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Temi comuni tra Freud e Nietzsche:

1. Critica della morale basata sulla religione. Il rapporto che instaurano con la religione è ambiguo. Il
loro intento non è semplicemente quello di sbarazzarsi dalla religione, è più complesso di così. La
modernità è una categoria filosofica caratterizzata da un processo di secolarizzazione e quindi nella
critica della religione. C’è da interrogarsi riguardo quale sia il rapporto che questi due autori intessono
con questa modernità.
2. Tema dello smascheramento (comune anche alla persona di Marx che completa il trio dei cosiddetti
maestri del sospetto).
3. Tema della valorizzazione degli istinti rispetto alla ragione. Vi è una lettura che vede la valorizzazione
degli istinti rispetto alla ragione, di Dioniso rispetto a Socrate, delle pulsioni rispetto ai processi
secondari, come un modo in cui viene proposto un diverso concetto di ragione rispetto al concetto
moderno di ragione. Thomas Mann rivela questo punto chiaramente, nei suoi saggi su Freud e
Nietzsche. Egli si chiede se Freud appartenga all’Illuminismo o al Romanticismo. Se lo chiede perche
in Freud da una parte abbiamo una fortissima valorizzazione dell’inconscio (parte romantica),
l’inconscio è quell’esuberanza dell’animo da cui emergono le opere d’arte, i sogni, che restituisce la
verità della nostra profondità d’animo. Dall’altra parte Freud ha sostenuto la tesi di una
razionalizzazione dell’inconscio (parte illuminista), non dobbiamo farci possedere dall’inconscio,
quanto invece dobbiamo razionalizzarlo, metterlo in forma per evitare che ci possegga, corrompa. La
psicoanalisi è un tentativo di indagare razionalmente un oggetto irrazionale, l’inconscio appunto.
Freud è una figura che appartiene ai cosiddetti lumi oscuri, una fusione tra la linea romantica e
illuminista. Stessa cosa avviene in Nietzsche perché normalmente il pensiero nietzschiano viene
periodizzato in 3 segmenti:
. Periodo greco-wagneriano: quello in cui Nietzsche è più vicino a Schopenhauer e
Wagner, giustificazione estetica dell’esistenza, l’esistenza viene trasfigurata dall’opera
d’arte e in virtù di questo sopportata. Appartiene la nascita della tragedia. Indagine del
carattere dionisiaco dell’esistenza
. Periodo scientifico/illuminismo nietzschiano: segnato dal distacco da Wagner e
Schopenhauer. Questo periodo inizia con la seconda inattuale e vede il suo massimo
sviluppo tra il 1878-88

Possiamo individuare una periodizzazione anche nel pensiero di Freud:

. Prima topica (-1915): prima proposta di descrizione dei luoghi della psiche, conscio,
preconscio e inconscio;
. Seconda topica (1914/15-1922): la divisione dell’animo della psiche secondo Freud
diventa definitiva, vengono caratterizzati l’io-es-super io.

Altra suddivisione riguarda il passaggio dal desiderio alla pulsione. Per Freud la soggettività non è più
caratterizzata dal primato della ragione ma è una soggettività desiderante. Per questo al centro della
sua meta psicologia c’è il concetto di desiderio che viene proposto ufficialmente da Freud
nell’interpretazione dei sogni (1900) e nei saggi metapsicologici (1915).

4. La soggettività è innanzitutto desiderio, volontà. In entrambi abbiamo un problema che è il rapporto


di questa volontà con la ragione.

Il concetto di modernità è un altro punto importante. La modernità è un’età di secolarizzazione e di forte critica
della religione, la quale non è più una credenza che garantisce il nostro rapporto con il mondo rendendo questo
rapporto naturale. La modernità è quindi caratterizzata dalla centralità della crisi del nostro rapporto con il
mondo, rapporto che non è più garantito da nulla. Nel Medioevo la garanzia di un rapporto con il mondo era
Dio, per la filosofia antica era una certa concezione concentrica del rapporto tra ragione e realtà, per la
modernità il mondo può essere perduto. La sfida diventa quindi quella di conquistare il nostro rapporto con il
mondo. Tanto in Freud quanto in Nietzsche è presente questo rischio della perdita del mondo. In Freud assume
le sembianze della nevrosi. In Nietzsche dell’ascetismo del prete (la malattia delle catene, odio e fuga dalla
vita) e del metafisico.

5. Critica del ritiro dal mondo. Questo rapporto critico con il mondo si presenta nei termini dell’amore
per la vita. Quali sono i rimedi a questi atteggiamenti nichilisti nei confronti della vita?

6. Tema della malinconia. Per entrambi questi autori la malinconia è un’oscillazione tra gli opposti. È
caratterizzata dall’incapacità di sintetizzare da una parte una condizione di euforia, dall’altra una
condizione di depressione. La malinconia individua questa oscillazione in cui individuo propriamente
capovolge il proprio stato d’animo dal positivo al negativo. Il tema della malinconia lo troviamo in
Nietzsche quando parla del cristianesimo come religione che alterna malinconicamente il peccato e la
punizione. In Freud lo troviamo quando in “Psicologia delle masse e analisi dell’io” definisce il nostro
rapporto edipico con il padre come un rapporto che alterna fasi di sottomissione a fasi di aggressività.
La malinconia individua questo movimento bifasico articolato in una fase di obbedienza, come quella
della punizione nel cristianesimo o del figlio che obbedisce del tutto passivamente al padre, in un'altra
fase in cui c’è il superamento del limite, il peccato e il tentativo di sostituirsi al padre. Per entrambi
questi autori la malinconia individua un problema da superare, per Freud è il complesso edipico, in
Nietzsche è il cristianesimo. Il complesso edipico per Freud è alla base della religione. In entrambi
questi autori c’è un problema con la religione

7. Tema della moderazione: vedremo che posto ha la moderazione per Nietzsche, come per Nietzsche il
nemico non è tanto la moderazione ma la mediocrità. La violenza serve per riportare l’essere umano
ad amare il rischio, l’insicurezza. In Freud non c’è propriamente un legame con la moderazione, non
ci sono evidenze testuali però c’è un punto concettuale importante. Secondo Thomas Mann un
riferimento testuale in realtà c’è. Secondo Mann, Freud associa alla psicoanalisi, cioè la cura della
nevrosi, il raggiungimento di una condizione di moderazione. Il problema del nevrotico consiste nel
non voler accettare la realtà perché la realtà delude le sue aspettative e la delusione delle sue aspettative
(Freud parla di ferita narcisistica) costringe il nevrotico a ritirarsi dalla realtà. Il nevrotico non riesce
a rielaborare questa delusione e quindi si isola dal confronto con il mondo, con l’estraneo, con ciò che
non corrisponde ai suoi desideri e alle sue aspettative. La psicanalisi è quella terapia che ci consente,
attraverso, la parola di tornare in contatto con la realtà.

Lezione 2

Freud e Nietzsche sono pensatori moderni che si trovano di fronte a una delle caratteristiche fondamentali della
modernità, cioè il problema della perdita del mondo. Possiamo rendere questa tra mondo antico-medievale e
mondo moderno rifacendoci a due opposizioni paradigmatiche:

. Aristotele: essere umano come animale naturalmente sociale


. Hobbes: essere umano come animale naturalmente antisociale, che deve conquistare la propria
socialità limitando il suo diritto naturale. È un essere umano aggressivo, lupo dell’altro uomo.

Dal punto di vista teoretico, nella modernità c’è l’ossessione per la dimostrazione dell’esistenza del mondo
esterno. Si parte dall’idea che il mondo esterno non è più evidente ma dev’essere dimostrato. Dimostrare che
le categorie si possano riferire in modo vero alla realtà, le nostre proposizioni ci dicono qualcosa di vero
riguardo il mondo. Le categorie di soggetto e oggetto e la loro opposizione caratterizzano la modernità.
Vediamo un soggetto che sta contro, in opposizione all’oggetto.
Vita di Friedrich Nietzsche (1844-1900)

La biografia più importante che viene scritta su Nietzsche è di Paul Jans Kurt, Vita di Nietzsche, pubblicata
nel 1978. Questa ha il merito di ricostruire il pensiero di Nietzsche in modo oggettivo ed è la prima operazione
di emancipazione della figura di Nietzsche dall’ipoteca nazional-socialista. Si divide in tre parti che
scandiscono tre periodi della vita di Nietzsche:

1. Profeta della tragedia (1844-1879: periodo greco-wagneriano) con al centro opere quali:
a. La nascita della tragedia: Nietzsche qui parlerà della necessità di una “giustificazione estetica
dell’esistenza”, la trasfigurazione artistica è l’unico modo che ci consente di affrontare la
terribilità della vita.
b. Verità e menzogna in senso extramorale:
c. Sull’utilità e danno della storia per la vita (seconda considerazione inattuale): in questo testo
propone il concetto di genealogia. Il concetto di genealogia è una polemica contro la filosofia
della storia di Hegel , cioè va contro l’idea che ci sia un assoluto che si svolge come un
gomitolo che lentamente si scioglie e dal quale parte la storia dell’umanità.si esprime contro
l’idea che la storia sia scritta già a priori e che non debba fare altro che dispiegarsi
razionalmente. La storia per Nietzsche non si svolge più in modo razionale ma è un insieme
di sentieri ininterrotti, tentativi abbozzati, che non possono essere paragonati all’idea dello
scioglimento di un'unica fibra.
d. Schopenhauer come educatore (terza inattuale): importante per due aspetti fondamentali
i. idea della filosofia come distruttrice delle nostre certezze ereditate. La filosofia serve
per mettere in questione dogmi. Ha una caratteristica esplosiva. Filosofia come
dinamite.
ii. Esemplarismo, ovvero l’idea che la vita degli individui particolarmente dotati può
costruire un esempio da emulare, un esempio di come si supera se stessi, ci si eleva.
2. Filosofo della solitudine (1878-1890: periodo scientifico)
3. Genio della catastrofe (1890-1900)

Nietzsche nasce nel 1844 a Roken, in una città di provincia vicino Lipsia. Il padre, Karl Nietzsche, era un
pastore protestante, viene educato alla fede nella religione protestante. In “Alcuni ricordi della mia vita”
Nietzsche descrive il padre come il perfetto ritratto del padre di campagna, stimato e amato da quanti lo
conoscevano, benvenuto ovunque. I due elementi decisivi per l’educazione di Nietzsche sono la religione e la
musica. Il padre amava la musica e Nietzsche coltivò questa passione. Nell’infanzia Nietzsche non fu un
bambino solo, partecipava ai giochi con i suoi coetanei. Era un camminatore infaticabile. Nel 1848 il padre
muore probabilmente per un tumore al cervello. Dopo la morte del padre, la famiglia si trasferisce nella città
di Naumburg. La madre di Nietzsche cercò sempre di impedire al figlio di essere diverso dagli altri e di
dedicarsi alle letture, alle poesie. Importante sarà l’educazione religione, la quale si mescolerà con l’interesse
per la musica. La passione per la musica sarà l’elemento unificante tra Nietzsche e Wagner. Definisce la
religione come il baluardo di ogni sapere. Con il tempo, Nietzsche però si distacca sempre più violentemente
dalla religione.

Nietzsche e la religione

L’importanza dell’eredità della religione si mostrerà anche nell’elaborazione, che risale al periodo scientifico,
di due figure importanti:

1. Spirito vincolato: individuo ancora soggiogato dagli idoli della religione, dalle illusioni di certezza e
di sicurezza
2. Spirito libero: capace di trascendere sé stesso, di elevarsi. Simbolo dello spirito libero è il super uomo.
Si libera dalle pastoie della religione ma questa religione costituisce un lavoro interminabile. La
religione consiste per Nietzsche una via facile e desiderata dall’essere umano, per svincolarsene
l’essere umano dovrà sempre lottare contro il desiderio di volersi affrancare ad essa. La religione
rappresenta un dogma, una certezza che riceviamo dall’esterno e sulla quale supinamente ci adagiamo.

La religione rappresenta una eredità storica, il passato al quale non dobbiamo rimanere inchiodati per essere
capaci di futuro. Il tema dell’ereditarietà e della fissazione al passato da parte degli spiriti vincolati sarà proprio
il tema della seconda inattuale, di come il passato diventi qualcosa che ci impedisca di vivere il passato e il
presente. Per Freud il nevrotico è colui che soffre di reminiscenza, cioè colui che rimane inchiodato ai propri
ricordi e non è in grado di procedere oltre.

In “Fato e storia”, testo del 1872, ci poniamo dinnanzi il Nietzsche psicologo. Nietzsche presenta l’idea che
questo passato, che costituisce la nostra infanzia, sia qualcosa che non riusciamo ad abbandonare, nel quale,
per motivi di insicurezza, riteniamo di trovare la nostra sicurezza. Ricadiamo nella religione perché non
abbiamo il coraggio di essere capaci di futuro.

Altro appunto del 1872 – “Soltanto una visione cristiana può essere all’origine di un simile pessimismo”.
Abbiamo qui una visione pessimistica della religione cristiana. Il pessimismo cristiano è un pessimismo della
debolezza, cioè un’incapacità di plasmare da sé il proprio destino. L’opposizione a questo pessimismo della
debolezza è un pessimismo della forza, che diventerà l’amor fati, l’amor per il proprio destino. Troviamo due
temi importanti:

1. Contrapposizione tra vita e sapere: una delle critiche che N. fa al razionalismo e a Socrate. il
sapere, il concetto non è capace di restituire la vita ma è solo un simulacro, un fantasma
esangue della vita. Il concetto non è la verità della vita ma si contrappone alla vita come
qualcosa di derivato e inautentico. La filosofia di N. non si pone nei termini di una dottrina
ma ci si offre nei termini di una condotta di vita, di un esempio di vita. Ecco perché
l’esemplarismo delle personalità geniali della storia gioca un ruolo importante per la vita, è
l’esempio della vita che ci dà la possibilità di elevarci oltre i nostri limiti, non è il sapere a
darci questo potere.
2. Idea che il mondo ultraterreno è un’illusione e che è una forma di fuga dalla realtà. Nietzsche
attribuisce all’intelletto un’opinione erronea sul mondo terreno. Questa svalutazione del
mondo terreno appartiene ad un atteggiamento infantile. L’infanzia dell’umanità era eccitata
da questo pensiero, ma la virilità dovrebbe riportarci all’amore per la terra.

La formazione e gli incontri di Nietzsche

Nel 1858 Nietzsche abbandona la famiglia per condurre gli studi ginnasiali in una scuola che godeva di grande
prestigio per il sistema educativo che veniva praticato. Nietzsche dice che la rigorosa divisione della giornata
e il rigido studio hanno costituito una disciplina salutare dentro cui i suoi impulsi potevano essere controllati
e stimolati. Già in questo frammento autobiografico è presente un altro tema: è il tema dell’anticonformismo.
L’idea che lo spirito vincolato sia caratterizzato da una morale del gregge. È un tema che tratta John Stuart
Mill (sulla libertà: conformismo, tirannia della maggioranza), importanza dell’individualità e del proprio
destino personale. Lo spirito liberato deve svincolarsi dalla morale del gregge.

In questi anni N. si dedica all’approfondimento del metodo storico critico, ad una conoscenza diretta degli
autori classici greci e latini, al distacco dalla religione. I primi due elementi lo condurranno alla filologia. Egli
diventerà infatti professore di Filologia, ma presto se ne distacca polemizzando contro la sua mancanza di
originalità. La sua formazione quindi è filologica. Tra gli autori moderni che ricorrono maggiormente nei suoi
appunti di quel periodo troviamo:

1. Emerson: trascendentalista, Nietzsche legge le due serie di saggi e Nature, testo in cui Emerson critica
il razionalismo ed esalta l’individuo nei suoi rapporti con la natura e la società. Il trascendentalismo è
il romanticismo americano, ha quindi al centro una certa valorizzazione dell’elemento individuale e
creativo dell’essere umano e la critica del razionalismo);
2. Feuerbach: esponente della sinistra hegeliana, scrive “L’essenza del cristianesimo” in cui critica
l’alienazione religiosa, ovvero gli effetti alienanti della religione. La sinistra hegeliana è un movimento
che esalta l’immanenza contro la trascendenza che giunge a posizioni materialiste e nega l’idea di un
Dio personale. F. propone una critica degli effetti alienanti del cristianesimo. L’idea è che la
conoscenza di Dio è il modo attraverso il quale l’essere umano mira alla conoscenza di sé stesso nella
forma dell’esteriorità. Ciò significa che l’essere umano proietta la propria essenza fuori di sé e
trasferisce ad esso tutti i propri modelli di perfezione. La religione inverte l’autentico rapporto tra
soggetto e predicato, per cui i predicati umani una volta acquisita la forma del divino, finiscono per
diventare indipendenti dall’essere umano e finiscono per dominare l’essere umano che in origine era
il creatore di quei predicati. Questa descrizione della proiezione in Dio di un’idea umana di essere
umano è anche la prognosi di Freud contro le religioni. Come Freud, anche Nietzsche approfondisce i
meccanismi dell’illusione religiosa. Anche Nietzsche non criticherà in generale la religione ma si
impegnerà a caratterizzare i meccanismi propri dell’illusione religiosa.

L’essenziale di questi scritti è il modo in cui egli comincerà a inquadrare i modi della sua prossima ricerca
filosofica. Concluso il ginnasio Nietzsche frequenta l’università a Bonn, si iscrive come studente di Teologia
e Filologia per non deludere le aspettative della madre che si aspettava che il figlio seguisse le orme del padre.
Dopo i primi due semestri però rimane fortemente deluso. Nietzsche è stato anche un grande critico della
borghesia. Caratteristica della borghesia è una vita che apprezza confort e sicurezza, evita il rischio e lo slancio
vitale. Per Nietzsche questo atteggiamento, trasferito all’arte, verrà definito filisteismo della cultura. Nietzsche
sarà un grande critico dell’ideale della sicurezza borghese.

3. Friedrich Ritchl: sarà importante per Nietzsche l’incontro con Ritchl e con la sua filologia, che
avviene negli anni di Bonn. Il metodo critico e storico della filologia di Ritchl attrae N. che decide di
distaccarsi dalla teologia per dedicarsi alla filologia. Si trasferisce a Lipsia per studiare filologia.
Impara da Ritchl l’acquisizione del senso storico, il come porsi nei confronti del passato e in che modo
la storia possa essere utile o dannosa per la nostra vita. il senso del metodo storico N. lo assimila dalle
lezioni di Ritchl. L’unico difetto che gli riconoscerà sarà quello di aver sopravvalutato la sua disciplina.
4. Schopenhauer: L’incontro più importante è quello con Schopenhauer e in particolare con il testo
Mondo come volontà e rappresentazione. Schopenhauer è l’ispiratore del periodo greco-wagneriano
ma Nietzsche avrà nei suoi confronti principalmente un atteggiamento di critica e di distacco. Ciò che
farà suo di Schopenhauer sarà la terribilità dell’esistenza.

Gli anni di Lipsia sono anni in cui N. è sereno. Ben presto Nietzsche si allontana dalla filologia, nonostante
questo egli da anima e corpo alla carriera accademica come filologo e non come filosofo.

5. Democrito: autore che ha subito attacchi da teologi metafisici perché i metafisici hanno un sentimento
innato contro il materialismo. La critica di Nietzsche è anche una critica alla metafisica perché per
Nietzsche c’è una linea che va da Socrate Platone fino al cristianesimo. La critica della religione
cristiana è essenzialmente critica della metafisica. La metafisica, con la sua svalorizzazione del mondo
terreno, non può non essere critica di un autore come Democrito che era un materialista e che in quanto
tale aveva un atteggiamento benevolo nei confronti della terra. Nietzsche afferma che Democrito è
stato il primo ad avere un atteggiamento scientifico, egli si impegna a spiegare la nostra dimensione
senza ricorrere a Dio, ad una causa esterna. La vita scientifica è una vita improntata alla non necessità
di ricorrere a ipotesi trascendenti per spiegare la vita. La vita scientifica contiene in sé una critica alle
illusioni della metafisica e della religione.

6. Wagner: Nietzsche lo conoscerà nel novembre del 1868, con il quale avrà un lungo colloquio su
Schopenhauer.

1868 Nietzsche viene chiamato alla cattedra di Basilea. Per comprendere la visione del mondo di Nietzsche
bisogna tenere presente che dall’età di 25 anni fino alla morte, per 31 anni, Nietzsche vive all’estero, in
Svizzera e vede la Germania dall’esterno. Ciò rende il suo sguardo imparziale sulle vicende della Germania.
Arrivato a Basilea accusa i primi sintomi della sua malattia, chiederà un anno di congedo a Sorrento. Nel 1879
l’aggravarsi della malattia lo indusse a chiedere il congedo dall’insegnamento. Da questo momento in poi
viaggerà da un luogo all’altro alla ricerca di un clima favorevole. I primi scritti di Nietzsche fanno scalpore.
La nascita della tragedia riceve fortissime critiche. I libri successivi non ebbero alcun successo, furono a mala
pena venduti e Nietzsche fu del tutto dimenticato. Solo al fine vita vedrà un briciolo di fama. Dopo 11 anni di
infermità morirà a Weimar per il 1900.

Lezione 3: 10.03.2023

“Fato e storia” (1862)

In questo testo Nietzsche si pone la domanda: come cambierebbe l’immagine di Dio se non ci fosse alcun dio,
alcuno spirito santo? Quale realtà rimane dopo la scomparsa dei fantasmi religiosi? (religione≠cristianesimo,
il cristianesimo è la filiazione di un asse che ha origine con Socrate e Platone).

La risposta di Nietzsche è:

. rimane la Natura, cioè un universo di irregolarità;


. rimane la Storia come un susseguirsi di eventi dove causalità e casualità operano senza un fine
complessivo riconoscibile.

Se eliminiamo Dio, eliminiamo la summa di ciò che è dotato di un fine (Dio=senso, fine). Quando Dio
scompare, scompare anche fine e senso di Storia e Natura. L’alternativa che rimane se lo facciamo scomparire
è questa:

. o questo fine supposto non è necessario alla vita,


. oppure un fine c’è ma non va più ricercato nella trascendenza.

In questa prima fase Nietzsche non rinuncia al senso e al fine dell’esistenza, però chiarisce che non sono già
dati da una struttura trascendentale ma sono assegnati a noi. Nietzsche in questo senso non punta più
sull’accettazione fideistica di un fine ma insiste sulla produzione entusiastica di fini. Sostituisce al finalismo
della tradizione antica e medievale una volontà di accrescimento della vita mediante una sorta di
trascendimento immanente. Già in quest’opera giovanile troviamo temi che si ripresenteranno nella dottrina
del super uomo e della volontà di potenza non come volontà di autoconservarsi ma come volontà di accrescere
la nostra vita, di superarci continuamente, di dare una forma alla nostra vita. Questa distinzione è il succo della
critica che Nietzsche farà a Spinoza. Lo accuserà di essersi concentrato solo sulla conservazione della vita, per
Nietzsche l’essere umano non vuole solo mantenersi in vita ma vuole accrescere la sua potenza. Il senso
dell’esistenza non sta in una trascendenza ma nella plasmazione creativa della propria vita.

Nietzsche deve fare i conti con le scienze naturali moderne che vedevano nel mondo una concatenazione
causale di fatti e non lasciavano spazio alla creatività e alla libertà. Nietzsche prova a dare una soluzione che
può essere rubricata nell’idealismo, cioè in questo primo periodo. La soluzione di Nietzsche è la seguente: nel
momento in cui l’animale umano si pone la questione di come sia possibile la libertà, dimostra di non essere
adesivo alla realtà. La domanda sulla libertà dimostra che non siamo un semplice anello causato della
concatenazione naturale degli eventi. Il fatto di porsi questa domanda dimostra che l’essere umano ha una
consapevolezza che si pone al di sopra dall’essere passivamente agiti da una causa. A questa coscienza capace
di ergersi al di sopra del mondo della necessità e delle cause, quest’ultimo appare come una resistenza al mondo
inteso come natura. A questa resistenza Nietzsche dà il nome di fato e ad essa contrappone la libertà creativa
dell’essere umano. Il fato è l’universo della determinazione nella sua relazione con la volontà libera dell’uomo.
Nietzsche ci dice che la volontà libera consiste nel fare resistenza alla resistenza, cioè al fato, e in questa
resistenza alla resistenza consiste la plasmazione della vita e quindi consiste questo accrescimento della
volontà da parte dell’essere umano. Questo aspetto è importantissimo perché ci dà una spiegazione immanente
del ruolo che ha il dolore, ciò che ci resiste, nella nostra vita. Una spiegazione che è fondata nell’idea per cui
resistere alla resistenza significa plasmare creativamente il proprio sé. La libera coscienza sperimenta il mondo
come resistenza e in esso ottiene il suo margine d’azione sperimentandosi appunto come volontà libera.

