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FRATELLANZA
Con il patrocinio
dell'Higher Committee of Human Fraternity
COLLANA
ACCÈNTI
L’accento cade su una parola chiave proponendo oggi riflessioni del passato,
creando connessioni e svelando motivazioni lontane. La nostra speranza:
riproporre testi da leggere col senno di poi per capire meglio il presente.
www.laciviltacattolica.it
© 2020 La Civiltà Cattolica, Roma
I edizione - gennaio 2020
SOMMARIO
1 PREFAZIONE
Card. Miguel Ángel Ayuso
4 PRESENTAZIONE
Antonio Spadaro S.I.
DOCUMENTI
TESTIMONIANZE
liari Nostra Aetate sul rapporto tra la Chiesa e i credenti delle altre
religioni e Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, temi e docu-
menti che sono strettamente legati l’uno all’altro, e hanno permesso
a san Giovanni Paolo II di dare vita a incontri come la Giornata
mondiale di preghiera per la pace ad Assisi il 27 ottobre 1986 e a
Benedetto XVI, venticinque anni dopo, di farci vivere nella città di
san Francesco la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace
e la giustizia nel mondo Pellegrini della verità, pellegrini della pace».
Pertanto l’impegno della Chiesa cattolica per il dialogo inter-
religioso che apre le vie della pace e della fraternità, fa parte della
sua missione originaria e affonda le sue radici nell’avvenimento
conciliare.
In tutto il Documento di Abu Dhabi traspare la convinzione
2
che tutti insieme si possa e si debba ancora lavorare con coraggio e
fede per recuperare la speranza in un nuovo futuro per l’umanità.
E’ indubbiamente un Documento impegnativo, direi un punto di
non ritorno, che richiede riflessione, studio e che ci impegna nella
sua diffusione.
Il Documento in sé pur essendo nato, come ha ben spiegato il
Santo Padre, da una lunga e attenta riflessione comune in ambito
musulmano e cattolico, non ha nulla che non possa essere condiviso
da altri. Si tratta di un invito concreto alla fratellanza universale che
riguarda ogni uomo e ogni donna.
Non è infatti un caso che il Santo Padre, durante il Suo Viaggio
Apostolico in Thailandia e in Giappone (19-26 novembre 2019),
abbia voluto condividere i temi presenti nella Dichiarazione di Abu
Dhabi e fare riferimento ad essa. Ad esempio, durante la visita in
Thailandia, papa Francesco, regalando al Patriarca buddista una co-
pia della Dichiarazione sulla fratellanza umana, ha auspicato che fra
i fedeli delle due religioni, cristianesimo e buddismo, si lavorasse
insieme a iniziative concrete sulla via della fraternità dicendo che:
«in questo modo contribuiremo alla formazione di una cultura di
compassione, di fraternità e di incontro, tanto qui come in altre
parti del mondo» (Visita al Patriarca Supremo dei Buddisti, Bangkok,
21 novembre 2019). E sulla «cultura della compassione» ha ugual-
mente insistito durante gli incontri in Giappone.
FRATELLANZA
3
FRATELLANZA
PRESENTAZIONE
***
***
***
FRATELLANZA:
LA SFIDA ALL’APOCALISSE*
15. Cfr ivi, 55; G. Zamagni, «“Tra Costantino e Hitler”. L’Europa di Friedrich
Heer», in Id., Fine dell’era costantiniana. Retrospettiva genealogica di un concetto critico,
Bologna, il Mulino, 2012, 55-57.
16. F. Mandreoli - J. L. Narvaja, «Introduzione», in E. Przywara, L’ idea
d’Europa. La «crisi» di ogni politica «cristiana», Trapani, Il Pozzo di Giacobbe, 2013,
55.
FRATELLANZA
***
© La Civiltà Cattolica 2019 IV 529-540 | 4068 (21 dic 2019/4 gen 2020)
FRATELLI NELLA BIBBIA
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Il libro della Genesi
1. Cfr L. Alonso Schökel, Dov’è tuo fratello? Pagine di fraternità nel libro
della Genesi, Brescia, Paideia, 1987.
LA FRATELLANZA NELL’ANTICO TESTAMENTO
far sua la storia che l’attraversa, manca alla propria vocazione, non
meno di colui che cerca il contatto con il mondo per perdervisi, o
che subisce il contatto con il mondo in modo da esserne conquistato
e assimilato. Di fatto, i più si lasciano assimilare, e le «tribù» sono
davvero «perdute».
Chiusura nel ghetto, oppure remissività nelle mani dei coloniz-
zatori: queste due false forme di fraternità sono in contrasto soltanto
in superficie, ma concordano nel fondo; entrambe dicono che la
vocazione a essere testimoni in mezzo ai pagani, con un rapporto di
parità o più spesso d’inferiorità, è troppo difficile, ed è lecito, o per-
fino doveroso, disimpegnarsene. È questa la tesi che il libro intende
esplicitamente negare, con una concatenazione il cui punto fermo
è l’originaria condizione di fratellanza tra chi appartiene davvero al
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popolo di Dio.
L’apparente impotenza di Dio è una prova durissima per chi gli
è fedele. In concreto, la prova si esprime come condizione di pover-
tà: l’uomo di Dio ha perso tutto, perfino – si direbbe – l’appoggio
di Dio (2,14). Egli tuttavia non si stanca, non si tira indietro, perché
comprende che la prova è misteriosamente connessa con quanto
sa circa la propria inattendibilità di uomo di Dio (3,1-6), e quindi
l’unica risposta è la fede. Ma quest’ultima – ecco la novità del libro
– in un contesto di prova si esprime con un impulso invincibile di
fraternità.
Momento principale del racconto è appunto quello in cui due
israeliti, congiunti da un vincolo di sangue, e quindi «fratelli», ri-
masti fedeli a Dio e alla loro condizione di fratelli durante una prova
dolorosa e umiliante, rivolgono al Signore l’invocazione del povero;
e pur senza sapere nulla l’uno dell’altro, la rivolgono insieme, in un
medesimo istante, accomunati di fronte a Dio nella prova e nella
preghiera (3,7-17), e più tardi nella salvezza che li raggiunge tramite
un «fratello».
L’incontro tra il vecchio Tobi e Sara, due personaggi che sem-
brano così lontani e diversi tra loro, avviene nella preghiera, ma si
radica in quel vincolo di sangue, non si sa quanto remoto, che li
rende fratelli. Un incontro invisibile, inconsapevole, ma assoluta-
mente reale, com’è provato dal suo progressivo trasformarsi in in-
contro concreto. Attraverso Sara, Tobi vedrà – lui che ora è cieco
FRATELLI NELLA BIBBIA
3. Cfr Tb 1,14.21; 2,10; 3,15; 4,12; 6,18 (cod. S); 7,1 (S).2 (S).7 (S).10 (S).12; 10,13.
4. Cfr Tb 1,3.5 (cod. S).10.16; 2,2.3 (S); 4,132; 5,5 (S).6.9 (S).10 (S).11
(S).11.12.13.14.143 (cod. B e A).142 (S).172 (S); 6,7. 11.132 (S).14.16; 7,12 (S).3.4.6 (S).9.11 (S);
9,2; 10,6 (S); 11,2 (B e A).18 (B e A); 14,4 (B e A).7 (B e A).
