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Introduzione

Il lavoro che verr presentato di seguito pare dallassunto fondamentale che


lopera di Lowi sia stata male interpretata dalla maggior parte dei politologi
mondiali e questo dipende da varie circostanze.
Innanzitutto la fama di Lowi ha spinto il mondo accademico a dividersi in
fazioni estremiste: chi acclamava pedissequamente il lavoro del politologo
americano e invece chi si accanito a causa di antipatie personali, avanzando
critiche spesso non inerenti al lavoro dello scienziato ma piuttosto alla
persona.
Questo tipo di atteggiamenti di certo non ha giovato allanalisi e allutilizzo
del lavoro di Lowi per esprimere concetti validi anche al di fuori dellambito
accademico, proposito fondamentale del lavoro del politologo in questione.
Chi inneggiava alla grandezza del modello delle arene del potere ha
dimenticato di sottolineare come questo modello pecchi sotto alcuni aspetti
normativi ma soprattutto possa presentare diverse difficolt nellapplicazione
fuori dal sistema americano. Il legame cos stretto tra il lavoro di Lowi e la sua
nazione pu essere spiegato solo dalla grande passione civile che questo
scienziato politico ha profuso per tentare il passaggio del politologo dalle aule
universitarie al Congresso americano, provando a dare quindi un contributo
personale al miglioramento della politica della sua nazione
I critici della teoria di Lowi invece hanno preferito accanirsi sulle lacune
normative e applicative del modello delle arene del potere fermandosi al solo
aspetto teorico piuttosto che tentare di testare la validit delle proprie critiche
con dati empirici. Le possibilit che vengono offerte dal modello sono
oggettivamente estese e avrebbero potuto essere sfruttate meglio piuttosto che
essere messe al centro del dibattito politologico mondiale solo come uno
spartiacque prima tra teorici della politics e teorici delle policy, per poi entrare
nellocchio del ciclone degli studi sulle politiche pubbliche.
Il tentativo offerto in questo lavoro cercher di essere di tuttaltro respiro.

Lautore infatti si avventurer prima in unanalisi dettagliata del lavoro di


Lowi, tentando di leggere tra le pieghe dei concetti contenuti nel modello delle
arene del potere. La scomposizione in singole parti potr infatti suggerire ci
che il modello non ha mai espresso in un lavoro compiuto e sistematizzato. La
pecca di Lowi di non aver riordinato una teoria cos importante in un lavoro
serio e organizzato stata letta dallautore di questa tesi come una possibilit
offerta dal politologo americano di impossessarsi dei suoi concetti per
esaminare se effettivamente lidea del modello delle arene del potere, capace
di prevedere le evoluzioni del sistema istituzionale tramite lanalisi delle scelte
di policy effettuate, possa essere migliorata o comunque disaggregata e
ricomposta in riflessioni pi attuali e strutturate.
Dopo il tentativo qui sopra descritto, lultimo capitolo della tesi si spinger in
unapplicazione oltreoceano, precisamente nel sistema italiano, delle tipologie
lowiane non ad eventi gi accaduti, ma piuttosto a situazioni ancora in atto.
Per quanto questo tentativo pu sembrare pretenzioso o superbo, lautore di
questa tesi ah preferito testare sul campo la validit del modello esponendo il
suo lavoro a smentite future e critiche piuttosto facili.

1. Cosa una politica pubblica?


1.1. Politics e Policy: policy determines politics
Lorigine dei policy studies pu essere collocata tra gli anni 60 e 70 del XX
secolo. In quel periodo, allinterno della scienza politica mondiale ma
soprattutto americana, si verific una rivoluzione epistemologica con una
portata pari allo sconvolgimento che il comportamentismo aveva prodotto
trentanni prima. In questa rivoluzione finirono sotto la lente della comunit
non solo le teorie e i modelli fino ad allora proposti, ma soprattutto il ruolo
dello studioso che compie una svolta fondamentale. Infatti fu avvertita
lesigenza di andare oltre la conoscenza e la descrizione dei fenomeni politici,
responsabilizzando la comunit scientifica attraverso un richiamo al dovere di
migliorare la vita politica. Inizia cos quella lenta modifica del ruolo dello
scienziato politico che abbandona la ricerca della neutralit per assumere un
ruolo di esperto. Chiarificazione essenziale per affrontare levoluzione di
questa disciplina la difficolt di natura lessicale che la comunit italiana ha
dovuto affrontare. Infatti la lingua inglese possiede due termini diversi per
definire la politica, politics e policy. Politics pu essere definita attraverso le
parole di diversi autori, come Weber (1980, p.479): laspirazione a una
partecipazione al potere o ad uninfluenza sulla distribuzione del potere. La
politics riguarda la lotta per il potere, la sua distribuzione e la lotta tra gli attori
per la sua detenzione: la domanda degli scienziati politici che adottano una
prospettiva politics Chi ha potere e perch?. La domanda che invece si
pongono i policy studies che cosa si decide, come e con quali
conseguenze?.
Il termine policy indica la natura pi dinamica del fenomeno politico, vista
attraverso le sue attivit con particolare attenzione verso lazione dellautorit
pubblica. Policy, in conclusione, quella dimensione della politica che
rimanda alle conseguenze della politica piuttosto che sulle condizioni di

partenza, soffermandosi sugli interventi, sulle proposte e sullattuazione delle


scelte del governo.
La rivoluzione dei policy studies adotta come variabile indipendente le policy,
ribaltando lassunto della scienza politica classica che vuole le politiche
pubbliche come semplice risultato delle interazioni degli attori in lotta per il
potere. Le azioni del governo e le decisioni che assume sono analizzate come
determinanti delle diversi componenti della struttura e della lotta politica: a
seconda del tipo di policy intrapresa dallazione governativa, lo scienziato
politico dovr analizzare diverse strutture istituzionali. Studiare le politiche
pubbliche non vuol dire non concentrarsi sul potere: si tratta solo di guardare
al di l di esso, non ritenerlo unico fondamento del fenomeno politico. La
politica fatta di idee e conoscenze come sostiene Lasswell(1971) ma anche
di capire la realt, di anticiparne i bisogni o di gestire situazioni incerte.
Possiamo quindi dire che assumere come punto di osservazione analitica la
prospettiva offerta dai policy studies ci permette di arrivare al senso pi
realistico delle cose, di capire quali sono gli effetti concreti delle interazioni
politiche. In omaggio alla tradizione pragmatista americana, i policy studies
possono offrire una visione pi disincantata della politica permettendoci di
sviluppare un senso critico forte senza vincoli ideologici.
Lowi nel 1972 avanza unipotesi che sconvolger per sempre gli studi politici:
la policy determina la politics. Idea originale di Lowi era quella di superare le
prospettive passate per adottarne unaltra, pi aderente alla realt politica e che
considerasse diverse variabili nelle proprie analisi, non limitandosi alla sola
sfera del potere. Alcuni studi precedenti ai lavori di Lowi tentarono di
concentrarsi sulle politiche pubbliche ma essi avevano il difetto di essere
dominati dalla scienza economica che poco si interessava dei risvolti politici e
sociali delle policies, concentrando la propria attenzione solo sulla variabile
economica (Dye 1966). Lowi invece propone una nuova metodologia, interna
alla scienza politica e basata su osservazioni pi analitiche, articolate e spesso

anche pi problematiche, capace per di guardare nel complesso lintero


fenomeno politico.
Attraverso lelaborazione delle arene del potere, lo schema delle interazioni tra
gli attori, adottato dalla prospettiva politics, completamente ribaltato: i
diversi tipi di policy vanno a creare unarena a s stante nella quale esistono
una molteplicit di processi politici, dinamiche di conflitto particolari.
1.2. Definizione minima di policy
Ma nonostante questo accordo sulla necessit di ribaltare la prospettiva della
scienza politica, sul nuovo ruolo che i politologi debbano assumere, vi sono
enormi differenze tra gli studi effettuati dal principio di questa rivoluzione,
rivelando una disciplina spesso frammentata e non sempre capace di assumere
la diversit come unopportunit di arricchimento comparativo.
Innanzitutto bisogna chiarire che il disaccordo maggiore vi sulla definizione
di policy. Ogni analista di politiche pubbliche ha cercato di definire un suo
personale significato di policy contribuendo spesso allimmagine distorta dei
policy studies come una disciplina alle prime armi. Come sostiene Sola (1996,
p.466): partendo dalla constatazione che ognuno in condizione di
riconoscere una policy quando la vede, [], molti degli studiosi che hanno
privilegiato questo oggetto di indagine si sono impegnati a predisporre una
definizione personale. Quindi le politiche pubbliche non sono un oggetto di
facile definizione proprio per la natura multiforme che assumono e che pu
essere definita a seconda della prospettiva dellanalista. Per raggiungere un pi
chiaro significato delle posizioni assunte dai policy studies intorno alla
determinazione delloggetto di studio dobbiamo innanzitutto chiarire ci che
una politica pubblica non .
Le politiche pubbliche non sono leggi; la contiguit tra queste due materie non
deve cogliere in inganno poich law making e policy making non sono concetti
sovrapponibili, n nella metodologia n nella pratica. Questo concetto pu
essere facilmente apprezzabile in paesi come USA e Gran Bretagna, dove i

giuristi non sono presidi di attivit di governance ma in Europa, soprattutto in


Italia, le leggi e i provvedimenti amministrativi sembrano lunico modo di
rispondere agli obiettivi programmatici del governo. Levidente discrasia nella
pratica tra interventi normativi e una coerente politica pubblica pu essere
meglio compresa attraverso un esempio: lItalia possiede leggi sulla sicurezza
nei luoghi di lavoro tra le pi avanzate dEuropa ma una valutazione delle
politiche, attraverso i dati della frequenza degli incidenti sul lavoro,
difficilmente confermerebbero la bont dellimpianto legislativo. Inoltre
lesistenza di una legge facilmente verificabile, attraverso la reperibilit nei
codici. Ricercare lesistenza di una policy tuttaltro che unesperienza facile:
per ora possiamo limitarci a riportare le parole di Salisbury (1968, p. 153) La
politica pubblica necessariamente unastrazione. Infine da sottolineareche
lenforcement irreprensibile di una legge non corrisponde sempre a
unimplementazione ottimale e viceversa. Un caso da prendere in
considerazione sono la l.cost. n. 1/1999 e la l.cost. 3/2001 che permettevano
alle regioni di poter disporre autonomamente del contenuto dei propri statuti
che per, nella pratica, sono risultati omologati in tutte le regioni, eccezion
fatta per la Toscana.
In secondo luogo, come sostiene Giuliani (1996, p.318) le politiche non sono
decisioni, o scelte o, piuttosto, non sono solo questo. La fase decisionale
rappresenta una fase fondamentale allinterno del ciclo vitale di una policy ma
non pu essere identificata solo con un atto deliberativo. I policy studies,
contrariamente alla semplificazione dellassimilazione tra scelte e policy,
concentreranno notevolmente la propria attenzione sulle distorsioni che
avvengono tra la fase della decisione e la sua esecuzione.
Le politiche pubbliche, inoltre, non possono essere identificate in programmi
strutturati da attori consapevoli dei risultati n possono essere intese come i
grandi cambiamenti che avvengono in un determinato periodo o classe sociale.
Le grandi ideologie o i semplici calcoli matematici costi-benefici non
esauriscono completamente una politica pubblica. La casualit degli eventi e

lincoerenza nel processo di policy making degli attori provocano effetti non
previsti che producono deviazioni non previste. La realt in cui intervengono e
agiscono gli attori politici d luogo a un sistema il pi delle volte
indeterminato e casuale rispetto alle intenzioni dei decisori: una politica
pubblica consta anche di effetti imprevisti e quindi non sono fenomeni che si
autodefiniscono, bens categorie analitiche, i cui contenuti sono identificati
dallanalista pi che dallo stesso policy maker (Heclo, 1972, p. 85). La
politica pubblica non pi un fenomeno oggettivo ma un metodo di raccolta
di interventi isolati che solo insieme e attraverso la lente dellanalista,
spogliata di premesse ideologiche, acquistano un significato comune. Di
conseguenza il centro dellattenzione dei policy studies rappresentato dalla
visione dinsieme di un problema collettivo: suggerendo come il termine
policy sia molto inclusivo, potendo comprendere una vasta tipologia di
interventi, Mayntz (1983, p.128) ne propone un elenco non esaustivo
composto da:
Emanazione di norme regolative
Allocazione risorse finanziarie e di incentivi
Offerta di beni e servizi
Procedure predeterminate per situazioni critiche
Politiche simboliche
Ulteriore punto di disaccordo allinterno dei policy studies la divisione

macroscopica che avviene tra gli studi che preferiscono concentrarsi sul
momento descrittivo e coloro che scelgono di coinvolgere il proprio lavoro
nella programmazione e valutazione delle politiche pubbliche. In merito a
questa divisione, Regonini(2001) compie una precisa analisi del continuum
prescrittivo/descrittivo che caratterizza le finalit della ricerca e dellessenza
stessa del ruolo dellanalista di politiche pubbliche.
Per quanto riguarda le finalit prescrittive gli studiosi e gli analisti delle policy
da sempre si sono posti lobiettivo di dare risposte e suggerimenti al fine di
migliorare le politiche pubbliche. Ne sono espressione i diversi think tanks,
come quelli creati da Roosevelt o Reagan. Secondo Dye(1987) la volont di
approfondire gli aspetti tecnici di una politica pubblica nascono da diverse

motivazioni; tra queste quelle che ci interessano sono il desiderio dello


studioso di sottoporre alla realt le proprie tesi oppure la base di una precisa
competenza professionale. Ma se dallinfluenza reciproca tra elettori ed
eletti, secondo la visione politics, che nascono le esigenze legittime di policy,
qual lo spazio per lanalista delle politiche pubbliche? Forster(1978) e
Jennings(1987) propongono la metafora dellavvocato a supporto del ruolo dei
policy studies: in questa metafora il committente sarebbe lassistito mentre
lanalista sarebbe lavvocato che proporrebbe una buona argomentazione in
guisa di unimpossibile ricerca di una verit superiore. Questa analogia
naturalmente figlia di una visione pluralista, con vincitori e perdenti, che
per si accosta ottimamente alla radice pragmatista dello studio delle politiche
pubbliche.
Per quanto riguarda, invece, laltro lato del continuum prescrittivo/descrittivo,
vi sono le indagini che tentano di capire ci che i governi e i cittadini
effettivamente fanno (Ashford, 1983). Regonini(pag.76-77) esamina la
discussione avvenuta negli ultimi cinquantanni intorno allopportunit di
utilizzare i criteri delle scienze naturali per le scienze sociali. Questo dibattito
ha raggiunto negli ultimi anni una posizione meno integralista, sottolineando
come lantica dicotomia tra scienze naturali e scienze sociali si sia dissolta
attraverso diversi contributi tra i quali lorientamento comportamentista, lo
sviluppo dellinformatica e dei dati qualitativi. Quindi la scelta del termine
descrittivo rappresenta una scelta euristica, da leggere nel contesto di un
continuum e non di due rette parallele, per cui la posizione di un autore e dei
suoi lavori raramente posizionata su uno dei due poli ma piuttosto in
tensione verso uno di questi, comprendendo finalit diverse dalle intenzioni
iniziali.
Oltre queste dispute metodologiche e oltre i punti di disaccordo tra gli
scienziati, diversi autori hanno provato a definire in positivo il concetto di
policy, chi con la dovuta approssimazione di chi consapevole di operare sul

terreno di una scienza sociale e chi invece ha preferito utilizzare definizione


assiomatiche che spesso sono state smentite dalla realt empirica.
Per una definizione in positivo di ci che una policy dobbiamo analizzare i
possibili elementi fondamentali di una definizione minima.
Capano (2009) tenta un elenco di principi costitutivi di una politica pubblica,
determinando quali possano essere i punti fermi di unanalista che cerca di
definire i contenuti del suo oggetto di studio:
Arene del potere: centri di lotta, istituzionali e non, dove gli attori cercano
di conquistare la propria influenza
Istituzioni con regole formali e organizzazioni che tendono a riprodursi nel
tempo
Obiettivi di intervento delle istituzioni politiche
Centri di discussione con diversi gradi di apertura alla discussione pubblica
Network relazionali pi o meno dinamici tra i soggetti interessati ad una
determinata politica pubblica
Meny e Thoenig(1991) nella loro definizione minima di policy, sostengono
che il prodotto dellattivit di unautorit provvista di potere pubblico e
legittimit istituzionale. Le decisioni dellautorit pubblica e le conseguenze
da essa immaginate sono il contenuto di questa definizione. Laccento posto
sulle intenzionalit delle decisioni di politica pubblica non nasconde che
queste possano avere effetti imprevisti ma preferisce sottolineare come
condizione necessaria le volont degli attori facenti parte del processo di
policy making. Questa intenzionalit pu essere intesa per in diversi modi. Si
pu porre laccento sugli elementi razionalistici-deterministici oppure definire
le politiche pubbliche programmi progettati di valori, di fini e di pratiche
(Lasswell e Kaplan 1997); altri, piuttosto, preferiscono sottolineare la
strumentalit delle politiche pubbliche per rispondere a problemi di rilevanza
collettiva.
Nella definizione minima di politica pubblica non pu mancare unanalisi sul
carattere pubblico di essa, natura fondamentale dellazione governativa e
uno degli oggetti principali di questo lavoro. Ma possibile arrivare a una
concezione unitaria ai quali gli analisti possono affidarsi?

Uno dei possibili modi di spiegare cosa pubblico quello suggerito da


Rose (1989, p.13): meglio usare il termine policy per fare riferimento in
generale alle attivit di governo Dye (1972, p.1) fa eco a questa descrizione,
definendo le politiche pubbliche: tutto ci che i governi scelgono di fare o di
non fare. Ci che questi autori vogliono comunicarci che una politica
pubblica, per essere tale, deve essere dotata di unautorit che pu provenire
esclusivamente da attori pubblici.
Questo riferimento allautorit pubblica come unica fonte di costituzione delle
politiche pubbliche pu essere riduttivo. Lautorit pubblica sicuramente
lattore principale ma bisogna adottare una prospettiva pi ampia: la
costituzione pubblica di una policy non deriva esclusivamente dalla natura
degli attori ma piuttosto alla rilevanza del problema che esclusivamente di
natura collettiva. La rilevanza di questo problema, e il suo diventare quindi
pubblico, una costruzione sociale e non pu essere determinata attraverso
semplici attivit di osservazione e misurazione. Una costruzione sociale
sempre unapprossimazione della realt e gli attori che prendono parte alla
decisione, che siano pubblici o privati, agiscono deliberatamente cercando di
definire pubblico un problema che essi avvertono come tale. Con la
definizione della natura pubblica di una policy spostando lattenzione sulla
rilevanza del problema non pi possibile escludere a priori gli attori privati,
formali e non, tanto pi che alcuni attori, per quanto non investiti dellautorit
pubblica, hanno acquisito una tale estensione geografica e di potere da
condizionare i governi nazionali e internazionali.
Lowi, la cui opera rappresenta la finalit dellanalisi di questo lavoro, fissa la
sua definizione di policy sottolineando come sia il carattere sanzionatorio il
principale elemento costitutivo. Lowi, in un suo contributo del 1987,
sottolinea come lorigine comune di policy e police debba far soffermare che
tratto unificante di tutte le politiche pubbliche il monopolio della coercizione
legittima da parte del governo: di conseguenza, tutte le politiche pubbliche
devono essere intese come coercitive. Esse possono essere motivate dalle

migliori e pi benevoli intenzioni, e possono essere messe in opera con lo


spirito pi equo e caritatevole. Ma ci non le rende meno coercitive.
In conclusione doveroso ricordare come sia facile cadere in tentativi di
definizione oggettivi con parvenze scientifiche. Infatti le politiche pubbliche
sono dei costrutti della mente che sono ricostruiti attraverso dati e prospettive
differenti che costringono lo studioso ad avere un atteggiamento positivo nei
confronti della complessit delle politiche pubbliche.

1.3. Le tre facce dei policy studies


Ma quali sono le origini di questo approccio e quali sono state le condizioni
che hanno portato i policy studies a svilupparsi come una disciplina
autonoma?
Nellottica di questo lavoro, importante concentrarsi sulle circostanze
ambientali e interne alla stessa scienza politica che hanno condotto a questa
rivoluzione per poi poter delinearne i tratti storici essenziali.
1.3.1 Circostanze ambientali
Cotta(1989) assume come condizione ambientale determinante per la
disciplina delle politiche pubbliche la diffusione del modello di democrazia
americano che poneva al centro dellattenzione ci che il governo e lautorit
pubblica facesse in risposta alle domande dei cittadini, relegando in secondo
piano lo studio delle modalit di accesso al potere: ci era determinato anche
dal fatto che negli Stati Uniti non esistessero partiti con concezioni opposte del
mondo e della politica, producendo una minore attenzione verso i temi classici
della scienza politica europea quali la competizione e la partecipazione. I paesi
europei, non pi minacciati da involuzioni autoritarie o rivoluzioni, hanno
potuto concentrarsi su questi nuovi temi, quasi obbligati anche dallespansione
post-guerra del Welfare State. Lestensione dellintervento statale dovuta
principalmente a due fattori: le esigenze di legittimazione del governo e del

mantenimento del consenso e le risposte necessarie alle domande dei cittadini


in termini di bisogni.
Questa trasformazione dello Stato contemporaneo consente quindi lapertura
ad analisi politologiche diverse: le analisi, ora pi concentrate sulle politiche
pubbliche, si focalizzano su temi quali leconomia, integrazione sociale, i
nuovi diritti ma soprattutto si occupano di convenienza economica dello Stato
e corrispondenza nella realt dei suoi obiettivi. Questultimo punto di analisi
fondamentale soprattutto quando il fallimento della macchina governativa
diviene evidente e spinge i ricercatori ad occuparsi di nuovi tipi di ricerche
quali

levaluation

research

limplementation

research,

discipline

specialistiche figlie del predominio delle teorie economiche allorigine dei


policy studies. Molti economisti come Downs e Olsen si sono avventurati in
studi che analizzavano politologicamente il rendimento del Welfare e
dellazione pubblica in generale. Secondo lopinione di Meny e Thoenig,
contributo fondamentale alla nascita dei policy studies stata la parabola
compiuta dal Welfare State, dal suo sviluppo post-guerra mondiale fino ad
arrivare ai grandi fallimenti tra il 1970 e il 1980. Il Welfare e le prestazioni
governative ad esso correlate hanno sicuramente generato nei cittadini un
senso di benessere ma stato proprio questo senso di benessere a spostare
lattenzione dalla lotta per il potere, tema centrale nella prima met del XX
secolo, alle prestazioni dellautorit pubblica che, non capace di soddisfare
lampio raggio di nuovi bisogni provenienti dai nuovi diritti, ha cominciato nel
fallire sistematicamente i suoi scopi.
1.3.2. Le tre facce dei policy studies: tratti storici essenziali
Queste circostanze ambientali hanno permesso di sviluppare allinterno della
scienza politica diversi approcci e diverse linee di ricerca che, per quanto
differenti nella metodologia, mettevano al centro del loro approccio le policy
come variabile determinante e indipendente del fenomeno politico.
Cotta, nello stesso contributo, mette a fuoco levoluzione di questa disciplina
evidenziando le tre facce dei policy studies:

