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DIRITTO DEL LAVORO

Il diritto del lavoro lo ritroviamo nei libri 4\5 c.c. (norme di raccordo che rinviano ad una
legislazione di settore).

Le parti del corso saranno -> 1. Studio del contratto di lavoro + codice del diritto del lavoro; 2.
Rapporto di lavoro subordinato, autonomo; 3. Organizzazione sindacale (39\40 art.), una forma di
organizzazione sociale per riequilibrare i termini dello scambio ed organizzare lo scambio ad
un’idea di parità di contraenti, non ha codice, tutto Common Law-> quindi sistema di precedenti
poiché nessuno ancora ha codi cato. E’ diviso in 3 parti -> coalizione, sciopero, contratto
collettivo; 4 Rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici (alcuni regolati dal diritto pubblico, per
esempio il corpo diplomatico); 5.Previdenza ( pensioni, invalidità, infortuni sul lavoro)- corso a
parte; 6.Diritto comparato

La nostra Costituzione-> colloca al centro dei principi un’idea partecipativa

Il diritto del lavoro è un fatto pubblico, riguarda le condizioni poiché i singoli possano
partecipare alla vita democratica, art. 3 comma 2-> necessaria la presenza dello stato-> deve
garantire e facilitare con i suoi apparati l’occupazione + art.4 (quindi ci sarà anche lo studio delle
politiche pubbliche e cicliche).

Il sistema sindacale, come abbiamo già accennato, non è normato -> si sviluppa da solo, come
un fenomeno sociale, non è un fenomeno che nasce dall’alto, ma è spontaneo-> si capì che la
coalizione era uno strumento di pressione, di coazione per l’imprenditore. Il fenomeno sindacale
nasce x spontanea iniziativa al di fuori di un quadro normativo e, il diritto cerca di determinare le
condizione di legittimità dell’attività -> la prima discussione fu appunto, quale tipo di attività, di
minaccia, i lavoratori potevano porre in essere. Il diritto del lavoro nasce da questi frammenti.

Nei primi del 900, in Inghilterra i lavoratori organizzarono uno sciopero -> le merci non potevano
né entrare né uscire. Il procuratore del re identi ca i capi del sindacato, ma cosa imputava?
Imputava di aver impedito l’accesso delle merci -> si ritenne la non punibilità dei soggetti, si
legittimò il diritto di sciopero attraverso l’ammissione della non punibilità -> liceità dell’attività.

Il sorgere del sindacato è un fenomeno di autorganizzazione che si fonda sul di ondersi delle idee
(manifesto partito comunista, 1848); il sindacalismo in Italia è un sindacalismo bianco (poi
vedremo che è stato anche rosso), dove erano i parroci ad organizzare le casse rurali.

Come abbiamo già detto, il fenomeno sindacale si divide in tre parti:

1. Lo sciopero, che è la mancata prestazione dell’attività lavorativa e ha un destinatario, non è ne


a se stesso -> lo sciopero, nella fase ottocentesca, infatti, aveva come destinatario il datore di
lavoro o l’associazione degli imprenditori. Il fenomeno dello sciopero conosce da subito una sorta
di contagio -> non scioperano solo i lavoratori dell’impresa x, ma si comunica a tutto un settore
(sciopero di solidarietà). L’imprenditore compra delle materie prime e commercializza, avendo
rapporti con chi è addetto alle vendite al dettaglio -> questa liera produttiva va dalla materia
prima al prodotto nito; Questa dipendenza del commercio a monte (con materie prima) e a valle
(chi commercia al dettaglio) signi ca che l’eventuale stop produttivo che debba subire un certo
stabilimento si ripercuote a valle e a monte.

Si pone un problema: qual è l’impatto dello sciopero sui contratti di vendita o di fornitura?
L’inadempimento libera il debitore dalla responsabilità quando deriva da un fatto a lui non
imputabile (art. 1218, responsabilità contrattuale), ma lo sciopero è colpa di chi? L’imprenditore
subisce un danno (perde i clienti e deve risarcire il danno), ma anche i lavoratori lo subiscono
perché scioperando perdono il diritto alla retribuzione.

Lo sciopero ha un signi cato solo se nalizzato ad un accordo diverso, non si sciopera per
scioperare; lo sciopero è funzionale a modi care l’accordo.
Tra i soggetti che scioperano e i soggetti che bene ciano del contratto collettivo si tende ad
assicurare una certa coincidenza, ma non è facile assicurare questa coincidenza perché si tratta
di un problema di libertà del sistema produttivo economico.
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2. La coalizione= attività di organizzazione dello sciopero; se lo sciopero non raggiunge l’adesione
completa o quasi dei lavoratori al datore di lavoro non cambia nulla, anzi farà lavorare di più quelli
che vengono. La coalizione è funzionale a creare il consenso tra i soggetti che sono interessati
prima allo sciopero e poi al contratto, perché i soggetti che bene ciano del contratto non possono
essere di più rispetto a quelli che bene ciano dello sciopero e viceversa.

Si delimita un perimetro di solidarietà, e la formula giuridica che si adotta è la libertà di


associazione, la quale è frutto della rivoluzione francese.

È su ciente a nché ci siano i sindacati che ci sia:


-la libertà di associazione
- Il riconoscimento della non punibilità dello sciopero
- Lo sciopero non deve danneggiare gli altri (es.non posso bloccare le strade)

Questi tre pro li consentono che il fenomeno sindacale sorga senza norme.

3. Il contratto collettivo-> c’è bisogno di una norma perché il contratto collettivo sia vincolante?
Es. Diritto internazionale-> nel diritto internazionale non c’è un giudice, quindi il trattato non
richiede che ci sia un giudice perché si producano e etti giuridici, basta la consapevolezza della
violazione. Il contratto collettivo non richiede una norma (es gli inglesi dicono che il contratto
collettivo è vincolante solo sulla base dell’onore).

Bisogna, inoltre, ricordarci che la storia del diritto del lavoro è una storia dove lo stato interviene a
corrente alternata, ossia ci sono momenti in cui interviene altri in cui non interviene.

La storia del diritto del lavoro italiano è la seguente:

All’inizio non vi sono norme, nemmeno sul contratto di lavoro privato, ma le chiedono gli
impiegati.

La legge sugli impiegati privati è del 1924-> gli impiegati si fanno avanti a ermando di essere
morti per la patria e quindi meritevoli di tutela; alla ne dell’800 ci si rende conto che per vedere
applicate le norme del diritto civile bisogna rivolgersi ad un avvocato, ma gli avvocati costano e gli
operai non hanno i soldi per pagare gli avvocati.
Lo stato non garantisce necessariamente un accesso gratuito alla giustizia, si crea quindi, un
ordine di giudici gratuito, dove i giudici sono dei soggetti che hanno un passato di sindacalista e
che coadiuvati da altre gure garantivano la giustizia a prezzi modici -> in Italia queste forme di
amministrazione della giustizia sono state eliminate con il fascismo, perché le dittature si fondano
sul consenso di persone che avevano ottenuto dei vantaggi.

Una parte dei lavoratori ottenne dei vantaggi per paura che la rivoluzione russa contagiasse tutti
gli altri paesi.

La pretesa di ogni regime dittatoriale è quella di spegnere ogni forma di regolazione autonoma.
I sindacati sono i luoghi del dissenso, quindi quando arriva al potere il fascismo tutto quello
relativo al sindacato viene normato: la normazione è nalizzata al controllo (Libro V c.c.)

Abbiamo 3 fasi:
- Fase di assenza di intervento
- Fase di regolamentazione
- Fase in cui la costituzione della repubblica entra in vigore -> art. 1, 2, 3, 4.

-Art. 1
-Art.2
-Art.3: principio di eguaglianza formale e sostanziale, 3.2: fa riferimento ai lavoratori
-Art.4: il cittadino ha diritto al lavoro per partecipare alla costruzione di una società migliore,
quindi è un dritto ma anche un dovere.
-Art.35 a 40: articolo 35 riprende un testo fascista.
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-Art.36: prevede un salario minimo, ma non abbiamo una legge che attua un salario minimo.
-Art.37: garantisce parità retributiva tra donne e uomini e tra giovani e vecchi.
-Art.39: a erma che l’organizzazione sindacale è libera, nei commi 2-3-4 prende il testo fascista e
lo democratizza. (Si sta valutando se cancellarla o meno)
-Art. 40: si occupa dello sciopero, a ermando che è un diritto.
Ciò che lega articolo 36 e 39 é il tipo di economia che si vuole.
-Art 41-42 + 46

Abbiamo quindi 3 fasi del diritto del lavoro, la prima dall’inizio no agli interventi di
l’edi cazione del regime fascista- no al codice; fase breve dove il codice legifera il contratto
collettivo, inserito nel novero delle fonti, nessuna anima ha pensato di cancellare questo
riconoscimento nel codice; ultima fase, dall’abrogazione del fascismo no ad oggi-> si torna
all’antica, carenza di norme di disciplina.

Durante il regime fascista, ill contratto collettivo è inserito nelle fonti di diritto -> si parla di norme
corporative, che facevano riferimento al sistema delle relazioni sindacali, consolidate nell’800,
l’idea di questo regime aveva-> due polarità, una del libero mercato, incarnata dagli usa, dove lo
stato si astiene dall’introdurre norme che limitano l’autonomia individuale, perché non pensavano
che lo stato dovesse dire come i datori di lavoro dovessero comportarsi-> sistema che premia
l’autonomia individuale ma, il sindacato non produce norme dil legge ma, saranno il frutto di una
autonomia negoziale collettiva, incontro che si realizza tra i lavoratori e il datore di lavoro=
ammette lo sciopero, il con itto sociale, abbiamo quindi la libertà di manifestare; in
contrapposizione, avevamo la rivoluzione russa, la collettivizzazione, la statalizzazione di ogni
bene-> la proprietà privata non esisteva, tutto dello stato.

L’Italia-> attua la terza via del fascismo-> sistema dove la contrapposizione tra capitale e lavoro è
andato avanti, nel corporativismo gli operai e i padroni vanno d’accordo-> non ci poteva
scioperare= galera. Il vantaggio era che questo sistema mediava tra capitale e lavoro, tramite
l’intervento delle strutture del partito = soddisfazione interessi dei lavoratori. Da un rilievo, un
miglioramento delle condizioni di vita-> boni ca, migliora la piccola borghesia, etc.

Quando si arriva alla costituzione, il sindacato ha avuto un ruolo importante nell’organizzazione


della fase nale delle guerra. Nel 43’ no al 45’ -> il sindacato riemerge, perché nel periodo
fascista era stato diviso, una parte si trasferisce nelle strutture del partito fascista, quella che
diceva anche il fascismo rendeva il contratto collettivo fonte di diritto, invece l’altra fu
perseguitata, omicidi e detenzione. Al sindacato l’idea che il contratto collettivo sia una fonte di
diritto, ovvero si ha una pari cazione alla legge di un atto che nasce dal frutto di un’accordo tra il
sindacato dei lavoratori e imprenditori, piace. Se è fonte del diritto si applica a tutti, tutte le
imprese. Perche questo risultato ? La costituzione accetta questa richiesta del sindacato, art.39.

Ma questo sistema non si realizza, appena si elegge il primo parlamento-> si parla di legge
sindacale ma non se ne viene fuori-> meta anni 50, si discute ancora -> quando si tratta di votare
la legge sindacale la maggioranza viene meno. Perche ?
1. Avevano di meglio da fare? Esisteva il partito comunista di stretta osservanza lo-sovietica +
segno di gratitudine per il piano Marshall, l’Italia non sapeva con chi stare: sovietici, americani
o a metà= alle urne la democrazia Cristiana prende più del 50 %

La situazione sindacale-> ha una matrice bianca, democrazia c; e una matrice rossa, partito
comunista e socialista.Nel 47 è rosso in prevalenza, quindi attribuire agli accordi sindacali il
valore di una fonte di diritto, signi ca attribuire ad un sindacato maggiormente comunista il
potere di produrre norme nel sistema Italiano-> il parlamento va quindi in cortocircuito-> la
legge sindacale non si fa, l’esito temuto era che la maggioranza di coloro che avrebbero votato
era iscritto al sindacato lo-sovietico.

In Germania dal 45 c’era un unico sindacato = i social democratici + cristiani sociali, ma non
prendevano ordini dal comunismo al contrario dell’Italia.

Noi in Italia abbiamo 3 sindacati, spesso operano come in Germania unitariamente.


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Negli anni 50-> se fare la legge sindacale o no->la D.C. dice no-> i lavoratori avranno danni? Il
sindacato c’era e riusciva ad a ermarsi, quindi non si vede la necessità. Il partito comunista
perché non manifesta ? Loro non avrebbero i voti in parlamento, poi non importava della norma
costituzionale, perché : 1. Il sindacato c’è ed è a maggioranza comunista; 2. La legge sindacale si
potrebbe fare e dare più tutela, ma la costituzione dice che si deve applicare il principio di
maggioranza, piace al sindacato ? Signi ca che ci si divide, e la prima regola del sindaco è evitare
questo, bisogna essere uniti, senno il padrone domina.

Poi c’è un problema tecnico, come si stabilisce la maggioranza e la minoranza, bisogna contarsi
-> nel sindacato come si intano i lavoratori ? Ancor oggi, non si sa applicare il principio di
maggioranza.

C’era quindi il timore della CGL per il principio di maggioranza-> la tutela contro il licenziamento è
del 66-> i primi anni 60 le donne poteva essere licenziate anche solo se si sposavano, siamo negli
anni 50, dove chiunque poteva essere licenziato, licenziamento ad nutum, completamento libero,
e il giudice non poteva ricostruire il apporto. La CGL-> teme che ci sia un’elenco dei lavoratori
iscritti al sindacato, ancora oggi non c’è, il datore di lavoro tendenzialmente può saperlo se è
iscritto ma non a quale, dato riservato.

E’ vietato il cosiddetto Black-listing-> si mandano le liste e licenziavano essendo iscritti al


sindacato.

Quindi la norma costituzionale non viene mai abilitata.

Ora, dopo 70 anni, che si fa ? Si attua o meno ? Abbiamo una direttiva approvata il 7 di ottobre
che impone agli stati di individuare un modello che garantisca retribuzioni dignitose-> Svezia e
Danimarca tutelano, l’Italia invece non sa cosa farà.

Direttiva frutto di una mediazione tra consiglio e parlamento-> ottobre 2023 forse si farà qualcosa.

Abbiamo un sistema basato sulla libertà, la presenza dello stato a sostegno della contrattazione
collettiva è modesta, c’è stato un momenti negli anni 70 = politica di sostegno ma, presupponeva
un sindacato forte e di uso, cosa che negli ultimi 20 anni non è, quindi, abbiamo una legislazione
che ipotizzava una presenza capillare del sindacato, ma non è più cosi .

C’è sicuramente una situazione sociale dove la povertà è in crescita. Anche i dati sulla povertà
alimentare mettono in luce problemi. La questione del salario minimo, quindi, è di grande rilievo,
riguarda tutti.

Ora avendo nito la parte introduttiva del corso, addentriamoci nella materia.

Il diritto del lavoro è una materia relativamente nuova. Nasce tra la ne dell'ottocento e l'inizio del
secolo scorso con l'industrializzazione e il sorgere della questione sociale. Con un andamento
diseguale nei diversi paesi europei, si è formata una disciplina speciale, che regolava i rapporti di
lavoro subordinato, tendendo così a rispondere alla cosi detta questione sociale.

Bisogna sottolineare come il diritto del lavoro attuale, è calato in un di erente contesto
economico sociale rispetto, alla sua nascita. Infatti, siamo in un'epoca denominata post-fordista,
caratterizzata dalla perdita di centralità dell'industria manifatturiera e dalla prevalenza del settore
dei servizi. Siamo inoltre, in un’epoca caratterizzata dal fenomeno della globalizzazione, con
un'accentuata mobilità delle merci e delle imprese.

Tradizionalmente, il diritto del lavoro è sempre riguardanti rapporti di lavoro subordinato, de niti
dall'articolo 2094 c.c., ma rispetto alla tradizionale impostazione ci sono veri cati fenomeni nuovi.
Da una parte è stata una proliferazione di tipologie di lavoro subordinato: infatti questa categoria
ora è articolata su interno in gure contrattuali diverse, lavoro a tempo parziale, a termine,
ripartito, che pongono problemi di adattamento della normativa generale + problemi di
sistemazione concettuale. Dall'altra parte vi è stata la di usione di forme di lavoro autonomo che
presentano forti assonanze con il lavoro subordinato.
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Emerge, quindi, che l'oggetto del diritto del lavoro, si è in un certo senso frammentato, e dall'altro
si è ampliato. Tutto ciò ha fatto sì che si sia a ermata una diversa lettura delle norme
costituzionali attinenti al lavoro, che precedentemente si riteneva riguardassero solo il lavoro
subordinato.

Il perimetro del diritto del lavoro è, infatti, segnato dalle norme costituzionali che lo contemplano :
articolo 1; 4; 35; 36; 37;38 secondo comma; 39; 46; 99 + i principi degli articoli 2, 3 secondo
comma, 38, 41. In passato, nella norma base di tutela del lavoro, l'articolo 35, è stata vista
l'a ermazione della linea di tendenza a sostegno della classe lavoratrice e, dunque, il lavoro è
stato identi cato con i valori e le esigenze di questa classe. In tale linea di pensiero il lavoro
necessariamente coincideva con il lavoro dipendente. Ma, alcuni, hanno ritenuto già in passato
che il lavoro tutelato fosse anche quello autonomo, purché sottoprotetto e, dunque, fosse da
escludere solo il lavoro imprenditoriale. Oggi è sempre più avvertita indottrina l'esigenza di una
rilettura delle norme costituzionali alla luce delle modi cazioni intervenute nella società: la lettura
aggiornata della carta costituzionale ha indotto ormai a concludere che, tranne negli art. 36,37,46
e 51 3 comma, la costituzione esprima piena neutralità circa le forme di lavoro, e quindi, che la
norma base di tutela del lavoro che ritroviamo all'articolo 35 si riferisca a tutte le forme di lavoro,
sia subordinato che autonomo. Infatti, ciò che interessa il costituente e rimuovere le situazioni di
debolezza contrattuale o di evidente inferiorità socioeconomica ovunque si manifestino.

IL RAPPORTO DI LAVORO (In particolare -> la nozione di lavoro subordinato)

Tradizionalmente, il diritto del lavoro ha sempre riguardato il rapporto di lavoro subordinato, come
de nito nell'articolo 2094 c.c., mai il lavoro autonomo. In più, la disciplina del codice civile e delle
leggi speciali visualizzano sociologicamente un certo tipo di rapporto di lavoro subordinato: il
contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato.
Rispetto alla tradizionale impostazione, si sono veri cati nuovi fenomeni, che attengono alla
tipologia di rapporti di lavoro e che niscono per investire lo stesso oggetto della materia. Da una
parte, vi è stata una proliferazione, assecondata dall'ordinamento, di tipologie di lavoro
subordinato (part-time, a tempo determinato ecc.), che pongono dal punto di vista interpretativo,
problemi di adattamento, dal punto di vista sistematico problemi di sistemazione concettuale;
d'altra parte si è veri cata la di usione di forme di lavoro autonomo che presentano forti
assonanze con il lavoro subordinato divenuti oggetto di regolazione legislativa, prima nella legge
delega del 14 febbraio 2003 numero 30 e nel decreto legislativo 10 settembre 2003 numero 276, e
successivamente nella legge del 28 giugno 2012 numero 92 e nel cosiddetto Jobs Act -> si pensi
ai rapporti di collaborazione coordinata, continuativa e prevalentemente personale.

Dunque, se nel quadro segnato dal paradigma organizzativo fordista, il binomio subordinazione
impresa sembrava necessario, ora quel binomio si è allentato e può essere sostituito da altri
contratti e combinazioni più so sticate.

Emerge quindi, che l'oggetto del diritto del lavoro, da un lato si è frammentato; dall'altro si è
ampliato, nel senso di riguardare anche i rapporti di lavoro autonomo. In particolare con il Jobs
Act si realizza un vero e proprio riorientamento del diritto del lavoro: in particolare dal cosiddetto
statuto dei lavoratori degli anni 70 del secolo scorso.

L'insieme dei decreti legislativi adottati a seguito della d.l. n. 183 del 2014 tocca tutti gli snodi
della materia-> questo segna un mutamento rispetto ai precedenti interventi riformatori.
L'unica materia esclusa è quella dei rapporti collettivi, vale a dire la regolazione delle
rappresentanze sindacali e della contrattazione collettiva. La riforma si ispira all'idea di exicurity,
un'idea di ascendenza europea tendente a rendere più essibile la disciplina del rapporto di lavoro
e, ra orzare la sicurezza dei lavoratori sul piano del mercato del lavoro, sia per quanto riguarda la
tutela del reddito, che per quanto riguarda il reimpiego di chi si trova in stato di disoccupazione.

L'obiettivo perseguito dal legislatore è incentivare la stipulazione del contratto di lavoro


subordinato a tempo indeterminato, considerato quale forma comune di rapporto di lavoro, pur
non cancellando le tipologie essibili di rapporto.
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Con la successiva legge numero 81 del 2017 il legislatore interviene sulla disciplina del lavoro
autonomo non imprenditoriale, introducendo una disciplina innanzitutto di tipo incentivante e
promozionale-> ad esempio, divieto di clausole abusive, tutela delle invenzioni ecc).

Poiché parte delle norme, in questo caso di tutela, concerne solo i collaboratori continuativi, non
pare che sia scomparsa dall'orizzonte l'idea di una tutela del lavoro economicamente dipendente
da tempo discussa nel dibattito dottrinale, anche internazionale. Si verrebbe cioè a radicare nello
statuto generale del lavoratore autonomo, uno statuto speciale per il lavoratore continuativo, ma
in forma veramente rudimentale.

La legge numero 81 del 2017 regola anche il cosiddetto lavoro agile, una forma di lavoro
subordinato caratterizzato dal fatto che la prestazione lavorativa viene svolta in parte all'interno
dei locali aziendali, in parte all'esterno, senza postazione ssa, con la possibile utilizzazione di
strumenti tecnologici. Poiché l'esecuzione della prestazione all'interno dell'azienda non
costituisce un e etto necessario del contratto di lavoro, le ragioni della regolazione del cosiddetto
lavoro agile appaiono più che altro di tipo promozionale della gura.

Si può dire che il Jobs Act abbia cercato di tenere insieme le istanze della crescita economica e
della valorizzazione del lavoro, concepite non come contrapposte ma come complementari: il
successivo decreto legislativo del 12 luglio 2018, numero 87 segna una parziale correzione di
rotta che non sembra alterare, l'impianto di fondo della riforma operata dal Jobs Act.

ORA-> pure in presenza di un ampliamento dell'oggetto del diritto del lavoro, la sua
fondamentale fattispecie applicativa resta il rapporto di lavoro subordinato, che trae origine
dal contratto di lavoro. Invero il codice civile non de nisce il contratto di lavoro, ma il prestatore di
lavoro subordinato, intitola la relativa disciplina al rapporto di lavoro e, la colloca nel libro V.

La disciplina del rapporto di lavoro viene presentata come una parte della disciplina dell'impresa,
di cui l'altra parte è costituita dalla disciplina dell'imprenditore, de nito nell'articolo 2082.
Tali elementi hanno contribuito alla prospettazione della cosiddetta teoria istituzionalistica del
rapporto di lavoro: il rapporto di lavoro trarrebbe origine non da un contratto, ma dall'inserimento
del prestatore di lavoro nell'impresa, vista come comunione di scopo, organizzata su base
gerarchica-> questo spiegherebbe una serie di posizioni soggettive, quali il potere direttivo del
datore di lavoro e la subordinazione del prestatore di lavoro. Il relativo successo di questa dottrina
è dovuto alle considerazioni sopra svolte circa l'impostazione del codice civile in ordine alla
collocazione della disciplina del rapporto di lavoro, visto come parte della disciplina dell'impresa-
> inoltre, sulla base della natura contrattuale del rapporto di lavoro, non si riusciva a spiegare in
modo esauriente l'esistenza di poteri unilaterali del datore di lavoro, che apparivano scarsamente
inquadrabili nella logica paritaria della posizione dei due contraenti, tipica degli altri rapporti
contrattuali.

Tuttavia, n dagli anni 70 del secolo scorso, la dottrina maggioritaria italiana ha sconfessato la
teoria istituzionalistica del rapporto di lavoro, che invero ha avuto diverse sfumature. L'obiezione
di fondo è che se è viziata sul piano logico dal momento che è ben concepibile un'attività in
comune senza scopo comune; inoltre non trova conforto sul piano del diritto positivo, giacché nel
nostro ordinamento nessuna norma con gura l'impresa come comunione di scopo.

Nel codice civile vi sono peraltro alcune disposizioni che confermano la natura contrattuale del
rapporto di lavoro-> oltre che nello stesso articolo 2094, possiamo trovare tale conferma nella
disposizione relativa alla prestazione di fatto con violazione di legge, di cui all’articolo 2126 del
codice civile. La regola generale è che la nullità e l'annullamento del contratto di lavoro non
producono e etto nel periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi
dall'illecita dell'oggetto o della causa: per il tempo in cui il rapporto avuto esecuzione
permangono, dunque, le obbligazioni in capo al datore di lavoro, a cominciare da quella
retributiva-> PREME RILEVARE come -> se è vero che la semplice esecuzione del rapporto è
fonte di obbligazioni, la norma postuli per sempre, ed esplicitamente, l'esistenza di un contratto,
sia pure dichiarato nullo o annullato. Dunque, il rapporto di lavoro è, e rimane, un rapporto
contrattuale di scambio->le posizioni giuridiche attive passive in cui esso si articola vanno
ricondotte al contratto.
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La peculiarità del rapporto di lavoro rispetto agli altri rapporti contrattuali di scambio è che in
esso il prestatore mette in gioco, non solo il suo patrimonio, ma anche la sua persona, data
l'inseparabilità della stessa dall'attività lavorativa dedotta in contratto.

Proprio l'immanenza della stessa persona del lavoratore nel contenuto del rapporto esige una
disciplina speciale che tenga conto dell'inseparabilità del lavoro dalla persona umana e quindi
assoggetti l'autonomia individuale a limiti particolari, nella misura richiesta dalla necessità di tutela
del prestatore, in quanto contraente debole. Di qui il corpus normativo che va sotto il nome di
diritto del lavoro, caratterizzato dall'inderogabilità (in peius) di gran parte delle norme che lo
compongono.

Questi diritti non possono che essere indisponibili, o meglio irrinunciabili -> il diritto del lavoro
prevede dei diritti, e perché questi siano e ettivi, ovvero che si abbia garanzia che il soggetto che
ne è titolare li possa esercitare con pienezza, devono essere irrinunciabili. Abbiamo anche detto
che il nostro ordinamento funziona per tipi-> tipizzando le fattispecie contrattuali-> QUINDI, quei
diritti del lavoratore spettano solo quando si ponga in essere un contratto di lavoro.

Qui sorge un problema-> il nostro sistema conosce una pluralità di ipotesi nelle quali si scambia
un'attività umana contro il pagamento di un corrispettivo-> abbiamo la grande ripartizione
romanistica : DO UT DES e DO UT FACES-> quindi noi ci collochiamo nel contratto di lavoro
all'interno di contratti dove lo scambio si realizza tra un dare e un facere-> DO UT FACES-> Dove
non troviamo solo il lavoro subordinato, ma anche il lavoro autonomo, il contratto d'appalto, il
contratto d’agenzia.

E’ chiaro che i diritti sono solo per i lavori subordinati-> l’impresa quindi deve decidere che tipo di
contratto deve stipulare-> un contratto di lavoro subordinato che riconosce la mia controparte
contrattuale tutti quei diritti oppure, un contratto che prevede comunque un facere, ma che non
essendo un contratto di lavoro subordinato quei diritti non li conosce. Qui la tentazione
dell’impresa è forte.

La ratio dell'inderogabilità della disciplina protettiva del lavoratore non risiede tuttavia solo
nell'esigenza di tutela della persona che lavora; talvolta, dipende dalla necessità di tutelare il
contraente debole, stante l'asimmetria di potere tra le parti del rapporto.
Ciò giusti ca una sorta di ripensamento - attualmente in corso - sull'inderogabilità delle norme
che compongono il diritto del lavoro e la tendenza a distinguere le norme che devono restare
inderogabili, perché poste a presidio della persona, e quelle poste a tutela del contraente debole,
che invece possono essere in vario modo derogare, la dove venga meno l’asimmetria di potere,
magari grazie all’intervento sindacale.

L'intero corpus normativo del diritto del lavoro si applica solo al lavoratore subordinato. Il
problema che si presenta, quindi, a quello di de nire la fattispecie della subordinazione, dal
momento che l'attività di lavoro può essere dedotta anche in un contratto d'opera (art. 2222 c.c.).

Quindi, emerge la seguente questione: chi è lavoratore subordinato, per chi sono scritti quei
diritti?

La quali cazione di un contratto-> non è regolata da nessuna norma, è un dato di contesto->


risponde a quel principio urbanistico per cui il giudice che decide che tipo di negozio è stato
posto in essere-> il tipo è indisponibile, non rientra nella disponibilità delle parti.

La stessa operazione concettuale fa il giudice del lavoro-> si chiede se quello posto in essere è
un contratto di lavoro subordinato o era per esempio la vendita di alcuni articoli. Il giudice deve
guardare :
-alla nozione di lavoro subordinato secondo a quello che concretamente le parti hanno posto in
essere, cioè al momento esecutivo di quel contratto, per veri care se l'esecuzione di quel
contratto è stato e ettivamente un'esecuzione di un rapporto di lavoro autonomo, come le parti
hanno dichiarato, o se viceversa, l'esecuzione di quel contratto è conforme alle norme che
prevedono la nozione di lavoro subordinato-> quindi guarda le modalità con cui le parti hanno
dato esecuzione al contratto, confrontandole con la nozione di lavoro subordinato
=conseguenze ? Il lavoratore otterrà la di erenza + interessi.
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Quindi quando si ha un rapporto di lavoro subordinato ?

Quindi, come abbiamo già detto, come possiamo de nire la fattispecie della subordinazione, dal
momento che l'attività di lavoro può essere dedotta anche in un contratto d’opera?

Ciò che distingue i due contratti non è il tipo di attività dedotta in obbligazione, ma la sua
modalità. La concezione più di usa, che risale ad un padre fondatore del diritto del lavoro italiano,
Ludovico Barassi, ritiene che subordinazione equivalga ad assoggettamento del prestatore di
lavoro al potere direttivo del datore di lavoro: si tratta della cd. eterodirezione. Ciò è quanto viene
scolpito dall'art. 2094 c.c, allorché considera prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga
a prestare il proprio lavoro intellettuale o manuale "alle dipendenze e sotto la direzione
dell'imprenditore". Tale espressione secondo alcuni è una semplice endiadi; altri enfatizzano il
riferimento alla "dipendenza" del prestatore di lavoro subordinato per dare ingresso a criteri
diversi di rilevazione della subordinazione ed in particolare a criteri di tipo socio-economico, come
la debolezza economica del prestatore di lavoro.

Tuttavia, ad oggi, l'opinione prevalente identi ca la subordinazione come assoggettamento del


prestatore ad eterodirezione. Del resto, anche l'art. 2104 c.c., nel descrivere le obbligazioni del
prestatore di lavoro, al secondo comma, dispone che egli deve seguire le disposizioni per
l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo
dai quali gerarchicamente dipende. Alcuni mettono in luce la non esaustività del criterio dell'etero-
direzione, in quanto essa potrebbe anche mancare o essere molto attenuata in dipendenza del
genere di prestazione dedotta, ad esempio quella dirigenziale o altamente specialistica.Si è
osservato dall’altro lato-> in forma più o meno marcata, l'assoggettamento a direttive del
committente è compatibile anche con un rapporto di lavoro autonomo.

Per quanto possa sembrare singolare, trattandosi appunto della fondamentale fattispecie
applicativa del diritto del lavoro, la discussione circa la vera essenza della subordinazione è
lontana dall'essere conclusa. Lo dimostra la di coltà di inquadrare l'art. 2 del d.levo n. 81 del
2015 e di interpretare il riferimento, ivi contenuto, alla “eterorganizzazione".

La giurisprudenza prevalente aderisce alla concezione della subordinazione come


assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro.
Poi, nelle concrete operazioni di quali cazione, va alla ricerca di indici - de niti indici sussidiari
- rivelatori dell'esistenza della subordinazione sulla base della gura social-tipica di lavoratore
subordinato. Così, è lavoratore subordinato colui che è assoggettato a un determinato orario di
lavoro, percepisce una retribuzione a tempo a prescindere dal risultato, non è proprietario degli
attrezzi di lavoro ma usa quelli messi a disposizione. Nei casi dubbi, la giurisprudenza veri ca
dunque se, nel caso concreto, vi sia una maggiore o minore approssimazione rispetto alla gura
socialtipica di lavoratore subordinato visualizzata dal legislatore quando ha dettato la disciplina di
cui agli artt. 2094 ss.

Si ritiene che la giurisprudenza segua il metodo tipologico-> implica un giudizio di


approssimazione della fattispecie concreta rispetto alla gura sociale tipica di lavoro subordinato,
e non sussuntivo di quali cazione, sul presupposto che, nel momento in cui il legislatore
delineava la gura del lavoratore subordinato e la sua disciplina, visualizzava una gura tipica di
lavoratore (il cd. tipo normativo); e ciò giusti ca l'operazione giurisprudenziale di ricerca degli
indici di questa gura social- tipica che sottostà alla de nizione dell'art. 2094 c.c.
Quelli che la giurisprudenza indica come indici sussidiari sono, in realtà, i criteri principali dalla
stessa utilizzati per risolvere i problemi quali catori soprattutto in tempi recenti, quando,
prevalentemente nel settore dei servizi, la c.d. zona grigia tra autonomia e subordinazione è
diventata sempre più ampia.

QUINDI RIASSUMENDO : Bisogna vedere lavoro subordinato vs lavoro autonomo, 2222->


articolo che dice gran poco, infatti dirà che si ha lavoro autonomo quando si ha una prestazione
lavorativa senza vincolo di subordinazione. Quindi all'articolo 2094 che determina se c'è o non c'è
lavoro subordinato-> quando il lavoratore è eterodiretto, ovvero opera per le dipendenze e sotto la
direzione del datore di lavoro\imprenditore (99% è imprenditore)-> colui in capo al quale sussiste
un potere di etero direzione, dirige la prestazione del lavoratore. Come ? Il termine dipendenza
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segnala la presenza di un potere gerarchico, come se il lavoratore fosse un militare-> nell’esercito
c’è una sorta di catena di comando.

Il sistema di inquadramento, prevede anche qui una catena di comando: la parte più apicale dei
lavoratori appartiene alla cosiddetta categoria dirigenziale, regolata dall'articolo 2095-> i dirigenti
sono i più diretti collaboratori dell’imprenditore-> danno ordini ai lavoratori-> infatti il lavoratore è
tenuto ad eseguire gli ordini che gli vengono legittimamente impartiti dal superiore gerarchico.

Abbiamo poi -> “ sotto la direzione”-> abbiamo varie modalità per estrinsecare questo potere di
dare ordini-> se sei subordinato devi obbedire, art. 2104.

Come vengono dai questi ordini ?


- Ordini di servizio-> ordini tramite documenti, regolamenti interni o in circolazioni-> si
condensano in forma scritta -> in questo caso l'elemento dell'eterodirezione quasi non si
avverte, si riduce ad una forma di collaborazione obbligata all'interno di una struttura
organizzata dall’imprenditore.

Una volta riconosciuta questa etero direzione, comporta oneri economici, riconoscimento di
diritti-> quindi può capitare come dicevamo che le parti cerchino di sfuggire, di scappare e
cercano di presentare un contratto di lavoro non subordinato quello che lo è.

Il giudice quindi -> guarda gli indici di subordinazione:


-Che tipo di modalità operative segue ? Riceve una retribuzione che gli viene pagata a consuntivo
ogni mese-> autonomo dai clienti, mentre il subordinato ha un solo interlocutore, il datore di
lavoro, quindi tendenzialmente riceve 11 pagamenti tutti uguali. I lavoratori subordinati sono
obbligati a lavorare, se stanno male o prendono un giorno di ferie o un giorno di malattia, quello
autonomo è indipendente-> dove il consenso si registra sul prodotto nito.

-Il lavoratore subordinato attua una prestazione personale-> il datore di lavoro stipulato un
contratto con lui e vuole che sia lui ad eseguire quella prestazione.

-Rispetto orario ecc.

L’attività istruttoria passa attraverso questi elementi.

Come già accennato prima, parliamo della la quali cazione delle parti -> La di coltà di
quali cazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato ha talora indotto la
giurisprudenza a valorizzare il c.d. nomen iuris dato dalle parti. Va da sé che il potere di
quali cazione spetta al giudice-> Il primo compito del giudice è quindi quali care il rapporto->
operazione di sussunzione -> ricondurre alla fattispecie generale il caso concreto. Svolge quindi
l’attività di accertamento -> detta istruttoria. Abbiamo detto che questa operazione di
quali cazione si fa guardando la sostanza economica dell'operazione posta in essere-> si deve
vedere che assetto hanno dato le parti.

Nei contratti di durata, come quello di lavoro, bisogna guardare per l'appunto l'esecuzione, la fase
di attuazione del rapporto di obbligazione (la vendita è un contratto invece di attuazione
istantanea).

Tuttavia, la giurisprudenza ha talvolta valorizzato la quali cazione operata dal contraenti, nel
senso (limitato) che ad essa va attribuito rilievo se le concrete modalità di svolgimento del
rapporto siano compatibili sia con la subordinazione che con l'autonomia: in questo caso sarà
preso in considerazione il nomen iuris dato dalle parti .Alcuni hanno osservato come, in tal modo,
la giurisprudenza abbia superato la sua precedente attitudine a far operare una sorta di
presunzione di lavoro subordinato nei casi dubbi.

ORA-> I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa-> si è assistito al fenomeno de nito


come "fuga dal lavoro subordinato", per una serie di fattori di diverso segno: senz'altro, per i costi
del lavoro subordinato, non solo economici ma pure normativi, ma anche, in casi assai più
numerosi di quanto si creda, a seguito della genuina scelta, da parte del prestatore di lavoro, per
l’autonomia. Vi è stata quindi una vera e propria proliferazione dei rapporti di lavoro autonomo
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aventi ad oggetto una "prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente
personale" (art. 409, n. 3, c.p.c.). È la fattispecie enucleata dal legislatore con la 1. 11 agosto
1973, n. 533, sulla riforma del processo del lavoro, che, nel modi care le regole processuali per il
lavoro subordinato, ha esteso il particolare rito previsto alle controversie relative ai rapporti di
agenzia, di rappresentanza commerciale e a tutti i rapporti di collaborazione che, appunto, si
concretino in una prestazione d'opera coordinata e continuativa, prevalentemente personale,
anche se non a carattere subordinato.

QUINDI-> è nata l'idea che fra il lavoro subordinato e lavoro autonomo potesse esistere una
qualche forma intermedia-> lavoro para-subordinato-> art. 409 c.p.c, parla di forme di
prestazione prevalentemente personali che si concretano in una collaborazione coordinata e
continuativa.

L'idea che si andrà a delineare è che, se il codice di procedura civile ci dice che esistono rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa, vuol dire che nell'ambito del diritto sostanziale ci sarà
un contratto diverso dal contratto di lavoro subordinato che consente all'impresa di giovarsi della
professionalità di un soggetto non è nelle forme del lavoro subordinato, ma nelle forme proprie del
lavoro autonomo.

Il lavoro para-subordinato non è altro che è una sottospecie del lavoro autonomo-> appartiene al
genus anche se ha degli elementi che lo distinguono, ovvero, prestazione prevalentemente
personale, tipica del lavoro subordinato, e una collaborazione coordinata e continuativa, che ha
una caratteristica -> un po quella dell’impresa-> l'impresa stipula un contratto di lavoro
subordinato perché vuole il lavoratore per sé, mentre il lavoratore autonomo ha una pluralità di
clienti-> quindi capite che è una caratteristica del lavoro subordinato la pretesa non solo la
subordinazione come obbedienza, ma anche la sua pretesa di un rapporto tendenzialmente
esclusivo (2104, 2105)-> quindi questi caratteri della collaborazione coordinata e continuativa si
avvicinano enormemente a quel rapporto di fedeltà di cui l'articolo 2105 parla.

Questo lavoro che la prassi ha chiamato parasubordinato, è una sorta di lavoro autonomo che si
avvicina moltissimo al lavoro subordinato, ma che a di erenza del lavoro subordinato non dà i
diritti della subordinazione.

In realtà la gura era già stata enucleata dalla cd. legge Vigorelli, la l. 14 luglio 1959, n. 741, al ne
di estendere erga omnes gli accordi economici e i contratti collettivi, anche intercategoriali,
stipulati dalle associazioni sindacali anteriormente alla data di entrata in vigore di tale legge, ai
"rapporti di collaborazione che si concretino in prestazione d'opera continuativa e coordinata"
Nel 1973 essa è stata presa in considerazione a ni processuali, come si è detto, sul presupposto
di un' assonanza delle esigenze di tutela col lavoro subordinato. Tutte le caratteristiche della
fattispecie - ed in particolare il carattere del coordinamento e della continuità o continuatività -
infatti, fanno anche presumere una situazione di monocommittenza, o quasi monocommittenza,
tale per cui il prestatore sarà in una condizione di debolezza contrattuale rispetto al committente.
L'assimilazione sul piano processuale non ha implicato però un' assimilazione sul piano
sostanziale, della disciplina applicabile. Sotto questo pro lo, con la l. n. 533 del 1973, si è prevista
l'applicazione alle collaborazioni coordinate e continuative del solo art. 2113 c.c., relativo alle
rinunce e transazioni, da parte del prestatore di lavoro subordinato, ai diritti derivanti da norme
inderogabili di legge e di contratto collettivo: una disposizione che, nelle nostre fattispecie, non
ricopre tuttavia un ruolo particolarmente signi cativo, tanto, appunto, da far ricordare la riforma
del 1973 soprattutto per l'estensione del rito del lavoro alle relative controversie.

Con la I. 8 agosto 1995, n. 335, sulla riforma del sistema pensionistico, poi, si sono assoggettati i
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa a contribuzione previdenziale obbligatoria, a
e carico prevalentemente del committente, da versare ad un'apposita gestione separata, istituita
presso l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. La misura di si atta contribuzione
previdenziale, inizialmente molto bassa, è stata progressivamente innalzata sino a toccare
l'aliquota prevista per i lavoratori subordinati. Paradossalmente, proprio l'assoggettamento a
contribuzione previdenziale del corrispettivo versato ha propiziato l'aumento di tali tipi di rapporto,
anche a causa della minore propensione degli istituti previdenziali a farne valere la (eventuale)
natura subordinata, ai ni della percezione della contribuzione. Nel tempo, si sono aggregate
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attorno alla gura alcune tutele conformate sulla disciplina del lavoro subordinato, ma tutto
sommato abbastanza limitate 10.

Una nuova stagione si è aperta con il d.lgvo n. 276 del 2003, attuativo della d.1. n. 30 del 2003, in
base al quale, al ne di contrastare l'uso fraudolento dei rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa, si prevedeva la necessaria riconduzione degli stessi a "uno o più progetti speci ci o
programmi di lavoro o fasi di esso" (art. 61, d.lgvo n. 276 del 2003). In mancanza della previsione
in forma scritta, all'interno del contratto, di un "progetto", il rapporto instaurato si considerava
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

QUINDI-> Questa para- subordinazione che ne ha fatto ? -> dal 2003 al 2017, il parlamento si è
a annato a dare a questa nozione di lavoro parasubordinato una veste più concettuale, più
precisa, ha cercato di speci care in che cosa consistesse la nozione di collaborazione coordinata
e continuativa-> nel 2003-> “contratto a progetto”-> Dove il lavoratore, in quanto lavoratore
autonomo risponde del risultato nale, nel lavoro subordinato, il lavoratore è etero diretto, quindi
ogni fase della realizzazione è assoggettata ad un controllo (questo contratto a progetto fu
abrogato, perché quando si trattava di descrivere il progetto erano pochi che individuavano un
risultato atteso-> se io non individua uno speci co risultato, E di volta in volta attraverso
l'esercizio di un potere direttivo ti speci co qual è il risultato che tu devi realizzare, non è un lavoro
autonomo, ma subordinato).

Se viene dedotta in contratto un'attività, non può che essere un rapporto di lavoro subordinato, è
il singolo atto o una singola serie di atti ex ante individuati che possono giusti care il lavoro
autonomo.

La 1. n. 92 del 2012 ha inasprito la disciplina del d.lgvo n. 276 del 2003, introducendo requisiti più
restrittivi per la con gurazione del progetto e prevedendo esplicitamente il carattere assoluto della
presunzione di subordinazione, di cui all'art. 69 del d.lgvo n.276 del 2003, in mancanza del
medesimo. La disciplina sul lavoro a progetto è stata criticata sia per l'inidoneità del requisito del
"progetto" ad assolvere ad una funzione discretiva tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, sia
perché in viva sostanzialmente forme di lavoro autonomo, coordinato e continuativo, a tempo
indeterminato. L'intera disciplina del lavoro a progetto è venuta meno nel 2015. Il superamento
della normativa sul lavoro a progetto non preclude certamente la stipulazione di contratti di lavoro
autonomo.

Con lo stesso d.gvo n. 81 del 2015, con cui ha "abrogato" la normativa sul lavoro a progetto, il
legislatore aveva sancito originariamente la disciplina del lavoro subordinato si applicasse "anche
ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali,
continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con
riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”. Successivamente, la disposizione ha subito una
modi care nel senso che la disciplina del lavoro subordinato si applica anche ai rapporti di
collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalente. mente personali, continuative
e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Con questa norma, di di cile
decifrazione, sembra che il legislatore abbia perseguito, con tecnica diversa, la stessa nalità
perseguita con la cd. legge Biagi: discriminare il falso dal vero lavoro autonomo continuativo.

Sennonché, non è facile individuare un' apprezzabile di erenza tra eterorganizzazione ed


eterodirezione: se è vero che anche la è giurisprudenza usa spesso questi termini come sinonimi.
Realisticamente, si può intravedere nella disposizione un invito alla giurisprudenza ad a nare gli
indici di subordinazione. La portata innovativa - e realmente precettiva - della norma si può
semmai individuare nell'art. 2, co. 2, che contiene il regime delle esclusioni. In particolare, ai sensi
della norma in questione le disposizioni relative al lavoro eterorganizzato non si applicano a una
serie di ipotesi, tra le quali la più importante concerne le "collaborazioni per le quali gli accordi
collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale prevedono discipline speci che riguardanti il trattamento economico e normativo,
in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore" (cfr. art. 2, co.
2, lett. a). La disposizione, dunque, consente ai contratti collettivi nazionali, stipulati da sindacati
comparativamente più rappresentativi, di derogare a quanto previsto nel co. 1 e, di conseguenza,
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all'applicazione della disciplina del lavoro subordinato. E’ una norma che, consente di formare
fattispecie e tutele.

Essa ben potrebbe attagliarsi a quelle zone grigie da sempre presenti nella realtà sociale ed oggi
tipiche dei nuovi lavori che proliferano con l'applicazione delle tecnologie digitali: si pensi al lavoro
tramite piattaforma. Se si legge la previsione dell'art. 2, co. 1, d.lgvo n. 81 del 2015
semplicemente in funzione antifraudolenta, ovvero di a namento degli indici di subordinazione, il
problema della distinzione tra collaborazioni eterorganizzate e collaborazioni coordinate si riduce
alla tradizionale questione della distinzione tra subordinazione e co-ordinamento.
Pure il coordinamento comporta, infatti, l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale
e un certo grado di ingerenza del committente sulle modalità di esecuzione della prestazione. Nel
tentativo di chiarire il discrimine, nell'art. 15 della 1. n. 81 del 2017 il legislatore ha precisato che
"la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento
stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività
lavorativa”. Con la norma si sottolinea che le modalità di esecuzione della prestazione devono
essere concordate dalle parti nel contratto o di volta in volta durante lo svolgimento del rapporto,
a di erenza di quanto avviene nel lavoro eterorganizzato/ eterodiretto. Tuttavia, se la presenza di
un accordo sulle modalità del coordinamento è condizione necessaria, essa non è condizione
su ciente: occorre infatti pur sempre accertare che, nel concreto svolgimento del rapporto, il
collaboratore organizzi "autonomamente" la sua attività, come precisa la norma. Si ritorna,
dunque, in un certo senso da capo.

QUINDI-> 2015-> introdotto il lavoro etero-organizzato, ma quando si è posta la domanda di


sancire qual è la di erenza fra un potere di organizzare l'altrui attività e un potere di dirigere l'altrui
attività, il legislatore non ha saputo dare risposta-> se io organizzo dirigo e viceversa.

