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Secondo Bin Yu ci sono diversi approcci per studiare la politica estera cinese:
1. tradizionale/storico
2. maoismo/ ideologia comunista
3. realismo/attore razionale
4. fazionalismo
5. istituzionalismo
6. cognitivo
1. Tradizionale:
• Secondo gli approcci tradizionali le scelte di politica estera cinese sono collegate
soprattutto alla storia e alla cultura cinese: il sinocentrismo, la tradizione
culturale e l'immagine della gerarchia rappresenterebbe le principali determinanti
delle scelte di politica estera anche in età contemporanea. Ci sarebbe un
parallelismo tra questa impostazione e quella sugli studi della politica estera
sovietica: l’eredità zarista e l’ideologia comunista costituirebbero le due correnti
alla base delle scelte internazionali dell’URSS, come l’eredità imperiale per la Cina.
• I tradizionalisti (per lo più storici) sostengono che il sistema politico cinese è
influenzato dai tradizionali sistemi di credenza cinesi: taoismo, buddismo e
confucianesimo. I governanti cinesi si basano su una serie di assunti estranei alla
tradizione occidentale: la Cina era collocata al centro di un ordine mondiale che
rifletteva la tradizionale concezione gerarchica confuciana. In quest'ordine la Cina
occupava una posizione egemonica, data la sua superiorità economica, culturale,
politica e morale.
• Per Mancall gli assunti tradizionali cinesi che influenzano la politica estera sono:
1. l'ordine mondiale è gerarchico e non egualitario (sistema tributario)
2. la centralità della Cina si basava sulla virtù dei regnanti (superiorità morale)
3. il non riconoscimento dell'esistenza di altre forme di ordine esterno
4. il potere si identifica con il diritto (è subordinato ad esso e serve ad
applicarlo)
5. la società internazionale è considerata un'estensione della società
nazionale
Questi principi, secondo Mancall, si trovavano anche nella Cina comunista.
• Le conseguenze di questi assunti nella politica estera contemporanea cinese sono
tre:
→ forte risentimento nei confronti delle grandi Potenze (a causa delle sconfitte
subite nell’era dell’imperialismo)
→ diplomazia influenzata dall'idea che l'unica potenza sia quella cinese
→ personalizzazione della diplomazia, usando metodi solo cinesi (dono/ tecnica
dell’usare i barbari contro i barbari, esemplare l’avvicinamento agli USA in chiave
antisovietica)
• Sono tre le principali eredità della tradizione storica cinese che ancora pesano
sulla politica estera:
1. Primato della regione interna dell’Asia egli interessi di sicurezza del Paese:
l’antica preoccupazione di proteggersi dalle minacce provenienti da oltre la Gran
Muraglia si riflette nel maggiore interesse negli anni Sessanta e Settanta per il
pericolo delle truppe sovietiche ai confini settentrionali rispetto a quello posto
dalla flotta americana
2. Sottovalutazione del potere marittimo, derivante dalla tradizione confuciana, è
stata sostituita dall’aspirazione a diventare una potenza nucleare
3. Credenza nella superiorità culturale della civiltà cinese
• La posizione di Feuerwerker è più complessa. Egli ritiene che sia difficile stabilire
una stretta connessione tra eredità storica e politica estera cinese. Non che
questa non esista, ma si inserisce in una costellazione di fattori determinanti.
Secondo lui sono almeno cinque i fattori che influenzano la politica estera di
pechino:
1. il nazionalismo: (variabile di natura storica) si alimentò di due componenti:
➔ il senso di frustrazione derivante dall’impatto dell’imperialismo occidentale
sul ruolo della Cina in Asia (nazionalismo diffuso soprattutto tra élites a fine
Ottocento)
➔ coinvolgimento strati rurali nel movimento nazionale (prima metà
Novecento.)
2. i rapporti con la Russia
3. la politica interna: (la più importate per Feuerwerker) gli obiettivi di politica
estera sono sempre improntati alle esigenze della politica interna e alle
trasformazioni della società, il che spingerebbe verso un politica estera basata
sulla cautela e sugli obiettivi di breve periodo
4. l’ideologia maoista
5. l’immagine del mondo derivante dalla tradizione culturale cinese (variabile di
natura storica), ossia il sinocentrismo e il ruolo del sistema tributario
• Per David Kang, il punto focale è la differenza esistente tra il sistema interstatale
asiatico rispetto a quello occidentale: bisogna considerare il sistema interstatale
asiatico non solo dalle vicende del secondo dopoguerra, ma considerando tutta la
storia precedente, nettamente diversa da quella occidentale. Questa diversità si
sostanzia in una contrapposizione tra un sistema gerarchico e uno anarchico
(società internazionale acefala, parità formale degli Stati).
• Struttura sistema internazionale (Waltz): definita dalla distribuzione del potere e
dal principio ordinatore delle parti. Il principio ordinatore serve a differenziare i
sistemi politici nazionali, caratterizzati da relazioni di autorità verticali, dai sistemi
interstatali, caratterizzati da rapporti di potere orizzontali.
Il grado di diffusione del potere serve a differenziare tra loro i diversi sistemi
interstatali:
→ sistema multipolare: potere disperso in più centri indipendenti
→ sistema bipolare: potere concentrato in soli due stati
→ sistema unipolare: unico centro di potere (Impero o gran numero di Stati
indipendenti che ruotano intorno ad una grande potenza)
A partire dalla pace di Westfalia (1648) la politica internazionale occidentale è
stata caratterizzata da un sistema interstatale formato da unità politiche
territoriali dotate di autonomia interna e sovranità esterna. Questo consegue dal
fatto che cessa il protagonismo delle unità politiche soprannazionali (Papato e
Impero).
I conflitti internazionali riguarderanno unità territoriali che combattono per
interessi materiali (fine dei conflitti religiosi) e di sicurezza, dunque gli Stati sono
costretti ad adottare una politica della sopravvivenza e di autodifesa attraverso il
balancing interno (potenziamento delle capacità militari) e di balancing esterno
(formazione delle alleanze con altri Paesi).
• Per Kang il sistema interstatale asiatico è gerarchico e (secondo la teoria realista)
ha portato ad avere un sistema in forte stabilità, soprattutto nei periodi di grande
potenze della Cina. I principali attori di questo sistema erano la Cina, il Giappone,
la Corea e il Vietnam. Anche ad imitazione dell’apparato burocratico cinese, il
rapporto di tradusse con la subordinazione alla Cina degli Stati periferici i quali
godevano di vantaggi da questa affiliazione: libero accesso al vasto mercato
cinese e alla sua tecnologia; il riconoscimento cinese dei regnanti (fondamentale
per garantire la legittimità) e la garanzia di sicurezza.
• Con lo scoppio della guerra in Corea, sorse tutto un filone di studi più attento al
ruolo svolto dall’ideologia comunista/maoista nella formulazione della politica
estera cinese. Ciò è riscontrabile nel lavoro di Tang Tsou e Morton Halperin, i
quali sostengono che per comprendere la politica estera della Cina comunista
bisogna studiare la strategia rivoluzionaria di Mao e la sua applicazione ai rapporti
internazionali.
Le immagini della politica internazionale di Mao erano:
- nel breve periodo non ci sarà alcun conflitto militare tra Stati Uniti e Unione
sovietica
- il terreno di scontro ipotetico saranno quelle zone collocate tra le due
superpotenze
- le armi nucleari non hanno un ruolo decisivo
- i paesi reazionari, anche se sul breve periodo possono apparire molto potenti,
alla fine si rivelano fragili e possono essere battuti
• A queste concezioni generali si sommano le precise preferenze strategiche di
Mao:
- integrazione tra le componenti politiche, economiche, ideologiche e militari
della strategia
- grande importanza del potere militare
- primato della politica, in base al quale il Partito occupa la posizione di comando
- strategia di accerchiamento delle città a partire dalle campagne
- alternanza di lotta politica e lotta militare
• Nella sua analisi sulla politica estera cinese, Harold Hilton analizza l’impatto del
pensiero di Mao. Le caratteristiche generali del maoismo per lui sono:
- forte venatura nazionalistica
- il suo populismo
- grande importanza al volontarismo (capacità di sormontare i limiti imposti
dalla realtà oggettiva)
pone alla base delle interazioni sociali le contraddizioni e la lotta
• Per Hilton il maoismo svolge diverse funzioni:
- fornire una tecnica di leadership politica
- fornire una indigenizzazone del marxismo-leninismo
- delineare una strategia per la presa del potere
- offrire una formula per la costruzione del socialismo
- rappresentare un modello per le aree sottosviluppate
- elaborare una teoria egemonica per l’Asia
- fornire un approccio per i rapporti tra partiti e Stati comunisti
- fornire una teoria e una pratica per gestire le relazioni internazionali
La strategia maoista di riportare la Cina ad una posizione di predominio in Asia
esprime
bene la commistione tra ideologia comunista, nazionalismo e tradizionale
sinocentrismo. Secondo Hilton, ciò si tradusse in una politica più simile a quella
imperiale che al modello sovietico di controllo politico e militare sull’Europa
orientale. Ciò favoriva un minor coinvolgimento negli affari interni degli altri Stati.
