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ARTHUR SCHOPENHAUER

Arthur Schopenhauer nacque a Danzica il 22 febbraio 1788; suo padre era


banchiere,mentre sua madre, Giovanna, era una scrittrice di romanzi. Nella sua
giovinezza viaggiò in Francia e in Inghilterra e, dopo la morte del padre,frequentò
l'Università di Gottinga. Nel 1811, a Berlino, egli poté assistere alle lezioni di Fichte;
nel 1813 si laureò con una tesi intitolata Sulla quadruplice radice del principio di
ragion sufficiente.
Negli anni seguenti (1814-1818),visse a Dresda, dove lavorò alle sue prime
opere. Si abilita alla libera docenza presso l'Università di Berlinoche lascerà più per
un’epidemia di colera.Si stabilì a Francoforte sul Meno, dove rimase fino alla morte,
il 21 settembre 1860.
Nel periodo in cui abitò a Dresda si dedicò alla composizione dI scritti e preparò per
la stampa la sua opera principale,”Il mondo come volontà e rappresentazione”,
pubblicata nel dicembre del 1818.Stabilitosi a Francoforte, pubblicò nel 1836 “Sulla
volontà nella natura” e qualche anno dopo “I due problemi fondamentali dell'etica”.
L'ultima opera di Schopenhauer, “Parerga e paralipomenn”, si tratta di un
insieme di trattazioni e di saggi,che contribuirono a diffondere la sua filosofia.La sua
opera non fece grande successo, tanto che fu costretto a pubblicare la seconda
parte di quest’ultima vent’anni dopo.
Il carattere cupo e apertamente anti-idealistico del suo pensiero, contribuì alla
"fortuna" della sua filosofia solo dopo il 1848, in concomitanza con l'ondata di
pessimismo che colpì l'Europa.

LE RADICI CULTURALI

Schopenhauer prese ispirazioni dalla filosofia di Platone e Kant, e dalle correnti


dell'Illuminismo, il Romanticismo, l'idealismo e la spiritualità indiana.
-Di Platone lo attrae soprattutto la teoria delle idee, intese come forme eterne
sottratte alla caducità dolorosa del nostro mondo.
- Da Kant, che considera il filosofo più originale della storia del pensiero, prende
l'impostazione soggettivistica della gnoseológica.
-Dell'Illuminismo lo interessano il filone materialistico e quello dell'ideologia, da cui
deriva la tendenza a considerare la vita psichica e sensoriale in termini di fisiologia
del sistema nervoso;
-Da Voltaire, deriva lo spirito ironico e brillante e la tendenza a smascherare le false
notizie nei confronti delle credenze tramandate.
-Dal Romanticismo Schopenhauer trae alcuni temi di fondo del suo pensiero,come
l'irrazionalismo, la grande importanza attribuita all'arte e alla musica, e
soprattutto il tema dell'infinito, ovvero la tesi della presenza di un principio assoluto
che sostiene che realtà sono manifestazioni assolute.
Altro motivo è quello del dolore mentre; sul piano filosofico Schopenhauer a
differenza degli studiosi romantici,che sono fortemente ottimisti e legati alla figura di
Dio come riscattatore del positivo, si mostra orientato su una visione pessimistica
della realtà.
Un ruolo di decisiva importanza, è Il rifiuto giocato dal pensiero idealistico, il quale lo
denomina come «filosofia delle università», ritenendolo inutile al servizio della
verità, ma solo di interessi volgari quali il successo e il potere,che si propone di
giustificare e sostenere le inutili credenze dalla Chiesa e dallo Stato.In merito a
questo ,Schopenhauer mostra il suo disappunto e disprezzo nei confronti di Hegel,
definendolo come “sicario della verità”. Questo discorso si basa su una diffusione da
parte di Hegel di una sua propria filosofia divinazzatrice dello Stato che limita la
libertà della filosofia altrui, ritenuta essenziale da Schopenhauer.

L'universo spirituale di Schopenhauer, dava un caratteristico posto di rilievo alla


sapienza dell'antico Oriente. Alcuni studi del filosofo, hanno provato che
l'elaborazione del pensiero di Schopenhauer si sia sviluppata prima e
indipendentemente dal suo incontro con le filosofie orientali, per cui si può parlare di
una sintonia, più che di un condizionamento o di una vera e propria influenza.
Qualunque sia il giudizio in proposito, è comunque certo che Schopenhauer:
a) è stato il primo filosofo occidentale a tentare il recupero di alcuni motivi del
pensiero dell'estremo Oriente;
b) ha desunto da esso un prezioso repertorio di immagini e di espressioni
suggestive, del quale ha fatto abbondante uso nei suoi scritti;
c) è stato un ammiratore della sapienza orientale e un "profeta" del successo che
tale sapienza avrebbe avuto in Occidente.

