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ETERNO DOLORE, ETERNA SOFFERENZA. Il pendolo della vita oscilla tra il dolore e
la noia, tra il desiderio e la sazietà, passando l’intervallo fugace, e per di più
illusorio, del piacere e della gioia.
Noia: mancanza del desiderio stesso, la morte spirituale.
Le situazioni e i casi umani sono solo il modo diverso e le diverse forme in cui il
dolore si manifesta.
La volontà di vivere si manifesta come Sehnsucht (dal fiore che appassisce,
all’animale ferito, dal bimbo che nasce al vecchio che muore), desiderio inappagato,
cosmica: il dolore non riguarda soltanto l’uomo, ma investe ogni creatura.
TUTTO SOFFRE, VIVERE È SOFFRIRE. L’uomo ha più consapevolezza, quindi soffre di
più: spinta della volontà maggiore, insoddisfazione dei desideri e l’offesa dei dolori
(maggiore).
Pessimismo cosmico: il male non è solo nel mondo, ma nel principio stesso da cui il
mondo dipende. L’universo è governato dalla legge immanente della sofferenza.
L’amore (per soddisfare esigenze umane e sessuali) è uno dei più forti stimoli
dell’esistenza. Il fine dell’amore è solo l’accoppiamento, un’essenza biologica. Non
c’è amore senza sessualità “ogni innamoramento, per quanto etereo voglia
apparire, affonda le sue radici nell’istinto sessuale”. È un’illusione, perché è la
volontà che prende possesso di queste due persone, piccola parte del piacere della
vita. La volontà se ne prende gioco.
Dalla procreazione, dall’atto, nascerà un altro essere vivente e la volontà
continuerà a vivere in lui.
Regola dei rapporti umani: conflitto e sopraffazione reciproca. Se gli uomini vivono
insieme non è tanto per simpatia o innata socievolezza, ma soprattutto per bisogno.
Il pessimismo antropologico e sociale è finalizzato, nel suo sistema, a favorire la
scelta della via etica della pietà.
7.1. L’arte
L’arte è la conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee, quelle forme
pure delle cose. Il soggetto che contempla le idee è il soggetto puro del conoscere, il
puro occhio del mondo: “mentre per l’uomo comune, il proprio patrimonio
conoscitivo è la lanterna che illumina la strada, per l’uomo geniale è il sole che rivela
il mondo”.
L’arte, quindi, sottrae l’individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri
quotidiani. L’arte è catartica per essenza: grazie a essa l’uomo contempla la vita,
elevandosi al di sopra della volontà, del dolore e del tempo. (dall’architettura alla
poesia)
Spicca la tragedia che è l’autorappresentazione del dramma della vita.
La musica vista come l’immediata rivelazione della volontà a se stessa. È l’arte più
profonda e universale, capace di mettere a contatto noi con le radici stesse della vita
e dell’essere.
Ogni arte è liberatrice, poiché il piacere che essa produce è la cessazione del
bisogno, ma anche temporale e parziale (“Di breve incantesimo”).
L’arte costituisce solo un conforto della vita; l’autentica redenzione richiede altro.
7.2. La morale
La morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo: superare
l’egoismo e vincere sull’ingiustizia e il dolore umano:
Per Kant, il “disinteresse” costituisce il cuore della moralità
Per Schopenhauer, l’etica sgorga da un imperativo categorico dettato dalla
ragione da un’esperienza vissuta, da un sentimento di “pietà”, o di “com-
passione”, attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri,
sperimentiamo quell’unità metafisica di tutti gli esseri che la filosofia
terrorizza.
Per capirlo, bisogna sentire e realizzare che la vita sia dolore e che tutti soffrono.
Non è, quindi, la conoscenza a produrre la moralità, ma la moralità a produrre la
conoscenza (“attraverso la compassione conosciamo”).
Solo per un sogno illusorio il malvagio si crede separato dagli altri e dal dolore, ma
solo il rimorso temporaneo e la duratura angoscia costituiscono l’oscura
consapevolezza dell’unità del volere cosmico.
La morale si concretizza in 2 virtù cardinali:
1) La giustizia ha un carattere negativo, poiché consiste nel non fare il male e
nell’essere disposti a riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a
noi stessi.
