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LE RADICI CULTURALI
IL VELO DI MAYA
TUTTO E’ VOLONTA’
Schopenhauer dice :”quando io vivo il mio corpo, invece di renderlo un oggetto tra gli
altri, lo sottraggo all’approccio fenomenizzante, cioè smetto di usare spazio, tempo e
causalità. Ecco perché, una volta individuata la volontà come essenza noumenica
del mio corpo, so che tale essenza non si può riferire solo al mio corpo, ma deve
essere l'essenza profonda dell'intera realtà”. Tra i molti temi della filosofia di
Schopenhauer è quello che è stato tra i più discussi,sia dai critici sia da studiosi che
hanno trovato questo pensiero come una rivalutazione dell'individuo nella sua
interezza, una riscoperta dell'uomo nella pienezza delle sue facoltà.
Essendo "al di là" del fenomeno, la volontà di vivere presenta caratteri contrapposti a
quelli del mondo della rappresentazione, in quanto, si sottrae alle forme proprie di
quest'ultimo (spazio, tempo e causalità).Si può dire quindi che la volontà
primordiale è inconscia, poiché la consapevolezza e l'intelletto costituiscono
soltanto delle manifestazioni secondarie. Il termine "volontà", indica il concetto più
generale di energia, o impulso (tanto che Schopenhauer attribuisce la volontà anche
alla materia inorganica e ai vegetali).
In secondo luogo,la volontà risulta unica, poiché esistendo al di fuori dello spazio e
del tempo, che hanno la caratteristica di dividere e di moltiplicare gli enti, si sottrae a
ciò che i filosofi del Medioevo chiamavano «principio di individuazione”.
Infatti Schopenhauer ritiene che la volontà sia in un individuo e in tutti gli individui.
Essendo oltre la forma del tempo, la volontà è anche eterna e indistruttibile,un
principio senza inizio, né fine.
Essendo al di là della categoria di causa, e quindi di ciò che Schopenhauer
denomina «principio di ragione», la volontà si configura anche come una forza
libera o come energia incausata, senza un perché e senza uno scopo. Infatti noi
possiamo cercare la “ragione" di questa o di quella manifestazione fenomenica della
volontà, ma non della volontà stessa, non ha alcuna meta oltre se stessa: la vita
vuole la vita, la volontà vuole la volontà, e qualunque motivazione o scopo cadono
entro l'orizzonte del vivere e del volere.
Miliardi di esseri (vegetali, animali, umani) non vivono che per vivere e continuare a
vivere. Questa, è l'unica crudele verità sul mondo, che gli uomini hanno cercato di
"mascherare" invocando un Dio al quale finalizzare la loro vita e in cui trovare un
"senso" per le loro azioni. Ma Dio, nell'universo doloroso di Schopenhauer, non può
esistere e l'unico assoluto è la volontà stessa, i cui caratteri di fondo, cioè il fatto di
essere unica, eterna e incausata, sono, non a caso, i caratteri che da sempre i
filosofi hanno conferito a Dio.
Schopenhauer ritiene che l'unica e infinita volontà di vivere si manifesti nel mondo
fenomenico attraverso due fasi distinguibili:
(a) nella prima, la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, a-spaziali e
a-temporali, che egli chiama platonicamente idee e che considera alla stregua di
archetipi del mondo;
b) nella seconda, la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che
sono nient'altro che la moltiplicazione, vista attraverso lo spazio e il tempo, delle
idee. Tra gli individui e le idee esiste un rapporto di copia-modello, per cui i singoli
esseri risultano semplici riproduzioni dell'unico prototipo originario che è l'idea.
Il mondo delle realtà naturali si struttura a propria volta in una serie di "gradi" disposti
in ordine ascendente:
- il grado più basso dell'oggettivazione della volontà è costituito dalle forze generali
della natura,
-i gradi superiori dalle piante e dagli animali. Questa sorta di piramide cosmica" si
conclude nell'uomo, nel quale la volontà diviene pienamente consapevole. Ma ciò
che essa acquista in coscienza, perde in sicurezza: come guida della vita, infatti, la
ragione è meno efficace dell'istinto, e questo è il motivo per cui Schopenhauer
afferma che l'uomo, in un certo senso, è un «animale malaticcio».
