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6.

PARTITI POLITICI
MODELLI DI ORGANIZZAZIONE POLITICA

Tipi di partiti:
I partiti non sono un oggetto immutabile nel tempo, ci sono diversi modelli. Il partito a integrazione di
massa ha segnato la storia della democrazia e della politica più recente.

Partiti di quadri o élite :


Il modello originario di partito nella fase moderna della politica è quello dei notabili. Notabili in quanto
persone in vista delle rispettive società che ad un certo punto decidono di intraprendere una carriera
politica. Questo modello ha un corrispondente nel modello dei partiti di quadri o dei partiti di comitati. I
partiti comitato sono stati in voga negli USA, in un contesto politico dove il partito era una forma
organizzativa che si attivava prevalentemente nel momento elettorale o sotto momento elettorale. C'era da
selezionare delle candidature, da organizzare il convegno elettorale allora si organizzavano dei partiti
comitato, molto legati al singolo candidato. Questo modello era molto simile per certi versi al partito dei
notabili all'europea. È un modello che negli USA ha avuto una lunga vita. In Europa invece la tradizione dei
partiti affonda le sue radici nel modello del partito dei notabili, che era un partito prevalentemente di
formazione parlamentare. È una prima forma di coordinamento organizzato di quelli che erano gli eletti. I
notabili avevano una caratteristica specifica, il notabile era una persona particolarmente in vista nella sua
società che viveva di risorse proprie. Quindi il notabile si caratterizzava per il fatto di essere un politico che
arrivava alla politica da una professione precedente e nel fare politica mobilitava risorse proprie. Avevano
una forte autonomia e un rapporto di deferenza nei confronti del cittadino. Il modello del partito dei
notabili è un modello di un personale politico molto autonomo e indipendente che vive la politica sulla
base di risorse proprie, che utilizza per fare attività politica e vive con un rapporto di deferenza a proprio
vantaggio nei confronti dei propri elettori.

Partiti di massa :
Professionalismo politico. Il partito di massa non vive di risorse proprie ma vive delle risorse che i partiti
riescono a drenare dalla società attraverso il tesseramento (prima) e il finanziamento pubblico dei partiti
(dopo). Il personale politico è sostenuto, pagato e utilizza risorse mobilitate dal partito. Sono risorse che il
partito mobilita attraverso il tesseramento perché nel momento in cui si formano i grandi partiti di massa in
Europa si crea un meccanismo che organizza la professione politica a partire dal fatto che nell'arena
democratica entrano la stra grande maggioranza dei cittadini a seguito dell'ampliamento dell'elettorato che
diventa man mano universale. L'allargarsi del corpo elettorale, l'ingresso delle masse dentro all'arena
elettorale fa sì che ci sia una risorsa aggiuntiva per la politica. Il partito dei notabili è un partito
caratterizzato da un suffragio elettorale limitato. Non votano tanti, votano prevalentemente persone che
hanno il censo o l'istruzione. Nel momento in cui si formano i partiti di massa quest'ultimi trovano una base
di consenso e una base economica nel suffragio elettorale che diventa progressivamente suffragio
universale. L'estensione al diritto di voto, l'ingresso delle masse nell'arena politica fa sì che ci siano delle
risorse aggiuntive per questo il partito di massa si può pensare come una forma organizzata che vive di
finanziamento. Se tanti cittadini iniziano a entrare nell'arena elettorale allora questi potrebbero anche
essere disposti a sostenere dei costi (la tessera di iscrizione al partito)per sostenere le attività politiche de
proprio partito. Quella macchina organizzativa diventa di una macchina di reclutamento, di selezione e di
formazione di personale politico professionalizzato. Questo modello ci ha accompagnato per larga parte
del 900. Il partito di massa è un partito che riesce a dotarsi di strutture proprie e dove gli iscritti hanno un
peso importante. Prima di tutto perché portano le loro risorse economiche (questo cambia perché
successivamente nelle grandi democrazie si affermano leggi di finanziamento pubblico, quindi i partiti
iniziano ad avere risorse economiche che derivano non solo dai contributi volontari dalla massa dei propri
iscritti ma anche dai finanziamenti, imposti per legge, dello stato). L'ingresso delle masse permette la
costruzione di organizzazioni strutturate che grazie alla grande mole di iscritti riescono a mobilitare una
grande mole di risorse economiche per l'attività. Questo ha significato un'integrazione dei cittadini nella
sfera politica ma anche una promozione sociale degli individui, oltre che uno strumento di
democratizzazione della vita politica. I partiti hanno sviluppato delle logiche oligarchiche (legge ferrea
dell'oligarchia di Michels). Questa teoria ci spiega che all'interno dei partiti si creano delle élite, dei gruppi
dirigenti. Tutte le forme organizzate creano delle élite. Anche nei partiti più democratici scattano dei
meccanismi di formazione dell'élite. Questi gruppi dirigenti tendono a mantenere la loro posizione di
potere. I gruppi dirigenti gestiscono l'avvicendamento del gruppo alla base di una logica di cooptazione, per
cui entra quello che più si intende in continuità con il passato. Poi ci possono essere delle fasi dove questa
continuità si spezza. Quindi non è sempre garantita però diciamo che aiuta a dare stabilità ad un partito, il
gruppo dirigente che invecchia fa entrare con questa logica di cooptazione il pezzo che ritiene più in
continuità con il proprio modo.
Il partito di massa è un partito prevalentemente di iscritti. Conta sempre di più la capacità del personale di
aggregare consenso. Questa capacità fa sì che si passi da forme di partito degli iscritti a forme di partito
degli eletti (oggi di più perché gli iscritti sono diminuiti). Nei partiti di massa, centrale era l'ideologia. Era un
collante, permetteva di tenere insieme gruppi dirigenti, ecc. Il collante ideologico viene meno a partire
dagli anni 60 con un lento e progressivo deterioramento delle ideologie politiche.

Caratteristiche principali:

- Struttura organizzativa: membri organizzati in sezioni locali. L’ufficio centrale è responsabile verso un
congresso eletto di partito

- Reclutamento

- Centralità degli iscritti

- Centralità dell'ideologia politica

- L'esistenza di classe gardees

Le classes gardees sono gruppi sociali.

Partiti pigliatutto:
Queste caratteristiche vengono meno negli anni 60, iniziano ad indebolirsi a causa dalle trasformazioni
sociali. Le ideologie contano meno, e i partiti sono sempre più orientati a massimizzare i consensi elettorali.
Questo comporta anche un cambiamento strategico nel modo di pensare (prima l'ideologia guidava tutto,
era lo strumento di coordinamento fra gli elettori iscritti al partito. "Se abbiamo un' ideologia abbiamo un
meccanismo che funziona perfettamente"). Se viene meno l'ideologia, viene meno la capacità del partito di
fare da tramite e garante rispetto alla selezione di candidature. Per l'elettore si apre il ventaglio di una
maggiore possibilità di scelta del voto, non essendoci più l'ideologia che guida le scelte politiche del voto è
libero di orientarsi come meglio crede nel mercato elettorale. Nel momento in cui cade l'ideologia i partiti
devono essere in grado di andare a "cacciare" i voti.
Il partito pigliatutto è un'evoluzione del partito a integrazione di massa. È un partito finalizzato alla caccia
del consenso elettorale. Si chiama pigliatutto (pigliatutti) perché va alla ricerca di consenso elettorale in
maniera trasversale, non ha più un'ideologia forte. È un partito in cui conta meno l'ideologia politica ma
allo stesso tempo contano di più i consulenti della comunicazione, conta di più chi ha gli strumenti per
organizzare il messaggio politico in maniera da renderlo più appetibile. In assenza di ideologia la
costruzione di consenso stabile diventa problematica, quindi cambia anche il peso che, all'interno del
partito, assumono le determinate figure. Nel partito degli iscritti (di massa) c'era un peso maggiore nel
gruppo dirigente del partito in quanto tale. Nel partito dove l'ideologia non ha più la capacità di
rappresentare un collante, contano di più gli eletti perché sono gli eletti che portano i voti al partito (al
contrario del partito di massa).

- Maggiore centralità degli eletti

- L'ideologia non pesa

- Maggiore centralità della funzione di comunicazione, degli strumenti che permettono al partito di
organizzare il consenso

- Vengono meno le classes gardees, i gruppi sociali di rifermento

- Prendono peso le figure professionali, i gruppi di pressione (lobbies).

Partiti-cartello :
partito in cui è ancora più forte ed accentuata la lettura del partito come strumento di organizzazione del
consenso come piattaforma di coordinamento di gruppi politici.

- L'ideologia non pesa più nulla

- Pesa di più il potere dei gruppi politici (delle fazioni) all'interno del partito per drenare le risorse
economiche dalle risorse pubbliche, dal finanziamento pubblico

- Partito degli eletti

- Visione laica del partito

Partito-azienda :
Il partito azienda si evidenzia bene in un paio di studi, uno di Paolucci e l'altro di Hopkin (1999). l'esempio
porro tipico è forza Italia. Si tratta di un fenomeno singolare. Forza Italia (94-96) è un partito azienda
perché è il partito di una persona che gode di un rapporto personale. Forza Italia diventa un partito azienda
perché dipende direttamente da lui perché il personale politico viene reclutato direttamente dalle aziende
private di Berlusconi. Susan carrow parla di partiti a velocità multipla, guarda sul lato degli eletti. I partiti
azienda sono il prodotto di una figura personale che mobilita risorse proprie in politica.

Partiti negli USA :


Sono partiti molto più organizzati su forme che rinviano alle nostre forme originarie Europee, quindi partiti
prevalentemente di comitato elettorale. Sono partiti che hanno sin dalle origini assunto dei meccanismi di
selezione delle candidature diverse. In Europa il Reclutamento del personale politico era deciso dai partiti
con processi di contrattazione interna, invece in USA questa funzione di reclutamento è stata fin da subito
delegata agli elettori o agli iscritti di quel partito.
Fino al 68 le primarie erano prevalentemente di Caucas (comitati elettorali degli iscritti) dopo di che c'è una
riforma che introduce una primaria più aperta. Essendo uno stato federale ogni stato ha leggi differenti.
Questo passaggio è importante permette di allargare il cerchio di coloro che partecipano alla selezione dei
candidati (cioè il passaggio dalle Caucus alle primarie).
Le tre principali caratteristiche del sistema americano di disciplina legale dei partiti sono:
1. Il ricorso alle elezioni primarie
2. Una definizione sfumata degli iscritti al partito
3. La natura candidato-centrica della regolamentazione partitica.
Le primarie americane sono elezioni pubbliche, disciplinate dallo stato e strutturate attraverso norme di
diritto pubblico piuttosto che regole di partito. Piuttosto che avere iscritti formali, i partiti americani hanno
solo degli “elettori registrati”, cioè elettori che hanno scelto di affiliarsi a uno dei partiti nel processo
pubblico di registrazione per il voto.
La legge americana generalmente tratta gli elettori registrati come se fossero membri di partito in senso più
sostanziale, ma il partito non ha alcun controllo su chi si registra come “membro”, così come questi
iscrivendosi non si assumono nessun obbligo. Inoltre, alcuni stati federali non hanno un proprio registro
degli iscritti, e persino in alcuni stati che hanno un sistema di registrazione, qualunque elettore può
rivendicare il diritto di partecipare a un’elezione primaria di partito (una primaria aperta) senza doversi
registrare a priori. Generalmente la scelta tra primarie aperte e chiuse (solo gli iscritti al partito possono
partecipare) è determinata dalla legge di ciascun stato federale, benché i partiti abbiano conquistato (per
vie legali) il diritto per ciascuno di essi a determinare in piena autonomia se consentire ai votanti non
registrati come “membri” di alcun partito di partecipare alle proprie elezioni primarie.

Negli USA ci sono almeno 5 diversi tipi di primarie, a livello di elezioni presidenziali, che variano di stato in
stato

1) primaria chiusa: alla quale partecipano solo i sostenitori del partito, ovvero chi si è iscritto (anche se
non è l'iscrizione a cui pensiamo quando parliamo dei partiti nel contento europeo)

2) Primaria semichiusa: nella quale è permesso agli indipendenti, cioè coloro che non si registrano come
simpatizzanti di un partito, di votare nella primaria di uno dei due partiti, scegliendo all'ultimo
momento.

3) Primaria aperta (con dichiarazione pubblica): nella quale l'elettore è tenuto a dichiarare, nel giorno
delle elezioni, il partito che sceglie, cioè quello alle cui primarie partecipa. Nella maggior parte dei casi,
l'eventuale iscrizione di un elettore ad u partito non osta alla sua partecipazione alle primarie del
partito rivale. Solo in Texas è prevista una registrazione preventiva

4) Primaria coperta: alla quale partecipano tutti gli elettori, ricevendo una scheda per ciascun partito in
lizza, ma potendo poi votare un solo candidato tra quelli dei partiti concorrenti

5) Primaria non partisan: nella quale l'elettore esprime una referenza su un'unica scheda, sulla quale
compaiono tutti li aspiranti candidati, per tutti i partiti in lizza; se un candidato ottiene la maggioranza
assoluta dei voti espressi viene selezionato, viceversa si celebra un secondo turno fra i due candidati
che hanno ottenuto più voti (ballottaggio), indipendentemente dalla loro appartenenza partitica

Appartenenza
Tutti i partiti moderni dichiarano di possedere un’organizzazione associativa. I modi per acquisire
l’appartenenza, il ruolo dei membri, la dimensione dell’organizzazione, variano ampiamente tra partiti e
partiti. L’appartenenza può essere come nei partiti di massa, iscritti che han fatto richiesta. Questa
appartenenza diretta è accessoria a un’appartenenza indiretta acquisita come parte di un’ulteriore
appartenenza a un’organizzazione affiliata (sindacati). I diritti degli iscritti possono essere esercitati
dall’individuo o dai rappresentanti delle associazioni affiliate. L’appartenenza indiretta è sempre più in calo.
L’appartenenza è stata misurata in tre modi:
1. Conteggio degli iscritti;
2. Rapporto fra l’appartenenza partitica e l’ampiezza dell’elettorato, più facilmente comparabile in generale
attraverso lo spazio e il tempo;
3. Densità organizzativa tra gli iscritti e gli elettori di un partito.
In qualsiasi caso, l’adesione ai partiti è andata costantemente declinando.
Regolamentazione
Un numero crescente di paesi, ha introdotto legislazioni nazionali sui partiti. Le giustificazioni di leggi
speciali sui partiti si possono classificare in tre gruppi:
- Centralità dei partiti per la democrazia: giustificazione che ha anche permesso di assegnare ai partiti diritti
speciali rispetto a una qualsiasi associazione privata “ordinaria”.
- Potere dei partiti: poiché i partiti hanno una posizione centrale nel governo democratico, il pericolo che
può sorgere da essi, giustifica una sorveglianza e restrizioni speciali.
- Questione di convenienza o necessità amministrativa: diritto di indicare candidati sulla scheda elettorale e
del controllo sul nome o sui simboli di partito.

Le definizioni giuridiche sono procedurali e organizzative, distinguendo i partiti come organizzazioni che
hanno come fra i loro scopi fondamentali quello di partecipare alla vita pubblica, promuovendo uno o più
dei propri membri in qualità di candidati e sostenendo la loro elezione. Una volta che il partito è registrato,
acquisisce un certo numero di privilegi che includono contributi, nome che appare sulla scheda elettorale e
via dicendo.

Acquisire lo status ufficiale spesso assoggetta anche il partito a un certo numero di doveri come presentare
certificati di resoconti finanziari, procedure particolari di elezione del leader del partito e via dicendo.