Il punto del superuomo è capire se N. quando dice superuomo intende oltrepassare l’uomo, il superuomo
sarebbe in questo senso qualcosa che si lascia alle spalle l’essere umano, oppure se indica ciò che noi dobbiamo
fare per diventare propriamente umani e per evitare invece di reificarci, cioè di trattare noi stessi passivamente
come, per esempio, l’anello di una concatenazione causale. Il superuomo potrebbe non essere una dimensione
ultra-umana ma potrebbe essere la sfida di divenire ciò che si è.

Il mondo descritto da Nietzsche non è concepito come spezzato tra causalità e libertà ma è una tensione
polarizzata. Il fato può essere sperimentato come resistenza solo da una coscienza libera e viceversa. Emerge
il tema per cui ogni individuo è il caso esemplare di questo collegamento tra fato e libertà, il vero individuo si
trova tra un dio che è assoluta libertà e un automa pensato come il prodotto del principio finalistico. Tema
della difficoltà di mantenersi nella propria posizione, l’individuo non deve né dileguarsi nell’assoluta libertà,
né deve cedere alla tentazione di reificarsi, cioè di diventare qualcosa di agito e meccanico. Non deve pensarsi
né come assoluto meccanismo né come assoluta libertà, che sono due tentazioni dell’essere umano. In questo
testo è centrale l’idea di plasmare sé stessi. Qui Nietzsche dice: ogni individum è un dividum: ogni individuo
è composto da due parti perché è oggetto della propria stessa attività di plasmazione, rappresenta l’importanza
di potenziare la libertà attraverso la resistenza che il mondo esercita su di essa. Importanza del superamento
della resistenza come accrescimento della vitalità e non come rinuncia e odio per la vita che ci resiste, è questo
un aspetto che troveremo sempre più evidente nella filosofia di Nietzsche. Dice che Dio è diventato uomo in
Cristo. Significa che non si è già esseri umani, l’essere umano è indeterminato. Non si è già esseri umani
perché non si è oggetti perfettamente perimetrati nella nostra essenza. Essere umani è un compito, qualcosa
che noi dobbiamo divenire. Dio è diventato uomo in Cristo significa che non si è già esseri umani ma lo si può
solo diventare. Non abbiamo bisogno dell’illusione del mondo ultraterreno perché il compito di diventare esseri
umani è un compito completamente immanente. Nel cristianesimo troveremo l’idea che il dolore sia soltanto
un passaggio, un ponte verso l’indipendenza. Il ponte per una condizione in cui non ci sia più dolore. Questo
è un atteggiamento che ci conduce alla rinuncia, alla rassegnazione e al distacco dalla nostra terrestrità. Qui
Nietzsche dimostra che questa resistenza è ciò che dobbiamo perseguire per diventare ciò che siamo. La
resistenza è un elemento che l’essere umano deve volere per accrescersi.

Nietzsche e Schopenhauer

Schopenhauer è in questo periodo uno tra i riferimenti fondamentali del giovane Nietzsche. Nietzsche elabora
la propria svolta dalla filologia alla filosofia leggendo Schopenhauer. Nietzsche trae da S. un’idea
fondamentale:

. Il mondo autentico è il mondo della volontà. Il mondo orientato dalla ragione, dal senso storico e dalla
morale, non è il mondo autentico. L’essenza del mondo è un impulso oscuro, non qualcosa di logico.
Il punto importante che N. rielabora è che noi non possiamo sopportare il mondo vero, non sopportiamo di
essere volontà e abbiamo bisogno di prendere le distanze da questo fondamento oscuro. Perché? Perché genera
dolore. Schopenhauer, Nietzsche e Freud hanno in comune l’idea che la caratteristica della soggettività non è
la ragione ma la volontà, il desiderio. La soggettività è desiderante. Il problema del desiderio è che è mancanza,
e la mancanza è dolore. La vita è un doloroso anelito verso qualcosa che non si ha. Il desiderio è sempre
doloroso perché il suo fondamento è una mancanza, un’insoddisfazione. Tutta la filosofia di S. sarà volta a
redimersi dalla volontà, sottrarsi a questo dolore. Per S. questa redenzione della volontà la si ottiene attraverso
l’arte (metafisica della presa di distanza estetica). L’arte permette di trasfigurare e quindi rendere sopportabile
la volontà. Funzione redentrice dell’arte. C’è però una distinzione nella funzione che l’arte assume:

. Schopenhauer mira all’annullamento della volontà, alla noluntas


. Nietzsche mira invece ad un accrescimento della volontà. Nel resistere alla volontà, Nietzsche vede
un accrescimento della potenza. Non vede un annullamento della volontà ma vede in ciò un
accrescimento della potenza e della vitalità, questo perché questo fondo oscuro dell’esistenza non può
essere fruito direttamente, ha bisogno di una trasfigurazione, ha bisogno di un velo che ci consenta di
godere della forza di questa volontà che costituisce la nostra essenza desiderante, senza rimanerne
impressi, senza esserne annientati.

L’arte sia in S. che in N., noluntas per S. mentre un potenziamento della volontà per N., possiamo definirla
come un rappresentare per non rimanere impressi. Abbiamo bisogno di un velo che ci consenta di accedere
alla vitalità della volontà senza rimanerne impressi, annientati. In ogni caso N. ci sta restituendo l’idea di un
lavoro sulla volontà, ci sta dicendo che questa volontà non può essere così com’è. Se gli istinti sono la nostra
prima natura perché l’elemento desiderante coglie l’essenza della soggettività, N. ci mette di fronte al fatto che
noi su questi istinti dobbiamo lavorare, ovvero dobbiamo generare una seconda natura, dobbiamo resistere alla
resistenza ricavandoci lo spazio per la nostra individualità e creatività. E questo è un lavoro. Lavoro sugli istinti
per generare da una prima, una seconda natura.

Tre scritti prodromici:

1. Il dramma musicale greco


2. Socrate e la tragedia
3. La visione dionisiaca…

1. Il dramma musicale greco (contenuto ne La filosofia nell’epoca tragica dei greci): N. racconta
l’origine della tragedia greca. Ha avuto origine dalle feste dionisiache. Il culto di Dioniso costituisce
la cellula germinale del dramma greco. L’analisi della crisi della tragedia greca che diventa commedia
attica è un modo di diagnosticare la crisi dell’arte nel proprio tempo. Ciò che N. dice della grecità è
un’opinione sul proprio presente. Nella stessa misura in cui la tragedia greca decade con Euripide, il
socratismo/razionalismo entra nella tragedia e fa perdere l’origine dionisiaca della tragedia. Questa
decadenza è un modo per criticare la decadenza dell’arte del proprio tempo in arte borghese. L’arte
borghese è arte che è mero intrattenimento. Nietzsche parla di antichità non come un antiquario ma
riferendosi al proprio tempo. In questo primo periodo N. individua in Wagner la speranza di una
riattivazione del dramma greco nel proprio tempo. I principali temi affrontati in questo scritto sono:
a. Tragedia come messa in scena della dissonanza: Le feste dionisiache sono caratterizzate dal
fatto che il singolo si de-individualizza e si confonde con gli altri. I fanatici di Dioniso vedono
ed esperiscono le stesse cose. Questa descrizione della massa come ugualmente suggestionata
e contagiata è la descrizione che ne farà poi Bonn nella psicologia delle folle. Poi la festa
finisce e le persone si risvegliano e questo passaggio dall’ebbrezza alla realtà richiede
l’accompagnamento della tragedia. La tragedia metteva in scena questo passaggio dalla
confusione alla separatezza, all’individualità. La tragedia era questo momento intermedio tra
l’estasi e la realtà, tra confusione e individuo, che contiene in sé entrambi gli elementi della
fusione collettiva drammaturgicamente rappresentato dal coro e quello dell’individuo isolato.
Viene così messa in scena una dissonanza, una polarizzazione che non viene risolta ma
rappresentata nella sua tensione. La tragedia porta a manifestazione una transazione dalla
vertigine orgiastica della confusione, al momento in cui l’individualità si risveglia e ogni
individuo riacquista la sua separatezza rispetto agli altri. Mantiene in sé entrambi i momenti,
mantiene in sé la dissonanza senza scioglierla mai in una conciliazione (parola hegeliana). N.
vuole definire la distanza tra la nascita della tragedia e la riconciliazione hegeliana. La
dissonanza viene messa in scena proprio come questa polarizzazione che non si risolve in
un’armonia. Cosa succede ad un certo punto? Il logos, uno dei due poli della tragedia, prevale
sull’altro. Il polo della razionalità, della dialettica, prevale sul pathos dionisiaco, sul coro. Il
destino della tragedia si infrange sulla fortuna del logos sul pathos, la lingua ha la meglio sulla
musica con la sua logicità. N. accuserà la decadenza della tragedia in Euripide di aver fatto
prevalere uno di questi due estremi sull’altro. Il razionalismo socratico si impone in Euripide
e valorizza a dismisura l’aspetto razionale su quello istintuale, la ragione prevale sul pathos.
La parola, la dialettica socratica, è il registro della coscienza, mentre la musica è l’inconscio,
l’essere, il sostrato di volontà della nostra vita. La tragedia va incontro ad un processo di
dissoluzione nel momento in cui viene intellettualizzata. Essere e coscienza non si
armonizzano più. L’essere rappresenta in Schopenhauer la volontà. La soggettività è una
soggettività desiderante. In Nietzsche la volontà è l’anima del mondo ed essa interpreta la cifra
terribile dell’esistenza. L’esistenza è terribile perché la volontà è desiderio, il desiderio si
fonda su una mancanza e la mancanza è dolore. La tragedia era un modo di rendere accessibile
e fruibile questa volontà senza esserne travolti. La tragedia era capace di rappresentare la
volontà evitando i due estremi: da una parte una eccessiva distanza dalla profondità del nostro
essere, dalla volontà, che avrebbe il risultato di desertificarci, dall’altra parte una eccessiva
vicinanza alla volontà che ci annienterebbe. Per N. la tragedia richiama la figura di Ulisse che
si incatena all’albero della sua nave per non farsi incantare dal canto delle sirene. La
rappresentazione ci permette di fruire della volontà senza venirne travolti. La trasfigurazione
della volontà nell’arte è ciò che consente una fruizione del centro del nostro essere senza
venirne travolti. Rappresentare per non venire impressi. La giustificazione estetica
dell’esistenza è la cifra di questo primo periodo della produzione nietzschiana: solo in quanto
rappresentata, la verità (volontà) può risultarci accessibile. La tragedia attica va incontro ad
un periodo di dissoluzione nel momento in cui viene intellettualizzata.
b. Intellettualizzazione della tragedia: l’atteggiamento di N. è quello di una forte critica
all’intellettualismo, che imputa a Socrate. N. collegherà la metafisica intellettualistica
socratica con il cristianesimo. N. traccia una filiazione tra l’intellettualizzazione della tragedia
per mano di Socrate, la metafisica platonica e il cristianesimo. L’elemento tragico viene eroso,
trascurato, eliminato dall’intellettualismo, la cui ambizione è quella di poter erodere questo
elemento sempre residuale della volontà. Ma è un’ambizione che non funziona perché rende
la nostra epoca decadente. Il socratismo e il cristianesimo ambiscono a sbarazzarsi di questo
elemento incalcolabile dell’esistenza per sostituire ad esso la comodità, la calcolabilità, ma
falliscono e questa ambizione fallita inaugura tutta una serie di movimenti verso il basso che
condannano la nostra epoca alla decadenza e ci condannano a odiare la vita. Il compito più
complesso per N. è quello di non cadere nella tentazione della disumanizzazione, della
reificazione della nostra umanità. Questa idea della razionalizzazione, idea per cui Socrate
rappresenta il primo tentativo di liberazione dal residuo e dalla volontà, questa idea N. inizia
a svilupparla in “Socrate e la tragedia”.
2. Su Socrate e la tragedia: N. critica la troppo elevata considerazione di cui progressivamente viene a
godere la coscienza. Intellettualismo socratico: Socrate diceva che se so cosa è il bene, lo faccio. Se
non faccio il bene è perché ignoro quale sia. Fare il bene è una questione di conoscenza. Nelle lezioni
di introduzione alla psicoanalisi Freud dice la psicoanalisi non è intellettualismo socratico, cioè non
basta comunicare al malato qual è il suo vero desiderio per guarirlo perché la comunicazione di un
sapere non è sufficiente a fare quello che più conta che è convertire la volontà, lavorare sulla volontà.
Anche in Freud troveremo questa critica del sapere. Nietzsche critica l’intellettualismo secondo cui
tutto deve essere cosciente per essere buono, Socrate dice che chi compie il male lo fa per ignoranza
del bene vero non per libera scelta, si pecca solo per ignoranza. Socrate a danno della tragedia, spezza
il potere della musica e colloca al suo posto la dialettica, Socrate è ritenuto da Nietzsche una sciagura
perché con lui inizia un razionalismo che si configura come un sapere senza saggezza. Qui Nietzsche
sta formulando una delle sue opposizioni più celebri: sapere e saggezza tragica. L’idea fondamentale
che N critica è che la vita possa essere corretta nelle sue storture, che la sofferenza possa essere
emendata come se fosse un errore di calcolo. Questa pretesa totalizzante della ragione di correggere la
vita è catastrofica. La ragione qui per N. ha un’ambizione totalizzante e purificante perché considera
la resistenza non come qualcosa resistendo alla quale noi accresciamo la nostra potenza ma come
qualcosa che deve essere eliminato calcolando bene. Questa era per N. la pretesa borghese di una vita
fatta di sicurezze, di una vita perfettamente rispondente alle proprie aspettative, una vita senza dolore
e senza rischio. L’arte perde il suo fondamento tragico. N. tratta Socrate come sintomo di una
trasformazione culturale forte. L’idea nietzschiana è che a partire dalla tragedia di Euripide il pathos
dell’azione, la necessità del dolore e di passare per esso per plasmare il proprio destino, viene rimosso
attraverso calcoli e conteggi. Il dolore, cioè ciò che ci resiste e resiste alla nostra resistenza, viene fatto
oggetto di un calcolo, possiamo evitare il dolore aggirando la delusione delle nostre aspettative
mediante un calcolo corretto. In questo modo il dolore viene espunto. Nietzsche contesta che il dolore
possa essere espunto dalle esperienze fondamentali della vita umana con un calcolo che “mette al
sicuro” la nostra vita. La volontà di sapere schiaccia le potenze vitali del mito, della religione e
dell’arte. Questa conferenza di N. si conclude con la speranza che la tragedia greca rinasca, il nome i
Wagner è presupposto anche se non esplicitamente menzionato. Apparentamento di Socrate
all’apollineo e opposizione arte/scienza. Arte opposta alla scienza perché si tratta dell’opposizione tra
dionisiaco e apollineo. Nella ragione socratica N. individua una ambizione totalizzante ad una
spiegazione senza residui della realtà.

3. La visione dionisiaca del mondo: Sono presenti già tutti i contenuti presenti nella nascita della
tragedia. Per la prima volta utilizza la coppia apollineo e dionisiaco quale chiave per l’interpretazione
della filosofia greca. Sono due caratteri artistici di stile.
a. Apollo è il dio della forma, della chiarezza, dei margini nettamente profilati, dell’individualità,
è il dio della bella illusione, l’arte plastica, la scultura, l’architettura.
b. Dioniso è il dio selvaggio, dell’estasi, della confusione, della dismisura, ciò che cede la regola,
musica e danza sono le forme dionisiache per eccellenza. Il dionisiaco è la volontà, l’immenso
processo vitale, terribile e proprio perché terribile ha bisogno di una messa in forma, di una
misura che consenta di guardarlo senza esserne travolti. La civiltà non è altro che il tentativo
fragile e sempre in pericolo di creare una forma di vivibilità.

Dionisiaco è il nome che Nietzsche dà alla volontà schopenhaueriana. È terribile e inaudito perché
rappresenta il desiderio, la mancanza, il dolore. La volontà non può mai estinguersi nella sua forza
desiderante, continuerà sempre a desiderare e soffrire. Dall’altra parte la rappresentazione
schopenhaueriana è incarnata dall’apollineo, mette in forma la dismisura del dionisiaco, questo velo
che la forma apollinea appone sul dionisiaco è un velo che ci consente di vedere, è un velo che rivela
perché ci consente di fruire del dionisiaco senza rimanerne impressi. La terribilità dell’esistenza
rappresentata dal dionisiaco esige una messa in forma, in modo da essere guardato senza rimanerne
travolti. Solo in quanto fenomeni estetici, l’esistenza e il mondo sono giustificati. L’esistenza diventa
sopportabile solo grazie all’arte. L’illusione artistica ci consente di continuare a vivere. La condizione
umana per N. è: siamo attirati dal dionisiaco che costituisce la nostra essenza profonda e con questo
dionisiaco la vita deve restare in contatto per non rimanere un deserto, ma allo stesso tempo
dipendiamo dalla messa in forma dell’apollinea che ci permette la giusta distanza per non esserne
travolti. Per N. la civiltà greca più di ogni altra era stata capace di costruire un godimento del dionisiaco
nella giusta distanza, era stata capace di mettere in scena questa dissonanza in modo equilibrato. Il
borghese moderno è invece rimasto imprigionato nella sicurezza della ragione, una lente troppo spessa
gli impedisce di vedere, pensa di poter silenziare il dionisiaco e di poter fare a meno di trasfigurarlo.
Così facendo il borghese si desertifica. Operazione di disinfettarsi dal dionisiaco è una caratteristica
di questa decadenza, la modernità borghese rischia così di uccidere sé stessa. Il nichilismo passivo
della civiltà decadente ci mantiene in vita ma la rende dimezzata. N. farà una distinzione tra non volere
e volere il nulla. Il nichilismo del cristianesimo non è una non volontà ma è una volontà di nulla che
rappresenta una difesa della vita, anche se si tratta di una difesa reattiva, che pur mantenendoci in vita
ci impoverisce, ci dimezza, ci spolpa. Quello al cristianesimo è l’attaccamento alla nevrosi. È così
difficile guarire dalla nevrosi perché questa rappresenta una consolazione a buon mercato, un rimedio
al servizio di una volontà pigra. Rimanere nella propria nevrosi è facile, la difficoltà consiste nel
costruire una volontà capace di abbandonare la facilità per compiere qualcosa di più difficile che ci
consenta però di diventare veramente umani. In questo periodo N. intravede in Wagner l’unica
personalità capace di contrastare l’arte borghese mettendo in scena qualcosa capace di far rivivere la
tragedia attica.

Lezione 4: 15.03.2023

Nascita della tragedia

Differenza tra uomo teoretico e uomo tragico:

. L’uomo teoretico ha la pretesa di correggere l’esistenza, di correggerne l’atrocità mentre dall’altra


parte l’illusione artistica consiste nel sopportare quest’atrocità senza avere la possibilità di correggerla.
L’uomo teoretico ha la pretesa di mettere in sesto il mondo che è fuori dai cardini. Contrapposizione
tra individuo teoretico e individuo tragico è la stessa contrapposizione che in Su verità e menzogna
chiama tra individuo razionale e individuo intuitivo.
. Uomo teoretico: capace di togliere il velo una volta per tutto ma questa pretesa dell’uomo teoretico è
un’idea illusoria. L’ambizione fallimentare dell’uomo teoretico è quella di correggere l’essere, è
un’ambizione illusoria, di poter dominare l’esistenza senza residui, senza che nulla ecceda il calcolo.
Questo punto è un punto che troveremo anche nel cristianesimo. Quest’ambizione di correggere
l’essere e di dominare mediante il sapere conduce sempre ad un risultato ma rappresenta una modalità
reattiva di esistenza. N. sta criticando il presente inteso come un’epoca di decadenza e sta cercando di
portare l’essere umano all’altezza delle sue possibilità. L’umanità sta vivendo un’esistenza decadente
che è pur sempre meglio del suicidio, della morte. Il cristianesimo ci mantiene in vita, ma ci mantiene
in vita reattivamente, non all’altezza delle nostre capacità più propriamente umane.
. Individuo tragico: disvela velando. N. si augura un recupero della saggezza dionisiaca distrutta
dall’estetica socratica. L’ottica nietzschiana è quella del recupero di qualcosa di andato perduto. C’è
una corruzione e una decadenza, Wagner rappresenta la volontà di recuperare ciò che si è andato
corrompendo, N. interpreta questo recupero come una restaurazione del mito perduto e della saggezza
dionisiaca. La restaurazione del mito è la risposta al socratismo.

Considerazioni inattuali

17.03.2023

L’ascetismo sarà una forma di volontà di nulla, intesa come purificazione dal dolore. Al contrario in Nietzsche
c’è un tentativo di gestire il desiderio e non di ambire a escluderlo dalla propria vita e trovare una condizione
di pace in questo allontanamento dal desiderio perché il desiderio è la fonte della nostra soggettività,
allontanarsi dal desiderio vorrebbe dire alienarsi. In questo primo periodo N. distingue:

. Religione della vita, una religione mito-poietica che conserva un potere di creazione di forme
(religione omerica)
. Religione dotta, astratta che ambisce a separare il dolore dal piacere, che non pensa al dolore come
una parte fondamentale della felicità.

