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EMANUELE SEVERINO.

Discussioni intorno al senso della verità

Nel nostro tempo è sempre più dominante la convinzione che la verità, qualsiasi forma di verità,
abbia un carattere storico e pragmatico: la verità non è al di sopra del tempo e della storia, ma è un
certo stato provvisorio e controvertibile della conoscenza, che permane ed è affermato sino a che
esso sia in grado di realizzare certi scopi. Questa prospettiva è la negazione del carattere di
incontrovertibilità, universalità, necessità, che a partire dalla filosofia greca, lungo la tradizione
dell’Occidente, e non solo nell’ambito del pensiero filosofico, è stata assegnata alla verità. Oggi,
conoscenza vera è quella che in certe circostanze spazio-temporali determinate riesce a prevedere e
trasformare il mondo più di altre forme di conoscenza. La verità è potenza, azione, prassi vincente e
nel nostro tempo la potenza vincente è ritenuta la tecnica guidata dalla scienza moderna.
E si ritiene che la crescita della potenza scientifica sia determinata dalla progressiva modificazione
e sostituzione delle teorie scientifiche, che tendono tutte – anche quelle che un tempo erano intese
come verità incontrovertibili – ad acquistare il carattere di leggi statistico-probabilistiche, ossia di
verità storiche e pragmatiche. Anche la matematica riconosce che i propri principi sono postulati,
ipotesi che non pretendono avere un valore assoluto, incontrovertibile.
D’altra parte la tesi che ogni verità ha un carattere storico-pragmatico non può evitare il cosiddetto
“argomento contro lo scettico”, per il quale questa tesi, presentandosi come verità incontrovertibile,
smentisce se stessa. Per evitare questa conseguenza – cioè questa contraddizione – la tesi del
carattere storico-pragmatico della verità ha finito col presentare se stessa come verità storico-
pragmatica, controvertibile. Molto prima che questa prospettiva fosse affermata da filosofi dell’area
anglosassone come Richard Rorty, essa è stata affermata in Italia da filosofi come Ugo Spirito,
discepolo di Giovanni Gentile. Va comunque osservato che è proprio perché non si rinuncia alla tesi
della controvertibilità di ogni verità che ci si propone di darle una forma non contraddittoria,
riconoscendo il carattere controvertibile, storico-pragmatico di questa stessa tesi. Dove però è
chiaro che, in questa forma apparentemente radicale di negare l’incontrovertibilità, si riconosce un
carattere di verità incontrovertibile all’argomento contro lo scettico; e poiché questo argomento
mostra la presenza di una contraddizione nella tesi assoluta del carattere controvertibile di ‘ogni’
verità, in quella forma apparentemente radicale di negazione dell’incontrovertibile si riconosce un
carattere di incontrovertibilità anche al principio di non contraddizione.
Con queste considerazioni si intende dire che la forma ‘autenticamente’ più radicale – anche se
tendenzialmente inosservata – della filosofia del nostro tempo è un’altra: non è né scetticismo né
quella forma apparentemente’ radicale di negare la verità che riconosce la propria controvertibilità,
storicità, pragmaticità. Nella sua forma autenticamente più radicale la filosofia del nostro tempo non
nega ogni verità incontrovertibile, ma nega ogni verità incontrovertibile e immutabile che pretenda
porsi al di sopra dell’unica fondamentale verità incontrovertibile, e permanente fino a che qualcosa
esiste, consistente nella tesi che ogni verità diversa da questa tesi è travolta dal tempo, dalla storia,
dal divenire del mondo.
A questo punto si tratterebbe di vedere ‘perché’ questa sia l’unica fondamentale verità
incontrovertibile. Giacché non basta ‘asserire’, come oggi per lo più accade, che non esiste alcuna
verità metastorica, metafisica, assoluta, definitiva, che non esiste alcun Essere immutabile e
necessario, alcun Fondamento, alcun Centro assoluto, alcun Senso assoluto del mondo. Oggi si dà
per lo più come scontato tutto questo. Ma nella sua essenza più profonda la filosofia del nostro
tempo mostra determinatamente la ‘necessità’ di tutto questo, e lo mostra sul fondamento della fede
che l’esistenza del divenire e della storicità di ogni cosa e di ogni verità, sia la suprema verità
incontrovertibile, essa stessa destinata ad annientarsi quando non esisterà più alcuna coscienza del
mondo.
E, tuttavia, non solo c’è una ‘dimensione che è comune sia alla concezione tradizionale della verità,
sia alla distruzione di tale concezione’ (alla distruzione operata appunto dall’essenza del pensiero
filosofico del nostro tempo), ma, al di là di questa dimensione, la verità è ‘destinata’ a un senso che
‘non’ appartiene alla storia dell’Occidente (e tanto meno dell’Oriente) ma che già da sempre appare
in ciò che vi è di più profondo in ognuno di noi. Noi siamo questo ‘destino’.
(Emanuele Severino, Discussioni intorno al senso della verità, Edizioni ETS, PISA 2009, pp. 9 –
11) (Il discorso sarà ripreso e sviluppato in prossimi post fino a presentare le risposte di Severino
alle critiche che da più parti gli vengono rivolte).

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