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5.

EUGEN F1NK

Nato a Costanza l' ll dicembre 1905, ha studiato a Friburgo con Husserl


e Heidegger. Dopo uno scritto su « Presentificazione e inimagine » (Ver·
gegenwiirtigung und Bild), pubblicato sull'ultimo numero dello « J ahrbuch »
(Xl, 1930), diviene assistente ricercatore di Husserl e gli è specialmente
vicino negli ultimi anni, aiutandolo nella stesura di alcune parti della
Crisi; si può dire, anzi, che è il suo portavoce autorizzato, come appare dai
riconoscimenti di Husserl stesso in apertura del suo saggio su << Kant·
Studien » del 1933, e da altri documenti ( ad esempio dall'articolo Husserl
in W. ZIEGENFUSS, Philosophen-Lexikon). Nel 1939, dopo la morte del
maestro, partecipa con Van Breda e altri alla fondazione degli Archivi
Husserl di Lovanio; ottiene la libera docenza nel 1945, e l'ordinariato nel
1 948. Intanto il suo pensiero si è profondamente modificato, ed egli mani­
festa la sua decisa ispirazione heideggeriana in una serie di critiche rivolte
alla fenomenologia. I suoi interventi ai convegni di Bruxelles ( 1951), Krefeld
(1956), Royaumont (1957) si muovono tutti in questa direzione, e preparano
l'orientamento ontologico dei suoi scritti piu importanti. Nel settembre
invernale 1966-67 ha tenuto, insieme a Heidegger, un seminario su Eraclito.
Le vicende del suo pensiero sono profondamente collegate alla storia
dell'università di Friburgo, nella quale egli stesso attualmente insegna.

Di Fink : Vergegenwiirtigung und Bild, Halle, 1930; Die phiinomeno•


logische Philosophie E. Husserls in der gegenwiirtigen Kritik, << Kant­
Studien », 1933, pp. 319-83; Was will die Phiinomenologie E. Husserls?,
Berlino, 1934 ; Husserl, in W. ZIEGENFUSS, Philosophen-Lexikon, Berlino,
1937, vol. l, pp. 569-75; Das Problem der Phiinomenologie E. Husserls, << Re­
vue internationale de Philosophie )) , 1938-39, pp. 226-70 ; Vom Wesen des
Enthusiasmus, Friburgo, 1947 ; Philosophie als Oberwindung des << Nai­
vitiit », Lahr-Baden, 1948 ; Zum Problem der ontologischen Erfahrung,
« Actas del Primer Congreso Nacional de Filosofia » , Mendoza, 1949, vol. Il,
pp. 733-41 ; L'analyse intentionnelle et le problème de la pensée speculative,
in AA. VV., Problèmes actuels de la phénoménologie, Parigi, 1952, pp. 53-87;
Operative BegrifJe in Husserls Phiinomenologie, << Zeitschrift fiir philoso­
phische Forschung », 1957, pp. 321-3 7 ; Oase des Glilcks. Gedanken zu einer
Ontologie des Spiels, Friburgo-Monaco, 1957 ; Nachdenkliches zur Ontolo­
gischen Friihgeschichte von Raum-Zeit-Bewegung, L'Aia, 1957; Sein,
Wahrheit, Welt. Vor-Fragen zum Problem des Phiinomen-BegrifJs, L'Aia,
1958 ; Alles und Nichts. Ein Umweg zur Philosophie, L'Aia, 1959; Welt
und Geschichte-Monde et histoire, in AA. VV., Husserl et la pensée mo­
derne, L'Aia, 1959, pp. 143-59; Nietzsches Philosophie, Stoccarda, 1960;
Spiel als Weltsymbol, Stoccarda, 1960 ; Studien zur Phiinomenologie
1930-39, L'Aia, 1966 ; Metaphysik und Tod, Stoccarda, 1969 ; in collabora·
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zione con M. HEIDEGGER, Heraklit. Seminar Wintersemester 1966-67, Fran­


coforte s. M., 1970 ; Epiloge zur Dichtung, Francoforte s.. M., 1971 ; Re­
flexionen zu Husserls phaenomenologischer Reduktion, in « Tijdschrift for
Filosofie», settembre 1971.
Traduzioni italiane: Oasi della gioia, introd. di A. Masullo, Salerno,
1969 ; Il gioco come simbolo del mondo, introd. di J. M. Rey, Roma, 1969 ;
La filosofia di Nietzsche, trad. di P. Rocco Traverso, con un saggio di
M. Cacciari, Padova, 1973.
Su Fink: F. W. HERRMANN, Bibliographie E. F., L'Aia, 1970 ; G. Gui­
ZONI, Di una posizione « storicamente » positiva rispetto alla fenomeno­
logia di Husserl, in AA. VV., Omaggio a Husserl, Milano, 1960, pp. 265-89 ;
H. G. GADAMER, Die phaenomenologische Bewegung, in << Philosophische
Rundschau », 1963, pp. 1-45 ; P. ScHLAGETER, Kosmo-Sophia. Das Weltpro­
blem bei E. F. (Tesi di laurea, Lovanio, 1963), Heidelberg, 1963 ; AA. VV.,
Beispiele (Scritti in onore di E. F. per il 60° compleanno), a cura di L.
Landgrehe, L'Aia, 1965 ; F. W. HERRMANN, Bewusstsein, Zeit und Weltvers­
tiindnis, Francoforte s. M., 1970.