IL VELO DI MAYA

Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana tra


"fenomeno" e "noumeno", ovvero tra la "cosa così come appare" e la "cosa in sé".
Questa distinzione ha poco in comune con quella realmente professata da Kant in
quanto per Schopenhauer il fenomeno è parvenza, illusione e sogno, ovvero ciò
che nell'antica sapienza indiana era detto velo di Maya, mentre il noumeno è
quella realtà che si "nasconde" dietro l'ingannevole trama del fenomeno e che
il filosofo ha il compito di "scoprire".
Inoltre, il fenomeno inteso da Kant come “oggetto della rappresentazione” in quanto
"cosa" o "dato" materiale esiste anche fuori della coscienza in maniera generale, il
fenomeno Schopenhauer è la rappresentazione soggettiva, cioè esiste solo dentro la
coscienza. Tant'è vero che il filosofo crede di poter esprimere l'essenza del kantismo
con la tesi, che apre il suo capolavoro, secondo cui «il mondo è la mia
rappresentazione».
La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, la cui distinzione
costituisce la forma generale della conoscenza: da una parte c'è il soggetto
rappresentante; dall'altra c'è l'oggetto rappresentato.
Soggetto e oggetto esistono soltanto come "facce" della stessa medaglia, ovvero
entrambi come elementi imprescindibili della rappresentazione, e nessuno dei due
precede o può esistere indipendentemente dall'altro.
Sulle orme del criticismo, anche Schopenhauer ritiene che la nostra mente - o, più
esattamente, il nostro sistema nervoso e cerebrale - risulti dotata di una serie di
forme a priori, la scoperta delle quali “è un capitale merito di Kant “.Tuttavia, a
differenza di Kant, Schopenhauer ammette solo tre forme a priori:
•spazio,
•tempo,
• causalità.
La causalità è l'unica categoria , in quanto tutte le altre sono riconducibili a essa,e la
la realtà stessa dell'oggetto si risolve completamente nella sua azione causale su
altri oggetti.

La causalità, afferma Schopenhauer, assume forme diverse a seconda degli ambiti


in cui opera,manifestandosi come necessità fisica, logica, matematica e morale,
ovvero come:
•principio del divenire in riferimento alla fisica (che regola i rapporti tra gli oggetti
naturali),
•principio del conoscere in riferimento alla logica (che regola i rapporti tra
premesse e conseguenze),
•principio dell'essere in riferimento alla matematica (che regola i rapporti
spazio-temporali e le connessioni aritmetico-geometriche)
•principio dell'agire in riferimento alla morale (che regola le connessioni tra
un'azione e i suoi motivi).
Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori ad una visione deforma delle cose,
egli considera la rappresentazione come qualcosa di ingannevole, traendo la
conclusione che «la vita è sogno», cioè un tessuto di apparenze, una sorta di
"incantesimo" che la rende simile agli stati onirici.( dei sogni)
Al di là del sogno del fenomeno, esiste però la realtà, quella vera,riguardo alla quale
l'uomo, non può fare a meno di interrogarsi. Infatti, secondo Schopenhauer, l'uomo a
differenza degli altri esseri, si stupisce e si interroga riguardo alla propria vita e
esistenza. Ciò avviene in misura proporzionale a quella della sua intelligenza:

TUTTO E’ VOLONTA’