Su verità e menzogna in senso extramorale (1873)

Alcuni dei temi affrontati in questo scritto vengono ripresi più avanti, come il tema della distinzione tra uomo
razionale e uomo intuitivo. La tesi principale del breve testo consiste nell’idea secondo cui gli esseri umani
hanno inventato la differenza tra verità e menzogna spinti da un bisogno di sicurezza. Questo bisogno induce
gli esseri umani a fissare, a cristallizzare, scambiando questa differenza per qualcosa di naturale, distinguendo
tra verità e menzogna e moralizzano questa distinzione. Il vero diventa il buono e il falso diventa cattivo.
Questa fissazione è ciò che N. si propone di indagare e scardinare. In questo scritto vi è una denuncia della
fissazione della verità tra verità e menzogna e una moralizzazione di questa differenza, dovuto ad un bisogno
di sicurezza contro l’angoscia davanti all’insicuritas. Viene inventata una designazione delle cose unica e
vincolante (morale del gregge). Questa designazione viene inventata per fornire uniformità e vincolatività: lo
scopo della fissazione è quello di rendere gli individui obbedienti. Tutto ciò che viola l’etica del gregge, questi
contenuti vincolanti, è considerato cattivo. N. cerca di risalire all’origine di questi concetti di vero e falso
dicendo che i concetti non sono altro che il residuo di metafore, cioè sono il processo di irrigidimento della
nostra originaria capacità di creare metafore, sono l’irrigidimento del nostro impulso a creare metafore. Questo
perché questa travatura di concetti rigida ci consente di gestire l’insicurezza e ci illude di avere il controllo. Il
concetto è un’astrazione dalle differenze individuali. In questo scritto N. polemizza contro il platonismo: critica
il rapporto copia modello e l’idea che del concetto come ciò che ignora l’elemento individuale. L’irrigidimento
di metafore in concetti ci fornisce una sicurezza soffocante perché trascura l’elemento individuale e ci fornisce
un criterio uniforme valido per tutti. Qual è il costo che paghiamo per avere l’illusione della sicurezza?
Gregarietà, interiorità intesa come isolamento, non siamo più capaci di azione trasformativa della realtà
(idealizzazione: ideali ascetici, costruzione di una realtà superiore depurata dalle imperfezioni della realtà
terrena). N. inizia a collegare l’idealizzazione con una forma di ostilità alla vita, di odio verso la vita. Cos’è
dunque la verità? Per N. abbiamo pensato che la verità fosse qualcosa di naturale, verità intesa come concetto,
di vero e di falso (verità come orthotes: correttezza) e invece la verità così intesa è qualcosa di derivato, è il
risultato di un processo che noi scambiamo per l’inizio quando invece è un risultato. La verità è un mobile
esercito di metafore. Il problema è che si prende la verità così intesa come qualcosa di naturale, N. vuole
scardinare l’idea che la verità sia qualcosa che noi scopriamo come natura delle cose. Non esiste una oggettività
di cui noi ci facciamo semplicemente spettatori, è un’oggettività inventata di cui noi dimentichiamo
l’invenzione.
Opposizione tra uomo razionale e uomo intuitivo. Scienza contro arte. Qui la scienza, opposta all’arte, è questo
irrigidimento della nostra naturale pulsione alla creazione di metafore. Ha un aspetto negativo. Parla dei reticoli
creati dalla scienza come dei colombari romani, cimitero delle intuizioni. Denuncia la fissazione delle metafore
in concetti in quanto noi ci dimentichiamo dell’origine metaforica e umana del concetto. L’impulso a creare
metafore è proprio dell’arte. L’opposizione tra uomo razionale e intuitivo:

1. Uomo razionale: non si procura una vera felicità ma solo una liberazione del dolore (atarassia)
2. Uomo intuitivo: è capace di godere delle sue intuizioni e godere di una felicità positiva

Il cuore dello scritto è l’idea che la distinzione tra vero e falso, buono e cattivo, non è una distinzione naturale
che noi scopriamo come qualcosa che esiste indipendentemente da noi, non è qualcosa di oggettivo e assoluto.
È il risultato di un irrigidimento di un’invenzione. La verità non è quindi unica e indiscutibile, ma può essere
mutata e rivalutata. Questa distinzione tra menzogna e verità corrisponde alla morale del gregge, serve per
costruire criteri uniformemente vincolanti. In questo N. si fa erede della filosofia di Stuart Mill che in on
Liberty dice che il nostro problema è la tirannia della maggioranza dal punto di vista ella morale, quando
l’individualità diventa cattiva perché diventa violazione della morale condivisa c’è un problema. Il
razionalismo socratico coincide con un ritrarsi dalla vita, con una esaltazione dell’interiorità/isolamento.
Questo tema è un aspetto importante perché N. progressivamente darà una spiegazione sempre più precisa di
questo movimento di alienazione dell’individuo da se stesso, di questo ritrarsi dell’individuo dalla vita.
Possiamo anche descrivere il passaggio da questa riflessione a quella della genealogia come un passaggio
dall’interiorità all’interiorizzazione. Il socratismo ha rappresentato una svalutazione degli istinti, ci ha
rinchiuso nell’interiorità. Il cristianesimo sarà interiorizzazione degli istinti, gli istinti verranno rivolti verso sé
stessi.

Seconda considerazione inattuale: Sull’utilità e il danno della storia per la vita

Le considerazioni inattuali sono 4, in origine N. prevedeva di scriverne molte di più. La seconda riguarda
l’utilità e il danno della storia sulla vita. Qui prende posizione contro la concezione della storia che avevano i
filologi. La storia è importante perchè riguarda la memoria e quindi il nostro atteggiamento nei confronti del
passato. Questo rinserrarsi nell’interiorità corrisponde ad un rimanere inchiodati al passato, passato spesso
cristallizzato. Anche per Freud il nevrotico soffre di reminiscenze. Questo testo è un testo di passaggio perché
qui N. comincia a formulare i temi che faranno parte del periodo scientifico→ Il periodo scientifico consisterà
nell’allontanamento della soluzione “idealistica”, N. comincerà a mettere in questione un certo tipo di
concezione dell’arte e l’idea che la vita debba essere giustificata, cioè che la vita non vada bene così com’è ma
che abbia bisogno di una mediazione.

Nella seconda inattuale troviamo una critica alla concezione hegeliana della storia. La tesi fondamentale qui
sostenuta è che la storia, la conoscenza storica, debba servire alla vita e che non è la vita a doversi fare schiava
della conoscenza storica. A differenza degli animali che vivono senza memoria e senza coscienza, che vivono
adesivi al presente, l’essere umano vive con la consapevolezza del suo destino e con il ricordo del passato da
cui non può separarsi. N. associa la coscienza umana all’idea per cui gli umani hanno un passato, un destino e
un futuro. C’è chi soffre del passato e chi lo domina e se ne serve per vivere, dimenticando ciò che non gli
serve. N. ci dice che l’oblio è importante per rendere la storia utile alla vita. Viene posta importanza all’atto di
selezionare, di scegliere. L’uomo deve scegliere il suo destino e per farlo compie una scelta, seleziona ciò che
è utile e cosa no. N. dice che la storia è utile alla vita ma bisogna fare in moto che la storia non ci schiacci, non
bisogna far si che la vita diventa serva della storia. N. distingue 3 tipi di storia, che possono esserci utili o
dannosi a seconda del loro utilizzo:

1. Storia monumentale: è propria di chi guarda al passato per cercarvi dei modelli e maestri che non
trova nel presente. Questo modello va però emulato e non imitato. Se noi imitassimo il modello
diventeremmo pecore del gregge, ciò che ci interessa del modello è ciò che egli ha fatto della propria
vita e che deve indurci a fare lo stesso con la nostra. Dobbiamo farci insegnare l’atteggiamento nei
confronti della vita. Appartiene al gregge chi imita sterilmente il modello ed è per questo un esempio
di mediocrità (misura media). Il gregge nella sua mediocrità è estremo e dice N. che gli estremismi
sono semplici. Gli spiriti liberi sono capaci di cacciarsi fuori dalla facilità degli estremismi. I più forti
saranno i più moderati. Questa moderazione, in cui c’è il concetto di misura, non è la mediocrità. La
mediocrità è morale del gregge. È l’individuo libero capace di moderazione. La storia monumentale è
una protesta contro la transitorietà e il mutamento, è la nostra ambizione umana all’eterno e
all’atemporale. Questa storia monumentale può però diventare dannosa per coloro i quali non se ne
servono per vivere ed agire ma per innalzarla in un empireo irraggiungibile. Il monumento può essere
visto come qualcosa di impossibile da imitare che paralizza l’azione. L’emergere dell’idolatria nei
confronti dei modelli del passato è ciò ci pietrifica.
2. Storia antiquaria: serve come culto delle origini, come consapevolezza del luogo da cui proveniamo.
Anche questo può essere dannoso alla vita: è possibile che si ammiri tutto ciò che è passato a danno
di ciò che è presente. L’ammirazione può portarci a rimanere inchiodati al passato. La storia antiquaria
può diventare collezionismo, accumulatori di un passato che è solo stato e che non serve al presente,
che mummifica l’azione. “L’uomo si rinchiude nel tanfo” è il motto di chi abusa della storia antiquaria.
3. Storia critica: è propria di chi guarda al passato come a un peso da cui liberarsi per poter vivere.
L’uomo ne ha bisogno in modo particolare perchè per servire la vita è spesso necessario infrangere il
passato. Il nostro atteggiamento nei confronti della storia affinché essa serva alla vita deve avere un
aspetto iconoclasta, deve infrangere il passato. L’abuso della storia critica si manifesta nelle culture
della cancellazione della storia: la storia critica è importante ma non deve mai significare strappare
con il coltello le sue radici perché noi siamo il risultato di quel passato quindi non possiamo mai
condannarlo completamente. La storia critica non va abusata perché non deve diventare cancellazione
della storia.

In questa seconda inattuale N. polemizza contro il rapporto dell’uomo moderno con la storia, con una storia
che è voluta diventare scienza. Quando la storia diventa scienza, un sapere mummificato, non è più utile alla
vita ma ci inchioda al passato e impedisce l’azione. N. insiste sul fatto che il sapere contenga in sé un rischio
di idealizzazione che ci renda individui interiori non più capaci di avere contatti con la realtà. Questa fuga dalla
realtà, in cui consiste l’idealizzazione, è un problema. Questo è il problema che N. vuole affrontare con la sua
dottrina degli spiriti liberi e del superuomo. L’apprendimento moderno della storia ha preso le vesti di una
bulimia nozionistica che riempie l’interno, lasciando convenzionale l’esterno. L’individuo moderno soffocato
dalla storia agisce ma in modo convenzionale. La storia indebolisce la personalità che diventa apatica e produce
la decadenza dello spirito. Il rinchiudersi nell’interiorità è un modo di dominare sulla vita che però ci allontana
dalla vita. La fuga dalla realtà è un tipo di volontà di potenza ma è una volontà di potenza reattiva. Attivo e
reattivo sono due modi di qualificare la volontà di potenza. Questo rapporto nei confronti del passato mette il
dito sul tema principale di N.: l’idea che la decadenza significhi una perversione reattiva della volontà di
potenza che si esprime come fuga dalla realtà. L’idea che un sovra mondo debba essere preferito all’al di qua
perché depurato dagli elementi che nell’al di qua ci risultano insopportabili (dolore, contingenza, divenire),
tutto ciò che sembra rendere questa realtà imperfetta. L’abuso di storia che distrugge la vita va criticato.

Nietzsche sostituirà questa concezione della storia con il metodo genealogico. Dopo Nietzsche "genealogia”
indica un certo modo di considerare la storia. Questo concetto viene esplicitato chiaramente in un articolo di
Micheal Foucault “Nietzsche la genealogia la storia”. Cosa accade secondo Foucault nella seconda inattuale?

Nietzsche, la genealogia e la storia

Foucault dice che la genealogia si oppone alla storia in quanto dispiegamento metastorico dei significati ideali
e delle infinite teleologie, si oppone all’origine. N. nella seconda inattuale critica l’idea che la storia sia guidata
da un pensiero che si srotola coerentemente dall’inizio verso la fine (concezione hegeliana della storia). N.
critica questa concezione della storia per cui sembra che essa abbia un telos contenuto fin dal principio
nell’origine. A questa visione teleologica della storia N. oppone la genealogia. Non c’è un’origine a cui
possiamo riportare gli eventi che accadono, questa è una prospettiva da apocalisse, riuscire a trarsi fuori dalla
storia. La prima cosa che N., secondo Foucault, critica è il germoglio metafisico delle origini, idea hegeliana
della storia di un’origine che si srotola e si invera. La critica dell’origine è al contempo critica
dell’essenzialismo: non c’è un’essenza. Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche fa due esempi che ci fanno
capire il concetto di genealogia e l’anti essenzialismo:

1. Concetto delle somiglianze di famiglia (nelle Ricerche filosofiche W. propone una nuova teoria del
concetto basata sull’idea di “somiglianze di famiglia”. Con questa mossa abbandona l’idea che ogni
oggetto abbia un’essenza, o sia caratterizzato da un insieme di proprietà necessarie e sufficienti a definire
l’appartenenza a un concetto. Quello di “gioco” non è un concetto di cui posso elencare le caratteristiche
che determinano l’appartenenza dei vari giochi a questa categoria, quello del gioco costituisce piuttosto
una “famiglia” e i vari giochi sono quindi legati da un rapporto di somiglianza) e la sua parentela con il
concetto di genealogia: l’idea che la robustezza della corda non è dovuta ad un'unica fibra che la attraversa
per tutta la lunghezza ma è dovuta al sovrapporsi di una molteplicità di fibre. Non c’è un'unica fibra che
si srotola, la robustezza della corda è fatta dall’intrecciarsi di più fibre.
2. Seconda immagine che lotta contro l’idea di essenza, ovvero contro l’idea del concetto come astrazione
dai particolari dove l’essenza viene vista come ciò che permane al di sotto delle differenze individuali:
Immagine del carciofo, se togliamo alle foglie al carciofo potremmo pensare di arrivare all’essenza, in
realtà ciò che abbiamo non è l’essenza ma qualcosa che non è più un carciofo perchè gli elementi
individuali sono caratteristiche fondamentali delle cose. Se ai fenomeni togliamo ciò che li distingue tra
di loro per ricavarne la loro essenza, ciò che ci rimane non è più quel fenomeno. Per Platone il concetto è
un’astrazione dai particolari, per Nietzsche sono proprio i particolari a contare (sguardo microscopico).

22.03.2023

Abbiamo visto come la genealogia ha come obiettivo:

. La critica al modello hegeliano di storia


. La critica all’essenzialismo.

La filosofia nietzschiana è tutta una critica all’essenzialismo. Obiettivo polemico della sua filosofia è l’idea
che ci sia un’oggettività dei fenomeni indipendente da noi e che noi non dobbiamo fare altro che scoprire,
dissotterrare. In Su verità e menzogna Nietzsche critica il concetto inteso come verità dei fenomeni, laddove
il concetto è solo il residuo di una metafora, ovvero dell’impulso a creare metafore proprio dell’essere umano.
La scienza è un colombario romano. Scambiare il concetto per l’inizio e l’essenza, significa scambiare il
derivato per l’originale. La critica dell’origine e la critica dell’essenza sono due modi in cui prende forma la
critica della metafisica di Nietzsche. Qui si comincia a intravedere il suo approccio microscopico, cioè
l’attenzione di Nietzsche ai fenomeni nella loro particolarità. Cambia il modo di atteggiarsi nei confronti del
reale, non guarda più ai concetti macroscopici, c’è un interesse al brulichio della vita quotidiana. Sta
riprendendo la critica alla metafisica socratico-platonica e al cristianesimo che odia a tal punto la vita da
costruirne un’altra nell’al di là.

Al termine Ursprung (origine) Nietzsche sostituisce Entsehung (sviluppo, nascita) e Herkunft (provenienza).
La provenienza permette di ritrovare sotto l’aspetto unico di un carattere o di un concetto la proliferazione
degli avvenimenti grazie ai quali e contro i quali si sono formati. Nella spiegazione del concetto di un fenomeno
attraverso la sua storia dobbiamo mantenere il concetto nella sua dispersione, nella molteplicità di fattori
casuali, che non sono il risultato di una necessità naturale, ma sono il risultato di casualità che si
sovrappongono. Mantenere la descrizione del fenomeno nella sua complessità significa non snaturarlo e non
macchiarsi del peccato del riduzionismo. Se la morale è il risultato di uno srotolamento razionale, non c’è
critica che tenga, non possiamo agire per revisionare, modificare quel concetto. Invece N. ci sta dicendo che
la causalità della formazione di un concetto apre la strada alla critica della morale. Se smascheriamo il carattere
rassicurante della proiezione riduzionistica che facciamo sulla realtà, ci apriamo la possibilità di criticare i
concetti che fino ad oggi hanno costruito la nostra cultura, quelli della cristianità per esempio. Dobbiamo
abdicare alla concezione hegeliana della storia, solo così potremo esercitare una critica dei nostri concetti
morali e un’eventuale sostituzione degli stessi. Entsehung (emergenza, nascita), è la legge singolare di
un’apparizione, indica l’emergere di un fenomeno e questa emergenza ha una legge singolare, propria
unicamente di quel fenomeno e non c’è nessun destino teleologico dello sviluppo di quel fenomeno. L’idea di
Entsehung viene utilizzato come critica del telos, la storia non va da nessuna parte che sia già determinata a
priori, che sia già contenuta nell’origine. La nascita e lo sviluppo di un fenomeno è caratterizzato da un gioco
di forze, bisogna mostrare il modo in cui le forze si combattono le une contro le altre.

Foucault descrive questo concetto di storia effettiva contro il concetto di storia ideale di Hegel, e si interroga
sulla differenza tra la genealogia e la storia. N. critica tutti i concetti metafisici cardine della filosofia
tradizionale. Nietzsche, Freud, Darwin sono tutti autori che hanno demetafisicizzato l’essere umano. Freud
dice che è stato colui che ha colpito il narcisismo dell’essere umano. La metafisica per questi autori è una
forma di compensazione narcisistica. Nietzsche cerca di disgregare questo tentativo di fare dell’essere umano
qualcosa di capace di collocarsi in un punto di vista esterno alla storia e quindi di eternizzarsi. Quest’ambizione
di eternizzazione della metafisica è oggetto della critica di Nietzsche. Per N. dobbiamo tornare a guardare la
realtà dalla sua bassezza, dobbiamo tornare ad amare la realtà nella sua casualità, incontrollabilità. Per
Nietzsche bisogna spezzare la realtà intesa come costruita a immagine e somiglianza dell’essere umano, in cui
l’essere umano avesse potuto riconoscersi e consolarsi. Al puro N. contrappone l’opaco, alla reductio ad unum
contrappone la particolarità e la singolarità. In questa critica della concezione teleologica, ideale della storia a
cui contrappone la storia effettiva, c’è una critica all’ambizione borghese al riconoscimento di una identità tra
soggetto e mondo. Ambire a riconoscerci nella familiarità in questo rapporto concentrico tra soggetto e mondo,
è questa l’ambizione che la visione effettiva della storia vuole combattere. Il telescopio della metafisica viene
sostituito dal microscopio della genealogia, non ci interessa ciò che è lontano ma ciò che è basso e vicino,
terreno. Genealogia è il metodo nietzschiano dell’osservazione della realtà.

Cambiamento di direzione nella seconda inattuale. N. critica il suo approccio all’interno della Nascita della
tragedia, dovrà sostituire alla metafisica da artisti l’analisi scientifica. Ciò che N. definisce giustificazione
estetica dell’esistenza nella Nascita della tragedia comincia ad essere chiamata “metafisica da artisti” con un
tono parodistico da N. stesso. Ciò che non tornerà più a N. sarà questa necessità di una giustificazione, l’idea
per cui l’esistenza dev’essere mediata da un velo che ci consenta di sopportarla, questa mediazione gli appare
un artificio consolatorio. L’intento di N. è quello di smascherare questo momento in cui N. stesso ebbe bisogno
di una mediazione consolatoria, di cui adesso non ha più bisogno. Cercherà di ottenere un rapporto più diretto
con la realtà e la sua terribilità.

Una delle fonti di N. è Stirner (emblema del desiderio dissidente). N. lo legge perché Stirner è l’esempio di un
pensiero che disordina e scalza le cristallizzazioni dogmatiche. Secondo Stirner tutti i concetti metafisici sono
ossificazioni di metafore. Stirner vuole de ossificare il pensato riconducendolo al pensiero, il pensato non deve
diventare un oggetto che appare indipendente e inscalfibile. N. in realtà non lo menziona mai ma è molto
probabile che lo avesse letto. La sorella di N., per ragione di orientamento politico, non era felice
dell’accostamento di queste due figure e fece di tutto per insabbiare la questione. Una delle testimonianze di
questo incontro è che uno degli alunni di N. avesse preso in prestito un libro di Stirner dalla biblioteca di
Basilea su consiglio di N. I concetti che N. può aver assorbito da Stirner sono i seguenti:

• Nominalismo: il medioevo conobbe una disputa infuocata tra nominalisti e realisti. La questione era
la seguente: i concetti universali significano qualcosa di esistente o no? I nominalisti sostenevano che
i concetti universali (concetti di Dio, anima sostanza) erano flatus vocis, fiato della voce, cui non
corrispondeva nessuna realtà, erano solo nomi emessi dal linguaggio a cui però non corrispondeva
nulla di reale. Stirner si pone nella sponda nominalista. Anche Feuerbach è un nominalista, egli infatti
dimostrò che Dio è solo una proiezione psicologica esteriore di attributi umani, non è qualcosa di reale,
è un concetto di fronte al quale noi diventiamo oggetti e lui soggetto. Stirner fa propria la posizione
dei nominalisti, sosteneva che il punto non consisteva solo nel liberarsi dell’ipostatizzazione che dio
costituiva, ma di sbarazzarsi da tutti quei concetti che noi lasciamo inquestionati nella loro pretesa di
rimandare a qualcosa di realmente esistente consentendo loro di dominarci surrettiziamente. S. allarga
la riflessione di Feuerbach a tutti i concetti metafisici. Lo scopo di Stirner è quello di liberare l’uomo
dalle prigionie essenzialiste, liberandolo dall’illusione dell’essenza perché ciò portava a svalorizzare
l’esistenza individuale e la sua creatività e a far iniziare la pericolosa palude dell’autorità e del costume
collettivo. Il pensiero per S. deve rimanere creativo e libero senza far sì che si solidifichi nei concetti
metafisici.

N. non ci sta dicendo che dobbiamo sbarazzarci dei concetti ma che dobbiamo considerare concetti e idee non
come dogmi e idealizzazioni ma come entità sempre rivedibili e discutibili. Non dobbiamo sacralizzarle
considerandole inscalfibili.

Terza inattuale: Schopenhauer come educatore

Il problema che N. si pone è quello dell’educazione. Questa terza inattuale eredita la critica dell’interiorità
dalla seconda inattuale. Il percorso nietzschiano può essere anche inteso come un percorso dall’interiorità
all’interiorizzazione, dalla chiusura nel tanfo del sapere storico che impedisce l’azione, al rivolgersi degli istinti
contro se stessi. C’è l’idea che il superamento di sé stessi stia nell’andare più in alto e non più in profondità.
Non bisogna chiudersi nell’interiorità ma andare più in alto emulando (non imitando) figure che ci possono
fare da esempio. Il tema fondamentale è l’incitamento a vivere la vita con spontaneità e ribellione verso le
convenzioni. Vengono fuori:

. Spirito libero: colui che plasma la propria vita


. Spirito vincolato: colui che si assoggetta alle convenzioni del costume, che obbedisce alla morale del
gregge.

Il tema della morale del gregge è importante per individuare i meccanismi che verranno messi in moto dal
prete asceta in genealogia della morale.

. Spirito libero→ Modo di vivere libero, da artisti: dare alla propria vita una forma che non corrisponde
agli imperativi del gregge e del costume collettivo. N. dice che è la pigrizia nell’affrontare il lavoro
che la costruzione della propria personalità richiede che ci fa aderire passivamente al costume del
gregge, plasmare la propria vita richiede infatti sforzo, lavoro, pericolo, scomodità.
. Spirito vincolato→ Modo di vivere vincolato: vivere vincolati dalle opinioni altrui, essere pigri e
vivere per inerzia impauriti dalla scomodità che deriverebbe da una vita non dedita al comfort tipica
dei borghesi.

La distinzione tra spiriti liberi e vincolati è una distinzione tra pochi e molti, pochi riescono a elevarsi sopra sé
stessi e altri si rinchiudono nell’interiorità e nell’alienazione conformistica del gregge. Questa distinzione tra
pochi e molti riguarda la difficoltà del compito, non è una distinzione elitistica, questa distinzione non è per
nascita ma dipende dal fatto che elevarsi è difficile. La pigrizia è facile, l’elevazione è un compito difficile.
L’educazione non impartisce un comportamento ma la libertà da un comportamento invalso.
Nietzsche è un disordinatore, idea disordinante del pensiero, decostruzione dei dogmi. La metafisica socratico-
platonica è malattia delle catene e questa liberazione delle catene rende il filosofo inattuale e impolitico. N.
eredita da Schopenhauer il suo anti-istituzionalismo, il loro pensiero era come dinamite.

Distacco di Nietzsche da La nascita della tragedia in Ecce Homo e in Tentativo di autocritica

Il distacco lo si vede leggendo le opere scientifiche. In particolare, nelle opere “Tentativo di autocritica”
(1886) e in “Ecce homo”.

Ecce Homo

In Ecce homo N. ripercorre le sue opere. In quest’opera N. si pone l’interrogativo sul valore dell’esistenza e
ripercorrendo la NDT sottolinea alcuni meriti di questo testo:

1. Aver proposto la distinzione tra un pessimismo della forza e un pessimismo della debolezza e della
decadenza. I greci sono pessimisti perché sono tragici ma il loro è un pessimismo della forza. Il
pessimismo non è per Nietzsche necessariamente un simbolo della debolezza. Dal punto di vista
nietzschiano è l’ottimismo il risultato di un istinto stanco e indebolito, qualcosa di superficiale.

Ciò che determina il cambiamento di rotta rispetto all’atteggiamento assunto all’interno della NDT riposa sul
fatto che N. comincia a invertire di segno la qualificazione dell’esistenza.

. Nella NDT N. aveva definito la vita come terribile


. In Ecce homo parla della vita come sovrabbondanza e pienezza.

L’esistenza non è più un’esistenza terribile da cui dobbiamo proteggerci ma diventa un’esistenza piena e
abbondante.

