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UCRONIA

L ’utopia nella storia

Schizzo storico apocrifo


dello sviluppo della civiltà europea
non come è stato, ma come avrebbe potuto essere

Traduzione ed introduzione
di
Franco Paris
Collana diretta da:
Anselm o Cassani
Enzo Melandri
Franco Paris

© Faenza Editrice S .p .A ., 1984


Via Firenze, 276
48018 Faenza (Ra)

Uelironie
(L'Utopie dans riiisioire)
Deuxième édition, Paris, 1901.
(prima edizione, Parigi, 1876)
O fra ti, dissi, che per cento milia
Perigli siete giunti ufi’occidente (...)
Non vogliate negare l ’esperienza
Di retro al sol, dei mondo sanza gente.
Considerate (a vostra semenza:
Fatti non fo ste a viver come bruti.
M a per seguir viriate e conoscenza.
Dante, Inferno, c.X X V I, 112-20.
Indice

Ucronia e intelligenza storica....................................................... ................. p. I


Premessa del curatore.....................................................
Appendice senza titolo, I parte ............................................... p.9
Primo Q uadro.........................................................................................p. 21
Secondo Q uadro.....................................................................................p. 43
Terzo Q u ad ro .......... .............................................. .p. 68
Quarto Q uadro....................................................
Quinto Q uadro.......... ........................................................................... p. 121
Appendice, Il parte................................................................................p . 169
Appendice, III parte..................................................
Appendice, III parte, (1715)................................................................... p. 221
Nota finale del curatore .........................................
Ucronia e intelligenza storica
di F. Paris
(Introduzione all’edizione italiana di Ch. Renouvier, Uchronie)

0. — Da diverso tempo il dibattito teorico sulla natura delle scienze umane ha


messo in evidenza una serie di problemi metodologici che hanno rilevanza determi­
nante per il loro sviluppo scientifico. Man mano che la riflessione critica sulle scien­
ze ha raggiunto traguardi e problemi significativi, ha lasciato un segno nel dibattito
sulle scienze umane e sociali che ha permesso di mettere a punto sistemi di indagine
nuovi, che ha chiarito il ruolo stesso della "spiegazione” nella ricerca storica, eco­
nomica, psicologica, ecc.
È stata una critica indubbiamente fertile quella che ha messo a nudo l’inade­
guatezza delle teorie e delle metodologie storicistico-idealiste, per le quali, in ultima
analisi, solo una filosofia universale è in grado di dare un significato ai fatti umani,
anzi essi accadono in rapporto al fine che la filosofia assegna all’uomo.
Se oggi questi problemi sono sufficientemente chiari, non è da oggi che diverse
pratiche e metodologie vengono usate e proposte nell’ambito delle scienze umane, in
particolare della storia, che fra esse è senza dubbio la più antica.
1. — In questo quadro viene riproposto Uchronie di Charles Renouvier che,
con un esempio concreto, propone alla riflessione e alla ricerca storica una metodo­
logia diversa da quella che gli storici comunemente svolgono. Se la storia non è mera
descrizione di fatti, non è una pura e semplice narrazione, ma è comprensione di ciò
che è avvenuto per avere una coscienza più chiara del presente, uno studio ucronico
può servire a far comprendere che “ ogni cambiamento considerevole apportato un
momento qualsiasi della storia ha ripercussioni che modificano gli avvenimenti se­
guenti e li trasformano a poco a poco fino a renderli alla fine irriconoscibili” ; per­
ché infine "'Ucronia non è altro che l’abbozzo di una scelta fra le trasformazioni
possibili” (I).
Vucronia quindi non è storia; non può essere letta come tale, può tuttavia per-

(1)C. Renouvier, Ucronia, Faenza, 1983, p..,.


©
metterci di capire meglio la storia e, con essa, il presente in cui viviamo; di conse­
guenza può essere considerata uno strumento di lavoro dello storico. A sostegno di
questa tesi si possono citare infiniti esempi di uso del condizionale controfattuale,
da parte degli storici, che non nasce da gusto retorico o vezzo stilistico (2). L ’affer­
mazione che Yucronia non è storia, ma solo un possibile strumento dello storico, va
fatta per liberare il campo dal dilemma necessità-contingenza del divenire storico.
Non è questa la sede per affrontare tale tona; di conseguenza vengono a cadere im­
mediatamente le obiezioni di chi, come Abbagnano, afferma che una volta ammessa
la contingenza del divenire storico nessuno può essere in grado di dominarne le dire­
zioni. Men che meno può valere l’obiezione crociana che la storia “ non si fa coi se” .
L’opposizione a uno studio ucronico può venire solo da chi presuma che il divenire
storico sia totalmente necessario o, viceversa, assolutamente contingente istante per
istante.
La storia che qui si propone di considerare è scienza, vuole spiegare razional­
mente i fatti che espone e, così facendo, ridurli in qualche modo dentro ‘ ’valori” og­
gettivi. Tutto questo non può essere fatto senza adottare in qualche modo un princi­
pio di causalità, indipendentemente dalla concezione del fatto storico come dato
contingente o necessario (3). È il suo significato, c non la possibilità che si verifichi o
no, l’oggetto della ricerca storica e, nella ricerca del significato storico dei fatti, può
avere valore anche cercare di immaginare come potesse essere cambiato il corso de­
gli eventi, introducendo in un certo momento una variazione.
2. — Si apre cosi il problema del valore delle scienze umane e sociali, deH’ogget-
tività scientifica del loro risultato. Se la storia è in qualche modo scienza non può
abbandonare la pretesa dell’oggettività del proprio sapere. Questa, a sua volta, ri­
chiede, al di là delle scelte ideologiche, una oggettivazione preliminare della propria
materia di indagine, senza di che non è possibile porre alcun problema scientifico,
venendo meno la possibilità stessa della comunicazione. Tale oggettivazione non
presuppone un’unica metodologia, ma è posta dal linguaggio. Come ricordava We­
ber, «non già le connessioni di fatto delle “ cose” , bensì le connessioni concettuali
dei problemi stanno alla base dei compiti di lavoro delle scienze: dove si procede ad
affrontare con un nuovo metodo un nuovo problema e si scoprono in tale maniera
delle verità le quali aprono importanti punti di vista, là sorge una nuova “ scienza’ ’» (4).
Del resto chi può dire che uno storico, anche quando pretende di ricostruire sol-

(2) “ Tuttavia non è affatto oziosa questa impostazione problematica, la quale cerca che cosa avrebbe po­
tuto avvenire se ad esempio Bismarck non si fosse deciso alla guerra. Poiché essa concerne appunto
Taspetto decisivo per l’elaborazione storica della realtà: quale significato causale debba essere propria­
mente attribuito a questa decisione individuale entro la totalità dei momenti, infinitamente numerosi, i
quali dovevano essere disposti proprio così e non altrimenti affinché potesse derivarne quel risultato e
quale posto quindi le spetti nella rappresentazione storica” . M , Weber, II metodo delle scienze storico­
sociali, Torino, 1974, p. 208.
(3) Cf. G .H . Von Wright, Causalità e determinismo. Faenza, 1981.
(4) M. Weber, // metodo delle scienze storico-sociali, Torino, 1974, p. 79.

II
tanto il passato, non usi il metodo ipotetico-deduttivo nel proprio operare (5)? Pro­
prio l’attuazione di tale metodologia rende legittimo l’uso di apparati logici che in
qualche modo possono aiutare lo storico in un’analisi scientifica del materiale di ri­
cerca e della conseguente ricostruzione del problema. Nel suo procedere Io storico
oggettiva in qualche modo i concetti di possibilità, contingenza e necessità. Perché
dovrebbe allora vietarsi una tale caratterizzazione oggettiva in una situazione “ ir­
reale” ? In ogni scienza, anche naturale, cdi uso corrente la spiegazione condiziona­
le controfattuale.
Il condizionale controfattuale si esprime col periodo ipotetico dell’irrealtà, al
presente o al passato, nel quale viene negata l’apodosi. È certamente vero che molto
spesso storici letterati hanno usato questo giudizio in chiave meramente retorica (6),
ma non si può da ciò trarre la conclusione che esso risponda soltanto a esigenze stili-
stico-letterarie. Quando Machiavelli dice: “ Se Manlio fusse nato ne’ tempi di Ma­
rio o di Siila (...) avrebbe avuti quegli medesimi seguiti e successi” (7), non vuole
solo ottenere effetti retorici, vuole invece penetrare più a fondo il senso dei fatti e ri­
cavarne materia di giudizio sul presente c sul futuro. Ma la storia può legittimamen­
te pretendere una sua capacità predittiva come ogni scienza naturale e ogni legge
scientifica? E non torna fuori in questo modo la concezione pedagogieo-storicista
della historìa magistra vitae? La questione non è di poco momento perché investe la
natura della storia in quanto scienza.
Credo si possa dare una risposta positiva ai primo interrogativo, ribadendo pe­
rò che oggetto della storia non sono i fatti in sé, ma le relazioni che su di essi siamo
in grado di istruire. Ne deriva, conscguentemente, una risposta negativa ai secondo,
perché, come qualsiasi conoscenza scientifica, anche quella storica ha unicamente
un valore ermeneutico nel quale vengono a identificarsi spiegazioni e comprensioni (8).
Il controfattuale si rivela così strumento importante nella formazione della co­
noscenza storica, particolarmente in una storia a tesi. Il suo uso, va riconosciuto,
può prestarsi anche alle più amene stravaganze (9), ma non per questo dev^ essere

(5) Cf. W. Dray, Leggi e spiegazione in storia> Milano 1974. Dello stesso autore cf. anche Fitosojia e co­
noscenza storica, Bologna, 1973 e H. Albert, Storta e legge: per la critica dello storicism o metodologico,
in Rivista di f ilosofia, N. 10, 1978.
(6) “ li ponte Sublido avrebbe permesso il passaggio ai nemici, se Orazio Coelite non l’avesse impedito” ;
questo passo di Tiro Livio può essere riscritto In questi termini: Orazio Coelite impedì ai nemid il passag­
gio sul ponte Sublicio; il senso non risulterebbe alterato; è questo un uso stilistico letterario.
.(7) M. Machiavelli, Discorsi sopra la prim a deca di Tito Livio, III, 8.

(8) Cf. G .IL Von Wright, op. cit., pp. 44^45.


(9) “ Se fosse rimasta nella Palestina, molto probabilmente [la religione cattolica] sarebbe stata una dette
tante sètte che fiorivano in quell’ambiente arroventato, come ad esempio quelle degli Esseni e dei Tera­
peuti, e molto probabilmente si sarebbe spenta senza lasciare traccia di se” . Questo passo del discorso te­
nuto alla Camera il 14 maggio del (929 da Mussolini rappresenta quello che ho definito un uso stravagan­
te del controfattuale e per poco non provocò un incidente diplomatico fra lo Stato italiano e la Santa S e­
de, l’ultima cosa che Mussolini avrebbe pensato,

I II
abortita: quella scandinava dei secoli IX e X . Toynbee prova a immaginare cosa sa­
rebbe successo se i Vichinghi “ fossero riusciti, anziché fallire nell’intento, a prende­
re Costantinopoli nell’860, Parigi nell’885-86 e Londra nell*895, che Rollone non
fosse stato convertito da Carlo il Semplice nel 911, né Svyatoslav non fosse stato
sconfìtto da Giovani Zimisceno nel 972; che a cavallo fra i secoli X e XI dell’Era cri­
stiana i colonizzatori scandinavi di Groenlandia fossero riusciti, anziché fallire
nell’intento, a prender piede sul continente nordamericano; e che i colonizzatori
scandinavi di Russia, dopo essersi impadroniti, come fecero delle vie navigabili del
Dnieper e del Volga, avessero proceduto a far uso di queste posizioni-chiave non per
incursioni occasionali nelle provincie caspiane del Califfato abbasside, ma per
esplorare e dominare l’intera rete navigabile che dà accesso all’Estremo Oriente at­
traverso la distesa dell’Euroasia” (15). Tutto questo per immaginare gli “ strani ri­
sultati che potevano seguire se i pagani avessero adeguato le gesta degli Achei e, cac­
ciando il cristianesimo nella clandestinità, stabilito in tutta l’Europa occidentale la
loro cultura pagana come la sola e unica discendente della civiltà ellenica in questa
zona” (16).
Dovremmo ora chiederci perché Toynbee abbia ipotizzato tali successioni di
fatti irreali, per giunta in contrasto con tutto il senso del proprio lavoro. La sua ri­
sposta è agevole e chiara: se le civiltà rappresentano il campo unitario di uno studio
storico, non è possibile una loro reale comprensione se non ci si pone la domanda
del “ perché le civiltà nascono e decadono” e a tale domanda non si può dare una ri­
sposta convincente, e di conseguenza non si può dire di possedere una vera com­
prensione del fenomeno storico indagato, se non si esaminano anche le possibili evo­
luzioni che non si realizzarono. Infatti, dice Toynbee, “ nessuna di queste sette sup­
posizioni è azzardata o fantastica; e se possiamo permetterci di postularle tutte, o
anche solo una maggioranza di esse, [come verificatesi] nell’immaginazione, otterre­
mo una ricostruzione del corso della storia che forse ci sorprenderà” (17).
Secondo Toynbee dunque, comprende veramente la storia chi riesce a riporta­
re, pur nella metodologia rigorosamente empirica alla quale non vuole venire meno,
il corso degli eventi entro una legge generale, o se si vuole, entro un’ipotesi di lavoro
verificata dai fatti e capace di metterci in condizione di capire dove siamo e verso
dove andiamo.
5. — Se per Toynbee il controfattuale assume le vesti di un racconto minuzioso
che consente una comprensione più profonda del processo storico, in Max Weber è.
necessario per mettere in evidenza la “ possibilità oggettiva” di fatti che, pur non es­
sendosi mai realizzati, hanno una loro efficacia esplicativa. Per Weber infatti lo sto­
rico deve “ intendere la realtà della vita che ci circonda e nella quale siamo inseriti,

(15) A. Toynbee, op. cit., App. VI a II I), l.a perduta primogenitura dell’abortiva civiltà scandinava, p.
303.
(16) A. Toynbee, Le civiltà nella storia, cit., p. 215.
(17) A. Toynbee, Genesi delle civiltà, cit., p. 303.

vi
nel suo proprio carattere ” , deve cioè “ intendere da un lato la connessione e il signi­
ficato culturale dei fenomeni particolari [della vita che ci circonda] nella loro odier­
na configurazione, e dall’altro i fondamenti del suo essere divenuto cosi-e-non-
altrimenti” (18). Il controfattuale ha dunque valenza storica e non ucronica.
La condizione perché tutto questo possa essere messo in atto è il tipo ideale che
rappresenta la condizione esplicativa adeguata di ogni fatto scientifico. La cono­
scenza storica è infatti per Weber costruzione di significati: “ intendere oltre che
constatare l’agire umano” ; sono proprio questi significati che rappresentano le rela­
zioni fra i fatti. È indubbio in questo caso che solo la ricerca causale diventa l’asse
portante di una conoscenza storica che pretenda il titolo di scienza; e ricerca causale
significa costruzione di relazioni che determinano un significato attraverso ‘ 'l ’ac­
centuazione unilaterale di uno o alcuni punti di vista, e mediante la connessione di
una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti, esistenti qui in maggiore e là
in minore misura, e talvolta anche assenti [questo corsivo è mio] corrispondenti a
quei punti di vista unilateralmente posti in luce in un quadro concettuale in sé unita­
rio” (19).
Se questo è il quadro teorico di riferimento, il lavoro dello storico sta nel con­
statare la “ maggiore o minore distanza della realtà dal quadro ideale” . Il tipo ideale
si rivela cosi come un mezzo che orienta il giudizio nella ricerca. Non è un’ipotesi, né
una rappresentazione del reale, pur intervenendo nell’elaborazione dell’ipotesi e
fornendo alla rappresentazione elementi significativi. La conoscenza storica è perciò
sempre utopia, non nel senso che promuove la conoscenza del dover essere, ma solo
e unicamente in senso logico, si tratta cioè “ di connessioni che appaiono motivate in
misura plausibile alla nostra fantasia e quindi “ oggettivamente possibili” , cioè ade­
guate nei confronti del nostro sapere nomologia)” .
Ne deriva che non sarà mai possibile definire a priori se il tipo ideale sia un puro
gioco concettuale o una elaborazione scientificamente feconda. In questo modo il ti­
po ideale diventa la condizione che permette di esaminare in maniera differenziata
diversi piani problematici legati alle diverse scienze sociali evitando cosi tutte le con­
fusioni che spesso, ancor oggi, vengono lamentate. Rifiutare questo modo di proce­
dere, rifiutare il tipo ideale come “ costruzione teoretica” , considerarlo uno stru­
mento inadatto o, per lo meno, non indispensabile alla conoscenza concreta signifi­
ca già di per sé impiegare, coscientemente o no, categorie simili senza averne però
fornito una definizione sul piano linguistico e una elaborazione su quello scientifico
e, per Weber, “ nulla è più pericoloso di una mescolanza di teoria e storia” che pre­
tenda di passare dal piano ideale a quello reale, di fissare in un quadro concettuale
“ l’essenza” della realtà storica.
Compito del lavoro scientifico è rimanere ancorato al piano concettuale, elabo­
rare cioè quei concetti-limite ideali a cui misurare e comparare la realtà; infatti com-

(18) M. Weber, op. cit.f p. 84,


(19) M. Weber, op. c i t p. 108.

V II
biamo trovate quasi verosimili; ci hanno condotto di miracolo in miracolo al­
la divinità di una vergine e alla infallibilità di un lama. Siamo almeno alla f i ­
ne? E tutto per aver avuto fin da! principio pietà dei poveri filosofi, la cui ri­
gidezza non diventava più umana con la poesia della favola.
In vero le bellezze della tradizione vedica, buddista, druidica e altre so­
no entrate in concorrenza con le bellezze del medioevo. L e dottrine e le infa­
tuazioni dovrebbero compensarsi. Purtroppo ce ne è una che trae un vantag­
gio incomparabile sia dalle usanze popolari, sia dagli interessi oligarchici che
si raggruppano sempre intorno ad essa. Questa trae vantaggio da sola di tutta
la reazione che il determinismo borico conduce contro la filosofia e contro la
ragione. Cosi, rimanendo ferm o il pregiudizio deila necessità, il nodo di que­
sta reazione è nel culto della storia; e come potrebbe essere diversamente?
Abbiamo visto che la filosofia, la religione e le arti avevano anch’esse
reagito trasformandosi in modo da essere prim a di tutto storia. Gli storici si
sono proposti di vivere la vita del passato: hanno capito tutto, il male e il be­
ne, la necessità de! mate, le giustificazioni del delitto e meglio ancora la sua
indispensabile utilità. Si sarebbero credute persone poco intelligenti, menti
anguste, filistee, se avessero pensato che in Persia fo sse possibile non essere
Persiani. Hanno quindi sposato i pregiudizi di ogni epoca, con la sola illusio­
ne che i testimoni sono solitifarsi sul momento: ¡ ’illusione di immaginare che
anche la cosa che accade potrebbe non accadere come accade.
Pensatori ancora più arditi, formando con fatti e ipotesi mascherate tutta
la catena e la trama della storia, e leggendo l ’avvenire ne! passato, hanno fissa­
to la sorte dell’umanità futura. Purtroppo questi grandi scrittori, questi illu­
stri professori, questi costruttori del destino, che da giovani ingenuamente
abbiamo applaudito, questi uomini dalla mente smisuratamente aperta, sa­
pevano bene perché ogni avvenimento era quello che avrebbe dovuto essere,
iyi compreso l ’avvenimento di ieri; ma non sapevano nemmeno in maniera
grossolana perché, come e quale sarebbe stato domani. Questa inspiegabile
lacuna del loro metodo di previsione li ha posti nella triste alternativa di pro­
starsi davanti al presente, che negarono e disapprovarono anticipatamente
quando era ancora futuro o dì condannare alcuni fatti del presente inevitabili
secondo loro, di cui sono obbligati a presentare una giustificazione non ap­
pena essi li trovano iscritti nel passato. Tutti sanno come da dolorosi disin­
ganni provati per questa filosofia della storia sia caduto il credito dei nostri
professori e dei falsi profeti, ancor prima che noi fossim o immersi nelle ulti­
me sciagure dove la loro scienza cerca vanamente di riconoscersi.
Lo spirito del fatalism o storico è vinto, ma non si arrende. Nello stato
attuale di ostinazione delle dottrine e di sfacelo delle idee, abbiamo pensato
che /TJcronìa di un monaco del X V I secolo, potrebbe non essere per noi un

6
totale anacronismo.
Non ci facciam o la minima illusione. Non ignoriamo né la potenza delle
abitudini intellettuali, né la difficoltà di fare accogliere dagli uomini la re­
sponsabilità che verrebbe loro dal credere nell’efficacia delle loro libere vo­
lontà, anziché nella comoda tranquillità dett’ottimismo: sarebbe il rinnova­
mento definitivo del genere umano, l ’avvento di un uomo nuovo chiamato
così a maggior ragione di quello che nessuno ha ancora visto in viso, il nuovo
uomo del Vangelo. Ucronia non aspira a tanto. Ammettiamo che essa non
sia veramente un segno dei tempi, un piccolissimo inizio di qualche cosa di
grande; vediamoci solo una convinzione, una direzione di spirito tutto perso­
nale, oggi come tre secoli fa . Esaminiamo allora questo fatto curioso e cifa c ­
cia pensare. È per lo meno un invito ai nuovi partigiani, seri, forse troppo
poco risoluti, di una libertà umana, reale nel passato che ha costruito e che
avrebbe potuto non costruire e ricca di un immenso avvenire, il cui punto
centrale deve essere la sua affermazione.
Il curatore chiede scusa al lettore per questa ambiziosa prefazione, così
poco conveniente alla modestia del suo stato. M a poiché ha fatto tanto da
elevarsi in questi alti paraggi, invece di annunciare una semplice curiosità let­
teraria, crede indegno di se stesso e del suo pubblico entrare nei dettagli del
manoscritto e della sua traduzione che possono interessale un archeologo.
Si è occupato del pensiero ed è sufficiente.
Gli antiquari consultino e verifichino il testo, rincrescerà poco dover lo­
ro rifiutarne la visione (1), poiché si f a poco caso ad antichità come quelle. Il
latino è senza valore, la paleografia qui non serve; il pensiero è tutto; qccolo
indirizzato a tutti quelli che leggono. Ne approfitti chi può.
Il sottotitolo che abbiamo adottato, dopo molte incertezze: “ Storia del­
la riviltà europea non come è stata, ma come avrebbe potuto essere” , indica
l ’oggetto morale del libro, non il soggetto propriamente detto, né l ’ipotesi
che ne costituisce il nucleo. Era difficile fare meglio dell’enunciare in termini
generali il pensiero nuovo ed il genere insolito. Abbiamo appena spiegato co­
me deve intendersi lo sviluppo di questo pensiero. Quanto a ll’ordine da se­
guire, crediamo di dover mettere a ll’inizio dell’opera la parte dell’appendice
finale dove si trova detto tutto quello che noi sappiamo dell’origine e delle
prime avventure di Ucronia. L a seconda e la terza parte della stessa appendi­
ce ci è sembrato offrissero una conclusione adatta per l ’insieme della nostra
pubblicazione e le abbiamo lasciate alla fine.

(1) li proprietario attuale del manoscritto ne è molto geloso, e rifiuta inoltre di essere nominato. Biasi*
miamo questa decisione, m a dobbiamo rispettarla.

7
#
Appendice senza titolo
di un autore del XVII secolo
che può servire da prefazione

Ai miei bambini.
Questo scritto mi è stato lasciato da mio padre, c ve lo leggo, figli miei; vi confermerà i
miei insegnamenti nel prepararvi a giudicare il passato, a conoscere il male delle passioni che
questo vi ha trasmesso, e quello delle opinioni sulle quali i nostri contemporanei sono soliti di­
scutere, Desidero che siate liberati da questi luoghi comuni come lo sono stato io.
Mìo padre, di cui ricorderete il viso triste e ¡'inalterabile dolcezza, fu per lungo tempo un
enorme enigma anche per suo figlio. C ’era un segreto nella sua vita: lo si sarebbe dovuto sup­
porre ma non Io si sapeva e anch’io, come tutti, Pignoravo. Le stesse conseguenze possono
spiegarsi in tanti modi; quello più semplice è spesso non spiegarsele; è anche il più sicuro.
Avrei molto cercato e fatte molte supposizioni senza scoprire ii segreto di mio padre.
Si era stabilito ad Amsterdam e vi occupava, quando nacqui, un modesto impiego presso
la banca che vi si stava istituendo (1).
Si sapeva che era francese di nascita, ma nessuno avrebbe potuto dire per quali motivi
avesse lasciato il suo paese, ne perché la sua conoscenza del mondo, che non potevà sempre
evitare di fare apparire, fosse tanto supcriore al suo stato e nemmeno per quali casi fortunati
uno straniero, uno sconosciuto come lui avesse ottenuto la confidenza di uno dei quattro ma­
gistrati controllori. Viveva in solitudine, ad esclusione di qualche rara e lunga visita fatta a
questo magistrato, che gli testimoniava una considerazione particolare. A nessuna condizione
si era riusciti a fargli accettare un posto che comportasse un’applicazione meno meccanica del­
la mente, e che desse un più degno impiego alle qualità che si intravvedevano nel suo ingegno.
Seguiva con un’esattezza scrupolosa gli esercizi religiosi del nostro culto riformato, senza per­
mettersi mai un’osservazione, un ragionamento, un paragone, una parola qualsiasi dalla quale
si potesse capire che i doveri della religione erano per lui d’altra natura rispetto a quelli della
tenuta dei libri. Avreste potuto credere, a vedere il suo comportamento, che non esistesse reli­
gione al mondo oltre la sua, nessuna divisione ideale fra gli stati d’Europa e fra i cittadini stes­
si di questi Stati. Una tale assenza di calore umano, in materia di rivelazione divina non dispia­
ceva ai pastori e piaceva molto ai magistrati. Ma questa specie di vuoto e indifferenza di mio
padre verso i sentimenti religiosi sembrava molto strana nella sua famiglia. Mia madre, zelante

(1) Anno di fondazione 1609,

9
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biamo trovate quasi verosimili; ci hanno condotto di miracolo in miracolo al­


la divinità di una vergine e alla infallibilità di un lama. Siamo almeno alla f i ­
ne? E tutto per aver avuto fin dal princìpio pietà dei poveri filosofi, la cui ri­
gidezze non diventava più umana con la poesia della favola.
In vero le bellezze della tradizione vedica, buddista, druidica e altre so­
no entrate in concorrenza con le bellezze del medioevo. Le dottrine e le infa­
tuazioni dovrebbero compensarsi. Purtroppo ce ne è una che trae un vantag­
gio incomparabile sia dalle usanze popolari, sia dagli interessi oligarchici che
si raggruppano sempre intorno ad essa. Questa trae vantaggio da sola di tutta
la reazione che il determinismo storico conduce contro la filosofia e contro la
ragione. Così, rimanendo ferm o il pregiudizio della necessità, il nodo di que­
sta reazione è nel culto della storia; e come potrebbe essere diversamente?
Abbiamo visto che la filosofia, la religione e le arti avevano anch’esse
reagito trasformandosi in modo da essere prima di tutto storia. Gli storici si
sono proposti di vivere la vita del passato: hanno capito tutto, il male e il be­
ne, la necessità del male, le giustificazioni del delitto e meglio ancora ¡a sua
indispensabile utilità. Si sarebbero credute persone poco intelligenti, menti
anguste, filistee, se avessero pensato che in Persia fo sse possibile non essere
Persiani. Hanno quindi sposato i pregiudizi di ogni epoca, con la sola illusio­
ne che i testimoni sono soliti farsi sul momento: l ’illusione di immaginare che
anche la cosa che accade potrebbe non accadere come accade.
Pensatori ancora più arditi, formando con fatti e ipotesi mascherate tutta
la catena e la trama della storia, e leggendo l ’avvenire nel passato, hanno fissa­
to la sorte dell’umanità futura. Purtroppo questi grandi scrittori, questi illu­
stri professori, questi costruttori del destino, che da giovani ingenuamente
abbiamo applaudito, questi uomini dalla mente smisuratamente aperta, sa­
pevano bene perché ogni avvenimento era quello che avrebbe dovuto essere,
ivi compreso l'avvenimento di ieri; ma non sapevano nemmeno in maniera
grossolana perché, come e quale sarebbe stato domani. Questa inspiegabile
lacuna del loro metodo di previsione li ha posti nella triste alternativa di pro­
starsi davanti al presente, che negarono e disapprovarono anticipatamente
quando era ancora futuro o di condannare alcunifatti del presente inevitabili
secondo loro, di cui sono obbligati a presentare una giustificazione non ap­
pena essi li trovano iscritti nel passato. Tutti sanno come da dolorosi disin­
ganni provati per questa filosofìa della storia sia caduto il credito dei nostri
professori e dei falsi profeti, ancor prima che noi fossim o immersi nelle ulti­
me sciagure dove la loro scienza cerca vanamente di riconoscersi.
Lo spirito del fatalism o storico è vinto, ma non si arrende. Nello stato
attuale di ostinazione delle dottrine e di sfacelo delle idee, abbiamo pensato
che /TJcronìa di un monaco del X V I secolo, potrebbe non essere per noi un

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totale anacronismo.
Non ci facciam o la minima illusione. Non ignoriamo né la potenza delle
abitudini intellettuali, né la difficoltà di fare accogliere dagli uomini la re­
sponsabilità che verrebbe loro dal credere nell’efficacia delle loro libere vo­
lontà, anziché nella comoda tranquillità dell’ottimismo: sarebbe il rinnova­
mento definitivo del genere umano, l ’avvento di un uomo nuovo chiamato
così a maggior ragione di quello che nessuno ha ancora visto in viso, il nuovo
uomo del Vangelo. Ucronia non aspira a tanto. Ammettiamo che essa non
sia veramente un segno dei tempi, un piccolissimo inizio di qualche cosa di
grande; vediamoci solo una convinzione, una direzione di spirito tutto perso­
nale, oggi come tre secoli fa . Esaminiamo allora questo fatto curioso e cifa c ­
cia pensare. È per io meno un invito ai nuovi partigiani, seri, forse troppo
poco risoluti, di una libertà umana, reale nel passato che ha costruito e che
avrebbe potuto non costruire e ricca di un immenso avvenire, il cui punto
centrale deve essere la sua affermazione.
Il curatore chiede scusa al lettore per questa ambiziosa prefazione, così
poco conveniente alla modestia del suo stato. M a poiché ha fatto tanto da
elevarsi in questi alti paraggi, invece di annunciare una semplice curiosità let­
teraria, crede indegno di se stesso e del suo pubblico entrare nei dettagli del
manoscritto e della sua traduzione che possono interessare un archeologo.
Si è occupato del pensiero ed è sufficiente.
Gli antiquari consultino e verifichino il testo, rincrescerà poco dover lo­
ro rifiutarne la visione (1), poiché si f a poco caso ad antichità come quelle. Il
latino è senza valore, la paleografìa qui non serve; il pensiero è tutto; eccolo
indirizzato a tutti quelli che leggono. Ne approfitti chi può.
Il sottotitolo che abbiamo adottato, dopo molte incertezze: ‘ ‘Storia del­
la civiltà europea non come è stata, ma come avrebbe potuto essere” , indica
l ’oggetto morale del libro, non il soggetto propriamente detto, né l ’ipotesi
che ne costituisce il nucleo. Era diffìcile fare meglio dell’enunciare in termini
generali il pensiero nuovo ed il genere insolito. Abbiamo appena spiegato co­
me deve intendersi lo sviluppo di questo pensiero. Quanto a ll’ordine da se­
guire, crediamo di dover mettere a ll’inizio dell’opera la parte dell’appendice
finale dove si trova detto tutto quello che noi sappiamo dell’origine e delle
prime avventure di Ucronia. L a seconda e la terza parte della stessa appendi­
ce ci è sembrato offrissero una conclusione adatta per l ’insieme della nostra
pubblicazione e le abbiamo lasciate alla fine.

