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POTERE E TEORIA POLITICA -STOPPINO

CAPITOLO I: POTERE
Il potere sociale come rapporto tra uomini
La parola “potere” designa la capacità o possibilità di operare e produrre effetti; può essere riferita a individui o
gruppi umani e oggetti o fenomeni naturali.

In senso sociale, il potere consiste nella capacità dell’uomo di determinare la condotta dell’uomo (potere dell’uomo
sull’uomo): non vi è potere, però, se accanto a chi lo esercita non c’è un individuo che è indotto a comportarsi nel
modo desiderato dal primo.
Come fenomeno sociale, il potere è una relazione causale tra azioni o disposizioni ad agire di attori sociali diversi, in
cui l’azione o la disposizione ad agire del soggetto B (azione di conformità) corrisponde all’intenzione o all’interesse
che accompagna l’azione o la disposizione ad agire del soggetto A (azione potestativa).

Si tratta, perciò, di una relazione triadica, cioè composta da tre elementi: condotta di A (attore attivo), condotta di B
(attore passivo) e sfera d’azione in cui il potere si esprime.
Il potere si trasforma in esercizio del potere quando la capacità di determinare la condotta altrui viene messa in atto.
Si distinguono potere attuale (potere effettivamente esercitato) e potere potenziale (potere come possibilità).

Il potere attuale
Il potere attuale è una relazione tra comportamenti e consiste:
• nel comportamento di A diretto a modificare la condotta di B o tale da modificare la condotta di B nell’interesse di
A.
• nel comportamento di B, in cui si concreta la modificazione della condotta voluta da A o corrispondente
all’interesse di A.
• nel nesso che intercorre tra questi due comportamenti.
Dunque, si ha potere quando A provoca intenzionalmente un comportamento di B, o più genericamente quando un
comportamento ne provoca un altro anche se non in modo intenzionale. Qualora si generassero comportamenti
indesiderati da parte di B quali reazioni al comportamento iniziale di A, il rapporto tra questi viene definito come
tentativo fallito di esercitare potere. 

Si può allargare la nozione di potere al concetto d’interesse, inteso come stato della mente soggettivo di chi esercita il
potere; ciò senza qualificare come potere qualsiasi tipo di causazione sociale non intenzionale.

Perciò il comportamento di A, che esercita potere, può essere associato all’interesse che A nutre per il comportamento
determinato in B, oggetto del potere. 

Il comportamento di B, che subisce potere, è dotato di volontarietà, ma non sempre B è consapevole di agire nel
modo voluto da o nell’interesse di A. Tale comportamento, dunque, è volontario, ma non necessariamente libero:
questo accade, per esempio, quando B tiene il comportamento voluto da A per evitare un male minacciato; ciò
permette di distinguere tra l’esercizio del potere coercitivo e l’uso della violenza. 

Si ricorre alla violenza quando non si riesce a esercitare potere e costituisce uno strumento importante nelle relazioni
di potere.

Un altro caso in cui B tiene un comportamento involontario è quello dell’ipnosi (le azioni dell’ipnotizzato sono volute
dall’ipnotizzatore); diversamente accade quando il comportamento oggetto di potere è abituale o automatico (ad
esempio, il saluto militare). 

Inoltre, la volontarietà del comportamento oggetto di potere non richiede necessariamente che chi lo tiene intenda
comportarsi nel modo desiderato da chi esercita potere su di lui.

A può provocare un determinato comportamento di B senza richiederlo esplicitamente e anzi nascondendo a B che
egli desidera quel comportamento e senza che B si renda conto di tenere un comportamento voluto da A: questo tipo
di rapporto di potere è detto manipolazione. 

Infine, perché si abbia potere, occorre che il primo comportamento determini il secondo: A, dunque, è causa del
comportamento di B, dove per causa s’intende causa probabilistica (il comportamento di A è causa del
comportamento di B in questo caso determinato, non secondo leggi generali o universali).

Il rapporto di potere è un tipo di causazione sociale. Il nesso causale tra i comportamenti va interpretato nel senso che
il comportamento di A è…
• condizione necessaria (𝑏 si verifica solo se si verifica 𝑎)
• condizione sufficiente (se si verifica 𝑎, si verifica 𝑏)
• condizione necessaria e sufficiente (𝑏 si verifica quando, e solo quando, si verifica 𝑎) 

... del comportamento di B.
La condizione sufficiente è maggiormente conforme alla prospettiva probabilistica: quando un comportamento 𝑎
(causa determinante) è condizione sufficiente di un comportamento 𝑏, si qualifica tale rapporto come esercizio di
potere, anche se 𝑎 non è condizione necessaria di 𝑏.

Il rapporto di potere è asimmetrico: se il comportamento 𝑎 causa il comportamento 𝑏, allora il comportamento 𝑏 non è
causa del comportamento 𝑎.

Il potere potenziale
Il potere potenziale è la capacità di determinare i comportamenti altrui ed è un rapporto tra attitudini ad agire: A ha la
possibilità di tenere un comportamento mirante a modificare la condotta di B o idoneo a modificare la condotta di B
nell’interesse di A; se questo accade, è probabile che B tenga il comportamento in cui si concreta la modificazione
della condotta corrispondente alla volontà o all’interesse di A.
Il potere sociale, dunque, è la capacità della determinazione intenzionale o interessata dei comportamenti altrui.

Affinché tale capacità sussista, A deve avere a sua disposizione delle risorse che possono essere impiegate per
esercitare potere (ad esempio: ricchezza, conoscenza, forza, popolarità, amicizia, ...).
Inoltre, la suddetta capacità di A dipende anche dalla sua propensione a usare le risorse per esercitare potere, anziché
per altri scopi, e dall’abilità con la quale è in grado di convertire in potere le risorse che ha a disposizione (abilità che
può riguardare l’impiego anche di una combinazione di risorse).

A non ha potere su B in rapporto a una certa condotta, se B non è disposto in nessun modo a tenere quella condotta, a
prescindere dal compenso. Per questo motivo, un grado massimo di sproporzione tra gli strumenti della violenza di A
e di B non basta per fondare un potere potenziale di A su B rispetto a un dato comportamento, se B scegliere di
affrontare la “punizione” piuttosto che tenere quel comportamento.
Il potere potenziale, quindi, è un rapporto tra uomini che si spezza se alle risorse di A e alla sua abilità nell’impiegarle
non corrisponde l’attitudine di B a lasciarsi influenzare. La probabilità che B tenga il comportamento voluto da A
dipende dalla scala di valori di B (ci sarà un’attitudine più o meno generalizzata rispetto a determinate sfere di
attività).
Il potere è stabilizzato quando a un’alta probabilità che B compia con continuità i comportamenti corrispondenti alla
volontà o all’interesse di A, fa riscontro un’alta probabilità che A compia con continuità azioni dirette a modificare la
condotta di B o idonee a modificare tale condotta nell’interesse di A; quando è di tipo intenzionale, il potere
stabilizzato si traduce in una relazione di comando e obbedienza.
Quando la relazione di potere stabilizzato si articola in una pluralità di ruoli definiti e coordinati tra loro e dura nel
tempo, si parla di potere istituzionalizzato.
Il ruolo delle percezioni sociali e delle aspettative
Il potere deriva anche dall’esistenza di determinati atteggiamenti dei soggetti implicati nel rapporto; tra questi vanno
posti le percezioni e le aspettative che riguardano il potere.

Le percezioni (o immagini sociali del potere) esercitano un’influenza sui fenomeni del potere reale. L’immagine che
un individuo o un gruppo si fa della distribuzione del potere contribuisce a determinare il suo comportamento; in
questo senso, la reputazione del potere costituisce una possibile risorsa di potere effettivo. Le aspettative, invece,
sono le previsioni dell’attore relative alle azioni future degli altri attori e all’evoluzione della situazione nel suo
complesso. Esse hanno un ruolo importante nei rapporti di potere che operano attraverso il meccanismo delle reazioni
previste: B modifica la sua condotta, conformemente all’interesse di A, senza un intervento diretto di A, ma perché B
prevede che A adotterebbe reazioni per lui spiacevoli se egli non modificasse la propria condotta. Perché si abbia
potere, la previsione di B deve fondarsi su una precedente condotta di A, dalla quale B desume l’interesse di A per un
certo tipo di comportamento e la sua attitudine a reagire in conseguenza. Il meccanismo delle reazioni previste
costituisce un potente fattore di conservazione, ma allo stesso tempo rende ambigue molte situazioni di potere: tale
ambiguità è legata al fatto che la situazione di potere si mantenga in uno stato di equilibrio (se intervengono dei
conflitti tra gli attori, è possibile accertare l’orientamento dei loro interessi e della loro volontà e, di conseguenza,
determinare la direzione prevalente nella quale opera il potere).
Modi di esercizio
I modi specifici in cui le risorse possono essere usate per esercitare potere, cioè i modi di esercizio del potere, sono
molteplici: persuasione, manipolazione, minaccia, ricompensa, meccanismo delle reazioni previste, ecc. (non è detto
che si tratti di un rapporto coercitivo, però).

La coercizione può essere definita come la minaccia di privazioni fisiche, ossia d’interventi violenti, o allettamenti
oppure come un alto grado di costrizione. Essa implica che le alternative di comportamento cui si trova di fronte B
siano alterate dalla minaccia di sanzioni di A in modo così grave che il comportamento che quest’ultimo desidera
finisce per apparire a B come l’alternativa meno penosa.
Conflittualità del potere
Ai modi specifici attraverso i quali è possibile alterare la condotta altrui va riportato il problema della conflittualità
del potere: il carattere antagonistico del rapporto di potere è inteso come conflitto di volontà tra i soggetti del
rapporto.

La conflittualità o non conflittualità dipende dal modo di esercizio del potere. B attribuisce minor valore al
comportamento che tiene dopo l’intervento di A che al comportamento che avrebbe tenuto in assenza di tale
intervento: di conseguenza, in questo rapporto di potere c’è un conflitto di volontà tra A e B.
Ad esempio, nel rapporto di manipolazione c’è di regola un conflitto potenziale, che diventa attuale qualora B si
renda conto che la sua condotta è stata manipolata da A; questo conflitto può derivare dal semplice fatto della
manipolazione, dal giudizio negativo e dal risentimento di B nei confronti dell’operazione manipolatoria di A. Tale
risentimento può nascere dalla disuguaglianza delle risorse ed è la seconda matrice della conflittualità del potere. La
disuguaglianza di risorse costituisce una causa solo potenziale di conflitto e può essere: non percepita dai sottoposti al
potere, accettata come legittima sulla base di dottrine politiche o sociali, percepita come ingiusta ma attribuita a entità
diverse dai detentori del potere, oppure può accadere che il risentimento non sfoci in un conflitto aperto.
Misurazione del potere
Un modo di misurare il potere è quello di determinare le diverse dimensioni che può avere la condotta che ne è
oggetto.
1. Questa dimensione riguarda il solo potere potenziale ed è costituita dalla probabilità che il
comportamento di B si verifichi: quanto è più probabile che B risponda positivamente alla condotta di A, tanto
maggiore è il potere di A su B.
2. Campo del potere (numero degli uomini sottoposti al potere)
3. Sfera del potere (settore di attività a cui il potere si riferisce)
4. Peso del potere (grado di modificazione della condotta di B che A può provocare entro una certa sfera 

di attività)
5. Efficacia del potere (grado di corrispondenza tra il comportamento di B e l’intenzione o l’interesse di
A)
6. Grado in cui il potere di A restringe le alternative di comportamento che B ha a disposizione
Per misurare il potere in modo adeguato, occorre tener conto anche dei suoi costi (quelli in cui incorre A per tentare di
esercitare potere su B), nonché della sua forza (i costi nei quali incorrerebbe B se rifiutasse di tenere il
comportamento voluto da A).

*Le definizioni di campo, sfera e peso del potere sono state così nominate da Lasswell
Il potere nello studio della politica
Il potere è uno dei fenomeni più generali della vita sociale: non esiste rapporto sociale nel quale non sia presente
l’influenza di un individuo sulla condotta di un altro individuo. Il campo in cui il potere ha il ruolo più cruciale è
quello della politica.

