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Schopenhauer

Nasce a Danzica nel 1798. La mamma è una scrittrice. Il papà si suicida. Decide
di studiare filosofia presso l’università di Gottinga. Lì segue dei corsi che lo
avvicinano a Platone e a Kant. Si trasferisce a Berlino e in un primo momento è
attratto dalla filosofia di Fichte, poi matura una forte avversione. La sua tesi di
laurea è “Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente” è una
dissertazione importante, poiché è una riflessione personale relativa alla critica
nei confronti dell’idealismo. Non lo giudica un’esatta continuazione del
platonismo. La madre teneva dei salotti letterari, e lì conosce Goethe, che lo
introduce allo studio della filosofia indiana. Risentirà molto dei testi sapienziali
indiani. Anche con la madre subisce traumi molto forti, perché era una donna
molto libera. Dunque Schopenhauer va via e si reca a Dresda nel 1814 circa. Lì
respira il nuovo idealismo, un clima culturale che caratterizzerà la sua ricerca. A
Berlino sarà un professore universitario di grande rispetto, e lì incontrerà Hegel,
con cui avrà uno scontro molto forte. Si inizia un contrasto insanabile. Ebbe una
serie di difficoltà perché dato che Hegel rappresentava il maestro più
importante del tempo, il suo scontro con lui gli procurò molti guai. Era
disprezzato e isolato. È costretto ad abbandonare Berlino, prendendo come
scusa il colera. Si reca a Francoforte, dove pubblica “Parerga e Paralipomena”,
frutto di una vita travagliata. È un testo divulgativo della sua filosofia e del
punto di riflessione che maggiormente gli interessa. Sono due termini che
hanno un significato importante, “aggiunte e omissioni”. Sono trattazioni di
argomenti che aveva volutamente omesso nelle altre opere, e riesce ad avere
una certa popolarità. Morirà però nel 1860 a Francoforte. “Sulla quadruplice
radice del principio di ragion sufficiente” è considerata la sua opera chiave,
perché fu dapprima la sua tesi di laurea, ma, poiché teneva molto al contenuto
di questa dissertazione, la rielabora dopo aver scritto “Il mondo come volontà e
rappresentazione”, che rappresenta in maniera completa tutto il suo pensiero.
Schopenhauer parte da una riflessione sul funzionamento della facoltà
conoscitiva. La prospettiva è quella del criticismo kantiano. Platone e Kant lo
condizioneranno fortemente. Indaga la dinamica del processo della
conoscenza. La conoscenza secondo lui presuppone il principio di ragione
sufficiente. Questo principio era già stato indagato da Leibniz, e stabilisce che
ogni effetto prevede una causa, che soltanto a posteriori i soggetti possono
individuare certe ragioni e spiegare perché in certe situazioni si verifichino
certe situazioni invece che altre. Soltanto Dio può stabilirle a priori. Il principio
di ragion sufficiente si applica ai giudizi, e non può individuare alcuna causa
della realtà. Ciò che noi chiamiamo “mondo” è solo la rappresentazione che ci
siamo fatti del mondo. È come se chiamassimo albero un quadro che ritrae
l’albero. Si esamina la corrispondenza tra un concetto, un essere e la
rappresentazione attraverso il concetto dell’essere stesso. Schopenhauer
afferma che la conoscenza non può andare oltre la rappresentazione. È un
principio di ragion sufficiente, che va conosciuto perché l’uomo si renda conto
delle sue reali possibilità gnoseologiche. Il principio di il qgions ufficiante deve
essere analizzato nelle sue diverse radici (Empedocle), che sono origini, e sono
4. Si riferiscono al modo in cui i fenomeni sono connessi tra di loro, dunque la
conoscenza della realtà. Schopenhauer individua queste radici sulla base dei
vari tipi di oggetti delle nostre rappresentazioni, e assegna loro una
denominazione in latino: il principio di ragion sufficiente del divenire, quello del
conoscere, quello dell’essere e quello dell’agire. Il principio di ragion sufficiente
del divenire riguarda le cause dei cambiamenti che sono in atto nella realtà, e si
applica alle scienza (fisica, chimica, geologia). Quello del conoscere è usato in
tutti i aggiornamenti che partono da alcune premesse e giungono ad una
conclusione. Si applica alla logica e alle scienze classificatorie (botanica,
zoologia, mineralogia). Poi abbiamo quello dell’essere, che si riferisce alle
connessioni essenziali dell’essere, cioè spazio e tempo (enti matematici e
misurabili). Si applica dunque alla matematica. Quello dell’agire si riferisce alle
situazioni che prevedono l’azione dell’uomo, e quindi alla storia, etica,
psicologia (studia le cause delle azioni). Il principio di ragion sufficiente del
divenire è il modo che ci consente di intuire i fenomeni. Il presupposto di
Schopenhauer è che la conoscenza umana si occupa di intuizioni, costituite da
due elementi: quello formale e quello materiale. Il primo è l’elemento spazio
temporale, il secondo è il nesso causa effetto. Spazio e tempo sono intuizioni
pure entro cui collocare la materia. Affinché il mondo abbia un senso, è
necessario che si congiunga l’elemento formale e l’elemento materiale. La
prospettiva influenza il modo di concepire i fenomeni. Le cose che percepiamo
sono individuate nello spazio e nel tempo, che dunque sono il loro principio di
individuazione. La causalità o il principio di ragion sufficiente del divenire è il
modo con cui l’intelletto intuisce il mondo come rappresentazione fenomenica.