Schopenhauer presenta la propria filosofia come un'integrazione necessaria alla


filosofia di Kant: egli si vanta infatti di aver individuato quella via d'accesso al
noumeno che Kant aveva precluso. Infatti Schopenhauer ritiene che non ci si
debba concentrare sola sulla coscienza per riuscire a “smascherare” ciò che
vi è oltre il mondo fenomenico , quindi dalla rappresentazione esteriore di noi e
delle cose, ma dobbiamo concentrarci su di noi anche come corpo,non
limitandoci a "vederci" dal di fuori, bensì "ci viverci" anche dal di dentro, godendo e
soffrendo. Ed è proprio quest'esperienza di base, che permette all'uomo di "rompere"
il velo del fenomeno e di afferrare la cosa in sé. Infatti, ripiegandoci su noi stessi, ci
rendiamo conto che l'essenza profonda del nostro io, è un impulso prepotente e
irresistibile che ci spinge a esistere e ad agire. Più che intelletto o conoscenza,
quindi, noi siamo vita e volontà di vivere, e il nostro stesso corpo è la manifestazione
esteriore dell'insieme dei nostri forti desideri interiori:
•l'apparato digerente non è che l'aspetto fenomenico della volontà di nutrirsi,
•l'apparato sessuale non è che l'aspetto oggettivato della volontà di accoppiarsi e di
riprodursi… etc
L'intero mondo fenomenico non è altro che il modo in cui la volontà si manifesta o
si rende visibile a se stessa nella rappresentazione spazio-temporale. Da ciò il titolo
del capolavoro di Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione.
Il rapporto tra la volontà e l'intelletto, tra la volontà e il corpo, tra la volontà e il
fenomeno in generale, è per Schopenhauer lo stesso che intercorre tra il padrone e il
servo o tra l'uomo e lo strumento.
Fondandosi sul principio di analogia, Schopenhauer afferma inoltre che la volontà di
vivere non è soltanto la radice noumenica dell'uomo, ma anche l'essenza segreta di
tutte le cose, ossia la cosa in sé dell'universo, finalmente svelata e considerata come
l'intimo essere, il nocciolo del Tutto. Infatti la volontà di vivere pervade ogni essere
della natura, sia pure in forme distinte e secondo gradi di consapevolezza diversi,
che vanno da quelli della materia organica, in cui si manifesta in modo inconscio,
fino a quelli dell'uomo, in cui risulta pienamente consapevole.
DALL’ESSENZA DEL MIO CORPO ALL’ESSENZA DEL MONDO

Schopenhauer dice :”quando io vivo il mio corpo, invece di renderlo un oggetto tra gli
altri, lo sottraggo all’approccio fenomenizzante, cioè smetto di usare spazio, tempo e
causalità. Ecco perché, una volta individuata la volontà come essenza noumenica
del mio corpo, so che tale essenza non si può riferire solo al mio corpo, ma deve
essere l'essenza profonda dell'intera realtà”. Tra i molti temi della filosofia di
Schopenhauer è quello che è stato tra i più discussi,sia dai critici sia da studiosi che
hanno trovato questo pensiero come una rivalutazione dell'individuo nella sua
interezza, una riscoperta dell'uomo nella pienezza delle sue facoltà.

CARATTERI E MANIFESTAZIONI DELLA VOLONTA’ DI VIVERE

Essendo "al di là" del fenomeno, la volontà di vivere presenta caratteri contrapposti a
quelli del mondo della rappresentazione, in quanto, si sottrae alle forme proprie di
quest'ultimo (spazio, tempo e causalità).Si può dire quindi che la volontà
primordiale è inconscia, poiché la consapevolezza e l'intelletto costituiscono
soltanto delle manifestazioni secondarie. Il termine "volontà", indica il concetto più
generale di energia, o impulso (tanto che Schopenhauer attribuisce la volontà anche
alla materia inorganica e ai vegetali).
In secondo luogo,la volontà risulta unica, poiché esistendo al di fuori dello spazio e
del tempo, che hanno la caratteristica di dividere e di moltiplicare gli enti, si sottrae a
ciò che i filosofi del Medioevo chiamavano «principio di individuazione”.
Infatti Schopenhauer ritiene che la volontà sia in un individuo e in tutti gli individui.
Essendo oltre la forma del tempo, la volontà è anche eterna e indistruttibile,un
principio senza inizio, né fine.
Essendo al di là della categoria di causa, e quindi di ciò che Schopenhauer
denomina «principio di ragione», la volontà si configura anche come una forza
libera o come energia incausata, senza un perché e senza uno scopo. Infatti noi
possiamo cercare la “ragione" di questa o di quella manifestazione fenomenica della
volontà, ma non della volontà stessa, non ha alcuna meta oltre se stessa: la vita
vuole la vita, la volontà vuole la volontà, e qualunque motivazione o scopo cadono
entro l'orizzonte del vivere e del volere.