Max Weber sostiene che le relazioni di comando e di obbedienza più o meno continuative nel tempo si basano su un
fondamento di legittimità. Egli distingue tale potere legittimo, designato col termine di autorità, in tre tipi puri:
• Il potere legale: tipico della società moderna, si fonda sulla credenza nella legittimità di ordinamenti statuiti che
definiscono il ruolo del detentore del potere. La fonte del potere è la legge, cui sottostanno coloro che prestano
obbedienza e colui che comanda; l’apparato amministrativo del potere è quello della burocrazia. 


• Il potere tradizionale: si fonda sulla credenza nel carattere sacro del potere della tradizione e l’apparato
amministrativo del potere è di tipo patriarcale. 


• Il potere carismatico: si fonda sulla dedizione affettiva alla persona del capo e al carattere sacro, eroico e spirituale
che lo contraddistinguono. Chi comanda è il duce e coloro che prestano obbedienza sono i discepoli. L’apparato
amministrativo è scelto sulla base del carisma e della dedizione personale.

Lasswell analizzò il potere come fenomeno osservabile empiricamente e vide in esso l’elemento distintivo
dell’aspetto politico della società. Egli costruì uno schema concettuale per lo studio dei fenomeni di potere
nell’ambito della vita sociale ed esaminò i rapporti intercorrenti tra potere e personalità: individuò la personalità
politica in quella orientata prevalentemente verso la ricerca del potere. 

Parsons individuò nel conseguimento dei fini collettivi la funzione propria del sistema politico e, nell’ambito del
funzionamento complessivo della società, definì il potere politico come la capacità generalizzata di assicurare
l’adempimento delle obbligazioni vincolanti in un sistema di organizzazione collettiva; in questa prospettiva, il potere
diventa una proprietà del sistema. 


Metodi di ricerca empirica 



Si utilizzano tre tecniche principali:
• Metodo posizionale: consiste nell’identificare le persone più potenti in chi ha una posizione di vertice nelle
gerarchie pubbliche e private più importanti della comunità. È una tecnica molto semplice: basta accertare chi
occupa formalmente certe posizioni per stabilire chi detiene il maggior potere; tuttavia ha il difetto di essere un
indicatore insufficiente (non è detto che il potere effettivo corrisponda alla posizione occupata formalmente). 


• Metodo reputazionale: si fonda sul giudizio di alcuni membri della comunità studiata che, per le funzioni o
mansioni che svolgono, sono considerati buoni conoscitori della vita politica della comunità stessa. Il metodo è
facile ed economico, ma non accerta il potere effettivo, bensì quello reputato.
• Metodo decisionale: si basa sull’osservazione sulla ricostruzione dei comportamenti effettivi che si manifestano
nel processo decisionale pubblico. Per determinare quali siano le persone potenti, alcuni ricercatori si limitano a
considerare la partecipazione attiva al processo di decisione (più spesso si procede all’accertamento degli
individui che prevalgono nel processo decisionale). Tuttavia può essere utilizzato solo su pochi settori decisionali,
essendo una tecnica complessa, non è in grado di rilevare tutto il potere e non può accertare da solo la
distribuzione generale del potere. Ciò indica che per studiare empiricamente il potere è necessario affidarsi a un
ventaglio di tecniche di ricerca.

CAPITOLO II: POTERE, INTENZIONE E INTERESSE


Causazione sociale, potere e intenzione
Il potere sociale è un rapporto di causazione sociale (tra gli uomini, in questo caso).

Il nesso causale, poiché è potere tanto l’avvenuta determinazione di comportamenti altrui quanto la capacità di
determinarli, può essere:
• Attuale: c’è un nesso causale tra due comportamenti compiuti di A e di B.
• Potenziale: c’è un nesso causale potenziale tra un comportamento di A, possibile o probabile, e un
comportamento probabile di B.
Che il potere sia un rapporto di causazione sociale è generalmente accettato, ma nonostante questo sorgono due
problemi. Il primo riguarda le difficoltà inerenti al concetto di causa e al modo stesso di interpretare il nesso causale
tra due comportamenti: come condizione sufficiente, necessaria o necessaria e sufficiente (è da considerare la prima). 

Il secondo problema riguarda l’estensione della nozione di potere rispetto a quella di causazione sociale quest’ultima
è una definizione che designa tutte le relazioni sociali causali, mentre con la parola potere s’indica la sottocategoria di
tali relazioni.

È necessario tracciare distinzioni significative tra le relazioni sociali causali sulla base degli stati della mente degli
individui implicati nei rapporti e, quindi, sulla base del senso che essi attribuiscono ai comportamenti relativi. 

Con intenzione s’intende causazione sociale intenzionale: A esercita potere su B se il comportamento 𝑎 causa il
comportamento 𝑏, e se il comportamento 𝑏 corrisponde all’intento di 𝑎.

L’intenzione non è una modalità dell’azione di chi esercita potere, ma è uno stato mentale, che è descritto come
finalizzazione dell’azione: per A il senso della propria azione 𝑎 è dato dallo scopo di causare il comportamento 𝑏 di B.
perciò l’azione di A è deliberata, nel senso che A deve avere un minimo di consapevolezza dello scopo che vuole
conseguire e della connessione tra tale scopo e la propria azione 𝑎. 

Perché vi sia potere, occorre che il comportamento 𝑏 di B corrisponda al proposito deliberato che accompagna e
orienta il comportamento 𝑎 di A. L’esercizio di potere ha efficacia se c’è corrispondenza tra il comportamento di B e
l’intento di A. Può anche avvenire che A alteri la condotta di B in una direzione opposta a quella voluta. Dunque: la
causazione intenzionale di un comportamento altrui è potere, la causazione di un comportamento altrui contrario
all’intenzione o al desiderio di chi lo causa non è potere.
Diverse opinioni sull’estensione della nozione di potere:
• Dahl: il potere è causazione sociale ma definire allo stesso modo intenzione e atteggiamento favorevole
diviene uno spreco di parole
• Oppeheim: potere come causazione sociale ma non tiene conto degli stati della mente (intenzione o
atteggiamento favorevole che sia)
• moltissimi autori (p.e. Roussel, Lasswell, Parsons) definiscono potere come un rapporto di causazione sociale
intenzionale, tengono quindi conto dello stato della mente cioè l’intenzione

Insufficienza del criterio dell’intenzione 



Dahl e Lindblom affermano che non sia necessario che un rapporto sia intenzionale ma basta un atteggiamento
favorevole o una propensione verso il risultato (es capo ufficio-segretaria).
White sostiene che il requisito dell’intenzione è troppo restrittivo per il potere, per cui indica come esercizio di potere
tutte quelle volte in cui la persona che provoca una condotta altrui ha un atteggiamento favorevole verso gli effetti
rilevanti del rapporto: esso può consistere in un’intenzione, ma anche in un desiderio, un voto o una speranza. White
aggiunge che non è necessario che chi esercita potere sia consapevole di tale suo atteggiamento; basta che vi sia
qualcosa che possa essere definito come atteggiamento favorevole.
Stoppino sostiene l’argomentazione di White, ma allo stesso tempo afferma che per la maggior parte dei rapporti
rilevanti per lo studio della politica, un atteggiamento favorevole sia un requisito insufficiente per identificare il
potere.

L’imitazione (o contagio del comportamento) consiste nella riproduzione o imitazione spontanea da parte di altri del
comportamento iniziato da un membro del gruppo quando questi non ha mostrato nessuna intenzione di ottenere che
gli altri facciano ciò che fa lui: ciò si distingue dall’influenza diretta, che si verifica quando si tiene un
comportamento con il proposito manifesto di influenzare il comportamento di un altro membro del gruppo. (Lippitt e
Shermehorn)

In alcuni casi l’imitazione sostiene o rafforza un interesse della persona o del gruppo che è preso a modello (solo in
questo caso si può parlare di potere); in altri casi, l’imitazione contrasta con un interesse dell’agente preso a modello
(semplice relazione causale). (Partridge)
Reazioni previste vengono considerate come relazione di potere se c’è un nesso causale tra A e B e se A ha interessi
nella condotta di B.


Interesse 

Si distinguono interessi oggettivi(o reali, per i quali è necessario essere in possesso di una scala di valori
universalmente valida) [Geiger] e interessi soggettivi (quelli rilevanti per il discorso in corso). 

Ci sono due definizioni d’interesse soggettivi:
• Un interesse è un modello di domande e di aspettative che sostengono tali domande (Lasswell)
• Interesse significa sia una distribuzione di attenzione sia un’aspettative di ricompensa (Deutsch) Combinando il
loro aspetto comune (aspettativa) e l’elemento diversificato (domanda e distribuzione di attenzione), si ottiene una
definizione triadica, secondo la quale l’interesse verso un certo oggetto comporta l’aspettativa di una ricompensa o
gratificazione, la domanda e l’applicazione selettiva dell’attenzione, rispetto a quell’oggetto.
Dimensione cognitiva. L’interesse verso un certo oggetto comporta l’aspettativa di una gratificazione, che è una
previsione di accadimenti che rientra nei giudizi di fatto. Si distingue sia dal mero impulso, perché nasce
dall’esperienza ed è una funzione di processi istintivi, sia dai bisogni generali della personalità, perché spingono
verso un tipo generale di condotta anziché verso un oggetto particolare.
Dimensione direttiva. L’interesse non è solo aspettativa, ma anche una disposizione ad agire in vista dell’oggetto
dell’interesse stesso. Si distingue sia dalla preferenza, che è solo una disposizione a ricevere qualcosa (passiva), sia
dall’atteggiamento favorevole, che è solo una disposizione a reagire in presenza di un certo oggetto (meno passiva
della preferenza). L’interesse attivo, invece, spinge a cercare qualcosa.
Interesse=soggettivo è un’attitudine complessa composta da un’aspettativa di una gratificazione, dalla disposizione ad
agire per mantenere la gratificazione e dall’applicazione selettiva dell’attenzione nei confronti di un determinato
oggetto.
L’interesse comporta una disposizione ad agire per ottenere un dato evento, mentre l’atteggiamento favorevole
comporta soltanto una disposizione a reagire positivamente al verificarsi di un evento. Per la ricerca empirica non si
può utilizzare il criterio dell’atteggiamento favorevole ma solo quello dell’interesse.
L’interesse è, dunque, a fornire un nuovo orientamento per l’analisi del potere: l’interesse di A può esprimersi in
un’azione che provoca intenzionalmente il comportamento 𝑏 di B oppure può accompagnare un’azione di A che
provoca in modo non intenzionale il comportamento 𝑏 di B (oppure potere operante attraverso le reazioni previste).

CAPITOLO III: VIOLENZA


Violenza
Per violenza s’intende quell’intervento fisico di un individuo o gruppo contro un altro individuo o gruppo, o anche
contro se stesso; tale intervento ha lo scopo di distruggere, offendere o coartare ed è esercitato contro la volontà di chi
lo subisce.

La violenza può essere diretta (quando colpisce in modo immediato il corpo di chi la subisce) o indiretta (quando
opera attraverso un’alterazione dell’ambiente fisico in cui la vittima si trova, o attraverso la distruzione, il
danneggiamento o la sottrazione di risorse materiali).

Violenza e potere
Esercitare potere significa ottenere un’azione o un’omissione altrui dotata di almeno un minimo di volontarietà e ciò
avviene attraverso diversi modi di pressione: persuasione, minaccia di una punizione, promessa di ricompensa,
esempio, ecc.; essi servono a determinare comportamenti volontari (condotta interna o esterna) e non alterano la
situazione fisica. Dunque, il potere cambia la volontà dell’altro; con la violenza, invece, si agisce sul corpo dell’altro
ottenendo un’omissione.
La distinzione tra violenza e potere coinvolge il potere coercitivo, che è basato su sanzioni fisiche, e comporta la
distinzione tra violenza in atto e minaccia della violenza. Nei rapporti di potere coercitivo la violenza interviene sotto
forma di punizione e sanziona il fallimento del potere.

La violenza talvolta subentra anche in caso di manipolazione, che è una relazione di potere caratterizzata dal fatto che
chi esercita il potere lo fa di nascosto dall’altro e chi lo subisce non si rende conto che il suo comportamento è
determinato dall’esterno e crede di scegliere in piena libertà.
La manipolazione ha rilievo nel campo del potere sugli atteggiamenti e sulle credenze: il soggetto è indotto a tenere
una condotta che probabilmente non terrebbe se avesse libertà di scelta, sia e soprattutto per la tecnica cui si ricorre
per indurvelo.