IL GIOCO COME SIMBOLO DEL MONDO

a) Il gioco come « sospensione» degli interessi finali


Nell'interezza, e non semplicemente in un settore, del suo esserci,
l'uomo è determinato e segnato dalla morte che gli muove dall'in­
terno c lo sovrasta e alla quale egli, dovunque vada, va incontro.
Come essere corporeo-sensibile egli è altrettanto nellà sua interezza
determinato dal rapporto con la resistenza e con la donante bene­
dizione della terra. E la stessa cosa vale per le dimensioni del po­
tere e dell'amore nel coesistere insieme· con il prossimo. Mortale,.
lavoratore, lottatore, amante, giocatore, è per essenza l'uomo. Morte,
lavoro, potere, amore e gioco costituiscono la elementare struttura
di tensione e lo schema della enigmatica e ambigua esistenza umana.
E se Schiller dice : « . . l'uomo c'è, interamente, solo li dove gio­
.

ca . », si può anche dire che egli c'è, interamente, solo là dove


. .

lavora e lotta, dove si oppone alla morte e dove ama. Non è qui
il luogo e l'occasione per esporre lo stile fondamentale di una inter­
pretazione dell'esistenza che riporti alla domanda sui fenomeni fon­
damentali. Ma come accenno si può osservare che tutti gli essenziali
fenomeni fondamentali dell'esistenza umana sono cangianti e appaio­
no in maniera ambigua enigmatici. Ciò ha il suo motivo piu profondo
nel fatto che l'uomo è al tempo stesso esposto e al sicuro. Egli non
è piu trattenuto nel fondamento della natura come la fiera, e non è
ancora libero come l'angelo senza corpo - egli è una libertà immersa
nella natura, rimane legato ad un oscuro impulso che lo afferra e
intimamente lo possiede. Egli non è semplicemente ; egli si rapporta
Fenomenologia 603