Mao ebbe un ruolo decisivo nella rottura con l’Urss. L’atteggiamento della dirigenza
cinese nei confronti dell’Unione sovietica sotto Stalin era tra l’ammirazione per i
traguardi raggiunti e timore per il rischio di finire in una posizione subordinata come i
Paesi dell’Europa dell’est. Durante gli anni della Rivoluzione Culturale (1966-1976) ,
l’influenza dell’ideologia maoista sulla politica estera conobbe il suo acme. L’inasprirsi
dei rapporti con l’Urss si
intrecciò con la crisi interna portando allo sviluppo di una politica sempre più
militante.
• John Gittings critica la visione dei rivoluzionari cinesi come sinocentrici e
scarsamente interessati a quello che accade all’esterno. Al contrario, essi erano
profondamente consapevoli dei legami esistenti fra la politica mondiale e le
vicende domestiche. Il loro scopo era elaborare delle analisi obiettive della
realtà, al fine di comprenderla meglio e poterla cambiare.
I due concetti maoisti che influenzarono questa fase furono il
“semicolonialismo” e la “zona intermedia” ( il terreno in cui si sarebbe potuta
istaurare una politica di cooperazione).
• Steven Levine ha ripreso il problema dell’impatto dell’ideologia sul
comportamento internazionale di Pechino. Per Levine le circostanze materiale
non sono mai così stringenti da non lasciare alcun margine di scelta ai policy
maker (critica ai neorealisti). Egli definisce l’ideologia come “un corpo più o
meno sistematico di idee che aiuta a spiegare la natura della realtà sociale e
fornisce un programma d’azione per cambiarla” e distingua tra un’ideologia
formale, rappresentata dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao Zedong e
un’ideologia informale, rappresentata dall’insieme di valori, pregiudizi,
preferenze, atteggiamenti, abitudini e credenze sulla realtà che, pur
rimanendo sottointese, condizionando il comportamento delle persone.
→ Gli elementi base dell’ideologia formale sono:
A. il mondo è diviso in due campi contrapposti, quello socialista e quello
capitalista, che riproducono su scala mondiale lo scontro domestico tra le classi
B. il campo socialista alla fine prevarrà
C. si possono stabilire alleanze tra paesi socialisti e paesi capitalisti solo per
scopi puramente tattici
D. i rapporti tra gli Stati socialisti sono basati anche su un’identità di vedute
E. gli Stati socialisti possono allearsi con quei paesi contrari alle forze
imperialiste
I cambiamenti storici hanno in parte eroso queste concezioni, al contrario di
quanto accade con l’ideologia informale
→ Gli elementi dell’ideologia informale invece sono:
A. la Cina è una grande nazione che deve ritrovare il suo giusto posto nella comunità
internazionale
B. la Cina merita un riconoscimento e uno status maggiore rispetto a quello del
passato
C. le potenze che in passato hanno trattato ingiustamente le Cina dovrebbero
adottare dei
comportamenti compensatori
D. la Cina deve essere considerata come una grande potenza
E. la Cina non ammette alcuna interferenza nei suoi affari interni
F. la politica estera cinese non è ispirata a gretti interessi nazionali, ma a principi
universalmente validi
• Se questi studi trattano soprattutto il punto di vista storico e ideologico cinese
considerandone l’unicità, altri studi, come per esempio quelli basati sul
modello realista, cercano di porre l’accento sulla comparabilità del
comportamento cinese con quello degli altri Stati: il realismo considera la Cina
alla stregua di qualsiasi altra grande potenza che persegue in maniera razionale
i suoi obiettivi nell’arena internazionale. Secondo quest’ottica anche i
governanti cinesi ragionerebbero come massimizzatori di obiettivi strategici,
date le risorse a disposizione: le decisioni sarebbero dettate unicamente dal
cambiamento dell’ambiente strategico e ciò spiegherebbe i repentini
mutamenti di alleanze.
• Attore razionale: il realismo assume l’esistenza di “gruppi conflittuali”, ognuno
organizzato come un attore politico unitario che razionalmente persegue
specifici obiettivi in un ambiente anarchico.
• Un esempio di applicazione del realismo/attore razionale alla politica estera
cinese è il lavoro di Allen Whiting, nel quale cerca di spiegare i motivi che
portarono all’intervento cinese nella guerra di Corea. L’idea di Whiting è che i
cinesi parteciparono al conflitto per paura che, nel caso di vittoria di un’altra
potenze, avrebbe avuto troppe occasioni da quella posizione, di agire
all’interno della Cina.
• Altro studio realista è quello sulla politica di controllo degli armamenti di
Halperin e Perkins. Lo studio combina elementi del modello realista, secondo il
quale gli Stati perseguono in maniera razionale i loro interessi definiti in
termini di potere, con l’analisi ideologica. La politica di controllo degli
armamenti di Pechino risponderebbe a due obiettivi generali: l’interesse
nazionale e il conseguimento degli obiettivi internazionali propugnati dal
marxismo-leninismo. Pechino adottò una posizione negativa nei confronti della
politica di controllo degli armamenti (politica atomica?) in quanto ciò avrebbe
rafforzato le sue capacità militari e la sua leadership sul campo
antimperialista
Le analisi sulle origini del triangolo strategico presuppongono un’immagine
della Cina come uno Stato che, agendo in un ambiente anarchico, persegue
politiche di massimizzazione della sicurezza. Il triangolo strategico USA-URSS-
RPC nasce dal fatto che la rottura della Cina con Mosca alla fine degli anni
Cinquanta la portò ad essere esposta contemporaneamente su due fronti. La
strategia perseguita per risolvere questa pericolosa situazione fu quella classica
del balance of power, ossia l’alleanza con lo Stato che in quel momento era
percepito come meno minaccioso (USA alle prese con la guerra in Vietnam e la
crisi economica interna risulta il meno pericoloso). Pechino costruì quindi un
fronte comune contro la minaccia di Mosca non potendo contare solo su se
stessa (balancing esterno).
Con lo scoppio della Rivoluzione culturale e la fuga di informazioni sula
struttura interna della politica cinese, per motivi di lotta interna da parte delle
Guardie Rosse, fece incrinare l’idea che la Cina potesse presentarsi come un
attore unitario: anche in essa esistevano fazioni le cui relazioni, oltre a
condizionare la politica interna, influenzavano anche quella esterna.
• Uno dei primi lavori a muoversi in questa direzione è quello di Andrew Nathan
che propone un modello della politica cinese basato sul riconoscimento della
lotta fra fazioni.
Fazione politica: tipo particolare di legame clientelare che si sviluppa in un
contesto oligarchico quando un leader mobilita parte dei suoi legami per i suoi
obiettivi politici.
Le fazioni possono essere semplici (il leader e i suoi seguaci) o complesse (uno
dei seguaci è leader di un’altra fazione). Da ciò derivano delle conseguenze:
→ la lotta tra fazioni ha dei limiti di convivenza
→ non avendo risorse, difficilmente le fazioni si impegnano nell’eliminazione
dell’avversario
→ le attività politiche delle fazioni sono preparate in segreto
→ in caso di iniziativa di una fazione le altre tendono a creare alleanze
difensive
→ le alleanze tra fazioni mutano nel tempo
→ le alleanze sono dettate più da interessi particolaristici che da questioni
ideologiche
→ le decisioni sono di solito prese attraverso un processo di costruzione del
consenso
→ le interazioni tra fazioni sono alternanti tra consenso e conflitto
→ per indebolire una fazione si punta sui suoi membri
→ gli scontri tra fazioni sono per motivi politici, ma colorati da un linguaggio
ideologico
→ le diverse arene politiche hanno un numero limitato di fazioni
→ le fazioni condividono una comune avversione verso gli attori esterni
→ le fazioni raramente mettono in questione le rispettive legittimità
→ le questioni portate all’attenzione dell’élite vengono risolte molto
lentamente
→ il fazionalismo incentiva un certo immobilismo e una certa stabilità del
sistema politico-decisionale
• Un’analisi condotta utilizzando il modello del fazionalismo è quella di Thomas
Gottlieb il quale evidenzia tre fazioni interne cinesi che hanno condizionato la
modalità del rapporto dei confronti degli USA ai tempi della Rivoluzione
Culturale . Le tre fazioni erano:
1) l’ala radicale del PCC: (Jiang Qing, Chen Boda. Kang Shenk) ritenevano che
URSS e USA fossero entrambe grandi minacce ed andassero eliminate
fomentando rivolte nei paesi del Terzo Mondo
2) i militari: (Lin Biao) guidati dal ministro della giustizia Lin Biao, i quali
sostenevano che gli USA fossero la minaccia principale e che per affrontare la
situazione si dovessero potenziare le forze armate
3) la fazione moderata: (Zhou Enlai) ritenevano l’URSS il problema principale
ed erano favorevoli ad un allentamento delle tensioni con l’America
Il ruolo di Mao fu ambivalente, schierandosi però alla fine con la fazione
moderata. Questi studi hanno dato il via a studi più specifici improntati su
approcci istituzionalisti (processo decisionale) o su approcci cognitivi,
credenze, pregiudizi, percezioni ecc.).