Le cose ci appaiono in un certo spazio, in un certo tempo e in un rapporto di
causa effetto con le altre cose. Dobbiamo reinterpretare Kant e Hegel in
maniera nuova.

Leggerà Leopardi. Polemizza in maniera pesante nei confronti di Fichte e Hegel,


dicendo che il loro è un disgustoso gergo filosofico, annullando il senso stesso
del loro sapere. Si dichiara l’unico erede legittimo della filosofia kantiana.
Ritiene che Kant abbia avuto il merito di avere confutato in maniera definitiva il
realismo spontaneo. Il realismo spontaneo sostiene che noi percepiamo ciò che
in realtà è, ciò che vediamo. Il mondo invece è una sorta rappresentazione, c’è
poco di realismo oggettivo. Per Schopenhauer il mondo è un mondo di
fenomeni, è una nostra rappresentazione. I fenomeni si offrono al soggetto
attraverso le forme a priori della sensibilità e dell’intelletto. È immediato il
legame con la fenomenologia kantiana che Hegel ha stravolto. Hegel scrive la
fenomenologia dello spirito, ma è Kant a trattare il fenomeno nella sua
accezione più pura. Schopenhauer dirà “il mondo è la mia rappresentazione”.
La rappresentazione non è conoscenza perché mi accosta al mondo dei
fenomeni che si offrono al soggetto attraverso le forme a priori della sensibilità
e dell’intelletto. Schopenhauer si accosta a Kant ripensando la sua gnoseologia
criticista. Schopenhauer va a rivedere il soggetto conoscente, il fenomeno, la
cosa in sé e le forme a priori. C’è una polarità soggetto-oggetto. Là coscienze
comuni credono di sapere, e chi supera la certezza comune (sensibile) sa con
certezza di non conoscere. Il soggetto è la condizione di ogni fenomeno, di
ogni oggetto. È una relazione reciproca, perché non si ha soggetto conoscente
senza la rappresentazione di un oggetto. Vuole semplificare l’impianto
ideologico kantiano, riducendolo a tre forme a priori: spazio, tempo e causalità.
La causa in Aristotele era a fondamento della teoria del divenire (passaggio
dalla potenza all’atto). Quando diciamo causalità esprimiamo il principio
secondo cui ogni cosa presuppone una causa per esistere, cioè per divenire.
Spazio e tempo restano legati alla loro concezione matematica-geometrica e
pitagorica. Sono strumenti di misurazione. Gli altri strumenti aristotelici
attraverso cui Schopenhauer combatte il platonismo hegeliano sono il principio
di ragion sufficiente e il principio di individuazione. L’intelletto opra in modo
immediato, perché elabora il dato sensibile attraverso un procedimento
inconscio. L’intelletto proietta nello spazio e nel tempo la sua rappresentazione
dell’oggetto. Schopenhauer ritiene che l’intelletto operi sulle impressioni dei
sensi in modo immediato. L’intelletto proietta la sua rappresentazione
dell’oggetto all’esterno, nello spazio e nel tempo. Dunque si differenzia da Kant,
perché per Schopenhauer il giudizio appartiene alla ragione. La conoscenza
intellettuale è intuitiva e immediata, precede la riflessione e il linguaggio.
