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire
l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può
promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero

202
conferisca mandato, la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima
occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna
delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal
direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del
collegio.
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro,
a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione
disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare
resta sospesa fino alla definizione del giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro
applicazione.
Qui dentro troviamo alcune indicazioni di carattere sostanziale:
Ci deve essere un luogo specifico sul luogo di lavoro in cui c’è l’elenco delle norme presenti nel contratto
collettivo. (previa conoscenza).
Il luogo è solitamente fisico, può esserci anche una bacheca on-line.
Sono previste determinate sanzioni, ma sono specifiche e contenute nella stessa norma:

- rimprovero verbale
- Rimprovero scritto
- multa (limite massimo di 4 ore di retribuzione)
- Sospensione dal servizio (massimo di 10 giorni)

La stessa norma da per scontato (richiamando la legge del licenziamento = espulsiva) che non siano possibili
sanzioni che prevedano la mutazione definitiva del rapporto.
ES: non è possibile trasferire un lavoratore per motivi disciplinare. È possibile invece quando vi sia un
continuo impossibile della vita lavorativa (lite tra due lavoratori).
RECIDIVA
Se un lavoratore perpetua nel tempo determinati comportamenti, possono essere tenuti da conto dal datore di
lavoro? Si, entro i due anni (dal momento della sanzione 2 anni addietro).
Limiti di carattere procedurale = il lavoratore deve essere sentito (5 giorni prima di adottare il
provvedimento), necessità di contestare per iscritto.

- PRINCIPIO DI CRISTALLIZZAZIONE: quello che scrivo io datore, resta fermo e non lo posso
cambiare. (vincola il giudice).
- PRINCIPIO DI TEMPESTIVITA’ DELLA CONTESTAZIONE = va verificato a seconda dei
singoli casi.
ES: datore di lavoro in una piccola azienda è più breve rispetto ad una multinazionale.
C’è la possibilità che il lavoratore possa essere sanzionato anche in relazione a qualcosa non previsto nel
codice disciplinare (contratto collettivo).
QUANDO?
Quando il fatto commesso è talmente grave da essere contrario ad eventuali limiti riconosciuti dal consenso
sociale.
ES: Commissione di un reato.

203
Il lavoratore deve essere necessariamente sentito a sua difesa (oralmente sotto richiesta) e il datore di lavoro
prima deve contestare con atto scritto il fatto.
Questo atto scritto è cristallizzato, salvo chiarimenti e specificazioni.
Dopo cinque giorni, è possibile sanzionare materialmente il lavoratore.
Si è aperto un dibattito: lo statuto all’art. 7 afferma che:
In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere
applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha
dato causa.
C’era chi diceva che questi 5 giorni fossero previsti per dare la possibilità al lavoratore di difendersi, altri
invece ritenevano questi giorni come “pausa di riflessione” per il datore.
La giurisprudenza ritiene validi entrambe gli aspetti, ma quello che è rilevante è la difesa del lavoratore. (se
il lavoratore è sentito subito, il datore può emanare subito la sanzione).
Art. 8. – Provvedimenti disciplinari. (metalmeccanici)
L’inosservanza, da parte del lavoratore, delle disposizioni contenute nel presente Contratto può dar
luogo, secondo la gravità della infrazione, all’applicazione dei seguenti provvedimenti:
a) richiamo verbale;
b) ammonizione scritta;
c) multa non superiore a tre ore di retribuzione oraria calcolata sul minimo tabellare;
d) sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino ad un massimo di tre giorni;
e) licenziamento per mancanze ai sensi dell’articolo 10
Il datore di lavoro non potrà adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore
senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa.
Salvo che per il richiamo verbale, la contestazione dovrà essere effettuata per iscritto ed i
provvedimenti disciplinari non potranno essere comminati prima che siano trascorsi 5 giorni, nel
corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni.
Poi vi sono alcune specificità, qui il principio di tempestività viene messo per iscritto (dipende dai casi
specifici):
Se il provvedimento non verrà comminato entro i 6 giorni successivi alla scadenza del termine per le
giustificazioni, queste si riterranno accolte.
Il lavoratore potrà presentare le proprie giustificazioni anche verbalmente, con l’eventuale assistenza di un
rappresentante dell’Associazione sindacale cui aderisce, ovvero, di un componente la Rappresentanza
sindacale unitaria.
La comminazione del provvedimento dovrà essere motivata e comunicata per iscritto.
Non si terrà conto a nessun effetto dei provvedimenti disciplinari decorsi due anni dalla loro comminazione.
Art. 9. – Ammonizioni scritte, multe e sospensioni.
Incorre nei provvedimenti di ammonizione scritta, multa o sospensione il lavoratore che:

204
a) non si presenti al lavoro o abbandoni il proprio posto di lavoro senza giustificato motivo oppure non
giustifichi l’assenza entro il giorno successivo a quello dell’inizio dell’assenza stessa salvo il caso di
impedimento giustificato;
b) senza giustificato motivo ritardi l’inizio del lavoro o lo sospenda o ne anticipi la cessazione;
c) compia lieve insubordinazione nei confronti dei superiori;
d) esegua negligentemente o con voluta lentezza il lavoro affidatogli;
e) per disattenzione o negligenza guasti il materiale dello stabilimento o il materiale in lavorazione;
f) venga trovato in stato di manifesta ubriachezza, durante l’orario di lavoro;
g) fuori dell’azienda compia, per conto terzi, lavoro di pertinenza dell’azienda stessa;
h) contravvenga al divieto di fumare, laddove questo esista e sia indicato con apposito cartello;
i) esegua entro l’officina dell’azienda lavori di lieve entità per conto proprio o di terzi, fuori dell’orario
di lavoro e senza sottrazione di materiale dell’azienda, con uso di attrezzature dell’azienda stessa;
La sanzione cambia a seconda della gravità del comportamento e della credibilità.
L’ammonizione verrà applicata per le mancanze di minor rilievo; la multa e la sospensione per quelle
di maggior rilievo.
L’importo delle multe che non costituiscono risarcimento di danni è devoluto alle esistenti istituzioni
assistenziali e previdenziali di carattere aziendale o, in mancanza di queste, alla Cassa mutua malattia.
Vi sono anche i casi di licenziamento, con o senza preavviso; anche in questo caso è necessario utilizzare la
procedura prevista dall’art. 7 dello statuto.
OBBLIGHI DAL DATORE DI LAVORO
Obblighi contrattuali (contratto sinallagmatico obbligo/diritto)

- Obbligo di salute e sicurezza

Ogni giorno ci troviamo davanti a notizie di incidenti sui luoghi di lavoro e nel corso del tempo si è cercato
di porre rimedi.
Ci sono delle norme che tutelano i lavoratori e che impongono al datore di introdurre delle misure che hanno
lo specifico compito di evitare che accadano incidenti.
Due riferimenti normativi:

- Art. 2087 (norma di chiusura)

L'imprenditore è tenuto a adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità


del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale
dei prestatori di lavoro.
Esistono poi delle norme tecniche contenute nel decreto legislativo di attuazione di ampia normativa europea
n. 81/2008.
Secondo la giurisprudenza comporta la necessità che il datore sia sempre aggiornato alle tecnologie più
avanzate e agli ultimi riferimenti tecnologici in questo campo.
La norma consente che dove non siano state aggiornate, il datore sia chiamato in causa per non aver previsto
le tutele necessarie.

205
La disciplina in materia di infortuni è legata al rapporto previdenziale che nasce con il rapporto di lavoro e
prevede che a fronte si una serie di contributi assicurativi, in caso di infortunio, intervenga l’INAIL che ha il
compito di erogare risarcimenti.
Vi sono determinate tabelle che prevedono quanto il singolo lavoratore potrà riscuotere in relazione
all’infortunio (legge 38/2000).
Il datore resta responsabile sia per la parte non coperta che per quella coperta.
L’art. interviene anche quando l’ambiente di lavoro incide sulla personalità morale (MOBBING).
L’articolo ed il decreto intervengono soprattutto sul piano civilistico ma in materia di infortuni (con decesso)
interviene anche il diritto penale:

- Thyssenkrupp (Piemonte)

Acciaieria di proprietà tedesca in cui scoppia un incendio durante la notte e muoiono 7 lavoratore.
Si scopre che mancavano sistemi di allarme e sicurezza.
Il procuratore indaga, trova delle e-mail tra dirigenti che si dicono “va beh ma tanto questo è un impianto che
andrà a chiudere tra poco, costa troppo rimetterlo a nuovo...”.
La procura chiede non solo l’omicidio colposo ma anche volontario per dolo eventuale.
1/2 grado riconosciuto dolo eventuale = alti dirigenti condannati.
La cassazione del 2014 ridiscute la differenza tra dolo eventuale (il soggetto accetta il rischio dell’evento
morte) e colpa e colpa cosciente.
Nel 2014 si ritiene che per condannare il dolo eventuale l’accertamento del rischio deve essere maggiore, alla
fine vengono riprocessati e condannati per colpa.

- Caso Eternit

L’amianto è uno di quei prodotti di cui si è scoperto provocasse il cancro, va avanti negli anni e bisognava
trovare la correlazione (nesso causale) tra inalazione e morte.
Possibilità e danno che può richiedere il lavoratore (tutelato dall’art. 2087cc ES: Mobbing, molestie)
La questione del danno ha subito molte modifiche: inizialmente l’idea era quella che il danno risarcibile
fosse solo quello patrimoniale. (non patrimoniale era legata a quanto previsto dall’art. 2059cc)
Art. 2059 cc
Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.
È costituzionale nella parte in cui non prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale anche quando si ha
davanti precetti costituzionali.
Per quanto riguarda il lavoro vi sono delle sentenze di cassazione del 2008 che chiariscono quale sia il danno
non patrimoniale risarcibile.
Si parla di unicità del danno non patrimoniale:

- Danno morale (tema d’animo)


- Danno biologico (danno alla salute)
- Danno esistenziale (cambiamento di vita)

L’art. 2087 è un obbligo derivante dal contratto, l’eventuale illecito è ex-delitto, con delle conseguenze su
prescrizione ed onere probatorio.
206
ES: sul mobbing (se verticale è responsabile il datore 2087cc), se orizzontale il collega ne risponde per
illeciti contrattuali.
Gran parte degli obblighi legati alla salute e la sicurezza sono contenuti nel decreto legislativo 81/2008.
Questo decreto (oggi testo unico) ha come riferimento i diritti dell’UE.
DECRETO 81/2008
La sua particolarità è quella di tutelare i lavoratori a prescindere dalla loro categoria contrattuale, impone al
datore una serie di misure tecniche da attuare ritenendolo responsabile di ciò che accade sul luogo di lavoro.
Art. 2.
Definizioni
Ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo si intende per:
a) "lavoratore": persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività
lavorativa nell'ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza
retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti
ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di
cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell'ente
stesso; l'associato in partecipazione di cui all'articolo 2549, e seguenti del Codice civile.
È escluso il lavoro nautico, la protezione civile…
b) "datore di lavoro": il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto
che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la
responsabilità dell'organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di
spesa.
e) "preposto": persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e
funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce
l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed
esercitando un funzionale potere di iniziativa.
f) "responsabile del servizio di prevenzione e protezione": persona in possesso delle capacità e dei requisiti
professionali di cui all'articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di
prevenzione e protezione dai rischi;
Il datore può anche delegare molte delle responsabilità legate alle questioni tecniche, ma solo alcune.
C’è la necessità iniziale del datore di prevedere un documento che faccia comprendere i rischi su quel luogo
di lavoro.
g) addetto al servizio di prevenzione e protezione
h) medico competente
NUOVA FIGURA: i) "rappresentante dei lavoratori per la sicurezza": persona eletta o designata per
rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro;
In realtà già lo statuto all’art. 9 prevede che le rappresentanze lo possano fare.
Art. 3
Campo di applicazione

207
1. Il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di
rischio.

Art. 15.

Misure generali di tutela

1. Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono:
a) la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza;
b) la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella
prevenzione le condizioni tecniche produttive dell'azienda nonché' l'influenza dei fattori dell'ambiente e
dell'organizzazione del lavoro;
c) l'eliminazione dei rischi
d) il rispetto dei principi ergonomici nell'organizzazione del lavoro
Ci sono alcuni principi che emergono:

- Necessità di prevenzione,
- Necessità di precauzione.

ES: Nel periodo pandemico sono stati emessi provvedimenti specifici che hanno enucleato quali sono le
necessità da introdurre dai datori di lavoro per evitare il rischio contagio.
Questione che ha creato dibattito:
L’art. 2087 prevede la necessità di far si che il datore introduca tutte le misure più recenti e tecnologicamente
significative.
La necessità di intervento in alcuni casi (come in provvedimenti nel 20/21 in decreti-legge), vi erano state
delle direttive da attuare (controllo, vigilanza).
Ma l’art. 2087 potrebbe anche chiedere al datore ulteriori obblighi?
NO, se attua tutto quello previsto dall’accordo anche in caso di contagio poteva non essere chiamato in
causa.
È possibile delegare la funzione dove espressamente vietato.
Il datore deve poi designare un responsabile per la prevenzione dei rischi.
Vi sono poi specifici obblighi in capo al datore di lavoro e anche in capo ai lavoratori:
1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti
sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua
formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
2. I lavoratori devono in particolare:
a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a
tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini
della protezione collettiva ed individuale;
La volontà di sottrarsi può essere un inadempimento contrattuale.

208
c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i ((miscele pericolose)), i mezzi di
trasporto, nonché' i dispositivi di sicurezza;
d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei
dispositivi.
DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI
È il fulcro del decreto.
“La valutazione, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze e miscele chimiche
impiegate, nonché la trasformazione dei luoghi di lavoro: deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza
e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi
particolari”.
ES: Stress da lavoro correlato, addetti a mansioni usuranti.
Il documento redatto a conclusione della valutazione deve essere a scopo informativo, deve essere
munito di data certa e/o attestata dalla sottoscrizione del documento dal datore di lavoro.
Deve contenere necessariamente una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la salute e la
sicurezza durante l’attività lavorativa.

Ai fini della valutazione, l’INAIL, anche in collaborazione con le aziende sanitarie locali rende disponibili al
datore strumenti tecnici e specialistici per la riduzione dei rischi.

È un documento complesso:

- Dati generali dell’azienda


- Obiettivi
- Obblighi
- Misure specifiche per ciascuna categoria di rischio.

DPI, esposizione al rumore, manuale di movimentazione dei carichi (quanti pesi è possibile usare), note per
le lavoratrici in gravidanza, stress/lavoro correlato…

- Obbligo di retribuzione

Visione film “LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO”


Modalità con cui vengono controllati i cottimi (entrano dentro anche i sindacati).
Il cottimo aveva rilevanza precedentemente.
ART. 36 cost.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in
ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia [31] un'esistenza libera e dignitosa.
ART: 2099 cc
La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo [2100, 2101, 2108,
2131] e deve essere corrisposta [nella misura determinata dalle norme corporative] (1), con le modalità
e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito.

209
In mancanza di [norme corporative o di] (1) accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal
giudice [tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali] (1).
Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai
prodotti [2102], con provvigione o con prestazioni in natura [1639, 2121].

L’art. 36 è una norma immediatamente precettiva.


Si applica a tutti i consociati anche orizzontalmente (nelle parti di un contratto).
La normale modalità applicativa del contenuto retributivo nel nostro ordinamento è ancora lasciato alla
contrattazione collettiva, il riferimento all'articolo 36 è anche uno strumento di indiretta applicazione di un
contratto collettivo perché laddove un contratto collettivo non sia applicato nell'impresa c'è la possibilità per
i giudici di individuare la giusta retribuzione costituzionalmente prevista e di comunque riferirsi ad un
contratto collettivo, attraverso i riferimenti normativi contenuti nel ART. 2070/2099 cc.
Non esiste un principio di uniformità di trattamento retributivo nel nostro ordinamento.
Si ritiene che, ciascun datore di lavoro può decidere liberamente di pagare quanto crede, ciascun lavoratore.
Art. 2099 cc
La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo [2100, 2101, 2108,
2131] e deve essere corrisposta [nella misura determinata dalle norme corporative] (1), con le modalità
e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito.
In mancanza di [norme corporative o di] accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice
[tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali]
Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai
prodotti [2102], con provvigione o con prestazioni in natura [1639, 2121].