comprendendo al suo proprio esserci - d'altra parte però non può


determinarsi pienamente con le azioni della sua libertà. Attraverso
questo intrecciarsi di esposizione e di copertura l'esistenza umana
è sempre un teso stare-in-rapporto-con-se-stessi. L'uomo rive in un
incessante inquietarsi. Solo un essere vivente, per il quale « nel suo
essere ne va del suo essere » ( Heidegger), può morire, lavorare, come
tale, e con il tutto che avvolge ogni cosa : con il mondo. Il triplice
momento del rapporto con sé, della comprensione dell'essere, e del­
l'aprirsi al mondo forse è meno facilmente riconoscibile nel gioco
che non negli altri fenomeni fondamentali dell'esistenza umana.
Il carattere di esecuzione del gioco è azione spontanea, fare
attivo, impulso vitale ; il gioco è, per cosi dire, un esistere che è in
sé mosso. Ma l'emozione del gioco non coincide con tutte le altre
emozioni vitali dell'uomo. Ogni fare d'altro genere ha in fondo, in
tutto quanto viene fatto di volta in volta ( o semplice praxis che
ha il suo fine in se stessa, o creazione - poiesis - che ha il suo
fine in una produzione di opere) un riferimento al « fine ultimo »
dell'uomo, alla beatitudine, alla « eudaimonia ». Noi agiamo per ten­
dere, nel retto andamento della vita, all'esistenza felice. Noi pren­
diamo la vita come un « compito ». Noi non abbiamo in alcun mo­
mento, per cosi dire, una sosta tranquilla. Ci sappiamo « in cammino ».
Siamo sempre strappati via da ogni presente e trascinati in avanti
dall'impeto del nostro progetto vitale, verso l'esistenza giusta e fe­
lice. Tutti noi tendiamo all' « eudaimonia », ma riguardo a che cosa
essa sia non siamo in alcun modo d'accordo. Abbiamo non soltanto
l'inquietudine dell'aspirazione trascinante, ma anche l'ansia della « in­
terpretazione » della vera felicità. Appartiene ai paradossi profonda­
mente significativi dell'esistenza umana il fatto che nella caccia in·
cessante all'« eudaimonia » noi non la raggiungiamo e, nel senso
pieno, nessuno prima della morte può essere stimato felice. Fin quando
noi respiriamo ci troviamo costretti sul rovinoso piano inclinato della
vita, siamo trascinati dall'impulso alla realizzazione ed al compimento
del nostro essere frammentario, viviamo nella prospettiva del futuro,
percepiamo il presente come preparazione, come stazione di pas­
saggio, come tappa. Questo strano « futurismo » della vita umana
è in rapporto nel modo piu stretto con il tratto fondamentale che
noi non siamo semplicemente come pianta e fiera, che noi piuttosto
ci diamo da fare per un « senso » della nostra esistenza, che noi
vogliamo capire per che cosa siamo sulla terra. È un'inquietante
passione quella che spinge l'uomo all'interpretazione della sua vita
terrena, la passione dello spirito. In essa noi abbiamo la fonte della
nostra grandezza e della nostra miseria. A nessun essere vivente l'esi­
stenza viene turbata dal fatto che essa interroghi intorno all'oscuro
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senso del suo esser-qui. L'animale non è capace, e Dio non ha bisogno
di interrogare intorno a se stesso. Ogni umana risposta alla domanda
sul senso della vita significa porre uno « scopo finale ». Nella mag­
gior parte degli uomini, veramente, questo non avviene in modo
espresso ;· ma sempre governa il loro fare e non fare una rappresen­
tazione di fondo di ciò che per loro è il « sommo bene ». Tutti gli
scopi quotidiani sono architettonicamente irrigiditi nella cospirazione
allo scòpo finale - tutti gli scopi particolari delle umane fun­
zioni si unificano in quello che è creduto l'ultimo scopo dell'uomo
in generale.
In questa compagine degli scopi si muove l'intero lavoro umano,
si muove l'aspetto serio della vita, si muove e dà prova di sé la
sua autenticità. Ma la fatale situazione dell'uomo si mostra nel fatto
che egli da sé non può diventare assolutamente certo del fine ultimo,
e che nella domanda piu importante della sua �sistenza egli brancola
nel buio, se nessuna potenza sovrumana lo aiuta. Per questo noi
troviamo tra gli uomini un'irrimediabile confusione linguistica ap­
pena si tratta di dire che cosa sia lo scopo finale, quale la destina­
zione, quale la gioia vera dell'essere umano. Per questo anche l'irre­
quietezza, la furia, la tormentosa incertezza le troviamo segni carat­
teristici dello stile di vita dell'uomo progettante. In questo stile ora
il gioco non si inserisce come di solito ogni altra azione. Esso si
distingue considerevolmente dal complessivo carattere futuristico della
vita. Esso non si lascia neppure senz'altro incorporare nella complessa
architettura degli scopi, non accade in vista dello « scopo finale »,.
non viene turbato e sconvolto come ogni altra nostra azione dalla
profonda insicurezza della nostra interpretazione della gioia. In con­
fronto con il corso della vita e con la sua dinamica inquieta, con
la sua oscura problematicità ed il suo riferimento al futuro che esso
continua a inseguire, il giocare ha il carattere di « presente » quie­
tato e di autarchia di senso - esso rassomiglia ad un'« oasi » di
felicità raggiuntÒ nel deserto del nostro ulteriore tendere alla gioia
e della: nostra tantalica ricerca. Il gioco ci rapisce. Giocando noi
siamo per un po' di tempo liberati dall'ingranaggio della vita- come
trasferiti su di un altro corpo celeste, dove la vita appare piu leggera,.
piu aerea, piu felice. Spesso si dice che il giocare sia un fare ed
agire « privo di scopo », « libero da scopo >>. Questo non è vero. Come
azione generale il gioco è determinato finalisticamente e nei singoli
momenti del suo procedere ha di volta in volta scopi particolari che
si combinano insieme. Ma lo scopo immanente del gioco non è, come
gli scopi delle altre azioni umane, progettato per lo scopo finale
pm alto. L'azione del gioco ha soltanto scopi interni, e non scopi
che la oltrepassino. E dove noi eventualmente giochiamo « per lo
Fenomenologia 605

scopo » dell'invigorimento fisico, dell'addestramento bellico o della sa­


lute, il gioco è già falsificato, è divenuto un esercizio per qualcosa
di altro da sé. In simili maneggi il gioco viene guidato da finalismi
·estranei, e allora chiaramente non avviene per se stesso. Sono proprio
l'autosufficienza pura e la sferica chiusura in se stessa dell'azione
Iudica, a far chiaramente apparire nel gioco una possibilità della sosta
umana nel tempo, dove questo non ha l'impeto distruttivo e dissi­
è per cosi dire un lampo
patore, ma piuttosto concede indugio, ed
di luce dell'eternità. Poiché il fanciullo in prevalenza gioca, a lui
piu che a tutti è ancora adatta questa occupazione del tempo, quale
il poeta la dice: « Oh ore dell'infanzia, l in cui dietro la figura era
piu che soltanto l passato e innanzi a noi non era futuro. / In verità
crescevamo e ci premeva talvolta l divenire suhito grandi, a metà
per amore di quelli l cui null'altro restava oramai che l'essere grandi,
l e nel nostro andar soli eravamo contenti l di quel durare e. li resta­
vamo, l nell'interspazio tra mondo e giocattoli, l in un luogo che dal
principio l fu creato per puro svolgersi. . . » (RILKE, Elegie duinesi, 4).
Per l'adulto il gioco è oasi straordinaria, trasognato punto di riposo
dopo incessante peregrinare e perpetua fuga. Il gioco dona il presente.
Non quel presente, in verità, in cui noi, quietati nella profondità
del nostro essere, percepiamo l'eterno respiro del tempo e osserviamo
le immagini pure nel :flusso della caducità.
Gioco è attività e creatività - e tuttavia esso sta in una vici­
nanza delle cose eterne e quiete. Il gioco « interrompe » la continuità
e concatenazione del nostro processo vitale, determinata da uno scopo
finale; esso emerge propriamente dall'altro modo di vivere, esso è
in distanza. Ma mentre sembra portarsi-fuori dall'unitario fiume della
vita, in esso in modo molto significativo si ri-porta nel modo della
rappresentazione. Se il gioco, come di solito, viene soltanto delimi­
tato in confronto del lavoro, della realtà, della serietà e dell'auten­
ticità, falsamente esso viene posto solo accanto ad altri fenomeni
della vita. Il gioco è un fenomeno fondamentale dell'esserci, altret­
tanto originario e indipendente come la morte, l'amore, il lavoro
e il dominio, ma esso con gli altri fenomeni fondamentali non è
coordina to per mezzo di un comune tendere allo scopo finale. Esso
sta per cosi dire di fro nte ad essi per comprenderli in sé rappre­
-