(1) li proprietario attuale del manoscritto ne è molto geloso, e rifiuta inoltre di essere nominato. Biasi­
miamo questa decisione, ma dobbiamo rispettarla.

7
#
Appendice senza titolo
di un autore del XVII secolo
che può servire da prefazione

Ai miei bambini.
Questo scritto mi è stato lasciato da mio padre, e ve lo leggo, figli miei; vi confermerà i
miei insegnamenti nel prepararvi a giudicare il passato, a conoscere il male delle passioni che
questo vi ha trasmesso, e quello delle opinioni sulle quali i nostri contemporanei sono soliti di­
scutere, Desidero che siate liberati da questi luoghi comuni come lo sono stato io.
Mio padre, di cui ricorderete il viso triste e rinalterabiie dolcezza, fu per lungo tempo un
enorme enigma anche per suo figlio. C ’era un segreto nella sua vita: lo si sarebbe dovuto sup­
porre ma non lo si sapeva e anch’io, come tutti, Pignoravo. Le stesse conseguenze possono
spiegarsi in tanti modi; quello più semplice è spesso non spiegarsele; è anche il più sicuro.
Avrei molto cercato e fatte molte supposizioni senza scoprire il segreto di mio padre.
Si era stabilito ad Amsterdam e vi occupava, quando nacqui, un modesto impiego presso
la banca che vi si stava istituendo (1).
Si sapeva che era francese di nascita, ma nessuno avrebbe potuto dire per quali motivi
avesse lasciato il suo paese, né perché la sua conoscenza del mondo, che non potevi! sempre
evitare di fare apparire, fosse tanto superiore al suo stato e nemmeno per quali casi fortunati
uno straniero, uno sconosciuto come lui avesse ottenuto la confidenza di uno dei quattro ma­
gistrati controllori. Viveva in solitudine, ad esclusione di qualche rara e lunga visita fatta a
questo magistrato, che gli testimoniava una considerazione particolare. A nessuna condizione
si era riusciti a fargli accettare un posto che comportasse un’applicazione meno meccanica del­
la mente, e che desse un più degno impiego alle qualità che si intravvedevano nel suo ingegno.
Seguiva con un’esattezza scrupolosa gli esercizi religiosi del nostro culto riformato, senza per­
mettersi mai un’osservazione, un ragionamento, un paragone, una parola qualsiasi dalla quale
si potesse capire che i doveri della religione erano per lui d’altra natura rispetto a quelli della
tenuta dei libri. Avreste potuto credere, a vedere il suo comportamento, che non esistesse reli­
gione al mondo oltre la sua, nessuna divisione ideale fra gli stati d’Europa e fra i cittadini stes­
si di questi Stati. Una tale assenza di calore umano, in materia di rivelazione divina non dispia­
ceva ai pastori e piaceva molto ai magistrati. Ma questa specie di vuoto e indifferenza di mio
padre verso i sentimenti religiosi sembrava molto strana nella sua famiglia. Mia madre, zelante

(1) Anno di fondazione 1609.

9
considerato ozioso porsi il problema del vedere “ che cosa sarebbe successo se...” (10).
La letteratura storiografica ci offre un’infinità di esempi a questo proposito.
Gibbon, ad esempio, soffermandosi sull’avanzata araba in Europa indugia malizio­
samente a considerare che cosa sarebbe successo se nella battaglia di Poitier non fos­
se risultato vincitore Carlo Martello: “ la vittoriosa avanzata dei Saraceni aveva su­
perato le mille miglia, dallo scoglio di Gibilterra alle rive della Loira; un’altra avan­
zata come quella li avrebbe condotti ai confini della Polonia e ai monti della Scozia.
Il Reno non è più malagevole del Nilo e delI’Eufrate e la flotta araba avrebbe potuto
penetrare nel Tamigi senza combattere; forse nelle scuole di Oxford si spiegherebbe
il Corano e dai suoi pulpiti si dimostrerebbe a un popolo circonciso la Santità e la ve­
rità della rivelazione di Maometto” (11).
3. — I vantaggi che il giudizio controfattuale offre, in questo caso, risaltano
immediatamente, perché ci consentono di mettere in evidenza, senza alcuno spirito
di parte come si addice a un lavoro scientifico, certe particolari contingenze storiche
che possono, attraverso una più profonda comprensione del passato, illuminarci sul
presente. AI passato infatti, come dice Max Scheler, siamo sempre direttamente col­
legati proprio perché contiene possibilità non realizzate nella realtà. Il presente ci
può solo dare indicazioni parziali e indirette su quelle che erano le possibilità della
storia, su tutti i “ futuri possibili” che sono rimasti sempre al livello della semplice
possibilità.
Da tutto ciò nasce la necessità di sottoporre ad un’analisi metodologica l’uso
del controfattuale, proprio perché la libertà della ricerca intellettuale e l’ im m a g i­
nazione scientifica” possano produrre effettive conoscenze. In quest’opera di ap­
profondimento teorico dell’uso del controfattuale mi sembra doveroso ricordare il
lavoro di due autori: Arnold J. Toynbee e Max Weber, il primo perché ne fa siste­
maticamente un uso ucronico, il secondo perché lo eleva a necessità metodologica
della scienza storica.
4. —* Nel suo tentativo di fare un esame comparato delle civiltà conosciute
Toynbee cerca di vedere se è possibile formulare una legge che ci permetta di capire
perché una civiltà nasce e decade: “ abbiamo già trovato che la nostra società (o ci­
viltà) occidentale è affiliata a una precedente. Il metodo più ovvio di continuare la
nostra ricerca di ulteriori società della stessa specie sarà di prenderne altri esemplari
esistenti (...) e vedere se anche a queste possiamo scoprire dei “ genitori” (12). Dopo

(10) “ L ’unione del passato e del futuro in un racconto storico continuo ha quale sua condizione il riferi­
mento alla scienza. È proprio perché la Storia si innalza al livello di una scienza e usa metodi scientifici
che il futuro appartiene al suo ambito e non a quello dei sogni e dei desideri” , B. Baczko, L ’utopia; Im­
maginazione sociale e rappresentazioni utopiche neti'età deirUluminismo Torino, 1979, p. 211. In analo­
gia possiamo dire che anche quel futuro nel passato che è l’ucronia ha le stesse possibilità e le stesse valen­
ze scientifiche delPutopia proiettata nel futuro.
(11) E . Gibbon, Storia della decadenza e della caduta dell*Impero romano, Torino, 1967, p. 2157.
(12) A. Toynbee, Le civiltà nella storia, Torino, 1952, p. 35. Non essendo disponibile in italiano l’intera

IV
aver rifiutato una parte delle possibili spiegazioni, quelle razziale e ambientale, per­
ché non riescono a spiegare tutti i casi avvenuti, propone la legge della “ sfida e ri­
sposta” che determinano un risultato significativo; per arrivare a tale risultato sia la
natura della “ sfida” che quella della “ risposta” devono rimanere nel “ giusto mez­
zo” . Infatti non è vero che quanto più è dura la sfida più significativa è la risposta;
un esempio ci viene dalle “ civiltà abortite” , cioè da quelle civiltà che non hanno ret­
to a una sfida troppo dura: per es. la civiltà cristiana estremo-occidentale e la civiltà
scandinava.
Cosa impedi a queste due civiltà di imporsi e avere un normale decorso? La su­
periorità culturale del cristianesimo irlandese su quello romano fra il VI e l’XI seco­
lo sono un fatto indiscutibile, “ ma questa trasmissione di cultura non fu la sola con­
seguenza sociale del rinnovo di contatto tra la cristianità insulare e quella continen­
tale. Un’altra conseguenza fu la gara per il potere. Il punto conteso era se la futura
civiltà delPEuropa occidentale doveva derivare da un embrione irlandese o da uno
romano” (13). Fu l’andamento del sinodo di Whitby (664) che determinò la sconfit­
ta irlandese.
Riprendendo l’osservazione di Gibbon citata di anzi, Toynbee cerca di mettere
in evidenza l’importanza assunta dal cristianesimo irlandese concludendo che “ si può
avanzare senza timore di stravaganza l’idea che la nostra moderna civiltà occidenta­
le sarebbe probabilmente derivata da un embrione irlandese anziché romano vuoi se
Colman e non Wilfrid avesse vinto al Sinodo di Whitby del 664 o ancora se Abd-ar-
Rahman e non Carlo Martello avesse vinto la battaglia di Tours del 732” . Tali solu­
zioni erano possibili e noi possiamo “ promuovere questa probabilità a certezza se ci
concediamo la licenza storica di immaginare che in entrambe queste ‘battaglie deci­
sive del mondo’ la fortuna della guerra fosse toccata in maniera diversa da quanto
avvenne” . Con questa ucronia sviluppata molto dettagliatamente Toynbee vuole di­
mostrare che “ una vittoria di Abd-ar-Rahman — se avesse rovesciato Carlo Martel­
lo nel 732 — si sarebbe dimostrata meno vantaggiosa agli Arabi e all’islamismo che
non ai Celti e alla cristianità d’Estremo Occidente” (14). Questo è un esempio di
ucronia che parte da una premessa molto probabile perché si avvale di due postulati
disgiunti.
Che l’uso del controfattuale non sia stato per Toynbee una occasione di polemi­
ca, quanto invece una ricerca sistematica è dimostrato dall’ucronia sull’altra civiltà

traduzione dell’opera di Toynbee rimando in tutte le citazioni o a questo riassunto di D .C. Somervell, ap­
provato dallo stesso autore che d'altra parte Tha firmato dove si dà una visione dei primi sei volumi di A
Study o f History ; laddove questo non è stato possibile rimando per comodità a una vecchia traduzione di
G. Cam bon per i tipi dell’editore Mondadori, di cui però ho ritrovato solo i primi due volumi, anche se
non sempre mi sembra perfetta. C f. comunque A Study o f History
(13) A. Toynbee, op. cit., p. 211.
(14) A. Toynbee, Genesi delle civiltà, voL II, t. Ili, App. IV a il D, L a perduta primogenitura deli1aborti
va civiltà cristiana d*Estremo Occidente, Milano 1955, p. 287.

V
#
pito delle scienze sociali è “ rendere esplicito con precisione non già ciò che è confor­
me al genere, al contrario il carattere specifico di certi fenomeni culturali” . In que­
sto modo una costruzione tipico ideale legittima l’uso di tutti quegli strumenti con­
cettuali, e il controfattuale è uno di questi, anzi uno dei più significativi perché ob­
bliga lo storico a una ricostruzione logica dei fatti e a una più precisa penetrazione
degli elementi significativi del processo che descrive.
La storia riesce così a dimostrare il suo valore ermeneutico e la sua struttura ri­
gorosa e per questa via a rispondere alle finalità pratiche che l’hanno determinata.
Ecco allora perché Weber può concludere che il tipo ideale attua “ il suo scopo logi­
co quando reca a questo risultato” , cioè a una comprensione rigorosa del processo
storico, “ proprio in quanto ha manifestato la sua propria irrealtà. Esso costituisce
in tal caso la prova di un’ipotesi. Il procedimento non offre alcuna difficoltà meto­
dologica fin quando si tenga presente che la costruzione tipico-ideale di uno svilup­
po e la storia sono due cose da distinguere rigorosamente, e che la costruzione è sta­
ta semplicemente il mezzo per compiere in maniera sistematica l’imputazione valida
di un processo storico alle sue cause reali, entro l’ambito di quelle possibili in con­
formità allo stato della nostra conoscenza” (20).
6. — Con queste note ho cercato di fare emergere il valore teoretico del giudizio
controfattuale e delle costruzioni immaginarie che, come Ucronia, ne derivano.
È questo lo spirito col quale viene riproposta la lettura di Ucronia di Renouvier,
un filosofo che prima delle elaborazioni teoretiche ricordate, ha fatto un uso consa­
pevole e critico del giudizio controfattuale, che l’opera presentata appunto dimo­
stra.
Non mi pare il caso di delineare il pensiero di Renouvier, per il quale rimando
alle ormai numerose storie della filosofia che il mercato offre. Mi sembra piuttosto
il caso di fare alcune considerazioni che nascono dalla lettura dell’opera e dalla con­
cezione della storia che ne è il sostrato. Nel II volume degli Essais de critiquegénéra-
le, poi ripubblicato come Introduction a laphìlosophie de l ’histoire, Renouvier af­
ferma che è suo compito “ combattere il determinismo storico col più istruttivo dei
paradossi” ; e con Ucronia tenta quest’opera. Quando essa apparve, nel 1876, ano­
nima, destò un grande clamore. La Francia usciva da un periodo rivoluzionario, la
Comune di Parigi, che aveva elevato il livello della partecipazione popolare ai dibat­
titi sulla Giustizia, fine che lo Stato doveva perseguire e realizzare attraverso la Li­
bertà. L ’anticlericalismo implicito in alcune parti, esplicito in altre di Ucronia eia.
ancora un sentimento molto diffuso e l’artificio letterario, il manoscritto anonimo
del '600, amplificava i temi che il sentimento popolare condivideva. Bisognava por­
tare a chiarezza teorica quei sentimenti; solo cosi, forse, le rivoluzioni sarebbero sta­
te vittoriose o, per le loro meno, non avrebbero subito delle involuzioni: “ Guarire il
popolo dalla superstizione e dalla paura è un lavoro difficile, ma che bisognerebbe
cominciare anche solo a vantaggio della filosofia, a meno che proprio la filosofia

(20) M. Weber, op. d i.. p. 123.

V ili
non vòglia diventare del tutto personale e solitaria abbandonando la politica, (...). I
liberi pensatori potranno dire quel che vogliono fra di loro, ma non potranno sepa­
rare la loro libertà da quella del popolo e finché il popolo sarà in preda alla supersti­
zione e alla paura, i padroni del popolo saranno anche i loro padroni” (21).
Ucroniavuole quindi anche un messaggio pedagogico*
7. — Al di là dei clamori iniziali Popera presenta però diversi difetti che
l’hanno resa difficilmente leggibile e in poco tempo Phanno fatta dimenticare. Que­
sti difetti hanno anche aumentato di molto le difficoltà della traduzione; per evitare
certe ampollosità stilistiche, oggi francamente insopportabili, ho cercato di rendere
leggibile per la nostra sensibilità Popera, presentandola, nei limiti del possibile, in
un linguaggio attuale. La letteratura francese del tempo presenta ben altri modelli e
valori stilistici, che ci rendono ancora piacevole la lettura di molte opere del tempo*
Renouvier non è fra questi autori e Ucronia non è fra queste opere. Rimane però il
valore teorico di certe intuizioni di Renouvier che il pensiero filosofico successivo ha
approfondito, basti pensare alle tante proposte di rilettura di Kant che in forme di­
verse si sono succedute in questo secolo.
Certo i tempi sono cambiati, oggi molti motivi della polemica di Renouvier so­
no caduti, ma al di là del contenuto concreto, in alcune parti egli dimostra di saper
ancora parlare alPuomo contemporaneo, basti pensare al rapporto intellettuale-
società che anche in questi ultimi anni ha avuto Ponore delle cronache e dei confron­
ti sulla stampa.
In tempi in cui anche nelPatnbito delle scienze umane e sociali tutto sembra do­
versi risolvere mediante tecniche di ricerca sempre più raffinate, la riaffermazione
della peculiarità del lavoro teorico non sembra inutile. Renouvier con Ucronia di­
mostra quali risultati di finezza può raggiungere una storia immaginaria, ma sempre
e comunque rigorosamente logica. È, a mio avviso, Pesaltazione di quello che sopra
ho chiamato “ immaginazione scientifica“ , che trova un suo spazio incontestabile
nelle scienze naturali, ma che stenta a farsi strada nelle scienze umane a ca^sa dei
pregiudizi ideologici che hanno contrassegnato il loro cammino.
Pur rimanendo lontana quest'opera dal senso del lavoro di Popper, mi piace
concludere con una sua affermazione che può rendere giustizia e rivalutare il lavoro
di Renouvier che viene presentato: “ quel che conta non sono i metodi o le tecniche,
ma una certa sensibilità ai problemi e un'ardente passione per essi; o, come dicevano
i Greci, la dote naturale di provare meraviglia“ .
Prima di chiudere queste note mi si consenta un doveroso ringraziamento al
prof. Enzo Melandri che in numerose e anche lunghe discussioni mi è stato guida si­
cura nella formulazione e soluzione dei diversi problemi tecnici e teorici che Popera
propone.

(21) Ch. Renouvier, Ucronia, p. 226.

IX
UCRONIA
L ’utopia nella storia

Storia della civiltà europea, non come è stata, ma come avrebbe potuto essere

PREMESSA DEL CURATORE

Il manoscritto latino della singolare opera che presentiamo al pubblico


porta il semplice tìtolo di Uchronia. Il seguito, scritto in francese da un ’altra
mano, dice essere autore del manoscritto un monaco dell’ordine dei Frati
Predicatori, la cui fam iglia e patria non sono indicati, ma che sarebbe morto
a Roma, nel primo anno del X V II secolo, poco dopo Giordano Bruno, vitti­
ma dell’Inquisizione romana. Le caratteristiche esteriori del manoscritto,
che l ’attuale possessore ha potuto esaminare con molta competenza, confer­
mano questa data e indicano l ’inizio del XV III per il pezzo più recente di cui
abbiamo parlato.
L a prim a parte di questa appendice spiega l ’origine dell’opera e il modo
in cui giunse nelle mani di un protestante d ’origine francese, la cuifam iglia si
era stabilita in Olanda, il quale racconta la sua storia e la vita del padre.
L ’opera in se stessa f a supporre nell’autore un’istruzione libera e vasta, la
conoscenza di numerosi argomenti scientifici, raffinata a quel tempo, esenti-
menti ancor più rari. È il solo motivo ammissibile per poterne mettere in
dubbio l ’autenticità, ma non basta, perché le idee di questo monaco, straor­
dinarie nel 1600, sembreranno ancora oggi strane alla maggioranza dei nostri
lettori.
Si tratta della storia di un medioevo dell’Occidente che l ’autore f a ini­
ziare verso il I secolo della nostra era e finire nel IV e di una storia moderna
dell’Occidente che si svolge dal V al IX . Questa storia, che mette insiemefatti
reali e avvenimenti immaginari, è di pura fantasia, e la conclusione dì questo
libro singolare non potrebbe allontanarsi maggiormente dalla tristezza della
realtà.
Lo scrittore compone una ucronia, un ’utopia dei tempi passati. Scrive la
storia non come è stata, ma come avrebbe potuto essere, e non ci avverte né
dei suoi errori volontari, né del suo scopo. Solo alla fin e pone la libertà mo­

1
rale dell'uomo come fondamento e vero fin e della sua opera, ma senza ab­
bandonare la finzione; poiché supponendo che certi personaggi avessero de­
ciso altrimenti da quel che fecero quindici secoli orsono, e che tali decisioni
alternative fossero quelle veramente prese, mostra in poche parole le conse­
guenze delle loro azioni, e f a presentire tutta la serie di calamità possibili, in­
terminabili, che ne sarebbero derivate; sono le calamità subite dai nostri p a­
dri e che gravano ancora su di noi. Si vedrà che uno degli autori dell'appen­
dice ha insistito, forse un po ’ troppo pesantemente, su questo sommario dei
fatti reali. Il monaco, autore di Ucronia, si lascia tradire dalle sue passioni
solo in un momento. In ogni altro luogo, voi lo direste una specie di Sweden-
borg della storia. Visionario che sogna il passato, si esprime con la stessa si­
curezza che avrebbe lo storico più saggio e più attento nello spiegare la serie
filosofica degli avvenimenti.
L a pubblicazione di questo manoscritto due o più secoli f a fu impossibi­
le non perché le istituzioni aristocratiche o monarchiche vi siano attaccate
violentemente: la generalità del punto di vista e l'altezza del pensiero allonta­
nano ogni pericolo a questo riguardo; e nemmeno perché la religione cattoli­
ca ne risulti oltraggiata: giacché semplicemente essa non viene discussa. Sup­
porre che il cristianesimo anticamente avrebbe potuto non trionfare in Occi­
dente e stabilirsi solo in Oriente, rientrare in Europa solo in epoca tarda, do­
po avere abbandonato le sue mire di dominio; farsi un ideale della storia do­
ve il progresso della società e l ’organizzazione definitiva delle navoni più
evolute, interamente dovuti alla filosofia e allo sviluppo dei costumi politici,
assicurassero alla religione solo i diritti delle libere associazioni, limitate le
une dalle altre e dalla prerogativa morale di uno stato razionale; tutto questo
avrebbe dato ragione di sospettare della fede e delle intenzioni dei depositari
di un’opera di questo genere, se avessero osato divulgarla. Un sospetto di
quel genere, com esi sa, comportava allora in ogni paese molte conseguenze.
Inoltre uno dei depositari che ci ha lasciato la sua testimonianza anonima al­
la fine del manoscritto, e ci ha svelato ingenuamente le disposizioni del suo
animo; non credeva che gli uomini del suo tempo fossero nelle condizioni di
partecipare con qualche utilità a questa sua esperienza intellettuale e non spe­
rava niente né dai nostri antenati, né da noi, posteri ancora lontani. Il libro,
come lo chiama, gli era stato dato dal padre e lo destinava ai suoi figli come
un nutrimento di fam iglia che li fortificasse in segreto.
Nel XV III secolo altre ragioni si opponevano alla pubblicazione del ma­
noscritto, o per lo meno l ’avrebbero resa inopportuna. Questo secolo, detto
il secolo della filosofia, fu piuttosto quello della diffusione dei procedimenti
razionali, e dell’applicazione pratica della ragione a ogni cosa. L'attività spe­
culativa in senso stretto è necessariamente scarsa, infatti se fosse stata più

2
estesa, più elevata, più disinteressata, avrebbe distolto troppo spesso il pen­
satore dalle preoccupazioni del presente, preoccupazioni umane, pratiche,
politiche. Questo secolo rappresenta, in un certo senso, la rinascita ^ / / ’uma­
nità dopo milleottocento anni; intendo dire che l ’umanità considera se stessa
come oggetto, ragiona su di sé, lavora su di sé, cónta su di sé, tende ad orga­
nizzarsi e a guidarsi da sola e per se stessa. È quindi anche il secolo della sto­
ria, carattere che ci colpirebbe più di quanto non faccia, se non fossim o an­
che noi in tutto, in ogni proposito, oso dire ad ogni prezzo, storici e antiqua­
ri.
Infatti m a delle condizioni necessarie perché l ’umanità possegga se stes­
sa, è la conoscenza esatta del suo passato, liberato dalle nubi della favola, af­
francato dal prestigio delle false origini divine, dai comandamenti celesti
apocrifi e da quelle tradizioni di diritto sovrumano, a volte disumano, che
imprigionano, arrestano, incatenano, soffocano le anime e fondano la schia­
vitù.
Il bambino, diventando uomo, se vuole conoscersi, deve conoscere an­
che la sua infanzia, riprenderne possesso come di una parte della sua coscien­
za, illuminando i fantasm i da cui la sua immaginazione, form ata dalle men­
zogne della nutrice, ha potuto essere assillata. La storia era stata scritta pri­
ma del XV III secolo, ma i grandi spiriti del secolo precedente, di solito la di­
sprezzavano, poiché credevano fosse obbligata a conservare, con le menzo­
gne, i legami che uniscono il popolo ai poteri spirituali e temporali.
Non pensavano che con quelle ardite speculazioni, loro unica risorsa, si
riducevano al ruolo di schiavi travestiti da padroni, in mezzo ad onnipotenti
abitudini, pronte a regnare il giorno dopo quasi fossero alla vigilia dei satur­
nali del pensiero puro; che, se fossero riusciti a liberarsene da soli attraverso
la forza del genio, si sarebbero esposti a persecuzioni e supplizi, e la triste
umanità avrebbe continuato la sua strada lontana da loro, li avrebbe anche
maledetti, cieca com ’era, e prigioniera dei lacci della sua falsa storia e delle
sue puerili tradizioni. Spesso disprezzavano il volgo (odi profanum...^ men­
tre sarebbe stato necessario chiamarlo subito ai misteri della conoscenza dei
fatti umani, al reale spettacolo degli avvenimenti del mondo, di modo che
non ci fossero più né misteri, né profani da allontanare. L a storia è la gran­
de, irrecusabile rivelatrice.
L a storia, scritta nel XV I e X V II secolo da cronisti limitati al loro tempo
e alle loro passioni o da politici e devoti, che rispettavano e consacravano nel
modo migliore le menzogne convenute, la storia fu conosciuta nel XV III se­
colo come una scienza che ha lo scopo di insegnare agli uomini ciò che sono
stati, ciò che si sono fatti, senza ipotesi, senza postulati già dati; che ha lo
scopo di opporre al rispetto delle tradizioni la critica delle tradizioni, e con

3
ciò di rendere agli spiriti e ai cuori la libera disposizione di se stessi, e alle so­
cietà la loro autonomia, questa volta meditata e saggia.
L a natura di una scienza sta nel supporre e cercare te leggi necessarie; la
natura dei fatti, nelle scienze matematiche e fisiche, sta nella loro necessità.
■Una scienza che nasca, e che non sia esente da errori, tende naturalmente a
! modellarsi sulle altre scienze già conosciute; dal momento che la storia èfatta
di due parti, una che riguarda la critica degli avvenimenti come veri o proba­
bili, l ’altra che riguarda la ricerca delle leggi che regolano ilfarsi e le relazioni
fra i fatti, non bisogna stupirsi se io spirito degli storici che hanno trattato
, questa ultima parte è stato quello di considerare la libertà umana costretta a
! muoversi entro limiti tracciati da fin i che gli uomini presto o tardi dovranno
i raggiungere, di considerare tutti gli atti umani determinati da quelli prece­
denti, e tutti gli avvenimenti scritti prim a in non si sa quale eterno decreto.
Solo apparentemente gli storici del X V IIIsecolo in Francia, e lo stesso Con-
dorcet, non furono decisamente inclini a questa concezione fatalista: infatti,
preoccupati innanzitutto della loro lotta contro le tradizioni di intolleranza,
di superstizione e di barbarie, obbligati a stigmatizzare i crimini storici, si sa­
rebbero trovati a malpartito a proclamare la necessità delle istituzioni e degli
atti di cui negavano fieramente la legittimità morale.
Quando ci indignamo contro qualcuno colpevole di un grave delitto lo
condanniamo apertamente, gli andiamo a dire o forse pensiamo che dopo tutto
egli ha fatto solo quanto poteva fare, e che noi vediamo in lui uno che
agisce in modo razionalmente irreprensibile? Andiamo oltre la superficie dei
libri, abbandoniamo la satira del passato, interroghiamo le teorie degli scrit­
tori, domandiamo loro a Voltaire, per primo, ciò che pensano della libertà
morale degli uomini, se ci credono: la pratica e la coscienza attiva hanno ri­
sposto si; le teorie dicono costantemente no. Le filosofie e le teologie con ra­
re eccezioni, anche se importanti, hanno sempre teso ed affermare una neces­
sità universale. Il XV III secolo ha fatto come i suoi predecessori. Altrimenti
cosa avrebbe lasciato da fare al X X ? Se gli uomini avessero creduto ferm a­
mente e dogmaticamente alla loro libertà in un’epoca qualsiasi, invece di av­
vicinarsi a tale idea molto lentamente e impercettibilmente, con una avvici­
namento che forse è l ’essenza del progresso stesso, da quell’epoca la faccia
del mondo sarebbe stata bruscamente cambiata.
Questo apocrifo sarebbe quindi stato accolto, nell’ultimo secolo come
un maldestro tentativo di portare lo scompiglio in un partito unito, discipli­
nato, risoluto a non lasciarsi distogliere dalla sua opera. Anche quegli uomi­
ni che facevano guerra a Paolo e Costantino, e si alleavano con Celso e Giu­
liano, si sarebbero sentiti un p o ’ scandalizzati a ll’apparire di una storia im­
maginaria, destinata a portare come verità filosofica e di coscienza, più alta