Dopo 2 anni-> si è resi conto che non si poteva distinguere fra una etero organizzazione e un
etero direzione, perché all'etero organizzazione non è altro che una forma linguistica equivalente
del potere di etero-dirigere.

Nel lavoro subordinato è dedotta un'attività, personale, una forma di controllo e direzione, che è
appunto l’etero-direzione, mentre nel lavoro autonomo tutto questo non c’è-> no personalità, atto
non attività, non c'è un potere direttivo e di controllo sulla fase esecutiva e l'adempimento o
inadempimento si valuta in relazione al risultato.

ORA-> si è parlato precedentemente di una zona grigia tra autonomia e subordinazione che ha
indotto la giurisprudenza a valorizzare i cd. indici sussidiari di subordinazione ed anche il nomen
iuris utilizzato dalle parti. Oggi assistiamo ad un fenomeno in parte nuovo che mette in crisi la
stessa funzionalità della divisione binaria autonomia/subordinazione.

Si stanno pro lando all'orizzonte forme di lavoro che, sebbene di cilmente riconducibili alla
nozione classica di subordinazione, presentano evidenti esigenze di tutela. Esemplare è il caso
del lavoro prestato tramite piattaforma digitale: si pensi ai riders di Foodora o ai drivers di Uber-> i
giudici italiani che hanno a rontato il problema-> inizialmente hanno concluso per l’autonomia,
successivamente hanno ricondotto la gura dei riders al lavoro eterorganizzato, sebbene non
manchino sentenze che la riconducono al lavoro subordinato. Per risolvere questo tipo di
problemi non è su ciente a nare la nozione di subordinazione, ma, de iure condendo, è
necessario superare la netta distinzione, sul piano delle tutele, tra lavoratori subordinati e
lavoratori autonomi.

Per quanto riguarda i lavoratori tramite piattaforma, Lori amento francese a sancito la
responsabilità sociale delle piattaforme prevedendo, a favore dei lavoratori indipendenti tramite
piattaforma, quando questa determini le caratteristiche delle prestazioni di servizio fornito del
bene venduto e ssi il suo prezzo, una serie di diritti normalmente non riconosciuti ai lavoratori
autonomi, per esempio il diritto di organizzazione sociale, l'assicurazione sociale in caso di
infortuni e malattie ecc.

In verità una norma simile è stata introdotta dal decreto legislativo 3 settembre 2019 numero 101
che ha aggiunto il capo V-bis, per disciplinare il rapporto dei Riders autonomi impegnati nella
consegna domicilio di beni per conto altrui, attraverso piattaforme anche digitali. Le tutele loro
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attribuite sono minimali. Va segnalato che, per quanto riguarda il compenso, essi non possono
essere retribuiti a consegna. Inoltre, è prevista una copertura assicurativa obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Un particolare problema interpretativo nasce dal
fatto che il co. 1 dell’art. 47 bis quali ca espressamente i lavoratori cui si riferiscono queste
disposizioni come autonomi. Tuttavia, il comma due da una de nizione di piattaforma digitale in
base alla quale essa determina le modalità di esecuzione della prestazione, il che non è molto
sintotico con le tradizionali de nizioni di autonomia e subordinazione.

Lavoro autonomo e lavoro agile-> ai sensi dell'articolo 2222 sia il contratto d'opera quando una
persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro
prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Adesso
si applicano le norme del capo I, titolo III, libro V del c.c.-> salvo che il rapporto abbia una
disciplina particolare nel libro quarto. Ma, il codice civile disciplina anche il contratto avente ad
oggetto una prestazione d'opera intellettuale, species del più ampio genius del lavoro autonomo.
Le disposizioni sul lavoro autonomo, visualizzano più la posizione del cliente che quella del
professionista. Il codice civile concede al professionista intellettuale la facoltà di recesso per
giusta causa. Le cautele che circondano in tal caso il recesso del prestatore d'opera si fanno
generalmente risalire all'esigenza di tutelare il cliente-contraente debole, se non sotto il pro lo
economico, sotto quello morale\sociale. A tutti questi rapporti di lavoro si applicano ora le
disposizioni appositamente dettate dalla legge numero 81 del 2017, oltre ovviamente le norme
codicistiche. Questa legge introduce una serie di tutele di carattere civilistico, amministrativo,
scale, previdenziale valide per tutti rapporti di lavoro autonomo, con esclusione espressa degli
imprenditori. Un problema concerne la distinzione tra la fattispecie di cui all'articolo 2222 è quella
di cui all'articolo 2083: il primo fa riferimento al compimento di un'opera o di un servizio con
lavoro prevalentemente proprio; il secondo ad un'attività professionale organizzata
prevalentemente con lavoro proprio e dei componenti della famiglia. In proposito, secondo la tesi
che prevale, il lavoro autonomo si distinguerebbe da quello del piccolo imprenditore per l'assenza
di un'organizzazione di mezzi. Altri, sostengono che all'interno dell'articolo 2222 il carattere della
personalità si debba intendere come tendenziale infungibilità del lavoro del prestatore d'opera in
quanto tale, a fronte dell'impiego di eventuali collaboratori. Mentre, nel contesto dell'articolo 2083
esso si declini come prevalenza del lavoro dell'imprenditore rispetto all'organizzazione degli altri
fattori della produzione.
Per quanto riguarda le tutele di diritto civile, l'articolo due rende applicabile ai lavoratori autonomi
le disposizioni dettate, a favore degli imprenditori, dal decreto legislativo del 9 ottobre 2002
numero 231. In particolare, è ssato un termine massimo di 30 giorni per il pagamento della
prestazione lavorativa decorrente dalla data di ricevimento, da parte del debitore, della fattura o di
una richiesta di pagamento di contenuto equivalente; gli interessi moratori decorrono dal giorno
successivo alla scadenza del pagamento senza che sia necessaria la costituzione in mora.
Diversamente, per i lavoratori autonomi non trova applicazione la disposizione del decreto
legislativo menzionato che consente alle parti di pattuire un termine di pagamento superiore a 60
giorni.

La norma citata, dispone l'ine cacia delle clausole che attribuiscono al committente la facoltà di
modi care unilateralmente le condizioni del contratto o di recedere dal medesimo senza congruo
preavviso; in si atta ipotesi si riconosce al lavoratore autonomo diritto di risarcimento. Alcune
disposizioni della legge introducono tutele di stampo lavoristico che valgono solo per i rapporti di
lavoro autonomo aventi ad oggetto una prestazione continuativa. L'articolo 15 della legge numero
81 del 2017 ha poi tentato di chiarire la distinzione tra collaborazioni coordinate ed
eterorganizzate-> la collaborazione si intenderà coordinata quando, nel rispetto delle modalità di
coordinamento stabilita di comune accordo tra le parti, il collaboratore organizzerà
autonomamente la propria attività lavorativa. In linea di continuità con la legge del 2017, volta ad
estendere ai lavoratori autonomi alcune tutele tipiche del lavoro subordinato, l'articolo uno della
legge numero 178 del 2020 ha introdotto no al 2023 la cosiddetta ISCRO-> indennità
straordinaria di continuità reddituale e operativa-> si tratta di un nuovo istituto di matrice
previdenziale dedicato ai soggetti iscritti alla gestione separata INPS, che esercitano per
professione abituale attività di lavoro autonomo.

La legge numero 81 del 2017 disciplina anche, il lavoro agile o smart working, che rientra pur
sempre nell'ambito del lavoro subordinato, essendo de nito come quella particolare modalità di
svolgimento della prestazione, in parte all'interno dei locali aziendali in parte all'esterno, senza
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una postazione ssa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e
settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Il ricorso al lavoro agile
presuppone un’accordo tra le parti, volto a regolare in particolare due aspetti: l'esecuzione della
prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo all'esercizio del
potere direttivo del datore di lavoro; I tempi di riposo del lavoratore, le misure tecniche e
organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore.

Ha un vantaggio per la conciliazione, ovvero la conciliazione dei tempi di vita e del lavoro.

La crisi pandemica che ha drammaticamente colpito anche il nostro paese ha indotto il governo
ad incoraggiare questa forma di lavoro.

Il cosiddetto lavoro agile sembra sovrapporsi a un'altra forma di lavoro a distanza, il telelavoro,
tutto era regolato nel lavoro privato solo in via pattizia dall'accordo del 9 giugno 2004. L'articolo
uno di tale accordo de nisce il telelavoro quale forma di organizzazione e\o di svolgimento del
lavoro che si avvale delle tecnologie dell'informazione nell'ambito di un contratto di un rapporto di
lavoro, in cui l'attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell'impresa, viene
regolarmente svolta al di fuori. Lavoro agile e telelavoro condividono la stessa ratio-> favorire una
organizzazione del lavoro più essibile, e conciliazione dei tempi di lavoro e della vita privata. Nel
lavoro agile, a di erenza del telelavoro, non è previsto di necessità l'utilizzo di strumenti
tecnologici che consentono il collegamento con l'unità produttiva. Inoltre, mentre nel lavoro agile
la prestazione può essere eseguita in parte all'interno e in parte all'esterno, nel telelavoro, la
prestazione viene svolta fuori dai locali dell’azienda.

ORA-> abbiamo detto che la categoria del rapporto di lavoro subordinato non è più monolitica,
ma articolata al suo interno in gure contrattuali diverse, che pongono, dal punto di vista
interpretativo, problemi di adattamento alla disciplina generale; dal punto di vista sistematico,
problemi di sistemazione concettuale. A partire dagli anni 80 il nostro ordinamento ha fatto fronte
alle crescenti esigenze di essibilità delle imprese e degli stessi lavoratori-> attraverso l'o erta di
una pluralità alternativa di rapporti di lavoro, in gran parte a termine. Si utilizza spesso per indicare
questi rapporti la denominazione di rapporti di lavoro atipici o essibili. Ovviamente dal punto di
vista giuridico, questi rapporti non possono essere de niti atipici, lo sono solo nella prospettiva
sociologica perché si discostano dal modello standard ovvero del rapporto di lavoro a tempo
pieno ed indeterminato.

Il Jobs Act persegue l'obiettivo di promuovere il contratto a tempo indeterminato come forma
comune di contratto di lavoro->tuttavia, il legislatore non cancella i contratti di lavoro
essibili.l'unico istituto scomparso è il cosiddetto lavoro ripartito.

Analizziamo ora le varie gure :

1. Contratto di lavoro a termine -> il decreto legislativo numero 81 del 2015 riforma la
disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato. Nella versione modi cata dal decreto
legge numero 87 del 2018, esso rappresenta l'ultima tappa di una lunga evoluzione. La scelta
maggiormente liberalizzante nei confronti del contratto a termine contenuta nel decreto legge
numero 34 del 2014, conv. nella legge numero 78 del 2014, è stata confermata dal decreto
legislativo numero 81 del 2015. Con esso, la validità della clausola appositiva del termine al
contratto di lavoro non è più subordinata all'esistenza di presupposti giusti cativi come
avveniva in passato; la regola della giusti cazione causale è stata sostituita dalla previsione di
limiti soggettivi, in termini di durata massima del rapporto tra le medesime parti, e oggettivi, in
termini di percentuale di posti di lavoro complessivi ricopribili con contratti a termine. L'ampia
liberalizzazione del contratto a termine ha indotto una parte della dottrina ad interrogarsi circa
la compatibilità della disciplina italiana con quella comunitaria di cui alla direttiva 1999\70\CE
in materia di contratto a tempo determinato. La clausola cinque della stessa dispone: per
prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a
tempo determinato, gli Stati membri dovranno introdurre uno o più misure relative a-> ragioni
obiettive per la giusti cazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; la durata massima
totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; il numero dei rinnovi
dei suddetti contratti o rapporti. I requisiti richiesti dalla direttiva sono da considerarsi
alternativi tra loro e non sono menzionati dalla stessa secondo un ordine gerarchico. La
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disciplina di cui al decreto legislativo numero 81 del 2015 poteva dirsi senz'altro conforme alla
previsione del secondo punto della clausola cinque della direttiva. Nonostante la compatibilità
parte della dottrina e dell'opinione pubblica hanno ravvisato nella disciplina del contratto a
termine “ acausale” un forte incentivo alla stipulazione di contratti a termine. Il superamento
della regola di giusti cazione causale e la sua sostituzione con limiti di natura meramente
quantitativa hanno reso infatti più appetibile il ricorso a tale fattispecie contrattuale. Con
queste considerazioni si può spiegare il successivo intervento del decreto legge numero 87
del 2018 recante-> “disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”->
un'inversione di rotta, che si propone di limitare l'utilizzo di tipologie contrattuali che nel corso
degli ultimi anni hanno condotto ad un'eccessiva precarizzazione, causata da un abuso di
forme contrattuali che dovrebbero rappresentare l'eccezione e non la regola. Nel fare ciò,
questa legge, opera su tre fronti: ripristina l'obbligo di giusti cazione causale dopo i primi 12
mesi di contratto; limita la durata massima del rapporto di lavoro tra lo stesso datore di lavoro
e lo stesso lavoratore, riconducendola da 36, prevista dalla normativa preveggente, a 24 mesi;
riduce da cinque a quattro il numero di proroghe consentito. Il termine al contratto di lavoro
subordinato può essere liberamente apposto solo quando esso non superi la durata di 12
mesi. Nel caso di durata superiore ovvero nelle ipotesi di rinnovo, è richiesta la sussistenza di
almeno una delle seguenti condizioni: esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria
attività; esigenze connesse a incrementi temporanei, signi cativi e non programmabili
dell'attività ordinaria. È signi cativo tuttavia che, allo scopo di limitare l'impatto occupazionale
della crisi da COVID-19, il legislatore abbia introdotto a più riprese alcune deroghe
temporanee al regime delle proroghe e dei rinnovi-> no al 31 dicembre 2021 è possibile
prorogare o rinnovare per un periodo massimo di 12 mesi e per una sola volta i contratti a
tempo determinato senza l'indicazione di una causa giusti cativa. Sul piano formale, salvo
che il rapporto di lavoro abbia una durata inferiore a 12 giorni, l ‘apposizione del termine al
contratto deve risultare da atto scritto a pena di ine cacia della stessa. In caso di rinnovo,
l'atto scritto deve altresì contenere la speci cazione della causale giusti cativa in base alla
quale il contratto è stipulato; in caso di proroga, tale indicazione è necessaria solo quando il
termine complessivo eccede i 12 mesi. Oltre a circondare di limiti il ricorso al contratto a
tempo determinato, il legislatore stabilisce anche tassativi divieti di assunzione a termine. La
posizione del termine al contratto non è infatti ammessa: per la sostituzione di lavoratori che
esercitano il diritto di sciopero; qualora il lavoratore venga adibito ad unità produttive nelle
quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi riguardanti lavoratori
adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato (salvo che
il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, assumere
lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia durata iniziale non superiore a tre mesi); qualora
il lavoratore venga adibito ad unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del
lavoro o una riduzione dell'orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano
lavoratori adibiti alle dimensioni in cui si riferisce il contratto; se si tratta di datori di lavoro che
non hanno e ettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa a tutela della
salute e della sicurezza dei lavoratori-> la violazione è espressamente sanzionata con la
trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato. Il termine apposto al
contratto può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, quando lavorate iniziale dello
stesso sia inferiore a 24 mesi per un massimo di quattro volte, a prescindere dal numero dei
contratti. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a
tempo indeterminato dalla data della quinta proroga. In caso di successione di contratti a
termine, ove il lavoratore venga riassunto entro 10 giorni dalla data di scadenza di un
contratto di durata no a sei mesi ovvero entro 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto
di durata superiore, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
Fermi i limiti di durata di 12 e di 24 mesi, se il rapporto di lavoro continua oltre la scadenza del
termine inizialmente ssato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a
corrispondere al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del
rapporto, pari al 20% no al 10º giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore.
Superato il limite di 24 mesi alle parti è consentito stipulare un ulteriore contratto a tempo
determinato di durata pari a 12 mesi davanti alla direzione territoriale del lavoro competente.
La violazione comporta la trasformazione in contratto a tempo indeterminato. La disciplina
dell'accesso al contratto di lavoro a termine si completa con la cosiddetta clausola di
contingentamento relativa al numero complessivo di contratti di lavoro a termine stipulabili:
salva diversa previsione dei contratti collettivi, non possono essere assunti lavoratori a tempo
determinato in misura superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in
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forza al 1 gennaio dell'anno di assunzione. In caso di violazione, al datore di lavoro si applica
una sanzione amministrativa. Sul versante della disciplina del rapporto, l'articolo 25 del
decreto legislativo numero 81 del 2015 sancisce un generale principio di parità di trattamento
dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato: assicurando ai
primi, in proporzione al periodo lavorato, le ferie, la grati ca natalizia o la 13ª mensilità, il
trattamento di ne rapporto, e ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori a
tempo determinato. La violazione comporta una sanzione di natura amministrativa. Si
prevede, in favore dei lavoratori assunti a tempo determinato uno speci co diritto di
precedenza era volta a favorire la stabilizzazione: al lavoratore che, nell'esecuzione di uno o
più contratti a termine presso la medesima impresa, abbia prestato attività lavorativa per un
periodo superiore a sei mesi è riconosciuto un diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo
indeterminato e ettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi con riferimento alle
mansioni già espletate a termine. Il diritto di precedenza deve essere richiamato nel contratto
e può essere esercitato dal lavoratore nel rispetto di alcuni limiti temporali-> egli infatti deve
manifestare la propria volontà al datore di lavoro entro sei mesi dalla data di cessazione del
rapporto, mentre il diritto si estingue decorso un anno dalla data di cessazione. La disciplina
del contratto a tempo determinato e corredata da un apposito apparato sanzionatorio: come
già detto, in mancanza di forma scritta, in caso di superamento del limite massimo di 24 mesi,
mancata ricorrenza delle ragioni giusti catrici dell'eventuale proroga, mancato rispetto della
procedura di stipulazione di un ulteriore contratto o di superamento del termine di 12 mesi ivi
previsto, il rapporto si considera a tempo indeterminato. In violazione della clausola di
contingentamento è prevista solo una sanzione amministrativa. In tutti i casi in cui lavoratore
intenda far valere l'invalidità del termine, e tenuto ad impugnare il contratto entro 180 giorni
dalla cessazione del singolo contratto. Può essere stragiudiziale, ma a nché non operi la
decadenza, deve essere seguita dal ricorso in giudizio entro il successivo termine di 180
giorni. Nei casi in cui accerti l'invalidità del termine con conseguente trasformazione del
contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il
latore di lavoro anche a un risarcimento del danno, un'indennità quindi compresa tra un
minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo
del trattamento di ne rapporto. In mancanza di una disciplina speci ca, il recesso ante
tempus dal contratto a tempo determinato è ammesso, per entrambi i contraenti, solo in
presenza di una giusta causa; senza giusta causa, sia del datore di lavoro, sia del lavoratore e
dovuta al contraente il risarcimento del danno subito. In caso di recesso ante tempus del
datore di lavoro è dovuto al lavoratore un risarcimento commisurato alle retribuzioni che
sarebbero maturate no alla scadenza del termine, detratto quanto il lavoratore abbia
conseguito o avrebbe potuto conseguire usando l'ordinaria dirigenza.
2. Contratto di somministrazione di lavoro-> il contratto di somministrazione di lavoro
risponde ad uno schema trilaterale in base al quale un'impresa di somministrazione
autorizzata mette a disposizione di un altro soggetto, utilizzatore, uno o più lavoratori suoi
dipendenti che, per tutta la durata della cosiddetta missione, svolgono la propria attività
nell'interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Alla base, vi è un contratto
commerciale di somministrazione: un contratto, che può essere a tempo determinato o
indeterminato, stipulato da un soggetto che ha necessità di manodopera e da un soggetto
autorizzato alla somministrazione di manodopera, con il quale questo secondo si obbliga a
fornire all'utilizzatore, dietro corrispettivo, manodopera da lui assunta e retribuita per svolgere
determinate mansioni. Mezzo per adempiere alle obbligazioni scaturenti dal contratto di
somministrazione è il contratto di lavoro subordinato che l'agenzia di somministrazione stipula
con il lavoratore, sia a tempo determinato, per la durata della missione, sia a tempo
indeterminato. L'ostacolo alla praticabilità della somministrazione di lavoro nel nostro
ordinamento era rappresentato dalla legge del 23 ottobre 1960, numero 1369, abrogata dal
decreto legislativo numero 276 del 2003 che vietava l'interposizione nelle prestazioni di lavoro.
Questa abrogazione non ha comportato la completa liberalizzazione della somministrazione di
lavoro. La scelta del legislatore di legittimare la somministrazione era peraltro in linea con
l'orientamento comunitario-> tale direttiva, si propone due nalità: la nalità occupazionale,
l'obiettivo di creare occupazione attraverso la essibilizzazione delle forme di accesso al
lavoro; la nalità sociale, ovvero il perseguimento della tutela dei lavoratori somministrati
attraverso la creazione di una rete di diritti minimi inderogabili e di ostacoli all'uso distorto
dell’istituto. Il percorso di liberalizzazione è proseguito con il decreto legislativo numero 276
del 2003, con la legge numero 92 nel 2012, con il decreto legge numero 34 2014, ed è stato
portato a compimento con il decreto legislativo numero 81 del 2015, tuttavia recentemente
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modi cato dal decreto legge numero 86 del 2018. La novità introdotta dal decreto legislativo
del 2015 riguarda la somministrazione a tempo indeterminato. Vengono eliminate le causali
tassative previste dall'articolo 20 del decreto legislativo del 2003 per il ricorso al cosiddetto
sta leasing. Il ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato è ammesso
esclusivamente per i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato e, nel limite
legale del 20% rispetto al numero di lavoratori a tempo determinato in forza presso
l'utilizzatore dal 1 gennaio dell'anno di stipulazione del contratto. Per il resto, il contratto di
lavoro è soggetto alla disciplina prevista per il rapporto a tempo indeterminato, fatta
eccezione per il trattamento economico dovuto al lavoratore a cui è riconosciuto il diritto ad
un'indennità mensile di disponibilità per i periodi in cui non viene utilizzato in missione presso
l’utilizzatore. La misura di tale indennità determinata dal contratto collettivo applicabile al
somministratore e comunque non può essere inferiore all'importo ssato con decreto
ministeriale. Quanto alla somministrazione a tempo determinato, conv. nella legge numero 96
del 2018, ne ha ritoccato nuovamente la disciplina, conformandola a quella del contratto a
termine. Il contratto di lavoro somministrato a tempo determinato può avere una durata
massima pari a 24 mesi e deve contenere l'indicazione di una delle causali previste
dall'articolo 19 per il contratto a tempo determinato qualora la durata iniziale superi i 12 mesi,
ovvero in ipotesi di rinnovo o in caso di proroga se supera i 12 mesi. Ovviamente, la
giusti cazione causale deve essere riferita all'attività svolta, non già dall'agenzia di
somministrazione, bensì dall'utilizzatore della manodopera. Anche il limite quantitativo di
utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è stato modi cato con il decreto
dignità. L'articolo 31 del decreto 2015 ora prevede che il numero di lavoratori assunti con
contratto a termine ovvero impiegati con contratto di somministrazione a tempo determinato
non possa eccedere il 30% del numero di lavoratori a tempo indeterminato in forza presso
l'utilizzatore al 1 gennaio dell’anno. Questa disposizione abilita i contratti collettivi a derogare
a tale previsione, mantenendo però fermo il limite, previsto per i contratti a termine, del 20%
del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio. Resta invariata la
previsione per cui il termine originariamente posto il contratto è prorogabile, con il consenso
del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo
applicabile dal somministratore. L'articolo 34 comma due, del decreto lgvo del 2015 esclude
poi espressamente l'applicabilità alla somministrazione di alcune previsioni proprie della
disciplina del contratto a termine: sui rinnovi, la clausola legale di contingentamento pari al
20% prevista dall'articolo 23; il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato.
Quanto alle tutele, viene stabilito che per tutta la durata della missione presso l'utilizzatore, hai
diritto a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei
dipendenti di pari livello dell’utilizzatore. Si prevede che lavoratori somministrati, benché
dipendenti dell'agenzia, svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il
controllo dell’utilizzatore-> si realizza così una scissione nella titolarità dei poteri tipici del
datore di lavoro: quello disciplinare infatti è in capo all'agenzia, alla quale l'utilizzatore
comunica gli elementi che formeranno oggetto di contestazione; quello direttivo e di controllo
spettano all’utilizzatore. In particolare, in caso di adibizione del lavoratore a mansioni diverse
da quelle dedotte nel contratto, l'utilizzatore deve darne comunicazione scritta all'agenzia di
somministrazione: in caso contrario risponderà per le eventuali di erenze retributive o per
risarcimento del danno. L'utilizzatore è inoltre obbligato in solido con il somministrato. il re a
corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e a versare, relativi contributi previdenziali,
salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore. Come si è anticipato, il legislatore prevede
divieti tassativi di ricorso al contratto di somministrazione analoghi a quelli dettati in materia di
contratto a tempo determinato ed espressamente indicati dall'art. 32, d.lgvo n. 81 del 2015: a)
per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; b) qualora il lavoratore
venga adibito ad unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a
licenziamenti collettivi riguardanti lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il
contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia
concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti
nelle liste di mobilità, o abbia durata inziale non superiore a tre mesi; c) qualora il lavoratore
venga adibito ad unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una
riduzione dell'orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori
adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro a tempo
determinato; d) se si tratta di datori di lavoro che non hanno e ettuato la valutazione dei rischi
in applicazione della normativa a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. In difetto di
forma scritta del contratto di somministrazione, es-e so è nullo e i lavoratori sono considerati a
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tutti gli e etti alle dipendenze dell'utilizzatore; quando la somministrazione avvenga al di fuori
dei limiti e delle condizioni legali - de nita espressamente dal legislatore come
somministrazione irregolare - il lavoratore può chiedere, anche solo nei confronti
dell'utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con
e etto sin dall'inizio della somministrazione. Il decreto legge numero 87 del 2018 ha aggiunto
al decreto legislativo del 2015 l'articolo 38 bis, reintroducendo la fattispecie della
somministrazione cosiddetta fraudolenta, che si realizza quando la somministrazione è posta
in essere con la speci ca nalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo
applicato al lavoratore e per la quale è prevista la sanzione penale a carico del fornitore
dell’utilizzatore. Il regime dettato per l'impugnazione del contratto di somministrazione ricalca
in parte quello previsto per il contratto a tempo determinato-> l'impugnazione stragiudiziale
deve venire entro 60 giorni dalla data in cui lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività
presso l'utilizzatore. Tale impugnazione tutto viene e cace se non è seguita da ricorso in
giudizio entro 180 giorni. Nel caso in cui il giudice accolga la domanda di costituzione del
rapporto con l'utilizzatore, per il periodo di mancata prestazione dell'attività lavorativa
condanna il datore di lavoro risarcimento del danno in favore del lavoratore, stabilendo
un'indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima
retribuzione.
3. Il lavoro a tempo parziale-> la prima regolazione del lavoro tempo parziale si è avuta con la
legge del 19 dicembre del 1984, numero 863->prima, nulla si opponeva alla stipulazione di un
contratto a orario ridotto, riconducibile allo schema dell'articolo 2094 c.c. Prima del decreto
legislativo del 2015, era il decreto legislativo del 2000 n. 61 a regolare la materia del lavoro a
tempo parziale. Il contratto si considera a tempo parziale quando prevede un orario di lavoro
inferiore rispetto all'orario normale di lavoro di cui all'articolo 3 del decreto legislativo dell'8
aprile 2003, numero 66 o all'eventuale minore orario stabilito dai contratti collettivi. Il decreto
legislativo numero 61 del 2000 descriveva tre varianti della prestazione a tempo parziale: il
part-time orizzontale, in cui la riduzione di orario previsto in relazione all'orario normale
giornaliero di lavoro; il part-time verticale, in cui l'attività lavorativa svolta a tempo pieno, ma
limitatamente a periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno; il part-
time misto, una combinazione delle due tipologie precedenti. Sebbene non espressamente
riprodotta dal decreto legislativo del 2015, tale tripartizione non può dirsi superata. Quanto alla
forma, il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato per iscritto ai ni della
prova e deve contenere l'indicazione della durata della prestazione lavorativa e la collocazione
temporale dell'orario con riferimento al giorno, settimana, mese e anno. Qualora manchi la
prova della stipulazione a tempo parziale del contratto o della sua durata, il giudice dichiara la
sussistenza tra le parti di un lavoro a tempo pieno a partire dalla data della pronuncia. Nel
caso in cui il contratto sia stipulato per iscritto, ma difetti la precisazione in ordine alla
collocazione temporale dell'orario, il giudice potrà, con valutazione equitativa, determinare le
modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, tenendo conto delle
responsabilità familiari del lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione del
reddito mediante lo svolgimento di un'altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore
di lavoro. In entrambi i casi, il lavoratore ha diritto ad un ulteriore somma titolo di risarcimento.
La durata può variare in aumento, seppure nel rispetto di taluni limiti: infatti, il datore di lavoro
può richiedere lo svolgimento di lavoro supplementare, entro il limite del tempo pieno, nel
rispetto di quanto previsto dalla contrattazione collettiva. Qualora il contratto collettivo
applicato non disciplini il lavoro il lavoro supplementare, il datore di lavoro può richiedere lo
svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 25% delle ore di
lavoro settimanali concordate. Il lavoratore può ri utare solo ove tale diniego sia giusti cato da
comprovate esigenze lavorative, salute, familiari, o di formazione professionale. A fronte dello
svolgimento di lavoro supplementare, al lavoratore dovuta una maggiorazione retributiva, pari
al 15% sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto. Nell'ambito di un rapporto a
tempo parziale si consente altresì lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario, per tale
intendendosi quello prestato oltre l'orario normale di lavoro. Di notevole rilievo sono le
cosiddette clausole elastiche, che consentono al datore di lavoro di variare unilateralmente la
collocazione temporale della prestazione ovvero di aumentare la durata rispetto a quanto
inizialmente concordato tra le parti. Prima del decreto del 2015, si distingueva tra le clausole
che consentivano la variazione della collocazione temporale della prestazione, opponibili a
qualsiasi tipologia di contratto part-time, le cosiddette clausole essibili, e le clausole che
consentivano di variare in aumento la durata della prestazione, opponibili solo i rapporti di
part-time verticale o misto, le cosiddette clausole elastiche. Oggi, con il termine clausole
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elastiche ci si riferisce indistintamente ad entrambe le ipotesi. Inizialmente, la corte
costituzionale aveva sancito l'incompatibilità del cosiddetto part-time a comando, il cui orario
fosse liberamente modi cabile dal datore di lavoro con l'articolo 36 Cost. -> infatti,
l'assoggettamento ad uno ius variandi illimitato avrebbe impedito al prestatore di
programmare una seconda vita lavorativa che gli consentisse di conseguire globalmente una
retribuzione su ciente. In seguito, tuttavia, prima la giurisprudenza e poi legislatore ritennero
valide le clausole elastiche, a condizione che la disponibilità del prestatore alle modi che
orarie fosse compensata: per ottemperare il principio costituzionale in materia retributiva
richiamata dalla corte costituzionale. La disciplina delle clausole elastiche è oggi rimessa alla
contrattazione collettiva-> l'articolo sei comma quattro del decreto legislativo del 2015 si
limita a richiedere per esse la forma scritta e ad attribuire al lavoratore il diritto ad un preavviso
minimo di due giorni lavorativi. Laddove il contratto collettivo nulla preveda, clausole elastiche
possono essere pattuite per iscritto dinanzi alle commissioni di certi cazione. Le clausole
elastiche devono contenere le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro, con un
preavviso di due giorni, può modi carne la collocazione temporale della prestazione e variarne
in aumento la duratura. Deve poi essere speci cata la misura massima dell'eventuale aumento
dell'orario di lavoro, che non può eccedere il 25% della prestazione annua. Inoltre, avrà diritto
a una maggiore retribuzione pari al 15% della retribuzione globale di fatto. La legge attribuisce
al lavoratore il diritto al ripensamento: consiste nella facoltà di revoca del consenso prestato
alla clausola elastica, in presenza di gravi ragioni di salute, dei conviventi o di cura dei gli,
motivi di studio o di formazione. È possibile poi mutare il rapporto da tempo pieno a tempo
parziale e viceversa: mentre per il passaggio al tempo pieno non vi sono precisi requisiti di
forma, il passaggio dal tempo pieno al tempo parziale deve derivare da un accordo stipulato in
forma scritta. Il ri uto del lavoratore di acconsentire alla modi ca del regime temporale non
costituisce un giusti cato motivo di licenziamento, a meno che ciò non integri una autonoma
ragione di licenziamento, come nel caso in cui la diminuzione oraria del lavoro costituisca
l'unica alternativa a un licenziamento per giusti cato motivo oggettivo. L'ordinamento italiano
garantisce il diritto del prestatore a trasformare il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto
a tempo parziale solo in ipotesi determinate-> patologie ecologiche o cronico degenerative. In
altri casi, il legislatore prevede più semplicemente il diritto di precedenza del prestatore nel
caso di assunzione a tempo parziale. Il lavoratore il cui rapporto si è trasformato da tempo
pieno a tempo parziale o diritto di precedenza nell'assunzione a tempo pieno per
l'espletamento delle stesse mansioni o di mansioni di pari livello. Si garantisce che il
lavoratore a tempo parziale non riceva un trattamento deteriore rispetto a quello a tempo
pieno.
4. Il lavoro intermittente -> accostato al contratto di lavoro a tempo parziale, il contratto di
lavoro intermittente rappresenta una tipologia non solo giuridicamente ma anche
funzionalmente distinta. Per la peculiarità che lo contraddistinguono il contratto di lavoro
intermittente ha catalizzato l'attenzione della dottrina-> la ratio dell'istituto è quella di
contrastare forme di lavoro sommerso ed irregolare, attraverso l'o erta alle parti contraenti di
uno schema contrattuale entro cui inserire una serie di prestazioni lavorative brevi,
discontinue, ravvicinate e variabili. Ha dato luogo ad un acceso dibattito, più che altro di
valenza politico ideologica, che dà ragione dei sovvertimenti legislativi che l'hanno interessata.
Disciplinata per la prima volta dal decreto legislativo del 2003 numero 276, la relativa
normativa è stata poi abrogata dalla legge numero 247 del 2007. Successivamente il decreto
legge del 25 giugno 2008, numero 112, convertito nella legge del 6 agosto del 2008, numero
133, ha fatto rivivere l’istituto. Da ultimo, il decreto legislativo numero 81 del 2015 a pre
disciplinato integralmente l'istituto agli articoli 13-18. L'articolo 13 de nisce il contratto di
lavoro intermittente come quel contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un
lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione
lavorativa in modo discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti
collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi
predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell’anno. In mancanza di contratto
collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministero
del Lavoro e delle politiche sociali. Non è quindi soltanto la natura discontinua o intermittente
della prestazione lavorativa, ma soprattutto la disponibilità del lavoratore a prestare l'attività
lavorativa se e quando richiesto dal datore che caratterizza la fattispecie . La legge prevede
due tipologie di lavoro intermittente: quella in cui il prestatore ha garantito al datore di lavoro la
propria disponibilità a rispondere alle chiamate, e quello in cui lavoratore non ha garantito una
simile disponibilità, quindi è libero di accettare o ri utare. Se il contratto di lavoro intermittente
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con obbligo di risposta è stato ricondotto allo schema tipico del lavoro subordinato
dell'articolo 2094, quello senza obbligo è più di cile per quanto riguarda l’inquadramento->
infatti la dottrina aveva anche dubitato della sua natura contrattuale, in quanto nessuna delle
parti si obbliga a fare qualcosa. La tesi più convincente che si tratti di un contratto normativo,
vale a dire un contratto che predetermina le condizioni di eventuali successivi scambi
negoziali a termine. Sia esso con o senza obbligo, per il ricorso al contratto di lavoro
intermittente devono sussistere i requisiti oggettivi e\o soggettivi. I primi attengono alle
esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le
prestazioni in periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese e dell’anno. In
mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzazione del lavoro intermittente sono individuati
in via suppletiva da un decreto del ministero del lavoro, che tuttavia non è ancora stato
emanato. Quanto ai requisiti soggettivi, si consente in ogni caso la conclusione di un contratto
di lavoro intermittente con soggetti che abbiano meno di 24 anni, purché le prestazioni
avvengono entro il 25º anno di età, ovvero più di 55 anni. La ratio sottesa a tale previsione è
facilmente intuibile: da un lato è quella di favorire l'accesso al mercato del lavoro per i più
giovani, senza precludere il diritto ad una futura stabile occupazione; dall'altro di agevolare
l'occupazione dei soggetti prossimi alla pensione e che, come tali, trovano una più di cile
collocazione nel mercato. Ci si è domandati se non contrastasse con il principio di non
discriminazione-> la corte si è pronunciata, dicendo che la nalità di favorire l'accesso dei
giovani al mercato del lavoro, persegue una nalità legittima. È previsto anche un limite di
carattere temporale: è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per
un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di lavoro e ettivo nell'arco di un
triennio. Qualora si superi, è prevista la trasformazione in contratto a tempo pieno e
indeterminato. Il legislatore individua talune ipotesi in cui il ricorso al lavoro intermittente è
vietato: per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità
produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi
riguardanti lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro
intermittente (salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori
assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, abbia durata iniziale non
superiore a tre mesi); nelle unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del
lavoro o una riduzione dell'orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano
lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente; da parte di
datori di lavoro che non hanno e ettuato la valutazione dei rischi in applicazione della
normativa a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Quanto alla forma, deve essere
stipulato per iscritto ai soli ni della prova di alcuni elementi: la durata, la sussistenza di
requisiti oggettivi e soggettivi, luogo e disponibilità della prestazione, eventualmente garantita
al lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata; trattamento economico, indennità di
disponibilità, forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato ad e ettuare la
chiamata, tempi e modi di pagamento, misure di sicurezza. Al ne di prevenire un uso
fraudolento, vi è un obbligo di comunicazione preventiva all'ispettorato territoriale del lavoro:
prima dell'inizio della prestazione. La violazione comporta una sanzione amministrativa. Il
lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati e a parità di mansioni svolte,
un trattamento economico e normativo meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello.
Tale trattamento deve essere riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa
e ettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale
delle singole componenti di essa, nonché delle ferie, dei trattamenti per malattia, infortunio,
congedo di maternità e parentela. In relazione al trattamento economico e normativo
spettante al lavoratore intermittente nei periodi non lavorati, è necessario distinguere a
seconda che il contratto preveda o meno l'obbligo di risposta alla chiamata: nel caso in cui ci
sia l'obbligo, il lavoratore ha diritto a percepire una indennità di disponibilità per i periodi di
non lavoro, la cui misura è determinata dai contratti collettivi-> sei impossibilitato, perde il
diritto all'indennità per un periodo di 15 giorni ove non ne dia tempestiva comunicazione al
datore di lavoro e, il ri uto ingiusti cato può costituire motivo di licenziamento; tale disciplina
non trova applicazione in mancanza dell'obbligo di risposta
5. L’apprendistato-> il contratto di apprendistato rientra nell'ambito dei cosiddetti contratti con
nalità formative, in cui cioè il normale scambio tra prestazione di lavoro retribuzione si
arricchisce di un elemento: quello della formazione professionale. Si a erma che i contratti
formativi sono caratterizzati da una causa mista: prestazione di lavoro, retribuzione e
formazione. È stato oggetto di ripetute modi che, no ad arrivare al decreto legislativo numero
81 del 2015-> la di coltà di trovare un assetto normativo sta nel fatto che la disciplina del
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contratto di lavoro, rientri nella nozione di ordinamento civile, ed è di competenza esclusiva
dello Stato; quella della formazione e istruzione professionale spetta esclusivamente alle
regioni ; mentre quello ancora del mercato del lavoro e dei servizi per l'impiego è oggetto di
competenza concorrente tra Stato e regioni. La sua disciplina è oggi contenuta negli articoli
41 e seguenti del decreto legislativo del 2015. L'articolo 41 ribadisce che l'apprendistato è un
contratto di lavoro a tempo indeterminato nalizzato alla formazione e alla occupazione dei
giovani e al secondo comma recepisce, la tripartizione dell'istituto, già risalente al decreto
legislativo del 2003 -> si distingue infatti tra apprendistato per la quali ca e il diploma
professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certi cato di specializzazione
tecnica superiore; apprendistato professionalizzante; apprendistato di alta formazione e
ricerca. Deve essere stipulato per iscritto ai ni della prova e contenere il piano formativo
individuale de nito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione
collettiva. La durata non può essere inferiore a sei mesi, eccezione fatta per le attività
stagionali per le quali i contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere speci che
modalità. Il datore di lavoro può recedere dal rapporto al termine del periodo di apprendistato;
nel corso del rapporto egli può recedere invece solo per giusta causa o giusti cato motivo.
Nel corso di un contratto di apprendistato, il licenziamento è assoggettato agli stessi limiti e
alle stesse condizioni previste per i lavoratori a tempo indeterminato; con l'importante
di erenza, che al termine del rapporto di apprendistato, il recesso rimane libero ex articolo
2118 del codice civile. Il datore di lavoro ha dunque la facoltà di non confermare lavoratore. In
difetto di disdetta, l'apprendista è mantenuto in servizio con la quali ca conseguita mediante
le prove di idoneità e il periodo apprendistato è considerato utile ai ni dell'anzianità di servizio
del lavoratore-> per questo la dottrina prevalente pensa debba essere inquadrato come
contratto di lavoro a tempo indeterminato. Per il resto, la disciplina generale è rimessa alla
contrattazione collettiva, tra questi sono innanzitutto menzionati il divieto di retribuzione a
cottimo, che mira ad impedire modalità di lavoro incompatibili con le nalità formative del
contratto, e la possibilità di inquadrare il lavoratore no a due livelli inferiori rispetto a quello
spettante ai lavoratori addetti alle mansioni o alla quali ca al cui conseguimento è nalizzato il
contratto. Bene sono poi gli altri che riguardano l'aspetto della formazione e attengono alla
presenza di un tutore o referente aziendale; al nanziamento dei percorsi formativi aziendali
degli apprendisti per il tramite dei fondi paritetici interprofessionali; al riconoscimento della
quali ca professionale ai ni contrattuali; alla registrazione della formazione e ettuata e della
quali ca professionale ai ni contrattuali nel fascicolo elettronico del lavoratore. Accanto alla
disciplina comune esistono disposizioni speci camente dettate per ciascun tipo di
apprendistato. 1. L'apprendistato per la quali ca e il diploma professionale, il diploma di
istruzione secondaria e il certi cato di specializzazione tecnica superiore si rivolge ai giovani di
età compresa tra i 15 e i 25 anni. Il legislatore si propone di coniugare la formazione e ettuata
in azienda con l'istruzione la formazione professionale svolta dalle istituzioni formative che
operano nell'ambito dei sistemi regionali di istruzione e formazione. La durata del contratto è
determinata in considerazione della quali ca o del diploma da conseguire e in ogni caso non
può essere superiore a tre anni. A di erenza del passato, in alcuni casi speci camente
individuati è però ammessa la possibilità di prorogare la durata iniziale del contratto. La
regolamentazione dell'apprendistato di questo tipo è rimessa alle regioni->in caso di inerzia
l'apprendistato è rimesso al ministero del lavoro, che ne disciplina l'esercizio con propri
decreti. Una delle novità introdotte dal decreto legislativo del 2015 riguarda la stipulazione di
un apposita convenzione tra il datore di lavoro e l'istituzione formativa cui lo studente iscritto,
nella quale vengono stabiliti i contenuti e la durata degli obblighi formativi del datore
medesimo. Nell'apprendistato che si svolge nell'ambito del sistema di istruzione e formazione
professionale regionale, la formazione esterna all'azienda è impartita dall'istituzione formativa
cui lo studente è iscritto e non può superare i limiti orari che ritroviamo all'articolo 43 del
decreto legislativo del 2015. In particolare, per le ore di formazione svolte all'esterno
dell'azienda il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo, mentre per quelli a suo
carico è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10% di quella che gli sarebbe
dovuta. È ammessa la trasformazione dell'apprendistato di questo tipo in apprendistato
professionalizzante-> È consentito successivamente al conseguimento della quali ca o del
diploma professionale e del diploma di istruzione secondaria superiore.in tal caso però la
durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può eccedere quella
individuata dai contratti collettivi. 2. L'apprendistato professionalizzante è rivolto a soggetti di
età compresa tra 18 e i 29 anni per il conseguimento di una quali ca professionale. La
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formazione di tipo professionalizzante è integrata dall'o erta formativa pubblica nalizzata
all'acquisizione di competenze di base e trasversali e disciplinata dalle regioni, sentite le parti
sociali e tenuto conto del titolo di studio e delle competenze dell’apprendista. Il decreto
legislativo del 2015 stabilisce l'obbligatorietà dell'o erta formativa pubblica non solo nei limiti
delle risorse disponibili, ma anche a condizione che l'azienda che assume, entro 45 giorni
dalla comunicazione dell'instaurazione del rapporto, abbia ricevuto dall'ente locale indicazioni
in merito allo svolgimento dell'attività previste-> così l'eventuale ine cienza delle regioni non
produce alcuna conseguenza sul rapporto di lavoro e il datore potrà limitarsi ad erogare una
formazione esclusivamente aziendale, così come regolato dai contratti collettivi.
Esclusivamente per i datori di lavoro con almeno 50 dipendenti, l'assunzione con contratto di
apprendistato professionalizzante è poi soggetta ad uno speci co limite di carattere
quantitativo. L'assunzione di nuovi apprendisti con contratto di apprendistato
professionalizzante è subordinata alla prosecuzione, a tempo indeterminato, del rapporto di
lavoro al termine del periodo formativo di almeno il 20% degli apprendisti dipendenti dallo
stesso datore di lavoro, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione. 3. L'apprendistato di alta
formazione e di ricerca è rivolto ai giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni, in possesso del
diploma di istruzione secondaria superiore o di un diploma professionale, per il
conseguimento di titoli di studio universitari e dell'alta formazione, compresi dottorati di
ricerca, nonché per il praticantato per l'accesso alle professioni ordinistiche. La formazione
esterna all'azienda è svolta nell'istituzione formativa cui lo studente iscritto e nei percorsi di
istruzione tecnica superiore. Per le ore di formazione svolte nell'istituzione formativa il datore
di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo, per quella suo carico è riconosciuta al
lavoratore una retribuzione pari al 10% di quella che gli sarebbe dovuta. La regolamentazione
e la durata di tale tipologia di apprendistato sono rimesse alle regioni per i soli pro li che
attengono alla formazione, tenute a de nirle secondo una procedura partecipata, cioè in
accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente
più rappresentative e con le istituzioni formative interessate. In assenza delle regolamentazioni
regionali, l'attivazione di percorsi e disciplinata dalle disposizioni del decreto menzionato
l'articolo 46 per la de nizione delle modalità di erogazione della formazione dell'apprendistato
di II tipo. Il legislatore disciplina l'ipotesi di inadempimento nell'erogazione della formazione a
carico del datore di lavoro, di quelli sia esclusivamente responsabile e che sia tale da impedire
la realizzazione delle nalità formative proprie di ciascuna tipologia di apprendistato-> il datore
di lavoro è tenuto a versare la di erenza tra contribuzione versata e quella dovuta con
riferimento al livello di inquadramento contrattuale che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore
al termine dell'apprendistato, maggiorata del 100%, con esclusione di qualsiasi sanzione per
omessa contribuzione + è assoggettato ad una sanzione amministrativa pecuniaria.
6. I tirocini-> quando si parla di stage si usa una parola francese che signi ca tirocinio. Una
prima ragione per la quale il diritto del lavoro si occupa del tirocinio è che esso ha assunto nel
tempo una funzione sempre più importante come strumento delle politiche del lavoro. E
nell'ottica, di tutela non solo di chi un lavoro ce l'ha, ma anche di chi lo sta cercando, il diritto
del lavoro non può ignorarlo. Il tirocinio è uno strumento che compendia in sé una duplice
funzione: formativa e occupazionale. A di erenza dell’apprendistato, nel tirocinio la formazione
costituisce l'oggetto e la nalità di uno strumento non identi cabile alla stregua di un contratto
tra il soggetto che e ettua lo stage e quello che lo ospita. In questo caso, il contratto di lavoro
non esiste, potendo semmai collocarsi sullo sfondo, come possibile prospettiva. La legge
numero 92 del 2012 e da ultimo intervenuta prevedendo l'assicurazione di un accordo in sede
di conferenza permanente Stato-regioni, al ne di rielaborare e de nire linee guida per
armonizzare a livello nazionale la disciplina dell’istituto. L'articolo uno ribadisce la natura del
tirocinio quale misura formativa di politica attiva, nalizzata a creare un contratto diretto tra un
soggetto ospitante e il tirocinante allo scopo di arricchire le competenze professionali e di
favorire l'inserimento o il reinserimento lavorativo: esso consiste in un periodo di orientamento
al lavoro e di formazione senza che si con guri un rapporto di lavoro. Si distinguono diverse
tipologie di tirocini: i tirocini formativi e di orientamento sono nalizzati alla transizione dei
giovani, neo diplomati o neolaureati verso il mondo del lavoro; quelli di inserimento o
reinserimento sono nalizzati alla collocazione ricollocazione di soggetti in età di lavoro
inoccupati, disoccupati, in un regime di cassa integrazione, oppure svantaggiati perché
disabili, richiedenti asilo ecc. La durata massima del tirocinio non può essere superiore a 12
mesi, salvo che per i soggetti disabili per i quali il limite è di 24 mesi, mentre quella minima
non può essere inferiore a due mesi. I tirocini sono svolti sulla base di apposite convenzioni
stipulate tra soggetti promotori e soggetti ospitanti, predisposte sulla base di modelli de niti
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dalle regioni. Quanto ai soggetti ospitanti compito ancora una volta delle regioni speci carne
le caratteristiche soggettive e oggettive: le linee guida si limitano infatti ad escludere dai
soggetti ospitanti coloro che abbiano in corso procedure di cassa integrazione guadagni
straordinaria operatività equivalenti a quelle del tirocinio, a meno che accordi con le
organizzazioni sindacali ammettano una simile possibilità; il soggetto ospitante non può
attivare tirocini aventi ad oggetto attività equivalenti a quelle per quello stesso e ettuato, nella
medesima unità operativa e nei 12 mesi precedenti, licenziamenti per giusti cato motivo
oggettivo ovvero licenziamenti collettivi. Il trattamento economico stabilisce il diritto ad una
congrua identità: è ritenuta una congrua identità un importo non inferiore a 300 € lordi mensili.
Nel caso di tirocini in favore di lavoratori sospesi e comunque percettori di forme di sostegno
al reddito, in quanto fruitori di ammortizzatori sociali, tale indennità non viene corrisposta.
7. Il lavoro occasionale -> il lavoro occasionale accessorio è una fattispecie introdotta dal
decreto legislativo numero 276 del 2003, con lo scopo di favorire l'emersione e la
regolarizzazione contributiva di una porzione pur residuale del mercato del lavoro. È
caratterizzato da un'innovativa modalità di remunerazione di attività saltuarie, spesso eseguita
in nero. A fronte di queste attività, in modalità sempli cate e di erogazione del corrispettivo e
di versamento dei contributi, attraverso buoni dotati di valore nominale in misura ssa,
acquistabili presso rivendite autorizzate. È prevalente l'opinione che il legislatore abbia
con gurato un rapporto speciale, pur sempre connotato da matrice contrattuale, in quanto
generato dalla comune volontà negoziale del lavoratore e del creditore della prestazione di
lavoro, munito di una disciplina tipica in materia retributiva e contributiva e sottratto
dall'applicazione della disciplina comune del lavoro subordinato. Tale specialità
determinerebbe l'attenuazione della tradizionale questione quali catori. Sono state individuate
due fattispecie di prestazione occasionale: il cosiddetto libretto famiglia e il contratto di
prestazione occasionale. In via generale, la prestazione di lavoro occasionale soggetta
innanzitutto a limiti di natura quantitativa: il compenso annuale per il prestatore non può
essere superiore a 5000 € con riferimento alla totalità degli utilizzatori e a 2500 € per le
prestazioni rese in favore del medesimo utilizzatore. A questi limiti se ne aggiungono due
ulteriori: ciascun utilizzatore non può corrispondere un compenso superiore a 5000 € nel
corso di un anno civile, mentre la durata della prestazione eseguita per il singolo utilizzatore
non può superare le 280 ore nell'arco dell'intero anno civile. Il ricorso al lavoro occasionale
presuppone inoltre la registrazione di entrambe le parti del rapporto su una piattaforma
informativa gestita dall'Inps, per le operazioni di erogazione e di accreditamento di compensi.
Abbiamo poi un divieto di carattere generale: non possono infatti essere acquisite prestazioni
di lavoro occasionale da parte di soggetti con i quali l'utilizzatore abbia in corso abbia cessato
da meno di sei mesi un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e
continuativa. Per quanto riguarda le tutele, al prestatore di lavoro riconosciuto il diritto
all'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, con iscrizione alla gestione separata
Inps. Inoltre, i compensi percepiti dal prestatore sono esenti da imposizione scale. Quanto al
cosiddetto libretto famiglia, esso è utilizzabile solo dalle persone siche, non nell'esercizio
dell'attività professionale o di impresa, per il pagamento delle prestazioni occasionali rese
nell'ambito di piccoli lavori domestici, compresi quello di giardinaggio, di pulizia o di
manutenzione. In tale ipotesi, la comunicazione della prestazione all'Inps è successiva e deve
contenere l'indicazione delle generalità del lavoratore, del compenso, del luogo di svolgimento
e della durata. Ciascun libretto famiglia contiene titoli di pagamento, il cui valore nominale è
ssato in 10 e., utilizzabile per compensare prestazioni di durata non superiore a un’ora. Il
contratto di prestazione occasionale è invece il contratto mediante il quale un utilizzatore
acquisisce, con modalità sempli cate, prestazioni occasionali e saltuarie di ridotta entità, entro
i limiti quantitativi, alle condizioni e modalità previste. Il ricorso al contratto di prestazione
occasionale è anzitutto vietato agli utilizzatori che hanno alle proprie dipendenze più di cinque
lavoratori subordinati a tempo indeterminato, con alcune eccezioni come le aziende
alberghiere e le strutture ricettive che operano nel settore del turismo. Ciascuno utilizzatore
versa, attraverso la piattaforma informatica, le somme utilizzabili per compensare le
prestazioni. La misura minima oraria del compenso è pari a nove euro, tranne per il settore
agricolo per il quale opera un rinvio al contratto collettivo. È ssato un compenso minimo
giornaliero nella misura di 36 € per le prestazioni di durata non superiore a quattro ore
continuative nell'arco della giornata. Sarà l'Inps a provvedere, entro il giorno 15 del mese
successivo alla prestazione, il pagamento attraverso accreditamento sul conto corrente
bancario o mediante boni co. L'obbligo di comunicazione all'Inps della prestazione è il
preventivo. L'utilizzatore deve infatti trasmettere all'Inps almeno ora prima dell'inizio della
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prestazione le generalità del prestatore, il luogo di svolgimento, l’oggetto, la data e l’ora di
inizio e di ne della prestazione, il compenso pattuito. L'inosservanza comporterà una
sanzione amministrativa dai 500 ai 2500 €.
8. I contratti di lavoro essibile nella pubblica amministrazione-> nel pubblico impiego il
lavoro a tempo determinato e le forme di lavoro essibile hanno una disciplina speciale. Si
prevede che le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro
subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento di cui all'articolo
35 del decreto legislativo del 30 marzo del 2001, numero 165. La stipulazione di contratti
essibili ammessa solo per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o
eccezionale, e nel rispetto delle peculiari condizioni e modalità di reclutamento proprie
dell'impiego pubblico, a meno che non sussista uno speci co divieto, come nel caso del
lavoro intermittente e della somministrazione a tempo determinato. L'esclusione di una
trasformazione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato è conforme a quanto previsto
dall'articolo 97 comma quattro della costituzione, in base al quale agli impieghi nelle
pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
Preclusa la cosiddetta conversione, il lavoratore interessato ha diritto, in base al dettato
legislativo, al risarcimento del danno.