La prima faccia quella che [] possiamo chiamare delle policy sciences,


ci riporta agli anni successivi alla seconda guerra mondiale, quando il tema
delle policies viene proposto come punto focale della ricerca nellambito
delle scienze sociali, con la forza di un programma di rinnovamento
collettivo degli studi, da Harold Lasswell e dai suoi associati
La seconda si interroga sulle determinanti dei policy outputs, in questo
campo di indagine ci si mossi via via verso modelli esplicativi che
incorporano la possibilit di interazione tra variabili socioeconomiche e
variabili politiche piuttosto che da modelli che le considerano come
radicalmente alternative.
La terza, infine, emblematica del programma di ricerca lowiano per cui
policies determine politics; se cos non pi questione se sia luna
[socio-economiche] o laltra variabile [politico-istituzionali] a determinare
le policies, ma se queste non possono e debbano essere considerate a loro
volta una variabile capace di spiegare i processi politici.
Per le prime due facce, la cui delineazione essenziale per comprendere gli
sviluppi storici dei policy studies, obbligatorio essere sintetici per esigenze di
spazio mentre la terza faccia, forse la vera rivoluzione copernicana allinterno
della scienza politica, sar lobiettivo di analisi di questo lavoro
Per quanto riguarda la prima faccia, Lasswell nel 1951 interviene nel dibattito
metodologico della scienza politica sostenendo che esiste una scienza per il
policy making e una scienza del policy making. Con questa tesi Lasswell
auspica che la scienza politica possa diventare una disciplina pratica e
operativa, effettuando quindi un ruolo di controllo delle decisioni assunte
dallautorit pubblica che coinvolgono la collettivit. I politologi invocavano
la nascita di una conoscenza interdisciplinare in grado di orientare le scelte
decisive del governo e di migliorare le conseguenze che esse avevano sulla
vita collettive e sulla vita privata dei cittadini. Infatti una caratteristica
originaria dei policy studies la commistione tra varie scienze sociali al fine di
compiere studi pi approfonditi e vicini alla realt. Per quanto ogni approccio

prediliga una materia piuttosto che altre, necessario utilizzare conoscenze di


ogni settore inerente a una determinata policy: anche lintervento pi
semplice, come la costruzione di una centrale eolica, coinvolge diversi contesti
come quello fisico, ambientale, economico e amministrativo. Adottando
questa prospettiva si possono cogliere le relazioni tra questi settori, ponendo
lanalista di politiche pubbliche come un supervisor di policy. La tensione del
mondo delle scienze sociali verso linterdisciplinarit rivela il desiderio di
maggior coinvolgimento nelle scelte del governo e nella soluzione dei
problemi nazionali e internazionali, potendo sostenere la sfida delle grandi
ideologie attraverso basi oggettive e senza pregiudizi teoretici.
La seconda faccia dei policy studies nasce da alcuni lavori considerevoli
apparsi verso la met degli anni 50. Key, in un suo lavoro del 1956, sconfessa
la classica correlazione che voleva le scelte politiche come risultato della
natura e composizione del governo o dei partiti in quel momento al governo.
Correlazione che invece, secondo lautore, esisteva con il livello di
partecipazione elettorale concludendo che gli amministratori non dovessero in
alcun modo tener conto delle richieste dei cittadini che non votano per coloro
che vincono. Questo lavoro fece da battistrada a tutte quelle indagini effettuate
negli anni 60 che confermarono lirrilevanza delle strutture politiche nei
processi di policy, tentando di analizzare quindi le situazioni socioeconomiche di partenza. Dye (1966) parte dal presupposto che le scelte
pubbliche sono condizionate dal livello di sviluppo economico della comunit,
misurato attraverso conoscenze interdisciplinari che preferiscono indagare
lurbanizzazione, lindustrializzazione e il livello di reddito, rompendo
lequilibrio secondo cui i governanti sono condizionati dalle volont del corpo
elettorale. Le ricerche successive a questi ribaltamenti di prospettiva hanno
confermato ulteriormente come limpostazione tradizionale della policy come
una diretta conseguenza della politics sia sbagliata, evidenziando la maggiore
complessit dei rapporti tra queste due sfere. Questa prospettiva stata
fondamentale a tutti quegli autori che hanno indirizzato la propria attenzione

sul policy making e soprattutto sul processo decisionale, concepiti come


momenti parzialmente autonomi dalle strutture del potere e dalle pressioni del
corpo elettorale. Contributo fondamentale allesaltazione delle dinamiche
interne del policy making, Dahl nel 1961 affermer che solo chi prende le
decisioni il vero titolare del potere pubblico, relegando in secondo piano la
struttura del potere rispetto al processo decisionale. Il potere quindi diventa un
rapporto piuttosto che una sostanza: la volont di partecipare e la possibilit
di accedere allattivit di governo e alle scelte pubbliche a fare la differenza tra
gli attori. Cos escono ridimensionata la rilevazione della distribuzione delle
risorse economiche che non costituiscono pi condizione necessaria e
sufficiente per effettuare le decisioni. Questa prospettiva suggerita da Dahl
sar accolta da tutti gli studiosi che si porranno il problema della razionalit
dei decisori.
Dente (2011) fa un elenco cronologico dei modelli che hanno affrontato questo
problema secondo diversi criteri di scelta di decisione e diversi tipi di
decisore:
Modello sinottico
Modello della razionalit limitata
Modello incrementale
Modello del bidone della spazzatura
Simon nel 1957 pubblica una raccolta dei suoi scritti nel volume Models Of
Man, il quale contiene lelaborazione definitiva di due modelli di decisione
razionale che, per quanto sconfessati e criticati, restano capisaldi dei policy
studies: il modello sinottico e il modello della razionalit limitata.
Attraverso il contributo della scienza dellamministrazione, Simon mette al
centro della propria indagine la razionalit dellautorit pubblica e dei suoi
decisori. Il primo modello d una definizione della decisione troppo distante
dalla realt. Il decisore infatti compierebbe la scelta tra le varie alternative, la
comparazione tra esse in un ambiente di informazione assoluta e globale. Lo
stesso Simon, nello stesso volume, elenca i difetti di questo modelli e
numerosi ostacoli che esso presenta nella sua applicazione empirica. Infatti il

secondo modello, denominato dallautore razionalit limitata, descrive un


decisore che non pu massimizzare i propri obiettivi in assoluto, ma si
accontenta di effettuare scelte che possano essere soddisfacenti. Luomo
amministrativo possiede limitate capacit di risolvere problemi complessi e la
sua decisione finale gli semplificher la vita evitando limpossibile operazione
di esaminare ogni possibile alternativa o conseguenza ad essa associata.
Contemporaneamente a Simon, nel 1958 Lindblom elabora un altro modello di
analisi delle decisioni. In questo modello, denominato incrementale, luomo
amministrativo abbandona qualsiasi modello astratto di razionalit, accettando
lidea che le proprie decisioni debbano essere progressivamente corrette e
migliorate. La strategia dellincrementalismo sconnesso una manifestazione
di quello che lautore stesso chiama muddling through, ovvero larte di
arrangiarsi. Lautorit pubblica investita del potere di decisione non effettua le
proprie scelte una sola volta come prevedeva Simon; diversamente infatti
ritorna sui problemi suscitati dalle proprie scelte e adatta gli obiettivi ai mezzi
senza forzare le risorse disponibili per raggiungere gli obiettivi fissati
inizialmente. In questo modello troviamo un tentativo di abbandono completo
delle ideologie, di quella scienza politica che utilizzava i propri obiettivi
programmatici come gli unici obiettivi possibili da raggiungere ma piuttosto si
concentra sugli outputs della politica assumendo le scelte dellautorit
pubblica e le conseguenze che esse producono come principale punto
danalisi. Ulteriore contributo ai policy studies del lavoro di Lindblom sono gli
aggiustamenti successivamente effettuati al suo modello.
Nellottica di questo abbandono delle strutture classiche della politics,
ventanni dopo lelaborazione dellincrementalismo, Lindblom(1979) si
interroga su come possano essere effettuate le decisioni in un contesto dove i
decisori sono molti e soprattutto sono eterogenei. In questo caso,
lelaborazione e limplementazione di una policy avvengono attraverso il
partisan mutual adjustment ovvero la tecnica del reciproco aggiustamento tra
le parti. A questo lavoro di Lindblom dobbiamo aggiungere i vari

ridimensionamenti portati alla sua teoria. Tra questi sicuramente il pi


importante quello di Etzioni che nel 1967 elabora il modello del mixed
scanning: obiettivo dellautore in questione quello di costituire una
differenza tra decisioni fondamentali e decisioni incrementali. Mentre le prime
sono fatte attraverso un lungo processo di disamina delle alternative con
obiettivi temporali di lungo termine, le decisioni incrementali vengono prese
in modo progressivo, coscienti anche dellarco temporale pi ristretto in cui si
inseriscono.
Lultimo modello stato teorizzato nel 1976 da March e Olsen. Questi due
studiosi fanno riferimento a quelle organizzazioni in cui regna un alto grado di
anarchia interna. In situazioni ambientali confuse dove non sono definiti n gli
obiettivi e n i mezzi e vi un discontinuit da parte degli attori, le decisioni e
il

criterio

di

scelta

di

esse

verr

preso

casualmente,

attraverso

limprovvisazione, sconfessando la razionalit, seppur limitata, teorizzata dai


modelli precedenti. I due autori portano a sostegno della propria tesi
lesistenza dellindipendenza praticamente assoluta tra le modalit di decisione
e il risultato di essa.
1.4. La rivoluzione lowiana
La terza faccia dei policy studies forse la pi importante poich, anche se
racconta solo di un autore, rappresenta un crocevia dellintera scienza politica
mondiale. La rivoluzione effettuata da Lowi difficile da spiegare poich sono
molti i contributi offerti da questo autore alla ricerca politologica e non solo;
ma prima di affrontare lanalisi delle innovazioni necessaria unintroduzione
a questo autore che tenti di far capire come il suo lavoro abbia avuto impatti a
360 non solo nel dibattito politologico, ma anche gli effetti su altre discipline
e sulla realt politica.1
1 Molte delle informazioni utilizzate in questo lavoro sono frutto di aggiunte,
rielaborazioni e riflessioni personali prese dalla raccolta di saggi di Theodore
J. Lowi (1999) La scienza delle politiche a cura di Mauro Calise al quale
vanno i miei sentiti ringraziamenti per avermi permesso di conoscere e

Innanzitutto il lavoro di Lowi colpisce per la sua originalit. I diversi


contributi offerti dallautore si sono sempre contraddistinti per essere capisaldi
di nuove ricerche e di nuovi filoni di studio, restando sempre al centro della
riflessione politologica mondiale. Come fanno notare Ginsberg e Sanders
(1990 p.563) Lowi stato riconosciuto da un sondaggio dellAPSA (American
Political Science Association) come il pi importante politologo degli anni
settanta; oltre questo riconoscimento esplicito da parte della comunit
accademica, gli autori sottolineano come Lowi continui ad essere il singolo
autore pi citato.
Per comprendere questo enorme successo bisogna soffermarsi su pi fattori.
Innanzitutto bisogna riconoscere il ruolo di battistrada: gli studi sulle politiche
pubbliche fino a Lowi si erano dimostrati semplicemente dei case studies,
riportando semplicemente riflessioni quantitative su casi limitati impedendo la
comparazione e laccumulazione progressiva di dati su realt diverse,
ostacolando di fatto la nascita dei policy studies propriamente detti. Lassunto
da lui proposto nella classificazione delle arene del potere interviene
nellimpasse tra il pluralismo e lelitismo, esautorando definitivamente ogni
valenza della classica prospettiva della policy come variabile dipendente della
sfera della politcs. Lowi offre un modello che unisce analisi fattuale e
impianto normativo, riuscendo nel difficile obiettivo di fornire un modello
concettuale dal quale partire per affrontare analisi specifiche. Naturalmente i
seguaci o i critici di Lowi si sono discostati nel tempo dal modello iniziale.
Spesso avvenuto che le intenzioni dellautore siano state fraintese, spesso
anche per sua negligenza (Sanders 1990 p.574), ma ci che resta impresso
che ogni lavoro che approcci al fenomeno politico in termini di policy debba
necessariamente prendere in considerazione i contributi di Lowi.
Un altro motivo per cui Lowi riconosciuto come un caposaldo della scienza
politica americana laver riportato lattenzione sul ruolo dello Stato in
politica; Questo colpisce ancor di pi per il fatto che la societ americana si
approfondire allinizio della mia carriera studentesca il lavoro di Lowi e
avermi trasmesso la coscienza di non accettare mai nulla come assiomatico.

fosse sempre professata come una stateless society. Lowi diventa promotore di
un ritorno alla teoria dello stato attraverso la sua classificazione e ci avviene
attraverso la relazione che viene stabilita tra il ruolo coercitivo dello Stato e la
determinazione delle arene di policy. La centralit del monopolio statale della
violenza legittima sottrae le istituzioni pubbliche a quelle accuse di astrattezza
da sempre costanti nel panorama politologico americano. Inoltre il suo schema
si rende anche pi interessante per i propositi di professionalizzazione e di
partecipazione alla vita politica degli scienziati politici: porre come criterio di
distinzione la coercizione statale, consente di applicare questo schema a tutte
le politiche che uno stato compie.
Calise sottolinea come sia importante conoscere anche la biografia di Lowi per
capire quali sono le radici culturali del suo pensiero. Lautore napoletano, nella
sua introduzione al libro, sottolinea come il contesto culturale fatto di
segregazione razziale sia stato fondamentale nel dare una forte impronta
morale al lavoro di Lowi. Questa passione civile si rifletter in tutto il suo
lavoro, caratterizzato da obiettivit analitica e urgenza prescrittiva. Gli
scienziati politici, da Lowi in poi, hanno dovuto fare i conti con il potere
coercitivo dello Stato e con la necessit di porre questo potere sotto un
controllo democratico. Questinfluenza esercitata da Lowi va ben oltre il
mondo accademico riversandosi anche sulle attivit del governo nazionale.
The End of Liberalism(1969) sar infatti la base di molti attori politici degli
anni 70, molti dei quali studenti stessi di Lowi. In questo fondamentale libro,
Lowi compie una disamina storica dellevoluzione legislativa del governo
americano durante il XX secolo. Il progressivo decentramento del potere
coercitivo e le varie deleghe effettuate dal New Deal in poi verso nuovi
soggetti, quali agenzie e burocrazie indipendenti, ha progressivamente eroso
quel principio di responsabilit alla base della legittimit delle istituzioni
democratiche. Secondo la prospettiva lowiana, bisogna guardare con
ammirazione lo Stato americano del XIX secolo, caratterizzato da partiti forti,
importanti mobilitazioni elettorali, poca partecipazione dei gruppi di interesse

ma soprattutto dominio del Congresso. La progressiva erosione di tutti i fattori


di centralizzazione del vecchio Stato hanno portato ad unincontrollata crescita
dellintervento pubblico. Il rimedio suggerito dallo stesso Lowi che
suggerisce ai decisori pubblici di rinunciare a ci che non possono fare
piuttosto che delegare il potere che inevitabilmente diventa discrezionale e di
ritornare ad una juridical democracy, che dovrebbe redigere statuti che si
focalizzino chiaramente determinate classi, specifiche forme di comportamenti
proibiti e specifiche sanzioni per le violazioni. Limpatto esercitato da questo
libro riscontrabile nel cambio di atteggiamento del Congresso nei confronti
del governo durante gli anni 70, che segneranno un ritorno dellattivit
legislativa nel suo ambiente naturale, soprattutto durante la presidenza Reagan
e le critiche allespansione del Welfare State che la accompagneranno.
2.4.1. I tre contributi di Lowi alla scienza politica
Daccordo con la divisione effettuata da Calise, questo lavoro sar diviso in tre
parti, le quali corrispondono ai diversi piani di produzione di Lowi.
La prima parte analizzer limpianto strettamente normativo degli studi
lowiani, cio quella sulla classificazione delle arene del potere, forse il suo
contributo pi famoso. Inizialmente bisogna sottolineare che una definizione
univoca di questo schema concettuale non possibile per svariate ragione.
Innanzitutto per quella negligenza gi sottolineata prima: Lowi non ha mai
sviluppato pienamente le implicazioni della sua tipologia da generare uno
schema sul quale cumulare realmente dati empirici. Caso pi unico che raro,
Arenas of Power stato il libro non pubblicato pi famoso della storia della
scienza politica e la sua pubblicazione nel 2009 ha deluso le aspettative. Come
sostiene Kellow, questa pubblicazione rappresenta solamente unantologia
degli scritti pubblicati da Lowi insieme ad alcuni lavori mai pubblicati,
riguardanti applicazioni empiriche della classificazione. Ma nonostante questa
mancanza di Lowi, lo schema resta sempre al centro del dibattito politologico
mondiale, nonostante siano passato pi di cinquantanni dalla sua prima

formulazione, rendendo il personaggio dello studioso forse anche pi


affascinante e misterioso. Inoltre la pubblicazione troppo lunga nel tempo non
ha aiutato a rendere omogeneo limpianto concettuale, nel tempo troppo
modificato e rimasto, nella mente degli studiosi, ancorato alla prima
definizione nel 1964. Infatti la prima formulazione risente dellobiettivo
descrittivo di Lowi, pi interessato a superare le interpretazioni pluraliste ed
elitiste che a formare uno schema coerente di classificazione che sar
sviluppato successivamente nel suo scritto pi famoso, ovvero Four Systems
of Policy, Politics, Case-Studies, and Political Theory, pubblicato nel 1972.
La seconda parte di questo lavoro quella propriamente analitica, dove Lowi
compie diverse esemplificazioni a sostegno sia della classificazione delle
arene politiche e sia della teoria dello stato. Nei tre saggi raccolti da Calise,
osserviamo diverse dimostrazioni di come i vincoli normativi e giuridici che
determinano il comportamento degli attori politici e la rilevanza dei loro
interessi. In questa operazione si pu leggere la volont di Lowi, e di tutti i
policy scientist, di voler ribaltare lassunto della rivoluzione comportamentista
e del politics approach che voleva le politiche pubbliche come semplice
outputs della lotta al potere. Oltre allapplicazione empirica del proprio
schema concettuale, Lowi articola una nuova teoria dei poteri che si allontana
da quella classica della separazione: prende forma infatti una competizione pi
dinamica allinterno delle arene di policy making: gli attori istituzionali
avranno diverse posizioni a seconda dellarena in cui si decide e inoltre Lowi
aggiunge altri poteri quali le agenzie indipendenti comunque determinanti dei
rapporti di forza e colpevoli di quel processo di decentralizzazione del potere e
di deresponsabilizzazione dellautorit pubblica.
La terza parte del lavoro di Lowi afferisce alle politiche come teoria dello
stato, soprattutto ad unanalisi storico-comparativa del suo ruolo negli U.S.A.
Questa parte del lavoro di Lowi ha dato inizio alla cosiddetta scuola di
Cornell il cui obiettivo programmatico quello di restaurare lo Stato
allinterno della scienza politica. Peculiarit di questo filone di studi

neostatista lantinomia tra le tesi del suo ispiratore e gli studi propriamente
figli di questa scuola. Lapproccio della scuola di Cornell saluta il ritorno dello
stato come un evento positivo, esaltando lindipendenza e lautonomia dello
Stato che pu agire in contrasto con le domande della societ civile. Lowi
invece ritiene questo ritorno dello Stato come un pericolo, abbracciando la
tradizione anti-statalista americana e criticando leuropeizzazione della
politica americana. Paura principale di Lowi che questo processo di
ingigantimento dello Stato e dei suoi tentacoli, rappresentati dalle agenzie
indipendenti, possa provocare un cortocircuito politico negli U.S.A.: i partiti
americani diventano meno stabili poich assumono le caratteristiche di quelli
europei e gli obiettivi programmatici vengono trasformati in rispondenza dei
cicli elettorali. In conclusione di questo capitolo introduttivo possiamo
utilizzare le parole di Calise che descrivono il lavoro di Lowi come: lo sforzo
pi significativo per tenere insieme, entro un medesimo quadro interpretativo,
teoria del diritto e analisi della politiche pubbliche. Lo sforzo in questione
costruito attraverso una rigorosa elaborazione concettuale unita con
unapprofondita ricerca storica, il tutto sostenuto da una tecnica compositiva
contemporaneamente evocativa e scientificamente impeccabile. Ginsberg e
Sanders(1990) sottolineano questa capacit di attirare sia il pubblico
accademico che il ricercatore medio americano ritenendo che larma principale
del politologo americano sia il fatto che: Lowi scrive come se la scienza
politica conti, come se gli scienziati politici abbiano il dovere di preoccuparsi
dello stato di salute della democrazia ed essere ritenuti responsabili dei loro
contributi
2. Le arene del potere
2.1. Origine del modello
Il modello delle arene del potere di Lowi uno spartiacque allinterno della
scienza politica mondiale e il dibattito avvenuto intorno ad esso, diviso tra

favorevoli e critici, continua ad essere presente nelle riviste di policy studies di


tutto il mondo. Ma rintracciare lorigine e una definizione univoca della
classificazione effettuata da Lowi difficile. Innanzitutto ci dovuto allarco
temporale che lo sviluppo del modello attraversa. Le continue rivisitazioni
coprono un arco di ventanni poich se la prima formulazione viene fatta
dallautore nel 1964 le tappe del percorso sono diverse e arrivano fino al 1985.
Inoltre lo stesso Lowi, come accennato nel capitolo precedente, a creare
ambiguit sulla sua classificazione. Oltre la mancata sistematizzazione, a cui si
accennato nel capitolo precedente, il lavoro di Lowi si basa spesso su
descrizione dei diversi tipi di politiche, sviluppata attraverso riferimenti storici
che per quanto utili e rivelatori dellattenzione verso il lato dinamico della
ricerca, a lungo termine hanno generato difficolt nel pubblico accademico.
Le radici di questo lavoro si ritrovano in due lavori dellautore del 1964,
rispettivamente la tesi di dottorato e una recensione di un case study. Il primo
lavoro tratta della trasformazione del potere dei sindaci nella citt di New
York, un urban case il cui approccio era di moda allepoca. Lo studio tenta di
correggere lincompleta definizione del problema della perdita di potere dei
partiti a vantaggio di nuovi attori, processo in atto allepoca nella citt. Lowi
spiega che ci avviene solo allinterno di determinate aree, come ad esempio
nelle politiche regolatorie, ma il predominio partitico si dispiega ancora nelle
politiche di tipo distributivo attraverso meccanismi di patronage. In questo
studio si nota come linteresse del politologo americano non tanto nella
classificazione in compartimenti stagni delle varie facce della politica ma
piuttosto un reale resoconto della dinamicit e della pluralit dei circuiti di
policy-making. Linterpretazione e la valutazione della politica viene quindi
effettuata non con una singola chiave, ma piuttosto attraverso lintreccio di
diverse prospettive.
Questo proposito di rintracciare i collegamenti e le dipendenze tra i vari aspetti
del fenomeno politico si trova soprattutto nel secondo lavoro di cui abbiamo
parlato. La recensione di American Business and Public Policy, uno studio di

caso a cura di Raymond Bauer riguardante la trasformazione della politica


tariffaria negli U.S.A., contiene la prima formulazione dello schema. In questo
articolo, apparso su World Politics nel 1964, Lowi cerca di superare le
interpretazioni univoche del processo politico tentando di unificarle in una
primitiva quanto illuminante classificazione. Lowi, infatti, compie uniniziale
disamina della diverse teorie del potere allepoca dominanti in America
aggiungendone una terza; compiuto questo riepilogo e dopo aver sottolineato i
punti critici del pluralismo, dellelitismo e dellapproccio di Schattschneider,
arriva alla conclusione che nessuna di esse sbagliata ma che ognuna descrive
un solo tipo di arena di policy, stabilendo che il problema di queste teorie
lautoreferenzialit e quindi il ritenersi esaustive. Qui sta la forza di Lowi: la
classificazione unilaterale comporta problemi sia nella spiegazione che nella
comparazione delle diverse policy, determinando un ritardo nella via della
professionalizzazione e del coinvolgimento nelle attivit governative degli
scienziati politici, che devono necessariamente superare le divisioni
accademiche per compiere un salto di qualit verso un reale contributo.
Nellottica a cui si accennato nel capitolo precedente, le arene del potere
rappresentano un modello per spiegare come siano le politiche pubbliche a
guidare la politica e come le radici delle strutture della lotta per il potere si
trovino nelle scelte di policy effettuate dal governo. I diversi modi in cui un
governo eserciter il proprio potere coercitivo determineranno larena del
potere in cui gli attori si confronteranno durante il processo di policy-making,
le cui fasi restano comunque subordinate alla capacit statale di rendere
cogenti le proprie volont. Infatti le scelte coercitive delle istituzioni
determineranno le regole in cui esse stesse si muoveranno e leventuale
accesso ai diversi interessi in gioco. Inoltre, come vedremo durante
lesplicazione di questo modello, le policy choices determinano le relazioni tra
cittadini e stati, la formazione di lite e le strutture della burocrazia statale.
Lowi si rende protagonista, attraverso la sua classificazione, di un revival delle
teorie dello stato in una societ, come quella americana, che si sempre

ritenuta una stateless society. Laggancio compiuto dallautore tra le arene del
potere a radici statuali permette di unire lintento normativo a un chiaro
intento di utilizzazione empirica. Il modello di Lowi aspira a fornire, non solo
al politologo ma anche alluomo delle istituzioni, un modello capace
sistematicamente di spiegare e addirittura predire le conseguenze di
determinate scelte autoritative. Questi risultati e tale ampiezza di sviluppo
sono stati raggiunti da Lowi nel corso di diverse decadi durante le quali il
modello stato arricchito, sviluppato, criticato dallo stesso autore, attraverso
uno stile sempre chiaro e diretto verso il nocciolo del problema.
Lo sviluppo delle arene del potere si sviluppa su diversi piani. Sul piano
normativo necessario segnalare le svolte del 1972, in cui Lowi raggiunge
una completa concettualizzazione della sua classificazione, e il 1985, anno in
cui il politologo americano riflette e modifica la concezione di coercizione
determinando un cambiamento importante nella terminologia ma soprattutto
nelle conseguenze del modello. Lanalisi storico-comparativa, oggetto del
successivo capitolo, invece prosegue per lintero percorso accademico di
Lowi, il quale utilizzer spesso precise spiegazioni storiche che andranno a
sostegno della sua tesi incappando talvolta, inconsapevolmente, in
partigianerie da lui precedentemente attribuite alle diverse scuole di pensiero.