• Doak Barnett ha condotto un analisi attraverso l’approccio istituzionalista,
guardando da vicino il processo del policy making estera cinese che ha
evidenziato l’emergere di dinamiche conflittuali derivanti dalle divisioni
politiche tra élites. Studi più cognitivi invece hanno analizzano la
considerazione e al percezione che i cinesi hanno di loro e delle principali
potenze che li circondano, spesso basate su stereotipi che rendono difficile la
comprensione reciproca.
CAPITOLO II
VARIABILI INTERNAZIONALI: ANARCHIA, INTERDIPENDNEZA ECONOMICA
E NORME INTERNAZIONALI
Anarchia internazionale, minacce alla sicurezza e politica esterna cinese
• La Cina è sempre stata circondata da un ambiente ostile: in epoca moderna le
minacce sono arrivate dal nord, durante la Guerra fredda dal mare (USA) e dai
confini settentrionali (URSS). Dalla fine della Guerra fredda la Cina si è trovata
in un ambiente molto meno pericoloso del passato, ha cambiato la sua
economia da chiusa ad interdipendente, è cresciuta la partecipazione alle
organizzazioni internazionali.
• La struttura anarchica del sistema interstatale fa sì che al primo posto
nell’agenda politica ci sia il problema della sopravvivenza fisica dello Stato. I
governanti devono occuparsi delle minacce e gestire le relazioni esterne.
• La risposta al problema della sicurezza da parte della Cina è condizionata da
quattro fattori (Swaine/ Tellis):
1. Confine esteso e vulnerabile
2. Presenza lungo le frontiere di numerose minacce
3. Sistema politico caratterizzato da un alto livello di conflittualità
4. Immagine della Cina come grande potenza
• La strategia cinese durante l’era moderna era caratterizzata (grosso modo fino
al 1850) da cinque elementi:
A. Si cercava di proteggere il cuore del potere cinese attraverso la difesa dei
confini e incursioni nell’ampia area periferica da cui partivano le minacce
(principalmente da popolazioni nomadi). Il controllo diretto o indiretto del
retroterra strategico dell’Asia centrale (Mongolia, Xinjiang, Tibet, Manciuria)
era essenziale per la sicurezza e per garantire le vie commerciali che la
attraversavano.
B. Espansione e contrazione della periferia strategica rientrante nella sfera
d’influenza di Pechino; la politica estera dipendeva dalle vicende delle dinastie
imperiali
C. Ricorso periodico a spedizioni militari oltre confine per controllare le
popolazioni ivi residenti → ampio uso dei mezi coercitivi per risolvere i
problemi di sicurezza
D. Ricorso massiccio a strumenti di controllo della periferia di tipo non
militare (economia e diplomazia): forme di difesa passiva;
E. Influenza delle lotte intestine e delle caratteristiche personali della
leadership sulle scelte di politica di sicurezza.
• Secondo Swaine e Tellis queste cinque caratteristiche , pur con dei
cambiamenti, si ritrovano nella Cina contemporanea. A parti dalla fine Guerra
fredda, la grande strategia cinese si è basata sulla necessità di garantire un
ambiente internazionale favorevole allo sviluppo economico e alla stabilità
interna. Gli elementi di questa strategia sono:
A. Relazioni diplomatiche pacifiche
B. Uso limitato della forza (da utilizzare solo in casi estremi come minacce
all’integrità territoriale della Cina)
C. Modernizzazione delle forze militari
D. Partecipazione attiva a organizzazioni multilaterali;
• La politica di sicurezza seguita dai cinesi dal 1949 ai giorni nostri può essere
suddivisa in due fasi:
➢ Bipolarismo: la RPC dovette far fronte a un ambiente esterno dominato da
due superpotenze in cui Pechino ha praticato una politica altalenante tra
Mosca e Washington
➢ post-Guerra fredda: interpretazioni multipolari e unipolari della politica
internazionale e l'emergere di preoccupazioni sulla natura revisionista della
nascente potenza cinese;
• Il sistema bipolare formatosi dopo il 1945 era costituito da due blocchi: quello
socialista del Pato di Varsavia era integrato gerarchicamente, quello
occidentale dell’Alleanza Atlantica (anche se denotava una propensione nei
confronti degli Stati Uniti) aveva dei rapporti di maggiore parità. Tra le due
superpotenze e gli altri Stati esisteva un divario di potenza enorme. Oltre alle
due alleanze politico- militari, c’erano attori che non appartenevano a nessuno
dei due blocchi: Paesi neutrali (i non-allineati), soprattutto di recente
indipendenza sull’onda della decolonizzazione, che si formalizzarono con la
conferenza di Bandung (’55), in cui un ruolo fondamentale fu svolto da India e
Cina, e alla quale aderirono Paesi molto diversi per fedeltà politica e più o
meno neutrali rispetto ai due blocchi.
A differenza del sistema multipolare precedente alla II G.M, il sistema bipolare
era privo di un attore equilibratore (ruolo svolto dall’Inghilterra per la sua
mobilità nelle alleanze).
Una conseguenza della bipolarizzazione fu che le alleanze erano a lungo
termine, basate su interessi generali e con forti componenti ideologiche.
• La bipolarizzazione del sistema internazionale si fece sentire anche in Asia con
la guerra di Corea (’50). A differenza della situazione in Europa, dove la Guerra
fredda divideva i protagonisti in due chiaramente definiti (cortina di fero), le
divisioni in Asia erano meno chiare.
• Prima fase → alleanza con l’URSS (1950-1958):
alla sua nascita, la RPC si trova forzata a schierarsi. Nonostante il tentato
approccio diplomatico con gli USA, l’ostilità degli Stati Uniti dovuti alla rigida
campagna anticomunista rendeva impossibile qualsiasi rapporto, al contrario
di quanto sarebbe stato auspicabile per Mao, sia perché avrebbe aiutato la
ricostruzione economica, sia perché avrebbe impedito legami troppo stretti
con l’URSS di Stalin. Il sistema bipolare che non ammette titubanze e paesi
neutrali costringe la RPC ad allearsi con Russia attraverso la firma del Trattato
di Amicizia, Alleanza, Assistenza reciproca firmata a Mosca nel 1950.
L’alleanza con Mosca procurò un importante sostegno politico internazionale e
offrì la possibilità di far fronte ai problemi immediati della ricostruzione
economica. Le trattative per l’accordo di alleanza tra Russia e Cina durarono
mesi. L’accordo del 1950 includeva delle clausole segrete che mettevano in
discussione la piena sovranità della Cina su alcune parti del suo territorio e che
sembravano di stampo neocoloniale(tutti accordi, scambi,…dovevano essere
notificati a Mosca, i russi che avessero commesso reati in Cina dovevano
essere processati in Russia). Nonostante ciò conteneva anche disposizioni
favorevoli per la Cina: l’URSS si impegnava a concedere un prestito per
finanziare la ricostruzione del paese e la tecnologia necessaria per rilanciare il
settore industriale.
Verso la fine degli anni Cinquanta gli interessi di Mosca e Pechino
cominciarono a collidere. Mao approfittò del processo di destalinizzazione per
rivendicare il suo ruolo e quello della Cina nel campo socialista. Alla morte di
Stalin, Mao non è disposto a riconoscere la leadership di Khrushchev e la sua
politica di coesistenza pacifica in un momento in cui si sarebbe verificato uno
spostamento degli equilibri a favore del blocco socialista (dopo Sputnik, 1957).
La rottura definitiva dei rapporti tra Urss e Cina si ebbe con il Grande balzo
Avanti (’58-’61), ossia il piano economico e sociale praticato dalla Repubblica
Popolare Cinese in cui venne messo in discussione lo stesso modello di
sviluppo sovietico.
• Seconda fase → Isolamento: Gli anni che vanno dal 1960 al 1969 furono quelli
più critici per la sicurezza nazionale cinese a causa di una serie di crisi esterne e
interne. In quel periodo la sua politica era incentrata sulle vicende interne
(Rivoluzione Culturale 1966) e la sua politica internazionale fu di isolamento
diplomatico. I disordini interni crearono difficoltà il programma nucleare,
missilistico, sui sottomarini strategici. La Guerra in Vietnam portò a un nuovo
contrasto con gli USA e nel ’69 si crearono situazioni di forte contrasto con
l’URSS che prima d’ora era rimasto sul livello verbale.