Ora, passiamo in rassegna altri tipi di lavoro diversi da quello subordinato:

1.Il contratto di agenzia -> bisogna capire chi sia il preponente, ovvero colui che deve vendere
prodotto nanziari o per esempio, vestiti, alimenti, e che sia il committente. Il proponente
individua il committente e gli dà una zona di esclusiva, dove dovrà vendere i suoi prodotti->
raccoglie quindi gli ordini e li trasmette. Perché in alcuni casi c'è la rappresentanza, l’agente
quindi è abilitato a rmare i contratti per conto del proponente, in altri casi invece raccoglie
solamente degli ordini. Nell'ambito della vendita dei prodotti nanziari è di usissimo, poiché
l’agente viene pagato a provvigione, una percentuale.
2. Mediazione
3. Trasporto
4. Rappresentanza commerciale
5. Cooperativa-> possono essere di acquisto, raro, quando un gruppo ha bisogno di un certo
bene e quindi si consorzia; di lavoro, dove il vantaggio dei soci della cooperativa si vede dal fatto
che si trovano lavoro presentandosi sul mercato non quale lavoratore dipendente di un'impresa,
ma come socio di una cooperativa-> nate in varie ambienti, tassisti, facchini ed edilizia-> nel
lavoro dipendente l'imprenditore prende l'utile che gli risulta all'esito delle operazioni economiche
e delle attività economiche che conduce, ed è suo; nelle cooperative l'imprenditore è la società,
chi sono i soci della società cooperativa, gli stessi lavoratori, quindi i lavoratori sono
contemporaneamente soci e quindi possono in uire sulle sorti della società, essere anche titolari
del diritto alla ripartizione degli utili, e lavoratori-> questo rapporto è subordinato a cui si somma
un rapporto diverso, ovvero subordinati + diritti propri dei soci delle società ? O è un contratto
completamente autonomo e distinto da quello subordinato ? Fino al 1990 si era combattuti->
legge-> I rapporti sono due, un lavoro di tipo subordinato, e un rapporto con la legge chiama di
tipo associativo, o meglio societario.
6. Volontariato-> serie di leggi, tra cui il codice del terzo settore, che dicono che ci sia volontariato
quando e ettivamente la struttura è quella di un lavoro subordinato-> c’è una rinuncia al
corrispettivo, perché il ne che viene perseguito è un ne che è condiviso dal volontario
(de nizione laica di carità). Problema ? Posso fermarmi da un momento all’altro ? Per esempio,
inizio a pulire un parco, posso mollare il mio sacco con le bottiglie raccolte? Ci muoviamo al di
fuori da un rapporto giuridico, quindi non si ha un obbligo ma-> dibattito aperto. Come sappiamo
però c'è l'idea che se si ha iniziato a gestire a ari per conto di un terzo l'unica obbligazione che
deriva è che bisogna portarli a compimento, non si possono mollare a metà-> quindi, nell'ambito
del volontariato, si potrebbe rappresentare una vera e propria obbligazione, non a lavorare, ma a
condurre a compimento l’attività.
7. Lavoro sportivo
8. Lavoro domestico e a domicilio-> la colf-> norma apposita nel 77; a domicilio = smartworking
(parlato sopra).

Parliamo, ora, dell’oggetto del contratto di lavoro : l'oggetto del contratto è rappresentato dalle
prestazioni che le parti reciprocamente si promettono in funzione dell'assetto di interessi tra le
stesse intervenuto. Nel caso del contratto di lavoro le prestazioni sono, dal lato del lavoratore,
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attività lavorativa e dal lato del datore di lavoro, retribuzione, che è il termine con cui si indica il
corrispettivo della prestazione. Per individuare l'oggetto dalla parte del lavoratore, solitamente
viene impiegato il termine mansioni-> riassume l'insieme dei compiti che il lavoratore si è
obbligato a compiere in forza del contratto di lavoro.

Le mansioni a cui è adibito il lavoratore rivestono notevole importanza, perché servono


innanzitutto per inserire il lavoratore nello schema di classi cazione professionale previsto dalla
legge e dai contratti collettivi. Il codice civile, al primo comma dell'articolo 2095, dispone che i
prestatori di lavoro subordinato si distinguono in-> dirigenti, quadri, impiegati ed operai, al
secondo comma, che le leggi speciali in relazione a ciascun ramo di produzione, nonché alla
struttura dell'impresa, indicano i requisiti di appartenenza all'una o all'altra categoria.
La suddivisione dei lavoratori nelle categorie legali, è rilevante per la determinazione della
disciplina applicabile, anche se, nel corso degli anni, gli elementi di di erenziazione di disciplina si
sono venuti a evolendo, essenzialmente per quanto riguarda gli operai e gli impiegati. Se, alle
origini, gli impiegati avevano un trattamento molto più favorevole, oggi permangono solo limitate
di erenze. Fino a poco tempo fa aveva poco senso riprendere i criteri distintivi tra operai e
impiegati, la recente riscrittura dell'articolo 2103 del codice civile sembra aver rinvigorito, la
distinzione. Dunque per distinguere la gura dell'operaio da quella dell'impiegato si dovrebbe
ancora fa riferimento alla cosiddetta legge sull'impiego privato del 1924. Il decreto del 1924
quali ca come impiegato colui che svolge attività professionale, con funzioni di collaborazione
tanto di concetto che di ordine, accentuata, pertanto, ogni prestazione che sia semplicemente di
manodopera. Nella de nizione data dal legislatore ci sono almeno tre elementi ritenuti quali canti:
la collaborazione, la professionalità e la non manualità della prestazione. Se questi elementi
avevano scarso valore descrittivo già alle origini, tanto più oggi è venuto meno-> si consideri il
requisito della collaborazione, non solo gli impiegati ma anche gli operai collaborano con
l'imprenditore, mentre l'operaio collabora nell'impresa, l'impiegato collabora all’impresa; vi è poi
da considerare l'elemento della professionalità, è indubbio che esso presenta valore descrittivo
pressoché nullo se si considera che, nell'ambito della de nizione di impiegato, ha lo stesso
signi cato che assume nella de nizione di imprenditore-> vale a dire quello di abitualità, non
occasionalità-> sotto questo pro lo, non è meno professionale la prestazione dell'operaio rispetto
a quella dell’impiegato. In ne il requisito dell'intellettualità -> le mansioni tipiche dell'operaio
sempre più elementi di intellettualità che, in alcuni casi, oppure presenti in mansioni ritenute
tradizionalmente impiegatizie.

QUINDI-> la distinzione impiegato e operaio a testa più di una perplessità, l'operaio ha sempre
più la funzione di controllo sulle macchine che di esecuzione materiale della produzione.

Laddove la giurisprudenza è costretta ad operare la classi cazione, utilizza un suo criterio di


quali cazione, per cui sarebbe rilevante il tipo di collaborazione richiesta al prestatore di lavoro
che, per l'impiegato deve applicare un minimo livello di autonomia e discrezionalità.

Per quanto riguarda i dirigenti, restano categoria di erenziata rispetto agli altri prestatori di lavoro:
coloro costituiscono l'AlterEgo dell'imprenditore o sono preposti alla direzione dell'intera impresa
o di un ramo importante autonomo di questa, essendo provvisti a tal ne di piena autonomia
nell'ambito delle direttive generali dell’imprenditore.

Per la categoria dirigenziale permangono notevoli tratti di disciplina di erenziata rispetto alle altre
categorie: il pro lo di disciplina di erenziata più signi cativo concerne il licenziamento-> I dirigenti
non sono assoggettati alla disciplina limitativa dello stesso cui sono assoggettati gli altri lavoratori
subordinati. Infatti, per i dirigenti vige ancora il regime del recesso ad nutum-> con solo obbligo di
dare il preavviso, tranne che vi sia una giusta causa di licenziamento. I contratti collettivi hanno
tuttavia introdotto regole di stabilità convenzionale, richiedendo la giusti ca terza del
licenziamento in mancanza della quale datore di lavoro sarà tenuto ad una indennità de nita dagli
stessi contratti collettivi. Nel 1984 il CNEL, aveva proposto di modi care l'articolo 2095
eliminando la distinzione fra le categorie dei prestatori di lavoro, ad eccezione di quella
dirigenziale, per la quale avrebbe dovuto permanere una disciplina di erenziata: il legislatore si è
mostrato di contrario avviso e a modi cato l'articolo 2095 non nella direzione suggerita dal CNEL
ma, introducendo una nuova categoria-> i quadri.

È una categoria intermedia tra gli impiegati, da un lato, e dirigenti dall’altro.


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L'introduzione di tale categoria è avvenuta perché negli anni 80 i quadri intermedi, vale a dire
coloro che nell'organizzazione produttiva occupavano un ruolo di comando, per esempio i capi
u cio, senza essere dirigenti, non si sentivano più adeguatamente rappresentati dei sindacati
tradizionali, che perseguivano una politica sindacale egualitaria, mirante ad appiattire le di erenze
tra le diverse categorie professionali, e hanno rivendicato con forza che fosse riconosciuto il loro
ruolo-> la riforma quindi ha rappresentato una risposta politica, ed è stata emanata in seguito alla
cosiddetta marcia dei 40.000 alla Fiat nel 1984. Nonostante il riconoscimento normativo, la gura
del quadro non è stata corredata da una disciplina speci ca rispetto agli impiegati e non è data
neppure una de nizione speci ca-> svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante
importanza ai ni dello sviluppo e dell'attuazione degli obiettivi dell’impresa. Viene demandato ai
contratti collettivi, nazionali o aziendali, di stabilire i requisiti di appartenenza alla categoria, oltre
che i pro li di disciplina speci ca, in mancanza della quale si applica la disciplina dettata per gli
impiegati. L'unico pro lo disciplinato direttamente dal legislatore riguarda la responsabilità civile
verso terzi-> il datore di lavoro è tenuto ad assicurare il quadro intermedio contro il rischio di
responsabilità civile verso terzi conseguente a colpa nello svolgimento delle proprie mansioni
contrattuali.

Il sistema di classi cazione professionale e composto dalle categorie legali, previste dall'articolo
2095 del codice civile, ma anche dalle quali che, o livelli di inquadramento previsti dai contratti
collettivi. A volte i contratti collettivi usavano e usano il termine categoria per alludere alle
quali che, cioè ai livelli di inquadramento professionale.

I contratti collettivi ordinano le mansioni e le gure professionali presenti in un certo settore


merceologico secondo una scala classi catoria, i cui livelli si indicano come quali che\ categorie\
livelli di inquadramento. Oggi molti contratti collettivi hanno provveduto a riformare il sistema
classi catorio, introducendo la gura dell'area professionale, più ampia rispetto ai tradizionali
livelli di inquadramento.

Mentre precedentemente i contratti collettivi contenevano scale classi catoria di erenziati per
impiegati e operai, a partire dagli anni 70 è stato adottato il cosiddetto inquadramento unico:
mansioni operaie e mansioni impiegatizie sono state collocate ai diversi livelli di un'unica scala
classi catoria professionale. Il nuovo sistema classi catorio non è più articolato su diverse
categorie contrattuali all'interno delle categorie legali operaia e impiegatizia, ma su una pluralità di
livelli di inquadramento comuni ad entrambe. L'appartenenza ai livelli è determinato in forza di
declaratoria generali, contenenti sia una serie di pro li professionali, individuati secondo gruppi di
mansioni professionalmente omogenee, sia l'esempli cazione di mansioni tipiche rientranti nei
vari livelli. L'adozione di una scala classi catoria professionale e funzionale essenzialmente alla
determinazione del livello retributivo dei lavoratori. I contratti collettivi muovono dall'indiscutibile
presupposto che le prestazioni di lavoro prestano un diverso grado di complessità e\o penosita e,
in relazione adesso ne determinano il valore-> risponde al principio dell'articolo 36 della nostra
costituzione, per cui la retribuzione deve essere proporzionata, non solo alla quantità, ma anche
alla qualità del lavoro. Ed è noto che gli stessi giudici per stabilire quale retribuzione possa dirsi
proporzionata fanno riferimento alle tari e previste dai contratti collettivi.

Il potere direttivo del datore di lavoro, che connota il rapporto di lavoro subordinato e che
costituisce, il lato attivo della subordinazione del lavoro, si esercita all'interno dell'oggetto del
contratto, vale a dire nell'ambito delle mansioni dedotte nel contratto di lavoro. Alcune volte si è
distinto all'interno del potere direttivo, scolpito nell'articolo 2104, tra potere di conformazione, per
alludere al potere del datore di lavoro di speci care la concreta attività dovuta dal lavoratore, e il
potere di determinazione delle modalità della prestazione.

Si distingue dal potere direttivo il cosiddetto ius variandi -> ovvero il potere di variare le mansioni
del lavoratore oppure l'oggetto del contratto. Nel diritto contrattuale, al ne di pagare l'oggetto è
necessario l'accordo delle parti nel rapporto di lavoro invece legislatore riconosce al datore di
lavoro un potere eccezionale, di variare le mansioni oggetto del contratto, sebbene
assoggettando tale potere ad alcuni limiti.

La ragione dell'attribuzione di tale potere unilaterale è che la prestazione lavorativa destinata


svolgersi in un'organizzazione produttiva la quale, per sua natura è dinamica-> Data la natura
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dinamica, e dunque mutevole, dell'organizzazione si attribuisce al datore di lavoro il potere di
variare le mansioni per adeguarle all’evoluzione.

L'articolo 2103 e nel testo originario prevedeva che il lavoratore dovesse essere adibito, oltre che
alle mansioni per cui era stato assunto, anche a mansioni diverse purché ricorresse l'interesse
dell’impresa. Tuttavia, se non fosse stato convenuto diversamente, l'imprenditore avrebbe potuto
in relazione alle esigenze dell'impresa adibire il prestatore ad una mansione diversa, purché essa
non importasse una diminuzione della retribuzione e, un mutamento sostanziale della posizione in
quest’ultimo. Il prestatore di lavoro, inoltre, avrebbe avuto diritto al trattamento corrispondente
all'attività svolta, se per lui più vantaggioso.

Se il limite dell’immodi cabilità in peius della retribuzione era chiaro, quello del divieto di
mutamento della posizione sostanziale del lavoratore era più evanescente. Non si può dire
tuttavia che nell'originario testo dell'articolo 2103 mancassero limiti al ius variandi -> non vi era
però alcun dubbio che l'articolo regolasse solo il mutamento di mansioni scaturente dall'esercizio
del potere unilaterale del datore di lavoro, non la di erente ipotesi in cui esso fosse frutto di un
patto modi cativo, cioè di un accordo tra datore di lavoro e lavoratore: in caso di patto
modi cativo non erano operanti i limiti dell'articolo 2103, a cominciare dall’irriducibilità della
retribuzione-> in questo modo, sarebbe potuto osservare, venivano in realtà ripristinate le regole
del diritto comune, in base alle quali per modi care l'oggetto del contratto è necessario l'accordo
delle parti. L'adeguatezza di simile soluzione poteva essere revocata in dubbio, stante il problema
della debolezza contrattuale del lavoratore, che poteva far presumere non genuino il suo
consenso. Ma, soprattutto, la contessa di simile soluzione è stata revocata in dubbio a causa
dell'inclinazione dei giudici a ravvisare l'esistenza di un fatto modi cativo, per comportamento
concludente, nel caso in cui lavoratore avesse eseguito di fatto le diverse mansioni cui datore di
lavoro l'aveva adibito senza elevare proteste : in quest'ipotesi essi ravvisavano un'accettazione,
della proposta di modi cazione datoriale.

Non vi è dubbio che la concludenza di questo comportamento poteva essere revocata in dubbio:
l’ acquiescenza del lavoratore poteva infatti essere determinata dal timore di ritorsioni.

L'articolo 13 dello statuto dei lavoratori cerca di porre rimedio alle debolezze della disciplina
contenuta nell'articolo 2103-> il legislatore circoscrive in maniera più precisa i limiti entro cui lo ius
variandi può essere esercitato e, soprattutto, attrae anche i patti modi cativi nel campo di
applicazione dell'articolo 2103-> quindi, anche le modi che consensuali incontrano gli stessi limiti
dell'esercizio del potere di variazione delle mansioni. Il lavoratore quindi, poteva essere adibito,
oltre che alle mansioni per cui era stato assunto, anche alle mansioni equivalenti alle ultime
e ettivamente svolte. Le ultime mansioni e ettivamente svolte erano da considerarsi le mansioni
di assunzione, ovvero quelle svolte dal lavoratore in modo stabile : quindi l'adibizione temporanea
a mansioni superiori non aveva alcun rilievo ai ni del giudizio di equivalenza.

Era proprio il concetto di equivalenza il fulcro della normativa statuaria: il problema era se fosse
su ciente, a nché due mansioni potessero essere considerate equivalenti, che se fossero
inquadrati nello stesso livello dalla scala di classi cazione professionale prevista dei contratti
collettivi, con conseguente identità di retribuzione-> si è ritenuto che l'equivalenza deve essere
intesa, non solo in senso economico retributivo, ma anche in senso professionale.l'equivalenza
retributiva era condizione necessaria ma non su ciente. La giurisprudenza è stata sovrana nell’
elaborare gli indici di equivalenza professionale-> sono stati fatti i giudici principali interpreti della
nozione di equivalenza-> essi peraltro avevano elaborato delle linee guida o criteri astratti di
giudizio: in primo luogo, l'equivalenza tra due mansioni doveva essere valutata, non in astratto,
ma nel concreto contesto produttivo, cioè nella concreta organizzazione in cui operava il
lavoratore; in secondo luogo, dovevano essere valutati una pluralità di indici di equivalenza
professionale.

Si è giunti alla conclusione che la mansione può essere considerata equivalente alla precedente
solo se non determina un depauperamento del patrimonio professionale del lavoratore.guarda la
professionalità del lavoratore, non poteva essere curata no al punto di imporre al datore di
lavoro, attraverso la cosiddetta mobilità orizzontale, un accrescimento del patrimonio
professionale del lavoratore, accrescimento di cui avrebbero dovuto semmai farsi carico i contratti
collettivi. I contratti collettivi hanno cercato di circoscrivere la discrezionalità del giudice,
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prevedendo, ad esempio che lavoratore potesse ruotare su una serie di mansioni, alcune delle
quali di livello inferiore, ma comunque nell'ottica di un progressivo innalzamento della
professionalità-> tuttavia, non sempre i giudici hanno recepito le indicazioni derivanti dei contratti
collettivi, alle quali, non avevano l'obbligo di attenersi.

Il lavoratore poteva essere adibito, non solo a mansioni equivalenti, ma anche a mansioni
corrispondenti alla categoria superiore che avesse successivamente acquisito-> mobilità
verticale. È evidente che, il termine categoria era da intendersi come quali ca e non come
categoria legale di cui all'articolo 2095. L'adibizione del lavoratore ad una quali ca superiore
comportava il diritto alla percezione della retribuzione superiore ma, l'articolo 2103, disciplinava
anche ulteriore pro lo, quello della cosiddetta promozione automatica: l'assegnazione a mansioni
superiori diventava de nitiva quando la stessa non avesse avuto luogo per la sostituzione di un
assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo ssato dai contratti collettivi, e
comunque non superiore a tre mesi.

Qualcuno indottrina si è posto l'interrogativo se il lavoratore avesse il diritto di opporsi


all'adibizione a mansioni superiori-> secondo una tesi accreditata, il prestatore di lavoro non
avrebbe voluto opporsi alla adibizione temporanea a mansioni superiori, ma avrebbe potuto
pretendere di ritornare le proprie mansioni prima della scadenza di tre mesi. La tesi, però aveva
del necessario consenso del lavoratore alla promozione automatica non hai invero discorso
signi cativi consensi.Le ragioni sono state sia di carattere fattuale sia di carattere interpretativo,
dal momento che l'articolo 2113 disciplina lo ius variandi -> cioè un potere unilaterale del datore
di lavoro di adibire il lavoratore sia a mansioni equivalenti, sia superiori.

Dunque, era vietata l'adibizione a mansioni inferiori, anche in presenza del consenso del
lavoratore-> la norma sta questo pro lo era estremamente rigida-> infatti, ben avrebbe potuto
essere interesse del lavoratore l'adibizione a mansioni inferiori, se l'alternativa fosse stato il
licenziamento. In casi quali cati, è stato lo stress latore da mettere la possibilità di adibire il
prestatore di lavoro a mansioni inferiori, con conservazione della retribuzione precedente: ad
esempio, nel caso della lavoratrice madre, quando le mansioni alle quali era di vita fossero
insalubri.

ORA-> siamo pronti a comprendere e cogliere la portata dell'articolo tre del decreto legislativo
numero 81 del 2015, che ha nuovamente novellato l'articolo 2103 e, di conseguenza l'attuale
disciplina del cosiddetto ius variandi. Si noti, prima di tutto, la modi ca della rubrica dell'articolo
2103, che è ridiventata prestazione di lavoro. Il lavoratore può essere adibito, oltre che alle
mansioni per cui è stato assunto o alle mansioni corrispondenti all'inquadramento che abbia
successivo acquisito, anche alle mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di
inquadramento delle ultime e ettivamente svolte. La novità più rilevante è rappresentata dalla
scomparsa della nozione di equivalenza: ora, al ne del legittimo esercizio di ius variandi, È
su ciente che la nuova mansione appartenga allo stesso livello e categoria legale di
inquadramento delle ultime e ettivamente svolte-> tutte le posizioni di lavoro rientranti nella
medesima mento sono potenzialmente ricopribili dal lavoratore, con il solo limite della
salvaguardia della categoria legale di inquadramento.

Viene così rivitalizzata con la distinzione tra operai e impiegati ritenuta nora obsoleta e superata
dall'inquadramento unico.

E chiaro come legislatore ha voluto ridurre il potere del giudice di valutare discrezionalmente
l'equivalenza delle mansioni, talvolta contraddicendo le stesse indicazioni contenute nei contratti
collettivi.

La seconda innovazione rilevante è la previsione espressa di un potere modi cativo verso il


basso: nel caso di modi ca degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del
lavoratore, il datore di lavoro può adibirlo anche a mansioni ad un livello inferiore di
inquadramento contrattuale, con il limite del mantenimento della retribuzione originaria. In questo
caso, il giudice può sindacare l'esistenza della riorganizzazione posta alla base dell'esercizio del
potere unilaterale del datore e la sua incidenza sulla posizione del lavoratore, ma non l'opportunità
della modi ca organizzativa aziendale-> Deve quindi limitarsi a veri care l'esistenza delle stesse e
del nesso di causalità tra esse e il trasferimento, senza alcuna valutazione di merito sulla bontà o
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sulla opportunità delle scelte produttive ed organizzative adottate dal datore. Il legislatore,
prevede che ulteriori ipotesi possano essere previste dai contratti collettivi, sempre con il limite
della salvaguardia della retribuzione. E’ evidente che le indennità che compensano, ad esempio la
particolare penosità della precedente mansione, sono destinate a venire meno con mutamento
della stessa. Il nuovo testo dell'articolo 2103 dispone inoltre che il mutamento di mansioni è
accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato
adempimento non determina la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni-> qui si
allude al fatto che la formazione deve essere e ettuata o perché disposta dai contratti collettivi o
perché necessaria nel caso concreto ai ni dello svolgimento delle nuove mansioni. Si ha quindi
una sorta di scambio tra il proprio potere unilaterale concesso al datore di lavoro è un obbligo
formativo espressamente previsto dalla legge.

Nel sesto comma del nuovo articolo 2103-> prevede una serie di ipotesi in cui datore di lavoro e
lavoratore possono concordare l'adibizione a mansioni inferiori con diminuzione della
retribuzione-> non fa riferimento a precise cause giusti catrici, ma solo alla sussistenza di un
interesse del lavoratore legato alle sue prospettive occupazionali, la sua professionalità, le sue
condizioni di vita.

Per quanto riguarda mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente


all'attività svolta e che l'assegnazione diviene de nitiva salvo diversa volontà del lavoratore, ove la
medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo un
periodo ssato dai contratti collettivi o, in mancanza dopo sei mesi continuativi.

Ai sensi dell'ottavo comma dell'articolo 2103, il lavoratore può essere trasferito da un'unità
produttiva ad un'altra in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Si
attribuisce dunque al datore di lavoro uno ius variandi del luogo di svolgimento della prestazione
lavorativa. La norma si riferisce anche al trasferimento geogra co, sebbene possa ritenersi
ricompreso il trasferimento da unità produttiva autonoma ad un'altra situata nello stesso luogo.
Per quanto riguarda il signi cato del termine comprovate-> È indiscusso che, in caso di
contestazione da parte del lavoratore, sussistenza delle ragioni alla base del trasferimento deve
essere provata da datore di lavoro, l'indirizzo giurisprudenziale tradizionale e nel senso che
l'utilizzo del termine comprovate implichi un onere di motivazione, sebbene non necessariamente
contestuale. La questione principale tuttavia concerne i limiti del sindacato giurisdizionale sulle
ragioni tecniche, organizzative e produttive adottate dal datore di lavoro-> si è chiarito che il
controllo giudiziale non può estendersi al merito delle scelte imprenditoriali, ma è limitato
all'accertamento dell'e ettiva presenza delle ragioni adottate e del nesso causale tra queste e il
trasferimento del lavoratore. Parte della giurisprudenza ritiene, altresì, che le ragioni oggettive
poste a base del trasferimento debbano sussistere sia nell'unità produttiva di provenienza, sia in
quella di destinazione e che, dunque, il controllo giudiziale debba tener conto di entrambe.

ORA, riprendendo le parole del prof, facciamo un riassunto di questa ultima parte-> Art. 2095,
ovvero l'articolo che disciplina le prestazioni e quindi sistemi di inquadramento.

Che cos'è l’inquadramento? Nelle organizzazioni complesse le professionalità che sono richieste
sono tantissime. Come faccio a governare una società, che per esempio ha 270 professionalità?

Si fa quindi un criterio collettivo-> si individuano delle forme dove il compenso è predeterminato


ex ante, sulla base di una sorta di identikit di descrizione generale. Si cerca, attraverso forme
generali, di individuare e fotografare le singole professionalità, e poi di ricondurle ad un numero
più contenuto di tipi di livelli retributivi.

L’articolo recita -> “I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri,


impiegati e operai"

La distinzione fra operai e impiegati è una distinzione più del passato, si può citare solo perché
improvvisamente nel 2015 il legislatore ha deciso di rivitalizzarla.

La distinzione fra impiegati quadri e dirigenti : dove il dirigente formalmente è l'AlterEgo


dell’imprenditore, infatti se l'impresa è grande bisogno di qualcuno che sia il direttore del sito
produttivo-> è il soggetto che sostituisce l’imprenditore, quindi il vincolo duciario deve essere
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massimo. Ovviamente, nelle imprese molto grandi, la dirigenza si può articolare in più livelli, per
esempio nelle banche abbiamo sette livelli; nessuna legge mi obbliga ad avere un dirigente, potrei
tranquillamente avere solo degli impiegati-> il sistema della contrattazione collettiva non vede,
almeno nel privato, momento in cui il dirigente stia accanto all’operaio-> in Italia abbiamo due
sistemi paralleli di contrattazione collettiva: uno che vede insieme operai, impiegati e quadri, e
uno dei dirigenti. Quindi la frattura fra dirigenti e operai, quadri e impiegati è forte.

Ora la domanda è: se è solo un'impresa di medie dimensioni, devo per forza avere un dirigente
come AlterEgo? NO. Infatti, nelle imprese più piccole, l'AlterEgo potrebbe essere tranquillamente
un impiegato, ovviamente non un impiegato con mansioni esecutive, ma un impiegato con
mansioni direttive-> ovvero i capo u cio.

Quindi, non c'è una necessaria di erenza fra dirigenti e impiegati.

Che mi impedisce di dire che non sito produttivo il capo è uno che ha la quali ca di capo
operaio? Nessuno, ovviamente dovrò corrispondere una retribuzione diversa.

Sul piano del licenziamento il dirigente è meno tutelato, perché essendo l’AlterEgo, l'ordinamento
dice che deve tutelare la scelta libera del datore di lavoro. Adesso ovviamente la tutela contro
licenziamenti si è indebolita, e quindi la di erenza fra la tutela dei dirigenti e la tutela dei lavoratori
sul piano del licenziamento è meno accentuato.

I quadri -> impiegati apicali con mansioni direttive, legge nell’85-> l'impiegato con mansioni
direttive, cioè l'impiegato di più alto grado, si dice impiegato quadro.

Il tutto, per sottolineare come, quando l'articolo 2095 ci dice che lavoratori si suddividono in
operai, impiegati quadri dirigenti, non dice granché.

Come funziona il sistema di inquadramento ?

->articolo 2103 c.c : una volta si chiamava disciplina delle mansione: tutela l’interesse del
lavoratore a che la sua prestazione sia resa in maniera tale da assicurare un vantaggio reciproco.

Quali sono i vantaggi delle parti?


- l’impresa vive della modi ca degli assetti organizzativi
- Interesse di entrambi le parti è di realizzare un adattamento della prestazione
lavorativa
-Interesse del lavoratore

Il problema è quello di adattare una realtà mutevole al principio di determinazione dell’oggetto del
contratto -> l’oggetto del contratto subordinato, non sono le singole mansioni (perché sono
soggette a cambiamenti), ma la collaborazione nell’impresa che deve essere svolta in maniera tale
da rispettare la professionalità dell’individuo, perché la professionalità dell’individuo è una
proiezione della sua personalità. Nell’ambito di un rapporto di lavoro ha un obbligo di custodire
questa professionalità -> questa idea è antica;
Si deve riconoscere al datore di lavoro il diritto a modi care le mansioni (ius variandi -> diritto a
modi care).

Che ordini può dare il datore di lavoro? art.2103 individua i limiti agli ordini datoriali a tutela della
professionalità degli individui e rende pre- determinabile le modi che che potranno essere chieste
dal datore di lavoro;

L’articolo 2103 è stato modi cato:


- nel 1970 dallo statuto dei lavoratori
- nel 2015 dal jobsact
La norma prevede due diritti:
-il lavoratore ha diritto di fare quello per cui è pagato
-il lavoratore ha diritto ad essere pagato per quello che fa
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-Prima parte: lavoratore pagato per quello che fa-> quindi se è impiegato ma svolge mansioni da
capo u cio, deve essere pagato da capo u cio
-Seconda parte: modi ca delle mansioni che avviene a retribuzione invariata

Rimane invariata perché la posizione d’ arrivo e di partenza sono equivalenti perché sono all’
interno della stessa casella di inquadramento. Se il cambiamento avviene nel rispetto dell’
equivalenza è legittimo e non per forza porta ad un aumento di retribuzione.

Infatti, i movimenti, diceva il legislatore no al 2015, sono legittimi se equivalenti-> Fino al 2015
(poi è stata modi cata), criterio della equivalenza delle mansioni -> lo ius variandi era esercitato
legittimamente se le mansioni di partenza e quelle di nuova destinazione erano equivalenti,
altrimenti quella modi ca era illegittima (modi ca delle mansioni che non determina una variazione
della retribuzione perché appunto la mansione di arrivo è equivalente a quella di partenza).
Sono equivalenti le mansioni collocate nello stesso livello di inquadramento. La legge non dice
quali sono le mansioni equivalenti, usa il termine senza determinarlo.

Che vantaggio c’è nel dover cambiare una mansione con una equivalente?
- posizione che svolgeva non è più presente
- appartiene alla siologia -> per fare carriera occorre conoscere bene tutta
l’impresa.

Che vuol dire equivalente: che il livello di inquadramento di partenza e di arrivo è lo stesso.

Ma non basta, perché i livelli abbracciano e si concentrano in prestazioni diverse

Abbiamo infatti :
- la prassi
- Vicende professionali
- Equivalenza maturata durante il corso di formazione-> ovvero al soggetto è stato fatto seguir
un corso per integrare la professionalità che dovrà estrinsecare nelle proprie mansioni quindi, il
datore ha formato il soggetto -> quindi l’ equivalenza l ha mantenuta all intero del corso di
formazione
- elemento di riconoscibilità sociale
La giurisprudenza ha letto la nozione di equivalenza quasi nel signi cato di identità -> se da
equivalenza si passa ad identità, le modi che diventano complicate.
-> Quando nel 2015 si è cancellato il criterio dell’equivalenza lo si è fatto perché l’equivalenza era
apparsa come un sinonimo di identità. Il criterio della riconducibilità si è sostituito al criterio di
equivalenza.

Lo ius variandi non può essere legato a circostanze speci che; qual è il criterio che legittima che il
passare da capo u cio a pulire i bagni è legittimo?

QUINDI-> Fino al 2015 avevamo il criterio dell’ equivalenza delle mansioni quindi, ius variandi era
esercitato legittimamente se le mansioni di partenza e le mansioni nuove erano equivalenti -> se
la mansione di nuova destinazione e la mansione originaria non erano equivalenti, lo ius variandi
era illegittimo.

Articolo 2103 c.c :


“Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali e’ stato assunto o a quelle
corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a
mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime
e ettivamente svolte.

In caso di modi ca degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del
lavoratore, lo stesso puo’ essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di
inquadramento inferiore purche' rientranti nella medesima categoria legale.
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Il mutamento di mansioni e' accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo
formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullita' dell'atto di
assegnazione delle nuove mansioni.”

Il datore ha l’ obbligo di custodire questa professionalità dl lavoratore, e questa idea che il datore
di lavoro sia custode della personalità del lavoratore, è un idea antica. Il diritto a modi care le
mansioni, si de nisce “ius variabile” ed è proiezione del diritto a dare ordini tipico del 2094 -> che
ordini datore di lavoro può dare: 2103 individua limiti ad ordini del datore nei confronti del
lavoratore

INOLTRE-> Il termine inquadramento rinvia, come abbiamo detto tante volte, al sistema militare:
inserito all'interno di un sistema di gradi è un sistema che, indica una catena di gerarchia per cui
chi è sopra comanda chi è sotto. Indica altresì un sistema di retribuzione crescente perché, i
lavoratori, come dicevamo, sono retribuiti attraverso i contratti collettivi: questi contratti collettivi
nel nostro sistema sono stipulati per categorie merceologiche-> cioè per categorie che
raggruppano insieme imprese che hanno un'attività ne.

In molti casi, troviamo un contratto collettivo nazionale che regola tutta la disciplina della relazione
dell'inquadramento, retribuzione, orari, turni, maggiorazioni per straordinari, TFR, e poi un
contratto aziendale che integra, completa, in qualche caso può anche derogare, il contratto
collettivo nazionale-> in sede aziendale, si intuisce, che tre sono gli argomenti che costituiscono
l'oggetto di contrattazione : gli inquadramenti, gli orari ma, soprattutto la cosiddetta retribuzione
di secondo livello, quella parte di retribuzione che in qualche modo viene a rispecchiare
l'andamento produttivo dell’azienda ( se fa molti utili).

In altri paesi, questa partecipazione aziendale dei lavoratori è regolata, mentre in italia non è
minimamente riconosciuta-> se ci sono delle norme, sono tutte di origine europea e sono tutte
neglette, ovvero sono presenti nel nostro ordinamento ma costituiscono lettera morta-> il tutto è
lasciato ai rapporti di forza.

QUINDI-> il sistema di inquadramento è un sistema che collega i livelli di responsabilità con i livelli
retributivi, ma è anche un sistema che individua quale prestazione è richiesta ad ogni singolo
lavoratore, perché il passaggio dal lavoro concreto all'inquadramento con sito da un elenco di
attività, un elenco di mansioni-> un mansionario ->descrive una gura professionale.

Ovviamente, il mansionario poi viene de nito all'interno dell'azienda, e anche azienda per azienda
può essere modi cato.

La descrizione di queste mansioni, poi deve trovare corrispondenza in cui livelli di inquadramento
che contengono, a loro volta, forme assai ampie, che vengono chiamate declaratoria->
descrivono le competenze dei singoli livelli.

PROCESSO DI RICONDUZIONE -> mansioni, gure professionali, declaratoria, livelli: a ogni


livello corrisponde una declaratoria, ad ogni declaratoria corrispondono più pro li professionali, a
ogni pro lo professionale corrisponde un mansionario.

Quale è il diritto che ha il datore di lavoro ? La comunicazione del mansionario, da parte datore di
lavoro, è un ordine, va ad essere equiparata al potere di eterodirezione.

Qual è l'interesse delle parti?


-da un punto di vista del diritto pubblico, il potere del datore di lavoro viene ad essere equiparato
all'esercizio del potere dello Stato, quindi deve incontrare dei limiti.
-da punto di vista del diritto privato, quando noi parliamo di un contratto richiediamo la
determinatezza dell'oggetto, perché chiaramente il debitore nel momento in cui sottoscrive il
contratto, soprattutto per quanto riguarda un contratto di lavoro, che è un contratto di durata,
deve premunirsi contro situazioni che abbiano a maturare in futuro-> deve essere chiaro, quindi,
che cosa gli verrà richiesto una volta stipulato il contratto-> limite anche per il datore di lavoro

Quindi, questa limitazione del potere datoriale è un elemento che appartiene sia alla storia del
diritto pubblico, sia a quella del contratto-> quindi il diritto del lavoro si deve collocare in questo
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snodo, con, però, un elemento che lo distingue da tutti gli altri contratti: la variabilità
dell'organizzazione aziendale, di impresa-> cosa che non troviamo negli altri contratti

L’articolo 2013 si trova in questo snodo: devo garantire il datore di poter disporre dei suoi
dipendenti, non devo limitare eccessivamente il potere del datore di organizzare l'impresa, ma
contemporaneamente devo tutelare la professionalità del lavoratore evitare, che la professionalità
in qualche modo venga morti cata-> Come ? Nel nostro ordinamento, tutta la disciplina per
l'impiego privato (poiché per l'impiego pubblico valgono regole diverse), è sempre stata delineata
dall'articolo 2103, che è cambiato sia nel 1970 che nel 2015:
-Nel 70, come già detto, è cambiata all'interno dello stato dei lavoratori dalla legge 300 del 20
maggio del 1970.
-Nel 2015, con il Jobs act

La formulazione attuale, che troviamo sopra citata, del 2013-> “il lavoratore deve essere adibito
alle mansioni per le quali è stato assunto”-> principio di contrattualità “o a quelle corrispondenti
all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito”-> ius variandi “o a mansioni
riconducibili allo stesso livello o categoria legale di inquadramento”-> prima “equivalenti”.

Equivalenza-> termine matematico, della logica-> qui si parla di equivalenza professionale. Il


difetto era che in concreto l’accertamento dell’equivalenza non è cosi immediato. Era una formula
aperta, indeterminato -> veniva riempito di signi cato dai giudici-> era sicuro che non ci
dovessero essere delle modi che retributive, dei peggioramenti-> quindi il livello di partenza e il
livello di arrivo dovevano avere lo stesso inquadramento-> non bastava, si dovevano individuare
equivalenze più limitate infatti, i giudici andavano un po' ad hoc, andavano sulla base di una
casistica:
1. Se c'era un coordinamento di gruppo si cercava sempre di rispettarlo-> quindi, se il lavoratore
prima dirigeva anche una squadra piccola, cercava di dargli un ruolo che comunque avesse
un coordinamento del lavoro altrui-> c'è un elemento di riconoscibilità sociale.
2. Si teneva conto delle storie professionali, o della storia individuale dello stesso lavoratore

Bisogna dire, che i giudici erano abbastanza disponibili a riconoscere l'equivalenza, salvo che in
un caso: nel mobbing-> infatti, non si può licenziare con molta facilità e, allora, al lavoratore gli si
crea una posizione più o meno ttizia , dove magari non da fastidio a nessuno-> è ovvio che il
lavoratore, davanti al giudice, dirà che non c'è violenza rimozione di partenza le mansioni di
arrivo.

Nel 2015, questa nozione di equivalenza si è ritenuta troppo tutelante per i lavoratori-> si diceva
che questa nozione di equivalenza nisce per assomigliare quasi ad una nozione di identità, che
impedisce qualunque cambio. Si è sostituita la nozione di equivalenza con la nozione di
riconducibilità.

Cosa cambia ? Non si da una risposta certa.

Ci sono pochissimi casi, in cui i giudici in poche parole, hanno detto che la riconducibilità è come
l’equivalenza.

INOLTRE-> la riconducibilità non è solo allo stesso livello ma, anche alla categoria legale di
inquadramento-> quindi, i lavoratori addetti a mansioni impiegatizia prima potevano essere adibiti
a mansioni operaia, adesso sarebbe vietato + non è chiara la di erenza tra dirigente, quadro
impiegato con funzioni direttive = si è complicata la situazione

Continua il 2103 -> “In caso di modi ca degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla
posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di
inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale” -> il comma primo
entra in crisi -> qual è il potere dell'attore di lavoro? È un potere che tutela la professionalità o, è
un potere che consente anche la ribellione del lavoratore a mansioni inferiori? La giurisprudenza è
subito intervenuta e ha detto che questa modi ca deve essere dettata da esigenze di crisi, di
riorganizzazione per superare la cassa integrazione ecc-> ma, la norma non dice niente d nuovo
rispetto al 2015.
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POI-> “Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento
inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti
collettivi”

La retribuzione ? Prima del 2015 era paci co che non si potesse adibire il lavoratore a livelli
inferiori, quindi il problema non si poneva.

“Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per
iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e
del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a
particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa” + “Nelle sedi di cui
all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certi cazione, possono essere
stipulati accordi individuali di modi ca delle mansioni, della categoria legale e del livello di
inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione
dell’occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni
di vita. II lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui
aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro”

Ultimo aspetto-> cosa succede se lavoratore viene adibito a mansioni diverse e non equivalenti:
- Prospettiva pro futuro-> eccezione di adempimento -> ti eccepisco in sede giudiziale la
mancata equivalenza e ri uto di eseguire. Rischio ? Licenziamento per insubordinazione, quindi
raramente viene applicata
- I lavoratori fanno quell'ordine, poi si fa avanti per lamentarsi di aver eseguito un ordine
illegittimo: avrà diritto a qualcosa? La norma non dice niente.

Per completare il discorso, analizziamo cosa succede quando viene adibito a mansioni superiori :

Il lavoratore ha un’interesse al cambio delle mansioni -> è importante sapere come funziona tutta
l’azienda, quindi, al lavoratore al quale vengono proposte nuove mansioni di solito le accetta-> si
rende conto che possa essere una specie di prova-> qua si collocano le mansioni superiori.

Perche vengono proposte mansioni superiori ?


-il soggetto che prima occupava quella casella nell’ambito dell’organizzazione è andato in
pensione o si sia dimesso -> nuovo soggetto o si prende un soggetto interno-> promozione,
livello superiore
-casella libera ma temporaneamente -> rimpiazzo temporaneo o assunzione a termine
-diversa riorganizzazione

La norma di legge mette in luce come ad un livello superiore si riconduca una retribuzione
superiore -> trova un fondamento costituzionale, art. 36 Cost = diritto equo salario.

Cosa succede a questo lavoratore adibito a mansioni superiori che a tutela della propria dignità
ha il diritto ad una retribuzione superiore ?
-Situazione temporanea = il lavoratore che momentaneamente stava svolgendo quelle mansioni
non ha più il diritto a continuarle-> potrà essere adibito nuovamente alle mansioni che svolgeva
prima o mansioni diverse.
- Quando si ha il 1 o 3 caso -> la norma di legge nel 1970 era chiarissima = “il lavoratore che
continuativamente per piu di 3 mesi svolge mansioni superiori, al 91esimo giorno acquista
quelle mansioni in via de nitiva”-> nel 2015 sono passati a 6 mesi-> nel mondo del lavoro però,
il legislatore prevede dei livelli minimi di tutela, quindi la norma non è tanto imperativa, ma è
inderogabile (art. 2077 e 2113)-> ovvero impone dei livelli minimi di tutela ma che consente ale
parti dei livelli più avanzati : orario di lavoro -> livello max 13 ore in italia, ma si possono
abbassare -> le parti non possono andare a danno del lavoratore = norma inderogabile in peius
ma derogabile in meius. QUINDI -> il diritto del lavoro è orientato al miglioramento
attraverso pattuizioni collettive individuali di condizioni minime che sono ssate dal
legislatore.

Alcuni volte si è assistito ad una sorta di rotazione -> devo decidere chi sarà il capo, ho 3
vicecapi-> 70 g tutti e poi decido.
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Quindi, il legislatore nel 2015 ha aumentato da 3 mesi a 6 mesi -> problema : cosa succede a quei
contratti collettivi in vigore nel 2015 che prevedono il diritto alle mansioni superiori al 91esimo
giorno ? Come sappiamo, i contratti collettivi nel riprodurre il contenuto della norma di legge, si
tutelano contro il rischio che la norma stessé venga modi cata, poiché al lavoratore non si applica
la norma di legge ma, la risultante della norma che troviamo nei contratti collettivi-> possiamo
rivedere una sorta di principio di sussidiarietà ad litteram -> il parlamento non può occuparsi e
fare nome riguardanti tutti i settori in maniera generalizzata, infatti i contratti collettivi nascono
dall’esigenza di avere delle norme su misura, tagliate per singole realtà.

Nel nostro sistema, quando legislatore interviene e abbassa questi livelli di protezione, in certi casi
fa un buco nell'acqua, come in questo caso, perché se tutta la contrattazione collettiva dice per
esempio che rimane al 91º giorno, il legislatore poco fa. Ci sarebbe un passaggio ulteriore, ciò
litigato dovrebbe dire “da questo momento gli accordi collettivi che garantivano condizioni di
miglior tutela sono nulli”-> ma, che titolo ha lo Stato per intervenire e dire a un lavoratore,
un’imprenditore, come si deve regolare nei rapporti privatistici?

Ovviamente, la speranza del legislatore è che in sede di rinnovo del contratto collettivo
l'imprenditore faccia valere l'abbassamento del livello di tutela.

Quindi, il legislatore nel 2015 ha ridotto questi livelli di tutela ma, la contrattazione collettiva ha
continuato con la vecchia regola.

Parliamo ora degli articoli :


-2104 e 2105

L'obbligazione principale del lavoratore consiste nello svolgimento dell'attività dedotta in


contratto in base alle direttive ricevute nell'ambito dell'orario di lavoro concordato, che misura il
quantum della prestazione dovuta. Ai sensi dell'articolo 2104, comma uno, il prestatore di lavoro
deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta dall'interesse dell'impresa e
da quello superiore della produzione nazionale. La diligenza rappresenta il criterio di misurazione
della prestazione dovuta dal lavoratore, in quanto oggetto dell'obbligazione lavorativa è la
prestazione diligente; d'altro lato, è indice dell'esattezza dell'adempimento della stessa. Il
parametro alla cui stregua va valutata la diligenza e la natura della prestazione dovuta, la natura
dell'attività esercitata. Va condotto un giudizio di conformità alla concreta prestazione svolta al
modello astratto della prestazione dovuta secondo le regole del settore tecnico scienti co e
specialistico che viene in considerazione, ma anche tenendo conto delle variabili del contesto
lavorativo in cui l'attività è svolta. L'articolo 2104 comma 1, fa riferimento anche all'interesse
dell'impresa e a quello superiore della produzione nazionale: per quanto riguarda l'interesse della
produzione nazionale è da ritenersi abrogato, con il venir meno del regime corporativo fascista;
per quanto riguarda invece riferimento all'interesse dell'impresa, è più controverso, bisogna capire
se esso sia da ritenere collegato con le regole dell'ordinamento corporativo, quasi che evocasse
un interesse dell'impresa come organizzazione istituzionale e dunque distinto rispetto all'interesse
dell’imprenditore. L'articolo sancisce il comma due che il prestatore di lavoro deve osservare le
disposizioni per l'esecuzione per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai
collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. Il cosiddetto dovere di obbedienza non
costituisce un obbligo a sé ma, è conseguenza della posizione di soggezione giuridica del
lavoratore a fronte del potere direttivo, previsto dallo stesso articolo ed implicito nella sua
de nizione di lavoro subordinato. In de nitiva, il dovere di obbedienza sarebbe, insieme
all'obbligo di diligenza, misura della prestazione dovuta è criterio per valutare la correttezza
dell'adempimento del prestatore di lavoro.

Ai sensi dell'articolo 2105 il prestatore di lavoro non deve trattare a ari per conto proprio o di
terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi
di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad esso pregiudizio. La questione
classica posta da questa norma dipende dalla sfasatura tra la rubrica della stessa, obbligo di
fedeltà, e il suo testo, che prevede non una generica e ampia posizione obbligatoria di fedeltà,
bensì due obblighi: non concorrenza e obbligo di riservatezza, i quali secondo l'impostazione
tradizionale, costituiscono speci cazione delle generali direttive della correttezza e buona fede. La
dottrina prevalente identi ca l'oggetto del cosiddetto obbligo di fedeltà nelle condotte
contemplate dall'articolo 2105, escludendo che condotte diverse possano essere ricondotte alla
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norma; per contro per la giurisprudenza, il richiamo agli obblighi di non concorrenza e riservatezza
sarebbe meramente esempli cativo di tutti quei comportamenti che, per la loro natura e le loro
conseguenze, contrastano con i doveri connessi del lavoratore, di conseguenza quindi anche
condotte diverse da quelle indicate dallo stesso articolo. L'obbligo di non concorrenza è più
ampio del divieto di concorrenza sleale dell'articolo 2598: nel divieto di cui all'articolo 2105 sono
ricomprese anche condotte concorrenziali perfettamente leali del lavoratore. Rientrano, tra le
condotte vietate, pure quelle che sono produttive di danni anche solo potenziali. L'obbligo di non
concorrenza sussiste nel corso del rapporto di lavoro, venendo a cessare al termine dello stesso:
è valido il patto di non concorrenza relativa un periodo successivo alla cessazione del rapporto se
esso risulti da atto scritto, sia pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e il vincolo
sia contenuto entro determinati limiti-> la durata del vincolo non può essere superiore a cinque
anni se si tratta di dirigenti e a tre anni negli altri casi. L'altro obbligo sancito dall'articolo e di non
divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in
modo da poter recare ad essa pregiudizio: si tratta dell'obbligo di riservatezza. Il problema
fondamentale concerne la distinzione tra le informazioni di cui viene imposta se lavoratore nello
svolgimento della prestazione e che possono ritenersi integrare il suo patrimonio professionale,
come tale liberamente utilizzabili, e quello oggetto del divieto. Si ritiene che le informazioni di cui
all'articolo 2105 siano quelle di carattere tecnico produttivo apprese dal lavoratore in ragione del
suo inserimento nell'azienda e non a fronte della particolare mansione svolta.il divieto opera,
altresì per le notizie attinenti ai rapporti commerciali dell’impresa.

Da un punto di vista quantitativo, l'oggetto del contratto è individuato nell'orario di lavoro, che
parimenti il lavoratore si obbliga ad osservare->l’orario ha un’impatto sulla vita individuale=
conciliazione tra esigenze di vita e di lavoro, dove l'Europa non dà indicazioni, lascia ai singoli
Stati di individuare soluzioni speci che. In mancanza di diversa indicazione del contratto
individuale, si deve intendere quell'orario normale quello di cui all'articolo tre, decreto legislativo
numero 66 del 2003- intitolato, attuazione delle direttive 93\104 CE e 2000\34\CE, vale a dire 40
ore settimanali, ovvero il minor orario ssato dai contratti collettivi. Nel caso in cui lavoratore non
osservi l'orario di lavoro è da considerare inadempiente ai suoi obblighi contrattuali.

Per le prestazioni di lavoro rese oltre l'orario convenuto si usa il termine lavoro straordinario: per lo
svolgimento del quale è necessario l'accordo tra le parti trattandosi di modi cazione contrattuale.
Si discute se, nel caso in cui i contratti collettivi prevedono come obbligatoria una certa quota di
lavoro straordinario, il lavoratore sia vincolato e dunque non possa sottrarsi adesso senza essere
considerato inadempiente-> è prevalsa la tesi a ermativa, sicché il datore di lavoro può
pretendere dal lavoratore lo svolgimento di lavoro straordinario senza necessità del suo consenso
è, l'eventuale ri uto costituisce inadempimento. Laddove i contratti collettivi impongano l’
e ettuazione di lavoro straordinario, trova comunque applicazione l'articolo quattro, comma due è
l'articolo tre del decreto legislativo numero 66 del 2003, in tema di durata massima dell'orario di
lavoro, ai sensi del quale la durata media dell'orario di lavoro non può superare, per ogni periodo
di sette giorni, le quarantott'ore, comprese le ore di lavoro straordinario. In difetto di disciplina
collettiva applicabile, il lavoro straordinario è ammesso soltanto previo accordo tra datore di
lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le 250 ore annuali. Ovviamente, nel caso di
lavoro straordinario è dovuta al lavoratore, in considerazione della maggiore penosità della
prestazione lavorativa, una maggiorazione retributiva che è determinata dai contratti collettivi.
Questi ultimi possono anche prevedere che i lavoratori, in alternativa o in aggiunta la
maggiorazione retributiva, usufruiscono di riposi compensativi. Al ne di garantire una maggiore
essibilità della prestazione di lavoro, e decreto legislativo prevede anche forme di orario
cosiddette multi periodale. I contratti collettivi, in particolare, possono riferire l'orario normale alla
durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno. L'orario normale, in
tale ipotesi, si considera osservato qualora sia rispettata la media delle 40 ore nell'arco temporale
individuato dei contratti collettivi. Fermi restando gli ampi spazi riservati all'autonomia, la legge
interviene, in materia di orario di lavoro con la primaria nalità di tutelare la salute dei lavoratori:
l'articolo 36 della costituzione prevede che la durata massima della giornata lavorativa è stabilita
dalla legge e, che il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite e non può
rinunciare. Sebbene vi siano regimi speciali, il decreto legislativo numero 66 del 2003 contiene la
disciplina generale esaustiva della materia: in esso sono infatti regolati tutti gli aspetti dell'orario di
lavoro, tra cui la durata normale con la massima della prestazione, il lavoro straordinario notturno,
le pause i riposi e le ferie, nonché l'apparato sanzionatorio.
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Vi sono tuttavia categorie di prestatori esclusi dall'applicazione del decreto, come i dirigenti. Va
osservato che poche materie, come l'orario di lavoro, inseriscono così strettamente
all'organizzazione aziendale da richiedere, un adattamento alle esigenze del singolo settore: non a
caso infatti questo decreto-legge ha operato un numero di rinvii e consenta, ampia facoltà
derogatoria ai contratti collettivi di ogni livello.

Bisogna sottolineare che la durata massima della giornata lavorativa è disciplinata in maniera
indiretta, attraverso la previsione della durata minima del riposo: esso deve essere almeno 11 ore
ogni 24 ore, da fruire in modo continuativo-> quindi 13 ore al giorno per 6 giorni-> 78h settimanali
( l'importante è che livello medio in un periodo annuale semestrale non superi le quarantott’ore->
48 h (40 + 8 ore di straordinario) per 48 settimane = 2300 ore, che viene lasciato al dottore di
lavoro come distribuirlo nel corso dell’anno) ; qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite
di sei ore, il lavoratore deve bene ciare di un intervallo di 10 minuti. In base al terzo comma
dell'articolo 36 (dove si parla anche di retribuzione, collegate) il lavoratore ha diritto al riposo
settimanale, come un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive ogni sette giorni di lavoro->
di solito si fa coincidere con la domenica, ma sono numerose le deroghe legali. Sempre in base
all'articolo 36 il lavoratore ha diritto ad un periodo di ferie annuali: determinato in misura non
inferiore a quattro settimane. La ssazione di detto periodo è prerogativa del datore di lavoro,
tenuto conto degli interessi del prestatore il quale ha comunque diritto di esigere la fruizione
continuativa di due settimane di ferie-> le altre due devono essere godute nei 18 mesi successivi
all’anno. Il principio di irrinunciabilità delle ferie spiega poi il disposto del comma due dell'articolo
10 del decreto legislativo per il quale il predetto periodo minimo di quattro settimane non può
essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del
rapporto di lavoro->il mancato godimento delle ferie da luogo ad un'obbligazione risarcitoria del
lavoratore a carico del datore di lavoro.

Lavoro notturno-> livelli di salute e sicurezza uguali al lavoro diurno. Si è discusso se il lavoratore
abbia diritto, una volta che diventi inabile al lavoro notturno, di essere trasferito al lavoro diurno->
no al 2014 il diritto era riconosciuto, poi solo ad un posto vacante quindi, se i posti equivalenti in
orario diurno sono tutti occupati, il lavoratore può essere licenziato per sopravvenuta inidoneità.

Sottolineiamo : decreto 66 del 2013-> direttiva sull’orario che niva per incrementare i livelli di
prestazione lavorativa che potevano essere richiesti ai lavoratori e, quindi, in molti paesi veniva
considerata come un arretramento delle tutele. Prima, una norma, l’art 5 -> prevedeva che il
riposo dovesse coincidere con la domenica : molto rilevante perché, si ricollegava alla legislazione
antidiscriminatoria, ovvero quella che pari cava alla religione cattolica quella protestante e, in
particolare quella ebraica che, osserva un riposo il sabato, lo shabbat-> infatti la corte di giustizia
disse che non si poteva darsi una norma europea che imponeva il riposo domenicale, perché se
prendiamo a fondamento della normale disciplina dell'orario di lavoro la tutela della salute
sicurezza del lavoratore, un ciclo in cui era lavorativo sia la domenica, sia il sabato, poco cambia:
la norma infatti dispone, che per determinati casi è ammissibile-> due giorni di riposo ogni 14,
calibrata su speci ci settori-> l’Italia si è conformata a questo, anche se il testo europeo non
imponeva questo, consentiva una essibilità-> si faccia quello più conforme alle proprie scelte.
QUINDI-> la domenica non è giorno di riposo-> sia diritto a due giorni di riposo ogni periodo di
14, di regola in coincidenza con la domenica.

Inoltre, è frequente che le donne rinuncino a coltivare ambizioni professionali perché vincolati a
lavori di cura all'interno delle mura domestiche: il lavoro femminile in italia è bassissima-> se
fossimo in uno stato ben organizzato, l'apparato di servizi pubblici si muoverebbe a promuovere,
sia percorsi per quanto riguarda i gli, servizio di scuola bus, di usione di più scuole di quartiere,
servizi di dopo scuola ecc-> a prezzi pubblici : si sono introdotti gli asili nido aziendali. Questi
servizi possono garantire una certa libertà di orari della giornata -> cosa si fa per garantire la
conciliazione fra impegni familiari e di lavoro? La risposta del legislatore è stata che, se si fa un
orario parziale, dall'orario deve essere prevedibile-> no straordinario, essibilità. Qui si apre un
grosso dibattito negli anni 80 perché le imprese volevano il part-time perché si dovevano
ridimensionare alle esigenze del mercato, perché avevano bisogno di essibilità nell’o erta-> la
programmazione dell'intensità di ritmi produttivi è determinata dalla richiesta del mercato, gli orari
si devono essibilizzare anche quelli full time o part-time-> corte costituzionale = il part-time deve
garantire tutela ai lavoratori, rigido, sia esso serve per cumulare due lavori, cioè due part-time,
accumulando così si raggiunge il limite di retribuzione proporzionata è su ciente, sia che esso
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serve per garantire il contemperamento delle esigenze di lavoro e di cura, per la conciliazione tra
vita e lavoro-> ma, la corte si è pronunciata con una sentenza interpretativa di rigetto, e il
legislatore ordinario, si disinteressa completamente dalle indicazioni della corte.

QUINDI, ricapitolando, utilizzando anche le parole del professore:

2104 -> noi abbiamo detto che lavoratore è etero diretto, quindi sembrerebbe per certi versi che
lavatore si metta a totale disposizione del datore di lavoro. Ma non è cosi :
Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta,
dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale.
Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite
dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.

Si parla di diligenza professionale -> espressione ottimale sarebbe "a regola d’arte”, vuol dire in
conformità alle norme della diligenza propria di quella professione -> il nostro concetto di
diligenza serve a trasformare e a portare dentro il giramento norme di condotta che sono estranee
al codice civile. La regola della diligenza è una regola di imputazione di responsabilità sul piano
penale, di responsabilità sul piano civile, in termini di inadempimento, e ovviamente è una regola
ai ni della tenuta del contratto di lavoro-> se un soggetto è negligente si provvede con il
licenziamento.

Questa dirigenza da un certo punto di vista smentisce l'idea che il lavoro sia etero diretto e basta,
etero diretto perché inserito nell'ambito dell'organizzazione di impresa ma comunque, le cose
deve saperle fare.

Questa diligenza ovviamente si accompagna a quelle che sono le conseguenze


dell'eterodirezione, abbiamo infatti un obbligo di obbedienza-> obbligo perché, non era del tutto
certa la natura contrattuale del rapporto e quindi, invece di parlare di obbligazioni parla di
obblighi.

Bisogna sottolineare, che la diligenza richiesta è anche nell'interesse dell'impresa e in quello


nazionale: queste due parole non sono mai state cancellate-> c’è un’interesse nazionale ?
L'interesse nazionale signi ca che se c'è nato un con itto, i lavoratori non potrebbero scioperare,
va contro l'interesse nazionale; qual è l'interesse dell'impresa? Quello di far produrre denaro, di
moltiplicare l’utile-> si fa fatica a leggerla compatibile con le libertà costituzionali, ma anche
compatibile con quell'antagonismo di interesse che è insito nella costituzione-> articolo tre: è
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che limitano la partecipazione dei lavoratori alla
vita politica, economica e sociale del paese-> come rimuovi quei limiti, se poi la condotta del
lavoratore che non fosse conforme all'interesse dell'impresa sarebbe negligente e, porterebbe al
licenziamento?

L'interesse dell'impresa, infatti, noi sostanzialmente lo recuperiamo nell'articolo 2105, che parla di
obbligazione di fedeltà:

2105-> Il prestatore di lavoro non deve trattare a ari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza
con l'imprenditore, ne' divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione
dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.

Abbiamo detto come l'antagonismo di interessi viene riconosciuto dal costituente, quindi la
fedeltà non può essere un'intima adesione agli obiettivi aziendali ma, un conto è un'adesione
intima, un conto è una manifestazione pubblica di dissenso-> l'ordinamento infatti non impone al
lavoratore di essere entusiasta del proprio datore di lavoro.

Anche se i fatti, sono veri, il lavoratore non può recare danno al datore: dal 2017 esiste una legge
che tutela il cosiddetto Whistleblowing-> si intende il dipendente pubblico che segnala illeciti di
interesse generale e non di interesse individuale, di cui sia venuto a conoscenza in ragione del
rapporto di lavoro, in base a quanto previsto dall’art. 54 bis del d.lgs. n. 165/2001 così come
modi cato dalla legge 30 novembre 2017, n. 179.
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La logica di questa norma che le società, sia pubbliche che private, sia gli enti pubblici, devono
organizzare dei sistemi interni di controllo.

Quindi, l’ obbligo di fedeltà, viene meno, viene limitato, adattato a questa esigenza pubblica di
conoscere l'eventuale commissione di reati o di abusi.

Se io sono un dipendente di un'impresa di tendenza, per esempio sono il portiere dello stabile
dove ha sede il partito comunista italiano, posso tenere un ritratto del duce nella guardiola?
Se si è dipendenti di quelle che prendono il nome di organizzazioni di tendenza, partiti, sindacati,
soprattutto organizzazioni religiose, quindi si accetta di andare a lavorare in un settore
caratterizzato dalla tendenza, non puoi far valere lo stesso diritto alla tutela della libertà di
pensiero proprio dell'impresa commerciale (l’articolo uno della salute dei lavoratori).

Abbiamo divieto di concorrenza -> non sempre però è chiara la di erenza tra la concorrenza e la
rivelazione di segreti aziendali. È una sorta di termine implicito, il momento in cui ti assumo ti
garantisco contro ogni esigenza reddituale, contro ogni necessità di reddito, perché devi svolgere
attività con altri ?
Nel giugno del 2022 l'ultimo decreto, decreto trasparenza, ha esteso la clausola di esclusività ai
lavoratori autonomi e alle collaborazioni coordinate e continuative-> se si è dipendenti pubblici, è
chiaro che siano dei limiti, non si può fare la mattina per esempio dipendente dell'u cio tecnico
del Comune e nel pomeriggio andare a fare il geometra che presenta la domanda di sanatoria allo
stesso u cio, ci sarebbe un totale con itto. Ci sono ovviamente soggetti autorizzati, per esempio
lavoratori par-time.

E se per esempio, non sono io a fare concorrenza ma è mia moglie? Sta diventando un problema
serissimo, moltissime corporation americane hanno norme interne che lo vietano.
In molti casi, si è capito come lo stesso marito utilizzava la moglie per non incombere alla clausola
di divieto della concorrenza.

Nel caso in cui, il rapporto di lavoro sia preesistente, il matrimonio non determina a causa di
licenziamento, certo, si intuisce che l'impresa potrebbe reagire, per esempio con la modi ca delle
mansioni-> art. 2103.

Il segreto aziendale si colloca un po' su tutto: elenco dei clienti ecc.

In molte società, vengono richieste informazioni personali, c'è violazione della privacy? Molto
spesso ci sono indagini patrimoniali, la rinuncia a far valere un diritto alla privacy non sono relativa
la propria condizione patrimoniale ma, anche ai componenti del nucleo familiare-> non devono
essere di use.

Riprendendo il 2104 c.c -> la diligenza richiesta dal lavoratore è professionale, deve conoscere il
lavoro che fa anche se opera subordinatamente, non è uno strumento malleabile.Deve avere
conoscenze proprie della natura dell’attività professionale esercitata. La dove vi sia un con itto tra
obbligo di obbedienza e obbligo di diligenza, il lavoratore se esegue l’ordine con contenuto
criminoso -> la responsabilità è individuale. Ma se l’ordine non è criminoso ma illegittimo, ossia
diretto al compimento di un’attività che consiste in illecito civile -> per esempio mobbing-> io
lavoratore che ricevo l’ordine cosa devo fare ?
-Se lo eseguo, non può essermi additata una responsabilità sul piano dell’adempimento -> non
può essere licenziato. Prevale l’obbligo di obbedienza su quello di diligenza, per quanto riguarda
un danno civile.
-Se non lo esegue, si richiama l’eccezione di adempimento, 1460 c.c.-> io ho l’obbligo purché
legittimi, se non lo sono non sono vincolato ad ottemperare all’ordine.

Il nostro ordinamento prevede la clausola regolata dall’articolo 2125-> clausola di non


concorrenza, può accadere che il datore di lavoro metta al corrente il proprio dipendente di
segreti industriali e che li voglia conservare anche se il rapporto viene meno-> come può limitare
la libertà individuale del lavoratore ? In California sono vietate clausole di questo tipo, basta
continuare a pagare bene il lavoratore secondo loro. In Italia , art. 2125-> limita la legittimità del
fatto al rispetto di condizioni: sia circoscritto quanto a limiti di spazio e tempo + riconoscimento
economico congruo.
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Esistono nella prassi patti diretti a limitare lo storno di clientela, patti di usi soprattutto nell’ambito
delle attività nanziarie -> vado via e mi porto i clienti di cui gestisco il patrimonio, è legittimo ?
Esistono patti diretti a vietare lo storno di collaboratori, ovvero quando i vertici aziendali porta con
se i collaboratori. E’ legittimo ?

Il potere di controllo :

Se il potere direttivo del datore di lavoro è il potere di impartire direttive per lo svolgimento della
prestazione dedotta in contratto, il potere di controllo può de nirsi come la facoltà di veri ca
dell'esatto adempimento delle obbligazioni dedotte nel contratto di lavoro. Il codice civile
contempla il potere direttivo e quello disciplinare, articolo 2106, del datore di lavoro, ma non
menziona espressamente il potere di controllo-> gli interpreti hanno sempre ritenuto implicito il
potere di controllo in quello direttivo disciplinare: senza il potere di controllo infatti quello direttivo
sarebbe ine ettivo e non potrebbe esercitarsi quello disciplinare, poiché il datore di lavoro non
sarebbe in grado di rilevare e provare in giudizio, in caso di contestazione, le condotte illecite
poste in essere dal lavoratore. La disciplina del codice civile non la prevede in ordine ai suoi limiti
di esercizio, sia quanto alle modalità, sia quanto all’oggetto.

Le norme : titolo primo dello statuto dei lavoratori articoli 2-6 + art. 8; norme del codice della
privacy -> normativa di principio, stato ancora iniziale che richiede una concretizzazione a regole
più incisive.

La legge numero 300 del 1970, in un'ottica di contemperamento tra esigenze di funzionalità e di
e cienza dell'impresa di tutela della dignità e riservatezza del lavoratore, ha posto limiti a si atto
potere, vietando delle modalità più invasive nella stessa libertà e dignità del lavoratore:
-l'articolo due limita l'impiego da parte del datore, delle guardie giurate, ai soli ni di tutela del
patrimonio aziendale, con espresso divieto di vigilanza sull'attività lavorativa e divieto di accesso
ai locali dove si svolge tale attività. Le guardie armate possono essere utilizzate all'ingresso e
all’uscita-> in certi settori ci può essere il rischio di furto ( perquisizione casuale, non lesiva della
tutela individuale). Si possono utilizzare investigatori privati e agenti provocatori condotte di
inadempimento-> è legittimo
-l'articolo tre impone al datore di lavoro la preventiva comunicazione ai lavoratori dei nominativi e
delle mansioni speci che del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa,
evidentemente distinto dalle guardie giurate.

È stato tuttavia a ermato che limiti discendenti dagli articoli 2 e 3 non possono essere invocati
qualora il controllo sia preordinato a rilevare condotte illecite del lavoratore, cioè mancanze
speci che dei dipendenti, già commesse o in corso di esecuzione: si è ritenuta la piena liceità di
controlli occulti se nalizzati ad accertare non tanto l'esatto adempimento dell'obbligazione di
lavoro, ma comportamenti di particolare gravità del prestatore, controlli de niti difensivi.

L'articolo tre dello statuto dei lavoratori deve essere letto in connessione con l'articolo quattro che
porta alla rubrica-> impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo. La norma è stata
recentemente modi cata dall'articolo 23 del decreto legislativo del 2015. Essa pone la regola per
cui l'impianti audiovisivi e altri strumenti da cui derivi la possibilità di controllo a distanza (sia in
tempo reale vedo un luogo diverso, ma anche la registrazione) dell’attività dei lavoratori possono
essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del
lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale possono essere installati previo accordo collettivo
stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali-> sono
legittimi gli orologi marca tempo, il cartellino, e dal 2015 computer e tablet. In alternativa, per le
imprese con unità produttive ubicate in diverse province o in diverse regioni, tale accordo può
essere stipulato con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti possono essere installati previo
autorizzazione dell'ispettorato del lavoro. Dal combinato disposto degli articoli 3 e 4 è dato
desumere che se è sempre ammesso il controllo dell'uomo sull'uomo, non è tuttavia mai sul
controllo della macchina sull'uomo, controllo che consente un monitoraggio continuo e pervasivo
del prestatore di lavoro, lesivo della sua stessa dignità. Il problema originato dal vecchio testo
dell'articolo quattro dello statuto dei lavoratori è che quando la norma è stata concepita, però
negli anni 70, i sistemi di controllo diversi da quello umano si risolvevano sostanzialmente in
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impianti audiovisivi. L'evoluzione tecnologica ha comportato la compenetrazione della possibilità
di controllo negli stessi strumenti di lavoro. Il vecchio testo dell'articolo quattro disponeva il
divieto di utilizzare impianti audiovisivi e altre apparecchiature per nalità di controllo a distanza
dell'attività dei lavoratori, ammettendo solo quelli richiesti da esigenze organizzative e produttive
ovvero dalla sicurezza del lavoro e richiedendo, un previo accordo sindacale ovvero
l'autorizzazione dell'ispettorato del lavoro. La novità del testo dell'articolo quattro sia soprattutto
nel secondo comma, il quale esclude espressamente la necessità dell'accordo sindacale o
dell'ispettorato del lavoro in relazione agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la
prestazione e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. A fronte del fatto che
l'impiego di una strumentazione dalla quale può derivare un controllo a distanza dell'attività dei
lavoratori rappresenta ormai la norma nella gran parte delle realtà produttive, il legislatore del
2015 ha ritenuto di spostare la tutela, dal piano della raccolta dei dati, a quello della loro
utilizzazione. Il comma tre dell'articolo quattro sancisce espressamente la possibilità di utilizzare i
dati ricavati ai sensi del comma uno e due a tutti ni connessi al rapporto di lavoro-> quindi anche
disciplinare. Tale utilizzo tuttavia è consentito solo qualora siano state osservate le disposizioni in
tema di tutela del diritto alla riservatezza e, sempre che i lavoratori siano stati previamente e
adeguatamente informati circa le modalità d'uso degli strumenti e di e ettuazione dei controlli. Il
garante della privacy negli ultimi anni ha adottato una serie di delibere ai ni di regolamentare
segnatamente l'utilizzo della e-mail, Internet, dei GPS, nonché di altre tecnologie nell'ambito dei
rapporti di lavoro.

L'articolo sei dello statuto dei lavoratori, vieta le visite personali di controllo, cioè le perquisizioni,
fuorché nell'ipotesi in cui siano indispensabili ai ni della tutela del patrimonio aziendale, in
relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti. In questi casi, le
visite personali di controllo possono essere e ettuate sulla condizione che siano eseguite
all'uscita dei luoghi di lavoro, salvaguardate la dignità e la riservatezza dei lavoratori. Avvengano
con sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o gruppi di lavoratori: in altri termini in
base a segnalazioni casuali per campione. Le ipotesi in cui possono essere disposte le visite
personali, devono essere oggetto di accordo sindacale o, in mancanza, di provvedimento
autorizzativo dell'ispettorato del lavoro. L'articolo cinque limita il potere di controllo del datore nei
confronti del lavoratore assente per malattia o infortunio-> sono vietati accertamenti da parte del
datore di lavoro sulla idoneità e sull'infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.
Tuttavia egli ha la facoltà di richiedere agli enti competenti l'e ettuazione di una cosiddetta visita
scale, al ne di veri care la situazione del lavoratore. Per quanto riguarda il controllo circa
l'idoneità alla mansione, questo è e ettuato dal medico competente, può essere impugnata di
fronte alla commissione medica istituita presso l'azienda di tutela della salute, la cui valutazione
può essere a sua volta impugnato davanti al giudice.

L'articolo otto dello statuto dei lavoratori fa divieto al datore di lavoro di e ettuare indagini sulle
opinioni politiche, religiose e sindacali del lavoratore ( sulla stessa base non posso motivare un
licenziamento su questi aspetti), nonché su tutti gli aspetti della persona del lavoratore che non
sono rilevanti ai ni della valutazione della sua attitudine professionale-> sostanzialmente quindi
può chiedere passate esperienze professionali, titoli di studio e la sua capacità professionale.
L'unica eccezione riguarda le organizzazioni di tendenza che, hanno una particolare inclinazione
politica, religiosa, sindacale. In questi casi, il datore di lavoro ha una legittima pretesa a che
l'ideologia del dipendente corrisponda a quella dell’organizzazione. In generale, il divieto di
indagini sulle opinioni tutela la sfera privata del lavoratore, confermando che la sua
subordinazione è solo tecnica, limitata allo svolgimento della prestazione. Merita qualche
ri essione il collegamento tra l'articolo otto è l'articolo uno, sulla libertà di espressione, che
appunto consente ai lavoratori, di manifestare liberamente il proprio pensiero. La ragione del
divieto di indagine, da parte del datore di lavoro, su opinioni politiche, sindacali e religiose risiede
evidentemente nella loro potenziale attitudine ad essere utilizzati per ni discriminatori-> ma, i dati
relativi alle opinioni non sono a atto votati normalmente alla segretezza, ed infatti l'articolo uno
dello statuto dei lavoratori sancisce espressamente il diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero. Ma, il diritto di manifestarlo comprende anche il diritto di non manifestarlo, sicché si può
dire che sotto questo pro lo l'articolo 1 e l'articolo otto tutelano nella forma positiva e negativa, la
libertà di opinione.

Il potere disciplinare :
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Altro potere unilaterale del datore di lavoro è quello disciplinare, che trova il proprio fondamento
nell'articolo 2106 c.c. La norma stabilisce che l'inosservanza, da parte del lavoratore, degli
obblighi previsti nei due articoli precedenti può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari,
secondo la gravità dell'infrazione e in conformità delle norme corporative. Il richiamo alle norme
corporative era da intendere come richiamo i contratti collettivi corporativi e alle sentenze della
magistratura del lavoro-> oggi questo riferimento si intende normalmente come e ettuato ai
contratti collettivi cosiddetti di diritto comune. Ai sensi dell'articolo 2104 il lavoratore deve usare la
diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello
superiore della produzione nazionale.deve osservare le disposizioni per l'esecuzione per la
disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore o dai collaboratori. Ai sensi dell'articolo 2105 il
prestatore di lavoro non deve trattare a ari per conto proprio di terzi in concorrenza con
l'imprenditore, né divulgare notizie tenente l'organizzazione o farne uso in modo da poter recare
ad essa pregiudizio. Ebbene, l'inadempimento imputabile delle obbligazioni del lavoratore
consente l'esercizio, del potere disciplinare.un potere eccezionale che si spiega, in relazione alle
esigenze di funzionamento dell'organizzazione in cui si inserisce la prestazione lavorativa.

È sorto l'interrogativo se la responsabilità disciplinare assorba la responsabilità contrattuale


pineale pimento dell'articolo 1218: all'interrogativo è stata data dalla dottrina e dalla
giurisprudenza risposta negativa-> la responsabilità disciplinare non assorbe quella contrattuale,
perché le due forme di responsabilità rispondono ad interessi diversi-> il risarcimento del danno
per inadempimento, è nalizzato a reintegrare il patrimonio del datore di lavoro; la responsabilità
disciplinare invece, presiede al buon funzionamento dell'organizzazione produttiva. Di
conseguenza il datore di lavoro, a fronte di un inadempimento del lavoratore, potrà pretendere
risarcimento del danno subito, oltre ad esercitare il potere disciplinare.

Nel momento in cui legislatore con il potere disciplinare in capo al datore di lavoro, ne ssa anche
limiti: il primo limite è di natura sostanziale ed è posto dall'articolo 2106-> si tratta della
necessaria proporzionalità tra gravità della sanzione e gravità dell’infrazione, l'esistenza di si atta
proporzionalità è sindacabile dal giudice. Lo statuto dei lavoratori introdotto ulteriori limiti al
potere disciplinare, contenuti nell'articolo sette.

I primi sono contenuti nel comma quattro dell'articolo sette, non possono essere disposte
sanzioni disciplinari che comportino mutamenti de nitivi del rapporto. Inoltre, la multa non può
essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione
del lavoro e della retribuzione non può essere disposta per più di 10 giorni. Quanto alla previsione
che vieta sanzioni disciplinari che comportino mutamenti de nitivi del rapporto di lavoro, essa è
stata intesa dall'opinione prevalente è nel senso di escludere la possibilità di adottare, quali
sanzioni disciplinari, il trasferimento del lavoratore o la sua retrocessione.

In genere si utilizzano: il rimprovero orale, il rimprovero scritto, la multa, la sospensione dal lavoro
e dalla retribuzione.non mancano alcuni contratti collettivi che continuano a includere tra i
provvedimenti disciplinari anche il trasferimento.

L'articolo sette si chiude con la disposizione che vieta di tenere conto, delle sanzioni disciplinari
decorsi due anni dalla loro applicazione.

Lo statuto dei lavoratori ha introdotto poi limiti procedimentali: I commentatori hanno infatti
sottolineato che la novità dell'articolo sette è stata proprio quella di avere procedimentalizzato
l'esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro al ne precipuo di consentire il
diritto di difesa al lavoratore, prima dell'irrogazione della sanzione. I limiti di natura procedimentale
consistono nell'onere di adozione di a ssione, in luogo accessibile a tutti, di un cosiddetto codice
disciplinare, dove si dovranno scrivere le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni e
alle procedure di contestazione delle stesse. Si è discusso se la modalità di pubblicità,
consistente nell'a ssione, fosse surrogabile da altre modalità: l'orientamento dominante ritiene
necessaria proprio l’a ssione. La sanzione disciplinare adottato in mancanza di a ssione del
codice disciplinare è radicalmente nullo per contrarietà a norma imperativa.

Il datore di lavoro non può, poi, adottare alcun provvedimento disciplinare senza aver
preventivamente contestato per iscritto al lavoratore l'addebito e averlo sentito a sua difesa, salvo
il caso di rimprovero verbale, per il quale è inconcepibile tale procedimentalizzazione. La
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contestazione scritta deve essere analitica e circostanziata, in modo che il lavoratore abbia tutti gli
elementi per difendersi. È previsto il diritto del lavoratore di presentare tutte le sue difese, scritte o
verbali, e di essere assistito da un rappresentante della sezione sindacale cui aderisca o
conferisca mandato. Il quinto comma dell'articolo sette prevede che le sanzioni più gravi di
richiamo verbale non possono essere irrogate prima che siano decorsi cinque giorni dalla
contestazione per iscritto dell’addebito-> decorso il datore di lavoro può irrogare la sanzione
anche nel caso in cui lavoratore non abbia presentato alcuna giusti cazione. L'articolo sette
prevede una procedura ad hoc per l'impugnazione della stessa, avanti ad un collegio di
conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti da un terzo
membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dall'ispettorato territoriale
del lavoro. Si tratta di un vero e proprio collegio arbitrale: in caso di mancata conciliazione della
lite, il collegio emette un vero e proprio lodo, ritenuto di natura il rituale. Il lavoratore potrà
impugnare la sanzione davanti al giudice: la di erenza tra il ricorso al giudice è quello il collegio
arbitrale consiste nel fatto che solo il secondo determina la sospensione dell'e cacia della
sanzione disciplinare no alla pronuncia del lodo arbitrale. È sorto in passato il problema
sull'articolo sette fosse applicabile al licenziamento disciplinare, vale a dire licenziamento dovuto
a colpa del lavoratore, oppure dovesse applicarsi solo alle sanzioni disciplinari cosiddette
conservative. Sono state proposte le due opposte tesi: sia la tesi dell'applicabilità, sia quella della
non applicabilità-> È prevalsa una tesi intermedia e compromissoria-> si è così a ermata
l'applicabilità dei soli primi tre commi dell'articolo sette e, per alcuni, anche del quinto comma,
strettamente funzionale al diritto di difesa. Il problema dell'applicabilità dell'articolo sette
licenziamenti e oggi è stato risolto dal legislatore, che la prevede espressamente.

Riassumendo : articolo 2106 -> al lavoratore cha abbia violato i precetti dei due articoli precedenti
possono essere erogate sanzioni disciplinari secondo la gravità dell’infrazione-> il diritto del
lavoro si allontana dal diritto dei contratti, noi abbiamo 2 ipotesi : inadempimento e
inadempimento grave -> solo il grave consente alla risoluzione di una delle parti.

Come si reagisce nel diritto civile a questi lievi inadempimenti, non gravi ? Non c’è uno strumento,
il codice lascia alla vita quotidiana la gestione.

Nel diritto del lavoro, il potere disciplinare si colloca nell’area dell’inadempimento trascurabile ma
abbraccia tutte le altre ipotesi, anche grave. Abbiamo una norma che ammette che il datore di
lavoro segnali al lavoratore che la sua condotta non è rispettosa dei suoi obblighi->condotta di
inadempimento (cartellino giallo)-> sanzione disciplinari. In situazioni gravi -> licenziamento

Licenziamento-> sanzione disciplinare espulsiva


Negli atri casi abbiamo anche sanzioni disciplinari conservative, “ti ho avvisato ma il posto di
lavoro resta”.

E’ un potere tipico del datore di lavoro, di sanzionare i dipendenti-> è un’atto chiaramente poco
piacevole-> l’ordinamento cerca di limitarlo, cerca di far si che questo potere sia utilizzato in
presenza e ettiva di un’infrazione.

Ovviamente c’è il principio della proporzionalità per l’applicazione delle sanzioni disciplinari ->
richiede che ci sia una commisurazione.

Il 2106 non si occupa di una fase intermedia che c’è tra potere direttivo e disciplinare-> ovvero
una fase logica, il potere di controllo ->alla ne del controllo -> potere sanzionatorio o disciplinare.

Il potere di controllo costituirà oggetto anch’esso di intervento normativo -> ambito maggiore del
potere di sanzione, per poterla dare devo controllare “tanto”, già solo il controllo rischia id mettere
in di coltà il singolo. E’ un potere molto penetrante.

Il datore di lavoro non deve rivelare le sue fonti, anche se fossero illecite.

Potere sanzionatorio-> il datore di lavoro è venuto a conoscenza di una certa condotta, che può
essere anche pubblica, cosa fa ? -> l art. 2106 all’inizio aveva un solo 1 comma, perché il sistema
della contrattazione collettiva prevedeva categoria per categoria una serie di norme, poiché le
infrazioni disciplinari variano da ambito ad ambito e anche a riguardo dell’inquadramento. Questo
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rinvio alla contrattazione collettiva è rimasto depotenziato quando si è passati al sistema
repubblicano-> nel 1970 quando il legislatore ha emanato lo statuto dei lavoratori ha previsto
norme sul controllo e, a conclusione, ha introdotto una norma che completa il 2106, ovvero l’art. 7
dello statuto, mai modi cato.

Art. 7-> a nessun lavoratore può essere erogata una sezione senza averlo sentito a sua difesa e
aver contestato i fatti-> diritto al giusto processo, per difendersi deve essergli imputato qualcosa,
che ci sia un’imputazione analitica non generica (deve rappresentare i fatti), che siano contestati i
fatti-> devo intraprendere il procedimento ma devo dire di cosa mi lamento.

Questa contestazione dei fatti ha uno spazio di difesa del lavoratore, consente di esercitare la
propria difesa in due modi :
-In antico, il lavoratore andava dal sindacalista, che tutela i colleghi, fratellanza -> audizione
disciplinare, incontro con il capo del personale, colui che ha mandato la lettera di contestazione,
con cui si cerchino di chiarire i fatti
-le difese siano trasmesse in forma scritta, lettera di risposta del lavoratore

Termini : il lavoratore ha 5 giorni per difendersi.

La giurisprudenza per la parità delle armi nel processo-> si richiede ce la contestazione sia
analitica ma anche tempestivo->il motivo si rintraccia nel fatto che il licenziamento senza
preavviso per giusta causa non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto->
non può perdere tempo, perché senno ammeterebbe che il fatto non sia cosi grave-> è richiesta
la massima trasparenza : è un fatto grave ? Immediatamente la contestazione

In alcuni casi abbiamo un termine nale per la presa di posizione datoriale.

Le attenuanti sono da considerare.

Le modalità del lavoratore di contestare la sanzione -> almeno per quelle conservative si può
contestare di fonte ad collegio di arbitri -> in sede arbitrale si tiene conto delle varie situazioni
soggettive del lavoratore. Nella prassi italiana non è frequente. I dipendenti pubblici possono
soltanto di fronte al giudice.

Sanzione disciplinare : richiamo verbale (non richiede nessuna contestazione preventiva), scritto
(lettera, può essere diretto a stigmatizzare una condotta abituale-> anche senza contenuto
patrimoniale), multa ->rara, valore modesto, non può trattenere il datore di lavoro la multa,
sospensione del lavoro e retribuzione-> ambito dove l’infrazione ha una sua calamità, non più di
10 giorni, si va secondo un principio di proporzionalità-> se è recidivo la sanzione deve essere
crescente-> decorsi 2 anni dalla sanzione, perde ogni e cacia, la recidiva deve riguardare fatti
entro 2 anni.

Prevede l’art. 7-> al comma prima prevede si applichi le previsione dei contratti collettivi, che si
so ermano ad individuare le condotte vietate ma anche, prevedono una sorta di codice non
penale ma disciplinare, molto analitico. Prevede che il codice disciplinare debba essere a sso nei
locali aziendali-> pena : ine cacia -> perché una norma cosi ? La tradizione dell’a ssione è
antica, risale ad una usanza francese -> si chiama regolamento di azienda. Perche in Francia si
appendeva ? Perché la nozione di lavoro subordinato non c’era e, la subordinazione ricordava
troppo la schiavitù-> l’idea che ci potesse essere subordinazione contrattuale turbava, se nel
locale aziendale c’era il regolamento il cittadino francese sapeva le conseguenze cui andava in
contro-> valore simbolico. Negli anni 20 il nostro ordinamento ha recepito questa tradizione.

Una giurisprudenza degli anni 90 -> quando la condotta viola il minimo etico, non si può invocare
il fatto che non sia a sso.

Molto spesso si utilizzano siti, per esempio nel settore pubblico.

Obbligazioni datore di lavoro :


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PRIMO OBBLIGO -> La retribuzione costituisce l'oggetto della principale obbligazione del datore
di lavoro. Costituisce la prestazione corrispettiva rispetto a quella lavorativa, come si desume
dall'articolo 2094, per il quale è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante
retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale.
Tuttavia, nel contratto di lavoro, la corrispettivita si presenta in modo del tutto peculiare, non
riscontrabile negli altri altri contratti a prestazioni corrispettive. Queste peculiarità sono connesse
al carattere personale della prestazione lavorativa e al coinvolgimento durevole del lavoratore
nell'organizzazione produttiva. L'obbligazione retributiva connota il contratto di lavoro subordinato
come rapporto giuridico a titolo oneroso e, perciò, lo di erenza di altri rapporti che si presumono
a titolo gratuito o semi gratuito.

Per la quali cazione del compenso sarebbe su ciente l'accordo delle parti per un ammontare
determinato o determinabile. È questa la soluzione del codice civile del 1942 che, nell'articolo
2099, comma due, fa riferimento, ai ni della determinazione della retribuzione, all'accordo tra le
parti, in mancanza, viene determinato dal giudice tenuto conto, ove occorra, del parere delle
associazioni professionali. Tuttavia, in un rapporto a poteri asimmetrici, quale il rapporto di lavoro
subordinato, sarebbe agevole per la parte forte del rapporto tenere la stipulazione di patti per sé e
vantaggiosi, facendo leva sul bisogno di reddito e lavoro altrui e, dunque, sulla possibile
concorrenza al ribasso fra prestatori. Di qui, la ssazione di criteri legali di commisurazione della
retribuzione che garantiscono una retribuzione minima adeguata.