Finanziamento
Importante coinvolgimento dello stato nella vita partitica è il finanziamento. Il finanziamento diventa
necessario per impedire ai partiti di ricevere finanziamenti da alcune fonti o usarlo per certi scopi. I partiti
vengono rimborsati per le spese sostenute e monitorati per queste.

Regolamentazione delle spese


Soprattutto per regolare le spese per le campagne elettorali, anche se i partiti spendono denaro per molte
cose. Sono ovviamente vietate le forme di corruzione, compravendita voti ecc. Sono presenti poi limitazioni
sulla spesa totale, sono richiesti resoconti idi spesa e via dicendo. Risulta anche importante determinare il
periodo di campagna elettorale da finanziare che deve avere durata appropriata. Deve essere determinato
anche quando viene fatta campagna elettorale: quali sono le condizioni, le situazioni ecc.

Regolamentazione della raccolta fondi


I limiti delle contribuzioni liberali sono progettati per impedire che individui o gruppi facoltosi esercitino
un’influenza eccessiva sui partiti (vietato il sostegno da grandi imprese, sindacati o versamenti anonimi).
Possono esservi limiti anche sull’ammontare dei contributi, anche se questi limiti sono facili da eludere.
Inoltre, sono da includere anche i contributi in natura? E i servizi?

Sovvenzioni pubbliche
Un crescente numero di paesi fornisce un sostegno economico ai partiti, erogando denaro o servizi. Per
esempio, vengono messi a disposizione staff ai partiti parlamentari, allocazione gratuita di spazi
pubblicitari, invio di materiale propagandistico per posta, uso di sale negli edifici pubblici. L’erogazione di
denaro resta, comunque una questione controversa, che solleva due domande: l’effetto primario delle
sovvenzioni statali è quello di consentire ai partiti di svolgere meglio le loro funzioni di formulazione delle
politiche, di integrazione dei cittadini nella sfera pubblica e di legame tra società e governo o quello di
promuovere la separazione tra partiti? Secondo, i sistemi di finanziamento pubblico, così come le norme
che limitano le contribuzioni liberali, servono a produrre maggiore equità e uguaglianza, oppure
privilegiano quei partiti che sono già dominanti?

PARTITI E STABILIZZAZIONE DELLA DEMOCRAZIA


I partiti sono stati fondamentali per lo sviluppo delle ondate di democrazia. I partiti crescevano
appellandosi a persone appartenenti ad una cultura specifica o a una classe specifica, contribuirono
all’integrazione degli immigrati in paesi come gli USA o il Canada. Dove l’espansione del suffragio fu più
lenta, i partiti demagogici non riuscirono a sfondare, dove fu repentina, come in Francia o in Italia, si
verificarono numerosi problemi di ordine pubblico. In paesi di nuova democratizzazione, i partiti possono
aiutare a superare il periodo cupo (come per i paesi ex blocco sovietico), ma la sfiducia verso l’istituzione
partitica, complica parecchio le cose. Anche la recente democratizzazione del mondo islamico pone
numerose questioni: i partiti islamisti saranno un contributo all’integrazione dei cittadini nella democrazia
o un rischio per essa?

CONCLUSIONE
I partiti restano centrali per il governo democratico. Sono i partiti che competono nelle elezioni e
identificano la maggior parte dei candidati. Sono i partiti che strutturano le coalizioni per adottare una
legislazione e sostenere i governi. L’appartenenza ai partiti sta declinando, obbligando i partiti a cercare
mezzi di sostegno altrove. La crescente ostilità verso i partiti, contribuisce al fenomeno in crescita dei
partiti anti-sistema. Cresce altresì la richiesta di nuove forme di democrazia. La sempre minore
partecipazione dei partiti ai processi di direzione delle politiche pubbliche, lasciate sempre più a tecnici,
alimenta la forza di chi contrasta questo sistema partitico. Il ruolo dei partiti come rappresentanti del
popolo o come collegamento tra popolo e stato, è stato messo in discussione anche dalla crescente varietà
di organizzazioni che competono con loro in quanto soggetti in grado di articolare interessi. I cittadini
possono scegliere di inserirsi in più gruppi e dialogare direttamente con coloro che sono al potere, anche
grazie allo sviluppo di nuove forme di comunicazione. Anche i partiti si stanno adattando, diventando
sempre più “cibernetici” (appoggio a strumenti informatici), anche se questo risulta attualmente poco
influente nei riguardi della rigida legge dell’oligarchia.

Ci sono due sfide che i partiti sono tenuti a fronteggiare:


1. Crescente complessità dei problemi, crescente velocità dello sviluppo sociale ed economico, crescente
globalizzazione;
2. Crescente capacità dei cittadini a livello di mobilitazione cognitiva o politica.

La risposta dei partiti a queste sfide determinerà il futuro della democrazia.


7. I SISTEMI DI PARTITO
INTRODUZIONE
Un sistema partitico è il risultato di interazioni competitive tra partiti. Vi è un obbiettivo: ottenere il
massimo numero di voti per controllare il governo. Tuttavia l’insieme delle interazioni tra partiti non è
rappresentato esclusivamente dalla competizione, ma anche dalla cooperazione. I partiti, per esempio,
cooperano quando formano una coalizione.
Ciò che determina le interazioni sono:
1. Quali partiti esistono
2. Quanti partiti compongono un sistema e quanto sono grandi e
3. Il modo in cui massimizzano i voti
I sistemi di partito devono essere composti da diversi partiti. Non c’è “sistema” con una sola unità.
L’interazione competitiva tra partiti richiede pluralismo. È quindi appropriato parlare di un sistema partitico
solo in contesti democratici in cui diversi partiti competono per ottenere voti in elezioni aperte e plurali.

LA GENEALOGIA DEI SISTEMI DI PARTITO


Le rivoluzioni “nazionale” e “industriale”
La maggior parte dei partiti contemporanei e delle famiglie di partito ebbero origine dai radicali
cambiamenti socio-economici e politici avvenuti tra la metà del XIX secolo e i primi due decenni del XX
secolo.
Lipset e Rokkan (1967) distinguono tra due aspetti di questa trasformazione:
1. La rivoluzione industriale, che si riferisce ai cambiamenti prodotti dall’industrializzazione e
dall’urbanizzazione
2. La rivoluzione nazionale, che si riferisce alla formazione degli stati-nazione (unità politiche culturalmente
omogenee e centralizzate) e dalla liberal democrazia (parlamentarismo, diritti civili individuali e di voto,
stato di diritto e istituzioni secolari).
La rivoluzione industriale e quella nazionale crearono divisioni socio-economiche e culturali che mettevano
in contrapposizione differenti gruppi sociali, élite, insiemi di valori e interessi.
Lipset e Rokkan definiscono questi conflitti “fratture”.

Le fratture e la loro traduzione in chiave politica


Lipset e Rokkan distinguono 4 fratture (cleavages) principali create dalle due rivoluzioni. Ciascuna
rivoluzione ha prodotto due fratture principali. Trasformazioni successive hanno prodotto fratture ulteriori,
ossia: “la rivoluzione internazionale”, innescata dalla Rivoluzione sovietica del 1917; la “rivoluzione post-
industriale”, negli anni 60 e 70 del XX secolo, che ha condotto a una frattura valoriale fra generazioni; e la
globalizzazione, a partire dalla fine degli anni 90 del XX secolo.
La rivoluzione nazionale fu all’origine di due fratture

Frattura centro-periferia
Il conflitto scaturì quando nel XIX secolo gli stati-nazione si formarono, e il potere politico, le strutture
amministrative e i sistemi di tassazione furono centralizzati. Ciò portò allo sviluppo di linguaggi nazionali e
all’adozione di una religione nazionale. La maggior parte dei territori nazionali erano eterogenei,
caratterizzati dalla presenza di differenti etnie e linguaggi, e l’amministrazione era frammentata. Le élite
nazionaliste e liberali portarono a termine la formazione dello stato e la costruzione della nazione
fronteggiando le resistenze delle popolazioni subordinate dei territori periferici sotto due aspetti.
1. Amministrativo: le periferie vennero incorporate nel sistema burocratico e fiscale del nuovo stato, il che
comportava una perdita di autonomia per le regioni
2. Culturale: le identità religiose, etniche e linguistiche nelle regioni periferiche furono rimpiazzate dalla
lealtà al nuovo stato-nazione promossa attraverso la scolarizzazione obbligatoria, la coscrizione militare e
altri mezzi di socializzazione nazionale.
La resistenza alla centralizzazione amministrativa e alla standardizzazione culturale era – ed è in parte
tuttora – espressa da partiti regionalisti come il partito nazionalista scozzese, i vari partiti baschi e catalani
in Spagna, il Bloc Québéquois in Canada ecc. che si contrapponevano ai partiti nazionalisti/liberali.

Frattura stato-chiesa
Gli Stati nazione nel XIX secolo non erano solo centralizzati e omogenei, ma anche basati sul l'ideologia
interale e su istituzioni secolari, sull'individualismo e sulla democrazia. Le riforme liberali e l'abolizione degli
ordini sociali di appartenenza (clero, artis razzia, borghesia, contadini) caratteristici dei parlamenti moderni,
così come il voto individuale e le libere elezioni, misero fine si privilegi del clero e dell'aristocrazia.
Il nuovo stato liberale e secolare combatteva contro il ruolo consolidato della chiesa nel sistema educativa.
L'istruzione obbligatoria da parte dello stato veniva utilizzata per "forgiare" nuovi cittadini. Specialmente
nei paesi cattolici, ciò determinava forti conflitti, mentre nei paesi protestanti - dove le chiese erano
profanazione dello stato - la frattura si concentrava sui principi morali.
La chiesa fu anche espropriata di terre e proprietà immobiliari e, in Italia, perse il proprio potere temporale
e il suo stato (lo stato pontificio) quando l'Italia si unifico come nazione tra il 1860 e il 1870.
I conservatori auspicavano un ritorno al vecchio regime pre-democratico. In alcuni paesi, i cattolici presero
il posto dei conservatori, come il Belgio, Svizzera e Germania. In altri paesi, ai cattolici fu vietato la
partecipazione alla vita politica dello stato-nazione liberale tramite decreto papale. Infatti, fu solo dopo il
collasso della democrazia e il periodo fascista interbellico che la chiesa cattolica accetto pienamente la
democrazia.

La rivoluzione industriale produsse due ulteriori fattori (fine XIX sec)

Frattura città-campagna
La prima fattura i guardava il contrasto tra interessi rurali terrieri (agricoltura) e la classe in ascesa degli
imprenditori industriali e commerciali. Questa frattura ruotava intorno alle politiche commerciali: gli
agricoltori auspicavano barriere commerciali per la protezione dei prodotti agricoli (protezionismo), mentre
gli industriali prediligevano il libero mercato e la liberalizzazione degli scambi con basse tariffe
(liberalismo). Questa frattura fu rinforzata dalle differenze culturali tra campagna e centri urbani, dove ci
concentravano le industrie.
I settori deboli dell'economia tendono a essere protezionisti a causa della minaccia delle importazioni,
mentre i settori forti preferiscono l'apertura delle frontiere economiche in modo da favorire le esportazioni
(Rogowski 1989).
L'agricoltura era minacciata dal progresso tecnologico e dalla crescita della produttività. A difesa degli
interessi agrari - nel momento in cui la popolazione contadina ottenne il diritto di voto - trovo espressione
nei partiti agrari grandi o piccoli esistevano ovunque in Europa.
Il secondo dopoguerra vide sia il declino, sia la trasformazione, di questi partiti. Da un lato, nella maggior
parte dei paesi i partiti dei contadini scomparvero. Dall'altro lato, i grandi partiti agrari del Nord e dell'Est
Europa abbandonarono la piattaforma agraria e si trasformarono in partiti del centro.

Frattura lavoratori-datori di lavoro


Questa è la frattura tra la borghesia imprenditoriale industriale, che avvio la rivoluzione industriale, e la
classe lavoratrice che si formò in seguito a essa. E l'opposizione tra "capitale" e "lavoro" che, fino a oggi, ha
caratterizzato l'allineamento sinistra-destra.
L'industrializzazione ebbe un impatto molto profondo sulle società occidentali.
Cambiò radicalmente il modo di produzione, portando a livelli di mobilità geografica senza precedenti con
l'urbanizzazione (lo spostamento di persone dalla campagna ai centri industriali urbani), e trasformo le
strutture famigliari. Le condizioni di vita nei centri industriali erano pessime; fu dunque semplice mobilitare
i lavoratori attraverso i sindacati, con il socialismo che forniva un'ideologia unificante. Con l'estensione dei
diritti di voto, i partiti socialdemocratici e laburisti conquistarono la rappresentanza parlamentare.
I partiti socialisti si batterono per la protezione del lavoro contro l'economia capitalista. Hanno promosso i
diritti sociali e le prestazioni dei sistemi di welfare in aggiunta ai diritti civili e politici, e una sostanziale
equiparazione delle condizioni di vita oltre l'uguaglianza giuridica formale. Queste rivendicazioni
riguardavano il lavoro minorile e femminile, i salari, gli orari di lavoro, la sicurezza del contatto, la
protezione nel luogo di lavoro o durante periodi di disoccupazione o malattia.
I socialisti sostenevano politiche nomi che basate su un forte intervento dello stato per dirigere l'economia
e investimenti pubblici contro l'ideologia liberale del libero mercato.

La rivoluzione sovietica del 1917 produsse una frattura in seno al movimento dei lavoratori.

Frattura comunismo-socialismo
In seguito alla 1GM e alla rivoluzione russa che condusse alla nascita dell'Unione sovietica e al regime a
partito unico controllato dal partito comunista, in tutti i paesi si formarono partiti comunisti in seguito a
scissioni dai partiti socialisti. La questione principale fu il riconoscere o meno il ruolo-guida del partito
comunista sovietico all'interno del movimento rivoluzionario internazionale, oltre a differenze ideologiche,
nello specifico riguardo al fatto se una rivoluzione fosse necessaria per portare il proletariato al potere,
oppure se questo obbiettivo avrebbe potuto essere raggiunto tramite le elezioni.

La rivoluzione post-industriale (Bell 1973) creo fatture più recenti

Frattura materialismo-post-materialismo
Una frattura tra generazioni su una serie di valori socio-politici emerse negli anni 60 e 70 del XX secolo,
come conseguenza del prolungato periodo di pace internazionale, benessere economico e sicurezza
interna, cominciato a partire dalla fine della 2GM.
Le coorti più giovani svilupparono "valori post-materialisti" incentrati su tolleranza, uguaglianza,
partecipazione, libertà di espressione, rispetto per l'ambiente, commercio equo a livello internazionale,
pace e solidarietà verso il terzo mondo; in opposizione ai valori "materialisti" della generazione della
guerra, che ruotavano attorno ai temi della sicurezza nazionale, di "legge e ordine", del pieno impiego,
della protezione della proprietà privata ecc.
Questi nuovi valori si espressero in primo luogo in un certo numero di nuovi movimenti sociali: il
movimento per i diritti civili negli USA negli anni 50 del XX secolo, il pacifismo con la guerra del Vietnam
negli anni 70, il femminismo negli anni 70, che rivendicava la parta nel mercato del lavoro e nella famiglia, e
l'ambientalismo negli anni 80. Negli anni 90, i nuovi movimenti anti-globalizzazione si svilupparono contro
la globalizzazione dell'economia e l'americanizzazione della cultura.

