Italo Svevo
Sommario: La biografia - L’ideologia - La poetica
- I romanzi: Una vita - Senilità - La
coscienza di Zeno -
Altre opere
La biografia
Italo Svevo è lo pseudonimo di Ettore Schmitz, nome
d’arte scelto dallo scrittore ad
esprimere la
volontà di conciliazione delle due anime che erano in lui. I
genitori infatti erano
ebrei, ma il padre di origini tedesche, la madre
invece, Allegra Moravia, italiana. La famiglia
comunque si considerava
italiana e viveva di commerci. Ettore dunque nacque a Triste nel 1861
e
da bambino fu mandato a studiare a Würzburg, città
della Baviera, ma con forti legami
culturali con l’Italia.
Lì egli apprese rapidamente la lingua tedesca e
poté leggere le opere di
scrittori sia tedeschi che inglesi
e russi. Tornato a Trieste si iscrisse presso l’Istituto
Superiore di
Commercio “Revoltella”, volendo il
padre avviarlo al commercio. Il tracollo finanziario
dell’azienda di famiglia sconvolse però questi
piani ed Italo finì con l’impiegarsi presso una
filiale triestina della Banca Union di Vienna. Nel frattempo tuttavia
egli aveva conosciuto la
redazione de L’Indipendente,
giornale diretto da Riccardo Zampieri, amico del patriota Oberdan,
e di
chiara impostazione irredentistica. In questo periodo Italo
approfondì le sue conoscenze
letterarie avvicinandosi ai
grandi classici della letteratura italiana, Boccaccio, Machiavelli,
Guicciardini, ed anche agli scrittori francesi Flaubert, Zola, Balzac,
Daudet ecc. Nel 1896 sposò
Lidia Veneziani, figlia
di un grosso industriale produttore di vernici e, dopo alcuni
anni, entrò a
lavorare in quella ditta. Divenne
così un imprenditore che coltivava la passione per il
violino e
per la letteratura. Dopo l’insuccesso anche del suo
secondo romanzo, Senilità, apparso a puntate
su
L’Indipendente, per più di due decenni non
pubblicò altro, dedicandosi alla sua azienda. Ebbe
tuttavia
modo di conoscere personalmente James Joyce, che fu suo insegnante di
inglese, e di
avvicinarsi al pensiero di Freud. Dopo aver pubblicato
nel 1922 “La coscienza di Zeno”, che
finalmente lo
affermò come scrittore, nel 1928 morì a seguito
di un incidente automobilistico.
La poetica
Svevo ebbe una concezione impegnata della letteratura. Nella crisi di
valori della società
contemporanea, lo scrittore vide che
essa non poteva più svolgere un ruolo consolatorio,
né
costituire una via di evasione dalla realtà,
né essere più racconto mitico: ormai avrebbe
potuto
essere soltanto ricerca intellettuale, strumento di analisi,
volta a trasmettere alcune fondamentali
scoperte e tra queste il
carattere ambiguo della nostra personalità, complessa e
contraddittoria.
La nuova letteratura avrebbe dovuto allora
assumere come protagonista un personaggio non più
suscettibile di una interpretazione univoca. Comparve
così nell’opera sveviana una figura nuova
di eroe:
l’inetto. Questo carattere umano ha certamente dei precursori
in personaggi della
narrativa russa, per esempio di Turgenev o di
Dostoevskij, ma in Svevo diviene figura centrale.
L’inetto
sveviano pertanto è caratterizzato soprattutto dal
velleitarismo, dalla sproporzione tra le
sue ambizioni e le sue
capacità, dalla sua tendenza a vivere più con la
fantasia che nella realtà.
Pieno perciò di
inibizioni, di frustrazioni, avverte la sua inferiorità e
subisce gli eventi, non li
domina. Egli dunque è un eroe in
senso negativo, è colui che soggiace passivamente
ai
condizionamenti ambientali e alle pulsioni dell’inconscio
che lo privano di ogni possibilità di
scelta. Egli
è un abulico, un essere privo di forte volontà,
più incline alla contemplazione che
non all’azione.