5. Questo soprattutto nel codice Sinaitico: Cfr Tb 5,22; 6,19; 7,9.122; 8,21;
10,6.13. Per gli altri codici, cfr 7,15; 8,4.7.
LA FRATELLANZA NELL’ANTICO TESTAMENTO
Il figlio: un fratello
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La fraternità
Fratellanza e solidarietà
non di appartenenza spirituale, nel quale ha rilievo non ciò che Dio
ripropone a ogni nuova età, a ogni tornante della vita, ma ciò che
risulta acquisito da una somma di precedenti più o meno positivi.
Appartenere a una storia di deportati significa per Tobi solidariz-
zare con i peccatori, pur senza averne condiviso il peccato (1,10): è
questa la condizione per salvarli. Tobi diviene così una figura che ha
davanti a sé un avvenire illimitato e trascendente: egli è immagine
inconsapevole di Gesù Cristo, alla pari di ogni uomo che sia cor-
dialmente fedele alla voce di Dio che lo ha chiamato.
In una così tragica esperienza di fraternità, non mancano mo-
menti di distensione, di successo (1,12-15). Tutto sta nel saperli vive-
re come provvisori, senza sacrificare nulla di essenziale nel tentativo
di stabilizzarli, di renderli durevoli e permanenti. La solidarietà in
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cui si prolunga la fratellanza raggiunge tutti i possibili interlocuto-
ri, tutti gli attimi di verità che gli uomini, quale che sia il loro pas-
sato, si trovano a vivere. Ed è solidarietà ricevuta (1,13.21-22), non
meno che solidarietà offerta ad altri (1,16-18). Così quella solidarietà
che è partecipazione alla storia (1,15-22) investe nuove situazioni,
nuove persone.
Si profila intanto l’emblematica condizione del giusto, che è vivo
e seppellisce i morti. Si muore di peccato, ma il giusto non resta in-
denne da quella morte, si trova addosso il peso – materiale, carnale,
spirituale – di quei morti, così come il seppellitore porta il carico
dei cadaveri da seppellire. Questa, appunto, è la solidarietà di cui
principalmente si parla nel libro di Tobia.
E poi il giusto è vivo, ma di una vita che per ora è fragile, esposta
a rischi e minacce (1,19-20), priva di splendore. Suo unico splendore
è la solidarietà. Perfino l’osservanza rigorosa e di stampo farisaico,
che è tanto raccomandata in questo libro (come in Giuditta e Ester),
e che indica l’appartenenza al popolo di Dio, è solidarietà con i pec-
catori: Israele è in esilio per il suo peccato.
Bisogna anche osservare che, nonostante le asprezze dell’esi-
stenza descritte nei primi 3 capitoli, una gioiosità festosa attraversa
tutto il libro, che si apre con il ricordo esultante delle celebrazioni
al Tempio (1,6), inizia narrativamente con la ricomposizione della
famiglia il giorno di Pentecoste, dopo il ritorno di Tobi (2,1-2), ha
il momento risolutivo in un banchetto per l’ospite, che si trasforma
FRATELLI NELLA BIBBIA
più essenziale, perché appartiene alla nuova umanità che Dio Padre
sta inaugurando nella persona del Figlio: qualcosa che oltrepassa
l’intero creato, pur non negando e non ignorando nulla di quanto
appartiene al quotidiano.
Essere fratelli o sorelle dice dunque parità di livello; ed è occa-
sione di confronti. Ma i confronti li fa solo Dio. L’uomo non può
rifiutare quei confronti con il proprio fratello con cui Dio lo misura
e lo aiuta a capirsi; non può fare come Caino. Per quanto gli siano
incomprensibili, l’uomo deve accoglierli e accettarne il mistero: è il
suo modo di entrare nel mistero di Dio, e di esserne accolto a sua
volta, di divenirne parte.
Ma l’uomo non può formulare da sé solo quei confronti, e illu-
dersi della propria eccellenza, misurandola sui limiti o sulle man-
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canze del proprio fratello. Nel Vangelo di Luca il tema del fratello
ha un punto fermo: l’impossibile confronto che un fratello è solito
fare a danno dell’altro.
Il Padre misericordioso
La paternità di Dio
prezza questa sua fedeltà come il bene più prezioso, di valore eterno:
un possesso di cui si sente l’autore, perché è nato dall’intimo della
sua volontà; un bene che è dono di Dio (e lui lo riconosce), ma che
di fatto ormai è soltanto suo, tant’è vero che lo rivendica come suo,
in termini strettamente proprietari, nell’atto di sentirsi e dichiararsi,
per via di questa sua fedele osservanza, superiore al pubblicano. Di
solito i farisei erano economicamente poveri: ma non della povertà
biblica, quella per cui sono «beati i poveri» (Mt 5,3; Lc 6,20), quelli
in cui si assommano tutte le altre beatitudini. Perciò il Vangelo di
Matteo al termine «poveri» aggiunge un chiarimento: «di spirito»,
«in senso spirituale».
In realtà i due sono più fratelli di prima: li accomuna ora la
condizione di peccatori; e il peccato è la forma suprema e la ragione
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originaria della povertà. Due peccatori: uno era tale prima della
preghiera, l’altro lo è dopo, in conseguenza di quella sua preghiera.
Il fariseo e il pubblicano di per sé sono di nuovo fratelli, perché
poveri: non hanno nulla di proprio; tutto in loro appartiene al Pa-
dre, anche la fedeltà del fariseo, anche la contrizione del pubblicano.
Sono peccatori, quindi poveri; pertanto sono fatti per pregare, si
direbbe, preparati appositamente per questo.
Il peccatore è un povero che può rivolgersi solo a Dio, e non ha
diritto di esigere nulla, ma è consapevole che, se rimane nei limiti
della sua condizione di povero, Dio gli darà tutto quello di cui ha
davvero bisogno. E il peccatore è un mendico che ha molti fratelli
in cui riconoscersi, fino al momento in cui non comincia a prefe-
rirsi a loro.
Poi gli eventi del 9 aprile, domenica delle Palme. A Tanta, nel
Delta del Nilo, a metà strada fra il Cairo e Alessandria, una bomba
è esplosa nella chiesa copta ortodossa di San Giorgio. La chiesa era
stracolma di fedeli, e la Tv di Stato trasmetteva in diretta la celebra-
zione. Le immagini si sono interrotte al momento dell’esplosione,
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che ha lasciato tra i banchi della chiesa morti e feriti. Neanche due
ore dopo, un secondo kamikaze si è fatto esplodere ad Alessandria
davanti alla cattedrale di San Marco (venerato come il fondatore
della Chiesa copta), dove era in corso la liturgia presieduta da papa
Tawadros II. Sono morte 49 persone, e 78 sono rimaste ferite. Le
forze di sicurezza egiziane hanno pure disinnescato due ordigni
esplosivi che erano stati piazzati nella moschea Sidi Abdel Rahim,
sempre a Tanta, dove si trova un santuario Sufi. Successivamente, il
19 aprile, si è verificato un attacco contro un checkpoint sulla strada
che conduce all’antico monastero di Santa Caterina, nel Sinai2.