2.2. Sviluppo del modello

La tabella numero 1 una fedele riproduzione di quella compiuta da Lowi nel


1972 nel suo articolo Four Systems of Policy, Politics, and Choice comparso
sulla rivista Public Administration Review.
La prima analisi che bisogna svolgere la divisione della tabella, disamina
necessaria per addentrarsi nelle specifiche arene di potere. Infatti questa
formulazione collega i quattro tipi di policy a differenti applicazioni del potere
pubblico. Lowi, durante tutto il suo lavoro accademico, sottolinea e ribadisce
che il potere di coercizione lelemento caratteristico pi importante dello

Stato. La definizione di questa coercizione si ricollega alla classica definizione


weberiana che ha come elemento essenziale il monopolio legittimo della
violenza con la conseguente possibilit di assegnare sanzioni o premi per il
comportamento dei cittadini. Lowi prende in prestito la definizione weberiana
di coercizione, spesso tacciata di astrattezza e assolutezza, disarticolandola in
quattro tipi che incrociati tra loro determinano le diverse arene del potere. Le
dimensioni che determinano queste quattro modalit di applicazione della
coercizione sono due. La prima dimensione quella verticale e afferisce alla
probabilit della coercizione: pu essere remota se non vi sono sanzioni o
comunque esse sono indirette o altrimenti immediata. Bisogna riconoscere
che tale dimensione lattributo centrale del potere dello Stato. Inoltre questo
potere pu essere definito in base allassegnazione di sanzioni negative o
ricompense positive. La seconda dimensione riguarda lapplicabilit di questo
potere, cio la specificit delle modalit di azione del governo. Questa
dimensione, come scrive Lowi, la pi difficile da individuare. La specificit
riguarda lestensione della politica pubblica in questione che pu applicare il
suo elemento coercitivo direttamente ad uno specifico atto individuale oppure
impatta sullambiente generale nel quale si muovono le azioni individuali.
Lintersecazione di queste categorie determina la nascita di quattro arene del
potere che definiscono le possibili funzioni dello Stato e ci forniscono dei
parametri per misurare lattivit di governo. Limportanza teorica di questa
classificazione si trova infatti nelle possibilit offerte nellattivit di previsione
delle conseguenze istituzionali che possono scaturire a seconda della scelta di
politica pubblica che si fatta.
Una prima analisi bisogna dedicarla singolarmente alle quattro categorie e alle
loro implicazioni sulle strutture del potere. Innanzitutto le politiche pubbliche
che impattano direttamente sulle condotte individuali, sono necessariamente
decentralizzate e disaggregabili. Infatti ad essere identificati sono gli individui
e i loro comportamenti e il potere pubblico deve applicarsi ai singoli casi di
comportamento. Le politiche pubbliche che invece afferiscono allambiente

dellazione sono applicate attraverso un complesso sistema di livelli il cui


effetto si limita ad incentivi e informazioni che sono condivisi da ampie
categorie di persone, identificabili spesso con le classi sociali. Per questa
natura spesso sono identificate con ideologie e grandi gruppi di interesse
caratterizzati da fenomeni di overlapping membership. Quando invece la
probabilit della coercizione immediata vi sono molti incentivi per i
destinatari della politica pubblica a difendere i propri interessi e quindi a
partecipare attivamente alla fase di decisione, tentando un approccio diretto
con i decision makers. Contrariamente, quando la probabilit di coercizione
remota, il meccanismo di sanzioni e benefici poco interessante per i
destinatari che ritengono poco vantaggioso il rapporto costi/benefici della
partecipazione politica, determinando cos la possibilit per i decision makers
di adottare politiche accomodanti e di logrolling, ottenendo sostegno politico
aggregando interessi che spesso non interferiscono tra di loro.
Queste definizioni delle singole caratteristiche di ogni categoria di coercizione
inserite da Lowi come divisioni del suo modello non rendono giustizia alla
semplicit ma soprattutto alle possibilit di classificazione e comparazione
delle diverse arene del potere che risultano dai diversi tipi di policy. Per questo
necessario fare alcuni esempi che possano spiegare le potenzialit sottese al
lavoro di Lowi. Ad esempio, quando necessaria una licenza dimportazione
per determinate produzioni, la coercizione sia immediata che applicata
allazione individuale, quindi ci troviamo di fronte a una politica regolativa.
Quando un governo fornisce specifici beni (derrate alimentari ad es.)
gratuitamente o comunque a un prezzo ridotto, i benefici sono diretti
specificatamente a una determinata classe di destinatari ma lapplicazione
della coercizione rivolto allambiente, determinando di fatto una politica
distributiva. Una riforma del mercato, come pu essere il controllo dei tassi
dinteresse da parte delle banche centrali, dispiega la sua influenza
sullambiente dellazione ma, diversamente dalle politiche costituenti, la
probabilit di coercizione immediata. Le politiche costituenti rappresentano

invece un tipo di politiche pubbliche di difficile definizione. Innanzitutto sono


caratterizzate da una probabilit remota di coercizione e si applicano
allambiente dellazione, determinando una bassa specificit dellazione
governativa. Possono essere definite come le politiche sulle politiche, cio
quelle norme che determinano le regole del gioco a prescindere dalla scelta
della modalit di dispiegamento dellazione governativa.
Nellultima versione del modello proposta da Lowi, lautore modifica lasse
orizzontale sostituendolo con le Tipologie di norme, suddivise in norme
primarie e secondarie, prendendo come spunto il lavoro del giurista Hart. Per
quanto riguarda le Norme primarie, queste sono delle norme che impongono
obbligazioni ai cittadini e applicano sanzioni nella misura in cui non vengano
rispettate. Le Norme secondarie, invece, non impongono sanzioni direttamente
ma danno la possibilit ai cittadini di comportarsi nel proprio interesse. Un
esempio per poter comprendere meglio la complessa definizione di Hart il
diritto di propriet. Questo diritto infatti possiede elementi di entrambe le
norme. Il cittadino infatti ha la possibilit di disporre della propriet nel modo
a lui pi soddisfacente ma allo stesso tempo i diritti di propriet impongono
sanzioni sul proprietario nella misura in cui il suo utilizzo sia improprio o
rechi pregiudizio ad altri. Lowi utilizza lelaborazione di Hart per migliorare la
definizione di Probabilit della coercizione, tentando di eliminare le
incongruenze di questultima. Infatti ci si pu facilmente perdere nei fattori
che disturbano e infgluenzano la probabilit della coercizione, come i costi
dinformazione o linefficienza della burocrazia, che per quanto importanti
risultano comunque derivate dalliniziale scelta di policy.
2.3. Analisi delle singole arene
2.3.1. Politiche distributive

Le politiche distributive sono caratterizzate da una remota probabilit di


coercizione la cui applicazione sostanzialmente indirizzata verso lazione
individuale. Queste politiche si caratterizzano per lassegnazione di benefici
verso classi definite di cittadini senza che i costi di essa siano imputati
esplicitamente ad altre categorie. Le politiche distributive, in generale tendono
a rivolgersi a piccoli gruppi, rendendo il loro impatto meno significativo e pi
modesto rispetto a quello generato da altre politiche pubbliche.
Nel suo lavoro del 1964, Lowi identifica inizialmente larena distributiva con
il lavoro di Schattschneider. Questultimo, nella sua critica al pluralismo,
arriva alla conclusione che esiste unarena decentralizzata di negoziazione che
si differenzia dalla descrizione strettamente pluralista per lassenza di
negoziazione che in questo caso si rivela non necessaria: infatti i rapporti tra i
partecipanti sono basati su una non interferenza reciproca. Lowi prende
questapproccio, da lui ritenuto incompleto, per arrivare a strutturare
pienamente le caratteristiche dellarena distributiva.
Innanzitutto le politiche distributive sono spesso decisioni del modo di fare
politica nel breve periodo, senza alcun riguardo alle risorse e alle loro quantit.
Larena distributiva, secondo Lowi, pu essere accostata al significato di
patronage nel senso pi pieno del termine. Queste politiche sono
massimamente disaggregabili, fino a poter riconoscere decisioni singole
indipendenti, rivolte allindividuo ma che soprattutto non comportano alcun
confronto tra i partecipanti. Si tratta quindi di policy che non dispongono di
una programmazione preventiva e che solo per accumulazione possono essere
identificate con una vera e propria policy.
Le politiche distributive, in generale, si caratterizzano per un grande numero
di piccoli interessi molto organizzati, spesso composti dallindividuo o dalla
singola impresa. Diversamente dalle altre arene, laccesso di coloro che sono
interessati a partecipare al processo di policy-making non sottoposto a
discriminazioni di sorta poich il Congresso, e soprattutto le Commissioni,
accoglieranno qualsiasi potere che sia in grado di opporre anche una minima

resistenza. Questo tipo di politica mette in difficolt le opposizioni, che non


trovano sostegno per contrastare lazione governativa poich questa pu
accogliere le richieste di qualsiasi interesse disposto a partecipare. Ecco cos
che si evidenzia un altro aspetto dellarena distributiva: la riduzione del
conflitto. Oltre la scomparsa o comunque lattenuazione dellazione di
opposizione, la natura delle coalizioni quella immaginata dallapproccio di
Schattschneider. Secondo questa prospettiva, i partecipanti di questarena non
hanno alcun interesse nellopporsi ai diversi interessi, nellaspettativa di poter
riceverne anchessi. Queste politiche pubbliche, fatte di assegnazioni di
benefici particolari, si svolge solitamente attraverso coalizioni log-rolling il
cui elemento fondamentale non il compromesso o il conflitto ma piuttosto
dalla non interferenza reciproca: la sfera della politics in questo caso consiste
pi nella cooptazione. Principale referente istituzionale dellarena distributiva
non il Congresso quanto invece le sue commissioni. Lalta stabilit interna
delle commissioni del Congresso americano, che spesso travalica le divisioni
partitiche, testimonianza della formazione di lite durature nel tempo, con
unalta specializzazione in determinati settori. Lowi per sottolinea come
queste strutture del potere, per quanto stabili e non toccate dal conflitto, non
possano affrontare questioni politiche pi rilevanti. Nelle questioni di natura
distributiva, lattenzione mediatica quasi assente. Il grande pubblico non a
conoscenza delle questioni affrontate allinterno delle questioni grazie alla
mancanza di unidentificazione di coloro che pagheranno i costi di queste
politiche ma anche a causa della indeterminatezza normativa: la strutturazione
del pubblico in questo caso risulta completamente privatizzata, essendo che i
cittadini non hanno n le informazioni e n linteresse a partecipare alla
formazioni di tali politiche.
Per quanto riguarda le rilevazioni empiriche, Lowi nel 1972 effettua una
rassegna di 17 casi di studi pubblicati da altri autori, analizzando le variazioni
nel processo politico nel tentativo di sostenere attraverso esempi pratici il
nocciolo normativo delle arene del potere.

Per quanto riguarda le politiche distributive, ci che risalta nellanalisi degli


attori di questarena la conferma delle tesi lowiane. Innanzitutto troviamo
unalta stabilit e un reciproco scambio tra le unit primarie che sono formate
da singoli individui o interessi. La ripetizione sistematica delle caratteristiche
di questarena in tutte le decisioni distributive sostengono la tesi della policy
come elemento determinante delle strutture della politics. Le conferme
provengono anche dai ruoli che assumono i diversi attori: predominante il
ruolo delle commissioni che spazia dallessere determinante allessere creativo
ma soprattutto un ruolo dellesecutivo defilato che Lowi definisce come
esortativo. Questarena smentisce la credenza che gli Stati Uniti siano
solamente un paese presidenziale. Il ruolo del capo dellesecutivo dipende
dalla scelta di policy compiuta. Ci dipende anche dalla poca incisivit della
coercizione che rappresenta per Lowi, ma non solo, uno degli elementi
definitori e necessari dello Stato e delle attivit ed esso associate.
Questa strutturazione rivela come la classificazione delle arene del potere
possa essere utile non solo allo scienziato politico ma anche alluomo
istituzionale: una possibile previsione delle dinamiche attoriali pu aiutare
lautorit governative a stemperare uneventuale periodo di conflittualit
istituzionale e alleggerire la pressione dei gruppi di interesse sui decisionmakers. I provvedimenti distributivi, insiste Lowi in questa rassegna, si
caratterizzano inoltre per una bassa conflittualit parlamentare. Le percentuali
mostrate da Lowi mostrano come sia inesistente una qualsiasi opposizione
congressuale, sia nella votazione del provvedimento ma soprattutto dalla totale
inesistenza di emendamenti contro il disegno del proponente. La sintesi
compiuta dal politologo americano rivela come il periodo pi importante per
le politiche distributive negli USA sia stato allindomani dei conflitti
costituenti, in un periodo di agitazione popolare. Le decisioni, di quasi un
secolo, di elargire benefici nei confronti di tutti i cittadini senza alcuna
discriminazione, la scelta di disaggregare la normazione per evitare conflitti
interni alle istituzioni hanno avuto un enorme impatto positivo sulla vita dello

Stato americano. Innanzitutto il sistema partitico cambi completamente: i


partiti si disunirono, preferendo la decentralizzazione sul territorio per
utilizzare meglio i benefici distributivi, sia a vantaggio dei membri che per
raccogliere voti. Inoltre le commissioni divennero il luogo ideale di dialogo
determinando in questo modo la concentrazione di interessi individuali
allinterno delle strutture partitiche, costretti ad abbandonare ogni proposito di
conflittualit per usufruire di politiche quali la distribuzione delle terre o le
politiche tariffarie. Per oltre un secolo gli USA e la loro vita istituzionale
hanno svolto le attivit principali fuori dalle stanze dellesecutivo: infatti il
periodo distributivo fu caratterizzato dallassenza quasi totale dei presidenti e
delle loro attivit.
La ripetizione di queste caratteristiche fa giungere Lowi a diverse conclusioni.
In primo luogo le politiche distributive e la strutturazione dellarena che esse
determinano non sono adatte a momenti in cui si sente una forte esigenza di
responsiveness e di accountability. I momenti in cui si avverte il bisogno di
politiche aperte e pubbliche, in cui il pubblico e i grandi gruppi di interesse
siano coinvolti, larena distributiva risponde negativamente.
2.3.2. Politiche Regolative
Per quanto riguarda questo tipo di politiche pubbliche, la coercizione
contraddistinta da una immediata probabilit della coercizione e
unapplicazione dellazione verso i comportamenti individuali. Lo scienziato
politico nellanalisi delle policy regolative deve essere cosciente di trovarsi di
fronte caratteristiche del tutto peculiari, cos diverse da quelle dellarena
precedentemente analizzata.
Lowi, nel suo primo lavoro di classificazione risalente al 1964, identifica
larena regolatoria con le teorie pluraliste. Il pluralismo infatti percepisce il
fenomeno politico scomponendo la lotta per il potere attraverso una
molteplicit di gruppi organizzati che sono necessariamente in relazione tra
loro. Le politiche regolative hanno come obiettivo la modifica intenzionale dei
comportamenti ammissibili. Scelte di questo tipo si propongono quindi di

dichiarare che esistono azioni buone e cattive e attraverso questa divisione


tendono ad applicare sanzioni positive o negative rispetto alle diverse condotte
individuali. Diversamente dalle politiche distributive, lattivit di regolazione
esercita lallocazione di valori, seppur in maniera ridotta rispetto allarena
redistributiva. In questo tipo di scelte vi sempre un principio morale che
tende ad escludere determinati individui o gruppi che devono necessariamente
conformarsi alle decisioni governative.
Le politiche regolative non sono disaggregabili allinfinito come invece
possibile nellanalisi dellarena distributiva. Le decisioni di tipo regolatorio si
collocano lungo linee settoriali ed questo il massimo livello di
disaggregazione possibile. La definizione di settore, secondo la definizione
di Lowi, si riferisce ad ogni insieme di merci o servizi comuni o ad ogni altra
forma di interazione economica stabile. [] Variano anche nella misura in cui
qualche volga vengono definiti a priori dal giudizio degli osservatori su cosa
costituisce un prodotto comune e qualche altra volta vengono definiti a
posteriori dalle associazioni di categoria che rappresentano lidentificazione di
un settore. Gi da questa definizione di settore proposta dal politologo
americano si evidenziano alcuni dei caratteri fondamentali di questarena
come le associazioni di categoria o il metodo di contrattazione non pacifico tra
vari gruppi di interesse. Infatti mentre nelle politiche distributive i gruppi di
interesse possono agire, tramite attivit di lobbying, in modo autonomo
tentando di instaurare rapporti duraturi con i membri delle commissioni,
nellarena regolatoria il discorso cambia completamente. Gli interessi
coinvolti sono spesso in conflitto tra di loro e lagire singolarmente li
escluderebbe da tutte le fasi del policy-making: nascono cos le coalizioni, dei
gruppi che si sostengono intorno atteggiamenti condivisi. Il confronto diretto
tra coloro che verranno favoriti e penalizzati rende la coalizione politica
lunico modo possibile per i vari interessi di accedere alle decisioni. Queste
coalizioni nascono dal conflitto in atto e sono formate da gruppi che
condividono interessi analoghi.

Questo tipo di coalizione ci porta ad analizzare unulteriore differenza con le


arene distributive e redistributive. Infatti nelle politiche distributive possiamo
facilmente individuare preventivamente quali saranno i beneficiari delle scelte
governative e ci ancora pi semplice nellarena redistributiva, dove
avvengono scelte chiare di allocazione di risorse da gruppi sociali ad altri.
Questo per non avviene nelle politiche regolative. Individuare in anticipo
quali saranno gli individui e gli interessi ai quali saranno attribuiti costi e
benefici impossibile. La ragione dellimpredicibilit sta nella peculiare
forma di interazione nellarena regolatoria: il bargaining, ossia la
contrattazione costante tra i gruppi di interesse e lautorit pubblica, permette
un continuo ridisegnamento delle relazioni tra vincenti e perdenti. Anche
successivamente alla decisione e allimplementazione di una determinata
politica regolativa, possibile aggiustare gli equilibri in campo attraverso una
sommatoria o una modificazione delle regole che determina una proliferazione
di esse. Questo meccanismo suggerisce il paradosso che si crea allinterno
dellarena regolatoria; nonostante infatti il principio di allocazione di valori a
cui si accennato prima, le politiche pubbliche che tendono a regolare la vita
dei singoli individui non sono ispirate da chiari principi normativi, creando
una confusione continua tra i diversi principi regolatori che si addizionano nel
tempo. questo modo di contrattazione e questa accumulazione caotica di
regole che rende impossibile per lo scienziato politico un quadro generale
dellallocazione di risorse e valori nei momenti antecedenti
allimplementazione della politica.
Ulteriore caratteristica dellorganizzazione di questi gruppi di interesse il
fenomeno delloverlapping membership, ossia lappartenenza di un attore a
pi gruppi contemporaneamente. Questo fenomeno pu avere diversi risvolti
ed essere osservato sia positivamente, nella misura in cui aiuta il singolo attore
a perseguire interamente i propri interessi, sia negativamente poich un tale
atteggiamento, allinterno di politiche regolative caratterizzate dallo scontro,

pu avvenire un crollo della coesione del gruppo che porterebbe naturalmente


alla sconfitta delle proprie ragioni.
A prescindere da eventuali considerazioni di valore sul comportamento degli
individui allinterno dellarena regolatoria, questo fenomeno ci permette di
osservare come la coalizione che si viene a formare tra le varie associazioni di
categoria sia poco stabile. Lapprossimarsi repentino di diversi interessi
allinterno dellagenda politica non permette la creazione di lite stabili. La
coalizione di interessi per la regolazione dellantitrust nel campo telefonico
non potr essere uguale alla coalizione che si former intorno alla regolazione
della costruzione di nuove linee telefoniche.
Questa instabilit organizzativa degli interessi nellarena regolatoria determina
lo spostamento dei luoghi decisionali verso il Parlamento. Le ragioni della
centralit dellorgano elettivo, durante la fase decisionale, sono diversi.
Innanzitutto la pubblicit delle questioni politiche; per quanto le politiche
regolative non suscitino lattenzione mediatica riscossa dalle questioni
redistributive, lopinione pubblica ha interesse nellessere informata e
coinvolta. Inoltre limpossibilit di disaggregare in singoli provvedimenti
determina che il Parlamento sia lultima istanza disponibile per le coalizioni
che si affrontano nellarena regolatoria per dirimere la questione.
Queste considerazioni sullimpianto normativo delle arene regolatorie sono
supportate da Lowi attraverso rilevazioni empiriche. Nellambito delle arene
regolatorie infatti Lowi mostra maggiormente il suo lato critico verso la
politica americana, portando a sostegno della sua tesi numerosi dati,
indirizzando la sua critica soprattutto verso loperato di Roosevelt e le
conseguenze che ha prodotto sul sistema politico. Nel suo articolo del 1972,
gi utilizzato nella concettualizzazione precedente dellarena distributiva, il
politologo americano conferma con analisi di politiche pubbliche reali la
concettualizzazione delle policy regolatorie effettuata otto anni prima. Nei sei
studi di caso che corrispondono alle politiche in questione, si pu osservare
unimpressionante stabilit delle caratteristiche enunciate prima. Ci porta alla
conclusione che la classificazione di Lowi sia valida non solo per determinati

periodi storici ma che possegga una valenza diacronica e non ancorata al solo
esempio statunitense.
dal New Deal che la riflessione di Lowi prende corpo. Infatti il politologo
americano sostiene il fatto che Roosevelt sia stato un presidente dai diversi
volti e che ogni teoria del potere descriva una di queste. Nel caso dellarena
regolatoria Lowi si spinge in una fortissima critica delloperato del governo
statunitense negli anni 30 e 40 del XX secolo, adducendo ad esso i problemi
della vita politica che ancora oggi si fanno sentire. I provvedimenti adottati da
Roosevelt durante i primi 100 giorni mostrano come il governo abbia agito da
mediatore nello scontro tra la associazioni di categoria, preferendo delegare
ampie porzioni di sovranit ad agenzie amministrative sottratte a qualsiasi
controllo di responsiveness pur di togliere il Congresso dallimpasse di
racimolare il necessario consenso per il continuo della legislazione. forse in
questa attivit di delegazione uno dei segreti della pi lunga presidenza nella
storia degli Stati Uniti: Roosevelt infatti riusc, attraverso la delegazione ad
agenzie amministrative sterne facilmente manipolabili, il fedele sostegno del
mondo del business. Successivamente a queste riflessioni storiche di natura
particolare Lowi ritiene di poter confermare lesistenza dei sistemi politici da
lui ideati attraverso lanalisi di diversi periodi storici che prescindano quindi
dalle caratteristiche del presidente o di qualsiasi altro attore istituzionale.
Innanzitutto lunit primaria allinterno di questi sei studi di caso
rappresentata totalmente dalle associazioni di categoria. Questo dominio da
parte degli interessi organizzati, durante gli anni presi in considerazione da
Lowi, sono attribuibili alla due fattori: il potere enorme ottenuto dalle
associazioni di imprenditori e lavoratori di settori economici e lindebolimento
delle macchine partitiche, fenomeni che si sviluppano contestualmente
allinizio del XX secolo. Infatti lesplosione dei gruppi di interesse forn alla
politica unalternativa ai partiti che progressivamente persero il loro potere sui
propri membri al Congresso, determinando unulteriore spinta a spostare
lepicentro decisionale dalle commissioni allistituzione parlamentare.