L’ideologia
Per comprendere sino in fondo la personalità di Italo Svevo
occorre tener conto della natura
dell’ambiente culturale in
cui egli visse. Trieste, al tempo del nostro scrittore, era
città franca
dell’Impero Austro-ungarico. Grande
porto ed emporio mercantile attraverso il quale
transitavano merci
dirette in tutta Europa, aveva particolari legami con Vienna
ovviamente,
Budapest e Praga. Nella città viveva pertanto
una folla di individui delle più diverse
nazionalità:
italiani, slavi, turchi, tedeschi, greci,
ebrei...Città prevalentemente borghese e mercantile, si
collocava nell’area culturale della Mittel Europa (col nome
di Mitteleuropa = Europa di mezzo,
si indicava la parte
centrale dell’Europa con limiti geografici che andavano dal
Mar del Nord e
dal Baltico sino all’Adriatico; a questi
confini geografici però non corrispondevano altrettanto
chiari confini culturali giacché si considerava
Mitteleuropa, sotto questo riguardo, tutta l’area
anche
dominata dalla monarchia asburgica). Le persone colte di
Trieste leggevano autori
francesi, russi, tedeschi, scandinavi e
inglesi. Si coltivavano con attenzione la musica e la
pittura. Questa
borghesia tuttavia non costituiva un blocco unitario e la
città era sottoposta a forti
tensioni sociali. I lavoratori
portuali infatti per primi avevano assimilato il portato della
propaganda socialista ed anarchica; vi erano poi gli irredentisti
italiani assai attivi mentre parte
della popolazione si atteggiava a
cosmopolita. In questo crogiolo di diverse posizioni dovette
subito
orientarsi Svevo. Quantunque poco vocato all’attivismo
politico, frequentando
L’Indipendente si
sensibilizzò nei confronti del problema delle terre italiane
irredente, si accostò
anche al socialismo sia per aver
personalmente conosciuto Bebel, teorico della
socialdemocrazia, sia per
aver letto qualcosa di Marx. Tuttavia non credette nella
possibilità di
una rivoluzione capace di stabilire la
giustizia sociale. Nel suo unico lavoro di contenuto
politico, il
racconto “La tribù”, egli mostra di
avere coscienza dello sfruttamento della classe
operaia necessariamente
connesso con lo sviluppo della società industrializzata, del
carattere
utopico delle dottrine egualitarie, alle quali guarda
tuttavia con simpatia.
Da un punto di vista filosofico egli si avvicinò
all’evoluzionismo darwiniano, ma non
credette che le dottrine
di quel pensatore fossero sufficienti a spiegare e a capire la
condizione
umana e vide come la pretesa di spiegare l’essenza
dell’uomo all’interno di leggi naturali
necessarie
ed immutabili si scontrasse contro la concezione del comportamento
umano come
scaturente da un fondo psicologico complesso e
contraddittorio. Attraverso la lettura di
Schopenhauer infatti egli era
arrivato alla convinzione della non riducibilità
dell’agire umano
alle semplici leggi positive. Anche Svevo
infatti affermò che le motivazioni razionali del
comportamento umano non fossero che la copertura di pulsioni profonde
la cui dinamica non è
riducibile al determinismo psicologico
dei positivisti. Ma la parte più originale del pensiero
sveviano è nel concetto di malattia. A. Grillini1
così ricostruisce questo pensiero: “Gli animali
che si sono succeduti sulla faccia della terra si sono saputi adattare
all’ambiente, modificando la
struttura del proprio corpo in
funzione di una più efficace lotta per la vita: si sono
coperti di peli,
si sono forniti di zanne e di artigli, hanno corazzato
la propria pelle...A un certo punto è
comparso
l’uomo, il più debole, il meno specializzato e
adattato fra tutti gli animali, un essere
nudo e indifeso a causa di
una dose assai più sviluppata di anima. L’anima
indica nel testo