Quelle di coercizione, di costrizione e di manipolazione sono relazioni nelle quali chi esercita potere forza l’altro,
apertamente o di nascosto, a tenere una condotta sgradita e perciò fa violenza alla sua volontà. L’efficacia di una
minaccia dipende dal grado di penosità dell’intervento fisico minacciato e dalla sua credibilità; quest’ultima dipende
a sua volta dal riconoscimento del minacciato che è chi avanza la minaccia possiede i mezzi per porla in effetto ed è
realmente determinato nel farlo. Talvolta il minacciatore ricorre a dimostrazioni di forza; questo tipo di violenza può
essere usato in anticipo per rendere seria e perciò credibile una data minaccia. A volte essa ha solo lo scopo generale
di instaurare, consolidare o allargare il controllo coercitivo di una data situazione e la violenza ha la funzione di un
avvertimento generale che tende a rafforzare le possibili minacce future oltre a quella già formulata.

Violenza e potere politico


Il ricorso alla violenza è un tratto caratteristico del potere politico o potere di governo.

Weber, nella definizione di potere politico, punta sul monopolio della violenza legittima; quest’importanza della
violenza per il potere politico deriva dall’efficacia generale delle sanzioni fisiche e dall’importanza del mantenimento
delle condizioni esterne che salvaguardano la coesistenza pacifica (deterrente della violenza).

Si parla di monopolio della violenza (R. Aron) solo in rapporto alle cosiddette comunità politiche pienamente
sviluppate, cioè negli stati moderni e contemporanei di matrice europea. In tali stati il governo usa tipicamente, con
continuità e in modo tendenzialmente esclusivo la violenza, attraverso un apparato o più apparati specializzati. Agli
usi illegittimi della violenza il governo oppone la sua violenza legittima. Nell’ambito della politica interna il
monopolio della violenza è diverso rispetto all’ambito della politica internazionale.

Dire che il potere politico ha il monopolio della violenza è affermare che la violenza è un suo mezzo specifico e
tendenzialmente esclusivo; ma non è affermare che la violenza è il fondamento esclusivo né principale del potere
politico. La violenza di cui il governo detiene il monopolio si definisce legittima, se esercitata secondo date modalità
e dati limiti, quando ottiene il consenso dei governati, che lo prestano sulla base di credenze in determinati valori, di
atteggiamenti affettivi o per interesse personale.

Vi sono alcuni regimi politici, però, in cui la violenza è utilizzata per seminare il terrore tra la popolazione, che teme
questo tipo di violenza incontrollata che punisce comportamenti non prefissati (è il caso dei totalitarismi) anche
all’esterno della società.

Sulle cause della violenza politica


Per determinare le cause della violenza ribelle o rivoluzionaria, si ricorre al concetto di privazione relativa: la
violenza ha la sua matrice nella percezione da parte di aggregati sociali o individui del divario tra aspettative (ciò che
un soggetto crede di aver diritto a ottenere) e la situazione reale (ciò che crede di poter effettivamente ottenere). Tanto
più si percepisce tale privazione, quanto più c’è scontento che sfocia in violenza collettiva (talvolta però questo non
costituisce una condizione sufficiente dell’insorgenza collettiva). [Gurr]
Una seconda ipotesi riconduce le cause della violenza politica alla prassi generale della lotta per il potere: tra i gruppi
in lotta, vi è una parte che ha la capacità di accedere al e influire sul governo e un’altra che, non essendo parte del
regime politico, forza le barriere del regime per avervi accesso. [Tilly]

Funzioni politiche della violenza


Le conseguenze o funzioni politiche della violenza, che diventano scopi politici quando sono cercati in modo
intenzionale, si possono distinguere a seconda che riguardino:
• I gruppi che ne sono oggetto: La violenza può essere usata per distruggere gli avversari o, molto più
comunemente, per piegarne la resistenza e la volontà (cioè per esercitare potere) mettendoli nell’impossibilità
fisica di agire con efficacia.
• I gruppi che ne sono spettatori: le funzioni sono le seguenti :
• attivazione dell’attenzione: un primo notevole effetto nei riguardi dell’ambiente sociale consiste
nell’attivazione dell’attenzione (niente richiama l’attenzione come la violenza, che permette perciò di rendere
visibile la rivendicazione o il risentimento).
• Dimostrazione della legittimità delle rivendicazioni: il ricorso alla violenza esprime la gravità di una
situazione d’ingiustizia e costituisce una contestazione alla legittimità dei privilegi e del vantaggio
dell’antagonista. L’atto di violenza deve colpire il gruppo antagonistico e in particolare uomini o cose che
simboleggiano la causa dello stato d’ingiustizia.
• Ricerca del sostegno: si vuole modificare il comportamento, le credenze e le valutazioni dei gruppi esterni.
I gruppi che la esercitano:
• Coesione tra i membri (grado elevato di unità)
• Centralizzazione delle decisioni e del potere (fondazione di una struttura potere autoritaria)
• Ridefinizione e irrigidimento dei confini del gruppo (formazione di una coscienza collettiva)
Un’altra importante funzione politica della violenza, che deriva dal fatto che i conflitti violenti tendono a intensificare
la compattezza del gruppo, è quella del dirottamento delle ostilità verso un capro espiatorio (ad es. una campagna
propagandistica xenofoba).

CAPITOLO IV: AUTORITÀ


L’autorità come potere stabilizzato
Con il termine autorità si intende quell'insieme di qualità proprie di una istituzione o di una singola persona alle quali
gli individui si assoggettano in modo volontario e incondizionato per realizzare determinati scopi comuni.

Spesso è usato come sinonimo di potere, ma in realtà i due termini afferiscono ad accezioni diverse: il potere si
riferisce all'abilità nel raggiungere determinati scopi, mentre il concetto di autorità comprende la legittimazione, la
giustificazione ed il diritto di esercitare quel potere (autorità genuina).
Il soggetto passivo del rapporto di potere adotta come criterio del proprio comportamento il comando o la direttiva
del soggetto attivo senza valutarne in proprio (in senso negativo o positivo) il contenuto. A quest’atteggiamento del
soggetto passivo corrisponde in chi esercita il potere la trasmissione del messaggio senza fornire ragione alcuna e la
pretesa che questo sia accettato incondizionatamente.
Dunque, l’autorità si contrappone al rapporto di potere fondato sulla persuasione, in cui A avanza argomenti in favore
della sua richiesta e B adotta il comportamento richiesto da A perché accetta e condivide le ragioni espresse da A.

L’autorità è un rapporto di potere stabilizzato o istituzionalizzato, continuativo nel tempo, nel quale i sottoposti
prestano un’obbedienza incondizionata. Il potere diventa autorità ogni qualvolta B è disposto a tenere il
comportamento voluto da A indipendentemente da una sua valutazione del contenuto della direttiva. Easton distingue
tra autorità legittima (si fonda sulla legittimità del potere) e autorità coercitiva (si basa sulla forza).
Etzioni crea una classificazione delle forme di autorità e di organizzazione. Egli distingue tre tipi di potere:
Potere coercitivo, basato sull’applicazione o minaccia di sanzioni fisiche
Potere remunerativo, basato sul controllo delle risorse e dei compensi materiali
Potere normativo, basato sull’allocazione dei premi e delle privazioni simboliche
E tre tipi di orientamento dei sottoposti verso il potere:
Alienato, intensamente negativo
Calcolatore, negativo o positivo d’intensità moderata
Morale, intensamente positivo 


Praticamente tutti i rapporti di potere più persistenti e importanti sono rapporti di autorità. 


L’autorità come potere 



È autorità soltanto il potere stabilizzato in cui la disposizione a obbedire in modo condizionato è fondata sopra la
credenza nella legittimità del potere (potere legittimo).

L’autorità come potere legittimo presuppone un giudizio di valore positivo nei confronti del potere da parte degli
individui che partecipano alla stessa relazione di potere (fondamento della credenza di legittimità)

Una valutazione positiva del potere può riguardare diversi aspetti del potere stesso: il contenuto del comando, la
modalità in cui è espresso e la fonte di provenienza. Es. Weber e Ferrero

Nell’ambito sociale in cui il rapporto d’autorità si riferisce tende a formarsi la credenza che chi ha autorità ha il diritto
di comandare, e i sottoposti hanno il dovere di obbedire. 

L’autorità è un rapporto di potere stabilizzato che presenta una certa continuità di esercizi di potere e si riferisce a una
precisa sfera di attività.

L’accettazione dell’autorità, cioè l’attribuzione di un particolare valore positivo a una certa qualità della fonte del
potere, produce l’attitudine all’obbedienza incondizionata per un tempo più o meno lungo, ma che non è mai
illimitato; occorre, perciò, che tale qualità sia riaffermata di tanto in tanto. L’accettazione del potere è diversa dalla
prova di legittimità perché essa tiene conto anche di una dimensione dinamica del potere.
Autorità come fonte del potere [Carl J. Friedrich]: definisce l’autorità come una particolare qualità delle
comunicazioni che sono suscettibili di un’elaborazione ragionata (fonte del potere). Stoppino trova poco convincente
questa teoria.


Efficacia e stabilità dell’autorità 



Si può costruire un tipo puro di autorità: un rapporto di comando e obbedienza fondato esclusivamente sulla credenza
nella legittimità. A fonda la sua pretesa a trovare obbedienza sopra la credenza nella legittimità del proprio potere e B
è motivato a prestare obbedienza unicamente dalla credenza nella legittimità del potere di A. Si tratta di un tipo ideale
difficilmente riscontrabile nella realtà. 

La credenza nella legittimità non è il solo fondamento esclusivo dell’autorità, ma solo una delle sue basi; la sua
importanza, però, è dovuta al fatto che essa conferisce al potere efficacia e stabilità. Il venir meno di tale fede prelude
al crollo del potere.

Inoltre, la credenza nella legittimità ha un effetto coesivo tra gli individui e i gruppi che detengono il potere, il che
rafforza la stabilità e l’efficacia del potere stesso. 

Nel grado in cui si genera una disposizione a obbedire, il potere si stabilizza; la credenza nella legittimità tende a
creare una disposizione a obbedire e a trasformare il potere in autorità.
Le ambiguità dell’autorità: l’autorità che genera violenza e la falsa autorità
Tra la credenza nella legittimità e altre basi del potere possono intercorrere rapporti significativi, che alterano in
modo sostanziale la portata autonoma di tale credenza, conferendo ambiguità all’autorità.

I rapporti tra credenza nelle legittimità e altre basi del potere si traducono nella derivazione dell’una dalle altre e
viceversa (rapporti tra legittimità ed effettività): una volta che si sia instaurato nel fatto, il potere diventa legittimo,
perciò la base materiale del potere crea la legittimità; una volta che sia riconosciuto come legittimo, un potere
acquisisce gli elementi materiali che lo rendono effettivo, e perciò la legittimità crea il potere. 

Talvolta, la violenza può derivare dalla credenza nella legittimità del potere. Ne consegue, per chi la considera
legittima, che questa perda il suo carattere negativo e ne derivi la tendenza alla collaborazione attiva o passiva al suo
impiego. Quest’ultimo è reso possibile dalla credenza nella legittimità e dalla stabilità ed efficacia che tale credenza
conferisce al potere. 

Accade, però, che sia la violenza a generare la credenza nella legittimità. Essa può essere non genuina, il che implica
non solo l’inganno nei confronti di altri (falsa manifestazione di credenza), ma anche il fenomeno dell’auto-inganno
(falsa credenza come falsa coscienza), che può essere di carattere ideologico.

Se la credenza nella legittimità del potere ha alto grado ideologico, non vi è più un rapporto d’autorità, bensì una falsa
autorità, in quanto la legittimità non costituisce un fondamento reale del potere. Si tratta di situazioni di potere
fondate su altre basi (ad esempio, la violenza), ma alle quali gli uomini devono adattarsi, vedendole come
immodificabili.