Questultimo attore rappresenta il luogo decisionale preferito dagli attori


nellanalisi di queste sei politiche pubbliche, il che conferma ulteriormente la
struttura normativa lowiana. Ci avvenne sia per il succitato motivo sia per il
nuovo regolamento (Reeds Rules) che il Parlamento si diede verso la fine
dell800 preparando cos il terreno alla rivoluzione del New Deal. Ma il dato
che maggiormente colpisce nella rassegna dei 17 studi di caso il
sorprendente balzo in avanti che compie lattivit parlamentare rispetto ai
provvedimenti redistributivi ma soprattutto alle politiche distributive. Le
politiche regolatorie predispongono il terreno ideale per uno scontro allultimo
sangue tra gli interessi presenti in parlamento. Innanzitutto la percentuale degli
emendamenti presentati in aula maggiore rispetto alle altre arene ma il dato
significativo il 67% degli emendamenti significativi passati in aula contrari
al proponente. Inoltre questo dato, che gi mostra come sia forte il conflitto
allinterno di questarena, corroborato dalla media ponderata dellattivit
della aule nel settore della regolazione che raggiunge, soprattutto nella camera
dei deputati, un livello impensabile per le altre arene.
importante sottolineare ulteriormente come questattivit che Lowi compie
di classificazione non sia solo un esercizio accademico ma piuttosto un
tentativo di fornire un quadro concettuale capace di dare risposte a coloro che
partecipano alla vita politica. Nel caso della regolazione il giudizio di Lowi
pesante: leccessiva delegazione che avviene in questarena sintomo di uno
Stato inefficiente, che dovrebbe rinunciare a fare determinate politiche
pubbliche piuttosto che sottrarre alle istituzioni pubbliche il fondamento e la
legittimazione del monopolio della coercizione, ovverosia la certezza offerta
dalla rule of law. riguardo a questarena che Lowi auspica un ritorno ad una
juridical democracy e quindi ai legittimi processi decisionali; insomma Lowi,
come scrive Sanders(1990 p.564), costringe gli scienziati politici a
riconoscere il potere coercitivo che inerisce allo Stato e argomenta la necessit
di piantare questo potere nel controllo democratico. Per lo scienziato politico
che tenta di discostarsi da queste considerazioni di giudizio, la

concettualizzazione dellarena regolatoria effettuata da Lowi pu essere utile


in moltissimi casi.
Una politica regolatoria infatti pu essere larma migliore per tentare di
arginare il potere di un presidente considerato troppo forte, tentando di
legittimare quei settori economici fondamentali per leconomia del paese
coinvolgendoli maggiormente allinterno della discussione politica. Inoltre
pu essere un ottimo mezzo di disgregazione partitica, che in alcuni momenti
della vita politica pu essere necessario: spostare infatti lattenzione su temi in
cui risulta impossibile disciplinare fermamente i membri parlamentari, pu
comportare una presa minore dei partiti allinterno delle istituzioni, come
lesempio americano ci suggerisce.
2.3.3. Politiche Redistributive
Secondo la classificazione di Lowi, larena redistributiva e le sue politiche
sono caratterizzate da unimmediata probabilit di coercizione ma
lapplicazione di questultima non al comportamento del singolo individuo
ma piuttosto allambiente dellazione. Ci troviamo nella casella opposta alle
politiche distributive.
Una prima definizione di ci che sono le politiche redistributive pu essere il
trasferimento esplicito di risorse tra due o pi gruppi sociali consapevoli.
Insomma sono decisioni che spostano risorse da un gruppo ad un altro. Ma
diversamente dalle politiche distributive, limputazione dei costi visibile e
soprattutto lammontare delle risorse trasferite macroscopico rispetto ai
singoli provvedimenti in capo alle politiche distributive. Invece, rispetto alle
politiche regolative, le politiche redistributive si caratterizzano per lampio
impatto dei destinatari, sia in termini di costi sia in termini di benefici. I
comportamenti individuali non sono rilevanti per limplementazione di una
politica pubblica redistributiva: lapplicazione allambiente comporta che la
condotta del cittadino sia condizionata a priori rispetto alle sue intenzioni.
Le politiche redistributive sono caratterizzate da issues che si avvicinano alle
divisioni di classe e tendono a stabilizzarsi lungo le fratture ideologiche. In

questarena lopinione pubblica e lattenzione mediatica al massimo dei suoi


livelli: ogni fase del policy-making riguardante questarea di massima
importanza per la vita dei cittadini e per tutte quelle associazioni e movimenti
che rappresentano lunit primaria. Quando infatti entrano nellagenda le
grandi questioni di redistribuzione, ogni movimento o associazione che si
sente coinvolta, vuole partecipare anche per aumentare il proprio potere e per
innalzare il livello di coesione allinterno del proprio gruppo. Larena di
redistribuzione agisce quindi come un collante, necessario a quegli attori che
subiscono spesso il fenomeno dellloverlapping membership dovuto alle
questioni regolatorie. Per comprendere meglio questo fenomeno possiamo fare
lesempio di un sindacato. Unassociazione di lavoratori, che comprende sotto
di s un elevato numero di settori delleconomia, pu uscire distrutto da una
serie di politiche regolative. Ma nel momento in cui il conflitto in questione
diviene ad essere tra imprenditori e lavoratori, i vertici del sindacato sfruttano
il momento politico per far rientrare nei ranghi le diverse categorie di
lavoratori attraverso appelli ideologici a teorie astratte ma dallalto contenuto
emotivo. grazie a questa caratteristica di coesione che la struttura del potere
allinterno dellarena redistributiva altamente stabile. Gli interessi in
questione che portano al conflitto sono quasi istituzionalizzati, essendo basati
su ideologie di portata secolare. Inoltre la stabilit un risultato
dellassiomatica immobilit che caratterizza i confronti che avvengono tra
ampie porzioni della societ.
Ma che connotati hanno le relazioni allinterno di questa struttura stabile?
Mentre nelle politiche distributive assistiamo ad attori che non interferiscono
tra di loro e nellarena regolatoria vi sono attori che si interfacciano attraverso
la contrattazione, nellarena redistributiva a causa della natura delle questioni
non vi saranno mai pi di due parti. La negoziazione allinterno di questarena
rara, possibile solo in determinati casi e soprattutto per questioni di poco
conto. Le decisioni del passato che hanno reso pi duro il conflitto,
listituzionalizzazione dovuta alla portata temporale, la notoriet dei leader che

si scontrano e le divisioni ideologiche: questi sono i fattori che rendono


impossibile applicare tecniche di risoluzione del conflitto come log-rolling e
bargaining. Inoltre le associazioni, con i relativi leader mediatici, non hanno
alcun interesse ad appianare il conflitto; come gi detto prima, attraverso le
questioni con alla base ampie quote di popolazione che questi movimenti
riescono a riprodursi nel tempo.
Nella sua analisi del New Deal, Lowi trova il terreno pi adatto per lanalisi di
questo tipo di policy. questa la faccia che Roosevelt ha consegnato alla
storia, anche se come si gi dimostrato non lunica. La predominanza nella
memoria storica del ruolo di presidente forte e quasi autoritario di Roosevelt
pu essere attribuita a diversi fattori. Innanzitutto la necessit di attuare queste
riforme: movimenti sociali molto ampi, risultato anche della crisi del 1929,
determinarono una richiesta fortissima di riforme ampie e redistributive, che
misero sotto pressione lintero sistema politico. Inoltre il ruolo che stavano
assumendo gli USA nel mondo, sia economicamente che politicamente,
portarono gli studiosi a ricalcare le caratteristiche del leader in questione
piuttosto che addentrarsi in una disamina reale e multiprospettica,
caratteristica invece del lavoro di Lowi. Ultimo fattore da tenere in
considerazione limmagine che il Congresso diede di s durante il New Deal.
Infatti questattore, se comunque dimostr una certa importanza nelle altre
arene politiche, nellarena redistributiva si dimostr totalmente sottomesso, sia
per incapacit proprie e sia perch Roosevelt fu capace di attirare a s il
consenso dellopinione pubblica nei primi giorni della sua lunghissima
presidenza, attraverso una serie di riforme sociali che sconfissero
preventivamente qualsiasi tipo di opposizione, gettando le basi per la
presidenza pi lunga della storia degli USA.
Le considerazioni che Lowi fa su Roosevelt e sul suo ruolo di opinion leader
ritornano utili nellintento di voler delineare un pattern normativo che possa
essere utile a prescindere dal periodo storico e dalle caratteristiche contingenti
del periodo politico. Nella disamina dei 17 casi di cui si gi parlato, il

politologo americano mostra come il ruolo del presidente sia stato sempre
centrale nelle discussioni di questarena. Lo spostamento verso lesecutivo del
centro decisionale determina che attore adibito allimplementazione siano
agenzie centralizzate e verticali, attraverso un complesso sistema di livelli
poco manipolabile dal basso, in tendenza con lapplicazione allambiente
politico della coercizione in questione. Il Congresso e le sue commissioni sono
senza potere poich la loro naturale tendenza alla negoziazione e alla
contrattazione non permette di risolvere i conflitti come invece pu fare un
presidente o comunque un capo del governo. In questo caso i leader delle
associazioni, il Parlamento e lopinione pubblica fanno appello al vertice
dellesecutivo come unico attore capace di risolvere i conflitti che paralizzano
il paese e questo, come sottolinea Lowi, avviene a prescindere dalle
caratteristiche personali del capo del governo. Anche nei casi di presidenza
debole con un forte dominio dellattivit parlamentare o partitica non si
sottraggono alla legge ferrea del dominio dellesecutivo nellarena
redistributiva. Ma a differenza del periodo rooseveltiano, larena redistributiva
pu essere il luogo ideale di dialogo tra il vertice esecutivo e lautorit
parlamentare: come mostrano i dati, lattivit parlamentare in questo tipo di
politiche pubbliche si rivela fervente anche se, a differenza dellarena
regolatoria, i provvedimenti a sfavore del proponente calano drasticamente,
attestandosi intorno a una percentuale del 24%. Questi dati relativi alle 7
politiche redistributive prese in considerazione da Lowi sono utili per una
generale considerazione dei meccanismi che avvengono in questarena e
soprattutto completano quel manuale a disposizione dello scienziato politico e
delluomo istituzionale che il lavoro di Lowi.
Infatti la scelta di policy di questo tipo hanno diversi risvolti. Innanzitutto
devono rappresentare la scelta obbligata in momenti storici difficili, dove la
pressione sociale si fa fortissima e lunico metodo di risoluzione di questi
conflitti laffrontare direttamente il problema, portarlo nel centro del cuore
politico evitando quindi politiche di ripiego come possono essere quelle

regolative o distributive. Inoltre lapplicazione di ampie riforme sociali, per


quanto dispendiose in termini di costi politici, fondamentale per attirare a s
il sostegno delle masse e dellopinione pubblica, nella misura in cui questo
ritorni necessario per affrontare senza pressioni altre questioni come la
regolazione di alcuni settori delleconomia. Inoltre la consapevolezza che la
scelta di politiche redistributive rafforzi il potere dellesecutivo, pu tornare
utili in diversi casi: sia quando si avverta la necessit di restituire potere al
governo e sia quando questultimo possa risultare troppo forte, come avvenne
nel periodo post-Roosevelt.
2.3.4. Politiche Costituenti
Le politiche costituenti sono larena del potere meno indagata da Lowi.
Innanzitutto, secondo lo schema del politologo americano, esse sono
caratterizzate da una coercizione poco probabile e applicata allambiente
dellazione. Ma oltre le semplici parole della classificazione, ci restano poche
parole da parte dellautore. Questa ambiguit lasciata intorno alle politiche
costituenti rappresenta uno dei punti su cui i critici hanno maggiormente
insistito: una classificazione in una tabella a doppia entrata non pu contenere
unarea che non viene analizzata a dovere, poich dovrebbe far ritenere che i
termini di divisione siano errati e che non corrispondano esattamente alla
fenomeno empirico.
In realt, per il lettore attento e desideroso di addentrarsi criticamente nello
studio di Lowi, si possono scorgere gli elementi definitori di questa
classificazione. Innanzitutto le politiche costituenti possono essere definite le
politiche sulle politiche. Il tratto essenziale di questo tipo di policy non tanto
la struttura del potere o il luogo decisionale adibito ma piuttosto il contenuto
che essa affronta. La costituzione di nuove regole, di nuove strutture
allinterno delle quali gli attori possano in seguito interagire ci che
caratterizza ogni politica pubblica che si definisce costituente.
Lowi, per quanto riguarda questarena, assegna come periodo storico gli albori
della storia dello Stato americano: lautore sottolinea come in quel periodo si

siano affrontati i pi grossi cambiamenti istituzionali, pi per necessit che per


vera scelta delle istituzioni pubbliche. Queste policy sono contraddistinte da
poca coercizione poich tendono a creare strutture adibite a determinare
regole, ma il dibattito che si crea intorno ad esse pu essere molto duro. Non
si pu infatti affermare che il dibattito che si crea intorno le politiche
costituenti sia privo di conflitti tra gli attori decisionali. Ognuno di questi ha
unidea ben precisa delle regole che uno Stato deve darsi e il loro
cambiamento non pu essere percepito come un evento naturale intorno al
quale si crea spontaneamente una coalizione stabile e neutrale. Il passaggio da
un sistema elettorale ad un altro non sar mai unoperazione imparziale: le
lite che traggono vantaggio da un determinato tipo di sistema combatteranno
affinch questo non cambi.
Ma una volta creata una struttura del potere questa pu subire dei cambiamenti
fattuali in seguito al comportamento degli attori. Prendendo ad esempio il
Parlamento si visto come il suo ruolo cambi a seconda del tipo di policy in
questione, nonostante ci sia stata una politica costituente che abbia messo
lorgano legislativo al centro delle scelte normative. Oppure lesempio della
presidenza USA: per quanto si possa ritenere preminente il ruolo
dellesecutivo allinterno dellassetto istituzionale americano, allinterno di
politiche regolatorie il presidente preferir non utilizzare il suo
Nelle parole di Lowi si pu intuire che questarena quella pi vicina alla
sfera della politics ritenuta, nella prospettiva dellautore, vassalla delle scelte
di politica pubblica. Lo scienziato politico che adotta una prospettiva
imperniata sulla lotta per il potere piuttosto che sulle scelte di policy pu
sentirsi meno in disagio nellaffrontare la classificazione lowiana, inserendo il
proprio lavoro allinterno di questarena, che comunque resta una delle quattro
e che non determina interamente le dinamiche delle altre quattro. Lowi ci tiene
infatti a sottolineare che le politiche costituenti abbiano come unico obiettivo
la creazione di strutture adeguate per lo scorrere del fenomeno politico che

comunque non abbandona la policy come sua variabile principale e


indipendente.
Per quanto riguarda gli attori che prendono parte a questarena possiamo
sottolineare un dato interessante. Le politiche costituenti rappresentano un
unicum a causa della loro coincidenza tra poliy-makers e policy-takers. Gli
attori che infatti decidono le regole di solito sono le lites politiche che
saranno i destinatari delle decisioni da loro prese. Questi attori prenderanno
liniziativa di adottare politiche costituenti in due casi: o durante gravi crisi
istituzionali oppure quando emergono nuovi attori politici importanti, capaci
appunto di poter cambiare le regole del gioco.
2.4. Critiche e nuove direzioni
La classificazione delle arene di policy creato da Lowi tiene banco nelle
discussioni accademiche da 50 anni. I giudizi su questo lavoro sono diversi e
spaziano dallessere positivi fino ad arrivare ad un accanimento quasi
immeritato, allavviso dellautore che scrive. Ma ci che necessario
sottolineare, prima di addentrarci nelle varie letture che la scienza politica ha
adottato rispetto al lavoro di Lowi, limportanza del lavoro oggetto di questa
analisi. Come gi detto nel primo capitolo, Lowi resta ancora il singolo autore
pi citato della storia della scienza politica e, nonostante let, resta comunque
un punto di riferimento per lintero mondo accademico. Linfluenza che le sue
teorie hanno avuto stata enorme, coinvolgendo non solo unenorme quantit
di studenti diventati poi importanti accademici ma anche personalit di spicco
allinterno delle istituzioni pubbliche. quindi opportuno avere sempre a
mente la specialit del lavoro di Theodore J. Lowi che, nonostante le critiche
ricevute nel corso della sua lunghissima carriera, ha sempre conservato
lintegrit del suo lavoro che resta un valido metodo di classificazione e
unefficace prospettiva con cui osservare e analizzare il fenomeno politico.
La prima critica rivolta a Lowi per quanto riguarda il suo lavoro sulle arene
del potere lambiguit riguardante i termini da lui utilizzati che gener
confusione nellapplicazione operativa del suo schema.

Come gi accennato nel primo capitolo di questo lavoro, Lowi non ha mai
veramente sviluppato le implicazioni della tipologia in modo tale da generare
un set integrato di ipotesi da utilizzare sul campo; ci dovuto soprattutto alla
noncuranza, da alcuni attribuita come volontaria, nel rendere chiare le
definizioni essenziali alla base dello schema. Infatti, nonostante i termini che
descrivono le quattro tipologie di arene siano entrate nel linguaggio comune
della disciplina, sono spesso usate in una maniera scorretta e diversa dalle
intenzioni dellautore. Anche la mancanza di una trattazione unitaria ha un
ruolo fondamentale nello sviluppo di queste conseguenze. Questa negligenza
infatti ha portato alcuni autori ad usare in maniera impropria le definizione del
modello, estrapolandole dal contesto originario per piegare il significato a
proprio piacimento. Le prime critiche del mondo accademico non tardarono ad
arrivare e i primi furono Wilson, Kellow e Kjellberg, che puntarono il dito
proprio sulla difficolt empirica dello schema. Wilson(1974), in particolare,
accusa la tipologia lowiana di non occuparsi delle conseguenze sociali ed
economiche che ogni tipo di policy comporta, distinguendo le quattro arene
solo in base alla relazione che intercorre tra potere statale e cittadini. Il
modello di Lowi, sotto questo punto di vista, effettivamente carente: la
predicibilit del modello si ferma al momento dellimplementazione,
trascurando il momento decisivo della valutazione, strumento fondamentale
per luomo istituzionale e lo scienziato politico delle scelte effettuate in
passato per analizzare loperato politico e ottenere informazioni utili per scelte
future. Lowi ammette limportanza dei grandi cambiamenti sociali ed
economici ma riconosce che il suo modello non risponde correttamente
quando ad essere minacciati sono valori di base e le identit culturali di
gruppo. Il modello quindi presenta notevoli vantaggi per quanto riguarda
analisi di livello micro, ma non offre una teoria che venga utile durante periodi
storici di cambiamenti sistematici.
Ulteriore problema suggerito da Nicholson(2002) lapplicazione dello
schema in sistemi politici diversi da quello americano. Lapplicazione

dellanalisi lowiana a contesti non-statunitensi, secondo Nicholson, comporta


alcune difficolt nellestendere le caratteristiche del modello americano, alla
base della tipologia delle arene del potere, a sistemi politici diversi sia nella
struttura istituzionale, sia nella storia e sia nella composizione sociale. Questa
mancanza di elasticit effettivamente una caratteristica del modello di Lowi,
influenzato dalla centralit del sistema americano sia nella scena politica
mondiale che nellambito accademico.
A queste critiche sono seguiti alcuni interventi di estensione o di
stravolgimento, spesso improprio, del modello di Lowi. Anche questo
fenomeno suggerisce ancora una volta come le arene del potere sono un punto
fondamentale nella storia della scienza politica: infatti attribuibile alla loro
comparsa la nascita di una vera e propria passione per la classificazione che si
tradotta in una produzione prolifica e un dibattito vivace che ha permesso ai
policy studies di acquisire nel tempo notoriet e dignit allinterno del mondo
accademico. Uno dei primi modelli risultanti da questo dibattito quello di
Kjellberg in un articolo del 1977 intitolato Do Policies (Really) Determine
Politics? And Eventually How? Le riflessioni di Kjellberg risentono ancora del
terremoto lowiano del ribaltamento della prospettiva politics. Infatti lautore
compie uniniziale disamina di questo argomento per poi passare alla sua
classificazione. Questo tentativo di Kjellberg basato sullaccettazione del
lavoro di Lowi ma la distanza del modello originale dai risvolti economici e
sociali viene additato come una mancanza fondamentale. Loperazione
dellautore in questione quindi quella di sostituire le direttrici principali dello
schema per inserire delle variabili che tengano conto da una parte del tipo di
allocazione di beni, diretta o indiretta, e dei tipi di benefici forniti che possono
essere individuali o collettivi. Attraverso questa divisione Kjellberg tenta di
importare, allinterno dellidea originale di Lowi: una consolidata distinzione
nella teoria economica tra beni individuali e collettivi

Ma oltre il tentativo dellautore norvegese e di altri studiosi2, lunico lavoro


paragonabile per estensione e precisione dellimpianto normativo quello
redatto da Wilson (1973; 1974; 1980). Lautore americano utilizza come
direttrice principale quella relativa ai costi/benefici, interrogando la tabella
risultante riguardo i vantaggi e svantaggi che queste diverse politiche
comportano ai destinatari. Wilson privilegia lo studio delle politiche regolative
mettendo in luce il nesso fondamentale, gi analizzato da Lowi,
dellallocazione autoritativa di valori allinterno di questarena. La regolazione
esce da questo lavoro come una relazione che avviene tra regolatori e regolati.

Lo schema qui sopra illustrato illustra come i costi e i benefici di una politica
pubblica si distribuiscano diversamente a seconda della politica pubblica e che
ci comporta diverse conseguenze rispetto alla struttura del potere. Una
situazione di interest group politics, ad esempio determiner una lotta serrata
tra gruppi di interesse altamente specializzati. Il quadrante delle client politics
2 Gormley(1983; 1985), Kellow (1988), Francis(1993) a cui rimandiamo ai
lavori originali oppure alla trattazione sotto la voce CLASSIFICAZIONE nel
Dizionario di politiche pubbliche di G.Capano e M.Giuliani (1996)

di solito riguarda come beneficiari una ristretta cerchia di persone che


otterranno benefici i cui costi verranno sopportati dalla comunit. Queste sono
le politiche pubbliche di clientela, dove gruppi ben organizzati riescono ad
ottenere vantaggi nei confronti di una collettivit incapace di organizzarsi e
contrastare lazione di pressione di gruppi economici dotate di risorse
superiori. Il terzo quadrante da esaminare quello delle Entrepreneurial
politics, una sorta di miraggio allinterno dellazione governativa. Questo tipo
di politiche pubbliche lesatto opposto di quelle clientelari e la situazione di
potere descritta recentemente solo in poche occasioni riesce a ribaltarsi.
Lunica circostanza che attiva questo determinato tipo di policy il riuscito
coinvolgimento di ampie porzioni di classi sociali da parte dei partiti di
maggioranza. Lultimo tipo di politica pubblica descritta da Wilson quella
delle majoritarian politics, politiche molto confuse dove sia i costi che i
benefici sono distribuiti sulla maggioranza della comunit. Di solito mettono a
confronto grandi partiti ideologici o movimenti sociali di ampio respiro, la cui
attivazione in questo caso pu essere difficile sia per la poca presa che questo
tipo di policy ha sullopinione pubblica ma soprattutto per le situazioni di
stallo che avvengono tra i decisori in questione.