Frattura società aperte-chiuse


La globalizzazione economica ha creato un'ulteriore frattura post-industriale, tra settori dell'economia che
traggono vantaggio dell'indebolimento dei confini economici nazionali e settori che risentono
negativamente della competizione con nuovi mercati e del costo del lavoro più basso nell'est e nell'Asia. I
"perdenti" della globalizzazione e dell'integrazione hanno rafforzato il sostengo a partiti protestatari neo-
populisti, che sostengono la necessità di barriere commerciali per proteggere la manifattura locale e
politiche del tipo "il locale per primo" nel mercato del lavoro. Questi gruppi sono le piccole e medie
imprese, i lavoratori non qualificati, gli artigiani e i produttori agricoli.

Variazioni nelle costellazioni delle fratture


Le costellazioni delle fratture cambiano nello spazio (da paese a paese) e nel tempo.

Spazio
Non tutte le fratture esistono in tutti i paesi. C'è una varietà di costellazioni e, quindi, di sistemi di partito.
La frattura destra-sinistra esiste ovunque ed è una fonte di analogia, la frattura stato-chiesa si è sviluppata
soprattutto nei paesi cattolici in Europa e in America Latina. La frattura città-campagna era forte nella
regione con piccola proprietà terriera e unità indipendenti, dove i contadini non erano sotto il controllo dei
latifondisti. La frattura centro-periferia appare dove vi sono minoranze etnico-linguistiche.

Le costellazioni delle fratture che caratterizzano specificamente i singoli paesi sono quindi determinate da:
• Differenze nei fattori oggettivi, come strutture sociali diverse; molteplicità di gruppi etnici o religiosi,
struttura della proprietà terriera e relazioni di classe
• La misura in cui le divisioni socio-economiche e culturali sono state politicizzate dai partiti, cioè per
iniziativa delle élite.
• La relazione tra fratture: la loro esistenza e la loro forza può impedirne lo sviluppo di nuove

Ci sono costellazione omogenee, dove c'è un frattura predominante, ossia la frattura sinistra-destra (per ex.
negli USA), e costellazioni eterogenee, nelle quali varie fratture - economica, etnico-linguistica, religiosa,
territoriale - si sovrappongono o si intersecano l'un l'altra, come nelle democrazie plurali quali Belgio,
Canada, India, Paesi Bassi e Svizzera.

Tempo
Dagli anni 20 del XX secolo in avanti, i sistemi di partito sono rimasti straordinariamente stabili. Fino a oggi,
anche le denominazioni dei partiti non sono cambiate (liberale, socialista, conservatore), come una sorta di
impronta politica che si è cristallizzata. Lipset e Rokkan hanno formulato la cosiddetta ipotesi del
"congelamento".
I sistemi di partito odierni riflettono i conflitti originari dai quali presero forma, malgrado il declino della
politica delle fratture conseguente all'attenuazione delle divisioni sociali (Franklin 1992).
Negli anni 20 del XX secolo, la mobilitazione totale del mercato elettorale attraverso il suffragio universale e
la rappresentanza proporzionale causarono la sua saturazione. Gli elettori acquisirono identità politiche
forti, attraverso l'identificazione partigiana e processi di socializzazione che si dimostrano stabili nel corso
del tempo. Come in tutti i mercati, anche nel recato elettorale ci sono barriere all'entrata. Poco spazio e era
rimasto per nuovi partiti. I partiti esistenti erano così in grado di mantenere il proprio controllo sugli
elettorati di generazione in generazione.

LA MORFOLOGIA DEI SISTEMI DI PARTITO


L'interazione competitiva tra partiti dipende dalla forma dei sistemi partitici. I due elementi principali della
morfologia dei sistemi partitici sono:

(1) il numero di unità in competizione, cioè i partiti e


(2) la dimensione di queste unità

Il numero e la forza degli attori possono essere osservati a due livelli: i voti che i partiti ottengono alle
elezioni e i seggi in parlamento. Una "variabile" che deve essere considerata è, perciò, il sistema elettorale
attraverso il quale i voti sono tradotti in seggi parlamentari.
Due tipi di sistemi partitici non sono considerati in questo paragrafo, perché non soddisfano le condizioni
democratiche che consentono la competizione:
- i sistemi a partito unico, nei quali un solo partito è legale: essi corrispondono alle esperienze totalitarie e
autoritarie del partito comunista nell'Unione sovietica e nella Cina odierna, del partito nazionalsocialista in
Germania negli anni 30 del XX secolo, oppure del partito baathista in Iraq al 1993 e in Siria
- I sistemi a partito egemonico, nei quali vi sono anche altri partiti legali, ma si tratta di partiti "satellite",
sotto lo stretto controllo del partito egemonico: per esempio i sistemi totalitari e autoritari che si erano
affermati in Egitto e in Tunisia sino alla primavera arabe, e in molti regimi comunisti prima del 1989, in
Europa centrale e orientale.

Gli altri quattro tipi sono:


1. I sistemi a partito dominante
2. I sistemi bipartitici
3. I sistemi multi partitici
4. I sistemi bipolari

Sistemi a partito dominante


I sistemi a partito dominante sono caratterizzati da un grande partito, che dispone di un'ampia
maggioranza, al di sopra della soglia della maggioranza assoluta del 50 per cento dei seggi, per lunghi
periodi di tempo (doversi decenni).
In questi sistemi, a tutti i partiti è consentito di competere in libere elezioni a suffragio universale per
sfidare il partito dominante. Tuttavia, nessun altro partito riceve abbastanza voti da avvicinarsi al 50
percento. Perciò, non c'è alternanza al potere e il partito dominante non ha bisogno di costruire delle
coalizioni per formare un governo.

Sistemi bipartitici
Un sistema bipartitico è un sistema in cui due grandi partiti equamente bilanciati dominano il sistema
partitico e si alternano al potere. I due partiti hanno dimensioni comparabili e uguali possibilità di vincere le
elezioni. Anche un piccolo ammontare di voti cambia da un partito all'altro (oscillazione elettorale) può
portare a un cambio di maggioranza. L'alternativa al potere è perciò frequente. Si tratta di sistemi molto
competitivi. Dato che entrambi i partiti sono grandi, è probabile che il partito vincente riceva la
maggioranza assoluta dei seggi e formi governi mono partitici senza la necessità di partner.
I due partiti più grandi hanno dimensioni simili attorno al 35-45% dei voti ciascuno, che il sistema elettorale
"plurality" trasforma in maggioranza assoluta dei seggi per il partito maggiore. Un certo numero di altri
partiti più piccoli partecipa alle elezioni. Tuttavia, sono marginali poiché non necessari per formare un
governo.
Nei sistemi bipartitici, i governi mono partitici tendono al alternarsi da una legislatura all'altra. In larga
misura, questo è un effetto di sistemi elettorali plurality. Poiché la soglia nei sistemi first-past-the-post è
molto elevata, i due principali partiti propongono politiche e programmi che sono accettabili a un'ampia
parte della società. Il sistema plurality conduce alla moderazione ideologica e alla somiglianza dei
programmi. A sua volta, questa somiglianza rende più facile agli elettori cambiare da un partito all'altro
portando così all'alternanza.

Sistemi multipartitici
I sistemi multipartitici sono i sistemi di partito più frequenti - e anche quelli più complessi. In un sistema
multipartitico, il numero di partiti varia da 3 a più di 10.
Nessuno dei partiti in un sistema multipartitico è maggioritario (ottiene più del 50% di voti o seggi). Inoltre,
i partiti che compongono un sistema multipartitico sono di dimensioni differenti: alcuni sono grandi (per ex.
il 30% dei voti), alcuni piccoli (meno del 5%).
Poiché nei sistemi multipartitici nessun partito singolarmente ha una maggioranza assoluta, i partiti devono
formare colazioni per sostenere un governo.
Nei sistemi parlamentari, il voto di fiducia richiede una maggioranza assoluta superiore al 50% dei seggi. I
partiti corrono da soli alle elezioni (contrariamente ai sistemi bipolari) e le coalizioni governative sono
negoziate una volta che i risultati elettorali sono stati resi noti.
Diversamente dal sistema plurality con collegi uninominali, i sistemi proporzionali non impediscono ai
piccoli partiti di rivolgersi a ristretti segmenti dell'elettorato, talvolta attraverso ideologie e programmi
estremi.
Perciò i sistemi appropriazione lì non conducono alla moderazione ideologica, il che a sua volta, rende più
difficile agli elettori il passaggio da un partito all'altro e determinare un cambiamento di governo. Inoltre m
il sistema proporzionale non produce un effetto "amplificazione" delle oscillazioni elettorali come fa il
plurality. Di conseguenza il cambio di governo ha luogo raramente per via elettorale ma piuttosto con il
cambiamento dei partner di coalizione.
Mentre si ritiene che i sistemi multipartitici rappresentino meglio il pluralismo in paesi con fratture
religiose, territoriali ed etnico-linguistiche, i loro aspetti aspetti negativi si sono palesati fin dalla 2GM. I
sistemi multipartitici sono stati ritenuti responsabili di instabilità, frequenti crisi si coalizione, e scarsa
rispondenza nei confronti dei cittadini, con nessun singolo partito chi amaramente responsabile del proprio
operato. I sistemi proporzionali e multipartitici sono anche ritenuti causa di mancanza di moderazione
ideologica per le stesse ragioni per cui sono particolarmente adatti a garantire un'ampia rappresentanza
(Powell 2000).
Gli studi sulle democrazie consensuali hanno mostrato che i sistemi multipartitici sono stabili, funzionanti e
pacifici. Nelle società plurali, sistema proporzionale e sistemi multipartitici sono una strada percorribile per
coinvolgere e minoranze nei processi decisionali e per raggiungere il consenso.
Il modo in cui i sistemi multipartitici funzionano dipende aria mente dal grado in cui i partiti sono polarizzati
da un punto di vista ideologico. Sartori (1976) ha distinto due principali tipi di sistemi multipartitici.

Sistemi multipartitici moderati


Il funzionamento è simile a quello dei sistemi bipartitici. Il numero di partiti è limitato (sotto 5) e la
direzione della competizione è centripeta, ossia, i principali partiti tendono a convergere verso il centro
dell'asse sinistra-destra per attrarre il sostegno dell'elettorato moderato. Al centro vi sono uno o più partiti
piccoli con i quali i due partiti grandi su ciascun lato dell'asse possono formare una coalizione. Il ruolo di
questi piccoli partiti è "pivotale" nella misura in cui possono decidere se la coalizione sarà di centro-sinistra
o centro destra. La distanza ideologica tra partiti è limitata così che tutte le coalizioni sono possibili.

Sistemi multipartitici polarizzati


Vi sono 3 caratteristiche principali nei sistemi polarizzati.
1. In primo luogo vi è una grande distanza ideologica tra i partiti. Partiti antisistema estremi mirano non
solo a cambiare governo, ma anche il sistema di governo (il regime). Questi partiti non condividono i
principi del sistema politico e mirano a cambiarne le istituzioni (Capoccia 2002). Quindi non tutte le
coalizioni sono fattibili: alcuni partiti sono perpetuamente esclusi e in costante opposizione.
2. In secondo luogo, c'è un partito principale posto al centro dell'asse sinistra-destra, che rappresenta il
"sistema" a cui i partiti estremi antisistema si oppongono. Dal momento che è perpetuamente al potere, il
partito di centro diventa irresponsabile e non rendicontabile nella sua azione di governo. Tale partito non è
punito elettoralmente a causa dell'assenza di alternative praticabili.
3. Infine, l'occupazione del centro da parte del partito principale scoraggia un ovvie tono centripeto da
parte degli altri partiti. Di conseguenza c'è una divergenza è la competizione è centrifuga.

Esempi di sistemi multipartitici polarizzati sono la repubblica di Weimar in Germania dal 1919 al 1933, e
l'Italia tra il 1946 e il 1992.

Sistemi bipolari
I sistemi di partito bipolare combinano elementi sia dei sistemi multipartitici sia dei sistemi bipartitici.
Come nei sistemi multipartitici, vi sono molti partiti, nessuno dei quali ha la maggioranza. E anche in questo
caso i governi di coalizione sono la regola. Tuttavia le coalizioni, piuttosto che i singoli partiti, sono i
giocatori chiave. Queste si formano prima delle elezioni e competono come alleanze elettorali. Rimangono
stabili nel corso del tempo. Solitamente vi sono due partiti di dimensioni simili che si alternano al potere.
Perciò la competizione assomiglia a quella dei sistemi bipartitici.

Il numero di partiti
Il numero dei partiti è importante. Vi sono due modi di contare i partiti:

1) Numerico, tramite indici basati sulla dimensione dei partiti

2) Qualitativo, tramite regole basate sul ruolo dei partiti nel sistema

Regole numeriche
Gli indici più utilizzati sono l'indice di frazionalizzazione di Rae (1971) e il numero effettivo dei partiti
(Laasko e Taagepera 1979).
L'indice di frazionalizzazione (F) varia da zero (piena concentrazione dei seggi o voti in un unico partito) a
uno (frammentazione totale con ciascun seggio o voto che va a un partito differente). In numero effettivo
dei partiti (E) indica il numero di partiti in un sistema e non ha un limite superiore.

Regole quantitative
In molti casi non è appropriato ossiderete solo criteri numerici per decidere se un partito sia o meno
rilevante. Spesso i piccoli partiti, che sarebbero considerati poco importanti in base a regole quantitative,
hanno notevole importanza per le coalizioni, influenzando decisioni importanti. In molti casi i piccoli partiti
sono molto più rilevanti di quanto la loro semplice dimensione suggerirebbe. Sartori (1976) ha sviluppato
due criteri per decidere quali partiti realmente "contino" e dovrebbero pertanto essere "contati".

1. Potenziale di coalizione: un piccolo partito è irrilevante se lungo un certo periodo di tempo non è
necessario per nessun tipo di governo di coalizione. Al contrario un partito deve essere tenuto di conto se,
a prescindere dalla sua dimensione, è pivotale e determina de una coalizione si formerà o meno, e quale.

2. Potenziale di ricatto: un piccolo partito deve essere considerato rilevante quando è in grado di esercitare
pressione sulle decisioni governative attraverso minacce e veti.

L'influenza delle leggi elettorali sulla struttura dei sistemi di partito


Cause che determinano il variare del numero di partiti e della loro dimensione:
- fratture presenti nella società
- sistema elettorale

I sistemi elettorali sono meccanismi per la traduzione delle preferenze in voti, e dei voti in seggi
parlamentari.
Ci sono due principali "famiglie" di sistemi elettorali:
1. Sistemi maggioritari in collegi uninominali
2. Sistemi proporzionali in circoscrizioni plurinominali

La prima e più nota formulazione della relazione causale esistente tra sistema elettorale e sistema di
partito è quella delle leggi di Duverger, tratte da "Les Partis Politiques" (1951).

Le due leggi sono semplici:


- i sistemi elettorali plurality o maggioritari favoriscono l'affermazione di sistemi bipartitici,
- mentre i sistemi proporzionali conducono a sistemi multipartitici.