Le ambiguità dell’autorità: l’autorità apparente e l’autoritarismo 



Può accadere che la credenza nella legittimità sia presente soltanto da un lato della relazione di potere: B può non
credere nel principio di legittimità su cui A fonda la sua pretesa di comandare oppure alla credenza di B non
corrisponde un’analoga credenza di A oppure alla credenza di B non corrisponde un potere reale di A.
Quando il potere è riconosciuto legittimo solo dal sottoposto, la relazione di potere sussiste e pure quella di autorità,
seppur attenuata. Se solo chi comanda crede di avere diritto a farlo, al comando non segue l’obbedienza, oppure
segue l’obbedienza su altre basi; mentre, se chi obbedisce lo fa perché crede legittimo il potere, il rapporto può dirsi
fondato su tale credenza, sia che chi comanda la condivida, sia che si richiami al principio di legittimità senza
credervi, sia che si limiti a comandare senza credere né richiamarsi al principio di legittimità. In questo caso,
l’obbedienza incondizionata di B nei confronti di A, fondata sul valore che B attribuisce all’elezione popolare di A,
costituisce un rapporto di autorità, anche se A non crede nella legittimità democratica. Tale legittimità è il fondamento
del rapporto; se A vuole mantenere il potere su questa base, deve dimostrare di credere in essa o evitare di manifestare
i propri sentimenti antidemocratici. 

Il fatto che i detentori del potere non hanno fede nella sua legittimità ne indebolisce l’efficacia e la stabilità e ciò
viene trasmesso anche a chi è sottoposto al potere. Ma finché l’obbedienza è basata sulla legittimità del potere,
continua a sussistere una relazione d’autorità, seppur in forma attenuata.


Quando il titolare dell’autorità non dispone del potere effettivo, l’autorità non è una semplice credenza, bensì
l’accettazione pratica di certi comandi in base a una credenza; l’autorità è sempre un rapporto di potere. Ciò non
esclude che i comandi che sono obbediti incondizionatamente provengano soltanto dalla fonte sopra la quale
s’indirizza il giudizio di legittimità, ma siano imputabili in realtà ad altri centri di volontà che si mantengono
nell’ombra. Dunque, il titolare di una certa autorità può non avere il potere che in apparenza esercita nel rapporto di
autorità. 

Ogni tipo di rapporto di potere, e non solo l’autorità, può essere apparente; dietro l’individuo o il gruppo che figura
esteriormente come il soggetto attivo del rapporto, possono celarsi altri individui o gruppi che detengono il potere
reale.


Quando la credenza nella legittimità del potere è presente solo dal lato del comando, non si può parlare di rapporto di
autorità, poiché al comando non segue l’obbedienza o oppure segue un’obbedienza non fondata sulla legittimità. Tale
situazione può essere descritta come una situazione di autoritarismo. Questo termine designa una situazione nella
quale le decisioni sono prese dall’alto, senza la partecipazione o il consenso dei subordinati. È una manifestazione di
autoritarismo accampare un diritto al comando che non poggia sulle credenze dei sottoposti ed è una manifestazione
di autoritarismo pretendere un’obbedienza incondizionata quando i sottoposti intendono mettere in discussione il
contenuto dei singoli comandi. Dunque, una situazione di autoritarismo tende a instaurarsi tutte le volte che il potere
è ritenuto legittimo da chi lo detiene, ma non è riconosciuto come tale da chi vi è sottoposto. 

L’autorità può trasformarsi in autoritarismo senza che muti il comportamento del detentore del potere ma solo col
venir meno della credenza dei sottoposti nella legittimità del potere.

Tale caduta della credenza nella legittimità può verificarsi sia perché i sottoposti non credono più che la fonte del
potere abbia la qualità che prima le attribuivano sia perché i subordinati hanno abbandonato il vecchio principio di
legittimità e ne hanno abbracciato uno nuovo. In entrambi i casi, sia i superiori sia i subordinati tendono a
considerarsi “traditi” nelle loro aspettative e nei loro valori.

Il nesso dinamico tra autorità e autoritarismo e gli altri aspetti dell’autorità rendono ambivalente l’autorità definita
come “potere legittimo”.
Le relazioni sociali, e in particolare quelle di potere, possono basarsi sia su fattori ideali sia su fattori materiali.
L’autorità pura appartiene ai rapporti di potere fondati su credenze relative a valori. La credenza nella legittimità del
potere genera una disposizione a obbedire doverosa e incondizionata e ciò conferisce al potere particolari efficacia e
stabilità.
Nella realtà sociale, però, non sempre l’autorità si avvicina a questo tipo puro: la credenza nella legittimità coesiste
con altre basi del potere che possono derivarne o originarla; la credenza nella legittimità può essere presente da un
solo lato del rapporto di potere; al potere creduto legittimo può non corrispondere un potere effettivo. Tutto ciò
contamina il tipo puro fondato solo sui valori e conferisce all’autorità una caratteristica ambiguità.
L’autorità può essere generatrice di violenza nel grado in cui la credenza nella legittimità di alcuni consente l’impiego
della forza nei confronti di altri; può essere “falsa” nel grado in cui la credenza nella legittimità non è una fonte ma
una conseguenza psicologica della situazione di potere, che essa tende a nascondere o a deformare; può essere
soltanto “apparente” nel grado in cui il titolare legittimo del potere non detiene il potere effettivo e può trasformarsi
in “autoritarismo” nel grado in cui la legittimità è contestata e la pretesa del superiore al diritto di comandare diventa
una pretesa arbitraria di comandare.

CAPITOLO V: UNA CLASSIFICAZIONE FORMALE DEL POTERE

Per classificare il potere e le sue forme si possono utilizzare tre metodi differenti: il primo riguarda un’importante
modalità del rapporto tra l’attore A che esercita il potere e l’attore B che lo subisce: questo metodo permette di
distinguere il potere in potere aperto e potere nascosto; il secondo concerne lo specifico oggetto, presso l’attore B,
dell’intervento mediante il quale A esercita il potere; il terzo criterio riguarda la dimensione soggettiva dell’intervento
di A, ossia l’orientamento di senso che accompagna il comportamento dell’attore che esercita il potere: questo
distingue i poteri in intenzionale e (soltanto) interessato.

IL POTERE NASCOSTO ! secondo il primo criterio il potere si distingue in due classi generali:
1. Potere nascosto ! qualunque relazione di potere nella quale, da un lato, A cerca di nascondere a B il
proprio esercizio del potere e, dall’altro, B resta effettivamente inconsapevole di subire il potere di A (il
potere è dunque “nascosto” agli occhi di B); in questo caso la strategia deliberata di A è detta manipolazione.
2. Potere aperto ! qualsiasi relazione di potere nella quale manchi almeno il primo dei requisiti della
manipolazione; è il tipo di potere più importante.
Per quanto riguarda il potere nascosto, il manipolatore tratta quindi il manipolato come una cosa e il manipolato
ignora di essere oggetto di tale potere: il manipolatore maneggia, manovra e plasma le credenze del manipolato senza
passare attraverso il suo consenso o la sua volontà consapevole. La manipolazione è sempre e soltanto causazione
sociale intenzionale, ovvero nasconde sempre il carattere intenzionale dell’esercizio del potere. Secondo il secondo
criterio, l’oggetto dell'intervento manipolatorio di A può essere:
• conoscenze di fatto e credenze di valore (manipolazione dell’informazione);
• dinamismi psicologici inconsci (manipolazione psicologica);
• situazione ambientale (manipolazione situazionale).
I tre tipi di manipolazione sono dunque:
1. MANIPOLAZIONE DELL’INFORMAZIONE ! è la manipolazione che opera sulle conoscenze di
fatto (notizie, nozioni, cognizioni) e sulle credenze di valore (qualsiasi posizione consapevole di un evento-
fine o cosa desiderata). L’orizzonte fattuale (insieme di notizie) e l’orizzonte valoriale (insieme di gerarchie di
valori) condizionano e guidano il comportamento di un individuo: dunque è possibile condizionare il
comportamento di un attore intervenendo di nascosto nella formazione dei suoi orizzonti, distorcendo e
sopprimendo le comunicazioni che riceve. Ovviamente la condizione che influenza il grado e l’efficacia
della manipolazione è il regime nel quale opera l’emittente: se esista cioè un monopolio dell’informazione
oppure un pluralismo competitivo dei diversi centri. Esempi di manipolazione dell’informazione:
• Menzogna ! A fornisce a B informazioni false sopra gli eventi rilevanti per le sue scelte, riuscendo a
pilotarlo nascostamente verso una certa condotta, mentre B crede di scegliere liberamente.
• Soppressione dell’informazione ! non si rendono pubbliche determinate notizie, interpretazioni o
valutazioni: restringimento della base delle conoscenze a disposizione degli attori da manipolare.
• Eccesso di informazione ! emissione incessante di una molteplicità di informazioni contradditorie e
imprecise, che può spingere l’attore B all’indifferenza o al ritiro entro una sfera di interessi più privati.
• Indottrinamento ! la scuola segue i giovani per molte ore al giorno, in un’età in cui essi sono ancora
facilmente plasmabili: è un insegnamento non volto a far comprendere, ma volto a “far credere” e a
formare degli individui che diventeranno
2. MANIPOLAZIONE PSICOLOGICA ! è la manipolazione che opera sui dinamismi psicologici
inconsci. Si può manipolare la condotta di un attore controllando di nascosto i suoi dinamismi psicologici
inconsci: la scelta che compie B è determinata a sua insaputa da A, che ne indirizza l’azione a suo piacimento.
L’efficacia di questa forma di manipolazione è dovuta al fatto che a) gli impulsi emotivi motivano molte scelte
di un attore e b) ci sono simboli e immagini che hanno forte capacità di richiamo. Il compito del manipolatore
consiste nell’associare il simbolo o l’immagine all’oggetto sociale cui si intende convogliare l’impulso
emotivo dell’attore: ripetendo questa azioni, il collegamento tra l’emozione e l’oggetto diviene automatico
nell’attore (pubblicità subliminale). L’appello diretto agli impulsi emotivi inconsci è molto efficace quando
viene indirizzato ad una folla di persone (controllo emotivo sulla folla, come nella Germania nazista).
Forma estrema di manipolazione psicologica: disintegrazione dell’intero sistema dei valori e delle idee
acquisite da un soggetto, indottrinamento estremo (lavaggio del cervello, Urss, Corea del Nord, Cina
maoista).
3. MANIPOLAZIONE SITUAZIONALE ! è la manipolazione che opera sulla situazione ambientale,
cioè il contesto sociale in cui agisce B, che deve tener conto quindi di determinati vincoli e opportunità per
orientare la sua condotta. E’ possibile manipolare il comportamento di un attore agendo celatamente sulla
sua situazione ambientale, in modo da pilotarne l’azione (es. se i genitori vogliono che il figlio cambi
comportamento, convincono gli altri parenti ad ammonirlo continuamente sui suoi sbagli, modificandone così
la condotta). A è in possesso di risorse “ambientali” di cui B ha bisogno, e in questo modo riesce a pilotarne le
azioni: B è inconsapevole di essere sottomesso. Molto comune in contesti sociali limitati, più difficile in
contesti sociali globali.