3. Lo sviluppo delle arene del potere


3.1. Lowi e lo sviluppo dello stato americano
In un testo inedito del 1971, risultato di una relazione tenuta presso
lOrganization of American Historians, Lowi compie unenorme lavoro di
illustrazione storica delle trasformazioni funzionali dello Stato americano
lungo un secolo e mezzo. Questo saggio esemplifica chiaramente la vocazione
di Lowi a combinare impianto normativo e ricostruzione storica nel tentativo,
di cui abbiamo gi parlato, di utilizzare il sapere accademico degli scienziati
politici per un ruolo pi attivo e professionale.
Lintervento statale viene analizzato secondo lutilizzo, pi o meno esclusivo,
di determinate arene di policy e le conseguenze empiriche che esso ha prodotto
nella sfera della politics. La ricostruzione di Lowi analizzata in questo lavoro
sia come esempio di lucido esame della storia politica e sia come archetipo per
lanalisi di fenomeni politici estranei allo scenario politico americano. Il
tentativo che verr effettuato nei successivi paragrafi di utilizzare limpianto
normativo lowiano allinterno di quadri politici contemporanei dimostra come
la lezione del politologo americano possa essere ancora oggi utile per la
riflessione sulle scelte e sulla divisione funzionale delle istituzioni.
Lowi apre questo saggio tentando di analizzare il rapporto controverso che da
sempre vi tra scienziati politici e la storia. Il politologo americano definisce
ondivago latteggiamento del mondo accademico nellanalisi storica. I
periodi di calma politica utilizzano questo strumento per celebrare il potere,

come modello da esportare altrove nel tentativo di fondare una teoria di


sviluppo e modernizzazione per celebrare i successi del regime. Ma nel
momento in cui la storia confusa e regna il disordine politico, la
predisposizione benevola sopracitata scompare e la storia viene utilizzata
come pretesto per criticare o per fuggire dalle problematiche in corso,
privandola della funzione essenziale della memoria.
Ci che suggerisce Lowi quello di fondere questi due atteggiamenti per
costruire una teoria politica che sia fondata su una sana critica e su dati
empirici ma che non perda quel senso di idealismo necessario per non sfociare
nella critica arbitraria. Questo atteggiamento risulta utile in ogni occasione,
come vedremo nei paragrafi successivi, soprattutto quello appartenente al New
Deal. Il politologo americano rimarcher come latteggiamento di Roosevelt,
del suo governo e del popolo americano sia stato guidato da un pragmatismo
condito di innocenza ideologica, una condotta che ha determinato squilibri tali
che ancora oggi accompagnano il sistema politico americano. Lowi infatti
ritiene che la politica successiva al New Deal sia il risultato dello scollamento
della coalizione che si era creata durante gli anni 40 del XX secolo. La
coalizione idealistica creatasi in determinate circostanze uniche non ha retto
allo scorrere della realpolitk rendendo anacronistici i comportamenti di
presidenti molto preparati e capaci come Lyndon Johnson.
La poca preparazione di questi presidenti dovuta allunicit nelluso dello
Stato da parte dei governi Roosevelt. Il presidente pi longevo della storia
americana ha lasciato un segno fondamentale fondendo in un unico stato
tendenze funzionali che nel passato erano rimaste isolate, sviluppate nel corso
dei secoli attraverso sistemi politici separati. Lo stato del New Deal
rappresenta invece un nuovo modo di fare politica dove non pi la politics a
decidere sul governo ma piuttosto il governo a strutturare le sfere del potere
attraverso le diverse scelte di policy, creando cos quello che Lowi definisce il
governo della politica. La rivoluzione rooseveltiana determin quindi la
costruzione di uno Sstato capace di rispondere alle diverse pressioni sociali

contemporaneamente generando confusioni nel mondo accademico. Ogni


scienziato politico che ha provato a descrivere il New Deal ha le diverse facce
di Roosevelt ritenendo le altre erronee: qui che il grande intuito di Lowi si fa
sentire, suggerendo che invece il New Deal ha rappresentato estensivamente
diverse teorie politiche che hanno costruito diversi sistemi politici. Lowi
suggerisce che per apprezzare il New Deal a fondo bisogna scovarne le origini
nel passato della scena politica americana; questo lavoro pu essere fatto
scorrendo le leggi del Congresso tentando di individuare i modelli di politiche
pubbliche prevalenti in un determinato periodo politico e le trasformazioni che
essi hanno provocato nella sfera della politics.
Questa analisi del lavoro di Lowi, per quanto possa sembrare anacronistica,
necessaria per lo sviluppo dei paragrafi successivi. Infatti verr utilizzato il
metodo preciso e puntuale dellanalisi di Lowi per scomporre i comportamenti
e le scelte di policy attuali.
3.1.1. Politiche costituenti

Lowi comincia la descrizione dei diversi sistemi politici e delle diverse scelte
di policy effettuate nel corso dei secoli dal governo americano partendo dagli

albori e cio dalle necessarie scelte di politica costituente. Le istituzioni


americane non avevano altra scelta che quella di concentrare le proprie energie
nella costruzione dello Stato attraverso obiettivi chiari e specifici come la
creazione di un sistema di credito pubblico. Vennero creati i ministeri e
lamministrazione giudiziaria per poi occuparsi dei debiti di guerra. Questi
obiettivi perseguiti durante il primo decennio della storia repubblicana sono
uniti da un filo conduttore che appunto la costruzione di un sistema nel quale
poi sarebbe stato possibile governare. Bisogna ricordare che lazione
costituente non lassegnazione di poteri a determinate strutture, come
vedremo in seguito, ma piuttosto la creazione di confini per le scelte future di
policy. La poca coercizione nei confronti dei cittadini la caratteristica
fondamentale delle politiche costituenti ma ci che deve saltare ai nostri occhi
lassenza di dibattiti politici approfonditi dovuti soprattutto alle circostanze
esterne alla sfera della politics. La necessit impellente, in seguito alla guerra,
di dotare lo Stato di strutture capaci di resistere nel tempo mise in secondo
piano le aspirazioni degli attori decisionali che di solito accompagnano i
dibattiti di questarena.
Per questo motivo questo periodo preso in esame da Lowi non pu essere
assunto come paradigma del funzionamento dellarena costituente; difatti
come si vedr di seguito, la poca coercizione che queste policy esercitano sui
cittadini pu essere accompagnata da dibattiti sanguinosi nella sfera della
politics e nella struttura decisionale in genere.
La costruzione di un sistema di strutture non mai operazione neutrale e
lassunzione di questo punto di vista pu essere fuorviante se non in mala
fede. Lowi non assume questo punto di vista sottolineando come siano state le
circostanze eccezionali di quel periodo a tenere unita la sfera istituzionale che
subiva una ristrutturazione, se non una rifondazione, dei suoi principi.
Inoltre ricorda come questo periodo fosse attraversato da forti tensioni sociali
che per furono sapientemente canalizzate lungo linee partitiche.
Diversamente dai partiti americani doggi, ma anche dai partiti ideologici

europei, i due partiti che si fronteggiavano nel Congresso americano


riuscirono a radunare sotto la propria egida le mobilitazioni di classe, anche se
questo processo avvenne secondo linee di demarcazione poco chiare.

3.1.2. Politiche distributive

Come stato detto nel paragrafo precedente, le circostanze eccezionali


dellambiente durante le quali vennero prodotte le politiche costituenti non
furono esenti da tensioni sociali. Lowi sottolinea la complessit e
lorganizzazione dei conflitti politici di quel tempo e i primi provvedimenti
istituzionali per imbavagliarli, come il famoso Alien and Sedition Acts, che
sanc sanzioni per chiunque impedisse lapplicazione della legge. Il primo
decennio di vita del governo americano si conclude quindi nel 1798 con questa
legge incostituzionale ma soprattutto inutile per la pacificazione delle tensioni

politiche e sociali. Infatti le rivendicazioni dellopposizione non si sopirono e


la tensione arriv quasi a spaccare il paese ma nel 1806 arriv il punto di
svolta del governo americano che rinvi il confronto tra le parti alla Guerra
Civile di cinquantanni dopo. Infatti nel 1806 il bilancio dello Stato risult in
attivo, nonostante gli sforzi bellici perseguiti negli anni precedenti e ancora in
corso. Questo determin una possibilit enorme per entrambi i partiti
americani che misero parzialmente da parte le proprie ideologie e i propri
conflitti per avviare un lungo periodo di politiche distributive. Questi fondi in
eccesso in dotazione dei vari presidenti dell800 furono utilizzati per costruire
il paese materialmente, dopo averlo costruito nei principi nei quindici anni
precedenti.
I miglioramenti che avvennero negli Stati Uniti in questo periodo furono
enormi: innanzitutto fu potenziata la rete infrastrutturale del paese e ci
avvenne a prescindere dalle ideologie dei partiti. Infatti diversi presidenti di
ispirazione liberista incrementarono su tutti i fronti la spesa pubblica. Un
esempio al di fuori degli Stati Uniti pu essere la Spagna post-franchista: i
lunghi periodi monopartitici dal 1982 al 2004 trovano un punto dincontro
nella politica comune di potenziamento infrastrutturale. Oltre il potenziamento
delle infrastrutture cominci anche la distribuzione di terre su larga scala.
proprio da questa pratica che infatti deriva il nome di queste politiche. La
distribuzione delle terre fu una politica strana per gli Stati Uniti; nel tempo
essa si trasform da entrata per il bilancio federale a metodo di distribuzione
di favori e di aiuto per la colonizzazione degli stati meno abitati. Il possesso
delle terre fu concesso anche senza un pagamento e senza un titolo di
propriet, andando contro quindi le ideologie dellOttocento americano che
vedevano nella propriet uno dei principi fondanti dello Stato.
I motivi delladozione di questo atteggiamento sono due: lutilizzo di una
politica di patronage come collante della societ e la costruzione di un sistema
di distribuzione di potere politico che aveva come vertice le Commissioni nel
Congresso. Questi due motivi si rafforzarono a vicenda lungo tutto il corso

dellOttocento, rendendo larena distributiva la pi strutturata e forse la pi


influente sulla sfera della politics.
La maggioranza dei provvedimenti di questo periodo ebbe un impatto benigno
sulla societ, non compiendo alcuna scelta o discriminazione e quindi non
contemplando alcun impianto normativo chiaro. La quasi assenza di
coercizione e la possibilit di disgregare le politiche in singoli provvedimenti
determin cambiamenti enormi. Innanzitutto i partiti: i vecchi partiti
dellepoca costituente persero il loro potere allinterno del Congresso e la loro
presa ideologica sui grandi movimenti sociali. Il vertice istituzionale dei partiti
divenne il sistema delle commissioni. Queste rappresentano il luogo ideale per
lo sviluppo di politiche distributive. Le attivit delle lobby, interessate alla
distribuzione di benefici singoli e non antagonisti, si svilupp soprattutto in
questo periodo per poi ampliarsi successivamente allinterno di arene fatte di
politiche pi ampie come quelle regolatorie e redistributive.
Le caratteristiche delle coalizioni e delle contrattazioni dellarena distributiva,
analizzate nel precedente capitolo, disgregarono lunit dei partiti che si
decentralizzarono nei singoli stati o addirittura nei singoli collegi elettorali.
Ci non vuol dire che i partiti divennero meno efficaci ma piuttosto che
persero parte della loro forza ideologica per diventare unioni eterogenee di
interessi particolari, dettati spesso da forze esterne alla sfera della politics,
preparando cos il terreno istituzionale perfetto per lo sviluppo successivo
dellarena regolatoria. Questa disgregazione fu anche il frutto delladozione
continuata degli stessi programmi da parte di Presidenti e governi di diversa
estrazione partitica, che port quindi ad un avvicinamento di essi nelle sfere
istituzionali e la perdita di interesse allo scontro frontale riuscendo entrambi a
trarre vantaggio dallo sviluppo incessante dei meccanismi distributivi. Questo
metodo di fare politica, attraverso distribuzione e opacit normativa,
determin una stabilit governativa eccezionale evitando cos in extremis
lesplosione violenta di quei movimenti sociali di pochi anni prima. Inoltre la
coercizione fu delegata quindi agli Stati, determinando quindi diversi sistemi

politici allinterno degli Stati Uniti: da una parte il governo federale, fatto da
Commissioni, organi amministrativi e singole decisioni prese
dallamministrazione jacksoniana e dallaltra parte i singoli Stati, costretti a
misure coercitive intorno a questioni scottanti, intrappolando nelle barriere
statali le lotte ideologiche partitiche.
La strutturazione dellarena distributiva qui sopra analizzata rappresenta il
paradigma di questo tipo di policy. Ma ladozione continuata di unerogazione
puntuale e indiscriminata di fondi pubblici ora sarebbe impossibile per diverse
ragioni. Innanzitutto lattivit nascosta delle commissioni diverrebbe
estremamente difficile, essendo lattivit politica sotto locchio dei media e
difficilmente occultabile. Inoltre la semplice strutturazione partitica dellepoca
permise contrattazioni pi semplici e meno conflittuali. In aggiunta il crocevia
del bilancio federale attivo del 1806 oggi stato sostituito dal sogno del
pareggio di bilancio e del generale contenimento del disavanzo statale,
soprattutto in ambito europeo, il che implica non solo limpossibilit fisica di
attribuire fondi in maniera casuale ma soprattutto limpossibilit morale di
creare ampie politiche senza chiare attribuzioni di valore alle azioni dei
cittadini, soprattutto in economie complesse come quelle contemporanee.
3.1.3. Le politiche regolatorie

Le politiche regolatorie, allinterno della storia politica americana, rimasero un


fenomeno circoscritto fino allavvento del New Deal. Questo avvenne per
diversi motivi. Innanzitutto Lowi sottolinea latteggiamento ostile della Corte
Suprema nel lasciar passare policy che attribuissero ulteriori poteri al governo
federale, atteggiamento tipico del laissez-faire americano. Inoltre la sfera della
politics era organizzata intorno alle commissioni, una struttura che non
avrebbe retto di fronte a richieste di movimenti sociali cos ampi che
necessitavano quindi di un dibattito pi mediatico, trasparente e legittimato da
un numero pi ampio di persone. Essendo le politiche regolatorie
caratterizzate da attribuzioni di valori alle azioni dei cittadini o dei gruppi di
interesse con un assetto finale di vincitori e vinti, lazione non poteva
organizzarsi intono a coalizioni basate sul non conflitto e sullaccomodamento
reciproco. Un gruppo ristretto come quello commissionale non ha le
caratteristiche adatte alla risoluzione di scontri di tale portata ma soprattutto
non pu essere avvertito come legittimato ad azioni di moralit pubblica
essendo la sua azione alloscuro dei cittadini. Luso diretto e immediato della
coercizione altera i rapporti tra governo e cittadino stabiliti nellarena
regolatoria. Infatti, per quanto possano contenere vaghe o passive, le politiche

regolatorie contengono un elemento morale che costringe i destinatari ben


individuati dalla policy a conformarsi necessariamente ad un determinato
atteggiamento, pena le sanzioni che sono gi previste. proprio questo
elemento morale che determina questioni di potere costituzionale risolvibile
attraverso dibattiti pi aperti alle proposte e allattenzione dellopinione
pubblica.
Ma per sviluppare un sistema ben strutturato di politiche regolatorie e quindi
una sfera della politics che risponda a queste esigenze vi bisogno di una
continuit nella loro legiferazione. Casi di politiche regolatorie vi sono stati
anche durante i periodi analizzati nei paragrafi precedenti ma per la creazione
di unarena regolatoria ben definita devono sussistere diverse condizioni.
Innanzitutto verso la fine dellOttocento, la posizione del Congresso
allinterno della gerarchia dei poteri istituzionali cambi. Il nuovo
regolamento del Congresso, le cosiddette Reeds Rules, rivoluzionarono il
ruolo dellorgano legislativo determinando quindi lo spostamento del
baricentro dei poteri verso i deputati e i senatori. I membri delle due camere
furono liberi di poter determinare e legiferare su una serie molto pi ampia di
questioni, in conseguenza della ricostituzione della centralit del dibattito in
aula.
Inoltre i gruppi di interesse che a livello federale furono controllati attraverso
le politiche distributive e a livello statale furono represse duramente,
travalicarono i loro confini e arrivarono fino al cuore del governo federale che
fu costretto ad affrontare questioni irrisolte da decenni per evitare linstabilit.
Questo avvenne soprattutto in conseguenza della creazione di un sistema di
gruppi di interesse nazionali ben strutturati, forti e decisi nei loro obiettivi.
Diversamente dalle attivit di lobbying dellarena distributiva, nellarena
regolatoria i diversi gruppi sono sotto la costante pressione di dover far parte
del novero dei vincitori. Le questioni che mettevano in conflitto diversi
produttori non potevano pi essere gestite secondo il metodo della non
conflittualit ma secondo sanguinosi dibattiti in aula intorno a coalizioni che

prescindevano dalle linee partitiche e che mutavano a seconda della questione


affrontata. Queste coalizioni sono frutto anche di diversi decenni di politiche
distributive che disgregarono a livello centrale il partito che si era trasferito a
livello locale o negli organi amministrativi. Gli esiti di questo atteggiamento
dei gruppi di interesse sulle formazioni partitiche furono enormi: lattivit di
lobbying nelle questioni regolatorie ha poco interesse nel costituire formazioni
stabili che avrebbero un costo, sia economico che organizzativo, enorme. I
movimenti sociali inoltre non trovarono pi interesse nella canalizzazione in
partiti che avevano perso la loro presa ideologica e il loro potere nel
Congresso e nel governo federale. Quindi i partiti nel tempo persero la loro
funzione aggregativa per trasformarsi in raggruppamenti di singoli con il
comune obiettivo di eleggere il proprio candidato alla presidenza.
Ci che lo sviluppo di questarena durante questo periodo suggerisce che un
sistema di politica regolatoria pu svilupparsi secondo direzioni diverse a
seconda della sfera della politics su cui si basa. La sfera istituzionale prodotta
dalla perpetrazione di politiche distributive per decenni era disgregata
permettendo ai gruppi di interesse molto pi organizzati delle formazioni
partitiche ad agire sui singoli membri del Congresso, stabilendo le condizioni
per un organo legislativo molto pi centrale ma dallatteggiamento ondivago a
seconda delle questioni. Questo clima partitico senza appeal ideologico,
risultato di decenni di policy nelle arene distributive e regolative e lo sviluppo
di sistemi di politics ad essi peculiari, rappresenta uno dei fattori della bassa
partecipazione elettorale negli Stati Uniti. Il riuscire a comprendere in anticipo
il sistema istituzionale che pu venire a crearsi a seconda delle scelte
governative di policy uno dei massimi obiettivi dellanalisi delle politiche
pubbliche e pi in generale della scienza politica spesso negligente intorno la
sua aspirazione alla professionalizzazione a causa di inutili dispute
accademiche.
3.1.4. Le politiche redistributive

Lowi comincia lanalisi dellarena redistributiva nella storia americana


ricordando come essa abbia origine nello stesso periodo delle politiche
regolative. Infatti il superamento delle barriere statali da parte dei grandi
movimenti sociali permise ai leader di poter portare le proprie istanze fino al
governo federale. Queste domande per rimasero senza risposta per diversi
motivi. Innanzitutto per la spinta regolativa. Se Lowi individua nelle politiche
distributive lopposto normativo delle politiche di tipo redistributivo, il nemico
naturale dello sviluppo dellarena redistributiva la politica di regolazione.
Infatti questultima tende a smantellare leconomia in singoli pezzi pi facili
da manovrare sia nel Congresso ma soprattutto nelle agenzie amministrative
specializzate. Questa scorporazione mette di fronte segmenti ben precisi della
societ che spesso nellarena redistributiva appartengono allo stesso fronte.
Quindi, in generale, si pu dire che la scelta di politiche regolative tende a
sottrarre forza ai grandi movimenti sociali ma solo limitatamente a un periodo
breve. Nel lungo periodo infatti si vedr come la prolungata assenza di
risposte da parte del governo federale in campo redistributivo sar soppiantata
dallattivit frenetica di Roosevelt e dei suoi governi, costretti per necessit a

rispondere tempestivamente alle domande della popolazione e dei suoi


movimenti per scongiurare pericoli dinstabilit governativa.
Inoltre il governo federale non era fornito dei poteri necessari per agire
nellarena redistributiva. Il Presidente infatti non aveva mai avuto la
possibilit di poter utilizzare quei poteri assegnatigli dalla Costituzione a causa
delle precedenti scelte di policy di cui abbiamo parlato nei precedenti
paragrafi. Lo sviluppo dei diversi sistemi politici aveva impedito lo sviluppo
del peculiare sistema di politics necessario al Presidente per decidere sulle
questioni redistributive. Le fondamenta per la costruzione di adeguate strutture
istituzionali furono la fondazione della FED e il trasferimento dellUfficio del
Bilancio in sede governativa. Questi erano gli strumenti necessari al governo
per avere uno spazio di manovra capace di poter rispondere liberamente alle
domande di redistribuzione della ricchezza provenienti da tutte le frange della
societ. Richieste come laumento dellinflazione o manovre sulla tassazione
non possono essere gestite da un organo ampio come il Congresso n dalle
Commissioni, rappresentando spesso crocevia storici della vita di uno Stato.
Ulteriore fattore ambientale che imped la nascita di unarena ben strutturata fu
limpossibilit da parte dei grandi movimenti sociali, molto pi che per i
gruppi di interesse dellarena regolatoria, di superare le barriere statali prima
dellavvento dei grandi mezzi di comunicazione. Le domande redistributive,
oltre che problemi reali della popolazione sono utilizzate dai leader come
collante delle loro organizzazioni anche quando la loro realizzazione
impossibile: questa arena la pi malleabile a manipolazioni populiste
mostrando spesso la sua anima ideologica e duratura. Questi grandi movimenti
sociali tendono a posizionarsi lungo linee di frattura molto durature e questo
avviene a prescindere dalla possibilit offerta dai partiti di incorporare queste
cleavages. Le domande redistributive hanno bisogno di parecchio tempo per
formarsi ma una volta organizzati sono quasi impossibili da smantellare, come
dimostrano ad esempio i movimenti per i diritti civili degli afroamericani
oppure le organizzazioni sindacali europee.