• Terza fase → avvicinamento USA; triangolo strategico (1971-1982): Per uscire
dalla situazione di isolamento, accerchiamento e instabilità interna, Mao avviò
una politica di avvicinamento agli USA: → 1971 viaggio segreto di Kissinger in
Cina
→ 1972 visita ufficiale di Nixon che avviò la normalizzazione dei rapporti
diplomatici. Da un mondo bipolare si stava passando ad un triangolo strategico
USA- URSS- RPC: Cina e Usa alleati contro nemico più grande, l’URSS. Da un
punto di visto economico, l’emergere del triangolo strategico produsse poche
modifiche alla situazione di Pechino e delle altre due Potenze. Sul piano
ideologico, l’avvicinamento agli USA portò la Cina ad appoggiare molti regimi
reazionari alleati. L’aspetto più importante del rapporto triangolare fu quello
militare, in particolare per la sicurezza cinese.
Far parte dell’equilibrio consentì alla Cina di:
• dissuadere un attacco sovietico nel 1969-1971
• ottenere l’accesso alle Nazioni Unite 1971
• assistere gli Stati Uniti a disimpegnarsi dal Vietnam nel 1975
• dissuadere una rappresaglia sovietica contro la Cina nel 1979 quando invase
il Vietnam
Con Reagan l’America degli anni Ottanta diventò la principale potenza
mondiale, si connotò di un maggiore anticomunismo (es: sostegno a Taiwan).
La Cina cercava maggior flessibilità e meno dipendenza dagli Stati Uniti: iniziò
perciò la politica estera indipendente di Deng Xiaoping (1982) caratterizzata da
un atteggiamento meno passivo nei confronti degli Stati Uniti e un
avvicinamento a Mosca. L’URSS si impegnò a smilitarizzare i confini con la Cina,
si ritirò dall’Afghanistan e l’occupazione della Cambogia terminò.
• La fine della Guerra fredda modificò radicalmente l’ambiente di sicurezza
cinese. La scomparsa dell’Unione sovietica e l’emergere della superpotenza
americana costrinsero la RPC ad adattare la sua politica estera. La situazione
scatenò tre problemi principali per i dirigenti cinesi:
➢ ripercussioni del crollo del sistema bipolare sul sottosistema asiatico → 6 effetti sul
sottosistema asiatico:
→ riposizionamento delle principali potenze: la Russia riguadagna un ruolo
importante e si riavvicinano alla Cina; gli Stati Uniti mantengono ruolo centrale sulla
regione dell’Asia centrale e bazzicano per Taiwan, la Cina è percepita come la
potenza emergente e genera timori nei vicini (Giappone, India)
→ I conflitti in Asia recuperarono una dimensione locale: tutt’ora sono plurimi i
conflitti su base territoriale ed etnica (Corea, Kashmir, Taiwan dopo la dichiarazione
d’indipendenza che ha spinto i dirigenti cinesi alle armi)
→ I Paesi asiatici cercarono di costruire delle istituzioni internazionali per favorire
la cooperazione economica e ridurre le tensioni fra di loro;
→ Crisi economica del 1997;
→ Emergere dell’Asia centrale come zona di interesse per la Russia e la Cina legata al
problema del terrorismo
→ maggior preoccupazione dei leader asiatici delle ripercussioni internazionali delle
loro scelte di politica interna: l’intervento americano in Afghanistan ed Iraq portò
molti leader asiatici a temere che potessero essi stessi diventare bersaglio di una
politica volta al cambiamento di un regime
➢ l’immagine per la Cina come potenza revisionista o conservatrice; l’ascesa della RPC
portò gli Stati del mondo ad avere timore di una “minaccia cinese”. I dirigenti di
Pechino per evitare tale teoria adottarono una politica neobismarkiana (poca politica
estera, no coalizioni????).
Si aprì il dibattito se la Cina fosse una potenza revisionista o conservatrice. Johnson
individuò 5 indicatori di un comportamento revisionista. Lo Stato revisionista:
→ non partecipa alle organizzazioni internazionali (la Cina nel 200 aderisce a più di 50
organizzazioni internazionali)
→ oppure partecipa ma non ne accetta le regole; il comportamento cinese non
manifesta particolari segni di revisionismo
→ oppure partecipa, accetta le regole, ma cerca di cambiarle appena si presenta
l’occasione; [la Cina non è sembra particolarmente interessata ad avanzare nuove
proposte];
→ preferisce modificare radicalmente gli assetti di potere a livello internazionale;
→ per una radicale distribuzione del potere, dà molta importanza allo strumento
militare
Il comportamento di Pechino nel dopo guerra fredda non sembra conformarsi a
nessuno di questi elementi: : Johnson ritiene che l’atteggiamento della Cina sia
conformista e analizza il grado di conformismo della Cina rispetto a cinque regimi
internazionali:
➢ principio di sovranità sul quale è fondato il moderno sistema interstatale: la Cina
ne è uno dei più convinti sostenitori non ammettendo ingerenze nella sua vita
politica e nelle relazioni internazionali
➢ regime di libero commercio: dal momento che è entrata nella WTO ne ha sempre
rispettato le prescrizioni
➢ regime di non proliferazione nucleare: si comporta come tutti gli altri Stati che
tentano di far sì che le norme internazionali non vincolino troppo i loro interessi
economici e di sicurezza
➢ principio di autodeterminazione nazionale: sembra opporvisi visto
l’atteggiamento verso Tibet e le minoranze musulmane; in realtà il principio di
autodeterminazione dell’Onu si riferisce ai popoli sorti per decolonizzazione (teoria
della salt water)
➢ regime internazionale sui diritti umani: sembra violarli, ma è giustificata dalla sua
cultura che assegna più importanza ai diritti sociali ed economici dei gruppi
CAPITOLO III
VARIABILI SOCIETARIE: CULTURA DI SICUREZZA, POLITICA INTERNA E
OPINIONE PUBBLICA
La cultura strategica
• Cultura strategica: preferenze collettive e artefatti culturali prodotti e condivisi
collettivamente che condizionano l’atteggiamento di un paese verso l’uso della
forza.
Appunti: La cultura strategica è un aspetto della cultura di un Paese che incide
sulle relazioni internazionali del paese stesso.
Johnson afferma che essa è un insieme di credenze che lo Stato ha nei confronti
della guerra. La concezione può essere difensiva, offensiva o può riguardare i
negoziati. Gli antropologi hanno condotto studi per tentare di collegare la loro
cultura strategica/militare a quelle che sono state le effettive imprese militari. Nel
corso del tempo diversi fattori hanno diminuito la curiosità sulla cultura strategica,
in particolar modo durante la guerra fredda. Nella seconda metà degli anni ’70
grazie a Jack Snyder, ritorna l’interesse per questi fattori culturali.
Jack Snyder: uno dei primi studiosi a mettere in evidenza che le culture nazionali
influenzano le scelte di politica estera. Esempio: differenza tra le strategie nucleari
americane e russe → Snyder mette in discussione i presupposti del
comportamento degli attori internazionali, concentrando suoi policy makers
AMERICANI e i policy makers SOVIETICI enfatizzando dunque le due culture di
provenienza estremamente differenti. Gli USA hanno un approccio “militare-
industriale” alla guerra, quasi ingegneristico.
Italia, Germania e Giappone sono paesi che in passato hanno avuto in comune sei
regimi fascisti ed espansionistici . Post WWII questi paesi sono stati defascistizzati
e denazificati ed ora possiedono tutti e tre elementi di rifiuto della guerra, un ruolo
secondario delle forze armate, un basso livello di spese militari e in generale una
cultura di impronta pacifista o di “passing in the buck”. Questi principi pacifisti
sono scritti nelle rispettive costituzioni e ciò non rappresenta solo un vuoto retorico
bensì hanno delle vere e proprie conseguenze concrete, esistono infatti delle regole
che mpediscono ad esempio l’intervento militare in determinate occasioni proprio
perché siamo legati ad un assetto di valori pacifisti Benedetto Croce fece passare
l’idea che gli italiani sono un popolo avvezzo alla guerra. Questa narrazione ebbe
così tanto successo che passò l’idea che gli italiani facessero solo missioni di
peace-keeping creando una self-perception alterata.
Per Snyder la cultura strategica è l’insieme di idee, risposte condizionate
emotivamente e modelli di comportamenti ricorrenti che i membri di una
comunità apprendono attraverso i meccanismi di socializzazione. È dunque
l’insieme di credenze relative al ruolo della guerra nella politica internazionale, alla
natura dei rapporti fra stati (conflittuali e cooperativi) e a una serie di preferenze
strategiche ordinate gerarchicamente.
• Esistono anche le sottoculture strategiche (una parte della più ampia cultura
strategica): esempio, sottoculture strategiche dei militari rispetto ai funzionari
civili → confronto tra sottocultura strategica riconducibile al culto dell’offensiva
della Francia, Germania, Russia prima della I G.M. (PAG.87)
• Ken Booth e Colin Gray: altri due scienziati sociali che hanno contribuito ad aprire
la strada allo studio delle culture strategiche.
Il primo si è concentrato sul rapporto tra etnocentrismo e strategia: sottovalutare
la questione culturale deriva dalle tendenze etnocentriche dei membri di una
comunità nazionale.