sentandoli. Noi giochiamo il serio, giochiamo l'autentico, giochiamo


la realtà, il lavoro e la lotta, giochiamo l'amore e la morte. E gio­
chiamo perfino il gioco.
( Owi della gioia. Idee pe.r una antologia del gioco, introd. di A. Masullo, Salemo,
1969, pp. 46-51).
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h) Il carattere di irrealtà del gioco


Ogni giocattolo è rappresentanza di tutte le cose in generale: il
giocare è sempre una spiegazione con l'ente. Nel giocattolo si con­
centra l'intero in una cosa singola. Ogni gioco è un tentativo di
vita, un esperimento vitale, che nel giocattolo esperisce in generale
la totalità dell'ente di fronte a noi. Ma l'umano giocare non avviene
soltanto come la or ora annunziata relazione magica con il gio­
cattolo. Si tratta di afferrare piu sottilmente e piu rigorosamente
il còncetto dell'esser giocante. Poiché qui ci sta davanti una « schi­
zofrenia » del tutto singolare, anche se per nulla patologica, una
spaccatura dell'uomo. Il giocante, nel suo impegnarsi in un gioco,
compie nel mondo reale un'azione determinata, ben nota nella sua
forma tipica. Ma nell'intima connessione di senso del gioco egli as­
sume un ruolo. Ed ora bisogna appunto distinguere tra l'uomo reale
che « gioca » e l'uomo come ruolo all'interno del gioco. Il giocatore
« maschera » se stesso con il suo « ruolo », si cala per cosi dire in
esso. Con una intensità di singolare natura egli vive nel ruolo - e
tuttavia ancora una volta non come il malato immaginario che
non è piu in grado di distinguere tra « realtà » e « apparenza ».
Il giocatore può richiamarsi fuori dal ruolo. Nella esecuzione del
gioco rimane, anche se fortemente impoverita, una consapevolezza
della sua doppia esistenza. Esso è in due sfere - ma non come per
smemorataggine o per difetto di concentrazione ; all'essenza stessa del
gioco appartiene questa duplicità. Tutti i momenti strutturali fin qui
toccati si stringono insieme nel concetto fondamentale del mondo del
gioco. Ogni giocare è una produzione magica di un mondo ludico.
In esso sono situati il ruolo del giocante, i ruoli di reciprocità della
comunità di gioco, l'obbligatorietà della regola del gioco, il signifi­
cato del giocattolo. Il mondo de� gioco è una dimensione immagina­
ria il cui senso d'essere rappresenta un problema oscuro e difficile.
Nel mondo cosiddetto reale noi giochiamo, ma giocando otteniamo
con esso un ambito, un campo enigmatico che non è un niente e
tuttavia niente di reale. Nel mondo del gioco noi muoviamo noi
stessi secondo il nostro ruolo; ma nel mondo del gioco vi sono le
figure immaginarie, c'è il « bambino », che H invero è in carne ed
ossa - ma nella semplice realtà c'è solo una bambola o un pezzo
di legno. Nel progetto di un mondo del gioco lo stesso giocante si
maschera da creatore di questo « mondo », si perde nella sua crea­
zione, interpreta un ruolo e, all'interno del mondo del gioco, si ri­
trova tra cose e persone da mondo del gioco. Ciò che rende perplessi
sta nel fatto che noi afferriamo immaginativamente ques�e stesse
cose del mondo del gioco come se fossero « cose reali », anzi nel
Fcnomenologia 607

fatto che perfino la differenza tra realtà e apparenza vi si può inde·


finitivamente ripetere.
Questo tuttavia non significa che le cose propriamente e vera­
mente reali del nostro ambiente quotidiano restino a tal punto
coperte dai caratteri del mondo del gioco, da essere nascoste e per·
ciò non piu riconoscibili. Non è questo il caso. Il mondo del gioco
non si pone come una parete o una tenda davanti all'ente che ci
circonda; esso non ottenebra e non vela; il mondo del gioco, preso
rigorosamente, non occupa infatti né un luogo né un sia pur minimo
tempo nella connessione reale di spazio e tempo - ma esso ha un
suo proprio interno spazio, un suo proprio interno tempo. E tuttavia
giocando noi consumiamo tempo reale e abbiamo bisogno di spazio
reale. Lo spazio del mondo Indico non entra però mai continuati·
vamente nello spazio che noi altrimenti abitiamo. Analogamente av·
viene con il tempo. Il curioso intrecciarsi della dimensione alla realtà
e del mondo del gioco non si lascia spiegare attraverso alcun mo­