Spazio, tempo e causalità costruiscono il mondo fenomenico, ovvero la
rappresentazione. Il mondo fenomenico per Schopenhauer è un sistema di
relazioni degli oggetti tra di loro e degli oggetti col nostro corpo. Niente di
sussistente per sé è indipendente, come niente di singolo è isolato. Nulla può
esistere senza un fondamento, e questo fondamento è il principio di ragion
sufficiente. La volontà in sé non ha corrispondenti fenomenici. Nell’opera sul
quadruplice principio di ragni sufficiente spiega il mondo come lo
rappresentiamo secondo le dimensioni della causalità (dinamiche di relazione
causale). Nelle prime te forme di causalità rappresentazione e fenomeno
coincidono, nella quarta, principio di ragione sufficiente dell’agire, accade
qualcosa di diverso. Io agisco spinto dalla volontà. Se l’atto di volontà si
manifesta come fenomeno ed è riconducibile ad una qualche causa (causa
agendi), la volontà in sé stessa non si manifesta in un fenomeno, ed è
impossibile risalire alla sua causa. Schopenhauer focalizza la sua attenzione sul
concetto di volontà. Il mondo è una mia rappresentazione, rielabora la filosofia
kantiana, da cui si dichiara colpito. In questo modo si mette in contraddizione
con l’idealismo. Privilegia il criticismo. La tesi da cui muove la filosofia di
Schopenhauer è l’oggetto del suo testo. “Il mondo è una mia rappresentazione”
sarà il titolo della sua opera in cui riprende la filosofia kantiana. Significa che le
cose esistono nella misura in cui io le conosco. Sono una rappresentazione del
soggetto conoscente. Indago il mondo come rappresentazione. La filosofia si
pone il compito di indagare il soggetto conoscente e i modi del suo conoscere.
“Rappresentare” viene da re + ad + presentare (presentare di nuovo a
qualcuno). La rappresentazione è l’oggetto per il soggetto. La rappresentazione
non esiste di per se, indipendentemente da noi, e non è soltanto l’esito di
un’attività del soggetto, ma sono necessari soggetto e oggetto, che sono legati
tra di loro come i due lati di un foglio. Tutta la prima parte dell’opera è dedicata
alla rappresentazione, e quando Schopenhauer tratta di quest’ultima elabora
una teoria gnoseologica a partire dalla gnoseologia kantiana, basata sulle forme
a priori. Il soggetto conoscente non è oggetto della conoscenza, è esterno al
fenomeno che osserva. Per essere conosciuto il soggetto deve diventare
oggetto a se stesso, aumenti è fonte della rappresentazione del mondo ma non
è rappresentabile come soggetto. La conoscenza sensibile e la conoscenza
intellettuale sono intuitive. Per Kant solo la conoscenza sensibile era intuitiva. Il
nostro modo di conoscere il mondo comporta, oltre a spazio e tempo, la forma
a priori della causalità. Il mondo è volontà e rappresentazione. Il mondo è la mia
volontà. Gli uomini non gradiscono io fatto che il mondo sia la loro volontà, non
sono d’accordo nel ridurre il mondo a rappresentazione. Il mondo non si può
ridurre soltanto alla mia rappresentazione, ma anche alla volontà. La
rappresentazione è immediatamente dipendente dal soggetto e dalle sue
capacità gnoseologiche. La volontà non è qualcosa di corrispondente alla
rappresentazione. Prima di approdare al concetto di verità, seguiamo il
percorso che lo induce a definire il mondo come volontà. Se il mondo è una mia
rappresentazione è fondato sulle leggi dell’io, di cui l’io non è soggetto.