Il viaggio di papa Francesco dunque ha improvvisamente as-
sunto un valore in più, un valore radicalmente «terapeutico», nel
momento in cui «l’ospedale da campo» che è la Chiesa si accosta,
grazie alle mani del suo pastore universale, all’umanità ferita. Del
resto, proprio questo è uno degli obiettivi di Francesco durante i
suoi viaggi: toccare le ferite. Lo ha fatto a Bangui e a Sarajevo, a
Lampedusa e ad Auschwitz, nelle Filippine e nel Messico… e così
6. Quella udienza era stata di grande importanza, perché è avvenuta dopo che
i rapporti tra il Vaticano e al-Azhar avevano conosciuto un periodo di freddezza.
Inoltre, dopo un attentato contro una chiesa copta ad Alessandria d’Egitto,
Benedetto XVI chiese protezione per i cristiani del Medio Oriente, e dell’Egitto
in particolare, appellandosi sia alle autorità del Cairo, sia ai governi della regione e
all’Unione Europea. La cosa purtroppo fu fraintesa come un atto di ingerenza negli
affari interni dell’Egitto. Da allora la diplomazia vaticana e il Pontificio Consiglio
per il Dialogo Interreligioso hanno molto lavorato per ristabilire i contatti.
7. Cfr il discorso del Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, nel suo
intervento in occasione del Concistoro ordinario pubblico sul Medio Oriente, del
20 ottobre 2014.
IN VIAGGIO CON PAPA FRANCESCO
10. Cfr R. Aitala, «Il falso mito dello scontro di civiltà», in Limes n. 2/2017,
193-204.
11. Cfr A. Spadaro, «La diplomazia di Francesco. La misericordia come
processo politico», in Civ. Catt. 2016 I 209-226.
EGITTO, TERRA DI CIVILTÀ E DI ALLEANZE
nel corso dei colloqui, l’auspicio che «si possa rafforzare la coesi-
stenza pacifica fra tutte le componenti della società e continuare nel
cammino del dialogo interreligioso». Già quella visita aveva toccato
i temi relativi al ruolo dell’Egitto nella promozione della pace e della
stabilità nel Medio Oriente e nel Nord Africa.
Al Cairo, nel suo discorso alle autorità, Francesco ha ricordato
ancora una volta il prestigioso passato storico dell’Egitto – dei fa-
raoni, copto e musulmano –, ma anche il passato biblico e il fatto
che «sul suolo egiziano trovò rifugio e ospitalità la Santa Famiglia:
Gesù, Maria e Giuseppe». Oggi in questa terra «trovano accoglien-
za milioni di rifugiati provenienti da diversi Paesi, tra cui Sudan,
Eritrea, Siria e Iraq, rifugiati che con lodevole impegno si cerca di
integrare nella società egiziana». Il Papa dunque ha fatto appello
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all’edificazione di «un Egitto dove non manchino a nessuno il pane,
la libertà e la giustizia sociale».
In maniera accorata poi si è rivolto ai presenti: «Abbiamo il dovere
di affermare insieme che la storia non perdona quanti proclamano la
giustizia e praticano l’ingiustizia; non perdona quanti parlano dell’e-
guaglianza e scartano i diversi. Abbiamo il dovere di smascherare i
venditori di illusioni circa l’aldilà, che predicano l’odio per rubare ai
semplici la loro vita presente e il loro diritto di vivere con dignità,
trasformandoli in legna da ardere e privandoli della capacità di sce-
gliere con libertà e di credere con responsabilità. Abbiamo il dovere
di smontare le idee omicide e le ideologie estremiste, affermando l’in-
compatibilità tra la vera fede e la violenza, tra Dio e gli atti di morte».
Quindi Francesco ha ribadito che l’Egitto è e deve essere «patria
per tutti», come recita il motto della Rivoluzione del 23 luglio 1952,
grazie all’«uguaglianza di tutti i cittadini». La presenza dei cristiani
è «storica e inseparabile dalla storia dell’Egitto». E ha proseguito, tra
gli applausi: «Voi avete dimostrato e dimostrate che si può vivere
insieme, nel rispetto reciproco e nel confronto leale, trovando nella
differenza una fonte di ricchezza e mai un motivo di scontro». In
questo modo Francesco ha voluto recepire e sostenere l’importante
dibattito su religione e cittadinanza in corso nel mondo islamico,
perché esso esca dall’ambito teorico. Un dibattito che vuole fuggire
la tentazione di costruire società etno-nazionaliste e una compren-
sione «tribale» dell’identità religiosa.
EGITTO, TERRA DI CIVILTÀ E DI ALLEANZE
13. «Crediamo che il Nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, il Verbo
Incarnato è perfetto nella Sua Divinità e perfetto nella Sua Umanità. Ha reso la Sua
Umanità una con la Sua Divinità senza mescolanza, commistione o confusione. La Sua
Divinità non è stata separata dalla Sua Umanità neanche per un momento o per un batter
d’occhio. Al contempo [pronunciamo anatema sulla] dottrina di Nestorio e di Eutiche».
IN VIAGGIO CON PAPA FRANCESCO
***
Alle ore 13,00 del 3 febbraio scorso papa Francesco è volato ne-
gli Emirati Arabi Uniti per il suo viaggio apostolico numero 27. Si
è trattato del primo viaggio di un Pontefice nella Penisola arabica, e
così vicino ai luoghi santi dell’islam di Medina e de La Mecca.
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Alle 12,00, dopo la preghiera dell’ Angelus in piazza San Pietro e
prima di recarsi a Fiumicino, il Pontefice aveva ricordato lo Yemen,
e aveva espresso la sua grande preoccupazione per le vicende di un
Paese scosso da una guerra che ha provocato finora migliaia di vit-
time e sfollati, e dove i più vulnerabili sono sempre i bambini. Una
tragedia che si compie nella Penisola arabica, appunto. Con questo
appello il Papa ha voluto dare un chiaro segno della sua consapevo-
lezza delle dinamiche geopolitiche della regione, alle quali gli stessi
Emirati non sono estranei1.
L’invito a visitare il Paese gli era stato rivolto nel maggio 2016
dalla sceicca Lubna Al Qasimi, ministro di Stato per la Tolleranza,
nel corso della sua visita in Vaticano. Nel settembre di quell’anno
era stato ricevuto in Vaticano lo sceicco Mohammed Bin Zayed
al-Nahyan, il principe ereditario, figlio del defunto sceicco Zayed
bin Sultan Al Nahyan, «padre della nazione» e primo presidente
degli Emirati, e fratello dello sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahyan,
presidente del Paese.
Il Principe aveva parlato con il Papa della lotta al fanatismo e
della cultura della coesistenza tra cristiani e musulmani. Assie-
lingue e riti; una diversità che lo Spirito Santo ama e vuole sempre
più armonizzare, per farne una sinfonia. Questa gioiosa polifonia
della fede è una testimonianza che date a tutti e che edifica la Chiesa».
È in questa situazione che si può vivere lo spirito delle beatitu-
dini: «Vivere da beati e seguire la via di Gesù non significa tuttavia
stare sempre allegri. Chi è afflitto, chi patisce ingiustizie, chi si pro-
diga per essere operatore di pace sa che cosa significa soffrire. Per
voi non è certo facile vivere lontani da casa e sentire magari, oltre
alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza del futuro. Ma il
Signore è fedele e non abbandona i suoi». In particolare, Francesco
ha indicato due beatitudini da vivere: la mitezza e l’essere operatori
di pace. Il cristiano sia «armato solo della sua fede umile e del suo
amore concreto»; per questo egli è un canale della presenza di Dio
77
nel mondo.