dello altrimenti conosciuto di vicinanza temporale e spaziale. Il mondo


del gioco non è sospeso in un puro regno di pensieri, ha sempre una
scena reale, e tuttavia non è mai una cosa reale tra le cose reali.
Esso ha però necessariamente bisogno di cose reali, per avere in
esse .un punto di appoggio. Questo significa che il carattere immagi­
nario del mondo del gioco non può essere chiarito come un feno­
meno di apparenza puramente soggettiva, non può essere determi­
nato come un'illusione che viva solo nell'interiorità di un'anima e in
generale non compaia in alcun modo nel novero delle cose ed in
rapporto con esse. Quanto piu uno si sforza di riflettere sul gioco,
tanto piu questo sembra divenire enigmatico e dubbio.
Abbiamo fissato alcuni tratti fondamentali e abbiamo raggiunto
alcune distinzioni. Il gioco umano è produzione lietamente accordata
di un immaginario mondo del gioco, è un meraviglioso piacere del­
l'« apparenza ». Il gioco è sempre caratterizzato anche dal momento
della rappresentazione, dal momento della significatività ed è di volta
in volta mutevole; esso produce il « divenire leggero della vita »,
genera una temporanea, solo terrena liberazione, anzi quasi reden­
zione dai paesi del gravame esistenziale. Ci strappa ad uno stato di
fatto, alla prigionia in una situazione opprimente ed angusta, pro­
cura una felicità fantastica nel portarci in volo attraverso possibilità
che restano senza il tormento di una scelta reale. Nella esecuzione
del gioco l'uomo perviene ad essere in due estremi. Una volta il
gioco può essere sperimentato come un culmine di sovranità umana;
allora l'uomo gusta una creatività quasi illimitata, plasma in maniera
produttiva e libera, dato che non produce nello spazio della realtà
effettiva. Il giocatore si sente come il « signore » dei suoi prodotti im-
608 GUGLIELMO l•'ORNI

maginari - giocare diventa una possibilità eccellente, giacché poco li­


mitata, della libertà umana. Ed in effetti nel gioco agisce in ampia
misura l'elemento della libertà. Se però la natura del gioco debba qui
essere fondamentalmente ed esclusivamente abbracciata dalla forza esi­
stenziale della libertà - oppure se anche motivi esistenziali del tutto
diversi nel gioco si rivelino e si esplichino, rimane una questione dif­
ficile. E in effetti nel gioco noi troviamo anche l'estremo opposto alla
libertà, vale a dire, a volte, un esonero dalla realtà effettiva, che può
andare fino al rapimento, fino all'incantesimo, fino allo scadere nel
demoniaco della maschera. Il gioco può racchiudere in sé il lumi­
noso momento apollineo del libero essere se stessi, ma anche l'oscuro
momento dionisiaco del panico abbandono di sé.
Il rapporto dell'uomo con l'enigmatica apparenza del mondo del
gioco e con la dimensione dell'immaginario è ambiguo. Il gioco è un
fenomeno per il quale difficilmente sono disponibili in modo univoco
le categorie appr�priate. La sua cangiante ambiguità interna si lascia
forse rapidamente attaccare dai mezzi razionali di una dialettica che
non livella i paradossi. La eminente essenzialità del gioco, che il
senso comune non riconosce, poiché gioco per esso vuoi dire man­
canza di serietà, inautenticità, ii-realtà e ozio, la grande filosofia l'ha
sempre riconosciuta. Cosi Hegel, ad esempio, dice che il gioco nella
sua indifferenza e nella sua suprema leggerezza è la serietà pio ele­
vata e quella unicamente vera. E Nietzsche, nello « Ecce Homo »,
formula : « Al di fuori del gioco non conosco altro modo di essere
in relazione con grandi compiti ».
Il gioco, dobbiamo chiederci ora, può essere chiarito se esso, unico
e solo, vien preso soltanto come un fenomeno antropologico? Non
dobbiamo pensando andare al di là dell'uomo ? Con questo non s'in­
tende cercare un comportamento Indico anche in altri esseri viventi.
Ma è problematico se il gioco possa essere capito nella struttura del
suo essere, senza che la singolare dimensione dell'immaginario venga
determinata pio da vicino. Posto il caso che il gioco sia qualcosa di
cui soltanto l'uomo è capace, resta ancora da chiedere se l'uomo
come giocatore rimane nella terra degli uomini .oppure se egli con
ciò si mette necessariamente in rapporto anche con un sovrumano.
Originariamente il gioco è una rappresentazione simbolica dell'esi­
stenza umana, che in essa dà una interpretazione di se medesima.
I giochi pio primitivi sono i riti magici, i grandi gesti di impronta
cultuale, nei quali l'uomo arcaico interpreta il suo stare nel mezzo
del contesto mondano, vi « rappresenta » il suo destino, e rievoca
a sé gli eventi di nascita e morte, di matrimonio, guerra, caccia
e lavoro. La rappresentazione simbolica dei giochi magici crea ele­
menti dall'ambito della semplice realtà, ma crea anche dal regno neb-
Fenomenologia 609