Lanalisi dei fattori ambientali e istituzionali che hanno impedito la nascita di


unarena redistributiva strutturata fino al New dDal dimostra ulteriormente
come lanalisi delle arene di Lowi offre allo scienziato politico la possibilit di
prevedere e offrire soluzioni adeguate, per evitare scelte sbagliate quali quelle
dei governi Roosevelt che si trovarono ad affrontare nellarco di pochi mesi
questioni irrisolte da oltre un secolo.
3.1.5 New Deal: esempio di sistemi conviventi

Il New Deal il punto finale dellanalisi storica delle arene negli Stati Uniti.
Questo perch Lowi riconosce in Roosevelt e nelle sue politiche lutilizzo di
tutte le quattro arene del potere. Come gi stato detto precedentemente,
Roosevelt ha mostrato diverse facce dello Stato generando difficolt negli
analisti a catalogarlo in compartimenti stagni. Lowi invece con le sue arene
riesce a mostrare la natura multiforme delle funzioni che uno Stato pu
assumere.
Ci che colpisce maggiormente della rivoluzione Rooseveltiana che essa si
sia svolta in pochissimo tempo. Infatti le diverse nature del Presidente si
mostrarono gi nel primo anno se non nei primi mesi. Innanzitutto bisogna
sottolineare che lattenzione del New Deal per le politiche costituenti fosse

minima. Come tutti i leader carismatici, Roosevelt non si preoccup di


ridisegnare i confini dei poteri istituzionali trascurando quindi molte riforme
costituzionali. Lazione di questo Presidente infatti fu rivoluzionaria pi dal
punto di vista pratico che dal punto di vista teorico e normativo.
Per quanto riguarda il sistema distributivo il New Deal continu le politiche
gi esistenti. Questo avvenne soprattutto per la strutturazione solida del
sistema gi esistente che avrebbe reagito in modo compatto ed energico ad
ogni tentativo di smantellamento o cambiamento. Le poche occasioni in cui
Roosevelt intraprese policy distributive fu solo per scopi populistici come ad
esempio nel settore infrastrutturale.
Ma ci che da sempre ha suscitato lattenzione del mondo accademico
lattivit regolatoria e redistributiva del New Deal. La comparazione, tra le
sfere della politics di queste due arene nel periodo rooseveltiano, sembra
dipingere due sistemi politici completamente differenti.
Nelle politiche regolatorie lattivit fu frenetica. Vennero approvate policy
spettacolari come il Glass-Steagall Banking Bill, che separ le banche
commerciali da quelle di investimento. Ma ci che caratterizz di pi lattivit
regolatoria del New Deal fu la poca coercizione: limpianto normativo di
questarena fu privato di scelte chiare e furono delegati molti poteri alle
agenzie amministrative decentralizzate. Lobiettivo fu quello di spogliare il
governo e il Congresso dalla pressione, dirottando la concertazione verso
queste agenzie dove i gruppi di interesse avrebbero potuto scontrarsi tra di loro
determinando da s la coercizione del singolo provvedimento in questione.
Questo atteggiamento cre quello che Lowi definisce il liberalismo dei
gruppi di interesse, risultato del tentativo da parte del governo di sostituire la
coercizione con la partecipazione. Inoltre Lowi sottolinea come lattivit
regolatoria di Roosevelt avesse come obiettivo la conversione di queste
politiche in policy distributive. Lo smantellamento delleconomia in segmenti
separati fu perseguita attraverso la trasformazione, sul piano pratico, del
sistema amministrativo delegato in un Congresso e le singole agenzie

amministrative in Commissioni. Questo mutamento comport


indiscutibilmente vantaggi per il Governo sul breve periodo, poich riusc a
diminuire la pressione su di s, ma ad oggi si avvertono gli svantaggi del
lungo periodo: le ampie deleghe di potere alle agenzie amministrative hanno
inaugurato una pratica ancora oggi in uso negli USA che comporta una
mancanza di legittimit nei provvedimenti amministrativi contrastabili solo
con interventi forti da parte delle istituzioni elette.
Le politiche redistributive invece mostrano una faccia completamente opposta
a quella del Roosevelt mediatore delle politiche regolatorie. Infatti il ruolo
dellesecutivo fu preponderante in questarena, quasi dispotico. Furono
approvate un numero enorme di politiche redistributive nellarco di soli due
mesi, molte delle quali non furono fatte per scopi populistici: ad esempio
furono effettuate manovre sulla tassazione e sulla svalutazione della moneta.
In questarena inoltre la misura della coercizione fu molto pi alta rispetto
allarena regolatoria. Per quanto applicati al sistema piuttosto che al singolo
individuo, limpianto normativo di queste policy tendeva ad assegnare
nettamente valori positivi o negativi a determinati comportamenti anche se
questi non erano identificati con il singolo cittadino o gruppi di interesse.
Questo fattore di coercizione mostra un lato forte della leadership di Roosevelt
che contribu fortemente allimmagine, sbagliata, del Presidente americano
come tiranno su un Congresso succube. Questa immagine pu essere
assegnata limitatamente allarena redistributiva che ha lesecutivo come suo
principale interlocutore ma come si visto precedentemente ci non accade
anche negli altri tipi di sistemi. ci che Lowi definisce come variazioni
delle funzioni dello stato intimamente connesse alle variazioni delle scelte tra
le quattro categorie di policy. Ogni periodo storico avr un sistema pi
funzionante ma ci non implica che in determinate circostanze possano mutare
gli equilibri allinterno della sfera della politics.
Questo tipo di riflessioni deve indurre il mondo accademico a riconsiderare le
proprie partigianerie, figlie spesso di un approccio alla politics come variabile

indipendente, e piuttosto ricercare le soluzioni da suggerire al mondo


istituzionale: lo stesso Lowi (1999 p.94-95) a caldeggiare questo
atteggiamento sostenendo che: Noi possiamo e dobbiamo cercare di
modellare il nostro ambiente. E possiamo farlo attraverso una scelta pi
giudiziosa tra i diversi tipi di politiche pubbliche con cui si pu affrontare lo
stesso problema. E dobbiamo farlo proprio perch alcuni problemi potrebbero
avere una soluzione e ciononostante noi cercheremo di risolverli egualmente.
E se anche siamo destinati comunque a perdere, possiamo sempre chiederci
come abbiamo giocato.
3.2 Matteo Renzi: riformatore?
In questo paragrafo ci sar il tentativo di definire il governo Renzi e il suo
operato tramite le scelte effettuate dal premier italiano nei quasi due anni di
legislatura. Questo lavoro di analisi partir dalle origini dellex Sindaco di
Firenze, indagando quali sono state le circostanze ambientali che hanno
portato alla sua elezione, a quale sistema politico lui abbia ereditato e in
generale quella che possiamo definire la fase di progettazione che Meny e
Thoenig (1991) definiscono di identificazione e formulazione.
Prima di entrare definitivamente in questo lavoro empirico necessario
compiere una premessa. Difatti bisogna far riferimento alla circostanza per cui
il governo Renzi ancora in carica e molte delle politiche che verranno
analizzate sono in fase di votazione. Eventuali imprecisioni dettate dal tempo
non influenzeranno limparzialit dellanalisi e delle previsioni che verranno
effettuate su di esse. Per questo il lavoro che segue sar molto diverso da
quello di Lowi poich verranno fatte ipotesi su ci che sta accadendo nel
momento in cui lautore scrive, piuttosto che analisi su percorsi storici gi
avvenuti.
3.2.1. Matteo Renzi: circostanze esogene e ascesa partitica

Per comprendere meglio le politiche che il governo Renzi ha perseguito e


perseguir necessario compiere una preliminare analisi delle circostanze che
hanno definito Renzi come premier e la sua agenda di governo.
Matteo Renzi il premier pi giovane della storia italiana. Infatti il 22
Febbraio del 2014, giorno dellinizio del suo mandato, lex sindaco di Firenze
aveva solo 39 anni e un mese. Questo dato per non deve sorprendere. Il
ringiovanimento della classe dirigente non un fenomeno solo italiano come
diversi leader politici o mass media vogliono far credere. Come brillantemente
analizzato F. Musella (2014) il processo di abbassamento dellet media dei
capi di governo, con le sue conseguenze, non ha confini geografici.
Inoltre il premier italiano, allepoca dellinizio del suo governo, non era un
parlamentare italiano e ci rappresenta unanomalia nel panorama italiano ma
anche europeo. Infatti, tranne che per governi tecnici, i governi italiani sono
sempre stati guidati da ex parlamentari, scafati personaggi politici con una
lunga carriera allinterno del partito e dellorgano legislativo. Matteo Renzi
pass dalla carica istituzionale di Sindaco di Firenze a quella di premier senza
compiere liter parlamentare comune a tutti i capi di governo italiani.
Le modalit di elezione eccezionali sono il frutto di una serie di circostanze
interne al partito e alle istituzioni che sono anche uno dei motivi principali
della definizione dellagenda politica di Renzi.
Il primo fattore da analizzare il partito in cui questa ascesa repentina
avvenuta. Il Partito Democratico, nonostante sia un partito giovane,
rappresenta levoluzione del pensiero della sinistra italiana e come da
tradizione sempre stato diviso da correnti che, piuttosto che argomentare le
proprie ragioni in un confronto costruttivo, hanno costruito un conflitto basato
su un equilibrio atipico, impostato sul potere di veto che ogni forza
indipendente poteva esercitare su uneventuale decisione comune. Inoltre il
giovane PD ha cambiato dal 2007 al 2013 ben cinque segretari, tre dei quali
eletti tramite le primarie, dimostrando unalta instabilit dei quadri partitici.

Questa evoluzione testimonia come il PD non sia riuscito a compiere quel


processo di consolidamento istituzionale e ideologico che in generale ha
afflitto la sinistra italiana dallinizio della seconda repubblica. La conseguenza
principale di questa instabilit ventennale stata la sconfitta delle diverse
coalizioni che si sono succedute nel tempo. Anche le due vittorie di Prodi
rappresentano una vittoria di Pirro, essendo che il governo non ebbe mai una
maggioranza stabile e cospicua in entrambe le camere. Questi risultati
elettorali dimostrano lincompiuta transizione dal vecchio modello del PCI ad
un modello di partito realmente riformatore, capace di accogliere nelle sue
linee le diverse istanze provenienti dai nuovi elettori di sinistra. Prodi, Bersani
e Veltroni si sono dimostrati incapaci di trasformare il confuso assetto partitico
in unorganizzazione stabile. in questo clima di insoddisfazione che nasce la
figura di Renzi. Il giovane premier italiano infatti ha formato la sua figura
politica intorno al concetto di riformazione declinato nella particolare forma
della rottamazione. Una linea politica che consisteva nel rinnovamento totale
della sinistra italiana, nei dirigenti e nel modo di fare vita di partito. Questo
movimento, partito dalla famosa Leopolda del 2010, frutto della forte
personalizzazione della leadership compiuta da Renzi, capace di rispondere
prontamente al compito di rinnovare il volto del PD. Limmagine di Renzi
come leader forte emersa soprattutto dalle primarie del 2012. Infatti,
nonostante lattuale premier abbia perso contro lex segretario Bersani, non si
fermato nella sua lotta per la scalata e il rinnovamento, ottenendo lanno
successivo la carica di segretario del PD.
Per quanto riguarda i dirigenti sono di aiuto i dati di Fasano e Diodati (2014)
che sottolineano labbassamento dellet della prima assemblea nazionale del
PD con Renzi segretario. Inoltre il partito riuscito a superare, in parte, il
vecchio metodo di concertazione tra correnti ottenendo per la prima volta una
maggioranza, sia in partito che in Parlamento, pi o meno compatta. Questo
risultato stato raggiunto attraverso enormi costi politici, come la defezione,
volontaria e non, di diversi pezzi importanti del rinnovamento renziano come

Civati. Ma questo il modo di fare dellattuale premier. Seguire una linea


comportamentale ben precisa e rispondere agli attacchi o ai tentativi di blocco
con offensive ancor pi aggressive.
Per quanto riguarda il modo di fare vita di partito, bisogna sottolineare che
Renzi riuscito a superare la tradizionale base del consenso della sinistra
italiana della sinistra, aprendosi anche ad elettori di altri partiti. Questo dato
testimoniato dallaltissima partecipazione alle primarie del 2013 di cittadini
non appartenenti al PD. Questo dato, che pu sembrare estraneo alla ricerca
effettuata in questo lavoro, invece molto importante: infatti dimostra la
caparbia di Renzi nel raggiungere i propri obiettivi anche a costo di costruire
coalizioni eterogenee e di scardinare tradizioni partitiche. Questo modo di fare
si visto anche nella gestione della comunicazione. Il segretario del Partito
Democratico riuscito a svincolarsi dalla logica militante dei partiti di sinistra,
preferendo una strategia basata sui professionisti della comunicazione, in
omaggio a orientamenti anglosassoni. Questa aspirazione alla
professionalizzazione della politica, di un modo di fare quanto pi simile alla
gestione di unazienda, testimonia limpegno di Renzi nel raggiungere i propri
obiettivi senza impantanarsi in diatribe partitiche. Insomma, come dice Calise
(2015) Renzi, sin dagli esordi, fa il premier di professione. Senza
discussioni di parte, si pu dire che lattuale premier abbia portato a termine
quel processo di rinnovamento della sinistra che aspirava a diventare
riformista ma non riusciva a staccarsi dalla vecchia anima di partito legato ai
sindacati e ad alcune istanze pi a sinistra di dove realmente si trovava. Grazie
a questo traguardo, Renzi riuscito a crearsi una coalizione eterogenea ma
unita dalla speranza e dai successi ottenuti da una sinistra vincente e
realmlente riformista. Come afferma Loiero (2015) Renzi ha rappresentato
lultimo treno della notte ossia lultimo tentativo per la sinistra italiana dopo
il risultato deludente delle elezioni del 2013, dove il PD si aspettava una
maggioranza schiacciante che per non uscita dalle urne.

Ma la questione della rottamazione per il premier non si fermata allinterno


del partito ed nella sua voglia di rinnovamento del sistema politico in
generale che questo collegamento con lascesa partitica trova la sua ragion
dessere.
3.3. Renzi e le politiche costituenti
Lagenda politica del governo, sia con Letta che con lattuale premier, ha
deciso di concentrare le proprie risorse politiche, mediatiche e sociali sulla
questione delle riforme costituzionali. Gianfranco Pasquino e Pasquale
Pasquino hanno sottolineato da due punti di vista opposti qual stato limpatto
delle riforme renziane allinterno dellarena costituente italiana. Infatti
P.Pasquino (2014) ritiene epocale limpatto della riforma costituzionale
presentata dallattuale governo. In particolare, la proposta di trasformazione
del bicameralismo italiano da paritario a debole rappresenta la risposta alla
necessit avvertita da pi di ventanni di rendere attuale limpianto
istituzionale della costituzione italiana. Lautore infatti ritiene che il
bicameralismo perfetto sia ormai un ostacolo per le istituzioni governative e
questa svolta da parte di Renzi la maturazione di una democrazia che troppo
spesso si dimostrata riluttante a svolte costituzionali. A questa visione
positiva si contrappone quella di G.Pasquino (2014) che ricorda come dal
1988 in poi le riforme costituzionali in Italia siano state diverse e che i loro
impatti sul sistema politics siano stati molti e soprattutto ampi. La sua
disamina parte dalle riforme del 1988, ovvero quella della Presidenza del
consiglio e labolizione del voto segreto voluta da Craxi, per passare poi dalle
due leggi elettorali del 1993 e del 2005 e la riforma del Titolo V della
Costituzione nel 2001. La verit in questo caso sta nel mezzo. Infatti non si
pu non dare ragione a G.Pasquino quando ritiene che desti qualche dubbio
latteggiamento dei mass media che hanno preferito non ricordare al premier
le diverse riforme compiute prima del suo governo. Questo atteggiamento dei

mezzi di comunicazione rasenta il servilismo poich lautore giustamente


ricorda quali sono stati gli sforzi e gli sconvolgimenti costituzionali che la
breve memoria politica dei mass media ha dimenticato. Ma non si pu non
concordare con il fatto che le riforme di Renzi avranno un impatto enorme
sullintero sistema istituzionale italiano. Nessuno prima di lui aveva osato
compiere una svolta cos importante e le riforme che G.Pasquino ha
menzionato non sono stati altro che timidi tentativi di risolvere lannoso
problema del sistema politico italiano: la stabilit governativa. Ci che invece
Renzi ha programmato, e i fatti gli stanno dando ragione, la trasformazione
totale dellassetto della politics nella prospettiva che tali riforme aiutino a
raggiungere lo scopo prefisso.
Ma quali sono le politiche costituenti oggetto dellagenda di governo di
Renzi? La definizione di esse non solo merito del segretario del PD ma anzi
da ritenersi come il prodotto delle non-scelte compiute nellarena costituente
durante larco costituzionale della Seconda Repubblica. Come ricorda
P.Pasquino, in Italia lopinione politica e pubblica riuscita a formare un
vasto consenso negativo intorno i rinnovamenti che le istituzioni devono
affrontare.
Queste riforme riguardano tre aspetti del sistema istituzionale che
interagiscono tra di loro. Il primo di essi la ristrutturazione del livello
centrale, ossia la riforma costituzionale del bicameralismo e dei conseguenti
rapporti tra parlamento e governo. Il secondo aspetto presente nellagenda di
Renzi la dimensione verticale dello Stato e in ultima istanza, ma solo di
ordine e non di importanza, la legge elettorale. Questi tre aspetti, come gi
accennato, sono facce della stessa medaglia del movimento che Renzi ha
costruito negli anni sia nel partito che nelle istituzioni. Leventuale fallimento
di uno dei tre potrebbe minacciare seriamente le basi su cui si poggia ledificio
istituzionale immaginato dallattuale premier. Il rafforzamento del governo
lobiettivo principale di questo governo che riuscito a maturare il pensiero di
dover ottenere lagognata stabilit per poter compiere scelte efficaci

riguardanti policy di altre arene che mai come questa volta sono perseguiti con
tale convinzione. Naturalmente non dobbiamo limitare lattivit del governo
Renzi a policy provenienti solo dallarena costituente: altre riforme e leggi
sono state portate avanti in questa legislatura ma il premier come se si
sentisse in catene, come se limpianto istituzionale intorno a lui volesse
fermare la voglia di rinnovamento da lui tanto proclamata. Certamente non
sono solo queste le intenzioni che Renzi e il suo partito vogliono perseguire e i
diversi ostacoli sulla via ne sono la dimostrazione. Ma i costi politici delle tre
riforme sopracitate sono cos alti che inutile concentrarsi su eventuali
motivazioni nascoste e bisogna concordare con le parole di Calise (2015) il
quale afferma che le riforme, nel bene e nel male, sono la puntata pi alta
rischiosa e clamorosa- di Renzi sul tavolo del proprio governo.
Inoltre lintento dellanalisi delloperato del governo renziano non sar il
posizionamento del governo in una determinata arena di policy, ma piuttosto
sar il tentativo di previsione degli effetti che le scelte effettuate produrranno
sullintero sistema politico.
3.3.1. Italicum: sogni di governabilit
Iter Parlamentare
Innanzitutto tra le tre riforme di cui si parlato nel paragrafo precedente, la
legge elettorale stata la prima ad entrare nelle aule parlamentari. Infatti, dopo
aver ricevuto il 24 Gennaio il parere positivo della Commissione Affari
Costituzionali e il superamento delle 4 pregiudiziali di costituzionalit del 31
Gennaio, l11 Febbraio del 2014 il testo arriva alla Camera per essere
sottoposto alle centinaia di emendamenti presentati in commissione. Il
governo Renzi, causa la risicata maggioranza creata con lalleanza con NCD e
il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, si trova costretto tra due fuochi:
lapprovazione immediata per andare subito alle urne (Berlusconi) e la
blindatura dellItalicum allapprovazione della riforma costituzionale del

Senato (NCD). Ma oltre gli alleati, la compagine governativa deve difendersi


anche dalle resistenze delle minoranze interne al PD che intervengono per
proporre diversi emendamenti. Questa situazione di incertezza, che si protrarr
fino allapprovazione del 4 Maggio 2015, figlia anche delle discrepanze tra
la maggioranza nella Camera dei Deputati e il Senato ed anche uno dei
motivi per cui il governo dellattuale premier ha spinto e spinge sulla necessit
di riformare limpianto istituzionale sotto diversi punti di vista per garantire
allorgano esecutivo la tanto agognata ma mai raggiunta stabilit governativa.
La mancanza di questultima infatti causer lo slittamento dellesame degli
emendamenti allItalicum comincia il 5 Marzo e le trattative intorno le
preferenze e la parit di genere falliscono subito essendo bocciati gli
emendamenti che prevedevano lintroduzione di questi due meccanismi. Ma
dopo diverse votazioni in cui lo scarto tra favorevoli e contrari al massimo di
35 voti, il 12 Marzo viene approvata la legge alla Camera dei Deputati, con
365 voti a favore e 156 voti contrari.
Il passaggio al Senato si riveler ancor pi difficile, in un crescendo di tensioni
sia nel Patto del Nazareno che nel Partito Democratico. Gli incontri tra Renzi e
Berlusconi determineranno le modifiche che porteranno al testo approvato poi
definitivamente. Dopo quasi un anno dalla sua prima approvazione, il 20
Gennaio del 2015, il testo approvato dalla Camera comincia il suo esame al
Senato, dove le opposizioni presentano decine di migliaia di emendamenti,
volti sia alla modifica reale della legge elettorale sia come tentativo di
ostruzione alliter in aula. Questa tattica dei senatori contrari allapprovazione
dellItalicum verr aggirata tramite lapprovazione del cosiddetto
emendamento supercanguro del senatore Esposito, che permette di far
decadere oltre 35mila emendamenti. Nel tentativo da parte di Renzi di
recuperare lappoggio, almeno temporaneo, di partiti come Sel viene abbassata
la soglia di sbarramento fino al 3%, il che permetter a diversi partitini di
poter accedere agli scranni parlamentari. a questo punto che Renzi decide di
premere sullacceleratore dichiarando di voler approvare lItalicum prima

delle elezioni regionali del 2015. Cos mostra il suo animo di schiacciasassi:
impone la sua linea allinterno della direzione del PD isolando i dissidenti
come Civati e Speranza e minacciando di imporre la fiducia nella votazione
alla Camera. Questi sono solo alcuni dei costi politici che Renzi ha dovuto
pagare per poter andare avanti nelle riforme, alla ricerca di quel grande
progetto istituzionale che gli permetterebbe di ottenere maggiore stabilit
governativa.
Dopo la sostituzione dei dissidenti del PD allinterno della Commissione
Affari Costituzionali e il lasciapassare di questa per lesame dellItalicum in
aula, il 28 Aprile il testo della riforma arriva in aula e, dopo aver superato le
pregiudiziali proposte dalle opposizioni, viene blindato con il voto di fiducia.
Questa mossa da parte di Renzi scatena le ire generali che tacciano il governo
di derive autoritarie rimandando la memoria alla cosiddetta legge truffa del
1953. Inoltre le votazioni che seguiranno nei giorni immediatamente
successivi saranno disertate dalle opposizioni, permettendo cos alla
maggioranza di rendere agevolmente legge lItalicum il 4 Maggio.