IL POTERE APERTO ! qualsiasi relazione di potere in cui A non cerca di celare a B il proprio esercizio del
potere e in cui B è consapevole di essere oggetto del potere di A.
L’esercizio del potere aperto non è soltanto quando la richiesta di A è esplicita e diretta e la conformità di B è
pienamente consapevole: esso può assumere sia una forma esplicita e diretta che una forma implicita e indiretta.
Per il potere aperto è necessario introdurre anche il terzo criterio, quello che concerne la dimensione soggettiva
dell’intervento di A, cioè cosa spinge il comportamento di A, che a sua volta causa il comportamento di B. Questo
criterio permette di distinguere il potere in:
1. Potere intenzionale ! quando A con il proprio intervento esplicito cerca di ottenere deliberatamente il
comportamento di B (remunerazione, costrizione, persuasione e condizionamento);
2. Potere (soltanto) interessato ! quando, pur mancando in A il proposito deliberato di ottenere il
comportamento di B, quest’ultimo comportamento è causato da una precedente condotta di A associata ad un
determinato risultato (reazioni previste, imitazione e condizionamento interessato).
Poiché non è possibile individuare un tipo di potere aperto secondo i dinamismi psicologici inconsci, la
classificazione in base al secondo criterio si limita solo a tre oggetti dell’intervento:
• Alternative di comportamento (remunerazione, costrizione e reazioni previste);
• Conoscenze di fatto e credenze di valore (persuasione e imitazione);
• Situazione ambientale (condizionamento e condizionamento interessato).
Risultano, in base ai due criteri, sette forme di potere aperto:
1. REMUNERAZIONE ! consiste nell’impiego di sanzioni positive per modificare il valore relativo delle
alternative di comportamento: promessa di ricompensa a B in caso di rispetto di un certo comportamento.
2. COSTRIZIONE ! consiste nell’impiego di sanzioni negative per modificare il valore relativo delle
alternative di comportamento: minaccia di punizione contro B in caso di non-conformità a un certo
comportamento.
3. REAZIONI PREVISTE ! B tiene un dato comportamento, nel senso desiderato da A, senza che A esprima
l’intenzione di ottenerlo, ma perché B prevede che A adotterebbe reazioni per lui spiacevoli se non tenesse
quel dato comportamento: B pensa che quel comportamento gli frutterà reazioni per lui piacevoli da parte di
A. È la versione (soltanto) interessata della remunerazione e della costrizione, con la differenza che qui
manca la promessa o la minaccia esplicita di A.
4. PERSUASIONE ! rapporto nel quale un attore A determina la condotta di B modificando le conoscenze di
fatto e le credenze di valore che plasmano tale condotta, per mezzo di argomentazioni aperte, che non
contengono né promesse né minacce di punizioni. Argomentazioni fatte da A secondo diversi “stili
persuasivi”. La linea di confine con la manipolazione e con la remunerazione e la costrizione è molto sottile.
Persuasione e manipolazione adottano lo stesso medium delle comunicazioni simboliche (si parla infatti di
“persuasione occulta” nel caso in cui il messaggio apparentemente aperto di A occulti la sua effettiva tattica
di potere).
5. IMITAZIONE ! l’oggetto dell’imitazione è circoscritto all’orizzonte di valore e all’orizzonte fattuale di un
attore. Essa consiste nella trasmissione indiretta di orientamenti (stili di vita, ideali, nozioni, conoscenze
etc.). E’ la versione (soltanto) interessata della persuasione, anche se a volte può essere mista ad essa.
6. CONDIZIONAMENTO ! tipo di potere dal carattere marcatamente indiretto: A interviene in modo
immediato e direttamente solo sulle condizioni ambientali di B; è efficace solo perché la situazione
ambientale condiziona tutto il resto in B: l’uomo è un animale sociale e qualsiasi attore, per perseguire i
suoi scopi, ha bisogno di risorse e di collaborazioni di altri attori, ricavabili dall’ambiente sociale.
7. CONDIZIONAMENTO INTERESSATO ! La condotta risultante di B è causata dal cambiamento
delle condizioni ambientali provocato da A. E' arduo distinguerlo dal condizionamento “normale”. Le due
forme di condizionamento sfumano sovente e in modo inestricabile l’una nell’altra: la forma interessata agisce
come una sorta di prolungamento di quella intenzionale.

CAPITOLO VII: POTERE E POLITICA: UN’INTRODUZIONE

LA POLITICA COME POTERE: H.D. LASSWELL ! secondo Lasswell “lo studio della politica è lo studio
dell’influenza e degli influenti” o “del potere e dei potenti”. Lasswell formulò due diverse versioni della sua
interpretazione del potere e della politica: una nella “Politica: chi prende che cosa, quando, come” [1936] e una in
“Potere e società” [1950].
Nell’ultima opera Lasswell distingue i concetti di potere e influenza:
• Influenza ! designa il possesso di valori (cose che gli uomini desiderano). Un individuo o un gruppo ha
un’influenza tanto maggiore, quanto maggiore è la porzione di valori che detiene. E’ qualcosa che si possiede,
che si detiene.
• Potere ! è un caso speciale dell’esercizio di influenza: una reazione sociale nella quale un attore ottiene una
condotta desiderata di un altro o di altri attori mediante l’uso di sanzioni gravi (sia negative che positive).
Secondo Lasswell la politica non dipende dal governo (vecchia concezione), ma è invece “tutt’intero il processo
sociale, in quanto esso venga influenzato dal potere”, potere che può provenire non solo dai politici e dai governanti,
ma anche da altri attori ! bisogna quindi dare importanza anche alle autorità private (economiche, religiose,
sociali) che esercitano molto potere: critica alla teoria classica che riconduceva tutto il potere solo ai politici e al
governo.
Quella di Lasswell è un’impostazione che evita che la politica venga circoscritta all’autorità di governo, abbatte la
divisione convenzionale e pone l’esigenza di collocare i fenomeni politici locali nel contesto internazionale.
Critica: Lasswell propone il potere come concetto cardine alternativo, che sostituisca quello di governo. Il suo errore
è quello di portare questa tesi all’estremo, affermando che non esiste alcuna differenza fra il potere di governo e gli
altri poteri sociali. Il potere è un fenomeno troppo generale, ricorrente e comune, che riscontriamo in qualsiasi sfera
sociale. Non può offrire un orientamento teorico pertinente per lo studio di un campo specifico di azioni e relazioni.

ISTIGAZIONE E RISPOSTA: BERTRAND DE JOUVENEL ! analisi dei tratti più semplici della politica in
“The Pure Theory of Politics”, che si traducono per Jouvenel a una semplice azione: quella con cui un uomo “fa
agire” un altro uomo, azione definita “istigazione-risposta”! qualunque dire o parlare di A diretto a ottenere un
fare di B: è l’influenza che la parola di un uomo esercita sull’azione di un altro.
L’istigazione, che spetta ad A, è il motore della dinamica politica. La risposta, che spetta a B, è però altrettanto
importante: è vero che A gode di una certa forma di superiorità su B, ma alla fine è B che decide (potenzialmente può
rifiutare).
Secondo Jouvenel la nozione “istigazione-risposta” comprende solo due forme della nozione di potere: la
persuasione (quando B risponde positivamente alla richiesta di A perché concorda sulla bontà dell’azione) e
l’autorità [potere legittimo] (quando B risponde positivamente perché ha fiducia in A) ! si tratta quindi di
relazioni nelle quali B obbedisce perché consente.
Per rispondere alle critiche concernenti il carattere troppo generale del potere, Jouvenel in fin dei conti dice che la
politica risulta da “una accentuazione, una sistematizzazione, una polarizzazione delle pratiche sociali normali”.

LA LEGGE DELL’ESCLUSIONE CONSERVATRICE ! le istigazione possono essere:


• Compatibili;
• Contradditorie.
Per evitare lo sfaldamento di un gruppo interviene un processo chiamato “legge dell’esclusione conservatrice”.
Istigazioni contraddittorie a livello del gruppo possono causare disgregazione ! processo di selezione delle
istigazioni: un’istigazione selezionata viene proclamata come «comando» e non c’è libertà di proporre istigazioni
contraddittorie al comando. L'istigazione obbligatoria si configura come condizione necessaria per la persistenza
del gruppo politico. Scelta dell'istigazione attraverso un'organizzazione, imposta poi grazie ad un potere/autorità
gerarchica.

HARRY ECKSTEIN ! Harry Eckstein identifica il campo della politica nelle strutture delle autorità. Autorità:
insieme di relazioni asimmetriche tra membri di un’unità sociale ordinati in modo gerarchico, che ha per
oggetto la guida dell’unità sociale stessa. La sua definizione della politica è troppo larga.

TALCOTT PARSONS ! Parsons collega la dimensione gerarchica a quella di reciprocità e di scambio. La gerarchia
dell’autorità è il “codice istituzionale” in base al quale l’uso del potere è organizzato/legittimato.
Secondo Parsons, il potere è la capacità di assicurare l'adempimento delle obbligazioni in un organizzazione
collettiva, attraverso l'imposizione di sanzioni negative (violenza istituzionalizzata) e positive.

CAPITOLO VIII: CHE COS’E’ LA POLITICA

Definire la politica attraverso l’individuazione del significato specifico dell’azione politica. L’azione politica in
generale viene intesa come azione razionale ! razionalità strumentale. Il potere garantito è lo scopo di tutte le azioni
politiche: potere = concetto chiave per la teoria politica. Arena = campo dell'azione e delle relazioni politiche:
• arene politiche naturali (o prive di governo) ! il potere politico dipende dalla forza strategica delle risorse di
ogni singolo attore;
• arene politiche monetarie (o dotate di governo) ! potere garantito ad ogni attore dall'attività di un organo
terzo (c.d. funzione politica = produzione differenziata (diritti o titoli) di conformità garantita di un attore
terzo per altri attori).

L’AZIONE POLITICA: LA RICERCA DELLA CONFORMITA’ GARANTITA ! spiegazione dell’azione


politica:
• ATTORE ! RISORSE (mezzo) ! CONFORMITA’ (mezzo) ! VALORI (fine): l’azione sociale principale
degli attori in questo campo sociale consiste in un’azione potestativa (esercizio di potere). Ogni attore, dato
che non può “uscire” dal gioco e dispone di determinate risorse, ricerca una ragione di scambio favorevole
con gli altri; rapporto di contrattazione e di conflitto e situazione di incertezza e insicurezza: ogni possibile
patto è precario, perché ogni attore da un momento all’altro può cercare di rompere l’equilibrio per spostare la
situazione più a suo favore. Nella struttura delle aspettative (che guida la condotta razionale degli attori) vi è
sempre la minaccia esplicita o anticipata del ritiro delle risorse economiche e l'imminente ed incombente
scoppio della violenza. Il nostro campo sociale definisce una situazione di incertezza permanente, in termini
di vantaggi, e di insicurezza altrettanto permanente, in termini di integrità fisica degli attori e delle loro risorse
materiali: è impossibile stabilire cosa accadrà in un secondo momento, perché ciascuno degli attori può
cambiare pretese. La conformità degli altri attori determina lo stato perenne di insicurezza ed incertezza: la
conformità, essendo instabile, rende incerto e insicuro per ciascun attore quanto potrà avere di vantaggi e di
integrità fisica.
• ATTORE ! RISORSE (mezzo) ! VALORI (fine): azione economica “robinsoniana”: in questo caso
l’attore non ha bisogno della conformità altrui per conseguire i valori, che può invece conseguire utilizzando
solo le sue risorse; è lo stesso attore che controlla i mezzi. IN questo caso il problema dell’insicurezza non si
pone neppure.
• ATTORE ! RISORSE (mezzo) ! CONFORMITA’ (fine): poiché la conformità destabilizza l’azione degli
attori, l’obiettivo dell’azione politica in un contesto sociale è quello di fermare e stabilizzare la
conformità: creare una conformità stabilizzata (non solo nel tempo 1, ma anche nel tempo 2, 3 e così via) e
generalizzata (che valga per tutti gli attori). La conformità diventa così un fine e non un mezzo: è il fine
dell’azione politica. Conformità stabilizzata e generalizzata = potere stabilizzato e generalizzato.
La duplicazione dell’azione dell’attore si ha tra:
1. Azione politica x: A ! R (mezzo) ! C (fine); ricerca di conformità garantita, quindi, dato che essa stabilizza
il potere, investimento di potere.
2. Azione politica y: A ! R (mezzo) ! C (mezzo) ! V (fine); fruizione o esercizio del potere per ottenere i
valori finali.
Ciò significa che la ricerca di conformità garantita stabilizza il potere e per questa via stabilizza i valori finali che
l’attore può ricavare dalla conformità degli altri.
N.B.: la fruizione del potere può anche avere la seguente forma:
ATTORE ! CONFORMITA’ (mezzo) ! VALORI (fine): conseguimento di valori finali attraverso la conformità,
senza impiego apparente di risorse. Ciò accade quando la conformità fruita corrisponde a una autorità = potere
stabilizzato nel quale coloro che prestano obbedienza obbediscono in modo “incondizionato” e nel quale
ognuno dei comandi non può essere assistito da minacce di punizioni, ma è puramente impartito.