4
della storia stessa, la possibilità reale che la successione degli avvenimenti,
dall’imperatore Nerva all’imperatore Carlo Magno, sia stata radicalmente
diversa da quel che è stata nella realtà.
Non conveniva loro spingere cosi lontano la ricerca; infatti in questo ca­
so avrebbero dovuto abbandonare definitivamente la convinzione profana
della necessità m orale; concedendo l ’idea del libero arbitrio avrebbero credu­
to di perdere la bussola, di andare alla deriva fin o a giungere una teologia an­
tropom orfica o, richiamati per fo rza a considerare le conseguenze del deter­
minismo storico, avrebbero dovuto confessare la legittim ità superiore, a tito­
lo di necessità, anche degli atti che essi intendevano condannare, la utilità de­
gli sgozzam ene e dei roghi, la verità degli errori e delle menzogne. Tutto que­
sto è stato giustificato dopo di loro, lo sappiam o, ma il loro cuore si sarebbe
ribellato.
A d ogni modo, il compito della storia dell’ultimo secolo era quello di ri­
form are la storia dei fa tti reali, non di immaginare quella dei fa tti possibili;
di criticare le nostre origini e non di fingerle cam biate; di sostituire alla fav o ­
la di una chièsa o di una monarchia sacra trasm essaci, il tenore esatto e lo
spirito positivo degli avvenimenti di cui gli uomini furono autori o vittime;
infine di distruggere l ’autorità delle tradizioni di fanatism o e di superstizione
professando innanzitutto un profondo rispetto per la realtà qualunque essa
sia e un inviolabile attaccamento al metodo della verifica rigorosa.
Questo com pito è stato continuato fin o ai nostri giorni, m a con tenden­
ze più fa ta i iste, qualche volta nascoste, spesso palesi, e quindi come reazione
ai criteri sostenuti dai nostri predecessori. L a reazione è stata religiosa e filo ­
sofica: abbiam o approfittato di alcuni errori di logica e di m etafisica, scusa­
bili nei nostri padri, p er restaurare in contrasto con la loro memoria molte di
quelle idolatrie da cui si erano liberati con tanta fa tic a ; siam o giunti, sulla via
delle riabilitazioni, a trovare una giustizia p er le teorie contradittorie. Abbia­
mo im parato ad amm irarle tutte, ciascuna sotto il suo punto di vista buono,
p o i a mescolarle in determinate dosi come ingredienti utili, infine d a tante ri­
cerche così intelligenti, così im parziali abbiam o ricavato non la verità p er la
verità, perché è vera, m a ciò che è vantaggioso, conveniente, prudente; tanto
che ormai sem briam o incapaci di ogni convinzione disinteressata e di ogni
fran co sforzo della ragione. L a reazione è stata artistica: abbiam o abbando­
nato il culto del razionale nelle arti per infatuarci del fan tastico e del sorpren­
dente, che abbiam o qualificato come poetico. Abbiam o chiesto dei prodigi,
ci sono venuti dei m iracoli: il miracolo delle volte gotiche ha rivitalizzato
quello dei sacram enti, delle creazioni episcopali e m onacali e tu tto fi corteo,
insieme grazioso e buffo, degli spettri della leggenda dorata.
Tutte queste cose molto belle, toccanti, consolanti, a poco a poco le ab-

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riformata, non aveva mai ottenuto, né sorpreso l’espressione di un pensiero del marito che
non fosse pubblica e quasi ufficiale, né di repulsione nei confronti del cattolicesimo, né di pre­
ferenza per una delle chiese riformate, né infine sui nostri doveri verso Dio, o su ciò che essa
stessa credeva, indipendentemente da ciò che l’educazione porta o il magistrato obbliga a con­
fessare e praticare. Di modo che c’era lì un luogo chiuso all’amore coniugale; e questo disagio
fra loro non svani mai; se lo spirito religioso è più appassionato da una parte che dall’altra, si
introduce una spiacevole separazione fra i sessi.
Anch’io ero stato ingannato nella mia infanzia dalla indifferenza con la quale mio padre
guardava alla mia educazione religiosa e dal senso di quella morale, affatto mondana, che io
sentivo nelle sue preoccupazioni abituali. Il rispetto straordinario che la sua severa tenerezza e
la fermezza dolce del suo carattere sempre sereno mi ispiravano per lui, ottennero su di me tut­
to l’effetto che dovevano avere in quel momento. Io consideravo così gli insegnamenti di mia
madre e del ministro della nostra comunità come lezioni di convenienza pubblica, o qualcosa
di simile, senza rendermene ben conto e senza darne testimonianza, e non sentivo lo sprone
del proselitismo religioso.
Questo stato di tranquillità non poteva durare. Ai primi furori della giovinezza, anche se
ritardati dalle serene abitudini familiari, spuntarono nel mio animo germi di fanatismo. Dove­
vano, a quanto pare, esservi stati deposti da quanto era traspirato fino a me dal mondo e, for­
se, dal mio sangue. Un ardore inquieto, che non trovava il suo oggetto naturale c non poteva
mai soddisfarsi, mi portò a sognare un'altra vita la cui ossessione spinge gli uomini a crearsi
un inferno in questa. Infatti essi portano luce sulla terra, volendo forzare i loro simili a pensa­
re come loro, perché si salvino come loro; nel caso contrario ad accettare la lotta contro di lo­
ro fino alla morte, fino al supplizio che la fede del più forte riserva all’ostinazione del più de­
bole. 6 molto dire che la pretesa grazia che mi aveva preso, il santo furore di predicare e perse­
guitare, questa rabbia di voler rendere certo ciò che non si può conoscere, di moltiplicare i
dogmi e di annientare chiunque non li afferemi, questa santa malattia doveva ben difficilmen­
te arrestarsi prima di avermi condotto fino al cattolicesimo. Non è che i riformati non avessero
dato terribili esempi di zelo sanguinario per Dio, ma l’organizzazione della Chiesa cattolica mi
sembrava di lutt ’altra potenza per il bene forzato delle anime: anche il dogma mi sembrava, in
questa Chiesa, aver qualcosa dì più pieno, di più risoluto quasi di più scientifico, pur nelfanti-
scienza. Traduco esattamente i miei pensieri di quel periodo, anche se in termini che allora
avrei definito blasfemi. Per il resto, tralascio alcune circostanze che mi avevano messo in rap­
porto con un emissario papista, scaltro c convinto, tanto che avevo aperto seriamente l’orec­
chio alle sue lezioni.
Ai nuovi sintomi di un male che all’inizio l’avevano rallegrata, mia madre cominciò a
preoccuparsi e mio padre, l’unica volta di fronte a me, si mostrò profondamente turbato, an­
che più turbato di quanto il fatto sembrasse richiedere, ed è molto. Allora provai il più grande
stupore della mia vita. Qualche giorno dopo aver ripreso la sua calma abituale, vostro nonno
venne a svegliarmi durante la notte, si sedette sul mio sgabello nel buio e parlò, senza farmi
mai dire nulla, lino all’alba; le notti successive avvenne lo stesso.
Comprendo ora perché aveva voluto entrare saldamente nella mia immaginazione disso­
ciata, tenermi in uno stato passivo dovuto alla mia venerazione per la sua persona, far nascere
in me passioni intellettuali, impressioni familiari di un ordine tutto nuovo.
Mi disse infine che non chiedeva la mia confidenza, perché non ne aveva affatto bisogno,
sapendo meglio di me stesso tutto quello che accadeva in me. Al contrario era lui, che mi por­
tava la sua confidenza, che intendeva farmi giudice delia sua vita e dei suoi pensièri. Ma per
questo io dovevo lasciarmi istruire sui fatti e consentire a seguirlo fino al punto in cui voleva
condurre le mie riflessioni.
Dopo sarei stato libero, libero di abbandonarmi al normale flusso delle passioni religiose

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portando tuttavia il teatro delle mie passioni il più lontano possibile dalla sua casa finché si
fossero spente o calmate, se i casi della vita mi avessero consentito questo ritorno,
Non crediate ora che mio padre cominciasse a farmi la satira dei sentimenti religiosi, o del
cristianesimo o della sua sorte. Ma mi diceva: “ Che cosa sei, che cosa hai visto, che cosa hai
studiato? Dove sono le tue veglie? Dove prendi la tua morale? Con quale diritto vorresti im­
porre agli uomini convinzioni che tu ricerchi ancora, o quella fede che un domani vorrai ab­
bracciare? Non hai ancora una fede sincera, e già sogni di diffondere con la seduzione o con la
violenza i dogmi di cui vuoi esser certo a ogni costo. L ’unità religiosa delle anime ti sembra il
più alto dei beni e accusi la Riforma di aver rotto questa unità, di disperdersi c di dividersi
all’infinito essa stessa. È dunque vero bene quello che solo la tirannia assicura e che la santa li­
bertà delle coscienze fa perdere, quello che la guerra c i roghi affermano e che la pace e la cari­
tà rendono inutile? Ma io voglio che la tua lede, dico la tua, possa diventare inflessibile mal­
grado la volubilità naturale del tuo animo, che solo apparentemente è fatto come quello degli
altri; questa fede sarà necessaria all’ umanità perché te la sci costruita o perché ti viene da alcu­
ni che non sono autorizzati più di te come invece affermano? Dirai che Dio ha parlato loro?
Dio ha parlato e parla tutti i giorni a molti altri, se lo vuoi credere, ma le cose che ha detto loro
sono molto diverse. Sono loro che pcnsan di sentirlo, son loro che lo comprendono c lo tradu­
cono, son loro che lo fan parlare, sono loro che parlan per lui” .
Quel che mi confuse fu la sagacia, la forza dei pensieri di mio padre, c soprattutto la pro­
fondità e il rigore appassionalo del tono col quale tracciò il quadro dei miei sentimenti, delle
mie pene c dei miei ardori, di tutto quel grande tumulto dell’anima che non potevo assoluta-
mente comprendere. Avevo un bel resistere interiormente e rifiutare di vedermi nel modello
che mi era stato messo duramente in faccia, bisognava bene o male che mi ci riconoscessi nei
mìnimi particolari. La sola odiosità del ritratto mi portava a indignarmi contro la sua verità; e
mi sentivo ancora cedere mentre ero preso da una curiosità tenera e rispettosa, quando mio
padre diceva: “ Ti giudico dall’allo, figlio mio, e ti umilio. Ma, a mia volta, mi umilierò da­
vanti a te; ti racconterò la mia vita e saprai che ti conosco così bene perché io mi sono cono­
sciuto. È giusto pertanto che io ti parli di ciò che è di interesse comune e che ti informi di un
cerio numero di verità che tu ignori. Le nostre persone verranno dopo. Forse ti credi mol­
to saggio perché ti è stato insegnato ciò che lo spirito può accettare che poi rende in mone­
ta corrente nelle scuole. Ma quante cose non si vogliono e non si osano dire, e i veri j&ianti
della verità la scoprono nei posti non frequentati! E quante altre colpirebbero la vista grosso­
lana di chi non avesse già deciso di voltare gli occhi incontrandole! Tutta la storia e le idee nel­
le cinque zone del mondo sembrano non esistere per le nostre piccole società cristiane, abitua­
te a non considerare che se stesse e a disdegnare quanto resta fuori delie loro pìccole discussio­
ni teologiche. Ti insegnerò la storia e ti racconterò i viaggi. Aprirò l’universo alla tua vista c
con l’universo la tua anima. È venuto il momento in cui devo metterti davanti molte conoscen­
ze che un giorno forse anche i bambini possederanno, ma delle quali oggi è pericoloso fra gli
uomini, fra gli amici, trasmettersi lo spirito, o anche trarne le più semplici conseguenze.
Comincia ad alzare lo sguardo sopra al punto dello spazio in cui siamo posti” — conti­
nuò mio padre — e mi espose rapidamente le verità suH’ordinc dell’universo, allora nuove, e
che circolavano a fatica fra qualche scienziato: la dottrina di Copernico, le scoperte di Keple­
ro, quelle di Galilei, e mentre mi parlava, tratteggiò questo grande uomo in ginocchio davanti
al tribunale della Santa Inquisizione (2).2

(2) Questo avvenimento c del 1633.

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Poi mi mostrò la contraddittorietà delle rozze conoscenze del popolo ebraico e il vero si­
stema dell’universo, di cui, grazie a qualche nozione che avevo delle matematiche, potei com­
prendere la grandezza e la forza.
Passò una notte intera in queste comunicazioni che accolsi avidamente, perché la verità e
la novità portavano al mio spirito un alimento che cercavo invano neiroscurità degli antichi
dogmi.
“ Alza i tuoi occhi oltre l’orizzonte delle religioni dell’Olanda e dei Paesi confinanti” Mio
padre fece il quadro delle religioni della terra, e forzando il mio spirito airimparzialità, mi
mostrò alcuni profondi misteri che si celebrano nelle grandi nazioni dell’Oriente, qualche vol­
ta barbari, qualche volta commoventi, quasi sempre simili a quelli che noi celebriamo, solo
fondati su altre leggende e altri miracoli.
Vogliamo capirli solo in maniera rozza, non vedervi che furbizia, puerilità, menzogna?
Applichiamo allora il metodo di interpretazione più semplice per le nostre specifiche tradizio­
ni: perché no? I popoli stranieri e lontani non se ne fanno una colpa, perché ci giudicano a lo­
ro volta. O vogliamo invece comprendere fino in fondo l’essenza dei nostri dogmi astrusi, non
crederli assurdi che in apparenza? Allora trattiamo con la stessa giustizia tutti questi sistemi di
trinità, di incarnazioni, di eucarestie, di cui il pensiero orientale è stato fecondo. Non so quali
libri, quali viaggiatori avessero fatto conoscere a mio padre la cultura di tante nazioni di cui
non abbiamo i testi sacri, ma ho ragione dì pensare che si basasse principalmente sui racconti di
qualche missionario gesuita, perché il posto che aveva occupato per un certo periodo gli aveva
permesso di raccogliere dalla bocca di alcuni di loro informazioni, congetture, dubbi che ci si
guarda dal pubblicare. La sua intelligenza molto esercitata nello stare in guardia aveva anche
messo a profitto le confuse relazioni portate dai mercanti olandesi. Comunque io pensai per la
prima volta che i popoli avevano potuto farsi delle religioni come la nostra e noi una religione
come la loro. Mio padre terminò questa volta il racconto notturno con una stima approssima­
tiva di quanti uomini siano attaccati alle diverse credenze che esistono sulla terra (3).
“ Considera i dogmi del Cristianesimo prima del momento in cui la Chiesa avesse blocca­
to tutto sotto la sua autorità. Informati delle loro origini. Esaminali in sé, non neU’unità fitti-
zia e nella pretesa invariabilità che è il postulato dei teologi, ma nella serie degli avvenimenti
storici, dei dibattiti filosofici, delle lotte politiche e degli intrighi del clero; perché la storia del­
le variazioni, per parlare come il vescovo, non è iniziata nel nostro tempo; è ripresa e conti­
nuata dopo qualche secolo di una immobilità apparente che era il prodotto della violenza” .
A questo punto mi fece uno spaccato degli annali ecclesiastici, delle eresie, dei concili e
delle rivoluzioni della Chiesa che sono state riportate a quello che veniva chiamato ortodossia
con un metodo disinvolto, qualificando cioè come ortodossa qualsiasi opinione che fosse
trionfata al termine di ogni lotta.
“ Guarda infine la morale della Chiesa, voglio dire quella che si desume dalla sua condot­
ta e dalla condotta dei prìncipi che l’hanno servita o che si sono serviti di essa, dai tempi di Co­
stantino fino a Filippo li; impara a conoscere le massime che ti verranno raccomandate e gli
atti che ti saranno proposti a modello” . Non posso impedirmi di fremere, di chiedere perdono
per l’interminabile quadro delle persecuzioni, dei supplizi a causa della fede, e dei delitti di
Stato di re e pontefici, commessi durante più dì mille anni in cui è stata in vigore la legge
delPamore, dei quali mio padre sembrava aver composto le lugubri effemeridi: era veramente

(3) Tagliam o qui un passaggio molto lungo per il quale possiam o oggi rinviate i lettori alla seconda parte
de L a professione di fede del vicario savoiardo di J . J . Rousseau,

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la cronaca viva dei traviamenti della religione. Giunto col suo racconto al nostro tempo, mi
mostrò il sistema dell’intolleranza teologica, potente allo stesso modo sugli animi dei principi
e dei privati dirigendoli anche quando credevano di essere divenuti liberi. Quale contraddizio­
ne! E dando il segnale di tante orribili guerre, comandando assassinii e massacri. Tanta forza
conservano gli esempi forniti da una politica crudele e dalla sedicente retta fede dopo la libe­
razione anche sui cuori di coloro che si chiamano eretici e che vogliono avere anch’essi i loro
eretici!
Dopo questo preambolo, del quale non saprei, figlioli, trasmettervi che la sostanza, ma al
quale aggiungerei qualche nota sui pumi storici che vi sono toccati (4), mio padre venne alla
storia della sua vita, che io attendevo con impazienza. Eccola riproposta nei suoi punti princi­
pali, perché non mi sento capace di riproporla con altrettanta forza tutta a memoria, cosa che
posso fare abbreviandola. L ’eloquenza dei fatti è grande.
Nell’anno 1572 — disse mio padre — avevo due anni, li 24 agosto i miei genitori furono
massacrati a Parigi per aver voluto difendere un ugonotto rifugiato nella loro casa. Erano cat­
tolici. I loro beni furono confiscati dagli assassini e io fui allevato per carità in un convento ed
educato nei principi che avevano causato la loro morte. Feci onore alla mia educazione. Ero
monaco e ancora molto giovane quando il giorno delle barricate sostenni la mia prima batta­
glia divorato da tutte le passioni della Lega; credetti per qualche tempo che la chimera del libe­
ro governo ecclesiastico stesse per divenire una realtà grazie alla Spagna, alla Compagnia di
Gesù e alla feroce pietà del popolo e degli studenti. La gioventù crede volentieri che le grandi
cose siano riservate alla sua età, e che la pura verità stia proprio dove il suo orgoglio, congiun­
to col suo amore e il bene pubblico, immagina di trovare la risposta universale ai propri dubbi
e ai propri desideri. La mia fede di aderente alla Lega si trasformò in rabbia al tempo dell’as­
sedio di Parigi, ma fece posto all’avvilimento quando vidi la conversione del re di Navarra e,
infine, alla disperazione in quell’anno eccezionale in cui fu emanato l’editto di Nantes, fu fat­
ta la pace con la Spagna e vi fu la morte di Filippo II. Avevo già 28 anni. I tentativi di assassi­
nare il re Enrico IV mi sembravano ribellioni tardive di un partito che restava potente nello
Stato, ma le cui mire venivano aggiornate per forza, soprattutto di fronte ai problemi degli
scettici e dei politici. I libri di questi ultimi, intendo libri di filosofia e di morale, e in modo
particolare i Saggi di Michel De Montaigne, che tessi in quel periodo, turbarono il mio animo.
Speravo di trovare un rimedio al disgusto che in Francia mi opprimeva e ai miei primi dub­
bi; e partii per andare a cercare la fede cattolica nel suo centro e li rigenerarmi, se lo avessi po­
tuto. Le mie referenze e lo zelo di cu» ancora davo prova, mi valsero a Roma un posto impor­
tante e confidenziale, quello di confessore degli accusati del Sant’Uffizio. L ’esperienza degli
intrighi romani, l’ostentazione dei vizio dei cardinali, la loro miscredenza mal dissimulata e i
costumi mondani del clero di ogni età, mi portarono per forza a tante riflessioni, come un
tempo Lutero, ma con questa differenza fra me, meschino, e il grande eretico: che la mia fede
nel cattolicesimo non potè resistere. Appresi allora, durante le mie funzioni, con quale ardore
il mondo iniziava nuovi cammini e quali nuovi nemici della Chiesa, perfino dal seno delle ma­
tematiche, stavano nascendo. Soltanto un inquisitore può conoscere tutto ciò che il secolo
passato ha poi prodotto e che, si fosse esteso, avrebbe sovvertito completamente la reli-

(4) Neppure oggi queste note sarebbero del tutto superflue consistono principalmente in quadri cronolo­
gici dei dogmi e dei crimini che si riferiscono al loro rafforzamento o alia loro distruzione. C ’è anche una
statistica delle vittime. M a abbiamo temuto la ripetizione e il doppio uso; infatti l’ autore riproduce i me­
desimi tratti, e in maniera ben più viva, alla fine del volume.

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gione. Questo grande sforzo è soffocato* Per quanto tempo ancora? Ci è rimasta, si vede,
una certa passione per le scienze, con la possibilità di toccare solo molto delicatamente i punti
riservati alla teologia; ma di certo quanto è permesso, si collega a ciò che è proibito attraverso
mille cose che si scoprono inevitabilmente ogni giorno.
Devo dire anche che più o meno nello stesso periodo avevo cominciato a studiare i due
principali avversari della fede: le antiche letterature insieme alla storia, e le scienze di recente
approfondite. La disciplina claustrale e poi le passioni del combattente della Lega mi avevano
tanto incatenato alla vita di quel corpo artificiale che è la Chiesa, che la lettura di Omero del
vero Aristotele, anche se in latino, di Virgilio, di Cicerone, di Tito Livio, di Plutarco fu per me
una sorta di rinascita, vocabolo più giusto per questo che per il battesimo, cosi imparai a con­
siderare l'umanità con occhio nuovo, e io stesso mi sentivo un altro uomo. Ritornai, attraver­
so quelle letture, fino alle nazioni in cui, senza messe e senza monaci, gli uomini non erano da
meno dì quelli del nostro tempo, liberi dalia schiavitù spirituale più di coloro che si chiamano
cristiani. Riguardo alle scienze, la dottrina di Filolao, ripresa da Copernico, mi fece penetrare
in qualche modo rimmensità della natura e ben presto la costruzione fittizia della fede mi
sembrò per la mente, una prigione scura, stretta e soffocante, i progetti immaginari della qua­
le io trovavo imitati nella realtà dagli architetti dell'Inquisizione.
Io vidi morire allora sul rogo un eretico, uomo molto colto, ma troppo imprudente, che
avevo ascoltato due anni prima mentre sosteneva perfino nelle prigioni di Venezia che era la
terra a ruotare attorno al sole. Questo monaco, dal mio stesso carattere, aveva viaggiato il
mondo, disprezzando gli obblighi del nostro ordine, predicando in ogni posto un certo Dio,
uno e tutto, che malaccortamente non aveva accordato al gusto dei teologi, A me non piaceva
la sua teologia; mi sembrava non uscire dallo stretto sentiero dei dogmi cristiani ed ebraici
se non per iniziarsi alle vie ingannevoli in cui si erano già smarriti i sacerdoti egizi e i bramini,
ma ne ammiravo la forza del genio e l'audacia, amavo il suo candore nonostante le provoca­
zioni.
Senza essere quel libertino che sembrava, lo si sarebbe paragonato a quei soggetti pieni di
entusiasmo che fondarono religioni delle quali mai immaginarono le conseguenze. Lo vidi
dunque bruciare, ero là, lo sentii quando sgomentò i suoi giudici con questa frase, che non era
forse così vera come lui pensava, almeno per quanto li riguardava: “ Voi che mi condannate
tremate, e io non ho paura” . Per il resto rimasi estraneo non solo alle procedure alle quali il
ruolo che occupavo non mi chiamava mai, ma anche alle lunghe torture e alla esecuzione della
vittima (5), Io mi sentivo ogni giorno di più invaso da quella tristezza che non èsecondo Dio,
da quella tristezza dei mondo che produce ia morte detranimat nella definitiva contraddizione
fra i nuovi stati d'animo in cui mi trovavo e il mio ufficio: ministro di collera o di grazia di un
Dio al quale non sapevo più bene se dovessi accordare anche resistenza di fronte a sventurati
di cui abusavo, non so se più indegnamente nel caso in cui credessero, che in quello in cui non
credessero. E vivere questo ruolo odioso! Mangiare il pane di questa menzogna! Era opportu­
no fuggire? Ma dove, in che modo, con quali mezzi? Era opportuno confessare e affrontare
ima morte insopportabile? Non so se ne avessi avuto il coraggio, non essendo sostenuto né
dall'ardore filosofico di Bruno, né dall'odio dal quale mi è sembrato prendere le mosse, qual­
che anno dopo, l'infelice Giulio Cesare, altro mio confratello (6), né dai piani di riforma dello

(5) SÌ tratta qui evidentemente del filosofo Giordano Bruno, bruciato a Roma nel 1600.
(6) Lucilio Vanini, bruciato nel 1619, per una sentenza del Parlamento di Tolosa. Questo passaggio lo
presenta come domenicano cosa che non era appurata fino a oggi. Prendeva abitualmente i nomi sotto i
q u a l i q u i l o si designa.

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Stato, dai quali un terzo domenicano, il padre Campanella, ha ricavato ventisette anni di car­
cere e le membra fratturate. Fui poi chiamato ad assistere in prigione il superiore di un famoso
convento dei nostro ordine, un vecchio quasi ottuagenario che per molto tempo era stato so­
spettato di indifferenza occulta e, come si disse, maliziosa, piuttosto che di empietà formale.
Era dunque stato semplicemente segnalato alla congregazione del Sant’Uffizio, quando tutto
a un tratto i suoi nemici più vicini, i fanatici del suo convento, avvalendosi di una malattia e di
una improvvisa perdita di coscienza arrivarono a impadronirsi di un manoscritto terribile, ver­
gato tutto di suo pugno, che lo condannava irrimediabilmente. In quest’opera, ora distrutta,
ma la cui letteratura mi fu permessa, ii padre Antapiro (tale era il nome delTautore dei mano­
scritto, nome forgiato secondo il gusto del tempo) sosteneva attraverso una sequenza di argo­
menti molto serrati le seguenti proposizioni:
1. Il problema dell’origine delle cose, come quelio della loro causa, è irrisolvibile e lo si può di­
mostrare, anche se tutte le cose del mondo hanno avuto, per necessità logica, un inizio d’esi­
stenza nel tempo.
2. La concezione di un essere che sarebbe sempre esistito e che avrebbe pensato a tutti i movi­
menti immaginabili risalendo nel tempo airinfinito, implica contraddizione.
3. Niente di infinito, in alcun genere soggetto al numero, potrebbe essere attualmente dato,
ma l’idea deirinfinito in cose numerabili è semplicemente idea della possibilità astratta di con­
tare.
4. L ’intelligenza umana si applica solo alle cose in quanto relative le une alle altre, essendo
anch’cssa solo formata da elementi che esprimono relazioni; e così l’essere assoluto e tutto ciò
che si intende per perfezione metafisica è, secondo un corretto ragionamento,un’¡dea impossi­
bile e contraddittoria (7).
Se simili tesi avessero avuto l’accompagnamento consueto, non senza una bastante ap­
parenza di buona fede, della formula usata dagli scienziati che intendono disarmare la tirannia
ecclesiastica; se il padre Antapiro, dopo aver sottoposto la teologia all’esame della ragione
avesse poi umiliato la ragione in ginocchio nella polvere; se avesse gridato: “ O Dio, i tuoi se­
greti sono impenetrabili! la nostra ragione non ha altra forza che quella di distruggere se stessa
c piegare noi davanti a Te, annientata! noi adoriamo i tuoi misteri per la sola fiducia nei tuoi
inviati e crediamo loro tanto più che, parlando contro la ragione , i loro argomenti e i loro suc­
cessi sono miracoli” , i teologi scolastici avrebbero allora alzato le spalle e parecchi fratelli
mendicanti avrebbero celebrato la pietà del buon padre. Ma invece, l’autore, andando fino in
fondo, pretendeva di trovare il trionfo della ragione, proprio nei limiti che essa pone a se stes-

(7) Il testo latino è riprodotto in margine al manoscritto:


t. Rerum omnium origlnis atque causae indagationem rem obtinerc non posse omnino: non facto scilicet
tantum, sed [psa vi demonstrationis impossibilitatem arguentis; quamquam res omnes initia essendi in
tempore habuisse fateri cogimu ex necessitate consccutionis inexpugnata;
2. Conceptum entis cujuslibet cui tum exisientiae tum cogitationis aliquae modi, in seipsis dividui, nec-
non in quocumque temports a parie ante momento sialuendi, tribuere velimus, involvere conlradictionem;
3. Nihil infinitum, in ullo rerum per essentiam numerabilium ordine, reipsa et actu dari posse; sed huju-
smodi infiniti ideam realem cum de rebus quas numeri in seipsis regunt agitur, nihil esse alìud nisi nume­
rando cujusdam abslractae possi hi litaits idea;
4. Iindicci um humanum rebus intelligibilibus applicar! posse quatcnus ab aliqua relatione sumptis, seu
gos ri consiituiis; ipsamque intelligendi formam ex dementis aliquam rationem involventium totani ei
ubique conflari; ila ut ens absolutum, alias metaphysicae perfectionis dicta attributa, nihil nisi impossibi-
lis atque contaddictoriae ideae nomina, secundum rectam rationem dici debeantur.