Fa riferimento alle modalità con cui l’ordinamento disciplina la retribuzione. Non contiene di per sé una
definizione di retribuzione.
L’art. 2099 fa riferimento alla retribuzione:
- a tempo
- a cottimo
- partecipazione all’utile, ai prodotti
- Provvigioni
- Prestazioni in natura
Va letto in combinato disposto con l’art. 36 della costituzione.
ES: Nella gran parte dei casi è esclusa la possibilità di un pagamento solo a cottimo. (es: lavoro a domicilio)
Il cottimo è un’antica modalità di misurazione della produzione, legata al risultato conseguito, non è
correlato però ai principi di proporzionalità e sufficienza.
Oggi esiste il cottimo “misto” con una basa di retribuzione misurata con il tempo di lavoro e poi c’è una
parte che viene effettivamente misurata a cottimo.
Inizialmente vi era una distinzione tra:

210
- operai pagati ad ore (ricevevano lo stipendio o la mercede (1865)).
Normalmente ciascun lavoratore dipendente è pagato mensilmente ma dipende dai casi (secondo la
cassazione non è un obbligo).
ES: USA pagati ogni 15 giorni
Normalmente la paga viene erogata dopo la prestazione lavorativa (solitamente il 27 del mese).
PRINCIPIO DELLA POST-NUMERAZIONE = la paga normalmente viene erogata alla fine del periodo
lavorativo (dipende dal settore).
Al momento dell’erogazione la legge prevede l’obbligo del datore di consegnare al lavoratore la busta paga
(serve per capire cosa prende, cosa è stato detratto, indennità). Il datore per il lavoratore è il sostituto di
imposta.
RETRIBUZIONE
È determinata dai contratti collettivi.
TIUR = testo unico di imposte sul reddito.
ART. 51 REDDITO DI LAVORO DIPENDENTE
1. Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo
percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di
lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti
dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui
si riferiscono.

È una definizione onnicomprensiva, la si ritrova anche in altre norme: art. 2120/2121cc


ART: 2121 cc
L'indennità di cui all'art. 2118 deve calcolarsi computando le provvigioni, i premi di produzione, le
partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione
di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese [2099, 2102].
Se il prestatore di lavoro è retribuito in tutto o in parte con provvigioni, con premi di produzione o con
partecipazioni, l'indennità suddetta è determinata sulla media degli emolumenti degli ultimi tre anni
di servizio o del minor tempo di servizio prestato.
Fa parte della retribuzione anche l'equivalente del vitto e dell'alloggio dovuto al prestatore di lavoro.
Fa riferimento all’indennità di mancato preavviso.
Anche in questo caso abbiamo un concetto onnicomprensivo di retribuzione.
A partire da “Azione del legislatore fiscale” e definizione di “indennità di mancato preavviso” la
giurisprudenza era incline a ritenere che la retribuzione fosse legata ad un concetto di onnicomprensività.
A partire dagli anni ’80 questa cosa era stata criticata in dottrina: in virtù del fatto che il concetto di
retribuzione può essere visto da più punti di vista:
RETRIBUZIONE CORRISPETTIVO = viene elargito come corrispettivo della prestazione (scambio)
RETRIBUZIONE PARAMETRO = caso in cui la retribuzione viene usata per calcolare voci indirette
(tredicesima, ferie, permessi retribuiti) che a seconda del parametro possono essere più o meno elevate.

211
A partire da queste critiche, la Cassazione con delle sentenze differenzia tra:
RETRIBUZIONE CORRISPETTIVO E RETRIBUZIONE PARAMETRO (la contrattazione collettiva può
incidere sulla retribuzione parametro).
Quando è il legislatore fiscale che ha modo di approfondire una questione si pongono determinate
conclusioni, quando è il giudice del lavoro, le conclusioni possono essere altre.
ES: Mance = atti di mera liberalità.
La mancia, dal punto di vista della modalità di calcolo della retribuzione, viene da un terzo (cliente): per la
giurisprudenza tributaria, soprattutto se continue (vi è un’aspettativa), debbano essere considerate reddito
imponibile.

Per i lavoristi, farle rientrare nel concetto di retribuzione è più complesso.


La cassazione afferma che nel nostro ordinamento non è presente un generale principio di
onnicomprensività.
RETRIBUZIONE CORRISPETTIVO = Secondo la modalità con cui, giurisprudenza e dottrina guardano la
teoria di retribuzione abbiamo alcuni elementi che ci servono per includere una determinata somma nel
concetto di retribuzione.
Questi elementi sono:
- Corrispettività: dato come rispettivo della prestazione lavorativa
- l'obbligatorietà: obbligo del datore di lavoro
- la determinabilità
- continuità della prestazione
ES: Nelle mance, lì c’è il problema della CORRISPETTIVITA’, quello è un elemento aleatorio, non è detto
che siano date sempre.
Vi sono però alcune tipologie di mance che vi rientrano: quando sono previste dal contratto collettivo.
(cameriere coupé, qui c’è quasi un obbligo)
Dagli anni ’90 è intervenuta la legge e la contrattazione collettiva: oggi il 75% di quanto ottengono dalle
mance viene ritenuta retribuzione e fa parte del reddito da lavoro.
ES: vengono escluse dalla nozione di retribuzione quelle erogazioni che hanno delle cause autonome
(rimborso spese, salvo quello forfettario poiché una parte può essere considerata retribuzione).
ES: le somme derivanti a titolo transattivo (in parte esulano), le somme di natura risarcitoria, le mere
liberalità.
Vi sono poi casi che secondo la giurisprudenza hanno natura mista (parte retributivo e parte risarcitorio):
indennità di trasferta.
La retribuzione dipende poi dalla mansione del lavoratore, vi sono i minimi tabellari previsti in relazione al
livello e alla mansione e vi sono poi indennità specifiche.
Alcune indennità aumentano automaticamente nel corso del tempo: indennità di contingenza (somma che
veniva posta accanto ai minimi tabellari che aumentava nel tempo in relazione al costo della vita, oggi non
c’è più dal ’93) e gli scatti di anzianità (nascono nel settore pubblico, modalità di aumento retributivo legato
all’anzianità di servizio, ogni due anni), poi estesa anche ai privati: giustificati dal miglioramento qualitativo
che ciascun lavoratore acquisisce con l’esperienza.

212
Negli ultimi anni la contrattazione collettiva ha provveduto a limitare gli scatti di anzianità.
Vi sono poi le indennità che sono emolumenti retributivi accessori correlati al contenuto della prestazione e
alla modalità con cui essa viene eseguita.
Le indennità sono a volte di tipo oggettivo (legato alla mansione), a volte di tipo soggettivo (legate al livello)
ES: indennità di cassa, di volo.
Vi sono poi alcuni elementi definiti “gratifiche” legate a specifiche ragioni stabilite dalla contrattazione
collettiva. ES: tredicesima.
La tredicesima nasce da uno dei contratti collettivi introdotti dalla legge Vigorelli. Oggi considerata un
principio necessitato nel lavoro dipendente. (gratifica natalizia)
Esistono poi altre gratifiche: alcuni contratti collettivi prevedono la quattordicesima (commercio) ovvero
un’ulteriore mensilità elargita a luglio.
Vi sono poi i premi, parte della retribuzione variabile, legata a ragioni produttive dell’impresa. ES: premi di
risultato. (regolate dal contratto collettivo aziendale).
Vi sono poi le maggiorazioni per il lavoro straordinario, notturno o festivo: in questo caso sono indennità
correlate a lavoro svolto dopo l’orario di lavoro o nei giorni festivi.
Vi sono poi i superminimi individuali: accordi individuali legati a caratteristiche soggettive.
(la giurisprudenza ritiene come principio generale l’assorbibilità del superminimo nel nuovo contratto, salvo
nel caso in cui vi sia una particolarità (legato a caratteristiche particolari)).

ART 2099cc

Fa parte della retribuzione anche l'equivalente del vitto e dell'alloggio dovuto al prestatore di lavoro.

Possibilità che il lavoratore sia retribuito anche con partecipazione agli utili, ai prodotti e con prestazioni in
natura.
La partecipazione agli utili dell’impresa è legata all’art. 36 della costituzione: il lavoratore subordinato NON
è un imprenditore, il rischio di impresa è a carico del solo datore. Oggi, la questione della partecipazione agli
utili è presente ma sottoforma di una parte della retribuzione variabile.
Vi sono poi casi legati ai fringe Benefit, quello che l’impresa da come prestazione in natura al dipendente.
ES: tipico caso dell’auto aziendale che ha natura retributiva (decisione cassazione), salvo il caso in cui l’auto
non venga usata solo per fini di esigenza dell’impresa.
La prestazione in natura nasceva all’inizio della rivoluzione industriale (Track system).
Sono diffuse poi altre modalità: la partecipazione azionaria, dopo la riforma del 2003; possibilità per i
lavoratori di acquistare azioni della compagnia e viene poi elargito sotto forma di retribuzione.
È emersa negli ultimi anni la questione de WELFARE AZIENDALE.
È legato alla singola azienda, non fa parte della retribuzione ma è una modalità con cui l’azienda cerca di
soddisfare sul piano collettivo bisogni dei dipendenti.
ES: possibilità di avere delle assicurazioni mediche, buoni spesa…
Ha una sua caratterizzazione normativa solo dal punto di vista fiscale.
Il welfare nasce negli anni ’60 nei distretti milanesi, prevedendo bisogni sociali per i dipendenti.

213
In un accordo del 2018 si era differenziato tra: Trattamento economico minimo (legato al minimo
costituzionale) e trattamento economico complessivo (legato alla retribuzione complessiva).
Art. 1. – Forme di retribuzione.
I lavoratori sono retribuiti ad economia o con una delle seguenti altre forme di retribuzione:
a) a cottimo individuale;
b) a cottimo collettivo;
c) con altre forme di incentivo determinato in relazione alle possibilità tecniche e all’incremento della
produzione.
Allo scopo di incrementare la produzione attraverso un maggiore rendimento del lavoro, le parti
riconoscono l’opportunità di estendere le forme di retribuzione ad incentivo.
Art. 2. – Regolamentazione del lavoro a cottimo
2) Le tariffe di cottimo (a tempo od a prezzo) devono essere fissate dall’azienda in modo da garantire
nei periodi normalmente considerati, al lavoratore di normale capacità ed operosità, il conseguimento
di un utile di cottimo non inferiore alle seguenti percentuali dei minimi di paga base.
vi sono alcuni casi in cui il cottimo è obbligatorio. ES: dove l’organizzazione del lavoro impone determinati
tempi.

Art. 3. – Mensilizzazione.
La retribuzione dei lavoratori è determinata in misura fissa mensile.
La retribuzione oraria dei lavoratori ai fini dei vari istituti contrattuali, si determina dividendo per
173 i minimi tabellari della classificazione unica, gli aumenti periodici di anzianità, gli aumenti di
merito nonché gli altri compensi eventualmente fissati a mese.
Art. 4. – Corresponsione della retribuzione.
La retribuzione deve essere corrisposta al lavoratore non oltre la fine di ogni mese.
Il contratto collettivo non impone una data.
All’atto del pagamento della retribuzione verrà consegnato al lavoratore un prospetto retributivo in
cui dovranno essere distintamente specificate: la ragione sociale dell’azienda, il nome del lavoratore, il
mese cui la retribuzione si riferisce, nonché le singole voci e rispettivi importi costituenti la
retribuzione stessa e l’elencazione delle trattenute.
Art. 7. – Tredicesima mensilità.
L’azienda è tenuta a corrispondere per ciascun anno al lavoratore, in occasione della ricorrenza
natalizia, una tredicesima mensilità di importo ragguagliato alla retribuzione globale di fatto.
Modalità con cui la legge e i contratti collettivi riferiscono ad un’idea di retribuzione onnicomprensiva.
Art. 8. – Mense aziendali e indennità di mensa
Per la giurisprudenza il servizio di mensa non è considerato parte della retribuzione, così come il buono
pasto (fino ad un certo limite prestazione di carattere assistenziale).
Art. 9. – Indennità di alta montagna e di sottosuolo.

214
Art. 10. – Indennità per disagiata sede
Art. 11. – Indennità maneggio denaro. Cauzione
Art. 12. – Premio di risultato
Parte di retribuzione variabile legata alla produttività.
Art. 15. – Previdenza Complementare
Art. 17. – Welfare
Novità inserita nel contratto dei metalmeccanici nel 2016, ripresa anche nel 2021. (prima i metalmeccanici si
erano rifiutati).
I sindacati non sono mai stati a favore del Welfare, poiché ha anche aspetti negativi:
Il primo è che possa finire per sostituire la retribuzione (ricorda il crack System)
Paura che lasciare alle singole aziende l’assistenza sociale possa finire per diminuire l’assistenza pubblica.
Il Welfare può avere aspetto positivo quando viene letto in relazione all’art.41 comma 2, nel momento in cui
cerca di far stare meglio la comunità dei lavoratori.
Il settore dei metalmeccanici ha cominciato nelle due ultimi versioni a contenerlo.

FINALITÀ SERVIZI
EDUCAZIONE e ISTRUZIONE
– Corsi extraprofessionali
– Corsi di formazione e istruzione (es. corsi di lingue)
– Servizi di orientamento allo studio
RICREAZIONE
– Abbonamenti o ingressi a cinema e teatri, pay tv, …
– Abbonamenti o ingressi a palestre, centri sportivi, impianti sciistici, Spa, …
– Abbonamenti a testate giornalistiche, quotidiani, …
– Viaggi (pacchetti completi), pacchetti case vacanza
– Biglietteria e prenotazione di viaggi, soggiorni e vacanze
– Attività culturali (mostre e musei)
– Biblioteche
– Attività ricreative varie (eventi sportivi, spettacoli,…)
ASSISTENZA SOCIALE
– Assistenza domiciliare
– Badanti
– Case di riposo (R.S.A.)

215
ASSISTENZA SANITARIA
– Checkup medici
– Visite specialistiche
– Cure odontoiatriche
– Terapie e riabilitazione
– Sportello ascolto psicologico
CULTO
– Pellegrinaggi (pacchetti completi
o a titolo gratuito o comunque a prezzi agevolati.
TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO
È un emolumento erogato alla fine del rapporto di lavoro.
Prima del 1982, i riferimenti erano gli stessi dell’indennità di mancato preavviso.
Il TFR nasce come indennità di anzianità di servizio, era storicamente un’elargizione che veniva data dal
datore per premiare coloro che si erano intrattenuti per molti anni in azienda.
A partire da un certo punto (la giurisprudenza voleva estendere il campo) c’è stato un intervento del
legislatore che da un lato ha riconosciuto nel TFR una forma di retribuzione differita. (fa parte della
retribuzione ma viene elargita a fine rapporto a prescindere da come finisca.
Oggi, indipendentemente da come finisce il lavoratore ha comunque diritto al TFR.
Al contempo un’altra questione su cui si è discusso (’80 inflazione) era la retribuzione, e si è cercato di
calmierare lo stesso importo devoluto a titolo di disciplina.
“In ogni caso di cessazione di lavoro subordinato il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di
fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e
comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso e divisa per 13,5. La
quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno computandosi con il mese intero…” (per
eventuale rapporto finito a metà anno)
“salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua ai fini del comma precedente
comprende tutte le somme, comprese l’equivalente delle prestazioni in natura corrisposte in
dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a
titolo di rimborso spese.”
Nella prima parte troviamo il concetto di retribuzione onnicomprensiva.
La prima parte ci impedisce di parlare totalmente di retribuzione onnicomprensiva.
I contratti collettivi hanno la facoltà di escludere nel calcolo del TFR alcuni importi. (retribuzione parametro)
Una delle modifiche del 2015 è stato relativo al calcolo delle mensilità retributive date alla persona in caso di
licenziamento ingiustificato.
Oggi c’è un riferimento proprio calcolata in relazione al TFR.
La direttiva dell’unione sull’orario di lavoro in realtà afferma che in diversi casi il lavoratore ha diritto ad
una retribuzione assimilabile a quella normalmente corrisposta.

216
Il TFR ha una sua modalità di incremento, per incrementarlo si calcola un tasso dell’1.5% + il 75%
dell’aumento calcolato dall’ISTAT. (pensato inizialmente per calmierare gli aumenti)
L’idea è quella che il datore accantoni ogni anno una cifra (- di una mensilità): il lavoratore dopo 20 anni di
servizio ha l’aspettativa di ricevere una somma pari a 20 mensilità con il TFR.
La somma è poi stata oggetto di regolamentazione da parte del legislatore e della contrattazione collettiva.
“il prestatore di lavoro con almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore può richiedere in costanza
di rapporto un’anticipazione non superiore al 70% sul trattamento cui avrebbe diritto.” (sanità,
acquisto prima casa.)
Dal 2005 il legislatore è intervenuto per far si che quella provvista potesse essere usata per la previdenza
complementare. (pensione che si può affiancare a quella obbligatoria).

Abbiamo il 51% di lavoratori operai, guadagnano come RAL 23.000 euro.


