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SVEVO E PIRANDELLO MAESTRI DELLA MODERNITÀ NOVECENTESCA

Svevo e Pirandello rappresentano –insieme a Federico Tozzi- l’inquieta coscienza dei moderni e testimoniano
un’età di crisi. Sono coetanei, si formano entrambi in un contesto naturalistico di stampo ottocentesco, partono
dalla crisi dell’epoca decadente, ma danno ai problemi della loro epoca delle risposte nuove; entrambi poi si
impegnano per superare la tradizione che ereditavano, introducendo –di fatto- in Italia le novità del secolo
incipiente.

Quadro generale: il contesto filosofico e letterario


La cultura occidentale ha elaborato alla fine del secolo XIX un quadro generale di crisi dei valori di crisi della
ragione: basti ricordare l’esperienza di Nietzsche, con il suo pensiero nichilista ed eversivo, e di Freud, la cui
dottrina psicoanalitica, portando a galla gli inesplorati spazi dell’inconscio, contraddice certi pacifici
fondamenti della razionalità borghese. Al clima di instabilità del reale e di disgregazione del soggetto come
entità fissa e ben riconoscibile si sono collegate le maggiori esperienze europee di narrativa.
Joyce e Proust si possono considerare gli “eroi” del nuovo romanzo, in cui il materiale narrato è organizzato in
modo innovativo, rompendo i nessi causa-effetto e dissociando il soggetto/protagonista dal reale, dalla società e
da se stesso; tale linea sarà sviluppata anche da Mann, Wolf, Beckett, Kafka e, in Italia, oltre che dagli autori
sopraccitati, da E. Gadda. Distrutta la razionale visione di sé e del mondo, ne discendono alcuni accorgimenti
narrativi:
 l’assurdo/grottesco assume un ruolo di primo piano;
 il tempo reale è alterato a favore del tempo soggettivo;
 la preferenza per i generi alternativi (“diario”);
 il monologo interiore e il flusso di coscienza;
 la presenza di strutture non logiche, ma analogiche.
Ne risulta una narrazione che rinuncia a “spiegare” il reale (come facevano i naturalisti, forti delle loro certezze
positiviste), diventando infranta, deviata, alogica.

Focalizzazione formale: il rinnovamento stilistico e linguistico


Svevo
Lo scrittore triestino rappresenta una rottura con la letteratura italiana precedente per diverse ragioni.
□ E’ di formazione (letteraria e filosofica) mitteleuropea (cfr. la sua origine triestina e gli studi fatti in
Germania).
□ Attraverso l’ironia svagata dei personaggi nevrotizzati smonta le sicurezze e le certezze dell’uomo
ottocentesco.
□ Con la forma del monologo interiore della Coscienza di Zeno porta una novità dirompente nella narrativa
italiana.
□ Attraverso la scelta della sua lingua composita e denotativa segna l’abbandono definitivo dei modelli del
bello scrivere cari alla nostra tradizione (cfr. Carducci e D’Annunzio).
Pirandello
Gli elementi più dirompenti di questo scrittore sono:
□ la sua di formazione (letteraria e filosofica) mitteleuropea (cfr. gli studi a Bonn);
□ l’umorismo come strumento narrativo privilegiato;
□ la scelta di un italiano “elementare”, poiché l’autore privilegia il contenuto piuttosto che la forma;
□ l’inesausto sperimentalismo sia in prosa sia in drammaturgia (la riforma del teatro).