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sa, dichiarandosi così proprio il contrario dd filosofo scettico. Non am m ettevate la fede po­
tesse qualcosa contro ciò, perché diceva, la fede è una funzione indispensabile e necessaria,
che ci aiuta a decidere su quanto la ragione stima possìbile conoscere, nel caso in cui sarebbe
ragionevole rimanere inerti; ma l'eccesso delle sciocchezze umane sta nel credere che la fede
abbia il compito di certificarci le impossibilità logiche. Infine il padre Antapiro non vedeva
quale utilità potesse avere per noi il volere a ogni costo conoscere ciò che non è conoscibile; in­
fatti voler determinare la causa prima del nostro essere, la natura del tutto e il fine ultimo del
mondo non è forse un volersi consolare della ignoranza necessaria con Pìrragionevolezza gra­
tuita?
I teologi videro il massimo della malizia e della malignità nei raffronto che fautore istituì
fra le religioni politeiste e i dogmi cristiani; ma la religione non era il soggetto del libro, serviva
solo a dare un esempio del metodo.
I Greci e i Romani credevano a divinità di carne ed ossa, se si può dire in questo modo.
Ma per ciò stesso, questi dei e queste dee, un Mercurio, una Venere, una Minerva, un Giove
loro padre, una Giunone loro madre erano, secondo il padre Antapiro, personaggi di una esi­
stenza molto dubbia, se si vuol restare alle tradizioni, ma la cui comprensione era possibile. Non
si poteva quindi rimproverare a nessuno di essi il fatto di non poter cogliere le essenze senza
contraddizione. La religione del Cristo ha conservato qualcosa di ciò, ha i suoi santi e, sopra,
esseri di natura angelica veramente reali e vivi, creati come noi. Ma quando i cristiani medita­
no sull’essenza stessa di Dio, è tutt'altro: credono di seguire una scienza tutta particolare, la
teologia, e attraverso questa essere sottratti all'arbitrio delle finzioni mitologiche. Ma, invero,
è tutto il contrario di una scienza propriamente detta. Quale rapporto immaginare fra il Padre
nostro che è nei cieii e il Figlio che mori per noi e che è seduto alla destra dei Padre, e una essen­
za anteriore al tempo, che non sta nello spazio, e nella quale un pensiero, senza distinzione e
origine, non ebbe fin dalla eternità altro oggetto che se stesso? Parlano di un essere al di fuori
del quale non esiste nulla e le cui opere sono diverse da se stesso. È uno e immutabile, ci ha
creato e ci conosce, nulla accade al di fuori della sua volontà. Per giunta ci ha dato la libertà di
fare quello che inevitabilmente faremo.
Questi dogmi sono entrati a poco a poco nella religione a causa di una metafisica molto
antica; ma sarebbe meglio chiamarli centoni combinati di detti contraddittori così che, secon­
do ragione, dovrebbero essere respinti perfino da chi non rifiuta di prestare una qualche possi­
bilità alle fantasie dei più stravaganti studiosi di miti, “ li padre Antapiro giustificava il suo
nome di battaglia in filosofia (8) con ragionamenti curiosi che aveva molto ingegnosamente
composto sull'idea dell’infinito. Egli riportava questa idea a quella della indeterminazione e
della possibilità, e non le concedeva altro valore per la conoscenza umana. Ma traeva questa
conseguenza: l’infinito non potrebbe essere lui stesso sostanza né prendersi mai per attributo
denotante qualcosa di attuale. Tuttavia si guardava bene dalfopìnione, comune alle scuole
che si richiamavano a Epicuro o allo stesso Aristotele, per la quale il concetto dell'infi-
nito è un effetto dell'esperienza di ciò che è finito. Secondo lui i concetti negativi più generali
come l'idea della negazione o del nulla, ridea dell'essere puro che non è diversa dal nulla,
quella dell'assoluto, dell'indeterminato, e altre simili sono nella sostanza tratti caratteristici '
delle funzioni intellettuali, di cui esprimono nel modo più alto il potere speculativo. Con fuso
di questi concetti puri e con la nostra libertà di dirigere c di modificare i pensieri, i loro oggetti,

(8) Anti apeiron - L'àpeiron è l’infinito dei filosofi greci, meno venerato presso di loro che presso i filoso­
fi moderni.

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i loro effetti specifici, dimostrava il modo in cui ricaviamo 2a idea della possibilità, che non
esiste in modo cosi distinto negli animali; e quindi l’idea della possibilità indefinita; e da que­
sta, applicata alle numerazioni astratta o reale, il modo in cui componiamo l'essenza presunta
dell'infinito quantitativo*
Poi, rimanendo strettamente legato all'imm agi nazione che riguarda l’illusione degli uo­
mini di indicare i generi attraverso segni che vengono considerati diversi dagli stessi generi, di­
mostrava, attraverso sillogismi, come un filosofo realista, partendo dall’esistenza di un tale
infinito in atto possa esser costretto a manifestare una contraddizione in terminis, che tuttavia
cercherà di mascherare, obiettando di non capire quel che vuol dire.
11 libro manoscritto del Padre Antapiro è stato bruciato per ordine dell’Inquisizione, sen­
za che sia stato possibile riprodurne una sola copia, ed è una perdita molto grave; perché sem­
bra ormai tutto pronto per un grande rinnovamento della filosofia che avverrà in seguito al
rinnovamento delle scienze (9); c’è da sperare che gli errori della scolastica, contro i quali sarà
diretto, non conservino ancora una parte troppo importante. Conosco tanto bene un giovane
gentiluomo francese, singolare abitante di Amsterdam (10) da poterlo crederlo capace di
cambiare parecchie idee delle nostre più grandi menti, quando farà loro conoscere il suo meto­
do per le scoperte; e forse il corso del mondo ne risentirà più di quanto i nostri mercanti pensi­
no possibile. Ma quando vedo questo genio inginocchiarsi anche lui sotto Pautoritàdi Agosti­
no e di Anseimo, mi rammarico di non avergli opposto altro che l’imperfetto ricordo dei ra­
gionamenti di un uomo che non oso nominare. Ai suoi occhi non sono che uno da compatire,
un suo compatriota, che ascolta anche» ma le cui parole non sono di un peso tale da meritare
tutte le sue attenzioni. Se conoscesse la mia vita, mi giudicherebbe solo come un oscuro fanati­
co del 1590, diventato un oscuro libertino del 1630.
Ritorno a questa triste storia della mia vita perche ho fretta di dimenticare lugubri ricor­
di. Il prigioniero fece di me il suo discepolo, il penitente confessò il suo confessore del quale
aveva cosi facilmente sorpreso la debolezza. Quale insegnamento! Divenne il mio consolatore,
lui, destinato a un supplizio infamante, dopo atroci torture, consolatore di un miserabile, ve­
stito come i suoi giudici e i suoi assassini!
Instillò nella mia mente due grandi verità, la meditazione e la pratica delle quali mi resero
la pace interiore perfino nella disperazione che mi causava sempre lo spettacolo di questo
mondo; la prima di queste verità è: il pensiero dell’uomo è libero di per sé; nel turbinio delle
passioni che piegano la fede, non può essere piegato da forze esterne.
Appresi da ciò a rifiutare con un atto virile questo pesante fardello delle false tradizioni,
dei pregiudizi, delle abitudini che piegavano la mia anima, invece di cercar di giustificare la
mia viltà con la forza delle cose, o di attribuire, come fanno alcuni, le mie lacerazioni interiori
alla lotia fra la grazia e il demonio in un cuore che si abbandona e che deve determinare la for­
za di un vincitore. Da quel giorno esaminai senza alcun pregiudizio la fede della mia infanzia e
la rifiutai. Pensavo di pronunciare, sacrificandola, la condanna totale, Pauto-da-fé profondo,

(9) Questo buon cassiere di Amsterdam che seguiva da 30-40 anni il progresso delle scienze positive, e che
sperava ancora nella riforma della filosofia, sapeva molto più in questo campo degli autori moderni, che
hanno sostenuto la tesi della dipendenza dei lavori o delle scoperte scientifiche dal rapporto coi sistemi
metafisici.
(10) Qui non si può trattare che di René Descates, che dal 1639 abitò in Olanda, e il cui celebre Discorso
sui metodo per condurre correttamente ia ragione e cercare la verità nelle scienze apparve nei 1637, stam­
pato a Leyda.

17
#

l’atto di fede chiaroveggente che decide; mentre questo nome, che ci deve fare inorridire, vie-
ne dato allessassimo commesso in nome della fede che si acceca.
L ’altra verità è quella che i teologi hanno detto ma che non hanno capito: Dio ci è incom­
prensibile; è la consapevolezza che di Lui non possiamo conoscere niente, eccetto il fatto che
abbiamo in noi un preciso sentimento del fare bene, e che il nostro capire ci porta per sua na­
tura a immaginare che tutte le cose abbiano origine in un bene primo e sovrano, e che tutte
ugualmente tendano al bene come al loro ultimo stadio, nonostante il male che appare. Po­
trebbero dunque esistere motivi di felicità per le creature che piangono in questo mondo e
aspirano a un mondo a venire e, chissà, anche per quelle che noi vediamo ora imprigionate,
sotto il potere delle sensazioni più basse. È forse questa la verità racchiusa nella famosa teoria
della metempsicosi. Almeno si può credere in una condizione futura riservata alle persone che
hanno piena e perfetta coscienza del loro essere e del loro destino; non farebbero altre che ri­
cevere dalla stessa natura, che fece loro dono dei pensieri e dei desideri, una soddisfazione
conveniente a queste stesse forze vitali, proprio come si mostrano, dal momento che esiste
un’armonia dei desideri e dei fini in tutta la natura, secondo quanto testimoniano coloro che
meglio la conoscono.
Ecco cosa pensava il mio maestro e quanto ho appreso dal suo insegnamento; credetti an­
cora, come lui, neiresistenza di persone superiori a tutte le altre e alle quali converrebbe il no­
me di Dei, se preferiamo il linguaggio delle religioni alle astrazioni e alle fantasie dei filosofi. Ma
ignoriamo tutto di questi dei, il loro modo di essere, il loro numero. Se qualcuno vuole imma­
ginarsi dei rapporti tra sé e tali persone, abbraccia una religione; sono credenze che si abbrac­
ciano volentieri solo se sono proprie di popoli interi o di un’epoca, ed é molto difficile che chi
si è sottratto in problemi di questa natura ad una antica fede, abbia la semplicità e l’ardore ne­
cessari per legarsi solidamente a una nuova credenza. Ci resta allora la filosofia. Quella del
mìo maestro nega che la conoscenza del primo principio divino ci appartenga, afferma che le
elaborazioni dei teologi non sono altro che un ateismo nascosto; così sono libero di credere in
un Dio vivente, non essendo tenuto al rispetto di quelle solenni frottole del tempo che è tutto
intero prima di svolgersi, dello spazio dove non vi sono pani, dell’essere indifferente nei suoi
stessi affetti e la cui conoscenza arriva dove non c’è niente da conoscere. Sono fantasie che di­
struggono la vera scienza, sogni di falsi mistici, capaci nella loro pedanteria, soltanto di riba­
dire le catene di cui le generazioni dei filosofi a gara si caricano. Questo maestro mi fu subito
caro ma purtroppo quanto dovevano essere abbreviate le sue appassionate lezioni! Rifiutò di
nascondere i suoi veri sentimenti davanti ai giudici. Disse loro che un rimorso lo tormentava:
non aver dedicato la sua vita passata a rendere testimonianza della verità; che tuttavia questo
rimorso veniva addolcendosi a causa del martirio dal quale non lo difendeva la viltà del silen­
zio. Era anche un onore troppo grande, diceva, essendo quel sacrificio alla sua età ben poca
cosa, lo non avevo tanto coraggio, la mia anima non era della tempra della sua. Mi abbassai
fino a consigliargli una ritrattazione, quasi fosse una via aperta a salvare almeno la sua vita: lo
scongiurai di vivere, dicendogli che in mezzo al dilagare della follia umana, il saggio si astiene
e rinuncia; l’innocente, quando è circondato da nemici, può nascondersi e mentire; contro la
violenza trionfante infine, il diritto giustifica chi ricorre, per difendere ciò che gli resta, all’ar­
ma dell’astuzia. Mi consigliò, o meglio, mi ordinò ciò che dovevo fare. Volle che l’abbando­
nassi fin dal giorno precedente il supplizio, che fuggissi per andare a vivere in un paese libero,
professandovi la religione riformata come protezione e protesta contro il fanatismo papista;
sperando in un futuro più favorevole, volle confidarmi il suo testamento filosofico. Era un
nuovo libro che aveva avuto la forza di scrivere, in pochi mesi, nella sua prigione, grazie ai pri­
vilegi che avevo potuto procurargli. Per il resto, il vecchio fu irremovibile nel rifiutare tutte le
mie offerte di condividere le possibilità di salvezza che avevo, che sarebbero infatti diminuite.
Avrebbe, credo, rifiutato anche una salvezza sicura, non come Socrate, per obbedire alle

18
(oggi (le leggi detla Chiesa), ma perché non riusciva a reggere, sentendo che le confessioni non
gli potevano evitare la tortura, lo smarrimento dello spirito che nei martiri si comunica ai sensi
0 li pone come in estasi.
11 giorno da lui fissato, senza esitazione, voleva infatti riservarsi il tempo di conoscere il
successo della mia fuga, lasciai la prigione più pallido della vittima destinata. Portavo sotto la
veste talare un libro contro l’istituzione temporale della Chiesa, il più sorprcndntc, il più terri­
bile per il sacerdozio che mai uomo abbia pensato di scrivere. Questo libro, figli miei, un gior­
no forse lo conoscerete, vedo infatti chiaramente che la confessione di vostro padre vi tocca e
che non dovrete fermarvi a Quel punto. Nell’attesa dovrà essere tenuto molto nascosto, perché
è contrario a una parte delle cose che manteniamo ancora nella religione che professo in que­
sto paese. Una sequenza di casi che posso dire fortunati favorirono la mia fuga e trovai la
quiete sotto l’egida delle leggi civili. Il Padre Antapiro fu bruciato vivo al Campo delle Vac­
che, antico foro degli oratori romani il 23 luglio 1601.

Fine della prima parte dell’appendice che fa da prefazione.

19
UCHRONIA
Primo Quadro
Invasione dell'Occidente da p arte delle dottrine orientali. I dissidenti del m ondo ro­
m an o> L a crisi dello stato ebraico, I cristiani.

Fin dai tempi più remoti le nazioni orientali obbedirono a sacerdoti oppure a so ­
vrani assoluti. Ai confini fra {’Oriente e un Occidente rozzo e sconosciuto, alPinizio
della nostra era (1), i popoli ellenici ed italici (2) m ostrarono disposizioni diverse. I
Greci, gli Italici, popoli favoriti dallo spirito e dalla natura ignorarono il potere dei
sacerdoti o lo subordinarono agli interessi civili. Invece di grandi monarchie, ebbero
città libere e furono gli inventori della L e g g e , questa astrazione destinata a diventa­
re una delle grandi realtà delle com unità umane. L ’uom o civile e politico non otten­
ne, in quelle repubbliche, tutta l ’indipendenza desiderabile che per lo stato di guer­
ra fra le nazioni era im possibile; m a il cittadino guadagn ò e conservò attraverso
tante vicende tutta la libertà consentita dalla sicurezza dello Stato di fronte agli stra­
nieri. L a sottom issione delle m asse, mediante la più rozza ignoranza che si p o ssa im­
m aginare, fece posto a raffinati sistemi educativi destinati a esaltare tutto il vajore
virile di ogni cittadino. Le donne passaron o dallo stato di schiave a quello di nfadri
di fam iglia, aum entò la loro dignità, iniziò la loro influenza. Mentre le teocrazie
dell’Oriente consegnavano i loro sudditi alla febbre delle allucinazioni religiose o li
lasciavano marcire in un am m asso di superstizioni m alsane, i nuovi popoli organiz­
zavano culti semplici che erano doveri e feste fam iliari e cittadine ancor prim a che

(1) Proseguendo nella lettura di Ucronia si vede facilmente che il calendario adottato dall’autore è quello
delle Olimpiadi. In uno schizzo a grandi linee, dove le minuzie cronologiche sarebbero di troppo, questo
calendario sì confonde sensibilmente con quello della fondazione dì Roma. Per questo, tenendo presente
che il primo anno deirera cristiana è il 777° delle Olimpiadi, si passa grosso modo dalle date di Ucronia a
quelle del calendario gregoriano considerando che il settimo secolo di Ucronia è 11 prim o avanti Cristo e il
IX di Ucronia è il nostro primo dopo Cristo. Fatto questo chiarimento sarà premura del curatore tradurre
le date ucroniane nelle nostre date volgari, in nota, al fine di riportare le prime al nostro calendario e ri­
sparmiare ogni calcolo ai lettore.
(2) Non bisogna attribuire a questi nomi alcun valore etnologico. L ’autore non sembra affatto preoccu­
parsi di ciò che noi chiamiamo razza. Non ci si potrebbe attendere altro dati i tempi in cui viveva.

21

religiose. Liberi misLeri, spogliati di ogni significato e di ogni azione politica, furono
aperti agli spiriti che non si accontentavano della sorte proposta dalle comuni cre­
denze.
Del resto, questi uomini così emancipati (3) pensarono secondo il loro m odo di
vivere e non temettero di guardare il cielo in faccia« N um erose scuole filosofiche ten­
tarono di determinare i principi e gli elementi delle cose attraverso la fo rza naturale
del genio finché, stanche di ricercare Tim possibile soluzione al problem a della natu­
ra universale e della prim a origine, ritornarono su se stesse e com inciarono a esam i­
nare la coscienza e a d elaborare m etodologie di ricerca: direzione nuova che fa vede­
re nel m odo m igliore il carattere um anista della civiltà greca.
In questo periodo si organizzarono le scienze esatte, futuri strumenti di tante
scoperte, nacquero le scienze basate sulPosservazione, la poesia e le arti plastiche
toccarono la perfezione. In una piccola parte del m ondo, lontano dalle grandi p o ­
tenze politiche e sacerdotali di quest’epoca furono queste le conseguenze di una sola
istituzione spontanea: l’uguaglianza civile di alcuni uomini liberi divisi in gruppi n a­
zionali .
Chi confronterà i costumi dell’Oriente con quelli del nostro am ico Occidente
noterà un 'altra grande differenza. Il lavoro, che in Oriente era disprezzato e riserva­
to esclusivamente agli schiavi, in Occidente comincia a essere considerato un fatto
m orale, quando l’esistenza della piccola proprietà (4) l ’im pone a uomini che si ri­
spettino. Certo, il cittadino greco e rom ano è soprattutto un guerriero, e non poteva
essere diversamente, m a spesso è anche un coltivatore. A d Atene, qualche volta è un
commerciante, un artigiano; sarebbe un errore considerare che la preferenza di D io­
gene cinico per il conduttore di asini rispetto al generale fosse un parad o sso del tutto
isolato.
Tutto il m ondo è solo azione e reazione, perché le idee che m uovono i fatti
hanno lo stesso com portam ento sia nell’individuo che nelle nazioni, e perché i popo­
li, che pensano in modi diversi, lottano senza fine per influenzarsi o farsi violenza.
Se non si com battessero più, se potessero conoscersi, si im iterebbero. N on si è anco­
ra visto in questa infelice um anità divorata dalla passione di sottom ettere o di sotto­
mettersi che le relazioni tra i popoli, come quelle fra le persone, si regolino veramen-

(3) Dobbiamo prendere la parola emancipato in senso relativo: pensava ad esempio, fautore, che i Greci
fossero sfuggiti alle monarchie o teocrazie deirOriente? Allo stato attuale delle conoscenze, ci sembra
più probabile che le famiglie che promossero lo sviluppo dell’Occidente fossero rimaste sempre fuori
dalf influenza delle grandi civiltà orientali, sia per la toro posizione geografica che, in regioni montagnose,
li protesse, sia perché, all'epoca in cui esse emigrarono, il regime e il culto patriarcale non erano ancora
scomparsi dalla maggior parte dell’Asia. Oggi non si può più dubitare che un politeismo naturale abbia
preceduto in ogni luogo te credenze panteistiche, come i villaggi precedono gli imperi e la libertà è più an­
tica della schiavitù. Si vedrà più avanti che fautore ammette questa ipotesi.
(4) Il traduttore ha reso ager modicus con piccola proprietà. Più avanti si è permesso di rendere itus e re-
ditus con azione e reazione , ecc. Ma si può dire che proprio il nostro autore abbia creato il vocabolo um a­
nista, perché ha grecizzato il suo latino per rendere l’aggettivo anthropinos .

22
te sul riconoscim ento della libertà (5). Infatti essendo la m assim a della guerra: im ­
porre ia m ia volontà, annientare la volontà altrui, è chiaro che non potrebbe sussiste­
re pace né per gli Stari né per i concittadini, finché alcuni di loro si rifiutano di ri­
spettare la libertà degli altri, o di esercitare la p ropria e non vedono nessuna alterna­
tiva fra l ’obbedire e il com andare. Gli uomini liberi devono allora Farsi temere e
qualche volta farsi obbedire; ecco perché i Greci e i Rom ani, q u an d ’anche i loro
principi di uguaglianza e libertà non fossero stati intrisi di esclusivismo e di oppres­
sione, cioè di ingiustizie, ed erano ben lontani d all’esserlo, si sarebbero sentiti obbli­
gati a essere dom inatori per non essere schiavi. Infatti furono i dom inatori, fino al
momento in cui, abbattuti dalla tem pesta dell’antica schiavitù, che del resto aveva
una profon da sorgente interiore in una delle loro grandi istituzioni che è superfluo
nominare e vedendo la loro sconfitta, udirono una grande voce d a parte deirO riente
che gridava: “ Chinate la testa e ad orate” . C o sa fecero allora, e cosa avvenne del
m ondo? È l’oggetto del nostro racconto.
L a prim a volta un tale ordine fu dato alla Grecia prim a del suo declino, nel m o­
mento del m aggiore splendore delle sue dottrine: consegnare la terra e l'acq u a e
prostarsi ai piedi del G ran Re. Vinse a M araton a, a Salam ina, a Platea. Fu una lotta
eroica, una gloria senza pari nella storia degli uomini. Poi questa Grecia divisa che si
abbandonava miseram ente ai giochi di forza fra le sue città, cedette a ll’ascendente
militare di un m onarca del nord, di una nazione disciplinata, i cui costum i erano
identici ai suoi, m a non la libertà. A lessandro, generalissim o dei Greci, portò la
guerra in Oriente. C osì dopo la difesa venne la conquista; con la conquista i genera­
li, i dom inatori e i re: è nell’ordine delle cose. L a conquista ebbe anche un altro e f­
fetto fatale, di enorme portata. L ’Oriente fu sottom esso, m a non fu trasform ato e A
l’Occidente fu preso d a ll’ebrezza orientale. I M acedoni in principio si lam entavano
nel baciare la terra davanti al figlio di Giove; poi si sposarono con donne persiane. I
successori di A lessandro trovarono sudditi obbedienti, mantennero bande stipendia­
te di soldati, praticam ente senza patria, con le quali fecero pressione sulle ciftà gre­
che e le assoggettaron o. Poi cominciò la decadenza e fu rapida. Forse è vdifo che i
destini degli uom ini, se ci sono destini generali, com portano relazioni continue e
sem pre più profon de fra gli uomini di ogni origine e di ogni opinione. È questo un
male non m eno certo, fatto per addolorare il filosofo, delle rivoluzioni m orali che
realizzano una fusione necessaria annientando le creazioni parziali in cui la verità e
la bellezza avrebbero brillato nell’opera delle nazioni privilegiate.
Chiam erem o M edio Evo quest’epoca intellettuale che si m anifesta nelle conse­
guenze della conquista di A lessandro, e che raggiunge il m assim o splendore nei pri­
mi secoli dell’impero romano, perché è Fetà intermedia fra la libertà antica e la libertà

(5) Questo rimprovero aU’umaniià forse non è più cosi giusto come una volta. Tuttavia, chiunque voglia
essere sicuro di restare libero deve aver sempre qualcosa per farsi temere. Tutto ciò non è solo vero fra i
popoli, ma anche nelle comunità più piccole. 11 progresso consiste ne! sostituire alla forza bruta quella
morale c nel far si che nasca il bisogno negli altri.

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m oderna, fra i costumi e le scienze della cultura greco-rom ana e i nostri. L ’ età di
mezzo, l’età della fusione della Grecia e dcH’Orìente è già chiara, per chi guar­
da con occhio disincantato, nel periodo in cui i Greci, dopo aver sviluppato spon ta­
neamente lo spirito delle loro istituzioni e delle loro prime concezioni religiose igno­
rando i tempi e i luoghi della loro infanzia, cercano di risalire alle dottrine profonde
che credevano di avere dimenticato e considerano l’Oriente come la sorgente delle
verità sublimi e di ogni saggezza; quando con l’aiuto di tradizioni rim ediate, di an a­
logie puerili, dì etimologie ridicole, si sforzano di identificare le loro divinità civili e i
loro miti sereni con le divinità sostanziali, le tetre credenze e i pericolosi arcani di
popoli votati a ll’adorazione e alla vita contem plativa. Gli stessi filosofi cedono a
volte alla corrente reazionaria, anche se i m aggiori capi scuola, A ristotele, Zenone,
Epicuro, Pirrone, tutti, ad eccezione forse di Platone, costruiscono teorie essenzial­
mente greche, chiam ate a dare ancora forza e durata allo spirito um anista. M a il
platonism o, quando non diventa scetticism o, tende al misticismo e fin dall’inizio si
orientalizza sempre di più. Grazie ai rapporti pacifici stabiliti fra i popoli, al com ­
mercio, alia facilità dei viaggi e alla curiosità proverbiale dei greci, l’Egitto, la Per­
sia, l’ India apportano all’oscuro lavoro delle intelligenze molti elementi di cui, per
la perdita di tanti libri, possiam o conoscere l’im portanza solo attraverso i risultati
che hanno ottenuto.
Una cultura per molti aspetti diversa da tutte le altre, quella ebraica, si fonde a
sua volta con tutte le altre quando una intera colonia di ebrei si stabilisce nella prin­
cipale della città fondata da A lessandro, proprio in quella che porta ancora il suo
nome.
li medio evo sarebbe stato soltanto un’epoca locale, lim itata a qualche regione
di lingua greca. M a, reso universale dall’effetto delle comunicazioni e delle fondazio­
ni dovute alla conquista del Generalissim o dei Greci, diventò un’epoca di tutto l’Oc­
cidente grazie alla più stabile e estesa conquista delle armi rom ane. L a Grecia aveva
organizzato al sua interno Stati più o meno dem ocratici, perfino comunisti o quasi
per un certo periodo: m a fu solo una grande repubblica federale, anarchica, trava­
gliata da continue guerre civili e le cui forze si neutralizzavano. A questo corpo m i­
rabile m ancarono sempre disciplina e unità; ogni sua parte perfino la più piccola è la
meno illustre, ebbe troppo vigore per sopportare una sola testa.
Queste parti a loro volta, questi piccoli stati, furono travagliati d a continue la ­
cerazioni e m ancarono completamente di perseveranza nelle loro imprese: effetto
naturale dell’eccessivo sviluppo delle personalità, in un m om ento nel quale più che
mai ci sarebbe stato bisogno della fo rza, dell’ unione per costruire la fo rza, dei sacri­
fici per costruire l’ unione.
R om a, al contrario, si distinse per la solidità delle sue tradizioni statuali nei cin­
que secoli di attività delle sue istituzioni repubblicane. L a sua aristocrazia, educata
per la politica e per la guerra, senza la distrazione delle arti e delle scienze, estranea
ad ogni pensiero capace di indebolirla, sviluppò le sue qualità senza pari con una
stupefacente perseveranza. L a distribuzione delle terre conquistate m oltiplicò le fa ­
miglie e i soldati. Leggi severe, di cui ebbe il genio, diedero al popolo rom ano, m al­
grado numerose crisi politiche nelle quali i cittadini tem pravano il loro carattere, la

24
sicurezza dei possessi e delle transazioni necessarie in uno Stato vastissim o e sempre
in espansione. Il rispetto sistem atico, naturale nella sua ispirazione, dei costumi e
delle istituzioni religiose o civili delle provincie, la protezione am m inistrativa e la pa­
ce, anche se pagate a caro prezzo, assicurarono la fedeltà dei popoli assoggettati (6).
Così questo grande popolo vinse i propri vicini, abbattè la potenza militare del com ­
mercio cartaginese, poi sottom ise la Grecia, am m irandola, studiandola e infine, la
Spagn a, la G allia e tutte le regioni orientali del M editerraneo. D opo tutte queste vit­
torie, toccò al conquistatore temere la propria conquista.
il conquistatore si era già profondam ente trasform ato. Nessun generale pro­
console poteva perdere qualcosa di suo o della patria nel parlare greco, neironorare
le arti, nel discutere coi filosofi: nessuna cosa capace di nobilitare, istruire e civiliz­
zare l ’ uomo avrebbe potuto nuocergli. Non è l ’aum ento del lusso a rovinare le città;
gli antichi che l ’hanno creduto hanno cercato la causa di questo male nella più inno­
cente delle sue m anifestazioni, vedendo in questo lusso soltanto la portata e il senso
che ci sono fam iliari. M a quando le grandi cam pagne militari provocarono l’allarga-
mento sm isurato della piaga della schiavitù, quando l’agricoltura libera scom parve,
quando il soldato non fu più proprietario e non si senti più cittadino, quando il li­
berto, Io straniero, Puom o senza idee e senza costumi particolari ebbe una posizione
im portante nel p op olo, quando un governatore potè opprimere la provincia per ar­
ricchirsi e im parò a governare il m ondo secondo i costumi che, soprattutto in Orien­
te, prevalevano, quando i voti si acquistarono in m assa nel fò ro, quando la popo la­
rità si ottenne con atti che richiedevano la concentrazione del potere in una sola per­
sona, quando infine generali rivali si trovarono al com ando di legioni fedeli, m a a-
vide e unicamente pervase di spirito m ilitare, quando tutti questi effetti vennero da
una unica causa, la conquista, fu chiaro che R om a non era più R om a. Di una repub­
blica orm ai senza cittadini rimasero solo tre cose: un organism o m ilitare, un sistema
am m insitrativo le cui tradizioni si trasm ettevano a ll’interno di una certa classe, un
immenso prestigio. E ra m olto per la durata di una repubblica, rom ana di nome, m a
la m onarchia era orm ai inevitabile e la possibilità di comunicare liberamente frà tut­
te le parti dell’ Im pero, in un clim a interno di pace duratura, dava inizio al M edio
evo rom ano.
Ci furono dunque sudditi e principi. M a non vi fu una religione dom inante,
uniform e, d ogm atica, assoluta. Avrebbe potuto form arsene una per l ’ascendente
degli im peratori e per il ruolo spontaneo di popoli ignoranti trascinati da un predica­
tore travolgente, per com pletare la rassom iglianza fra l ’im pero rom ano e gli antichi
imperi del m ondo? Q uesto era il problem a fondam entale delle libere civiltà (7) del
IX e X secolo.
C i fu ro n o sudditi e prìn cipi, M a gli im peratori, ad eccezione di quelli presi dalla

(6) Il nostro autore dà prova di raro acume nell’enunciare con la consueta incisione una buona parte di
quelle ragioni che gli storici moderni hanno trovato per spiegare lo sviluppo della forza di Rom a.
(7) I e H dell’era cristiana.