***
L’appello su Gerusalemme
92
Titolo e argomento del documento
6. Giovanni Paolo II, s., Santa Messa a Le Bourget, Parigi, 1° giugno 1980.
7. Benedetto XVI, Parole di saluto al termine della celebrazione, 13 novembre
2005.
SULLA FRATELLANZA UMANA
94
Struttura del documento
Orizzonte di responsabilità
Messaggio
Concretizzazioni
11. Anche papa Benedetto XVI aveva parlato in questo senso ad Assisi,
dicendo: «La critica della religione, a partire dall’Illuminismo, ha ripetutamente
sostenuto che la religione fosse causa di violenza, e con ciò ha fomentato l’ostilità
contro le religioni. […] Questa non è la vera natura della religione. È invece il
suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione. Contro ciò si obietta: ma da
dove sapete quale sia la vera natura della religione?». Papa Benedetto non rispondeva
al quesito, ma lo consegnava al «dialogo interreligioso». Cfr Benedetto XVI,
Intervento nella Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel
mondo, Assisi, 27 ottobre 2011.
UNA RIFLESSIONE SUL DOCUMENTO DI ABU DHABI
e della terra, la varietà dei vostri idiomi e dei vostri colori» (Sura
30,22).
Ma la visione coranica della storia della rivelazione comprende an-
che il fatto che i vari libri rivelati sono stati trasmessi a uomini «pro-
feti», come Mosè, Davide, Gesù e Maometto, e che ogni libro istitui
sce una «via» differente, anche se sostanzialmente identica quanto al
contenuto. Così, secondo la Sura, Dio si rivolge a Maometto parlando
delle confessioni apparentemente diverse degli ebrei e dei cristiani,
e dice del Corano: «E su di te abbiamo fatto scendere il Libro con la
Verità, a conferma della Scrittura che era scesa in precedenza […]. A
ognuno di voi abbiamo assegnato una via e un percorso. Se Dio avesse
voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Ma vi ha voluto pro-
vare con quello che vi ha dato. Gareggiate in opere buone» (Sura 48).
103
b) Il fatto che nell’ambito del genere umano ci siano persone
di pelle scura e di pelle chiara, oppure uomini e donne, continue-
rà probabilmente fino alla fine del mondo. In ciò si può vedere la
variopinta e feconda diversità della creazione di Dio. Ma il fatto
che nell’umanità ci siano musulmani e cristiani ha ovviamente altri
motivi e conseguenze. Popoli e persone si sono convertiti. Per alcu-
ni questo è accaduto in libertà, per altri no.
Ora, sussistono tensioni tra la confessione islamica e quella cri-
stiana, in particolare a proposito di Gesù: davvero egli è morto sulla
croce ed è risorto dai morti? È «a gloria di Dio» che lo professiamo
«Signore», anzi ci rivolgiamo a lui come «Signore e Dio» (Fil 2,11; Gv
20,28)? Su questo punto cristiani e musulmani non si trovano d’accor-
do. E se queste fondamentali differenze sono dovute semplicemente
a «una sapiente volontà divina», sembra contrario alla volontà di Dio
che i cristiani confessino la propria fede nella speranza che anche altri
possano riconoscere Cristo come Salvatore.
c) Nel Documento sulla fratellanza umana questa frase controversa
serve a giustificare la libertà religiosa. Quest’ultima può essere moti-
vata teologicamente anche attraverso altre vie: per esempio, spiegando
la fede come accettazione fiduciosa che avviene sotto forma di un «sì»
personale, e quindi liberamente16. Ricordiamo, per inciso, che anche il
vorare per costruire un mondo vivibile per tutti in pace e nel ri-
spetto delle differenze culturali, questo è l’educazione. Perché, se
la fratellanza nella diversità è il cuore del messaggio portato dal
Documento, la formazione e l’educazione delle giovani generazioni
sono il respiro e i polmoni che infine consentiranno di vivere insie-
me e di respirare pienamente sulla Terra.
Il Re del Marocco ne è convinto: «Poiché Dio è amore», le reli-
gioni e le culture sono chiamate a interagire e ad aprirsi l’una all’al-
tra. Ed è estremamente significativo che la Zayed International Fund
for Co-existence degli Emirati Arabi Uniti sia stata creata proprio
per finanziare programmi di formazione che promuovano il plu-
ralismo e la fratellanza; che il Comitato Superiore della Fraternità
umana, istituito ad agosto, comprenda esperti di istruzione, pro-
111
fessori e diplomatici preoccupati per la pace, le culture e la colla-
borazione tra i popoli; e che papa Francesco sottolinei a Bangkok
il ruolo primordiale delle università, che possono offrire al mondo
«un nuovo paradigma per la risoluzione dei conflitti».
In questo sforzo «di immaginare con coraggio la logica dell’in-
contro e del dialogo vicendevole» a livello universitario, si può anche
citare la creazione, a Roma, poche settimane dopo la pubblicazione
del Documento, il 27 marzo, di un Gruppo di ricerca congiunto
tra il Centro studi interreligiosi della Pontificia Università Grego-
riana e il Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica sul tema: «Il
Documento sulla Fratellanza umana: riflessioni e sviluppi teologici,
filosofici e sociali».
Si può dire che la riforma dei sistemi educativi a livello mondiale
è e sarà il principale frutto del «Documento sulla Fratellanza» nei
prossimi anni. Il legame tra fraternità ed educazione è stato stabilito
dallo stesso Pontefice in occasione del suo discorso a Napoli, già
menzionato, il 21 giugno: «Come custodirci a vicenda nell’unica
famiglia umana? Come alimentare una convivenza tollerante e pa-
cifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevalere nelle
nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi
perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla
nostra? Come le religioni possono essere vie di fratellanza anziché
muri di separazione?[...] Sogno Facoltà teologiche dove si viva la
convivialità delle differenze, dove si pratichi una teologia del dialo-
SULLA FRATELLANZA UMANA
Introduzione
Comunicazioni moderne
Settarismo e diversità
4. Ciò non vuol dire che le due religioni abbiano davanti sfide simmetriche:
per quanto la sofisticata Europa moderna abbia coltivato a lungo una repulsione per
il cristianesimo, questa non può uguagliare l’estensione dell’islamofobia che com-
promette la comprensione dell’islam.
LEZIONI DI DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO
Conclusioni
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LA FRATELLANZA NELL’ITINERARIO
DI PAPA FRANCESCO*
© La Civiltà Cattolica 2019 III 114-126 | 4058 (20 lug/3 ago 2019)
SULLA FRATELLANZA UMANA
Storie di fratelli
8. Il Centro Astalli è la sede italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati
( JRS).
SULLA FRATELLANZA UMANA
12. «L’amore per la gente è una forza spirituale che favorisce l’incontro in
pienezza con Dio fino al punto che chi non ama il fratello “cammina nelle tenebre”
(1 Gv 2,11), “rimane nella morte” (1 Gv 3,14) e “non ha conosciuto Dio” (1 Gv 4,8).
