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Intro:

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Idealismo e Positivismo, correnti filosofiche dominanti nell’’800, avevano esaltato il
ruolo ordinatore e dominatore dell’intelletto, elaborando una concezione unitaria
dell’”io”. Tra fine secolo ed inizio ‘900, con Nietzsche e, soprattutto con Freud, la
filosofia e le nuove scienze psicologiche (che, tuttavia, faticavano a qualificarsi con lo
statuto di “scienze”) portarono in luce la molteplicità sommersa di una psiche
contraddittoria, in gran parte sottratta al dominio della ragione, in cui si
contrappongono almeno due istanze: la coscienza e l’inconscio. Tali studi e tali
scoperte, congiunte con eventi storici fortemente traumatici, come le due guerre
mondiali, la rivoluzione russa, la crisi economica e, poi, l’affermarsi dei regimi
totalitari, determinarono il terreno culturale del pensiero novecentesco. Già nella
prima metà dell’800, Shopenhauer e Kierkegaard avevano evidenziato i limiti della
soggettività e della volontà individuale, successivamente gli studi di Freud
determineranno una rivoluzione culturale di lunga durata che influenza artisti, oltre
che letterati: cambia il punto di vista sulla realtà , i soggetti da ritrarre, i mezzi tecnici
ed espressivi. Sono anni in cui si perfezionano le relazioni tra macchina e uomo, si
costruiscono o, artisticamente, si rappresentano manichini disumanizzati, automi,
marionette, robot umanoidi. Il messaggio abbastanza esplicito è chiaro: non è
l’individuo a creare e controllare oggetti/macchine ma sono questi a condizionarlo fino
a modificarne i processi cognitivi (cfr. testa di legno, metalli e cuoio di Roul Hausmann,
Lo spirito del nostro tempo, 1919-20, presso collezione privata, Berlino); altri
pittori/scultori, in polemica con logiche naturalistiche, ritengono che l’arte, prodotto
dell’uomo, debba rappresentare non la realtà , cioè l’apparenza delle cose, ma l’effetto
di essa sul suo animo, dunque i prodotti astratti devono corrispondere ad una lettura
fortemente soggettiva (non oggettiva!) della realtà 8cfr. André Breton, Joan Mirò ,
ecc.). La riscoperta della componente istintiva della psiche porta ad individuare il
non-senso, il paradosso che caratterizza la vita umana: si esasperano, dunque, i
contrasti ed emerge la tragica assurdità della condizione umana marcata,
artisticamente, attraverso il gusto del grottesco. I dadaisti, in polemica con
l’esaltazione futurista delle macchine e della modernità , rappresentano una
dimensione nichilista in cui l’uomo si aliena o scompare del tutto, sostituito da oggetti
inutili a cui l’artista dà nomi fuorvianti, quasi fossero esseri umani.
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INETTITUDINE E SENILITA’

Un inetto era il titolo del primo romanzo di Svevo che l’editore Treves trovò del tutto
inadeguato e, infatti, lo convertì in Una vita. “Inetto” indica etimologicamente colui che
non è adatto a vivere, un soggetto impotente rispetto all’azione e, quindi, alla vita, colui
che diventerà “il personaggio senza nome” tipico di una serie di personaggi della
letteratura del secondo ‘900, ma che rappresenta anche la reincarnazione dell’”uomo
del sottosuolo” (Dostoevskii) o di altri sognatori fallimentari presenti nella letteratura
russa da cui, certamente, Svevo fu colpito. L’inetto dei primi due romanzi sveviani già
mette in scena i moti dell’inconscio, è teso ad una visione malinconica e/o vittimistica
della realtà , sebbene con Senilità emerga già l’ironia che sarà il tratto distintivo della
Coscienza di Zeno. Alcuni decenni dopo la pubblicazione di Una vita, uscirà il romanzo
di Robert Musil, L’uomo senza qualità, a testimoniare come il tema della problematicità
ed estraneità al mondo sia diffuso in tutta l’Europa di fine secolo. NB. Svevo,
pseudonimo di Aron Hector Schmitz, nasce da genitori ebrei in una città molto
particolare: Trieste, città bilingue, alla periferia dell’Italia e ai margini geografici
dell’Impero asburgico, cui apparteneva, rappresenta uno speciale luogo di transito per
merci, denaro, ma soprattutto di esperienze, lingue, culture. Una periferia privilegiata,
una “cassa di risonanza” aperta alle novità provenienti dall’Europa più fervida: Freud,
Musil, Kafka, la rielaborazione di Darwin e Shopenhauer, attraverso Trieste penetrano
e svecchiano progressivamente la cultura “italiana”.