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vertigine delle alte vette, di solito continuarono a sentirsi osserv ati^ obbligati dal
giudizio di una classe di uomini che continuava a pensare e che, da quando non p o ­
teva più agire, costruiva almeno delle teorie sulla politica. I titoli delle antiche fun­
zioni, accumulati nella persona del principe, gli ricordavano che il potere è una cari­
ca pubblica, 11 senato, che gli storici definiscono volentieri un ’om bra, era l ’om bra di
qualcosa di grande che si imponeva ancora. Infine la filosofia e i concetti m orali, di
cui tante menti erano piene, non potevano essere assolutam ente ignorati dai capi di
Stato. Forse, un giorno, si realizzerà il sogno platonico del regno della filosofia. Per
tutte queste ragioni, l ’impero era ancora lontano dagli errori delFOriente, e i romani
potevano sperare vivamente nella salvezza.
N on vi fu una religione dom inante. Non è vero che i R om ani grecizzati non cre­
dessero a ll’unità della religione: ne erano invece convinti. Q uando, conquistando un
territorio, trovavano divinità con determinati nomi e attributi, il loro prim o pensie­
ro era di cercare a quali dei loro dei corrispondessero. Raram ente questo problem a
non veniva risolto. E quando incontravano simboli assolutam ente diversi dagli altri
culti che conoscevano, rispettavano in essi l ’applicazione dei principi comuni a tutte
le religioni: un’ antica tradizione, una possibilità m orale, una libertà di credere, un
appoggio che ogni popolo è portato a cercare in forze superiori e protettrici. C osì
R om a, unendo quel popolo a questa federazione civile e religiosa che organizzava
sotto la sua egem onia dopo averne com pletato la conquista politica, si ritrovava
nuove divinità delle quali i vecchi dei del Panteon non erano gelosi. Ne derivava una
tolleranza perfetta che però era lim itata d a ll’intolleranza altrui. Gli dei di R om a non
potevano certamente accogliere quelli che venivano a m andarli via di casa (8).
Le divinità assolute, i sacerdoti caratterizzati da un proselitism o violento face­
vano male a com piangersi se esclusi dal comune benefìcio.
Nei rapporti fra Chiesa e Stato ci sono solo tre sistemi logici:
1. Lo Stato ignora tutte le Chiese.
2. Lo Stato accoglie tutte le Chiese imponendo loro solo le condizioni inerenti la sua
costituzione generale e le leggi civili.
3. Lo Stato fa la sua scelta, si identifica con una Chiesa e perseguita le altre per an ­
nientarle.
1 sistemi intermedi sono compromessi difficili, che a volte la ragione non può
giustificare, pericolosi per le conseguenze delia lotta sorda che presuppongono, in­
capaci di mettere d ’accordo pretese che, per loro natura, sono contradditorie. Il ter­
zo sistem a, quello dell’intolleranza, appartiene agli stati teocratici; esso sopprim e la
libertà fondam entale delle persone: il diritto di credere o di negare le opinioni incer­
te, il diritto di dubitare, il diritto di ricercare, una libertà che rappresenta quasi inte­
ramente il confine fra Fucino e la natura. Dal m om ento che la nostra salvezza terre-

(8) Le persone educate accettano volentieri nella loro compagnia ogni opinione che non condividono e
ancor più le convinzioni onorevoli. Ma se una di queste facesse violenza ai suoi ospiti sarebbe pregata di
la.srìare il posto; e se essa dicesse: uscite voi; la casa è mia, le persone educate allora chiameranno la polizia.

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na è assicurata dalla tirannìa politica, vuole anche che la nostra salvezza spiriturale
sia assicurata dalla tirannia religiosa e ignora che la nostra fondam entale salvezza è
quella di decidere d a soli, secondo la nostra coscienza. Il secondo sistem a, o vsistema
rom ano (9), se fosse stato applicato rigorosam ente ed esteso non solo ai diversi culti
nazionali, accettati e consacrati nella capitale di tante nazioni, m a anche alle opinio­
ni e alle pratiche religiose di vari cittadini di una stessa città, così da rendere possibi­
le a un uom o, a una setta qualsiasi, di avere i propri dei senza alcun riguardo per
quelli vicini, arriverebbe a confondersi col primo sistem a che rappresenta uno dei
caratteri del mondo moderno (10). Infatti stessa cosa è ignorare da parte dello Stato le
forme del sentimento religioso, come estranee a se stesso e alla sua funzione o accet­
tarle senza fare distinzioni; accettandole tutte, non può appropriarsi di nessuna in
particolare, ignorandole non può escluderne alcuna: nell’uno e n eiraltro caso non
potrebbe fare altro che sottom ettere la loro m anifestazione pubblica alle leggi gene­
rali della civiltà che gli sono proprie.
Storicamente il sistema rom ano non potè raggiungere questo punto; non fu la
conseguenza di un principio concepito chiaramente, m a semplicemente il risultalo
delle vicende del sincretismo imperiale, e poco più tardi fu battuto dal fanatism o,
pronto a iniziare e a sopportare ogni cosa per far vincere un credo sulle rovine di tut­
ti gli altri.
Cosi gli im peratori dovettero decidere fra due tendenze: il politeism o, che a c ­
cettava senza distinzione tutti gli dei proposti da una religione naturalmente plurali­
sta e la dottrina fondata sulla concezione di un unico e vivente principio delFuniver-
so rivelato agli uom ini, ad esem pio, attraverso un’ incarnazione, dottrina che tende­
va a sostituire a tutti i liberi miti una di queste teorie esclusive, di cui il prim itivo po­
liteismo orientale aveva da tempo subito l ’invasione.
L a politica vive volentieri alla giornata. D ’altronde gli imperatóri non ebbero
probabilm ente, fin d all’inizio, una coscienza precisa dello stato religioso e delle ne­
cessarie decisioni da prendere per la lotta ormai prossim a. Le loro scelte tuttavia
vennero di istinto e di anticipo. Del resto appartenevano alle classi colte ddPinipero,
e perciò, anche se le conoscenze assodate del tempo perm ettevano loro di credere
tranquillamente in forze naturali deificate e in tutte le superstizioni del paganesim o
che ne derivavano, non provavano il bisogno di sostituire una credenza dim enticata
con una fede più recente, che non essendo tradizionale, doveva sem brare inutile e
arbitraria. Poi come tutti gli uomini di potere temevano le novità. Nella pura e sem~

(9) CTè qualcosa di sublime nella astrazione speculativa dell’autore che, definendo sistema romano la tol­
leranza pagana, ignora volontariamente resistenza di un sistema romano molto diverso e elimina dalla
storia, con la freddezza di un chirurgo, Vistituzione teocratica, pur avendo difronte il rogo su cui sa di
dover saliro­
no) Del mondo ucronico ben intero; noi, uomini del XIX secolo, intravediamo appena questa modernità
in un avvenire lontano, menire il medioevo, che per l’autore è il periodo della lotta fra il principio di lolle-
ran2 a e quello teocratico, fu l’era del trionfo e del dominio di una Chiesa e di un sacerdozio.

27
plice conservazione i politici empirici credono di mantenere la via più sicura» dim i­
nuire il lavoro, evitare l’imprevisto e crearsi il minor numero possibile di difficoltà.
Anche un'altra causa determinò la via seguita nei primi tempi dell’ im pero: l’av­
versione che il p opolo di R om a provava per la regalità, m aestosa istituzione orienta­
le, e per il suo sim bolo: la corona. I cosiddetti signori del m ondo, anche quelli che
sono ricordati come folli, ebbero paura di portare questo segno che impone ai suddi­
ti l ’obbligo della adorazione e delle genuflessioni a terra (11). Se, m algrado l'o rg o ­
glio, vinsero la tentazione di portare a R om a i costum i orientali, dovettero necessa­
riamente bandire le idee che venivano di là, quando la loro grandezza veniva toccata
da sacerdoti am biziosi o d a misteri che allarm avano la polizia im periale. Si spiega
così, facilm ente, la proibizione di alcune superstizioni estranee gli antichi usi, di al­
cuni culti oscuri o m istici, di una religione profondam ente sacerdotale come il drui­
dism o e del dio di un popolo intollerante e fanatico come quello ebraico.
Q uesta polìtica fu seguita anche prim a del periodo im periale nei confronti della
religione egizia, che antiche fonti definiscono intollerante. I templi di Iside e di Se-
rapide furono abbattuti più volte fin dal VI secolo; un console prese la scure per d a ­
re l ’esem pio e esporsi, portando il prim o colpo, alla collera divina. I baccanali, che
non erano un culto tradizionale e la cui introduzione causava il disordine di un fan a­
tismo ostentato, furono banditi d all’ Italia. Fu intim ato l’ordine dì lasciare R om a e
l’ Italia in dieci giorni agli astrologò che portavano d a ll’A ssiria, con nuove supersti­
zioni, nuovi mezzi per sfruttare la credulità popolare.
Sotto il regno di Cesare O ttaviano, fu notata l ’approvazione del principe per il
nipote che, passando vicino a Gerusalem m e, sì era rifiutato, contro l’ uso rom ano,
di compiere un sacrificio secondo il rito straniero. 11 rito, in fatti, sarebbe stato quel­
lo ebraico, nemico di tutti gli altri. M a il prim o atto clam oroso di repressione delle
religioni ostili a quella greco-rom ana fu com piuto sotto il principato dì Tiberio Ce­
sare. Per decreto del Senato, le persone corrotte dalla superstizione egizia ed ebraica
furono obbligate a bruciare i costumi religiosi e gli strumenti del culto. Tutti dovet­
tero giurare di non praticare i loro riti p ro fan i o lasciare l ’Italia, e quattrom ila di es­
si, liberti ancor giovani, furono arruolati per andare a debellare il brigantaggio nel
clima micidiale della Sardegna.
Non bisogna confondere fra la religione ebraica, quella egizia e forse altre an ­
cora. Le polizie non hanno mai portano un’attenzione scrupolosa o scientifica nel
definire i dogm i e le idee che queste religioni proibiscono. M a questa m isura ci m o­
stra fino a che punto erano cresciuti i dissidenti nel m ondo rom ano. Con questo no­
me indichiamo tutti i settari che tendevano a sostituire alla diversità religiosa un
dogm a assoluto, sorretto al bisogno da una teocrazia.
Sotto lo stesso Tiberio, cominciò la persecuzione contro la religione druidica,
già proibita da O ttaviano A ugusto, ai cittadini romani- C laudio si propose la sua di­

ti i) Essi rimandarono da vivi le apoteosi, in modo che i loro sudditi fossero in qualche modo liberi d'in­
nalzare loro statue nel Campidoglio o di gettarne i corpi nelle fogne.

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istruzione totale, e ci riuscì soprattutto in G allia. Il druidism o era uno dei sistemi
dogm atici più adatti a rendere intolleranti gli uomini a causa della concezione sor­
prendentemente positiva deir immortalità delle persone. Non era questa la sua colpa,
ma la pratica di abominevoli sacrifici, Tessere una corporazione sacerdotale potente
e invadente; e mentre in p assato si era distinto per una volontà di persecuzione (12)
in quel tempo aveva certamente iniziato un'opera di proselitism o dal m om ento che
fu necessario proibire ai cittadini Galli, cioè ai migliori amici di R om a, di aderirvi, li
governo di C laudio perseguitò nei druidi la loro dottrina e le influenze politiche dei
sacerdoti e, naturalm ente, anche alcune pratiche di culto che il m ondo antico civile
aborriva, non la fede religiosa in se stessa. Infatti questo im peratore pensò di intro­
durre i misteri Eleusini a R om a. Q uesto disegno, realizzato poi d a A driano, nasceva
dalla consapevolezza di una grave lacuna del paganesim o popolare e cercava di col­
m arla senza uscire dalle tradizioni greco-rom ane, senza contrasti, aprendo alle ani­
me religiose una libera sorgente di fede, nella cornice di un culto stupendo la cui bel­
lezza e purezza erano incontestabili. I misteri Eleusini, a quanto dice Cicerone, non
si fondavano su una teologia profon d a. L'insegnam ento positivo dell'im m ortalità
ne form ava l'essenza. Basti pensare che contenevno quanto di grande e sinceramen­
te religioso poteva essere rim pianto nel druidismo condannato.
Pochi anni d op o lo sterminio dei druidi, Topposizione religiosa e nazionale del­
la G iudea al m ondo rom ano giunse a sua volta alla crisi finale. Vediam o la causa dei
terribili avvenimenti che si susseguirono durante la prim a m età del IX secolo (13).
L a piccolissim a, m a estremamente prolifica e laboriosa, nazione giudaica aveva
dato prova, fra gli eccessi e le rivoluzioni delPO rientedi raro valore m orale, di spiri­
to serio, di perseveranza ammirevole. P osta, come la Grecia, alPestrem ità occiden­
tale dei grandi imperi, si distinse, come la Grecia e come l'an tica R om a, per l ’im por­
tanza che assunse, in quella cultura, il concetto di persona e di fam iglia, nonostante
avesse scelto dei re e uscisse da una teocrazia nella quale tendeva continuam ente a ri­
cadere. Per quanto attiene al cam po religioso, anche se ordinato secondo una Rivela­
zione prim itiva, questo p opolo diede prova di una straordinaria libertà di ispirazio­
ne; la vediam o nelTindipendenza dei suoi profeti, la successione dei quali è un feno­
meno unico nella storia, come quello dei legislatori civili nelle tribù elleniche italiote.
L a sua organizzazione econom ica non poteva essere più favorevole allo svilup­
po del popolo e alla libertà delle persone, poiché la piccola proprietà ne era lab ase ,
sorretta fin dall’ inizio dalla concezione più radicale e rigorosa: la legge agraria.
Q uest’ultimo sistem a che nelle repubbliche greche e rom ane ebbe un’ im portanza
relativa arrivò in Giudea all'altezza dì una istituzione ideale destinata durare nei se­
coli. Anche se la forza dei fatti a questo proposito fu sempre più forte della Legge, è

(12) 1 Galli si erano particolarmente distinti nelle loro spedizioni militari in Grecia per l’odio e il disprezzo
delle credenze altrui. Essi saccheggiavano e incendiavano templi, proprio come il Gran-Re, c senza dub­
bio per lo stesso motivo religioso.
(13) Cioè durante il I dell’era cristiana.

29
certo che né i re, m algrado il loro fasto, né i sacerdoti, cosi come tale funzione era
costituita, avrebbero potuto bandire del suolo della Giudea la piccola proprietà e dal
cuore dei suoi abitanti la libertà e le virtù militari che ne sono la conseguenza. Il Dio
ebraico sem bra a una prima vista profondam ente diverso dalle divinità greche. L a
sua unità ci colpisce. N otiam o tuttavia che, non essendo la sua natura definita dai
punto di vista m etafisico, non si può dire che essa escluda ogni pluralità possibile di
nature sim ili; infatti Pebreo incolto, a dispetto del sum qui sum , form ula poetica al­
la quale si è trovato più tardi un valore logico, si è spesso rappresentato il protettore
di Israele come un Dio solitario e geloso, il suo D io, piuttosto che come un essere la
cui esistenza era incom patibile con quella delle forze protettrici degli altri popoli.
Proviam o ad analizzare il dogm a dell’unità che prevalse incontestabilm ente nella
mente degli autori delle Sacre Scritture e finì per prevalere anche nel popolo. N on si
tratta dell’unità, perfezione m etafisica, sulla quale i filosofi hanno prodotto una se­
rie di definizioni contraddittorie, si tratta di un essere del tutto antropom orfico, di
una persona capace di passioni e di volontà, che ha fatto l’ uom o e l’ha distrutto, che
ha trattato con À bram o e che, sempre attento al popolo ebraico, ne ricom pensa o
punisce tem poralm ente gli atti successivi con am ore, con giustizia, con collera, p ro ­
mettendo ai suoi fedeli il dominio futuro di tutti i regni e il godim ento eterno della
pace e di tutti i beni della terra. Questa teologia offriva allo sviluppo della civiltà
ebraica inconvenienti m olto gravi e vantaggi di prim o ordine, gli stessi che presenta­
va ran tropom orfism o più vario dell’Olimpo. L ’ostacolo ai progressi del pensiero de­
rivava soprattutto dalla sem plicità e dalla superiorità apparente della fede ebraica: il
popolo ebraico conservò la sua fede in un Dio nascosto che nessuna delle costruzioni
mitologiche che Tim maginazione crea e la ragione distrugge, com prom etteva e che
gli forniva una spiegazione unica e generale dell’ordine del m ondo senza ricorrere a
macchine o mezzi intermediari qualsiasi. Questa è la causa della povertà delle arti e
della nullità delle scienze in questo popolo sprovvisto di simboli e abituato a render­
si conto di ogni cosa attraverso una sola parola m agica: Dio. Al contrario, i greci
trovarono nella poetica molteplicità delle persone divine e dei loro attributi una m a­
teria m eravigliosam ente adatta alle creazioni artistiche; quando com inciarono ad
accorgersi deH’incom patibilità fra le leggi fisiche e la personificazione delle forze n a­
turali, che era il fondam ento della loro teologia, la loro fede si indebolì, si trasfor­
mò e volsero il loro genio alla speculazione filosofica e all’organizzazione delle
scienze. I vantaggi delLantropom orfism o ebraico nei confronti delle favole cosm o­
goniche dell’ India o dell’Egitto si possono riassumere facilmente in poche parole: lo
spirito fatalista, causa principale dell'intorpidim ento dei popoli, è com battuto dalla
fede nella volontà divina, che ha d ato inizio al m ondo, e nella libertà degli individui
le cui leggi, dettate da una volontà sovrana, non sono coercitive; la coscienza morale
si purifica, la giustizia si eleva e tende a rendersi indipendente dal dogm a; l’abisso
della contem plazione panteista è chiuso; la persona cresce quando contem pla un dio
fatto a sua im m agine e un m ondo fatto per le persone.
L a G iudea non solo dovette sostenere la sua lotta contro i grandi imperi come la
Grecia contro i re di Persia, lotta che fu lontano dal volgersi sempre a suo vantaggio
e nella quale, alla fine di tutto, la sua nazionalità non fu sconfitta e il suo dogm a

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uscì col solo sacrificio di accettare certe credenze delle religioni m agiche; m a ebbe
anche come confinanti e nemici quotidiani, popoli dai costum i infam i, dai culti dis­
soluti o atroci, dal cui contagio qualche volta fu presa, m a contro i quali esercitò
sempre quella reazione feroce che caratterizza quasi tutta la sua storia m orale. S o ­
stenute, trascinate dalla Legge e dai P rofeti le tribù israelite com batterono la loro
battaglia con una m irabile forza e una triste ferocia, com pagna abituale della forza
neirinsiem e delle passioni um ane che la guerra fa nascere, soprattutto quando D io
com anda i battaglioni. C osì questa nazione meritevole, poco am abile, soprattutto
sventurata, prese il vizio del fanatism o e l ’abitudine dei m assacri religiosi, m alattia
che diventò endem ica nella pace rom ana e nella reciproca tolleranza fra i popoli. L o
stesso stato m orale che era stato condizione di vita per il piccolo popolo di G eova in
mezzo ai Cananei, divenne una causa della fine delia Giudea protettorato rom ano o
provincia del grande popolo della terra.
Gli ebrei, una volta contenti dell’incerto e conteso possesso della T erra Prom es­
sa, sem bravano sotto la guida dei loro profeti aver cominciato a sognare una ricom ­
pensa m aggiore per la loro lotta: il dominio della terra, infatti il p asso dalla difesa
alla conquista, se la difesa ha successo, è naturale. Un M essia, un C risto del Signo­
re, doveva portare al m ondo la pace universale sotto l ’egida di Gerusalem m e, L a
stessa trasform azione avvenne nel sentimento religioso che, mentre in passato si era
mantenuto sulla difensiva, cominciò il proselitism o che si m anifestò soprattutto nel
m om ento in cui il buon senso diceva che Gerusalem m e non avrebbe mai abbattuto
Rom a. D a quel m om ento il popolo si divise fra i fautori del fanatism o antico e gli
Iniziatori di un proselitism o tutto nuovo. Nello stesso tem po scoppiarono torbidi
sanguinosi, per un m otivo o per un altro, in G iudea e nelle grandi città delle altre
provincie Orientali, da A lessandria a Babilonia, nelle quali si erano stabiliti gruppi di
ebrei. 11 m ondo intero cominciò a guardare un dram m a di cui un cieco fanatism o
ben presto avrebbe guidato la vicenda; ma si allargarono anche enormemente gli ef­
fetti di un proselitism o più lungiinirante.che modificava-iì proprio oggetto in njisura
dei suoi stessi successi. - -
Gli ebrei e i loro maestri riconosciuti ebbero m olte difficoltà ad ammettere ra p ­
presentazioni figurate a Gerusalem m e e nel tem pio; anche le aquile erano abom ina­
zioni idolatriche agli occhi di questo popolo il cui santuario vuoto (14), quando fu
aperto, meravigliò tanto Pesercito di Pom peo. Tutte le ribellioni o i negoziati provo­
cati da questo fatto e da altri simili durante i regni di Tiberio, di C aio e di Claudio
fecero pensare ai rom ani di trovarsi alle prese con una nazione nem ica del genere
umano (15), vale a dire con una nazione la cui coscienza non può assolutam ente tol­
lerare le credenze e gli usi degli altri: è il senso che da quei tempi ha preso tale detto.
Così Com izio Nerone, dovendo risolvere una questione politica sulla dipenden-

(14) isiutto in ¿us Deum effigie, vacuam sectem, et inania arcana ; Tacito, Hist. V,9.
( 15) A d versus omnes alias hostite odium; Tac,, Hist. V.5. Parlando dei cristiani che sono confusi con gli
ebrei in pili passi li dice Odio generis fiumani convicti. Tac., A nn.t XV, 44.

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za di Gerusalem m e, seguì la ragion di Stato e si pronunciò contro gli#brei, che fino
a quel m om ento aveva trattato con favore perché protetti da P oppea A ugusta e
compatrioti del com m ediografo Alituro. A lla notizia che da quel momento la giuri­
sdizione di Gerusalem m e sarebbe stata di competenza della Siria, la ribellione di­
vam pò in tutte le com unità ebraiche dell’Oriente. In Palestina gli ebrei insorti cac­
ciarono il governatore rom ano e in ogni luogo si videro assassinii, tradim enti, m as­
sacri, sacrifici sublimi: m escolanza innominabile di grandezza e di abom inio, di am ­
bizione e di sacrificio, di imprese, di virtù e di m isfatti che caratterizza le guerre civi­
li e religiose. I Romani furono testimoni di spettacoli sconosciuti; videro il fan ati­
smo spegnere tutti i sentimenti umani, e poterono scrivere, raccontando la guerra
giudaica, che ogni circonciso im parava come prim a cosa a privarsi della patria e a
non tenere in alcun conto padri, fratelli, figli (16), L a verità di questo giudizio diven­
ne sempre più evidente quando l’uso della circoncisione venne abban don ato nell’in­
teresse della diffusione della fede che una volta era ebraica.
V espasiano, chiam ato a com andare le forze rom ane e quelle alleate contro gli
ebrei, successe ben presto agli effimeri eredi deH’ Im peratore Lucio Nerone. Il figlio
Tito assediò e conquistò Gerusalem m e; fu una difesa eroica, un attacco difficile e
furioso, un assalto seguito da spaventosi orrori, un popolo-fu distrutto e il trionfatore
conseguì la gloria; R om a fu in festa: così vanno le cose, cosi si governa il genere
um ano.
Tuttavia R om a tendeva sempre a rientrare nelle solite norme della sua politica
espansionista, dalle quali aveva in quel momento derogato in maniera tanto violen­
ta, G ià una volta C laudio aveva perm esso agli ebrei di ricostruire le fortificazioni di
Gerusalem m e, abbattute da Pom peo, Sessanta anni d o p o il trionfo di T ito, A dria­
no, am m inistratore accorto, instancabile viaggiatore del suo im pero, grande co­
struttore di monumenti, conosciuto per la sua benevolenza verso tutte le sette reli­
giose, credette fosse venuto il m om ento della ricostruzione della capitale degli ebrei.
Nel render loro la città, m a non la cittadella, nell’aprirla senza consegnarla loro, ne
esaltò le speranze senza soddisfarle. Un fremito corse in tutto il popolo disperso dal­
la Giudea all’ A frica e all’A sia e dì qui in G iudea. L ’ardore crebbe a causa delle pro­
fezie; si presentò un M essia, chiam ato Figlio delle Stelle (Barcokebas), al quale
l’entusiasm o diede un esercito. Cosi nacquero nuove esplosioni, nuovi m assacri,
nuovi disastri e la nuova e ultima conquista.
Gerusalem m e ebbe templi di Venere e di Adone e m aiali scolpiti sulle porte del­
le città. Perse perfino il suo nom e, che i Romani dim enticarono,
Gli ebrei, sem pre num erosi, sempre pullulanti, anche d opo aver avuto m igliaia
di morti o di schiavi, si erano stabiliti a Rom a e in ogni altro luogo, liberi di p rofes­
sare il loro culto e celebrare le loro feste pubbliche, dal m om ento che il disprezzo dei
Rom ani li assim ilava a un popolo rassegnato. Gli ebrei, divisi dagli altri d a una osti­
nata volontà, si dedicarono proficuam ente al com m ercio e aH’industria, attendendo

(16) Tacito, H ist., V,5.

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che il M essia, sempre annunciato, venisse a cam biare la spada in vomere e a fare p a ­
scolare il leone con la pecora sotto lo scettro di Sion.
É stato forse vinto r o d e n te , q u eirorien te che ha creduto di sentire, al primo
assedio di Gerusalem m e, il grande rum ore degli dei che se ne an davan o, quell'Orien­
te che doveva arrivare alla poten za> e vedere gli uom ini p artiti dalla G iudea im pa­
dronirsi del potere, co si come alcuni hanno ferm am ente creduto d i leggere negli an­
tichi scritti dei sacerdoti (17)?
Siam o nel m om ento in cui gli inventori del brillante m iracolo degli dei che se ne
vanno mettono in atto tutto per realizzarlo, e in cui gli interpreti della profezia della
speranza divorano con gli occhi un avvenire che possono tranquillam ente ripromet­
tersi. L ’Oriente ha invaso l’Occidente attraverso tutte le vie; basta solo un passo,
una m aggiore unità nello sviluppo sim ultaneo di tante im m aginazioni confuse e re­
gnerà coi suoi dogm i, con la sua m orale, dovrà conquistare solo l’apparenza del p o ­
tere: d op o il fatto, che è tutto, il nom e, che di per sé non è niente.
Proviam o ad approfondire questi dogmi e questa m orale. L a modale
deirO riente è duplice.
D a un lato c ’è la norm a pratica dei costumi comuni, che un filosofo chiam ereb­
be piuttosto A m im orale, d all’altro uno sforzo eccezionale, che richiede una straor­
dinaria energia, il cui vero nome sarebbe Ultram orale. Il male e l’eccesso del suo
correttivo, portano tutta la società orientale nell'abisso in cui resta im m ersa.
I principi deU’antim orale, se potessero essere definiti filosoficam ente secondo
l’uso dei sofisti greci del IV secolo, sarebbero:
1. Le masse um ane sono lo strumento naturale e necessario della grandezza e della
gioia di quelli che sanno e possono servirsene.
2. Questa grandezza e questa gioia, ottenuta con ogni m ezzo, con la fo rza o l'a stu ­
zia, senza alcuna considerazione dei doveri nazionali o fam iliari, rappresentano il fi­
ne più nobile dell’ uom o e del suo coraggio dal m om ento che la vita serve solo ad o t­
tenere questi beni.