Distinguiamo la realtà dal sogno perché la realtà per Kant è fenomeno, il sogno
è noumeno. Schopenhauer dice che non è vero che ciò che non è realmente
esistente non possa esistere, perché anche i sogni hanno la loro logica, anzi
forse la vita è un lungo sogno (Cartesio). Per Schopenhauer le connessioni
interne alla vita e al sogno sono le stesse, solo che la vita è di lunga durata, ha
maggiore continuità, ma è illusoria tanto quanto i sogni. L’illusione è un sogno,
e la vita è illusione. La vera essenza del mondo è il suo essere un sogno. Il
mondo è la rappresentazione della vita. Il fenomeno più particolare è il nostro
corpo, che per un verso è oggetto tra gli oggetti, ma per l’altro non è solamente
oggetto, non è una rappresentazione come le altre, perché è il tramite col quale
entriamo in contatto con gli altri oggetti. È una rappresentazione immediata del
soggetto, tutti gli altri corpi, le altre rappresentazioni sono mediati dal mio
corpo. La rappresentazione del corpo precede quella delle altre cose. Noi
viviamo il nostro corpo dall’interno. Il corpo che vediamo allo specchio è un
corpo assieme agli altri corpi, ma quando ci svegliamo e apriamo gli occhi non
lo è. L’immagine del nostro corpo non sempre corrisponde all’idea che ci
eravamo fatti. Grazie al corpo cogliamo la volontà di vivere; nel nostro corpo c’è
qualcosa che non emerge dalla rappresentazione, che ha a che fare con i
desideri, con i dolori. Voliamo entro di noi un impulso ad esistere e ad agire.
Ogni nostro atto corrisponde a un movimento del corpo, di cui abbiamo
un’intuizione immediata. Ogni piacere, ogni dolore possono essere piaceri e
dolori favorevoli e contrari alla volontà di vivere. Il corpo, oltre che una mia
rappresentazione, è l’oggettivazione, la manifestazione concreta della volontà
di vivere. Ma il mondo della volontà non è soggetto alle regole normali della
rappresentazione, perché la volontà ha regole proprie. La volontà è una forza
cieca, irrazionale, che precede il mondo dei fenomeni. Così rompe in Hegel, che
diceva che ciò che è reale è razionale. Anche l’uomo è una manifestazione
nell’ambito del mondo dei fenomeni. La volontà è un processo privo di ordine,
logica e svincolato dalla causalità. Si contrappone ai modi in cui ordiniamo
razionalmente tutto il mondo del reale. La volontà viene a coincidere con una
sorta di energia che accomuna l’uomo ad ogni altro ente. L’uomo non è libero
soggetto della volontà, è la volontà che vuole in lui. La volontà non è
rappresentabile. È indipendente rispetto ai principi di ragion sufficiente. Agisce
su tutto, non è soggetta al principio di individuazione, non ha un “qui e ora”.
Sono rappresentabile i fenomeni della volontà, i suoi effetti oggettivi e corporei.
La volontà si oggettiva, e l’oggettivazione fenomenica della volontà può essere
rappresentata. Per Kant il fenomeno è il modo in cui la realtà si presenta agli
esseri umani. L’uomo studia il fenomeno. Per Schopenhauer il fenomeno è pura
apparenza, non si distingue dal sogno se non per la durata. Il noumeno per Kant
è un concetto limite, è qualcosa a cui possiamo accostarci soltanto con
l’immaginazione. Per Schopenhauer il noumeno è ciò che si nasconde dietro al
fenomeno. Il noumeno è conoscibile (Platone, la vera essenza è nell’iperuranio).
Maya è il velo dell’illusione. La sapienza Indiana definisce la conoscenza del
mondo come illusoria. Individuiamo Maya che copre la realtà, ottenebra gli
occhi dei mortali. Il mondo è lo scintillio del sole sulla sabbi: il viaggiatore da
lontano pensa che sia acqua, e invece è sabbia. Il velo di Maya viene lacerato
dal dolore. Calandoci nell’esperienza laceriamo l’illusione è cogliamo la vera
essenza del mondo, che è la volontà. La volontà mira a riprodursi, a
perpetuarsi. È una forza che si autogenera. È una sorta di divinità, è eterna e
immutabile, ma non ha scopo o causa. La volontà è dolore del vivere che
accompagna ogni cosa, perché ogni creatura scopre un’assenza di scopo. La
vita non ha un suo senso. Nella vita è presente l’assenza di ogni scopo. La
volontà è fine a se stessa. Non è vero che si può realizzare la giustizia o
conoscere la verità. La volontà governa senza scopo questo ciclo senza fine di
nascita e morte, non c’è finalismo. Ha come unico scopo la perpetrazione di se
stessa. Il mondo è pervaso da una dolorosa lotta che rende l’uomo schiavo della
