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Italo Svevo

Ettore Schimtz, in arte Italo Svevo, è stato scrittore e drammaturgo italiano,


autore di tre romanzi, numerosi racconti brevi e opere teatrali, proveniente da
una famiglia borghese triestina. Nacque a Trieste nel 1861 e morì nel 1928.
Molti sono stati i suoi punti di riferimento, in particolare i naturalisti francesi,
l’italiano e l’inglese Joyce; a completare la sua formazione è stata una profonda
ricerca nella filosofia tedesca, rivolgendosi ai grandi Nietzsche e Schopenhauer.
Italiano di nascita e tedesco di formazione, è con questo bagaglio culturale vasto
e vario che Svevo inizia a produrre e a raccontare il suo originalissimo punto di
vista sulla vita e sulle abitudini sociali della borghesia. Intellettuale non
apprezzato a pieno in vita, ebbe in Italia riconoscimenti tardivi e fama postuma.
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La figura dell’inetto compare per la prima volta nella letteratura di Svevo nel
suo primo romanzo: Una vita. Dove appunto il protagonista incarna la figura
dell'inetto, cioè di un uomo caratterizzato non da un'incapacità generica, ma
da una volontà precisa di rifiutare le leggi sociali e la logica della lotta per
la vita. Infatti il protagonista, Alfonso, è sconfitto non da cause esterne, sociali,
ma interiori, proprie del suo modo di essere. E’ un disagio derivante dal suo
tempo: non si voleva omologare agli uomini contemporanei di cui non
condivideva idee e abitudini sociali.
Lo stesso concetto lo troviamo nell’opera Senilità e nel suo protagonista: l’inetto
Emilio. Già il titolo del romanzo ha un complesso significato metaforico:
appunto "senilità" indica l'incapacità di agire che è propria degli anziani, ma nel
romanzo qualifica tale quella del protagonista che è ancora giovane. Emilio si
sente un fallito, e affronta le vicende della sua vita con inerzia, con l'unica
soluzione di chiudersi nei suoi ricordi, in uno stato di vecchiaia spirituale.
La coscienza di Zeno è l’opera più famosa e acclamata di Svevo. L'opera
riassume l'esperienza umana di Zeno, il quale racconta la propria vita in modo
così ironicamente disincantato e distaccato che l'esistenza gli appare tragica e
insieme comica. Zeno si considera, al pari degli altri personaggi delle opere di
Svevo, un inetto. Ma, rispetto agli altri personaggi, nel suo percorso inizia a
uscire dalla sua "malattia", acquisendo quella saggezza necessaria per vedere
nella sua condizione proprio il punto di partenza necessario per il superamento
dei propri limiti.
La novità di Svevo consiste proprio nell'attenzione che egli accorda al rapporto
personaggio-realtà e alla scoperta della fondamentale falsità di questo rapporto.
Infatti i protagonisti dei suoi romanzi, incapaci di affrontare la realtà si
autoingannano, cercano cioè di camuffare la propria sconfitta con una serie di
atteggiamenti psicologici che Svevo con puntigliosa precisione svela.
I tre romanzi di Svevo costituiscono una sorta di trilogia narrativa, che
progressivamente sviluppa una tematica spirituale a sfondo autobiografico che
attraverso un'analisi spregiudicata, indaga sui recessi più segreti e inconfessabili
della coscienza. Per questo i protagonisti dei tre romanzi appaiono
sostanzialmente affini. Essi sono vinti dalla vita, uomini incapaci di vivere se
non interiormente, intenti a sottoporsi ad un continuo esame e a sondare i
meandri più segreti del loro Io, incapaci di inserirsi e di intervenire attivamente
nel mondo. Per questo l'uomo sveviano può essere definito un antieroe, un uomo
senza qualità, che non sa vivere come gli altri e con gli altri e che però, a
differenza degli altri, è pienamente consapevole del proprio fallimento.

Nel romanzo La coscienza di Zeno egli porta all’estremo limite la condizione


individuale: l’uomo vive il dramma di una intera generazione, “malata” dal
progresso della civiltà tecnologica e dal conseguente interesse per il denaro, il
profitto e il successo, da cui è impossibile non essere coinvolti. La società
consumistica non è in grado, però, di soddisfare i bisogni più intimi dell’uomo e
di sanare il senso di impotenza e di inettitudine che ogni essere umano porta
dentro di sé. L’epilogo, secondo Svevo, sarà tragico: la morte e la totale
distruzione del cosmo, finchè la terra ”...liberata da malattie e parassiti
riprenderà ad errare nei cieli, in forma di nebulosa”. Le pagine del romanzo
che narrano la distruzione del mondo sono tra le più pessimistiche e
sconvolgenti che siano mai state scritte. In esse, lo scrittore condanna l’operato
degli uomini “..che si sono messi al posto degli alberi e delle bestie” e hanno
inquinato l’aria, togliendo spazio agli altri esseri viventi. Gli animali, che hanno
soltanto funzioni fisiologiche, si sono organizzati per sopravvivere, con le sole
proprie forze, mentre l’uomo ha creato ordigni distruttivi fuori di sè, che
generano, a loro volta, malattie e disordini, finchè l’uomo inventerà un ulteriore
ordigno micidiale e lo farà esplodere e “...la terra riprenderà a vagare
nell’universo.” Le ultime pagine del romanzo si concludono con questa visione
apocalittica che, comunque, ai giorni nostri appare di drammatica attualità, se il
genere umano non metterà un freno al dilagare dei fenomeni dannosi e deleteri
per sè. La violenza, la frenetica ascesa al potere e al benessere economico, le
lotte fratricide, la progressiva, inesorabile distruzione della natura, dovuta
all’inerzia e all’inquinamento, la perdita di ogni valore morale ed ideale stanno
portando l’umanità verso la rovina e la terra alla morte. Le parole di Italo Svevo
sono, dunque, verosimilmente profetiche per i nostri tempi. A differenza dell’
”inet to” sveviano, però, l’uomo moderno dovrebbe riflettere e non subire
passivamente la catastrofe, adoperandosi attivamente per evitarla, con tutti i
mezzi e le possibilità che la sua condizione di “essere ragionevole” gli fornisce,
purchè lo voglia.
QUESTA PARTE FINALE SI COLLEGA BENE CON LA
GLOBALIZZAZIONE.

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