Benedetto XVI ha detto che “chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi
anche di fronte a Dio”, e che l’amore è in fondo l’unica luce che “rischiara sempre di
nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire”» (EG 272).
SULLA FRATELLANZA UMANA
dato di casa senza curarsi del maggiore: aveva parlato soltanto con
il padre. E quando poi si converte, pensa ai salariati, non al fratello,
di certo prevedendo il conflitto con lui. Il fratello maggiore non
vuole partecipare al banchetto, non considera l’altro un buon figlio
del padre. Nessuno dei due accenna minimamente alla relazione
fra loro, ed è proprio su questo punto che invece insiste il padre:
«Questo tuo figlio», dice il maggiore; «Tuo fratello», replica il padre
con tenerezza. Il padre mette l’accento sulla fratellanza prima di
affrontare qualsiasi altro problema di giustizia o di idee.
Ricordiamo che il Signore narra la parabola a quelli che lo rim-
proverano di «mangiare con i pubblicani e i peccatori», mostrando
che lui mangia «con i fratelli». Sedersi alla stessa mensa è «il» segno
della vera fratellanza. Impedirlo, per qualsiasi motivo, significa ri-
138
creare l’atteggiamento del figlio maggiore della parabola.
Scegliendo di restare sotto le specie del pane e del vino, il Signo-
re non sceglie un oggetto materiale concreto che si possa isolare dal
suo significato profondo: venire mangiato in una mensa fraterna.
Il Signore sceglie il pane e il vino, perché veicolano la fratellanza,
che è il sedersi attorno alla stessa mensa e condividere lo stesso cibo.
A questo scopo egli lava perfino i piedi a tutti gli apostoli, anche a
Giuda. La dinamica della mensa è la più adatta a «rendere degni» i
partecipanti: degni in quanto fratelli uguali nella loro diversità.
da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e ri-
conosciamo nella carne del fratello sofferente”» (CV 299).
La fratellanza costituisce il tessuto che consente alle nostre rela-
zioni sociali di rafforzarsi rispettando la diversità. Nell’ Amoris lae-
titia il Papa ci ricorda che «Dio ha affidato alla famiglia il progetto
di rendere “domestico” il mondo, affinché tutti giungano a sentire
ogni essere umano come un fratello» (AL 183).
La fratellanza non permette di dissociare Vangelo, lotta per la
giustizia sociale e cura del Pianeta. Perciò l’Evangelii gaudium parla
dell’«entusiasmo di vivere il Vangelo della fraternità e della giusti-
zia!» e dell’«assoluta priorità dell’“uscita da sé verso il fratello”» (EG
179). L’esortazione apostolica Gaudete et exsultate ricorda che Gesù
stesso «si è fatto periferia (cfr Fil 2,6-8; Gv 1,14). Per questo, se ose-
141
remo andare nelle periferie, là lo troveremo: Lui sarà già lì. Gesù ci
precede nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita
oppressa, nella sua anima ottenebrata. Lui è già lì» (GE 135).
E l’enciclica Laudato si’ (LS) parla di «sora nostra matre Terra»
(LS 1) e di «fraternità universale» (LS 228), seguendo l’esempio di
san Francesco di Assisi: «Il suo discepolo san Bonaventura narrava
che lui [Francesco], “considerando che tutte le cose hanno un’origi-
ne comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava
le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella”»
(LS 11). La fratellanza è criterio orientativo del discernimento, che
«non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista, ma
una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a
vivere la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli»
(GE 175).
Così vediamo, nell’itinerario di papa Francesco, che lo stile fra-
terno e i gesti concreti di fratellanza lo aiutano a risalire all’origine
stessa dei conflitti senza restarne invischiato. La fratellanza è l’atteg-
giamento che rende possibile trovare vie per superare ogni ostacolo.
Per questo occorre approfondire e rafforzare questo vincolo indi-
struttibile e insostituibile.
SULLA FRATELLANZA UMANA
© La Civiltà Cattolica 2019 III 471-481 | 4062 (21 set/5 ott 2019)
LA TEOLOGIA NEL CONTESTO DEL MEDITERRANEO
Dialogo e discernimento
sive del discorso di papa Francesco alla classe dirigente del Brasile
durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Río de Janeiro, il
27 luglio 2013: «Quando i leader dei diversi settori mi chiedono
un consiglio, la mia risposta sempre è la stessa: dialogo, dialogo,
dialogo. L’unico modo di crescere per una persona, una famiglia,
una società, l’unico modo per far progredire la vita dei popoli è
la cultura dell’incontro, una cultura in cui tutti hanno qualcosa di
buono da dare e tutti possono ricevere qualcosa di buono in cam-
bio. L’altro ha sempre qualcosa da darmi, se sappiamo avvicinarci a
lui con atteggiamento aperto e disponibile, senza pregiudizi. Que-
sto atteggiamento aperto, disponibile e senza pregiudizi lo definirei
come “umiltà sociale”, che è ciò che favorisce il dialogo. Solo così
può crescere una buona intesa fra le culture e le religioni, la stima
144
delle une per le altre senza precomprensioni gratuite e in un clima
di rispetto per i diritti di ciascuna. Oggi, o si scommette sul dia-
logo, o si scommette sulla cultura dell’incontro, o tutti perdiamo,
tutti perdiamo. Per di qua va il cammino fecondo».
Il dialogo è menzionato tra i criteri proposti nel proemio della
Veritatis gaudium per il rinnovamento degli studi ecclesiastici e della
teologia, ed è esplicitamente menzionato nel documento di Abu
Dhabi. In quest’ultimo la fratellanza umana è promossa adottando
«la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come
condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio». Nel di-
scorso di Posillipo, in un primo approfondimento il Papa spiega che
il dialogo – con il quale si pratica la teologia dell’accoglienza – è una
modalità di evangelizzazione (da non confondere con il proseliti-
smo) che richiede la pratica del discernimento.
L’insistenza sul discernimento in questo discorso non dovreb-
be essere sottovalutata. Per papa Francesco, che è profondamente
segnato dalla tradizione ignaziana del discernimento, i teologi an-
nunciano innanzitutto l’amore di Dio donato a ogni persona, di
ogni lingua, popolo, nazione e religione. Il discernimento nel dia-
logo con il quale si annuncia la Parola di Amore rivelata nella vita
di Gesù ha lo scopo di riconoscere i «segni» e di accogliere i frutti di
questo Amore, che è dono gratuito, sorprendente e sovrabbondante
dello Spirito Santo.
LA TEOLOGIA NEL CONTESTO DEL MEDITERRANEO
Esempi di dialogo
poli sono – tra altri – figure e personaggi storici che i gruppi umani
e le società ricordano come modelli di vita. Sono figure e luoghi
religiosi che alimentano la fede e la pietà; monumenti che ricordano
la storia e le gesta dei padri; parabole e personaggi biblici e di altre
tradizioni religiose che racchiudono una ricca e profonda sapienza
spirituale; imprese e iniziative che hanno promosso lo sviluppo e il
benessere di una nazione ecc.