In Italia, manca una legge che imponga un salario minimo legale: ci fu la legge delega numero 183
del 2014 che delegava il governo all'introduzione, del compenso orario minimo. Tuttavia la delega
non è stata esercitata. Ad oggi, recentemente formulata dalla commissione europea, è una
proposta di direttiva relativa ai salari minimi adeguati nell'unione europea, del 28 ottobre del 2020,
che potrebbe rivitalizzare il dibattito.

Le di coltà dell'introduzione in Italia di un salario minimo legale sono di carattere politico, legate
al timore che essa comprime ruolo dell'autonomia collettiva nella ssazione di salari. Si aggiunge,
che, pur in mancanza di una legislazione sui minimi salariali, vi sarebbe una via italiana salario
minimo legale, rappresentata dall'articolo 36 della costituzione.
Ad oggi, dunque, la disposizione centrale in materia retributiva resta l'articolo 36, per il quale, il
lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in
ogni caso su ciente ad assicurare a se e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Quindi ssa
i due principi: proporzionalità e su cienza.il primo attiene alla quantità del lavoro prestato e alla
sua qualità.si tratta dunque di un criterio interno alla prestazione.la su cienza invece
testualmente riferita alle condizioni del prestatore e della famiglia e dunque un criterio esterno al
rapporto di lavoro.

Nell'applicazione giurisprudenziale, il criterio della su cienza è stato svalutato o, se si preferisce,


assorbito dal criterio della proporzionalità. Si è cioè considerato su ciente il compenso del
lavoratore ogni volta che fosse proporzionato, mentre le esigenze relative alla condizione
personale familiare sono state soddisfatte attraverso istituti assistenziali o previdenziali. Per la
determinazione del livello retributivo conforme al precetto costituzionale, i giudici prendono a
riferimento, quale criterio orientativo le retribuzioni previste dal contratto collettivo della categoria
o del settore produttivo, a prescindere dalla sua diretta applicabilità nel caso di specie-> implica
non solo che i principi di su cienza e proporzionalità assumono carattere variabile in base al
settore e alla quali ca rivestita dal singolo, ma che si determina la prevalenza del requisito della
proporzionalità rispetto a quello della su cienza, poiché i contratti collettivi non tengono conto
delle condizioni di vita e familiari del lavoratore. Occorre precisare che, secondo la giurisprudenza,
non tutti gli elementi retributivi previsti dai contratti collettivi integrano il cosiddetto minimo
costituzionale ma solo la cosiddetta paga base, nella quale è stata inglobata la cosiddetta
indennità di contingenza, e la 13ª mensilità. Deve comunque trattarsi delle retribuzioni previste dal
contratto collettivo della categoria inerente l'attività del datore di lavoro, a prescindere dal fatto
che qui si applichi un contratto collettivo: la giurisprudenza giusti cata l'operazione attraverso il
combinato disposto dell'articolo 36 e dell'articolo 2070, secondo il quale-> l'appartenenza alla
categoria professionale, ai ni dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo
l'attività e ettivamente esercitata dall’imprenditore-> tale norma, si ritiene compatibile con il
regime privatistico nel contratto collettivo sulla condizione che le si attribuisca funzione orientativa
del giudice allorché egli debba scegliere il contratto collettivo da cui desumere i parametri di
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su cienza retributiva al ne dell'applicazione dell'articolo 36. Per la giurisprudenza costante, le
retribuzioni ssate dai contratti collettivi costituiscono un parametro di riferimento da cui i giudici
possono discostarsi, con idonea motivazione. Importante da citare è anche l'articolo 37, che
sancisce, a parità di lavoro, il diritto della donna lavoratrice ad avere le stesse retribuzioni che
spettano al lavoratore, nonché il diritto alla parità retributiva per i minori.

La corrispettivita presenta nell'ambito del rapporto di lavoro caratteristiche peculiari rispetto a


quella propria degli altri contratti sinallagmantici, in ragione del carattere personale della
prestazione lavorativa e del coinvolgimento durevole del lavoratore nell'organizzazione produttiva.
Ed infatti, benché la disciplina civilistica preveda, il venir meno dell'obbligo retributivo in caso di
impossibilità della controprestazione, nell'ambito del rapporto di lavoro, in presenza di alcune
circostanze attinenti la sfera personale del lavoratore, permane per il datore di lavoro l'obbligo
retributivo pur in assenza di controprestazione. In particolare, il datore di lavoro è tenuto a
corrispondere al lavoratore assente dal lavoro il trattamento retributivo nell'ipotesi di sospensione
disciplinate dall'articolo 2110. L'obbligo retributivo in mancanza di prestazione lavorativa sussiste
anche in cui l'astensione del lavoro e ritenuta meritevole di tutela da parte dell'ordinamento al ne
di garantire diritti considerati di superiore rilievo-> per esempio diritto alla riduzione riconosciuto
per i lavoratori che si riuniscono in assemblea, nei limiti di 10 ore annue. L'obbligo retributivo
permane inoltre nei confronti dei lavoratori studenti, che hanno diritto alla fruizione di permessi
giornalieri retribuiti per sostenere le prove di esame.

In generale, si può de nire retribuzione e tutto quanto percepisce lavoratore in denaro o in natura
quale corrispettivo della prestazione lavorativa. Un tema in passato molto discusso è se esista o
no una nozione legale, unitaria ed onnicomprensiva di retribuzione. In un primo momento, si era
a ermata la tesi dell'esistenza di una nozione legale, unitaria ed onnicomprensiva di retribuzione-
> si riteneva infatti invocando gli articoli 2120 e 2121, che tutti gli elementi retributivi che
presentassero i caratteri della corrispettivita, determinatezza, obbligatorietà e continuità
integrassero si atta nozione. Con il risultato di rendere invalide le clausole contrattuali che,
espungevano dalla base di calcolo taluni elementi retributivi. L’ orientamento giurisprudenziale è
stato tuttavia abbandonato. La tesi della nozione legale unitaria e onnicomprensiva di retribuzione
aveva peraltro l'e etto di stravolgere gli equilibri della contrattazione collettiva. Negli anni 80 del
secolo scorso, si è concluso che la determinazione dell'ammontare della retribuzione da
assumere quale base di calcolo determinato istituto si risolve un problema interpretativo delle
formule utilizzate dal legislatore o delle clausole dei contratti collettivi. Esistono, dunque,
nell'ordinamento diverse nozioni di retribuzione dettate a ni speci ci e i contratti collettivi sono
liberi di determinare la nozione di retribuzione da prendere in considerazione ai ni degli istituti
retributivi che essi stessi creano.

Per quanto riguarda le forme di retribuzione, sono descritte nell'articolo 2099-> retribuzione a
tempo, retribuzione a cottimo, partecipazione agli utili o ai prodotti, provvigioni, prestazioni in
natura, che la norma distingue dalla retribuzione in denaro.

La forma prevalente è quella a tempo, cioè determinata in ragione della durata della prestazione di
lavoro e dell'unica dotata in maniera esclusiva, in modo da assorbire per intero trattamento
economico percepito dal lavoratore. Tutte le altre costituiscono forme di compenso parziale
ovvero elementi della retribuzione complessiva del lavoratore, la quale mantiene sempre una parte
ssa, determinata a tempo. La retribuzione a cottimo si caratterizza per il fatto che il trattamento
retributivo è determinato in funzione dei risultati prodotti dal lavoratore. Le forme retributive non
ha tempo, si pongono in potenziale contrasto con la garanzia costituzionale della retribuzione
proporzionata è su ciente dell'articolo 36: per questa ragione i contratti collettivi, laddove le
prevedano, le con gurano come una semplice integrazione della retribuzione ssa calcolata a
tempo. In realtà, il cottimo puro è prevista obbligatoriamente solo per i lavoratori a domicilio; nella
generalità dei casi, i contratti collettivi prevedono il cottimo misto: alla retribuzione base, calcolata
a tempo, si aggiunge l'utile di cottimo, nonché il vero e proprio cottimo, calcolato con riferimento
al rendimento reale del lavoratore singolo o di un determinato gruppo di lavoratori. Per quanto
riguarda la retribuzione in natura, essa si sostanzi a nel riconoscimento, soprattutto per il
personale con quali ca più elevata, dei cosiddetti fringe bene ts, quali disponibilità
dell'automobile anche per utilizzo personale, telefono cellulare, computer personale,
somministrazione gratuita di servizi.
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Quante le forme di retribuzione variabile, vi rientrano la partecipazione agli utili dell'impresa o la
partecipazione ai prodotti dell’impresa. Un'altra forma retributiva variabile è costituita dalle
provvigioni-> particolarmente di uso nell'ambito del lavoro autonomo, ma compatibile anche con
il lavoro subordinato, purché sia comunque raggiunto il livello della su cienza retributiva. Tipica
forma retributiva dei lavoratori subordinati adibiti a particolari attività commerciali, ad esempio
viaggiatori e piazzisti. Forme più so sticate di retribuzione variabile legata all'andamento
dell'impresa sono oggi previste dai contratti collettivi, sotto specie di premi di risultato.

Particolare importanza hanno assunto i piani di Welfare aziendale, che vengono incontro in
anzitutto i bisogni primari dei lavoratori sono destinati a sostituire parzialmente le erogazioni
monetarie-> questi piani, contratti collettivamente o adottati su iniziativa unilaterale dell'impresa,
comprendono l'erogazione di varie tipologie di bene ci, contributi per te sanitarie, spese per
istruzioni per i gli ecc. Sono particolarmente vantaggiosi grazie un regime scale di favore-> le
somme, i servizi e le prestazioni erogate, sulla base di contratti collettivi aziendali o anche di
regolamenti aziendali, alla generalità o a categorie di lavoratori non concorrono a formare reddito
da lavoro dipendente sono dunque esenti da tassazione.

In Italia la retribuzione presenta una struttura strati cata e complessa, articolandosi in una
pluralità di elementi individuati, per la grande parte, dei contratti collettivi. A livello descrittivo, una
distinzione ricorrente è fra retribuzione diretta, cioè corrisposta immediatamente al lavoratore, a
cadenza regolare, a fronte dell'e ettuazione della prestazione lavorativa, e retribuzione di erita,
annualmente o alla ne del rapporto. La contrattazione collettiva determina, in primis, la
retribuzione base che viene quanti cata e aggiornata periodicamente dei contratti collettivi
nazionali di categoria in funzione delle diverse quali che attribuite ai lavoratori. Adesso si
aggiungeva, in precedenza, la cosiddetta indennità di contingenza-> oggi eliminata.

Quale componente della retribuzione normale i contratti collettivi prevedono i cosiddetti scatti di
anzianità, aumenti di retribuzione periodici stabiliti in varia misura al progredire dell'anzianità di
servizio del lavoratore-> agli scatti si aggiunge la grati ca natalizia, o 13ª mensilità, corrisposta in
occasione delle festività natalizie e, talvolta, la 14ª mensilità corrisposta in occasione delle ferie
annuali. Ulteriori voci retributive sono i cosiddetti super minimi-> incrementi della retribuzione
base prevista dalla contrattazione collettiva oppure in incrementi stabiliti dai contratti individuali in
considerazione di particolari meriti o capacità del lavoratore. Ad essi si aggiungono i premi
caratterizzati, dal collegamento con fattori di e cienza di produttività dell'impresa o, del lavoro.

Tra gli elementi retributivi accessori rientrano le indennità di vario tipo e natura-> si tratta di voci
retributive a tutti gli e etti, sebbene connesse a particolari caratteristiche e modalità della
prestazione lavorativa, perciò destinate, a venir meno in corrispondenza di mutamenti di mansioni.

Il trattamento di ne rapporto, TFR, è il più importante istituto di retribuzione cosiddetta di erita.


Esso trae origine dall'indennità di anzianità, prevista inizialmente per i soli impiegati, poi esteso
agli operai: si trattava di una sorta di premio di fedeltà per il lavoratore ed infatti, non competeva
in caso di licenziamento per giusta causa o di dimissioni. Successivamente, l'indennità di
anzianità assunto il carattere di retribuzione corrispettiva dell'intero servizio, caratterizzato da una
funzione previdenziale. Fino al 1942, in base all'articolo 2120, l'indennità di anzianità si calcolava
moltiplicando una quota dell'ultima retribuzione per il numero degli anni di servizio; gli elementi
retributivi da includere nell'ultima retribuzione erano stabiliti dall'articolo 2121, che adotta un
criterio onnicomprensivo: le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai
prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto corrisposto a
titolo di rimborso spese. I criteri di calcolo peraltro producevano e etti irrazionali. Nel 1982 si
procedette ad una radicale riforma dell'istituto, non privo di criticità. In suo luogo, novellando
l'articolo 2120 è stato introdotto un nuovo istituto, denominato appunto trattamento di ne
rapporto, dalle modalità di calcolo diverse: esso si determina sommando per ogni anno di servizio
una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso,
divisa per 13,5. Inoltre gli elementi della retribuzione annua da prendere in considerazione ai ni
del calcolo sono stabiliti dalla legge, o simile a quello precedente ma, riconosciuto i contratti
collettivi il potere di modi care tale base di calcolo. Le somme che andranno a comporre il TFR
sono accantonate annualmente e agli accantonamenti È applicato un tasso di rivalutazione
composto, costituito dall'1,5% in misura ssa e dal 75% dell'aumento del costo della vita
accertato dall’INSTAT. Naturalmente tale sistema di calcolo riguarda solo le quote di TFR maturate
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dopo l'entrata in vigore della legge, per le quote anteriori a quella data si applica il sistema
preveggente. Sì è prevista inoltre la possibilità, per i lavoratori con almeno otto anni di servizio, di
chiedere anticipazione non superiore al 70% del TFR no a quel momento maturato per far fronte
a spese mediche straordinario per l'acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i gli.
Sono stabiliti i limiti quantitativi entro i quali le richieste devono essere soddisfatte. Se poi
introdotto la nuova causale di anticipazione, consistente nelle spese da sostenere durante i
periodi di fruizione dei congedi parentali e formativi. Le previsioni relative agli accantonamenti
annuali e alle anticipazioni sembrano rendere più plausibile la quali cazione del TFR come
retribuzione di cui è riferita l'esigibilità, non la maturazione.

Un'altra importante novità è che al ne di favorire lo sviluppo di tale forma di previdenza privata, è
stata prevista la destinazione cosiddetta semiautomatica del TFR alle forme pensionistiche
complementari: in pratica, se lavoratore non opta espressamente per il TFR, o in alternativa per il
versamento delle relative quote annuali a una forma pensionistica complementare di propria
scelta, dette quote con uiscono automaticamente alla forma pensionistica complementare
istituita presso l'azienda in cui lavoratore occupato o, se l'agenda non opera una forma
pensionistica, ad altre forme pensionistiche complementari individuate secondo criteri stabiliti
dalla legge, ed ultima analisi, ad un fondo di previdenza complementare istituito presso l’Inps. In
caso di morte del lavoratore, che abbia aderito ad una forma pensionistica complementare con
conseguente versamento a quest'ultima del TFR prima della maturazione del diritto alla
prestazione di previdenza, è contemplato un diritto di riscatto dell'intero montante accumulato, a
favore degli eredi o dei diversi bene ciari designati dall’iscritto. In caso di morte del lavoratore,
indennità sostitutiva del preavviso ed intere ferie non si devolvono secondo le regole della
successione ma: al coniuge, ai gli , se vivevano a carico del prestatore di lavoro, i parenti entro il
terzo grado e agli a ni entro il secondo. Abbiamo inoltre un fondo di garanzia che allo scopo di
erogare il TFR, in sostituzione del datore di lavoro insolvente.

SECONDO OBBLIGO-> la tutela del lavoratore dei possibili rischi derivanti dall'esecuzione della
prestazione costituisce l'oggetto di una speci ca obbligazione del datore di lavoro. L'articolo
2087 attribuisce infatti al datore di lavoro il dovere di adottare tutte le misure che secondo la
particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità sica e la
personalità morale del lavoratore. Bene, questi oggetto di tutela sul piano costituzionale da parte
dell'articolo 32,41 comma due, articoli 2,4 comma uno e 35 comma uno. L'integrità psico sica dei
lavoratori oggetto anche dell'articolo 31 della carta di diritti fondamentali dell'Unione Europea, che
riconosce il diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro sane, sicure dignitose. La rilevanza dei
valori sottesi alla disposizione codicistica si accompagna tuttavia all'estrema genericità
dell'obbligo ivi sancito. Il che è, consente un permanente adeguamento dell'ordinamento ai mutati
mutevoli standard di sicurezza, e ha reso per inevitabile una successiva e puntuale de nizione dei
suoi contenuti. La disciplina dettata dall'articolo 2087 e dunque progressivamente integrata dalla
normativa speciale. In un primo momento il problema della salute della sicurezza viene a rontato
nell'ottica di riparazione dell'evento dannoso più che di prevenzione del rischio. Tale approccio
viene abbandonato solo con lo statuto dei lavoratori, che ha potenziato l'impostazione del codice
civile-> prenderla maggiormente aderente al dettato costituzionale sul diritto alla salute. L'articolo
nove riconosce ai lavoratori il diritto di controllare tramite apposite rappresentanze l'applicazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la
ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute la loro
integrità sica.

Da citare il testo unico in materia di tutela della salute sicurezza nei luoghi di lavoro-> 2008,
numero 81. Connesse legislatore ha provveduto a una generale riorganizzazione della materia,
partire dall'abrogazione di quasi tutte le discipline precedenti, compreso il decreto legislativo del
94.

Il decreto legislativo numero 81 del 2008 si applica a qualunque persona che, indipendentemente
dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un
datore di lavoro pubblico privato, con o senza retribuzione, anche al solo ne di apprendere un
mestiere, un'arte o una professione-> ampie quindi sono le nozione di lavoratore e datore di
lavoro: la prima si riferisce a tutti i lavoratori, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi
equiparati; mentre la seconda si estende a tutti i soggetti che hanno la responsabilità della tutela
del lavoratore e attuano le direttive del datore di lavoro, vigilando altresì sul corretto adempimento
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delle stesse. Accanto previsioni dedicate a determinati settori e particolari categorie di lavoratori,
normativa è informata a taluni principi comuni-> abbiamo tre momenti fondamentali:
programmazione della sicurezza, procedimentalizzazione degli obblighi, partecipazione dei
lavoratori e\o dei loro rappresentanti. Attraverso la partecipazione attiva di tutti i soggetti coinvolti
nell'organizzazione aziendale, compresi lavoratori, individualmente e collettivamente considerati, il
testo unico da compiuta attuazione a quel modello partecipato della sicurezza, che l'articolo nove
dello statuto dei lavoratori aveva solo abbozzato. L'obbligo di sicurezza viene dunque scomposto
in una serie di puntuali adempimenti-> il datore di lavoro è anzitutto chiamato the future la
valutazione dei rischi connessi allo svolgimento della prestazione lavorativa, qui segue la
redazione di apposito documento cosiddetto di valutazione dei rischi, nel quale deve essere
indicato il nominativo del responsabile del servizio di prevenzione protezione, del rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato
alla valutazione del rischio. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e titolari di diritti di
consultazione e proposta ed è un organo di natura sindacale. Il testo unico prevede inoltre il
diretto coinvolgimento dei lavoratori in materia di sicurezza, da cui derivano precisi obblighi a loro
carico: osservare le misure di igiene sicurezza, usare in modo corretto dispositivi di protezione
individuale, segnalare eventuali de cienze, sottoporsi a controlli sanitari.

L'obbligo di sicurezza dell'articolo 2087 può dirsi anzitutto funzionale all'adempimento del
cosiddetto principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile, intesa come e ettiva
applicazione delle misure che, nei diversi settori e nelle diverse lavorazioni, corrispondono ad
applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali
altrettanto generalmente acquisiti. Detta quindi un principio di autoresponsabilità del datore che,
anche indipendentemente da speci che disposizioni normative, chiamato a porre in essere tutti gli
accorgimenti le misure necessarie a evitare il veri carsi di lesioni di beni primari come la salute e
l'integrità sica.

Per quanto riguarda la pandemia determinato da COVID-19-> ai ni della tutela contro il rischio di
contagio, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all'obbligo di cui all'articolo 2087
mediante l'applicazione dei protocolli delle altre previsioni speciali espressamente richiamate
all'articolo uno comma 14 del decreto legge numero 33 del 2020, nonché attraverso l'adozione e il
mantenimento delle misure previste. La messa disposizione del vaccino a acuito il dibattito
attorno all'esatta delimitazione dell'obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro per prevenire il
rischio di contagio-> si è rivelato che lasciata individuale di sottrarsi al vaccino non poteva dirsi
neutrale, dovendo essere con temperata con la necessità di tutelare la salute la sicurezza nei
luoghi di lavoro.

Il legislatore è intervenuto espressamente quantomeno in un settore cruciale, come quello della


sanità: per gli esercenti professioni sanitarie per gli operatori di interesse sanitario, che svolgono
allora attività nelle strutture sanitarie, socio sanitarie socioassistenziali, pubbliche e private,
nonché negli studi professionali, l'obbligo di vaccinazione, al cui assolvimento subordinato
l'esercizio della professione lo svolgimento della prestazione lavorativa da parte dei soggetti
interessati-> il datore di lavoro, ricevuta la comunicazione della sospensione, deve adibire il
lavoratore a mansioni diverse, eventualmente inferiori, e comunque non implichino rischi di
di usione del contagio, corrispondente trattamento economico dovuto per le mansioni esercitate.
Nel caso in cui ciò non fosse possibile, per il periodo di sospensione disposta dall'ordine
professionale di appartenenza non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento. La
sospensione mantiene e cacia no all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o in mancanza no al
compimento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.
Ovviamente l'obbligo vaccinale è escluso nei confronti dei lavoratori fragili. Si è poi esteso la
previsione dell'obbligo vaccinale tutti i soggetti, anche esterni che svolgono a qualsiasi titolo la
propria attività lavorativa nelle strutture residenziali, socio assistenziali e socio sanitarie. Ad oggi,
tuttavia, previsione di un obbligo vaccinale sembra essere sostituita dall'obbligo di presentazione
del Green pass, necessario per poter svolgere o accedere ad un insieme di attività o ambiti
speci camente individuati. È stato previsto l'obbligo del Green pass quale presupposto di
accesso al luogo di lavoro per tutto il personale del sistema nazionale di istruzione e universitario,
la cui mancanza impedisce l'esecuzione della prestazione lavorativa è da luogo ad un'assenza
ingiusti cata con perdita della retribuzione sospensione della posta di lavoro a decorrere dal
quinto giorno di assenza. Si è esteso poi a tutti i lavoratori, ivi inclusi i soggetti che svolgono a
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qualunque titolo alla propria attività lavorativa o di formazione di volontariato all'interno dei
medesimi luoghi di lavoro o presso la stessa amministrazione.

Bisogna sottolineare che la mancanza del Green pass, se determina l'impossibilità di svolgere
l'attività lavorativa e la perdita della retribuzione, non ha conseguenze disciplinari e non pregiudica
il diritto alla conservazione del posto di lavoro.

Per quanto riguarda il piano previdenziale, la tutela della salute della sicurezza viene attuata
attraverso la previsione di un'assicurazione sociale obbligatoria contro gli infortuni e le malattie
professionali, gestita dall’INAIL. Trova il proprio fondamento nell'articolo 38 comma due della
nostra costituzione, ai sensi del quale i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria. La previsione di tale obbligo assicurativo allo scopo di indennizzare i
lavoratori addetti a lavorazioni potenzialmente pericolose dei pregiudizi alla loro capacità
psico sica, veri catisi in occasione in conseguenza della prestazione lavorativa e
indipendentemente dalla colpa del datore di lavoro nella causa azione dell’evento. Nell'ambito di
applicazione, il datore di lavoro è infatti esonerato dalla responsabilità civile per infortunio malattia
professionale, a meno che il fatto da cui essi derivano costituisca un reato perseguibile d'u cio,
per il quale sia intervenuta la condanna penale a suo carico-> in questo caso, l’INAIL, ha diritto al
regresso nei confronti del datore di lavoro per una somma corrispondente alle prestazioni erogate
o da erogare al lavoratore. Il lavoratore, che agisca per l'accertamento della responsabilità civile,
può chiedere risarcimento del danno cosiddetto di erenziale, eccedente cioè l'importo erogato o
erogabile allo stesso titolo dall’INAIL. Quanto al tipo di pregiudizio indennizzabile, accanto al
danno patrimoniale in senso stretto consistente nella perdita della capacità lavorativa, la
giurisprudenza aveva progressivamente ricompreso il danno non patrimoniale-> ha quindi
ampliato la nozione di danno non patrimoniale, no a ricomprendervi ogni pregiudizio
conseguente alla violazione di diritti inviolabile della persona riconosciuti dalla costituzione.
Questo ha rivitalizzato la disposizione di cui all'articolo 2087, valorizzandone la funzione di tutela
anche della personalità morale del prestatore. In questo modo si è potuto ricomprendere
nell'ambito della previsione codicistica qualsiasi pregiudizio di carattere non patrimoniale
cagionato alla persona del lavoratore-> ciò è di particolare evidenza, oltre che nelle ipotesi di
danno da dimensionamento ovvero da molestie sessuali, nel caso di mobbing. Il mobbing porta
una lesione alla dignità personale del lavoratore viene ricondotto più speci camente alla gura del
danno non patrimoniale cosiddetto essenziale, volto cioè a ristorare qualsivoglia pregiudizio alle
attività realizzatrici della persona.

Riassumendo -> Art. 2087-> L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le


misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l'integrità sica e la personalità morale dei prestatori di lavoro-> sostanzialmente norme in tema di
custodia. Il lavoratore che riferisca al datore di lavoro di essersi fatto male mentre lavorava si trova
a lamentare un’inadempimento-> il datore di lavoro deve provare che l'inadempimento è derivato
da impossibilità della prestazione conseguente cause non imputabili. Questo articolo non è solo
un criterio ascrittivo di responsabilità, non identi ca solo un criterio la responsabilità, ma è anche
un criterio che impone la prevenzione-> tutti gli imprenditori a non l'obbligo di assicurare i propri
dipendenti presso l’INAIL, ente pubblico per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro-> non
risarcisce ma indennizza, ovvero l'indennizzo viene calcolato con sistemi che non tengono conto
del danno e ettivamente arrecato -c’è una di erenza tra indennizzo e risarcimento. In qualche
raro caso l'indennizzo può essere superiore al risarcimento, non si chiede all'indennizzato di
restituire la di erenza, ma viceversa, nel caso in cui l'indennizzo fosse inferiore risarcimento, si
ritiene che l'imprenditore non sia liberato dalla responsabilità per il cosiddetto danno di erenziale,
nella giurisprudenza si può quindi promuovere un'azione per risarcimento di questa quota di
danno.

Quindi, questo articolo è il fondamento normativo su cui si basa tutta la normativa in tema di
prevenzione di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Questa norma previsionale e
anch’essa contenuta in un testo unico, il testo unico 81 del 2008.

Art. 2094-> È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare
nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione
dell'imprenditore
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Art. 2099-> La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a
cottimo [2100, 2101, 2108, 2131] e deve essere corrisposta [nella misura determinata dalle norme
corporative](1), con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito
[1755, 2103, 2751, 2955, 2956; 545 c.p.c.; 36, 37 Cost.]-> rinvio alla contrattazione collettiva

Il sistema del cottimo è un sistema poco di uso in Italia: si individua un certo rendimento, un
certo livello di produzione, se il lavoratore supera questo livello di produzione ha diritto ad una
retribuzione maggiorata; se viceversa scende al di sotto del cottimo, la retribuzione deve essere
rideterminata. Se noi ci troviamo in una situazione per esempio di lavoro subordinato, è di cile
collegare la retribuzione al raggiungimento di un determinato risultato-> è previsto, ma non può fa
venir meno l'aspettativa del lavoratore ad una retribuzione che assicuri, come dice l'articolo 36
della costituzione, un'esistenza libera e dignitosa a lui e alla famiglia. Quindi sia l'esigenza di
garantire al lavoratore di poter portare a casa una retribuzione proporzionata e su ciente-> in
questo caso la parola su ciente impone che la retribuzione di risultato, cioè collegata ad un certo
ritmo produttivo al raggiungimento di determinati obiettivi, sia una retribuzione che si venga a
sommare al minimo sindacale-> retribuzione minima : art. 36 Cost. + 39 Cost-> cosa farà la
Repubblica italiana? Dichiarerà che in Italia non c'è bisogno di un salario minimo perché la
contrattazione collettiva è di usa in tutto il paese.

Continua -> in mancanza di [norme corporative o di](1) accordo tra le parti, la retribuzione è
determinata dal giudice [tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali](1).
Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o
ai prodotti [2102], con provvigione o con prestazioni in natura.

Quindi le obbligazioni principali che gravano in capo al datore di lavoro sono due:
-retribuire la prestazione
-assicurare e garantire la sicurezza del lavoratore

Sospensione del rapporto di lavoro

Cessazione del rapporto di lavoro

Il mezzo tipico di risoluzione del contratto e del rapporto di lavoro è il recesso. Il recesso dal
contratto di lavoro ha assunto da prima non linguaggio comune e, dopo, anche nel linguaggio
normativo, la denominazione di dimissioni se posto in essere dal lavoro, di licenziamento, se
posto in essere dal datore di lavoro. Il codice civile del 1942 disciplinava il recesso dal contratto di
lavoro, assoggettando alle stesse regole datore di lavoro e lavoratore, in coerenza con la
concezione egualitaria della posizione dei contraenti che, permea l'impostazione codicistica.

In base all'articolo 2118, che riguarda il lavoro a tempo indeterminato, ciascuno dei contraenti
può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei
modi stabiliti dalle norme corporative, i contratti collettivi, dagli usi o secondo equità-> a Milano è
7 giorni, ma varia anche in base all’anzianità di servizio, da mesi a settimane a giorni, inoltre più è
elevato il livello di inquadramento più è lungo il preavviso, ed è dimezzato quando si tratta di
dimissioni. Per evitare situazione di imbarazzo, molto spesso questo preavviso viene monetizzato:
ti devo dare tre mesi di preavviso, ecco tre mensilità per quei tre mesi, oggi te ne vai-> ma ciò si
applica solo in 4 ipotesi : domestici e badanti, coloro che abbiano raggiunto il massimo
pensionistico, non esiste più da 30 anni, dirigenti, lavoratori in prova.
In mancanza di preavviso il recedente, è tenuto a versare all'altra parte un'indennità equivalente
all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. Quindi la regola è
quella del recesso ad nutum, con il solo obbligo di dare il preavviso-> non vi è questo obbligo in
presenza di una giusta causa, de nita dall'articolo 2119, come quella che non consenta la
prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto-> la giurisprudenza prevede però la contestazione,
in questi casi infatti è stato introdotto l’istituto della sospensione cautelare, il lavoratore viene
allontanato, si intraprende una contestazione disciplinare che ha tempi brevi, all’esito di questa
contestazione si intima il licenziamento senza preavviso -> QUINDI, i lavoratori licenziati per
giusta causa hanno diritto alla contestazione disciplinare. In presenza di una giusta causa di
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dimissioni al lavoratore è dovuta l'indennità di preavviso. La giusta causa per quanto riguarda
invece il contratto a tempo determinato, consente il recesso prima dello scadere del termine.

Bisogna sottolineare come l'articolo 2119 non parli di inadempimento-> si vuole infatti estendere
al di là dell'inadempimento lo stesso licenziamento-> adempiente ma licenziamento legittimo per
giusta causa, include condotte che appartengono alla sfera personale e alle sue scelte individuali
dello stesso lavoratore.

Quindi, datore e prestatore di lavoro sono messi sullo stesso piano ai ni della disciplina del
recesso: entrambi possono recedere liberamente è la giusta causa funge da causa esonera attrice
dall'obbligo di preavviso, ovvero da requisito legittimante il recesso ante tempus nel contratto a
tempo determinato.

La ratio dell'istituto del preavviso e consentire al lavoratore, in caso di licenziamento, il


reperimento di un'altra occupazione e, al datore di lavoro, la tempestiva sostituzione del
lavoratore. La durata del preavviso non è stabilita dalla legge ma determinata dai contratti
collettivi-> norma di buona fede.

La disciplina codicistica sul libero recesso, fondata sull'eguaglianza formale dei contraenti, non
considera la diversa condizione sostanziale delle parti sul piano, sia contrattuale, sia socio
economico. Di qui, alla progressiva divaricazione del regime delle dimissioni e di quello del
licenziamento. Mentre le dimissioni restano regolate dagli articoli 2118 e 2119, il licenziamento ha
visto superare progressivamente il regime di libera recedibilità. A questo superamento ha
contribuito nel primo momento la contrattazione collettiva.

Una disciplina legale speci ca in materia di licenziamenti individuali nei rapporti di lavoro a tempo
determinato è intervenuta per la prima volta con la legge del 15 luglio 1966, numero 604-> la
legge sostituisce alla regola del recesso libero quella del recesso vincolato all’ esistenza di una
giusta causa ai sensi dell'articolo 2119 o di un giusti cato motivo, ponendo l'onere della prova
della loro sussistenza a carico del datore di lavoro-> il giusti cato motivo è de nito dalla stessa
legge: è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di
lavoro-giusti cato motivo soggettivo- ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva,
all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa-giusti cato motivo oggettivo + si
potrebbe aggiungere il cosiddetto licenziamento per malattia prolungata-> se manca uno di questi
-> licenziamento illegittimo. Quali sono le conseguenze di questa illegittimità -> oggetto di una
quadripartizione, regime di erenziato a seconda delle dimensioni dell’impresa e in base alla data
di assunzione, prima del 2015 o dopo. Quali saranno queste conseguenze? Il legislatore ha tirato
in ballo la categoria della nullità->impropriamente in verità, poiché il licenziamento è
immediatamente produttivo di e etti, per quello utilizziamo la categoria dell’illegittimità-> ovvio, il
giudice che poi accerta che licenziamento sia stato intimato in assenza di presupposto di legge lo
dichiara illegittimo-> quindi più che nullità si deve parlare di annullabilità-> produttivo di e etti
ntanto che il giudice non ne accerti l’illegittimità. Quindi, anche se viene ricollegato dal legislatore
alla nullità, la dottrina utilizza l'espressione nullità speciale-> perché l'atto intanto è
immediatamente produttivo di e etti, con un ulteriore conseguenza, che se l'atto non viene
impugnato per tempo, 60 g-> l’atto consolida i suoi e etti in maniera irreversibile. Quindi, il
licenziamento è un ordine datoriale, come tutti è produttivo di e etti-> il lavoratore può contestare
il licenziamento entro 60 giorni successivi alla sua intimazione. Il licenziamento si intima per atto
scritto, recetizio, deve essere comunicato al destinatario e l’impugnativa si deve sempre
comunicare con atto scritto, recetizio-> si richiede l’autogra a. Essendo recetizio, se si spedisce
la lettera per posta, il servizio postale fa rmare una cartolina al destinatario-> riconsegnata al
mittente -> raccomandata con ricevuta di consegna. Tutto questo è quasi stato spazzato via dalla
PEC.
Addirittura la cassazione, ha detto che visto che servizi postali non sono totalmente a dabili,
l'impugnativa deve essere portata all'u cio postale entro i 60 giorni. Nell'impugnativa non
bisogna scrivere nulla, basta una semplice manifestazione di volontà. La causa deve essere
iniziata entro 180 g.

Quindi, il legislatore del 66, ha introdotto anche requisiti formali del licenziamento, in particolare la
forma scritta e l'onere di comunicazione per iscritto dei motivi, se richiesti dal lavoratore.
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Per il caso di mancanza di giusta causa o di giusti cato motivo disponeva l'articolo otto di questa
legge, prevedendo che il datore di lavoro potesse optare tra la riassunzione del lavoratore e il
pagamento di un'indennità, determinata dal giudice in misura originariamente compresa tra 5 e 12
mensilità della retribuzione.

In sostanza, il licenziamento, pur illegittimo, risolveva il rapporto di lavoro, e faceva sorgere, in


capo al datore, un'obbligazione alternativa di ricostituzione ex novo del rapporto stesso o, a
scelta, di versamento di un'indennità risarcitoria. Per tale motivo, si è detto che questa legge ha
introdotto un regime di cosiddetta stabilità obbligatoria, o meglio, un surrogato obbligatorio della
stabilità. Il datore di lavoro poteva liberarsi dal vincolo contrattuale con il versamento di
un’indennità.

Il campo di applicazione di questa legge era limitato ai datori di lavoro che impiegassero più di 35
dipendenti-> l'articolo 11 della legge escludeva poi dal proprio campo di applicazione la materia
dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, senza speci care in cosa essi consistevano
e, facendo sorgere la questione della loro distinzione rispetto licenziamenti individuali plurimi per
giusti cato motivo oggettivo-> la questione è stata risolta nel 1991 con la legge numero 223, che
ha regolato espressamente i licenziamenti collettivi per riduzione di personale.

Nel 1970 è entrato in vigore lo statuto dei lavoratori, con esso la norma in tema di licenziamenti
individuali, l'articolo 18 che, non interviene sul piano della disciplina sostanziale ma, solo
sull'apparato sanzionatorio, vale a dire sulle conseguenze del licenziamento illegittimo. Si passa
da un regime di stabilità cosiddetta obbligatoria ad un regime di stabilità cosiddetto reale, in base
a questo articolo, in tutti i casi di illegittimità del licenziamento, il datore di lavoro era tenuto alla
reintegrazione del posto di lavoro oltre che a corrispondere al lavoratore un risarcimento del danno
derivante dal licenziamento, commisurato all'ultima retribuzione globale di fatto è, comunque,
nella misura minima di cinque mensilità. Il risarcimento del danno era da commisurare a tutte le
retribuzioni di cui il lavoratore avrebbe avuto diritto dalla data del licenziamento no a quella
dell'e ettiva reintegrazione. Si è discussa una partecipazione dello stato per il risarcimento del
danno -> in italia no.

Il problema centrale connesso al rimedio della reintegrazione era quello della sua coercibilità->
l'esecuzione della prestazione lavorativa richiede la cooperazione del creditore-datore di lavoro,
quantomeno ai ni delle direttive per l'esecuzione della prestazione. Sono nel caso del
licenziamento dei della r.s.a si era arrivati a prevedere che il datore di lavoro, in caso di in
ottemperanza alla sentenza di condanna alla reintegrazione, oltre al pagamento della retribuzione
al lavoratore, era tenuto per ogni giorno di ritardo, al pagamento in favore del fondo adeguamento
pensioni dell'Inps di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore. Negli altri
casi, in mancanza di reintegrazione, il datore di lavoro tenuto unicamente alla corresponsione
della retribuzione.

Il regime di cui all'articolo 18 si applicava, per le imprese industriali commerciali, unicamente alle
unità produttive con più di 15 dipendenti alle imprese agricole con più di cinque dipendenti.

La ratio della limitazione risiedeva nell'intento di non gravare le imprese di minori dimensioni di
oneri economici eccessivi, oltre che di evitare tensioni nell'ambiente di lavoro, inevitabili in piccole
unità.

Il riferimento del limite dimensionale a diverse entità, vale a dire al datore di lavoro nel suo
complesso nella legge 604 del 66 e, all'unità produttiva dello statuto dei lavoratori, ha fatto
sorgere problemi di coordinamento tra le due discipline.

Con la legge numero 108 del 1990, il legislatore è intervenuto sia sul piano sostanziale, sia
sull'apparato rimediale. Ha ulteriormente ridotto l'ambito del recesso ad nutum , che resta
applicabile unicamente al lavoro domestico, ai dirigenti, ai lavoratori in possesso dei requisiti
pensionistici e lavoratori in prova. La legge ha esteso il campo di applicazione dell'articolo 18
dello statuto dei lavoratori, si applica non solo nelle unità produttive con più di 15 dipendenti, ma
anche ai datori di lavoro che occupano, nel complesso, più di 60 dipendenti, a prescindere dal
numero dei dipendenti dell'unità produttiva. È sancita dalla legge l'applicabilità dell'articolo 18 in
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tutti i casi di licenziamento discriminatorio, ai sensi dell'articolo quattro della legge del 66 e
dell'articolo 15 dello statuto dei lavoratori, a prescindere dalle dimensioni del datore di lavoro.
A rimodulato l'indennità, di cui all'articolo otto della legge del 66, ora ricompresa tra due, 5:06
mensilità di retribuzione, maggiorabile sino a 10 mensilità per i lavoratori con anzianità di servizio
superiore a 10 anni e a 14 mensilità per i lavoratori con anzianità di servizio superiore a vent’anni.
Prima delle profonde riforme degli ultimi anni, il licenziamento illegittimo era dunque caratterizzato
da un duplice regime sanzionatorio, applicabile, a seconda delle dimensioni dell'attore di lavoro.

La legge numero 92 del 2012, la legge Fornero, a modi cato la disciplina sanzionatorio dei
licenziamenti, in particolare l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori-> restringendo i casi di
applicazione della tutela reintegratoria, sostituita, da una tutela indennitària. Il nuovo articolo 18
introduce una diversi cazione delle tutele del lavoratore a seconda del vizio che colpisce
licenziamento. Il legislatore ha scelto di mantenere inalterato il regime di stabilità obbligatoria. Sul
piano sostanziale, la legge, a previsto la contestuale comunicazione dei motivi del licenziamento
e, nel campo di applicazione dell'articolo 18, ha introdotto la procedura preventiva all'erogazione
del licenziamento per giusti cato motivo oggettivo, con l'intento di propiziare una soluzione
conciliativa. Sul piano processuale, la legge ha previsto rito speciale, per le controversie aventi ad
oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nell'ipotesi regola dell'articolo 18: 1 prima fase a istruttoria
deformalizzata-> che si conclude con un'ordinanza, suscettibile di opposizione entro 30 giorni;
una seconda fase, a cognizione piena, che si conclude con una sentenza, impugnabile con
reclamo dinanzi alla corte d'appello con ricorso dinanzi alla corte di cassazione.

Il passaggio dalla tutela reintegratoria alla tutela indennitaria si è avuto tuttavia con più decisione
con il Jobs Act, in particolare con il decreto legislativo del 4 marzo del 2015, numero 23. Esso non
modi ca la disciplina del licenziamento per i rapporti di lavori in corso, come va fatto la legge for
nero, ma solo quella relativa ai rapporti di lavoro instaurati a partire dall'entrata in vigore del
decreto, vale a dire dal 7 marzo 2015.

Quindi il licenziamento, risulta caratterizzato da un duplice regime sanzionatorio: l'uno, applicabile


ai rapporti di lavoro instaurati anteriormente il 7 marzo 2015; l'altro applicabile ai rapporti di lavoro
instaurati a partire da tale data. Le regole sostanziali e formali del licenziamento sono identiche nei
due regimi.

QUINDI-> a seconda del momento in cui è stato assunto il lavoratore la disciplina cambia,
abbiamo una disciplina di erente anche in base alle dimensioni dell’impresa-> dove ritroviamo più
di 15 dipendenti, avremo una tutela del lavoratore maggiore, questo sia prima del 2015 che dopo,
quindi abbiamo 4 regimi :
1. Piccola impresa ante 2015
2. Grande impresa ante 2015
3. Piccola impresa post 2015
4. Grande impresa post 2015
+ 5 regime-> regime dei dipendenti pubblici-> lavoro alle dipendenze dell'amministrazione
pubblica.

Fondamentalmente la duplicità di regime sanzionatorio, ha inevitabilmente fatto sorgere dubbi di


legittimità costituzionale-> infatti dal 2018, abbiamo avuto moltissime dichiarazione di
incostituzionalità-> quadro complesso.

Negli ultimi anni, anche in sede internazionale, ritroviamo norme per la stabilità del rapporto.

La tutela più forte sarà per i lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti ante 2015,
estremamente debole per le imprese poste 2015 con meno di 15 lavoratori.

I licenziamenti individuali- nozione di giusta causa e di giusti cato motivo:

Sebbene entrambi legittimino il licenziamento, è importante distinguere la nozione di giusta causa


da quella di giusti cato motivo, poiché quest'ultimo non esonera il datore di lavoro dall'obbligo
del preavviso, cosa che manca nella giusta causa, il recesso è immediato. Per quanto riguarda la
nozione di giusta causa, un primo orientamento considera riconducibili alla giusta causa, non solo
fatti integranti un inadempimento degli obblighi contrattuali, ma anche comportamenti esterni al
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rapporto di lavoro, tali da ledere il vincolo duciario sussistente tra datore di lavoro e lavoratore e
perciò impeditivi della regolare prosecuzione del rapporto. Secondo un altro orientamento, la
giusta causa consiste in un inadempimento imputabile degli obblighi contrattuali, più grave di
quella integrante il giusti cato motivo, a nulla rilevando fatti esterni al rapporto e in particolare
comportamenti che rientrano nella vita privata del dipendente o che attengono ai rapporti
personali con il datore di lavoro. È prevalsa la prima tesi: anche i comportamenti che non si
traducono in un inadempimento contrattuale possono costituire giusta causa se fanno venire
meno la ducia del datore di lavoro nella esattezza dei futuri adempimenti contrattuali. Poiché la
subordinazione del lavoratore comporta un vincolo che investe, non è l'intera persona del
prestatore, bensì la sola esecuzione della prestazione lavorativa, questi non può essere
sanzionato per circostanze estranee all'adempimento contrattuale, salvo che tali circostanze non
si ripercuotono sull'aspettativa di esatto adempimento o salvo che, rilevino attitudini anche
soggettive e personali del lavoratore ovvero un certo grado di compatibilità personale. Questo
vale in particolare per le organizzazioni di tendenza, dove il concetto di giusta causa è considerato
più elastico e tale da comprendere i comportamenti contrari alla morale o all'ideologia
dell’organizzazione.

In ogni caso, la giurisprudenza insiste sulla necessità di una valutazione complessiva e in


concreto delle singole fattispecie-> non è su ciente quindi una valutazione in astratto, ma
occorre veri care se, la mancanza commessa, per le sue modalità soggettive e oggettive, si rilevi
talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto.

Ai sensi dell'articolo tre della legge del 66, integra il giusti cato motivo cosiddetto soggettivo di
licenziamento il notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di
lavoro. Solo un inadempimento notevole integra gli estremi, avendo il legislatore a dato
all'aggettivo notevole la funzione di distinguere l'inadempimento risolutivo da quello non
risolutivo, punibile con più tenui sanzioni disciplinari.

Il giusti cato motivo oggettivo ( licenziamento incolpevole) consiste nei motivi economici,
concreto-> in ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare
funzionamento di essa. In questo caso non rilevano motivi che hanno attinenza all'inadempimento
colpevole del lavoratore, ma motivi attinenti alla funzionalità dell’impresa. L'articolo tre della legge
del 66 integra, non introduce una clausola generale, ma una clausola a precetto generico idoneo a
ricomprendere pro li riguardanti, ad esempio il tipo di produzione del mercato, ovvero pro li più
strettamente concernenti le modalità di produrre, cioè l'organizzazione del lavoro.

In alcuni casi il licenziamento per giusti cato motivo oggettivo diventa addirittura licenziamento
collettivo, secondo la nozione di una direttiva europea, quando interessa più di cinque dipendenti.

La norma non fa alcun riferimento alla necessità di una situazione di crisi aziendale, tanto che
dovrebbe considerarsi legittima anche un licenziamento per giusti cato motivo oggettivo
nalizzato all'incremento dei pro tti. Il problema principale riguarda i limiti del sindacato
giurisdizionale nell'accertamento del giusti cato motivo oggettivo di licenziamento-> è opinione
prevalente che il giudice non possa sindacare nel merito l'opportunità o la convenienza della
scelta produttiva ed organizzativa dell’imprenditore-> di tale scelta può essere solo sindacato
all'e ettività, e questo è stato confermato dall'articolo 30 della legge del 2010 numero 183 che ha
ribadito, che è anche nell'ipotesi di giusti cato motivo di recesso il controllo giudiziale è limitato
esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento del
presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni
tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro.

Al ne di veri care la sussistenza del giusti cato motivo oggettivo, oltre all'e ettività della scelta
produttiva ed organizzativa del datore di lavoro, il giudice deve accertare l'esistenza di un nesso
causale tra tale scelta ed il licenziamento del lavoratore. In altre parole deve essere veri cata la
coerenza del licenziamento rispetto alle scelte produttive ed organizzative.