Miliardi di esseri (vegetali, animali, umani) non vivono che per vivere e continuare a
vivere. Questa, è l'unica crudele verità sul mondo, che gli uomini hanno cercato di
"mascherare" invocando un Dio al quale finalizzare la loro vita e in cui trovare un
"senso" per le loro azioni. Ma Dio, nell'universo doloroso di Schopenhauer, non può
esistere e l'unico assoluto è la volontà stessa, i cui caratteri di fondo, cioè il fatto di
essere unica, eterna e incausata, sono, non a caso, i caratteri che da sempre i
filosofi hanno conferito a Dio.
Schopenhauer ritiene che l'unica e infinita volontà di vivere si manifesti nel mondo
fenomenico attraverso due fasi distinguibili:
(a) nella prima, la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, a-spaziali e
a-temporali, che egli chiama platonicamente idee e che considera alla stregua di
archetipi del mondo;
b) nella seconda, la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che
sono nient'altro che la moltiplicazione, vista attraverso lo spazio e il tempo, delle
idee. Tra gli individui e le idee esiste un rapporto di copia-modello, per cui i singoli
esseri risultano semplici riproduzioni dell'unico prototipo originario che è l'idea.
Il mondo delle realtà naturali si struttura a propria volta in una serie di "gradi" disposti
in ordine ascendente:
- il grado più basso dell'oggettivazione della volontà è costituito dalle forze generali
della natura,
-i gradi superiori dalle piante e dagli animali. Questa sorta di piramide cosmica" si
conclude nell'uomo, nel quale la volontà diviene pienamente consapevole. Ma ciò
che essa acquista in coscienza, perde in sicurezza: come guida della vita, infatti, la
ragione è meno efficace dell'istinto, e questo è il motivo per cui Schopenhauer
afferma che l'uomo, in un certo senso, è un «animale malaticcio».
IL PESSIMISMO
Dolore, piacere e noia
Affermare che l'essere è la manifestazione di una volontà infinita equivale a
dire, secondo Schopenhauer, che la vita è dolore per essenza. Infatti, “volere”
significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione per la
mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Per definizione, quindi, il desiderio è
assenza, vuoto e dolore. E poiché nell'uomo la volontà è più cosciente, e quindi più
"affamata", rispetto agli altri esseri, proprio l'uomo risulta il più bisognoso e mancante
tra loro, destinato a non trovare mai un appagamento vero e definitivo.
Questo perché, il volere dell’uomo dipende dal bisogno, da cui deriva l’appagamento
il quale è di breve durata. Appena l’appagamento svanisce, nell’uomo ritorna il
bisogno di qualcosa,la realizzazione di qualche desiderio, la mancanza di qualcosa;
quindi mancanza=sofferenza.
Inoltre ciò che gli uomini chiamano "godimento" (fisico) o '"gioia" (psichica) non è
altro che cessazione di dolore, ovvero "scaricarsi" di una tensione preesistente:
perché ci sia piacere deve esserci stato per forza uno stato di dolore (ad esempio, il
godimento del bere presuppone la sofferenza della sete).
La stessa cosa non vale per il dolore, in quanto un individuo può sperimentare una
serie di dolori, senza che questi siano preceduti da altrettanti piaceri. Pertanto,
mentre il dolore, identificandosi con il desiderio, che è la struttura stessa della vita, è
"negativo" un dato primario e permanente, il piacere è solo una funzione derivata del
dolore, che vive dell'umana felicità unicamente a spese di esso. Infatti il piacere
riesce a vincere il dolore solo a patto di annullare se stesso, poiché, non appena
viene meno lo stato di tensione del desiderio, cessa anche la possibilità del
godimento.
Accanto al dolore, che è una dura realtà, e al piacere, che invece è qualcosa di
momentaneo, Schopenhauer aggiunge, come terza situazione di base dell'esistenza
umana, la noia, la quale subentra quando viene meno il desiderio oppure quando
cessano le attività e le preoccupazioni. La vita umana, conclude Schopenhauer, è
come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando
attraverso l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.
Dato che il dolore costituisce la legge profonda della vita, ciò che distingue tra loro le
situazioni e i casi umani sono il diverso modo o le diverse forme di manifestazione di
tale dolore.
La sofferenza universale

Poiché la volontà di vivere, che è perennemente insoddisfatta , si manifesta in tutte