(17) Tacito, tìist., V ,I3. Tacito ammette la profezia applicandola a Vespasiano e a Tito che partirono e f­
fettivamente dalla Giudea per impossessarsi delPimpero. Il senso delle parole profecti Judaéa è dunque
perfettamente determinato dal contesto. Facciamo questa nota perché la traduzione che abbiam o sotto
gli occhi riferisce queste parole agli ebrei e non genericamente a uomini venuti dalla Giudea , L a spiega­
zione proposta da Tacito, così, non ha senso. Gli antichi cadevano di solito nella superstizione per difetto
di critica: non osavano negare le tradizioni, le opinioni generali, o quelle che credevano tali. Tacito, pur
essendo uno dei meno creduli, è visibilmente vittima, in questo passo, dì una profezia, prodotto naturale
della speranza ebraica, continuata e diffusa dalla speranza cristiana, che nasce proprio quando la razza di
Abramo comincia a perdere le sue ultime risorse materiali. I cristiani, nella gioia per la distruzione del
tempio, i settari liberati dai loro più pericolosi nemici con La rovina della città che hanno avuto cura di ab­
bandonare prima dcirassedio, soprattutto quelli che pensano che il proselitismo non circonciso sarà il ri­
fugio dello spirito ebraico trasform ato credono arrivato il momento in cui la gente uscita dalla Giudea si
impadronirà del mondo (rerum potirentur). Cerchiamo qui di entrare nello spirito del nostro autore. Non
si ferma a sviluppare il suo pensiero, forse perché il nome dei cristiani non è ancora stato pronunciato in
Ucronìa-

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3. Le religioni sono mezzi per adattare lo strumento al suo uso, driifiodo che non
sfugga o non si guasti; devono essere organizzate per quanto possibile nell’interesse
dei prìncipi, considerati com e dei, e dei sacerdoti incaricati, attraverso una parteci­
pazione alla forza e agli onori divini, di inculcare nei popoli le m assim e che portano
all’adorazione della forza*
I prìncipi dell’Oriente si sono sem pre m ostrati imbevuti di queste norm e: lo so ­
no ancora c si com portano di conseguenza» Certamente la storia ha distinto fra prìn­
cipi buoni e cattivi: buoni sono quelli che, in eguali condizioni, si com piacciono nel
vedersi attorno sudditi felici piuttosto che infelici, mentre i cattivi cercano gioie in­
fernali nel male degli altri. 1 prìncipi della giustizia e del dovere, che suppongono
un’eguaglianza naturale, non esistono nel m ondo orientale* Una m assim a sottintesa
dom ina tutto, determina la politica e spiega gli avvenimenti: A gisci in m odo che la
tua azione p o ssa sempre essere giustificata nel considerarti centro di tutte le cose (18).
Si comprende senza fatica cosa devono diventare gli uomini degli strati più bas­
si della società in queste condizioni, di fronte a ll’ insegnamento dei fatti. Ovunque
dal piccolo al grande, dal debole al forte, d all’eguale a ll’eguale, se si può parlare di
eguali neH’abbiezione, regnano timore e violenza, diffidenza e cattiva fede. L a men­
zogna e il tradim ento form ano il diritto comune; la verità non si suppone m ai. Non
c’è altro legame sociale che l’istinto: solo l’istinto continua a form are fam iglie che
provvedono a fatica al loro mantenimento col lavoro e le necessarie reciproche rela­
zioni, sottoposte a un ordine brutale, aiutate solo dalla speranza di una pace preca­
ria che il dispotism o fa nascere.
II m ondo o ffre allora un aspetto desolante a coloro che non ne sono corrotti* Di
fronte alla violazione delle leggi della coscienza e delle leggi inviolabili delPuniverso,
sorgenti del bene e del male delta vita um ana, gli spiriti migliori sfuggono allo spet­
tacolo di ciò che è, per rifugiarsi nella fede, in ciò che dovrebbe essere e in ciò che sarà.
Credono in un sovrano suprem o, in un giudice nascosto degli avvenimenti e delle
esistenze; considerano anche certe forze del movimento cosm ico che dirigono il cor­
so perpetuo della vita, per effetto delle quali le persone, spogliate delle loro forme
attuali provano, oltre la tom ba, nuove condizioni che la coscienza convalida, nuove
ricompense alla virtù e pene ineluttabili ai vizi. In cima a tale scala costituita dai me­
riti degli esseri, vedono gli dei e li onorano, al gradino più basso tem ono i demoni.
M a poiché l’ordine sovrano delle cose presto o tardi innalza la virtù e il dolore e a b ­
bassa le fortune m alvagie e poiché non c ’è speranza per l ’infelice in questo m ondo, c
i fatti lo dim ostrano, la morale si com pendia in questa m assim a interessata: sii piu t­
tosto m artire che carnefice, attendi il tuo turno che s a r à il bu on o. L a coscienza non
potrebbe limitarsi a questo; ben presto Panim a esaltata, spinta dal bisogno di am are
e di votarsi, incapace di conservare l ’equilibrio in cui la ragione fissa la giustizia, si
precipita in un eccesso di bene, se così si può dire, la cui tentazione è resa inevitabile

(18) Va notato che Tarnore arriva, generalizzando lo spirito di ciò che chiama Antimoralc, a formulare
una massima esattamente contraria a quella celebre di Kant.

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dall’eccesso di m ale; ne seguono nuov*e m assim e.
Sii m artire di tua spontanea volontà> sacrificati, so ffri, contem pla, rinuncia; la
Salvezza si raggiunge a prezzo deirannientam ento del desiderio delle cose terrene.
Allora nel momento in cui la religione delFOriente in un certo senso m ateriale, accu­
mula superstizioni per dare una form a palpabile alla credenza in vite nascoste e in
quelle future o passate, riempie le città di rumore e di festa, consum a esecrabili sa ­
crifici; mentre i filosofi, che si dedicano a ll’esegesi dei libri antichi, determinano
l’essenza del dogm a form ulando il panteism o, la religione spirituale e ascetica fugge
net deserto, riempie le caverne di santi e attira, col rispetto di tutti, la venerazione
finta o reale dei prìncipi stessi.
L ’ aver im m esso in una verità così probabile e facile da credere, come quella
deirim m ortalità, una verità così utile ai signori della terra, rappresenterebbe il m as­
simo della loro abilità se tale non fosse stata l’ inclinazione naturale dei sudditi.
Gli ebrei che Pignoravano e i greci che la definivano male, furono popoli difficili
da governare. E com e diventa sem pre più favorevole alla sicurezza degli interessi dei
(¡ranni questa credenza, quando è accom pagnata da una predisposizione mentale al­
la penitenza e al sacrificio e dal gusto delle sofferenze!
L a dottrina dell’astinenza e della rinuncia a tutto e a se stessi può elevarsi a un
ultimo grado sopra il quale non c ’è niente e che dobbiam o raffigurarci per conoscere
bene la m orale dell’Oriente. Q uando la m aggior parte degli uomini cerca di conso­
larsi delle tristi miserie della propria vita attraverso la contem plazione di una vita fu ­
tura che conquisterà con la penitenza, alcuni vanno più lontano e spingono la loro
disperazione oltre la m orte. Essendo la m orte, secondo loro, l'entrata in un 'altra vi­
ta soggetta, come questa, alle sensazioni e alle passioni, vale a dire al cam biam ento,
al male, in una vita veramente tale e non quel nulla che conosciam o e am iam o, arri­
vano a pensare che sarebbe meglio non esistere (19).
Per salvarsi propongono dunque l’ annientam ento, la grazia di non sentir nulla
e di non essere nulla; credono che la santità stia nella rinuncia delle persone a tutte le co­
se del m ondo e a se stesse, perché il fine ultimo è la morte acquisita definitivamente e
per sempre in seno al grande universo. Questa dottrina, che basta a dipingere società
in cui è nata, ha trovato m igliaia di seguaci entusiasti, e nessun’altra, ancor oggi, re­
gna su tanti milioni di anime. È vero che aiPorigine fu perseguitata, m a fu perché
veniva a spodestare un sacerdozio costituito; e inoltre il terribile livello che essa o f­
friva agli uomini, chiam andoli tutti nello stessp m odo alla prova e alla speranza del­
la salvezza, la rendeva terribile a un ordine politico basato sul principio della casta.
È anche vero che la sua prim itiva concezione si affievolì sotto sotto t’am m asso delle
superstizioni dei popoli di cui conquistò la fede, dopo essersi allontanata dalla sua

( *9) Questo ci ricorda un terribile proverbio orientale: è meglio essere seduti che in piedi f sdraiati che se­
duti, morti che in ogni atira condizione. La salvezza, secondo lo spirito di questa massim a, in una società
dove la permanenza naturale delle persone non era messa in dubbio, doveva essere fa morte dopo la m or­
te, e per sempre .

35
0
culla, m a lo spirito della sua m orale è rim asto identico (20),
C osi aH’antim orale, che è l ’egoismo eretto a sistema di vita e di pratica dei p o ­
tenti, in Oriente si oppose l’ultram orale, la dottrina del sacrificio volontario degli
umili, in vista della loro salvezza individuale in u n ’altra vita o del nulla. Al solito
un eccesso è com battuto con l’eccesso contrario, c gli uomini divisi fra la febbre
dell’esistenza m ondana, delirio di grandezza e di delitti, e l ’allucinazione dei loro ti­
mori o delle loro speranze per un’esistenza futura, vivono nell’ignoranza delle virtù,
in un certo senso vivono senza uscire dal sogno della follia.
M a vediam o l ’invasione dell’Occidente da parte di questo sistem a e di questa
dottrina. Si noterà com e sia l ’ uno che l ’altra siano fondam entalm ente ripugnanti ai
x popoli che hanno fondato la legge, la filosofia e le scienze, che per primi hanno
com preso e definito la natura del dovere nelle coscienze e organizzato la giustizia
nello Stato. Essi si m anifestano di fatto una prim a volta dopo A lessandro e una
seconda volta, in m aniera più universale, dopo C esare. L ’antim orale, che gli sto ­
rici hanno deciso di chiam are corruzione, si m anifesta con l’indebolimento del
principio di nazionalità, in seguito alla fusione di spiriti e di razze, con la decadenza
delle virtù civiche, quando un luogotenente del conquistatore o il proconsole di una
m etropoli cercano di applicare, per la loro am bizione, le m assim e dei paesi occupati
dai loro eserciti. M a la fonte del male è, prim a di tutto, in alcune cause generali, le
stesse che hanno agito sempre in Oriente. Spesso si è pensato che la corruzione deri­
vasse d a ll’incredulità, d all’empieià razionale quando le antiche form e religiose non
ottennero più l’adesione delle classi colte; invece bisogna dire che l ’em pietà m orale è
conseguenza della corruzione e la corruzione nasce dalle seguenti cause:
1. l’arricchimento eccessivo di qualche fam iglia, l ’oziosità che ne deriva, una noia
violenta, il bisogno crescente di consum are la vita, tormento di chi ha com e unico fi­
ne la sensazione.
2. L a pratica dei grandi comandi civili e soprattutto militari, il disprezzo dei capi per
quei gruppi di uomini che l’ignoranza e le passioni brute rendono trastulli di alcune
menti più sottili.
3. L ’allargam ento della schiavitù a grandi m asse impiegate nelle coltivazioni di im­
mense distese mentre, in origine, era solo una istituzione dom estica.
4. L ’abitudine di versare sangue e di versarlo sempre più solennemente cioè senza
passione; la pratica in periodi di pace dei costumi feroci contratti in guerra.
5. Infine, la diffusione del dogm a dell’adorazione della forza e del successo.
Sarebbe superfluo dim ostrare come queste cause, messe insieme, fecero imme-

(20) Le conoscenza moderne confermano tutti i giorni quelle, del resto molto generali, dell’autore di
Ucronia sulle religioni Orientali. Si sa che il buddismo, di cui parla alla fine sulla base di fonti che non co­
nosciamo, forse testimonianze di missionari o archivi del Vaticano, è stato spiegato solo nel nostro tempo
ai pubblico europeo. Via ne ignoriamo ancora l’origine esatta, Questa religione fu rivelata nell’Indostan
nel VI secolo prima della nostra era da Cakya, uomo di famiglia reale che si fece anacoreta e dopo una
lunga meditazione, comune ai solitari e ai santi, sulla rinuncia ai sensi, alle passioni c al nulla del mondo,
cominciò a predicare una dottrina molto logica e una morale estrema dall’annientamento assoluto.

36
cliatamente delFim pero rom ano un qualcosa di analogo agli imperi orientali, nono»
stante le differenze segnalate sopra. Dopo l ’invasione dell’antim orale, vediam o
quella dell’uhram orale, che la segue necessariamente e spontaneam ente. Si comincia
a considerare il triste corso del m ondo come un m ale irrim ediabile, a pensare che
Fu omo debba rassegnarsi, sottom ettersi e che il m ondo in sé è cattivo e le cose della
(erra da disprezzare. I sofferenti c gli esaltati, coloro che vogliono a ogni costo una
salvezza, si m ostrano disposti alla dottrina della penitenza e del sacrificio. D ’altra
parte, la necessità delle espiazioni è il fondam ento di tutte le religioni conosciute e la
ragione di quasi tutti i culti. Alcuni fuggono nel deserto e vi si stabiliscono form an ­
do comunità mistiche (21), altri restano nel m ondo per convertirlo. La filosofia cerca
di combattere sia Fantim orale e che Pultram orale. L a filosofia insegna con Platone
il bene puro c la giustizia, con Aristotele la m oderazione, con Epicuro la tem peran­
za, con gli stoici la forza m orale, con gli scettici la tranquillità d ’anim o e con tutti in­
segna l’um anità. Cerca di definire i doveri pubblici e privati, di tracciare il piano del­
la città giusta, di fondare la politica sulla morale. Tanti sforzi, tanto genio e tanta virtù
non sono perduti. Le istituzioni familiari e civili del mondo romano progrediscono, fe­
nomeno sconosciuto a ll’Oriente; sotto gli im peratori, anche i più perversi, le leggi
sociali e la condizione generale dei sudditi di R om a m igliorano. M a nonostante que­
sti sintomi felici, i principi spesso diventano folli e i popoli celebrano volentieri
l ’apoteosi dei prìncipi; la superstizione e l’egoism o inghiottono tutto ciò che non è
filosofico. Fra il m ondo in lacrime e il m ondo in preda alla follia, sem bra ci sia p o ­
sto, per la soddisfazione delFanim o, solo nella m orale del sacrificio assoluto, lonta­
no da una ragione inaccessibile alle m asse. Il turbam ento che fermenta in basso m i­
naccia di diventare un giorno ribellione e di trascinare con sé tutte le cose.
Quale è la m orale, tale è il dogm a. L a concordanza sarà semplice c esatta. In­
fatti all’um anità m iserabile è necessario un principio di salvezza che le sia superiore,
essa non trarrà la virtù del sacrificio dal proprio interno, perché non è naturale; c o ­
me si può pensare ci si inganna m a lo si crede, di sacrificarsi per motivi diversi dal­
l’ordine e dalle prom esse di un dio; deve esserci quindi una rivelazione fatta da D io
agli uomini per la loro salvezza personale. M a D io non c troppo in alto? Scenderà,
avrà dei profeti, si incarnerà se sarà necessario e, soffrendo i mali della vita terrena,
darà l’esempio sovrano del sacrificio che è la via della salvezza. Com e proverà la sua
divinità? A ttraverso opere com piute violando le leggi naturali, e le menti incolte p o ­
trebbero vedervi solo il segno e la prova delFonnipotenza. Quali pene porrà oltre la
vita presente per chi viola i suoi com andam enti? Annuncerà supplizi per i peccatori
e per coloro che avranno cercato la salvezza nella vita terrena, prom etterà ai buoni
la fine dei loro sacrifici nell’eternità beata. Istituirà dei segni e, in un certo senso, dei

(21) Si sa che monasteri di Esseni e Terapeuti hanno preceduto l’era cristiana. I monaci adoratori del dio
mediatore non fecero che continuare Tascetismo monastico. Dedicarono la vita alla contemplazione e
praticavano la rinuncia in vista dell’altra vita. Condannavano il matrimonio cioè l'umanità. Condanna­
vano la guerra c così consegnavano il mondo ai tiranni che la fanno-

37
mezzi m ateriali di santificazione per assim ilare a se stesso gli spiriti #sottom ettere i
corpi alfazio n e divina? Insegnerà pratiche di purificazione per le differenti età della
vita um ana, fra le altre, quella di identificare l’uom o e D io attraverso la mediazione
di un alimento consacrato. In qual m odo assicurerà il m antenimento della sua ope­
ra? Tutti i sacerdoti posson o rispondere, perché, spetta loro la m issione di istruire
gli ignoranti e di purificare i fedeli, essendo illuminati da Dio.
Tali sono i rapporti generali del dogm a e della m orale nelle religioni. Vediam o
meglio da dove provenivano e come i dogmi potevano diventare oggetto di fede dei
sudditi delPimpero rom ano.
C ’erano rivelazioni dappertutto, in India, in P ersia, in G iudea. Ovunque profe-
ti e m iracoli, nel paganesim o e nelle altre religioni. Le incarnazioni erano il tem a or­
dinario dei miti indiani. Pratiche di purificazione e espiazione coprivano la terra. L a
religione di Z oroastro faceva uso di un alimento santificante. Q uesta stessa religione
popolava l ’universo di angeli buoni e cattivi, di spiriti beati, protettori e di spiriti
tentatori degli uomini. Gli ebrei avevano accettato questa gerarchia dalle forze so-
vranaturali. Tutte le teologie, estranee agli istinti popolari, cercavano nel dogm a
d elfu n ità sostanziale di Dio una soddisfazione agli sforzi di un pensiero che preten­
deva di costruire l’idea di una perfezione assoluta con le nozioni relative di cui di­
sponeva, e cercava di comprendere ciò che esso stesso dichiarava incom prensibile.
Gli ebrei e con loro alcuni filosofi m a pochi, um anizzavano questo Dio per farne il
creatore o aggiustatore delle cose: questo Dio, questo semplice eterno, questo uno
puro, questo senza nome; un pò alla volta, per mantenergli la perfezione m etafisica,
volevano che le cose stesse non fossero esistite né dentro, né prim a, né fuori di lui,
m a qando volle che fossero. L a m aggior parte delle dottrine preferiva l ’idea di una
em anazione, di un certo flusso attraverso il quale, dal m om ento che la m olteplicità
veniva generata d all’uno sem plice, tutte le cose sarebbero uscite dal nulla. In questo
m odo le grandi teologie cercavano di definire le virtù divine situate fra D io e il m on­
do con ragionamenti fondati sul numero tre, sim bolo sacram entale di una specula­
zione che, n elfign oran za delle vere leggi, vuole a ogni costo piegare i fatti sotto la
legge m eno faticosa. Ne derivavano m olte trinità e, in particolare in questo periodo,
quella che i filosofi mistici tentavano di determinare per via speculativa e quella che i
seguaci delle tradizioni ebraiche potevano, per parte loro, costruire con questo D io,
con questa Parola di Dio e con questo Spirito di Dio di cui si trattava nei loro libri.
M a una com binazione fra il procedim ento filosofico e il m etodo esegetico, per arri­
vare a definire ciò che i latini chiam arono Verbo, era im possibile.
Infine la dottrina delle pene e delle ricompense ultraterrene, fam iliare a tutte le
religioni e a tutti i m isteri, aveva ricevuto in Egitto, in concorrenza con la form a del­
la trasm igrazione delle anime secondo le leggi della natura, la form a più an tropo­
m orfica della risurrezione futura dei corpi e di un giudizio suprem o dei defunti.
Fra tali dogm i e tali m orali, venne l’attesa di un Salvatore. Questo Salvatore
per gli ebrei era un M essia di Dio chiam ato a governarli dom inando il m ondo; e gli
ebrei videro le loro speranze annientate o rim andate aH’infinito. Per chi soffriva
questo Salvatore era un inviato venuto dal cielo o dalla terra per spezzare le catene, per
asciugare le lacrime, ma i secoli p assavan o senza alleggerire il peso della schiavitù.

38
Per le anime assetate di fede, il cui ardore non veniva appagato dalle religioni p op o­
lari, questo Salvatore era l ’ultimo profeta, venuto ad approvare d a ll’alto le credenze
che si diffondevano e i m odi di diventare meritevoli e santi che meglio toccavano la
coscienza. Certo molti personaggi hanno potuto presentarsi per fare in m odi diversi
quello che comunemente si diceva salvare il m ondo. Alcuni si sono distinti per qué­
sto insieme di menzogne e buona fede, di am bizione e di dedizione, di errori grosso­
lani e di intuizioni felici, che spesso caratterizza gli uomini di tale tem pra. M a
questi tentativi quando non sono riusciti ad ottenere il successo, non hanno potuto
lasciare traccia nei racconti som m ari che rappresentano gran parte della storia anti­
ca. Chi parlerebbe oggi di un Salvatore nativo di Cirene o di T olem aide, qualunque
sìa stato il suo genio, se un governatore rom ano avesse creduto di applicare ai suoi
primi aderenti la politica atroce tipica di un potere allarm ato per la propria esistenza?
Supponiam o che in un ’epoca piena di fermenti, di credenze latenti e di opere
teurgiche che circolavano o che aspettavano di essere diffuse fra coloro che p rop a­
gavano rivelazioni, emergesse un uom o degno di rispondere agli istinti più alti di un
gruppo popolare, che q uest’uom o, senza egoismo insegnasse la rassegnazione e il sa ­
crificio in questo m ondo, poi la fine del m ondo e il giudizio divino; poco im porta
che si definisse profeta o figlio di Dio chiam ato a ricondurre al padre i figli di Dio,
rami sparsi, tralci separati dalla vigna celeste; che prom ettesse gioia eterna a chi
piangeva e lacrime eterne a chi rideva; che com andasse ai suoi discepoli di predicare
la penitenza, il giudizio e la salvezza a tutta la terra; che soffrisse, errando senza p a­
ne e senza casa di b o rgata in borgata, che m orisse come gli schiavi vittim a della pau­
ra dei sacerdoti e dei dottori che aveva m aledetto e perfino del tradim ento dei suoi.
La sua m em oria sarebbe diventata sempre più grande nelle menti esaltate: il senso
del bello, creatore di modelli, sarebbe stato usato per attribuirgli proporzioni so­
vraum ane; la credulità avrebbe costruito i racconti dei suoi m iracoli; la considera­
zione della sua missione avrebbe aggiunto alla sua vita quegli avvenimenti e ai suoi
discorsi quei tratti capaci di rispondere all’attesa dei più; il tem po avrebbe sem plifi­
cato questa figura, orm ai quasi sim bolica, di tutto quanto poteva sem brare Ifòppo
personale o di quanto non corrispondeva alle esigenze del sentim ento religioso. M a
se il tutto fosse consistito in questo, il predicatore della rivelazione di cui parliam o
non sarebbe stato altro che un profeta effim ero come Apollonio di T iana e, come
lui, non avrebbe costruito niente di grande nelle anim e, anche penetrando più fedel­
mente il senso del sacrificio, rifacendosi a tradizioni più vive, lanciando la sua p aro­
la a popoli capaci di un entusiasm o più fecondo e una im m aginazione più creativa, e
suggellandola col suo sangue.
Supponiam o qualcosa di più: supponiam o che questo predicatore fosse riuscito
a mettere insieme due idee diffuse fra il popolo: d a una parte l’idea m orale del sacri­
ficio di cui tutta la sua vita era {’em blem a; dall’altra Pidea dogm atica, comune a tut­
te le nazioni dell’antichità, vicina alla culla di tutte le razze, secondo la quale per
soddisfare la divinità irritata erano necessarie vittime preziose per espiare, versando
il loro sangue, i peccati del popolo accum ulati su di loro per sostituzione. Preveden­
do la sorte che un m ondo nemico gli riservava, avrebbe com preso che il compimento
della sua m issione divina poteva richiedere un sacrificio che arrivasse fimo alla m or­

39
te. Libero di abbandonare la sua missione o di diventare m artire, poteva considerar-
si vittima espiatoria e propiziatrice, agnello di Dio caricato dei peccati del inondo,
olocausto volontario richiesto da un vero sacrificio, agnello tanto più prezioso per*
che figlio deH'uomo per il sangue, e figlio di D io per la giustizia e Padozione: figlio
di D io forse-anche per Pidentità fra Dio c [’uom o perfetto, che ne è l’immagine, pen­
sata fin dalPeternità, quando Dio, fatto carne, non ha altra volontà che quella del
padre, altro am ore che l'am ore del padre per tutti i figli traviati* È possibile che
il predicatore si fosse fatto un’idea poeticamente bella, m a chimerica, della sua per­
sona e della sua m issione, segnata dalla più terribile barbarie m algrado la strana es­
senza sublime che caratterizzava le dottrine dei primi uom ini, d opo i primi delitti in
una natura nemica. Può darsi che volesse morire, lui uom o e Dio, figlio di Dio, con
angoscia, vincendo la tentazione, vittima offerta volontariamente e da Dio stesso
per la salvezza dell’ uom o. Si può credere allora che, nelPultim a veglia abbia consa­
crato sim bolicam ente il suo corpo e il suo sangue, per il nutrimento, caratteristico di
ogni vittima, del popolo che in essa espia e si purifica.
Forse queste cose, e anche m oke altre, resteranno nella oscurità di una rivela­
zione spesso incom prensibile al predicatore stesso. Forse avrà altri pensieri, per i
quali l’orecchio del m ondo sarà chiuso, e i suoi discepoli attribuiranno a lui quelli
che meglio rappresentano il p assaggio dal senso inferiore e grossolano a quello esal­
tato dal sacrificio. Com unque, secondo tale ipotesi, su cui più tardi lo storico poco
inform ato avrà motivi di esitazione, il dogm a dovrà trovare la sua form ulazione in
un tem po determ inato, sarà la risultante dell’ispirazione del M essia vittim a e del rac­
conto delle opere teurgiche, costruite attorno alla sua persona dalla m itologia p o p o ­
lare; progressivam ente subirà l ’influenza dei sentimenti morali e delle meditazioni
teologiche del tem po. D alia bottega dello schiavo ai salotto della concubina im peria­
le circoleranno scritti o racconti, D iscorsi del Signore che porteranno la bu on a n o­
vella del m ondo salvato dal sacrificio a quanti dalla pena del corpo o dal vuoto
dell’anim a sono preparati al m isticism o. L a confusa elaborazione della fede sarà
facilitata dalla m ancanza di senso critico degli antichi, da un vizio di superstizione
originaria, di cui hanno conservato il seme, dalla difficoltà del controllo delle testi­
monianze, dello stato di ignoranza e, per cosi dire, di oscurità pubblica, ovunque
presente, profon d a in certe classi e in certe provincie.
Il proselitism o, lim itato in principio agli ebrei, si diffuse nel m ondo rom ano a
causa della generalizzazione dell’idea di P o p o lo , conseguenza dell’esistenza stessa
dell’ Impero, e della natura specifica di un dogm a innalzato oltre le circostanze loca­
li e indirizzate alFuom o come tale. L a Giudea non poteva più pretendere il dom inio
se non aprendosi, trasform andosi, e un ebreo avrebbe obbligato i correligionari del
nuovo dogm a a far cessare l ’im posizione delle pratiche esclusive e caratteristiche del
suo popo lo per la salvezza (22). L o stesso discepolo, passato dalla persecuzione

(22) Allusione a S. Paolo e alla sua lotta contro quei primi cristiani che volevano continuare a comportar­
si come gli ebrei.

40
All- entusiasm o, avrebbe elaborato la form ula fondam entale della salvezza» collegan­
do il sacrificio della vittima divina al prim o peccato che secondo i più antichi libri
ebraici fu com m esso da un solo uom o facendo precipitare tutti i suoi discendenti
neirom bra della morte. Come la morte - dirà - così la salvezza ci viene data da un solo
uomo. Avrebbe insegnato anche il mistero del nuovo sacrificio e la santificazione at­
traverso la carne e il sangue della vittim a. Un altro, che la leggenda avrebbe cercato
di designare come vero discepolo del M essia, m a che in fondo era un seguace delle
speculazioni alessandrine sulle virtù che em anano d a ll’assoluto che discende nel
m ondo, avrebbe esposto in tono profetico la generazione in D io del Verbo eterno di
Dio, Dio lui stesso e creatore, vita e luce degli uomini e da essi ignorato. C osi il M es­
sia figlio di Dio veniva identificato con la Parola eterna dei libri ebraici e con la su­
prema Ragione dei pensieri dei filosofi* Poiché il sacrificio della grande vittima veni­
va spiegato nella natura, nel fine, nel mezzo e nella m orale, il dogm a era definiti­
vamente fondato. Certo non sarebbe stato com pletato in un giorno: attorno al nu­
cleo originario il pensiero religioso avrebbe cristallizzato successivamente una dot­
trina. T utto questo non avveniva senza dissensi; alcuni cercarono di unire o di so ­
vrapporre numerosi elementi analoghi e anche ostili, derivati dalle teologie orientali
a quelli precedentemente costituiti.
N ell’ am bito della fede in una determinata rivelazione di luogo, di tem po e di
persona, sarebbe emersa necessariamente la credenza più com patta e meglio orga­
nizzata; questa setta sì sarebbe considerata vittoriosa sulle antagoniste*
Sotto Dom izio Nerone R om a cominciò a occuparsi dei cristiani. Erano conside­
rati una di quelle sette che si posson o trovare in una grande città fra infam ie di ogni
genere. Era definita una superstizione funesta, repressa per un m om ento con la
morte del suo capo, in G iudea, dove era nata ai tempo di Tiberio e del procuratore
Ponzio Pilato, m a in quel m om ento d iffu sa in tutto il m ondo. D agli interrogatori
venivano giudicati come veri nemici del genere um an o* M a anche se criminali e de­
gni delle più gravi pene, secondo le idee del tem po, erano compianti com egente con­
dannata e torturata per un delitto che non aveva com m esso. Si trattava dell’incendio
di R om a, di cui la ragion di Stato si credeva obbligata a trovare i colpevoli, per indi­
rizzare sospetti del popolo (23). Nessun docum ento degno di fede ci è giunto sul nu­
m ero o il tipo di vittime di questo orribile atto del governo imperiale* M a non aven­
do le torture e le ricerche oltrepassalo le m ura della città, e non essendo i cristiani co­
me tali considerali causa di tutto questo, il fatto può essere considerato solo un caso
della storia.
È successo lo stesso di un avvenimento che caratterizzò gli ultimi anni dell’im­
peratore D om iziano, fratello di T ito. Alcuni parenti di questo im peratore, che in un
prim o tem po erano stati fatti nobili della sua benevolenza e che poi erano divenuti
sospetti, furono im plicali insieme ad altri cittadini in un’accusa di ateism o e di
ebraism o, che poteva anche significare cristianesim o, per quel che conosciam o

(23) Tacito. Ann. X V ,44; Suetonio, Vitae, S e r , 16.