IL PESSIMISMO
Dolore, piacere e noia
Affermare che l'essere è la manifestazione di una volontà infinita equivale a
dire, secondo Schopenhauer, che la vita è dolore per essenza. Infatti, “volere”
significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione per la
mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Per definizione, quindi, il desiderio è
assenza, vuoto e dolore. E poiché nell'uomo la volontà è più cosciente, e quindi più
"affamata", rispetto agli altri esseri, proprio l'uomo risulta il più bisognoso e mancante
tra loro, destinato a non trovare mai un appagamento vero e definitivo.
Questo perché, il volere dell’uomo dipende dal bisogno, da cui deriva l’appagamento
il quale è di breve durata. Appena l’appagamento svanisce, nell’uomo ritorna il
bisogno di qualcosa,la realizzazione di qualche desiderio, la mancanza di qualcosa;
quindi mancanza=sofferenza.
Inoltre ciò che gli uomini chiamano "godimento" (fisico) o '"gioia" (psichica) non è
altro che cessazione di dolore, ovvero "scaricarsi" di una tensione preesistente:
perché ci sia piacere deve esserci stato per forza uno stato di dolore (ad esempio, il
godimento del bere presuppone la sofferenza della sete).
La stessa cosa non vale per il dolore, in quanto un individuo può sperimentare una
serie di dolori, senza che questi siano preceduti da altrettanti piaceri. Pertanto,
mentre il dolore, identificandosi con il desiderio, che è la struttura stessa della vita, è
"negativo" un dato primario e permanente, il piacere è solo una funzione derivata del
dolore, che vive dell'umana felicità unicamente a spese di esso. Infatti il piacere
riesce a vincere il dolore solo a patto di annullare se stesso, poiché, non appena
viene meno lo stato di tensione del desiderio, cessa anche la possibilità del
godimento.
Accanto al dolore, che è una dura realtà, e al piacere, che invece è qualcosa di
momentaneo, Schopenhauer aggiunge, come terza situazione di base dell'esistenza
umana, la noia, la quale subentra quando viene meno il desiderio oppure quando
cessano le attività e le preoccupazioni. La vita umana, conclude Schopenhauer, è
come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando
attraverso l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.
Dato che il dolore costituisce la legge profonda della vita, ciò che distingue tra loro le
situazioni e i casi umani sono il diverso modo o le diverse forme di manifestazione di
tale dolore.
La sofferenza universale
L'illusione dell'amore
Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie trova una sua
manifestazione emblematica nell'amore, fenomeno che Schopenhauer ritiene
basilare per l'individuo e di cui la filosofia deve quindi occuparsi. Infatti l'amore è uno
dei più forti stimoli dell'esistenza.
Il fine dell'amore, o lo scopo per cui esso è voluto dalla natura, è solo
l’accoppiamento (ed è per questo che l'atto sessuale è accompagnato da un
particolare piacere). GUARDARE PAGINA 19 PARAGRAFO “UNO STRUMENTO
PER PERPETUARE LA SPECIE”
Se l'amore è un puro strumento per mandare avanti la vita della specie, allora non
c'è amore senza sessualità. Tant’è vero che Schopenhauer afferma che ogni in
innamoramento affonderà sempre le radice nell’istinto sessuale. Ed è per questo
insieme di ragioni che l'amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come
"peccato" e "vergogna". Pertanto secondo il filosofo esso è responsabile del
maggiore dei delitti, ovvero della procreazione di altre creature destinate a soffrire;
tanto che Schopenhauer afferma che l'amore è nient'altro che «due infelicità che si
incontrano, due infelicità che si scambiano e una terza infelicità che si prepara»: per
questo l'unico amore giusto, “degno di essere mandato avanti” non è quello
generativo, ma quello disinteressato della pietà.(AGAPE)
Uno degli aspetti più interessanti della filosofia di Schopenhauer è la critica mossa
alle varie «menzogne» o "ideologie" con cui gli uomini tentano di rivelare a se stessi i
dati negativi del vivere quindi la cruda realtà del mondo. Sebbene Schopenhauer
non dedicò interi libri a tale tematica, si possono trovare spunti di critica alle
ideologie in buona parte di essi in quanto egli fa della tecnica dello
"smascheramento" uno degli aspetti principali del suo filosofare, e proprio per questo
questo può venir considerato tra i "maestri del sospetto" della cultura moderna.