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Le influenze da Shopenhauer sono visibili nei personaggi sveviani che,
tendenzialmente, rappresentano i contemplatori opposti ai lottatori, che, secondo il
filosofo, sono quelli che eseguono meccanicamente la “cieca Volontà di vivere” e si
integrano perfettamente nel mondo da essa dominato. Il contemplatore cerca, invece,
di preservare la propria libertà e aderisce con difficoltà alla vita perché è sempre
accompagnato dalla riflessione. Così, nei romanzi di Svevo, c’è sempre la dialettica tra
due personaggi antagonisti, contemplatore (inetto) vs lottatore (quasi sempre o
apparentemente) vincente e risoluto: Alfonso Nitti vs Macario (in Una vita), Emilio
Brentani vs Stefano Balli (Senililtà), Zeno Cosini vs Guido Speier (La Coscienza di Zeno).
Anche le teorie di Darwin offrono a Svevo modelli interpretativi del rapporto tra uomo
e società , con la ripresa del cosiddetto “darwinismo sociale” positivista secondo cui la
società umana presenterebbe le stesse leggi della natura, contraddistinta dalla lotta
per la sopravvivenza e, quindi, il dominio del più forte. La logica oppositiva “forte vs
debole”, si traduce, nella Coscienza di Zeno, in “sano vs malato”. In Una vita Alfonso
Nitti è un intellettuale che sente frustrante il suo lavoro in banca, riesce a sedurre la
figli del principale ma poi non porta a termine il corteggiamento e la donna (Annetta)
andrà sposa al suo antagonista Macario: Alfonso pensa di dominare le sue scelte ma
questa ambizione è frutto di un autoinganno. È velleitaria la sua presunzione di
superiorità intellettuale che il mondo, in realtà , non gli riconosce. Lo scontro
fallimentare con il mondo porterà Alfonso al suicidio che è l’estrema fuga/difesa dalla
sua velleità di volere realizzare cose per lui irrealizzabili. (per approfondimenti vedi
scena sul mare quando Macario “filosofeggia”: “Quanto poco cervello occorre [al
gabbiano] per pigliare il pesce!”).
GIOVENTU’ (=desiderio, voglia di affrontare il mond) vs SENILITA’ (sottrarsi al desiderio e alla vita, fuga
nell’inerzia )
Il protagonista di Senililtà, Emilio Brentani, ha un atteggiamento senile verso la vita, intesa come
slancio vitale ed emozionale. Anche Emilio si autoinganna pensando di dominare la donna del
desiderio, Angiolina, superficiale e leggera, creando di lei un’immagine idealizzata, illudendosi di
poterla “educare”, persino ai valori del socialismo. Lo scontro con la fisicità carnale e istintiva di lei
lo porterà al disgusto e alla gelosia ossessiva verso l’amico-rivale Stefano Balli svelando la sua
incapacità e debolezza nel confrontarsi con il rapporto materiale e con i propri fallimenti. Emilio

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non si suicida come Alfonso ma si sottrae alla “responsabilità dell’esistenza” isolandosi in una
precoce vecchiaia psicologica: ancora una volta una “fuga”. La “gioventù”, dunque, rappresenta la
capacità di sognare e di desiderare, ma anche la forza di affrontare il mondo e le relazioni, la
“senililtà”, invece, indica il sottrarsi e il ripararsi nella propria inerzia esistenziale.