La giurisprudenza, oltre all'e ettività delle scelte aziendali e alla sussistenza del nesso causale fra
queste ultime e il licenziamento, richiede che il datore di lavoro osservi l’ obbligo di ripescaggio->
in particolare, il licenziamento si ritiene assistito da un giusti cato motivo solo quando non vi sia
alcuna possibilità di reimpiego del lavoratore nell'organizzazione produttiva, attraverso l'adibizione
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del lavoratore a mansioni diverse. L'onere della prova, in capo al datore di lavoro, può essere
assolto fornendo la prova di fatti e circostanze di tipo indiziario o presuntivo, idonei a persuadere
dell'impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale globalmente
considerato, comprensiva cioè delle unità produttive alle quali il lavoratore potrebbe essere
trasferito. Circostanza che rende molto gravoso non era a capo del datore allorquando il
lavoratore abbia una professionalità suscettibile di ampia utilizzazione, a tale proposito, la
giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il lavoratore ha quantomeno l'onere di dedurre e
allegare le alternative al licenziamento, dovendo indicare il posto disponibile in azienda, cui
avrebbe potuto utilmente essere adibito. In tempi più recenti, si è ria acciato un indirizzo che non
era esclusivamente il datore di lavoro di allegare e provare, seppure attraverso presunzioni,
l'insussistenza di posizioni di utile ricollocazione del prestatore licenziato. È controverso se
l'obbligo di ripescaggio si estende anche alle mansioni inferiori. Il licenziamento deve essere
intimato in forma scritta e con contestuale comunicazione dei motivi, pena la sua ine cacia. In
caso di licenziamento per giusti cato motivo oggettivo, se si rientra nel campo di applicazione
dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, come modi cato dal 2012, esso deve essere preceduto
da una comunicazione preventiva, e ettuata dal datore di lavoro all’ITL. Per i nuovi rapporti
costituiti dal 7 marzo 2015 per i quali si applica il decreto legislativo del 2015 è esclusa
l'applicazione di si atta procedura.in caso di licenziamento disciplinare, cioè dovuta a colpa del
lavoratore, dovrà essere contestato preventivamente l'addebito ed assicurato il diritto di difesa. La
legge del 2012 del decreto del 2015 hanno confermato, la soluzione in cui, dopo molto travaglio,
è pervenuta la giurisprudenza, la necessità di applicazione dei commi 1,2 e 3,5 dell'articolo sette
dello statuto dei lavoratori. Sia la legge del 2012 2015 ammettono in caso di resipiscenza del
datore di lavoro, la revoca del licenziamento, purché e ettuata entro il termine di 15 giorni dalla
comunicazione dell'impugnazione del licenziamento. La revoca consente di rimuovere l'e etto
estintivo con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente la stessa e la
ripresa della funzionalità del rapporto.

La disciplina limitativa dei licenziamenti, sia sotto il pro lo formale, sia sotto il pro lo sostanziale,
si applica a tutti i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, di qualsiasi dimensioni.

Ora parliamo della di erenza tra tutela indennità aria e tutela reintegratoria:

1. Tutela indennitaria -> si applica nel caso in cui abbiamo piccole imprese, in ambito ante 2015
-> va da 2.5 a 6 mensilità. Ovviamente in caso di tutela indennitaria il licenziamento rimane.
2. Tutela reintegratoria-> la reintegra è sia del posto di lavoro, ma abbiamo anche un
risarcimento in base ai mesi dove la retribuzione non è stata corrisposta-> risarcimento in
forma speci ca. Ma, in verità, in italia non c'è una forma giuridica per eseguire l'ordine in
forma speci ca-> infatti, se il datore condannato accetta di pagare la retribuzione, può
omettere la reintegra ma, l'aspetto più ridicola è che il lavoratore formalmente non può andare
a lavorare per un'altra impresa poiché dipende dall'impresa che in teoria avrebbe dovuto
reintegrarlo. Da qui la riforma del 2015, che sviluppa ipotesi, o meglio moltiplica le ipotesi già
previste dal 2012 (prima questi aspetti non venivano calcolati), nelle quali la tutela è solo di
tipo indennitario.

Nel sistema attuale possiamo anche ipotizzare che l'impresa abbia cessato la sua attività e sia
stata posta in liquidazione-> ma venga condannata alla reintegra di un dipendente: secondo però
il nostro legislatore il fatto che non si possa reintegrare il lavoratore perché la società non svolge
più nessuna attività di impresa è irrilevante, quindi possono essere condannati alla reintegra
anche i soggetti che hanno cessato da anni l'attività produttiva.

I licenziamenti collettivi

Il licenziamento collettivo è disciplinata dalla legge numero 223 del 1991. Anno, per lungo tempo,
indotto il legislatore ad un voluto astensionismo in materia. I licenziamenti collettivi erano così
regolati da due accordi interconfederali, nonché ad alcune scarne disposizioni: l'articolo 11 della
legge del 66, per cui la materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è esclusa
dalle disposizioni della presente legge; l'articolo sei della legge del 1990, che si limitava a
confermare l'esclusione dei licenziamenti collettivi dall'applicazione della disciplina del
licenziamento individuale. Tale astensionismo era compensato dall'adozione di una politica di
prevenzione delle riduzioni di personale, realizzata con la creazione di sistemi alternativi, come la
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cassa integrazione guadagni. Il legislatore è stato indotto ad un intervento normativo attraverso la
citata legge del 1991, ma anche sotto la spinta propulsiva dell'ordinamento comunitario. Da
segnalare la direttiva 75\129\CEE, modi cata dalla direttiva 92\56\CEE, entrambe poi con uite
nella direttiva 98\59\CEE. Il diritto comunitario prevede in materia il necessario, preventivo
coinvolgimento del sindacato e dell'autorità amministrativa competente nei diversi ordinamenti, al
ne della legittima irrogazione dei licenziamenti collettivi. Prescrive l'adozione di procedure di
informazione e consultazione del sindacato e di informazione dell'autorità pubblica competente,
preventive all'adozione del licenziamento: la loro nalità è di cercare di evitare o di ridurre il
numero dei licenziamenti programmati, che potrebbero avere un pesante impatto economico
sociale sulla situazione occupazionale locale. La legge del 91 nel dare attuazione alla direttiva
75\129\CEE , delinea una procedura, molto dettagliata, che pone numerosi speci ci obblighi in
capo al datore di lavoro.

La legge numero 223 del 1991, come modi cata dalla legge del 2012, de nisce quale
licenziamento collettivo per riduzione di personale quello adottato per riduzione o trasformazione
di attività o di lavoro che coinvolga almeno cinque lavoratori nell'arco di 120 giorni. La
formulazione della causale è identica a quella che compariva negli articoli interconfederali del
1950 e del 1965. Essa è molto lata e sovrapponibile alla de nizione di giusti cato motivo
oggettivo di licenziamento. Di qui la questione di quali fossero i criteri distintivi tra le due ipotesi:
dopo un lungo dibattito, si è giunti alla conclusione che la distinzione non attiene al pro lo causale
ma al numero di licenziamenti divisati dal datore di lavoro. Se esso è pari ad almeno cinque
nell'arco di 120 giorni, si applica la normativa sui licenziamenti collettivi, in caso contrario, quella
dei licenziamenti individuali. Prima di e ettuare un licenziamento collettivo, il datore di lavoro deve
esperire una procedura di formazione sindacale, comunicando la propria intenzione alle
rappresentanze sindacali aziendali, nonché alle rispettive associazioni di categoria, fornendo loro
una serie di informazioni. All'informazione segue, un esame congiunto circa la possibilità di ridurre
il numero dei licenziamenti, oppure di evitarli mediante un accordo. La procedura deve esaurirsi
entro 45 giorni dalla comunicazione dell’impresa. In mancanza di accordo, segue una fase davanti
all'autorità amministrativa, in cui si cerca sempre di trovare un accordo-> se neppure in questa
sede si riesce, il datore di lavoro può comunque procedere all'intimazione dei licenziamenti, in
forma scritta.

L'articolo cinque della legge del 1991 indica anche i criteri per la scelta dei lavoratori da licenziare,
naturalmente quando si sia in presenza di una semplice riduzione del personale e non del
licenziamento totale dei lavoratori. La norma, rimanda ai criteri ssati dai contratti collettivi
stipulati con le associazioni sindacali. In mancanza di accordo, il legislatore detta criteri suppletivi,
che sono: esigenze tecnico produttive ed organizzative, anzianità, carichi di famiglia.

Il campo di applicazione della legge del 1991 è limitato alle imprese con più di 15 dipendenti. Per
le imprese minori sia applica la legge del 1966, anche qualora vi fossero cinque o più
licenziamenti, nell'arco di 120 giorni, per ragioni obiettive, essi andrebbero considerati alla stregua
di una pluralità di licenziamenti individuali.

ORA-> 2012-> delinea il regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo per i rapporti di lavoro
stipulati anteriormente al 7 marzo 2015, ha modi cato disciplina dell’articolo 18 = previsioni
meno punitive per l’impresa. Rispetto alla disciplina preveggente, sia la necessità di ra orzare la
cosiddetta essibilità in uscita, prevedendo per i licenziamenti illegittimi, soprattutto per quelli
basati su un motivo economico ed oggettivo, una sanzione meramente indennitaria. Peraltro già il
CNEL nel 1985, aveva suggerito di sostituire il rimedio indennitario al rimedio reintegratorio, da
conservare solo per licenziamenti connotati da particolare odiosità, in particolare i licenziamenti
discriminatori. Con la cosiddetta legge for nero è prevalsa una logica compromissoria, perché
sebbene essa sembri volere fare della soluzione indennità aria la soluzione di sistema, lascia ampi
spazi in cui all'invalidità del licenziamento conseguono la reintegrazione del posto di lavoro ed il
risarcimento del danno.

Abbiamo sette commi, che prevedono quattro ipotesi, le quali sostituiscono un'unica ipotesi -> la
reintegra, infatti prima l'articolo recitava che nelle imprese con più di 15 dipendenti si accerti che
non sussistano gli estremi del licenziamento per giusta causa o per giusti cato motivo, il
lavoratore aveva diritto al reintegro.
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ORA-> 4 ipotesi, in due delle quali si prevede sempre la reintegra forte (commi 1\2\3), nel 4
comma sempre una reintegra ma in forma attenuata, nei commi 5\6 una tutela indennitaria,
comma sette quando manca il giusti cato motivo oggettivo, oppure c'è una ragione organizzativa,
tecnico produttiva -> applica una reintegra attenuata:

La previsione del 2012 era abbastanza confusa, infatti a mettere ordine è intervenuta
recentemente la corte costituzionale.

Art. 18: primo comma, fa una sintesi della legislazione precedente, mette in luce tre ipotesi: la
prima ipotesi è il licenziamento della donna che si sposa; il licenziamento della donna che sia in
stato interessante; la terza ipotesi è il licenziamento generalmente discriminatorio = antigiuridicità
massima-> Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché
discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in
concomitanza col matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e
donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di
licenziamento di cui all'articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative
in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26
marzo 2001, n. 151, e successive modi cazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità
previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del
codice civile (la menzione di questo articolo stona), ordina al datore di lavoro, imprenditore o non
imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo
formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La
presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il
rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta
giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di cui al terzo
comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento
dichiarato ine cace perché intimato in forma orale.

Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al
risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la
nullità, stabilendo a tal ne un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto
maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'e ettiva reintegrazione, dedotto quanto
percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso
la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale
di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei
contributi previdenziali e assistenziali.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore
è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di
lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta
determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione
previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere e ettuata entro trenta giorni dalla
comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio,
se anteriore alla predetta comunicazione.

Comma 4 = reintegra attenuata, poiché la misura di questo risarcimento, ha una soglia massima
pari a 12 mensilità, quindi se il processo dovesse durare per esempio un anno e mezzo, una parte
del danno non verrebbe risarcita (dovrebbe occuparsene lo stato), ricordiamoci che le mensilità
che vengono corrisposte in corso di un rapporto di un anno sono 13, e in più viene corrisposto il
TFR-> quindi queste mensilità vanno maggiorata di un 12º, perché in un mese di lavoro io
guadagno la retribuzione per esempio del mese di novembre, ma + un 12º della 13ª , questo per
ogni mese-> Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giusti cato
motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro (in cui si accerti quindi che
l'esito del processo, ciò che è stato contestato al lavoratore non sussiste), per insussistenza del
fatto contestato (cosa vuol dire insussistenza del fatto contestato? Il fatto materiale o il fatto che
giuridica rilevanza?- anche la giurisprudenza aveva detto che consisteva nel fatto materiale, nella
sua consistenza fenomenica quindi, se il fatto venisse accertato nella sua consistenza fenomenica
bisognava basarci su quello, poi lettura correttiva = infatti ha quali cato il fatto come giuridico, è
la rilevanza della condotta quella che ha e ettivamente rilievo (anche nel Jobs Act si parla di fatto
materiale, infatti con una sentenza recentissima nell'aprile di quest'anno, la giurisprudenza ha
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cambiato anche orientamento sulla seconda parte, infatti si ribadisce infatti che al giudice spetta
un potere di valutazione complessivo della vicenda) )ovvero perché il fatto rientra tra le condotte
punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei
codici disciplinari applicabili (poco chiaro, confuso), annulla il licenziamento e condanna il datore
di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di
un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del
licenziamento sino a quello dell'e ettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito,
nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe
potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso
la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della
retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei
contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento no a quello della e ettiva
reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per
omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al di erenziale contributivo esistente tra la
contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo
licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività
lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi a eriscano ad altra gestione previdenziale,
essi sono imputati d'u cio alla gestione corrispondente all'attività lavorativa svolta dal
dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di
reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso
servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto
l'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.

Comma 5-> Il giudice, nelle altre ipotesi (quali?- forse un fatto ignoto al datore che viene a
conoscenza in giudizio) in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giusti cato motivo
soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro
con e etto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di
un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un
massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione
all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni
dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di speci ca
motivazione a tale riguardo.

Comma 6, la contestazione deve essere analitica e tempestiva ed immodi cabile, ma molto


spesso il datore di lavoro sbaglia mandando la contestazione che non risponde a questi caratteri,
il fatto c’è e, risulta provato, ma la contestazione non è stata saputa fare oppure è stata tardiva,
oppure nella motivazione non era conforme. Nel sistema precedente la sanzione era unica, la
reintegra; ora il licenziamento rimane, ma, siccome gli adempimenti formali non sono stati
rispettati avremo un'indennità fra 6 e 12 mensilità-> Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia
dichiarato ine cace per violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della
legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modi cazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della
presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e
successive modi cazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al
lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della
violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un
massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di speci ca
motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore,
accerti che vi è anche un difetto di giusti cazione del licenziamento, nel qual caso applica, in
luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.

Comma 7 -> Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo
nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giusti cazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli
articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo
consistente nell'inidoneità sica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato
intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare (
La Corte Costituzionale, con sentenza 24 febbraio - 1 aprile 2021, n. 59, ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300
(Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività
sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modi cato dall'art. 1, comma 42,
lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del
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lavoro in una prospettiva di crescita), nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la
manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giusti cato motivo oggettivo,
«può altresì applicare» - invece che «applica altresì» - la disciplina di cui al medesimo art. 18,
quarto comma) la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza
(manifesta insussistenza?-infatti la corte costituzionale con sentenza del 19 maggio 2022 ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma come modi cato dall'articolo uno,
comma 42 lettera B, della legge 28 giugno 2012, numero 92, limitatamente alla parola manifesta,
cancellata) del fatto posto a base del licenziamento per giusti cato motivo oggettivo; nelle altre
ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giusti cato motivo, il giudice
applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai ni della
determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al
quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e
del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio
1966, n. 604, e successive modi cazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della
domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o
disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.

Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato ine cace per violazione del requisito di
motivazione, si applica un regime indennità Ario attenuato: al lavoratore spetta un'indennità
risarcitoria onnicomprensiva, determinata in relazione alla gravità della violazione formale o
procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di 12 mensilità. Il
vizio formale non impedisce tuttavia un esame sotto l'aspetto sostanziale, qualora il giudice
accerti, sulla base della domanda del lavoratore, che vi è anche un difetto di giusti cazione del
licenziamento, troverà applicazione la tutela di cui ai commi 4,5 o sette dell'articolo 18. Come si
può notare, la legge del 2012 scinde, nell'area della tutela prevista dall'articolo 18, la sanzione
prevista per la mancanza di forma scritta del licenziamento dalla sanzione prevista per la
violazione del requisito di motivazione.. Il licenziamento dichiarato ine cace perché intimato in
forma orale resta assoggettato alla medesima disciplina del licenziamento nullo o discriminatorio,
per il quale sono previsti la reintegra e il risarcimento del danno nella misura minima di cinque
mensilità di retribuzione.

Come detto in precedenza, le piccole imprese, che non superano i requisiti dimensionali previsti
dall'articolo 18 comma otto e nove, imprese quindi le cui unità produttive impiegano nel
medesimo comune e meno di 16 dipendenti, o il cui organico complessivo sia inferiore a 61
dipendenti, si applica, per i lavoratori assunti prima del 2015, la tutela prevista dall'articolo otto
della legge del 1966: in caso di licenziamento privo di giusta causa o di giusti cato motivo, il
datore di lavoro e condannato a riassumere il lavoratore, ovvero, a scelta del primo, a
corrispondergli un'indennità risarcitoria da due, 5:06 mensilità della retribuzione, maggior abile
sino a 12 mensilità con un'anzianità di servizio superiore a 10 anni, e a 14 mensilità, per i
lavoratori con un'anzianità superiore ai vent'anni, se il datore di lavoro occupi più di 15 prestatori
di lavoro.

Diverso regime trova applicazione nell'ipotesi di licenziamento discriminatorio: anche per i datori
di lavoro di minori dimensioni si applica la tutela reintegratoria dell'articolo 18, comma uno, 2,3. Il
licenziamento viziato nella forma, viene testualmente quali cato come ine cace. Si è sostenuto
che dall'ine cacia derivano l'improduttività di e etti giuridici del licenziamento secondo i principi
generali: il rapporto di lavoro giuridicamente continua con persistenza dell'obbligazione retributiva
in capo al datore di lavoro, no a che il licenziamento non venga eventualmente rinnovato nella
forma corretta. Per e etto delle innovazioni del 2012, che ha di erenziato la disciplina della
mancanza di forma scritta dalla mera violazione del requisito di contestuale motivazione, nell'area
della tutela obbligatoria si applica, nel primo caso, la tutela reintegratoria piena; nel secondo caso
la violazione risulta sanzionata con l'ine cacia del licenziamento è la tutela di diritto comune.

Il regime di cui all'articolo otto della legge del 1966 si applica anche alle organizzazioni di
tendenza, e nei confronti di tali datori di lavoro, dunque, è escluso il rimedio della reintegrazione,
ritenuto incompatibile con il carattere ideologico dell’organizzazione.

L'articolo cinque comma tre della legge del 1991 con gura tre possibili vizi del licenziamento
collettivo: la comunicazione in forma orale, la violazione della procedura sindacale e
amministrativa è la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. Prima delle modi che
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introdotte nel 2012, la legge del 91 prevedeva, sia per le violazioni formali e procedurali, sia per la
violazione dei criteri di scelta, un regime sanzionatorio unitario, vale a dire l'applicazione
dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Per i licenziamenti intimati dal 2012, per quanto
riguarda il licenziamento intimato in forma orale si applica la tutela reintegratoria, negli altri casi, di
nuovo, il regime si biforca: nel caso di inosservanza della procedura sindacale amministrativa si
applica il regime del licenziamento ingiusti cato, indennità da 12 a 24 mensilità di retribuzione; nel
caso di violazione dei criteri di scelta, si applica la tutela reintegratoria. In caso di reintegrazione
per violazione dei criteri di scelta peraltro la legge precisa che il lavoratore illegittimamente
licenziato può essere sostituito da un altro lavoratore, senza obbligo di ripetizione della procedura
sindacale amministrativa. La facoltà di sostituzione non incontra alcun limite temporale e
quantitativo, per cui si potranno veri care situazioni di sostituzione a catena; nella pratica si deve
però ritenere che la sentenza con cui dichiara la illegittimità del singolo provvedimento espulsivo
per violazione dei criteri di scelta, almeno implicitamente darà indicazioni su cientemente precise
per realizzare una nuova scelta che, in concreto, sia rispettosa dei criteri de niti contrattualmente
o indicati dal legislatore.

Dopo il 2015-> si fanno avanti gli economisti poiché il sistema giudiziario è troppo complicato. Il
Jobs Act porta a compimento il disegno già delineato nella legge del 2012, rendendo ancora più
residuale la tutela reintegratoria e rimodellando la tutela indennitaria. In realtà, il legislatore non
visualizza un nuovo tipo contrattuale, ma piuttosto il normale contratto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato a regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi modi cato. Il nuovo
intervento del legislatore vuole anche superare le discutibili soluzioni adottate dalla legge fornero
sul piano tecnico con l'impianto, nel regime indennitario, gli spazi di applicazione della
reintegrazione di incerta ratio e decifrazione a causa della necessità di raggiungere un
compromesso politico. Tracce di compromesso politico sono rilevabili anche nel decreto
legislativo del 2015: innanzitutto, proprio nella decisione di non applicare il nuovo regime contratti
già in essere; inoltre nella mancata opzione per un sistema puramente indennitario. Il campo di
applicazione della novella è tracciato dall'articolo uno del decreto legislativo del 2015: esso copre
tutti i licenziamenti, in ogni aria dimensionale, intimati a partire dal 7 marzo 2015, nonché a quelli il
cui contratto a tempo determinato sia stato convertito in contratto a tempo indeterminato
successivamente a tale data. La diversità di regime in ragione della data di instaurazione del
rapporto di lavoro dato origine a dubbi ed in ne ad un'eccezione di illegittimità costituzionale
sollevata dal tribunale di Roma per violazione del principio di uguaglianza-> la corte costituzionale
ha tuttavia respinto l'eccezione di illegittimità costituzionale.

Dal 2015 si attua un risarcimento in base alla durata del rapporto di lavoro, un anno di servizio
vale due mensilità. Inoltre avremo una regola che vale per tutti, per quanto riguarda il
licenziamento illegittimo, ovvero il datore di lavoro deve pagare un'indennità pari a due mesi per
ogni anno e la causa nisce (minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità).

La reintegra viene mantenuta nel caso di donne in stato di gravidanza o se ci sono state
discriminazioni, oppure nel caso particolare in cui la contestazione disciplinare poi si riveli
infondata. In tali casi, il giudice ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la
reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Come nel regime originario dell'articolo 18, il
giudice condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno, stabilendo un'indennità,
corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'e ettiva reintegra azione.
È la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di
riferimento per il calcolo del trattamento di ne rapporto. Il datore di lavoro e poi condannato, per
il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Ancora, fermo
restando il diritto a risarcimento del danno, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di
lavoro, in sostituzione della reintegra, un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione di
riferimento per il calcolo del trattamento di ne rapporto, la cui richiesta determina la risoluzione
del rapporto di lavoro. In via interpretativa, anche il licenziamento ritorsivi risulta da includere nella
nuova area di tutela reintegratoria piena.

Decreto dignità, modi ca l’art 3-> non viene reintrodotta la reintegra, ma anziché due mensilità
ogni anno, ne avremo tre, quindi il minimo non sarà più 4 ma 6, e il massimo 36-> quindi, in base
all'articolo tre, comma uno, nei casi in cui non ricorrano gli estremi del licenziamento per
giusti cato motivo oggettivo o soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di
lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità, non assoggettata a
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contribuzione previdenziale, in misura non inferiore a sei e non superiore a 36 mensilità. Per
determinarne l'importo si deve prendere l'ultima retribuzione per il calcolo del trattamento di ne
rapporto, conciò modi candosi la precedente impostazione che parametrato all'indennità alla
retribuzione globale di fatto. Soprattutto il legislatore pre-determinava l'ammontare dell’indennità
tra il minimo ed il massimo, in relazione all'anzianità di servizio. La corte costituzionale nel 2018,
ha dichiarato incostituzionale la parte in cui viene predeterminata l'indennità in base alla sola
anzianità di servizio, il giudice infatti dovrebbe tener conto innanzitutto dell'anzianità di servizio
nonché degli altri criteri.

Peraltro, la sanzione indennità aria in caso di ingiusti catezza del licenziamento non è l'unica
prevista dal decreto legislativo del 2015. In base al comma due dell'articolo tre, esclusivamente
nell'ipotesi di licenziamento per giusti cato motivo soggettivo O per giusta causa in cui sia
direttamente dimostrato in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, il
giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel
posto di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di
riferimento per il calcolo del trattamento di ne rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del
licenziamento no a quello dell'e ettiva reintegra azione, dedotto quanto il lavoratore abbia
percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, non che è quello che avrebbe potuto
percepire accettando una congrua o erta di lavoro. In ogni caso, la misura dell'indennità non può
essere superiore a 12 mensilità, il datore è condannato altresì al versamento dei contributi
previdenziali e assistenziali. Al lavoratore comunque attribuita la facoltà di optare per l'indennità
sostitutiva della reintegrazione.

Per quanto riguarda i vizi formali viene previsto un indennizzo più modesto, non inferiore a due e
non superiore a 12, qui il vecchio criterio viene mantenuto, infatti abbiamo un mese per ogni anno
di servizio.

Per quanto riguarda la revoca del licenziamento-> nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché
e ettuata entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione
del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto
del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano
applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente decreto. Quindi sostanzialmente il datore di
lavoro che magari si accorge che licenziamento non stava in piedi, faceva tornare il lavoratore in
u cio, e poi lo licenziava di nuovo, l'articolo cinque ci dice che questa ipotesi è legittima.

O erta di conciliazione -> se il datore di lavoro dopo aver licenziato ma sempre entro i termini di
impugnazione stragiudiziale del licenziamento, o re un importo che non è assoggettato a
contribuzione che quindi non costituisce reddito di ammontare pari ad una mensilità di
retribuzione, per ogni anzianità, non inferiore a tre e non superiore a 27, mediante consegna al
lavoratore di un assegno circolare, la situazione dell'assegno da parte del lavoratore comporta
l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all'impugnazione dello stesso
anche, se la già proposta. L'attivazione di questa nuova procedura di conciliazione è facoltativa.

Anche a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo del 2015, i licenziamenti illegittimi
intimati dai datori di lavoro di minori dimensioni sono sanzionati in modo più blando rispetto a
quelli intimati da datori di lavoro di maggiori dimensioni. In particolare, da un lato è esclusa
l'applicazione della reintegrazione nell'ipotesi di licenziamento per giusti cato motivo soggettivo o
per giusta causa in cui sia direttamente dimostrato in giudizio l'insussistenza del fatto contestato
al lavoratore; dall'altro, l'ammontare dell'indennità risarcitoria in caso di licenziamento
ingiusti cato o viziato a livello formale e procedurale è dimezzato e, in ogni caso non può
superare le sei mensilità.
Non è più prevista l'obbligazione alternativa in capo al datore di lavoro tra riassunzione e
indennizzo.

Occorre precisare, che in caso di licenziamento discriminatorio, e intimato in forma orale, anche
per i datori di lavoro di minori dimensioni trova applicazione la tutela reintegratoria piena. Per
quanto riguarda le organizzazioni di tendenza, il decreto legislativo del 2015 estende alle stesse i
rimedi previsti in generale dal decreto.
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L'articolo 10 del decreto legislativo del 2015 prevede, salve le ipotesi in cui il licenziamento
collettivo difetti della forma scritta, in caso di violazione delle procedure richiamate dall'articolo
quattro della legge del 1991 o dei criteri di scelta di quell'articolo cinque comma uno della
medesima legge, si applichi il regime di tutela indennità aria di cui all'articolo tre del decreto
legislativo. La disciplina introdotta in materia di licenziamenti collettivi è stata oggetto di critiche:
da una parte, anche con riferimento ai licenziamenti collettivi viene in rilievo la questione della
compatibilità del nuovo regime sanzionatorio con l'articolo tre; dall'altra tale di erenziazione
destinata ad interferire sulle concrete dinamiche delle procedure di scelta dei lavoratori da
licenziare.

Importante da citare le sentenze della corte costituzionale numero 194 del 2018 numero 150 del
2020, che incidono su uno degli aspetti del decreto legislativo del 2015, vale a dire la
predeterminazione dell'ammontare dell'indennità spettante al lavoratore in caso di licenziamento
privo di giusta causa o di giusti cato motivo ovvero viziato per motivi formali.
Infatti, la corte costituzionale nel 2018-> dichiara la parte dove viene sancito le tre mensilità
illegittima-> la corte cita l’articolo 4 Cost, cita inoltre il fatto che il danno vada di erenziato e che
vada tenuto conto di quello che il danno in concreto produce - come si fa a dire che il danno va
personalizzato? Poiché la personalizzazione del danno signi ca che il lavoratore più dinamico
riceve meno e il lavoratore meno reattivo riceve di più. Quindi -> il giudice accerta che
licenziamento sia illegittimo, dichiara estinto il rapporto, condanna il datore di lavoro ad un
pagamento di un'indennità in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a 36-> quindi il
datore di lavoro nisce per pagare un costo assolutamente elevato e soprattutto viene
completamente smentita con l'esigenza di prevedibilità che era alla base dell'intervento
riformatore.

Regime dei dipendenti pubblici ->l’unica ipotesi in cui trova ancora applicazione il regime di
reintegrazione nel posto di lavoro in tutti i casi di invalidità del licenziamento concerne i pubblici
dipendenti. All'indomani dell'entrata in vigore della legge del 2012 si era posto il problema della
sua applicabilità anche al pubblico impiego: infatti, ai sensi dell'articolo 51 del decreto legislativo
del 2001 trova applicazione il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti la legge numero 300 del
1970, a prescindere dal numero dei dipendenti. Ora la questione è stata de nitivamente risolta
con il decreto legislativo del 2017, numero 75 che, a previsto espressamente che il giudice,
condanna l'amministrazione alla reintegrazione nel posto di lavoro e ad un'indennità risarcitoria,
comunque in misura non superiore alle 24 mensilità, fermo restando l'obbligo del versamento dei
contributi assistenziali e previdenziali. Si tratta di una disciplina speciale, ricalcata mano identica
all'originaria formulazione dell'articolo 18, né della legge del 2012. È universale, a prescindere non
solo dal tipo di vizio del licenziamento, ma anche dalle dimensioni dell’amministrazione.

Allo scopo di contenere l'impatto della crisi pandemica sul sistema economico, a partire dal
marzo 2020 si sono susseguite una serie di provvedimenti con cui legislatore ha sancito il blocco
temporaneo dei licenziamenti determinati da motivi economici, sia individuali che collettivi. Il
divieto è stato esteso no ad arrivare al 30 giugno 2021.
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Riprendendo il discorso : art. 18 -> mette in luce un sistema che, salvo per poche categorie,
dirigenti e lavori domestici etc, a tutti i lavoratoti si applica le legge 604-> art. 3 = licenziamento
non è più un atto libero ma, richiede una motivazione. Nel diritto del lavoro se si vuole licenziare si
deve motivare l’atto tramite l’individuazione dei presupposti che legittimiamo il licenziamento ->
giusta causa o giusti cato motivo oggettivo e soggettivo ( il giudice quindi dovrà veri care se è
stato legittimamente motivato-> accertarsi se i fatti sussistano e sono tali da giusti care il
licenziamento basandosi sul principio di proporzionalità).

Ora bisogna parlare del regime sanzionatorio infatti, una volta accertato che il licenziamento è
illegittimo -> sentenza di condanna da parte del giudice nei confronti del datore di lavoro = le
possibilità sono quelle proprie del risarcimento del danno -> condanna in forma speci ca alla
reintegrazione, ovvero ricostruzione del rapporto interrotto illegittimamente + bisogna valutare il
periodo di estromissione o, risarcimento per equivalente -> il posto non verrà ricostituito ma verra
data una somma di denaro per il danno prodotto. Quindi : prima ipotesi abbiamo una tutela reale;
seconda ipotesi tutela obbligatoria o indennitaria ( sarà data quindi, anche se non si è avuto un
danno economico).

Ci sono anche norme che, consentono al lavoratore che abbia ottenuto una tutela reintegratoria di
optare ad una tutela risarcitoria-> norma del 1990, costantemente confermata = diritto all’opzione.
Il datore di lavoro non può opporsi.

1. Tutela reintegratoria -> mira a tenere indenne il lavoratore, ad evitargli ogni danno, poiché la
reintegra non è l’unico contenuto della sentenza ma, nella sentenza c’è anche un
accertamento che si focalizza sul periodo di estromissione = periodo tra il licenziamento e la
reintegra e ettiva, che potrebbero essere anche mesi se non anni. Se il legislatore deve
garantire e ettivamente una tutela reintegratoria dovrà preoccuparsi anche di questo periodo
-> la norma di legge in questo caso prevedeva e continua prevedere in alcuni casi che vi sia
l’integrale pagamento delle retribuzioni relative al periodo in cui non ha potuto lavorare
( considerando anche straordinari che poteva lavorare)-> risarcimento vero e proprio. Nel 2012
la disciplina della reintegra viene modi cata, anche per le tempistiche della condanna: riforma,
legge Fornero -> Quindi, prima del 2012:
-per le imprese grandi, più di 15 dipendenti (contano solo i lavoratori subordinati e devono essere
addetti all’impianto produttivo a cui è addetto il lavoratore licenziato) -> tutela reale, reintegra +
risarcimento del danno per il periodo di estromissione; l’articolo 18 prevedeva che il danno non
potesse essere inferiore a 5 mensilità.
-per le imprese piccole-> tutela di tipo obbligatorio, quindi il lavoratore percepiva una indennità.

Ci possono essere situazioni nelle quali nelle piccole imprese il rapporto di lavoro duri tanti anni
(anzianità di servizio) -> indennizzo cresce rispetto alle mensilità previste. Il licenziamento non ha
un’onere economico particolarmente gravoso.

Si inizia però a fare il ragionamento che dalla perdita deve essere tolto il lucro di un possibile
lavoro trovato del periodo di estromissione-> compensare il danno con la retribuzione che il
datore di lavoro deve provare che il lavoratore ha percepito nel periodo di estromissione.

Legge Fornero, dal 2012 : (analisi articolo 18 sopra)


-piccole imprese-> disciplina non modi cata
-grandi imprese -> tecnica della novellazione per modi care l’art. 18: 7 commi ognuno dei quali
viene ad essere associato ad un’ipotesi diversa ( 1\2\3 regolano un’unica ipotesi)-> quindi 4
ipotesi : 2 mantengono la reintegra (1\2\3 e 4) e 2 (5 e 6) prevedono una tutela indennitaria.
Questo regime trova applicazione per il lavoratori assunti prima del 7 Marzo 2015, perchè poi
Jobs Act.

Nel 2015 la disciplina viene modi cata, e si attua per tutti i rapporti costituiti dopo il 7 marzo 2015:
il Jobs act ha un’approccio economicistico-> licenziamento illegittimo, no giusta causa = la
perdita del posto di lavoro vale due mesi per ogni anno di anzianità, con un minimo di 4 e
massimo di 24, formula matematica= il giudice non ha potere di decisione. La reintegra viene
ammessa solo ai casi discriminatori.

Poi modi cata -> minimo 6 max 36


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Alcune speci cazioni: i dirigenti sono esclusi dalla legge 604, si vuole infatti tutelare il rapporto
duciario alla base di ogni rapporto di lavoro, ma qua intenso: diretto contatto con il datore di
lavoro se persona sica o consiglio di amministrazione-> tutela ra orzata della volontarietà del
rapporto= tutela di tipo indennitario collegata alla retribuzione: impugna il licenziamento è ottiene
un risarcimento.

Per quanto riguarda i lavoratori prossimi al pensionamento-> in questo momento non si ha idea di
che regola applicare

Lavoratori domestici-> persone che operano alle dipendenze di soggetti privati, vivono a contatto
con il privato quindi, questi rapporti di lavoro possono essere interrotti senza la giusta causa.

Queste 3 categorie non sono comunque ai margini del mercato del lavoro:
- i dirigenti licenziati si ipotizza che un impiego lo troverebbero con facilità, al massimo in
mansioni impiegatizie
- I lavoratori prossimi al pensionamento si possono rivolgere all’INPS
- I lavoratori domestici trovano facilmente lavoro
Per quanto riguarda i lavoratori in prova, c'è una norma del codice che lascerebbe liberi i datori di
lavoro di recedere dal rapporto di lavoro durante il periodo di prova: il periodo di prova è un
periodo dove si vogliono vedere in concreto le capacità del lavoratore. L’articolo 2126 prevede
che il rapporto di lavoro sia costituito in via di fatto quindi, nel momento stesso in cui il lavoratore
entra all'interno dell’azienda e lavora, per il fatto di attribuirgli delle mansioni il rapporto di lavoro è
istituito= il contratto, il documento in forma scritta non è necessaria. Quindi, il fatto di prova è una
condizione risolutiva: il rapporto ha già avuto inizio ma, tuttavia visto che il lavoratore è stato
assunto in prova, è possibile che il rapporto si interrompa. In questi casi, non si chiede una
motivazione= recesso ad nutum. Ovviamente anche il lavoratore ancora accedere senza dare
preavviso.

La giurisprudenza richiede che il datore debba comunque consentire l'attuazione della prova.
E’ possibile che sia assunto lunedì e licenziato martedì ? Si ma alla ne si ritrova a dover motivare
il perché, per far capire al giudice che non siamo in presenza di discriminazione ( soggetto a
reintegra).

Il codice civile prevede che se il lavoratore si istituisce in prova ci deve essere un accordo, per
iscritto, prima dell’inizio del rapporto di lavoro.

Quindi, anche il lavoratore assunto in prova può essere licenziato non attuando la legge 604-> la
giurisprudenza però tendenzialmente per quanto riguarda la disciplina del licenziamento tende ad
assimilare i lavoratori assunti in prova a lavoratori che la prova l'abbiamo già superata=
conclamata questa simulazione nell'ambito del lavoro pubblico, dove è richiesta una speci ca
motivazione.

Riprendo poi il discorso sui licenziamenti collettivi->


Legge 223 del 1991-> licenziamento collettivo. Il licenziamento per giusti cato motivo
oggettivo può essere individuale o collettivo.
La formula di legge è un po’ equivoca. Se il datore di lavoro licenzia 4 lavoratori? qui no a tempi
recenti non avevamo obblighi procedurali, ma una norma recente ha introdotto anche per i
licenziamenti per giusti cato motivo oggettivo una sorta di contestazione. Per capire bene il
contenuto dell’articolo 7 della legge 223 del 91-> trae origine da una direttiva europea
(antecedente). Di fatto abbiamo l’obbligo di motivazione questo obbligo viene ad essere
rispettato per il solo fatto che quel posto di lavoro con quelle caratteristiche è stato soppresso.
Questo perché si ritiene, c’è una norma apposita, si ritiene che l’imprenditore sia libero di
dimensionare l’attività produttiva, sia libero anche di cessarla. In Italia si è sempre riconosciuto il
diritto dell’impresa di trasferire e vendere l’attività. Sul piano della motivazione il datore deve
provare che quel posto non c’è più. Quando il licenziamento è collettivo questa prova è molto
semplice, il problema che si pone è individuare quale lavoratore vada licenziato. Chi licenzierò se
riduco della metà la mia attività produttiva? La domanda è: atteso che riduco il numero del
personale operaio o mansioni di produzione, chi licenzio?
(Nota: per scarso rendimento si licenzia con l’articolo 2104-> per inadempimento)
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Nel licenziamento collettivo, la legge del 91 prevede la possibilità che l’individuazione dei
lavoratori da licenziare sia fatta sulla base di un accordo collettivo-> il sindacato può giocare un
ruolo conservativo. L’idea di a dare ad un accordo collettivo una scelta non facile (non lo è
neanche per il sindacato), i criteri sono diretti a tutelare situazioni di e ettivo bisogno individuale.
La legge richiede che l’individuazione non sia casuale, ma è un obbligo di motivazione (introdotto
dalla legge 604 del 66). L’obbligo di motivazione si sposta sul fatto del perché all’interno dei 4
soggetti 2 sono stati licenziati e 2 no? L’obbligo di motivazione si incentra sui criteri di scelta e
questi criteri di scelta si avvicinano al diritto amministrativo-> deve essere motivato il
provvedimento datoriale.

Quali sono i criteri di scelta alternativi che il legislatore indica?


Sono 3:
1. Criteri dei carichi di famiglia-> cosa sono? All’interno di una famiglia l’unico soggetto
percettore di reddito, due gli a carico disoccupati e anche il coniuge. Si cerca di tutelare questi
soggetti
2. Anzianità aziendale -> il lavoratore assunto prima di altro lavoratore ha aspettativa a vedere
conservato il posto
3. Esigenze tecnico- produttive -> è una sorta di criterio di produttività, queste esigenze sono
generale criterio di razionalità e congruenza.

Quali sono i precetti che la legge impone?


L’operazione di licenziamento collettivo è unitaria, si ipotizza che il datore decida l’operazione ,
NE DIA COMUNICAZIONE AL SINDACATO (deve essere comunicato sia al sindacato aziendale
che al sindacato territoriale). La comunicazione deve contenere una relazione sulla situazione di
fatto dell’azienda. Non abbiamo una prassi di veri ca congiunta dell’andamento dei risultati
d’impresa, qui diventa obbligatoria per norma europea quando si tratta di licenziare
collettivamente le persone. C’è questo obbligo di comunicazione e informazione che su richiesta
del sindacato si trasforma in obbligo di CONSULTAZIONE o come si dice ESAME CONGIUNTO ->
relativo alla comunicazione che avvia la procedura, comunicazione che può avere una decina/
ventina di pagine. La relazione viene comunicata al sindacato che se ritiene richiede l’esame
congiunto e il datore ha l’obbligo di ricevere il sindacato.

1. Primo punto-> il sindacato al tavolo delle trattative può avanzare delle proposte?
(esempio: può dire con la stessa tra latura potremmo produrre delle paste speciali).
Esempio ALITALIA-> incontro in cui -considerate che in Alitalia gli equipaggi vengono mescolati-
si era discusso sui servizi accessori-> perché Alitalia gestiva anche i servizi di terra, per esempio,
la manutenzione degli aerei -> siamo nell’ambito del trasferimento d’azienda, il soggetto con il
quale il sindacato si misurava era l’acquirente e non il cedente. L’amministratore delegato di
Alitalia chiese la proposta del sindacato. Si aprirono degli interrogativi se per esempio il sindacato
può farsi avanti e dire questa è la mia proposta? NON CI SONO RISPOSTE A QUESTA
DOMANDA. Se il sindacato ha una proposta deve essere valutata secondo buona fede, è
l’obbligo precontrattuale, generale. Gli obblighi di buona fede possono derivare dal semplice
contratto, se trattiamo dobbiamo farlo secondo buona fede. L’esame congiunto può avere ad
oggetto non si sa bene cosa.
• Spesso si tratta sui criteri di scelta cioè si dice “imprenditore ci chiedi di licenziarne la metà,
individuiamoli, perché il timore del sindacato qual è? che cessi la produzione”.
La libertà del datore di lavoro di organizzare i fattori della produzione può essere usata
come una sorta di scrematura. Il sindacato dice discutiamo sui criteri di scelta, troviamo delle
classi che/graduatorie -> attribuiamo dei punteggi. È chiaro che il sindacato cerca di individuare
dei criteri. Nell’ambito di questa attività che è la stessa che si applica quando si procede alla
cessione di azienda; infatti, a volte il licenziamento e la cessione d’azienda vengono coadiuvate.
Dal licenziamento collettivo si passa alla cessione di rami d’azienda.

-> Ma se il datore non vuole concordare ha un obbligo? SI. Anche se il sindacato farà di tutto
nell’ambito del lecito. La consultazione serve anche ad attivare le potenzialità presenti sul
territorio.
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-> Sorge un dubbio: ma non si può fare che è sia lo Stato che si contro fabbrica? In Italia è stato
fatto. La risposta ad oggi è che siamo all’interno di un mercato unico regolato dal Trattati di
Roma e successive modi che , questi Trattati che prevedono un’area di libero scambio all’interno
del quale sono vietati gli aiuti di stato.

Nell’ambito di questo tipo di consultazione del sindacato c’è lo spazio per fare di tutto: far
intervenire l’acquirente, lo stato etc.. la norma in realtà prevede/da per scontato che questa
procedura sia nalizzata a questo perché il divieto di aiuto di stato non impedisce che sia
l’impresa ad attivarsi.

La sospensione del rapporto di lavoro

La sospensione è annoverata fra le vicende del rapporto di lavoro. Vi sono comprese ipotesi
eterogenee, accomunate tuttavia dalla sospensione dell'obbligazione lavorativa: non
necessariamente dell'obbligazione retributiva o delle altre obbligazioni accessorie. Nell'ambito
delle sospensioni tipizzate dalla legge una ricorrente classi cazione distingue tra sospensioni per
motivi inerenti alla sfera del prestatore di lavoro e cause dipendenti dall’impresa.

1. I casi più rilevanti di sospensione per motivi attinenti alla sfera del lavoratore sono quelli
dell'articolo 2110: malattia, infortunio, gravidanza e puerperio. Il principio comune è la
conservazione del rapporto di lavoro per il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità
siamo un divieto di licenziamento durante tale periodo, salvo che si veri chi un fatto che integri la
giusta causa di licenziamento.Questo articolo riconosce al lavoratore la conservazione del reddito,
stabilendo che, in assenza di forme previdenziali equivalenti, egli ha diritto alla corresponsione
della retribuzione o di un'indennità nella misura per il tempo previsti dalle leggi speciali, dagli usi o
secondo equità. La nozione lavori stica di malattia comprende le sole a ezioni morbose che
comportano un'incapacità lavorativa o che rendono dunque temporaneamente inabile il lavoratore
allo svolgimento delle mansioni assegnate. All'evento morboso è collegata una serie di
adempimenti relativi alla comunicazione, accertamento e controllo dell'assenza: il lavoratore infatti
obbligato, a comunicare la sua assenza dal lavoro. Deve giusti care l'assenza mediante l'invio, al
datore di lavoro, dell'attestazione della malattia rilasciato dal medico curante. A seguito di tale
certi cato, il datore di lavoro può e ettuare un controllo sull'assenza per infermità del lavoratore,
tramite soggetti pubblici. Il lavoratore, all'obbligo di reperibilità in determinate fasce orarie, salvo
giusti cato motivo, pena la decadenza del trattamento economico previsto in caso di malattia,
ferma restando la responsabilità disciplinare. Con riferimento al trattamento economico in caso di
malattia, permane una distinzione legale tra operai e impiegati: per gli operai è prevista
un'indennità, erogata dall'Inps è anticipata dal datore di lavoro, con decorrenza dal quarto giorno
successivo all’evento; gli impiegati hanno diritto alla retribuzione a carico del datore di lavoro, in
misura integrale per un certo periodo e parziale per quello successivo. Per quanto riguarda il caso
di malattie reiterate, la giurisprudenza è giunta alla conclusione della sommatoria delle assenze in
un determinato arco temporale corrispondente al periodo di vigenza del contratto collettivo
stesso: è si tratta del comporto per sommatoria, superato il quale è ammissibile il licenziamento.
La frequente reiterazione di brevi periodi di malattia ha fatto in passato sorgere la questione se
tale ipotesi potesse integrare il giusti cato motivo oggettivo di licenziamento a prescindere dal
superamento del periodo di comporto, ma dopo pronunce di diverso segno si è giunti alla
conclusione negativa: il licenziamento è ammissibile solo a seguito del superamento del periodo
di comporto. Un altro pro lo è rappresentato dalla liceità dello svolgimento, da parte del
lavoratore, di attività lavorativa, per conto proprio o di terzi, in costanza di malattia: si esclude la
sussistenza di un divieto assoluto di espletamento di attività lavorativa in periodo di malattia. Il
licenziamento del lavoratore si ritiene giusti cato per violazione dei doveri di correttezza e buona
fede e degli obblighi di diligenza e fedeltà, ove l'attività, possa pregiudicare o ritardare la
guarigione, oppure qualora si accerti una simulazione dello stato morboso. Un altro rapporto da
prendere in considerazione e tra malattia e ferie. L'insorgere di una malattia nel corso delle ferie
ne interrompe il decorso, dal momento che essa impedisce la reintegrazione delle energie
psico siche del lavoratore qui le ferie sono preordinate.

Tale e etto non è connesso ad ogni malattia, bensì esclusivamente a quella che preclude il
conseguimento delle nalità tipiche delle ferie. Una diversa disciplina in materia di malattia
infortunio trova applicazione qualora tali eventi sono riconducibili a cause di servizio: in questo
caso il relativo trattamento economico posto esclusivamente a carico dell'Inail e la conservazione
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del posto di lavoro permane no alla guarigione del lavoratore certi cato da tale istituto. È
considerato infortunio sul lavoro anche l'infortunio in itinere, l'infortunio quindi occorso durante il
normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro.