Il «simbolo», o il «paradigma», ha una funzione primordiale nel
processo di discernimento dialogico, ed è decisivo per cogliere il
«tutto» a partire dal concreto, l’universale dal particolare, il collet-
tivo dall’individuale. Questo modo di guardare la realtà prende le
mosse dall’azione dinamica dello spirito individuale che – in dialo-
go – guarda al Tutto mentre gli si rivela la Verità vivente non per
146
mezzo di semplici concetti, ma per mezzo di simboli. Già di per sé
lo sguardo alla Totalità evidenzia un punto di vista speciale, procede
orientandosi alla Totalità, ma sotto un aspetto determinato.
Francesco a questo proposito parla del dialogo 1) come metodo
di studio e di insegnamento, come modo per praticare la lettura di
alcuni testi e per capirne la composizione; e 2) come ermeneutica
teologica: in entrambi i casi, per «giungere là – come “etnografi spi-
rituali” dell’anima dei popoli». Lo studio «dialogico» dei testi delle
grandi tradizioni monoteiste non ha (solo) lo scopo di acquisire più
facilmente ed efficacemente conoscenze teoriche, ma di raggiun-
gere «come “etnografi spirituali”» l’anima dei popoli «per poter dia-
logare in profondità». Quindi il dialogo favorisce un’ermeneutica
teologica della storia che ha lo scopo di avviare processi di riconci-
liazione e di pace.
crea nulla di nuovo, e non si lascia spazio alla novità dello Spirito
del Risorto» (DP).
A questo proposito, papa Francesco prima ricorda la «inesauribi-
le ricchezza del Vangelo», citando l’Esortazione apostolica Evangelii
gaudium, e poi fa una distinzione: «Fra gli studiosi, bisogna andare
avanti con libertà; poi, in ultima istanza, sarà il magistero a dire
qualcosa, ma non si può fare una teologia senza questa libertà» (DP).
La sperimentazione di strade nuove vuol dire la revisione dei
piani di studi, del computo degli ECTS attribuiti alle varie aree, ai
settori e ai singoli corsi, e la revisione delle discipline e delle materie
di insegnamento. La libertà teologica, per la teologia dopo la Ve-
ritatis gaudium, più che pensare liberamente e operare liberamente
scelte per rinnovare i piani di studio, vuol dire «sintonizzarsi con lo
150
Spirito di Gesù Risorto, con la sua libertà di andare per il mondo e
raggiungere le periferie, anche quelle del pensiero» (DP). Concre-
tamente, la libertà teologica si attualizza con il buon senso e colti-
vando la libertà interiore.
Non ci può essere novità né innovazione fino a quando un do-
cente difende i propri corsi di insegnamento come proprietà pri-
vata, come baluardo del proprio riconoscimento e come occasione
per esprimere il proprio protagonismo. I presupposti per la riforma
degli studi ecclesiastici di cui parla papa Francesco si possono rea-
listicamente applicare in una facoltà teologica se in essa si danno o
si favoriscono i presupposti per la disponibilità al cambiamento e
alla conversione, stabilendo che la missione comune sia superiore
alle individualità e agli individualismi; la disponibilità alla collabo-
razione sia sincera e non guidata dalle logiche degli interessi e dei
vantaggi personali e dei gruppi di appartenenza; il protagonismo
non prevalga sul servizio agli studenti che è praticato con l’inse-
gnamento, con il dialogo e con la condivisione dei risultati delle
ricerche dei docenti.
Infine, l’ultimo presupposto che il Papa menziona per una «Pen-
tecoste teologica» e per il rinnovamento degli studi ecclesiastici è
quello di «strutture leggere e flessibili, che manifestino la priorità
data all’accoglienza e al dialogo, al lavoro inter- e trans-disciplinare
e in rete. Gli statuti, l’organizzazione interna, il metodo di inse-
gnamento, l’ordinamento degli studi dovrebbero riflettere la fisio-
LA TEOLOGIA NEL CONTESTO DEL MEDITERRANEO
Conclusioni
sono in una fase dialettica, che li pone in una più chiara evidenza, e
talora in una più pericolosa efficienza. Davanti all’incantevole soa-
vità del Natale non è possibile discorrere di questi ostacoli, che mo-
strano l’aspetto drammatico e pauroso della realtà storica contem-
poranea; ma non è tuttavia lecito tacerne la minacciosa presenza, in
un messaggio, come questo, di elementare sincerità.
Ci sia consentito di indicare fugacemente alcune forme concre-
te, fra le tante esistenti e possibili, nelle quali si manifesta l’opposi-
zione alla fratellanza fra gli uomini. Accenniamo appena, quasi per
esemplificare.
Primo: il nazionalismo, che divide i popoli opponendoli gli uni
agli altri, alzando fra loro barriere di contrastanti ideologie, di psi-
cologie chiuse, di interessi esclusivi, di ambizioni autarchiche, quan-
163
do non sia di avidi e prepotenti imperialismi. Questo nemico della
fratellanza umana oggi riprende vigore. Pareva superato, almeno
virtualmente, dopo la tragica esperienza dell’ultima guerra mon-
diale; esso risorge. Noi preghiamo governanti e popoli di vigilare,
di moderare questo facile istinto di prestigio e di emulazione; può
di nuovo essere fatale. Noi facciamo voti che sia da tutti sostenuta
ed onorata la funzione degli organismi sorti per unire le nazioni in
leale e reciproca collaborazione, per impedire le guerre e prevenire i
conflitti, per risolvere i contrasti con pazienti trattative e opportune
convenzioni, per far progredire la coscienza e l’espressione del dirit-
to internazionale, per dare insomma alla pace la sua stabile sicurezza
ed il suo dinamico equilibrio.
Altro ostacolo, rinascente anch’esso, il razzismo, che separa ed
oppone le differenti stirpi componenti la grande famiglia umana,
creando orgogli, diffidenze, esclusivismi, discriminazioni, e talora
oppressioni a danno del reciproco rispetto e della dovuta stima, che
devono fare delle diverse denominazioni etniche un pacifico con-
certo di popoli fratelli.
Così non possiamo non guardare con spavento un militarismo,
rivolto non già alla legittima difesa dei rispettivi paesi e al mante-
nimento della pace universale, ma teso piuttosto verso armamenti
sempre più potenti e micidiali, che impegnano colossali energie di
uomini e di mezzi, alimentano la psicologia di potenza e di guerra,
e inducono a fondare la pace sulla base infida e inumana del re-
DOCUMENTI
Al Salamò Alaikum!
È un grande dono essere qui e iniziare in questo luogo la mia
visita in Egitto, rivolgendomi a voi nell’ambito di questa Conferenza
Internazionale per la Pace. Ringrazio il mio fratello, il Grande Imam
167
per averla ideata e organizzata e per avermi cortesemente invita-
to. Vorrei offrirvi alcuni pensieri, traendoli dalla gloriosa storia di
questa terra, che nei secoli è apparsa al mondo come terra di civiltà
e terra di alleanze.