le cose sotto forma di una vera e propria Sehnsucht (desiderio inappagato)
cosmica, il dolore non riguarda soltanto l'uomo, ma investe ogni creatura.Tutto
soffre.
E se l'uomo, in cui si riassume e si potenzia il male del mondo, soffre di più rispetto
alle altre creature, è semplicemente perché egli, avendo maggior consapevolezza, è
destinato a sentire in modo più forte la spinta della volontà e a patire maggiormente
l'insoddisfazione dei propri desideri e l'offesa dei dolori. In questo modo il filosofo
arriva a formare una delle più radicali forme di pessimismo cosmico, o metafisico, di
tutta la storia del pensiero e afferma che il male non è solo nel mondo, ma nel
principio stesso da cui esso dipende.
Espressione di un tale dolore universale non è solo la smania della volontà, ma
anche la lotta crudele di tutte le cose.Per schopenhauer uno degli esempi migliori
che riescono a spiegare alla perfezione l'auto lacerazione della volontà in una
molteplicità di parti e individui in continuo conflitto tra loro, che si contendono l'un
l'altro lo spazio e il tempo è quello della formica gigante d'Australia:
quando la si taglia, comincia una lotta fra la parte del corpo e quella della
coda; quella ghermisce questa col morso, questa si difende validamente col
pungere quella. La battaglia dura di solito una mezz'ora, finché le due parti
muoiono, o vengono trascinate via da altre formiche.
Da questa vicenda irrazionale della vita cosmica, possiamo capire come l'individuo
possegga il valore di un strumento al servizio della specie che al di là del "breve
sogno" dell'esistenza individuale, l'unico fine della natura sembra
essere quello di tramandare la vita e con esse un eterno dolore.

L'illusione dell'amore
Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie trova una sua
manifestazione emblematica nell'amore, fenomeno che Schopenhauer ritiene
basilare per l'individuo e di cui la filosofia deve quindi occuparsi. Infatti l'amore è uno
dei più forti stimoli dell'esistenza.
Il fine dell'amore, o lo scopo per cui esso è voluto dalla natura, è solo
l’accoppiamento (ed è per questo che l'atto sessuale è accompagnato da un
particolare piacere). GUARDARE PAGINA 19 PARAGRAFO “UNO STRUMENTO
PER PERPETUARE LA SPECIE”
Se l'amore è un puro strumento per mandare avanti la vita della specie, allora non
c'è amore senza sessualità. Tant’è vero che Schopenhauer afferma che ogni in
innamoramento affonderà sempre le radice nell’istinto sessuale. Ed è per questo
insieme di ragioni che l'amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come
"peccato" e "vergogna". Pertanto secondo il filosofo esso è responsabile del
maggiore dei delitti, ovvero della procreazione di altre creature destinate a soffrire;
tanto che Schopenhauer afferma che l'amore è nient'altro che «due infelicità che si
incontrano, due infelicità che si scambiano e una terza infelicità che si prepara»: per
questo l'unico amore giusto, “degno di essere mandato avanti” non è quello
generativo, ma quello disinteressato della pietà.(AGAPE)

LA CRITICA DELLE VARIE FORME DI OTTIMISMO

Uno degli aspetti più interessanti della filosofia di Schopenhauer è la critica mossa
alle varie «menzogne» o "ideologie" con cui gli uomini tentano di rivelare a se stessi i
dati negativi del vivere quindi la cruda realtà del mondo. Sebbene Schopenhauer
non dedicò interi libri a tale tematica, si possono trovare spunti di critica alle
ideologie in buona parte di essi in quanto egli fa della tecnica dello
"smascheramento" uno degli aspetti principali del suo filosofare, e proprio per questo
questo può venir considerato tra i "maestri del sospetto" della cultura moderna.
In particolare, il filosofo "sbugiarda" la filosofia accademica di Stato, affermando che
chi viene pagato per pensare non può filosofare liberamente, ma deve riflettere
rispettando le idee e i pregiudizi di chi lo paga; polemizza contro gli intellettuali e le
loro ambizioni di denaro, di potere e di gloria; si oppone inoltre alle ipocrisie
spiritualistiche sull'amore; smaschera i luoghi comuni della razionalità dell'essere e
della felicità dell'esistenza umana e soprattutto cerca di mettere a nudo la falsità di
ogni forma di ottimismo (metafisico, sociale e storico).
La polemica di Schopenhauer contro le ideologie trova come bersaglio
quell'ottimismo cosmico che circolava in buona parte delle filosofie e delle religioni
occidentali dell'epoca, ossia quello schema di pensiero che interpretava il mondo
come un organismo perfetto, governato da Dio o da una Ragione immanente
(Hegel). Per Schopenhauer questa visione, pur essendo indubbiamente
"consolatrice" per gli uomini, la ritiene palesemente falsa, poiché sostiene che la vita
è un'esplosione di forze sostanzialmente irrazionali, e il mondo, anziché essere il
regno della logica e dell'armonia, è il teatro dell'illogicità e della sopraffazione.Tutto
ciò è perfettamente verificabile, non solo nell'ambito della società, ma anche in
quello della natura, dove vige la cosiddetta "legge della giungla".