➢ Booth attribuisce tre significati al concetto di etnocentrismo:
a) Sensazione di centralità e superiorità del gruppo di appartenenza rispetto a un
altro raggruppamento
b) Quando il proprio quadro interpretativo viene proiettato sugli altri
c) Una forma di condizionamento culturale in cui un attore è incapace di guardare
ad un avvenimento attraverso il punto di vista di un’altra cultura
L’etnocentrismo produce una sorta di “nebbia culturale” che porta a commettere
errori nell’interpretazione del modo di condurre la guerra.
➢ Anche Gray mette in evidenza l’importanza di studiare la cultura strategica di un
paese per evitare di commettere errori di attribuzione e interpretazione delle
azioni e motivazioni degli avversari → cultura strategica molto prossima alla
cultura politica. La prima è influenzata dalla posizione geopolitica, dalla storia,
dalle caratteristiche conomiche e da altri fattori peculiari della realtà nazionale
➢ Katzenstein (costruttivista sociale) sostiene che i fattori culturali non influenzano
solo i comportamenti degli Stati, ma la loro stessa identità e il modo di concepirsi.
L’argomentazione causale procede nel seguente modo:
1. Gli elementi culturali e istituzionali influenzano la politica di sicurezza e gli
interessi di sicurezza degli Stati;
2. Gli elementi culturali e istituzionali influenzano le identità degli Stati;
3. I cambiamenti delle identità influenzano gli interessi nazionali;
4. Le identità statali influenzano le strutture internazionali;
5. Il comportamento degli Stati contribuisce a costruire e riprodurre le
strutture internazionali.
CAPITOLO IV
VARIABILI GOVERNATIVE: IL PROCESSO DECISIONALE
Il processo decisionale rappresenta il meccanismo attraverso il quale gli stimoli
provenienti dall’ambiente esterno e interno sono trasformati in comportamenti
internazionali concreti, in politiche estere.
Le caratteristiche del processo governativo rappresentano, allo stesso tempo, un
fattore che condiziona la politica estera, dato che il modo in cui sono prese le
decisioni influenza il loro contenuto.
Attori e ruoli
• Lo Stato cinese è organizzato intorno a tre istituzioni:
➔ Il partito: è l’autorità ultima del sistema politico, stabilisce la linea politica e
può dare ordini a tutte le altre istituzioni di eseguire i suoi ordini.
Leader dominante: al vertice del partito, di solito ricopre le cariche maggiori
come Presidente della Repubblica, segretario, capo della Commissione Militare
centrale; La scelta del nuovo leader è fatta all’interno della Commissione
Militare Centrale.
Anziani: non occupano posizioni formali ma esercitano una grande influenza
Organo decisionale: Politburo e relativo Comitato Permanente
Il partito è caratterizzato dalla centralizzazione del potere decisionale e dalla
sua organizzazione parallela a quella del governo: composto da una serie di
dipartimenti, uffici e agenzie che riproducono i ministeri governativi.
Commissione Militare Centrale del PCC: dove vengono prese le decisioni
militari (non dal Ministero della difesa, alquanto debole)
Il dominio del partito è assicurato dalla loro funzione di nomina delle cariche
(sistema della nomenklatura), controllo sui mezzi di informazione e di far
rispettare l’ortodossia ideologica.
➔ Il governo: incarnato dal Consiglio di Stato. Il rapporto tra partito e governo è
come quello tra politici e amministrazione in qualsiasi Stato moderno: il
governo possiede le competenze tecniche e i saperi specialistici che
permettono di agire con un certo grado di libertà → in molti settori il partito si
limita a tracciare il quadro generale lasciando al governo il resto del lavoro
➔ Le Forze Armate: la centralità dell’ELP è legata al ruolo svolto durante la lotta
antigiapponese e la guerra civile con i capi militari diventati in seguito leader
politici. L’eredità rivoluzionaria favorì la politicizzazione e il suo impiego in
settori non strettamente legati alla funzione di difesa, diventando l’ago della
bilancia in situazioni di crisi all’interno delle élite (caso Rivoluzione Culturale/
sollevazione studentesca a Tiananmen).
Organismi a metà fra partito e stato: Gruppo centrale dirigente (Lingdao xiaozu) :
integrazione orizzontale nel sistema politico cinese.
Coordinamento fra politici e militari. ( leadership centrale-Lingdao xiaozu-
burocrazia centrale)
• Dopo l’epoca maoista, c’è stata una maggiore e una più chiara specificazione delle
rispettive funzioni e organizzazioni.
L’istituzione che ha subito meno trasformazioni è stato il PCC: il sistema della
nomenklatura, la direzione sul governo e l’EPL, controllo sui mezzi d’informazione.
Il processo decisionale è passato da uno stile strettamente autoritario, in cui ogni
decisione doveva ottenere l’avvallo del leader dominante, ad uno più
consensuale. Altro cambiamento riguarda le lotte tra fazioni che oggi sono meno
aspre e polarizzate.
I militari invece hanno cercato di professionalizzarsi cercando di non farsi
coinvolgere nelle lotte di potere.
• Processo di formazione della politica estera:
➔ Strato superiore: composto dai principali policy maker (leader dominanti e
membri del Comitato permanente del Politburo); il processo decisionale sulla
politica estera e di sicurezza è altamente centralizzato e separato dal resto del
processo decisionale.
Ai tempi di Mao la politica estera combaciava con la sua persona e le sue
decisioni. Anche ora il leader dominante continua ad avere il ruolo
preminente:
• Definisce le linee guida della politica estera;
• intrattiene i rapporti con le potenze straniere che possono influenzare in
maniera significativa gli interessi nazionali;
• gestisce le problematiche strettamente connesse con le questioni di
sovranità e integrità territoriale;
Ciò porta a una personalizzazione degli affari esteri che può risentire delle
diverse influenze e considerazioni fra leader (es: distensione per gli USA →
simpatia di Mao per Nixon).
I principali leader danno vita a un nucleo decisionale stretto che funge da
decisore ultimo il quale può ratificare o porre veto alle decisioni del Politburo.
Nel Politburo è il Comitato Permanente che segue i problemi internazionali.
Esiste inoltre un Gruppo Dirigenziale per gli Affari esteri composto dai vertici
del potere politico e da funzionari amministrativi. Il Gruppo non è però
permanente.
➔ Strato intermedio: Composto dalla burocrazia centrale dei diversi ministeri.
Propongono diverse soluzioni e hanno un diverso grado di influenza sulla
leadership centrale.
Il Ministero degli Affari esteri è l’istituzione burocratica più importante
addetta all’amministrazione della politica estera e coloro che hanno ricoperto
questa carica sono sempre state figure di primo piano delle gerarchie politiche.
Il ministero interviene sia nella fase di formulazione della politica estera,
fornendo competenze, informazioni e articolando le opzioni praticabili; sia
nella fase di attuazione, seguendo quotidianamente i dettagli della messa in
opera di una decisione. Tutte queste attività possono essere divise in tre
gruppi:
➢ Interpretazione delle politiche: traduzione in azioni concrete delle linee
guida fissate dai vertici del partito;
➢ Controllo dell’implementazione: la fase di attuazione è critica quanto
quella decisionale: le scelte fatte al primo livello possono essere
modificate al secondo. Il ministero ha potere di controllo soprattutto
per quanto riguarda le politiche dirette verso gli stati meno importanti
per gli interessi nazionali (le politiche rivolte verso paesi
particolarmente importanti sono seguire direttamente dalla leadership
centrale);
➢ Raccolta e disseminazione delle informazioni: le fonti ministeriali sono
quelle considerate affidabili e vengono raccolte durante le missioni
diplomatiche all’estero.
Ministero del Commercio: è la principale organizzazione per quanto concerne
le relazioni economiche estere (scambi economici internazionali, politica di
aiuti all’estero, implementazione delle decisioni prese dalla leadership
centrale) e gode di una libertà maggiore rispetto a quello degli affari esteri. Le
decisioni di questo ministero hanno un impatto più forte sulla società: ha
generalmente un orientamento favorevole agli investimenti stranieri e
all’importazione di nuove tecnologie.
Il Ministero della Difesa Nazionale sulla carta sembra esercitare molte
funzioni, ma in realtà i diretti responsabili della politica militare sono la
Commissione Militare Centrale del PCC e lo Stato Maggiore Generale dell’ELP
che da essa dipende. Anche se il Ministero della difesa è debole, tale non è il
primo ministro, che funge da vicepresidente nella Commissione Militare
Centrale ed è anche membro del Comitato Centrale del PCC. A capo della
Commissione Militare Centrale c’è il leader dominante.
Il ruolo dei militari cambia in base alle arene: per quanto riguarda gli obiettivi
strategici, i leader dell’EPL vengono direttamente contattati per un parere, er
l’arena politica estera le posizioni dell’EPL (esercito popolare di liberazione)
sono comunicate attraverso il Gruppo Dirigente Centrale o il Comitato
permanente del Politburo, l’arena della politica di difesa è quella in cui i
militari esercitano un peso maggiore. Ciò avviene tramite il loro
rappresentante nella commissione militare centrale e il Dipartimento dello
Stato maggiore Generale. I militari posseggo un’estesa rete di think tank,
addetti alla raccolta e disseminazione di informazioni relative alle questioni di
sicurezza.