AZIONE POLITICA: ILLUSTRAZIONI ! importante stabilire la differenza fra:


• Arene politiche senza governo (ARENE NATURALI) ! il quantum di conformità garantita di un attore
dipende dal suo stesso stock di risorse sociali. Ne segue che ricercare conformità garantita significa
utilizzare le proprie risorse, per perseguire il mantenimento o l’ingrandimento della forza strategica delle
risorse stesse. In politica naturale la ricerca di conformità garantita è ricerca di potenza.
• Arene politiche con un governo (ARENE MONETARIE) ! per un attore la conformità è garantita da un
attore terzo dotato di autorità politica. In politica monetaria ricerca di conformità garantita significa ricerca
diritti o posizioni di autorità.
Cinque azioni politiche di esempio per confermare la definizione di “azione politica”; tutte si risolvono in una ricerca
di conformità garantita:
Arene politiche naturali:
1. Corsa alla potenza ! i rapporti tra gli Stati nel mondo sono prevalentemente di contrattazione e conflitto.
L’accumulo di armi, per esempio, è finalizzato al mantenimento o all’ingrandimento del proprio rango di
potenza.
2. Difesa del dominio ! fruizione del potere da parte del dominante, che vuole mantenere intatta la propria
posizione di dominio: difesa del monopolio delle risorse chiave che l’attore già possiede.
Arene politiche monetarie:
1. Lotta per il potere ! lotta per conquistare o mantenere il “potere politico”, vale a dire i ruoli di governo.
Lottare per acquisire o conservare una forma particolarmente importante di conformità garantita.
2. Pressione sul potere ! scopo di conseguimento dei diritti, a cui corrisponde la capacità garantita di esercitare
un’attività nei confronti della quale sono schierate le disposizioni stabilizzate alla conformità degli altri attori
in gioco.
3. Partecipazione politica ! la partecipazione politica, nella sua lotta per i diritti, è anch’essa una ricerca di
conformità garantita.
In conclusione dunque, sia nella politica naturale che in quella monetaria, ogni azione politica può essere ricondotta
alla definizione generale di ricerca di conformità garantita.

PRODUZIONE POLITICA ! la produzione politica è l’incontro di pluralità di investimenti di potere, di una


pluralità di azioni politiche, da parte di attori diversi. È un insieme di conformità garantite multilaterali.
Differentemente che in economia, in politica la produzione di garanzia di conformità implica una relazione tra
almeno due attori: uno che cerca di garantire il proprio potere e l’attore la cui conformità corrisponde a tale potere del
primo. La produzione politica garantisce conformità reciproca garantita per almeno due attori.
Punti essenziali di una analisi della nozione di produzione politica:
1. La produzione politica è produzione di garanzia di cooperazione sociale ! sicurezza di interazioni, scambi
e rapporti sociali con altri attori.
2. La produzione politica opera mediante ordinamenti vincolanti ! gli attori interessati non sono liberi di
mettere in pericolo la stabilizzazione di conformità degli altri, devono rispettare delle regole a cui non
possono sfuggire. Nelle arene naturali quando le risorse sono disperse tra gli attori gli ordinamenti sono
applicati da accordi tra gli attori, quando invece le risorse sono concentrate nelle mani di un solo attore è lui
che decide gli ordinamenti. Nelle arene politiche monetarie (dotate di governo) la produzione politica è messa
in atto da decisioni collettive prese dai governi. Poiché le decisioni politiche sono collettivamente vincolanti,
la produzione politica porta con sé un’imprescindibile esigenza di gerarchia.
3. La produzione politica è anche distribuzione politica ! la produzione politica, in quanto produzione di
conformità garantita per una pluralità di attori, implica l’allocazione di una quota di conformità garantita ad
ognuno di essi. In politica l’atto di produzione significa atto di distribuzione, perché non è possibile produrre
garanzia di cooperazione senza distribuire conformità e poteri garantiti.

ARENE POLITICHE NATURALI ! in esse la garanzia di conformità per ciascun attore dipende
essenzialmente dalle risorse che lui stesso detiene. Si possono verificare due situazioni:
• Dispersione delle risorse ! quando nessuno degli attori in gioco ha un monopolio delle risorse; in questo
caso la decisione per mezzo della quale si dà produzione politica è un patto esplicito (quando è frutto di un
accordo fra le parti) o implicito (quando è tacito) fra gli attori;
• Monopolio (dominio naturale) ! quando un solo attore detiene una gran parte delle risorse; in questo caso la
decisione della produzione politica spetta esclusivamente al monopolista. Una situazione di monopolio è una
situazione relativamente stabile, perché l’attore che ha il monopolio delle risorse può con esse renderlo
permanente. Gli assoggettati sono privi di risorse rilevanti ma hanno la risorsa dell’organismo (forza lavoro
dei contadini) indispensabile per il monopolista. Abbozzo di funzione pubblica della protezione esterna,
interesse dei contadini e del monopolista stesso (difesa delle proprie risorse e ricerca del mantenimento del
proprio dominio).

ARENE POLITICHE MONETARIE ! in esse la conformità per ciascuno degli attori in gioco viene garantita
dall’opera di un attore terzo. Poiché la garanzia di conformità per un attore risiede in titoli e diritti (che permettono
di attivare l’opera dell’attore), le decisioni vincolanti che la produzione politica richiede non assumono la forma di
patti, ma quella di decisioni prese da un solo terzo attore (individuale o collettivo), come avviene nel monopolio.

FUNZIONI POLITICHE E ISTITUZIONI POLITICHE ! l’opera di produzione politica dell’attore terzo è


chiamata funzione politica. La funzione politica cambia a seconda dell'arena presa in considerazione (dalla semplice
protezione esterna fino all'allocazione) e si espleta attraverso un'organizzazione definita istituzione politica.
L'istituzione politica (es. polizia, esercito, organi amministrativi etc.) ha bisogno di risorse e collaborazione sociale.
Differenziazione che dà vita alle funzioni politiche:
• Ricerca di autorità ! acquisizione delle cariche di governo;
• Ricerca di diritti ! acquisizione/mantenimento dei diritti che tutelano la capacità di usufruire dei propri beni.
Esemplare è il caso delle monarchie feudali, dove il re (attore politico con supremazia) deve la sua posizione alla
capacità di svolgere efficacemente il ruolo di protettore e di arbitro nei conflitti tra i signori che, a loro volta, per
ottenere i diritti, non possono far altro che continuare a servirlo. Altro esempio sono le monarchie assolute, dove la
somma di potere del monarca non costituisce più una prerogativa naturale, ma dipende in parte sempre più cospicua
dalle funzioni politiche che egli stesso svolge. Nelle democrazie odierne, infine, questa divisione è accentuata al
massimo: il pacchetto di risorse di un attore non è più legato alla sua acquisizione, uso e perdita della cariche di
governo.
Come nascono e persistono le funzioni e le istituzioni pubbliche? Ci sono due teorie:
1. Teorie contrattualistiche: governo interpretato come un organo tenuto in vita da un contratto sociale stipulato
da attori che ricercano conformità garantita sotto forma di diritti (ricerca di diritti);
2. Teorie elitistiche: accentuano l'elemento del dominio ! governanti = minoranza organizzata che domina la
maggioranza dei cittadini (ricerca di autorità).
Gli attori che occupano le posizioni stabilite di “autorità politica” garantiscono la cooperazione sociale mediante la
produzione e distribuzione di certi tipi di diritti per il campo sociale di riferimento. Nel processo politico normale sia
il sostegno di diversi gruppi sociali verso gruppi politici sia le decisioni politiche dei diversi gruppi politici sono
selettivi (si indirizzano verso alcuni indirizzi politici nell’aspettativa che di ottenere delle decisioni politiche
favorevoli in termini di diritti) o orientati (si indirizzano a favore di certi gruppi sociali, nell’intento di ottenere il
sostegno sufficiente per mantenere le cariche di governo).
• 1^ condotta: ricerca di autorità politica: DECISIONI VINCOLANTI ORIENTATE → DIRITTI →
SOSTEGNO SELETTIVO → AUTORITÀ POLITICA (le decisioni vincolanti orientate conferiscono diritti
per sollecitare sostegno selettivo ed ottenere quindi autorità politica)
• 2^ condotta: ricerca di diritti: SOSTEGNO SELETTIVO → AUTORITÀ POLITICA → DECISIONI
VINCOLANTI ORIENTATE → DIRITTI (il sostegno selettivo viene prestato ad attori impegnati
nell’autorità politica per ottenere decisioni vincolanti orientate volte a portare diritti).
CAPITOLO IX: POTERE POLITICO

Poiché “governo” è una nozione potestativa (ossia una nozione che designa attività e istituzioni che incorporano un
potere), sembra opportuno individuare nel potere di governo il potere politico per eccellenza.

TENTATIVI DI DEFINIZIONE DI POTERE POLITICO ! dare una definizione di “potere politico” non è
facile, qui elenchiamo tre tentativi di definizione fatti da tre importanti studiosi:
• Bruno Leoni ! “il potere politico è la possibilità di ottenere rispetto, tutela o garanzia dell’integrità e
dell’uso dei beni che ogni individuo considera fondamentali ed indispensabili della propria esistenza”.
• Norberto Bobbio ! “il potere politico è sempre collegato all’uso della forza ed è inoltre 1) un potere che si
esercita su un gruppo numeroso di persone; 2) ha per scopo di mantenere nel gruppo un minimo di ordine; 3)
tende ad essere esclusivo, cioè a eliminare o a subordinare tutte le altre situazioni di potere”.
• Mario Albertini ! “potere cercato per se stesso, è il carattere essenziale della vita politica”.
Secondo Stoppino, solo quella di Bobbio si riferisce direttamente al potere politico.
La definizione di potere politico deve identificarsi con il “potere di governo” nelle arene monetarie, cioè quelle arene
dotate appunto di qualche forma di governo.
Su chi viene esercitato il potere politico? il potere politico imprime un orientamento all’insieme del corpo sociale.
Secondo il francese Lapierre il potere politico viene esercitato nella società globale (“il potere politico è la specie
del potere sociale proprio alle società civili e una società civile e una società globale”). Tuttavia il potere politico
non può essere definito in modo soddisfacente col solo riferimento al tipo di pluralità di uomini su cui viene
esercitato.
A quali attività si riferisce? Non ci sono definizioni soddisfacenti del potere politico sulla base della sfera di attività.
Quale fine persegue? Definizione del potere politico come il potere il cui scopo è il perseguimento del bene
comune. Il potere politico ha anche lo scopo di mantenere nel gruppo “coesistenza pacifica” (Bobbio); bisogna
tuttavia ricordare che il bene comune e la coesistenza pacifica non sono gli unici scopi del potere politico, ve ne sono
altri meno evidenti.
DEFINIZIONE provvisoria: POTERE POLITICO = potere stabilizzato esercitato ed obbedito con continuità; in
molte società politiche è un potere istituzionalizzato e la relazione si traduce in un rapporto di comando-obbedienza;
ha come scopo un minimo di coesistenza pacifica; produce poteri garantiti sotto forma di diritti per il campo sociale
di riferimento.
In definitiva una definizione soddisfacente del potere politico deve tener conto della sua funzione: è essa che
distingue il potere politico, inteso come potere di governo, da ogni altro potere sociale ! il potere politico è il potere
stabilizzato e generalizzato che produce poteri garantiti per il campo sociale, o la società, di riferimento.

IL MONOPOLIO TENDENZIALE DELLA VIOLENZA ! altra definizione di “potere politico” che lo associa
al monopolio tendenziale della violenza: attenzione sui mezzi che i detentori del potere impiegano per portare a
esecuzione i loro comandi.
Secondo questa definizione la forza e la violenza hanno un’importanza cruciale nel rapporto di potere politico;
inoltre, l’impiego della violenza tende ad essere esclusivo, cioè a “eliminare o subordinare tutte le altre situazioni
di potere” [N. Bobbio] ! questa affermazione è criticata da Stoppino, che non la ritiene sempre vera e attendibile;
tuttavia è attendibile se interpretata così: la violenza viene impiegata, tipicamente e in modo esclusivo, dai detentori
del potere politico (monopolio della violenza).
Questa teoria è stata ripresa da molti autori:
• Max Weber ! lo Stato pretende per sé il monopolio della forza fisica;
• Pierre Duclos ! rapporto politico come particolare rapporto sociale nascente nel senso di un gruppo da parte
dell’esistenza di un apparato speciale che tende al monopolio della costrizione.
Obiezioni alla teoria:
1. non tutti i poteri caratterizzati dal monopolio della violenza sono politici. Non esiste tuttavia nessuna realtà
oltre gli Stati che può essere associata ad un monopolio del genere;
2. non tutti i poteri politici sono associati al monopolio della violenza: di effettivo monopolio della violenza si
può parlare soltanto per gli stati moderni e contemporanei di matrice europea. Questo perché le società
primitive erano prive di governo, quelle antiche (Grecia e Roma) vivevano la guerra e la violenza come un
fatto “normale” e quotidiano, nel Medioevo i governi erano troppo instabili e deboli e la violenza era
comunque onnipresente nella società.
Il monopolio tendenziale della violenza è appunto tendenziale, non assoluto: in ogni società politica si riscontrano
anche usi della violenza che non fanno capo al potere politico e che non sono consentiti dai suoi detentori. In secondo
luogo non è assoluto perché c’è violenza non consentita dai detentori del potere politico, sia violenza che non fa capo
al potere politico ma che è da esso consentita.
In base a ciò Dahl afferma che è il governo che si identifica come “esclusivo regolatore dell’uso legittimo della
forza”. Stoppino crede che Dahl non consideri una cosa: i detentori del potere politico impiegano con continuità ed
in modo tendenzialmente esclusivo la violenza.
In definitiva il monopolio tendenziale della violenza significa quindi che: i detentori del potere politico impiegano
tipicamente e con continuità la violenza, attraverso l’apparato specializzato di cui dispongono; proclamano
“legittimo” tale apparato specializzato nell’uso della violenza; regolano in modo esclusivo l’uso della violenza
consentito; in talune circostanze, ai privati; e si oppongono, in modo socialmente preminente, agli usi non
consentiti della violenza da parte dei privati.
N.B: l’uso della violenza è sempre limitato a determinate funzioni ! la violenza non è la base esclusiva, ma il mezzo
specifico del potere politico.