Tra i provvedimenti di urgenza emanati allo scopo di contenere gli e etti della crisi pandemica il
legislatore ha introdotto una disciplina speci ca per particolari ipotesi di sospensione del rapporto
di lavoro causate dall'emergenza sanitaria. Con riferimento ai lavoratori dipendenti del settore
privato abbiamo un'equiparazione alla malattia, ai soli ni del trattamento economico, del periodo
trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare duciaria con
sorveglianza attiva, escludendone però al contempo la rilevanza ai ni del comporto. Ciò che
giusti ca l'equiparazione è l'elevato rischio di contagio insito nel virus e la necessità di evitare il
pericolo di una di usione massiva dell’infezione. Su queste basi, inoltre, si riconosce al lavoratore
sottoposto a quarantena o a permanenza domiciliare duciaria con sorveglianza attiva e in
condizioni di capacità lavorativa il diritto di percepire la normale retribuzione qualora continui a
svolgere da remoto la propria prestazione. Diversa, la disciplina applicabile quando l'infezione sia
contratta in occasione di lavoro: l'abbiamo una tutela assicurativa Inail prevista per gli infortuni sul
lavoro. Quanto all'accertamento dell'occasione di lavoro, essa si presume sussistente, salvo
prova contraria, per le mansioni che implicano un contatto con il pubblico e quindi una maggiore
esposizione al rischio di contagio; negli altri casi è necessaria una pulita indagine medico-legale,
utile a ricostruire il nesso tra l'episodio di contagio e l'attività lavorativa. Tali previsioni, introdotte
al ne di garantire tutela previdenziale lavoratore che contragga la malattia in occasione di lavoro,
hanno poi generato un dibattito sulla possibile con gurabilità di responsabilità civile in capo al
datore di lavoro: obblighi risarcitori non discendono automaticamente dall'insorgenza della
patologia, ma richiedono accertamento dell'inadempimento datoriale dell'obbligazione di
sicurezza di cui all'articolo 2087. Nonché del nesso causale tra inadempimento e danno.
Le donne lavoratrici sono bene ciarie di una peculiare tutela nel corso della gravidanza e
puerperio, che rinviene la sua attuale disciplina nel decreto legislativo del 2001 numero 151. Il
decreto riconosce alla lavoratrice un congedo di maternità di durata complessiva pari a cinque
mesi, essibili nel senso che si dirà.il congedo preparto è fruibile nei due mesi antecedenti la data
presunta del parto; il congedo post parto spetta nei tre mesi successivi. Qualora il parto avvenga
in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti prima del parto si aggiungono al
periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora sia superato il limite complessivo
dei cinque mesi. In caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, la madre ha
diritto di chiedere la sospensione del congedo di maternità e di godere del medesimo dalla data
di dimissione del bambino. Il congedo di maternità può essere goduto dalle lavoratrici secondo la
modulazione diversa da quella indicata, posticipando l'astensione del lavoro preferirei di un
congedo post parto di maggiore durata, la dove il medico specialista o il medico competente per
la sicurezza sul lavoro l’autorizzino. Alle lavoratrici assenti dal lavoro per maternità spetta
un'indennità giornaliera pari all'80% della retribuzione normale, posta a carico dell’Inps. Il
congedo post parto per i primi tre mesi di vita del glio spetta anche al padre, seppur
limitatamente ad alcune ipotesi tassative, morte o grave infermità della madre, abbandono,
nonché l'a damento esclusivo del bambino al padre. Il legislatore riconosce anche i congedi a
ciascun genitore, per ciascun glio, nei primi 12 anni di vita. In caso di godimento da parte di
entrambi genitori, il limite complessivo non può superare i 10 mesi. Il genitore in congedo
bene cio di un'indennità, a carico dell'Inps, pari al 30% della retribuzione no al compimento dei
sei anni di età del glio.

Il diritto alla conservazione del posto è previsto anche in ulteriori ipotesi di sospensione
dell'attività lavorativa. Con riferimento ai lavoratori disabili, si riconosce in caso di aggravamento
delle condizioni di salute o signi cative variazioni dell'organizzazione del lavoro incompatibile con
la prosecuzione dell'attività lavorativa, il diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di
lavoro no a che permanga si atta incompatibilità. Spetta altresì qualora il lavoratore, avente
almeno cinque anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, richieda la sospensione del
rapporto di lavoro per usufruire di congedi per la formazione per un periodo non superiore a 12
mesi, continuativo frazionato, nell'arco dell'intera vita lavorativa. Tali congedi devono essere
nalizzati al completamento della scuola dell'obbligo, al conseguimento del titolo di studio di
secondo grado, del diploma universitario o di laurea. La sospensione del rapporto di lavoro può
derivare anche dalla fruizione di congedi per la formazione continua e anche dall'assunzione di
funzioni pubbliche elettive.
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2. Può accadere che, per far fronte a situazioni di crisi dell'impresa o di uttuazioni di mercato,
l'imprenditore sospenda dal lavoro i lavoratori ovvero ne riduca l’orario. L'ordinamento non
prevede, uno ius variandi del quantum della prestazione dovuta. Bisogna ricordarsi che, sia dal
punto di vista qualitativo, l'oggetto del contratto è individuato dalle mansioni che il lavoratore si
obbliga a svolgere, dal punto di vista quantitativo esso è individuato dall'orario di lavoro ssato
dai contratti collettivi, generalmente in 40 ore la settimana. La riduzione, dal punto di vista
quantitativo, della prestazione convenuta in contratto, con conseguente ri uto della stessa,
dovrebbe essere quali cata secondo il diritto comune come mora del creditore ai sensi
dell'articolo 1206: essa comporta la persistenza del debito retributivo in capo al datore di lavoro, a
titolo di risarcimento del danno. Secondo altri l'obbligo di pagare la retribuzione dovrebbe
fondarsi invece nell'articolo 1207. In ogni caso, l'unico limite della mora del creditore, e dunque
della persistenza del debito retributivo, è l'impossibilità della prestazione dovuta alla controparte.
L'impostazione tradizionale assume una nozione stretta di impossibilità, intesa come impossibilità
oggettiva e assoluta della prestazione. Di conseguenza si ritiene che non costituiscono casi di
impossibilità e generatrice dell'obbligo retributivo ne di coltà nanziarie ed economiche, quali la
mancanza di materie ne crisi economiche.

Un istituto peculiare del nostro ordinamento è la cassa integrazione guadagni. Si tratta di un


istituto la cui regolazione è molto risalente nel tempo: introdotto durante la seconda guerra
mondiale dalla contrattazione collettiva, al ne di consentire anche alle industrie non appartenenti
al settore bellico di mantenere i propri dipendenti, è stato poi consacrato dal legislatore che nel
corso degli anni ha più volte riformato l’istituto. L'ultimo intervento risale al 2015 n. 148, che
costituisce una sorta di testo unico sugli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro.
La materia degli ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione, vale a dire di perdita del posto
di lavoro, invece è oggetto del precedente decreto legislativo numero 22 del 2015, adottato
sempre sulla base della legge delega. Il decreto numero 148 razionalizza la normativa in materia di
cassa integrazione, tra i principali obiettivi è quello di sancire normativamente l'impossibilità di
ricorrere alla cassa integrazione in ipotesi di cessazione dell'attività aziendale.
L'istituto è sorto con la nalità di evitare il licenziamento dei lavoratori delle imprese che
attraversano momenti di di coltà ma è parzialmente degenerato. Da qui il tentativo operato dal
Jobs Act di razionalizzare e contenere nel tempo l'intervento della cassa. Attraverso la disciplina
sulla cassa integrazione si attribuisce ai lavoratori sospesi dal lavoro o lavoranti ad orario ridotto,
in presenza di determinati eventi il diritto di percepire un'indennità in sostituzione della
retribuzione perduta. La cassa integrazione, istituita presso l'Inps, hai il compito di erogare ai
lavoratori tale indennità, pari all'80% della retribuzione, pur con la presenza di massimali.
Bene ciari del trattamento di integrazione salariale sono i lavoratori subordinati ivi compresi gli
apprendisti, con esclusione dei dirigenti e dei lavoratori a domicilio. Anche nel nuovo regime si
prevede la presenza di due tipi di intervento: quello ordinario e quello straordinario. Del primo,
concesso preventivi transitori, sono destinatari le imprese industriali, artigiane e edili. Del
secondo, concesso per eventi che non è sicuramente comportano il reimpiego dei lavoratori al
termine del periodo di sospensione, sono destinatarie le imprese con più di 15 dipendenti,
appartenenti prevalentemente il settore industriale.

Il decreto legislativo numero 148 del 2015 traccia ex novo le causali di intervento della cassa
integrazione ordinaria, indicate in situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili
all'impresa o ai dipendenti, escluse le intemperie stagionali, ovvero in situazioni temporanee di
mercato. Vi rientrano quei casi di forza maggiore consistente in un evento non imputabile né al
datore di lavoro né ai lavoratori nonché, le crisi temporanee di mercato. La durata massima della
cassa integrazione ordinaria è di 52 settimane. Quando l'impresa abbia fruito di 52 settimane
consecutive di integrazione salariale ordinaria, una nuova domanda può essere proposta solo
quando sia trascorso un periodo di almeno 52 settimane di normale attività lavorativa. Vengono
riscritte anche le causali di intervento della cassa integrazione straordinaria che ora sono:
riorganizzazione aziendale, crisi aziendale ad esclusione dei casi di cessazione dell'attività
produttiva dell'azienda o di un ramo di essa, contratti di solidarietà. I contratti di solidarietà sono
contratti collettivi aziendali che prevedono la riduzione dell'orario di lavoro dei lavoratori con
corrispondente riduzione della retribuzione. Nel caso di riorganizzazione aziendale la durata
massima di intervento della cassa e di 24 mesi, nel caso di crisi la durata massima è di 12 mesi,
nel caso di contratti di solidarietà e di 36 mesi.
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I due tipi di intervento si distinguono non solo per i diversi campi di applicazione ma anche per le
procedure di ammissione. L'intervento ordinario è concesso dalla sede territorialmente
competente dell'Inps a seguito di domanda presentata in via telematica; l'intervento straordinario
è concesso con decreto del Ministro del lavoro a seguito di domanda presentata al Ministro del
lavoro e alla direzione territoriale del lavoro competente.

Come si è visto, il decreto-legge del 2018 ha già derogato, alla nuova disciplina consentendo
anche alle imprese che abbiano cessato l'attività di godere del trattamento di integrazione
salariale per crisi aziendale. Si è fatto intervento straordinario, di durata massima di 12 mesi, è
concesso al veri carsi congiunto di speci che condizioni. Può accedere a tale trattamento
l'impresa che ha cessato, in tutto o in parte, l'attività produttiva o che assume la decisione di
cessarla, laddove sussistano concrete prospettive di cessazione dell'attività con conseguente
riassorbimento occupazionale. L'intervento straordinario può essere concesso anche in presenza
di lavoratori in esubero coinvolti in speci ci percorsi di politica attiva del lavoro posti in essere
dalla regione interessata. L'impresa cessata o in via di cessazione, per bene ciare di questo
trattamento deve stipulare un accordo presso il ministero del lavoro, avente ad oggetto il piano
delle sospensioni dei lavoratori ricollegabile alla cessione di attività, al piano di
reindustrializzazione o al programma di politiche attive regionali, nonché il piano di trasferimento e
riassorbimento dei lavoratori sospesi e le misure gestionali per l'eventuale eccedenza di
personale.

Le richieste di intervento ordinario straordinario devono essere precedute da procedure di


informazione consultazione sindacale disciplinate dagli articoli 21 e 24 del decreto.

La questione più interessante è conciliare l'istituto della cassa integrazione guadagni con i principi
del diritto comune. Il lavoratore perderebbe il diritto alla retribuzione solo nei casi di vera e propria
impossibilità della prestazione, che non sempre sono ravvisabili nelle cause di intervento della
cassa integrazione: esistono infatti al più ravvisabili nella prima ipotesi l'intervento ordinario, vale a
dire in presenza di eventi transitori e non imputabili all'impresa o ai dipendenti. Il dibattito si è
concluso con il consolidamento della tesi che ravvisa nella normativa sulla cassa integrazione il
riconoscimento in capo al datore di lavoro di un potere unilaterale di sospendere dal lavoro i
lavoratori ovvero di ridurre l'orario di lavoro nei casi in cui è previsto l'intervento della stessa. Più
precisamente, il provvedimento amministrativo di ammissione della cassa integrazione
produrrebbe il duplice e etto di far sorgere il diritto dei lavoratori all'integrazione salariale e di
accertare costitutivamente il potere unilaterale del datore di sospendere i lavoratori ovvero di
ridurne l’orario. Ne deriva che laddove l'intervento della cassa non venga concesso, riprenderà
vigore il diritto comune, con l'obbligo del datore di lavoro di retribuire i lavoratori sospesi o
lavoranti in orario ridotto, salvo il caso in cui si verta in ipotesi dell'impossibilità ovvero vi sia un
accordo di sospensione non retribuita.

I criteri di scelta dei lavoratori da sospendere devono formare oggetto dell'esame congiunto di cui
all'articolo 24 del decreto legislativo numero 148 del 2015. Essi devono seguire di norma il criterio
della rotazione, sempre che non ostino ragioni tecnico produttive: la scelta dei lavoratori deve
essere coerente con le cause integrabili, deve rispettare il principio di non discriminazione ed
essere improntata ai criteri di correttezza e buona fede.

Per attenuare gli e etti economici e sociali della pandemia, il legislatore introdotto una speciale
disciplina a favore dei datori di lavoro che sospendono o riducono la propria di vita lavorativa per
eventi riconducibili all'emergenza sanitaria. I periodi di fruizione della cassa per emergenza
COVID-19 non concorrono al raggiungimento dei normali limiti di utilizzo massimo della cassa
integrazione. La durata massima dei trattamenti previsti per l'emergenza covi d'è stata più volte
estesa da diversi provvedimenti normativi intervenuti nel tempo. L'emergenza ha anche sollecitato
un intervento per i lavoratori autonomi, in particolare quelli iscritti alla gestione separata dell’Inps.
È stata così introdotta la cosiddetta ISCRO, E destinata ai lavoratori autonomi, iscritti appunto alla
gestione separata dell'Inps, a condizione che abbiano dichiarato nell'anno precedente alla
presentazione della domanda un reddito non superiore a 8000 € e che abbiano subito una
riduzione del reddito superiore al 50% della media dei redditi nei tre anni precedenti. L'indennità
erogata per sei mensilità, è pari al 25% dell'ultimo reddito tra un minimo di 250 e un massimo di
800 €.
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Capitolo 10: LA TUTELA DEI DIRITTI DEL LAVORATORE RINUNCE E TRANSAZIONI
LA DISCIPLINA DELLE RINUNCE E TRANSAZIONI
Una norma baricentrica del diritto del lavoro è l'art. 2113 c.c., relativo alle rinunce e alle
transazioni del lavoratore. Questa disposizione ha un ruolo centrale anche nel diritto sindacale in
quanto vi si può ravvisare il fondamento (o la conferma) dell'inderogabilità in peius del contratto
collettivo da parte del contratto individuale. In proposito la giuri. applica paci camente l'art. 2077,
nonostante la sua inapplicabilità ai contratti collettivi di diritto comune, essendo stato dettato x i
contr. collettivi corporativi. Nonostante le critiche dottrinali, la giuri. tiene ferma la sua
impostazione a ermando che l'art. 2077, è espressivo di un principio che governa qualsiasi tipo di
contratto collettivo. Il contratto collettivo perderebbe la sua funzione economico-sociale se non
fosse inderogabile in peius da parte del contratto individuale.
La dottrina, pur contestando questo argomento, non revoca in dubbio l'inderogabilità del
contratto collettivo da parte del contratto individuale. Anzi la storia della inderogabilità è la storia
dei tentativi dottrinali di fondarla. E tale fondamento viene ravvisato proprio nell'art. 2113.,
riformulato dalla l. 533/1973, sulla riforma del processo del lavoro.
L'art. 2113 dispone che le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di
lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi
concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del Codice di procedura civile, non sono valide.
La rinuncia è un atto unilaterale, ritenuto non recettizio ed irrevocabile, con cui il lavoratore
dismette un proprio diritto, mentre la transazione è un contratto disciplinato dagli artt. 1965 ss.
Ai sensi del comma 2 dell'art. 2113, infatti, tale invalidità deve essere fatta valere entro 6 mesi
dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinuncia o della transazione se queste
sono intervenute dopo la cessazione medesima. L'impugnazione può avvenire con qualsiasi atto
scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore, purché questo atto sia idoneo a renderne nota la
volontà.

Si ritiene che il tipo di invalidità cui fa riferimento il 1° comma sia l'annullabilità, proprio perché la
possibilità di far valere il vizio è assoggettata al termine di decadenza.
Sebbene questa conclusione non sia indefettibile, perché vi sono casi in cui, pur essendo un
negozio quali cato come nullo, si applicano termini di decadenza o di prescrizione (nullità
relativa), la questione pare meramente quali catoria. È evidente, infatti, che se il lavoratore non
impugna entro il termine di decadenza, la rinuncia o la transazione diventano inoppugnabili e
producono pertanto tutti i loro e etti.
È sorto così l'interrogativo se vi sia un contrasto tra l'art. 2113 e l'art. 1418, posto che, ai sensi di
questa norma, il contratto (o cmq l'atto unilaterale avente contenuto patrimoniale) contrario a
norme imperative è nullo, mentre, in base all'art. 2113, la rinuncia e la transazione sono
semplicemente annullabili, prospettandosi addirittura una questione di costituzionalità, perché al
lavoratore subordinato sarebbe riservato un trattamento deteriore rispetto a quello tipico di
qualsiasi altro contraente.
In verità, non v'è contrasto tra le 2 norme perché l'art. 1418 disciplina il contr. contrario a norma
imperativa, mentre l'art. 2113 disciplina gli atti di disposizione di diritti già maturati, derivanti da
norma imperativa.

I negozi di rinuncia e transazione concernenti i diritti indicati nell'art. 2113 non possono
considerarsi contrari alle norme che contemplano l'attribuzione dei diritti medesimi, perché non
tendono ad una esclusione o limitazione dell'acquisto da parte di colui in cui favore siano
predisposti, ma ad una disposizione dei diritti già acquistati dal titolare. Pertanto, mentre i negozi
contrari a norme imperative possono essere nulli, i negozi di rinuncia e transazione possono,
senza contraddizione, essere semplicemente annullabili.

L'art. 2113, di conseguenza, ben lungi dal ri ettere una attenuazione del regime protettivo
derivante al prestatore dal diritto comune, ne ra orzerebbe il regime di tutela: in mancanza
dell'art. 2113, infatti, si sarebbe dovuto concludere x la piena validità dei negozi dispositivi di diritti
derivanti da norme inderogabili.
Bisogna dunque distinguere tra il momento genetico del diritto e il momento funzionale, o tra
negozio in deroga e negozio dispositivo. La rinuncia posta in essere nel momento genetico del
diritto, traducendosi in realtà in una deroga a norma imperativa, è radicalmente nulla. Ciò che è
a ermato dalla giurisprudenza a proposito della rinuncia preventiva al diritto. La rinuncia posta in
essere nel momento funzionale, cioè nel momento di attuazione del rapporto, quando il diritto è
già maturato, è semplicemente annullabile.
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La ratio dell'art. 2113 viene prevalentemente individuata nel fatto che il lavoratore, trovandosi in
una situazione di debolezza contrattuale, avrebbe un'attenuata capacità volitiva rispetto al datore
di lavoro.

Se è così - se cioè le rinunce e le transazioni poste in essere dal lavoratore sono sempre
impugnabili, addirittura, se intervenute nel corso del rapporto, anche entro i 6 mesi dalla
cessazione dello stesso - ci si può interrogare sulla praticabilità di uno dei mezzi più e caci per
prevenire e comporre le controversie, cioè la transazione, sempre soggetta alla spada di Damocle
della possibile impugnazione da parte del lavoratore, sia pure entro il termine di 6 mesi.
Proprio l'inaccettabilità di tale conclusione spiega l'ultimo comma dell'art. 2113, che prevede
l'inapplicabilità di quanto previsto dall'art. nel caso di conciliazione intervenuta ai sensi dell'art.
185 c.p.c., quindi in sede di conciliazione giudiziale, o ai sensi degli artt. 410, 411, 412 ter e 412
quater c.p.c. In sintesi, le rinunce e le transazioni poste in essere in sede di conciliazione
giudiziale, in sede di conciliazione amministrativa (davanti alle commissioni istituite presso
l'Ispettorato territoriale del lavoro, articolazione periferica del Ministero del lavoro), o in sede
sindacale, cioè con l'assistenza di un rappresentante sindacale, sono inoppugnabili, dunque
perfettamente valide. Conciliazione è un termine processuale che denota la funzione di questo
accordo nell'ambito del processo; esso, dal punto di vista contenutistico-sostanziale, racchiude
una rinuncia o una transazione.

La piena validità delle rinunce e transazioni nelle sedi indicate si spiega in relazione alla stessa
ratio dell'art. 2113. Se è vero che il contenuto precettivo dell'art. 2113 va correlato alla (ritenuta)
dimidiata capacità del volere del lavoratore, l'assistenza di soggetti quali cati, come il giudice, le
commissioni istituite presso l'Ispettorato del lavoro, il rappresentante sindacale, fa venir meno lo
squilibrio contrattuale tra prestatore e datore di lavoro e garantisce che il primo rinunci o transiga
con piena consapevolezza.
Questo stesso e etto, cioè l'e etto di rendere assolutamente inoppugnabili la rinuncia e la
transazione, si ha nel caso di conciliazione avanti le commissioni di certi cazione; le quali, oltre
alla funzione di certi cazione dei contratti e di consulenza ed assistenza alle parti, hanno anche
una funzione conciliativa.

LA PRESCRIZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO


Vi sono 2 tipi di prescrizione:

Prescrizione presuntiva (art. 2954): attiene all'onere della prova dell'adempimento


dell'obbligazione, una volta decorso un certo periodo di tempo l'obbligazione si presume
adempiuta e spetta al creditore dimostrare il contrario, ma con mezzi di prova limitati alla
confessione giudiziale e al giuramento decisorio.
Anche in tema di lavoro trova applicazione la prescrizione presuntiva. Essa è di 1 anno per il diritto
dei prestatori di lavoro alle retribuzioni corrisposte a periodi non superiori a 1 mese.

Prescrizione estintiva (art. 2934): in base ad essa il decorso del tempo determina l'estinzione del
diritto. La prescrizione ordinaria è di 10 anni, ma ci sono anche le prescrizioni brevi, in particolare
quella di 5 anni.

Ex art. 2948 il diritto alla retribuzione e alle indennità connesse alla cessazione del rapporto
(principalmente TFR e indennità per mancato preavviso) si prescrive in 5 anni. La retribuzione
deve pagarsi normalmente a mese: si prescrivono in 5 anni gli interessi e in generale tutto ciò che
deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi.
Il problema principale rispetto alla prescrizione riguarda il momento a partire da cui comincia a
decorrere il termine di prescrizione: secondo la regola generale il termine decorre dal momento in
cui il diritto può essere fatto valere.

Rispetto ai crediti da lavoro è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale rispetto agli
artt. 2948, 2955 e 1956 in quanto, nel vigore del regime del recesso ad nutum, il lavoratore poteva
non far valere i propri diritti durante il rapporto di lavoro per timore di eventuali ritorsioni da parte
del datore di lavoro (in primis il licenziamento): la Corte costituzionale con sent. del 1966 ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 2948, 2955 e 2956 nella parte in cui prevedono
che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro. Con la
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conseguenza che il termine di prescrizione per i crediti di lavoro comincia a decorrere dal
momento della cessazione del rapporto.
In seguito, la Corte è ritornata sull'argomento limitando la regola della prescrizione di erita solo
per i diritti del prestatore aventi natura retributiva e solo per i rapporti di lavoro non caratterizzati
dal requisito della stabilità del posto.
Successivamente, con l'introduzione dello statuto dei lavoratori e l'introduzione del regime di
stabilità reale del rapporto di lavoro (licenziamento illegittimo!reintegrazione nel posto di lavoro),
la giurisprudenza ha detto che in presenza del regime di stabilità reale del rapporto di lavoro, non
poteva con gurarsi un timore del lavoratore a far valere i suoi diritti per eventuali ritorsioni (in
primis licenziamento). Quindi da quel momento ha ripreso vigore la regola generale, per cui la
prescrizione decorre anche in costanza di rapporto di lavoro.
Poi con le modi che introdotte con la legge Fornero e il Jobs act, che hanno relegato la tutela
reale a ipotesi limitate, la giurisprudenza è tornata nuovamente indietro a ermando che la
prescrizione comincia a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro. Questa conclusione è
criticata dalla dottrina specialmente per quanto riguarda il campo di applicazione della legge
Fornero che in certi casi continua a garantire una tutela reale del rapporto di lavoro (in questi casi
secondo la dottrina si dovrebbe applicare la regola generale del decorso della prescrizione in
costanza di rapporto di lavoro). Vi sono comunque delle ipotesi residuali in cui opera la
prescrizione ordinaria decennale, che riguardano principalmente i crediti da lavoro che non hanno
natura retributiva (il caso principale è il risarcimento del danno per omesso versamento dei
contributi previdenziali). Secondo alcuni è soggetto a prescrizione decennale anche il diritto alla
quali ca superiore, ma questa tesi si scontra con l'inesistenza di un diritto autonomo alla quali ca
superiore che non sarebbe altro che il diritto alla retribuzione ricollegata alla quali ca superiore,
soggetto dunque al termine quinquennale.

Le sentenze della Corte cost. in tema di decorrenza del termine di prescrizione riguardano
esclusivamente la prescrizione quinquennale, e non anche quella decennale; ne deriva che nelle
residuali ipotesi in cui opera il regime della prescrizione ordinaria, essa decorre in costanza del
rapporto.

LA DECADENZA
Oltre che per la prescrizione, i diritti del lavoratore possono estinguersi per decadenza: essa trova
applicazione solo nei casi previsti dalla legge o dall'autonomia privata, purché in questo secondo
caso, non renda eccessivamente di cile l'esercizio del diritto, altrimenti la clausola che la prevede
è nulla (art. 2965).
La decadenza è insuscettibile di interruzione o sospensione.
Casi di decadenza di fonte legale:
• l'impugnazione del licenziamento: deve avvenire entro 60 giorni dalla comunicazione e il
ricorso nella cancelleria del tribunale va depositato entro 180 giorni. Agli stessi termini di
decadenza sono sottoposte le impugnazioni del trasferimento del lavoratore, del recesso
del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e in ogni altro caso
in cui si chiede la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un
soggetto diverso dal titolare del contratto.
• l'impugnazione del contratto di lavoro a termine: deve avvenire entro 180 giorni. Per
l’impugnazione stragiudiziale il termine è di 180 giorni, decorrente dalla scadenza del
termine illegittimo.
• l'impugnazione di rinunce e transazioni: deve avvenire entro 6 mesi dalla cessazione del
rapporto o se intervenute successivamente alla cessazione, dalla rinuncia o dalla
transazione

Casi di decadenza convenzionale: anche i contratti collettivi contengono clausole di decadenza


per alcuni diritti del lavoratore. In questo caso si pone il problema di veri carne la legittimità
rispetto all'art. 2965: la giurisprudenza assume l'art. 2113 come parametro di riferimento per la
valutazione della congruità della durata del termine di decadenza convenzionale. È così
considerato invalido, per rendere eccessivamente di cile l’esercizio del diritto, un termine di
decadenza di durata inferiore a quello previso dall’art. 2113, ossia 6 mesi.

Decorrenza del termine: anche in questo caso è sorto il problema se la decadenza cominciasse a
decorrere in costanza del rapporto o dal momento di cessazione. Si è ritenuto che il termine
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potesse validamente decorrere anche nel corso del rapporto quando questo fosse possibile.
Ovviamente la modi ca della disciplina dei licenziamenti propone anche per quanto riguarda la
decorrenza del termine di decadenza lo stesso problema sorto in maniera di decorrenza dei
termini di prescrizione.

Capitolo 11: IL DECENTRAMENTO PRODUTTIVO IL DECENTRAMENTO PRODUTTIVO

Il decentramento produttivo caratterizza il metodo di organizzazione post-fordista dell’impresa,


a ermatosi a partire dagli anni 90. Per competere, l’impresa si concentra sul core-business e
compra tutto il resto (sostituendosi l'integrazione verticale dei fattori produttivi con l'integrazione
orizzontale tra le imprese): questo determina una maggior specializzazione delle singole imprese,
con vantaggi dal punto di vista dell'e cienza e della redditività.
Il decentramento produttivo può realizzarsi in varie forme: cessioni di azienda o di rami di azienda,
ricorso a contratti di appalto o di subfornitura.

IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA O DI RAMO DI AZIENDA EX ART. 2112


Ex art. 2112 in caso di trasferimento di azienda o di ramo di azienda il rapporto di lavoro continua
con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano, salva la facoltà di
rassegnare le dimissioni x giusta causa, qualora le condizioni di lavoro subiscano una sostanziale
modi ca. Inoltre, il cessionario risponde in solido con il cedente x tutti i crediti che il lavoratore
ceduto vantava al momento del trasferimento. Il cessionario è tenuto ad applicare i contratti
collettivi applicabili al cedente no alla loro naturale scadenza, salvo che siano sostituiti da altri
contr. collettivi dello stesso livello applicabili al cessionario.

Nozione di trasferimento: si intende per trasferimento di azienda qualsiasi operazione che, in


seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività
economica... a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il
trasferimento è attuato (quindi non solo compravendita, ma anche a tto, usufrutto, fusione, ecc.).
Il trasferimento può avere ad oggetto l’intera azienda o un ramo di essa.

Nozione di azienda: è un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente
al trasferimento e che conserva nel trasferimento la sua identità. Sulla base della suddetta
de nizione si è di usa dunque una lettura smaterializzata di azienda, che ricomprende anche le
attività labour intensive, in cui le speci che competenze umane prevalgono sui beni materiali
destinati all'impresa. Come ha avuto modo di precisare anche di recente la giurisprudenza di
legittimità, è con gurabile il trasferimento di azienda, con conseguente applicazione della
disciplina di cui all'art. 2112, anche nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto un insieme di
lavoratori dotati di particolari competenze, che siano stabilmente organizzati e coordinati tra loro,
così da rendere le loro attività integrate ed idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili.
Questa nozione di azienda è coerente con la giurisprudenza della Corte di giustizia, che,
valorizzando le nalità di tutela dei lavoratori, ha sempre privilegiato un'interpretazione ampia
circa l'oggetto del trasferimento. Secondo il consolidato orientamento del Giudice europeo, infatti,
deve considerarsi trasferimento d'azienda anche l'acquisizione di un complesso stabile
organizzato di persone quando non occorrono mezzi patrimoniali per l'esercizio dell'attività
economica.

Ramo di azienda: è un’articolazione funzionalmente autonoma di una attività economica


organizzata, identi cata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo
trasferimento. L'autonomia del ramo ne dimostra la capacità di provvedere ad uno scopo
produttivo con i propri mezzi.
Dopo le modi che apportate all'art. 2112 dal d.lgvo 276/2003, non è più richiesto che l'autonomia
funzionale del ramo preesista al trasferimento, dovendo invece essere veri cata al momento dello
stesso.
Secondo alcuni, il legislatore ha così cercato di ampliare la nozione di ramo utile ai ni
dell'applicazione della disciplina di tutela, ri-comprendendovi anche porzioni di azienda che erano
prive di autonomia funzionale no al momento della cessione e che ne vengano investite in
occasione della stessa.
La giurisprudenza, tuttavia, ha prevalentemente sminuito la portata della riforma del 2003,
rimanendo legata al requisito originario della preesistenza dell'autonomia funzionale del ramo,
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ritenuto intrinseco alla nozione stessa di ramo di azienda. Tale lettura non sembra scal ta da una
recente pronuncia della Corte di giustizia che ha riconosciuto la conformità al diritto Ue della
disciplina italiana sulla non preesistenza del ramo, poiché di miglior favore rispetto a quanto
previsto dalla normativa unieuropea e in particolare dalla direttiva 2001/23/CE. La Corte di
giustizia giunge a tale conclusione avvalorando un'interpretazione letterale dell'art. 2112, che
tutela i lavoratori non solo nell'ambito di trasferimenti che riguardino rami preesistenti alla
cessione, come richiesto dalla disciplina unieuropea, ma anche in relazione a quelli che abbiano
ad oggetto un'entità resa autonoma in occasione della cessione stessa.
In presenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 2112 si veri ca la continuazione
automatica del rapporto di lavoro con il cessionario, senza che rilevi il consenso da parte del
dipendente, che dunque non ha alcun diritto di opposizione alla stessa.
L'art. 2112, consente, tuttavia, al lavoratore di dimettersi con gli e etti di cui all'art. 2119 (recesso
per giusta causa), qualora le sue condizioni di lavoro (ad es. i trattamenti economici e normativi)
subiscano una sostanziale modi ca nei 3 mesi successivi al trasferimento. Ciò signi ca che, in
tale ipotesi, il lavoratore potrà dimettersi senza obbligo di preavviso e bene ciando della relativa
indennità sostitutiva.

TRASFERIMENTO DI RAMO D'AZIENDA E APPALTO


L'art. 2112 tratta anche il caso in cui il cedente stipuli con il cessionario un contratto di appalto
avente a oggetto il ramo di azienda ceduto: in questo caso il cedente-appaltante risponde in via
solidale con il cessionario-appaltatore per le obbligazioni retributive e contributive relative ai
rapporti di lavoro, entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell’appalto.
Le discipline del trasferimento di ramo d’azienda e dell’appalto si occupano anche dei cambi
d’appalto, cioè al subentro, nell’ambito di un contratto di appalto in cui vengono impegnati
lavoratori dipendenti, di un diverso soggetto appaltatore rispetto al precedente.
Soprattutto nel settore dei servizi accade spesso, nella prassi, che un'impresa esternalizzi,
mediante la stipulazione di un contratto di appalto, lo svolgimento di alcune attività ad un'impresa
appaltatrice, la quale, per l'esecuzione dell'appalto, impiegherà proprio personale dipendente. Si
pensi ad es. ai servizi di pulizia o di manutenzione ordinaria o al servizio mensa. Alla scadenza del
contratto di appalto, solitamente di durata determinata, è possibile (è anzi frequente) che
l'impresa committente decida di avvalersi di un nuovo appaltatore (naturalmente, se la
committente è una pubblica amministrazione, la scelta del nuovo appaltatore implicherà lo
svolgimento di procedure concorsuali ad evidenza pubblica). La gestione del servizio passerà,
dunque, ad un nuovo soggetto.
In questi casi si comprende come nasca l'esigenza di salvaguardare l'occupazione del personale
impiegato nell'appalto. Per l'appaltatore uscente, infatti, la perdita della gestione dell'appalto ha
spesso un notevole impatto sull'assetto organizzativo-produttivo e potrebbe comportare
un'eccedenza di personale con la conseguente necessità di licenziare i lavoratori addetti al
servizio. Le clausole sociali, contenute nei contratti collettivi di lavoro o nelle regole di gara degli
appalti pubblici, mirano a far fronte a questa evenienza prevedendo l'obbligo, per l'impresa
subentrante, di assumere i lavoratori impiegati nel pregresso appalto, in diversi casi applicando
agli stessi le condizioni contrattuali precedenti.

In realtà, le clausole sociali hanno contenuti e portata spesso di erenti e non sempre prevedono
un rigido obbligo, in capo all’appaltatore subentrante, di riassorbire tutto il personale impiegato
nell’appalto alle medesime condizioni contrattuali.
Nelle ipotesi in cui si versi in un cambio di appalto con acquisizione del personale addetto da
parte del nuovo appaltatore, sorge il problema di distinguere tale fattispecie da quella del
trasferimento di azienda o di parte di azienda, con rilevanti ricadute sul piano degli e etti. Infatti,
se il cambio di appalto con acquisizione del personale non con gura un trasferimento di ramo di
azienda non si potranno applicare ai lavoratori le tutele previste dall'art 2112.
Il problema di con gurare un cambio di appalto con acquisizione del personale come un
trasferimento di ramo di azienda sorge 1. dalla mancanza di un atto formale di trasferimento tra
appaltatore uscente e nuovo appaltatore, e 2. soprattutto dal fatto che vi è un passaggio di solo
personale, senza supporto di un apparato strumentale.

In origine il d.lgvo 276/2003 escludeva che il cambio di appalto con passaggio di personale
potesse con gurare un trasferimento di azienda, con conseguenze sfavorevoli per i lavoratori.
Questa norma era sospetta di incompatibilità con l'interpretazione data dalla corte di giustizia
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della direttiva 2001/23/CE, secondo cui il trasferimento di azienda o di ramo di essa può avere a
oggetto un gruppo di lavoratori, purché con gurabili come un’entità economica organizzata che
sia in grado di esercitare un’attività d’impresa e che conservi la propria identità nel trasferimento.
Per questo si è ammesso, prima in via giurisprudenziale e poi con la modi ca nel 2016 del d.lgvo
276/2003, che il cambio di appalto con passaggio del personale con gura un trasferimento di
azienda (con conseguente applicazione delle relative tutele ex art 2112) purché il nuovo
appaltatore conservi la stessa struttura organizzativa e purché si prosegua la stessa attività di
impresa. Ma anche con questa modi ca non è sempre chiaro stabilire se ricorrano i presupposti
per quali care il cambio di appalto con passaggio di personale come un trasferimento di impresa.

LE DELOCALIZZAZIONI
Per delocalizzazione si intende il trasferimento da parte di un'impresa operante sul territorio
nazionale dell'attività economica o di una sua parte nel territorio di un altro Stato.
Il decreto dignità, d.l 87/2018, è intervenuto per arginare il fenomeno della delocalizzazione da
parte di imprese fruitrici di aiuti di stato, prevedendo delle ipotesi di decadenza da questi ultimi.
Si è previsto che le imprese italiane od estere operanti nel territorio nazionale, bene ciarie di un
aiuto di Stato che prevede l'e ettuazione di investimenti produttivi ai ni dell'attribuzione del
bene cio, decadano da questo ove l'attività economica (o una sua parte) interessata dal bene cio
sia delocalizzata in Stati non appartenenti all'Ue, ad eccezione degli Stati aderenti allo spazio
economico europeo (Islanda, Liechtenstein, Norvegia) entro 5 anni dalla conclusione dell’iniziativa
agevolata (art. 5, co. 1).
Si è poi previsto che le imprese italiane o estere operanti nel territorio nazionale, bene ciarie di un
aiuto di Stato che preveda l'e ettuazione di investimenti produttivi speci camente localizzati ai ni
dell'attribuzione del bene cio, decadono da questo ove l'attività economica (o una sua parte)
interessata dal bene cio sia delocalizzata dal sito incentivato ad un altro sito, localizzato
all'interno del territorio nazionale o all'interno dell'Ue o degli Stati aderenti allo Spazio economico
europeo (art. 5, co. 2).
Tale previsione, a di erenza della prima, sanziona, anche le delocalizzazioni e ettuate dalle
imprese in ambito nazionale, qualora il bene cio sia stato concesso per e ettuare investimenti
produttivi in speci che aree provinciali o regionali (si pensi ad incentivi per le zone meridionali del
Paese).

Il campo di applicazione dell'art. 5 del decreto appare in ogni caso, con riferimento ad entrambe
le ipotesi, molto ampio.
La disposizione consente il recupero, non solo di bene ci di natura scale, bensì anche di tutti i
tipi di nanziamento ricompresi nella nozione di aiuto di Stato contenuta nell'art. 107 del Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea, a prescindere dalla forma mediante la quale si atti
nanziamenti sono concessi (es. nanziamenti agevolati, contributi, garanzie) e dalle modalità
della loro erogazione.
In ne, è prevista una ipotesi di decadenza dagli aiuti di stato non attinente alla delocalizzazione: la
decadenza si applica anche alle imprese italiane o estere, operanti nel territorio nazionale e
bene ciarie di aiuti di stato che prevedono la valutazione dell'impatto occupazione (es. incentivi
occupazionali previsti in caso di assunzioni nel Mezzogiorno), qualora le stesse riducano i livelli
occupazionali in misura superiore al 50%. Se li riducono in misura superiore al 10% (ma non
superiore al 50%) il bene cio è ridotto in misura proporzionale alla riduzione del livello
occupazionale.

Capitolo 12: LE TUTELE NEL MERCATO DEL LAVORO Sezione I: I SERVIZI PER L'IMPIEGO
I SERVIZI PER L’IMPIEGO E LE POLITICHE ATTIVE
La legislazione dell'ultimo periodo, in particolare il Jobs Act, è ispirata all'idea di exicurity, un
concetto di ascendenza europea, a sua volta originato dalle s de che hanno posto all'Europa
dapprima lo sviluppo tecnologico e, poi, la globalizzazione, tendente a spostare le tutele dal piano
del rapporto di lavoro a quelle del mercato del lavoro: i singoli hanno sempre più bisogno di
sicurezza dell'occupazione piuttosto che di sicurezza del posto. Di qui la necessità di strategie di
apprendimento lungo tutto l'arco della vita; e caci politiche attive del mercato del lavoro che
aiutino le persone a far fronte ai cambiamenti rapidi e riducano i periodi di disoccupazione e
sistemi moderni di sicurezza sociale che forniscano un adeguato supporto al reddito, incoraggino
l'occupazione e agevolino la mobilità sul mercato del lavoro.
L’Italia è sempre stata caratterizzata da deboli servizi per l’impiego dei disoccupati e degli
inoccupati e da politiche di sostegno del reddito frammentarie. Inoltre, la creazione di una e cace
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rete di servizi per l'impiego dei disoccupati nel nostro ordinamento è stata ostacolata dal riparto
della potestà legislativa tra Stato e Regioni in materia di lavoro.
Con legge del 1997, basata sull'idea del federalismo amministrativo, erano state attribuite a
Regioni e Province compiti in materia di collocamento e politiche attive, in particolare alle Regioni
erano attribuiti compiti di programmazione e coordinamento, mentre alle Province era attribuito il
compito di gestire il collocamento e l'orientamento al lavoro di disoccupati e inoccupati tramite
apposite strutture, chiamate centri per l'impiego.
In seguito con la riforma del titolo V della Costituzione si è modi cato il riparto di potestà
legislativa tra Stato e Regioni, che in materia di lavoro è così distribuito: allo Stato è attribuita
competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, mentre alla competenza concorrente tra
Stato e Regioni è attribuita la materia della tutela e sicurezza del lavoro. Secondo l'interpretazione
data dalla Corte costituzionale con sentenza 50/2005 tale riparto è da intendersi in questo modo:
la disciplina del rapporto di lavoro e il diritto sindacale, in quanto parti della materia ordinamento
civile, appartengono alla competenza esclusiva dello stato, mente la disciplina dell'organizzazione
e del funzionamento del mercato del lavoro è attribuita alla competenza concorrente tra Stato e
Regioni.

Dunque, la disciplina delle politiche attive e dei servizi per l'impiego, in quanto parte della materia
organizzazione e funzionamento del mercato del lavoro, fa parte della competenza concorrente.
Questo aveva determinato una frammentazione nella gestione dei servizi per l'impiego che era
profondamente diversa di regione in regione, impedendo di garantire livelli omogenei di
prestazione ai lavoratori disoccupati e inoccupati.
Inoltre, la cd. legge Delirio non ha più mantenuto alle Province, tra le funzioni fondamentali, quelle
inerenti al mercato del lavoro, con la conseguenza che la gestione dei Centri per l’impiego è stata
posta direttamente in capo alle Regioni.
A fronte del fallimento di tale quadro istituzionale, il legislatore, con il Jobs act, ha attribuito al
governo il compito di emanare decreti legislativi per riordinare la disciplina dei servizi per
l'impiego. In attuazione è stato emanato il d.lgvo 150/2015, che ha riformato la disciplina dei
servizi per l'impiego, ponendo nuovamente al centro dell’organizzazione del mercato del lavoro il
Ministero del lavoro, il quale si avvale di un organismo denominato Agenzia nazionale per le
politiche attive del lavoro (ANPAL).

La disciplina contenuta nel decreto, pur essendo elaborata a Costituzione vigente, scommetteva
sull’approvazione del testo di legge costituzionale, che prevedeva l’attribuzione allo Stato di una
competenza legislativa esclusiva in materia di “politiche attive del lavoro”, attualmente riservata
alla competenza concorrente Stato-Regioni. Il referendum del 2016, tuttavia, ha dato esito
negativo, con il risultato che l'impianto centralizzante costruito dal d.lgvo 150/2015 incontra
di coltà operative, poiché il Ministero del lavoro e I'ANPAL, che avrebbero dovuto costituire il
perno del nuovo sistema, sono costretti a contrattare ogni passaggio necessario alla gestione dei
servizi per l'impiego con le Regioni.
Il decreto istituisce una Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro, costituita
dall’Amministrazione centrale (il Ministero del lavoro, coadiuvato dalle strutture sottoposta alla sua
vigilanza quali l'ANPAL, INPS, INAIL), le Regioni e i loro Centri per l’impiego, i soggetti accreditati
ai sensi della normativa vigente e i Fondi interprofessionali e gli Enti bilaterali.
Il Ministero del lavoro ha un ruolo di indirizzo politico: l’individuazione delle linee di indirizzo
triennale delle politiche attive e la speci cazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono
essere erogate sul territorio nazionale sono a date a decreto ministeriale adottato previa intesa in
sede di Conferenza permanente fra Stato, Regioni e Province autonome.
L'ANPAL, istituita nel 2016, quale ente dotato di personalità giuridica, autonomia organizzativa,
regolamentare, amministrativa, contabile, costituisce il fulcro dell'operazione di ricentralizzazione
dei servizi per il lavoro. Tra le sue principali funzioni vi sono il coordinamento dei servizi per il
lavoro, del collocamento dei disabili, della gestione della NASPI e delle politiche di attivazione dei
lavoratori disoccupati e, a partire dal gennaio del 2019, dei percettori di reddito di cittadinanza, lo
sviluppo e la gestione del Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro.
Nel nuovo sistema permane cmq un ruolo importante a dato alle Regioni e alle Province
autonome di Trento e Bolzano che svolgono le loro funzioni attraverso la propria articolazione
territoriale, i Centri per l'impiego, o mediante il coinvolgimento delle agenzie del lavoro private,
sulla base di costi standard de niti dall'ANPAL e garantendo in ogni caso all'utente facoltà di
scelta tra le due opzioni.
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Per lo svolgimento dei compiti loro a dati le Regioni e le Province autonome devono costituire
u ci territoriali aperti al pubblico, denominati Centri per l'impiego che, per l'inserimento ed il
reinserimento nel mercato del lavoro svolgono (dovrebbero svolgere) le seguenti attività:
orientamento sia di base sia specialistico o individualizzato anche verso l'autoimpiego, ausilio alla
ricerca di una occupazione, avviamento ad attività di formazione ai ni della quali cazione e
riquali cazione professionale, promozione del tirocinio, incentivazione della mobilità territoriale e
dell'attività di lavoro autonomo, gestione di strumenti nalizzati alla conciliazione dei tempi di
lavoro con gli obblighi di cura nei confronti di minori o di soggetti non autosu cienti, promozione
di prestazioni di lavoro socialmente utile.
Ai lavoratori disoccupati il Centro per l'impiego propone la stipulazione di un patto di servizio
personalizzato (PSP) avente ad oggetto, da un lato, le misure speci che che esso si impegna ad
erogare al lavoratore e, dall'altro, gli obblighi in capo a questo, quali ad es. quello di partecipare
attivamente a iniziative formative e accettare le o erte di lavoro congrue sottopostegli.
Rientra tra le politiche attive anche l'assegno di ricollocazione, consistente in una somma,
determinata in funzione del pro lo personale di occupabilità, spendibile presso i Centri per
l'impiego o presso i servizi accreditati al ne di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella
ricerca di lavoro. Tale misura, originariamente introdotta a favore dei percettori di Naspi, con
l'entrata in vigore del dl. 4/2019 era stata riservata ( no al 31 dicembre 2021) ai soli bene ciari del
reddito di cittadinanza e ad alcune categorie di lavoratori collocati in CIGS. È stata poi la Legge di
bilancio per il 2021 ad ampliare nuovamente il campo di applicazione dell'istituto, riattivando
l'assegno di ricollocazione anche a favore dei percettori di Naspi e di Dis-Coll da almeno 4 mesi e
dei lavoratori collocati in CIGS per cessazione di attività.

L'assegno di ricollocazione è anch'esso sottoposto al principio di condizionalità: esso è infatti


concesso a condizione che il bene ciario abbia stipulato con il Centro x l'impiego il patto di
servizio personalizzato.
Le convenzioni sui livelli essenziali dei servizi che le Regioni (e le Province autonome) devono
stipulare con il Ministero del lavoro possono prevedere l'attribuzione ai soggetti privati accreditati
di tutte o parte delle funzioni e degli obblighi in materia di politica attiva del lavoro.
Al funzionamento dei servizi per l'impiego partecipano infatti anche soggetti privati, che
esercitano attività di mediazione della manodopera. Si tratta di soggetti accreditati, iscritti in
apposito albo, che devono essere in possesso di requisiti tali da garantire un minimo di solidità
economica e nanziaria nonché a dabilità sul piano organizzativo, professionale e sociale.
La partecipazione dei privati al funzionamento del mercato del lavoro è enfatizzata dal d.lgvo
150/2015, com'è testimoniato dai numerosissimi compiti loro a dati. Ciò denota la piena ducia
del legislatore verso le agenzie del lavoro private, sul presupposto che la loro azione sia, non solo
utile, ma indispensabile per l'erogazione di servizi per l'impiego e cienti e per assicurare, su tutto
il territorio nazionale, i livelli essenziali delle prestazioni.