Cos lItalicum
La nuova legge elettorale, di cui abbiamo appena affrontato liter
parlamentare, fa parte di quel progetto riformatorio pi ampio del governo di
Renzi di voler assicurare una stabilit governativa maggiore e la possibilit da
parte della sola Camera dei Deputati di poter legiferare pi velocemente e con
una maggioranza stabile e nutrita, senza sottostare al ricatto di opposizioni o
piccoli partiti. Ma quanti di questi obiettivi sono stati raggiunti dalla legge
elettorale e quali sono i meccanismi predisposti dallItalicum per soddisfare le
esigenze dellattuale compagine governativa? Il mondo accademico, pi che
sulle altre riforme, si schierato tra sostenitori e critici; entrambe le fazioni
hanno portato e portano con veemenza le proprie argomentazioni a favore
della propria posizione, alcune volte cadendo nella partigianeria e nelle

antipatie di turno. Quindi la spiegazione di quali dispositivi elettorali abbia


messo in campo lItalicum deve necessariamente essere accompagnata dalle
posizioni degli studiosi, a torto o ragione, hanno espresso il proprio parere su
questa nuova riforma.
LItalicum un sistema proporzionale con premio di maggioranza. Questo
premio rappresenta un meccanismo di majority assuring per la lista vincitrice,
realizzando cos in un sistema proporzionale gli stessi effetti di un sistema
elettorale plurality (Fasano e Natale, 2015). Secondo gli autori, il sistema del
premio sarebbe lideale per sistemi partitici frammentati come quello italiano,
incoraggiando cos processi aggregativi, sia per quanto riguarda la
maggioranza che lopposizione. Inoltre questo premio dovrebbe garantire alla
minoranza una quota ragguardevole di seggi per poter condurre
unopposizione reale allinterno del Parlamento. Quindi il problema della
rappresentanza secondo questi due autori non sussiste: il premio di
maggioranza di per s non costituirebbe un attentato alla corrispondenza in
seggi della volont elettorale, poich lItalicum, anche attraverso la soglia di
sbarramento del 3% di cui si parler successivamente, per certi versi assicura
una rappresentativit eccessiva. Insomma lItalicum riesce a garantire un
diritto di presenza alla maggior parte delle forze politiche dopposizione.
Ma questo diritto di presenza sufficiente per garantire alla minoranza di
poter condurre, come mai accaduto in Italia, unopposizione coerente e
compatta, sulla scorta dellesempio dei governi-ombra britannici? Secondo
molti autori questo non accade e per diversi motivi. Innanzitutto per la
composizione del sistema partitico italiano. G.Pasquino (2015) afferma che
lItalia affetta da un bipolarismo disfunzionale e la panacea per questo male,
tanto promessa dai riformatori, di certo non arriver con lItalicum. Si
assister quindi a una sola lista, gonfiata con il premio di maggioranza, ed una
minoranza caratterizzata da diversi partiti in competizione tra loro, incapaci di
farsi opposizione vera. Gallo(2015) insiste sugli effetti distortivi che il
meccanismo elettorale potrebbe produrre sul sistema politico italiano,

aggiungendo una simulazione di voto dove per le sue tesi non appaiono
nutrite da un reale intento di imparzialit.
Ma ci che differenzia lItalicum dalla precedente legge elettorale
listituzione del doppio turno. Infatti mentre il premio di maggioranza veniva
precedentemente assegnato al partito con il pi alto numero di voti sul
territorio nazionale, con lItalicum questo avviene solo se la lista ha raggiunto
il 40%. In caso contrario, i due partiti che hanno conseguito pi voti accedono
ad un secondo turno nel quale il vincente si aggiudicher il 54% dei seggi
della Camera dei deputati, ossia 340 seggi. Sul ballottaggio i toni si fanno pi
morbidi. Infatti lo stesso G.Pasquino (2015) ad ammettere che il sistema a
doppio turno, in generale, riconsegna nelle mani degli elettori la possibilit di
determinare da s la lista vincitrice. Ma a deludere ancora il politologo
limpossibilit di apparentamenti tra il primo e secondo turno, facendo cos
dellItalicum uneccezione al negativo tra le diverse leggi elettorali europee.
Altre accuse derivano dallarbitrariet della soglia stabilit al primo turno.
Infatti il 40% non altro che il risultato delle contrattazioni avvenute nel Patto
del Nazareno, senza alcuna ratio dorigine costituzionale a sostenerla.
Limpossibilit di presentarsi al primo turno con coalizioni di liste o partiti e
lesclusione di apparentamenti al ballottaggio sono regole disposte per evitare
che coalizioni di stampo solo elettorale si potessero distruggere appena il voto
sia stato tradotto in seggi. Per quanto possa sembrare un nobile motivo, agli
occhi della maggior parte della comunit accademica questo meccanismo
appare inutile e immaturo. Inutile poich i partiti potrebbero presentarsi in
ununica lista, dotata del necessario statuto al primo turno, per poi sciogliersi
una volta ottenuto il premio di maggioranza. A questo naturalmente una legge
elettorale non pu e non deve porre rimedio, ricordandosi il divieto di mandato
imperativo e quindi la possibilit da parte die parlamentari di poter costituire
nuovi gruppi parlamentari una volta eletti nellorgano legislativo. Ci che
suggeriscono Fasano e Natale (2015) la possibilit di integrazione della
legge elettorale con regolamenti che impediscano la dissoluzione post-

elettorale della lista. Questo meccanismo per sembra eccessivamente drastico


e forse darebbe ragione a coloro che, come Urbinati(2015), accusano il
governo Renzi di assumere una deriva cesaristica. Ma il meccanismo di lista e
dellimpossibilit di apparentamento mostrano anche limmaturit del sistema
partitico italiano che non ancora capace di correggere da solo, senza aiuti
esterni, la sua storia di rissosit e disomogeneit.
Il dispositivo legislativo sopra descritto dovrebbe appunto quindi impedire,
nelle intenzioni dei riformatori, la frammentazione del sistema partitico. Ma
ci in contrasto, in un livello puramente normativo, con la soglia di
sbarramento del 3%, troppo bassa per evitare che piccoli partiti possano
entrare in Parlamento. Questa discrepanza, come sottolinea Ceccanti (2015),
dovuta alle contingenze delliter parlamentare di cui si parlato prima. Ma
questa soglia cos bassa pu essere vista anche dal punto di vista
dellequilibrio necessario che una riforma deve avere tra proporzionalit e
aspirazioni di governabilit. Infatti la possibilit per piccoli partiti di ottenere
una rappresentanza nella Camera dei Deputati consente allItalicum
unapertura verso coloro che lo accusavano di mancanza di rappresentanza.
Per quanto invece riguarda i collegi elettorali, sono state create 20
circoscrizioni elettorali, corrispondenti in larga parte alle regioni, suddivise per
100 collegi plurinominali, ad eccezione del Trentino Alto Adige e della Valle
dAosta che invece sono suddivisi in collegi uninominali.
Sul versante delle preferenze nellItalicum sono presenti liste pi brevi rispetto
al Porcellum ma soprattutto solo il capolista risulta bloccato, il quale pu
candidarsi fino ad un massimo di dieci collegi. Quindi lelettore, dopo aver
contrassegnato il partito e il capolista, potr scegliere tra due preferenze le
quali per sono subordinate alla parit di genere. Infatti non solo nel numero
totale dei capilista un sesso non pu superare laltro pi del 60%, ma nelle
preferenze espresse dallelettore bisogner optare per due candidati di sesso
diverso, come gi accade nella legislazione regionale e comunale. Dopo
lelezione del capolista avr diritto al seggio il candidato o i candidati con il

maggior numero di preferenze. La questione delle preferenze rappresenta il


punto maggior discusso, sia dal punto di vista costituzionale che politologico.
Coloro che sono contrari al meccanismo della lista bloccata hanno criticato
fortemente la sua incostituzionalit, supportati anche dalla sentenza 1/2014
della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionali le liste bloccate
della precedente legge elettorale. Il trucco del governo Renzi, secondo
Gallo(2015), sarebbe stato quello di accorciare le liste e inserire la possibilit
da parte dellelettore di inserire preferenze. Ma la mistificazione per evitar la
bocciatura da parte della Corte starebbe nel disegno dei collegi uninominali,
rendendo impossibile per quasi tutti i partiti lelezione di un parlamentare per
preferenze: lItalicum quindi fingerebbe di adeguarsi alla sentenza della Corte
Costituzionale. Questo problema emerge anche dalla ricerca di Fasano e
Natale, che svolgono diverse simulazioni di prova per dimostrare che il PD,
principale accusato, in caso di vittoria del premio sarebbe composto in Camera
per 2/3 da deputati eletti per preferenza. Ma a prescindere da ricerche falsate
da parzialit, il dato resta comunque: cio che tutte le liste, tranne la vincitrice,
avrebbero tra gli eletti solo o quasi i capilista, rendendo quindi inutili le
espressioni dellelettorato in merito alla composizione individuale della
Camera.
Il sistema delezione dei 12 deputati della circoscrizione estero non cambia ma
viene introdotta la possibilit per gli elettori che si trovino temporaneamente
allestero di poter votare per corrispondenza nella circoscrizione estero.
In ultima analisi, ma non per questo meno importante, bisogna ricordare che
lItalicum entrer in vigore solo il 1 Luglio 2016 e sar in vigore solo per la
Camera dei Deputati. La ragione il collegamento esistenziale che vi tra
lItalicum e le riforme costituzionali, in particolare labolizione del Senato,
che il governo Renzi si proposto di fare; rappresenta quindi un salvacondotto
al quale appellarsi nella misura in cui le riforme costituzionali non concludano
il loro percorso..

3.3.2 Riforma del Senato: crocevia storico?


La premessa che precede lanalisi contenuta in questo paragrafo puramente
temporale. Infatti al momento in cui questo lavoro redatto la riforma non
ancora in funzione ma ha passato la prima deliberazione e quindi, a
prescindere dalla sua promulgazione, le analisi qui di seguito sono fatte su un
testo che non potr essere modificato successivamente.
La riforma costituzionale, che si concentra particolarmente sul superamento
del bicameralismo paritario, potr rappresentare per larco costituzionale
repubblicano un evento di portata epocale. La ridefinizione delle funzioni
delle due Camere trasformer il nostro bicameralismo da paritario, o
ridondante come si suole dire, a debole. Infatti scopo principale di questa
riforma sar quello di trasformare il Senato della Repubblica per farne un
organo di rappresentanza degli organi regionali e locali. Inoltre, come si vedr
di seguito nellanalisi dei singoli organi, le aree istituzionali investite sono
molteplici e gli interventi sono piuttosto estesi: il rivoluzionamento della
potest legislativa tra Stato e regioni, cancellazione del CNEL, la ridefinizione
delliniziativa legislativa popolare e alcune prerogative del Governo e della
Corte Costituzionale, rappresentano i diversi aspetti di una riforma che, a
prescindere da giudizi di merito, sicuramente di ampio respiro.
Per evitare di cadere nel recentismo bisogna ricordare le parole di
Seagatti(2015) che suggerisce di non confondere il dato contingente con il
dato necessario. La riforma di Renzi va ben al di l della sua personalit e
forse il premier e il suo governo, ma anche i diversi comitati del No, non ne
sono coscienti. Questa riforma, se verr effettivamente promulgata e approvata
dal popolo italiano tramite il referendum, sconvolger il dato istituzionale del
nostro sistema politico, con ripercussioni decennali.

Avendo gi accennato a quali son i temi pi importanti di questa riforma, il


lavoro danalisi proceder tentando di analizzare la riforma non per articoli3
ma piuttosto tentando di comprendere quali sono le trasformazioni che
investiranno i diversi organi istituzionali e gli attori politici in genere.
Innanzitutto il Senato, ovvero la parte pi sostanziosa di questa riforma. Infatti
gi dal primo articolo viene sancito che solo la Camera dei deputati a
detenere il rapporto di fiducia con il Governo e ad esercitare le funzioni di
indirizzo politico. Il Senato viene quindi qualificato come rappresentante delle
istituzioni territoriali con un compito essenzialmente di valutazione
dellandamento legislativo. Ad integrare questa disposizione interviene
leliminazione del Senato a base regionale, sancendo quindi lelezione di
secondo grado questo organo. Il combinato disposto dellart.2 e della prima
disposizione transitoria stabilisce che i componenti del Senato saranno scelti
tra i consiglieri regionali e i consiglieri delle Province autonome di Trento e
Bolzano e per ognuno di essi lelezione anche di un sindaco dei rispettivi
comuni. Il nuovo Senato non sar pi scioglibile, poich la durata del mandato
non pi di cinque anni ma piuttosto collegata allorgano territoriale che ha
provveduto allelezione del senatore; inoltre i nuovi senatori non avranno
diritto alle indennit parlamentari, privilegio che rester solo in capo ai
deputati. Cambia anche la normativa dei senatori a vita: infatti questi non
esisteranno pi, eccezion fatta per gli ex Presidenti della Repubblica; invece
per ogni mandato, il Capo di Stato avr la possibilit di nominarne solo cinque
i quali resteranno in carica per sette anni.
Le nuove modalit di composizione del Senato mostrano gi lampiezza delle
riforma: il nuovo organo stato disegnato per essere composto realmente da
rappresentanti del territorio. Il governo Renzi quindi andato oltre la
prescrizione dellArt.57 che sanciva lelezione dei senatori su base regionale.
Il nuovo Senato avr molto in comune, almeno per quanto riguarda la sua
3 Per la lettura estesa della Riforma, il lettore appassionato pu consultare il
sito della Camera dei deputati: http://www.camera.it/leg17/126?pdl=2613-B

composizione, con il Bundesrat ovverosia il consiglio federale tedesco.


Entrambi infatti utilizzano un meccanismo di elezione dei propri componenti
tramite unelezione di secondo grado.
Per quanto riguarda invece le competenze legislative, il nuove Senato esce
dalla riforma Renzi visibilmente ridotto. Con la ridefinizione dellart.70 della
Costituzione, nella riforma sono elencate le competenze legislative in comune
con la Camera dei deputati riguardanti principalmente le leggi relative
allassetto costituzionale, alla tutela delle minoranze, alle consultazioni e alle
iniziative legislative popolari. Sul resto della legislazione, assegnata in via
residuale alla Camera dei deputati, il Senato pu richiedere entro dieci giorni
di esaminare il testo e nel termine di trenta giorni dovr deliberare eventuali
modifiche che saranno sottoposte al vaglio della Camera. Senza la richiesta da
parte di un terzo dei senatori, il progetto di legge approvato dalla Camera
risulter promulgato. Il Senato, per tramite una deliberazione a maggioranza
assoluta, ha la possibilit di sottoporre un progetto di legge allesame della
Camera che dovr pronunciarsi entro sei mesi. Tra le diverse materie sottratte
al Senato c da ricordare in particolare quella del bilancio, come la modifica
dellarticolo 81 ricorda puntualmente.
Questa parte, insieme alla trasformazione della composizione del Senato,
rappresenta il superamento del bicameralismo paritario e quindi forse la parte
pi spinosa dellintera riforma. Infatti si assiste ad un Senato effettivamente
svuotato delle proprie competenze legislative, quasi come se questo fosse un
passaggio intermedio verso il monocameralismo. Trasferire alla Camera dei
deputati la legislazione residuale sul quale il Senato non ha reali poteri di
controllo produrr sicuramente delle disfunzioni iniziali allinterno
dellequilibrio istituzionale; lo svantaggio delle disfunzioni per pu essere
equilibrato da un procedimento legislativo pi snello e lineare, anche pi
trasparente, permettendo cos di poter rispondere pi velocemente alle
esigenze legislative. Questo aumenta il carico di accountability e
responsiveness in capo sia alla Camera che al Governo che, grazie ad altre

modifiche che verranno analizzate in seguito, non potr pi appellarsi alla


lentezza parlamentare e la scellerata pratica della decretazione potr
finalmente essere interrotta per riconsegnare a questo strumento il suo uso
regolare.
Per quanto invece riguarda la Camera dei deputati, le trasformazioni sono sia
in parte speculari a quelle del Senato che peculiari, derivanti soprattutto da
rapporto di fiducia esclusivo che detiene con il Governo.
Unimportante novit stata introdotta per quanto riguarda la minoranza
allinterno della Camera: infatti introdotto lobbligo per i regolamenti di
prevedere norme in garanzia delle minoranze parlamentari. In particolare
questo obbligo si dovr tradurre nella redazione di un opportuno statuto delle
opposizioni, novit assoluta nella Costituzionale italiana. Questa innovazione
stata dettata soprattutto per bilanciare il combinato disposto tra Italicum e
fine del bicameralismo paritario, accusato di spostare troppo lago della
bilancia verso la maggioranza. Sempre nello stesso articolo previsto
lobbligo per la compagine governativa di partecipare alle sedute parlamentari,
se richiesto, oppure la possibilit di farlo comunque anche se non fanno parte
della Camera. A questo diritto/obbligo per i membri del Governo
accompagnato lobbligo invece per i parlamentari di partecipare alle sedute e
ai lavori delle commissioni, introdotto per la prima volta nell'impianto
costituzionale.
Per quanto riguarda liniziativa legislativa vale quanto detto precedentemente
nellanalisi dedicata al Senato. La novit della competenza residuale in capo
allunica Camera elettiva, potrebbe sovraccaricare i deputati di lavoro
eccessivo e lagognata velocit delliter legislativo potrebbe sfumare. Questo
problema stato parzialmente risolto con lintroduzione di una novit per
quanto riguarda il calendario dei lavori. Il Governo infatti potr chiedere alla
Camera di deliberare lurgenza di un disegno di legge ritenuto essenziale per il
programma di Governo. Se la deliberazione della Camera ha successo, il
disegno di legge iscritto con priorit allordine del giorno e la Camera sar

costretta a pronunciarsi entro un limite di 70 giorni. Attraverso questa


disposizione il Governo pu assicurare che il proprio programma sia
completato o almeno esaminato entro tempi contingentati piuttosto che
attraverso proposte demendamento atte a ritardare o flipper tra una Camera e
laltra. Aspetto negativo il possibile ostruzionismo che il Governo potr
compiere contro disegni di legge non provenienti dalla maggioranza o che
comunque non seguono la linea governativa; circostanza che dovr essere
evitata tramite la scrittura di uno statuto delle opposizioni capace di proteggere
loperato delle minoranze. Sempre nella prospettiva del contingentamento dei
tempi previsto lobbligo da parte dei regolamenti parlamentari di dotarsi di
meccanismi adeguati per la discussione e valutazione delle proposte di
iniziativa popolare in tempi opportuni. Altra novit importante, nellottica
della delegittimazione del Senato e la creazione di un collegamento
privilegiato tra la Camera dei deputati e il Governo, la possibilit per i soli
deputati di attivare le autorit giurisdizionali per il perseguimento dei reati
ministeriali da parte del Presidente del Consiglio e dei ministri.
Questa nuova Camera, in generale, pu essere considerata come il principale
soggetto di raccordo per lelettorato con le istituzioni. Con leliminazione del
Senato elettivo, infatti, la Camera sar lunico vero interprete della volont dei
cittadini. La presa di coscienza di questo nuovo ruolo sar lenta e le anomalie
iniziali saranno molte; un passo importante per poter evitare che questo nuovo
strumento, dalle potenzialit infinite, possa invece trasformarsi in un organo
disfunzionale e asservito alle volont del Governo, sarebbe la redazione di
regolamenti parlamentari capaci di evitare tali degenerazioni. La scrittura di
queste regole dovrebbe avere quanto il maggior apporto possibile, soprattutto
da parte delle opposizioni, nellobiettivo di rendere questa riforma non una
semplice mossa politica dellattuale Governo per assicurarsi una maggioranza
parlamentare ma piuttosto un traguardo pi longevo, verso una democrazia
matura capace di rendere la funzione legislativa coscienziosa e aperta alla
possibilit dellopposizione di poter condurre unesperienza di minoranza

responsabile e non semplicemente denigratoria delloperato della


maggioranza. Inoltre, con lassunzione della maggior parte delle materie, la
Camera dovr essere capace di compiere il suo lavoro senza delegare al
Governo ci che non riesce a fare. I deputati ora dovranno essere coscienti di
non poter ricorrere a scappatoie morali ed elettorali, scaricando la colpa sulla
lentezza del processo legislativo oppure su numeri di maggioranza poco ampi.
Il superamento del bicameralismo paritario unito al premio di maggioranza
offerto dallItalicum rende il compito dei deputati pi difficile perch pi di
contrasto. Senza unopposizione responsabile e con una maggioranza
coscienziosa e impegnata, il sistema disegnato dalle riforme collasser. Si
assister ad un Governo che prender le decisioni da solo, un parlamento
asservito e oberato da un lavoro che non riesce a portare avanti e
unopposizione che si limiter a compiti diffamatori nellattesa del fallimento
della maggioranza, dando agli elettori la sola possibilit di unalternanza fatta
da un susseguirsi di fallimenti. Questo scenario quasi apocalittico non cos
irreale: come in ogni riforma sono gli interpreti a dover sfruttare le possibilit
di poter migliorare il sistema poich questo non potr mai essere perfetto.
Il Governo forse il principale beneficiario della riforma qui analizzata. Infatti
la compagine governativa innanzitutto non dovr guadagnarsi la fiducia di due
camere, spesso composte negli ultimi anni da maggioranze diverse. Ora
lobbligo sar solo verso la Camera, lasciando la possibilit quindi di poter
concentrarsi meglio sullattivit esecutiva piuttosto che risolvere le beghe
parlamentari. A questo si aggiunge anche il vantaggio di poter disporre, con
lappoggio della Camera, delle priorit legislative. Come gi detto nellanalisi
precedente, il Governo potr indicare determinati progetti di legge come
urgenti, assumendo cos maggior potere nellindirizzo della legislatura. Questi
vantaggi sono per controbilanciati in diverse misure. Innanzitutto il singolo
rapporto fiduciario viene rafforzato con lobbligo, se richiesto, di presiedere
alle sedute parlamentari; attraverso questo dispositivo normativo si costringe il
governo governativa a partecipare allandamento del lavoro di una Camera che

esso stesso ha in parte deciso. Inoltre il Governo, ottenendo dallItalicum una


maggioranza parlamentare solida ed estranea a coalizioni, sar investito di tutti
i fallimenti e tutti i meriti della sua legislatura. Eventuali coalizioni potrebbero
e dovrebbero essere temporanee e comunque legate a singoli temi evitando di
riversare sul proprio alleato i fallimenti. Il nuovo sistema quindi andr verso
una soluzione di chiarezza di chi sono i responsabili dellindirizzo politico,
una sorta di investitura ufficiosa per il Governo. La maggior stabilit che
questa riforma concede allorgano esecutivo potr essere una piattaforma di
lancio per programmi politici di ampio respiro ma potrebbe subire anche
torsioni anomale. Il pericolo della perdita della maggioranza parlamentare,
fatta da soli 25 seggi, oppure un assoggettamento della Camera dei deputati al
Governo, non fanno altro che confermare quanto detto in precedenza sul ruolo
che dovranno assumere gli attori politici per rendere funzionale questo nuovo
sistema.
A completare il rinnovamento della funzione esecutiva, la riforma aggiunge la
possibilit di prolungamento di 30 giorni nel caso di rifiuto da parte del
Presidente della Repubblica di promulgare una legge di conversione di un
decreto legge. Questo dispositivo servir ad evitare la decadenza del decreto
che oggi causano problemi di responsabilit in merito a decreti non convertiti.
Inoltre, come si vedr in seguito, il Governo ha la possibilit di poter proporre
lintervento dello Stato in quelle materie non riservate alla legislazione
esclusiva: ci potr avvenire nella misura in cui lo richieda la tutela dellunit
giuridica o economica del Paese. Alla possibilit dintervento in materie on
riservate allo Stato, il Governo pu sostituirsi ai titolari degli organi locali
quando sia stato accertato lo stato di dissesto finanziario oppure sostituirsi, con
parere del Senato, ad un ente locale nelloccasione in cui questultimo violi
norme internazionali o lo richieda lunit giuridica ed economica.
Questi ultimi strumenti lasciano un po pi perplessi, generando pi ombre che
luci sul loro utilizzo futuro e sul rapporto che si generer tra Stato e Regioni,

soprattutto nella prospettiva di un sostanziale ribaltamento delle competenze


tra questi due soggetti istituzionali.
Infatti altro obiettivo della riforma la modifica del Titolo V in particolare
dellart.117 relativo alle competenze legislative. Il progetto di federalizzazione
dello Stato italiano pare sfumare con questa riforma. Mentre la riforma del
titolo V del 2001 e le divere leggi susseguitesi nel tempo sembravano indicare
la strada di una maggiore autonomia per le diverse regioni, la riforma del
Governo ha sancito costituzionalmente la scomparsa delle province ma
soprattutto ha sancito la possibilit da parte dello Stato di intervenire in tutte le
materie. Infatti allart. 31 della riforma viene ampliata la portata delle materie
di competenza esclusiva dello Stato; viene eliminata la categoria della
legislazione concorrente tra Stato e Regioni e vengono indicate le materie
affidate esclusivamente alle Regioni. Ma lo Stato si riserva il diritto di poter
intervenire in ogni materia non affidatagli esclusivamente dalla riforma per la
tutela dellunit giuridica ed economica. Questo spostamento del potere verso
il centro dellimpianto istituzionale italiano segnala un percorso di
accentramento del potere perseguito dallattuale governo, senza lasciar
trasparire un progetto o uno scopo a lungo termine. Il bilanciamento di questo
accentramento sarebbe contenuto negli articoli successivi della riforma dove
viene offerta la possibilit alle sole regioni con il bilancio in pareggio di poter
ricevere maggior autonomia. A questa possibilit vengono affiancati fondi
perequativi e altri fondi statali per enti con minor capacit fiscale.
La strutturazione che la riforma d al rapporto tra Stato e Regioni molto
ambigua e un intento reale dei riformatori difficilmente rintracciabile.
Innanzitutto la stabilit: la riforma stata fatta per dare maggior spazio di
manovra al Governo e la possibilit da parte dello Stato di poter legiferare in
tutte le materie fa parte di questo progetto pi ampio. Ma lopportunit offerta
ad alcune regioni di conseguire maggiore autonomia in base al loro bilancio
apre la strada alla continuazione del fenomeno dellItalia a pi velocit: le
regioni che al momento della riforma hanno una solidit finanziaria maggiore

di altre potranno legiferare pi autonomamente rispetto ad altri territori che


navigano in cattive acque. A questo va aggiunta la possibilit di poter destinare
fondi a regioni dissestate che, per quanto possa essere un aiuto, sembra pi
uno strumento di ricatto da parte del Governo centrale soprattutto vista con la
prospettiva del commissariamento per cause economiche o di tutela
dellunit. La deriva autoritaria che potrebbe assumere la trasformazione dei
rapporti tra Stato e Regioni uno dei punti pi controversi nel quale si avverte
forse lintervento dellattuale Governo nellobiettivo contingente di ottenere
stabilit, senza le interferenze di Senato e Regioni, intrappolate in organi
svuotati di poteri. Per quanto si possa essere daccordo con lintento di
conferire basi solide al Governo per poter compiere il suo percorso, non si pu
invece non storcere il naso di fronte a modifiche costituzionali che tendono a
impoverire strumenti importanti come le Regioni, organi di raccordo tra le
istituzioni centrali e i territori, soprattutto nella prospettiva di un Senato dotato
di un limitato potere legislativo.
Altri soggetti investiti dalla riforma sono la Corte Costituzionale e il popolo.
Per quanto riguarda la Corte stata abbassata let minima a 25, adeguata a
quella per diventare deputato. Ma la novit pi importante per la Corte la
possibilit di poter ricorrere ad un suo vaglio preventivo riguardante le leggi in
materia elettorale, su richiesta di un quarto della Camera o un terzo del Senato.
Questo per evitare lemanazione di leggi elettorali poi dichiarate
costituzionali, come accaduto con il Porcellum e la sentenza 1/2014 della
Corte Costituzionale.
Per quanto riguarda invece la cittadinanza sono state introdotte due novit. La
prima di queste linnalzamento delle del quorum di firme necessario per le
leggi di iniziativa popolare, aumentato da 50.000 a 150.000. Se questa
disposizione pu sembrare che tolga potere alle iniziative dei cittadini la
seconda iniziativa sembra andare nella direzione opposta. Infatti se un
referendum abrogativo raggiunge il quorum di 800.000 firme, lapprovazione
non pi soggetta alla maggioranza assoluta degli elettori ma piuttosto alla

maggioranza dei votanti allultima elezione della Camera dei Deputati. Questo
strumento viene dopo una stagione di referendum abrogativi falliti per il non
raggiungimento del quorum, effettivamente troppo alto soprattutto in un
momento storico in cui laffluenza elettorale sta calando vertiginosamente.