2. Aver individuato il dionisiaco. Purtroppo, però nella NDT risponde a questo dionisiaco con una
metafisica da artisti. N. infatti abbandona l’idea che sia necessaria una trasfigurazione artistica che
renda sopportabile la vita altrimenti terribile. Per il giovane N. è necessario dare una giustificazione
estetica dell’esistenza. Per questo motivo successivamente N. dirà che la NDT ha un sentore hegeliano,
perché la dialettica hegeliana consiste nel concetto per cui il vero è il mediato. Il fatto di aver utilizzato
un elemento di mediazione rende la NDT un testo sospettosamente hegeliano. Nietzsche matura l’idea
che non sia più necessario questo tipo di mediazione nei confronti di una vita che non è più vista come
terribile. Se eliminiamo l’arte e la sua funzione mediatrice cosa ci resta da fare? Qual è l’alternativa?
L’espressione degli istinti? La liberazione dei corpi?

24.03.23

La critica della metafisica da artisti è la condizione del passaggio alla fase scientifica. Questa nuova fase è
inaugurata dal testo Umano troppo umano.

Umano troppo umano (1878)

Qui N. Si parla della nascita della tragedia come di un libro problematico. Lo definisce un libro impossibile,
di difficile lettura. Ma è un libro a cui riconosce il merito di aver compreso il valore dell’esistenza e di aver
proposto correttamente la distinzione tra il pessimismo della forza/attivo e pessimismo della debolezza/
passivo. Quello dei greci è un pessimismo attivo, della forza. Pessimismo della forza e della debolezza sono
già la prefigurazione delle due figure dello spirito libero e dello spirito vincolato. Questo è il passaggio in cui
N. critica il pessimismo romantico, ovvero il modo in cui lui stesso aveva pensato che in Wagner potesse
rivivere la tragedia attica. Traduzione del pessimismo della forza in Gaia scienza.
I primi concetti che inizieremo a vedere sono:

• L’idea che lo spirito libero mantiene gli stessi tratti di amore della vita della saggezza tragica, questo
spirito libero è caratterizzato da un tratto attivo nei confronti della vita e non reattivo. Non è
caratterizzato da ostilità nei confronti della realtà, ovvero di idealismo che è la fuga della vita. Lo
spirito libero non è idealista e non fugge dalla realtà. Lo spirito libero si caratterizza per la sua capacità
di smarcarsi dagli opposti estremismi ed è moderato. La moderazione è la capacità di superare i facili
estremismi
• Lo spirito vincolato è invece caratterizzato da un certo estremismo, è l’estremismo della razionalità
borghese e dal radicalismo della fede cristiana. Lo spirito vincolato non è caratterizzato da
moderazione ma da mediocrità (morale del gregge).

La nascita della tragedia è stata una riflessione sul perché della scienza, del suo scopo. La scienza di cui parla
nella nascita è incarnata nell’individuo teoretico Socrate (rappresenta la prevalenza del logos sul pathos, della
dialettica che vuole correggere la realtà). La scienza alla quale N. si dedica nel periodo scientifico non è la
stessa scienza di cui parla criticamente nella nascita della tragedia. N. nel periodo scientifico parlerà spesso di
“spirito scientifico” e non più di “scienza”. Lo spirito scientifico non è un sapere come quello che la scienza
alessandrina mirava a ossificare pensando di potersi riposare su questa certezza. Lo spirito scientifico è un
atteggiamento nei confronti della realtà. Distinzione tra scienza come sapere e spirito scientifico come
genealogia. Inoltre, altro punto che riconosce a sé stesso è di aver individuato il dionisiaco, ovvero questa
volontà di tragico nei greci, e come esso non sia un segno di decadenza ma una “nevrosi della salute”.
Lentamente N. va a chiamare la terribilità dell’esistenza con un altro nome. Comincia a sottolineare l’elemento
positivo della vita, ne loda la sua pienezza e la sua abbondanza. La metafisica da artisti viene meno perché non
va più bene l’idea che l’arte proietti sulla realtà un velo che ce la rendi sopportabile, perchè questa proiezione,
il cui scopo è farci sentire al sicuro nella realtà, è una consolazione, un narcotico, questa consolazione va
smascherata (per questo la NDT ha un “odore hegeliano”: il mediato è il vero). La terribilità della vita comincia
ad essere qualificata positivamente perchè la terribilità era l’altro lato dell’arte che ci consentiva di accedere
ad essa. Se non abbiamo più bisogno di questa mediazione artistica, questo elemento terribile si scioglie. Si
tratta di dire di sì ad una sovrabbondanza difronte alla quale abbiamo l’azione naturale alla reazione. Prima
terribilità e consolazione andavano insieme. Viene meno la terribilità, quindi anche la consolazione. N. Critica
l’arte perche l’arte è un’illusione: il periodo scientifico consiste nello smascherare questo carattere illusorio
dell’arte, l’arte è un’illusione di cui non abbiamo bisogno. L’arte è consolatoria, però è anche vero che l’arte
ama la vita e questo le dà un primato rispetto alla morale cristiana che invece è puramente ostile alla vita. Se
l’arte era un modo per mediare un rapporto con la vita ma questa mediazione era però voluta, nella morale
cristiana invece N. individua una fuga dalla vita. Mentre l’arte costruiva un’illusione per sopportare l’al di qua,
la morale cristiana non si sente più a suo agio nell’al di qua e costruisce un’altra realtà. L’arte è pur sempre
amante della vita, la morale cristiana è ostile. Cristianesimo come “nausea e sazietà della vita”. In Ecce Homo
dice che nella NDT ha individuato il contrasto fondamentale tra negazione e affermazione della vita. Da una
parte l’istinto degenerante, dall’altra una formula dell’affermazione suprema. Quello del debole è un bisogno
verso la fuga della realtà (No alla vita), l’ideale come fuga dalla realtà. Ciò significa che N. Inaugura un lavoro
di naturalizzazione (valorizza gli istinti sulla razionalità), vuole trasvalutare i valori trasvalutati. Scopo di N. è
quello di una trasvalutazione di tutti i valori (si riferisce ai valori trasmessi da Socrate Platone cristianesimo).
Quella che N. diagnostica è una prima trasvalutazione della Grecia presocratica a quella socratica, e propone
una seconda trasvalutazione. Una prima trasvalutazione c’è già stata ed è quella che ha segnato il passaggio
dalla grecità omerica a quella socratica. In questa trasvalutazione N. mira a ridare importanza agli istinti (la
razionalizzazione di Socrate svalutava gli istinti, è una negazione del mondo dell’al di qua, della realtà fatta
mediante questa fuga nell’ideale). Questo processo di naturalizzazione può essere definito come un processo
di de-idealizzazione. Ciò non significa che la natura va bene così com’è istantaneamente. Se gli istinti non
devono essere repressi (come fa il cristianesimo), qual è la soluzione? Dare libera espressione agli istinti? N.
dice che la natura va compiuta, non si tratta più di una trasfigurazione della natura (nel caso del rimedio
consolatorio dell’arte) ma si tratta di compierla; dunque, si tratta di un lavoro sugli istinti valorizzati dalla
trasvalutazione. Non si tratta di scaricare gli istinti interiorizzati verso l’esterno (senso di colpa, contrizione
nel cristianesimo), ma si tratta di spiritualizzare i sensi (lavoro sugli istinti potenziando i sensi).

Umano troppo umano è la prima opera del periodo scientifico. N. interpreta il periodo scientifico come una
cesura rispetto al passato. Inizia la critica dell’arte, delle illusioni metafisiche di cui l’arte è una delle
responsabili. Nietzsche quando parla di scienza non si rivolge alla scienza del positivismo, questa N. la
chiamava “l’idolatria del fatto”, bensì si rivolge all’analisi della genealogia. Il problema che viene affrontato
è quello di capire a cosa va riportata questa tendenza a negare il mondo, qual è il meccanismo psicologico che
ha condotto a questo atteggiamento di ostilità nei confronti della vita. È lo smascheramento di questa illusione
che diventa lo scopo della filosofia nietzschiana ed è a questo smascheramento che N. dà il nome “scienza”.

➢ La scienza per Nietzsche non è il sapere della scienza positiva ma è piuttosto quell’opera di
smantellamento e di smascheramento delle illusioni metafisiche.

Nietzsche e Freud hanno la stessa impostazione scientifica/genealogica: sostengono che bisogna andare alla
base dei meccanismi desiderativi che costruiscono questa illusione.

In Ecce Homo l’anti Socrate diventa Democrito. Democrito è un antiromantico, egli si sforza cioè di guardare
la realtà per quella che è senza avvalersi di illusioni, combatte l’antropomorfismo, è un de-emotivizzatore.
Quando critica la nascita della tragedia N. riserva all’arte lo stesso trattamento che aveva riservato a Socrate,
il suo razionalismo infatti proietta sul mondo un’immagine dentro cui riconoscerci, ovvero quella della
sicurezza borghese, l’idea per cui se calcoliamo bene, le nostre aspettative non verranno disattese. Allo stesso
modo l’arte è diventata il tentativo di proiettare un’immagine sul mondo per rendercelo familiare. Questa è
un’emotivizzazione della realtà e Democrito è un de-emotivizzatore per questo N. lo contrappone a Socrate.
Democrito nega poi il finalismo (la genealogia è una negazione del finalismo). In questo aspetto di de-
teologizzazione N. è vicino a Spinoza. Un aspetto di lontananza invece da Spinoza è quello secondo cui per
N. il punto non è autoconservarsi, autoconservarsi è un aspetto della decadenza moderna, il punto è accrescere
la vitalità. Per Democrito nella realtà non esistono il bene e il male, la natura è al di là del bene e del mare, è
indifferente. N. utilizza la prospettiva materialistica di Democrito per contrapporla a quella di Platone perchè
Platone reagisce con la costruzione del mondo ideale ad un universo altrimenti insopportabile perchè assurdo,
senza senso e senza scopo. L’idealismo platonico era un tentativo di rendere il mondo familiare mediante una
sua moralizzazione. Umano troppo umano rappresenta questa nuova tendenza democritea: de-emotivizzare e
de moralizzare smantellando queste immagini consolatorie. In Umano troppo umano cambiano una serie di
cose, questo periodo scientifico prevede una serie di opere in cui cambia anche lo stile di N. Non c’è più una
trattazione saggistica ma ci sono una collezione di aforismi che rappresenta la traduzione dello spirito
antisistematico di N. E quindi del suo nuovo sguardo, dalla macro dimensione della metafisica, alla micro
dimensione della genealogia. Una volta che noi togliamo le idealizzazioni socratico-platoniche, ciò che N.
rileva è lo squadernarsi della realtà in una molteplicità di aspetti che prima ci rimanevano nascosti. Se prima
la realtà ci appariva piccola e ostile, scarsa e ostile, adesso la vedremo piena di elementi che erano sfuggiti al
nostro sguardo distratto verso un’altra dimensione. Il mondo svela una ricchezza di particolari non riducibili
ad unum. Una volta tolto il finalismo, ciò che rimane è una realtà molto più ricca di quanto ci aspettavamo e
che per paura non abbiamo voluto vedere. Questi meccanismi verranno poi codificati psicologicamente da
Freud. In Umano troppo umano cominciamo a trovare l’abbandono delle cose prime e ultime, per N. non c’è
una parola salvifica. La realtà comincia a mostrare la sua profondità nella dimensione dell’estensione, non
abbiamo bisogno di trascenderla in un al di là. Abbiamo quindi la sostituzione dell’orizzontale al verticale.
Dalle verità epocali, grandiose, eterne della metafisica, N. comincia a parlare di verità piccole e non
appariscenti, si concentra sull’apprezzamento delle forme più semplici. Oggi parliamo di rivalutazione del
quotidiano, in N. c’è qualcosa del genere.

Aforisma n.1: Chimica delle idee e dei sentimenti


Cambio di paradigma. Non è più il caso di dedicarsi alla costruzione di grandi edifici ma bisogna
dedicarsi alla collezione di piccole verità non appariscenti.

Aforisma 3: Valutazione delle verità non appariscenti

La cultura superiore non sta nella costruzione di edifici metafisici ma nello stimare la presenza di verità
piccole. Non c’è una verità che ci salva quando ci viene rivelata, ma ci sono solo piccole verità. Spirito
scientifico significa passare dal macroscopico della metafisica al microscopio della genealogia e in più
far cadere l’esigenza di una giustificazione dell’esistenza. N. prima aveva scelto l’arte come strumento
di giustificazione dell’esistenza. Adesso questo ha per Nietzsche l’aspetto di una teodicea. Dover
giustificare il dolore nel mondo, così come la teodicea si occupava di dover dare una giustificazione
dell’esistenza del male. La religione omerica non ha una teodicea. Con la critica genealogica cadono
anche le esigenze di giustificazione dell’esistenza.

Umano troppo umano è il monumento di una crisi: N. stesso ammette che ci sia una cesura tra periodo greco
wagneriano e periodo scientifico. Gli ideali e le idealizzazioni (razionalismo di socrate e platonico, ascetismo
cristiano) sono creazioni troppo umane che fanno parte della decadenza dell’essere umano. Sono i meccanismi
umani troppo umani di queste idealizzazioni che N. si propone di smascherare. Altro punto è che lo spirito
libero è uno spirito diventato libero. La differenza tra spirito libero e vincolato non è una differenza tra due
tipi di essere umano ma c’è un passaggio che non è garantito una volta per tutte. Quegli estremismi che
caratterizzano gli spiriti vincolati sono la via più facile, tentazioni alle quali dobbiamo resistere. Lo spirito
libero per questo non si libera mai una volta per tutte da queste tentazioni e deve lavorare continuamente per
non essere trascinato dalla gravità. La liberazione dalle catene è un lavoro di resistenza alla tentazione della
gravità. Spirito vincolato e spirito libero sono compiti. Questo periodo scientifico è anche stato definito
l’illuminismo nietzschiano. L’illuminismo diventa qui una lotta contro l’ideale come fuga dalla realtà.

29.03.2023

Umano troppo umano

. Testo che egli definisce “monumento di una crisi” perché segna una cesura rispetto al periodo greco-
wagneriano.
. Introduce la figura dello spirito libero e la distinzione tra spirito libero e vincolato. Lo spirito vincolato
è vincolato da delle catene da cui deve liberarsi. Divenire spiriti liberi non è un possesso che è acquisito
una volta per tutte, è un compito incessante e dobbiamo tenerlo vivo sempre.
. Tema dell’idealismo. Idealismo è una parola chiave per N. perché designa ciò verso cui fuggiamo.
Fuggiamo dalla realtà verso l’ideale, l’ideale è ciò che apparentemente ci consente di non soffrire della
terribilità della realtà. L’ideale è ciò che ci consente di avere a che fare in un certo modo con la realtà.
L’idealismo è il rimedio di chi non riesce a sopportare la realtà. Questo idealismo ci salva dalla morte
ma proprio per questo, ci consente un certo rapporto con la realtà ma questo rapporto è un rapporto
dimezzato, decadente, malato. L’ideale è una fuga dalla realtà ma questa fuga ci consegna ad un certo
tipo di rapporto con la realtà che è il rapporto che lo spirito libero contesta perché si pensa in grado di
avere un rapporto migliore con la realtà. L’idealismo è ostilità alla vita, però non così forte da ucciderci
ma tale da farci rimanere attaccati alla vita in un modo però vincolato. È un ideale che ci consegna una
vita vincolata e non libera. Il processo di emancipazione per cui si diventa spiriti liberi è una
liberazione dall’ideale. Quella per diventare spiriti liberi è una educazione alla realtà, educazione nel
trovare la realtà nella sua dimensione corretta e questo ci fa diventare più umani. La fuga nell’ideale è
una fuga dalla realtà, in fondo lo spirito libero è lo spirito educato alla realtà e che resiste alla
tentazione di fuggire. La malattia delle catene ci disumanizza. Idealismo del platonismo e del
cristianesimo (platonismo del popolo). Nietzsche si propone quindi una vera e propria caccia contro
l’ideale. La prima edizione di UTU è dedicata a Voltaire perché N. si propone di illuminare
l’oltretomba dell’ideale.
. Due concetti: convinzione e fede. L’ideale non viene confutato ma congela. Perché? L’ideale è il
risultato di un bisogno della volontà, in questo senso non è un errore dell’intelletto. Il nichilismo è una
debolezza della volontà. L’idealismo per questo non può essere confutato con i mezzi della ragione,
perché ha bisogno di essere curato, è un lavoro sulla volontà quello che spetta allo spirito libero e non
un lavoro sull’intelletto. Questo spiega perché l’ideale non può essere confutato una volta per tutte,
funge sempre da tentazione. La fuga dalla realtà è una tentazione tanto attraente quanto facile, ciò ci
consente di avere un rapporto con la realtà e ci risparmia dal cedere alla depressione e al suicidio. Però
questo rapporto con la realtà che ci consente non è esente da rischi perché secondo N. impoverisce la
nostra vitalità. L’ideale è qualcosa che attrae e seduce la volontà, alla quale dobbiamo resistere.
Rapporto poroso tra spirito libero e vincolato. Noi possiamo sempre regredire alla possibilità dello
spirito vincolato se non resistiamo alla tentazione dell’ideale. La fede e le convinzioni sono
particolarmente adatte per l’individuo debole. Sono forme di saturazione idealistiche, tentativi di
correggere la realtà o di esaurirla e possederla come in un concetto, senza residui. Questo non
appartiene ad una volontà forte ma ad una volontà debole. Il residuo, la transitorietà, il divenire, tutto
ciò che non riusciremmo a ridurre sotto il nostro controllo è oggetto di un compito più difficile.
Rinunciare alla tentazione di dominare la realtà in un concetto, questo è qualcosa per le volontà forti.
Gli estremismi delle fedi e delle convinzioni appartengono agli spiriti vincolati. È la crudeltà della
moderazione ciò che N. prescrive agli spiriti liberi. Il concetto di moderazione viene opposto al
concetto di mediocrità, ciò si evince in particolare nel frammento di Lenzerheide: “I più forti saranno
i più moderati”.

L’atteggiamento scientifico dello spirito libero non è un atteggiamento dogmatico, di chi si ossessiona e quindi
si radicalizza in una convinzione o in una fede così che questa fede saturi il nostro orizzonte di visione e accechi
la nostra attenzione sui dettagli. L’ideale è qualcosa che rinuncia ad essere il tutto articolato e diventa il tutto,
la fede è un pezzo di reale che noi facciamo diventare il tutto. Questo satura il nostro orizzonte facendoci
vedere tutto nello stesso colore. Nella Genealogia della morale viene presentata l’immagine del sangue negli
occhi. L’atteggiamento dello spirito libero contempla l’elasticità del pensiero, l’antidogmatismo. Questa idea
dello spirito libero N. la condensa nell’immagine del viandante. Il Viandante: ultimo aforisma di Umano troppo
umano. Il mutamento e transitorietà per N. danno valore alla nostra vita. Freud scrive Caducità, la caducità di
questo mondo valorizzano il nostro mondo. Questo elemento della transitorietà lo ritroviamo nell’amor fati,
nell’eterno ritorno dell’uguale.

Aforisma 350 N. parla della malattia delle catene.

“Alleggerimento della vita”: la “gaiezza” della scienza è il modo in cui N. valorizza l’elemento della
superficialità. N. comincia a lavorare sui concetti di leggerezza e superficialità, che sono contrarie al peso.
Questo concetto va letto come l’opposto dell’interiorità (Seconda inattuale), quel tipo di interiorità era un
ritrarsi nella vita comoda, contemplativa, erudita, in questa forma di collezionismo inerte, incapace di azione
di futuro. Questa interiorità che diventerà interiorizzazione nella genealogia della morale (istinti repressi), è il
contrario di superficialità. Leggerezza dice azione, trasformazione, quindi plasmazione della vita.

Superficialità≠Interiorità

Aforismo 631

La tradizione, il gregge, il conformismo della maggioranza, il si dice.


Lo spirito scientifico ha le caratteristiche del metodo scientifico. Quando N. parla di spirito scientifico, non si
riferisce alla scienza nel senso positivismo del termine. Ciò che gli interessa è il metodo della scienza,
l’atteggiamento che la scienza ha nei confronti della realtà, cioè il fatto che la scienza non si accontenta di
verità che non può mai mettere in questione, è una continua sperimentazione.

Frammento di Lenzerheide

Lo spirito liberto, il più forte, è colui che non cede alla tentazione di soddisfare il bisogno di realtà che è fuga
dalla realtà e incapacità di affrontare la realtà. Il più forte non ha bisogno dell’estremismo, della fede e delle
convinzioni ma ama tutto ciò che non torna, ciò che non può essere raccolto intorno ad un concetto dai margini
delineati, l’assurdo, il caso, l’incalcolabile. 3 colpi mortali vengono sferrati al narcisismo dell’essere umano:
Copernico (non siamo al centro dell’universo), Darwin (contro creazionismo= evoluzionismo), Freud (la
psicoanalisi ha spossessato la coscienza dal suo dominio introducendo l’inconscio). Questi tre colpi mortali
inferti al valore dell’essere umano non inficiano lo spirito libero. I più forti sono sicuri della propria potenza,
cioè sono sicuri del valore della propria umanità.

Aforisma 225

N. da una definizione di spirito libero. Una delle caratteristiche della morale tradizione è quello di identificare
il tipo di libertà in possesso dello spirito libero come malvagità. Il cattivo è l’eccezione, ciò che non fa contare
i conti.

Aforisma 226

Definizione di fede. Lo spirito vincolato è passivo, accetta la sua convinzione non per scelta ma per abitudine.
È cristiano non perché ha scelto tra le varie religioni ma si è trovato di fronte al cristianesimo e l’accetta.

Aforisma 630

Definizione di convinzione. È la credenza di possedere una verità assoluta. L’uomo delle convinzioni non è
l’uomo dello spirito scientifico ma è uno spirito vincolato. Questa condizione di vincolo e convinzione è da N.
associata all’infanzia, al bambino che vive di estremismi.

Aforisma 632

Lo spirito vincolato non dà spazio alle opinioni dell’altro, è aggressivo ed è il rappresentante di società
arretrate. Il tipo di regressione psicologica che lo caratterizza è filogenetica, oltre che ontogenetica.

Aforisma 637

Chiama giustizia il divenire avversario delle convinzioni. Dalle passioni crescono le opinioni. L’inerzia delle
opinioni fa irrigidire queste ultime in delle convinzioni. Ma chi sente di avere uno spirito libero può impedire
questo irrigidimento. N. parte dalle passioni, dagli istinti. Il suo ragionamento non è un’esaltazione della
ragione contro gli istinti, il suo ragionamento intorno allo spirito scientifico in questo senso ha poco di
illuministico, non si tratta di scegliere la ragione contro gli istinti perché è dagli istinti che nascono le opinioni.
Ma ciò che ci serve per evitare che queste opinioni diventino convinzioni irrigidite è un lavoro sugli istinti e
sulle passioni, abbiamo bisogno di rendere mobili queste passioni e questi istinti evitando di farle fissare
facendole così diventare fede. Il cristianesimo porta avanti una repressione degli istinti il cui rimedio non è
semplicemente espressione degli istinti. Per tornare alla realtà N. propone un lavoro sugli istinti per evitare
l’irrigidimento di queste passioni.
Istinti→ Opinioni→ Convinzioni→ Fede

Lavoro dello spirito libero: evitare che le opinioni si fissino in convinzioni

Aurora (1881)

Aforisma 9

In Ecce Homo N. dice che con Aurora inizia la campagna contro la morale. Tutta questa lotta contro la
metafisica, il cristianesimo, per N. sarà una lotta contro la morale. La morale è la summa di tutte queste cose.
L’altruismo, che N. contesta, è una repressione dell’egoismo. È il risultato della negazione di qualcos’altro. N.
accusa il cristianesimo di essere un altruismo camuffato.

Dobbiamo leggere nell’egoismo l’individualità dello spirito libero. L’egoismo non è solo l’egoismo che il
cristianesimo reprime trasformando in altruismo. L’egoismo per N. consiste nel dare forma alla propria vita.
La critica dell’altruismo è la critica della rinuncia a sé stessi. La spersonalizzazione è la rinuncia a sé stessi.
Parlando di egoismo non si riferisce ad un atteggiamento aggressivo ma apre la polemica contro la
spersonalizzazione.