Focalizzazione antropologica: il rapporto con la psicoanalisi


Come già detto sopra, la cultura mitteleuropea, in cui entrambi si formarono, è attraversata da un’inquietudine
che nella psicoanalisi, una scienza eversiva per antonomasia, trova un’espressione rivoluzionaria, destinata a
segnare i decenni successivi. Per entrambi è lecito parlare di un rapporto con questa nuova scienza: un rapporto
cosciente –e straniante- da parte di Svevo, un rapporto inconsapevole, ma alla fine verace nell’interpretazione,
da parte di Pirandello.
Svevo, per ragioni biografiche (è triestino; parla correntemente il tedesco; suo cognato Bruno va in terapia da
Freud) e di studio (conobbe psicanalisti allievi di Freud stesso, come di dottor Weiss; lesse e tradusse alcune
opere del nostro), ha una conoscenza di prima mano della psicoanalisi e di fatto, nella Coscienza di Zeno, porta
nella nostra cultura per la prima volta termini, concetti, figure elaborate da Freud (nevrosi; lapsus, rimozione;
complesso edipico; somatizzazione; senso di colpa). Alla fine però ne risulta un’immagine straniata dello
psicoanalista (che, vendicativo, pubblica il diario di cura del paziente) e del paziente (che alla fine non guarisce
dalla sua nevrosi, anzi non vuole guarire, poiché nella sua malattia ha trovato la sua forza e, al termine della
vicenda, è vincente e arricchito) e Svevo stesso affermò che la terapia psicanalitica è utile non tanto ai malati
per guarire (cosa per altro, a suo avviso, impossibile), quanto ai romanzieri per avere strumenti e materiali per
descrivere il vissuto umano.
Pirandello, per contrasto, pur conoscendo correntemente la lingua tedesca, non ebbe mai occasioni di leggere
Freud o di approfondire la psicoanalisi; al limite possiamo ragionevolmente ipotizzare che, come tutte le
persone di cultura della sua epoca, abbia sentito parlare di questa nuova scienza che era stata elaborata da un
medico ebreo viennese. Tuttavia è difficile non notare una corrispondenza tra diverse figure tipicamente
pirandelliane e le intuizioni di Freud. Proviamo a darne qualche esempio.
La maschera ovvero l’identificazione come processo non lineare
Per la psicoanalisi l’identificazione, che noi poniamo in essere in rapporto all’alterità, non è un processo lineare
(come lo studio della matematica, dalla primaria all’Esame di Stato), che genera una realtà monolitica e
immediatamente chiara alla coscienza, giacché nel singolo indivduo convivono conscio e inconscio, detto e non
detto, presente e passato, scelta soggettiva e condizionamento sociale,….
Pirandello, per il quale “noi non siamo uno, ma siamo tanti”, mette veramente in crisi la identità personale,
poiché la maschera non è una semplice convenzione sociale che l’individuo indossa secondo l’opportunità
(rimanendo in radice sempre se stesso), ma è la frantumazione dell’identità; tolte le maschere, rimane la
“maschera nuda”, cioè una non-identità ultimativamente inconoscibile; se tolgo ogni maschera (come in “Uno,
nessuno, centomila”) rimane solo la follia.
La ragione e l’incomunicabilità ovvero la coesistenza di verità soggettive opposte
L'analista sa che se si mettesse ad ascoltare il paziente sul piano di una ragione puramente fenomenica (“se lei
continua, come asserisce, a mangiare in modo compulsivo si ammalerà”) renderebbe la comunicazione
impossibile, poiché opporrebbe un piano di realtà al vissuto soggettivo del paziente. Si pone allora ad un altro
livello di ascolto e continuamente entra ed esce dalla verità soggettiva del paziente: è con lui solidale e
partecipe nelle sue fantasie, nei suoi sogni, nei suoi deliri; ma se ne sa al contempo ad ogni momento ritrarre.
Accetta insomma che possano coesistere, anche nella stessa persona, verità contrapposte.
In tante opere di Pirandello sono presentate due verità contrapposte che si escludono l'una l'altra. Il tono è
umoristico, anche se la materia è tragica. Certo la gente di fronte alla quale le verità soggettive sono prospettate,