Questa relazione causale tra sistemi elettorali e partitici è dovuta a due diversi tipi di effetti.
Gli effetti meccanici si riferiscono alla formula usata per tradurre i voti in seggi.
Nei collegi uninominali vincere l'unico seggio in palio è difficile. Solamente il partito con il maggior numero
di voti ottiene il solo seggio in palio. Il secondo, terzo, quarto partito e così via, non ottengono alcun seggio
(first-past-the-post). La soglia è alta e tutti i partiti, tranne il primo, sono eliminati.
Con il sistema proporzionale, al contrario, in ciascuna circoscrizione plurinominale un certo numero di seggi
è allocato in proporzione ai voti. Il numero complessivo dei partiti che entrano in parlamento è elevato.
Gli effetti psicologici si riferiscono al comportamento di elettori e partiti.
1. dal lato della domanda (elettori), nei sistemi elettorali in cui solo i partiti maggiori hanno una possibilità
di vincere dei seggi, gli elettori tendono a votare strategicamente (scegliendo non necessariamente il loro
primo partito in ordine di preferenza), per evitare di disperdere voti su piccoli partiti senza speranze di
ottenere seggi. Far convergere i voti sui grandi partiti riduce il loro numero complessivo. Al contrario, con i
sistemi proporzionali, nei quali anche i piccoli partiti possono vincere seggi, gli elettori votano sinceramente
(esprimendo la loro preferenza) poiché il loro voto non è sprecato. Ciò incrementa il voto per i piccoli
partiti e, quindi, il loro numero complessivo.
2. Dal lato dell'offerta (partiti), con il plurality i piccoli partiti hanno un incentivo a fondersi per accrescere
le loro possibilità di superare la soglia, riducendo così il numero dei partiti. Al contrario, con i sistemi
proporzionali i partiti non hanno incentivi a fondersi: possono sopravvivere da soli e i piccoli partiti
cespuglio non sono penalizzati. Ciò incrementa il numero complessivo dei partiti.

Rae (1971), Riker (1982) e Sartori (1986) hanno messo in discussione queste leggi, chiedendosi se l'effetto
riduttivo di sistemi elettorali maggioritari operi a livello di circoscrizione o a livello nazionale.
A livello di circoscrizione, la soglia elevata riduce il numero dei partiti.
La questione è: in quali condizioni l'effetto riduttivo del first-past-the-post a livello di circoscrizione si
riverbera anche sul numero di partiti a livello nazionale? La risposta è: i sistemi elettorali maggioritari
producono sistemi bipartitici a livello nazionale solo se i partiti sono "strutturati sul piano nazionale", ossia
ricevono un sostegno omogeneo in tutte le circoscrizioni (Cox). Se vi sono partiti con un consenso
territorialmente concentrato, ciò porta alla frammentazione del sistema partitico nazionale.
Con il plurality, un partito che è piccolo a livello nazionale può essere forte in specifiche regioni e così
vincere seggi e creare frammentazione nel parlamento nazionale. Se molti partiti sono territorialmente
concentrarti, la frammentazione nazionale è maggiore.
Dove vi sono i sistemi plurality si è avuta una riduzione del numero dei partiti. I sistemi plurality distorcono
i voti dei partiti quando li traducono in seggi poiché:

1. Sovvrapresentano i grandi partiti (la quota di seggi per i grandi partiti è superiore alla loro quota di voti
2. Sotto presentano i piccoli partiti

Il livello empirico di (dis)proporzionalità tra voti e seggi si può misurare usando l'indice di disproporzionalita
dei quadrati più piccoli o LSq

LSq:

I sistemi proporzionali hanno a loro volta un effetto riduttivo sul numero dei partiti se l'ampiezza delle
circoscrizioni è ridotta. L'ampiezza di riferisce al numero di seggi allocati in una determinata circoscrizione.
Tanto maggiore è l'ampiezza, quanto più elevata sarà la proporzionalità tra voti e seggi. Se l'ampiezza è
ridotta, i pochi seggi in palio vanno a pochi partiti di dimensioni maggiori.

IL FUNZIONAMENTO DEI SISTEMI DI PARTITO


Diversi autori hanno sviluppato analogie fra la competizione elettorale e la competizione di mercato. Nel
mercato elettorale, i partiti e i candidati competono per "quote" dell'elettorato, così come accade nel
mondo economico, dove le imprese competono per quote di mercato. I partiti sono organizzazioni il cui
movente principale è la massimizzazione dei voti e lo scambio tra rappresentati e rappresentanti è simile a
quello tra domanda e offerta in economia.

L'analogia di mercato
Una teoria economica della democrazia di Anthony Downs (1957), in questo modello gli attori (partiti ed
elettori) sono razionali.
I partiti determinano le loro strategie formulando delle piattaforme con l'obbiettivo di massimizzare i voti
ed essere eletti o rieletti al governo. I partiti agiscono in base ai propri interessi per conquistare delle
cariche pubbliche. Come le imprese nel mercato economico, sono interessati a fare profitti (monetari nel
mercato economico, di voti in quello elettorale). Per massimizzare i voti i partiti offrono programmi.
Gli elettori, come i consumatori, hanno di fronte alternative che mettono in ordine dalla più alla meno
preferita per poi scegliere l'alternativa che si piazza più in alto di tutte. Gli elettori compiono una scelta
razionale votando per partiti i cui programmi sono più vicini alle loro preferenze di policy, perché
corrispondono ai loro interessi o ai loro allori e orientamenti morali. Gli elettori votano sulla base della
prossimità tra le proprie preferenze e le posizioni dei partiti; per far ciò essi devono sapere quali sono le
proposte alternative provenienti da partiti differenti, cioè devono essere informati riguardo alle loro
possibili scelte.
Da un lato i cittadini razionali votano sulla base di un calcolo auto interessato come i consumatori che
confrontano i benefici derivanti da diversi "pacchetti di prodotti". Dall'altro lato, i partiti sono come
imprese che competono per i consumatori. Essi stabiliscono ciò che "piace" alla gente così da poter
vendere di più. Seguendo una logica di offerta e domanda, i partiti offrono politiche che gli elettori possono
scegliere di "comprare" o meno. Una volta eletti, i partiti cercano la rielezione attraverso politiche capaci di
attrarre larghi segmenti dell'elettorato.
L'obbiettivo dei partiti è di massimizzare l'utilità in termini di voti; l'obbiettivo degli elettori e di
massimizzare l'utilità attraverso politiche che vadano incontro ai loro interessi e valori.

L'analogia spaziale
Il secondo elemento che Downs "importo" dai modelli economici della competizione è quello della
rappresentazione spaziale. In particolare, Downs adatto i modelli della dinamica competitiva tra imprese,
per cui le imprese collocano le proprie sedi basandosi sulla distribuzione fisica della popolazione.
Modello di Hotteling (1929) → ottimizzare il proprio posizionamento
Un elemento aggiuntivo introdotto da Smithies (1941) riguarda l'elasticità della domanda.
In questi modelli, ci sono perciò due elementi dinamici:
1. Il movimento causati dalla ricerca del posizionamento ottimale e
2. La scomparsa di nuovi concorrenti in spazi lasciati scoperti
L'equilibrio è raggiunto quando nessun concorrente ha interesse a cambiare la propria ospizio e lungo
l'asse della competizione.

Il modello di Downs
Attraverso L'analogia spaziale tra spazio fisico e ideologico, Downs importa queste analisi negli studi sulle
dinamiche dei sistemi di partito. La maggior parte degli elementi è mantenuta:

(1) l'unidimensionalita dello spazio politico

(2) il principio secondo cui i costi sono ridotti scegliendo l'opzione più vicina (prossimità)

(3) La ricerca da parte dei concorrenti della migliore ubicazione attraverso una convergenza il centro.

Downs rappresento lo spazio ideologico attraverso una scala da 0 a 100 che andava da sx verso dx.
Sia Hotteling sia Smithies avevano precedentemente applicato modelli spaziali alla politica attraverso
analogie con lo spazio ideologico e furono in grado di predire che i partiti tendono a convergere l'uno verso
l'altro nello sforzo di conquistare gli elettori a metà strada, presentando per questo motivo programmi e
politiche sempre più simili. Downs aggiunge un elemento cruciale a questi modelli: la distribuzione variabile
degli elettori lungo il continuum sx-dx.
Gli elettori non sono distribuiti regolarmente lungo la scala, ma si concentrano in particolari posizioni
ideologiche, ossia attorno al centro.

TIPI DI DISTRIBUZIONI DEI VOTANTI


Tipo A:
Se si assume una distribuzione normale (oppure "a forma di campana") dell'elettorato con molti elettori al
centro della scala e pochi alle estremità, la previsione del modello è nuovamente che i partiti
convergeranno verso il centro.
Il primo elemento dinamico di questi modelli è che essi prevedono la convergenza verso il centro e la
crescente somiglianza delle piattaforme e delle azioni di policy. Questa competizione centripeta è
determinata dal desiderio dei partiti di conquistare l'elettore mediano.
Il secondo elemento dinamico consiste nella competizione centripeta che ne deriva, non solo a causa del
principio di prossimità, ma anche perché vi sono più elettori al centro.

Tipo B:
Distribuzione bi modale. Questo è un caso di polarizzazione ideologica all'interno di un sistema politico.
Perciò, la distribuzione dell'elettorato determina la direzione della competizione (centrifuga o centripeta)
Il terzo elemento della dinamica dei sistemi di partito è quello per cui al centro dell'asse sx-dx gli elettori
sono più flessibili che alle estremità, dove essi sono fortemente incapsulati in ideologie e/o organizzazioni
di partito rigide. Gli elettori "disponibili", collocati al centro, sono meno ideologizzati e hanno identificazioni
partitiche più deboli. Questi elettori sono pronti s cambiare le proprie opinioni e, perciò sono molto
appetibili per i partiti che cercano di "sedurli".

L'applicazione più ampia dei modelli di scelta razionale


Quali sono i legami di questi modelli con altri aspetti dei partiti e dei sistemi di partito?
In primo luogo, i modelli di scelta razionale aiutano a interpretare la trasformazione delle organizzazioni di
partito da partiti di massa a partiti pigliatutto.
In secondo luogo, questi modelli aiutano anche a interpretare i fenomeni di disallineamento, cioè
l'allenamento della relazione tra partiti e specifici segmenti della società. La competizione centripeta e la
massimizzazione dei voti conducono i partiti a rendere più vaghi i loro programmi e e le loro ideologie per
ottenere il sostegno di altri gruppi. Ciò indebolisce la connessione fra gruppi sociali e partiti e determina
una maggiore propensione a cambiare voto da un'elezione all'altra.
In terzo luogo, questi modelli possono essere applicati da un punto di vista storico al processo di
allargamento del suffragio e di democratizzazione.
In entrambi i tipi A e B, le distribuzioni dell'elettorato sono simmetriche. Nel Tipo C, al contrario abbiamo
una distribuzione inclinata. Questa è una situazione tipica da elettorato ristretto del XIX secolo, quando le
classi inferiori erano escluse dal voto. I processi di allargamento del suffragio e democratizzazione
cambiarono la forma della distribuzione delle preferenze degli elettori come rappresentato dalla curva
tratteggiata, rendendola più simile a una curva normale. Questa nuova distribuzione spiega l'emergere e di
nuovi partiti C e/o D di "origine esterna".
I sistemi multipartitici si sviluppano quando la distribuzione dell'elettorato è plurimodale, con più di uno o
due picchi (Tipo D). Con distribuzione degli elettori di questo tipo, la dinamica della competizione non è
centripeta. I partiti esistenti non hanno incentivi a convergere verso il centro. Perciò e meno probabile che i
partiti si assomiglino ideologicamente di quanto non accada nei sistemi bipartitici.

L'analisi spaziale empirica


In conclusione, il fattore determinate cruciale è la distribuzione dell'elettorato. Se conosciamo la forma
della curva, possiamo prevedere il comportamento dei partiti. Tuttavia, conoscere che tipo di forma abbia
la distribuzione degli elettori e in quale posizione si collochino i partiti è una questione di ricerca empirica.
Come possiamo misurare questi due aspetti?
In primo luogo, la distribuzione delle preferenze degli elettori può essere misurata empiricamente
attraverso sondaggi in cui, sulla base di domande e parametri, i rispondenti sono invitati a posizionarsi, per
esempio, lungo l'asse dx-sx.
In secondo luogo, la posizione dei partiti può essere misurata empiricamente attraverso due mezzi
principali. Il più importante sono i dati testuali.
A dispetto delle critiche, i modelli spaziali consegnato una loro utilità. In tutti gli elettorati, un certo numero
di elettori è pronto a cambiare il proprio voto. Questo è un elettorato disponibile, attorno al quale ruota la
competizione e sul quale questi modelli si concentrano. Tale elettorato è composto da elettori d'opinione,
cioè che si basano su specifici interessi, valori e opinioni, piuttosto che da elettori identitari che si basano su
fattori socio-economici e d'identificazione.
8. ELEZIONI E REFERENDUM
INTRODUZIONE
Le elezioni e i referendum sono le due opportunità principali che i cittadini hanno di esprimere le proprie
preferenze attraverso un voto.
Le elezioni si svolgono per assegnare i seggi (rappresentanti) in un parlamento o in qualche altra istituzione
rappresentativa.
I referendum sono voti su una questione specifica (di policy) da approvare o respingere

ELEZIONI E SISTEMI ELETTORALI


Le elezioni sono una caratteristica pressoché universale della politica moderna. Nelle democrazie liberali
moderne, le elezioni sono l’istituzione rappresentativa centrale che crea un collegamento tra il popolo e i
suoi rappresentanti. Per la maggior parte, le decisioni che riguardano noi tutti vengono prese da un piccolo
numero di individui, come i parlamentari, i ministri del governo, oppure i presidenti, talvolta definiti
collettivamente come la “classe politica”. La ragione per cui noi consideriamo questo stato delle cose come
legittimo piuttosto che una sconcertante usurpazione dei nostri diritti è che i membri della classe politica
non ci vengono semplicemente imposti; al contrario sono eletti da noi per essere i nostri rappresentanti
politici. Inoltre essi dovranno affrontare la rielezione e quindi potranno essere destituiti, se non ci
soddisfano, nella successiva tornata elettorale. Un regime i cui leader non sono eletti e non sono soggetti al
requisito della regolare rielezione non può essere considerato democratico.
Sistema elettorale → insieme delle regole che strutturano il modo in cui i voti sono espressi alle elezioni e
come questi voti sono poi convertiti nell’assegnazione di cariche.

Forme di regolamentazione del voto


Generalizzando un po’, nella prima metà del XIX secolo la nobiltà terriera di sesso maschile costituiva la
massa dell’elettorato (coloro che hanno diritto a votare), ma dalla metà del secolo il diritto di voto fu
gradualmente esteso alla componente maschile della crescente classe media.
Intorno alla fine del secolo, ulteriori progressi fecero sì che i maschi delle classi lavoratrici conseguissero il
diritto di voto prima dello scoppio della 1GM. La battaglia per assicurare gli stessi diritti per le donne durò
più a lungo e, in particolare in alcuni paesi prevalentemente cattolici come la Francia e l’Italia, le donne non
ottennero il voto fino a dopo la 2GM. L’età del voto fu ridotta progressivamente nel corso del XX secolo e
nella maggior parte dei paesi oggi è fissata a 18 anni.
Votare è generalmente un atto volontario, benché in alcuni paesi sia obbligatorio.
Dato che l’affluenza alle urne nella maggior parte dei paesi è legata allo status socio-economico, è stato
sostenuto che rendere obbligatorio il voto aiuterebbe a eliminare il “grosso divario di voto sulla base dello
status socio-economico”.