POTERE CHE PRODUCE POTERE ! come si è già detto è la sua funzione, ciò che esso produce, che distingue
il potere politico da ogni altro potere sociale organizzato. Il potere politico è il potere stabilizzato e generalizzato,
quindi garantito, sotto forma di autorità che produce poteri garantiti sotto forma di diritti: in poche parole il potere
politico è il potere che produce potere per una società.
Nei sistemi liberaldemocratici odierni esistono in sostanza quattro tipi di diritti:
1. Libertà ! le libertà richiedono conformità nel senso del non impedimento da parte di qualcuno nell’ambito
della società.
2. Facoltà ! alle facoltà corrispondono delle conformità (obblighi) particolari e richiedono sempre la non
interferenza da parte di tutti i membri della società (es. facoltà di edificare una piscina in giardino).
3. Potestà ! richiedono specifiche disposizioni stabilizzate alla conformità da parte dei sottoposti (es. potestà
del datore di lavoro sui dipendenti).
4. Spettanze ! sono diritti a determinate cifre di denaro o a date quote di servizi sociali; ad esse corrispondono
particolari conformità (obblighi) di determinati operatori pubblici (es. ente pensionistico, ospedale).
A ciascun tipo di diritto (potere) corrisponde un obbligo (di conformità) di altri individui o gruppi. Tutti questi diritti
sono poteri garantiti, per esercitare i quali, di fronte alla non conformità degli altri, possiamo sempre rivolgerci al
giudice. Negli ultimi tre secoli nei paesi democratici si sono affermati dei diritti di cittadinanza, politici (diritto di
esercitare il potere politico, sia come membro di un organo che come elettore), civili (diritti necessari alla libertà
individuale: parola, pensiero, religione etc.) e sociali (diritti concernenti la sicurezza economica e la partecipazione ai
benefici e ai valori della società: welfare state) ! uguaglianza giuridica e pari opportunità per tutti i cittadini.
Dunque è la funzione di produzione e distribuzione di poteri garantiti (diritti) ciò che distingue il potere
politico da ogni altro potere sociale organizzato.
Altri poteri: economico (produce beni e servizi di benessere), simbolico (produce beni di identità etico-religiosa) e
coercitivo (produce danni alle persone aggredite) ! producono dei “beni finali”. Il potere politico, il governo,
invece, produce da solo reti e ordinamenti vincolanti di poteri garantiti (diritti), che sono “beni strumentali”,
che stabilizzano e tutelano l’acquisizione dei beni finali.
Tra potere di governo e poteri sociali (e i principali tipi di risorse: economiche, simboliche e di violenza) vi sono
relazioni significative:
1. il governo estrae o mobilita parte di tali risorse per sostenersi e per procedere alla produzione politica: il
potere politico ha bisogno di risorse economiche, simboliche e di violenza;
2. i detentori delle principali risorse sociali e dei rispettivi poteri hanno bisogno del governo per trasformare il
loro possesso delle risorse in diritti riconosciuti e validi nel campo sociale di riferimento: i governi regolano
l’uso e lo sfruttamento delle risorse.
FORME DI PRODUZIONE POLITICA (produzione di poteri garantiti, sotto forma di diritti):
• Regolazione ! emanazione di regole vincolanti più o meno generali riguardanti gli intercorsi sociali e la
cooperazione complessiva. Regolazione intesa come ridefinizione: società moderna in perenne transizione;
• Protezione esterna ! garantisce la difesa delle persone e dei loro beni dalle aggressioni provenienti
dall’esterno;
• Giurisdizione ! garantisce l’ottemperanza delle prestazioni dovute tra i diversi individui o gruppi, anche se
manca la conformità spontanea. Piena giurisdizione e piena protezione interna, a questi nuovi aspetti è
connesso il monopolio tendenziale della violenza, sia in funzione repressiva che preventiva. I governi moderni
non si limitano a garantire la coesistenza pacifica ma garantiscono anche la “cooperazione sociale”.
• Facilitazione ! produce generalmente diritti-facoltà, che agevolano la cooperazione sociale.
• Allocazione ! produce diritti-spettanze che riguardano determinate quote di denaro (welfare state).
ATTIVITA’ STRUMENTALI: attività necessarie al corretto funzionamento della produzione politica:
1. organizzazione delle istituzioni degli apparati;
2. l’estrazione di risorse dalla società;
3. l’alimentazione della fiducia.

VIOLENZA E CONSENSO ! Tutti i poteri politici dispongono di risorse di violenza.


Il fondamento del potere politico risiede nel consenso dei governati? Esistono due modelli a proposito:
1. Modello consensuale ! società politica come cooperazione consensuale e automaticamente violenza come
rottura della cooperazione;
2. Modello conflittuale ! accentuazione al massimo dell’elemento del conflitto e del ruolo della violenza per
ottenere obbedienza.
Nelle società politiche concrete il potere di governo poggia sempre sia sul consenso che sulla violenza. Attenzione:
per costruire una nozione di “consenso” bisogna escludere: a) i rapporti di potere conflittuali e b) l’ obbedienza per
abitudine/indifferenza/apatia.
Il consenso non è un tipo di obbedienza ma un tipo di fonte dell’obbedienza basata su a) motivazioni; b)
credenze/opinioni/affezioni.
Categorie di consenso:
• Membri dell'apparato amministrativo;
• Gruppi dirigenti;
• Categoria favorevole al potere.

CAPITOLO X: STRUTTURA POLITICA

POTERI POLITICAMENTE INFLUENTI ! basandosi sulla teoria di Gaetano Mosca, Guido Dorso, riferendosi
agli elementi della politica, ha elaborato una distinzione fra:
• Classe dirigente ! è il potere organizzato che ha la direzione politica, intellettuale e materiale della società;
• Classe politica ! è quella parte della classe dirigente che ha funzioni strettamente politiche e costituisce una
specie di comitato direttivo della prima.
Con questa distinzione Dorso ha sottolineato come il potere politico non poggia sul vuoto, ma è posto in un contesto
nel quale hanno grande importanza anche le altre forze direttrici, intellettuali e materiali, della società.
Critica a Dorso: non si possono porre nella stessa categoria il potere politico e le altre forze direttrici della società,
che sono distinte dal potere politico ! esiste tra di loro solo un rapporto di reciproco condizionamento.
L’idea di Dorso è di chiaro stampo marxiano: potere politico come potere di classe, da un punto di vista
prevalentemente economico.
CLASSE DIRIGENTE: non è sempre vero che la classe dirigente è un gruppo necessariamente compatto e unitario;
essa può essere:
• Monolitica (rigidamente coesiva attorno a una unità di interessi e di azione) e chiusa;
• Articolata (in una pluralità di gruppi) e aperta.
Non è vero neanche che la classe dirigente poggia esclusivamente su una base di natura economica: un’altra
importante base della formazione di un gruppo dirigente è data dalla disponibilità di una organizzazione per
influenzare in modo rilevante le opinioni e le credenze.
Non è possibile stabilire a priori quanti e quali sono i gruppi dirigenti di tutte le comunità politiche, ma è possibile
individuarne le caratteristiche ricorrenti:
• Disponibilità di risorse di grande importanza per il funzionamento della società (ideali, materiali, umane
etc.);
• Forma organizzata dell’impiego delle risorse disponibili.
Si forma così un rapporto di collaborazione e di scambio tra i gruppi politici e i gruppi dirigenti: i primi, che
governano, hanno bisogno del sostegno dei gruppi dirigenti (industriali, ecclesiastici etc.), mentre questi ultimi hanno
bisogno degli ordinamenti vincolanti (diritti) prodotti dal potere politico per impiegare le loro risorse.
La costellazione dei poteri politicamente influenti (classi dirigenti) rappresenta un limite di grande rilievo per il
potere politico; i gruppi dirigenti tendono a esercitare stabilmente sui governanti un potere che ha per oggetto la
presa di decisioni atte a garantire il mantenimento dell’utilizzazione pacifica, continuativa e redditizia delle risorse.

IL REGIME ! un regime politico poggia sempre su una certa costellazione stabile di poteri politicamente influenti.

CHE COS’E’ UN REGIME POLITICO: secondo Duverger, un regime politico è “un insieme di istituzioni politiche
che funzionano in un dato paese in un dato momento”.
Le componenti essenziali di un regime politico sono tre:
1. Valori ! orientano l’azione di governo e delineano l’area entro la quale essa può esplicarsi; pongono dei
limiti negativi all’azione di governo e tracciano un orientamento generale;
2. Regole del gioco ! stabiliscono i tipi riconosciuti di comportamento che possono essere adottati nella lotta
per la conquista del potere politico e nelle condotte rivolte a influenzarlo;
3. Organizzazione delle istituzioni ! determina le diverse istituzioni e le corrispondenti forme di produzione
dei diritti, nonché il modo in cui esse sono stabilmente coordinate.

CONDIZIONAMENTO DEI POTERI POLITICAMENTE INFLUENTI: nel condizionamento sostanziale operato


dai poteri politicamente influenti sul regime politico trovano la loro fonte quei valori politici dominanti del regime.
Le varie classi dirigenti (a seconda che siano chiuse o aperte) hanno interesse poi verso le regole del gioco e la
struttura organizzativa del potere, che non vengono però determinati in tutti i loro aspetti da questi.

SOSTEGNO STRUTTURALE DEI POTERI POLITICAMENTE INFLUENTI: oltre a limitarlo, l’assetto stabile
dei poteri politicamente influenti sostiene e appoggia, attraverso il regime, il potere politico: il regime politico
infatti riflette gli interessi permanenti e comuni dei gruppi dirigenti. Il sostegno dei gruppi dirigenti al potere politico
può essere di diverso tipo: il conferimento di risorse sociali, materiali o ideali a favore del regime politico
(appoggio finanziario, rafforzamento del regime con risorse religiose, consolidamento dei valori politici del regime
etc.) oppure anche la disposizione dei gruppi dirigenti a obbedire ai comandi e alle direttive provenienti dai
governanti.
Quali sono i motivi dell’obbedienza dei gruppi dirigenti ai governanti? Sono tre principalmente:
1. Il timore della violenza che i detentori del potere politico potrebbero usare;
2. La credenza nella legittimità del regime politico (legittimità di origine divina, democratica, carismatica etc.);
3. L’interesse nel sostenere il regime politico (tornaconto economico, sociale o politico).

VALORI CHE FONDANO LA LEGITTIMITA’ DEL REGIME ! i valori che stanno a fondamento della credenza di
legittimità esercitano una grande influenza sulle regole del gioco politico determinandone l’indirizzo fondamentale.
Attenzione: i valori che fondano la legittimità del regime sono diversi dai valori politici dominanti ! essi
stabiliscono la fonte dalla quale il potere politico deve provenire per essere riconosciuto legittimo (mente gli
altri stabiliscono l’orientamento in cui i detentori del potere politico devono impartire i loro comandi). I valori
dovrebbero essere considerati come una quarta componente del regime stesso ! osservazione che dovrebbe essere
accettata tutte le volte che ci si trova di fronte a un regime riconosciuto come legittimo. Ma non tutti i regimi politici
sono necessariamente legittimi: si pensi al caso della dominazione straniera, non accettata dagli indigeni (in questo
caso ci sono dei valori politici dominanti, ma i valori della legittimità non sono condivisi dagli autoctoni).