In particolare, il filosofo "sbugiarda" la filosofia accademica di Stato, affermando che
chi viene pagato per pensare non può filosofare liberamente, ma deve riflettere
rispettando le idee e i pregiudizi di chi lo paga; polemizza contro gli intellettuali e le
loro ambizioni di denaro, di potere e di gloria; si oppone inoltre alle ipocrisie
spiritualistiche sull'amore; smaschera i luoghi comuni della razionalità dell'essere e
della felicità dell'esistenza umana e soprattutto cerca di mettere a nudo la falsità di
ogni forma di ottimismo (metafisico, sociale e storico).
La polemica di Schopenhauer contro le ideologie trova come bersaglio
quell'ottimismo cosmico che circolava in buona parte delle filosofie e delle religioni
occidentali dell'epoca, ossia quello schema di pensiero che interpretava il mondo
come un organismo perfetto, governato da Dio o da una Ragione immanente
(Hegel). Per Schopenhauer questa visione, pur essendo indubbiamente
"consolatrice" per gli uomini, la ritiene palesemente falsa, poiché sostiene che la vita
è un'esplosione di forze sostanzialmente irrazionali, e il mondo, anziché essere il
regno della logica e dell'armonia, è il teatro dell'illogicità e della sopraffazione.Tutto
ciò è perfettamente verificabile, non solo nell'ambito della società, ma anche in
quello della natura, dove vige la cosiddetta "legge della giungla".
Schopenhauer porta una riconsiderazione della storia e degli studi che ha portato nel
corso degli anni,affermando che non è una vera e propria scienza, in quanto, i suoi
studi, si limitano ad una catalogazione dell'individuale. Per questo motivo
Schopenhauer la ritiene inferiore rispetto all'arte e alla filosofia, che mirano invece
alle strutture universali e permanenti, rivelandosi discipline più profonde e
veritiere.Infatti gli storici a furia di studiare gli uomini finiscono per cadere
nell’illusione e a perdere di vista l’uomo, che di epoca in epoca muta, facendo
distogliere così lo storico dalla realtà. In merito a questo Schopenhauer sostiene
che anche andando sotto le apparenze scopriremo che dietro la vita di ogni
uomo di ogni epoca il destino presenterà sempre gli stessi caratteri essenziali
e a tratti immutabili: nascita, sofferenza, morte.
Con questo Schopenhauer vuole farci capire che la storia non è altro che il ripetersi
del medesimo dramma nel corso del tempo nella stessa maniera in tutto il mondo e
in ogni epoca (nascere, morire, innamorarsi, invecchiare etc..). Ciò che riteneva più
giusto Schopenhauer era cercare di spogliare la storia e far prendere coscienza
all’uomo del fatto che l’umanità si trova nel medesimo e perpetuo stato di dolore e il
suo obiettivo era quello di metterlo a tacere inseguendo un mutamento e un
progresso illusorio; in conclusione il compito della storia dovrebbe essere quello
di offrire all’uomo la coscienza di sé e del proprio destino
Pertanto Schopenhauer ritiene che la vera risposta al dolore del mondo non
consiste nell’eliminazione di quest’ultimo tramite il suicidio, ma bensì liberarsi dalla
stessa volontà di vivere. Però in merito a questo ci si può porre un quesito, ovvero,
com’è possibile liberarsi della volontà se è la stessa che costituisce l’intera
essenza dell’uomo?
riparti da qui: Più che soffermarsi su di una vera e propria giustificazione teorica di
questo passaggio-chiave del suo pensiero, Schopenhauer preferisce richiamare
l'attenzione sull'esistenza di individui eccezionali (geni dell'arte, santi, eremiti,
mistici...) che in tutti i tempi hanno intrapreso il cammino della liberazione di se stessi
dalla volontà di vivere e dalla tirannia, a essa connessa, dei bisogni e dell'egoismo. Il
filosofo intende così dimostrare che, allorquando perviene alla «coscienza di sé», la
voluntas tende a farsi noluntas, cioè negazione progressiva di se medesima. In altre
parole, è con la presa di coscienza del dolore e con il disinganno di fronte alle
illusioni dell'esistere che prende avvio il cammino di liberazione dell'individuo.