GLI INCENTIVI ALL'ASSUNZIONE


Tra le politiche attive del lavoro rientra anche l'erogazione di incentivi all'assunzione attribuiti ai
datori di lavoro e stimoli di vario genere in capo ai lavoratori.
Il quadro degli incentivi è estremamente variegato e non si è mai riusciti a razionalizzarlo.
L'ordinamento prevede una gamma di incentivi economici (solitamente sgravi contributivi) in caso
di assunzioni, preferibilmente a tempo indeterminato, che hanno carattere temporaneo o
permanente a seconda delle esigenze contingenti del mercato del lavoro e della disponibilità
nanziarie. Il sistema si presenta, tuttavia, disorganico, in ragione del fatto che non sono chiare né
le priorità, né le motivazioni che giusti cano i divari di entità e di durata dei vari incentivi
economici riconosciuti ai bene ciari.
Per tale ragione la l.d. 183/2014, nel delegare il Governo al riordino della normativa in materia di
servizi per l'impiego e di politiche attive ha previsto quale criterio direttivo anche la
razionalizzazione degli incentivi all'assunzione esistenti. Dunque, il d.lgvo 150/2015 contiene un
capo, intitolato “Riordino degli incentivi”, che si pone come obiettivo la loro trasparenza ed
omogenea applicazione. Il decreto istituisce presso l'ANPAL il Repertorio nazionale degli incentivi
con lo scopo di assicurare la trasparenza ed il coordinamento degli incentivi all'assunzione. Alla
stessa ANPAL le Regioni e le Province autonome che intendono prevedere un incentivo
all'occupazione ne devono dare comunicazione.
Il legislatore delegato persegue inoltre l'obiettivo di evitare abusi. Sono previste regole comuni per
tutti i tipi d'incentivo: gli incentivi economici non spettano se l'assunzione dei giovani o dei
disoccupati di lunga durata costituisce attuazione di un obbligo preesistente stabilito dalla legge o
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dalla contrattazione collettiva, l'assunzione violi il diritto di precedenza alla riassunzione di altro
lavoratore, siano in atto sospensioni dal lavoro connesse a crisi o riorganizzazione aziendale,
salvo che l'assunzione si diriga verso lavoratori con inquadramento diverso da quelli sospesi o da
indirizzare verso altre unità produttive o, ancora, se l'assunzione concerne un soggetto licenziato
nei 6 mesi precedenti da un datore di lavoro che presenta assetti societari coincidenti con quelli
del datore di lavoro che assume (o risulta con quest'ultimo in rapporto di collegamento o di
controllo).

IL COLLOCAMENTO DEI DISABILI


Il nostro ordinamento è caratterizzato da una normativa vincolistica, volta a favorire l’inserimento
al lavoro dei disabili. La l. 482/1968 imponeva ai datori di lavoro con più di 35 dipendenti di
riservare ai disabili il 15% dei posti di lavoro.
La materia è ora disciplinata dalla l. 68/1999 che cerca di realizzare forme di collocamento non
casuale, ma mirato dei disabili - che tenga conto cioè delle attitudini degli stessi e del tipo di
esigenze professionali delle imprese - promuovendone l'inserimento e l'integrazione nel mondo
del lavoro attraverso appositi servizi di sostegno.
Alcune modi che a questa legge, al ne di migliorarne il funzionamento, sono poi state apportate
dal d.lgvo 151/2015. La legge elenca varie categorie di soggetti bene ciari: gli invalidi civili in età
lavorativa a etti da minorazioni siche o psichiche che comportino una riduzione della capacità
lavorativa superiore al quarantacinque per cento; gli invalidi del lavoro (soggetti divenuti invalidi a
seguito di infortunio sul lavoro) con un grado di invalidità superiore al 33 %; le persone non
vedenti e sordomute; gli invalidi di guerra, gli invalidi civili di guerra e le persone invalide per
servizio. Ad essi si aggiungono anche soggetti non disabili ma che il legislatore ritiene meritevoli
di particolare protezione sociale: gli orfani e i coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per
causa di lavoro, di guerra o di servizio, o in conseguenza dell'aggravarsi dell'invalidità riportata
per tali cause, nonché i coniugi e i gli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra,
di servizio e di lavoro, e, ancora, i profughi italiani rimpatriati.
Sono soggetti all'obbligo di assunzione i datori di lavoro che occupano almeno 15 dipendenti e la
quota di posti di lavoro riservata ai disabili varia al variare del numero dei dipendenti (uno, da 15 a
35 dipendenti; due, da 36 a 50; 7 % dei lavoratori occupati se il datore di lavoro occupa più di 50
dipendenti).

Nella quota di riserva possono essere computati anche coloro che sono divenuti disabili in
conseguenza di infortunio o malattia professionale, ma soltanto se hanno subito una riduzione
della capacità lavorativa pari o superiore al 60 %.
Le assunzioni possono avvenire sia mediante richiesta nominativa di avviamento indirizzata agli
u ci competenti, sia mediante la stipulazione di convenzioni che consentono maggiori margini di
essibilità e adattabilità. L'assunzione nominativa può essere preceduta dalla richiesta, da parte
del datore di lavoro, agli u ci competenti di e ettuare una preselezione delle persone con
disabilità iscritte negli appositi elenchi, che aderiscono alla speci ca occasione di lavoro.
Nel caso di mancata assunzione secondo tali previsioni, gli u ci competenti hanno l'obbligo di
avviare i lavoratori secondo l'ordine di graduatoria x la quali ca richiesta o altra speci camente
concordata con il datore di lavoro, sulla base delle quali che disponibili.
Qualora l'impresa non inoltri la richiesta di assunzione a tempo debito, il Centro per l'impiego non
può avviare d'u cio il disabile, ma essa è soggetta a sanzioni amministrative, disposte dalla
competente sede dell'Ispettorato del lavoro.
La legge prevede cmq agevolazioni per i datori di lavoro che assumono disabili, la cui durata non
può eccedere un periodo di 36 mesi: si prevede un incentivo economico, corrisposto dall'INPS
mediante conguaglio nelle denunce contributive mensili, di misura variabile in funzione dell'entità
della riduzione della capacità lavorativa del disabile. L'incentivo è pari al 70 % della retribuzione
mensile lorda imponibile ai ni previdenziali per ogni lavoratore disabile assunto a tempo
indeterminato che abbia una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79%; al 70 % di tale
retribuzione, per un periodo di 60 mesi, per ogni lavoratore con disabilità intellettiva e psichica
che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 %, in caso di assunzione a
tempo indeterminato o di assunzione a tempo determinato di durata non inferiore a 12 mesi e per
tutta la durata del contratto; al 35 % per ogni lavoratore disabile assunto a tempo indeterminato
che abbia una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67 e il 69 %

Sezione II: LA PROTEZIONE DEL REDDITO IN CASO DI DISOCCUPAZIONE E INOCCUPAZIONE


LE TUTELE IN CASO DI DISOCCUPAZIONE INVOLONTARIA: ASPI, NASPI, DIS-COLL
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Il sistema di tutela contro la disoccupazione involontaria, per decenni costituito esclusivamente
da una modesta indennità di disoccupazione ordinaria e dalla cospicua indennità di mobilità, di
cui alla l. 223/1991, è stato profondamente rivisitato dalla l. 92/2012 che, nell'ottica di eliminare
di erenziazioni di trattamento non giusti cate e di elevare l'ammontare dell'indennità ordinaria di
disoccupazione, ha istituito, con decorrenza dal 1 gennaio 2013, un unico schema assicurativo,
l'Assicurazione Sociale per l'Impiego (ASPI), prevedendo al contempo il venir meno, dal 1 gennaio
2017, dell' indennità di mobilità.
Si trattava di un'indennità di disoccupazione particolarmente favorevole, per entità e durata,
spettante ai lavoratori licenziati da imprese rientranti nel campo di applicazione dell'intervento
straordinario della Cassa integrazione, dunque essenzialmente le imprese medio-grandi del
settore industriale.

Tale indennità era di importo e durata incomparabilmente maggiori rispetto all'indennità ordinaria
di disoccupazione: il suo ammontare era pari al 100 % del trattamento CIGS per i primi 12 mesi e
la sua durata poteva arrivare a 48 mesi, mentre la misura dell'indennità ordinaria di
disoccupazione solo da ultimo era stata innalzata al 60 % della retribuzione per i primi 6 mesi,
decrescendo nei mesi successivi e la sua durata poteva arrivare al massimo a 12 mesi.
L'ASPI è stata rimodellata dal Jobs Act e sostituita, a decorrere dal 1° gennaio 2015, con la
Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego (NASPI). Essa è condizionata, 0ltre che dallo stato di
disoccupazione involontaria, anche da requisiti di anzianità contributiva del lavoratore
bene ciario, di erenziandosi dall'ASPI perché la durata della prestazione viene parametrata sulla
contribuzione versata.
La NASPI spetta ai lavoratori che hanno perso involontariamente la propria occupazione e
presentano congiuntamente una serie di requisiti: essere appunto in stato di disoccupazione;
essere in grado di far valere almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l'inizio del
periodo di disoccupazione; essere in grado di far valere 30 giorni di lavoro e ettivo nei 12 mesi
precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, a prescindere dal minimale contributivo.
L'indennità NASPI è pari al 75 % della retribuzione imponibile ai ni previdenziali percepita dal
lavoratore negli ultimi 4 anni e si riduce del 3 % ogni mese a decorrere dal quarto mese di
fruizione.

La durata massima di tale indennità è connessa alle contribuzioni previdenziali versate: essa è
pari alla metà delle settimane di contribuzione avute dal lavoratore negli ultimi 4 anni: dunque, può
essere corrisposta al massimo per 2 anni.
L'aspetto più signi cativo, accanto alla omogeneizzazione dei trattamenti e all'adeguamento di
entità e durata, è la sottoposizione della NASPI al principio di condizionalità: i bene ciari del
trattamento di disoccupazione devono stipulare con il centro per l'impiego competente il patto di
servizio personalizzato e rispettare gli obblighi in esso individuati (es. frequenza di corsi di
formazione, partecipazione alle iniziative di orientamento, accettazione di una o erta di lavoro
congrua), pena la decurtazione del bene cio o la decadenza dallo stesso.

L'apparato sanzionatorio è strutturato in modo preciso e dettagliato, variamente declinandosi le


sanzioni in ragione dell'inadempimento o omissione del lavoratore, ma questo non basterà a far
funzionare il meccanismo della condizionalità: è, infatti, evidente che presupposto dell'insorgenza
degli obblighi a carico del soggetto bene ciario del trattamento è l'e ettiva erogazione delle
prestazioni previste dalla legge da parte dei servizi per l'impiego, e dunque, in de nitiva l'e ciente
funzionamento dei servizi per l'impiego (ma anche del mercato del lavoro).
Anche i lavoratori con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa hanno diritto ad
un'indennità di disoccupazione (DIS-COLL). La tutela è riconosciuta, in particolare, ai collaboratori
coordinati e continuativi (con esclusione degli amministratori e dei sindaci di società, etc.), iscritti
in via esclusiva alla Gestione separata, non pensionati e privi di partita IVA, che abbiano perduto
involontariamente la propria occupazione. L'ammontare della DIS-COLL è pari al settantacinque
per cento del reddito mensile. La sua durata non può eccedere i 6 mesi.
La l. 81/2017 sul lavoro autonomo ha reso strutturale il diritto alla DIS-COLL, originariamente
prevista in via sperimentale, ampliando altresì la platea dei bene ciari.

LE TUTELE IN CASO DI INOCCUPAZIONE


Il sistema di ammortizzatori sociali si è arricchito, solo recentemente, di misure nalizzate a
tutelare anche gli inoccupati, ossia coloro che non hanno mai svolto attività lavorativa in alcuna
forma, autonoma o subordinata e siano alla ricerca di un'occupazione. Si tratta di misure volte a
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contrastare la povertà, ma che hanno come caratteristica distintiva l'obbligo per il soggetto
interessato di attivarsi al ne dell'inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro.
Dapprima, il d.lgvo 147/2017 ha introdotto nel nostro ordinamento, a decorrere dal 10 gennaio
2018, il Reddito di inclusione (Rel), quale misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà
e all'esclusione sociale, destinato ad essere sostituito, da aprile 2019, dal Reddito di cittadinanza.
Il Rel veniva riconosciuto ai cittadini italiani e stranieri regolarmente soggiornanti in Italia e in
possesso di carta di soggiorno di lungo periodo che rispettassero alcuni requisiti economici
indicanti lo stato di povertà. Era altresì necessario che il richiedente non percepisse la NASPI o
altre forme di sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria e sussistessero alcuni
indicatori di povertà.
Il sussidio era articolato in un bene cio economico (assegno mensile per una durata massima di
diciotto mesi, rinnovabile di ulteriori dodici mesi) e in una componente di servizi alla persona.
Tale istituto era in ogni caso sottoposto al principio di condizionalità: la concessione del bene cio
richiedeva che il potenziale bene ciario e il suo nucleo familiare sottoscrivessero un progetto
personalizzato (predisposto dai servizi sociali del Comune di residenza) che individuava, sulla
base dei fabbisogni del nucleo familiare, i risultati speci ci da raggiungere nel percorso nalizzato
al superamento della condizione di povertà, all'inserimento o reinserimento lavorativo e
all'inclusione sociale; i sostegni, in termini di speci ci interventi o servizi, di cui necessitava il
nucleo familiare, oltre al bene cio economico connesso al Rel; gli impegni, da parte del nucleo
familiare, a svolgere speci che attività (quali frequenza di contatti con i competenti servizi
responsabili del progetto; ricerca attiva di lavoro e disponibilità alle attività...) cui il bene cio
economico era condizionato.

A partire da aprile 2019, il Rel è stato sostituito dal Reddito di cittadinanza. Seppure il nome
evochi, nel dibattito politologico, un sussidio a carattere universale e incondizionato, ossia
destinato a tutti i residenti adulti a prescindere dal reddito e dal patrimonio e non subordinato
all'accettazione di proposte di lavoro o formazione, secondo il testo del decreto si tratta in realtà
di uno strumento più simile al Rel, destinato unicamente a soggetti in situazione di povertà/
disagio sociale, e sottoposto al principio di condizionalità, per ra orzare il quale, anzi, la legge di
Bilancio 2019, stanzia somme nalizzate a potenziare l'organico dei Centri per l'impiego.
Seppure più rigoroso quanto ai requisiti di residenza e soggiorno, sono stati ampliati, al ne di
estendere la platea dei bene ciari rispetto al Rel, quelli relativi alle condizioni patrimoniali e
reddituali (sono previste sanzioni penali in caso di dichiarazioni mendaci dolosamente rese al ne
di ottenere il Reddito di cittadinanza), l'importo massimo del trattamento (una parte del quale
correlata al canone di locazione o alla rata del muto per l'acquisto dell'abitazione di residenza) e la
sua durata.

Esso è erogato dall'Inps attraverso una Carta di pagamento x l'acquisto di beni e servizi, che
consente un limitato prelievo mensile di contanti. Al ne di non scoraggiare la ricerca di una
attività lavorativa, è poi previsto che il reddito derivante da una successiva occupazione concorra
alla determinazione del bene cio nella sola misura dell'80 %. Non può bene ciare del Reddito di
cittadinanza il nucleo familiare che annoveri tra i componenti soggetti che si siano
volontariamente dimessi da un rapporto di lavoro, per i 12 mesi successivi alle dimissioni (salvo
che non siano state rese per giusta causa).
I bene ciari del trattamento sono obbligati a stipulare un Patto x il lavoro presso i Centri per
l'impiego (o un Patto x l'inclusione sociale, quando lo stato di bisogno sia considerato complesso
e multidimensionale), implicante attività formative e di ricerca di lavoro. Inoltre, il bene ciario ha
l'onere di accettare una di 3 o erte di lavoro congrue, cioè coerenti con il pro lo di occupabilità
della persona ed entro una distanza chilometrica rapportata anche in relazione alla durata della
fruizione del trattamento. Il bene ciario è tenuto ad o rire la propria disponibilità per la
partecipazione a progetti di utilità collettiva, predisposti dai comuni, per un massimo di 8 ore
settimanali. L'inadempimento di questi obblighi comporta la decurtazione e, nei casi più gravi, la
decadenza del trattamento.
Sono introdotti incentivi per i datori di lavoro che assumano a tempo pieno e indeterminato
bene ciari del Reddito di cittadinanza.
L'e cacia della misura (al netto della questione relativa alla sua sostenibilità nanziaria nel medio
e lungo periodo) è strettamente correlata, al pari del Rel, al funzionamento adeguato dei Centri
per l'impiego, che tuttavia, a fronte della carenza di risorse umane e strumentali che li
caratterizzano e delle di coltà di coordinamento tra l'attività da loro svolta e quella posta in capo
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agli organismi centralizzati (Ministero del lavoro e ANPAL), è ancora lungi da una piena
realizzazione.
Per limitare gli e etti della pandemia sul reddito delle famiglie in di coltà economica, che non
abbiano potuto fruire degli altri ammortizzatori sociali e dei bonus previsti x far fronte
all'emergenza Covid, è stato introdotto il Reddito di emergenza (REm). La misura, posta a carico
dell'apposito Fondo per il Reddito di
Al pari di quanto previsto x il Rei e il Reddito di cittadinanza, anche x accedere a tale strumento
occorre integrare determinati requisiti economici, patrimoniali, reddituali e di residenza.

Capitolo 13: I DATORI DI LAVORO NON IMPRENDITORIALI IL LAVORO CON I PRIVATI NON
IMPRENDITORI
L'art. 2239 cc prevede che i rapporti di lavoro subordinato che non sono inerenti all'esercizio di
un'impresa sono regolati dalle disposizioni delle sezioni II, III e IV del capo I del titolo II, in quanto
compatibili con la specialità del rapporto. Tuttavia, mentre per le generali tutele previste dal cc
non si sono posti particolari problemi di compatibilità, è stato lo stesso legislatore, nelle leggi
speciali, a disciplinare in modo di erenziato il rapporto di lavoro con datori non imprenditori,
generalmente escludendo i lavoratori dipendenti da determinate tutele, in ragione della
particolarità dei rapporti. Il lavoro domestico, che ha per oggetto l'opera svolta per il
funzionamento della vita familiare e la cui disciplina prevede ancora oggi la possibilità di
licenziamento ad nutum, ossia non necessariamente assistito da giusta causa o da giusti cato
motivo.
Le organizzazioni di tendenza (sindacati, partiti politici, etc.), caratterizzate dal ne ideologico, per
le quali la tutela contro i licenziamenti subisce delle deroghe, anche se, per i lavoratori assunti a
partire dal 7 marzo 2015, il d.lgvo 23/2015 ha esteso lo stesso regime di tutela in caso di
licenziamento invalido dettato per gli altri datori di lavoro, e per no la tutela reintegratoria.

IL RAPPORTO DI LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE


Mentre la disciplina del lavoro alle dipendenze degli enti pubblici economici è quella del lavoro
privato (art. 2093 cc), il rapporto di lavoro con lo Stato e con gli enti pubblici non economici è
stato per lungo tempo disciplinato da un corpo normativo separato, appartenente al diritto
amministrativo.
L'art. 2129 estendeva la disciplina del lavoro nell'impresa anche ai dipendenti pubblici, ma con
salvezza di una diversa regolazione di legge, che, in e etti, esisteva e trovava la sua base nel
d.p.r. 3/1957.
Il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti trovava fondamento, non in un contratto, ma in un
provvedimento amministrativo ed il pubblico dipendente era assoggettato ai poteri di supremazia
speciale della pubblica amministrazione in ragione del perseguimento dell'interesse pubblico. Le
controversie erano riservate alla giurisdizione del giudice amministrativo.
La situazione è radicalmente mutata con la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego
che, accanto al pieno riconoscimento della loro regolazione (anche) attraverso il contratto
collettivo, ne ha sancito l'attrazione nel diritto privato.
In base al d.lgvo 29/1993, poi con uito nel T.U. sul pubblico impiego, anche il rapporto di
pubblico impiego trae origine da un contratto ed è disciplinato dalle disposizioni del Capo I, titolo
Il, del libro V del cc e dalle leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa “fatte salve le diverse
disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere
imperativo”.

L'interesse pubblico, che connota il funzionamento della pubblica amministrazione, tradotto


primariamente nell'art. 97 Cost., ha determinato evidenti scostamenti dalla disciplina privatistica,
vuoi nella fase di costituzione del rapporto per il quale la regola è il concorso pubblico (ex art. 97),
vuoi per l'accesso ai contratti di lavoro essibili, vuoi nella disciplina del rapporto di lavoro per
quanto riguarda istituti centrali (mansioni, potere disciplinare, licenziamento, etc,).
Anche per quanto riguarda il trattamento economico, discussa è la possibilità di discostarsi dalle
disposizioni del contratto collettivo. In ne, con la privatizzazione, le controversie sono state
devolute al giudice ordinario, tranne che per le controversie in materia di concorsi per
l'assunzione. Nonostante l'avvenuta privatizzazione, dunque, la natura pubblica del datore di
lavoro continua a condizionare sensibilmente la disciplina del rapporto. Di qui la sua comune
ascrizione ai rapporti di lavoro speciali.

IL LAVORO NELLE SOCIETÀ PUBBLICHE


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Le società pubbliche, ossia le spa in cui detengono partecipazioni lo Stato o gli enti pubblici (art.
2449), sono considerate datori di lavoro privati e, come tali, intrattengono con i propri dipendenti
rapporti di lavoro di diritto privato.
Tuttavia, allo scopo di evitare assunzioni clientelari, l'art. 18 d.l. 112/2008, già aveva previsto per
le società a totale partecipazione pubblica che gestivano servizi pubblici locali l'obbligo di
adottare criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel
rispetto dei principi sanciti, in relazione al pubblico impiego, dall'art. 35 d.lgvo 165/2001 (quali
pubblicità della selezione, imparzialità, meccanismi oggettivi e trasparenti, rispetto delle pari
opportunità tra lavoratrici e lavoratori, decentramento delle procedure di reclutamento,
composizione delle commissioni con esperti di provata competenza nelle materie di concorso).
La medesima disposizione stabiliva, inoltre, per le altre società a partecipazione pubblica totale o
di controllo (escluse le società quotate su mercati regolamentati), che le stesse dovevano adottare
criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto
dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità (art. 18).
La violazione di tali previsioni determinava la nullità del contratto di lavoro per violazione di norme
imperative, con applicazione del regime di cui all'art. 2126 c.c.
L'art. 18 d.l. 112/2008 è stato abrogato dal d.lgvo 175/2016 (T.U. in materia di società a
partecipazione pubblica), che ne ha cmq riproposto i contenuti prevedendo che le società a
controllo pubblico (comprese le società in house, a datarie di un servizio pubblico con controllo
da parte dell'ente a dante analogo a quello esercitato sui propri u ci) stabiliscono, con propri
provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche
di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'art. 35
d.lgvo 165/2001.
La stipulazione di contratti di lavoro in assenza di tali procedure ne comporta, come in
precedenza, la nullità, con applicazione dell'art. 2126.
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DIRITTO SINDACALE

Cosa è? Gli aspetti collegati all’organizzazione generale dello stato e quindi al diritto
costituzionale si fanno più pressanti-> un pezzo importante è dato dalle norme che riconoscono
un ruolo al sindacato = appartiene questo ruolo allo ius gentium, parte del diritto internazionale
che viene a costituire oggetto non di norma pattizia ma di norma fondamentale ( contenuti= tutela
della dignità, divieto del lavoro schiavistico ecc). Il diritto sindacale va inteso sia per le
associazioni di lavoratori che di imprese.

L’organizzazione internazionale del lavoro, fondata nel 1919, nel 1998 ha proceduto ad una
ricognizione delle norme il cui rispetto viene ad essere richiesto per essere stati membri
dell’organizzazione = serie di principi che, impegna i singoli stati all’impegno di queste norme
all’interno degli ordinamenti. Come si fa a garantire che negli ordinamenti esteri vengano
rispettati?

Il riconoscimento della libertà sindacale è importantissimo, fa crollare gli stati.

Nella nostra costituzione si trova il rilievo che essa da alla libertà sindacale: la nostra costituzione
fa di tuto per moltiplicare i centri decisionali.
Il sistema dell’800-> pervasività dell’ordinamento= non esistevano diritti inviolabili, i diritti erano
posti dall’ordinamento.

L’ordinamento inter-sindacale = viene ad essere riconosciuto, non è collocato nei diritti


fondamentali. Serve ad evitare un’aspetto importante: è corretto che in un rapporto contrattuale si
ingerisca il potere dello stato imponendo altri limiti? Ci sono limiti all’interno della costituzione ?
In realtà il nostro sistema costituzionale al parlamento non attribuisce un potere cosi di dettaglio->
c’è l’esigenza di regole di erenziate-> se leggiamo la costituzione, non dice che il parlamento
deve normare in dettaglio ogni aspetto = a questi aspetti deve provvedere la contrattazione
collettiva. Il parlamento non può sia per la miriade di situazioni, per la di erenza di imprese e,
sarebbero richieste innovazioni continue.

Art. 39-> soluzione ma non ha trovato nessuno sviluppo pratico, non è mai stata attuata= è lettera
morta poiché ancora oggi non è presente una legge sindacale (quasi sistema common law).

Cosa prendeva ? Una sorta di cooptazione del sindacato all’interno delle fonti del sistema di
diritto positivo-> si trova nel codice civile nelle preleggi-> norme corporative erano una delle fonti.

Norme corporative-> i contenuti degli accordi collettivi che nel regime fascista erano attratti nel
diritto diritto positivo, le legge quindi, poteva rinviare ai regolamenti collettivi.

Perché poi non ha trovato attuazione pratica ?


- piaceva al regime fascista = già nel 1925 aveva un controllo totale sia delle associazioni degli
imprenditori ma anche il sindacato -> il contratto collettivo è una mera attività esecutiva->
portata generale, con carattere di imperatività-> si ha una regolamentazione di dettaglio;
- Quando si cerca di democratizzare questo sistema fascista, tramite la costituzione con il
principio della maggioranza -> art. 39 comma 2= organizzazione sindacale libera, ma se si crea
una spaccatura nelle trattative, il criterio prevalente è il criterio maggioritario, la maggioranza;
- Questo sistema non trova applicazione nell’Italia repubblicana -> quando si scrive la
costituzione il sindacato italiano era unitario- nei primi del 900 votava una parte modesta dei
cittadini, il 5%, avevamo il sindaco bianco (DC), e il rosso (socialismo). Nel 47 è unitario ->
cattolici, socialisti e comunisti: questa unione era di facciata, al primo momento possibile si
spezza -> rosso VS bianco, torna quindi a dividersi dopo l’attentato Togliatti. Abbiamo poi la
guerra fredda-> l’obbedienza del partito comunista diventa sovietica=un sindacato contrario
alle forze di governo. Questa contrapposizione tra sindacato che si è spezzato e governo
impedisce all’art. 39 di funzionare-> ma anche se si applicasse, la CGL (che sarebbe quella
maggioritaria) è interessata all’applicazione dell’articolo 39? No-> 1. C’è una maggioranza in via
di fatto, ha un largo controllo; 2. Il controllo sugli iscritti al sindacato potrebbe avvenire in
un’epoca dove il diritto alla privacy non esistesse-> è segreto per evitare il Black listing
americano. Quindi nessuno vuole l’applicazione dell’art. 39 -> i partiti perché ci sarebbe
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un’ulteriore fonte e, la CGL perché non pensa id averne bisogno. Oggi, viviamo in una
situazione di incertezza.

Quindi->Il contratto collettivo in origine-> in assenza di democrazia parlamentare: fonte del


diritto, statualizza il fenomeno sindacale, lo incorpora nell’apparati dei pubblici poteri e, lo
controlla (sistema di dittatura, non c’era bisogno di forme giuridiche, era un sistema bloccata).
Repubblica-> costituzione-> il contratto collettivo che si impone a tutti come una legge lascia
delle perplessità ( il sistema i contrattazione collettiva nazionale viene dopo)-> aspira ad essere
regola generale ( nasce insieme allo sciopero che, rappresenta il controllo del mercato), per
evitare l’applicazione di leggi di mercato, non si vuole che il salario sia considerato al pari delle
altre merci.

Come acquisisce questo valore generale ? La costituzione indica la strada ( art. 39) ma, non c’è
l’agibilità politica, il consenso, quindi-> nel 1959, il legislatore del tempo, prende atto che l’art. 39
non otterrà attuazione e, adotta un sistema praticato in Francia-> il parlamento delega il governo,
lo autorizza ad emanare un provvedimento che trasformi i contratti i collettivi in legge dello stato =
raccolti e pubblicati in gazzetta u ciale, allegati ad un decreto-> replicata al tempo del COVID.
Cosi sono vincolanti poiché il parlamento ha dato la delega di trasporre in legge i contratti stessi
-> hanno e cacia erga omnes. Nel 1960 la legge viene replicata, poiché nel frattempo sono stati
stipulati altri contratti collettivi. Ma, gli imprenditori insorgono : corte costituzionale-> deve
decidere della legittimità di una legge che aggirando la previsione costituzionale raggiunge l’erga
omnes. Si mette in luce che non si può creare un sistema alternativo, l’e etto dell’erga omnes va
messo in piedi ex art. 39 Cost. La corte si esprime: la legge del 59 la considera
costituzionalmente legittima, rileva la contrarietà ma fa valere lo stato di emergenza, quindi mette
in luce che la deroga in questo caso sia attuabile ma, ciò che è eccezionale non può essere
ordinario-> legge del 1960 incostituzionale. I contratti hanno e cacia erga omnes ma solo quelli
del 1959 = contenuto modesto. Rarissime volte questi decreti vengono richiamati-> unico caso :
la tredicesima mensilità ( non obbligo di legge ma previsto dei contratti collettivi recepiti nel 1959).
Quindi la corte-> no altre vie per le nalità del 39.
Dibattito : come è possibile quindi fare dei contratti collettivi ? Quelli stipulati che valore hanno?
In Inghilterra il contratto collettivo addirittura è considerato come un’accordo tra gentiluomini, non
ha valore giuridico. La dottrina elabora la tesi attuale: nel nostro sistema non esistono solo i
contratti tipici, regolati analiticamente, tipizzati dal codice civile ma, anche quelli atipici-> accordo
tra le parti ha un valore vincolante purché sia diretto a regolare interessi meritevoli di tutela -> in
questo caso è l’interesse alla disciplina direttiva dei salari-> principio generale 1321 e 1322 c.c.
Quindi, il contratto collettivo:
- è fonte di obbligazione, le parti si impegnano e la loro volontà è di riconoscere il sorgere di
un’obbligazione;
- Non è uno schema stratto ma è un’atto negoziale;
- Può essere direttamente invocato di fronte la giudice in quanto atto produttivo di diritti.
Questo prospetto lascia aperto un problema-> se è un’atto privatistico ha portata generale ?
Contratto collettivo senza e cacia erga omnes-> condizione attuale, essendo un’atto privatistico,
limita la sua e cacia ai soggetti che di quel negozio sono parti-> come si dichiarano parti ? Non
si deve guardare al sindacato ma, alle imprese, alle associazioni datoriali -> un’elenco dei propri
iscritti lo hanno. Ci muoviamo nell’ambito della teoria del mandato -> associazione che siede al
tavolo delle trattative rappresenta gli iscritti ma-> secondo problema: inderogabilità del contratto
collettivo, atteso che il contratto collettivo si applica è inderogabile o no?-> l’art. 39 non si occupa
di inderogabilità, quindi vuol dire che la materia può essere lasciata al legislatore ordinario. La
norma sull’inderogabilità l’avevamo nel c.c.-> 2077: ha un vizio, è rimasto invariato dal 1942->
sembrerebbe potersi applicare solo ai contratti collettivi del periodo fascista. Come si reagisce a
questa incerta applicazione del 2077 ? Si è assistito alla riforma la norma, 2113 c.c., in tema di
rinunzie e transazioni-> non sono valide le rinunzie che il lavoratore fa ai propri diritti, non può
disporre dei diritti (per esempio del livello del salario, l’eventuale accordo in cui rinuncia ad una
quota di salario è invalido-> nella maggioranza dei casi è nullità). È inderogabile nel senso che il
contenuto del contratto collettivo, una volta che lo applicano, lo devono rispettare.

Di recente-> con il Covid si è posti il problema della eventuale disapplicazione di norme


costituzionali a fronte di situazioni straordinarie: la corte tende a fare ricorso a questa clausola in
casi eccezionali ma, in materia di prescrizioni sanitarie il parlamento non è stato in grado di
individuare un protocollo di pro lassi ma lo ha delegato alla contrattazione collettiva -> decreto
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legge che in allegato aveva un contratto collettivo-> chi lo abroga ? Una nuova legge o la
contrattazione collettiva è abilitata a modi care ciò che è nato come accordo? Il contenuto
materiale del contratto diventa quindi una legge o no e rimane un contratto collettivo? Il prof
pensa che rimanga un contratto.

Quindi, il contratto collettivo è un’atto di diritto privato= e cacia inter partes, si fonda sulla
capacità del sindacato di imporre il contratto collettivo alle imprese-> come fa? Azione davanti al
giudice +lo sciopero diretto ad ottenere il rispetto della norma.
E’ tipizzato nella realtà sociale ma produttivo di e etti -> mira ad avere una portata generale -> in
via di fatto si avvicina all’obbiettivo di una vincolatività generale ma, soprattutto, mira a non
essere smentito una volta applicato, quindi che venga rispettato nella sua interezza=
inderogabilità, e etto che non si può far derivare dal diritto civile generale, ma è qualcosa di tipico
del diritto del lavoro. L’accordo con il quale il lavoratore rinunzia ad una parte del suo salario non
è valida. Spesso queste rinunzie sono collegate ad un accordo più ampio, prendono la veste della
transazione :art. 2113 rende invalide sia le rinunzie ma anche le transazioni.

Se l’impresa è in crisi ed necessario ridurre i salari ?


-2113, ultimo comma: siccome l’inderogabilità è un valore importante-> se l’accordo che prevede
le rinunzie viene sottoscritto davanti ad un magistrato o in una sede protetta, viene ammessa la
derogabilità= c’è un controllo sul contenuto + non ci deve essere estorsione. E’ possibile
l’impugnazione ex post;
- Spesso si chiama il sindacato e si negozia un’altro contratto collettivo-> accordo collettivo
dismissivo

L’inderogabilità non è assoluta ma i due strumenti sono tesi per evitare che il datore di lavoro
possa appro ttarne.

Contratto collettivo -> atto di autonomia privata, aspirazione di portata genere ma rimane privato.
Il suo ambito di applicazione->segue i principi del mandato, ma abbiamo inoltre la caratteristica
della inderogabilità delle sue previsioni (distinzione rispetto ad altri tipi di contratto, 2113 fonda la
sua specialità).

Sindacati di comodo-> vietati, direttamente nanzianti o indirettamente incentivati dal datore di


lavoro-> non è genuinamente antagonista. Il divieto è un principio più teorico che reale, estremo.

Può in sede aziendale rimettersi in discussione quello pattuito a livello nazionale?

Le regole del contratto collettivo sono stabilite per tutti: una necessità di adattamento ci vuole, c’è
una qualche di erenziazione. I contratti collettivi hanno infatti spesso un ambito molto ampio.

Come si realizza questo adattamento? Dipende dalle evoluzioni del tempo: momenti dove il
contratto collettivo aveva regole molto dettagliate sia momenti dove su certi aspetti si diceva “in
sede aziendale si vedrà la soluzione”-> la più logica ma, se lascia delle parti in bianco, obbliga
l’impresa ad avere dei rappresentanti dei lavatori in sede aziendale, quindi non è amato per nulla
-> in italia non è cosi, l’obbligo di avere una rappresentanza dei lavorati non c’è.
L’imprenditore preferisce il contratto collettivo, ma in verità c’è una resistenza bilaterale-> nei
contratti collettivi regolamentazione conclusa e piena ma, il problema è una deroga mediante un
contratto aziendale, che è un contratto collettivo, che regola diversamente la materia.

Germania: obbligo dai 5 dipendenti in su

L’antagonismo delle parti è lasciato allo stato bravo-> italia paese liberale-> antagonismo non
istituzionalizzato-> negli ultimi anni: enti bilaterali per istituzionalizzare.

Quindi, che succede se l’azienda vuole derogare alla norma del contratto collettivo nazionale?
Può farlo?
-1960= sfavore, di denza sull’idea del contratto aziendale
-oggi, ultimi 2 decenni-> la forma di adattamento è indispensabile, prendendo atto di
un’indebolimento della presenza sindacale. Il contratto aziendale -> diventa contratto di
prossimità (pag 38 e 50 ), art. 8 d.l. 138 del 2011: il vincolo di inderogabilità non vale tra due
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contratti collettivi-> contratto aziendale = contratto collettivo-> in sede aziendale la regola, come
un’altro contratto collettivo, può essere modi cata.

Con itto-> contratto aziendale e collettivo-> prevale l‘aziendale purché sia sottoscritto sulla base
del principio maggioritario.

Art. 8 d.I. 138 del 2011 - contrattazione "di prossimità"


1. contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni del
lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro
rappresentanze sIndacali operanti in azienda al sensi della normativa di legge e degli accordi inter
confederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale de 28 giugno 2011. possono realizzare
speci che intese con e cacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere
sottoscritte sulla base di un criterio maggIoritario relativo alle predette rappresentanze
sindacali, nalizzate alla maggiore occupazione, alle qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di
forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione de lavoro irregolare, agli incrementi di
competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agi investimenti e
all'avvio di nuove attività-> recentemente la cassazione si è pronunciata: formula troppo vaga

2. Le speci che intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti
l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:

a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;


b) alle mansioni del lavoratore, alla classi cazione e inquadramento del personale
c) al contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o essibile, al regime della
solidarietà negli appalti e al casi al ricorso alla somministrazione al lavoro
d) alla disciplina dell'orario di lavoro;
e) alle modalità dl assunzione e discIplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni
coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione del
contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il
licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il
licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza no al termine dei periodi di
interdizione al lavoro, nonché no ad un anno di eta' del bambino, il licenziamento causato dalla
domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della
lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o
a damento

2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché' i vincoli derivanti dalle normative
comunitarie e dalle convenzioni Internazionali sul lavoro, le speci che intese di cui al comma 1
operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal
comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro-> 1\2
comma regola sostituita con una a livello aziendale, qua, si dice che addirittura il contratto
aziendale può modi care la legge, deroghi alla legge (salva la costituzione, ue, convenzioni
internazionali).

Scritta dal parlamento: con ndustria ha detto di non essere interessata, non si avvarranno di
questa situazione ma, nella realtà è rimasta lettera morta questa dichiarazione.

Si ritiene che questa deroga si articoli in una sorta di doppio comando-> il contratto collettivo
viene ad essere incorporato come fatto produttivo di e etti.

Accordi gestionali-> datore di lavoro concorda con il sindacato quale sarà l’esercizio dei suoi
poteri (poteri gestionali), comunissimo nell’impiego pubblico.

Se il governo deve emanare una norma di legge e chiama il sindacato = dichiarazione congiunta o
protocollo, che valore ha ? Problema che investe il diritto costituzionale-> questa prassi si
de nisce “concertazione” o altri parlano di “neo-corporativismo”, il governo concerta con il
sindacato le misure in alcuni casi amministrative, legislative quasi sempre. E’ lecito che il governo
concordi con il sindacato le proposte che farà al parlamento? Non è illecito, queste prassi sono
di use in altri paesi europei ( TFUE regolano queste ipotesi ); in costituzione c’è un’organo di
incontro tra i rappresentanti dei settori produttivi-> art. 99, consiglio nazionale dell’economia e del
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lavoro, CNEL (può formulare proposte di legge-> se viene ad essere formulata sulla base di
accordo diretto tra governo e sindacato cambia poco); il governo convoca il sindacato a palazzo
Chigi, e non decide dia solo perché ? I governi italiani sono di coalizione per il 99%-> il governo
ha una legittimazione popolare ma derivante da una coalizione, quindi l’interlocuzione con il
sindacato ra orza il governo stesso= il risultato condiviso sopravvive alle incertezze dei governi+
lo convoca, poiché il sindacato ha un potere di proclamare lo sciopero, potere che ha pochissimi
limiti-> quindi viene convocato anche per evitare lo sciopero (poiché lo dichiara)-> in Italia infatti lo
sciopero politico è ammissibile.
Quando questi protocolli hanno un vero e proprio contenuto-> accordi interconfederali.

3 livelli di contrattazione collettiva:


-contratto collettivo nazionale di lavoro -> stipulato dai sindacati di categoria, sottoscritto da
associazioni datoriali (CONFINDUSTRIA, CONFCOMMERCIO, CONFAGRICOLTURA E
CONFARTIGIANATO) e dei lavoratori ( CGIL, CISL, UIL-> di erenze antropologiche, cattolica Cisl,
marxismo Cgil, sinistra\laico Uil). Livelli: aziendale, delle singole aziende, territoriale (raro),
confederale ( all’interno del sindacato si ha un’organizzazione confederale: i singoli contratti
vengono sottoscritti dalla categoria, ma ci sono materie che interessano tutti i lavoratori, in quelle
interviene la confederazione (CGIL-> confederazione..; CISL, UIL-> associazioni di associazioni,
quindi confederazioni);

Libertà sindacale e rappresentanza dei lavoratori in azienda:


Art. 39 comma 1-> libertà sindacale-> norma autoapplicativa, libertà positiva e negativa ( in
passato la parte negativa era stata oggetto di valutazioni). Come norme di diritto internazionale
convezione 98 e 87.

A chi si applica questa libertà? La dottrina ha precisato: i lavoratori, autonomi ( più o meno, non
fanno un contratto collettivo) e subordinati, pubblici (non omogeneo: polizia non può, militari
possono costituire sindacati, magistrati -> è consentita la costituzione di associazioni)

Rappresentanza lavoratori in azienda -> 1960\70 -> la libertà sindacale si esercitava fuori dai
locali di lavoro, non si imponeva al datore di avere una presenza sindacale in azienda. Nella
prassi, le imprese più grandi, avevano forme di rappresentanza dei lavoratori-> elette dai
lavoratori, avevano poteri in alcuni casi di intermediazione tra datore di lavoro e lavoratori, in altri
casi molte decisioni datoriali passavano per loro. Fino al 69 quindi non si ha l’obbligo di avere
nessuna forma di rappresentanza per legge-> poi, fenomeno sociale di movimento, contestazione
che investe le basi e i rapporti di gerarchia: si concretizza nell’autunno caldo-> legge che riprende
la legge sindacale abbandonata nel 59, statuto dei lavoratori, norme a tutela della libertà e dignità
dei lavoratori, con l’opposizione del partito comunista= la parte relativa alla rappresentanza
aziendale è stata modi cata: 3 parti-> 1. Diritti individuali, attengono alla dignità del lavoratore,
limitazione di controlli polizieschi (1-11); 2. 14-17, no discriminazioni, a tutti i lavoratori, quale sia il
sindacato ; 3. Dal 19 in poi-> tutelato non il sindacato in forma astratta ma, sindacato
maggiormente rappresentativo.

Ora-> Il sistema italiano no al 70 non aveva una norma obbligatoria che rappresentasse una
forma sindacale in Italia. Un accordo che prevedeva per imprese che superavano una soglia
dimensionale.
Portava ad eleggere lavoratori che erano rappresentanti di reparti produttivi molto numerosi,
questi erano i più anziani ad essere preferiti. Un’impresa con migliaia di addetti che aveva numeri
molto modesti.

Nell’autunno del 69 la contestazione investì anche queste forme di rappresentanza. La


rappresentanza era di tutti i lavoratori. Questa forma di rappresentanza viene investita dalla
contestazione. Queste commissioni interne vengono travolte, diventano una sorta di canale che
quasi si avvicina al sindacato di comodo.
Questi movimenti propongono una forma di appropriazione che è comune, in cui la
manifestazione era l’ assemblearismo, che la partecipazione individuale fosse un elemento che
ra orzava la democrazia.

Forme di rappresentanza spontanea: le idee di un gruppo dovevano essere condivise per


acquistare forza; una sorta di rappresentanza dal basso. Incanalare questa rappresentanza in
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forma istituzionalizzata. Il titolo secondo e terzo rende obbligatoria questa forma per le imprese
con più di 15 dipendenti.
Era un rapporto esterno all azienda, bisogna essere dipendente all’azienda e appartenere alla
comunità.

Che diritti vengono riconosciuti a questo sindacato?


Non viene riconosciuto alcun diritto speci co a trattare una materia.
Non c’era un diritto ne a sottoscrivere un contratto ne a fare una trattativa. -Esempio America
imprese carbo-siderurgiche: avevano all’interno dell’organo decisionale dell’impresa un
rappresentante dei lavoratori.
In Italia questa rappresentanza non aveva il diritto di sapere quali fossero
Diritto all a ssione dei sindacati in bacheca, permessi retribuiti ecc.
c’era poi un diritto di azione a tutela
La logica dietro questa operazione era che le forze di governo si resero conto che non si doveva
perdere la parte migliore di questa richiesta di partecipazione, che se non fosse stata
istituzionalizzata si sarebbe poi persa.
Unire sindacato e movimento, per fare entrare il movimento in una realtà fattuale.
Dobbiamo promuovere la presenza del sindacato in azienda. Che sia responsabile e capace di
farsi interprete dell’interesse collettivo e di avviare una fase di confronti con l’impresa, quello deve
essere il sindacato che va promosso.
Cosa prevedeva art. 19 statuto lavoratori? 300/1970
“Rsa (tutti i lavoratori) possono esser costituite ad ogni iniziativa dei lavoratori in ogni produttività”
(è chiaro che il sindacato è un fenomeno associativo)
Il sindacato è un associazione dei lavoratori. Un conto è la rappresentanza sindacale; un’altro è la
rappresentanza dei lavoratori.
Per potersi dichiarare rappresentante di altri lavoratori ha bisogno di altre elezioni. Qui non vi è
elezione, vi è un soggetto che rappresenta un sindacato
Se i sindacati sono 3 ci sono 3 rappresentanti di questi, se sono 31 ci saranno 31 rappresentanti.
Non ci può essere un rappresentante per due sindacati.
I sindacati possono essere costituiti per ogni iniziativa per ogni unità produttiva. All’interno della
rappresentanza ci poteva essere un‘unità produttiva.

Chi sono i soggetti che hanno titolo di costituire questa rappresentanza?

Forma di sindacalismo sempli cata di accesso: necessaria una manifestazione di volontà “delle
associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.
Questi sindacati di categoria a) devono aderire a confederazioni che devono essere
rappresentative sul piano nazionale signi ca che dovevano appartenere ad una delle tre grandi
confederazioni CGL, CSL, UIL.
Forma di sindacalismo autonomo: questa era un autonomia dalla politica, erano sindacati non
ideologicamente sviluppati, come la scuola, la sanità, e tutti quei servizi dove la volontà sindacale
si alterna. Questi sindacati autonomi nascono da fratture all’interno del sindacato federale.
Se non c’è la lettera a, l’importante è che b) “le associazioni sindacali, che siano rmatarie di
contratti collettivi di lavori applicati nell unità produttiva”
Siamo ne anni 70
Negli anni 80 questi permessi sindacali si moltiplicano perché piacciono.
C’è un divieto di trasferire il rappresentante sindacale senza il permesso del sindacato. C’è una
tutela ra orzata sul piano dell art. 18.
Siccome questi rappresentanti sindacali non avevano limiti.
I sindacati della lettera b dell art 18 vengono sempre meno.
Negli anni 90 si propose un referendum abrogativo per L art 19. Hanno abrogato solo la lettera a,
e una parte della b. La corte ha ammesso sia l’ipotesi maggioritaria che minoritaria. I giuristi
preoccupandosi che l’ipotesi della quasi totale cancellazione (maggioritaria) non fosse ammessa,
per proporre la minoritaria, non si sono resi conto delle conseguenze di questo secondo
referendum.
La norma nella formulazione attuale vede lo stesso articolo 19 senza la lettera a).
Dal 29 luglio 1995 i sindacati autonomi non avevano più la maggiore rappresentatività.
Si è passato da un sistema in cui la rappresentatività è presunta, ad una rappresentatività
e ettivamente realizzata.
La sentenza del 2013.
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Oggi, L’ art 19 è stato riscritto e la legittimità della scrittura appare paci ca. Non c’è più
l’approvazione del sindacato rappresentativo, ma c’è maggiormente il diritto dei lavoratori alla
rappresentanza sindacale. Non c’è la necessità che queste associazioni aderiscano alle
associazioni.

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