Un po' di più ne guadagnano gli impiegati 40% per il 30.000 euro.
I quadri per il 7 % 53.000 euro.
I dirigenti per il 2.8 % per 107.000 euro.
Il RAL tiene conto della differenza tra retribuzione lorda e la retribuzione che prende al lordo il lavoratore.
C’è una quota legata a quello che l’impresa deve pagare dal punto di vista contributivo (dipendente 9% ma
dipende dal settore).
Vi sono quote che vengono detratte dall’INPS per pagamenti di contributi relativi a malattia, vecchiaia,
infortuni.
Vi è poi una cifra che è calcolata senza contributi (imponibile fiscale): A.E. calcola la quota di tasse che il
lavoratore deve pagare. (quota IRPEF = imposta sulle persone fisiche pagata dal lavoratore ma versata dal
datore)
Poi vi è anche una quota a carico dell’azienda.
CHE COS’E’ UNA BUSTAPAGA?
Atto scritto che la legge del 1953 impone di consegnare al lavoratore nel momento del pagamento della
retribuzione.
Nel caso del quadro abbiamo una paga più considerevole poiché vi rientra anche il TFR.
Nel caso del dirigente è presente la voce riguardante il superminimo assorbibile e il premio annuale MBO e
prestazioni in natura (auto aziendale che se usata solo per mansioni lavorative non rientra nella retribuzione)
Sentenza del tribunale di Milano del 2012:

217
Il dipendente lamenta che, nel calcolo dell’indennità di mancato preavviso, manca il calcolo di determinati
benefit di cui lui in effetti ha goduto. (art 2121 cc)
Cessa il rapporto di lavoro, il dipendente riceve l’indennità di mancato preavviso (indennità economica che
sostituisce il mancato preavviso (periodo effettivamente lavorato prima della cessazione del rapporto)) e fa
ricorso per chiedere il ricalcolo dei Benefit mancanti.
“Per quanto riguarda le restanti differenze retributive si conferma l’ordinanza emessa tra le parti,
secondo cui il concetto di retribuzione recepito dagli art. 2118 comma 2 e 2110 Codice civile è ispirato
al criterio dell’onnicomprensività, nel senso che in detti calcoli vanno compresi tutti gli emolumenti
che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi;
mentre me vanno escluse solo quelle per le quali il rapporto di lavoro costituisce una mera occasione
contingente per la relativa fruizione, quando anche essa trovi la sua radice in un rapporto obbligatorio
diverso ancorché collaterale e collegato al rapporto di lavoro.”
Vi è un riferimento all’idea per cui vi sono alcune norme che fanno riferimento all’onnicomprensività della
retribuzione.
“In relazione ai rilievi concernenti l’auto aziendale (possibilità o meno di conteggio del valore dell’auto)
va rilevato che “il valore dell’uso e della disponibilità, anche a fini personali, di un’autovettura
concessa contrattualmente dal datore di lavoro al lavoratore come beneficio in natura rappresenta il
contenuto di un’obbligazione che è suscettibile di essere considerata di natura retributiva, con tutte le
relative conseguenze se pattiziamente inserite nella struttura sinallagmatica del contratto di lavoro cui
essa accede…così come…”
“Alla luce di quanto esposto e delle previsioni contenute nell’art.2121cc si ritiene pertanto che
rientrino nella base di calcolo dell’indennità di mancato preavviso le somme godute dal ricorrente a
titolo di retribuzione variabile e a titolo di equivalente del valore goduto per i benefits dell’alloggio
concessole in sub-locazione, dell’auto e del box…”
La modalità con cui sono state concesse ha fatto ritenere al giudice che fossero da considerare parte della
retribuzione.
“Trattandosi di emolumenti pacificamente fruiti in via continuativa dalla ricorrente e a causa del
rapporto di lavoro in esame tenuto conto che non vi è prova in atti che l’auto aziendale venisse
concessa alla ricorrente per uso lavorativo (eccezione difesa aziendale (rientrava nei costi)).”
“la ricorrente è pertanto ancora creditrice, a titolo dell’indennità di mancato preavviso della somma in
euro…”
SENTENZA LEGATA ALL’ART.36 COST
L’art. 36 della costituzione contiene i principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione
costituzionalmente tutelati, nella normalità dei casi questi principi vengono attuati con la contrattazione
collettiva, ma l’art. 36 ha un’efficacia immediatamente precettiva che può comportare la nullità del contratto
collettivo che preveda una retribuzione più bassa di quanto previsto.
“I ricorrenti lamentano che i minimi salariali previsti dal CCNL istituti di vigilanza - parte speciale
servizi fiduciari, così come a loro in concreto applicati non siano adeguati ai sensi del precetto di cui
all'articolo 36 della costituzione che sarebbe inferiore a quanto previsto dal CNL Multiservizi”
Questo è un caso che viene dalla modalità con cui viene fatto un appalto e la nuova azienda vincitrice applica
un contratto collettivo diverso e qui si contesta che tale contratto prevede delle retribuzioni molto più basse
del precedente (art.36):
“pertanto il trattamento retributivo riconosciuto dall'attuale datore di lavoro non sarebbe certamente
proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro e non sarebbe minimamente sufficiente ad
218
assicurare loro un'esistenza libera e dignitosa in violazione del precetto di cui all'articolo 36
costituzione.”
COSA FA IL GIUDICE?
Il giudice accoglie il ricorso:
Esamina il contratto collettivo in relazione ad altri contratti collettivi.
Fa riferimento ai livelli che l’ISTAT calcola per il calcolo della povertà assoluta.
Arriva alla conclusione di un contrasto con l’art. 36.
Il contratto prevede addirittura il 25% in meno.
“pertanto si accerta e dichiara l’illegittimità degli art. 23-24 del contratto collettivo.”
In questo caso vi è la possibilità del giudice di poter operare per riempire il vuoto della nullità e in questo
caso utilizza il contratto collettivo multiservizi.
“Condanna la resistente a rifondere ai correnti le spese processuali, liquidate nell'importo di euro
3000 oltre rimborso forfettario spese e iva con distrazione a favore del procuratore dichiaratosi
antistatario e indica 60 giorni il termine per il deposito della decisione.”

MASSIME GIURISPRUDENZA
“La natura retributiva (dell’auto aziendale n.d.r.) può essere esclusa nel caso in cui al lavoratore sia
imposto un costo non simbolico come corrispettivo per l’uso dell’auto.”
Il principio è: se c’è un uso personale concesso dall’azienda quello è retribuzione. Il costo non simbolico è
quasi un affitto, quindi è come se il lavoratore abbia già pagato l’importo dell’auto e non lo calcola come
natura retributiva.
“L’art. 36 Cost. si limita a stabilire il principio di sufficienza e adeguatezza della retribuzione
prescindendo da ogni comparazione intersoggettiva e l’art. 3 Cost. impone l’uguaglianza dei cittadini
di fronte alla legge, ma non anche nei rapporti tra privati: conseguentemente la mera attribuzione di
un trattamento retributivo superiore a parità di mansioni non potrebbe mai costituire fondamento del
diritto di altri lavoratori al medesimo superiore compenso…”
Non esiste un principio di parità di trattamento retributivo.
Il superminimo, ossia l’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra
datore di lavoro e lavoratore, è soggetto al principio dell’assorbimento, nel senso che, in caso di
riconoscimento del diritto del lavoratore a superiore qualifica, l’emolumento è assorbito dai
miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore.”
Le maggiorazioni retributive e le indennità erogate in corrispettivo di prestazioni di lavoro notturno,
non occasionali, costituiscono parte integrante dell’ordinaria retribuzione globale di fatto giornaliera
e, come tali, concorrono ai sensi della nozione omnicomprensiva di retribuzione, recepita dagli artt.
2120 e 2121 c.c.,
Nel caso di attribuzione al lavoratore di un'auto aziendale a uso promiscuo, la valorizzazione
economica dell'uso privato ai fini dell'incidenza sugli istituti va effettuata considerando l'effettivo
vantaggio economico ricevuto dal lavoratore, in termini di risparmio di spesa, mentre non sono
utilizzabili i criteri legali previsti a fini fiscali e contributivi.

219
USO PROMISCUO = l’auto viene usata sia a fini aziendali che privati.
L’art. 36 Cost. deve trovare applicazione anche nei confronti dei lavoratori extracomunitari.
La nostra costituzione prevede dei principi applicabili ai soli cittadini, altre volte a tutti, questo deve essere
applicabile a tutti a prescindere dalla cittadinanza.
L'emolumento variabile da corrispondersi a fronte della fissazione e del raggiungimento di obiettivi ha
natura retributiva e non indennitaria
La nozione di "retribuzione globale di fatto" (riferimento che si ritrova nell’ambito del calcolo del
risarcimento danni in materia di licenziamento, superato nel 2015) quale parametro di computo sia del
risarcimento del danno conseguente alla declaratoria di illegittimità del licenziamento nell'ambito
della c.d. tutela reale sia per la determinazione dell'indennità sostitutiva della reintegrazione ex art.
18, 5° comma, SL, deve essere riferita non solo alla retribuzione base, ma anche a ogni compenso di
carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento
del licenziamento.
Nel vigente ordinamento, in materia di retribuzione dovuta al prestatore di lavoro ai fini dei cc. dd.
Istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia e infortunio), non esiste un principio inderogabile
di onnicomprensività.
Esiste un principio di onnicomprensività ma non è un principio inderogabile dell’ordinamento (anni ’80).
Quando si parla di retribuzione parametro non esiste un principio inderogabile di onnicomprensività ma
bisogna vedere i singoli contratti.
Ove il datore di lavoro corrisponda ai suoi dipendenti un determinato emolumento, il giudice del
merito, al fine di accertare l'obbligatorietà dell'erogazione, deve valutare se quest'ultima -ancorché
originariamente corrisposta con carattere di spontanea liberalità, senza essere imposta da alcuna fonte
legale né pattizia, sia stata corrisposta continuativamente ad una generalità di dipendenti.
Questo può accadere in un’azienda in cui viene corrisposto un premio (legato all’anzianità aziendale) e
comincia ad essere dato ogni anno, dopo un certo numero di anni diventa parte della retribuzione.
DUBBIO: Può l’impresa poi evitare di dare quel premio che ha dato per 20 anni continuativamente? (USO
AZIENDALE)
C’è stata una grande discussione aziendale (se uso normativo, contrattuale 1340cc,) quello che è prevalso è
usare l’uso relativo ai contratti collettivi.
Qualora la contrattazione collettiva qualifichi un emolumento come rimborso spese, il Giudice non
deve limitarsi a prendere atto di tale qualificazione, che pure costituisce un elemento importante di
giudizio, ma deve indagare in concreto la natura dell'erogazione
ES: indennità di rischio, di responsabilità, di trasferta, di vacanza contrattuale.
va riconosciuta natura retributiva qualora si tratti di spese effettuate dal lavoratore per adempiere, sia
pur indirettamente, agli obblighi della prestazione lavorativa, non assumendo rilievo il carattere
forfettario o meno del rimborso ma esclusivamente il collegamento sinallagmatico della spesa
sostenuta dal lavoratore con la prestazione lavorativa all'estero.
specifica indennità per ogni giornata di effettivo servizio prestato nei "servizi di malattie infettive".
indennità estero - che consiste in un importo che viene corrisposto al lavoratore per il periodo in cui è
chiamato a svolgere attività lavorativa in sede estera, in considerazione dei maggiori disagi e costi che
lo spostamento comporta - ha natura retributiva e va computata nella base di calcolo del Tfr, per la
parte in cui non compensa specifiche spese
220
Le mance corrisposte ai lavoratori con carattere di continuità e abitualità possono acquistare natura
retributiva solo ove uno specifico accordo negoziale individuale o collettivo determini, con effetti di
natura costitutiva, le condizioni perché tali emolumenti debbano essere considerati, in parte o in tutto,
integrativi della retribuzione
Indennità di cottimo e di lavoro notturno.
CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
Non trova riferimenti costituzionali, le cause possono essere diverse:
Morte del lavoratore = evento che ne comporta la cessazione (non quella del datore), si ritiene che sia una
funzione di carattere infungibile.
La risoluzione consensuale = le parti vicendevolmente e in modo chiaro possono far cessare il rapporto di
lavoro.
Recesso unilaterale = da parte di una delle due parti del rapporto (atto unilaterale recettizio):
Dimissione= da parte del lavoratore
Licenziamento = da parte del datore di lavoro.
È (anche se non espressamente previsto) possibile che la cessazione del rapporto abbia copertura
costituzionale implicita?
La Corte costituzionale, se pur inizialmente con la sentenza del 1965 ritenne di non dover mettere in
discussione gli articoli in quel momento in vigore (2118/2119cc), però nella stessa sentenza disse che l’art. 4
non è completamente ininfluente rispetto alla questione della cessazione del rapporto. (spetta al legislatore,
in quel momento non vi era una legge che lo regolava ma vi erano dei contratti collettivi che prevedevano dei
limiti al licenziamento individuale e collettivo).
La Corte disse che l’art.2118 non era incostituzionale ma cominciò a far intervenire il legislatore.
Il legislatore intervenne poi con la legge 604/1966.
Esistono oggi, l’art. 1-4-35 costituzione e l’art. 30 della carta dei diritti fondamentali dell’unione (trattato di
Lisbona):
Articolo 30
Tutela in caso di licenziamento ingiustificato
Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al
diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali.
C’è poi la carta sociale europea che contiene dei riferimenti al licenziamento.
Il Codice civile del 1942 prevede gli art. 2118/2119 una regolamentazione del recesso unilaterale valevole
tanto al licenziamento quanto alle dimissioni.
ART. 2118 CC
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato [1373], dando
preavviso nel termine e nei modi stabiliti [dalle norme corporative] (1), dagli usi o secondo equità (2).
In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente
all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso [1750, 2948, n. 5].
La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del
prestatore di lavoro [2751 bis, n. 1, 2948; 545 c.p.c.] (3).
221
Prevedeva la possibilità di recesso dando un preavviso in un certo periodo previsto dal contratto collettivo.
(quel periodo sarebbe stato lavorato salvo la possibilità di prevedere un’indennità di mancato preavviso).
ART. 2119 cc recesso per giusta causa
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto [1373] prima della scadenza del termine, se il
contratto è a tempo determinato [2097], o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato,
qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (1)
[2103, 2244]. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta
causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente.
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto la liquidazione coatta amministrativa
dell'impresa. Gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal Codice
della crisi d'impresa e dell'insolvenza (2)
Nel 1942 questi articoli prevedevano il recesso in condizioni normali con preavviso, e il recesso per giusta
causa senza preavviso.
L’art. 2119 richiama anche il contratto a tempo determinato (solo per giusta causa).
Con il tempo ci si rende conto che in realtà un conto sono le dimissioni (che rimangono legati a questi due
articoli) e un altro è il licenziamento (situazione diversa).
Il lavoratore vive attraverso il lavoro.
Sin dal primo dopoguerra ci furono delle norme che impedivano il licenziamento (ES: pandemia), subito
dopo in alcuni settori vennero emanati degli accordi collettivi che regolavano il licenziamento (individuale e
collettivo).
Nel 1966 il legislatore introduce la legge 604 ancora oggi in vigore.
DIMISSIONI
Il lavoratore è obbligato a dare le dimissioni con un certo preavviso previsto dalla contrattazione collettiva.
La procedura delle dimissioni è regolamentata dall’articolo 27 decreto legislativo 151/2015. (impone una
procedura on-line, non è necessario un motivo (a causale)).
Il legislatore cerca così di impedire l’uso distorto delle dimissioni (dimissioni indotte).
Art. 26
Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale
Cosa succede nel caso in cui il lavoratore non esegue questa procedura? L’atto di dimissioni è nullo.
“Le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia,
esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili Ministero del lavoro e
delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla
Direzione territoriale del lavoro competente con le modalità individuate con il decreto del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali di cui al comma 3.
2. Entro sette giorni dalla data di trasmissione del modulo di cui al comma 1 il lavoratore ha la
facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale con le medesime modalità.
7. I commi da 1 a 4 non sono applicabili al lavoro domestico e nel caso in cui le dimissioni o la
risoluzione consensuale intervengono nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del Codice
civile o avanti alle commissioni di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del
2003.

222
In caso di maternità e fino a tre anni del bambino, le dimissioni vanno fatte in sede della DTL (copertura
ulteriore).
LICENZIAMENTO AD NUNCUM (con un cenno del capo)
Licenziamento in tronco senza nessuna garanzia e giustificazione (per le altre tipologie è necessaria una
giustificazione).
Gli articoli 2118/2119 (licenziamento a causale) è utilizzabile per un licenziamento quando xi si trova in
specifici casi:
Dirigenti (non si applica la normativa in merito ai licenziamenti) ma sono sottoposti a regolamentazioni
collettive. (sanzione economica fino a 2 anni di retribuzione)
Lavoratori in prova (c’è libertà di recesso da parte di entrambe le parti)
Lavoratori domestici
Lavoratori over 60 che hanno acquisito il diritto alla pensione (da un lato se un lavoratore li ha già raggiunti
ha meno debolezza sul mercato, ed è un modo indiretto per favorire la sua assunzione)
Lavoro sportivo
Apprendistato solo alla fine del periodo formativo (da 3 a 5 anni) dove c’è possibilità di recesso.
Tutti gli altri lavoratori subordinati sono soggetti ad altre norme, che regolano il licenziamento.
Il licenziamento nel nostro ordinamento è un ATTO CAUSALE.
Per licenziare qualcuno è sempre necessario che vi sia una ragione giustificativa (che ha copertura
costituzionale dagli articoli 1-4-35)
Oggi con tre sentenze si sono ripresi i principi che hanno decretato la necessità che il licenziamento sia un
atto causale.
Nel nostro ordinamento le giustificazioni sono tre: due di tipo soggettivo e una di tipo oggettivo. (non sono
mai cambiati, invece gli aspetti sanzionatori si)
Un lavoratore può essere licenziato solo se sussiste una giusta causa (art. 2119), giustificato motivo
soggettivo e giustificato motivo oggettivo. (legge 604/1966)
Le dimissioni per giusta causa consentono inoltre di ottenere la NASPI (indennità di disoccupazione), è
concepibile solo per la disoccupazione involontaria. La corte ha ammesso che è la stessa situazione di coloro
che si dimettono per giusta causa.
COSA SUCCEDE SE PER CASO UN DATORE LICENZIA UN LAVORATORE SENZA UNO DEI TRE
MODELLI DI GIUSTIFICAZIONE?
Salvo alcune eccezione (comprese nel riquadro) in tutti gli altri casi il licenziamento è un atto causale
(giustificazione).
SANZIONI PER LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO
La modalità con cui l’ordinamento la sanzione è cambiata nel tempo a seconda del contesto storico.
Inizialmente il Codice civile conteneva soltanto i riferimenti all’art. 2118/2119 (non era necessaria la
giustificazione), nel 1966 il legislatore introdusse una norma che prevedeva la necessità di giustificare il
licenziamento con precise sanzioni di tipo monetario, che prevedevano degli oneri obbligatori.