Sistemi elettorali
Le principali categorie dei sistemi elettorali
Vi sono molti modi in cui classificare i sistemi elettorali, il più immediato dei quali si riferisce all’ampiezza
delle circoscrizioni in cui i seggi sono allocati (una circoscrizione è l’area geografica nella quale il paese è
diviso per finalità elettorali).
Possiamo iniziare con la distinzione fra sistemi basati su circoscrizioni plurinominali, nelle quali i seggi sono
suddivisi fra partiti in proporzione alle loro quote di voto, e quelli basati su collegi uninominali, nelle quali il
partito più forte in ogni collegio vince il seggio i primi sono spesso denominati sistemi a rappresentanza
proporzionale, mentre i secondi sono denominati sistemi maggioritari.
Sistema maggioritario uninominale
Il sistema più semplice di tutti è il maggioritario uninominale, o plurality, conosciuto come first-past-the-
post (perché chi ottiene più voti vince il collegio). Qui gli elettori semplicemente tracciano un segno di
fianco al candidato scelto e il seggio è poi assegnato al candidato che riceve il maggior numero di voti (ossia
una maggioranza relativa, o plurality). Questo sistema è usato in alcune delle più grandi democrazie del
mondo come l’India, gli USA, UK e il Canada

Voto alternativo
Gli elettori hanno la possibilità di ordinare i candidati. Il processo di conteggio è un po’ più complicato.
Se i voti di un candidato ammontano a una maggioranza di tutti voti espressi, quel candidato si considera
eletto. In caso contrario, il candidato in ultima posizione è eliminato dal conteggio e le sue schede sono
redistribuite secondo la preferenza espressa su di esse. Il processo di conteggio continua, con successive
eliminazioni del candidato meno votato e con il trasferimento dei suoi voti ai candidati rimanenti, finché un
candidato raggiunge una maggioranza assoluta dei voti.
Di conseguenza il voto alternativo è considerato un sistema maggioritario, dato che al suo vincitore è
richiesta una maggioranza assoluta dei voti nell’ultima fase, mentre sotto il maggioritario uninominale è
sufficiente una maggioranza relativa.
Il sistema del voto alternativo è utilizzato in Australia ma assai meno frequente altrove.

Sistema a doppio turno


Un altro modo di assegnare un singolo seggio è tramite il sistema a doppio turno: se nessun candidato
conquista una maggioranza assoluta dei voti nel primo turno, ha luogo un secondo turno al quale solo certi
candidati (i primi due, oppure coloro che superano una certa percentuale dei voti) sono ammessi, e
chiunque conquisti il maggior numero di voti è il vincitore.
Questi tre sistemi differiscono tra loro, però sono tutti basati su collegi uninominali.

Rappresentanza proporzionale
La rappresentanza popolare ha l’obiettivo di allocare a ciascun partito la stessa quota di seggi che ha
conquistato a livello di voti. Il modo più semplice per ottenere ciò sarebbe quello di trattare l’intero paese
come un’unica grande circoscrizione. Ciò garantisce un livello elevato di proporzionalità, termine con cui
intendiamo la precisione con la quale la distribuzione dei seggi in parlamento riflette la distribuzione dei
voti.
Più comunemente, il paese è diviso in un numero di circoscrizioni più piccole, ciascuna delle quali elegge in
media 5,10, oppure 20 membri del parlamento. I seggi sono, quindi, attribuiti proporzionalmente
all’interno di ciascuna circoscrizione, ma non può essere garantito che il livello complessivo di
proporzionalità sarà così alto come quando vi è una sola circoscrizione nazionale.
Ci sono metodi differenti per attribuire i seggi proporzionalmente all’interno di ciascuna circoscrizione.
Ci sono sistemi di lista perché ciascun partito presenta una lista di candidati agli elettori, e sistemi misti. In
questo caso, tipicamente l’elettore esprime due voti: uno per un membro del parlamento nella
circoscrizione locale e uno per una lista di partito.
L’allocazione dei seggi di lista varia a seconda che la componente circoscrizionale e quella di lista delle
elezioni siano integrate o separate .
Nel primo caso, il sistema è noto come un sistema misto compensativo.
Se la parte di lista e la parte circoscrizionale dell’elezione sono separate si avrà un sistema misto parallelo.

Le dimensioni della variazione


Vi sono molti sistemi elettorali differenti, ma essi variano rispetto a un limitato numero di dimensioni. 3
sono particolarmente importanti.
1. Ampiezza della circoscrizione: ossia il numero di membri del parlamento eletti da ogni circoscrizione
2. Grado di scelta infra-partitica: la misura in cui gli elettori sono in grado di decidere quali dei candidati di
partito esprimano i seggi che il partito conquista.
3. Soglia di sbarramento: difficoltà di vincere dei seggi

Ampiezza della circoscrizione


Varia da uno dei paesi che impiegano i collegi uninominali, fino all’intera dimensione del parlamento in
quegli stati nei quali l’intero paese è un’unica grande circoscrizione. Tanto più è elevata l’ampiezza media
della circoscrizione, quanto più possiamo attenderci che il risultato delle elezioni sia proporzionale. Quando
vi sono più seggi da ripartire, è più semplice ottenere una distribuzione “equa”, mentre quando vi è un solo
seggio il partito più grande nella circoscrizione lo conquista e gli altri partiti non ricevono nulla

Scelta infra-partitica
Quanto è ampia la scelta infra-partitica tra i candidati garantita dal sistema elettorale?
Nei sistemi uninominali non c’è scelta infra-partitica per la semplice ragione che nessun partito schiera più
di un candidato.
Con i sistemi a rappresentanza proporzionale, il grado di scelta varia.
Alcuni sistemi di lista non offrono scelta infra-partitica; questi sono basati su quelle che sono denominate
liste chiuse, dove il partito determina l’ordine dei suoi candidati sulla lista e gli elettori non possono
modificarlo. In un tale sistema, se il partito vince, per esempio, 5 seggi in una circoscrizione, quei seggi
vanno ai primi cinque nomi sulla sua lista, come deciso dal partito, qualsiasi cosa gli elettori pensino di
quegli individui. (Spagna, Israele, Sudafrica)
Tuttavia, altri sistemi di lista impiegano liste preferenziali o aperte, nelle quali gli elettori possono indicare
una preferenza per un singolo candidato sulla lista di partito scelta. In alcuni casi, solo i voti di preferenza
degli elettori determinano quali candidati vincono i seggi.

Soglie di sbarramento
Di solito, i sistemi elettorali includono alcune caratteristiche progettate per prevenire che partiti molto
piccolo vincano dei seggi; questo può essere giustificato per prevenire una frammentazione eccessiva delle
forze parlamentari e facilitare la formazione di governi stabili.

Origini dei sistemi elettorali


Non tutti i sistemi elettorali che i paesi impiegano oggi sono il risultato di una battaglia partigiana. Alcuni lo
sono stati, naturalmente. Tuttavia, in altri paesi vi era un grado di consenso dietro l’iniziale scelta di un
sistema elettorale.
In altri paesi ancora, il sistema elettorale non fu mai coscientemente “scelto”.

Conseguenze dei sistemi elettorali


Duverger sostenne che i sistemi plurality uninominali erano associati con un sistema bipartitico e che la
rappresentanza proporzionale era associata con i sistemi multipartitici. Come molti hanno osservato, la
relazione causale vale anche nella direzione opposta; cioè, i partiti nei sistemi bipartitici possono
conservare il sistema maggioritario uninominale in essere per impedire lo sviluppo dei rivali, mentre un
sistema multipartitico emerge con il sistema maggioritario uninominale.

REFERENDUM
Oggi il governo è un governo rappresentativo, cioè significa che la grande maggioranza delle decisioni
politiche viene presa da funzionari eletti piuttosto che dal popolo stesso. Alcuni paesi impiegano il
dispositivo del referendum, nel quale i cittadini vengono chiamati a votare su alcune questioni.
Questo non equivale alla “democrazia diretta”, si tratta semplicemente della questione se il sistema di
governo rappresentativo di base di un dato paese includa o meno disposizioni per il referendum visto come
un’istituzione entro la cornice della democrazia rappresentativa.

Tipi di referendum
Un referendum (Butler e Ranney) si ha quando “un elettorato di massa vota su una qualche questione
pubblica”. La tipologia completa di Uleri prevede diverse dimensioni, noi ne identificheremo tre delle più
importanti.

1) Un referendum potrebbe essere obbligatorio in alcune circostanze oppure opzionale.

2) Il referendum può avere luogo su richiesta o di un numero di elettori, nel qual caso lo denominiamo
iniziativa popolare, oppure su richiesta di un’istituzione politica.

3) Vi è una distinzione fra i referendum che promuovono la decisione e quelli che controllano la decisione. I
primi sono rari e sono i cosiddetti referendum plebiscitari, dove un capo autoritario avanza una proposta e
quindi indice un voto popolare per appoggiarla. Invece, i referendum che controllano la decisione, dove un
attore che si oppone a una certa proposta può chiamare in causa la popolazione come potenziale attore
con potere di veto, sono più comuni.

Qui possiamo distinguere tra iniziative o referendum abrogativi (che mirano a colpire una legge esistente o
una disposizione costituzionale) e iniziative o referendum di interdizione (che mirano a impedire che una
certa proposta diventi legge o entri nella costituzione).

Il fondamento logico del referendum


Perché usare i referendum? Naturalmente ci sono ragioni pro e contro.
Possiamo classificare le argomentazioni come legate al processo oppure agli esiti.
Le argomentazioni legate al processo, o procedurali, suggeriscono che, indipendentemente dalle decisioni
raggiunte, il fatto stesso che esse siano state raggiunte attraverso un referendum è di per sé importante;
mentre le argomentazioni legate agli esiti suggeriscono che la qualità delle decisioni può essere influenzata
dal coinvolgimento diretto degli elettori (vedi Box 8.2 pag. 277). Nel complesso è molto probabile che i
sostenitori dei referendum invochino le argomentazioni procedurali, mentre gli oppositori tendano a porre
l’accento sugli esiti.

Argomentazioni procedurali
Le due principali argomentazioni procedurali sono, primo, che certe politiche possano essere pienamente
legittimate solo tramite referendum e, secondo, che la partecipazione in un referendum sia buona in sé e,
inoltre, istruisca gli elettori sulle questioni.

1) L’argomento della legittimazione poggia sul fatto che nelle elezioni gli elettori individuali sono influenzati
da molti fattori quando esprimono il loro voto. Semplicemente perché un partito include una particolare
policy nel suo manifesto, non si può concludere che chiunque voti per un candidato di quel partito
necessariamente voglia vedere implementata quella policy. Essa potrebbe non aver influenzato per nulla il
voto degli elettori, oppure essi potrebbero aver votato per il partito malgrado questa particolare policy. Di
conseguenza gli oppositori di una policy potrebbero rivendicare, quando il governo tenta di implementarla,
che il governo non ne ha un esplicito mandato. Quindi, si sostiene che si può essere sicuri che il popolo sia
in favore di una certa politica se esso l’ha avallata in un referendum. Mentre nessuno, tranne qualche
fanatico del referendum, suggerirebbe che questo tipo di processo di ratifica sia necessario per ogni atto
legislativo o decisione governativa.
L'argomento ha una forza speciale nel caso di scelte fondamentali che una società affronta: se unirsi ad un
organismo transnazionale come l'unione europea, se separarsi da uno stato esistente e diventare
indipendenti o se operare un cambiamento significativo al regime politico-istituzionale. In questi casi molti
elettori possono segnalare che le élite non hanno il diritto di compiere tali decisioni per conto loro.
L'argomento zone a favore di un referendum è anche più forte se si tratta di una proposto sta che non era
stata oggetto specifico di dibattito nelle precedenti elezioni o che, se implementata, sarebbe più o meno
irreversibile.

2) Il secondo argomento procedurale è quello che l’opportunità di votare nei referendum incrementa la
partecipazione politica ed è, quindi di per sé, una buona cosa. L’uso del referendum potrebbe servire a
ridurre i sentimenti di disaffezione dal processo politico, coinvolgendo i cittadini direttamente nel processo
decisionale.

Argomentazioni legate agli esiti


Il conferire ai cittadini maggiori possibilità di prendere parte al processo decisionale è citato come
argomento a favore dei referendum, eppure c’è anche un contro argomento.
L'uso dei referendum può portare a esiti peggiori rispetto alla democrazia puramente rappresentativa.
Se coloro che hanno uno status socio-economico inferiore sono quelli che è meno probabile che votino nei
referendum, allora l’uso dei referendum potrebbe andare contro gli interessi dei meno abbienti.
Un altro argomento legato agli esiti è quello per cui si sostiene che, poiché il referendum è un dispositivo
intrinsecamente maggioritario, potrebbe dar luogo a una violazione dei diritti delle minoranze.
Tuttavia, l’evidenza empirica proveniente dagli USA suggerisce che il fattore cruciale non sono le modalità
del processo decisionale, ma la dimensione dell’unità che prende la decisione: i diritti delle minoranze sono
meno protetti in piccole unità locali che a livello statale a prescindere dal fatto che la decisione sia presa
con referendum o dai rappresentanti eletti, mentre non c’è la prova che i referendum di per sé discriminino
le minoranze. Inoltre, c’è spesso spazio per il dibattito normativo riguardo a se una particolare decisione
equivalga a un trattamento iniquo e discriminatorio di una minoranza, oppure se si tratti semplicemente di
una scelta del tutto legittima di una maggioranza dei votanti.
Ancora, l’uso incontrollato del referendum ha proprio il potenziale di sconvolgere ciò che può essere un
delicato equilibrio all’interno della società, e di conseguenza, nella maggior parte degli stati che lo
impiegano ci sono meccanismi per limitare il pericolo del maggioritarismo.

1) Nella maggior parte dei paesi l’accesso al referendum è altamente ristretto. È l’organo legislativo che
decide se, e su quale/i proposta/e, un voto debba aver luogo, pertanto esercita in primo luogo un potere di
veto effettivo sui temi che entrano nell’agenda referendaria.

2) Nei paesi che prevedono l’iniziativa popolare, è frequentemente accordato un ruolo di veto a un
organismo giudiziario come una corte costituzionale

3) Negli stati federali, una “doppia maggioranza” è un requisito comune: una proposta necessità del
sostengo di una maggioranza degli elettori e anche di una maggioranza entro almeno metà delle unità
federali.

Gli argomenti legati agli esiti, tendono perlopiù a mettere in discussione l’istituto del referendum, ma per la
maggior parte non sono convincenti. Gli argomenti procedurali sono in genere citati soprattutto dai
difensori del referendum, ma anche qui c’è ampio spazio per il dibattito. Questo aiuta a spiegare perché vi
sia una tale varietà nel mondo riguardo all’uso del referendum.

Modelli empirici
L’uso del referendum è diffuso, benché diseguale. Le disposizioni legali e costituzionali sono incrementate
negli ultimi tre decenni del XX secolo e ci sono prove che la frequenza dei referendum stia aumentando nel
tempo. La variazione nella frequenza dei referendum è impressionante. (vedi tabella 8.1 pag. 281).
Alcune democrazie consolidate non hanno tenuto alcun referendum nazionale (India, Giappone, USA)
oppure pochissimi (Olanda, Spagna, UK). In altri (Australia, Francia, Irlanda) il referendum si è affermato
come strumento tramite il quale il paese prende decisioni su questioni fondamentali.
In altri ancora, un’ampia e disparata gamma di questioni sono state sottoposte al voto pubblico (Svizzera,
Italia).
Spiegare le variazioni non è semplice: su scala mondiale, i paesi più grandi fanno poco uso dei referendum,
ma in Europa (Francia, Italia) fanno ricorso ad essi con regolarità. Alcuni paesi federali rifuggono i
referendum, mentre altri (Australia, Svizzera) li accolgono.
Altrove, la democrazia è fondamentalmente di natura rappresentativa e il referendum è una sorta di “extra
opzionale”. In Svizzera, al contrario, il referendum è profondamente intrecciato nel tessuto della
democrazia.
In modo più caratteristico, voti referendari riguardano questioni legate alla sovranità come l’indipendenza,
la secessione, oppure una maggiore integrazione in seno all’Unione Europea. Il fondamento logico è che
queste sono questioni non di parte che trascendono la battaglia politica quotidiana tra i partiti e che i
partiti non hanno il diritto di decidere per conto del popolo.