volontà di vivere e incapace di opporsi a essa. La volontà si oggettiva in due
fasi: le forme immutabili e la realtà. La volontà si esprime attraverso le forme
immutabili, simili a ciò che Platone aveva definito idee, che sono modelli,
sostanze archetipiche. Di tali idee gli individui sono copie concrete e mutevoli
calate nello spazio e nel tempo, e costituiscono la seconda forma di
oggettivazione. Si stratifica una gerarchia, il cui grado più basso è costituito
dalle cose inanimate, poi le piante, gli animali, e l’uomo, nel quale la volontà è
consapevole, ma ciò rende l’uomo ancora più incerto, instabile e debole. La vita
per Schopenhauer è sofferenza, il dolore è la forza che affligge il mondo. Il
piacere è fugace, momentaneo. La creatura più infelice di tutti è il genio, in cui
la consapevolezza è pienamente raggiunta. Se le privazioni causano il dolore,
quando raggiungo un piacere. Il dolore interessa le classi povere, la noia
interessa i ricchi. In entrambi i casi si giunge verso il nulla, perché la vita è priva
di significato. La società e l’amore sono inganni della volontà. La società è il
patetico tentativo di creare una solidarietà nella dimensione accomunante del
dolore. L’amore non ha a che fare con la spiritualità, ma è legato al desiderio di
sopravvivere. La storia non ha senso, la vita è vuota. La prima via di liberazione
dalla volontà è l’arte, che è in grado di sottrarci momentaneamente al mondo
del dolore, perché propone una visione universale delle cose epurata dal
dolore. Si volge alla contemplazione della bellezza, delle idee che
rappresentano una realtà diversa. L’arte è opera del genio, che meglio di ogni
alto conosce l’essenza della vita, è solo chi la conosce pienamente ha lo
strumento per liberarsene. L’arte è rivalutata rispetto a Platone, che la
considerava copia delle copie. Le arti hanno una gerarchia, e a vincere è la
musica. Ogni arte corrisponde a un grado diverso di manifestazione della
volontà. Il più basso è l’architettura, poi la scultura. La musica non si limita a
esprimere le idee, ma manifesta la volontà in se stessa. Non ha mediazioni, è
l’arte più universale che esprime il principio. Tutte le altre arti sono immagine
delle idee. Nell’etica della compassione ciascuno sente come proprie le
sofferenze altrui, e ne trae il senso di solidarietà, che va a coronare il valore
della giustizia. Il prossimo è rappresentato non dal “tu”, ma dal genere umano.
La giustizia in Platone era l’idea del giusto in sé. Era giusto che ognuno facesse
ciò per cui era predisposto. Tutti gli esseri vivono in una condizione di dolore.
Schopenhauer parla di giustizia eterna, che non sono le norme del diritto che
devono tutelare le persone, perché non sopprimono la rivalità tra gli uomini.
L’uomo deve tenere conto della giustizia eterna, secondo cui il dolore del
mondo colpisce tutti. Carnefice e vittima sono tutt’uno. La distinzione tra di loro
è apparenza. La giustizia universale è afflizione per tutti. Ogni essere porta
sulle sue spalle il peso dell’esistenza (mito di Sisifo). Da questa giustizia può
nascere una rassegnazione cosmica, un’accettazione passiva degli eventi. È la
rassegnazione tipica del buddismo, che insegna a rinunciare ai desideri. Se
ogni fenomeni è espressione della volontà come forza priva di governo, pare
non esserci alcuna libertà, perché se siamo sottoposti a questa forza cieca non
siamo liberi. La conoscenza dell’essenza del mondo come sofferenza rende
possibile un atto di liberazione dalla cieca volontà. Non è libertà di fare, ma è
una libertà negativa. Quando Schopenhauer parla del dolore universale dice
che riguarda tutti nella stessa maniera, perché tutti sono rivolti verso un
principio, che è il dolore. La libertà non è “libertà di” ma “libertà da”. Grazie
all’amor verso il prossimo leniamo il dolore ma non lo eliminiamo. L’uomo
sapiente vuole liberarsi del molteplice e aspira all’essenziale. Bisogna superare i
limiti dolorosi dell’esistenza. Il suicidio è inadeguato perché irrazionale. Vado a
potenziare la forza irrazionale. L’ascesa è elevarsi oltre le passioni e i desideri. Il
percorso che deve fare l’uomo per liberarsi dalla volontà di vivere termina con
l’ascesi. Fino a quando ho il desiderio ho l’anelazione verso ciò che mi manca
che mi crea malessere.

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