COSCIENZA DI ZENO
È il romanzo che, finalmente, portò Svevo al successo dopo il flop dei primi due. Scritto a partire
dal 1919 e dopo venti anni di silenzio letterario, uscì nel 1923 e divenne così un “caso” grazie alla
recensione entusiastica di Eugenio Montale sulla rivista “L’Esame” e al giudizio eccellente espresso
da Joyce che, infatti, consiglia a Svevo di spedire il romanzo a vari intellettuali europei. A Parigi nel
’26 una rivista dedica un intero numero monografico alle opere di Svevo.
STRUTTURA:
narrazione è inserita in una cornice: il dottor S. , per ripicca contro il paziente Zeno Cosini, decide
di pubblicare le sue memorie ; otto parti: Prefazione (del dottor S.); 5 nuclei tematici (il fumo, la
morte del padre, …); la conclusione
TEMI DEL ROMANZO:
la psico-analisi (voleva che si scrivesse così), la malattia, l’inettitudine del soggetto, l’assenza di
certezze, l’ambiguità del vissuto e dei giudizi su di esso.
ELEMENTI NARRATOLOGICI:
Narratore interno e sdoppiamento io narrante (Zeno autore) / io narrato (Zeno protagonista);
tempo “misto” cioè il tempo della coscienza che mescola o va avanti e indietro fra presente e
passato; uso del monologo interiore.

Zeno viene da xenos, greco, che significa “straniero, esule”: dunque straniero alla vita. “Cosini” è
diminutivo di “cosa”, cioè la (apparente) pochezza di Zeno vs i lottatori con cui si è scontrato o da
cui si è sentito schiacciato (il padre autoritario, il suocero, il virile Malfenti, il cognato Guido che ha
sposato la donna che lui, inizialmente, aveva desiderato). Eppure questo abbozzo di uomo, così
diverso dagli altri competitori, proprio perché imperfetto, si rivelerà sorprendentemente il più
adatto a sopravvivere, adattandosi, meglio degli altri, ai cambiamenti storici ed economici.
“Nell’estraneità sta dunque, paradossalmente, la sua forza”.
Il lavoro di analisi che compie Zeno sul proprio disagio trasforma la sua inadeguatezza/inettitudine
in un modello di conoscenza e alla fine, “l’incapacità di prendere la stessa forma del mondo

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circostante (comprese le soluzioni strategiche in campo economico)” offrirà a Zeno una via di
salvezza preclusa agli altri uomini compiuti e sani che “sanno stare al mondo”. La sua “duttilità” gli
permette di salvarsi proprio quando il mondo dei forti/sani viene travolto dalla prima guerra
mondiale.
Zeno non ha certezze, si interroga continuamente sul senso delle proprie azioni e pensieri, rimette
in discussione i valori, compreso quello delle parole tanto da pensare che la nostra vita sarebbe
diversa se, per raccontarla, usassimo il dialetto al posto della lingua. Il soggettivismo esasperante
con cui vengono narrate le vicende, confondendo passato e presente, destabilizza il lettore che, sin
dall’inizio, viene messo in guardia e sa che non ci sono verità assolute in cui credere. Il tono
dominante e la grande novità di questo personaggio è L’IRONIA con cui sono superati i toni
vittimistici dei primi romanzi. Dall’inizio la reazione eccessiva ed assurda del Signor S. (che
dovrebbe mantenere l’assoluta riservatezza sui suoi pazienti!) contro il suo paziente genera
comicità; Zeno guarda tutto e tutti con ironia esprimendo scetticismo del soggetto verso se stesso
e il mondo con le sue presunte verità. L’ironia è lo strumento con cui Zeno smonta i suoi stessi
alibi e autoinganni sdoppiandosi e “vedendosi vivere” (ma questa è un’espressione di Pirandello)
dall’esterno.
LA MALATTIA
La malattia è il tema costitutivo. Ci sono varie malattie e mali nel romanzo, variano, compaiono e
scompaiono mentre zeno le commenta con ironia. Le medicine sono assunte prima ancora dei
sintomi, la m. “è una convinzione, ed io nacqui con quella convinzione” afferma Z. Il problema non
è la guarigione ma la “coltivazione e comprensione” della malattia come linguaggio, come modo
di essere e di stare al mondo. Ci sono anche le malattie di Ada, poi di Guido…Da fatto privato la
malattia diviene metafora della vita che, come la vita, dice Zeno, “procede per crisi e lisi ed ha i
giornalieri miglioramenti e peggioramenti […] solo che , adifferenza delle altre malattie, la vita è
sempre mortale”.
FREUD E PSICOANALISI
Le indicazioni terapeutiche del dottor S. “psico-analista” sono molto distanti dalla prassi
terapeutica di quegli anni e quindi Svevo probabilmente voleva sottolineare il suo diverso punto di
vista, spesso dissacrante e ironico. La malattia di Z. e del suo secolo è il disadattamento, il disagio
del personaggio anche rispetto alla moralità dei suoi comportamenti, la terapia induce alla
possibile spiegazione della stessa malattia da parte del malato che la “racconta”. Dunque la
malattia diventa una straordinaria occasione per conoscere se stessi, per capire come mai il “sé”