Il comportamento di voto nei referendum


Un argomento centrale a favore dei referendum è quello che essi consentono ai cittadini di decidere
direttamente sulla soluzione di alcune importanti questioni. Questo argomento sarebbe indebolito se
emergesse che, in pratica, le scelte di voto di molti cittadini sono determinate non dalle loro opinioni sulle
questioni in gioco, ma da questioni periferiche o estranee (es. Francia e Olanda rigettano nel 2005 la
proposta di Costituzione Europea).
La letteratura accademica ha indicato due tipi di ideali di interpretazioni del comportamento di voto nei
referendum.
Secondo un punto di vista, a volte denominato la prospettiva del voto sulla questione, i votanti decidono
principalmente sulla base della questione riportata sulla scheda elettorale.
Second l’altro, a volte denominato la prospettiva dell’elezione di secondo ordine, gli elettori prestano poca
attenzione alla questione riportata sulla scheda elettorale e, invece, esprimono un voto a seconda di ciò
che conta realmente per loro, formulando quella che è la loro valutazione degli attori in campo, e
specialmente sull’operato del governo.
La realtà, come la maggior parte delle persone ragionevoli si aspetterebbe, sta da qualche parte fra i due
tipi di ideali di interpretazioni. Ciò a dire che gli elettori prendono in considerazione una serie di fattori:
prestano effettivamente molta importanza sulla questione sostanziale stessa, ma sono anche interessati a
conoscere chi sono i suoi proponenti e oppositori.
L’affluenza alle urne è di solito più bassa che nelle elezioni parlamentari nazionali, ma varia in modo
piuttosto notevole da contesto a contesto a seconda di quanto importante è la questione. Analogamente,
gli effetti della campagna elettorale possono essere molto maggiori nei referendum che nelle elezioni
generali. Se si tratta di una questione che non è stata molto politicizzata prima che la campagna elettorale
inizi, e se non è una questione a elevata salienza per l’elettorato, c’è lo spazio per ampie oscillazioni di
opinione durante la stessa. Se si verificano condizioni opposte, generalmente si avrà una volatilità simile a
quella delle elezioni generali. Se si verifica un’ampia oscillazione, è probabile che avvenga in una direzione
negativa.

L’impatto dei referendum


I referendum possono avere un impatto significativo sulla politica in un certo numero di modi, ovviamente
soprattutto rispetto ai risultati delle policy. L’aspettativa è che nella maggior parte dei casi il referendum
abbia un impatto conservatore. Un cambiamento di policy (policy change) concordato dall’élite può
potenzialmente essere impedito, a meno che anche il popolo non lo approvi. Per questo motivo i critici
mettono in guardia dal pericolo dell’immobilismo nelle politiche pubbliche qualora il referendum sia troppo
facilmente disponibile come meccanismo di blocco, chiedendo se ogni grande progresso del passato
sarebbe avvenuto se gli aventi diritto al volo di quell’epoca fossero stati in grado di impedirlo tramite un
voto diretto sulla questione. I difensori del referendum sostengono che ciò sia esagerato e che l’appoggio
degli elettori sia “una potente legittimazione delle decisioni politiche”.
Quando l’iniziativa popolare è disponibile, il pericolo è quello di un’eccessiva non di una troppo limitata
innovazione di policy. Questa è una preoccupazione particolare dei teorici elitisti della democrazia come
Giovanni Sartori che parla della “incompetenza cognitiva” della maggior parte dei cittadini, e di altri
studiosi che attribuiscono grandi poteri a coloro che controllano i media e vedono i referendum
meramente come “dispositivi per la mobilitazione politica di masse le cui opinioni sono alimentate
dall’élite”. Tuttavia la figura di un votante incompetente può essere contestata; anche se gli elettori non
possiedono informazioni complete riguardo alle motivazioni pro e contro la questione referendaria,
possono avere acquisito tante informazioni quante realmente ne necessitino.
Infine, che cosa si può dire circa l’impatto dei referendum sulla qualità della democrazia? Il verdetto finale
è che la qualità della democrazia sembra essere poco influenzata in un modo o nell’altro dall’incidenza dei
referendum. È difficile trovare paesi in cui cittadini sentono che la qualità della democrazia sia stata
rovinata dall’esistenza o dalla non esistenza del referendum. Gli atteggiamenti del pubblico, per quanto si
possa dire, sono ampiamente favorevoli. Il referendum è quindi pienamente compatibile con le istituzioni
del governo rappresentativo.

I SISTEMI ELETTORALI
Il sistema elettorale è un insieme di norme che regolano la competizione elettorale tra candidati e partiti e
la traduzione dei voti in seggi.
Le peculiarità di un sistema elettorale sono molte, ma i due principali aspetti che lo caratterizzano sono: l’
ampiezza dei collegi e la formula elettorale .

- AMPIEZZA DEI COLLEGI: chiamate anche magnitudo e indicata con M, essa fa riferimento al numero di
seggi disponibili in ogni unità territoriale in cui è divisa l’area coinvolta dall’elezione. I collegi possono
eleggere da uno a N rappresentanti. I collegi in cui viene eletto un solo rappresentante sono detti
uninominali, da due in poi sono invece detti plurinominali .

- FORMULA ELETTORALE: è il meccanismo matematico di traduzione dei voti in seggi. Sulla base di essa
possiamo distinguere i sistemi elettorali in maggioritari, misti e proporzionali.

I SISTEMI MAGGIORITARI
Assegnano la vittoria ai candidati o ai partiti che ottengono il maggior numero di voti. Si classificano in
majority (a maggioranza assoluta) e plurality (a maggioranza relativa).

PLURALITY (first-past-the-post)
Gli elettori possono votare per un solo candidato all’interno di un collegio uninominale. Il candidato che
ottiene la maggioranza dei voti, vince. Questo sistema, il cui nome completo è "maggioritario uninominale
a turno unico" è utilizzato in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in altri Paesi anglosassoni.
Un esempio sono le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, in cui gli elettori hanno a disposizione un solo
voto e in ogni Stato vince il candidato che ottiene la maggioranza relativa dei voti. In ogni Stato quindi, chi
vince ottiene tutti i grandi elettori di quello Stato (cioè il numero di deputati più due senatori). A livello
federale, vince chi ottiene la maggioranza assoluta dei grandi elettori.

MAJORITY
Per vincere il seggio è necessario ottenere la maggioranza assoluta. Essendo difficile che ciò accada, il
majority si configura in due diversi modi:

- VOTO ALTERNATIVO : utilizzato in Australia, è un sistema a maggioranza assoluta in collegi uninominali .


Gli elettori devono ordinare i candidati da quello maggiormente preferito a quello meno preferito
assegnandogli un numero . Se un candidato ottiene la maggioranza assoluta fra le prime preferenze (cioè se
la maggioranza assoluta dei votanti l’ha messo al primo posto), a lui va il seggio. Se così non fosse, il
candidato con il minor numero di voti come prima preferenza viene eliminato e i suoi voti come primo
posto vengono ridistribuiti tra gli altri candidati in base alle seconde preferenze. Questo procedimento
continua finché un candidato non raggiunga la maggioranza assoluta.
- A DOPPIO TURNO : qualora al primo turno nessun candidato ottenesse la maggioranza assoluta, se ne fa
un altro (e il seggio andrà aL vincitore di questo secondo turno). L’accesso al secondo turno varia da
sistema a sistema, ma due sono le tipologie principali:

- chiuso : vi accedono solo i due candidati più votati al primo turno.


- aperto : vi accedono tutti i candidati che abbiano ottenuto una determinata soglia al primo. Un

esempio di questo sistema è la Francia, in cui i candidati accedono al secondo turno solo se hanno ottenuto
un numero di voti pari o superiore al 12.5% degli aventi diritto al voto (NON dei votanti effettivi!). Questo
vale per quanto riguarda le elezioni dell’Assemblea Nazionale, mentre per le presidenziali il secondo turno
è chiuso e si tratta quindi di un ballottaggio.

I SISTEMI PROPORZIONALI
Utilizzano formule proporzionali e si basano su collegi plurinominali. Differiscono tra loro per il grado di
proporzionalità che ne risulta, influenzato prevalentemente da due fattori:
- dimensione dei collegi e soglie elettorali (i generale e a parità di altri fattori, tanto più è ampio un collegio
e tanto più è bassa la soglia elettorale, tanto più è proporzionale il sistema.
- formula adottata per allocare i seggi.

I sistemi proporzionali possono essere di due tipi:

DI LISTA
Ogni partito presenta una lista* di candidati in ciascun collegio plurinominale e ottiene un numero di seggi
in proporzione alla percentuale complessiva di voti che ha ricevuto. Tuttavia, in base ai criteri con cui
avviene questa “traduzione” dei voti in seggi, possiamo distinguere tra sistemi che utilizzano:

• QUOTE:la quota (o quoziente) indica il numero di voti necessario per ottenere un seggio in un
determinato collegio. La quota viene calcolata dividendo il numero di voti espressi in ciascun collegio per:
a) numero di rappresentanti da eleggere (quoziente Hare)
b) numero di rappresentanti da eleggere più uno (quoziente Droop)
c) numero di rappresentanti da eleggere più due (quoziente Imperiali)
d) numero di rappresentanti da eleggere più tre (quoziente Imperiali rafforzata)

[da a a d sono in ordine di proporzionalità:Hare è più proporzionale di Droop, che è più proporzionale di
Imperiali, che lo è più di Imperiali rafforzata]
Una volta calcolata la quota con uno dei quattro metodi, si divide il numero di voti di ciascun partito per
quella quota e il numero ottenuto rappresenta i seggi che spettano al partito.

• DIVISORI:il numero dei voti ottenuti da ciascun partito in ciascun collegio viene diviso per una serie di
numeri (divisori appunto) al fine di ottenere dei quozienti e i seggi sono assegnati ai partiti che ottengono
quozienti più elevati. I sistemi dei divisori sono meno proporzionali dei sistemi che utilizzano quote, ma
hanno il vantaggio di non generare resti e quindi di non dare vita al problema della ridistribuzione dei seggi
(che sarà oggetto del secondo parziale ma non del primo).
Un esempio di questo sistema è la Spagna, in cui i 350 seggi sono suddivisi in 52 circoscrizioni, piuttosto
piccolo (da 1 a 30 seggi, con una media di 7). La quota è calcolata con il sistema d’Hont e le liste sono
bloccate. La sogli è del 3% a livello di circoscrizione. Non vi è recupero dei resti.

*vi sono tre tipi di liste:


A VOTO SINGOLO TRASFERIBILE
E’ un sistema piuttosto peculiare, utilizzato in Irlanda e a Malta. Non fa ricordo a liste di partito, ma, come il
voto alternativo, a un sistema di voto ordinale (gli elettori devono classificare i candidati in ordine di
preferenza). I candidati che superano una determinata quota (calcolato come nel sistema di lista che
utilizza quote, cioè in base ad uno dei quattro quoziente a, b, c o d) di prime preferenze vengono eletti
immediatamente. Se però a raggiungere la quota necessaria ad essere eletti direttamente è stato un
numero di candidati inferiore ai seggi disponibili, allora si elimina il candidato che ha ottenuto il minor
numero di prime preferenze (cioè che è stato messo al primo posto dal minor numero di persone) e i suoi
voti, insieme a quelli ottenuti in eccedenza dai candidati già eletti (poiché avevano raggiunto la quota alle
prime preferenze), vengono ridistribuiti secondo le successive preferenze ai candidati rimanenti, che
dovranno nuovamente raggiungere la quota richiesta, finché non si assegnano tutti i seggi.

I SISTEMI MISTI
Gli elettori eleggono i loro rappresentanti attraverso due sistemi diversi, uno maggioritario e uno
proporzionale.
Spesso i due sistemi differiscono in base al livello elettorale (cioè ad esempio a livello nazionale si usa un
sistema maggioritario o proporzionale e a livello regionale l’altro, oppure a livello di collegi uno e a livello
regionale o nazionale l’altro).
I sistemi misti possono essere di due tipi:

- INDIPENDENTE: l’applicazione di una formula elettorale non dipende dal risultato prodotto dall’altra.
- DIPENDENTE: l’applicazione della formula proporzionale dipende dalla distribuzione dei seggi o dei voti
prodotta dalla formula maggioritaria (perciò la componente proporzionale va a compensare la
sproporzionalità prodotta dalla formula maggioritario).

Un esempio di sistema misto dipendente è quello tedesco. Ogni elettore ha a disposizione due voti: uno per
il candidato nella parte maggioritaria, l’altro per il partito nella parte proporzionale. Tutti i partiti che
abbiano raggiunto almeno il 5% dei voti (assegnati con sistema proporzionale) o che abbiano vinto almeno
in tre collegi uninominali, sono ammessi al riparto proporzionale. La metà dei seggi sono assegnati in collegi
uninominali, l’altra metà in collegi plurinominali a livello di Länder (corrispondenti alle nostre Regioni). Una
volta stabilito a quanti seggi abbia diritto ciascun partito a seconda del risultato della parte proporzionale,
tali seggi vengono occupati prima dai vincitori dei collegi uninominali di quel partito e successivamente (se
ne restano di vacanti) dai candidati della parte proporzionale secondo l’ordine di lista fino al numero di
seggi che spettano al partito in quel Länder.

VANTAGGI E SVANTAGGI DI CIASCUN SISTEMA


Sicuramente i maggioritari in collegi uninominalifavoriscono il rapporto diretto tra eletto ed elettori,
rendendo più semplice il meccanismo di accountability(=a chi rendere conto, a chi attribuire la
responsabilità) e garantendo governabilità.Dall’altro lato però, essi causano sproporzionalità, in quanto
spesso gli elettori votano candidati che poi non vengono eletti. Inoltre, i piccoli partiti sono sfavoriti, sotto-
rappresentando le minoranze, a meno che esse siano geograficamente concentrate. Inoltre può accadere
che prenda più seggi il partito che ha preso meno voti e che gli elettori votino strategicamente anziché in
base alla loro effettiva preferenza. Il voto alternativoha come vantaggi il rapporto diretto eletto-elettori,
una facile attribuzione dell’accountabilitye un minor inventivo al voto strategico in quanto gli elettori
possono manifestare interamente le loro preferenze. Dall’altro lato però, si tratta di un sistema molto
contorto e piuttosto complicato. Il doppio turnopermette all’elettore di votare in maniera sincera al primo
turno e in maniera strategica al secondo. Inoltre promuove aggregazioni bipolare e alleanze. Tuttavia, non
favorisce la proporzionalità,causa un calo di affluenza al secondo turno, penalizza i candidati delle
minoranze e implica costi organizzativi maggiori.
I sistemi proporzionalifavoriscono notevolmente la proporzionalità sulla governabilità. Inoltre danno
rappresentanza alle minoranze e ai partiti piccolo e disincentivano il voto strategico. Dall’altro lato però,
non incentivano la moderazione e gli accordi coalizionali, ma solo i governi di coalizione (che generano
problemi di accountabilitye sono poco stabili). Inoltre spesso i partiti piccoli hanno forte potere di ricatto.
Infine, il legame elettore-eletto è debole.
Il voto singolo trasferibileconsente agli elettori di manifestare interamente le loro preferenze, inoltre
minimizza i “voti sprecati” ed è possibile votare per candidati di diversi partiti. Il risultato è proporzionale e
il rapporto elettori-eletti è diretto. E’ inoltre facile attribuire l’accountability. Tuttavia si tratta nuovamente
di un sistema complicato, soprattutto in collegi grandi e può rendere i partiti localisti e poco coesi, anche se
potrebbe favorire la moderazione interpartitica per ottenere le seconde preferenze.
I sistemi misti dipendentihanno due fondamentali problemi: in primo luogo, se un candidato vince a livello
di collegio, ma è anche incluso nella lista del partito, mantiene il seggio del collegio e viene depennato dalla
lista; dall’altro lato alcuni partiti ottengono più voti a livello di collegio di quanto giustificato dai voti
ottenuti dalla loro lista di partito. Ciò porta all’assegnazione di seggi in più, cosiddetti seggi fluttuanti.
9. ORGANI LEGISLATIVI
INTRODUZIONE
Questo capitolo esamina l’influenza e l’importanza dei parlamenti rispetto a una varietà di compiti
“essenziali”, che includono la rappresentanza dei cittadini e il collegamento tra cittadini e governo oltre,
naturalmente, al policy-making. Gli organi legislativi esistono in quasi ogni paese e hanno la capacità di
giocare un importante ruolo politico persino in sistemi non democratici. Attualmente Arabia Saudita e
Myanmar (Birmania) sono i due soli paesi internazionalmente riconosciuti che non hanno alcuna forma di
organo legislativo.