Gaia scienza

“Gaia”, felice, pensato in contrapposizione all’interiorità, allo spirito tipico del cristianesimo. C’è una
sostituzione della scienza alla religione e il tipo di scienza che viene sostituito sarà una scienza gaia che
pubblicizza l’amore per la vita, per l’azione, la trasformazione, quindi l’uscita da quella repressione degli
istinti, fuga dalla realtà che il cristianesimo e la metafisica hanno diffuso. La scienza è gaia perché è la scienza
dello spirito libero, quindi ha la caratteristica della leggerezza. È pensata da N. come una continuazione di
Aurora, viene continuata la critica della morale. Nella Gaia scienza troviamo la prima intuizione dell’eterno
ritorno dell’uguale (aforismi 341-342).

31.03.2023

Il concetto di “felice”, “gaio”, è il carattere della scienza propria dello spirito libero e che si oppone a lo spirito
vincolato che ha la caratteristica di essere pesante, interiorizzato (si rinserra nel passato, comodo ritrarsi dalla
vita, diventa una repressione pulsionale e un indirizzamento degli istinti di crudeltà verso se stessi invece di
scaricarli verso l’esterno).

Leggerezza dello spirito libero vs. Gravità dello spirito vincolato

N. riprenderà quest’idea di interiorità da Dostoevskij, prenderà spunto da memorie del sottosuolo il cui
protagonista è caratterizzato da un’ipertrofia della coscienza, egli cova risentimento ed è quindi tutto ripiegato
nella sua interiorità.

Gaia scienza

Aforisma 116
Istinto del gregge. La moralità è l’istinto del gregge nel singolo, concezione della morale come ciò che è utile
alla comunità per la sua conservazione. Questo tipo di moralità secondo N. è specifica delle comunità costruite
religiosamente. Il cristianesimo è la religione civile dello stato moderno e l’educazione del prete asceta fa del
singolo una funzione del gregge e così addomestica gli istinti anti sociali. Noi sappiamo che questa educazione
comporta un impoverimento e una vita dimezzata. N. contesta al cristianesimo che per rendere la vita
interessante l’ha svuotata. Ma se da una parte contesta il cristianesimo, dall’altra parte gli attribuisce il merito
di aver salvato la comunità dal mondo antico. Consente la sopravvivenza della comunità al tramonto del mondo
antico. Il cristianesimo ha reso la vita interessante ma con tutta una serie di effetti collaterali.

Aforisma 117

N. continua il discorso sul gregge.

Aforisma 296: la salda reputazione

Questo aforisma riprende ciò di cui abbiamo parlato la scorsa volta (dove? Riguarda appunti scorsa lezione),
ovvero il fatto che per N. le opinioni vengono dalle passioni ma possono irrigidirsi e diventare convinzioni,
ovvero fede. Lo spirito libero resiste a questa tentazione di irrigidimento. La fede per N. è propria di uno spirito
debole, lo spirito vincolato trova sostegno e stabilità nell’estremismo della fede. Per questo lo spirito libero ha
la caratteristica di non aver bisogno di articoli di fede estremi perchè la sua forza consiste nella sua
moderazione. Viene qui contrapposta la tendenza alla pietrificazione delle opinioni, che per N. rappresenta
un’attrazione e una seduzione, e la fluidità e la rivedibilità propria dello spirito libero. Lo spirito libero
mantiene rivedibili le sue opinioni e non le fa diventare delle fedi inscalfibili.

Aforismo 347: i credenti e il loro bisogno di fede

Qui viene riassunto tutto ciò che abbiamo detto fino ad ora. La fede per lo spirito vincolato è qualcosa che
riguarda la volontà, il bisogno. Il punto non è la verità dell’articolo di fede. Il punto è il bisogno che la volontà
ha di aggrapparsi a questo ideale, a questo narcotico che consente di sentirsi stabile. Non è una questione di
verità ma di bisogno. Anche Freud dirà che la forza della religione consiste nella forza dei desideri da cui la
religione scaturisce. N. utilizza il concetto della passione del comando, lo interpreta come un segno di
riconoscimento del dominio esercitato su sé stessi ovvero del fatto che l’individuo non è disposto a prostrarsi
all’opinione impersonale del gregge. Individualizzazione contro la spersonalizzazione in cui l’istinto gregario
consiste. L’incapacità di essere individuo, cioè di esercitare un dominio su sé stessi e una plasmazione
trasformativa della propria vita, consegna l’individuo al divenire suddito, all’essere comandato. Lo spirito
vincolato ha bisogno di incatenarsi al gregge, ha bisogno di una fede uniformemente condivisa. L’estremismo
è l’attrazione e la seduzione principale per chi ha una volontà debole per cui le opinioni provenienti dalle
passioni diventano convinzioni. Queste convinzioni hanno un carattere di saturazione, ciò significa che un
particolare modo di vedere e di sentire diventa tutto, diventa dominante in virtù di un accrescimento ipertrofico.
Si prende un particolare e lo si fa diventare tutto, questo è ciò che avviene nella fede. Si fa diventare
quell’opinione tutto, la si rende incapace di dialogare con altre opinioni.

Positivismo

Che rapporto c’è tra Nietzsche e il positivismo?


Da una parte egli è critico nei confronti del positivismo, dall’altra parte è anche vero che si richiama a molti
autori positivisti.

Caratteristiche delle scienze tra il 1800-1830:

1. Massimo sviluppo della ricerca scientifica in riferimento alle scienze dure, ai rapporti con la tecnica e
alle conseguenze che questa collaborazione ha nella società, nell’economia e nella politica. Obiettivo
del positivismo è quello di rendere controllabili e calcolabili queste sfere.
2. L’indagine fisico matematica acquista una posizione preminente. Questa consiste in un processo di
sistematizzazione della fisica newtoniana strettamente connesso al progresso della matematica nello
studio dei processi fisici, dunque la matematizzazione della fisica.
3. Accanto allo studio della fisica mediante strumenti matematici, si sviluppano soprattutto in Francia
mineralogia, geologia ecc le cosiddette scienze della vita, l’insieme di quelle discipline scientifiche
che si occupano degli organismi viventi. Proprio queste scienze della vita però fanno resistenza alla
matematizzazione della natura che appare troppo astratta per racchiudere un fenomeno così molteplice
come quello della vita.

In Francia, dove nasce il positivismo, lo spazio riservato fino ad allora alla riflessione filosofica viene eroso
dalle scienze. Ciò accade perche comincia a emergere e ad essere sollevato il problema della misura in cui i
processi politico, economici e sociali possano essere spiegati medianti leggi scientifiche. Se è vero che l’anima
del positivismo era scientifica, il punto più importante del positivismo come corrente culturale era quello di
utilizzare gli strumenti scientifici nello studio della società, riuscire a elaborare dei metodi scientifici per
prevedere i fenomeni sociali economici e politici che resistevano ad essere ingabbiati nel criterio della
prevedibilità. Tutto ciò che appariva pericoloso e imprevedibile diventava per il positivismo l’ambizione alla
prevedibilità, alla calcolabilità. Il punto non era quello di enunciare soltanto le leggi del funzionamento della
società, ma era quello, mediante queste leggi, di controllare questi processi. Si aspira ad un controllo di questi
processi. In Francia la memoria della Rivoluzione francese era un motivo per aspirare ad un controllo, al fare
di questi processi sociali potenzialmente distruttivi qualcosa che potesse essere previsto e quindi evitato.

Gustave Le Bonn scrive Psicologia delle folle (1895). La psicologia delle folle era una risposta alla fine della
religione. La religione aveva la funzione di far stare buone le masse perchè la religione si fonda sulla speranza
e non sulla paura (come voleva Lucrezio), sulla speranza di un mondo nell’al di là in cui le ingiustizie dell’al
di qua non sarebbero più state patite. Questa era una speranza inverificabile, perchè nessuno era tornato
dall’altro mondo per comunicarci che fosse così. Ma questa speranza era efficacissima proprio per questo,
allettava la volontà con la proiezione di un bene futuro e dalla liberazione dalle angherie, dai soprusi. Questo
consentiva alle classi più svantaggiate di sopportare di buon animo le ingiustizie senza farsi strane idee su
rivoluzioni sociali. La religione aveva un effetto di contenimento. Quando inizia il processo di secolarizzazione
e quindi la religione perde terreno (il cielo si è svuotato) qualcosa deve prendere il posto della religione perchè
altrimenti le masse sarebbero tornate ad essere pericolose. Le Bonn si riferisce al socialismo che per lui era
l’equivalente della Rivoluzione francese, masse pericolose che volevano entrare di prepotenza sul palcoscenico
della storia, diventare soggetti politici. Per evitare la deriva socialista serve una scienza che ci consenta di
indirizzare le masse, proprio come faceva la religione. Questa scienza è la psicologia delle folle. Questa pretesa
di utilizzare la scienza per prevedere, quindi controllare e quindi orientare i movimenti sociali, è esattamente
l’aspirazione principale del positivismo.

Protagonista del positivismo francese è Auguste Comte. Comte elabora una filosofia della storia
interrogandosi sulle leggi dell’agire umano per perseguire una conoscenza che permetta di controllare e
indirizzare questo agire. La scoperta di tali leggi era un modo per perseguire una riorganizzazione della società.
Nel 1830 pubblica il primo volume del suo corso di filosofia positiva, la cui tesi principale è che lo svolgersi
dell’intelligenza osservata nella sua totalità mostra di essere governata da una legge fondamentale: quella dei
tre stati teorici. Questa legge ha una necessità immutabile. Per Comte la storia è regolata da una legge che si
svolge con una necessita immutabile. Questa legge ha tre stadi:

1. Sistema teologico o fittizio


2. Sistema metafisico o astratto
3. Sistema scientifico o positivo

Questi tre stadi sono tre epoche, l’idea è quella di un progresso che si libera gradualmente della metafisica e
della religione.

Nel sistema teologico o fittizio lo spirito umano vuole giungere alla conoscenza dell’essenza intima degli esseri
e viene perciò affermata l’esistenza di agenti soprannaturali che vengono presentati come cause prime e finali.

Il sistema metafisico o astratto è una pura modificazione del primo. Non si parla di agenti soprannaturali ma
di forze astratte: la natura. Sono assunte come vere e proprie entità e indicate come cause dei fenomeni.

Il sistema positivo si libera dalla esigenza di nozioni assolute. Quello che interessa sono le leggi dei fenomeni.
Questi non hanno nulla a che fare con l’intima essenza delle cose e del mondo ma sono soltanto le relazioni
invariabili di successione e di similitudine tra i fatti. Solo in questo modo è possibile spiegare in termini reali,
cioè scientifici, i fatti. Le leggi dei fenomeni sono relazioni tra i fatti e non l’essenza o l’intima natura
metafisica del mondo, ma unicamente relazioni invariabili tra i fatti. La filosofia non può scoprire le cause
prime, spiegare significa rinunciare alle cause prime generative dei fenomeni. Qui troviamo un elemento
nietzschiano: non dobbiamo più cercare l’origine, nel senso della causa prima o finale. Il sistema positivo ha
il compito di scoprire le relazioni tra i fatti, questo consentiva di costruire la fisica sociale, cioè di elaborare
relazioni tra i fatti sociali in modo tale da poterli prevedere e controllare. La fisica sociale è controllo e
promozione del progresso sociale verso una direzione voluta e non più incontrollata.

Il monumento e il manifesto di questa concezione positivistica è il Discorso sullo spirito positivo (1844) di
Comte. Vi è l’idea per cui individuare l’interazione tra i fatti, cioè le leggi dei fenomeni, significa prevedere.
La formula è: vedere per prevedere. Comte distingue l’empirismo dal positivismo.

Nietzsche conosce Comte, ma legge anche altri autori positivisti:

. Darwin (l’origine delle specie, idea dello struggle for life, della lotta per la sopravvivenza diventa
anche un modo di descrivere la società),
. Spencer ( principles of psychology, la cui idea centrale era che i processi di natura abbiano una
dinamica evolutiva: se è vero che la scienza non può conoscere l’assoluto come essenza ultima del
mondo, tuttavia Spencer sostiene che la scienza coglie il manifestarsi di questo assoluto che è questa
evoluzione, questa dinamica evolutiva di ogni processo naturale. Parallelismo tra natura e storia),
. During (quest’ultimo è quello contro cui Engels scrive l’anti During e da During Nietzsche prende
tantissimo, seppur lo critichi molto),
. Gobineau scrive il saggio Sulla disuguaglianza tra le razze umane di cui ci sono tracce nelle parole di
Nietzsche, Pierre Janet (era il Freud francese).

Nietzsche ha un dialogo molto importante con il positivismo e si contrappone ad esso senza esserne del tutto
escluso perchè la pretesa al fondo del positivismo di de-metafisicizzare e de-teologizzare è anche un’esigenza
di N.

Contro Darwin fa valere le tesi di Negelin (che era l’avversario tedesco di Darwin), in particolare si pronuncia
contro l’idea dell’adattamento perchè l’adattamento prevedeva che l’ambiente inducesse l’essere vivente a
cambiare per adattarsi ad esso. Ciò che a N. e Negelin non piace è quest’idea di concepire l’essere vivente
come reattivo rispetto all’esterno, l’adattamento presupponeva l’idea che la creatura vivente si modificasse
reagendo all’ambiente esterno. Mentre secondo Nietzsche, che segue Negelin, valorizza la forza interna di
cambiamento. La loro capacità di plasmare il mondo esterno e non di reagire all’esterno e cambiare in relazione
ad esso.

Contro Spencer e il suo utilitarismo N. polemizza perchè quello che fa Spencer è trovare ad ogni costo in ogni
accadimento un utile che deve fornire la spiegazione filogenetica della sua origine. (Ontogenetico=riguardante
lo sviluppo dell’individuo. Filogenetico=riguardante lo sviluppo della specie). L’idea di dire che un certo
fenomeno ha avuto origine perchè è stato utile, considerare l’utilità per spiegare il sorgere filogenetico di un
fenomeno, questo per N. è finalismo, ovvero è ancora compreso in una concezione teologica della storia. Il
metodo genealogico ci insegna a non immettere nell’origine ciò che si dispiega successivamente.

Genealogia della morale (1887)

Si compone di tre dissertazioni:

1. Buono e malvagio, buono e cattivo


2. Colpa, cattiva coscienza e simili
3. Che significano gli ideali ascetici?

Prefazione

Nella genealogia della morale torna la scrittura saggistica, N. abbandona temporaneamente la scrittura
aforistica.

L’incipit è un’esortazione delfica al conoscere sé stessi che non ha molto a che fare con una riflessione “grave”
sull’interiorità perchè è una forma di liberazione dall’alienazione, quindi è un conoscere se stessi che ci
consente di ricostruire un rapporto più intenso con la realtà. È un’educazione alla realtà ciò che N. si propone
con questa esortazione al conoscere sé stessi.

II

Nel secondo paragrafo una dichiarazione sull’oggetto del testo: ricerca sull’origine dei nostri pregiudizi morali.
N. sottolinea che si tratta di uno scritto polemico, ciò significa che c’è un obiettivo da combattere. N. è un
autore polemico, egli elabora i propri concetti sempre in opposizione ad altri concetti. Non confondere
obiezioni intra sistematiche (obiezione che conserva i presupposti in cui quel concetto si trova) con obiezioni
extra sistematiche (che sostituiscono i fondamenti in cui il concetto si trova).

III

Nel terzo paragrafo la ricerca si riferisce alla morale. La questione è: quale origine abbia il nostro bene e il
nostro male. N. racconta che la ricerca intorno all’origine del male è stato uno dei suoi temi giovanili. Qui si
chiede: in quali condizioni l’uomo è andato inventando questi giudizi di valore, bene e male, e quale valore
hanno in sé stessi? La valutazione che N. da dell’origine dei concetti morali è una valutazione il cui criterio è
sempre l’ascesa o la discesa dell’essere umano, cioè il potenziamento o la decadenza delle sue capacità di
essere umano. L’obiezione che farà al cristianesimo sarà quella di essere un sintomo di decadenza, è per questo
che quelle valutazioni morali del cristianesimo devono essere trasvalutate e quindi modificate con altre
valutazioni che consentano all’essere umano di tornare in possesso della sua vita e di potenziarsi.

IV

Nel quarto paragrafo, l’origine dei sentimenti morali, si riferisce a Paul Reè. Paul era l’amico nemico di
Nietzsche perchè erano innamorati entrambi della stessa donna, Salomè. Qui N. rifiuta il libro di Paul Reè e lo
sussume sotto le analisi psicologiche inglesi perchè ciò che N. contesta è l’idea che la morale sia l’altro viso,
l’altruismo. Il suo nemico principale è l’idea che l’altruismo vada configurato come rinuncia a sé. Questa idea
per cui la morale debba consistere in una mortificazione dell’egoismo. La morale non è altruismo cioè rinuncia
all’egoismo. Per N. L’egoismo è un potenziamento dell’individuo che ha effetti positivi sulla società e sulla
morale. Ragionamento milliano tra diretta proporzionalità tra individuo e società. N. Contesta l’idea che la
morale è stata intesa come altruismo e l’altruismo come una rinuncia all’egoismo, ovvero una rinuncia a sé.

Per N. è in questione il valore della morale. Si tratta di capire se questo valore è un valore che accresce o
mortifica la vita. Giustificare una trasvalutazione dei valori morali cristiani. Nel campo morale Schopenhauer
è l’obiettivo polemico di Nietzsche perchè S. aveva inteso la morale in termini di non egoismo, compassione,
auto negazione e auto sacrificio ma questo per N. è dire no alla vita. La concezione morale di S. si inscrive nel
suo sistema filosofico secondo cui l’obiettivo era liberarsi dalla volontà. Quindi per N. Schopenhauer fugge
dalla realtà nella vana ambizione che ci si possa liberare dalla dipendenza dalla volontà, dal desiderio e dagli
istinti. N. denuncia qui quest’ambizione destinata al fallimento. La critica a Schopenhauer e alla liberazione
della volontà significa qui una critica alla morale intesa come altruismo e compassione. Ciò che altruismo e
compassione sembrano, cioè essere un sì alla vita, secondo N. in realtà sono un no alla vita. Compassione e
altruismo sono una tentazione alla quale dobbiamo resistere. Questo però non significa che quello che N.
propone sia una morale egoistica e aggressiva.

VI

N. si esprime contro l’infrollimento moderno dei sentimenti dovuto al valore che si accorda alla compassione
e alla morale costruita su di essa. Dobbiamo superare l’idea che la compassione sia un atteggiamento benefico
e che il contrario della compassione sia la crudeltà.

L’estremismo di N ha due valenze: 1) è un elemento provocatorio ovvero è un modo di attirare l’attenzione


sul capovolgimento che si sta effettuando, N si propone di compiere questa seconda trasvalutazione dei valori,
la seconda trasvalutazione è quella che riguarda la trasvalutazione dei valori socratico-platonici-cristiani. Lo
stile così estremo è dovuto a questo elemento provocatorio. 2) è un tranello per gli iniziati. Leggere N come
un autore che esige dal lettore una attenzione che vada oltre il primo significato disponibile.

Infine, in questo sesto paragrafo N. enuncia l’esigenza di cui la genealogia si fa interprete: il bisogno di una
critica di valori morali, dobbiamo porre in questione il significato di questi valori in relazione al beneficio che
questi valori apportano o meno alla vita. Dobbiamo quindi conoscere le condizioni in cui questi valori si sono
sviluppati per poi modificarsi e poi domandarci se questi valori morali siano promettenti di una prosperità
dell’uomo oppure no.

VII

Troviamo qui la direzione verso l’effettiva storia della morale, cioè il tipo di storia che va impostata
genealogicamente.

VIII

Idea del ruminare e della lettura iniziatica ha un riscontro nell’aurora.

Prima dissertazione: buono e cattivo, buono e malvagio

È particolarmente importante perchè ci da le prime coordinate sul tipo di trasvalutazione che N. ha in mente e
su un esempio pratico di storia effettiva. Questa prima dissertazione è dedicata alla prima distinzione morale
che N analizza: quella tra buono e cattivo, caratteristica fondamentale della morale dei signori e aristocratica,
che N colloca nella società greca omerica. Ci parla della degenerazione di questa prima opposizione di valori
(buono e cattivo) in una seconda opposizione di valori (buono e malvagio), quindi nello slittamento del
concetto di cattivo nel concetto di malvagio.

Come N articola questa prima diade morale: buono e cattivo.

Osservazione di N sugli psicologi inglesi e sugli utilitaristi che affronta in modo apparentemente polemico, in
quanto infondo N. apprezza il lavoro di questi psicologi. Li chiama microscopisti dell’anima ma infondo li
apprezza perché sono stati capaci di un approccio scientifico alla morale. Ciò che rimprovera loro è
l’antistoricità, nel senso di storia genealogica, il loro approccio non è idealistico perché sono positivisti ma
infondo il loro problema è di aver costruito la storia in base ad un criterio come quello dell’utilità che
regolerebbe l’insorgere del fenomeno della morale. N. non è d’accordo, ritiene che l’origine della morale non
abbia nulla a che fare con l’utilità, l’utilità subentra solo in un secondo momento. La tesi di questi psicologi è
che l’azione morale è l’azione altruistica dal punto di vista di chi ne beneficia. Chi ha beneficiato di un’azione
da parte di qualcuno che ha ritenuto quest’azione morale perchè a lui utile. La moralità deriva da questa
valutazione di un’azione come buona in quanto utile da parte di chi ne beneficia. Poi succede che questa origine
della morale nell’utile viene dimenticata e quindi le azioni vengono considerate come buone in sé e non più in
riferimento alla loro utilità. La tesi di questi psicologi è che le azioni morali in ogni caso non sono buone in sé
e sono state considerate buone in se in seguito ad un oblio della loro origine nell’utile. La scaturigine della
moralità di un’azione era nel giudizio di utilità che di quest’azione veniva data da chi nessuno più ne beneficia.

Questa è la teoria che N vuole contestare. La contesta dicendo che ciò che fa di un’azione un’azione buona
non è il giudizio di chi ne beneficia ma di chi la fa, di chi compie l’azione. La fonte di N nel dire questo è ...
N stabilisce che l’origine del concetto di buono prende le mosse dal pathos della distanza, cioè dalla potenza
di coloro che sono buoni e non da coloro ai quali viene data la prova di bontà. A determinare la bontà di
un’azione è la potenza di chi la compie e non il giudizio di chi la riceve. Il pathos della distanza è ciò che
oppone il potente buono all’impotente. La sovrainterpretazione di quest’idea è che i potenti sono buoni in virtù
del fatto che sono capaci di determinare sé stessi, sono creatori auto valutatori della bontà delle proprie azioni.
In questa distinzione tra buono come nobile e potente e cattivo come debole c’è la distinzione tra spirito libero
(capace di plasmare sé stesso in modo spontaneo e libero) e spirito vincolato. Plasmare sé stessi è qualcosa di
buono. Il punto è che per quanto concerne l’origine del giudizio di valore “buono” ciò che conta non è il
rapporto di utilità, il giudizio di gratitudine da parte di chi beneficia di quell’azione ma l’arrogarsi da parte del
buono di creare valori. Il pathos della distanza ha a che fare con una gerarchia che viene a crearsi tra lo spirito
libero e lo spirito vincolato, ovvero chi non si trova in un atteggiamento creativo ma in un atteggiamento
passivo e reattivo. Buono e cattivo, attivo e reattivo.

Nel terzo paragrafo N., sempre criticando questa idea degli psicologi inglesi, cita Spencer e la sua teoria per
cui buono significa utile, ma utile significa conforme al fine, ma conforme al fine significa ciò che
tradizionalmente si è dimostrato utile. N valorizza invece la spontanea formazione di valori.