sveviano l’indisponibilità umana
ad un adattamento totale e definitivo, la capacità di
conservare
parte delle potenzialità iniziali e di rimanere
allo stato di “abbozzo”...per lunghi secoli
l’uomo ha
vissuto a fianco del mammuth...ma il mammuth, privo
di anima, è scomparso, soccombendo di
fronte agli imprevisti
capovolgimenti di clima e di ambiente, mentre l’uomo
è sopravvissuto,
proprio grazie a quella che poteva sembrare
la sua debolezza. La stessa opposizione mammuth-
uomo si riproduce
all’interno della specie umana: ci sono degli uomini che si
sono integrati nel
loro ambiente sociale e ce ne sono altri pochi che
tale integrazione non hanno saputo o voluto
accettare, rimanendo
più degli altri in uno stato di disadattamento. I primi
producono, mandano
avanti la società e sono psicologicamente
sani; i secondi, non adatti, malati nella volontà e nello
spirito, incapaci di vivere in maniera semplice e diretta, appaiono
inutili nel presente, ma
costituiscono una ricchezza per tutti,
giacché sono essi a custodire, nella loro indeterminatezza,
i
lineamenti ancora incerti del possibile uomo futuro. Nei tempi lunghi
sono gli uomini di questo
tipo ad avere la meglio...la malattia, in
questa accezione, non è più soltanto il segno di
una
sconfitta individuale, di un fallimento esistenziale, di una caduta
nella lotta per la vita, ma è il
sintomo di un malessere
connaturato al vivere e nello stesso tempo la condizione
imprescindibile
per la rivelazione, anch’essa in continua
evoluzione, del senso della vita”. Con ciò Svevo
rovescia Darwin, indicando nell’uomo non adattato
all’ambiente, come tra gli animali, la punta
più
alta dell’evoluzione.
I romanzi
Il primo romanzo pubblicato da I. Svevo fu “Una
vita” apparso nel 1892. Vi si narrano le
vicende del giovane
Alfonso Nitti che, lasciato il paese natale, si trasferisce a Trieste
dove trova
lavoro come impiegato in una banca. La sua vita si svolge in
maniera monotona tra l’ambiente di
lavoro, la casa pensione,
ove egli è andato ad abitare, la biblioteca cittadina, nella
quale ogni
Secondo una certa interpretazione sociologica, Emilio incarnerebbe
invece l’impotenza
sociale del piccolo borghese declassato,
frustrato da una condizione alienante e spersonalizzata .
Per questo si
è detto che egli costituisce un tipo sociale collegabile a
precise coordinate storiche,
quelle del tempo di Svevo appunto, e
rappresentante l’intellettuale nel momento della crisi della
società sulla fine dell’Ottocento. E Svevo avrebbe
dunque espresso attraverso di esso la piena
coscienza di questa crisi.
Sotto altri riguardi “Senilità”
costituisce un esempio di romanzo psicologico essendo
l’attenzione dello scrittore sempre volta ad analizzare
l’interiorità dei protagonisti e di Emilio in
particolare. Secondo A. Grillini4 anzi “il vero oggetto del
libro è la rappresentazione dei
meccanismi contorti
dell’autocoscienza del protagonista, i quali si sviluppano
faticosamente tra
momenti di lucidità e momenti di auto
inganno, fino all’esito patologico finale (la
senilità)”.
Per quanto riguarda gli altri protagonisti del romanzo, è
stato notato come il Balli rappresenti
l’antieroe del
romanzo, nel senso che sembra possedere tutte quelle doti che ad Emilio
mancano,
essere l’elemento positivo opposto a quello
negativo. Sicurezza di sé, intraprendenza, successo
in amore
sembrano le sue qualità positive invidiate
dall’amico. In realtà anche Balli cela al suo
interno un’intima debolezza, come scrive G. Baldi5
“con la sua fisionomia di piccolo superuomo
rappresenta il
tentativo di rovesciare velleitariamente l’impotenza in
onnipotenza, mascherando
la debolezza con l’ostentazione
della forza dominatrice”.