Contestando le religioni, che definisce «metafisiche per il popolo», e i sistemi teistici


(che affermano l’esistenza di Dio), Schopenhauer va ad identificarsi in un ateismo
filosofico.
Un'altra «menzogna» contro cui Schopenhauer si scaglia è la tesi della bontà e
della socievolezza dell'uomo. Schopenhauer ritiene che se non si vuole più
confondere realtà con illusioni adolescenziali è necessario ammettere che la regola
dei rapporti umani è costituita dal conflitto e dalla sopraffazione degli uomini in
maniera reciproca, e che basta poco per far si che anche gli individui che appaiono
più innocui mostrino la loro natura rabbiosa
“Vi è dunque, nel cuore di ogni uomo, una belva che attende solo il momento
propizio per scatenarsi e infuriare contro gli altri.”
Di conseguenza, se gli uomini vivono insieme non è tanto per simpatia o innata
socievolezza, ma principalmente per bisogno. L’unico modo che l’uomo utilizza per
regolamentare gli istinti aggressivi dei vari individui sono lo Stato e le leggi, create
solo ed esclusivamente per questo scopo e non per etica. Queste tesi hanno fatto sì
che il suo pensiero fosse accusato di "misantropismo" (avversione per la società e
rifiuto per ogni forma di socialità). Pertanto il pessimismo antropologico di
Schopenhauer era orientato per far scegliere agli uomini la giusta via etica che gli
permetta di capire che i rapporti umani siano basati sull'ingiustizia e che si senta
capace successivamente di sentire il desiderio di costruirne degli altri basati
sull’amore e sulla giustizia. Un altro aspetto della dottrina di Schopenhauer, che lo
contrappone all'intera cultura dell'Ottocento, è la polemica contro ogni forma di
storicismo, solo lui si era contrapposto ai dogmi storicistici diffusi in Europa in
un'epoca di innovazione in tutti i campi e da parte dell’uomo, presentandosi come <il
primo disertore dell’Europa e della sua fede nella storia> .

Schopenhauer porta una riconsiderazione della storia e degli studi che ha portato nel
corso degli anni,affermando che non è una vera e propria scienza, in quanto, i suoi
studi, si limitano ad una catalogazione dell'individuale. Per questo motivo
Schopenhauer la ritiene inferiore rispetto all'arte e alla filosofia, che mirano invece
alle strutture universali e permanenti, rivelandosi discipline più profonde e
veritiere.Infatti gli storici a furia di studiare gli uomini finiscono per cadere
nell’illusione e a perdere di vista l’uomo, che di epoca in epoca muta, facendo
distogliere così lo storico dalla realtà. In merito a questo Schopenhauer sostiene
che anche andando sotto le apparenze scopriremo che dietro la vita di ogni
uomo di ogni epoca il destino presenterà sempre gli stessi caratteri essenziali
e a tratti immutabili: nascita, sofferenza, morte.
Con questo Schopenhauer vuole farci capire che la storia non è altro che il ripetersi
del medesimo dramma nel corso del tempo nella stessa maniera in tutto il mondo e
in ogni epoca (nascere, morire, innamorarsi, invecchiare etc..). Ciò che riteneva più
giusto Schopenhauer era cercare di spogliare la storia e far prendere coscienza
all’uomo del fatto che l’umanità si trova nel medesimo e perpetuo stato di dolore e il
suo obiettivo era quello di metterlo a tacere inseguendo un mutamento e un
progresso illusorio; in conclusione il compito della storia dovrebbe essere quello
di offrire all’uomo la coscienza di sé e del proprio destino

LE VIE DELLA LIBERAZIONE DEL DOLORE


Per Schopenhauer la vita non era altro che un perpetuo dolore, al di là di qualsiasi
apparenza ingannevole; il filosofo giunge ad affermare che l'esistenza, proprio in
virtù del dolore che la costituisce, risulta una cosa tale che si impara poco per volta a
non volerla.
Da questa conclusione si potrebbe pensare che il sistema filosofico di Schopenhauer
miri ad una filosofia del suicidio universale”, quando in realtà lo stesso filosofo
condanna tale atto per due motivi:
a) perché «il suicidio, lungi dall'essere negazione della volontà, è invece un atto di
forte affermazione della volontà stessa», in quanto il suicida «vuole la vita ed è
solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate», per cui, anziché negare
veramente la volontà, egli nega piuttosto la vita;
(b) perché il suicidio sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà
di vivere, e lascia intatta la cosa in sé, la quale, pur morendo in un individuo, rinasce
in mille altri, simile al sole che, appena tramontato da un lato, risorge dall'altro.