Il Ministero per la Sicurezza dello Stato è una sorta di equivalente della CIA
americana. È suddivisa in dipartimenti e al suo interno è collocato l’Istituto per
le Relazioni Internazionali Contemporanee, il più grosso centro analisi e ricerca
della Cina su questioni inerenti la sicurezza nazionale.
L’Ufficio per i rapporti internazionali ricalca le funzioni del Ministero degli
affari esteri occupandosi delle relazioni con gli altri partiti comunisti del
mondo. L’agenzia Xinhua non è una semplice agenzia di stampa: raccoglie
informazioni di prima mano in tutte le parti del mondo per poi ritrasmetterle
alla leadership centrale, inoltre produce analisi degli avvenimenti correnti
attraverso il suo centro studi.
➔ Strato inferiore: nel settore decisionale della politica estera è composto dai
think tank (gruppo di esperti) civili e militari che forniscono informazioni ed
analisi ai decision maker. Tra i principali think tank possiamo ricordare:
• L’Accademia cinese di Scienze Sociali
• L’Istituto di studi internazionali del Ministero degli Affari Esteri
• L’Istituto cinese per gli Studi strategici internazionali dello Stato maggiore
generale
• L’istituto cinese per le Relazioni Internazionali Contemporanee
L’importanza di questi gruppi è aumentata negli ultimi anni per l’emergere di
una robusta domanda di informazioni su tematiche come la finanza e il
commercio internazionale, l’ambiente, il controllo degli armamenti ecc.
I processi
• Sotto Mao le decisioni venivano prese secondo un autoritarismo verticale.
Dopo il periodo delle riforme ciò è diventato un autoritarismo orizzontale: è
ancora il leader, o comunque l’organismo centrale, a produrre le linee politiche, il
quale però deve tenere conto di altri attori con differenti interessi politici e
organizzativi. Oggi il processo di formazione della politica estera è diventato molto
più istituzionalizzato e decentralizzato, molto meno dipendente da qualsiasi
singolo leader.
• D. Lampton→ Il processo di formazione delle politiche, dal 1978, ha subito
quattro principali cambiamenti:
1. Professionalizzazione: sviluppo di burocrazie competenti e scelte in base a
criteri di merito e non di fedeltà politica, policy making basato su informazioni più
specialistiche e non solo provenienti dall’agenzia Xinhua
2. Pluralismo istituzionale: un numero crescente di attori ha sviluppato il diritto e
la competenza a intervenire nel processo di formazione della politica estera.
Proliferazione di organizzazioni, gruppi e individui nel processo decisionale→ si
manifesta anche negli scioperi che si vedono oggi.
Il governo, sebbene sia molto diverso da come lo vivono le democrazie
occidentali, non può essere considerato come autoritario in quanto ci sono attori
che hanno una qualche forma di autonomia, grazie alla loro base burocratica ed
economica. Tuttavia, parlare di società civile e quindi di libertà dei privati dal
potere politico risulta ancora difficile.
3. Decentralizzazione: aumentato il ruolo delle autorità locali nella promozione
degli interessi economici internazionali delle loro città.
Riguarda essenzialmente la politica economica estera. Molte decisioni di politica
estera hanno assunto in Cina un ruolo molto importante, e vi partecipano anche le
municipalità (città anche di 30 milioni di abitanti), sedi delle grandi imprese cinesi
ma anche delle fabbriche americane, giapponesi, ecc. (es. alcune municipalità
hanno adottato la strategia di favorire l’emigrazione di cittadini cinesi, i quali,
lavorando all’estero, pagano le tasse alla città di origine, favorendo la ricchezza a
livello locale).
Le strategie di politica estera delle municipalità si scontrano talvolta con quelle
del governo→ vendita cinese di missili ai paesi medio-orientali come il Pakistan e
l’Arabia Saudita. Gli USA protestano, ma anche qui il partito sembra essere non
pienamente consapevole di cosa stia accadendo. Risulta quindi che l’operazione di
vendita è stata guidata principalmente da interessi economici in maniera
autonoma. La stessa operazione si poneva come un affare per le imprese
venditrici di missili, come una questione indifferenti per i militari, e come un
motivo di imbarazzo politico per la diplomazia cinese, in quanto in quegli anni si
tentava di dimostrare la responsabilità del paese a livello internazionale;
4. Globalizzazione: maggiore disponibilità di Pechino di discutere di questioni
multilaterali dovuto ad un parziale indebolimento della concezione westfaliana di
sovranità-
La ricostruzione di alcune importanti decisioni relative al periodo maoista
(sviluppo bomba atomica) e postmaoista (esportazione d’armamenti, politica di
militarizzazione dello spazio, politica africana) mette in luce le differenze e gli
elementi di continuità del processo di formazione della politica estera:
➢ Nella decisione di istituire un programma nucleare spicca il ruolo di Mao: se Mao
considerava inizialmente le armi nucleari armi poco importanti (“tigri di carta”)
rispetto ad uomini ben armati e motivati ma fu condizionato dal vedere
aumentare gli arsenali delle altre nazioni (che riteneva innocui nei primi anni del
secondo dopoguerra) e vedendo come la storia non fosse favorevole in quel
momento alle potenze socialiste, la possibile debolezza della Cina gli fece
rivalutare la sua posizione a riguardo, attribuendogli anche un valore simbolico →
la Cina, per essere considerata una grande potenza, dove agire come tale.
La guerra di Corea, la crisi indocinese e l’aumento dell’arsenale nucleare
americano, il posizionamento di due portaerei americani nello stretto di Taiwan
portarono la Cina a fornirsi di armi atomiche con un piano accelerato (inverno
1954-1955).
Il carattere verticistico e centralizzato del processo decisionale ebbe il suo peso
nel plasmare la decisione della bomba atomica. I protagonisti furono un ristretto
gruppo di alti dirigenti del PCC. Su tutti dominava la figura di Mao che era
presidente del Comitato Centrale del PCC e della Commissione Militare Centrale e
aveva l’ultima parola su ogni decisione strategica.
➢ La politica di esportazione degli armamenti negli anni Ottanta/primi anni
Novanta evidenzia l’impatto delle trasformazioni del processo decisionale sulla
politica estera cinese.
Inizialmente la politica di esportazione era fortemente condizionata da fattori
ideologici: Pechino forniva armi a Paesi politicamente affini o impegnati in guerre
di liberazione nazionale.
Dopo il 1977 l’attivismo cinese crebbe enormemente perché la vendita massiccia
di armi serviva a rimpinguare il bilancio della difesa. Ciò portò all’astio degli USA: i
funzionari civili cinesi assicurarono che la RPC avrebbe seguito una politica
d’esportazione moderata ma le cose andarono diversamente, ma non per colpa
del Ministero degli affari esteri. In realtà l’esportazione era gestita da una serie di
enti e agenzie legate all’EPL che agivano in maniera parzialmente indipendente al
Ministero degli Affari esteri. Qui sta la differenza rispetto al processo decisionale
maoista, in cui le strutture del partito, dello Stato e dell’esercito si
sovrapponevano e la sua volontà imponeva unità operativa: in questa fase si rileva
difficoltà di coordinamento organizzativo e la presenza di conflitti tra varie
posizioni e attori.
Eesempio: test con cui la Cina distrusse nel gennaio 2007 un satellite nello spazio
→ l’ENP e la sua branca addetta alla gestione di armi nucleari avrebbero
proceduto al test senza confrontarsi con gli altri membri della politica estera, o,
tesi più accreditata, i leader civili sarebbero stati a conoscenza del programma ma
non dei dettagli, denotando una difficoltà di coordinamento nell’ambiente
organizzativo complesso.
Processo di formazione e implementazione della politica africana:
coinvolgimento di un gran numero di attori economici e burocratici che produsse
tensioni e contraddizioni tra gli obiettivi del governo e gli interessi di compagnie
d’affari che operano in Africa. (triangolo complesso tra attori burocratici,
principalmente Commissione per l’amministrazione e la supervisione delle
imprese pubbliche, attori economici e governi locali)
Il modo spregiudicato con cui si muovono gli attori economici suscita tensioni da
parte delle autorità africane, cosa che contrasta gli interessi della politica estera
cinese ossia costruite un clima positivo di relazioni bilaterali (coltivata e
consolidata nei decenni).
• Le trasformazioni dello Stato cinese hanno portato all’emergere di dinamiche
politico-burocratiche che segnalano l’indebolimento delle capacità di controllo e
la difficoltà legata a settori come quello economico dove operano diversi attori. In
ogni caso, la formazione della politica estera cinese continua a seguire un
andamento top down: è l’élite politica a stabilire le linee d’azione.