2) La carità, o agape, è la volontà positiva e attiva di fare del bene prossimo.
Diversamente dall’eros, egoistico e interessato, l’agape è un amore
disinteressato, autentico e quindi pietà.
La morale consiste nella pietà, cioè nel far propria la sofferenza di tutti gli esseri
passati e presenti, e nell’assumere su di sé il dolore cosmico. Ma rimane all’interno
della vita e presuppone qualche attaccamento ad essa, quindi non basta.
7.3. L’ascesi
La liberazione totale di raggiunge con l’ascesi, che nasce “dall’orrore” dell’uomo, è
l’esperienza attraverso la quale l’individuo, cessando di volere la vita e il volere se
stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, godere e di volere.
Gradini:
I. La “castità perfetta”
II. Rinuncio ai piaceri
III. Umiltà
IV. Digiuno
V. Povertà
VI. Sacrificio
VII. Automacerazione
Hanno tutte lo stesso scopo: sciogliere la volontà di vivere dalle proprie catene.
Volontà: cosa in se si riesce ad ascendere (quando riconosce la volontà come
cosa in se, egli si sottrae alla determinazione dei motivi che agiscono su di lui come
fenomeno).
Se la volontà fosse vinta completamente anche in un solo individuo, essa perirebbe
tutta, in quanto è una sola: ecco perché tramite una tale liberazione radicale
raggiunta dall’uomo, l’intero mondo può essere redento.
La soppressione della volontà di vivere è l’unico atto di libertà che sia possibile
all’uomo. Quest’ultimo diviene libero, si rigenera ed entra in quello stato che i
cristiani chiamano “di grazia”.
Mentre nei mistici del cristianesimo l’ascesi si conclude con l’estasi, che è l’ineffabile
stato di unione con Dio, nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino verso la
salvezza mette a capo il nirvana buddista (visione orientaleggiante), ovvero
l’esperienza del nulla che non è il niente, ma un nulla relativo al mondo, una
negazione del mondo stesso.
Il nirvana è un tutto, un oceano di pace, uno spazio luminoso di serenità, in cui le
stesse nozioni di “io” e di “soggetto” si dissolvono.
Non c’è posto per Dio, occupato il posto centrale dalla volontà di vivere (ateismo
filosofico).
Questo pensiero di Schopenhauer fu molto criticato, infatti, la teoria “orientalistica”
dell’ascesi costituisce la parte più debole e contraddittoria del sistema
schopenhaueriano.
CONFRONTO/RAPPORTO
SCHOPENHAUER E LEOPARDI
Giacomo Leopardi è un autore anche di testi filosofici per esempio “Zibaldone”,
“Pensieri”, “Le operette morali”. Il critico letterario Francesco De Santis riconosce
un’influenza di Leopardi su Schopenhauer piuttosto che il contrario.
1. La natura
Entrambi hanno la stessa immagine di marginalità dell’uomo nell’universo che
nell’immensità spaziale e temporale della natura. L’uomo è una piccola cosa.
Cambia però negli autori l’atteggiamento della natura verso l’uomo.
In Schopenhauer la natura è una forza negativa, la volontà che è
inscritta anche nella natura umana determinandone il desiderio e
quindi l’infelicità.
In Leopardi la natura è indifferente al destino umano, egli chiama la
natura matrigna: essa però non è contro l’uomo. La natura è
indifferente poiché considera l’uomo nello stesso modo di tutti gli altri
esseri viventi.
2. Esistenza umana
C’è molta somiglianza trai due autori rispetto all’orizzonte esistenziale.
Come per Schopenhauer, anche per Leopardi, la vita oscilla come un pendolo
di qua e di la, tra il dolore e la noia.
3. Il nichilismo
Per Leopardi il nulla rimane l’orizzonte dell’essere perché ogni cosa tende
verso il proprio annientamento e il divenire è un continuo morire.
Leopardi inverte la tesi di Leibniz secondo cui l’uomo vive nel migliore dei
modi possibili, giungendo alla conclusione che il nostro universo è segnato
dalla sofferenza di tutti gli esseri.
Il nichilismo di Leopardi si traduce quindi nel pessimismo cosmico di
Schopenhauer: universo non ha uno scopo, l’essere è male e l’esistenza è
sofferenza e dolore.