Pertanto Schopenhauer ritiene che la vera risposta al dolore del mondo non
consiste nell’eliminazione di quest’ultimo tramite il suicidio, ma bensì liberarsi dalla
stessa volontà di vivere. Però in merito a questo ci si può porre un quesito, ovvero,
com’è possibile liberarsi della volontà se è la stessa che costituisce l’intera
essenza dell’uomo?
riparti da qui: Più che soffermarsi su di una vera e propria giustificazione teorica di
questo passaggio-chiave del suo pensiero, Schopenhauer preferisce richiamare
l'attenzione sull'esistenza di individui eccezionali (geni dell'arte, santi, eremiti,
mistici...) che in tutti i tempi hanno intrapreso il cammino della liberazione di se stessi
dalla volontà di vivere e dalla tirannia, a essa connessa, dei bisogni e dell'egoismo. Il
filosofo intende così dimostrare che, allorquando perviene alla «coscienza di sé», la
voluntas tende a farsi noluntas, cioè negazione progressiva di se medesima. In altre
parole, è con la presa di coscienza del dolore e con il disinganno di fronte alle
illusioni dell'esistere che prende avvio il cammino di liberazione dell'individuo.
Schopenhauer articola l'iter salvifico dell'uomo in tre momenti essenziali:
-L’arte
-La morale
-L’ascesi

L’arte
Mentre la conoscenza scientifica è imbrigliata nelle forme dello spazio e del tempo, e
sottomessa ai bisogni della volontà, l'arte è una conoscenza libera che si rivolge
alle idee, ovvero alle forme pure, o a tutti quei modelli eterni delle cose: quindi
i fenomeni si mostrano nella loro immutabilità ( questo amore=l’amore). E di
conseguenza anche il soggetto che contempla le idee, ovvero gli aspetti universali
della realtà, non è più l'individuo naturale sottoposto alle esigenze della volontà,
quindi quasi un subordinato ad essa, ma il puro soggetto del conoscere, anche detto
il puro occhio del mondo

Per Schopenhauer l'arte appaga l’uomo e lo allontana dai bisogni quotidiani e grazie
a essa l'uomo riesce ad elevarsi al di sopra della volontà, del dolore e del tempo.
Le varie arti corrispondono ai modi di rappresentazione della realtà e si possono
ordinare gerarchicamente: a partire dall'architettura, che corrisponde al livello più
basso (quello della volontà che si manifesta nella materia inorganica), fino alla
scultura, alla pittura e alla poesia, che hanno per oggetto le idee del mondo
vegetale, animale e umano. Altri tipi di arte è la tragedia, che costituisce
l'autorappresentazione del dramma della vita e la musica, che si pone come
immediata rivelazione della volontà a se stessa. Schopenhauer afferma che la
musica è una delle arti più profonde e universali, ed è capace di metterci in
contatto, al di là dei limiti della ragione, con le radici stesse della vita e
dell'essere.
Per Schopenhauer in conclusione ogni arte è liberatrice poichè produce piacere e
facendosi spazio tra la conoscenza della volontà e fa cessare il continuo bisogno
dell’uomo. Anch’essa però è temporanea ha come l’effetto di un breve
incantesimo, ma nonostante questo è l'unico conforto della vita umana.

L'etica della pietà

A differenza della contemplazione estetica, che è un trasognato estraniarsi dalla