CAPITOLO V
VARIABILI INDIVIDUALI: LEADER DOMINANTI, SISTEMI DI CREDENZE E
PERCEZIONI
Per capire la posizione della Cina in ambito di politica estera bisogna prenderei n
considerazione le caratteristiche dell’élite politica; la centralizzazione della politica
estera cinese fa sì che essa emerga da giochi politici intricati che avvengono
all’interno di queste élites
DEF B
*Mao O
Mao S*
(P-1/ I-1) -2.0
P = credenze filosofiche
I =credenze strumentali
S = self- visione che il leader ha di se stesso
O = visione che il leader ha degli altri
L’incrocio fra gli assi individua quattro tipi di codici operativi:
➢ Riquadro A: credenza nella temporalità del conflitto, prodotto essenzialmente da
incomprensioni e cattive comunicazioni. Ottimismo sulla capacità di perseguire i
propri obiettivi. Gli strumenti politici preferiti sono quelli diplomatici mentre
all’ultimo posto ci sono le azioni offensive.
➢ Riquadro C: il conflitto è determinato dalle caratteristiche del sistema
interstatale. Gli avversari perseguono più obiettivi e la possibilità di un esito non
conflittuale è meno scontata perché legata agli eventi internazionali → pessimismo
sulla possibilità di padroneggiare gli sviluppi storici. Maggiore importanza all’uso
della forza.
➢ Riquadro DEF: (difensivo) il conflitto è permanente e fa parte della vita politica. La
capacità di controllare gli eventi storici tende ad essere bassa sul lungo periodo
(pessimismo). Azioni offensive molto importanti.
➢ Riquadro B: il conflitto è temporaneo e provocato da Stati guerrafondai. Gli
avvenimenti sono relativamente controllabili (ottimismo). Propensione a
privilegiare azioni offensive
• Mao ha una visione molto più conflittuale e realista della realtà rispetto agli altri
leader cinesi.
Mao concepisce il conflitto tra uomini, classi e Stati come una condizione
permanente delle relazioni sociali (*Mao S).
Mao individua diverse contraddizioni all’interno della società: tra proletariato e
contadini, lavoratori e capitalisti, piccola borghesia e grandi capitalisti, Paesi
poveri e Paesi ricchi ecc.
Queste posso essere distinte tra primarie e secondarie→ in una determinata fase
storica bisogna soprassedere sulle contraddizioni minori (x es: proletariato e
piccola borghesia) per far fronte comune contro i grandi capitalisti, così come ci si
deve alleare con Paesi non socialisti per combattere il nemico comune.
Altra distinzione è quella tra le contraddizioni antagoniste e non antagoniste. Le
prime devono essere risolte con la lotta, le seconde in maniera pacifica.
Mao vede gli avversari come dei guerrafondai che alimentano conflitti
internazionali per il perseguimento di specifici interessi ma allo stesso tempo sono
attori razionali la cui condotta può essere influenzata da una politica accorta.
Condotta strategica: Mao manifesta una preferenza per il perseguimento di
obiettivi limitati con mezzi flessibili. Per il leader cinese lo strumento militare è
importante (il potere nasce dalla canna di fucile), motivo per cui crede nello
stretto controllo politico sulle forze armate: il partito deve esercitare un potere
assoluto sull’esercito.
Il codice operativo di Mao appare come quello di una persona convinta che
l’essenza della politica, interna e internazionale, sia la lotta.
• Deng Xiaoping subentrò a Mao (1978-1997). Deng era meno accentratore e più
propenso a delegare ai suoi collaboratori. Deng fu l’iniziatore della “politica estera
indipendente” e della “politica della porta aperta” e su tutte le questioni di
politica estera che portarono conflitto all’interno delle élite politiche, giocò un
ruolo personale molto forte per costruire il consenso.
Deng rappresenta l’ala del partito più orientata pragmaticamente e meno
impregnata di rigidità ideologiche: dopo il Grande Balzo in Avanti si schierò con Liu
Shaoqi a sostegno di politiche meno ideologizzate, allo scoppio della Rivoluzione
Culturale fu epurato dal partito, rientrandovi nel 1974 e consolidando la sua
leadership (dopo l’episodio della Banda dei Quattro, 1976)
Deng mostra un’immagine della politica meno conflittuale di quella maoista e
leggermente più conflittuale di quella di Jiang e Hu.
Il suo pensiero è simile a quello dei leader stranieri: egli ritine che il conflitto non
sia necessariamente connaturato alle relazioni sociali e che sia superabile
attraverso un’abile politica governativa. Il conflitto è visto come il risultato di
incomprensioni e cattive comunicazioni tra gli attori. Un’abile statista, può,
secondo Deng, influenzare il comportamento degli avversari utilizzando in
maniera bilanciata mosse concilianti e azioni ferme. Il codice operativo di Deng è
di tipo C: la forza va utilizzata solo con l’esaurimento delle strade negoziali, usa
ricompense e promesse per conseguire i suoi obiettivi politici, ma l’offensiva è
preferibile ad un atteggiamento puramente difensivo che rischia di non fruttare
nulla
• Jiang Zemin: Segretario generale del partito dal 1989 al 2002. Fu Presidente della
Repubblica fino al 2003 e capo della Commissione Militare Centrale fino al 2004,
quando lasciò la politica. In questo periodo stabilì intense relazioni diplomatiche
con URSS e USA (ingresso della Cina nella WTO nonostante il bombardamento
all’ambasciata cinese a Belgrado)
Il codice operativo di Jiang non è conflittualista e manifesta un atteggiamento
cooperativo. Guarda alla politica in termini di interesse nazionale e non secondo
immagini idealistiche di un futuro mondo alternativo come i rivoluzionari.
Jiang vede gli stranieri (others) come spinti ad opporsi alla Cina dalla logica
dell’anarchia internazionale che favorisce l’emergere di coalizioni contro una
potenza in ascesa.
Strategia internazionale di tipo neobismarkiano: dovuta alla preoccupazione dei
vicini e delle altre grandi potenze generata dall’ascesa della Cina. I numerosi
conflitti territoriali che contrapponevano Pechino agli altri Stati stavano dando
vita ad una possibile alleanza anticinese, così Jiang rassicurò gli altri Stati mediante
politiche multilaterali, un comportamento economico responsabile e la creazione
di solidi legami di interesse con le maggiori potenze dell’area, in modo da
renderle “dipendenti” in un certo modo dalla Cina.
Complessivamente il codice operativo di Jiang appare di tipo A: conflitti
temporanei e gestibili in maniera razionale, ottimismo, uno Stato può perseguire i
suoi interessi senza danneggiare necessariamente gli altri, strategie moderate che
non comportino contromisure da parte degli altri Stati.
• Hu Jintao divenne segretario del partito nel 2002 dopo Jiang, nel 2003 Presidente
della Repubblica, 2004 capo della Commissione Militare Centrale. Durante la sua
carriera si legò a personaggi dia aree differenti, da quella conservatrice (Song
Ping) a quella riformatrice (Hu Yaobang). La capacità di barcamenarsi tra le due
correnti del partito, favorirono l’ascesa ai massimi posti di potere.
Il codice operativo di Hu è simile a quello di Jiang Zemin.
Hu si colloca nella parte dello schema che indica un comportamento amichevole
e accomodante verso i problemi internazionali.
L’immagine degli altri Stati di Hu ricalca il modello di Jiang: i Paesi esteri non si
oppongono alla Cina perché guerrafondai, ma piuttosto perché il funzionamento
del sistema internazionale tende a favorire la competizione.
Hu, avendo lavorato in alcun delle aree più depresse del Paese, pose
maggiormente l’attenzione sui rischi insiti in una crescita squilibrata e le
conseguenti ineguaglianza sociali.
Egli ribadì l’adesione del Paese ad una strategia neobismarkiana: la crescita della
Cina non avrebbe posto alcuna minaccia per i suoi vicini. Verso gli USA → paura
della loro crescita ma importanza della cooperazione. Verso Taiwan → favorevole
ad un’unificazione pacifica e a politiche più flessibili per risolvere il problema.
Il codice operativo di Hu appare di tipo A: preferisce negoziare piuttosto che
assumere un atteggiamento offensivo e rimanere in una situazione di stallo invece
che usare mezi coercitivi.
• Un esempio dell’influenza dei leader è il conflitto tra Cina e India del 1962: il
conflitto fu causato da fattori internazionali, interni e burocratici.
Le percezioni errate dei decision maker riguardo ai leader indiani e le loro
intenzioni ebbero una forte influenza sull’escalation militare.
I principali decision maker cinesi coinvolti nella decisione verso l’india furono
Mao, Zhou Enlai e Deng Xiaoping.
I codici operativi dei tre leader erano diversi: Mao era quello con una visione più
negativa degli avvenimenti, seguito da Zhou e poi da Deng, che era quello più
incline a considerare la situazione in modo conciliante .
Complessivamente Mao e Zhou presentano un codice operativo di tipo DEF:
perseguono obiettivi limitati con mezzi limitati e sono pronti ad usare la forza se le
circostanze lo richiedono.
Deng presenta un codice operativo di tipo C: egli rimase principalmente orientato
alla cooperazione durante tutta la fase della crisi.