vuole una verità, che sia una sola ed unica verità. Ma Pirandello non accontenta la curiosità del pubblico,
lasciando invece che permangano due verità opposte e distinte, le quali possono coesistere, soltanto perché sono
verità soggettive, o modi personali di vivere le cose.
La forma ovvero la repressione delle pulsioni
Freud ha mostrato bene, nella seconda topica, come nella vita psichica convivano tre istanze, tre forze (Io, Es,
Super-Io) che affondano le loro radici nell’inconscio. E proprio dai conflitti inconsci fra le tre componenti,
dalle reciproche repressioni di impulsi vitali (in particolare quelli sessuali), nascono i disturbi ed i complessi.
Gli agiti nevrotici (ad es., la dipendenza da alcol) da una parte sono il tentativo –vano- di uscire da questi
conflitti, dall’altro non sono altro che un ulteriore conferma di essi.
La forma pirandelliana è proprio la costrizione mortale della pulsione di vita e gli agiti grotteschi, talora messi
in atto dai personaggi, rappresentano una conferma, anche davanti agli altri, della loro situazione
La trappola ovvero la perversione familiare
L’esperienza clinica ha portato Freud prima, e poi gli psicoanalisti che si sono messi alla sua scuola, a cogliere
come il sistema di relazione famigliare possa talora diventare un “gioco perverso” che genera angoscia e da cui
è impossibile uscire, anche se esso è storicamente concluso (a meno che non si intraprenda una terapia
analitica). A ciò si aggiunge il fatto che esso spesso si maschera dietro un velo di inappuntabilità sociale, per
cui vite di coppia infernali appaiono all’esterno idilli perfetti, genitori terribili e persecutori si manifestano
come il padre e la madre ideale.
La trappola Pirandelliana è una condizione ineludibile, che trova proprio nella famiglia la sua prima
concretizzazione e che si maschera spesso da perbenismo e moralismo, generando al contempo indicibili
sofferenze. Ancora una volta, l’unico modo per uscire dalla trappola è la follia, ma il prezzo da pagare è essere
marginalizzati; in realtà il folle non si libera dalle catene della trappola, semplicemente è inascoltato e rimosso.
La pazzia ovvero un sintomo che dice la verità della persona
Per Freud il sintomo (ad es., un’ossessione) è un desiderio inconscio (ad es., punire un padre violento) che è
alla ricerca di un appagamento, ma incontra l'ostacolo dell'Io che se ne difende, perché sente come un pericolo
la possibilità che tale desiderio trovi la maniera di esprimersi e di realizzarsi. Il risultato di tale conflitto
consiste nel fatto che i desideri inconsci, che malgrado tutto riescono a superare le difese dell'Io, raggiungono
soltanto una forma di soddisfacimento sostitutiva ed estremamente mascherata. Dicono insomma la verità di un
desiderio, ma non liberano dall’angoscia (tanto che i sintomi si iterano all’infinito) e spesso ingenerano disagio
sociale.
La pazzia pirandelliana è l’unica via per dire la verità e liberarsi dai condizionamenti della forma; il prezzo da
pagare però rimane altissimo, poiché il pazzo non solo non è ascoltato, ma alla fine non riesce ad uscire dalla
forma imposta (e dalla conseguente sofferenza); è semplicemente marginalizzato dalla società
Per chiudere….
Quelle che abbiamo colto tra i due non sono analogie positive, nel senso di una identità di affermazioni, ma
negative; nel senso dello svuotamento di un sistema concettuale consolidato, tradizionale, entrato anche nella
coscienza comune, e assunto a base del nostro modo di vita sociale.
Anche perché da una parte la psicoanalisi prospetta almeno un tentativo di superamento – la guarigione
attraverso la terapia analitica-, mentre per Pirandello la drammatica situazione dell’uomo contemporaneo è al
limite denunciabile, ma non superabile.

Conclusione
Con questi due grandi scrittori, che sono partiti dalle domande e dai problemi di epoca decadente, inizia il
secolo XX, con le sue crisi (che culmineranno nelle due Guerre Mondiali e nell’Epoca dei totalitarismi), ma
anche con le sue “avanguardie”.

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