Andiamo più a fondo nella distinzione tra buono e cattivo. Qual è la fonte di Nietzsche? Quando N si occupa
di indagare l’origine delle valutazioni morali, egli esprime un giudizio che esalta la crescita presocratica e la
contrappone alla degenerazione cristiana e moderna dei valori. Partiamo da quest’opposizione tra grecità
contro modernità, ovvero l’opposizione della grecità omerica che è la religione della vita e la religione ostile
alla vita ovvero il cristianesimo nella sua origine socratico platonica. La religione della vita costruisce un
mondo intermedio degli dèi che serve ai greci per divinizzare l’esistente, che sia esso buono o cattivo.
Diversamente al cristianesimo, la religione della vita greca non conosce la teodicea.
In questa prima dissertazione, N si propone di chiarire contro questi psicologi inglesi, come la scaturigine dei
valori morali stia proprio in questo mondo antico. Contro Spencer N dice che egli è lontano dalla storia
effettiva, è guidato dall’idea che vi sia un’analogia tra il concetto di buono e quello di utile per cui nei giudizi
di buono e cattivo l’umanità avrebbe assommato le proprie esperienze su ciò che è utile e conforme al fine e
ciò che è dannoso e non conforme. La tesi di N. è che i giudizi morali non risultano da riflessioni utilitarie ma
la loro origine va cercata nei processi attraverso cui ceti e classi dominanti affermano una propria identità e
glorificano il proprio stile di vita. La storia dei valori morali è da intendere come storia di relazioni gerarchiche.
Per sostenere questo N. ricorre all’opera di un filologo, ricorre allo studio della lingua greca, la quale serve per
accertare se in quelle parole e in quelle radici linguistiche, che hanno il significato di buono, ci sia ancora
quella sfumatura per la quale i nobili si sono sentiti buoni e di rango superiore. Richiamandosi a questo
filologo, N vuole mostrare come nel linguaggio il concetto di buono ha voluto designare questa superiorità
d’animo. L’autore che N. ha in mente è Leopold Schmitt che scrive L’etica degli antichi greci per indagare
come si trasformino le concezioni morali nel mondo greco facendo attenzione ai mutamenti lessicali e
semantici rintracciabili nell’evoluzione della lingua greca. Questo è esattamente ciò che riporta N in questa
prima dissertazione. Lavora principalmente nell’odissea di Omero e su Teognide in cui si tocca l’idea per cui
il concetto di buono in origine è un apprezzamento assoluto di valore, in questi due autori buono e cattivo
significano aristocratico e volgare, sono aggettivi che originariamente non hanno un significato di biasimo
morale (il concetto cattivo non ha nulla della colpa della cattiveria) ma designano una nobile nascita, una
nobiltà spirituale.

Paragrafo 5

Kakòs e deilos sono forme verbali che si riferiscono a “cattivo”. Viene disprezzato il codardo, colui che pensa
alla sua angusta utilità. In così parlò Zarathustra N. riprende proprio quest’accezione del concetto di cattivo.
La prima accezione del concetto di cattivo è: cattivo come codardo, spregevole, che pensa come un piccolo
borghese alla sua angusta utilità. Quest’analisi linguistica a cui N. si richiama riferendosi a Schmitt va contro
l’idea che la morale venga dall’utilità. La distinzione tra buono e cattivo nasce più per il disprezzo per i codardi,
nella sfera dei rapporti agonistici. Buono significa valoroso, cattivo significa pavido. Attraverso gli studi di
Schmitt N. sostiene che questa prima distinzione tra buono e cattivo è tale per cui buono è il contrassegno di
potenza e distinzione signorile e lentamente questa originaria distinzione muta di significato. Solo in un
secondo tempo assume un significato utilitaristico.

Schmitt fa una distinzione tra tre termini che riguardano la stessa area semantica ma che rappresentano una
evoluzione del concetto di buono:

1. Agatos: il ben nato, colui che ha nascita nobile le cui caratteristiche sono il coraggio e il vigore fisico.
Classe aristocratico cavalleresca;
2. Estlos (?): eccellenza in senso etico
3. Cristos: buono in senso di utile alla comunità

Sono l’evo del concetto di buono, in questi tre termini c’è un elemento originario, quello del coraggio. Ciò che
interessava a N in questo riferimento al filologo è l’idea che dietro all’origine della valutazione morale di
buono non c’è una ragione utilitaristica, esso è solo un esito provvisorio. Il fatto che il concetto di Agatos fosse
precedente a quello di Cristos consente a N. di mostrare che il senso originario dell’agire morale non va cercato
nella liberazione del dolore e nella ricerca del piacere, né nella ricerca dell’utile. Questo consente a N. di
distinguere tra questa originaria partizione di morali aristocratiche che non hanno nulla a che fare con l’utilità
e quindi non hanno nulla a che fare con l’altruismo (L’azione morale buona è quella che mi viene da un altro,
è utile l’azione che mi reca vantaggio e quell’azione è buona). Si oppone a tutte le condotte segnate dal
risentimento. Questa distinzione tra buono e cattivo come distinzione tra nobile e risentito si ritrova già in
quest’etica antica.
N. sta cercando di rinvenire in quest’etica antica e in queste originarie accezioni linguistiche delle valutazioni
morali la sua contrapposizione tra spirito libero e spirito vincolato.

Il concetto di buono in senso aristocratico significa irriflessione, ingenuità. È questo il concetto che N chiamerà
superficialità (che verrà opposta alla gravità e interiorità delle morali degli schiavi e dei risentiti). La morale
cavalleresca descrive un tipo di individuo che agisce senza calcolo, senza badare al suo angusto utile, incapace
di simulare e quindi incapace di artificio. Agisce istintivamente in modo irriflesso. Dall’altra parte c’è
l’individuo risentito e rinserrato nella propria interiorità: la bestia del sottosuolo.

Mentre l’uomo nobile vive con fiducia e schiettezza davanti a sé stesso, la caratteristica del tipo aristocratico
è che non cova vendetta e non si tormenta nel ricordo delle offese subite. Capacità che l’individuo deve avere
di dimenticare la storia per non rimanere inchiodato al passato. Non si tormenta nel ricordo delle offese subite,
non cova risentimento, non conserva memoria del male. Questo anche nell’etica nicomachea si ritrova, è nobile
colui che dimentica il male subito. L’uomo del risentimento non è nè schietto nè ingenuo. È colui che cova
vendetta nei confronti della realtà, è ostile alla vita.

Nella Gaia scienza N. scrive che i greci erano superficiali per profondità. La loro profondità consisteva nel non
farsi sedurre dall’odio per la vita, dalla volontà nichilistica di evasione dalla realtà. L’elemento della
superficialità è profondo.

In queste originali valutazioni morali N individua due tipi:

. L’aristocratico, il ben nato, il nobile di spirito, l’agathos: coraggiosi, agiscono istintivamente,


irriflessivamente, superficialmente, non serbano rancore, non conservano memoria del male subito
. Il prete asceta, l’individuo ostile alla vita: serba rancore, si preoccupa solo della sua angusta utilità,
cova vendetta, caratterizzato da cattiva coscienza, cioè dalla colpa.

Il mondo greco presocratico è separato da quello cristiano e moderno. Nel mondo greco presocratico quando
un individuo compie un’azione scellerata i greci danno la colpa ad un Dio, così facendo si liberano dalla colpa.
N. dice che i greci si sono tenuti a distanza dalla cattiva coscienza. Il cristianesimo invece è tutto un continuo
ricorrere alla colpa, al debito verso Dio. Il Dio del monoteismo cristiano è un creditore, mentre gli dèi omerici
consentivano all’individuo di allontanare da se la colpa. Mancando il risentimento, l’aristocrazia greca è
estranea dal sentimento di denigrare l’avversario. Non c’è odio, vendetta, l’immagine dell’avversario non
dev’essere deformata mediante calunnia, l’antagonismo non si risolve mai nel disprezzo, il nemico non viene
considerato spregevole. L’individuo del risentimento invece calunnia, diffama, disprezza, si inebria dei suoi
sentimenti di odio.

Tutti gli estremismi dell’odio, della diffidenza, delle passioni tristi della sete, sono l’opposto delle
caratteristiche dello spirito libero che è un individuo nobile, cavalleresco che è sobrio, controllato, avverso
all’hubris (superamento dell’equilibrio, della misura).

Paragrafo 4

Troviamo una critica alla democrazia. N. aveva in mente in particolare il socialismo. Il problema di N. era
l’idea che l’uguaglianza socialista potesse eliminare il pathos della distanza e quindi introdurre un livellamento.
N. ha in mente un’idea negativa di democrazia come livellamento, che rende gli individui gregge. È questa
una concezione molto svantaggiosa e ingiusta nei confronti del concetto di democrazia. Quando N. critica la
democrazia ha in mente una degenerazione della democrazia in una condizione di uguaglianza verso il basso,
di gregarietà. Anche Freud è apparentemente un critico della democrazia, ma anche lui ha in mente lo stesso
concetto di democrazia, non contemplando la possibilità che la democrazia possa avere al suo interno una
gerarchia.
Paragrafo razzista. C’è un discorso che risente di alcuni elementi razzisti del positivismo dell’epoca compresa
l’idea che socialisti e democratici fossero l’eredita di un animo primitivo di persone inferiori. Idea che Le Bonn
pure sosteneva. Bisogna contestualizzare l’epoca in cui N è vissuto nel leggere questi passi.

Paragrafo 6

Troviamo l’idea che questi contrarsi tra buono e cattivo presi nel loro senso originario greco e omerico
caratteristici dell’aristocrazia, vennero estremizzati e infine corrotti dalla casta sacerdotale. Qui N. inizia a
lavorare su questa prima trasvalutazione dei valori, l’impegno di N sarà quella di una seconda trasvalutazione.
N. dà una motivazione quasi fisiologica di questa prima trasvalutazione. Da un popolo la cui religione ama la
vita, si giunge ad una religione che è ostile alla vita per mano della casta sacerdotale.

12.04.2023

Prima dissertazione:

Opposizione grecità (periodo presocratico) - modernità (dopo Socrate che offre una spiegazione della realtà
raccolta nei confini sicuri della ragione che N. rifiuta e che funge da siluette del razionalismo borghese, cioè
dell’idea che la realtà possa essere raccolta in un concetto e che tutti gli elementi residuali vengono omessi,
fuga dalla realtà attraverso la creazione di un mondo dell’al di là).

Religione della vita e religione ostile alla vita. la prima è una religione che divinizza l’esistente, sia esso buono
o cattivo. I greci erano capaci di apprezzare ogni impurità, per questo la religione omerica non conosce una
teodicea (domanda sull’origine del male). N. nella prima dissertazione espone una prima tesi polemica che
riguarda l’origine delle prime valutazioni morali e il suo obiettivo polemico è in primis Spencer, e più in
generale gli psicologi inglesi, gli utilitaristi perché:

. Sono dei finalisti, ovvero non praticano il metodo genealogico della storia effettiva, non vanno a
vedere ciò che effettivamente è accaduto,
. Intendono le prime valutazioni morali come basate sull’utilità. La morale sarebbe legata all’utile

La tesi di N. è che le valutazioni morali originarie non risultano da considerazioni utilitarie o dal più generale
interesse sociale. La loro origine va ricercata nel processo attraverso cui certi ceti hanno glorificato e
divinizzato la propria identità e un certo stile di vita. la prima fonte di N. è il ricorso che N. fa alla lingua greca
che serve per accertare se in quelle parole e quelle radici che hanno il significato di buono traduca ancora la
sfumatura principale per cui i nobili si sono sentiti di rango superiore. La fonte di quest’analisi linguistica di
N. è l’opera di Leopold Schmidt “L’etica degli antichi greci”. N. guarda a Schmidt per analizzare come si
trasformano le concezioni morali nel mondo greco e i mutamenti semantici rintracciabili nella lingua greca.
La scaturigine linguistica di questi giudizi morali N. la individua in Omero e Teognide per cui buono è un
apprezzamento assoluto di valore e buono e cattivo significano solo aristocratico e volgare. Buono è un
aggettivo che originariamente significa nobiltà spirituale e cattivo non ha un significato di biasimo morale. La
trasformazione del concetto di cattivo in quella di malvagio coincide con l’interiorizzazione dell’uomo, con
un passaggio successivo.

L’analisi della lingua greca distrugge l’ipotesi di Spencer secondo cui la morale viene dall’utilità perché il
giudizio morale nasce piuttosto secondo N. dal disprezzo per i pavidi, dalla sera dei rapporti agonistici.
Nell’epoca omerica il coraggio era la più importante delle virtù (buono=coraggioso, cattivo= pavido).

Solo alla fine di questo processo evolutivo il concetto di buono (inteso come Cristos) arriva a significare utile
per la società. In origine significa ben nato, coraggioso.
La prima dissertazione mette al centro dell’analisi l’opposizione tra morali aristocratiche e condotte segnate
dal risentimento. “Risentimento” è un modo altro per dire interiorità, segregazione nell’interiorità del proprio
io, incapacità di dimenticare, inazione, inerzia, contemplazione. Questa parola sarà centrale in quest’opera.
Questo concetto di risentimento, che è una reazione dovuta alla debolezza, cioè all’incapacità di plasmare la
propria vita superando le resistenze della realtà. L’individuo si rinchiude in se stesso incapace di reagire alla
realtà, si aliena e tuttavia questo risentimento è un modo di esercitare potenza. N. sosterrà che in questo
risentimento il debole riuscirà a esercitare una propria forma di potenza e di governo della realtà. Il problema
è che questa forma di potenza reattiva, che viene dall’impotenza che si trasforma in una potenza reattiva,
impoverisce l’essere umano. Questa potenza reattiva diminuisce la vitalità dell’uomo, è un’ambizione
nichilistica quella dei deboli. I deboli sono capaci di inaugurare un regno del risentimento che tuttavia è
colpevole di devitalizzare l’essere umano.

1. L’etica omerica: originaria valutazione morale


2. Trasvalutazione compiuta dai deboli, dalla casta sacerdotale
3. Seconda trasvalutazione che riporti l’essere umano in contatto con la propria umanità, perché la prima
trasvalutazione è una devitalizzazione dell’essere umano. Il super uomo è la capacità dell’essere
umano di sopportare la sua stessa umanità. L’essere umani è un compito al quale tentiamo di volerci
sempre sottrarre. L’essere umani è un compito difficile ed è semplice indulgere alla debolezza.

N. si scaglia contro l’idea della gravità e dell’interiorità e assegna al concetto di buono il senso di ingenuo e
superficiale e al concetto di ignobile l’idea di colui che si corrode e si dilania.

Senso storico: non bisogna rimanere inchiodati al passato altrimenti rimaniamo poveri di futuro. Questa
capacità di dimenticare diventa una qualità morale del nobile, perché ciò significa non tormentarsi nel ricordo
delle offese subite. Il nobile disprezza coloro che lasciano spazio al rancore e ricordano il male subito covando
vendetta.

Rapporto buono- cattivo ≠ Rapporto buono- malvagio. Il malvagio è quella degenerazione del cattivo per via
del risentimento che verrà condotto dalla casta sacerdotale, colpevole secondo N. di questa prima
trasvalutazione dei valori originari. Tra buono e cattivo secondo N. non c’è una separazione invalicabile,
separazione che invece sembra sussistere tra il buono e il malvagio. Infondo il cattivo è una figura dell’alterità,
è la figura di ciò che noi non riusciamo a raccogliere nel concetto, è un rappresentante del residuo. Nell’idea
greca il cattivo non è mai oggetto di diffamazione, di demoralizzazione. Il nemico non viene considerato
spregevole, come nel caso del malvagio. L’immagine dell’avversario non viene deformata.

Individuo del risentimento, responsabile della degenerazione del concetto di cattivo nel concetto di malvagio
separando così nettamente questi due concetti tra loro. Quest’individuo si sta sottraendo così alla difficoltà del
rapporto con l’altro di cui il cattivo è l’emblema. Il cattivo è ciò che ci resiste, ciò che non rientra nelle nostre
aspettative, è ciò che non riusciamo a prevedere, ciò che non ci fa quadrare i calcoli, ci mette in una posizione
di insicuritas. Questa profilazione così netta delle due figure è l’altra faccia della netta opposizione tra al di
qua e al di là. Un al di là in cui non esiste il male, l’altro, il nemico. È da questa ambizione risentita alla purezza
e alla purificazione dal residuo che nasce il mondo del risentimento e la duplicazione del mondo terrestre in
un mondo ultraterreno purificato, ideale, perfetto. L’individuo del risentimento ha questa sensibilità
ipertrofica, si inebria dei suoi sentimenti astiosi. L’individuo omerico è sobrio, moderato, avverso alla hybris,
“i più forti sono i più moderati” ovvero coloro che non hanno bisogno di articoli di fede estremi.

Paragrafo 7

Antitesi tra la maniera aristocratico- cavalleresca di valutazione dei valori e quella della casta sacerdotale

I sacerdoti sono l’alter ego del metafisico, essi sono i fautori di questa trasvalutazione. I sacerdoti valorizzano
la colpa e l’espiazione perché nel momento in cui abbiamo bisogno di giustificare il male, cioè dargli un senso,
questo è il momento in cui viene fuori l’idea che dobbiamo espiare il male. Il male ha un senso perché
attraverso la sua espiazione noi guadagniamo un ponte verso il bene nell’al di là. Per i greci il male non ha
bisogno di essere giustificato, successivamente il quadro cambia. Accade che il punto a partire dal quale il
male dev’essere giustificato è un punto di partenza ideale. Se noi partiamo da un ideale di purezza, il male
diventa oggetto di domanda: perché il male? Che significato ha il male? Per n. è problematico questo punto di
partenza ideale, eleggere una situazione purificata come il nostro ideale. La tristezza diventa un piacere perché
è il piacere dell’espiazione della colpa che ci fa guadagnare l’al di là. Ecco il piacere dell’interiorizzazione
degli istinti, il piacere del masochismo morale caratteristico del cristianesimo. L’essere umano colpevole deve
espiare la propria colpa per guadagnare il suo ponte verso il bene. Il bene come fare male al male. Gli istinti
non devono essere rivolti verso sé stessi (masochismo), ma è anche vero che per N. no dobbiamo neanche dare
libera espressione agli istinti. La critica che n fa alla repressione degli istinti non significa semplicemente
liberazione degli istinti. Gli istinti sono problematici perché la volontà, il desiderio, gli istinti siano espressione
di una mancanza, di qualcosa che non abbiamo, quindi di una dipendenza. Il punto nietzschiano è quello di
costruire un mondo ideale in cui non soffriamo la dipendenza nel quale saremmo indipendenti. La fuga dalla
realtà è un modo in cui l’essere umano non accetta la dipendenza. I sacerdoti sono i nemici più malvagi perché
sono i più impotenti, hanno reso il nemico da cattivo a malvagio, lo hanno malvagizzato introducendo
un’invalicabilità tra cattivo e malvagio.

N. descrive il cristianesimo come una forma di regressione civile, non ha costituito un progresso della civiltà.
Questi contrasti però hanno reso l’uomo interessante. Il contrasto tra peccato e salvezza, al di qua e al di là, in
tutte queste estremità che il cristianesimo ha introdotto hanno reso l’uomo una creatura interessante, non senza
rischi. Il nichilismo mantiene in vita l’essere umano devitalizzandolo. Queste estremità hanno salvato l’essere
umano dal suicidio anche se lo hanno reso instabile e oscillante. Il cristianesimo salva l’individuo debole dal
suicidio seppur devitalizzandolo. Freud dirà che la nevrosi ci salva da un conflitto molto più grave. Per F. la
religione ci ha offerto una nevrosi collettiva. Il problema di questa definizione è che la nevrosi ha un effetto
asocializzante. È la stessa cosa che dice N. quando dice che la debolezza ci rinchiude in noi stessi,
nell’interiorità rendendoci incapaci di azione, però questa devitalizzazione diventa una potenza, la potenza del
risentimento. Freud dice che la nevrosi ha un effetto di asocializzazione, il nevrotico non sopporta la realtà e
si rinchiude in se stesso. La religione è una nevrosi collettiva, la sua astuzia sta nel creare una comunità di
asociali. Così come il prete produce potenza reattivamente. Per entrambi questi autori il cristianesimo ha reso
l’essere umano interessante, nel senso che lo ha riportato alla vita costruendo però un mondo dimezzato. La
nevrosi coì come l’impotenza del prete, rappresentano un veleno e l’antidoto allo stesso tempo. La nevrosi è
una malattia che salva dalla morte. Il cristianesimo salva l’individuo dalla non volontà facendogli piuttosto
volere il nulla di questo mondo per l’al di là. In questa esistenza che nega l’al di qua l’ha mantenuto vivo
devitalizzandolo. È questo che Freud chiamava il tornaconto secondario della malattia. È difficile guarire dalla
nevrosi, è difficile plasmare la nostra esistenza uscendo dal gregge, perché la nevrosi e il gregge hanno un forte
potere di attrazione che sta nella facilità. Risentimento è più facile del coraggio.

Paragrafo otto

Ebrei creatori di ideali. N. mette sullo stesso piano cristianesimo ed ebraismo.

Paragrafo dieci

Il risentimento è creatore per reazione.

14.04.2023

Paragrafo 10
N. dice che il risentito ha bisogno di un esterno a cui dire no, questa è una dimostrazione di passività. Lo
schiavo della morale è sempre agito, per questo i suoi valori sono il risultato di una reazione. Carattere passivo
e reattivo della morale degli schiavi. La morale del risentimento interpreta la realtà come qualcosa di cui non
gioire ma da cui fuggire, a questa fuga corrisponde la costruzione di un ideale che grida vendetta contro la
realtà. La seconda idea è il fatto che il dolore deve essere giustificato. Questa debolezza dell’essere umano è
intesa da N come un’ipersensibilità al dolore, siamo diventati molto più sensibili al dolore, tanto da
considerarlo assurdo e non più come una parte della nostra stessa umanità. Quando cerchiamo una
giustificazione al dolore, diamo al dolore un titolo di estraneità, perché non lo sopportiamo più, tal per cui
dobbiamo giustificarlo, ci sentiamo in dovere di verificare il suo diritto all’esistenza. Nel momento in cui
chiediamo ragione di qualcosa, partiamo da un quadro ideale. Abbiamo bisogno di interpretare il dolore come
qualcosa di sensato, lo interpretiamo come qualcosa da espiare per creare un ponte verso l’indipendenza,
indipendenza da quegli istinti che l’essere umano ritiene malvagi proprio perchè sono costruiti su una
privazione. La costituzione della soggettività è desiderante, gli istinti sono costruiti su una privazione. Questi
istinti devono essere espiati per diventare indipendenti da essi. Ideologia del cristianesimo come repressione
degli istinti e del corpo. Gli istinti, il corpo, il mondo nella sua dimensione di contingenza e incalcolabilità, la
corruttibilità, l’ideale è l’immagine rovesciata di tutto ciò. L’espiazione di questo elemento malvagio e di
questo dolore è ciò che ci conduce al regno della purezza e quindi da un senso a questo dolore.

Opposizione tra nemico cattivo e nemico malvagio: degenerazione che la morale degli schiavi fa fare al
concetto di cattivo in malvagio

nemico cattivo inteso per lo spirito libero come qualcosa di accettato

nemico malvagio inteso dallo spirito vincolato come ciò a cui dire no, è il dolore di cui lo spirito vincolato
vuole vendicarsi.

Paragrafo 11

Connessione con la civiltà. Idea che queta repressione degli istinti operata dal cristianesimo può sembrare uno
strumento della civiltà. Questa repressione degli istinti operata da questa morale degli schiavi è uno strumento
di retrocessione della civiltà, non è uno strumento di progresso. Anche Freud dirà che la religione in realtà ci
ha fatto indietreggiare. Ci ha consentito fino ad un certo punto di contenere l’aggressività, ma questo
contenimento si è rivelato molto più pericoloso della sua respressione. Che immagine ci facciamo del ricevere
e dell’arrecare dolore? Che ruolo occupa l’aggressività nell’immagine dell’essere umano? Quanto può essere
crudele la lotta contro la crudeltà?