Da un punto di vista stilistico
“Senilità” è un romanzo in
cui si registrano talvolta interventi
del narratore, che esprime suoi
giudizi e commenti critici, tal altra si assume nella narrazione la
prospettiva del protagonista. Da notare che già in questo
romanzo comincia ad emergere un
atteggiamento di auto-ironia del
protagonista. Anche la struttura poi appare mutata. Non
abbiamo
più infatti un protagonista assoluto, continuamente
analizzato nelle sue caratteristiche
psicologiche, ma un insieme di
quattro personaggi che interagiscono tra loro.
Il terzo romanzo sveviano, “La coscienza di Zeno”,
apparve nel 1923, ben venticinque anni
dopo il secondo. Questo ritorno
all’arte dopo così tanto tempo fu dovuto almeno a
due fattori
esterni. Il primo fu l’amicizia che nacque tra il
nostro scrittore e Joyce, in quegli anni a Trieste, e
che fu anche
maestro di inglese di Svevo: lo scrittore dublinese lesse le opere di
Italo, ebbe
parole di elogio per lui, lo stimolò a
continuare. Il secondo fu invece il diffondersi delle teorie di
Freud a
Trieste e in modo particolare nell’ambiente ebraico, libero
da remore religiose e aperto a
nuove esperienze culturali e in cui si
era determinata una sorta di moda per la psicanalisi. A ciò
aggiungasi il fatto che Svevo trovava una congenialità di
fondo tra la sostanza della dottrina di
Freud ed alcune istanze della
propria poetica.
Il romanzo dunque presenta una struttura insolita e manca di una trama
vera e propria. Si apre
infatti con una Prefazione nella quale un certo
dott. S., psicanalista, dichiara di aver voluto
pubblicare per vendetta
il diario per lui scritto da un suo ex paziente, Zeno Cosini, che, sul
più
bello, ha interrotto la cura. Segue un Preambolo in cui
si presenta Zeno il quale si accinge a
ripercorrere con la memoria le
tappe fondamentali della sua vita. Abbiamo quindi cinque
capitoli
rievocativi di quegli episodi e intitolati rispettivamente: Il fumo, La
morte di mio padre,
La storia del mio matrimonio, La moglie e
l’amante, Storia di una associazione commerciale.
Conclude
l’opera un ottavo capitolo intitolato Psico-analisi che fa da
pendant ai primi due.
Il contenuto è stato così riassunto da L. Nanni6:
“Il fumo -Zeno pensa che causa della sua
malattia sia il
fumo. Decide di liberarsene, prima con propositi precisi fatti a se
stesso e vincolati
qualche modo restano passivi e rinunciano alla vita, nel senso che
lasciano che sia la vita a
trasportarli ove essa vuole,
l’ultimo protagonista sveviano ha una reazione positiva
accettando la
realtà senza farsene un cruccio perenne.
Anche da un punto tecnico “La coscienza di Zeno”
segna una svolta. Asse portante della
narrazione è la scelta
del tempo interiore, sicché passato presente e futuro si
alternano passando
l’autore da un tipo tradizionale di
narrazione di eventi remoti, alla tecnica del monologo
interiore nel
momento che si sposta nel tempo presente, tendendo poi ad assumere lo
stile
dell’ironia che rende la lettura del romanzo
particolarmente leggera.
Altre opere
Sappiamo che Svevo aveva intenzione di scrivere un quarto romanzo
avente di nuovo come
protagonista Zeno e che sarebbe stato intitolato
“Il vecchione”. Di quest’opera abbiamo
solo dei
frammenti dai quali si può ricavare che tema
centrale sarebbe stato il rapporto tra vita e
letteratura per arrivare
a concludere che la “letteraturizzazione”
dell’esistenza sarebbe l’estremo
risarcimento al
male di vivere.
Ci rimangono invece una quantità di opere di teatro che egli
però non pubblicò e che la
critica ha
costantemente ignorato, nonché un certo numero di racconti
tra cui “L’assassinio di via
Belpoggio”,
“Argo e il suo padrone”, “La
morte” scritti dall’età giovanile sino
agli anni
posteriori alla pubblicazione de “La Coscienza di
Zeno”. Anche per questi racconti manca una
tradizione critica.
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