I leader cinesi leggevano le azioni di Nehru, leader indiano, come una retaggio
imperialista acquisito dalla dominazione inglese: per i cinesi l’India riteneva di
poter imporre la volontà su Pechino, ma non aveva fatto i conti con una “nuova”
Cina che non era più disposta a piegarsi davanti nessuno dopo anni di trattati
ineguali e umiliazioni e si convinceva del fatto che la Cina non avrebbe risposto
alle provocazioni.
Questa immagine delle intenzioni dell’India deriva dal fatto che leader indiani e
cinesi consideravano differentemente il ruolo della forza militare nelle relazioni
internazionali: Mao ed Zhou consideravano la forza utilizzabile solo in casi di
necessaria utilità, valutando i pro e i contro; non si rattava né di una questione di
principio, né di una questione morale.
I principali leader indiani invece ritenevano che l’uso della forza fosse un fatto
obsoleto nei rapporti tra Stati, soprattutto tra quelli in via di sviluppo accomunati
dallo stesso passato coloniale. Questo atteggiamento fu frainteso dai cinesi, che
lessero il comportamento indiano come un esempio di sottostima della
determinazione cinese.
Ad esempio l’appoggio di Nehru al Dalai Lamai (1959) fu letto come una minaccia
all’autorità cinese, quando era mosso solo dalla volontà di assicurare una certa
autonomia al Paese nel rispetto della sovranità cinese (con tanto di pressioni
interne).
I militari e il mondo
• Da una parte il potere militare è sempre stato al centro delle preoccupazioni di
Mao, dall’altra, c’è sempre stata molta attenzione nella leadership cinese affinché
il potere politico tenesse sotto stretto controllo quello militare.
Nel passato il controllo era realizzato attraverso una stretta interpenetrazione tra
PCC ed EPL. Oggi avviene soprattutto attraverso una professionalizzazione
(avviata negli anni ’80) dell’EPL che comporta il suo minor coinvolgimento in
attività politiche.
Oggi i militari rappresentano un’istituzione con un forte orientamento
nazionalistico. I leader militari tendono ad avere una visione molto più
pessimistica rispetto ai governanti. Gli Stati Uniti rappresentano la prima
preoccupazione per i militari cinesi. I leader militari sono convinti delle intenzioni
negative di Washington nei confronti della RPC e del fatto che gli Usa siano
favorevoli ad una separazione permanente di Taiwan dalla madrepatria.
Non molto dissimile è l’immagine del Giappone. Esso viene descritto come un
Paese dalle tendenze militaristiche capace di condizionare negativamente varie
aree d’interesse per la Cina. I leader militari temono un Giappone sempre più
attivo sulla scena internazionale, soprattutto asiatica.
• Nel caso della Russia, la Cina negli ultimi anni ha assistito a un costante
miglioramento dei rapporti bilaterali. I militari invece vedono una Russia che si sta
riprendendo dalla crisi degli anni Novanta e che si sfora di riguadagnare un ruolo
di grande potenza nello scacchiere europeo e asiatico. I militari inoltre
considerano la partecipazione della Cina alle organizzazioni multilaterali come un
espediente tattico per avanzare gli interessi nazionali.
CAPITOLO VI
IL COMPORTAMENTO NEGOZIALE:
Le caratteristiche del comportamento negoziale
• Gli Stati hanno bisogno di interagire tra di loro al fine di comunicare le rispettive
intenzioni e cercare di modificare il comportamento deli altri per conseguire i
propri obiettivi. Per fare ciò si avvalgono soprattutto dei canali diplomatici.
La funzione dei diplomatici non è tanto di definire gli obiettivi del proprio governo
quanto di spiegarli all’estero e tentare di persuadere gli altri a modificare le loro
politiche per conformarsi a questi obiettivi.
Il processo negoziale comprende una fase preliminare in cui le parti si lanciano
segnali per verificare la reciproca disponibilità a trattare. Nella seconda fase le
controparti cercano di raggiungere un accordo concreto.
• Holsti differenzia i negoziati che avvengono tra Paesi che condividono alcuni
principi e quelli che avvengono tra Paesi separati da profondi conflitti. In
quest’ultimo caso si fa ricorso a tutto il repertorio tipico delle trattative.
I negoziati internazionali fanno emergere diversi stili diplomatici.
Fattori che possono influenzare lo stile diplomatico:
➔ Carattere democratico del regime (esempio diplomazia da “bottegai” degli
inglesi vs regimi totalitari)
➔ Grado si sviluppo economico (Stati in via di sviluppo diplomaticamente
inesperti e deboli)
➔ Se si tratta d Stati rivoluzionari (tendenza moralistica e ad incolpare gli Stati
stranieri per le difficoltà interne)
• Distinzione stili diplomatici di Kissinger:
➔ Stile diplomatico-burocratico: maggior esponente gli Stati Uniti (Stati non
attraversati da grosse fratture ideologiche) . Diplomatici con impostazione
economica o legale. Approccio alla politica molto concreto e diretto verso il
proprio interesse. I grandi problemi sono spezzettati in una miriade di problemi
da affrontare uno alla volta;
➔ Stile ideologico: tipico paesi comunisti come Cina ed ex URSS. Pur dando molta
importanza agli aspetti concreti del negoziato, usano anche argomentazioni
retoriche;
➔ Stile carismatico-rivoluzionario: tipico di quei paesi che vogliono cambiare lo
status quo: non sono portatori di rivendicazioni specifiche ma di una generale
opposizione all’ordine mondiale esistente. La politica estera svolge più una
funzione di rafforzamento dell’identità nazionale che di strumento per il
conseguimento di determinati obiettivi. Difficile intavolare delle trattative.
• La Cina ha rappresentato un attore internazionale ostico per chiunque si sia
trovato a negoziare con essa. La sua diplomazia presenta sia caratteristiche
peculiari (tradizione culturale e politica) che comuni alle altre nazioni.
• Per Richard Solomon sono tre gli elementi che influenzano lo stile diplomatico
cinese tradizionale:
CAPITOLO VII
IL COMPORTAMENTO ECONOMICO INTERNAZIONALE: modo in cui la Cina
conduce i suoi rapporti economici esterni dal 1949 al XXI sec.
CAPITOLO VIII
L’USO DELLA FORZA
La dottrina militare
• L’evoluzione della dottrina militare cinese dai tempi di Mao è il risultato
dell’interazione tra trasformazioni dell’ambiente internazionale e delle minacce
alla sicurezza, cultura strategica e sistemi di credenze dei leader.
• Guerra di popolo di Mao: Paese arretrato in cui il fattore umano incide più di
quello tecnologico; una strategia militare difensiva basata sulla mobilitazione di
massa, riflette le idee di Mao (conflitto inevitabile, vera potenza nella volontà
politica) . Revisione di tale strategia soprattutto dopo la guerra contro il Vietnam,
del 1979: attirare nella profondità del territorio nazionale il nemico per poi
distruggerlo con forze preponderanti non era adatto alle condizioni moderne
(Deng Xiaoping)
• Guerra di popolo in condizioni moderne: maggiore importanza alle forze Armate
e alle idee di Deng Xiaoping sull’evoluzione della politica internazionale il nemico
doveva essere fermato ai confini del paese con una politica di difesa avanzata; era
necessario realizzare un riequilibrio del peso assegnato al fattore umano rispetto
a quello tecnologico e una maggior attenzione doveva essere assegnata alle
operazioni offensive e alla possibilità di colpire per primi con attacchi preventivi.
• Guerra locale in condizioni di alta tecnologia: all’indomani della Prima Guerra del
Golfo (1991) che mise in luce l’importanza del potere aereo. Rispecchia la maggior
sicurezza dei leader cinesi e la crescente preoccupazione per il gap tecnologico;
importanza dello strumento militare nelle relazioni internazionali. L’EPL aveva da
sempre sottovalutato lo strumento aereo. Per fa fronte alle carenze dell’esercito,
la Commissione Militare Centrale lanciò una serie i programmi per cercare di
contenere il gap tecnologico con gli Stati Uniti. Sviluppo di nuove armi con le
seguenti priorità:
• Guerra elettronica
• Missili balistici e armi <<intelligenti>>
• Satelliti e sistemi di allertamento rapido
• Ricerche nel campo delle tecnologie laser e della guerra informatica
• Procedure di rifornimento in volo
• Sviluppo di sistemi anti missilistici
Dopo la campagna in Kosovo fu lanciato un programma conosciuto come “i tre
attacchi e le tre difese”:
→ tre attacchi: aerei invisibili, missili da crociera, elicotteri da combattimento
→ tre difese: difesa dai sistemi di ricognizione nemici, attacchi di precisione e
interferenze elettroniche
Lewis: l’impatto sulla strategia atomica di questa revisione non fu accentuata e
l’esiguità dell’arsenale nucleare testimonierebbe la persistenza di una politica di
deterrenza minima basata sulla capacità di secondo colpo (rappresaglia
indiscriminata contro bersagli civili dopo aver incassato un attacco nemico)