Paragrafo 14 Riferimento a Dostoevskij

Pagina 37: bestia del sottosuolo

N. si riferisce alle Memorie del sottosuolo l’anima che guarda di piego, (paragrafo 10), il non dimenticare…
tutta questa parte si trova in modo quasi letterale nel volumetto di Dostoevskij. Protagonista del romanzo di
D. è un individuo caratterizzato da un’ipertrofia della coscienza, ovvero da un’incapacità di dimenticare. In D.
vi è inoltre l’idea del carattere smisurato dell’individuo del risentimento. Questo funzionario in pensione
(protagonista di Memorie del sottosuolo) cova vendetta e il suo desiderio di vendetta e di compensazione
dell’offesa subita è un desiderio esasperato. È questo il tema della seconda dissertazione di N: il concetto di
colpa come nato dai rapporti contrattuali di debito e credito. Quest’idea della vendetta come qualcosa di
smisurato da cui si ricava un’intima soddisfazione c’è anche in questo passaggio di D. individuo che cova una
vendetta smisurata nei confronti del proprio offensore, non accontentandosi di una compensazione del danno
subito. L’idealizzazione è una forma di estremizzazione di un particolare.
Paragrafi 15-16-17

Parte su Dante

Idea della democrazia come livellatrice di personalità. Il risentimento si esprime nel primato del maggior
numero, di fronte alla volontà di livellamento dell’uomo e contro questa parla del primato dei pochi. Infondo
questa opposizione tra democrazia e oligarchia è una opposizione tra passività e attività.

Seconda dissertazione

È complessa, composta in modo cervellotico.

Queste due dissertazioni sono molto collegate tra loro. Qui N. si occupa di dare una spiegazione dell’origine
dei concetti morali di colpa e dovere. La parola tedesca scult (colpa) significa anche debito. Si trova sul terreno
dei diritti economici. Dove nasce il concetto di colpa? Non nasce come il concetto di colpa cristiano ma la sua
origine va ricercata sul terreno del diritto delle obbligazioni, nel rapporto tra debitore e creditore per poi
diventare il concetto di colpa in senso cristiano. Vuole misurare la distorsione del concetto originale. Individua
la matrice originale e poi ci fa vedere come questo concetto si distorce nel tempo.

Inizialmente la figura del delinquente è quella del debitore, colui al quale viene fatto credito e non adempie al
suo obbligo di rifondere il debito. Delinquente =Debitore inadempiente. Questo è il concetto originario. Il
colpevole è colui che non adempie alla restituzione del debito e così danneggia il creditore. La pena consisterà
da parte del creditore nel trovare soddisfazione per questo credito inadempiuto. Questa è la tesi principale: il
concetto di colpa nasce come un rapporto tra creditore e debitore. Il delinquente è colui che non restituisce il
debito danneggiando il creditore, il quale, mediante la pena, ricava soddisfazione al danno subito. Le credenze
religiose finiscono per ampliare a dismisura questo concetto. Da questa forma fondamentale della colpa come
debito nata all’interno del diritto delle obbligazioni, la religione ricava un concetto di colpa la cui caratteristica
è quella di deformare questa equivalenza. La colpa era considerata come il turbamento di un’equivalenza che
doveva essere ristabilita, la pena ristabilisce l’equivalenza. L’idea di N. è che quest’originaria descrizione della
colpa come debito, descrizione quantitativa, viene caricata di un’esasperazione che la deforma e questa
deformazione è caratteristica del pensiero religioso. Dalla distorsione di questo rapporto deriverà un rapporto
con il passato che viene divinizzato e che ci inchioda nei termini di un debito inestinguibile. Ritorno qui
l’elemento della necessità di dimenticare per non rimanere inchiodati al passato. Questa lettura della colpa
come il peso di un debito inestinguibile che descrive il nostro rapporto con i progenitori divinizzati è molto
importante perchè è l’idea per cui secondo N. la creatura contrae un debito di perfezione (colpa) con Dio. Il
Dio è il massimo del senso del debito. Qui c’è il senso dell’espiazione della colpa e dell’espiazione del debito
che abbiamo nei confronti di Dio come quel passato nei confronti del quale noi abbiamo contratto un debito.

1. Concetto di colpa nasce come debito all’interno del diritto delle obbligazioni
2. Questa concezione oggettiva e quantitativa del debito come turbamento di un equilibrio, che deve
essere ricompensato senza un plus valore affettivo che è quello del covare vendetta, viene deformato
dalla religione che interpreta così il rapporto con il passato e con gli antenati divinizzati e in particolare
con Dio. L’uomo deve espiare l’imperfezione e quindi la colpa che lo caratterizza.

I primi paragrafi riprendono temi già discussi

Elogio del dimenticare. Dimenticare come una forma di salute. Antitesi tra dimenticare e promettere. La critica
della promessa la svuota del suo vecchio significato e la riempie di un nuovo significato. Che cosa significa
promettere per lo spirito vincolato e cosa significa per lo spirito libero. Alla responsabilità e alla promessa N.
associa le caratteristiche della calcolabilità, della necessità, torna la polemica contro la calcolabilità e la messa
in sicurezza dell’essere umano dall’incalcolabile.
Caratteristica dell’eticità dei costumi, non è altro che la morale del gregge che oppone l’autonomia dello spirito
libero alla camicia di forza dell’eticità per lo spirito vincolato.

Opposizione autonomia ed eticità

Individuo uguale a se stesso e individuo uguale tra gli uguali

Fa una differenza tra la capacità di promettere dell’individuo gregario (adempimento di un comando di


calcolabilità) e quella dell’individuo sovrano.

1 e 2 paragrafo

… tra coloro che promettono senza averne la facoltà e spirito libero che ha cognizione del privilegio della
responsabilità. Questa responsabilità dello spirito libero viene interpretata come coscienza e questa è una rara
libertà. N. distingua tra buona coscienza e cattiva coscienza. La coscienza dello spirito libero è una buona
coscienza, una rara libertà, una consapevolezza che è divenuta istinto. Mentre la cattiva coscienza è il risultato
di una repressione degli istinti o di una loro sublimazione, di un’idealizzazione. La critica di N. al cristianesimo
è di disincarnarlo e di renderlo astratto. Il cristianesimo come una religione astratta rispetto a quella omerica.
La cattiva coscienza è la colpa dello spirito vincolato.

Paragrafo 3

Riprende l’idea della mnemotecnica. La cattiva coscienza è mnesikakein, ricorda tutto, non riesce a scrollarsi
la rabbia dell’offesa subita, cova vendetta. Il concetto di colpa viene collegato a questa forma esasperata di
interiorità, di coscienza. N. si riferisce a tutti quegli studiosi che in quel periodo stavano studiando tutti quei
fenomeni di fissazione della memoria. Coloro che ossificano le proprie opinioni in convinzioni fino a farle
diventare fede. Il fenomeno della cattiva coscienza può essere collegato a questa mnemotecnica e a queste
fissazioni. Tutta la retorica di N sul restituire all’essere umano l’innocenza, la gaiezza, bisogna ritornare
fanciulli e innocenti, quest’idea di innocenza è la buona coscienza, cioè ritrovare la buona coscienza e perdere
quella cattiva perché nell’innocenza c’è questo elemento del perdere la cattiva coscienza, cioè la colpa.

Paragrafo 4

Qui troviamo due celebri tesi. Il tipo di esposizione di N. è contorta.

1. La prima tesi è quella secondo cui il concetto morale di colpa è una deformazione del concetto
materiale di debito che è la scaturigine originaria che N. rileva sul terrendo del diritto delle
obbligazioni.
2. La seconda tesi è che il concetto di pena, in questa sua matrice originaria era l’idea di dover ristabilire
un equilibrio perduto ed era indipendente dall’idea che il colpevole fosse meritevole di pena perché
avrebbe potuto agire altrimenti. Questo è il concetto successivo di responsabilità. Un conto è la pena
come una misura che serve per ristabilire un equilibrio turbato, ricompensare quantitativamente
un’equivalenza perduta, un conto invece è l’idea che il colpevole sia meritevole di pena perché poteva
agire altrimenti. Nel primo caso l’aggressività è considerata come un elemento naturale dell’essere
umano che deve tornare ad essere messo in equilibrio, il danno inferto dal debitore al creditore è
qualcosa che semplicemente dev’essere messo in equilibrio per mezzo della pena, non c’è rabbia e
vendetta perché il danno inflitto e subito sono fenomeni innocenti che fanno parte del divenire e
dell’agire dell’essere umano. Nel secondo caso invece c’è l’idea sottesa che l’immagine ideale
dell’essere umano è scevra di aggressività e di capacità di infliggere danni quindi se compi atti maligni
ti stai disumanizzando, ti stai allontanando da quell’immagine ideale di essere umano. È come se
venisse detto che sei colpevole perché potevi non fare ciò che hai fatto, potevi corrispondere
all’immagine ideale di essere umano. Nel primo caso l’aggressività non è considerata qualcosa che
dev’essere espunta dal nostro corredo di essere umani. Nel secondo caso la colpa diventa qualcosa di
negativamente moralizzato, il male che ho compiuto mi disumanizza. Questo concetto di
responsabilità è tardivo perchè inizialmente l’essere umano che infligge un danno non è colpevolizzato
moralisticamente ma si tratta di un fenomeno naturale che va messo in equilibrio perché non c’è una
colpevolizzazione morale dell’aggressore. In un caso accettiamo il dolore, nell’altro caso misuriamo
e colpevolizziamo il dolore su un’immagine ideale dell’essere umano perfettamente buono. Qui N. si
occupa di capire come questo concetto di colpa economico diventa una moralizzazione della colpa che
si chiama responsabilità.

Paragrafo 5, pagina 53

N. sta dicendo che se il debitore è inadempiente, il creditore può infliggere ignominia e tortura sul corpo del
debitore, può esercitare un diritto di crudeltà sul corpo del debitore. Si interroga su come sia avvenuto che un
debito possa essere ricompensato da una sofferenza (soddisfazione intima), da una pena. Due linee di discorso:
la prima è che N. sta attirando la nostra attenzione sull’importanza che la crudeltà ha per l’essere umano, il
creditore insoddisfatto esercita crudeltà sul debitore, da questo ricava una soddisfazione intima e l’equivalenza
è ristabilita. Come accade che il debito possa essere ricavato dalla soddisfazione intima del creditore che
infligge una pena al debitore? N. sta facendo un’analisi storico genealogica. È strano che io mi soddisfo del
mio credito che non mi è stato restituito infliggendo sofferenza dice N. Ciò accade perché l’aggressività è un
aspetto fondamentale dell’essere umano, è un contro-godimento. Far soffrire arrecava soddisfazione in sommo
grado. L’aggressività svolge un ruolo importante. N. sta facendo questo elogio della crudeltà perché la pretesa
del cristianesimo e della modernità di eliminare il dolore, ingaggia una guerra contro il dolore che, secondo
N., è una terapia molto più pericolosa del dolore stesso. L’idea di N. è che ad un certo punto l’esercizio di
questa crudeltà che ricompensava il creditore al quale il debito non era stato adempiuto, questa crudeltà
cominciò a prevedere un plus valore di afflizione cioè una colpevolizzazione che sorpassava il rapporto
economico di compensazione e che era in più. L’idea è che ad un certo punto questa compensazione fosse
diventata vendetta e avesse acquisito una grandezza fuori misura. Questo si ricollega al fatto che l’uomo del
risentimento cova vendetta. Non si tratta più solo di ristabilire un equilibrio turbato, ma diventa la
colpevolizzazione del debitore, il colpevole non è solo neutralmente penalizzato ma è colpevolizzato. Deve
provare un’afflizione intima, non c’è più solo la soddisfazione intima del creditore ma c’è il plus valore di
un’afflizione intima che il colpevole deve provare. La pena non è più solo un messaggio al debitore che
dev’essere più accorto ma diventa un puntare il dito sulla sua cattiveria morale e quindi diventa la necessità di
far provare al debitore un’afflizione intima. Questo è il carattere smisurato che questa matrice economica di
colpa viene ad assumere con la modernità.

Questa matrice originaria per i nobili è solo l’esigenza di ristabilire la distanza

Due forme di crudeltà per lo spirito libero e per lo spirito vincolato

Il diritto alla crudeltà dello spirito libero è misurato, è quello che serve al ristabilimento dell’equilibrio. Quello
dello spirito vincolato richiede un plus valore di un’afflizione intima al debitore.

Idea che mentre lo spirito libero mantiene le proporzioni oggettive tra pena e colpa e qui c’è il senso della
misura dello spirito libero che si mantiene per questo imparziale, lo spirito vincolato si fa invece irrorare gli
occhi di sangue. Giudizio scientifico imparziale ed economico e giudizio…

19.04.2023

N. eredita da Schopenhauer l’idea che l’individuo sia una volontà desiderante, fa parte della natura dell’uomo
questa tendenza desiderativa che lo spinge a ricercare l’oggetto del soddisfacimento. Il desiderio si soddisfa
su un oggetto, tuttavia gli oggetti sono corruttibili e possono essere perduti. Questa dinamica del
soddisfacimento dei bisogni ha al suo interno il dolore, anche perché l’istinto non si soddisfa mai una volta per
tutte, dopo aver soddisfatto un desiderio questa soddisfazione non è mai eterna. L’ipersensibilità al dolore è
l’ambizione illusoria di trarsi fuori da questa vita corruttibile e di dolore per ambire ad una vita priva di questa
dipendenza. N attribuisce al cristianesimo una certa gestione di questa ambizione alla negazione della vita, è
come se il cristianesimo fosse capace di prendere questa tendenza dell’umano ad odiare l’umanità e riesce a
farne una forma di vita. I greci avevano la forza di non cedere a questa negazione. N. si rappresenta la natura
umana come sempre tentata dal desiderio di rifiutare la vita stessa. Vedi nei greci un popolo capace di non
farsi sedurre da questa tentazione mentre nel cristianesimo vede un popolo che si fa sedurre da questa
tentazione ma nello stesso tempo riesce a dare una forma a questa tentazione per non renderla mortale. Non è
un processo di degenerazione progressiva perché N. vede dei momenti di rinascita come il Rinascimento.
Questa ambizione alla purezza e alla liberazione dagli istinti e dai desideri, il sogno di liberarsi dal dolore della
dipendenza, definisce la natura umana come tale secondo N., poi ci sono popoli che hanno resistito più
audacemente e altri di meno.

Torniamo alla seconda dissertazione

Paragrafo 7

Vergogna dinnanzi ai propri istinti. In questo cammino “verso l’angelo”, cioè in questo cammino di liberazione
dagli istinti l’essere umano ha devitalizzato se stesso, il motivo è questa aumentata sensibilità al dolore, cioè
alla realtà, all’altro. N. ha fatto un’analisi del concetto di colpa e di pena. Questo ripristino di un’equivalenza
oggettiva, di una misura, si è venuta deformando proprio a causa della trasvalutazione dei valori, alla rivolta
degli schiavi, per cui succede che il debitore inadempiente diventa l’oggetto non solo di una sofferenza che dia
soddisfazione al creditore e che quindi lo ricompensi del debito inadempiuto, ma N. dice che la pena diventa
inflizione di un’intima sofferenza al debitore. Questo plus valore di sofferenza per N. segna il passaggio dal
debito nella sua accezione originaria tratta dal diritto delle obbligazioni alla colpevolizzazione del debitore. Il
debitore diventa un colpevole morale nella misura in cui non deve solo ripagare e rimettere in equilibrio ciò
che era stato turbato, ma al debitore viene inflitta una sofferenza intima. N. distingue il diritto di crudeltà dello
spirito libero, che mirava a scambiare il debito inadempito con una sofferenza, questa azione era però intesa
in modo imparziale, mirando solo al riequilibrio. Dall’altra parte invece c’è un debitore che è colpevole e
quindi meritevole di provare un’intima afflizione per ciò che ha compiuto. In questo cambiamento si introduce
l’idea di responsabilità, l’idea che il debitore è stato cattivo perché poteva agire altrimenti. Questo ci dice
qualcosa sulla concezione del dolore. Nel primo caso il dolore inflitto al creditore mediante il debito
inadempiuto e il dolore che infligge il creditore al debitore per riequilibrare la situazione è concepito come
qualcosa di naturale. Nel secondo caso invece il debitore viene colpevolizzato perchè ha agito come non
avrebbe dovuto, laddove il dovere è quello dell’assenza di dolore.

La responsabilità consiste nel fatto che il debitore poteva agire altrimenti, non arrecando dolore, ciò lo rende
meritevole di un surplus di sofferenza. Massima estraneità che la morale trasvalutata ha dato al dolore, si
esprime in questo concetto di responsabilità che è fondato su l’idea di una persona che agisce sempre senza
provocare dolore. Idea di una situazione pura di partenza che fa da fondamento della colpevolizzazione. Il
diritto di crudeltà dell’aristocratico è imparziale, scientifico, oggettivo, che restituisce all’azione una reazione
commisurata. Il diritto di crudeltà della morale trasvalutata eccede questa equivalenza tra azione e reazione e
diventa covare vendetta e quindi provocare un’intima afflizione. Per questo N. dice che il diritto di crudeltà
dello schiavo è quello di chi si fa irrorare gli occhi di sangue, perde la neutralità.

Paragrafo 14
Qui N. si esprime contro l’idea che la pena debba generare un senso di colpa per ciò che è stato compiuto
perché potevamo agire altrimenti. Il senso di colpa è il rimorso per ciò che abbiamo compiuto alla luce dell’idea
che potevamo agire altrimenti. La logica dei preti vuole ingenerare cattiva coscienza, rimorso per l’azione
compiuta.

Pagina 71

N propone una distinzione tra il ‘colpevole’ nel senso della morale trasvalutata, e il ‘colpevole/debitore’ nel
senso della morale aristocratica. Il debito nella morale aristocratica diventa la colpa nella morale degli schiavi.
La morale aristocratica non ha a che fare con la colpevolizzazione. Naturalizzazione della colpa: N. vuole
togliere alla colpa l’elemento moralizzato, vuole ridare alla colpa la natura di innocenza, cioè della non
colpevolezza. Questo riportare il rapporto tra debito e credito alla dinamica che presiede ai danni naturali
significa togliergli tutto questo surplus di intima afflizione che invece caratterizza il senso di colpa nella morale
degli schiavi. Qui emerge l’idea che il dolore sia una parte integrante dell’esistenza e del divenire. N sta
cercando di eliminare questo modello ideale di responsabilità che colpevolizza il danno, N. vuole
demoralizzare la colpa per farla tornare ad essere un frammento di fatalità, per tornare a considerare il dolore
non come qualcosa da cui dobbiamo sbarazzarci e di cui dobbiamo essere profondamente afflitti quando lo
provochiamo, ma come qualcosa che è parte dell’esistenza. Qui N. si rivolge a Spinoza. Se da una parte N.
critica Spinoza perché per S. l’obiettivo dell’essere vivente è l’autoconservazione mentre per N. è la volontà
di potenza, non solo la mera conservazione. In questo momento però considera S. dalla sua stessa parte perché
ha ricondotto il mondo morale della teologia alla sua innocenza, ha tolto tutta quella contrizione teologica alla
morale.

Paragrafo 15

Pg72-73

Per il debitore inadempiente la pena è un insegnamento a muoversi in modo più accorto, a esercitare meglio la
propria potenza. Pg73 L’effetto della pena è quello di indurci a rettificare il nostro giudizio su noi stessi, di
renderci più accorti nell’uso della nostra potenza, cioè più cauti, capaci di farci dominare i nostri desideri. La
pena ammansisce l’uomo ma non lo rende migliore. Il cristianesimo ha addomesticato gli esseri umani con la
logica del diventare migliori, cioè buoni moralmente, meritevoli di pena in quanto cattivi moralmente. Invece
dice N. la pena nel senso della morale aristocratica è qualcosa che non ci rende migliori perché ci insegna che
potevamo agire diversamente ma perché ci induce a regolare meglio la nostra potenza. Non è un
ammansimento mediante colpevolizzazione ma è un ammansimento che deriva dal fatto che impariamo a
gestire meglio la nostra potenza, a plasmare meglio i nostri istinti. Mentre il cristianesimo lavora ad una
repressione degli istinti mediante il rimprovero di cattiveria morale, la morale aristocratica lavora sulla
plasmazione degli istinti. L’individuo aristocratico è l’individuo moderato, capace di plasmare la propria
potenza e i propri istinti. Dunque, se da una parte N. critica la repressione degli istinti di cui è colpevole il
cristianesimo, dall’altra parte non propone neanche come sua soluzione una espressione incontrollata degli
istinti. N. ha in mente una spiritualizzazione degli istinti inteso come un lavoro di plasmazione sugli istinti che
dia loro una moderazione, una forma. L’espressione degli istinti come contrario della repressione è esattamente
quel tipo di contraddizione che il cristianesimo ha messo nell’uomo per renderlo interessante. Nella colpa non
c’è solo il rimorso per l’azione compiuta, non c’è solo il dolore che il colpevole rovescia su sé stesso ma c’è
anche l’atto colpevole, il peccato. Questa dinamica colpa-peccato è l’elemento malinconico che N. coglie nel
cristianesimo come mezzo che il cristianesimo ha usato per gestire quell’indebolimento della volontà. Ha reso
l’essere umano malato malinconicamente ma mediante questo contrasto l’ha tenuto in vita, ha fatto dell’essere
umano un individuo che oscilla tra gli estremi. Questo punto verrà poi ripreso da F. nell’avvenire dell’illusione
quando dice che al cristianesimo inerisce non solo la colpa ma soprattutto il peccato. La colpa ha bisogno del
peccato, della trasgressione. L’intima sofferenza in cui la colpa consiste ha bisogno del peccato.

Paragrafo 16

N. dice che gli istinti repressi cercano appagamenti sotterranei, ciò significa che la reattività della morale degli
schiavi è uno strumento di potenza cioè è il modo in cui il prete domina e ammansisce gli esseri umani, è una
strategia di dominio, un esercizio di potenza. Pagina 74 Tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno si
rivolgono all’interno: interiorizzazione dell’uomo. Questa interiorizzazione è il modo in cui N. chiama
l’interiorità che avevamo visto nella seconda inattuale. L’interiorizzazione è il rovesciamento verso l‘interno
degli istinti di crudeltà che non vengono esercitati verso l’esterno perché l’uomo si vergogna della sua
aggressività. È qui che nasce il piacere per il dolore, il masochismo morale. Il proposito di N. non è riportare
l’essere umano alla natura animale, non vuole scoprire dietro l’uomo civilizzato il vero uomo innocente in
quanto animale, il problema per N. è una certa civilizzazione dell’essere umano non la civilizzazione
dell’essere umano, non sta elogiano lo stato di natura contro lo stato civile corrotto. N. sta criticando un certo
tipo regressivo di civilizzazione (morale trasvalutata degli schiavi) e quello a cui aspira è un differente tipo di
civilizzazione che consiste in una spiritualizzazione degli istinti ovvero nella loro plasmazione e messa in
forma e in misura.

Paragrafo 19

Qui si approfondisce la nozione di cattiva coscienza intesa come colpa. La colpa è la coscienza di aver inferto
dolore ingiustamente, nel senso di una irresponsabilità. Il presupposto è che l’istinto di crudeltà, di aggressività,
che arreca dolore agli altri, sia ingiusto e che quindi il dolore come tale sia ingiusto. Dal punto di vista della
coscienza, dell’interiorizzazione, della morale degli schiavi, al dolore dev’essere dato un senso. Per N. questa
sensibilizzazione al dolore è una manifestazione del fatto che gli esseri umani assegnano un titolo di estrema
estraneità al dolore al punto da sentirsi in dovere di giustificare la sua esistenza. Il senso che viene dato al
dolore è quello per cui nel momento in cui ce lo infliggiamo, quando ritorciamo la crudeltà verso noi stessi,
facciamo male al male e quindi ci purifichiamo da esso e otteniamo il bene ovvero la purificazione dal male.
Sulla base di questa logica tutti gli affetti reattivi, di negazione della volontà e che tendono a mortificare il
desiderio, diventano prevalenti. È aggressivo, dunque, è colpevole e deve espirare la propria colpa torcendo il
proprio istinto su sé stesso, negando la sua volontà, mortificando il proprio desiderio. Questo significa colpa.
Bisogna fare male al male, alla nostra stessa malvagità, e questo significa ottenere la via verso l’indipendenza
dall’istinto.

. Lo spirito libero, la morale aristocratica, accetta la dipendenza, i propri istinti e la propria terrestrità,
la sua impurità. Quest’idea di accettazione non ha nulla di rinunciatario, non c’è nessuna sfumatura di
rassegnazione perché l’accettazione della dipendenza è un esercizio attivo di potenza. Pensare a
volontà di potenza come un’accettazione della dipendenza e quest’ultima come esercizio di
plasmazione degli istinti, come qualcosa di attivo.
. Lo spirito vincolato ambisce ad una liberazione e indipendenza dagli istinti, questo a causa della sua
estrema sensibilità al dolore che glielo rendono insopportabile.