223
Già negli anni ’50 l’ordinamento aveva iniziato a prevedere norme che tutelassero il licenziamento
illegittimo (eccessivamente penalizzanti), le prime modalità con cui l’ordinamento interviene nel limitare i
licenziamenti sono:
Licenziamenti per causa di matrimonio
Licenziamento legato alla maternità
Oggi ritroviamo ancora queste due tipologie, che sono nulli e hanno ampia copertura.
Oggi i riferimenti sono: decreto legislativo 198/2006 (divieto di licenziamento per causa di matrimonio):

Articolo 35
Divieto di licenziamento per causa di matrimonio
1. Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che
prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio
sono nulle e si hanno per non apposte.
2. Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.
5. Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di
cui al comma 3, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di
lavoro per la scadenza del termine.

Per il divieto di licenziamento legato alla maternità si fa riferimento agli articoli 54/55 del decreto legislativo
151/2001:

Art. 54
Divieto di licenziamento

1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei
periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché' fino al compimento di un anno di età
del bambino.
In ogni caso, se il licenziamento è provato dovuto a casi particolari, è comunque possibile.

Art. 55
Dimissioni
((1. In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma dell’articolo 54,
il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e
contrattuali per il caso di licenziamento. La lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel già menzionato
periodo non sono tenuti al preavviso.))

La legge n. 604/1966 è la prima che pone un limite generale al potere unilaterale di licenziamento: necessità
per il datore di lavoro di prevedere il motivo oggettivo o soggettivo (la giusta causa era già nell’art. 2119) e
vengono introdotte una serie di procedure necessarie per licenziare il lavoratore:
224
Forma scritta dell’atto di licenziamento
Termine di decadenza entro cui impugnarlo

La sanzione contenuta in questa legge è di tipo OBBLIGATORIO (risarcimento economico).


Sin da subito ci si rende conto che soprattutto dal punto di vista sanzionatorio, le misure adottate nel 1966
non erano sufficienti a tutelare davvero il lavoro del dipendente, soprattutto quando il licenziamento avviene
in imprese grandi in cui non ci sono troppi problemi a pagare indennità come sanzione.

Con l’art. 18 dello statuto dei lavoratori (parte della tutela sindacale) si tutela in modo più rigoroso il
licenziamento individuale perché c’è l’idea che tutelare di più il singolo significa tutelare la stessa
organizzazione sindacale. (il singolo è più tranquillo).

Con l’art. 18 si lavora sulla sanzione: si prevede che per le imprese con più di 15 dipendenti (requisito) c’è
una sanzione unica sia nel caso di licenziamento nulli (matrimonio…) sia per quelli annullabili (privi di
giusta causa/giustificato motivo) sia per eventuali licenziamenti inefficaci per la violazione di regole
procedurali (nella legge e nello statuto art.7).

QUAL È LA SANZIONE UNITARIA INTRODOTTA CON L’ART. 18?


Quella della reintegrazione = ricostituzione del rapporto lavorativo a fronte di un licenziamento illegittimo
(per azienda con più di 15 dipendenti).

Anche la legge del 1966 prevedeva la possibilità alternativa ad un’indennità risarcitoria (riassumere il
lavoratore) ma per la legge si trattava re-assunzione (nuova assunzione). L’atto unilaterale di recesso
ancorché iniziato, con la legge, è comunque efficace (produce l’interruzione) poi crea un vincolo di tipo
obbligatorio: se il giudice comprende che quell’atto era illegittimo condanna il datore a pagare un
risarcimento (invece di pagare può riassumere).
Nell’art. 18 attraverso l’ordine del giudice con la reintegrazione si ha la vera e propria ricostruzione del
rapporto. Il giudice ordina la ricostruzione, risarcimento e recupero mensilità perdute (a prescindere dal vizio
del contratto).
Questa modalità di sanzione viene modificata nel 2012.
Nel ’90 si erano circoscritti i confini:
- per le piccole aziende era in vigore la tutela obbligatoria (caso di licenziamento illegittimo la sanzione era
solo di tipo monetario)
- per le grandi imprese c’era la tutela reale (reintegrazione a prescindere dal vizio).

L’art. 18 nel tempo viene criticato, si passa dal tentativo di porre un referendum (non passa).

La Corte costituzionale afferma che se la necessità di giustificare un licenziamento ha copertura


costituzionale non ne ha però la sanzione (2000).

Nel 2011, governo Monti: si propone di entrare nel merito anche, in Italia, delle regole del licenziamento.
Con la legge Fornero 92/2012 viene modificato l’art. 18 dello statuto dei lavoratori. (nel 2010 c’era stata un
intervento sui termini di decadenza)

Viene differenziato il sistema sanzionatorio: non vi è più un'unica sanzione a prescindere dal vizio ma
vengono introdotte 4 tipologie sanzionatorie:
- Due prevedono la reintegrazione
- Due di tipo risarcitorio

1. valeva prima per tutti, dal 2012 vale solo per i licenziamenti più gravi.
2. Reintegrazione debole = vi è un risarcimento più basso ma sempre di reintegrazione si tratta. (limitata in
alcuni casi)
3. sanzione di tipo risarcitorio per licenziamento privo di giusta causa e giustificato motivo
4. sanzione risarcitoria per violazioni di procedura.
225
Nel 2015 con il Jobs Act si ritiene si interviene mantenendo le 4 tipologie di sanzione ma modificandone i
confini (d. legislativo 23/2015 che si applica a chi viene assunto dal 07/03/15)

La corte intanto interviene più volte sia sull’art. 18 che sul decreto e dichiara alcune incostituzionalità:

- 194/2018 (sul decreto modificando l’impianto dell’idea di predefinire un risarcimento calcolabile in


anticipo dalle imprese = 2 mensilità per ogni anno di anzianità di servizio) Es: lavori da 2 anni (2*2=4) ti
spettano 4 mensilità. Questo meccanismo viene considerato illegittimo dalla corte.
- 2021 interviene sull’art. 18 del 2012 su una delle parti oggetto di decisioni politiche (licenziamento per
ragioni oggettive) sulla manifesta insussistenza.
- 2022 riguarda le piccole imprese (per la prima volta dal 1966)

RAGIONI LICENZIAMENTO LEGITTIMO

Il licenziamento può avvenire per:


- giusta causa (art. 2119) = qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione del rapporto.
- giustificato motivo: soggettivo/oggettivo (legge 604/1966)

ARTICOLO N.1
Art. 1.
Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti
pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento, e di contratto collettivo
o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi
dell'articolo 2119 del Codice civile o per giustificato motivo.

Giustificato motivo: Art. 3.


Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento
degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva,
all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Si trova nella prima parte il giustificato motivo soggettivo (legato alla persona), che è un notevole
inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro. (ma l’inadempimento deve essere
NECESSARIAMENTE NOTEVOLE)
N.B. = anche la giusta causa è di tipo soggettivo

Nella seconda parte dell’articolo si trova la definizione del giustificato motivo oggettivo. (ovvero da ragioni
inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa).
Le ragioni di tipo oggettivo esulano dal rapporto lavorativo e da eventuali inadempimenti o responsabilità
(interviene un evento esterno = crisi di impresa).

Le ragioni soggettive:
- giusta causa
- giustificato motivo soggettivo

QUALE È LA DIFFERENZA TRA I DUE?

Non esiste una differenza di tipo qualitativo, entrambe fanno riferimento all’ambito soggettivo
(inadempimenti del lavoratore), se con riferimento al giustificato motivo soggettivo la legge fa riferimento a
“notevole inadempimento”; con riferimento alla giusta causa “NOTEVOLISSIMO” inadempimento.

Emerge una differenza di tipo quantitativo. (giusta causa = più grave)


Esiste anche un approccio di legittimità: tradizionalmente si dice che per giusta causa deve essere stato
violato il rapporto fiduciario.

226
CHE TIPO DI VIOLAZIONE DELLA FIDUCIA?

Eventuali azioni commesse fuori dal rapporto (ruba al di fuori ma all’interno del rapporto si è sempre
comportato bene).

È giusto licenziarlo? Bisogna oggettivizzare l’obbligo fiduciario.


ES: Un conto è se io sono stato condannato per furto fuori dal rapporto e non ho alcuna mansione ad esempio
alla cassa.
La Cassazione afferma che nel caso di condanna esterna può potenzialmente portare una ricaduta all’interno
del rapporto, quell’eventuale licenziamento allora sarà giustificato (se non ha ricadute all’interno non sarà
giustificato).

CHE COSA SI INTENDE PER INADEMPIMENTO?

Lo troviamo nei contratti collettivi.


L’ampio dibattito è stato: L’art. 7, pensato per le sanzioni disciplinari, dovesse essere applicato anche al
licenziamento? SI, si applica a tutti i casi di licenziamento soggettivo.

Sono i contratti collettivi a servire da indicazione.

Licenziamenti con preavviso (giustificato motivo soggettivo)

Art. 10. – Licenziamenti per mancanze.


A) Licenziamento con preavviso.
In tale provvedimento incorre il lavoratore che commetta infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del
lavoro che, pur essendo di maggior rilievo di quelle contemplate nell’articolo 9, non siano così gravi da
rendere applicabile la sanzione di cui alla lettera B).
A titolo indicativo rientrano nelle infrazioni di cui sopra:
a) insubordinazione ai superiori;
b) sensibile danneggiamento colposo al materiale dello stabilimento o al materiale di lavorazione;
c) esecuzione senza permesso di lavori nell’azienda per conto proprio o di terzi, di lieve entità senza
impiego di materiale dell’azienda;
d) rissa nello stabilimento fuori dei reparti di lavorazione (giusta causa) fuori (giustificato motivo)

CHE COSA SI INTENDE PER RISSA?

Il reato di rissa prevede almeno tre persone.

Cosa succede allora se sono 2? È una rissa?


Alla fine, la giurisprudenza ha affermato che non è necessario rifarsi al Codice penale, è rissa anche tra due
persone. (prevale l’intento contenuto)

B) Licenziamento senza preavviso.


In tale provvedimento incorre il lavoratore che provochi all’azienda grave nocumento morale o
materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che
costituiscono delitto a termine di legge.
A titolo indicativo rientrano nelle infrazioni di cui sopra:
a) grave insubordinazione ai superiori;
b) furto nell’azienda;
c) trafugamento di schizzi o di disegni di macchine e di utensili o di altri oggetti, o documenti
dell’azienda;
d) danneggiamento volontario al materiale dell’azienda o al materiale di lavorazione;
e) abbandono del posto di lavoro da cui possa derivare pregiudizio alla incolumità delle persone od
alla sicurezza degli impianti o comunque compimento di azioni che implichino gli stessi pregiudizi;

227
f) fumare dove ciò può provocare pregiudizio all’incolumità delle persone od alla sicurezza degli
impianti;
g) esecuzione senza permesso di lavori nell’azienda per conto proprio o di terzi, di non lieve entità e/o
con l’impiego di materiale dell’azienda;
h) rissa nell’interno dei reparti di lavorazione

QUALI SONO I PASSI CHE IL DATORE DI LAVORO DEVE FARE PER LICENZIARE UN
LAVORATORE?

I riferimenti sono agli articoli 2 (legge 604/1966) 7 (statuto).

ARTICOLO N.2
Art. 2.
1. Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento
al prestatore di lavoro.
2. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno
determinato. (modifica del 2012, prima solo a richiesta del lavoratore, adesso è necessario farlo
immediatamente e si applicano i principi correlati all’art 7 dello statuto:
- le norme devono essere riconosciute a tutti
- bisogna sentire il lavoratore a sua difesa
- vale il principio di cristallizzazione e tempestività
3. Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 e di cui all'articolo 9 si applicano anche ai dirigenti.
Davanti ad un comportamento che può portare ad un licenziamento il datore deve prima contestare per
iscritto la violazione dell’art. 10 (licenziamento per giusta causa): “in giorno…”, deve sentire il lavoratore a
sua difesa e dopo 5 giorni può licenziare il lavoratore e comunicarlo per iscritto specificando i motivi.

ARTICOLO N.6
Art. 6.
Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della
sua comunicazione in forma scritta, (data in mano al lavoratore, lettera mandata per raccomandata con
ricevuta di ritorno (atto recettizio). Oggi la giurisprudenza comincia a ritenere validi per il licenziamento
anche comunicazioni via WhatsApp (doppia spunta rende conoscibile) ma ci deve essere la certezza della
conoscibilità.
ovvero dalla comunicazione, anch' essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi
atto scritto, anche extragiudiziale, entro 60 giorni va impugnato il licenziamento, basta una raccomandata
anche qui con ricevuta di ritorno idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso
l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.

Nel 2010 per velocizzare i procedimenti è stato introdotto un secondo termine di decadenza:
L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal
deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro (deposito del
ricorso), poi davanti al giudice si discuterà sul merito.

LICENZIAMENTO PER RAGIONI DI TIPO OGGETTIVO

In materia vanno fatte alcune precisazioni (c’è l’art. 41: può il giudice intervenire nell’ambito delle decisioni
dell’imprenditore?)
ES: dal punto di vista organizzativo l’imprenditore decide di esternalizzare il proprio servizio di call-center.
Al servizio c’era un lavoratore che, non avendo più un’impresa al suo interno, deve essere licenziato.
Può un giudice arrivare da fuori ed esporsi? NO! Il giudice non può mai entrare nel merito delle scelte
dell’imprenditore (costituzionalmente tutelate perché sia lui a scegliere)

- POTERI DEL GIUDICE:

228
1. verificare che la scelta dell’imprenditore sia davvero tale (ha davvero esternalizzato il servizio)
2. che ci sia il nesso causale tra l’esternalizzazione e il licenziamento

La giurisprudenza ha aggiunto un terzo potere:


3. il datore di lavoro mostri che quel lavoratore non poteva essere usato in altro modo (Obbligo di repêchage
(modo indiretto di prova ovvero che non sia uno stratagemma)).

Se vuole impugnare come prima cosa deve provare la capacità di aver effettuato altre mansioni.
I lavoratori quando fanno un ricorso devono allegare le eventuali altre skills (dà la possibilità al giudice di
entrare nel merito)

L’art. 7 modificato nel 2012 (legge) si prevede l’imposizione degli oneri procedurali anche per ragioni
oggettive.

1. Ferma l’applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo,
dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di
cui all'articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i
requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e
successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro
alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per
conoscenza al lavoratore.
2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve dichiarare l'intenzione di procedere
al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché' le
eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.

ARTICOLO N.8
Sanzione che dal ’70 al 2015 vale per le piccole imprese e poi successivamente solo per chi era stato assunto
prima.
Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato
motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o,
in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5
ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei
dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al
comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere
maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a
14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di
lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.

La sanzione è obbligazione alternativa (riassunzione da parte del datore ovvero il solo versamento di
indennità tra un minimo di 2/5 e un massimo di 6 mensilità con riferimento onnicomprensivo dell’ultima
mensilità di fatto). Fino al ’70 valida per le piccole imprese.
Fin qui si è parlato di aspetti sostanziali del licenziamento: necessità di una giusta causa (2119cc) giustificato
soggettivo e oggettivo.
La procedura è contenuta nella legge 604/1966: forma scritta
Art. 7 statuto: contenuti relativi alla procedura in materia di licenziamento soggettivo
Art. 7 legge: per la procedura del licenziamento oggettivo

ART. 18 STATUTO
Norma ancora in vigore che si applica a coloro che sono stati assunti prima del 7/03/15, per tutti gli altri si
applica il decreto.

L’art. 18 contiene quattro tipologie di sanzioni:


- 2 di tipo reintegratorio: prevista per i licenziamenti più gravi.
- 2 di tipo risarcitorio

229
La differenza è data dalla gravità del licenziamento.
Una novità della norma è che questa sanzione (legata al licenziamento nullo) si applica a tutti i lavoratori
dipendenti a prescindere dal numero di dipendenti dell’impresa (dal 2012).

Quando si ha a che fare con un licenziamento discriminatorio o nullo la prova è a carico del
LAVIORATORE, negli altri casi è sempre a carico del datore.

ART: 18 (per sanzioni più gravi)


Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.

Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perchè discriminatorio ai
sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col
matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al
decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo
54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive
modificazioni, ovvero perchè riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da
un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile, (sono tutti casi di nullità)
ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto
di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti
occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito
dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia
ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto
l’indennità di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica
anche al licenziamento dichiarato inefficace perchè intimato in forma orale.

Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento
del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, (re-integrazione
più risarcimento del danno) stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all'ultima retribuzione
globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione,
dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.
In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione
globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei
contributi previdenziali e assistenziali.

Il lavoratore viene licenziato per un motivo grave, impugna (nel frattempo non è più stato pagato) in questi
mesi se c’è l’ordine il giudice procede alla re-integrazione e obbliga il datore a risarcire il lavoratore per le
retribuzioni perdute. (indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto). In ogni caso c’è un diritto di
5 mensilità di retribuzione globale di fatto.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore è
data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro,
un’indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta
determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale.
La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito
della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta
comunicazione

È quello che la legge considera il prezzo della non volontà del lavoratore di tornare sul posto di lavoro,
quello che la legge consente al lavoratore è di scegliere: tra re-integrazione o indennizzo (più elevato).
In questo caso avrà:
- 15 mensilità previste dal comma 3
- 5 mensilità previste dal comma 2 (tot.20)
- eventuale risarcimento a discrezione del giudice

230
Altre tipologie di sanzioni:
il legislatore distingue in licenziamenti:

- per ragioni soggettive


In entrambi i casi distingue tra i casi più gravi che sanziona con la re-integrazione ma con un risarcimento
del danno più basso e i casi meno gravi che sanziona solo con un risarcimento.

- per ragioni oggettive


Tende più a sanzionare con un’indennità di tipo economico.

Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o
della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perchè il
fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei
contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, si cerca di imporre dei limiti ai casi che
possono essere sanzionati con la re-integrazione.
COME?
Cerca di dare un’indicazione generale e astratta basandosi su alcuni concetti.

Secondo il legislatore sono i fatti più gravi di licenziamento:


1. insussistenza del fatto contestato
Se nel codice disciplinare si prevede che in relazione a quel fatto ci sia solo una multa, l’idea è che non lo si
possa licenziare.
2. condotta punibile con sanzione conservativa

Annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al
primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale
di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il
lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative,
nonché' quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova
occupazione.
In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della
retribuzione globale di fatto.
Nel secondo caso c’è si una re-integrazione, ma con un risarcimento limitato a 12 mensilità.
Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

TERZA TIPOLOGIA: SOLO RISARCITORIA

Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo
soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro (fuori da insussistenza del fatto o sanzioni
conservative)

Dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di
lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di
dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. (la sanzione di
tipo indennitario forte è tra 12 e 24 mensilità), in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del
numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle
condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.

QUARTA TIPOLOGIA: LEGATA ALLA PROCEDURA


Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione
di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della
procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15
luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma (12/24) ma
con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione
alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei

231
e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, (solo di tipo risarcitorio tra 6 e
12) a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di
giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma,
le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.

- RE-INTEGRAZIONE FORTE
- RE-INTEGRAZIONE DEBOLE (RISARCIMENTO MAX 12 MENSILITÀ)
- RISARCIMENTO FORTE (12/24)
- RISARCIMENTO DEBOLE PER DIFETTI PROCEDURALI (6/12)

RISARCIMENTO PER RAGIONI OGGETTIVE: COMMA 7


È stato oggetto di ampio scambio politico nel 2012.
Con il governo Monti l’idea iniziale era quella di prevedere solo dei risarcimenti per i licenziamenti
oggettivi.
I sindacati e i partiti si oppongono e alla fine si trova un compromesso:

Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo (reintegrazione
debole) nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi
degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, (disabilità) per motivo
oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato
intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile.

COMPORTO= PER UN LAVORATORE CHE SI AMMALA, I CONTRATTI COLLETTIVI


PREVEDONO IL PERIODO MASSIMO PER IL QUALE CONTINUI AD ESSERE CONSIDERATO UN
DIPENDENTE.

Dopo quel periodo l’azienda ha la possibilità di risolvere il rapporto per impossibilità sopravvenuta (max 2
anni)
Oggi per la giurisprudenza è un’ipotesi di licenziamento a sé.

Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto
posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Sono le due parole su cui si è trovato il compromesso politico.

La Corte costituzionale con la sentenza n 59/2021: afferma l’incostituzionale del “PUÒ” nella parte in cui
non significhi che il giudice DEVE.

Nei licenziamenti soggettivi (4 comma) troviamo come riferimento l’insussistenza del fatto contestato, qui
troviamo la manifesta insussistenza (anche questo oggetto di compromesso).

Una successiva sentenza della Corte costituzionale a maggio 2022: questa manifesta insussistenza non
significa nulla.

Il giudice applica la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti l’insussistenza del fatto posto a base del
licenziamento.

nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice
applica la disciplina di cui al quinto comma (12/24 risarcimento forte).

In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo
previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per
la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di
cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni.

232
Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non
imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto
luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta
di imprenditore agricolo, nonché' al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che
nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel
medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva,
singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e
non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.
Il calcolo dei 15 lavoratori è fatto sull’unità produttiva dell’azienda.

Nei casi della piccola impresa, fino a 15 dipendenti (2,5/ 6 mensilità) fino al 7/03/2015.

INSUSSISTENZA DEL FATTO CONTESTATO


Basta che il fatto, che il datore di lavoro mi contesta, sussista?

ES: CASSAZIONE ‘800 - Il lavoratore che non si toglie il cappello all’entrata del datore (è stato licenziato).

Oggi, sappiamo che è un licenziamento illegittimo.


Il fatto contestato esiste, non è insussistente.

È LEGITTIMO SANZIONARE SOLO CON UN RISARCIMENTO?


Con il decreto 23/2015 si afferma che insussistenza non vuol dire che non ci debba essere inadempimento.
COSA SI INTENDE PER FATTO CONTESTATO?
ES. lavoratore che prende a botte il suo superiore, si approfondisce e si scopre che un collega gli ha fatto
bere un bicchiere con all’interno delle sostanze.
In questo caso magari mancava la volontà del lavoratore (mancava l’elemento soggettivo) c’era solo
l’elemento materiale.

ALLORA, FATTO CONTESTATO SIGNIFICA FATTO MATERIALE O FATTO GIURIDICO?

In una sentenza del tribunale di Bologna si dice: non ci si può limitare a parlare del mero fatto materiale,
bisogna parlare di fatto giuridico (verificare se c’è piena consapevolezza).
Nel 2015 il legislatore fa riferimento al fatto materiale e non al fatto contestato.

DECRETO N: 23/2015

Siamo nell’ambito del Jobs Act.

Prevede disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.


Il legislatore non è preciso, dal titolo sembra aver creato una nuova tipologia contrattuale.
In realtà il riferimento è il classico contratto indeterminato subordinato, quello che cambia sono le norme in
materia di licenziamento.

Articolo 1
Campo di applicazione
1. Per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, (esclude i dirigenti) assunti
con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore
del presente decreto, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo è disciplinato dalle
disposizioni di cui al presente decreto.
2. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva
all'entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in
contratto a tempo indeterminato.
Nel contratto a tempo determinato una delle sanzioni principali è quella della conversione del contratto.
In questo caso, nel momento in cui vi è la conversione si applicano le norme di questo decreto.

233
Anche in questo caso lo schema è lo stesso:
- 4 tipologie sanzionatorie, quelli che cambiano sono i confini e i contenuti dei risarcimenti.

Articolo 2
Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale
1. Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perchè discriminatorio
a norma dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300 ovvero perchè riconducibile agli altri casi di
nullità
espressamente previsti dalla legge (in tutti i casi previsti dalla legge), ordina al datore di lavoro,
imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro,
indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il
rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni
dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui
abbia richiesto l’indennità di cui al comma 3. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al
licenziamento dichiarato inefficace perchè intimato in forma orale.

2. Con la pronuncia di cui al comma 1, il giudice condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento
del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l'inefficacia,
stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del
trattamento di fine rapporto,
non c’è più un riferimento all’ultima retribuzione globale di fatto ma all’ultima retribuzione di riferimento
per il calcolo del TFR (dipende dai contratti). corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino
a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo
svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere
inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di
fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei
contributi previdenziali e assistenziali.

COSA SI INTENDE PER EFFETTIVA RE-INTEGRAZIONE?

Può un datore che abbia ottenuto una sentenza che ha dichiarato al re-integrazione, rifiutarsi di re-integrarlo?
(l’obbligazione del lavoratore è infungibile)
Il datore in teoria potrebbe.

Recentemente è stato introdotto un istituto che prevede, in caso di inadempimento dell’obbligato, in


relazione ad obblighi fungibili: c’è la possibilità per il giudice di condannarla al pagamento di una multa
cumulabile nel tempo. Il legislatore però ha deciso di non estendere questa modalità all’ambito lavorativo.

3. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al comma 2, al lavoratore è data
la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro,
un’indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del
trattamento di fine rapporto, la cui
richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione
previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla
comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se
anteriore alla predetta comunicazione.

Questo articolo è molto simile agli ultimi tre commi dell’art 18:
- risarcimento di 15 mensilità
- possibilità di scelta di richiesta indennità

4. La disciplina di cui al presente articolo trova applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice
accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del
lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68.

234
Articolo 3
Licenziamento per giustificato motivo e giusta causa

il legislatore del 2015 pur mantenendo molto simili le modalità di intervento per sanzionare i licenziamenti
illegittimi, modifica la prospettiva: prevede come principio generale quello del risarcimento.

1. Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il
giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro
al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due
mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per
ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.
Inizialmente il minimo/massimo era previsto tra 4 e 24.
Diventato poi tra 6 e 36 con il decreto dignità del 2018. (CONTE 1)

Il legislatore del 2015 risponde alle richieste delle imprese: ci deve essere un meccanismo che fa
comprendere all’imprenditore quanto gli costa un licenziamento. (la Corte ritiene contrari ai principi dell’art.
1-4-35 cost).

Oggi questo riferimento all’importo deve essere deciso dal giudice in un Range che varia da 7 a 36.

2. Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in
cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore,
rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice
annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di
lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento
per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento
fino a quello dell'effettiva
reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività
lavorative, nonché' quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi
dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive
modificazioni. In ogni caso la
misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non
può essere superiore a dodici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del
trattamento di fine rapporto.

Prevede che nell’ambito della seconda tipologia di sanzioni (re-integratoria debole) che rispetto all’art. 18 ha
alcune differenze:
- Non c’è riferimento al licenziamento per ragioni oggettive (sottoposto solo ad un’ipotesi di risarcimento da
6 a 36)
- rimane la re-integrazione debole per il licenziamento per ragioni soggettive o giusta causa: Si parla di
necessità di dimostrarla direttamente in giudizio, insussistenza del fatto materiale.

Nonostante qui il riferimento sia al fatto materiale, le decisioni della giurisprudenza sono per dire che
nell’ambito giuridico un fatto ha rilevanza SOLO GIURIDICA.

Articolo 4
Vizi formali e procedurali
1. Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui
all'articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966 o della procedura di cui all'articolo 7 della legge n.
300 del 1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il
datore di lavoro al
pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una
mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per

235
ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a
meno che il giudice, sulla base
della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle tutele di
cui agli articoli 2 e 3 del presente decreto.

Non c’è più, nemmeno qui, il meccanismo automatico: vale sempre il meccanismo: minimo 2 e massimo 12.

Articolo 5
Revoca del licenziamento
1. Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché' effettuata entro il termine di quindici giorni dalla
comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende
ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel
periodo precedente alla
revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente decreto.

Articolo 6
Offerta di conciliazione

Istituto che tende a limitare le cause: l’idea è offrire degli incentivi (di tipo fiscale) a trovare un accordo.
1. In caso di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 1, al fine di evitare il giudizio e ferma
restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla
legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del
licenziamento (60 gg) in una
delle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, e all'articolo 76 del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, un importo che non costituisce reddito
imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione
previdenziale, (NETTO) di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il
calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a
tre e non superiore a ventisette mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare.
L'accettazione dell'assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l'estinzione del rapporto alla
data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore
l'abbia già proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di
ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario (1).

ORGANIZZAZIONI DI TENDENZA = hanno un fine politico / sindacale.


Oggi sono state inserite nell’ambito dell’applicazione del decreto.

Articolo 9
Piccole imprese e organizzazioni di tendenza
1. Ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono
comma, della legge n. 300 del 1970, non si applica l'articolo 3, comma 2, (non re-integra) e
l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'articolo 3, comma 1, dall'articolo 4, comma 1 e
dall'articolo 6, comma 1, è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilita'.
il massimo di sei è lo stesso previsto dalla legge.
Inizialmente la legge faceva riferimento ad un minimo di 2,5.
L’art. 3 comma uno prevedeva un minimo di 2-6 (4-24 dimezzato).
Le piccole imprese hanno quindi un range da 3 a 6 mensilità.

SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

236
Sentenza n. 194 anno 2018 (ha fatto saltare il meccanismo automatico inizialmente previsto nel decreto
23/2015, il testo prevedeva come sanzione principale il risarcimento automatico (2 mensilità per ogni anno di
anzianità di servizio) all’art. 3 comma 1. (con un minimo di 4 ed un massimo di 24).
È poi intervenuto il decreto dignità che ha aumentato da 6 a 36.
Dopo qualche mese, è intervenuta la corte che ha fatto saltare quel meccanismo e sappiamo che oggi il
risarcimento è quello che determina secondo una serie di criteri (anche anzianità ma non solo).

Le sentenze della Corte costituzionale sono composte da:


- parte in fatto: ricostruisce le ragioni del giudice a quo
- aspetti ritenuti inammissibili dalla Corte

1. NON FONDATA:
Il problema è che il decreto legislativo 23/2015 prevede che a decorrere dal 7/03/2015questa disciplina si
applichi a tutti coloro che vengono assunti da questa data (violazione del principio di uguaglianza).
La Corte ritiene non fondata la questione e vengono richiamati i precedenti., in ogni caso la questione della
sfera di applicazione ratione temporis delle diverse normative che si succedono nel tempo, comunque, non
contrastano con il principio in uguaglianza perché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di
diversificazione delle sfere giuridiche.
La corte riprende un principio che già aveva espresso precedenza e quindi ritiene non irragionevole un
criterio del genere.

Dal punto 9 la Corte entra nel merito per azione.


Prima di arrivare al punto 9 riassume le precedenti decisioni della corte e richiama la prima sentenza del
1965 in cui inizialmente la corte aveva ritenuto NON contrastante l’art.4 con l’art. 2118 del Codice civile ma
aveva espresso l’esigenza che il legislatore adeguasse la disciplina del lavoro a tempo indeterminato al fine
di assicurare a tutti la continuità del lavoro e prevedendo doverose garanzie ed opportuni temperamenti.

Si richiamano precedenti più vicini e si comincia a notare come la corte comincia a riconoscere come la
materia dei licenziamenti individuali è oggi regolata in presenza delle art 4-35 della costituzione in base al
principio della necessaria giustificazione del recesso (oggi ha natura costituzionale)

Vengono poi richiamate le sentenze della corte sul licenziamento illegittimo in cui valorizza la
discrezionalità del legislatore (’70-’80-2000) con il riconoscimento. (si era ritenuta la possibilità che la
reintegrazione dovesse ricevere una copertura).

La corte dice: è necessario giustificare il recesso ma la sanzione può anche essere non re-integrativa.
La corte comincia a comprendere che gli art. 4 e 35 sono al centro di una serie di tutele legate alla necessità
di giustificare un licenziamento illegittimo.

Si tratta di una tutela non specifica dell’interesse del lavoratore all’adempimento del contratto di
lavoro a tempo indeterminato – la reintegrazione è, infatti, preclusa – ma per equivalente e, quindi,
soltanto economica.
Ci può essere anche una sanzione meramente economica purché vi sia il principio di razionalità nella scelta.

La qualificazione come «indennità» dell’obbligazione prevista dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n.


23 del 2015 non ne esclude la natura di rimedio risarcitorio, (indennità rigida il giudice non poteva
distanziarsi), quanto alla misura della stessa indennità – e, quindi, del risarcimento riconosciuto al lavoratore
per il danno causato dal licenziamento illegittimo, che specularmente incide nella sfera economica del
datore di lavoro – essa è interamente prestabilita dal legislatore in due mensilità dell’ultima
retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio.

Ricostruite le caratteristiche della tutela prevista dal denunciato art. 3, comma 1, tale disposizione,
nella parte in cui determina l’indennità in un «importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di
riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio», contrasta,

237
anzitutto, con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’ingiustificata omologazione di situazioni
diverse (terzo dei profili di violazione dell’art. 3 Cost. prospettati dal rimettente).

Il principio di uguaglianza dice che possiamo usare trattamenti diversi ma quando c’è una giustificazione o
un principio di razionalità.