Schopenhauer articola l'iter salvifico dell'uomo in tre momenti essenziali:
-L’arte
-La morale
-L’ascesi
L’arte
Mentre la conoscenza scientifica è imbrigliata nelle forme dello spazio e del tempo, e
sottomessa ai bisogni della volontà, l'arte è una conoscenza libera che si rivolge
alle idee, ovvero alle forme pure, o a tutti quei modelli eterni delle cose: quindi
i fenomeni si mostrano nella loro immutabilità ( questo amore=l’amore). E di
conseguenza anche il soggetto che contempla le idee, ovvero gli aspetti universali
della realtà, non è più l'individuo naturale sottoposto alle esigenze della volontà,
quindi quasi un subordinato ad essa, ma il puro soggetto del conoscere, anche detto
il puro occhio del mondo
Per Schopenhauer l'arte appaga l’uomo e lo allontana dai bisogni quotidiani e grazie
a essa l'uomo riesce ad elevarsi al di sopra della volontà, del dolore e del tempo.
Le varie arti corrispondono ai modi di rappresentazione della realtà e si possono
ordinare gerarchicamente: a partire dall'architettura, che corrisponde al livello più
basso (quello della volontà che si manifesta nella materia inorganica), fino alla
scultura, alla pittura e alla poesia, che hanno per oggetto le idee del mondo
vegetale, animale e umano. Altri tipi di arte è la tragedia, che costituisce
l'autorappresentazione del dramma della vita e la musica, che si pone come
immediata rivelazione della volontà a se stessa. Schopenhauer afferma che la
musica è una delle arti più profonde e universali, ed è capace di metterci in
contatto, al di là dei limiti della ragione, con le radici stesse della vita e
dell'essere.
Per Schopenhauer in conclusione ogni arte è liberatrice poichè produce piacere e
facendosi spazio tra la conoscenza della volontà e fa cessare il continuo bisogno
dell’uomo. Anch’essa però è temporanea ha come l’effetto di un breve
incantesimo, ma nonostante questo è l'unico conforto della vita umana.
La soppressione della volontà di vivere, è l'unico vero atto di libertà che sia
possibile all'uomo. La coscienza del dolore come essenza del mondo è un capace di
vincere il carattere stesso dell'individuo e le sue tendenze naturali. Quando succede
ciò, l'uomo diventa finalmente libero, si rigenera ed entra in quello stato che i cristiani
chiamano "di grazia".
Nel cristianesimo l'ascesi si conclude con l'estasi, che è lo stato di unione con Dio,
mentre nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino verso la salvezza mette
capo al nirvana buddista, ovvero all'esperienza del nulla: un nulla - si badi bene -
che,secondo quanto insegnano i testi e i maestri dell'Oriente, non è il niente, bensì
un nulla relativo al mondo.
Dopo la dopo la soppressione completa della volontà rimane il nulla a coloro che ne
sono ancora pieni. Ma per gli altri, in cui la volontà si è rinnegata, questo nostro
universo tanto reale,è anch’esso il nulla.
In altre parole, a differenza del mondo, con tutte le sue illusioni, le sue sofferenze e i
suoi rumori, che sono il nulla,il nirvana è un tutto, cioè un oceano di pace, uno
spazio luminoso di serenità, in cui le stesse nozioni di "io" e di "soggetto" si
dissolvono.
Secondo un punto di vista molto diffuso tra i critici, la teoria "orientalistica" dell'ascesi
costituisce la parte più debole e contraddittoria del sistema schopenhaueriano.
Nonostante le critiche, come tante altre che sono state mosse o che si potrebbero
muovere a Schopenhauer, non devono tuttavia far perdere di vista né la sua
denuncia della realtà del dolore, né la portata demistificatrice del suo filosofare, né la
profondità di molte sue analisi, coincidenti, almeno a livello di "fenomenologia della
condizione umana", con le voci più alte della sapienza di tutti i tempi. La ricchezza di
motivi del suo pensiero, del resto, è confermata dall'ampia serie di influssi che esso
ha esercitato sulla cultura successiva.