4!
del linguaggio di quest’epoca. Un cugino dell’im peratore fu giustiziato, una nipote
esiliata; m a questa potè rientrare a R om a quando uno dei suoi liberti ebbe assassi­
nato l’im peratore, artefice della condanna (24).
L ’odio del genere um ano, perché questo è l ’unico m otivo espresso in tanti m o­
di, sem brava ovunque essere stato solo un pretesto sotto D om iziano, com e sotto N e­
rone, per giustificare atti puram ente politici. M a in questo caso, per la prim a volta,
vengono accusati ufficialm ente i cristiani se di essi, com e è probabile, si tratta.
Com unque dobbiam o tralasciare gli insegnamenti interessati, m olto posteriori
agli avvenimenti, così da ignorare cosa divenne la nuova religione a R om a e nel resto
dell’im pero e com e si com portò durante tutto il IX secolo, da Nerone agli Antonini.
Sappiam o dèi resto che non si d iffuse così rapidam ente da fa r si che gli im peratori
costruissero una politica continua al suo riguardo. Ben diverse furono le cose nel se­
colo successivo, alla fine del quale, uno scrittore di questa setta potè vantarsi del fa t­
to che era d iffu sa ovunque. Q uesta è la situazione che i dissidenti creano alla società
rom ana riunendosi attorno al cristianesim o. D a un Iato la nuova religione può p e r­
dere il m ondo per salvarlo; predica al m ondo la penitenza e il sacrificio, in nome del
solo vero D io, poi si sforzerà di sottom etterlo e di governarlo per ottenere con la
forza quella salvezza che la buona volontà non potrebbe dare. D a ll’altro la filosofia
attende il bene degli uomini dalla giustizia e dalla libertà; avrebbe avuto com e stru­
mento fatale quello che è contemporaneam ente il suo principale ostacolo, la politica
del sècolo. Se tale politica fosse stata chiaroveggente e saggia avrebbe lavorato coi
filosofi all’educazione della ragione pubblica, al m iglioram ento delle istituzioni e
del potere, alla propria trasform azione. Sarebbe prevalsa la religione intollerante o
la filo so fia? L a soluzione di questo problem a dipendeva dall*iniziativa che avrebbe­
ro potuto prendere i consigli di Rom a sotto la serie di im peratori, uomini dabbene,
che comincia con M arco Cocceio N erva.

(24) Dione, I. 62. Suelonio, Vitae, Domit., 17.

42
Secondo Quadro
Politica di Nervo e degli A ntonini. Lettera di A vidio C assio, Testamento di M arco
Aurelio.

L a storia e la riflessione m ostrarono agli antichi resisten za di un ’arm onia pro­


fonda fra la politica m onarchica e la fede m orale e religiosa deirO riente; il C ristia­
nesimo ne rappresentava una form a appropriata alle idee occidentali. Così pure le
religioni politeiste, con le loro libere variazioni, sem bravano tipiche del genio di quei
popoli che, im pegnandosi spontaneam ente in ogni attività, volevano governarsi da
soli. Si poteva dim ostrare facilmente che una nazione non era più libera, e rinuncia­
va a costruire il proprio destino nel m ondo quando, costantem ente preoccupata del­
la sorte ultram ondana delPuom o e delle condizioni che la rendono possibile, cam ­
biava il tempo con Pinfinito e la realtà presente con Pallucinazione delPeterno. Si
può tranquillam ente afferm are che un popolo, persa la libertà, ingannerà la propria
schiavitù e noia con la contemplazione delPassoluto e chi è attirato d a ll’abisso
dell’infinito diverrà preda del prim o tiranno che fingerà di condividere la sua fede o
che la disprezzerà apertam ente.
Il Cristianesim o portò nella società um ana un elemento di dissoluzione che era
m ancato alle dottrine orientali più antiche. N on solo faceva regnare negli spiriti il
pensiero di Dio e della salvezza fondandolo sulle rovine di tutto ciò che interessa
l’uom o quaggiù, m a annunciava anche la fine prossim a del m ondo al punto di con­
sigliare ad ognuno il mantenimento del proprio stato, qualunque fosse, di lìbero o
schiavo, sposato o celibe, sul tetto della propria casa o nel proprio cam po, secondo
il detto della parab ola (1), per evitare il rischio e il pensiero di un cam biam ento di
cui appena poteva permettersi il tem po (2). L ’esaltazione dei nuovi credenti che ave-*2

tri ‘ 'Quando dunque vedrete l’abominazione della desolazione nel luogo santo (...) ponga mente il letto­
re: chi sì troverà sul terrazzo non scenda a prendere niente in casa e chi si troverà nel campo non torni in­
dietro a prendere il mantello. Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorniM. Math.,
XXIV, 15.
(2) Uno dei nostri conoscitori del mondo sociale consigliava ai suoi contemporanei del 1808 di non co­
struire edifici, perché le costruzioni attuali sarebbero state abbattute dall’avvento dcìVarmonia, che non ne

43
vano una visione lucida dell’avvenire prom esso era tale che spesso, ^ u r nelle so ffe ­
renze, diventavano insensibili grazie ad un'estasi contem plativa della felicità futura.
L a concezione pratica della vita comune a tutta l ’antichità pagan a aveva posto
il fine delLuom o nelFum anità stessa, nelle reciproche relazioni um ane, il cui svilup­
po, nel cam po privato e in quello pubblico, era a f fidato il più possibile alTiniziativa
delle persone libere. Non era certo proibito agli individui e ai popoli interrogarsi
sull’origine dell’uom o e sul suo destino dopo la m orte, m a per quanto riguardava i
suoi fini prossim i, attuali e terreni, essi pensavano secondo la m orale naturale delle
coscienze. L ’im pero, risultato della diffusione universale e della conquista com piuta
dallo spirito greco-rom ano, cam biò in sudditi i cittadini che, senza più interessi per i
problemi terreni, prestavano sempre più orecchio agli apostoli venuti d all’Oriente
per addorm entarli facendo loro sognare il cielo. L a pace, la forza e l ’unità rom ana,
esche gettate a chi rim piangeva l ’ antica repubblica, non potevano impedire alla ci­
viltà una m orte lem a, se ì sudditi dell’im pero erano arrivati a non essere più Rom ani
e avevano perduto poi, dopo la libertà, la forza intelligente, tutte le passioni patriot­
tiche e perfino il desiderio di essere diversi da greggi di uomini in balia dei prìncipi o
cacciati dai barbari.
Se m ai Tim pero fosse arrivato alla giusta coscienza di sé e avesse voluto salvare
la civiltà rom ana, avrebbe dovuto risalire all’origine di questa civiltà: alla libertà.
M a il fenom eno così raro di un potere che decide di limitarsi e annientarsi a poco a
poco avrebbe potuto nascere solo se gli im peratori filosofi avessero avuto in una,
con la comprensione dei tem pi, anche un a volontà m olto ferm a e tenace.
Il primo im peratore, se si può chiam are in questo m odo Giulio C esare, m arciò
verso il potere com e verso il piacere, accecato dalle passioni come gli am biziosi e i
conquistatori che vanno tanto lontano per quanto si aprano davanti a loro territori
conosciuti e alla fine della loro carriera non trovano che fatica, disperazione e noia
irrim ediabile. Gli si attribuiscono, è vero, grandi piani, m a solo perchè avrebbe d o ­
vuto averne, mentre nessuno li h a conosciuti. I suoi successori praticarono la politi­
ca volgare tipica di ogni autorità costituita. Cesare O ttaviano ebbe il genio di questa
volgarità; procedendo con la prudenza, come lo zio con la passione, seppe trovare i
mezzi di consolidare Tedificio empirico del potere di un solo uom o. A forza di astu­
zie e di situazioni favorevoli, dopo le sue crudeltà, si credette abile e, per Labilità,
grande e legittim o; potrem m o credere che avrebbe finito per rispettare gli uomini e
lui stesso, se questo grande comm ediante, m orendo, non avesse ristabilito la verità
dom andando agli amici di applaudire la parte che aveva così ben recitato. Tiberio

avrebbe utilizzato alcuna (C. Fourier, A vis aux civilisés, in Théorie dea quatre mouvements), I primi cri­
stiani, forse anche quelli che non erano millenaristi, avevano lo stesso stato d’animo dell’inventore del fa­
lansterio e l'apostolo doveva pensare alla brevità del tempo rimasto al mondo quando scriveva: “ Il tem­
po della vita è breve e bisogna che quelli che hanno moglie vivano come se non Vavessero; quelli che pian­
gono come se non ne avessero motivo; quelli che son contenti come se non lo fossero; quelli che compra
no, come se non dovessero conservare gli acquisti fatti e quelli che usano di questo mondo, come quelli
che non ne usano; poiché passa la figura del mondo attuale.” 1 Cot\, VII, 29.

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Cesare non dissim ulò affatto il suo disprezzo per l’um anità e si degnò pertanto di
guidarla; m a in fondo cercava solo qualche sensazione nuova che desse tono alla sua
vita vuota in fondo a Capri. D opo di lui, perché le radici del potere com inciarono ad
affon dare nel p assato, i prìncipi sem brano presi d a vertigine alla vista di ciò che
erano. Essendo quasi tutti dediti al lusso e al piacere nella m isura esorbitante di quel
tempo o, tutt'al più, artisti (hoios technites apothnésco, diceva Nerone m orendo)
trovarono la follia in fondo alle sensazioni che consum avano. Questi disgraziati non
si rendevano conto di niente e form avano disegni politici solo nella m isura delle loro
impressioni quotidiane. Fu una esperienza terribile: C aio fu assassin ato, Claudio
avvelenato, Nerone indotto al suicidio mentre fuggiva, G alba m assacrato, Ottone si
pugnalò, Vitello fu sgozzato; era tem po che gli im peratori sentissero la necessità di
adottare un sistem a di governo, di ridare a ll’ esercito il suo posto nello Stato, di re­
golare alm eno la trasm issione del potere e di m oderarlo per poterlo afferm are.
Ogni speranza di tornare a un regime libero attraverso l ’iniziativa dei cittadini
era perduta da quando il popolo, nel m omento d e g a ssa ssim o di C aio, era rim asto
neutrale e indifferente fra l ’esercito che proclam ava Claudio e il senato che condan­
nava invano l ’infam ia di Cesari. Si poteva dunque sperare solo nella rara virtù di un
principe, cioè di un generale che avesse vinto i rivali e preferisse, ai fumi delle gran- X
dezze, la solida gloria che sarebbe derivata dal ristabilire l ’antica costituzione, che
fosse capace di apportare alle leggi fondam entali dello Stato i necessari cambiamenti
dopo centocinquanta anni di guerre civili e di dittature durante le quali l ’amm ini­
strazione rom ana si era afferm ata come governo definitivo dell’Occidente. In que­
sto senso un fam oso oratore di quel tem po, Dione C risostom o, consigliò il generale
Vespasiano che era arrivato al potere in circostanze estremamente favorevoli in se­
guito ad anonime som m osse che screditavano il sistem a im periale in tutti gli animi.
Ma questo nobile pensiero sem brò im a chimera a quel figlio di pubblicano che nella
giovinezza era stato un basso adulatore di C aligola, sem brò poco opportuno all’uo­
mo che si era fatto promettere l ’Impero dagli indovini e al quale gli dei d ’Egittp ave­
vano testim oniato il favore e m ostrato il destino attraverso miracoli com piuti dalla
sua m ano e visti da m igliaia di testim oni! Prudentemente V espasiano si accontentò
di amm inistrare uno Stato che doveva essere ricostituito, di sottom ettere alla disci­
plina un esercito che sotto altri comandanti vi si sarebbe sottratto e, d a abile Finan­
ziere q u a l’era, di creare im poste e rim pinguare il tesoro. Per il resto fece poco caso
ai titoli, trascurò la genealogia, visse con sem plicità, lasciò parlare qualche volta gli
scontenti, sopportò anche, si dice, le ingiurie che Demetrio Cinico gli indirizzava
con la libertà tipica della sua setta. E ra qualcosa. M a che significato aveva per la li­
bertà il ridare un’apparenza di serietà alle deliberazioni del Senato se anche Elvidio
Prisco, genero del fam oso Trasea Peto, che era stato vittima di Nerone, pagò con la
vita la sua opposizione continua alParbitrio im periale? Quale significato aveva per
l’educazione rom ana creare cattedre di retorica? Quale significato aveva per la filo­
sofia, orm ai unica speranza del m ondo, distruggere Gerusalem m e e i druidi se egli
era devoto a Serapide? Infine che cosa significava per l ’organizzazione im m ediata
dell’autorità, abbandonata a tanti pericoli, investire il proprio figlio della potestà
tribunizia?

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Il figlio T ito , delizia del genere um ano, così veniva chiam ato, seppe regnare con
m oderazione anche se arrivò a sacrificare alla ragion di Stato Tebrea Berenice. Sotto
di lui non si videro procedimenti per delitti di lesa m aestà, m a D om iziano, il fratel­
lo, cominciò anche lui con la dolcezza e finì con la più grande esibizione di infamie e
crudeltà che un trono sia riuscito a mettere insieme.
Un tentativo più fortunato di riform a ebbe luogo dopo P assassim o di Dom izia­
no, o forse è m eglio dire che furono poste le prime basi della ricostruzione dello S ta­
to in un dibattito fra il valoroso N erva, comandante delParm ata del Reno e un co­
spiratore esiliato da D om iziano: Dione Crisostom o. Costui apparve a ll’improvviso
nelPaccam pam ento in abito d a mendicante e, rim proverando i soldati, li convinse a
proclam are im peratore Puom o sul quale contava per la riform a. Dione voleva che
questo, eletto d all’esercito e subito dopo anche dal senato (sulPadesione entusiastica
del senato infatti non si poteva dubitare), accettasse i poteri solo per restituirli solen­
nemente al popolo rom ano chiam ato a governarsi secondo la vecchia costituzione
repubblicana. Al m assim o am m etteva che l’im peratore preparasse la nuova era della
libertà attraverso una dittatura di tre anni; credeva che fosse facile rispondere con
poche leggi e decreti ai bisogni che si erano form ati in più dì un secolo. Nerva m osse
obiezioni a questo piano attraverso ragionam enti, alcuni dei quali potevano essere
messi in dubbio, altri purtroppo erano m olto fondati.
4‘Bisognerebbe rifare un popolo rom ano — diceva N erva — prim a di dare al
popolo rom ano la libertà; se questo p opolo esistesse perché non potrebbe darsela da
solo, invece che affid are i suoi destini alla saggezza di un generale? Concordo
sull’idea di un senato e riconosco che, nonostante sia stato decim ato c lo si creda del
tutto privo di nerbo, sarebbe facile trovarvi più onestà c vera filosofia che al tem po
degli Scipioni. M a il popolo dov’è? D ov’ è Pelemento che può generare la forza in
uno Stato? L a proprietà è m orta. P rova a percorrere la cam pagna rom ana, vedrai
solo parchi principeschi, boschetti e colonnati, e sai che tutta l’ Italia è uguale. Que­
sta calam ità conquista le nostre provincie. Ogni lavoratore è uno schiavo, ogni citta­
dino un ozioso che chiede insolentemente alla repubblica il suo sostentam ento. Al
cittadino negam m o la terra e il lavoro a ll’epoca dei Gracchi, ora esige grano e olio,
presto vorrà vino e il resto, compresi gli spettacoli per il proprio svago. S arà su ffi­
ciente che un m io decreto lo definisca libero perché lo sia davvero e sap p ia di esser­
lo? M a se, per quanto im possibile, fa uso della sua libertà, se io stesso gli traccio il
cammino nei tre anni di dittatura che concedi, cosa succederà? L ’interesse del popo­
lo, Tinteresse del lavoro e della vera proprietà, che deve essere ricostituita, vuole il
sacrificio dei m onopoli che costituiscono il profitto delle grandi fam iglie di R om a.
L ’eterno dissenso della repubblica riapparirà fatalm ente. T em o che questi nobili,
questi ricchi d a combattere e di cui alienarsi le sim patie siano quelli che am ano e co­
noscono la libertà, che possono praticarla e siano anche i soli. Il popolo, lottando
violentemente contro le passioni del patriziato, otterrà al m assim o vittorie apparenti
nel m odo di sem pre, suscitando prim a dei M ario, poi dei Cesare. Non avrem o gu a­
dagnato niente.
E cosa fare dei nostri soldati che non sono più, come una volta, popolo che va
in trincea. D a quando la m assa ha abbandonato ogni iniziativa politica, quelli che

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hanno preso l ’abitudine di considerarsi i suoi sostituti ne usurpano insolentemente i
poteri e li usano solo per strangolare lo Stato e aumentarsi la paga. Riuscirò in tre
anni a fare più che in tre giorni nel preparare le condizioni per cui i pretoriani p ossa­
no essere licenziati senza pericolo, l’esercito riportato alla sua vera condizione e il
popolo all’esercizio dei suoi diritti? A R om a m ancano i cittadini, all’Italia m ancano
gli uomini; bisogna fare dei cittadini e degli uomini, questo è il problem a; nascon­
derselo non servirebbe a nulla.
Q uanto alla costituzione, ne occorre una, m a è difficile trovare un punto fermo
nella storia di questa repubblica che. vogliam o ristabilire e che mi sem bra essere m or­
ta proprio a causa degli sforzi violenti ai quali si abbandonava per cam biare la sua
costituzione. Prendiam o ad esempio quella di Siila. Rappresenta l’interregno troppo
breve fra i tribuni perturbatori e i tribuni usurpatori, fra le fazioni e i Cesari, Fu sug­
gellata nel sangue, ma quale rivoluzione non ne ha versato? Siila, dopo la sua ditta­
tura diede un grande esem pio, quello che ti aspetti da me; non fu di quella razza di
dom inatori, mediocre in fondo, comunque la si veda, e sfortunatam ente troppo co­
mune fra gli uom ini; ebbe un anim o superiore a ll’im pero. Prendiam o pure la costi­
tuzione di Siila; non abbiam o esam inato le cause che la condussero alla rovina in po­
chi anni e non saprem o quindi prevenirne il ritorno. N ulla prova che questa costitu­
zione sia oggi sufficientemente adatta al m odo di pensare dei cittadini o alla costitu­
zione del governo rom ano del m ondo in cui tante cose sono cam biate. Io vedo un di­
fetto, che si nota anche in tutte le istituzioni della repubblica dal giorno in cui R om a
è stata padrona dell’ Italia. Siila, costretto ad accordare il diritto di cittadinanza ro­
m ana alle popolazioni un tempo vinte, obbligato ad essere giusto, non ha fatto nien­
te perché il diritto potesse essere esercitato. II cittadino di Tivoli può difficilm ente
andare ai comizi, quelli di C orfinio o di Pompei m ai. 1 nostri antichi patrizi non lot­
tavano solo per ciechi interessi di casta nel m om ento fatale in cui vedevano il C am ­
pidoglio vicino al crollo nei divam pare della guerra sociale; sentivano che i cittadini
romani non potevano essere abitanti dcll’Etruria o della C am pania e, se un tale fa t­
to si fosse verificato, la repubblica avrebbe dovuto risolvere un nuovo form idabile
problem a al quale non è stata data soluzione in alcun paese, altrimenti sarebbe m or­
ta fra le convulsioni di un grande impero che continua a governarsi con le leggi di
una piccola città. D a due secoli c ’è questo problem a che ogni giorno diventa più
grande ed è la vera causa dei nostri guai. Solo che allora si trattava degli abitanti
dell’ Italia; oggi si tratta degli abitanti del m ondo.
Ho portato alcune ragioni, mi pare, m a una è quella che vince tutto e della q u a ­
le non ho detto niente: la ragione del diritto. Quali sono i miei titoli, quale è la m ia
autorità per poter dare alla repubblica la costituzione di Silla o qualsiasi altra? Sono
gli stessi titoli e la stessa autorità che mi servono per esercitare la dittatura triennale,
per essere im peratore, console, tribuno perpetuo, pontefice. Questo diritto che ho o
che mi prendo, che questi poveri soldati mi dànno con la tua voce e che un dom ani
vorranno portarm i via insieme alla vita senza alcuna ragione, questo diritto c in me
solo. Dirò più francam ente: è un fatto acquisito che io eredito solo dal m io giura­
m ento. Io sono Pimperatore e provvederò” .
Gli argomenti di Nerva erano speciosi, m a erano quelli di un uom o di Stato che

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vede tutte le d ifficoltà delle cose, qualche volta m agari anche bene e p risto , invece di
attaccarsi con forza alla speranza di trionfarne* Dione si sforzava di confutarli, non
da retore, come forse avrebbe fatto nella sua scuola di eloquenza, m a d a uom o di fe­
de e di valore la cui volontà di fare il bene cerca ogni m ezzo per diventare efficace e
non si ferm a davanti a qualche dubbio e a qualche punto oscuro.
“ M a quando agirem o — diceva — se aspettiam o di avere la chiarezza perfetta,
la conoscenza totale? Q ual'è la virtù che coglie la certezza del successo? E la prova
della libertà non sta nel fatto che gli uomini possano sempre ricom inciare? Non è
forse sulla libertà stessa e sul suo esercizio sem pre nuovo che dobbiam o contare per
evitare le antiche colpe e assicurarci i beni che non abbiam o saputo ancora cogliere o
conservare?“
M a Dione aveva il torto, per altro comune, di cercare un com prom esso fra la
forza della dittatura, di cui non am m etteva il principio, e la costituzione libera; an­
che lui temeva che i Rom ani non fossero capaci di abbracciarla con intelligenza e ri­
soluzione. Non c'è logica che possa risolvere tali problem i; chiunque invochi la dit­
tatura rinuncia in fondo a porle dei limiti, perde la forza del diritto e si abbandona a
quella del fatto.
Questo discorso m em orabile finì senza convincere alcuna delle parti, cosa che
succede di solito. Dione e N erva, il filosofo e il generale, si separaron o, quello per
pensare, questo per com andare, secondo il detto tu regere im perio p op u lo s, R o m a­
ne. M a, contrariam ente a quanto avviene di solito, i veri propositi di Nerva erano
proprio quelli che aveva testim oniato e si proponeva seriamente il difficile obiettivo
di rigenerare un p opolo. L o dim ostrò non solo conservando sempre la su a amicizia a
Dione, m a anche attraverso gli atti compiuti come im peratore durante gli anni, trop­
po brevi, del suo regno. Del resto N erva, che era figlio e nipote di giuristi, cioè di
educazione stoica per tradizione fam iliare, essendo nato al tem po di T iberio, aveva
attraversato senza coprirsi di disonore la serie nefasta dei Cesari ed era il candidato
dei filosofi deirim pero. Il senato ne accolse con entusiasm o la venuta e il m ondo,
per la prim a volta, ebbe com e padrone uno che non avrebbe voluto esserlo.
Gli atti politici di questo regno, pur senza avere una grande im portanza nelPim-
m ediato, furono significativi. Il senato riprese il diritto di giudicare e i suoi membri
furono garantiti contro i procedimenti capitali fino a quel m om ento tanto frequenti.
Non vi furono più delitti di lesa maestà, o delazioni, impuniti. L e distribuzioni di gra­
no o di denaro contante non furono interrotte e non potevano ancora esserlo; tutta­
via lotti di terreno incolti furono assegnati a cittadini poveri. Significava attaccare il
m ale alla radice; contemporaneam ente furono aperte scuole gratuite per i figli di
questi stessi cittadini. Citerem o, solo per far notare Io spirito della riform a di N erva,
altri provvedimenti m olto im portanti, anche se in apparenza di m inor portata, come
la riduzione degli spettacoli e dei sacrifici pubblici, si sa di quali spettacoli, e la proi­
bizione della pratica infam e della castrazione, un a volta sconosciuta a R om a, che
sarebbe riapparsa solo per un istante sotto il regno di quel m ostro che fu il figlio di
M arco A urelio (3).
Per quel che riguarda i provvedimenti di circostanza coi quali inizia ogni regno
così im provvisato, Nerva diede prova di grande nobiltà e sincerità. Riconobbe fran-

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carnente e onorò la rivoluzione alla quale doveva il potere. Lungi d a ll’imitare quei
principi che si richiam ano ai loro predecessori, anche se sono esecrabili tiranni e si
(anno un dovere delPintìerire contro i cittadini che prim a adulavan o, si rifiutò di
perseguire gli assassini di D om iziano.
Doveva odiare, da vero rom ano q u a l’era, le persone e i raggiri di quegli uomini
che vivevano secondo il costum e degli ebrei, tuttavia vietò di tormentarli per il ruolo
che avevano avuto nella tragedia. M a la guardia pretoriana conservava devotamente
11 ricordo delle prodigalità dell’ultim o C esare. R eclam ava a gran voce la morte dei
cospiratori che avevano troncato i giorni di un principe tanto buono. Forse voleva
solo prevenire le riform e militari che doveva attendersi da N erva, progettando
un’occasione per assassin arlo, come aveva fatto prim a con G alb a. L ’im peratore
m ostrò tenacia e grande coraggio, m a alla fine dovette scegliere fra cedere o m orire,
e cedette: e fu la decadenza m orale di un vecchio al quale non rim ase altro che lan­
guire, dopo aver sm esso di perseguire i progetti più arditi che aveva m editato. D a
quel m om ento il suo unico pensiero fu di designarsi un successore per adozione. S ot­
to Tinfluenza dell’inquietudine che la m aggior parte deiresercito gli dava, scelse fra
gli uomini di valore quello che gli sem brò più capace di farsi ben volere dai militari
dom inandoli col prestigio della vittoria.
M arco U lpio T raian o non fu l'im peratore che la condizione interna dell’im pero
avrebbe richiesto. M a Nerva fece una cosa m olto im portante inaugurando il sistema
delle adozioni che G alba aveva cercato di introdurre venticinque anni prim a. Non
adottò un parente, anche se ne aveva e non si può attribuire a lui il fatto che il regno
di un porfirogenito fosse ormai inattuabile. Se T raian o non era ancora l’uòm o che
Dione C risostom o aveva sogn ato, era però uno di quelli che, senza troppa esagera­
zione, possono essere definiti onore della natura um ana anche se sono dei re. Tutto
questo ci m ostra quanto di forte e di veramente grande c ’era in questo secolo e in
questa R om a.
Traiano mantenne le riform e del padre adottivo. Sotto di lui il senato si riuni
spesso segui regolarmente i problem i del governo. M a questo principe, di costumi
e di idee essenzialmente m ilitari, pensò solo alla R om a conquistatrice e dimenticò la
necessità di rifare una R om a civile e politica. A llargò l’impero non solo alla D acia,
cosa richiesta dagli interessi dello Stato rom ano, m a a ll’Oriente, all'A rm enia,
all’A ssiria e riportò una inutile vittoria sui Parti. Questa attività e questa gloria a u ­
m entavano ancora l’im portanza esorbitante dell’esercito e, proprio in questo m o­
m ento, l ’im peratore proibiva ai cittadini, che cercavano una nuova via politica riu­
nendosi ed associandosi, ogni tipo di riunione, anche quelle private o semplicemente
di a ffa ri, quasi fossero incom patibili con l ’unità della direzione dello Stato , mentre

(3) Riapparve anche, in epoca successiva, sotto gii imperatori cristiani, che Ucronia non considera, e sot-
<o il regime dei papi a favore della musica sacra. Gli atti attribuiti a Nerva sono storicamente accertati e
mostrano chiaramente il suo fine: la rigenerazione del popolo attraverso l ‘educazione e la proprietà. É
altrettanto certo che il repubblicano Dione Crisostomo gli fece ottenere L’impero nelle circostanze ricor­
date sopra.