Come si è visto, nel prestabilirne interamente il quantum in relazione all’unico parametro


dell’anzianità di servizio, la citata previsione connota l’indennità, oltre che come rigida, come
uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità.
È un dato di comune esperienza, ampiamente comprovato dalla casistica giurisprudenziale, che il
pregiudizio prodotto, nei vari casi, dal licenziamento ingiustificato dipende da una pluralità di fattori.
L’anzianità nel lavoro, certamente rilevante, è dunque solo uno dei tanti.
Il legislatore ha dunque, come appare evidente, sempre valorizzato la molteplicità dei fattori che
incidono sull’entità del pregiudizio causato dall’ingiustificato licenziamento e conseguentemente sulla
misura del risarcimento.
Da tale percorso si discosta la disposizione censurata. Ciò accade proprio quando viene meno la tutela
reale, esclusa, come già detto, per i lavoratori assunti dopo il 6 marzo 2015, salvo che nei casi di cui al
comma 2 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015.
La tutela risarcitoria non può essere ancorata all’unico parametro dell’anzianità di servizio.
Non possono che essere molteplici i criteri da offrire alla prudente discrezionale valutazione del
giudice chiamato a dirimere la controversia. Tale discrezionalità si esercita, comunque, entro confini
tracciati dal legislatore per garantire una calibrata modulazione del risarcimento dovuto, entro una
soglia minima e una massima.

12.− L’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui determina l’indennità in un
«importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di
fine rapporto per ogni anno di servizio», contrasta altresì con il principio di ragionevolezza, (principio
sul quale si basano le decisioni della corte) sotto il profilo dell’inidoneità dell’indennità medesima a
costituire un adeguato ristoro (eguaglianza ed effettività della sanzione) del concreto pregiudizio subito
dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo e un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal
licenziare illegittimamente.

12.1− Quanto al primo aspetto, si è detto che la previsione denunciata, nel prestabilire interamente la
misura dell’indennità, la connota, oltre che come «certa», anche come rigida, perché non graduabile in
relazione a parametri diversi dall’anzianità di servizio. Inoltre, l’impossibilità di incrementare
l’indennità, fornendo la relativa prova, la configura come una liquidazione legale forfetizzata, in
relazione, appunto, all’unico parametro prefissato dell’anzianità di servizio.

Sono richiamati i precedenti della stessa corte che riconoscono le modalità con cui possono essere
concretizzate determinati risarcimenti ma sempre garantendo l’adeguatezza.

Il risarcimento, dunque, ancorché non necessariamente riparatorio dell’intero pregiudizio subito dal
danneggiato, deve essere necessariamente equilibrato.
Non contrasta con tale nozione di adeguatezza il limite di ventiquattro (ora trentasei) mensilità, fissato
dal legislatore quale soglia massima del risarcimento.

12.2− Quanto al secondo aspetto, l’inadeguatezza dell’indennità forfetizzata stabilita dalla previsione
denunciata rispetto alla sua primaria funzione riparatorio-compensativa del danno sofferto dal
lavoratore ingiustamente licenziato è suscettibile di minare, in tutta evidenza, anche la funzione
dissuasiva della stessa nei confronti del datore di lavoro, allontanandolo dall’intento di licenziare senza
valida giustificazione e di compromettere l’equilibrio degli obblighi assunti nel contratto.
12.3.− Sulla base di quanto argomentato, si deve dunque concludere che il denunciato art. 3, comma 1,
del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui determina l’indennità in un «importo pari a due mensilità
dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di
servizio», non realizza un equilibrato componimento degli interessi in gioco: la libertà di

238
organizzazione dell’impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall’altro.
Con il prevedere una tutela economica che può non costituire un adeguato ristoro del danno prodotto,
nei vari casi, dal licenziamento, né un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare
ingiustamente, la disposizione censurata comprime l’interesse del lavoratore in misura eccessiva, al
punto da risultare incompatibile con il principio di ragionevolezza.
Il legislatore finisce così per tradire la finalità primaria della tutela risarcitoria, che consiste nel
prevedere una compensazione adeguata del pregiudizio subito dal lavoratore ingiustamente licenziato.

13.− Dalla ritenuta irragionevolezza del censurato art. 3, comma 1, nella parte in cui determina
l’indennità in un «importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo
del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio», discende anche il vulnus recato da tale
previsione agli artt. 4, primo comma, e 35, primo comma, Cost.
Alla luce di quanto si è sopra argomentato circa il fatto che l’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015,
nella parte appena citata, prevede una tutela economica che non costituisce né un adeguato ristoro del
danno prodotto, nei vari casi, dal licenziamento, né un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal
licenziare ingiustamente, risulta evidente che una siffatta tutela dell’interesse del lavoratore alla
stabilità dell’occupazione non può ritenersi rispettosa degli artt. 4, primo comma, e 35, primo comma,
Cost., che tale interesse, appunto, proteggono.
L’irragionevolezza del rimedio previsto dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015 assume, in realtà,
un rilievo ancor maggiore alla luce del particolare valore che la Costituzione attribuisce al lavoro (artt.
1, primo comma, 4 e 35 Cost.), per realizzare un pieno sviluppo della personalità umana (sentenza n.
163 del 1983, punto 6. del Considerato in diritto).

Il «diritto al lavoro» (art. 4, primo comma, Cost.) e la «tutela» del lavoro «in tutte le sue forme ed
applicazioni» (art. 35, primo comma, Cost.) comportano la garanzia dell’esercizio nei luoghi di lavoro
di altri diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.

14.− L’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui determina l’indennità in un
«importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di
fine rapporto per ogni anno di servizio», viola anche gli artt. 76 e 117, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 24 della Carta sociale europea. (decisioni del comitato).

15.− In conclusione, in parziale accoglimento delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 (in
relazione sia al principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’ingiustificata omologazione di situazioni
diverse, sia al principio di ragionevolezza), 4, primo comma, 35, primo comma, e 76 e 117, primo
comma, Cost. (questi ultimi due articoli in relazione all’art. 24 della Carta sociale europea), il
denunciato art. 3, comma 1, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente alle
parole «di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del
trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio,».

Questa parte è espunta dalla norma che risulta collegata solo alla possibilità per il giudice di determinare il
calcolo della sanzione risarcitoria da 6 a 36 mensilità.
Non sono ben chiari i parametri ma i giudici hanno cominciato ad utilizzare quelli della legge 604/1966.
(anche anzianità).

SENTENZA 59/2021

Entra nel merito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.


Questione sollevata dal tribunale di Ravenna che dubita della legittimità costituzionale dell’art. 18 (comma
7) nella parte in cui prevede che il giudice quando accerta la manifesta insussistenza del fatto portato al
licenziamento POSSA E NON DEBBA disporre la reintegrazione del lavoratore. (rientra nei profili della
ragionevolezza) anche sul può altresì applicare e non applica.

239
C’è una sentenza del maggio 2022 che entra nel merito della manifesta insussistenza, elimina anche il
riferimento alla stessa.

Il giudice deve comunque applicare la reintegrazione se c’è la manifesta insussistenza del fatto.
Nel maggio 2022 la corte dice che anche per il giustificato motivo oggettivo quello che conta è
l’insussistenza del fatto, non ritiene che debba tenere conto del termine “MANIFESTA”.

Il tribunale di Roma solleva una questione legata all’indennità spettante nel caso di licenziamento illegittimo
firmato dal datore che non possiedono i requisiti dimensionali contenuti nell’art 18. (indennità risarcitoria per
le piccole imprese)
Da sempre le piccole imprese sono state oggetto di sentenze della corte.
La stessa aveva ritenuto legittima la possibilità di una tutela differenziata per le piccole imprese.

Questa sentenza torna sulle questioni che aveva esaminato precedentemente (2018):
In una vicenda che vede direttamente implicata la persona del lavoratore, si rivela di importanza
primaria la valutazione del giudice, chiamato, nell’alveo dei criteri individuati dalla legge, ad attuare
la necessaria «personalizzazione del danno subito dal lavoratore, pure essa imposta dal principio di
eguaglianza»

4.3.– Tali esigenze di effettività e di adeguatezza della tutela si impongono anche per i licenziamenti
intimati da datori di lavoro di più piccole dimensioni (di cui ai citati commi ottavo e nono dell’art. 18
dello statuto dei lavoratori).
Questa Corte, nel dichiarare non fondati i dubbi di legittimità costituzionale della disciplina, che per
tali datori di lavoro escludeva la reintegrazione, ha posto l’accento sulla natura fiduciaria del rapporto
di lavoro nell’ambito delle descritte realtà organizzative, sull’opportunità di non gravarle di oneri
eccessivi e, infine, sulle tensioni che l’esecuzione di un ordine di reintegrazione potrebbe ingenerare.

Inoltre, le «dimensioni che il datore di lavoro abbia conferito alla organizzazione della sua attività»
rappresentano un «dato aderente alla realtà economica di comune esperienza» (sentenza n. 55 del
1974, punto 4 del Considerato in diritto). In questa prospettiva, «la componente numerica dei
lavoratori ha riflessi sul modo di essere e di operare del rapporto di lavoro organizzato», soprattutto in
ragione del «criterio economico suggerito per regolare gli interessi delle aziende aventi un minor
numero di dipendenti, pur senza trascurare gli interessi dei lavoratori» (sentenza n. 81 del 1969, punto
4 del Considerato in diritto).

Per un certo numero di anni al corte ha detto: non viola i principi di eguaglianza e ragionevolezza le norme
che prevedono per le imprese piccole sanzioni più basse.

4.4.– L’assetto delineato dal d.lgs. n. 23 del 2015 è profondamente mutato rispetto a quello analizzato
dalle più risalenti pronunce di questa Corte. La reintegrazione è stata circoscritta entro ipotesi
tassative per tutti i datori di lavoro e le dimensioni dell’impresa non assurgono a criterio discretivo tra
l’applicazione della più incisiva tutela reale e la concessione del solo ristoro pecuniario.
La corte nota che vi è stata una differenza rispetto al passato:
- c’era la divisione qualitativa della sanzione (reintegrazione per quelle grandi e il ristoro economico per
quelle più piccole, salvo che il lavoratore non volesse essere reintegrato).
In un sistema imperniato sulla portata tendenzialmente generale della tutela monetaria, la specificità
delle piccole realtà organizzative, che pure permane nell’attuale sistema economico, non può
giustificare un sacrificio sproporzionato del diritto del lavoratore di conseguire un congruo ristoro del
pregiudizio sofferto.

5.1.– Quanto al primo profilo, si deve rilevare che un’indennità costretta entro l’esiguo divario tra un
minimo di tre e un massimo di sei mensilità vanifica l’esigenza di adeguarne l’importo alla specificità
di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo ristoro e di un’efficace deterrenza, che
consideri tutti i criteri rilevanti enucleati dalle pronunce di questa Corte e concorra a configurare il
licenziamento come estrema ratio.
240
5.2.– Quanto al secondo profilo, si deve evidenziare che il limitato scarto tra il minimo e il massimo
determinati dalla legge conferisce un rilievo preponderante, se non esclusivo, al numero dei
dipendenti, che, a ben vedere, non rispecchia di per sé l’effettiva forza economica del datore di lavoro,
né la gravità del licenziamento arbitrario e neppure fornisce parametri plausibili per una liquidazione
del danno che si approssimi alle particolarità delle vicende concrete.
Invero, in un quadro dominato dall’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei
processi produttivi, al contenuto numero di occupati possono fare riscontro cospicui investimenti in
capitali e un consistente volume di affari.

Non è necessariamente vero che un’impresa con pochi dipendenti sia un’impresa piccola, magari ha una
forza economica rilevante.
Il criterio incentrato sul solo numero degli occupati non risponde, dunque, all’esigenza di non gravare
di costi sproporzionati realtà produttive e organizzative che siano effettivamente inidonee a sostenerli.

6.– Si deve riconoscere, pertanto, l’effettiva sussistenza del vulnus denunciato dal rimettente e si deve
affermare la necessità che l’ordinamento si doti di rimedi adeguati per i licenziamenti illegittimi
intimati dai datori di lavoro che hanno in comune il dato numerico dei dipendenti.

Ci deve pensare il legislatore: se non lo fa la corte torna a valutare la questione.


Nel giugno ’22 dichiara inammissibili le questioni ma è evidente che le considera costituzionalmente
illegittime.
Il legislatore potrà decidere per esempio:
- inserire nell’ordinamento italiano quello che si trova in alcune direttive UE (necessità di comprendere quali
sono le piccole imprese).

SENTENZA DI MERITO DEL TRIBUNALE DI MILANO 2016

Utile per comprendere i principi di tempestività e cristallizzazione. (art. 7 cost)


Vi è una lettera di licenziamento in cui vengono contestate una serie di comportamenti illegittimi ad una
signora (vi sono rimproveri…) che stava alla cassa di un grande magazzino.

Quello che ci interessa sono le date:


- Missiva: luglio 2015 dove si comincia a richiamare episodi risalenti a dicembre 2014 fino all’8 luglio 2015.

Vi è una prima questione che richiama la tardività delle contestazioni (l’avvocato impugna), il giudice ritiene
immediatamente che il rilievo sia fondato rispetto a sei degli otto criteri contestati.

COSA ACCADE NEL MOMENTO IN CUI ABBIAMO UNA CONTESTAZIONE NON TEMPESTIVA?
Il giudice non ne tiene conto.

Rispetto agli otto episodi, quei sei per il giudice non esistono.
Se la società avesse rispettato il principio di immediatezza/tempestività, avrebbe correttamente adempiuto gli
obblighi.

“la tardività della contestazione dei fatti che precedono non è giustificabile come pretende di fare la
società parte convenuta, per le dimensioni della società o per ulteriori ragioni di cui in memoria:
necessità di indagini o approfondimenti.”

Questi sono aspetti rilevanti, ci sono dei casi in cui le società (multinazionali) hanno vari gradi e colui che
decide per le sanzioni è il dirigente che però si trova anche in altre sedi e deve essere portato a conoscenza.

“La tardività della contestazione disciplinare dei fatti sopra indicati ne determina la loro irrilevanza
dal punto di vista disciplinare.”
- c’era anche un precedente risalente al 2010, ma anche qui (viene richiamato il principio dell’ultimo comma
dell’art. 7 per cui trascorsi due anni non si può fare riferimento alla recidiva).

241
“Anche valutati congiuntamente non giustificano la sanzione esclusiva.”
Quegli episodi non giustificano il licenziamento, che è quindi ingiustificato ed il giudice deve decidere quale
sanzione applicare. (secondo art.18)

Il giudice ritiene che non si possa applicare la questione e applica la sanzione (terza) solo risarcitoria.
Dichiara quindi risolto il rapporto di lavoro con condanna di indennità risarcitoria da 12 a 24 mensilità (in
questo caso misura minima di 12).

INSUSSTISTENZA DEL FATTO

Abbiamo due posizioni: 2015 (con riferimento articolo 18) e 2019 (riferimento al decreto 23/2015)
(solo fatto materiale o fatto giuridico?)

Entrambe ci dicono che non esiste la possibilità di pensare ad un fatto solo materialmente esistente e non
giuridicamente rilevato.

La prima:
Quanto alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il Legislatore, parlando di "insussistenza del
fatto
contestato", abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità,

L’interpretazione giurisdizionale di insussistenza.


ES: CAPPELLO = siamo nella consapevolezza che un eventuale licenziamento ingiustificato, non essendo il
comportamento illecito, non può essere considerato sussistente.
Anche l’eventuale comportamento riconosciuto da tutti, comunque sarà non solo ingiustificato, ma
ingiustificato per insussistenza del fatto e quindi deve anche (sia per art.18 che per decreto) essere sanzionato
con reintegrazione. ossia non suscettibile di alcuna sanzione, restando estranea al caso presente la
diversa questione della proporzione tra fatto sussistente e di illiceità modesta, rispetto alla sanzione
espulsiva
In altre parole, la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e da
perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell'art. 18, comma 4 cit..

La stessa questione viene sollevata pochi anni dopo, con riguardo al decreto legislativo 23/2015.
La questione viene costruita dalla cassazione, si parla dell’art. 3 del decreto, l’articolazione delle tutele
riprende quella dell’art.18.
La reintegrazione è collegata all’insussistenza del fatto materiale contestato.
Negli anni, si è elaborata una nozione di insussistenza del fatto contestato che comprende tutte le ipotesi in
cui il fatto materialmente accaduto non abbia rilievo o quanto al profilo oggettivo ovvero quanto al profilo
soggettivo dell’imputabilità della condotta del dipendente. (es: prende a sberle il datore dopo aver bevuto).

4.6. È significativo osservare che, per pervenire a dette conclusioni, siano stati valorizzati da un lato il
tenore letterale della norma, che fa riferimento al "fatto contestato", dall'altro, sotto il profilo logico,
la assoluta sovrapponibilità "dei casi di condotta materialmente inesistente a quelli di condotta che
non costituisca inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero non sia imputabile al lavoratore
stesso"
5. Occorre, a questo punto, domandarsi se le medesime conclusioni possano confermarsi anche in
relazione alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 23 del 2015.
5.1. Ritiene il Collegio che alla domanda debba darsi risposta affermativa.

il decreto all’art. 3 ha riacceso il dibattito:

5.2. Il testo del D.Lgs n. 23 del 2015, art. 3 ha, evidentemente, riacceso il dibattito, già in precedenza
sviluppatosi in relazione all'art. 18 cit. I fautori della tesi del fatto materiale, inteso come riferito alla
sola condotta realizzatasi nella realtà fenomenica, comprensiva cioè unicamente di azione o omissione,

242
nesso di causalità ed evento, ravvisano nella nuova e più stringente locuzione normativa la necessità di
un'esegesi che, maggiormente conforme al dato letterale, imponga di interpretare la norma nel senso
che la tutela reintegratoria, in quanto di carattere eccezionale, debba rimanere circoscritta alla sola
assenza degli elementi costitutivi della condotta, come realizzatasi nella realtà fenomenica, senza che
possa assumere alcun rilievo l'atteggiamento psicologico dell'agente; dall'altro, i sostenitori del fatto
giuridico che, nell'evidenziare il carattere atecnico della nozione di fatto materiale, valorizzano il
richiamo alla contestazione e/o fanno leva sul concetto di inadempimento per giungere alle conclusioni
già espresse in passato.