Terra di civiltà. Fin dall’antichità, la civiltà sorta sulle rive del
Nilo è stata sinonimo di civilizzazione: in Egitto si è levata alta la
luce della conoscenza, facendo germogliare un patrimonio cultura-
le inestimabile, fatto di saggezza e ingegno, di acquisizioni mate-
matiche e astronomiche, di forme mirabili di architettura e di arte
figurativa. La ricerca del sapere e il valore dell’istruzione sono state
scelte feconde di sviluppo intraprese dagli antichi abitanti di questa
terra. Sono anche scelte necessarie per l’avvenire, scelte di pace e per
la pace, perché non vi sarà pace senza un’educazione adeguata delle
giovani generazioni. E non vi sarà un’educazione adeguata per i
giovani di oggi se la formazione loro offerta non sarà ben rispon-
dente alla natura dell’uomo, essere aperto e relazionale.
L’educazione diventa infatti sapienza di vita quando è capace
di estrarre dall’uomo, in contatto con Colui che lo trascende e con
quanto lo circonda, il meglio di sé, formando identità non ripiegate
su sé stesse. La sapienza ricerca l’altro, superando la tentazione di ir-
rigidirsi e di chiudersi; aperta e in movimento, umile e indagatrice
al tempo stesso, essa sa valorizzare il passato e metterlo in dialogo
con il presente, senza rinunciare a un’adeguata ermeneutica. Que-
DOCUMENTI
4. «Furono inscritti nel cuore dell’uomo come Legge morale universale, va-
lida in ogni tempo e in ogni luogo». Essi offrono la «base autentica per la vita degli
individui, delle società e delle nazioni; [...] sono l’unico futuro della famiglia umana.
Salvano l’uomo dalla forza distruttiva dell’egoismo, dell’odio e della menzogna. Evi-
denziano tutte le false divinità che lo riducono in schiavitù: l’amore di sé fino all’e-
sclusione di Dio, l’avidità di potere e di piacere che sovverte l’ordine della giustizia
e degrada la nostra dignità umana e quella del nostro prossimo»: Id., Omelia nella
celebrazione della Parola al Monte Sinai, Monastero di Santa Caterina, 26 febbraio
2000.
DISCORSO DI PAPA FRANCESCO ALLA CONFERENZA DEL CAIRO
tardi, nel 1967, la guerra tornò a infuriare, ancora più atroce delle
precedenti perché ne vivemmo per intero le drammatiche vicende.
Passammo i sei anni successivi nella cosiddetta economia di
guerra, e potemmo tirare un sospiro di sollievo soltanto quando
giunse la vittoria della Guerra di liberazione, che restituì la dignità
araba, ridandole l’orgoglio e la forza, ma anche la capacità di scon-
figgere l’ingiustizia e gli aggressori. In quei momenti pensammo di
esserci lasciati alle spalle l’epoca della guerra. Cominciava per noi
l’era della pace, della sicurezza e dell’operosità. Ma tutto cambiò an-
cora una volta quando ci trovammo ad affrontare un’altra esecrabile
guerra chiamata terrorismo, che ebbe inizio negli anni Novanta e
perdura tutt’oggi terrorizzando l’Oriente e l’Occidente.
Speravamo che il terzo millennio avrebbe posto fine alle ondate
174
di violenza e terrorismo e alla morte di uomini, donne e bambini
innocenti, ma le nostre speranze furono deluse per la terza volta
quando restammo sconvolti dall’attentato alle Torri gemelle di New
York, all’inizio del Ventunesimo secolo, che l’islam e i musulmani
hanno pagato a caro prezzo. Un miliardo e mezzo di musulmani
sono stati accusati del peccato commesso da un gruppetto di indi-
vidui. Quell’attacco è stato sfruttato al peggio, infatti i media in-
ternazionali ne hanno approfittato per descrivere l’islam come una
religione assetata di sangue e per ritrarre i musulmani come barbari
selvaggi che mettono a serio rischio le società civili e la stessa civil-
tà. I media hanno alimentato sentimenti di odio e di paura contro
l’islam e i musulmani nei cuori degli occidentali, inducendo in loro
una condizione di terrore non soltanto verso i terroristi ma anche
verso l’islam nel suo complesso.
Il Documento sulla fratellanza umana che oggi celebriamo da
questa buona terra è nato in un incontro generoso. Ero ospite del
mio caro fratello e amico papa Francesco a casa sua, quando uno
dei giovani presenti alla sua benedetta tavola lo ha suggerito. L’idea
è stata gradita e apprezzata da Sua Santità e io stesso l’ho sostenuta
con alcuni successivi colloqui dedicati alle condizioni del mondo,
alle tragedie che causano morti, poveri e bisognosi, alle disgrazie
che creano vedove, orfani, oppressi e che fanno fuggire dalle case,
dalla patria e dalle famiglie, e su ciò che le religioni divine possono
fare in soccorso di quelle sfortunate persone. Mi ha colpito che le
DISCORSO DEL GRANDE IMAM AL-TAYYEB AD ABU DHABI
tità papa Francesco, per il resto delle nostre vite, utilizzando tutti i
simboli religiosi per proteggere le comunità e mantenere la stabilità.
Ora voglio elogiare l’Alleanza interconfessionale per comunità
più sicure che ha svolto un forum qui ad Abu Dhabi nel novembre
2018, con il supporto di Al-Azhar e del Vaticano, e a cui hanno
partecipato numerosi leader di varie confessioni per affermare la
comune responsabilità di proteggere la dignità dei bambini.
Desidero allargare i miei ringraziamenti a Sua Altezza Sheikh
Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu
Dhabi e vicecomandante supremo delle forze armate degli Emirati
Arabi Uniti, per il patrocinio che ha accordato a questa storica ini-
ziativa e per avere accolto questo Documento sulla fratellanza umana
che spero ristabilirà la pace tra le nazioni e risveglierà i sentimenti
179
di amore e di reciproco rispetto fra Est e Ovest, come pure tra Nord
e Sud.
Ringrazio inoltre Sua Altezza Abdullah bin Zayed bin Sultan
Al Nahyan, ministro degli Affari esteri e della cooperazione inter-
nazionale, e tutte le eminenti personalità che hanno organizzato e
diretto questo incontro in una maniera così onorevole.
Guidato dalle parole di Dio: «Non fare torto alle persone nelle
loro cose» ringrazio i due «militi ignoti» che si sono dedicati alla
preparazione del Documento sulla fratellanza umana, dal principio
fino alla sua presentazione qui, in questo evento mondiale. Si tratta
dei miei cari figli il giudice Mohamed Mahmoud Abdel Salam, ex
consigliere del Grande imam di al-Azhar, e monsignor Yoannis
Lahzi Gaid, segretario personale di Sua Santità papa Francesco.
Un grande ringraziamento a loro e a tutti coloro che hanno
contribuito al mirabile successo di questo incontro.
DOCUMENTI
L’educazione e la giustizia
loro basi solide per creare nuovi incontri di civiltà; male, se avre-
mo lasciato loro solo dei miraggi e la desolata prospettiva di nefasti
scontri di inciviltà.
La giustizia è la seconda ala della pace, la quale spesso non è
compromessa da singoli episodi, ma è lentamente divorata dal can-
cro dell’ingiustizia.
Non si può, dunque, credere in Dio e non cercare di vivere la
giustizia con tutti, secondo la regola d’oro: «Tutto quanto volete che
gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la
Legge ed i Profeti» (Mt 7,12).