SOSTEGNO STRUTTURALE DEI GRUPPI POLITICI ! è importante il sostegno dei gruppi politici (partiti,
correnti, movimenti, fazioni) al regime: disposizione ad accettare i comandi e le direttive e disposizione ad accettare
le regole del gioco sia quando essi sono all’opposizione sia quando sono al governo. L’interesse (che per i gruppi
dirigenti è dato dal fatto che certe loro esigenze fondamentali, legate alle risorse, sono incorporate nel regime) si
concreta nell’opportunità che il regime offre loro di conquistare il potere politico. Il timore della violenza si
concreta anche nei confronti dell’opposizione e non solo nei confronti dei governanti.
REGIME, CLASSE POLITICA, CLASSE DIRIGENTE E CLASSE DIRETTA ! i contrafforti del regime sono
quindi costituiti dai gruppi dirigenti e dai gruppi politici ed è qui che va ricercata la legittimità del regime. Al livello
della classe diretta (singoli individui, non organizzati e non facenti parte di alcun gruppo dirigente) manca spesso una
percezione chiara dei valori politici dominanti e di quelli che fondano la legittimità del regime e delle regole del
gioco politico.
Soltanto in un caso la considerazione dei gruppi dirigenti e politici non basta ad accertare la legittimità del regime:
quando un regime mette in grave pericolo gli interessi fondamentali e relativamente permanenti dei membri della
classe diretta: ciò sfocia in tentativi di contestazione aperta e di ribellione.
Se tutti i membri della classe politica e della classe dirigente condividono la legittimità del regime, si può dire che
esso è legittimo; se invece una parte dei gruppi dirigenti e politici contesta, si può dire con certezza che il regime è
illegittimo o semi-legittimo ! rischio di rivoluzione = cambiamento sostanziale, repentino e violento di un regime
politico, sulla base del mutamento sostanziale della costellazione dei poteri politicamente influenti.

I POTERI MINIMI POLITICAMENTE RILEVANTI ! Bruno Leoni mette in luce un aspetto rilevante di ogni
sistema politico: anche i membri della classe diretta hanno dei poteri che limitano in modo stabile la libertà
d’azione dei governanti ! sono però poteri minimi (relativi a una sfera di attività circoscritta, ampia oppure
ristretta).
I poteri minimi politicamente rilevanti hanno per oggetto il rispetto, da parte dei governanti, di una certa sfera di
interessi considerati fondamentali e indispensabili dai membri della classe diretta.
I detentori dei poteri minimi sono gli individui non organizzati, che compongono la classe diretta; il fondamento di
tali poteri è costituito dall’indispensabilità della collaborazione dei membri della classe diretta al funzionamento della
società nel suo complesso: in definitiva il potere politico poggia anche sul sostegno dei membri della classe
diretta ! rapporto di collaborazione e reciprocità tra governanti e classe diretta.
Dal punto di vista strutturale c’è quindi una duplice forma:
• i condizionamenti negativi, che hanno per oggetto un non fare ! la classe diretta pone dei limiti stabili (più
deboli di quelli posti dalle classi dirigenti) alle politiche dei governanti; se questi cercano di superare il limite,
la classe diretta reagirà tramite sommosse e ribellioni.
• i condizionamenti positivi, che hanno per oggetto un fare ! i membri della classe diretta non solo limitano ma
anche sostengono il potere: disposizione stabilizzata alla partecipazione politica e disposizione ad
obbedire con continuità alle direttive e ai comandi dei governanti.
Quali sono i motivi dell’obbedienza delle classi dirette ai governanti? Ce ne sono principalmente cinque:
1. Il timore della violenza che potrebbe essere impiegata dai governanti;
2. La credenza nella legittimità, ma non del regime, piuttosto della comunità politica, verso la quale si prova un
sentimento benevolo o un giudizio positivo (questa credenza non è sempre presente, vedi assolutismi
dell’Europa moderna, dove la legittimità derivava dal diritto divino del sovrano);
3. L’interesse, fondato sul fatto che i governanti tutelano i beni fondamentali delle classi dirette;
4. L’abitudine: obbedienza come comportamento scontato e fossilizzato;
5. Il conformismo: accettazione passiva delle idee, delle norme e dei valori della maggioranza del gruppo a cui
si appartiene.
N.B: in conclusione, riguardo alla legittimità, ce ne possono essere tre tipi: a) credenza nella legittimità personale
(riguarda caratteristiche personali del governante, può essere diffusa in tutte le classi); b) credenza nella legittimità
basata sul regime (riguarda la fonte di potere, diffusa soprattutto in classi dirigenti e politiche); c) credenza nella
legittimità fondata sulla comunità (riguarda la comunità politica, diffusa soprattutto nelle classi dirette).
N.B: si noti che l’azione dei poteri minimi viene spesso trascurata perché opera spesso attraverso il meccanismo delle
reazioni previste. In realtà la loro azione è importantissima, soprattutto per i governanti, che devono cercare di non
superare il limite per non perdere il consenso e il supporto della classe diretta.

CAPITOLO XI: PROCESSO POLITICO

Il processo è l’insieme di comportamenti dinamici che modificano la struttura politica, ovvero si svolgono al suo
interno. Il processo politico può essere:
• Costituente ! processo politico che presiede trasformazioni strutturali;
• Normale ! processo politico che si incanala nell’alveo della struttura senza modificarla.
Il processo politico normale, a sua volta, può essere analizzato in base a: a) formazione e sostituzione dei governi, b)
decisioni politiche sostantive. Esso determina il chi e il che cosa della politica (chi governa e che cosa decide chi
governa).

LA LOTTA PER IL POTERE: LA POSTA IN GIOCO ! dal punto di vista processuale, la classe politica è
costituita da “uomini politici”, cioè coloro che si occupano di politica, facendo di essa una professione. L’attività
politica per eccellenza, alla quale partecipano i diversi gruppi della classe politica, si può definire come “lotta per il
potere”, e il criterio che guida questi gruppi nelle loro azioni è la ricerca di potere.
Posta in gioco ! potere non in senso psicologico (personalità politica); il potere è un qualcosa che si può
conquistare, conservare o perdere: si tratta di un potere di comando e obbedienza, solitamente istituzionalizzato e
stabilizzato, garantito (produce diritti) e politico (di governo, associato anche all’uso della violenza negli stati
moderni europei).
Lotta per il potere = lotta per conquistare o conservare le posizioni e i ruoli stabili dai quali si esercita il potere
politico. Solo in politica la lotta per il potere diviene durevole e pienamente spiegata: intorno al potere politico si
forma una classe politica che si impegna in modo continuativo nella lotta per il potere, che rende il centro della sua
attività.
La posta in gioco politico si definisce primamente in termini di chi, e non in termini di che cosa.
La centralità della lotta per il potere in politica deriva dalla combinazione di due fatti: essa è relativamente
indipendente (prassi autonoma) dal programma politico che si vuole attuare una volta conquistato il potere ed è una
condizione indispensabile (prassi necessaria) dell’attuazione effettiva del proprio programma politico.

LA LOTTA PER IL POTERE: IL GIOCO ! lotta come competizione che si instaura tra diverse fazioni della
classe politica. Esiste una distinzione di lotta politica a seconda del regime in cui viene effettuata: competitivo o non
competitivo.
Competizione politica in una poliarchia:
1. La competizione è aperta ! si possono liberamente formare gruppi politici che partecipano alla
competizione; sono garantite certe condizioni di base (libertà di associazione, libertà di stampa, libertà di
parola etc.);
2. La regola del gioco, che decide chi vince e chi perde nella competizione, è il voto popolare ! per
conquistare il potere bisogna vincere le elezioni e conquistare la maggioranza.
Due conseguenze importanti: da un lato il carattere aperto e il voto popolare fanno sì che la competizione poliarchica
palesi una potente forza di espansione (capacità di attrarre nel processo politico una gamma ampia di interessi e di
forze sociali); dall’altro, la regola del gioco del voto popolare è capace di strutturare la competizione politica entro un
quadro di aspettative certe e stabili ! competizione poliarchica espansiva e strutturata in un quadro di
aspettative relativamente stabile.
Competizione in una politica di corte (monarchia):
1. La competizione è chiusa ! i gruppi politici non hanno la possibilità di appellarsi all’elettorato e a istanze
sociali più ampie;
2. La regola del gioco è il favore del sovrano ! il favore del Re è indispensabile per entrare in una zona di
influenza e di potere;
3. Bassa permeabilità verso l’esterno;
4. Incertezza e imprevedibilità della politica di corte.
Dunque la lotta per il potere è una competizione, ovvero un gioco nel quale diversi attori cercano di ottenere,
ciascuno per sé, un dato premio, secondo regole accettate da tutti gli altri attori: lotta politica regolata (diversa dal
combattimento, che invece non è regolato).
Un carattere comune della competizione nei diversi sistemi politici è che per conquistare e mantenere il potere
politico, occorre passare attraverso il consenso o il sostegno degli altri attori (elettorato, sovrano, burocrati
dirigenti) ! nella competizione politica è sempre di importanza primaria il sostegno delle forze sociali che
hanno un’elevata capacità di condizionare e di influenzare il potere di governo.
Dato ciò si può dire che quindi la lotta per il potere politico è sempre una lotta per conquistare o conservare il
sostegno politico decisivo.
Allo stesso modo i programmi, le contestazioni, le decisioni politiche delle diverse fazioni della classe politica sono
mosse per acquisire, mantenere o accrescere il sostegno politico rilevante e, in definitiva, per conquistare il potere
politico.
LA PRESSIONE SUL POTERE ! i gruppi della classe politica non sono i soli che agiscono nel processo della
lotta per il potere; i gruppi della classe dirigente sono altrettanto importanti, perché detengono in forma organizzata
risorse di grande importanza per il funzionamento della società e in forza a ciò esercitano un condizionamento
strutturale che passa attraverso il regime.
L’attività svolta dai gruppi dirigenti non è politica, è di altro tipo (economica, religiosa etc.) ! non sono gruppi
“politici”, ma “politicamente influenti”. Il loro interesse per la politica non è diretto, ma indiretto ! interesse
attivato dal fatto che le decisioni del governo possono avere ripercussioni (positive o negative) sulle loro attività.
Interesse che non tocca solo i gruppi dirigenti, ma i “gruppi di pressione” in generale ! gruppi che, pur non
detenendo poteri di condizionamento strutturale, mantengono desta l’attenzione sopra le possibili conseguenze delle
decisioni politiche nei termini dei propri interessi sociali e sono pronti ad intervenire per difendere i loro diritti.
I gruppi di pressione non mirano a conquistare il potere politico: ciò che gli importa veramente sono i contenuti
delle decisioni politiche, ovvero il che cosa della politica, non il chi (che invece importa ai gruppi della classe
politica).
La pressione politica può essere scomposta in due componenti essenziali:
a) Premere sulla classe politica significa articolare determinate domande politiche: la “pressione” è una domanda
qualificata e rinforzata dalla capacità di pesare;
b) Accompagnare la domanda con il conferimento o il ritiro selettivo del proprio sostegno politico a una o più
fazioni della classe politica.
Ogni gruppo di pressione possiede delle risorse, tramite le quali presta sostegno a un gruppo politico, che impiega
queste risorse liberamente ! processo di conversione politica delle risorse sociali: le risorse sociali si trasformano in
risorse politiche (es. in campagna elettorale le iniziali risorse economiche vengono utilizzate come risorse politiche).
Le formazioni politiche si servono delle risorse dei gruppi di pressione nella lotta per il potere.
La conversione politica delle risorse sociali serve invece ai gruppi di pressione per rafforzare le loro domande e
tradurle in pressione politica ! direzione selettiva nel processo politico.
Il sostegno politico selettivo dei gruppi di pressione è guidato dall’aspettativa-speranza dei contenuti desiderati delle
decisioni politiche: se le politiche sono buone i governanti otterranno altri finanziamenti, altrimenti il sostegno verrà
ritirato.
Dunque: il conferimento e il ritiro di risorse sociali che i gruppi di pressione operano nei riguardi della classe
politica, vanno interpretati come mosse per ottenere o per evitare determinati contenuti delle decisioni
politiche.

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