bioso dell'immaginario. Nei tempi primitivi il gioco non è tanto


compreso come esecuzione vitale, profondamente piacevole, di sin­
goli isolati o di gruppi che temporaneamente si staccano dalla con­
nessione sociale e abitano la loro piccola isola di effunera felicità.
Primordialmente il gioco è la pio forte potenza vincolante, è fon­
datore di comunità - in verità una cosa diversa dalla comunità tra
i morti e i vivi, una cosa diversa dall'ordine del potere ed anche
una cosa diversa dalla famiglia elementare. La comunità di gioco
dei primi uomini abbraccia tutte queste menzionate forme e figure
dell'essere-assieme, e produce una rappresentazione totale dell'intera
esistenza : essa serra insieme il cerchio dei fenomeni vitali, come la
comunità di gioco della festa. La festa arcaica è piu che divertimento
popolare, è la elevata realtà, elevata alla dimensione magica, della
vita umana in tutte le sue relazioni, è spettacolo cultuale, dove
l'uomo sente la vicinanza degli dei, degli eroi e dei morti e si sa
posto alla presenza di tutte le benedicenti e terribili forze dell'uni­
verso. Cosi il gioco primitivo ha anche un nesso profondo con la
religione. La comunità di festa avvolge gli spettatori, gli iniziati e
gli adepti in un gioco cultuale, dove le gesta e le pene degli dei
e degli uomini vanno su un palcoscenico le cui tavole in effetti signi­
ficano il mondo.
(Op. cit., pp. 64,. 72).

c) Il mondo del gioco e il gioco del mondo


Sarebbe una spiegazione troppo comoda, se si dicesse che il regno
immaginario del mondo del gioco consiste esclusivamente nella imma­
ginazione umana, che esso è un accordo di rappresentazioni illusorie
private o di atti di fantasia privati in una illusione collettiva, in
una fantasia intersoggettiva. Il giocare è sempre un rapporto con i
giocattoli. Già dal e:iocattolo si può vedere che il l!;iocare non avviene
in una interiorità psichica. da solo e senza punto di appoggio nel
mondo esterno oggettivo. Il mondo del gioco contiene elementi fan­
tastici soggettivi ed elementi oggettivi, ontici. La fantasia la cono­
sciamo come facoltà dell'anima : conosciamo il sogno, le interne vi­
sioni, i variopinti contenuti della fantasia. Ma che cosa deve indi­
care un'apparenza oggettiva ed ontica ? Ora, ci sono nella realtà cose
del tutto singolari che innegabilmente sono esse stesse qualcosa di
reale e tuttavia contengono in sé un momento di « it·realtà ». Ciò
appare strano e degno di nota. Ma ognuno conosce simili cose ; sol­
tanto noi abitualmente non le caratterizziamo in modo cosi preciso
ed astratto. Esse sono soltanto immagini che esistono oggettivamente.
Per avventura, un pioppo sulla riva del lago proietta Ja sua hnma-
610 GUGLIELMO FORNI

gine a specchio sulla luccicante superficie dell'acqua. Ora, le stesse


immagini riflesse hanno bisogno di certe condizioni, come le cose
reali sono in un ambiente pieno di luce. Le cose nella luce mandano
ombre, gli alberi della riva si specchiano nel lago, sul metallo liscio
e lucido le cose circostanti trovano un riflesso. Che cos'è l'immagine
riflessa ? Come immagine è reale, è una reale riproduzione dell'al­
bero reale, originale. Ma « nella » immagine è rappresentato un al­
bero, esso appare sulla superficie dell'acqua in modo tuttavia da
esser presente li soltanto attraverso l'apparenza specchiata, non in
realtà. Un'apparenza di tal fatta è una sorta sui generis di ente
e comprende in sé come momento costitutivo della sua realtà uno
specifico « irreale » e con ciò riposa, per giunta, su un altro ente
di realtà semplice. L'immagine del pioppo non nasconde il pezzo di
superficie d'acqua sul quale essa affiora come in uno specchio. Come
immagine riflessa, vale a dire come determinato fenomeno luminoso,
l'immagine riflessa del pioppo è una cosa reale e corr:J.prende in sé
l'« irreale » pioppo del mondo speculare. Forse questo può sonare
troppo artificioso - e tuttavia non è una cosa fuor di mano, ma
nota a tutti, una cosa che ci sta davanti agli occhi ogrii giorno. Tutta
la dottrina platonica dell'essere che ha determinato autorevolmente
e in larga misura la filosofia occidentale, opera continuamente con
modelli di copia come quello di ombra e d'immagine riflessa ed inter­
preta con essi la struttura del mondo.
L'apparenza ontica (immagine riflessa e. simili) è piu che sol­
tanto un analogo rispetto al mondo del gioco; essa si presenta di
solito proprio come un momento strutturale perfino nel mondo
del gioco. Giocare è un atteggiamento reale, che comprende in sé
per cosi dire una « immagine riflessa » : il comportamento secondo
ruoli, proprio del mondo ludico. In genere la possibilità di generare
produttivamente, da parte dell'uomo, un'apparenza effettiva. L'uomo
non può produrre cose artificiali, se ad esse non appartiene anche
un momento di apparenza reale. Egli progetta mondi di gioco
immaginari. Mercé una produzione intessuta di . atti immaginativi, la
ragazzetta promuove a suo « vivo bambino » l'involucro di stoffa di
quella cosa che è la bambola, e pone se stessa nel ruolo della « mam­
ma ». Al mondo del gioco appartengono sempre cose reali - ma
in parte esse hanno il carattere di apparenza ontica e in parte sono
rivestite di una apparenza soggettiva derivante dall'anima umana.
Il giocare è una finita creatività nella magica dimensione dell'appa­
renza.
È un problema di somma profondità e di enorme difficoltà intel­
lettuale, spiegare esattamente come nel gioco umano realtà e irrealtà
si compenetrino. La determinazione concettuale dell'essere del gioco
Fenomenologia 6ll