Verso la fine di questo saggio (paragrafi dal 19 al 21) N. comincia ad individuare in dio il massimo del senso
di debito, la massima espressione di colpa perché dio è il modello di purezza perfetto, è il modello di chi agisce
sempre in modo giusto, modello in base al quale la moralità dello schiavo dice: potevo agire diversamente.

Pagina 79
N. pensa al rapporto con la storia che ci inchioda al passato in termini di debito verso i progenitori e poi di
debito verso Dio.

Paragrafo 21

Non bisogna pensare che l’Illuminismo abbia estinto questo senso di debito di tipo religioso. Per N. la morale
è una secolarizzazione della colpa biologica. Anche l’illuminismo che postula la morte di dio non per questo
non contiene al proprio interno una morale teologica secolarizzata, basata sulla stessa logica del debito.

Paragrafo 23

Non necessariamente la religione porta alla logica della colpa

Fuga dalla realtà e inabissarsi nella realtà. Tema del deserto, della solitudine dello spirito libero.

Terza dissertazione: Che significano gli ideali ascetici

Qui N. tira le somme delle precedenti dissertazioni.

L’ideale ascetico è l’atteggiamento del prete che vuole fuggire dalla realtà e dagli istinti verso l’ideale e la
liberazione dagli istinti. Nietzsche parla di ponti verso l’indipendenza, intendendo che il dolore dell’al di qua
può avere un senso solo come ponte verso l’indipendenza dal dolore stesso, il ponte verso l’indipendenza si
attraversa solo facendo male al male. Il riferimento qui è a Schopenhauer per cui l’essere umano è una
soggettività desiderante, una volontà fondata sulla privazione e quindi sul dolore, la cui principale caratteristica
è l’istinto. Però se da una parte per Schopenhauer l’ascetismo è una pratica positiva perché è una negazione
della volontà che ci libera dalla dipendenza, per N. l’ascetismo diventa il prototipo dell’odio per la vita. Nel
primo paragrafo N. constata il grande significato che l’ideale ascetico ha avuto per l’essere umano. L’ideale
ascetico mostra il fatto che l’essere umano vuole la negazione di sé, vuole la negazione del mondo. Ma perché
l’uomo vuole il nulla? Questo è l’interrogativo che questa terza dissertazione si propone di rispondere.

I primi capitoli della terza dissertazione sono dedicati ad un confronto con la figura di Wagner. W. viene
accusato di essere passato da un periodo in cui aveva di mira la suprema spiritualizzazione della sua arte
(esaltazione degli istinti) ad un periodo opposto in cui la sua musica si è impegnata a combattere gli istinti.
L’ultimo Wagner è accusato di una regressione schopenhaueriana, ascetica. N. critica il fatto che per S. la
musica era un telefono dell’al di là, S. aveva fatto del musicista un sacerdote, un portavoce del in sé, un
ventriloquo di Dio. Non c’è quindi da stupirsi che S. abbia finito per parlare di ideali ascetici.

Paragrafo 6

N. si concentra sul problema dell’arte e confronta due concezioni dell’arte, quella di Kant e quella di Stendhal.
Mentre da una parte la concezione dell’arte in Kant ha come principio di determinazione il disinteresse il
giudizio estetico sul bello è un giudizio disinteressato. Una cosa la definisco bella non in base all’interesse che
ho nei suoi confronti. Kant, dice N., pensa di rendere onore all’arte nel porre in primo piano come predicati
del bello quelli che costituiscono l’onore della conoscenza (impersonalità e validità universale). Dall’altra parte
c’è la concezione di S. che intende il bello come una promessa di felicità in cui è cancellata proprio la
caratteristica che K. Aveva messo al centro, il disinteresse. Quella di S. è una concezione basata sull’interesse.

21.04.2023

La terza dissertazione dice qualcosa di nuovo dell’arte. Fino a quel momento l’arte era stata accusata da N. di
significare una mediazione non richiesta (rappresentare per non rimanere impressi). L’arte era stata una forma
di giustificazione estetica dell’esistenza che qui N. rifiuta perché giustificare l’esistenza significa dare
all’esistenza un titolo di estraneità. L’arte viene rivalutata come strumento di sostegno al prospettivismo. Il
prospettivismo è l’esito della critica alla nozione metafisica di verità che diventa “prospettiva sulla realtà”.
Una volta che ci sbarazziamo del bisogno metafisico e resistiamo alla seduzione della metafisica che porta a
vergognarci della nostra umanità rifiutandola, scopriamo una molteplicità microscopica di fenomeni che non
possono essere ridotti a uno.

Schopenhauer non riuscì a liberarsi dal sortilegio della definizione kantiana. Per Kant il giudizio estetico
dev’essere disinteressato, allo stesso modo Schopenhauer vedeva nell’arte una negazione della volontà e del
desiderio. S. interpreta questo disinteresse come vergogna dei propri istinti. In realtà però S. non si libera dal
sortilegio del disinteresse. s

2 tesi di N. in questa dissertazione:

Da una parte riporta questa concezione schopenhaueriana dell’arte come liberazione dalla volontà,
dall’interesse, come un presidio anti-sessualità. Contesta l’idea schopenhaueriana che l’arte consenta di
sublimare la pulsione sessuale, la sua funzione è quella di un presidio anti-istinto, anti sessualità. N. accusa S.
di volersi affrancare dallo spregevole impulso della volontà, ovvero dalla dipendenza dagli istinti e dalla
privazione che gli istinti arrecano. A questo rifiuto della dipendenza di S., N. rimprovera di avere l’effetto di
moltiplicare la dipendenza. Questa strategia di difesa dalla dipendenza, in realtà moltiplica gi effetti della
dipendenza stessa perché ci mette nella condizione di subire la dipendenza invece di, accettandola, dare forma
alla dipendenza. L’ambizione all’indipendenza dalla dipendenza, in realtà porta ad un aumento della
dipendenza perché costringe l’essere umano ad appagamenti sotterranei. La dipendenza repressa si appaga in
un modo molto più dannoso di quanto sarebbe accaduto se non ci fosse stata questa repressione. Idea che la
terapia contro la dipendenza sortisce effetti peggiori della malattia che vuole curare.

N. collega l’esigenza di un presidio anti sessualità ad un desiderio sessuale che tormenta Schopenhauer. N.
vuole smascherare la vera esigenza di S. sottolineando che S. era tormentato dal desiderio al quale reagiva con
l’ambizione di potersene rendere indipendente mediante l’arte. Dall’altra parte definisce questa operazione
schopenhaueriana come l’intenzione da parte di S. di sviticchiarsi da una tortura. Questo è l’interesse
schopenhaueriano dell’ideale ascetico, sviticchiarsi dalla tortura del desiderio e della volontà attraverso l’arte.

Paragrafo 7

Inizia l’analisi dell’ideale ascetico. Cosa significa tortura.

Qui N. associa al tipo del filosofo (prete travestito da metafisico) la predilezione per l’ideale ascetico.
L’esigenza di dare un senso al dolore, dovuto questo dolore all’estrema estraneità che ha il dolore per chi è
divenuto ipersensibile al dolore e non riesce più a sopportarlo, dare un senso al dolore significa considerarlo
come un ponte verso l’indipendenza da esso. Ecco il piacere masochistico per il dolore tipico del cristianesimo.
N. presenta l’immagine del deserto, ha una doppia valenza: da una parte rappresenta ciò in cui si isola l’asceta
(valenza negativa del deserto), dall’altra il fatto che il deserto viene utilizzato come metafora dello spirito
libero.

Terzo tema: filosofia come negazione del mondo. Filosofia intesa come metafisica è una negazione dell’al di
qua, negazione motivata da ciò che dell’al di qua non siamo più in grado di sopportare, dolore morte caducità
corruzione divenire. Qui troviamo l’idea che il cristianesimo ci salva dalla non volontà. L’idea che l’ideale
ascetico non sia una liberazione della volontà, ma è il modo di esercitare la volontà reattivamente come volontà
di nulla. Questa volontà di nulla è il modo in cui il prete asceta ha addomesticati le masse facendo aggregare
come prete in un gregge gli individui.

Paragrafo 8
3 parole chiave dell’ideale ascetico: Povertà, umiltà, castità

Differenza tra il deserto dell’ideale ascetico e il deserto dello spirito libero.

Sviluppo conetto deserto. Il deserto dello spirito libero è quello di Eraclito. Troviamo l’opposizione tra spirito
vincolato e libero nella sua accezione attualità e inattualità. Lo spirito libero è inattuale, inattualità qui significa
trarsi fuori dalla chiacchiera, dall’equivoco. L’attualità che N. contesta è quella dell’impersonalità del Sì dice,
dell’eticità dei costumi, del gregge. La critica del deserto del prete asceta è una critica della morale dl gregge,
dell’affidarsi a convinzioni ereditate e quindi subite senza metterle in questione, senza esercitare su di esse
nessuna creatività o critica. Lo spirito libero si tiene lontano dall’irrigidimento delle opinioni in convinzioni,
si tiene lontano dalla moralità del gregge, il suo deserto significa lontananza dall’attualità. Metafora della luce
e dell’ombra: il pieno giorno del prete è una astrazione estremistica, ripete l’idea della purezza, del in sé,
dell’assolutezza (parole della metafisica). Pieno giorno significa non avere zone d’ombra in cui le cose si
mostrano molteplici. L’idea dell’ombra è l’idea del residuo. La luce ambisce a espellere ogni residuo, ogni
incalcolabilità.

Paragrafo 9

Qui N. torna sul problema attualità-inattualità come posizione tra eticità dei costumi (=morale del gregge),
inteso come il passato che ereditiamo e l’inautenticità di questo passato nel momento in cui semplicemente lo
subiamo, e l’ideale della libertà di spirito del vero filosofo. Queste due cose si sono trovate fin dall’inizio l’una
dentro l’altra. La distinzione tra aristocratico e schiavo non è una distinzione oggettiva, non parliamo di due
categorie opposte nel senso per cui l’aristocratico è immune all’atteggiamento dello schiavo. Il punto che N.
va a elaborare è l’idea che questi due atteggiamenti stiano l’uno dentro l’altro e che quindi lo spirito libero
costruisce la sua attitudine alla libertà come uno sforzo permanete volto a resistere alla tentazione del rifiuto
dell’umano. La morale aristocratica non è un atteggiamento che noi possediamo una volta per tutte, lo spirito
libero è quello la cui forza consiste proprio nella resistenza alla tentazione di negare il mondo, alla tentazione
di dare un titolo di estraneità alla realtà, ovvero al dolore. Lotta che caratterizza lo spirito libero.

Paragrafo 10

Questa coappartenenza di verità e non verità intesa nel senso di resistenza ad una tentazione, queste due figure
non procedono separate ma sono figure che si sovrappongono perché la filosofia si costituisce in opposizione
all’ideale ascetico. L’ideale ascetico è filosofia quanto lo è quella dello spirito libero perché la filosofia dello
spirito libero è resistenza all’ideale ascetico. Questo è il motivo per cui N. descrive con poetica tortuosità
l’ideale ascetico come la maschera dentro cui la libertà dello spirito libero deve sempre costruirsi. Ciò ci libera
dal fraintendimento di una oggettività della fisionomia dello spirito libero che è sempre uno sforzo di
costruzione.

Da paragrafo 11 in poi

Cominciamo a vedere l’idea del prospettivismo. Tesi del paragrafo 11

Ponte verso l’indipendenza: accade che all’incapacità di affrontare il dolore, il cristianesimo da uno scopo e
per questo ci salva dal suicidio, dalla non volontà perché dà un senso al dolore e all’esistenza come ponte verso
l’indipendenza. Questo ci fa però vivere una vita come anticamera di qualcos’altro. Abbiamo devitalizzato la
vita ma questo ci consente di salvarci dalla non volontà, cioè dalla morte. Ipersensibilità al dolore che ci isola
dalla realtà, il cristianesimo inventa uno stratagemma per non morire ovvero giustifica l’esistenza come il
ponte verso un’altra esistenza priva di dolore, purificata. Il cristianesimo ci consente di continuare a vivere in
modo malato considerando questo mondo come un’anticamera dell’al di là.

Il prete asceta non ha un’oggettività categoriale. Il prete asceta è una tentazione trasversale che quindi non ha
un perimetro categoriale definito una volta per tutte ma vive come tentazione in ogni atteggiamento.
Idea per cui il prete asceta è un individuo che incarna una contraddizione, incarna una coesistenza
contraddittoria tra al di là e al di qua. Parla di un training di penitenza e redenzione (nel paragrafo 21) e questo
è il modo malinconico in cui il cristianesimo costruisce l’interesse per la vita. Il cristianesimo ha salvato
l’umanità dall’infrollimento, da questa nausea e odio per l’umano, rendendo l’uomo nuovamente interessante
mediante questo training di penitenze e redenzione, mediante l’oscillazione tra Inferno e paradiso. Il
cristianesimo ha reso l’essere umano malinconicamente interessante.

Paragrafo 12

Troviamo qui il prospettivismo. N. prende di mira l’oggettività, la purezza. A queste parole della metafisica
N. sostituisce la diversità delle prospettive. Nel momento in cui ci liberiamo da questa ambizione alla
purificazione, ci troviamo dinnanzi ad una molteplicità di opinioni, non convinzioni, che dialogano in modo
agonale tra loro. Il prospettivismo di N. è la critica della verità. Idea che l’oggettività che per la metafisica
significava raccogliere la realtà in un concetto senza residui, qui diventa quanti più occhi è possibili sulla cosa
tanto più sarà completo il nostro “concetto”, la nostra oggettività. Non è più la realtà del concetto ma diverse
prospettive che costituiscono l’oggettività.

Paragrafo 13

Il prete asceta è una forma reattivamente creatrice. È riuscito a costruire una forma di civilizzazione, sebbene
regressiva, alla quale N. reagisce con una diversa civilizzazione, attivamente creatrice.

Par 14 15

Malattia come qualcosa che ci inchioda alla vita. La nevrosi ha un tornaconto secondario che è quello di
mantenerci in vita, di salvarci da un compito difficile che non siamo in grado di svolgere. Troviamo l’idea che
il prete offre unguenti e balsami, una terapia, ma deve aver ferito per poi offrire la terapia. Il prete asceta ci
rende colpevoli e poi ci offre una via di redenzione, però ha creato lui la ferita e poi ci offre una consolazione
alla colpa ma in questo modo continua ad avvelenare la ferita. Il prete asceta non agisce sulla causa della
sofferenza.

Paragrafo 16

Troviamo riassunte le tesi precedenti. L’idea che il prete pratica una “aberrazione del sentimento”, la quale
consiste

Quadro generale: il debole non sopporta il dolore della realtà quindi rovescia verso l’interno la propria
aggressività e i prioi istiti di crudeltà. Rivolti verso l’interno questi istinti di aggressività rischiano di far
esplodere l’essere umano, quindi il prete li giustifica come un fare male al male, cioè come una espiazione
della colpa dando così una giustificazione del dolore, crea così un pernicioso piacere del dolore. È questo il
modo in cui il cristianesimo ha costruito una serie di affetti reattivi (altruismo come negazione di se, purezza).
Questo meccanismo di interiorizzazione e giustificazione dell’aggressività come espiazione della colpa, si
completa con un corredo di affetti reattivi che sono quelli del cristianesimo, un’etica reattiva che si compone
di tutte le passioni come la compassione, altruismo ecc.

Paragrafo 16

N. fa una serie di curiose ipotesi su questo senso di inibizione, indebolimento nell’affrontare il dolore che
deriva dall’incrocio delle razze. Parte razzista di N.

Paragrafo 17

n. mostra un’esigenza scientifica di cercare una causa fisiologica di un male spirituale. In Freud l’idea della
nevrosi, di un disagio psichico, è spiegata in due modi che non stanno perfettamente insieme. La psicoanalisi
nasce come esigenza di trovare la spiegazione di un disagio che non ha un corrispettivo organico, al quale non
corrisponde una lesione organica. Si trovarono di fronte ad una malattia psichica a cu non corrisponde una
lesione del cervello. Le isteriche venivano considerate delle simulatrici. Freud cerca una spiegazione non
organica della malattia, così nasce la psicanalisi. Ad un certo punto Freud stesso dirà che l’inconscio è
un’ipotesi che noi facciamo in mancanza di un corrispettivo fisiologico, ma quando troveremo i meccanismi
psicologici che sono alla base della nevrosi, non ci servirà più la psicanalisi ma ci basterà la chimica. Riduce
un problema biografico con un problema biologico pensando che i problemi biografici, problema di significato
delle nostre vite, possono essere ricondotti a dei sostrati biologici. In realtà Freud fa quest’ipotesi nel testo in
cui avanza la congettura della pulsione di morte (Al di là del principio di piacere). Freud si è espresso così
chiaramente in quella circostanza per bilanciare la sua congettura metafisica.

Anche in N. c’è la stessa tensione che c’è in Freud. In questi anni dell’800 c’è questa tensione tra copro,
spiegazioni biologiche, e anima, spiegazioni biografiche.

Paragrafo 22-23

Paragrafi sulla scienza. La scienza offre un’alternativa all’ideale ascetico? Domanda che ci interessa perché
quando n. è passato dal momento wagneriano al secondo, abbiamo detto che passa allo spirito scientifico. Qui
invece N. critica la scienza dicendo che la scienza è un erede dell’ideale ascetico. Cosa intende? Il termine
scienza può esser ridotto allo spirito scientifico? Assolutamente no. N. qui critica quella scienza positivistica
che incarna la razionalità, quell’ambizione di raccogliere la realtà nel concetto. N. si scaglia contro quella
scienza che non ha rinunciato a quel concetto di verità in senso metafisico.

26.04.2023

Prete asceta e spirito libero non sono tipi oggettivi, sono degli atteggiamenti che l’essere umano può assumere.
La religione ha un carattere malinconico perché è interessata alla vita ma solo perché attraverso di essa si può
giungere ad un’altra vita. La religione mantiene vivo l’interesse dell’essere umano per la vita in una dinamica
per cui il dolore è giustificato come un ponte verso l’indipendenza. La giustificazione del dolore è il risultato
di una massima estraneità del dolore, che diventa qualcosa di assurdo che dev’essere giustificato come mezzo
per arrivare ad una vita senza dolore. Oscillazione tra estremi, peccato e redenzione, è questo un tratto comune
sia a Nietzsche che a Freud, questa oscillazione è il modo in cui la religione tiene vivo l’interesse dell’individuo
per la vita.

Dal paragrafo 21 in poi N. affronta 2 argomenti principali: il problema della scienza e il problema dell’arte e
della volontà di verità.

1 tema: problema della scienza

In N. troviamo una distinzione tra spirito scientifico e l’incancrenimento dello spirito scientifico nella scienza
positivista che ha il difetto di irrigidirsi nella proposta di fornire una proposta definitiva ed esaustiva del
mondo. N. rimprovera alla scienza nella sua accezione positivistica è di non aver abbandonato la fede nella
verità. Verità intesa come in sé, assoluto, verità metafisica, fede in qualcosa di ultimo che ci redime e ci salva
nella parola salvifica.

Paragrafo 23

È il paragrafo dedicato alla scienza. Troviamo nella scienza un ideale opposto a quello ascetico? L’ipotesi che
la scienza rappresenti un’alternativa all’ideale ascetico viene smentita.
Paragrafo 24

n. propone una lotta all’idea che nella scienza si sia insinuata la fede. N. ci mette in guardia dall’idea che la
scienza sia il luogo in cui si sedimentano verità inquestionate, dogmi, totalizzazioni saturanti. N. vuole mettere
in questione l’idea di combattere la degenerazione dello spirito scientifico in una scienza che ha l’aspetto di
una fede. Nel momento in cui noi prendiamo la scienza come una volontà di verità senza aver messo in
questione l’assolutezza del concetto di verità, allora stiamo intendendo la scienza come religione. C’è un
riferimento alla scienza dei francesi che è un riferimento alla scienza positivista di Comte. La fede nella scienza
esprime tanto ascetismo quanto fede nella metafisica, nella verità.

N. fa valere il prospettivismo contro la scienza, a favore dell’arte. Rispetto alla nascita della tragedia N aveva
contrapposto all’arte, cioè alla giustificazione estetica dell’esistenza, lo spirito scientifico. L’arte ad un certo
punto diventava una giustificazione dell’esistenza che non ha più motivo di esistere ed essere sostituito dallo
spirito scientifico. Nella genealogia della morale l’arte viene recuperata in una funzione differente, non ha più
la funzione di giustificare l’esistenza ma nel suo essere illusione in realtà esprime le diverse prospettive da cui
la realtà può essere guardata. L’arte viene recuperata come modo di esercitare uno sguardo non assoluto sulla
realtà, è un punto di vista sulla realtà parziale.

Paragrafo 25

N. contrappone Platone ed Omero. Se la scienza riposa sullo stesso terreno dell’ideale ascetico è perché non
è riuscita a sottrarsi alla tentazione di cercare di cogliere la realtà nel concetto, condivide la volontà di verità
della religione. L’illusione in cui l’arte consiste non è non verità se non nel senso per cui non offre una verità
assoluta, ma è da valorizzare proprio perché è capace di proporre sguardi relativi sulla realtà. Questa volontà
di illusione dell’arte incarna proprio l’essenza dello spirito scientifico contrapposto alla scienza come fede
mascherata. Omero perché N. ha in mente la religione artistica, la religione presocratica che consiste nell’idea
per cui l’esistenza va divinizzata nei suoi aspetti anche dolorosi. N. sta dicendo che la crisi del concetto assoluto
di verità è dovuta alla stessa volontà di verità. È proprio il cristianesimo con la sua ricerca di verità assoluta
che ha finito per diventare una messa in questione del valore della verità stessa. Proprio nel momento in cui la
volontà di verità è diventata verità di nulla è emerso il problema del valore della verità. La libertà dello spirito
è la conseguenza dell’auto soppressione della volontà di verità. La tesi nietzschiana espressa nel paragrafo 27
è che l’ideale ascetico sta crollando per auto soppressione dovuta ad una progressiva autocoscienza della
volontà di verità. Questa volontà di verità, propria della metafisica, è una sorta di movimento autofagico, che
si mangia da solo. La crisi della verità è interna alla stessa volontà di verità. Autocoscienza della volontà di
verità

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“Tutte le grandi cose periscono ad opera di sé stesse”

N. ci sta offrendo una considerazione sulla dinamica intrinseca alla volontà di verità stessa. Ci troviamo nel
momento della crisi della verità nella sua assolutezza che è il risultato della volontà di verità stessa. Il
cristianesimo con la sua radicalità nella ricerca della verità si sono spinti così in là che sono giunti alla domanda
sul valore del concetto di verità. Nello stesso tempo N. ci sta offrendo anche una sfida per il futuro, che cosa
fare ora che tutto è permesso? Ora che la verità si è auto soppressa? È questa la sfida finale che N. lancia ai
prossimi: quello di sopportare la crisi del valore della verità. Questa sfida ci mette di fronte o ad una nuova
possibilità di suicidio, oppure ci mette di fronte a una nuova epoca in cui sopportare la fine del concetto assoluto
di verità. Cosa fare ora che l’esistenza non ha più bisogno di essere giustificata con l’attribuzione di un senso?
Ora che abbiamo perso la fede nella verità, cosa fare? Siamo di fronte ad una situazione in cui dobbiamo
sopportare l’assurdità dell’esistenza senza dare ad essa un senso. E senza replicare l’irrigidimento appena
trascorso. Immagine dello Zarathustra come colui che è capace di amare la vita nella sua contingenza,
incalcolabilità, che non ha bisogno di convinzioni, fedi, estremismi. La sfida di N. è proprio quella della
moderazione.

Questo passo è un riassunto di tutte le dissertazioni. Quella di dare una giustificazione alla sofferenza è una
necessità che il prete esaurisce creando un veleno ancora più sottile. La soluzione che N. offre è quella di
spiritualizzare quegli istinti repressi e rivolti verso l’interno dal cristianesimo. Il concetto di moderazione non
è il contrario della repressione degli istinti, non è espressione degli istinti, ma è la capacità di plasmare, dare
una forma e una misura agli istinti.

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