CHE COS’È UN ORGANO LEGISLATIVO?


Prima di iniziare a esaminare i tipi di organi legislativi, è necessario definire cosa sia un “organo legislativo”.
Tutti e quattro sono definiti come “un organo legislativo” o “un organismo di individui che ha il potere di
legiferare”. Assemblea: un organo legislativo; nello specifico, la camera bassa di un organo legislativo.
Organo Legislativo: un corpo di individui che ha il potere di legiferare; nello specifico, un corpo organizzato
che ha l’autorità di fare le leggi per un’unità politica.
Parlamento: il supremo organo legislativo, solitamente di un’unità politica importante, che rappresenta
un’istituzione permanente comprendente una serie di raggruppamenti individuali.
Congresso: il supremo organo legislativo di una nazione e, in particolare, di una repubblica.
Di questi quattro termini “assemblea” è il più generale; il termine comune “assemblea” si riferisce
semplicemente alla riunione di un gruppo di individui per qualche scopo. È solo quando aggiungiamo
l’aggettivo “politica” o “legislativa che si inizia a pensare alle assemblee nello stesso contesto di organi
legislativi, parlamenti e congressi. Parlamenti e congressi, in senso generico, possono essere meglio intesi
come tipi specifici di organi legislativi.

Assemblee e organi legislativi


Se iniziamo con la più ampia definizione di assemblea come “un gruppo di individui riuniti assieme, per uno
scopo particolare”, possiamo poi designare gli organi legislativi come quelle assemblee per le quali lo
“scopo particolare” in questione è politico e legislativo. Tuttavia, il termine “organo legislativo” è troppo
ampio per consentirci di distinguere tra differenti tipi di istituzioni legislative; per questo dobbiamo
concentrarci sulle caratteristiche strutturali del sistema politico nel quale gli organi legislativi sono collocati.
Un sistema politico può essere “democratico” se vi è un organo legislativo in aggiunta a un ramo esecutivo,
e la relazione fra questi due determinerà le caratteristiche essenziali dell’organo legislativo.

Parlamenti (= fusione dei poteri)


Nei sistemi parlamentari l’esecutivo è scelto dall’organo legislativo in genere “pescando” tra i membri di
quest’ultimo. Inoltre, l’esecutivo o “governo” è formalmente responsabile verso l’organo legislativo durante
tutto il suo mandato. Ciò significa che può essere rimosso dalla carica in un qualsiasi momento in cui una
maggioranza del legislativo dovesse opporsi a esso. A sua volta, la rimozione dell’esecutivo da parte del
legislativo può essere accompagnata nella maggior parte dei sistemi ad elezioni anticipate. A causa dell’alto
grado di dipendenza reciproca tra di essi, questi tipi di sistemi sono noti come sistemi a fusione dei poteri.

Congressi (= separazione dei poteri)


Un tipo differente di organo legislativo è chiamato “congresso”, all’interno di quelli che vengono
denominati sistemi presidenziali. I sistemi presidenziali sono un tipo di sistema a separazione dei poteri. I
rami legislativo ed esecutivo sono scelti indipendentemente e nessuno ha la capacità di sciogliere o
rimuovere l’altro dalla carica. Il più classico sistema a separazione dei poteri è quello USA. La parola
“congresso” deriva dal latino congressus,“una riunione o un incontro (ostile); per competere o
confrontarsi”. Essa si concentra sulle interazioni potenzialmente conflittuali tra gli individui. (vedi bene
tabella 9.1 pagina 305)
IL RUOLO DEGLI ORGANI LEGISLATIVI
Benché le funzioni degli organi legislativi varino significativamente, le loro attività possono essere suddivise
in tre categorie: 1) collegamento e rappresentanza, 2) supervisione e controllo, 3) policy making.
Quando adempiono la prima mansione, gli organi legislativi fungono da “agenti” dei cittadini che
rappresentano e ci si attende che agiscano nei loro interessi. Nel secondo caso, gli organi legislativi
diventano i “principali” e hanno il compito del monitoraggio e della supervisione collettiva dell’esecutivo
(inclusa la burocrazia). Infine, quando perseguono il terzo tipo di attività, gli organi legislativi si dedicano a
legiferare; possono agire come agenti, principali, o entrambi, ma ciò che qui interessa è che il loro compito
è specificamente focalizzato sul processo relativo alle policy. Nella sfera pubblica, gli organi legislativi
servono come agenti e principali in relazione, rispettivamente, all’elettorato e all’esecutivo. Così,
l’elettorato (i cittadini) devono agire per controllare l’organo legislativo e questo deve a sua volta
attivamente cercare di controllare l’esecutivo.

Gli organi legislativi come agenti


Collegamento
Collegare i cittadini al governo è uno dei compiti più importanti che gli organi legislativi svolgono. Essi
fungono “come un intermediario fra la circolazione elettorale e il governo centrale”; rappresentano un
canale d’informazione che permette di far giungere le istanze di livello locale al governo centrale e di
spiegare le politiche e le azioni del governo centrale ai cittadini. In generale, i singoli parlamentari
spenderanno più tempo e saranno più attivamente impegnati nelle loro circoscrizioni elettorali di
riferimento quando sono eletti in collegi uninominali, piuttosto che in circoscrizioni plurinominali. Questo
perché essi sono i soli rappresentati dei cittadini nelle rispettive circoscrizioni elettorali a livello nazionale. Il
ruolo di collegamento dell’organo legislativo sarà più importante nei sistemi politici in cui i cittadini non
eleggono direttamente l’esecutivo. Così, nei sistemi parlamentari la funzione di collegamento dell’organo
legislativo parlamentare è probabile che sia più importante perché può essere il solo meccanismo stabile di
comunicazione fra i cittadini e il governo centrale.

Rappresentanza
I legislatori sono chiamati a farsi portavoce dei propri elettori, assicurando che le opinioni, le prospettive e i
valori dei cittadini siano presenti nel processo di policy-making. Tuttavia, ci sono interpretazioni differenti a
seconda che siano concepiti come delegati o fiduciari. Se visti come delegati, i membri di un organo
legislativo sono tenuti a comportarsi come agenti dei loro elettori in maniera strettamente meccanica,
trasmettendo messaggi e iniziative da essi al governo centrale senza metterli in discussione. Se visti come
fiduciari, ci si aspetta che essi agiscano come un interprete più attivo degli interessi dei loro elettori e che
tengano conto dei bisogni di un paese nel suo complesso, così come del loro proprio giudizio morale e
intellettuale, quando agiscono all’interno della sfera pubblica, specialmente nel rispetto alle policy.

Dibattimento
Il carattere plurale degli organi legislativi li rende in grado di fungere anche da forum pubblici di
discussione, in cui diverse opinioni e punti di vista opposti possono confrontarsi. In aggiunta, promuovendo
il dibattito e la discussione, gli organi legislativi possono fungere da importanti strumenti di compromesso
fra gruppi di interessi opposti all’interno della società. Persino quando i compromessi non sono raggiunti,
l’opportunità per i gruppi di minoranza o di opposizione di esprimere apertamente e pubblicamente i propri
punti di vista all’interno dell’organo legislativo può servire a limitare il conflitto all’interno della sfera
politica, evitando gli effetti molto più dannosi del sommovimento e dell’instabilità sociali.

Legittimazione
Infine, l’abilità di un organo legislativo di creare un collegamento fra i cittadini e governo garantendo
un’adeguata rappresentanza delle minoranze e promuovendo il dibattito pubblico, determinerà la sua
legittimità istituzionale. La capacità di mobilitare il sostegno pubblico al governo nel suo insieme è un
importante aspetto della performance di un organo legislativo.

Gli organi legislativi come principali


Controllo
L’abilità dei governanti di controllare il governo è uno dei principi fondamentali della democrazia
rappresentativa. Lo strumento primario usato per realizzare questo obiettivo sono le elezioni. I sistemi
politici democratici hanno due tipi di “principali” differenti che controllano l’esecutivo. Gli elettori
selezionano l’esecutivo direttamente o indirettamente, per mezzo delle elezioni. Nella maggior parte dei
casi i cittadini non hanno abbastanza tempo, informazioni e abilità tecniche necessarie per monitorare
l’attività politica dell’esecutivo; è quindi compiti dell’organo legislativo colmare questa lacuna. C’è un grado
di differenza maggiore fra sistemi politici presidenziali (o a separazione dei poteri) e parlamentare (o a
fusione dei poteri).

1. Nei sistemi a separazione dei poteri (presidenziali) le funzioni di controllo degli organi legislativi del
“congresso” sono molto limitate rispetto a quelle dei sistemi a fusione di potere (parlamentari). Nei primi,
l’agenda di policy dell’esecutivo non è soggetta a controllo da parte del legislativo, e l’esecutivo non può
essere rimosso da una maggioranza del parlamento che disapprovi le sue politiche (capacità ristretta a casi
di attività illegale e/o incapacità fisica o mentale).

2. Nei sistemi a fusione dei poteri (parlamentari) gli organi legislativi del tipo “parlamento” sono
esplicitamente incaricati del controllo sulle politiche dell’esecutivo. Gli esecutivi sono responsabili verso il
legislativo per la loro agenda di policy e possono essere rimossi dalla carica da una maggioranza
parlamentare. La rimozione del governo è compiuta tramite una mozione di censura o un voto di fiducia. La
rimozione dell’esecutivo in carica non si traduce in una crisi in un’instabilità sistematica.
La differenza significativa tra questi due sistemi: nei sistemi a separazione dei poteri, gli elettori scelgono il
loro organo legislativo e il loro esecutivo indipendentemente uno dall’altro; nei sistemi a fusione dei poteri,
gli elettori votano solo per il ramo legislativo. La scelta dell’esecutivo ha luogo indirettamente attraverso
l’organo legislativo. Tale differenza è rilevante per due ragioni:
1. L’elezione indipendente dell’esecutivo e del legislativo rende più probabile che vi siano
differenze nelle loro rispettive ideologie o identità di parte (es. USA, presidente di un partito e
maggioranza congressuale di un altro).
Nei sistemi a fusioni dei poteri è invece impossibile per la maggioranza in parlamento e per
l’esecutivo provenire da partiti/coalizioni completamente distinti o opposti. Tutti i governi
devono infatti avere il sostegno implicito o esplicito di una maggioranza del parlamento per
rimanere in carica. L’esecutivo (primo ministro e ministri di gabinetto) sono eletti dall’organo
legislativo. Il processo riduce la probabilità di conflitti connessi alle policy tra il legislativo e
l’esecutivo.

2. La democrazia rappresentativa richiede che i rappresentanti eletti siano responsabili verso


coloro che li hanno eletti. Nei sistemi a separazione dei poteri, gli elettori eleggono l’esecutivo,
perciò solo gli elettori hanno il potere di cambiare o rimuovere l’esecutivo.

Sorveglianza
La sorveglianza esercitata dall’organo legislativo sull’esecutivo è piuttosto ampia, implicando sia lo sviluppo
e l’approvazione delle policy, sia il controllo sulle agenzie dell’esecutivo incaricate dell’implementazione
delle policy stesse. In generale la prima mansione è di significato maggiore nei sistemi a fusione dei poteri,
mentre la seconda ha la precedenza nei sistemi a separazione dei poteri. Sessioni dedicate a interpellanze e
interrogazioni (question time), indagini, audizioni e commissioni di inchiesta sono frequentemente
impiegate dagli organi legislativi per raccogliere informazioni e, se necessario, per garantire l’accountability
di vari attori e agenzie all’interno dell’esecutivo.

1. Il question time è spesso usato nei parlamenti e fornisce ai suoi membri un’opportunità per presentare
domande orali e scritte (interrogazioni e interpellanze) ai membri del governo, incluso il primo ministro.

2. Indagini speciali e audizioni sono organizzate ad hoc per esaminare temi o questioni specifici che sono
considerati importanti da alcuni parlamentari.

3. Le commissioni di inchiesta sono simili, ma sono più formalizzate, e tendono a occuparsi di problemi di
ordine superiore e hanno spesso una più lunga durata.

4. In aggiunta, gli organi legislativi possono richiedere, o persino esigere, che l’esecutivo fornisca loro
resoconti su specifiche questioni di interesse o che rispondano a specifici quesiti nelle audizioni.

Controllo sul bilancio


I parlamenti possono anche esercitare una sorveglianza indiretta sulle iniziative di policy dell’esecutivo
attraverso il loro controllo sul processo di bilancio, infatti gran parte dei sistemi politici richiede
l’approvazione legislativa dei bilanci nazionali e delle politiche fiscali. Controllo e vigilanza della spesa,
anche se limitati da diritti speciali (entitlements), sono uno strumento potente che influenza le decisioni di
policy degli organi legislativi. Ci sono pochi obiettivi di policy che possono essere raggiunti senza un qualche
livello di finanziamento. Di conseguenza, la capacità del legislativo di negare o diminuire il finanziamento a
iniziative sostenute dall’esecutivo può diventare un utile strumento di contrattazione.

Gli organi legislativi come legislatori


Esiste un’ampia varietà di compiti regolarmente svolti dagli organi legislativi e in molti casi il legiferare non
è uno dei più importanti.
Consultazione
Il tipo di compito più basilare, e generalmente meno influente, attribuito al legislativo è la consultazione.
Tale potere garantisce all’organo legislativo l’autorità di presentare un’opinione riguardo a una proposta
legislativa specifica, un piano generale d’azione, oppure un ampio programma di policy. La consultazione in
nessun modo garantisce che l’esecutivo si atterrà all’opinione dell’organo legislativo.

Rallentamento del processo deliberativo e veto


Una capacità comune fra gli organi legislativi più deboli è il potere di rallentare il processo deliberativo. Si
tratta di un potere negativo per la ragione che un organo legislativo può solo frenare il processo. Questa
capacità può essere un efficace strumento di contrattazione quando l’esecutivo preferisce un’azione rapida.
Nella sua incarnazione più estrema, il potere di rallentamento diviene potere di veto. Gli organi legislativi
con potere di veto possono b può rivelarsi un efficace strumento di contrattazione per il legislativo solo nel
caso in cui l’esecutivo abbia un forte interesse nel cambiare lo status quo delle policy.