rinvia alle domande cardinali della filosofia, alla specula�ione su


essere e nulla, su apparenza e divenire. Il che tuttavia non è possi­
bile sviluppare qui. In ogni caso pérò si vede che il consueto di­
scorso sull'irrealtà del gioco resta inconcludente, se non viene messa
in questione l'enigmatica dimensione dell'immaginario. Quale senso
umano e quale senso cosmico ha questo immaginario ? Costituisce
un settore, ben circoscritto in mezzo alle altre cose ? La strana terra
dell'irreale è l'elevato luogo dell'evocata raffigurazione delle modalità
di tutte le cose in generale ? Nel magico riflesso del mondo del
gioco, la singola cosa presa a caso ( eventualmente il giocattolo) as·
surge a simbolo. Essa rappresenta. lÌ gioco umano è (anche se da
molto tempo non lo sappiamo piu) l'azione simbolica con cui ci si
rappresenta immaginativamente il senso del mondo e della vita.
I problemi ontologici che il gioco ci propone, non si esauriscono
nelle indicate domande sulla maniera d'essere del mondo ludico e
sul valore simbolico del giocattolo o dell'azione di gioco. Nella storia
del pensiero non si è solo tentato di cogliere l'essere del gioco - si
è osato anche l'enorme capovolgimento di determinare il senso del­
l' essere a partire dal gioco. Questo noi definiamo il concetto specu­
lativo del gioco. In breve, speculazione è caratterizzazione dell'es­
senza dell'essere nell'immagine di un ente, è una formula concettuale
del mondo che salta fuori da un modello che si trova nel mondo.
I filosofi hanno già adoperato molti modelli di tal genere : Talete
l'acqua, Platone la luce, Hegel lo spirito e cosi via. Ma il potere
illuminante di un siffatto modello non dipende dalla scelta arbitraria
di questo o quel pensatore - d'importanza decisiva è se, nel fatto,
la totalità dell'essere da se stessa si specchia replicandosi in un sin­
golo ente. Dovunque il cosmo replica per immagine la sua costitu­
zione, la sua architettura e la sua pianta costruttiva in una cosa
che sia nel mondo, ne è designato un fenomeno chiave dal punto
di vista filosofico, e a partire da tale fenomeno è possibile sviluppare
una formula speculativa del mondo.
Il fenomeno del gioco è ora un'apparenza che come tale è già
contrassegnata dal tratto fondamentale del rapporto di rappresenta­
zione simbolica. Assurge forse il gioco a rappresentazione del tutto
in immagine, a metafora illuminante, speculativa del mondo ? Un
siffatto temerario, ardito pensiero è stato effettivamente pensato. Al­
l'aurora del pensiero europeo Eraclito enuncia il detto : « Il corso
del mondo è un fanciullo che gioca, gettando pedine - una regale
signoria del fanciullo » ( framm. 52, Diels). E dopo venticinque
secoli di storia del pensiero, in Nietzsche si dice : « . un farsi e
. .

disfarsi, un costruire e distruggere, senza alcuna qualificazione


morale, in sempre uguale innocenza è carattere che in questo mondo
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ha soltanto il gwco dell'artista e del fanciullo ». - « Il mondo è


il gioco di Zeus . . » (La filosofia nell'età tragica dei greci).
.

La profondità di una simile concezione, con tutto il suo pericolo


e il suo potere di seduzione che spinge ad una spiegazione estetica
del mondo, non può in questo luogo essere sviluppata. Ma la sor­
prendente formula cosmica, che fa agire l'ente ne) tutto come un
gioco, può forse suscitare il sospetto che il gioco non sia una cosa
ingenua, marginale o addirittura « da bambini » - e che noi uo­
mini finiti proprio nella potenza creatrice e nella magnificenza della
nostra magica produzione siamo « messi in gioco », in un senso abis­
sale. Se l'essenza del mondo è pensata come gioco, consegue per l'uomo
che egli è l'unico ente, nello sconfinato universo, in grado di corri­
spondere al tutto che agisce.
(Op. cit., pp. 78-84);