3.4. Scelte di policy costituente: quali conseguenze?


Come questo lavoro ha mostrato, le scelte di policy compiute in una
determinata arena modificano in maniera decisiva il sistema politics ad esso
correlato. Per le politiche costituenti questo discorso si allarga ulteriormente.
Infatti nellanalisi svolta precedentemente sul lavoro di Lowi a proposito delle
politiche costituenti del govenro americano allinizio della sua storia
repubblicana, le politiche pubbliche costituenti tendono a modificare le regole
e di conseguenza il sistema di politics di ogni arena. Se la coercizione vrso i
cittadini nellarena costituente remota, questo non vale per gli attori politici.
In questa particolare prospettiva la coercizione esercitata nellarena costituente
la pi forte di tutte: per qualsiasi tipologia di policy che un attore politico
vuole intraprendere, incontrer sempre le regole fissate precedentemente non
solo per quellarena specifica ma piuttosto per il sistema in generale. La
fortissima connessione che avviene tra le scelte costituenti e il sistema di
politics pu aiutare a prevedere quali saranno le possibili strutturazioni delle
altre arene. Infatti il tentativo dei seguenti paragrafi non sar quello di
posizionare il governo di Renzi in una determinata arena ma piuttosto tentare
una previsione sugli effetti che le riforme costituzionali del governo Renzi
produrranno sulle altre arene di policy.
La vastit di intervento che la riforma costituzionale realizzer comporter
infatti la modifica del sistema politico in generale. Ci riferiamo alla riforma
come promulgata e approvata al referendum perch il testo ha passato la prima

deliberazione in Parlamento, ottenendo quella definitivit che permette di


poggiare eventuali previsioni su basi solide e certe.

3.4.1. Previsioni di politiche distributive


Larena distributiva, se si osserva il dato normativo, potrebbe essere intesa
come la tipologia meno investita dallo sconvolgimento rappresentato dal
combinato disposto tra riforma costituzionale e Italicum. Ma come illustrato
nel primo capitolo di questo lavoro, le innovazioni apportate dalle policy
possono provenire da qualsiasi fase della loro vita, dallinserimento nelle
agende politiche alla valutazione finale. Osservando da questa prospettiva si
possono prevedere alcuni effetti modificativi della politics dellarena
distributiva.
Innanzitutto le Commissioni: non cambia molto il sistema, se non per la
previsione dellobbligo di partecipazione per i parlamentari, introdotto per la
prima volta da questa riforma. Quindi il sistema istituzionale a livello centrale
viene investito solo trasversalmente. Ci che invece colpito fortemente dalla
riforma laspetto verticale del sistema distributivo. Storicamente lItalia

presenta un sistema distributivo molto legato alla territorialit: le policy di


questo tipo infatti hanno tratto linfa vitale dal rapporto quasi morboso che i
politici hanno da sempre intrattenuto con i propri elettori locali. Il sistema si
perpetrato lungo lintero arco istituzionale ed stato solo interrotto dalla
cancellazione delle preferenze prodotta dal Porcellum, il quale non riuscito
ad interrompere questo sistema di patronage.
Ma con lo svuotamento di funzioni delle Regioni, la possibilit del Governo di
sostituire i titolari del potere degli organi locali in determinate circostanze e
soprattutto la riduzione dei poteri di un Senato definito troppo frettolosamente
come rappresentante dei territori, quale sar la possibile strutturazione di
questarena, particolarmente in circostanze di crisi economica che non
permettono una facile produzione di policy distributive attraverso il metodo
della concertazione?
Innanzitutto gli elettori non perdono un raccordo con le istituzioni centrali:
infatti, come illustrato dal lavoro di Fasano e Natale(2015), la lista che
otterrebbe la maggioranza sarebbe composta nella Camera dei deputati da
circa 2/3 di preferenze degli elettori. Questi deputati scelti tramite le
preferenze e presumibilmente tramite primarie locali, rappresenteranno un
problema per il Governo centrale e la sua aspirazione alla stabilit e ad una
legislatura forte e senza intoppi. ragionevole immaginare infatti che gli eletti
con preferenze si batteranno nella Camera per ottenere policy distributive atte
a premiare il proprio elettorato per creare una forte fidelizzazione territoriale.
Tale possibilit/dovere dei deputati costituirebbe una spina nel fianco per un
Governo che pu contare su di una maggioranza di soli 25 deputati superiore a
quella assoluta. Questo quadro appena disegnato suggerisce uno scenario di un
Governo poco disposto ad agire nellarena distributiva se non con cautela
dovendosi preoccupare della territorialit della Camera dei deputati,
diversamente da quanto avveniva con il Porcellum.
Ma a questo scenario che vede lorgano esecutivo quasi sottomesso vi sono dei
contrappesi da aggiungere. Innanzitutto lUE: le politiche distributive

potrebbero essere spostate dal livello nazionale al livello europeo, tramite


assegnazioni di fondi europei atti ad evitare contrattazioni antagoniste tra
deputati che cercano di conquistarsi faticosamente le risicate risorse statali.
Inoltre bisogna ricordare la possibilit del Governo di assegnazione di fondi
perequativi senza vincoli di destinazione per territori con minore capacit
fiscale. Questo strumento potrebbe essere usato in diversi modi: potrebbe
essere usato come ricatto da parte del Governo nei confronti dei deputati
dissidenti oppure come premio per coloro che si mostrano fedeli alle linee
della maggioranza. Ulteriore arma nelle mani delle istituzioni centrali la
possibilit di punizione, tramite la legge elettorale, dei capilista: chi abbia
tradito le aspettative di fiducia del partito nella precedente legislatura,
potrebbe essere penalizzato attraverso la decisione del partito di eleggere il
capolista in quel determinato territorio stabilendo cos la non elezione del
parlamentare traditore.
Nelle previsioni che si sono appena fatte troviamo quindi la possibilit che la
politics dellarena distributiva si caratterizzi in diversi modi. Ma lo scienziato
politico non pu arrendersi di fronte alloscurit del futuro: ci che
determiner realmente la strutturazione di questo sistema sar il
comportamento dei diversi partiti dei singoli deputati e le circostanze
contingenti.
Larena distributiva quindi si trova davanti due possibili strutturazioni:
1) Unarena distributiva caratterizzata da un Governo disposto a concedere
benefici particolari alla maggioranza nel tentativo di ristabilire un contatto con
i singoli collegi che potrebbe spezzarsi nel processo di accentramento
perseguito dalle riforme costituzionali. Inoltre la possibilit di poter premiare
le Regioni virtuose finanziariamente parlando, dotandoli di maggior
autonomia fiscale e legislativa, contemporaneamente allaiuto con fondi
perequativi ai territori in difficolt. Quindi un uso delle risorse statali pi
trasparente anche nellottica delle riforme per le P.A. In generale quindi
questo potrebbe essere un sistema che agisce con una concertazione

responsabile e non antagonista sia nella dimensione orizzontale che nella


dimensione orizzontale, nel tentativo di utilizzare questa arena di policy per
stemperare gli animi durante periodi di crisi politica, gettando le basi per un
sistema di politics da utilizzare come boa di salvataggio.
2) Unarena distributiva utilizzata dal Governo per scopi punitivi nei confronti
di quei deputati e quelle Regioni che non seguono la sua linea autoritaria.
Quindi un maggior accentramento dellarena, con il Governo che decide quali
sono i territori che vanno premiati per la loro fiducia, senza quindi riflettere
sulle reali necessit che queste policy potrebbero soddisfare. Si verrebbe a
creare una contrattazione antagonista tra deputati e Governo, basata non sui
meriti che le singole Regioni o enti locali hanno conseguito ma piuttosto sulla
capacit dei singoli attori politici di accattivarsi le simpatie dellorgano
esecutivo. Unarena distributiva quindi opaca, con decisioni scollegate tra di
loro, senza una coscienza reale delle potenzialit che questa tipologia di
politiche pubbliche offre e un ulteriore balzo allindietro per il sistema
distributivo italiano, tacciato a ragione di corruzione e favoritismi politici.

3.4.2. Previsioni di politiche redistributive


Diversamente dallarena distributiva, il combinato disposto della riforma
costituzionale e dellItalicum investe larena redistributiva in modo totale.
Infatti, come gi stato detto in precedenza, il lavoro costituente del governo
Renzi stato effettuato principalmente per assicurare al Governo una stabilit
maggiore ma soprattutto spazi di manovra pi ampi. Attraverso la riforma
lesecutivo avr a sua disposizione una maggioranza abbastanza nutrita da
potergli permettere di rispondere alle domande della cittadinanza in tempi pi
ristretti e anche pi chiari, non dovendo pi concertare eterogeneamente con le
diverse forze politiche o sindacali. Questa situazione agevola il Governo

nellaffrontare le domande redistributive provenienti dai grandi movimenti


sociali nazionali o dalle esigenze europee o mondiali.
Ma quali sono le modifiche apportate dalle policy costituenti del governo
Renzi al sistema di politics dellarena redistributiva?
Innanzitutto, come gi tratteggiato, il Governo assumer molto pi potere
nellambito delle questioni redistributive. I governanti non potranno pi
appellarsi alla lentezza del sistema istituzionale italiano, principale
salvacondotto di una classe politica spesso riluttante nellaffrontare questioni
che potrebbero condurre a forti contraccolpi elettorali. Il meccanismo del
ballottaggio inoltre permette un forte raccordo tra gli elettori e la maggioranza
eletta, costituendo un ulteriore passo verso una forte strutturazione verticistica
del sistema redistributivo. Per i grandi movimenti sociali o i sindacati in
genere questo sistema piramidale potr essere la sconfitta definitiva oppure la
rinascita: infatti se da un lato i leader sociali potranno appellarsi pi facilmente
ad un governo di chiara definizione partitica dallaltro lato laspirazione di
accentramento delle istituzioni potrebbe portare alla definitiva rottura tra il
mondo istituzionale e il mondo dei movimenti sociali. Tra queste due scenari
opposti per ci sono delle scappatoie che lanalisi di questo lavoro suggerisce.
Infatti il Governo potrebbe tendere ad un sistema di contrattazione simile al
neocorporativismo svedese capace di contrattazioni allapparenza meno
democratiche ma pi efficienti da un punto di vista decisionale. La
disgregazione che da sempre caratterizza le questioni redistributive italiane
potrebbe scomparire in forza del taglio definitivo del cordone ombelicale tra i
partiti e i grandi movimenti. I partiti e soprattutto la maggioranza governativa
avranno la possibilit di legiferare pi velocemente e di poter rispondere
democraticamente alle questioni poste in modo serio dai grandi movimenti
sociali. Inoltre lorgano esecutivo potr adeguarsi alle richieste dadeguamento
dellUnione Europea informando in modo puntuale lorgano parlamentare reso
capace di comprendere le questioni che vota intavolando discussioni pi

costruttive. La legislazione subirebbe una torsione verso la semplificazione,


rendendo il compito dellapplicazione della policy in questione pi organico.
I grandi movimenti sociali invece potranno finalmente confrontarsi con un
centro istituzionale meglio identificato e omogeneo: le risorse mediatiche e
organizzative potranno essere spese per contrattare con il Governo piuttosto
che essere utilizzate per appelli populisti e campagne denigratorie.
Questo modello utopistico naturalmente incontrer diversi ostacoli lungo la
sua realizzazione ma le riforme costituzionali in questarena parlano chiaro:
laccentramento perseguito da tutta la riforma comporter una maggior
responsabilit del Governo che non potr quindi pi nascondersi. Il premier
dovr necessariamente affrontare le difficolt di questarena anche a costo di
subire contraccolpi elettorali e le vecchie scappatoie non saranno pi
perseguibili: i piccoli passi avanti e indietro tra le diverse legislature e ricorsi a
decretazioni durgenza per questioni che dovrebbero essere discusse quanto
pi pubblicamente e democraticamente possibile, saranno meccanismi obsoleti
e pericolosi per una maggioranza che, per quanto contrastata da una minoranza
disomogenea, potrebbe ricevere pi danno da una non-scelta piuttosto che da
una scelta non apprezzata dai suoi elettori. Aumenter laccountability e la
pressione sulle spalle dei membri dellesecutivo crescer a dismisura in
questarena. Questa situazione forse spinger per la prima volta ad una
scrematura spontanea della compagine partitica: chi non sapr rispondere alle
domande provenienti dallarena redistributiva sar costretto a pagarne i conti
in cabina elettorale soprattutto grazie al meccanismo del ballottaggio
dellItalicum, con tutti i suoi difetti, ha il pregio di dare agli elettori la
possibilit di svantaggiare fortemente il partito che ha governato male.
3.4.3. Previsioni di politiche regolative

Larena delle politiche regolative quella che forse subir le maggiori


conseguenze dovute alle policy costituenti. Infatti il referente principale di
questarena, ovverosia il Parlamento, ha subito enormi trasformazioni.
Il superamento del bicameralismo paritario ha creato una Camera dei deputati
con quasi tutti i poteri e un Senato che potrebbe essere tacciato di aver
intrappolato la rappresentanza dei poteri territoriali in un organo puramente
dorpello, anche se in questo lavoro stata gi avanzata lipotesi che questa
riforma potrebbe essere un livello intermedio per il conseguimento futuro del
monocameralismo. La Camera dei deputati, secondo il lart. 10 della Riforma
Costituzionale, detiene la funzione legislativa residuale pi alcune competenze
esercitate in comune con il nuovo Senato. Questa novit potrebbe provocare
nella nuova Camera una sorta di cortocircuito, una mole enorme di lavoro che
invece di determinare lauspicata snellezza della legislazione non farebbe altro
che esporsi a pressioni dellesecutivo ma soprattutto pressioni esterne. Si
potrebbe dire quasi che questo rappresenti un piano del Governoper
limpossessamento del potere nelle questioni regolative. Questa parte della
riforma infatti risente molto del recentismo della riforma: Renzi e il suo
governo, notoriamente american-friendly, inaugurerebbero una stagione
lobbistica a cui forse il nostro paese non ancora pronto. Infatti, diversamente
dagli USA, in Italia non esiste alcun regolamento per i rapporti tra i membri
delle istituzioni e le azioni dei grandi gruppi lobbistici; a questo va aggiunta la
poca fiducia che il popolo italiano e la classe politica in genere nutrono nei
confronti di concertazioni di questo tipo.
Nella redazione dei nuovi regolamenti parlamentari, fase cruciale
dellattuazione della riforma costituzionale, dovrebbe essere previsto uno
statuto di controllo delle attivit lobbistiche nel Parlamento. Infatti
questattivit non sempre negativa: la positivit di un sistema sempre
dettata dallinterpretazione che ne fanno gli attori politici e dai giusti
contrappesi che vengono creati. La realizzazione di un canale privilegiato e
istituzionalizzato tra membri della Camera dei deputati e membri delle lobby

dovrebbe essere bilanciata attraverso il divieto di incaricare agenzie


governative indipendenti le funzioni regolative. Ma questo sembra
impossibile: infatti gi da un po il sistema istituzionale ha sterzato su un tipo
di regolazione affidata a soggetti esterni non controllati dalle istituzioni. A
trarne beneficio sono e saranno i grandi gruppi appartenenti a questarena, ben
organizzati e favoriti da un meccanismo di delega ad agenzie sostanzialmente
senza alcuna responsabilit. La messa in discussione del tradizionale circuito
indirizzo politico-parlamento-responsabilit ministeriale, tipico della storia
politica italiana, avviene soprattutto per limpossibilit, pi o meno voluta, di
dirimere le questioni regolative allinterno del Parlamento. Espressione di
questo fenomeno sono le diverse leggi impantanate da anni sulle questioni
assicurative, sui contratti pubblici o trasporti.
In generale quindi larena regolativa quella che getta pi ombre sul progetto
di riforma del sistema politico qui analizzato. Lincubo di una Camera dei
deputati incapace di legiferare intorno a questioni fondamentali, finanziato
oscuramente da grandi gruppi lobbistici, ridotto allunica possibilit di affidare
a soggetti esterni o al Governo la decisione su unintera area di politiche
pubbliche, la deresponsabilizzazione di soggetti non legittimati dal popolo,
non qualcosa di cos lontano e distopico. Lo scienziato politico in questo
caso non pu far altro che suggerire soluzioni e contrappesi necessari ad
evitare questo scenario quasi apocalittico ma sar solo la pratica politica a
dimostrare quanto gli attori politici che erediteranno il progetto renziano
saranno capaci di rispondere adeguatamente alle pressioni necessariamente
correlate alle politiche regolative.
Conclusione
Alla fine di questo lungo ma soddisfacente lavoro sul modello delle arene del
potere doveroso fare alcune riflessioni su ci che stato prodotto dalle

diverse analisi, sia sul lavoro di Lowi che sullapplicazione delle tipologie
delle politiche pubbliche.
bene ricordare che questo lavoro si era prefissato di analizzare
dettagliatamente il modello delle arene del potere di Lowi, nel tentativo di
scovare un filo conduttore che il politologo americano non ha mostrato, a
causa di una mancata sistematizzazione. Questo obiettivo stato perseguito
attraverso diversi strumenti. Innanzitutto sono stati utilizzati i materiali
originali del modello lowiano: i diversi articoli sparsi negli anni sono stati
analizzati sia in lingua originale che attraverso il contributo di Calise (1999),
La scienza delle politiche. A questo lavoro di raccolta ed analisi dellimpianto
normativo stato aggiunto il dibattito che ha seguito il modello che ha
arricchito lanalisi dellautore di questa tesi. Infatti, a seguito del confronto
effettuato tra le tesi di Lowi e le critiche, positive o meno, del mondo
accademico, seguita unanalisi dettagliata dei concetti del modello delle
arene, nello sforzo di esaminare ogni sfaccettatura. Il primo capitolo, dopo una
breve introduzione sulla rivoluzione lowiana allinterno del mondo
accademico, e il secondo capitolo occupano un posto fondamentale in questa
tesi: la valorizzazione di un modello che tenta di prevedere le modificazioni
istituzionali relative alle diverse scelte di policy che ogni sistema politico
compie. Attraverso questa lunga analisi si perviene alla conclusione che le tesi
Lowi sono corrette: le trasformazioni subite nel corso dellarco costituzionale
americano non sono dovute alla lotte per il potere come la maggior parte del
mondo accademico insiste nel proclamare, ma piuttosto sono il risultato delle
scelte che i diversi Presidenti e Congressi hanno perseguito nelle diverse arene
di politica pubblica. A seguito di questo lavoro di analisi del lavoro di Lowi,
lautore di questa tesi ha utilizzato il modello lowiano nel tentativo di
prevedere le modificazioni che un sistema, diverso da quello descritto da
Lowi, subir a causa delle scelte importanti fatte in una singola arena di
policy. Infatti le riforme costituzionali promosse dal Governo Renzi sono il
contenuto principale del terzo capitolo. Questo tentativo di ricerca empirica

stato portato avanti attraverso una serie di passaggi ben individuabili ma che
doveroso ricordare. Innanzitutto stata effettuata una ricerca dei testi originali
delle scelte di policy costituenti analizzate. Attraverso strumenti normativi si
tentato di effettuare unanalisi di stampo ingegneristico-costituzionale. Infatti
il combinato disposto della riforma del Senato e dellItalicum non poteva
essere letto separatamente: le riforme vanno insieme, sia come dichiarato dagli
stessi promotori e sia da unattenta indagine dei testi.
A seguito dellesplorazione legislativa dei testi, stata effettuata unanalisi,
impiantata sulla massima imparzialit possibile, sullimpatto che queste policy
avranno sullimpianto costituzionale e quindi sul sistema politics dellarena
costituente. Ma come analizzato nei precedenti capitoli, le scelte in
questarena non si limitano a modificare solo il proprio impianto istituzionale
ed cos che stato necessario effettuare delle previsioni sugli effetti che la
riforma del Senato e lItalicum produrranno nellarena distributiva,
redistributiva e regolativa. I risultati ottenuti sono ritenuti dallautore
soddisfacenti: infatti, tranne che in rari casi in cui lautore non ha potuto
evitare, i casi di recentismo e parzialit sono assenti. Le analisi empiriche
effettuate non sono state fatte per cause partigiane, ma piuttosto per indagare
la validit delle tesi di Lowi. Se infatti nella rilettura tra qualche anno delle
predizioni fatte in questo lavoro si riconosceranno effettivamente le
modificazioni descritte, allora sar una minima prova che le tesi lowiane non
erano cos sbagliate come diversi critici hanno detto in passato.
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