Emendamento e iniziativa legislativa


Gli strumenti legislativi più importanti e positivi sono il potere di emendare e di avviare alla discussione
proposte di legge. La capacità di emendare leggi e altri provvedimenti legislativi permette a un organo
legislativo di cambiare aspetti delle proposte dell’esecutivo in modo tale da raggiungere un esito più in linea
con le preferenze di una maggioranza dei suoi membri. Un potere di iniziativa indipendente garantisce a
individui e gruppi entro l’organo legislativo il diritto di presentare le proprie proposte di policy in maniera
indipendente dall’esecutivo. In alcuni organi legislativi, tutte le proposte devono formalmente essere
avviate dal legislativo (USA), mentre in altri casi il legislativo non ha la facoltà formale di promuovere
proposte indipendentemente dall’esecutivo (EU).
La centralità della funzione di policy-making esercitata dal governo ha condotto allo sviluppo di numerosi
tentativi differenti per categorizzare gli organi legislativi sulla base della loro capacità di influenza sulle
policy. Così, possiamo differenziare in modo dicotomico tra organi legislativi trasformativi che hanno un
alto grado di influenza diretta sul policy-making e organi legislativi di tipo arena che sono più impegnati
nelle funzioni di collegamento e sorveglianza, con poca influenza sulle policy.

LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA INTERNA DEGLI ORGANI LEGISLATIV


Gli organi legislativi rischiano di essere inefficaci se non hanno una struttura interna che consenta
un’efficace divisione del lavoro, l’accesso a fonti di informazione indipendenti e la disponibilità di altre
risorse organizzative e operative di base.

Numero e tipo di camere


Nella maggior parte dei casi, gli organi legislativi hanno una camera (unicamerali) o due (bicamerali). I
legislativi multicamerali sono generalmente creati per assicurare un’adeguata rappresentanza. La camera
basse (di solito la più grande) fornisce rappresentanza alla popolazione nel suo complesso, mentre la
camera alta rappresenta specifici gruppi definiti in termini sociali e territoriali. I legislativi unicamerali
hanno maggiori probabilità di essere presenti in sistemi politici unitari con popolazioni omogenee. Più
importante del numero effettivo delle camere è la relazione fra esse. Nei sistemi unicamerali, tutti i poteri
del ramo legislativo sono attribuiti a un’unica camera. Tuttavia, nei sistemi bicamerali, questi poteri
possono essere
(1) condivisi equamente (entrambe le camere esercitano tutti i poteri legislativi), (2) divisi equamente
(ciascuna camera ha poteri specifici ma hanno + o – la stessa importanza), oppure (3) distribuiti in modo
diseguale (una camera ha poteri maggiori dell’altra). I casi appartenenti alle prime due classi sono
considerati sistemi bicamerali simmetrici, mentre quelli appartenenti all’ultima sono sistemi bicamerali
asimmetrici.
Sapere quante camere un legislativo possiede e comprendere la relazione fra esse
(simmetrica/asimmetrica) è importante perché può avere un impatto sul processo di policy-making. (vedi
tabella 9.2 pagina 317)

Numero, qualità e omogeneità dei membri


Il legislativo è di norma il più numeroso e il più eterogeneo fra i rami principali del governo. Gli strumenti e
le strutte che impiegare per organizzare se stesso sono particolarmente importanti.

Dimensione
La dimensione del legislativo è importante a causa della difficoltà che hanno in genere gruppi grandi ed
eterogenei nel raggiungere decisioni coerenti. Tanti più membri ha un organo legislativo, quanto più tempo
è probabile richieda ogni decisione. In aggiunta, è assai probabile che la presenza di più componenti
favorisca l’introduzione di meccanismi di organizzazione interna più complessi e una ripartizione più
frammentata delle risorse istituzionali. Tuttavia, il numero di membri deve essere interpretato in
riferimento al contesto. (vedi tabella 9.3 pagina 319)

Tempo
Anche l’ammontare di tempo che i legislatori effettivamente spendono nell’espletare i compiti parlamentari
è un utile indicatore del più ampio ruolo di un organo legislativo. Vi sono organi legislativi che sono “in
seduta” più o meno tutto l’anno, altri invece (“a tempo parziale”) si incontrano solo per pochi giorni l’anno.
La durata della sessione annuale di un organo legislativo è spesso direttamente legata al tipo di membri che
esso raccoglie. Il bisogno per i parlamentari di mantenere attività esterne addizionali riduce
necessariamente l’ammontare di tempo ed energie che essi possono dedicare ai loro compiti legislativi.
Quando le indennità parlamentari sono basse può verificarsi che la composizione dell’organo legislativo si
restringa a coloro che sono dotati di fonti alternative di ricchezza.
Commissioni
Gli organi legislativi si strutturano al loro interno sulla base di commissioni. Gli organi legislativi possono
avere poche o molte commissioni, che possono essere create ad hoc o istituite in maniera permanente.
Inoltre, possono esservi sottocommissioni altamente specializzare e/o commissioni temporanee di indagine
create per occuparsi di specifiche crisi o questioni. In alcuni casi, le commissioni sono responsabili di
rivedere ed emendare le proposte di legge prima che esse vengano discusse in sessione plenaria, in altri
casi sono incaricate di implementare i cambiamenti decisi dalla sessione plenaria.

Permanenza
Uno dei più importanti aspetti delle commissioni è il loro carattere permanente. Data la dimensione della
maggior parte degli organi legislativi, le commissioni spesso fungono da forum per la massa dell’attività
legislativa, includendo la contrattazione e la costruzione di coalizioni tra i partiti politici. La limitata
dimensione e natura meno pubblica delle commissioni incrementa la loro utilità come spazio di discussione
per questi tipi di attività. Tuttavia, se le commissioni non sono permanenti, è improbabile che esse siano in
grado di garantire il grado di stabilità e competenza necessario.

Specializzazione
Presenza di distinte commissioni con i ministri del gabinetto di governo. L’associazione di specifiche
commissioni con i ministri del gabinetto di governo può anche favorire le relazioni fra membri e staff del
legislativo e dell’esecutivo, il che può migliorare la cooperazione istituzionale.

Commissioni temporanee
Possono essere incorporate sottocommissioni e commissioni con finalità investigative temporanee
(denominate commissioni d’inchiesta). Tali organismi consentono livelli di specializzazione ancora maggior
e permettono all’organo legislativo di reagire a eventi o crisi significative. Se i provvedimenti legislativi sono
interamente vagliati dall’aula parlamentare prima di essere inviati in commissione, è improbabile che le
commissioni giochino un ruolo sostanziale di policy-making. Per contrasto, quando i disegni di legge sono
rivisti ed emendati prima all’interno delle commissioni, è più probabile che l’organo legislativo abbia
un’influenza più sostanziale sugli esiti a livello di policy.

Strutture gerarchiche e decision-making interno


Entro ogni organo legislativo vi è una varietà di posizioni interne di autorità e potere, anche se l’istituzione
stessa è relativamente debole: presidente, vicepresidente, questore e posizioni di
segreteria/amministrative. La differenza più importante tra gli organi legislativi si ha fra quelli che
distribuiscono posizioni interne di autorità in maniera proporzionale fra tutti i gruppi rappresentati (partiti
politici) e quelli che usano un sistema del tipo first-past-the-post, assegnando posizioni solo ai membri della
maggioranza (partiti o coalizioni). Nel primo caso la cooperazione e il compromesso tra i gruppi di governo
e opposizione è facilitata dalla necessità di lavorare entro un’istituzione con chiare strutture di condivisione
del potere. Per contro, è più probabile che i sistemi del secondo tipo promuovano un ambiente polarizzato.
I sistemi maggioritari scoraggiano il compromesso, di conseguenza questo tipo di organi legislativi
funzionerà bene solo quando la maggioranza in carica è affidabile. Quando i partiti sono deboli o
indisciplinati, e/o le maggioranze risicate, le proposte della maggioranza possono essere insignificanti.
Dall’altro lato, quando le maggioranze sono ampie e/o i partiti sono disciplinati, è probabile che il decision-
making sia più efficiente e sia più semplice ottenere significative innovazioni di policy. Al contrario, è più
probabile che i sistemi proporzionali siano caratterizzati da frequenti e ampi accordi e compromessi
interpartitici, e in taluni casi ciò può essere persino un requisito necessario, data la distribuzione
proporzionale delle posizioni di potere.
In generale, comunque, gli organi legislativi che condividono posizioni interne di autorità secondo una
logica proporzionale tendono ad assumere un carattere consensuale, rispetto a quelli che usano un sistema
del tipo maggioritario.
VALUTARE IL POTERE DI UN ORGANO LEGISLATIVO
Tutti gli organi legislativi, democratici e non democratici, rivendicano di svolgere le funzioni di
rappresentanza centrale/collegamento, di controllo e legislative discusse sopra. Ci sono organi legislativi
per cui le funzioni di collegamento e controllo sono chiaramente preminenti (UK), mentre altri danno più
risalto alle loro funzioni legislative (USA, Italia). La misura in cui un organo legislativo costituisce uno
strumento efficace e attivo di partecipazione al processo legislativo vs. il fatto che esso assuma un ruolo
legislativo più passivo (focalizzandosi invece su controllo e collegamento) è direttamente legata al grado di
autonomia di cui esso gode. Abbiamo dunque due aspetti dell’autonomia relativa di un organo legislativo:
1) l’indipendenza dell’istituzione nel suo complesso; 2) l’indipendenza dei suoi membri in termini individuali

Indipendenza istituzionale: relazioni esecutivo-legislativo


Come si è visto, i sistemi a fusione dei poteri centralizzano l’autorità legislativa nell’esecutivo, mentre i
sistemi a separazione dei poteri tendono verso un decision-making legislativo centralizzato, accrescendo il
ruolo dell’organo legislativo. I sistemi a fusione dei poteri (parlamenti) sono strutturati gerarchicamente,
poiché gli elettori eleggono i membri dell’organo legislativo e i membri di quest’ultimo, a loro volta,
selezionano l’esecutivo. Al contrario, nei sistemi a separazione dei poteri (congressi) sia il capo
dell’esecutivo sia i membri dell’organo legislativo sono eletti dai cittadini.
In un sistema a separazione dei poteri, le elezioni del ramo legislativo e dell’esecutivo non sono
necessariamente collegate e cosa più importante, non c’è garanzia che il risultato sia simile da un punto di
vista della distribuzione dei poteri tra i diversi parti. Al contrario, in un sistema a fusione dei poteri,
l’elezione è connessa per interno poiché, il nuovo organo legislativo deve selezionare l’esecutivo. In
aggiunta, nei sistemi a fusione dei poteri, la necessità di mantenere il supporto di una maggioranza
all’interno dell’organo legislativo richiede un collegamento partisan tra i due poteri.
Nei sistemi a separazione dei poteri la selezione del ramo esecutivo e legislativo sono processi
indipendenti. Mantenendo distinti i due voti, i sistemi a separazione dei poteri non impongono restrizioni
sulla relazione partisan o ideologica tra i due rami. Di conseguenza, ogni distribuzione partisan delle
maggioranze è possibile. L’assenza di un collegamento partisan tra esecutivo e legislativo, è essenziale al
fine di assicurarsi che l’organo legislativo disponga del potenziale necessario per giocare un ruolo attivo nel
processo di policy-making. L’impatto della relazione di interdipendenza che esiste tra esecutivo e
legislativo, nei sistemi a fusione dei poteri, è particolarmente importante. La responsabilità dell’organo
legislativo sia di instaurare sia di mantenere l’esecutivo, condiziona gravemente la sua capacità di
perseguire un’azione legislativa indipendente; le maggioranze devono rimane stabili nel loro sostegno
all’esecutivo, poiché l’instabilità e successivamente una sfiducia potrebbero portare alle dimissioni del
governo. Per contro, i sistemi a separazione dei poteri non pongono restrizioni all’organo legislativo e non
vi è la necessità di mantenere alcuna forma di sostegno, essendo l’esecutivo ben distinto per intero dal
legislativo. (vedi bene figura 9.1 pagina 327)

Indipendenza dei membri: il ruolo dei partiti politici


Il carattere del sistema partitico, e in particolare il livello di autonomia di cui i membri del
parlamento/congresso godono rispetto ai partiti, può influenzare significativamente la capacità dell’organo
legislativo di influenzare gli esiti relativi alle politiche. A differenza dell’indipendenza istituzionale, che è una
funzione delle strutture definite costituzionalmente del sistema politico, l’autonomia sul piano ideologico
dipende dalle caratteristiche del sistema partitico. Abbiamo dunque due categorie: 1) caratteristiche
partitiche e 2) caratteristiche dei sistemi di partito. Per la maggior parte dei parlamentari, vi sono due
preoccupazioni o obbiettivi principali: 1) elezione/rielezione e

2) raggiungimento risultati di policy. Sia i meccanismi di selezione dei candidati sia la struttura
organizzativa interna dei partiti politici hanno profondi effetti sulla capacità dei singoli membri di
raggiungere questi obbietti, qualora perdano il sostegno della loro leadership di partito. (vedi bene tabella
9.5 pagina 329)

Organizzazione partitica
Se la scelta del candidato è controllata dall’élite di partito, coloro che desiderano essere rieletti devono
mantenere il sostegno dei loro capipartito. Dall’altro lato, nei partiti che consentono alle organizzazioni
partitiche locali di scegliere i candidati, i singoli parlamentari godono di un livello di indipendenza dalla
leadership di partito relativamente alto. L’impatto della centralizzazione di un partito sull’autonomia dei
membri è meno diretto, ma ugualmente importante. Tanto più centralizzato è un partito politico, tanto
meno spazio vi sarà per un decision-making indipendente dei singoli parlamentari.
Un altro fattore importante è la relazione fra leadership di partito organizzata dall’interno dell’organo
legislativo e le strutture di leadership che governano il “partito elettorale”. Sono molti i casi in cui le due
strutture organizzative si scontrano, creando opportunità per i singoli parlamentari di agire in maniera
indipendente. Non è un fenomeno insolito quello per cui i compromessi richiesti dal processo di policy-
making all’interno del legislativo creino preoccupazione fra gli attivisti di partito e i capi fuori
dall’assemblea. È invece meno probabile che questo accada ai partiti che adottano una struttura di
leadership singola e unificata all’interno e fuori dal parlamento/congresso.

Leggi elettorali
Mentre gli scenari discussi sopra possono variare tra partiti politici all’interno di un singolo sistema politico,
vi sono altri elementi che influenzeranno tutti i partiti all’interno di un sistema. Due delle più importanti
variabili sistemiche sono: 1) il sistema elettorale e 2) le norme che regolano il finanziamento delle
campagne elettorali.
Nei collegi uninominali, agli elettori è chiesto di scegliere tra candidati individuali, mentre nei sistemi
proporzionali la scelta è di solito fra partiti politici. Quest’ultimo metodo mette in luce l’importanza dei
partiti e rinforza il loro primato nel mediare la relazione cittadini-governo. Al contrario, nelle elezioni
centrate sui candidati (collegi uninominali), gli attributi politici e personali del singolo candidato sono
preminenti e possono persino oscurare il significato dell’appartenenza partitica. Le elezioni che si
focalizzano esclusivamente o principalmente su partiti politici riducono in maniera significativa la capacità
dei singoli parlamentari di competere a dispetto dell’opposizione. In ogni caso, senza l’accesso a sufficienti
risorse finanziarie nessun candidato sarà competitivo.
L’aspetto che riguarda il finanziamento è la presenza/assenza del finanziamento pubblico e le regole che
governano l’accesso a questi fondi. Laddove il finanziamento pubblico per le campagne elettorali è la fonte
primaria di fondi, si vedrà nascere con buona probabilità nuovi partiti.
In sintesi: a un estremo vi sono gli organi legislativi che sono dominati dall’esecutivo (parlamenti) con
singoli parlamentari in gran parte controllati dai loro partiti politici. All’altro estremo si trovano gli organi
legislativi che sono formalmente indipendenti dall’esecutivo (congressi) all’interno di sistemi politici in cui i
partiti sono deboli o decentralizzati e incapaci di controllare efficacemente i membri del legislativo. (vedi
bene figura 9.2 pagina 331)

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