5.3. Osserva la Corte come, pur dovendosi valutare il tenore letterale della nuova disposizione,
nondimeno sia parimenti indubitabile che le espressioni utilizzate (id est: fatto materiale contestato)
non possano che riferirsi alla stessa nozione di "fatto contestato" come elaborata dalla giurisprudenza
di legittimità in relazione alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 e che costituisce, all'attualità, diritto
vivente.

Non c’è differenza interpretabile tra fatto materiale (o contestato) o fatto contestato.
La questione è tradotta dalla giurisprudenza come fatto giuridico, che contiene in se sia l’aspetto materiale
che quello psicologico soggettivo.

5.4. Il medesimo criterio razionale che ha già portato questa Corte a ritenere che "quanto alla tutela
reintegratoria, non è plausibile che il Legislatore, parlando di insussistenza del fatto contestato", abbia
voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di
alcuna sanzione" (in termini, ab imo, Cass. n. 20540 del 2015), induce il convincimento, sia pure in
presenza di un dato normativo, parzialmente mutato, che la irrilevanza giuridica del fatto, pur
materialmente verificatosi, determina la sua insussistenza anche ai fini e per gli effetti previsti dal
D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 3,
comma 2.

Invero al fatto accaduto ma disciplinarmente del tutto irrilevante non può logicamente riservarsi un
trattamento sanzionatorio diverso da quello previsto per le ipotesi in cui il fatto non sia stato
commesso.

5.5. Conforta tale assunto una lettura costituzionalmente orientata della norma, dovendosi, al
riguardo, affermare che qualsivoglia giudizio di responsabilità, in qualunque campo del diritto
punitivo venga espresso, richiede per il fatto materiale ascritto, dal punto di vista soggettivo, la
riferibilità dello stesso all'agente e, da quello oggettivo, la riconducibilità del medesimo nell'ambito
delle azioni giuridicamente apprezzabili come fonte di responsabilità.

Il principio fondamentale che passa da questa sentenza è quello di necessità che il fatto contestato sia
equivalente al fatto materiale. (valutazione dell’elemento soggettivo e comunque bisogna che ci sia almeno il
rinnovo dell’adempimento) sia per l’art. 18 che per il decreto.

SENTENZA SUL GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO 2/05/2018


È una modalità che ci consente di capire cosa significhi per un giudice entrare nel merito di un licenziamento
giustificato da un giustificato motivo oggettivo.

Il giudice non può mai entrare nel merito delle scelte dell’imprenditore, può verificare quanto affermato, può
verificare il vizio causale di un lavoratore licenziato verificare il cosiddetto Repêchage. (prova per
controllare che davvero quello siano veritiere le affermazioni del datore e che ci sia il vizio causale.

In questo caso si fa riferimento ai dati di bilancio negativi:


viene specificato che la ragione inerente all’attività produttiva è quella che determina l’effettivo
ridimensionamento riferito all’unità del personale impiegato, una ben individuata posizione lavorativa a
prescindere dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali.

243
In realtà c’è anche la possibilità di una interpretazione più ampia del concetto contenuto nella legge 604 con
riferimento al giustificato motivo oggettivo: c’è la possibilità di modificare l’impresa anche a prescindere
dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali.
L’imprenditore potrebbe voler riorganizzare l’impresa per volontà di incremento del profitto (in passato
ritenuta non coerente per giustificato motivo oggettivo, c’era l’idea che l’imprenditore potesse licenziare solo
con estrema ratio (solo se per crisi vera).

Recentemente si ritiene che anche eventuali ragioni di incremento del profitto, possa portare al licenziamento
legittimo per giustificato motivo oggettivo.
Una delle ragioni è l’esternalizzazione a terzi dell’attività a cui è addetto il lavoratore licenziato (es: call
center, innovazioni tecnologiche).

C’è poi una questione che riguarda l’obbligo di repêchage;

Secondo orientamento consolidato di questa Corte, la legittimità del licenziamento per giustificato
motivo oggettivo presuppone, da un lato, l'esigenza di soppressione di un posto di lavoro, dall'altro, la
impossibilità di diversa collocazione del lavoratore licenziato (repêchage), consideratane la
professionalità raggiunta, in altra
posizione lavorativa analoga a quella soppressa (cfr. ex plurimi, Cass. n. 4460 del 2015, Cass. n. 5592
del 2016, Cass. n. 12101 del 2016, Cass. n. 24882 del 2017, Cass. n. 27792 del 2017). Con riferimento
all'obbligo di repêchage si è ritenuto, in particolare, che, trattandosi di prova negativa, il datore di
lavoro abbia
sostanzialmente l'onere di fornire la prova di fatti e circostanze esistenti di tipo indiziario o presuntivo
idonei a persuadere il giudice della veridicità di quanto allegato circa l'impossibilità di una
collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale.

In sostanza, sul datore di lavoro incombe l'onere di allegare e dimostrare il fatto che rende legittimo
l'esercizio del potere di recesso, ossia l'effettiva sussistenza di una ragione inerente all’attività
produttiva, l'organizzazione o il funzionamento dell'azienda nonché l'impossibilità di una differente
utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte.

Ebbene, l'illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo è stata riscontrata, nel caso di
specie, dalla Corte distrettuale per inottemperanza del datore di lavoro all'obbligo di repêchage e,
trattandosi di recesso sottoposto alla disciplina dettata dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, come
novellata dalla
L. n. 92 del 2012, è stato applicato il regime sanzionatorio indennitario di cui al comma 5 in
considerazione della riferibilità della nozione di "fatto posto a base del licenziamento"

7.1. Posto che nella nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo rientra, come
precedentemente osservato, sia l'esigenza della soppressione del posto di lavoro sia l'impossibilità di
ricollocare altrove il lavoratore, il riferimento legislativo alla "manifesta insussistenza del fatto posto a
base del licenziamento"
va inteso con riferimento a tutti e due i presupposti di legittimità della fattispecie.

Invero, a fronte della espressione lessicale utilizzata dal legislatore, il "fatto", sganciata da richiami
diretti ed espliciti alle "ragioni" connesse con l'organizzazione del lavoro o l'attività produttiva
previste dalla L. n. 604 del 1966, art. 3, il riferimento normativo deve intendersi effettuato alla nozione
complessiva di giustificato motivo
oggettivo così come elaborata dalla giurisprudenza consolidata.

Quindi, una volta accertata l'ingiustificatezza del licenziamento per carenza di uno dei due
presupposti (e, in particolare, nel caso di specie, per inottemperanza all'obbligo del repêchage), il
giudice di merito, ai fini dell'individuazione del regime sanzionatorio da applicare, deve verificare se
sia manifesta ossia evidente l'insussistenza anche di uno solo degli elementi costitutivi del
licenziamento, cioè della ragione inerente l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare

244
funzionamento di essa che causalmente determini un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo
attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa, ovvero della impossibilità di una
diversa utilizzazione del lavoratore licenziato in mansioni diverse
Il concetto di "manifesta insussistenza" dimostra che il legislatore ha voluto limitare ad ipotesi
residuali il diritto ad una tutela reintegratoria; nei casi in cui vi sia la chiara pretestuosità del recesso.

Si parla dei casi in cui è necessario che il giudice possa applicare la reintegrazione e la corte alla fine:

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato la ricorrenza di una ristrutturazione organizzativa
determinata dall'esigenza di esternalizzare un'attività aziendale che comportava l'incremento di oneri
economici negativi per l'andamento dell'impresa e tale da integrare legittimamente il presupposto.

Ha ritenuto in ogni caso illegittimo il licenziamento ma ha optato per il regime indennitario.

CHE COSA CI DICE LA SENTENZA?

Dove si situa l’obbligo di repêchage? All’esterno del GMO o all’interno?


La corte collega i due aspetti = il repêchage è parte integrante del licenziamento. (modifica il concetto della
Corte di appello = repêchage esterno)

Le conclusioni non cambiano: si applica solo la disciplina risarcitoria perché si fa un discorso sulla prova
dell’effettiva e manifesta insussistenza del fatto.

Oggi per la giurisprudenza il repêchage è interno all’idea del GMO e non automaticamente porta alla
reintegrazione (solo nell’art. 18 non nel decreto).

LICENZIAMENTO COLLETTIVO

La legge del 23/07/91 n 223 disciplina l’istituto del licenziamento collettivo: in particolare gli articoli 4-5-24.
Nell’art. 24 troviamo la nozione di licenziamento collettivo, negli altri due troviamo il procedimento
applicabile.

Questa legge conteneva già la prima modifica in materia di collocamento, ed è attuazione di diverse direttive
dell’UE.

La direttiva 59/Cee
Concerne il riavvicinamento della legislazione degli stati membri in materia di licenziamenti collettivi.
Direttiva che nasce nel 1975, una delle prime direttive in materia di diritto del lavoro che utilizza le
possibilità previste dal trattato di ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri; pensata per facilitare
le modalità di regolazione nell’ambito del mercato unico.

L’Italia è stata condannata per non averla attuata e si è dovuto attendere la legge 223/91 per attuarla in Italia.
Con la successiva direttiva del ’98 si è sistemata la questione.

COME VENGONO REGOLAMENTATI I LICENZIAMENTI COLLETTIVI?


Casi di licenziamento che riguarda più lavoratori. (anche il numero rientra nelle nozioni della direttiva)
L’idea alla base è che quando vengono licenziati più lavoratori contemporaneamente c’è la necessità di
regolare quantomeno il procedimento.

PROCEDIMENTALIZZAZIONE DEI POTERI DEL DATORE DI LAVORO


Non si interviene sul potere imprenditoriale di poter licenziare, si interviene sulla necessità che per farlo
bisogna seguire un determinato procedimento che coinvolge le autorità pubbliche e i sindacati.

245
Articolo 1
1. Ai fini dell'applicazione della presente direttiva:
“Per licenziamento collettivo si intende ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o
più motivi non inerenti alla persona del lavoratore (c’è la necessità di un riferimento di tipo
giustificativo) se il numero di licenziamenti effettuati è, a scelta degli stati membri: (C’è un riferimento
quantitativo)

La normativa italiana limita i licenziamenti collettivi alle ragioni di tipo oggettivo (gmo), motivi esterni (crisi
impresa, riorganizzazione imprenditoriale).

b) per rappresentanti dei lavoratori si intendono i rappresentanti dei lavoratori previsti dal diritto o
dalla pratica in vigore negli Stati membri.

Per il calcolo del numero dei licenziamenti previsti nel primo comma, lettera a), sono assimilate ai
licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per
una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque.

2. La presente direttiva non si applica:


a) ai licenziamenti collettivi effettuati nel quadro di contratti di lavoro a tempo determinato o per un
compito determinato, a meno che tali licenziamenti non avvengano prima della scadenza del termine o
dell'espletamento del compito previsto nei suddetti contratti;
b) ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni o degli enti di diritto pubblico (o, negli Stati membri
in cui tale nozione è sconosciuta, degli enti equivalenti);
c) agli equipaggi di navi marittime.

Informazione e consultazione
Articolo 2

1. Quando il datore di lavoro prevede di effettuare licenziamenti collettivi, deve procedere in tempo
utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori al fine di giungere ad un accordo.
2. Nelle consultazioni devono essere almeno esaminate le possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti
collettivi, nonché di attenuarne le conseguenze ricorrendo a misure sociali di accompagnamento intese
in particolare a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati.
Gli Stati membri possono disporre che i rappresentanti dei lavoratori possano far ricorso ad esperti in
conformità delle legislazioni e/o prassi nazionali.
3. Affinché i rappresentanti dei lavoratori possano formulare proposte costruttive, il datore di lavoro
deve in tempo utile nel corso delle consultazioni:
Procedura di licenziamento collettivo

Articolo 3

1. Il datore di lavoro deve notificare per iscritto ogni progetto di licenziamento collettivo all'autorità
pubblica competente.

Articolo 4

1. I licenziamenti collettivi il cui progetto è stato notificato all'autorità pubblica competente avranno
effetto non prima di 30 giorni dalla notifica prevista all'articolo 3, paragrafo 1, ferme restando le
disposizioni che disciplinano i diritti individuali in materia di termini di preavviso.

246
Il contenuto della disciplina comunitaria è di prevedere la necessità di un procedimento:

- deve cominciare con la notifica dell’intenzione di effettuare un licenziamento collettivo


- deve svolgersi in un determinato periodo di tempo con la finalità di ridurre l’impatto dei licenziamenti.

Il principio fondamentale è quello di trasparenza dell’imprenditore che deve dare tutte le informazioni
disponibili.

Non c’è riferimento all’impossibilità di licenziare.

In Italia fino a quel momento vi erano accordi collettivi che erano cominciati ad essere sottoscritti (in settori
importanti come quello della metalmeccanica) dopo la Seconda guerra mondiale.
In generale a partire dalla fine del dopoguerra in materia licenziamento vi erano diversi riferimenti nei
contratti collettivi.

Vi era una modalità che disciplinava le regole sul licenziamento collettivo che non si differenzia molto da
quella prevista dalla legge ma estremamente diverse erano le conseguenze: il problema di una
regolamentazione sui licenziamenti contenuta in un contratto collettivo ha una serie di problemi:

1. Efficacia soggettiva = nel nostro ordinamento l’efficacia soggettiva dei contratti collettivi è limitata a
coloro che sottoscrivono un contratto e che lo applicano.

2. Sanzione. COSA SUCCEDE NEL CASO DELLA VIOLAZIONE DI UN CONTRATTO


COLLETTIVO?
Ci sarà una conseguenza ma nella maggior parte dei casi la sanzione sarà di tipo risarcitorio, difficile pensare
alla reintegrazione.

Nel frattempo, la legge 604/1966 espressamente escludeva i licenziamenti collettivi dall’applicabilità di


quella legge.
La dottrina e le sentenze hanno provato ad introdurre un concetto (licenziamenti individuali plurimi): non
considerare il licenziamento collettivo come un qualcosa di complesso ma come una serie di licenziamento
individuale (non hanno convinto).

L’introduzione della legge 223/1991 ha risolto problemi teorici e pratici che fino a quel momento esistevano
in materia.
La legge al suo interno contiene materie varie, tra cui la “regolazione della cassa integrazione guadagni
straordinaria, modalità, collocamento” e poi norme sul licenziamento collettivo (art. 24-4-5)
All’art. 24 si trova la nozione di licenziamento collettivo, la procedura si trova agli articoli 4 e 5.

Articolo 24 (soprattutto primo comma)


Norme in materia di riduzione del personale
1. Le disposizioni di cui all'art. 4, commi da 2 a 12 e 15-bis, e all'art. 5, commi da 1 a 5, si applicano
alle imprese che occupino più di quindici dipendenti, compresi i dirigenti, e che, in conseguenza di una
riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti,
nell'arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell'ambito del
territorio di una stessa provincia.

Questa è la definizione di licenziamento collettivo.


La normativa si applica alle imprese che occupano più di 15 dipendenti, ne sono compresi i dirigenti
(introduzione recente).
Questa è una definizione nazionale, molto restrittiva.

247
L’ampio temporale è vasto: spazio maggiore per contare gli avvenimenti, molto spesso ad esempio il datore
ne licenzia tanti in vari mesi. (almeno 5 licenziamenti in 120 giorni).

La norma fa un riferimento diretto alla necessità di correlare il licenziamento collettivo ad una


giustificazione precisa (conseguenza di una riduzione o di una modificazione dell’attività di lavoro = tipo
oggettivo).

La nozione non è esattamente coincidente con l’art. 3 della legge 604/1066. (la nozione di licenziamento per
motivi oggettivi fa riferimento a ragioni inerenti all’attività produttiva all’organizzazione del lavoro e al
regolare funzionamento.

C’E’ UNA DIFFERENZA DI TIPO QUALITATIVO TRA IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE PER


RAGIONI OGGETTIVE E IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO? NO, pur utilizzando termini diversi il
legislatore si riverisce a quello che l’art. 3 della legge 604 definiva licenziamento per ragioni oggettive.

La questione della necessaria giustificazione di un licenziamento è stata discussa ampiamente: esiste una
differenza interpretativa tra la dottrina e la giurisprudenza sulla causalità del licenziamento collettivo.

- IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO È UN ATTO CAUSALE?


- LA GIUSTIFICAZIONE FA PARTE DELL’ELEMENTO NECESSARIO DEL LICENZIAMENTO?
- SE PER CASO MANCA QUELLA RAGIONE, IL LICENZIAMENTO È VALIDO?

Mentre la dottrina ha sempre ritenuto che il licenziamento collettivo sia necessariamente causale (lo dice la
legge), la giurisprudenza non la pensa così: ritiene a-causale il licenziamento collettivo.
La questione è correlata al tipo di regolazione prevista dalla normativa, il nucleo fondamentale è contenuto
negli art. 4 e 5 e prevede una procedura molto specifica per il datore di lavoro.