d) Il mondo come gioco senza giocatore


Il mondo è senza fondamento ma in un senso del tutto unico
-

nel suo genere. La sua non-causalità abbraccia la causalità generale


di tutti gli eventi e gli avvenimenti del mondo. Nel mondo molte
aspirazioni hanno mete immanenti, nel regno vegetale e animale tro­
viamo un molteplice tendere a condizioni desiderate e nella vita umana
conosciamo una quantità di scopi perseguiti e mete desiderate con
passione, che si fondono nel supremo scopo dell'esistenza, l'eudemo­
nia. La vita dell'uomo sembra essere subordinata a uno scopo finale,
al quale si sottomettono tutti gli scopi individuali e le aspirazioni
particolari. Molti scopi agiscono nel mondo : anche il mondo come
tutto ha uno scopo, una meta, un TELOS, al quale aspira ? Ora,
vi sono interpretazioni religiose e filosofiche del mondo, che attribui­
scono al mondo una meta. Ma l'immensa importanza cosmologica
del moderno « nichilismo » è che qui lo scopo collettivo del mondo
viene dichiarato non solo inconoscibile ma anche insensato, e il mondo
appare in una estranea e incomprensibile mancanza di scopo. Il
mondo non ha pio valor� di decorso temporale per la rivelazione di
un dio, né di svolgimento della ragione in esso rinchiusa, né di
storia dello spirito auto-comprensivo, né di qualsiasi altra versione
possono darne le concezioni escatologiche. Il mondo è in sé senza
scopo e non ha in sé- neanche alcun valore e rimane al di fuori di
qualsiasi valutazione morale : è « al di là del bene e del male ». Senza
ragione e senza scopo, senza senso e senza meta, senza valore e
senza piano - ma in sé il mondo ha tutte le ragioni di tutti
gli enti del mondo, i quali hanno tutti un fondamento ; abbraccia
con la sua universale inutilità le vie su cui si tende a scopi e mete ;
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comprende, esso stesso senza valore, l'ente variamente differenziato


secondo gradi della forza d'essere, tiene aperti gli spazi e i tempi per
l'essere delle cose, il quale ha una ragione e un fine, è pieno di
significato e di valore ...
Ma in esso c'è almeno qualcuno che gioca ? La metafora del
gioco fallisce come metafora cosmica, se noi persistiamo nel pensare
a un giocatore-persona e all'illusorietà della scena Iudica. Possiamo
parlare di un gioco del mondo solo in una « equazione » decisa­
mente alterata e quindi rotta. Il gioco del mondo non è il gioco
di persone, poiché è solamente in esso che vi sono delle persone,
degli uomini e degli dei ; e il mondo Indico del gioco del mondo
non è un'« apparizione ». L'apparizione è l'universale nascere di tutti
gli enti, di tutte le cose e avvenimenti in una presenza comune,
che riunisce tutte le cose individuali ; in una presenza - accanto
a noi. Ciò che noi di solito già chiamiamo mondo, è la dimensione
universale della presenza, la dimensione dell'apparizione, in cui le
cose sono realmente separate l'li�a dall'altra, e tuttavia riunite in
una vicinanza spaziale e temporale e le une alle altre congiunte
da salde regole. Ma mondo è anche la sfera senza nome dell'essenza,
dalla quale le cose si inseriscono nell'apparizione e in cui di nuovo
scompaiono - posto che Ade e Dioniso siano la stessa cosa. Se il
gioco del mondo può avere un senso pensahile, deve essere inteso
come il rapporto fra la notte del mondo e il giorno del mondo.
Nel problema dell'individuazione, si pone un interrogativo che va
al di là dell'apparizione dell'ente e pensando si retrocede alla pro­
fondità assente, che il giorno terreno per lo piu si nasconde. Tutto
l'ente è giocattolo cosmico, ma anche tutti i giocatori sono essi stessi
solo giocati. L'apparizione è la maschera, dietro alla quale non c'è
« nessuno », dietro alla quale non vi è nulla - che non sia appunto
il nulla. Fare del gioco del mondo il tema di un pensiero specula­
tivo, è un compito ancora da risolvere, che si potrà forse ancora
affrontare solo quando sarà liquidata la tradizione metafisica ostile
al gioco e negatrice di esso. E non succederà parimenti per la tra­
sformazione dell'uomo, nel senso che egli non cerchi piu la sua mi­
sura al di là delle stelle e nel bagliore degli dei perda di vista se
stesso ? Sarebbe tuttavia scabroso dire che l'uomo debba d'ora innanzi
« corrispondere », invece che agli dei del mondo, al gioco e al go­
verno del mondo e prendere da esso la sua futura misura. Chiu­
diamo il nostro ragionamento con un problema che finora non è stato
risolto. L'uomo - come giocatore - esiste, il piu aperto possibile
al mondo, quando si accomiata da tutti i metri e si sporge nello
sconfinato. E dopo il lungo e difficile esercizio concettuale, sia data
in fondo la parola al pensatore ditirambico « Zarathustra » : « Se
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mai distesi sopra di me i cieli tranquilli, volando con le mie ali nel
mio proprio cielo : se mai giocando navigai in profonde lontananze
di luce l e la mia libertà acquistò saggezza d'uccello : - giacché
parla cosi la saggezza d'uccello : " Ecco, non v'è alto, non v'è basso !
Gettati di qua e di là, avanti e indietro, tu che sei leggero ! l Can­
ta ! Non parlar piu " » (l sette suggelli).
...

( Il gioco come simbolo del mondo, introd. di Jean.Michel Rey, Roma, 1969, pp. 299-305).

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