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reagisce in modo inadatto agli stimoli del mondo. La malattia dunque come strumento di
conoscenza: “Solo noi malati conosciamo qualche cosa di noi stessi”. Addirittura nel Vecchione
Svevo creerà analogia malattia/vecchiaia e la vecchiaia sarà condizione privilegiata di libertà. E nel
1927 scrive: “Perché voler curare la nostra malattia? Davvero dobbiamo togliere all’umanità quel
che essa ha di meglio?” (NB questa convinzione è presente in molti artisti, es. nei film di Woody
Allen).
Il cognato di Svevo, Bruno Veneziani, seguì l’analisi proprio con Freud. Svevo iniziò a tradurre Il
sogno di Freud ma di certo non ne fu seguace. Conobbe il medico triestino Edoardo Weiss ma
trovò piuttosto noiose le letture freudiane. Molti hanno confermato che Svevo, in realtà, si ispirò
ad altri modelli di psicoterapia e non a quello di Freud; in ogni caso si trattò di interesse culturale
che consentiva all’uomo la conoscenza di sé e dei suoi complessi moti interiori ma a cui Svevo non
riconosceva alcuna efficacia terapeutica. Alla psiconalisi, del resto, si deve anche la forma
trasgressiva del romanzo, rivoluzionaria rispetto ai romanzi tradizionali che riproduce, appunto, la
contraddizioni e le irregolarità della coscienza.

SCRITTURA E CONSAPEVOLEZZA
Dalle PAGINE DI DIARIO
2.10.99
Io credo, sinceramente credo, che non c’è miglior via per arrivare a scrivere sul serio che di
scribacchiare giornalmente. Si deve tentar di portare a galla dall’imo del proprio essere, ogni giorno un
suono, un accento un residuo fossile o vegetale di qualche cosa che sia o non sia il puro pensiero, che sia o
non sia sentimento, ma bizzarria, rimpianto, un dolore, qualche cosa di sincero, anatomizzato, e tutto e non
di più.

Dicembre 1902
Noto questo diario della mia vita di questi ultimi anni senza propormi assolutamente di
pubblicarlo. Io, a quest’ora e definitivamente ho eliminata dalla mia vita quella ridicola e dannosa
cosa che si chiama letteratura. Io voglio soltanto attraverso a queste pagine arrivare a capirmi
meglio. L’abitudine mia e di tutti gl’impotenti di non saper pensare che con la penna alla mano
(come se il pensiero non fosse più utile e necessario al momento dell’azione) mi obbliga a questo
sacrificio. Dunque ancora una volta, grezzo e rigido strumento, la penna m’aiuterà ad arrivare al
fondo tanto complesso del mio essere. Poi la getterò per sempre e voglio saper abituarmi a pensare
nell’attitudine stessa dell’azione: In corsa, fuggendo da un nemico o perseguitandolo, il pugno
alzato per colpire o per parare.

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La letteratura diviene equivalente della vita, della quale si è consapevoli solo dopo averla
trasferita sulla pagine: è questa la funzione più importante che ha svolto la psicanalisi, inducendo
a scrivere di sé.

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