realtà, la morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. L’etica
non è altro che il tentativo di superare l’egoismo e di mettere fine alle lotte tra
l’uomo che conati tu iscono una delle maggiori fonti di dolore per
quest’ultimo. Schopenhauer sostiene che l'etica non deriva né dalle categorie
dettate dalla ragione, né da un ragionamento astratto, ma soltanto da un'esperienza
vissuta, ovvero da un sentimento di «‹pietà», o di «compassione», che ci fa
percepire le sofferenze altrui come se fossero le nostre.
Non basta solo sapere che la vita è dolore e che tutti soffrono, ma secondo
Schopenhauer bisogna sentire questa verità nel profondo del nostro essere.
Pertanto, non è la conoscenza a produrre la moralità, ma è la moralità a produrre la
conoscenza.Tramite la pietà, infatti una buona parte dei filosofi è arrivato alla
conclusione, attraverso la formula Tat Twan Asi («questo vivente sei tu»), che il
tormentatore e il tormentato, distinti fenomenicamente, siano noumenicamente una
stessa realtà.
“Soltanto per un sogno illusorio il malvagio si crede separato dagli altri e dal
loro dolore,ma il rimorso temporaneo e la duratura angoscia che
accompagnano i suoi misfatti costituiscono l'oscura consapevolezza dell'unità
del volere cosmico. Per questa ragione, se ogni malvagità è un disconoscimento
dell'unità primordiale degli esseri, ogni atto di pietà è invece il riconoscimento di
essa, che va oltre il velo di Maya del fenomeno e oltre il principium individuationis
dello spazio e del tempo,attraverso i quali gli enti appaiono moltiplicati “ (non
capisco se sia importante o no)
La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità (o agápe):e
carità
- la giustizia, che è un primo freno all'egoismo, ha un carattere negativo, poiché
consiste nel non fare il male e nell'essere disposti a riconoscere agli altri ciò che
siamo pronti a riconoscere a noi stessi;
-la carità si identifica invece con la volontà positiva e attiva di fare del bene al
prossimo.
L’agápe, a differenza dell’eros, è un’amore disinteressato, quindi un amore
autentico e quindi pietà. In conclusione,la morale o la pietà consistono nel far nostra
la sofferenza di tutti gli essere passati e presenti e assumere il loro dolore su di noi.
L'ascesi
Anche se implica una vittoria ”eccezionale” sull'egoismo, la morale rimane pur
sempre all'interno della vita e ha un qualche attaccamento a essa. Per questo
Schopenhauer non si accontenta di conoscere,tradurre e approfondire l'esperienza
della pietà,ma cerca e si concentra su una liberazione totale non solo dall'egoismo e
dall'ingiustizia, ma dalla stessa volontà di vivere. Questa liberazione si raggiunge
con l'ascesi.
L'ascesi, che nasce dall'«orrore» dell'uomo,è l'esperienza attraverso la quale
l'individuo, cessa di volere la vita e il volere stesso, e decide di eliminare il
proprio desiderio di esistere, di godere e di volere.
Il primo gradino dell'ascesi è costituito dalla
- «castità perfetta», che libera dalla prima e manifestazione della volontà di vivere,
cioè dall'impulso alla generazione e, quindi, al continuo della specie.
-La rinuncia ai piaceri, l'umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e l'auto
macerazione, sono le altre manifestazioni tipiche dell'ascetismo,e hanno tutte lo
stesso obiettivo, ovvero eliminare la volontà di vivere dalle proprie catene.
Basta che tale volontà sia eliminata da un solo individuo per far sì che si estingua in
tutti gli altri, in quanto è una sola.

La soppressione della volontà di vivere, è l'unico vero atto di libertà che sia
possibile all'uomo. La coscienza del dolore come essenza del mondo è un capace di
vincere il carattere stesso dell'individuo e le sue tendenze naturali. Quando succede
ciò, l'uomo diventa finalmente libero, si rigenera ed entra in quello stato che i cristiani
chiamano "di grazia".
Nel cristianesimo l'ascesi si conclude con l'estasi, che è lo stato di unione con Dio,
mentre nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino verso la salvezza mette
capo al nirvana buddista, ovvero all'esperienza del nulla: un nulla - si badi bene -
che,secondo quanto insegnano i testi e i maestri dell'Oriente, non è il niente, bensì
un nulla relativo al mondo.
Dopo la dopo la soppressione completa della volontà rimane il nulla a coloro che ne
sono ancora pieni. Ma per gli altri, in cui la volontà si è rinnegata, questo nostro
universo tanto reale,è anch’esso il nulla.
In altre parole, a differenza del mondo, con tutte le sue illusioni, le sue sofferenze e i
suoi rumori, che sono il nulla,il nirvana è un tutto, cioè un oceano di pace, uno
spazio luminoso di serenità, in cui le stesse nozioni di "io" e di "soggetto" si
dissolvono.
Secondo un punto di vista molto diffuso tra i critici, la teoria "orientalistica" dell'ascesi
costituisce la parte più debole e contraddittoria del sistema schopenhaueriano.
Nonostante le critiche, come tante altre che sono state mosse o che si potrebbero
muovere a Schopenhauer, non devono tuttavia far perdere di vista né la sua
denuncia della realtà del dolore, né la portata demistificatrice del suo filosofare, né la
profondità di molte sue analisi, coincidenti, almeno a livello di "fenomenologia della
condizione umana", con le voci più alte della sapienza di tutti i tempi. La ricchezza di
motivi del suo pensiero, del resto, è confermata dall'ampia serie di influssi che esso
ha esercitato sulla cultura successiva.

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