I giudici affermano: se la procedura è osservata in modo rigoroso a loro basta verificare la correttezza (senza
necessità di vedere se vi è riduzione o trasformazione che spetta poi ai sindacati).

La nozione italiana prevede almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni.

Dal punto di vista della Corte di giustizia rientrano nella nozione prevista dalla direttiva anche altre tipologie
di cessazione del rapporto che non sia un vero e proprio licenziamento (INCENTIVO ALL’ESODO = un
datore vuole disfarsi di un lavoratore ma invece di licenziarlo si mette d’accordo, gli eroga una certa somma
di denaro (senza pagare di più per i contributi previdenziali) e il rapporto si risolve consensualmente.
(Queste modalità la nostra giurisprudenza non li ritiene veri e propri licenziamenti.)

MOMENTO IN CUI APPLICARE LA NORMATIVA

COSA SUCCEDE SE IL DATORE ALL’INIZIO PENSA DI LICENZIARE 7 LAVORATORI:


- si apre la procedura
- vengono coinvolti i sindacati
E come conseguenza il datore licenzia solo 3 lavoratori.
(inizialmente ne avevamo ALMENO 5, dopo no).

In questo caso la Corte di appello ha detto che non bisogna applicare la normativa in materia di licenziamenti
collettivi, c’è l’idea che la disciplina in materia di licenziamenti individuali sia più protettiva nei confronti
del singolo. (in realtà dipende da molti fattori)

248
L’avvocato ha contestato dicendo che si doveva applicare la disciplina dei licenziamenti collettivi basandosi
sulla sentenza Yonk 2003 che era entrata nel merito di una questione derivante dal diritto tedesco:
- nel diritto tedesco vi sono due termini diversi per il recesso finale e per l’intenzione del licenziamento.
(proprio su questi due termini si è posto il problema su quale fosse il momento in cui applicare i numeri della
direttiva e delle decisioni).

La Corte di giustizia afferma che: deve contare il momento iniziale. (si parla del datore che prevede di
effettuare licenziamenti collettivi e simile è la normativa italiana “intenda (momento di apertura) effettuare
almeno 5 licenziamenti”).
La questione è risolta: bisogna comunque applicare la procedura, anche se alla sua conclusione i
licenziamenti sono sotto la soglia (che conta al momento dell’apertura).

Fermi i requisiti numerici e temporali prescritti dal presente comma, alle imprese in stato di
liquidazione giudiziale si applicano le disposizioni di cui all'articolo 189, comma 6, del codice della
crisi e dell'insolvenza. (entrato in vigore nel 2022 che contiene procedure semplificate pensate per la crisi:
sospensione dei rapporti fino a che si sceglie se tenere i lavoratori o licenziarli).

Articolo 4
Procedura per la dichiarazione di mobilità (stessa procedura applicabile ai licenziamenti collettivi comma2)

2. Le imprese che intendano esercitare la facoltà di cui al comma 1 sono tenute a darne comunicazione
preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'art. 19 della legge
20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria (se non ci sono RSA ma c’è
un'unica RSU la comunicazione verrà data ad essa). In mancanza delle predette rappresentanze la
comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni
maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

COMMA 3 CUORE DELLA PROCEDURA

3. La comunicazione di cui al comma 2 deve contenere indicazione: dei motivi che determinano la
situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter
adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il
licenziamento collettivo; del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del
personale eccedente nonché' del personale
abitualmente impiegato;(non i nomi) dei tempi di attuazione del programma di riduzione del
personale; delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della
attuazione del programma medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse
da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva. Alla comunicazione va
allegata copia della ricevuta del versamento all'INPS, a titolo di anticipazione sulla somma di cui
all'art. 5, comma 4, di una somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale
moltiplicato per il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti (5)(6).

Vi sono alcuni riferimenti che rispetto ad altri paesi europei non hanno la stessa forza vigente.
In Francia e Germania vi sono norme che impongono un piano social che intendono licenziare
collettivamente e la mancanza di esso ha delle concrete ricadute sulla possibilità di effettuare il
licenziamento.

Nel nostro caso c’è un riferimento alla necessità di elencare i motivi per cui non è possibile prevedere misure
idonee; esiste una disciplina parallela che ha previsto per le aziende > di 250 dipendenti la necessità di
prevedere un vero e proprio piano sociale.

249
Non bisogna inserire i nomi, l’idea che è alla base del procedimento è che sia il più possibile oggettivo.
C’è la necessità di far vedere:
- organigramma completo
- profili che mi impongono di fare a meno ad esempio di 10 magazzinieri

4. Copia della comunicazione di cui al comma 2 e della ricevuta del versamento di cui al comma 3
devono essere contestualmente inviate all'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione
(7)

5. Entro sette giorni dalla data del ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, a richiesta delle
rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive associazioni si procede ad un esame congiunto tra
le parti, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza del
personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell'ambito della
stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di
lavoro.

Il primo passo fondamentale è la comunicazione.


Il secondo passo è quella dell’eventualità di comunicazione vera e propria.

In questo senso il comma 5 ci dice che sono le parti sociali che devono muoversi, la necessità di un confronto
è necessaria se le parti sociali lo richiedono.

Vi sono molti termini e sono tutti ordinatori, non sono necessariamente vincolanti.

Se si apre la consultazione c’è un approfondimento tra datore e parti sociali con l’idea di stemperare le
conseguenze con tutti gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione. Le parti cercheranno di
convincere i loro iscritti ad accettare alcune condizioni, il datore rinuncerà a licenziare una parte di
lavoratori.

Qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a
misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la
riconversione dei lavoratori licenziati. I rappresentanti sindacali dei lavoratori possono farsi assistere,
ove lo ritengano opportuno, da esperti.

6. La procedura di cui al comma 5 deve essere esaurita entro quarantacinque giorni dalla data del
ricevimento della comunicazione dell'impresa.
Il datore di lavoro non è mai costretto a prendere decisioni che non vuole prendere.

Se dopo la procedura l’esito è negativo c’è tempo supplementare: (30 giorni)


7. Qualora non sia stato raggiunto l'accordo, il direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro e della
massima occupazione convoca le parti al fine di un ulteriore esame delle materie di cui al comma 5,
anche formulando proposte per la realizzazione di un accordo. Tale esame deve comunque esaurirsi
entro trenta giorni dal ricevimento da parte dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima
occupazione della comunicazione dell'impresa prevista al comma 6.

9. Raggiunto l'accordo sindacale ovvero esaurita la procedura di cui ai commi 6, 7 e 8, l'impresa ha


facoltà di licenziare gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno
di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. (fase finale)
La procedura può concludersi:
- con accordo sindacale
- con un mancato accordo

250
Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l'elenco dei lavoratori licenziati, con l'indicazione
per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di
inquadramento, dell'età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le
quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'art. 5, comma 1, deve essere comunicato per iscritto
all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale
per l'impiego e alle associazioni di categoria di
cui al comma 2.

11. Gli accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure di cui al presente articolo, che prevedano il
riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire, anche in deroga al
secondo comma dell'art. 2103 del codice civile, la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte.

12. Le comunicazioni di cui al comma 9 sono prive di efficacia ove siano state effettuate senza
l'osservanza della forma scritta e delle procedure previste dal presente articolo. Gli eventuali vizi della
comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo possono essere sanati, ad ogni effetto di legge,
nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.

COSA AVVIENE PRIMA DEL LICENZIAMENTO?


Articolo 5
Criteri di scelta dei lavoratori ed oneri a carico delle imprese

La ratio è quella della massima oggettività.

1. L'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-
produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti
collettivi stipulati con i sindacati di cui all'art. 4, comma 2, ovvero in mancanza di questi contratti, nel
rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:

a ) carichi di famiglia;
b ) anzianità;
c ) esigenze tecnico-produttive ed organizzative

L’art. 5 è la modalità con cui il legislatore vuole evitare una scelta discrezionale del datore.
Obbliga il datore ad applicare determinati criteri stabiliti a priori dalla legge o dall’accordo sindacale.

PERCHE’ IL LEGISLATORE USA DUE VOLTE IL TERMINE “TECNICO PRODUTTIVE ED


ORGANIZZATIVE”?
La norma attraverso il primo riferimento dà una regola precisa al datore di lavoro, correlata al modo di
scegliere il confine dei lavoratori a cui applicare i criteri di scelta.

ES: azienda di 1.000 lavoratori divisa in vari comparti, in vari edifici (produzione, contabilità…)
Se ne ha 1.000 è diverso da quella che ne ha 100.
Se il lavoratore decide di licenziare 10 lavoratori del magazzino può prendere la scelta di applicare i criteri
solo a quei 100 del magazzino?

SI. Può anche ridurre l’ambito dei lavoratori a cui applicare i criteri di scelta, può decidere di fare una cernita
ma solo se sussistono esigenze tecnico-produttive ed organizzative. (fungibilità o meno delle mansioni).

Altrimenti i criteri vanno applicati all’intero complesso aziendale.

251
Poi vi è un riferimento ai criteri di scelta previsti da accordi collettivi stipulati con i sindacati (art.4 comma
2).

COSA SI INTENDE PER ACCORDO COLLETTIVO?

Il contratto collettivo gestionale era stato oggetto di una decisione della corte nel ’94 perché questo contratto
collettivo quando viene stipulato ha una particolarità: può essere applicato a tutti a prescindere dal fatto di
essere stato stipulato solo da una parte di RSA o RSU.

La corte disse che non c’è contrasto con l’art. 39 perché non sono veri e propri contratti normativi in cui le
parti decidono con una finalità normativa.

COSA POSSONO FARE I CONTRATTI COLLETTIVI?


Possono entrare nel merito dei criteri di scelta e se si arriva ad un accordo (volontà di entrambe le parti)
l’idea è quella di dare una certa valenza al rapporto (conseguenze anche economiche.

Nell’accordo c’è la possibilità di prevedere anche altri criteri di scelta (rispetto ai 3 principali):
- VICINANZA ALLA PENSIONE

Quelli principali previsti sono:

a) carichi di famiglia (figli a carico…)

b) anzianità (di servizio, con intento legato al fatto che se uno ne ha di più dovrebbe essere trattato meglio ed
escluso dalla scelta). Sono diversi i motivi alla base: ES: necessità che il datore abbi gratitudine, oppure
difficoltà nel mercato legata all’anzianità.

c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative

Il criterio dell’anzianità nell’ambito degli accordi che spesso si trovano nella prassi è visto: spesso
nell’accordo tra lavoratori e parti sociali vi è il criterio di scelta della vicinanza al pensionamento
(ribaltamento dell’idea).

Anche qui c’è un valore sottostante di tutela sociale: i lavoratori più anziani sono più vicini al
pensionamento, il datore li aiuta con delle erogazioni economiche (3/4 anni che mancano) copro i contributi
previdenziali che devono dare e scelgo prima loro. (c’è anche un interesse del datore).
Questo criterio è una delle ragioni che hanno portato agli esodati. (persone che erano state travolte nel 2012
dalla legge Fornero che aveva alzato l’età del pensionamento).
La norma aveva un fatto non molto rilevante per chi era al lavoro. Problematica era la situazione di coloro
che aveva già ottenuto attraverso degli accordi delle erogazioni di tipo monetario di copertura previdenziale
in base ai calcoli vecchi.

Nel 2012 ci sono state diverse modifiche anche in materia di licenziamento per il licenziamento DINI (art. 4
comma 9).
Inizialmente la normativa prevedeva il contestuale (recesso non c’è ancora stato) invio della comunicazione
finale, oggi entro 7 giorni dalla comunicazione di recesso.
La conseguenza in questo caso è la rilevanza dell’eventuale comunicazione finale (se è sbagliata comporta
l’inefficacia del licenziamento).
Oggi il legislatore è stato chiaro: la comunicazione finale ha perso valenza.

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Gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo possono essere sanati, ad
ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di
licenziamento collettivo (l’accordo è sanante di eventuali comunicazioni iniziali).

CONSEGUENZA SULL’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA

C’era già una giurisprudenza che affermava che in alcuni casi l’accordo sanava la comunicazione iniziale
(casi in cui essa non conteneva difetti fondamentali).

Oggi la legge prevede la possibilità che l’accordo sani la comunicazione iniziale ma la giurisprudenza
continua ad affermare che L’eventuale accordo può sanare vizi di poco conto; vizi fondamentali NO!!!

La vera modifica è legata alle sanzioni: rimandano a quelle che l’ordinamento prevede per i licenziamenti
individuali (con particolarità).

Per coloro che sono stati assunti prima del 7/03/2015 i riferimenti sono all’art. 18 modificato, per il restante i
riferimenti sono al decreto 23/2015.

SANZIONI ART. 5 COMMA 3 (prima 07/03) e nel decreto all’art. 10

ART. 5
3. Qualora il licenziamento sia intimato senza l'osservanza della forma scritta, si applica il regime
sanzionatorio di cui all'articolo 18, primo comma, (reintegra per licenziamento nullo o discriminatorio)
della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.
In caso di violazione delle procedure richiamate all'articolo 4, comma 12 nonché' di violazione delle
procedure di cui all'articolo 189, comma 6, del codice della crisi e dell'insolvenza, si applica il regime
di cui al terzo periodo del settimo comma del già menzionato articolo 18. I

Per i licenziamenti collettivi si applica la sola tutela risarcitoria.


In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto
comma del medesimo articolo 18 (reintegra) L’art. 28 è insussistenza del fatto contestato: reintegra con
risarcimento limitato. Art. 18 (12/24 mensilità).

Dopo il 7/03/2015:
Articolo 10
Art. 10
1. In caso di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223,
intimato senza l'osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all'articolo 2
del presente decreto. In caso di violazione delle procedure richiamate all'articolo 4, comma 12, o dei
criteri di scelta di cui
all'articolo 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, si applica il regime di cui all'articolo 3, comma 1.
(risarcitorio monetario da 6 a 36)

La norma per la prima parte riprende quanto vale per chi è stato assunto prima ma per la seconda parte la
sanzione è la medesima per violazione di procedura e dei criteri di scelta (prima = inefficacia e
reintegra/dopo=risarcimento)
La corte nel 2018 è intervenuta sull’art. 3, ha fatto saltare il risarcimento automatico, ma ci ha detto che la
questione temporale non è un problema (se ad esempio l’assunzione è stata prima o dopo).

253
254
DOMANDE

CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE/EFFICACIA


POTERI/DOVERI DEL DATORE DI LAVORO
POTERI/DOVERI LAVORATORE
LICENZIAMENTI COLLETTIVI
EFFICACIA SOGGETTIVA
LAVORO DOMESTICO
APPRENDISTATO
LICENZIAMENTI INDIVIDUALI
POTERI DATORE IUS VARIANDI
RINUNZIE E TRANSAZIONI
RSA/RSU
SCIOPERO E SERRATE
LICENZIAMENTI INDIVIDUALI PER MOTIVI ECONOMICI SECONDO IL D. 23/2015 (CONTRATTO
TUTELE CRESCENTI) REGOLAZIONE NORMATIVA E PROBLEMI INTERPRETATIVI

Anche in materia di lavoro esiste la prescrizione: art. 2934 cc

La prescrizione normale è quella di 10 anni, altri casi fanno riferimento a 5 anni.


Per il diritto del lavoro si applica più spesso la prescrizione di 5 anni (retributiva..)
La particolarità è legata alla questione della decorrenza della prescrizione:
QUANDO IO POSSO COMINCIARE A CONTARE I GIORNI PER L’AVVENUTA PRESCRIZIONE?
Vi sono diritti che non sono prescrittivi: anzianità di servizio.

Quello che conta è il momento della decorrenza.


Sin dagli anni ’60 si intervenne con una pronuncia importante dicendo che:
per quanto riguarda il lavoratore la prescrizione comincia a decorrere dalla fine del rapporto di lavoro.

In virtù della paura del lavoratore ad incorrere.. fa si che il datore

La questione cambia dagli anni ’70 quando l’art. 18 introduce l atutela reale (reintegra sia in caso di nullità,
annullabilità, inefficacia per violazione delle procedure).

In quel periodo la corte è intervenuta dicendo che davanti alla possibilità della reintegrazione, la prescrizione
può decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

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Cosa accade?
Dal 2012/15 le sanzioni sono plurime e nessuno sa
Il lavoratore chiederà in via principale
In via subordinata il risarcimento.
La questione è stata oggetto di varie
La cassazione ha detto definitivamente che la nuova modalità non permette di valutare se c’è o meno la
reintegrazione.
Oggi anche per le grandi aziende la prescrizione comincia a decorrere dal giorno della cessazione del
rapporto di lavoro.

COSA ACCADE OGGI DAVANTI AD UNA MODALITA’ PRODUTTIVA DI FRAMMENTAZIONE?

Per imprese che hanno un ciclo produttivo frammentato.

Alcuni istituti del decreto 276/2003 e altri.

Il primo istituto è quello del distacco: fino al 2003 non vi era una nozione normativa.

ES: azienda che produce software, li vende, le grandi multinazionali


Es: pirelli produce gomme

L’appalto ha diversi riferimenti.

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