Pace e giustizia sono inseparabili! Il profeta Isaia dice: «Praticare
la giustizia darà pace» (32,17). La pace muore quando divorzia dalla
giustizia, ma la giustizia risulta falsa se non è universale. Una giu-
185
stizia indirizzata solo ai familiari, ai compatrioti, ai credenti della
stessa fede è una giustizia zoppicante, è un’ingiustizia mascherata!
Le religioni hanno anche il compito di ricordare che l’avidità
del profitto rende il cuore inerte e che le leggi dell’attuale mercato,
esigendo tutto e subito, non aiutano l’incontro, il dialogo, la fami-
glia, dimensioni essenziali della vita che necessitano di tempo e pa-
zienza. Le religioni siano voce degli ultimi, che non sono statistiche
ma fratelli, e stiano dalla parte dei poveri; veglino come sentinelle
di fraternità nella notte dei conflitti, siano richiami vigili perché
l’umanità non chiuda gli occhi di fronte alle ingiustizie e non si
rassegni mai ai troppi drammi del mondo.
Dopo aver parlato della fratellanza come arca di pace, vorrei ora
inspirarmi a una seconda immagine, quella del deserto, che ci av-
volge.
Qui, in pochi anni, con lungimiranza e saggezza, il deserto è
stato trasformato in un luogo prospero e ospitale; il deserto è diven-
tato, da ostacolo impervio e inaccessibile, luogo di incontro tra cul-
ture e religioni. Qui il deserto è fiorito, non solo per alcuni giorni
all’anno, ma per molti anni a venire. Questo Paese, nel quale sabbia
e grattacieli si incontrano, continua a essere un importante crocevia
tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud del pianeta, un luogo di
DOCUMENTI
Prefazione
Documento
In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei
diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come
fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori
del bene, della carità e della pace.
In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di
uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se
avesse ucciso tutta l’umanità, e chiunque ne salva una è come se
avesse salvato l’umanità intera.
189
In nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati
che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a
tutti gli uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e be-
nestante.
In nome degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati
dalle loro dimore e dai loro Paesi; di tutte le vittime delle guerre,
delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono
nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte
del mondo, senza distinzione alcuna.
In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la co-
mune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine
e delle guerre.
In nome della «fratellanza umana» che abbraccia tutti gli uomi-
ni, li unisce e li rende uguali.
In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integrali-
smo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze
ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uo-
mini.
In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani,
creandoli liberi e distinguendoli con essa.
In nome della giustizia e della misericordia, fondamenti della
prosperità e cardini della fede.
In nome di tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni
angolo della terra.
DOCUMENTI
sia una testimonianza della grandezza della fede in Dio che uni-
sce i cuori divisi ed eleva l’animo umano;
sia un simbolo dell’abbraccio tra Oriente e Occidente, tra Nord
e Sud e tra tutti coloro che credono che Dio ci abbia creati per co-
noscerci, per cooperare tra di noi e per vivere come fratelli che si
amano.
Questo è ciò che speriamo e cerchiamo di realizzare, al fine di
raggiungere una pace universale di cui godano tutti gli uomini in
questa vita.
Maestà,
Altezze Reali,
distinte Autorità del Regno del Marocco,
Membri del Corpo diplomatico,
197
cari amici Marocchini,
As-Salam Alaikum!
Sono felice di calcare il suolo di questo Paese, ricco di molte
bellezze naturali, custode di vestigia di antiche civiltà e testimone
di una storia affascinante. Desidero anzitutto esprimere la mia sin-
cera e cordiale gratitudine a Sua Maestà Mohammed VI per il suo
gentile invito e per la calorosa accoglienza che, a nome di tutto il
popolo marocchino, mi ha pocanzi riservato, in particolare per le
cortesi parole che mi ha rivolto.
Questa visita è per me motivo di gioia e gratitudine perché mi
consente anzitutto di scoprire le ricchezze della vostra terra, del vo-
stro popolo e delle vostre tradizioni. Gratitudine che si trasforma
in importante opportunità per promuovere il dialogo interreligio-
so e la conoscenza reciproca tra i fedeli delle nostre due religioni,
mentre facciamo memoria – ottocento anni dopo – dello storico
incontro tra San Francesco d’Assisi e il Sultano al-Malik al-Kamil.
Quell’evento profetico dimostra che il coraggio dell’incontro e del-
la mano tesa sono una via di pace e di armonia per l’umanità, là
dove l’estremismo e l’odio sono fattori di divisione e di distruzione.
Inoltre, auspico che la stima, il rispetto e la collaborazione tra di noi
contribuiscano ad approfondire i nostri legami di amicizia sincera,
per consentire alle nostre comunità di preparare un futuro migliore
alle nuove generazioni.
DOCUMENTI
Ronald S. Lauder
Adnane Mokrani
213
«Rare sono le persone che mettono in pratica ciò che dicono agli altri
di fare. Le persone hanno bisogno di rendere le loro azioni spirituali
offrendole al Signore. Parole ispiratrici devono essere seguite da un’a-
zione stabilita per il bene dell’umanità, anche se ciò comporta difficoltà
e sacrifici.»3
4. «È evidente a questo proposito quanto sia essenziale la famiglia, quale nu-
cleo fondamentale della società ̀ e dell’umanità, per dare alla luce dei figli, allevarli,
educarli, fornire loro una solida morale e la protezione familiare. Attaccare l’istitu-
zione familiare, disprezzandola o dubitando dell’importanza del suo ruolo, rappre-
senta uno dei mali più pericolosi della nostra epoca.»
UNIONE INDUISTA ITALIANA
Allah, Buddha, e così ancora altri, sono tutti appellativi che persone
diverse utilizzano per cercare di descrivere una stessa Realtà, inde-
finibile e impronunciabile. Quell’Uno senza secondo, affermano i
Veda, è sorgente del mondo materiale, delle sue leggi, così come,
delle leggi spirituali che sostengono la sua armonia.
Sin dall’alba dei tempi, pace, prosperità, libertà e felicità sono
stati gli ideali e gli obiettivi dell’umanità, ma troppo spesso sono
stati traditi da egoismi e avidità generando conflitti, guerre e vio-
lenze e dolore indicibile.
Purtroppo anche se gli uomini non sanno mantenere gli equili-
bri, le religioni hanno il dovere di sostenere il loro ruolo educativo
nei principi di pace, giustizia, di solidarietà, di interrelazione.
E quindi ci uniamo con forza all’accorato appello:
215
7. Aa. Vv., Mistici indiani medievali (Classici delle religione) (italian Edition)
UTET.
TESTIMONIANZE
Gli esseri umani, e per estensione tutti gli altri esseri viventi,
cercano innanzitutto la pace, il benessere e la sicurezza. La vita è
cara tanto a un animale quanto a qualsiasi essere umano; anche l’in-
setto più piccolo cerca di proteggersi dai pericoli che ne minacciano
l’esistenza. Ma per realizzare concretamente la felicità ci deve essere
TESTIMONIANZE
Harvinder Singh
ABBONAMENTI
ITALIA
1 anno € 95,00; 2 anni € 160,00; 3 anni € 220,00
ZONA EURO
1 anno € 120,00; 2 anni € 210,00; 3 anni € 300,00
ALTRI PAESI
1 anno € 195,00; 2 anni € 330,00; 3 anni € 510,00
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