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avrebbe dovuto rallegrarsi di questi felici sintomi di rinascita. C osì si# per debolez­
za, sia per deplorevole attaccam ento al costum e, quest’ uom o tanto potente tollerò
gli atti atroci della superstizione popolare, eccitata dalle calam ità naturali: tre vesta­
li, due Greci e due Galli, m aschi e femmine di entrambe le nazionalità, furono im ­
pietosamente sepolti vivi; questi ultimi a causa dei libri sibillini, la cui autorità era ri­
conosciuta da tutte le sette religiose di quel tem po per contendersene l ’uso.
Traiano non sentì affatto la necessità, già forte in quel m om ento, di darsi una
linea politica nei confronti della più m inacciosa di queste sette, quella più ostile alla
civiltà. “ Non è possibile stabilire una regola generale per questo tipo di problem i” ,
scriveva a Cecilio Plinio proconsole della Bitinia che chiedeva inform azioni sulla via
da seguire “ contro il contagio che, infettando le città e le cam pagne conquista
persone di ogni rango e di ogni sesso” ; infatti questa “ superstizione spinta all’ecces­
s o ” consisteva nel dogm a della condanna del mondo e nella fanatica speranza della
sua fine, solo delitto che Plinio abbia potuto scoprire nei settari che gli venivano de­
nunciati. Di fronte ad un problema così grave la cui soluzione era difficile, m a doveva
essere trovata ad ogni costo, Traiano im m aginò soltanto la pietosa ricetta dell’uom o
pratico; punire l ’accusato che confessa, perdonare quello che nega e non prendere
l ’iniziativa dei procedimenti giudiziari. Tutto questo significava preparare argomenti
vincenti agli apologisti della setta: “ o siam o innocenti e ci condannate, o siam o col­
pevoli e non ci colpite, e vi contentate della ritrattazione del nostro preteso delitto” (4),
Così il genio di Traiano non fu aH’altezzadèl suo valore. L a lungim iranza p oli­
tica non assicurò neppure la successione dell’impero perché non seppe decidersi a
soffocare o esaltare, attraverso l ’ adozione, le speranze di A drian o, suo parente, a l­
leato e pupillo, certe tendenze del quale gli erano antipatiche. Fu necessario suppor­
re questa adozione attraverso una com m edia di palazzo recitata tenendo n ascosta
per qualche tem po la m orte di Traiano (5). Il successore, designato attraverso l ’intri­
go, avrebbe potuto essere un tiranno volgare, fu invece un grandissim o uom o, pur
senza sim patie per i sentimenti repubblicani. Organizzò l’am m inistrazione m a perfe­
zionò anche la polizia investigativa e sostituì con funzioni e titoli di corte alcune fo r­
me dell’antichità rom ana.
Q uesta am m inistrazione abbastan za centralizzata lasciò gran parte dell’iniziati­
va e dell’autorità ai municipi e il nuovo cerimoniale non giunse al punto di dispensa­
re il principe dal rendere om aggio al senato. Dando l’indipendenza ai poteri munici­
pali, istituendo quattro grandi prefetture italiche che li ricollegavano alle leggi di
R om a, avendo una cura costante per lo sviluppo delle associazioni industriali e com-

(4) Plinio, E pist., X , 98. L ’argomento vincente è parafrasato, un secolo dopo Traiano c la sua nefasta po­
litica (che i successori non continueranno più di tanto), daU’africano Tertulliano, che recita sempre, ma
questa volta non è affatto un sofista: O sententiam necessitate confusarti; cf. TertuI, Apologeta 2.
(5) La moglie Plotina Pompea, partigiana di Adriano adottò per questo la messa in scena dei Segretario
universale ; per lo meno è la versione che il principale storico del tempo, Dione Cassio, ci ha lasciato con
ragguagli particolari.

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merciali, Adriano si m ostrò come il degno continuatore di Nerva. Tale politica do­
veva contribuire più di ogni altra ai primi progressi del popolo e a prepararne altri
ancor più decisivi. M a una cosa m olto im portante e capace di dim ostrare bene lo
spirito che anim ava questo im peratore è la costituzione dem ocratica di Atene, redat­
ta durante uno dei suoi soggiorni in questa capitale dalle tradizioni di libertà, pro­
prio mentre si faceva iniziare ai misteri di Eieusi. L ’appello al senato o al proconsole
rom ano era condizione indispensabile destinata a mantenere l ’unità del governo del
m ondo.
A driano ebbe il sano coraggio di abbandonare le impolitiche conquiste di
T raian o; non le forti e utili provincie del D anubio, m a le regioni oltre il Tigri e l ’E u­
frate che, nelle condizioni attuali dell’im pero, indebolivano soltanto, ingrandendo­
lo, un corpo mal costituito e rappresentavano un grave pericolo per la sempre m ag­
giore facilità della p ropagan da dei costumi e delle idee orientali. L a M esopotam ia,
¡ ’Arm enia, l ’A ssiria, supponendo che il mantenere quelle provincie fosse più facile
che il conquistarle (cosa che allora non era vera), avrebbero com prom esso forte­
mente una civiltà che non era in grado di assim ilarle se non assim ilandosi ad esse.
Può darsi che un im peratore, capace di sacrificare in questo m odo i benefici a p p a ­
renti della guerra, non avesse altro fine che dedicarsi interamente alPopera di co­
struzione della pace e abbandonarsi al gusto per le fondazioni che m ostrò m agn ifi­
camente in quindici anni di viaggi dalle frontiere della Scozia al M arocco e all’A ra­
bia; m a si può anche pensare che quest’ uom o, dedito ovunque e per quanto possibi­
le alla restaurazione delle istituzioni greche, quest’uom o, che la passione per le lette­
re e le arti e l’incontestabile talento di poeta avevano fatto soprannom inare G raecu-
lus sotto il regno precedente, questo am m inistratore attento e sagace, che conosceva
cosi bene tutte le parti dell’im pero, avesse com preso che il m ondo culturale greco
aveva dei confini ancora insuperabili, dentro i quali il genio rom ano, incaricato di
stabilirne e assicurarne l ’ assetto definivito, doveva mantenersi.
Non tratteremo nei particolari le riform e amm inistrative più che politiche dì
A driano, ma è im possibile non ricordare il suo editto perpetuo per il coordinafnento
degli editti dei pretori.
Il Greco tornò ad essere R om ano. A pprezzando tutto il valore del lavoro dei
giuristi lungo i secoli, teso a determinare le basi razionali del diritto e a creare, com e
dicevano con tanta efficacia, la ragione scritta, diede alla giurisprudenza consolida­
ta e continua la forza e l’unità della legge. Per caratterizzare la civiltà di fronte alle
religioni arbitrarie e passionali, unica regola dei costum i orientali, bastava la sola
istituzione m orale del diritto, la dichiarazione e ¡ ’attuazione pubblica, regolare, fo n ­
data dal punto di vista filosofico, della giustizia sociale anche senza la libertà. M a la
libertà era necessaria per garantire la durata e Io sviluppo normale dei principi del
diritto. Per il resto A driano non considerò mai la legge come un qualcosa di im m u­
tabile: la sua um anità ne constatò il progresso, rendendo giudicabili dai tribunali gli
schiavi a discapito dell’autorità dei padroni, che cessò di essere assoluta, egli schiavi
furono protetti non solo contro l’antico potere di vita o di m orte, m a anche contro
l’uso più comune di allevarli e venderli pò- essere prostituiti o per dare spettacolo.
D a questo si può giudicare lo spirito dei giuristi-filosofi che form avano il consiglio

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dell’im peratore. Sotto Tito Antonino, al divieto intimato ai padroni, v®ine aggiun­
ta una sanzione penale: essere privati del diritto di proprietà nei casi di abuso; gli
schiavi, allora num erosi, che venivano liberati a condizioni stabilite furono equipa­
rati, per quanto concerne il trattam ento delle loro persone, agli uomini liberi. Nello
stesso tempo m igliorò m olto la condizione delle donne: i diritti di successione fu ro­
no estesi e i mariti persero il diritto di accusarle di adulterio quando la loro condotta
li rendeva indegni di esercitare tale diritto (6).
L a persona di Adriano conta poco in quel grande movim ento che sotto la guida
della filosofia tende, durante il suo regno e col suo aiuto, ad innalzare il governo del
genere um ano verso un ideale tutto nuovo nella storia. Pertanto la coscienza obbliga
lo storico che esam ina il periodo dom inato da questo gran d'uom o a giustificarlo
dalle accuse che gli vennero dai nemici della civiltà. Gli si rim proverò il gusto per le
superstizioni. A rtista e poeta, pur regolando Io Stato in nome della ragione, rimette­
va in vigore ovunque i culti, i misteri, i tem pli. M a proprio questi A lessandrini, che
lui stesso chiam ava cristiani adoratori d i Serapide e adorato ri di Serapide sedicenti
cristiani, questi rabbini ebrei, questi p on tefici sam aritani, questi preti cristiani che
aveva visto a li3opera e che, adoran do un solo Dio, non erano da meno — diceva —
degli astrologò degli aruspici, dei ciarlatani, questi settari verso i quali egli continua­
va la tolleranza imprudente di N erva e di T raian o, erano quelli che dovevano
ram m aricarsi dei pencolamenti religiosi di cui approfittavan o? Bisogna riconoscere
che l’inclinazione politeista di Adriano si m ostrò un pò sm odata quando invitò i
suoi contem poranei e i posteri, che non si rifiutarono (7), a un nuovo culto della bel­
lezza nella persona di A ntinoo, suo am ico. T uttavia proprio questo culto, la pietà
sincera dell’im peratore, i suoi pianti, la sua disperazione, la nobile speranza dell’im­
m ortalità di cui l’ apoteosi non era che il sim bolo, testim oniano la purezza della p as­
sione che ispirò sentimenti tanto belli. A driano stesso conobbe e respinse la calun­
nia, i cui autori erano gli stessi alessandrini, gli uomini più corrotti del m ondo. Nella
loro ridicola versione sulla m orte di A ntinoo, infatti non si accontentarono della b a ­
nale accusa alla quale una amicizia esaltata può sempre dar luogo per gli sciocchi e i
perfidi, non potrem m o vedere che il prodotto delle infam i superstizioni dell’Egitto,
terra classica della più grande im m oralità e delle false scienze (8).6*8

(6) L a maggior parte di questi tratti di legislazione ci è stata conservala dai Digesto. L ’ultimo, di cui è ga­
rante S. Agostino e che appartiene al regno del primo Antonino, è un progresso che nella legislazione
francese si aspetta ancora. Potremmo aggiungere ai fatti raccolti dal nostro autore, indipendentemente
da diverse modificazioni liberali apportate alle leggi che regolano i testamenti e le donazioni, una grande
misura di civiltà: Pistituzione di medici pubblici nelle città, poi la proibizione delle inumazioni dentro le
città e altre regole di umanità e di igiene.
(7} Il culto d i Antinoo durò quasi due secoli» cioè fin o a dopo Costantino per tutto il periodo pagano, cf.
P . Bayle, D ici., Hadrien e AntinoUs.
(8) C f., la lettera di Adriano al fratellastro Serviano, nei III volume dei frammenti degli storici greci, edi­
zioni Didot. - Antinoo morì accidentalmente annegandosi nel Nilo, secondo il racconto dello stesso
Adriano nella autobiografia. L a credulità degli storici ha fatto loro preferire una versione per la quale si

52
A driano scelse com e successore il figlio adottivo Tito A ntonino che, dopo aver
ricoperto tutte le più alte m agistrature rom ane, aveva governato sotto di lui una del­
le prefetture d ’Italia. Seguì dunque l ’esem pio di N erva e, in più, volle che Antonino
adottasse a sua volta Lucio Vero e M arco Aurelio. Significava, per quanto possibile,
assicurare la trasm issione dell’impero sia contro gli affetti fam iliari, sia contro le
candidature militari.
A ntonino, che possiam o paragonare a T raian o per valore e a A driano per la ge­
nialità, continuò fedelmente la politica di quest’ultimo e la fece anche prevalere con­
tro il senato che, irritato da alcuni atti oppressivi accaduti verso la fine del regno, si
rifiutava alla form alità dell’apoteosi. Il carattere dem ocratico della dignità im peria­
le fu m esso in evidenza dal titolo di tribuno che il principe preferì ad ogni altro; m a
gli atti non corrisposero a quanto le circostanze e l ’ urgenza del tem po avrebbero ri­
chiesto da un im peratore lungimirante e risoluto. È vero che la giurisprudenza ro­
m ana fu fiorente ed attiva, che l’am m inistrazione progredì nonostante le guerre che
scoppiarono su diverse frontiere, m a non era m olto. L a condizione della proprietà,
quella di chi lavorava, restava la stessa in Italia e nelle provincie vicine. L ’istruzione
pubblica non aveva l’organizzazione e nemmeno la diffusione necessarie a resistere
all’ invasione delle culture orientali, nonostante A driano avesse stabilito numerose
im m unità: ad esem pio l’esenzione dal servizio militare dei professori di gram m atica,
di filosofia e di letteratura e Antonino, a sua volta, m ettesse in atto un progetto di
Nerva fondando istituti per i figli e le figlie dei cittadini poveri o per aiutarli
nell’opera di educazione dei bam bini. Infine l ’esercito, col servizio perm anen­
te e professionale, era una delle piaghe dell’impero, un ostacolo insorm ontabile alla
ricostruzione della repubblica; e la guardia pretoria, che da mezzo secolo aveva n o­
m inato gli im peratori, si m ostrava altrettanto m inacciosa per l ’avvenire.
Antonino fu l ’uom o buono per eccellenza, l ’uom o buono e il filo so fo , m a di
quelli che sem brano fuori posto fra i problemi degli uomini e cosi non usano energi­
camente la loro volontà per riportare tali problemi nel solco della giustizia; con que­
sto non si dice che il loro valore si afferm i nella vita contem plativa, non siarho a
questo punto, m a solo che tale valore non osa gran che in un m ondo che giudica più
incorreggibile di quanto non sia.
L ’educazione di M arco Aurelio fu diretta in questo senso; forse lui stesso esage­
rò le lezioni dei suoi maestri stoici, forse ascoltò quelle di Epitteto ottantenne, certo
m editò profondam ente le sue opere e mise sul trono la virtù dello schiavo: Sopporta,
astienti. Da un secolo, da quando fu persa e dim enticata la libertà, da quando l’im ­
pero fu affid ato a m ostri, lo stoicism o subiva una trasform azione analoga a quella

era fatto sgozzare per devozione aJl’imperatore affinché lui potesse interrogare il futuro sul suo cadavere!
Coloro che riportano seriamente questa infame favola di biografia in biografia sono proprio i degni d i­
scendenti di quelli che soppressero la vita di Adriano e di Marco Aurelio, la guerra di Giudea di Tacito e il
Vero Discorso di Celso e gli scritti degli eretici e tutto ciò che poteva farci conoscere Io spirito dcirantica
filosofia nel momento in cui conduceva la sua lotta col Cristianesimo.

53
delle dottrine religiose. Ǥ
Zenone e i suoi allievi avevano com posto trattati sulla repubblica, gli stoici ro­
mani erano stati i cittadini più attivi; ora invece veniva insegnata la rassegnazione, la
pazienza, l’obbedienza a tutti i poteri costituiti. Una volta la giustizia e la forza in­
sieme alla libertà erano l ’ideale della perfezione um ana, ora q u est’ideale tendeva ad
essere sostituito d all’ eguaglianza d ’ anim o del saggio e d all’am ore del genere um ano.
Antonino, nell’ultim a notte della sua vita, diede al tribuno di servizio questa parola
d ’ordine: aequanim itas; M arco Aurelio innalzò a R om a un tem pio alla Bontà. Sen­
za dubbio la società antica dovette fare m olto per l ’am ore e la bontà, m a dimenticò
la giustizia se sostituì al diritto, fondato sulla forza, il sacrificio che ne costituisce
l’abban don o; sarebbe caduta tanto più in basso, quanto più avesse voluto innalzarsi
fino alle virtù celesti, estranee alla condizione pratica dell’uom o. A llora aveva pre­
sentato agli spazi eterei il subbiime spettacolo della lotta delle anime libere; o ra non
offriva loro che il triste esem pio di alcune anime sante in preghiera in m ezzo a una
battaglia di briganti. Caveant p h ilosop h i!
“ Non sperare nella repubblica di Platone — scriveva M arco Aurelio — conten­
tati di porre rimedio ai mali più gran di” . Il male che la sua filosofia cosi umile co­
minciò a curare era il più piccolo di tutti: le guerre im poste dalla politica, le rivolte
egiziane, le invasioni germaniche che obbligarono per un m om ento R om a, affa m ata
e appestata, ad arm are i suoi schiavi. Inoltre bisognava, per com battere questo m a­
le, dimenticare alm eno un p o ’ la m assim a: “ L a m ia patria com e uom o è il m ondo;
siam o tutti concittadini, tutti fratelli; dobbiam o amarci tutti come persone che han­
no la stessa origine e Io stesso fine” (9). M a di tutti i doveri dell’im pero la guerra era
il meno difficile da com piere; M arco Aurelio vi si votò. Di fronte agli altri mali dello
Stato che avrebbero richiesto un rim edio, diceva a se stesso: “ V a tutto bene; perche
tu rbarti?” “ regola i tuoi desideri piuttosto che il destino” ; “ ogni cosa ha due fVc-
ce, considera la bu on a” ; “ non irritarti contro un uom o, contro un d e lin q u e n te ^
solo ciò che può essere” . C osì quest’imperatore lasciò che crescesse al suo fianco i n \
tutti i vizi il figlio Com m odo che lasciava intravvedere una degna successione a Do- x
m iziano, l ’ultimo dei Cesari. Nella sua tenerezza di sposo innalzò ridicoli altari a
Faustina, cento volte adultera, e nella sua tenerezza di padre tradi la politica delle
adozioni inaugurata da Nerva, continuata da Adriano e nutrì per l’impero un m o­
stro porfirogenito. Non fu, infine, per colpa sua che i cristiani, che facevano miracoli
nei suoi eserciti e gliene attribuivano la conoscenza (10), lo considerassero uno dei

(9) Marco Aurelio, E ìs heautón. Forse non è inutile notare, a proposito di questo passaggio, come tutta la
filosofia del secolo di Epittelo e di Marco Aurelio sia improntata a sentimenti dì carità e di fratellanza di
cui si vuole trovare l’unica fonte in una religione, allora ignorata e disprezzata dai sapienti e, del resto,
molto più recente delle incontestabili origini della morale degli antichi. Lo sviluppo dell’idea di umanità,
nella sublime doppia accezione dì questa parola, poteva non risultare da una fusione di popoli che si ef­
fettuava mentre i filosofi definivano il dovere in generale, prescrivevano la ricerca del bene morale prima
dì tutto e facevano anche consistere la perfezione individuale nel soffrire /'ingiustizia piuttosto che com­
metterla. cf. Piai., R e s p O o r g .

54
loro, lui che, politeista per educazione e istinto, non com prendeva affatto ciò, che
chiam ava una p ura caparbietà: la loro ostinazione a rifiutare Vincenso agli D ei del
genere um ano (11), Di fatto è all’iniziativa dei proconsoli, inquieti per i progressi del­
la setta, che bisogna attribuire la persecuzione regolare che com inciò nelle provincie
verso la fine del regno di M arco A urelio,
In questo periodo uno stoico m olto diverso d a M arco Aurelio com andava pri­
m a le legioni sul D anubio, poi quelle in Oriente. Q uesto generale, del ceppo dei più
duri rom ani, filosofo com e Catone non com e Epitteto, si segnalava per le vittorie,
cosa comune, e per una ferrea disciplina di cui i consoli dei primi secoli avevano a
fatica dato esem pio, arrivando perfino a mettere in croce ufficiali che avevano vinto
senza ordine. Del resto, am ato nella sua provincia, testim oniava una rara sollecitu­
dine per le popolazioni civili e le proteggeva contro i mali della guerra. Avidio C a s­
sio, che era considerato discendente dell‘assassin o di Cesare, era figlio di un filosofo
am m inistratore delTEgitto e, anche se cresciuto in Oriente, si era fatto conoscere per
i sentimenti ardentemente repubblicani. Aveva anche cospirato per togliere dal tro­
no Antonino. Protestava fermamente contro la filosofia bonaria di M arco Aurelio
per la quale, insieme aH’incuria del collega Vero tutto occupato nei propri piaceri,
l’im pero veniva abban don ato alla dissoluzione dal proprio interno. E M arco A ure­
lio, al quale veniva denunciato C assio, rispondeva: “ Se deve regnare, io non posso
farci niente; nessuno ha ucciso il suo successore” .
Durante le guerre di G erm ania, che l ’im peratore dirigeva di persona, si diffuse
in Oriente la notizia della sua m orte. L ’esercito e le provincie d ’Egitto e di Siria si
sollevarono e proclam arono C assio im peratore. Gli ebrei soprattutto, più forti che
mai nella diaspora per il loro num ero, la loro capacità lavorativa e la loro fede, a b ­
bracciarono questa causa con entusiasm o: si attendevano da C assio, la cui convin­
zione politica doveva essere nota a tutti, una persecuzione decisiva contro le sette
cristiane che erano loro tanto invise. I/in surrezione continuò anche dopo la sm enti­
ta della falsa notizia; è difficile infatti ritornare su simili risoluzioni una volta che
sono prese. C assio scrisse allora a M arco Aurelio la seguente lettera (12). /
“ A vidio C a ssio , proconsole di Siria, proclam ato im peratore dal popolo e
dalPesercito orientale, a M arco A urelio vero A ntonino, tribuno perpetuo, im perato-

(10) Si trattò di una grandinata miracolosa che le preghiere di una legione reclutata in Armenia fecero ca­
dere sui Marcomanni mentre i Romani si dissetarono con una pioggia benefica. In questa occasione si
suppose e si costruì una lettera di Marco Aurelio per ordinare pene contro i calunniatori di quei cristiani
che la Provvidenza favoriva cosi apertamente- In un’altra occasione, inoltre, avevano compiuto, con
grande successo, un esorcismo proprio sulla figlia dell’imperatore! Purtroppo la data della lettera è di tre
anni prima del miracolo, et', in A.A.V.V,, Dictionnaire des sciences philosophiques , M. Aurèle.
(11) M. Aurelio, Eis heautôn, XI, 3: “ Quale altra anima c pronta alla morte, non per caparbietà, come i cri­
stiani ma con giudizio e gravità, dopo deliberazione, senza tragico fasto” .
(12) Con questa lettera, probabilmente apocrifa, entriamo nel periodo romano di Ucronia, per non lasciar'
lo più. fautore chiama a grandi destini questo Avido Cassio che la storia ci dice assassinato dal suo e c ­
cito. cf. la vita di questo eroe negli Scriptores Historiae Augusrae,

55
è
re. Senza dubbio conosci quanto è stato com piuto contro la tua autorità. N on è più il
m om ento di nasconderlo. Del resto ho sem pre detto la verità, come te e com e tuo
padre. Rendimi questa giustizia com e io la rendo a voi. A scolta alm eno le cose che
devo dirti e gu ard a se la sincerità non brilli d a soia. Un tem po volli rovesciare il tuo
padre adottivo per rendere al P o p olo e al Senato dei diritti che a causa vostra sono
troppo dim enticati. Antonino mi perdonò. Tu mi hai innalzato ad alti com andi e io
ho fatto il mio dovere con energia e successo. Non ho cessato di biasim are la mollez­
za di un governo che i tuoi m aestri e i tuoi adulatori chiam ano F ilo so fia sul trono
e che io invece chiam o stanco abbandono della volontà al corso delle cose. Tu sei
soddisfatto se, inserendo la dolcezza del tuo tem peram ento nel corso della decaden­
za e della storia di R om a, puoi porre un intervallo di oblio e di sonno fra i tiranni
che abbiam o avuto e quelli che avrem o, fra la barbarie sconfitta fino ad oggi, grazie
a qualche residuo del sangue e delle tradizioni dei nostri antenati, e la barbarie fra
poco vittoriosa dei loro figli degeneri. Io ti predico e tu predici a te stesso, senza aver
consultato l’oracolo d ’A m m one, la rovina dell’im pero che sarà provocata da cause
che nessuno ignora: estinzione del p op olo, usurpazione dei m ilitari, fanatism o setta­
rio di chi presta il giuram ento di Annibaie nelle catacom be. N oi diciam o: fatalm en­
te! ma questa fatalità è solo l’egoism o di un O ttaviano, la m isantropia di un Tiberio,
la follia di un N erone, la bassezza di un V espasiano; oggi è il puro arbitrio di un
M arco Aurelio che ignora anche se stesso; dom ani sarà la scelleratezza di un Com m o­
do, di cui si conoscono i volgari istinti, le atroci passioni e che viene allevato prezio­
samente per questa tirannia che è od iata. Tu forse credi di fare il tuo dovere! A dotta
almeno un uom o come fece il divino Nerva, dipende solo da te! Tu invece ci prom et­
ti questo figlio, questo anim ale scellerato di cui tutto l’im pero, eccetto te, conosce/il
padre, un gladiatore; e per questo figlio non dovrebbe prenderti la passione animale
della prim ogenitura che la tua filosofia non potrebbe riconoscere. L o vesti di p orpo­
ra, lo fai istruire nei tuoi palazzi da filosofi di cui si prende gioco. E presto noi o b b e \
diremo ai capricci del vile prodotto di un capriccio di Faustina. Queste sono le cose
che ti rim proveriam o e i pericoli che tem iam o, Antonino. M editali com e io li medi­
to. Partecipa d a lontano alle mie insonnie e poi rispondim i. M a tu preghi, ti sento:
‘O Dio — dici — portam i dove vuoi; se mi opponessi arriverei allo stesso punto, e
sarei colpevole*. D opo l’avvento di tuo padre, orm ai trenta e più anni fa , tutti gli
echi deli‘im pero m orm orano questa vile preghiera. M a allora cosa fai contro i M ar-
com anni? Im peratore, ti rivolgo un prim o ed ultimo appello. Non ho cessato di co­
spirare contro di te nel mio anim o; la riconoscenza non deve trattenere, ne conver­
rai, un uom o che pensa quello che penso io e dice quello che io dico. N on speravo di
rovesciarti quando vedevo ovunque solo popoli o sedicenti cittadini incantati dalla
tua dolcezza. R im andavo la m ia im presa alla tua m orte, airavven to di C om m odo.
Una falsa notizia ha fatto precipitare gli avvenimenti, me ne dispiace. C ontro di me
sei forte, forse mi vincerai, m a pensa a quello che fai distruggendo l’uom o che io so ­
no, la m ia energia, i miei progetti, la m ia speranza. Forse tu sarai sconfitto; pensi
che sia giusto creare un’ altra volta nello Stato l ’esem pio e il pericolo di guerre civili?
L a mia unica ambizione è il succederti. L a tua dovrebbe essere l’adottarmi. Ecco il pe­
gno che ti chiedo: ripudia tua moglie e tuo figlio e accordam i un incontro; mi adot­

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terai quando conoscerai le riform e che ho elaborato per ITtalia e la repubblica. E c ­
co il pegno che ti o ffro : alla prim a p arola favorevole da parte tu a, vengo nel tuo ac­
cam pam ento senza altra scorta che quella richiesta dai rischi del percorso e mi pre­
sento da solo. Tu sei degno di intendere questo linguaggio e queste proposte; credi­
mi degno di fartele accettare. Vale et, crede mihi> perge me am are
M arco Aurelio all’ inizio fu irritato, poi colpito, poi a poco a poco turbato sem ­
pre più profondam ente leggendo la lettera di C assio , m editandola, consultandosi
per parecchi giorni sulla situazione dellTm pero con alcuni di quegli uomini dabbene
che possono incontrarsi anche presso un principe, m a che su argom enti penosi si
aprono solo se costretti. I! risultato di questa lunga meditazione fu una seria d isp o­
nibilità delPimperatore ad incontrarsi con C assio che aveva sempre stim ato, m a, fi­
no a quel m om ento, considerato un insieme di azioni brutali c di illusioni giovanili,
sprovvisto di vero spirito filosofico. Non accettò l’offerta generosa di questo rivale
di darsi in qualche m odo prigioniero nel suo accam pam ento, m a gli scrisse per indi­
care il luogo dell’incontro e lui stesso, essendo finita la guerra, attraversò FIHira per
andare all’appuntam ento con poche legioni. L a sorveglianza alla quale sottopose
Com m odo e sua m adre durante il viaggio gli permise di scoprire neri intrighi intorno
alla sua persona e sventò attentati contro la propria vita; infatti si intraw edevano
già i suoi nuovi progetti e il figlio del gladiatore, il suo forse (perché no? di genera­
zione in generazione la m orale non si trasmette col sangue e il sogno del trono è un
pensiero corruttore), Com m odo, com plottava per farlo m orire. Nello stesso tem po
M arco Aurelio potè arrestare alcuni emissari segreti che avevano ordine di fom enta­
re il malcontento nell’esercito di C assio e di fare assassinare il generale dai suoi cen­
turioni, Queste scoperte finirono per rendere ferm o l ’anim o incerto del filosofo. O r­
dinò che Com m odo fosse condotto a R om a e guardato a vista, sottopose al senato
un’accusa contro Faustina con l ’esposizione dei motivi di un ripudio che riteneva
necessario, dom andando perdono alla m em oria sacra del padre A ntonino che aveva
com binato il suo m atrim onio. Questi atti di rigore e la speranza delle associazioni di
C assio a ll’im pero fecero nascere a R om a un entusiasm o al quale solo i pretoriani
non parteciparono.
Sei mesi più tardi M arco Aurelio e il figlio adottivo salivano sul C am pidoglio e
annunciavano al p opolo e al senato le grandi misure di rigenerazione per le quali d o ­
m andavano venticinque anni di dittatura per loro o per i loro successori. Riconosce­
vano in via di principio che il governo del popolo apparteneva al popolo. M a dopo
due secoli di lotte civili, dopo cent’ anni di regime m onarchico, quando gli interessi
contrastanti, le abitudini m odificate e la novità dei problemi amministrativi non
avrebbero dovuto far presagire che disordine e ricadute più gravi, questi uomini in­
vestiti della triplice funzione di im peratori, consoli e tribuni credevano di dover ri­
chiedere, in seguito ad un im provviso ristabilimento dell’autorità popolare, l ’autori­
tà e il tem po per le loro funzioni legislative. Non riprendevano il detto, troppo spes­
so ripetuto d a C alb a, che orm ai, essendo co sa im possibile la libertà dei R om an i e
im possibile la loro com pleta servitù, ragionevolm ente non s i p otev a che desiderare
buoni principi. Credevano in una di queste due cose: o la schiavitù sarebbe stata il
risultato fatale del corso degli eventi abbandonati a se stessi o la volontà sarebbe stata

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il prodotto libero di una volontà tenace applicata alla legislazione dfU ’impero e so ­
stenuta dalla fiducia del Senato e del Popolo, O ffrivan o, come garanzia del potere
che avrebbero esercitato, la dichiarazione form ale e com pleta delle loro linee politi­
che. S e ìa li linee fossero state approvate, i cittadini avrebbero avuto la coscienza di
avere posto fine, già da quel m om ento, al governo arbitrario e di non obbedire ai lo­
ro consoli che nel m odo in cui obbedisce a se stesso l’uom o onesto che ha giurato in
fondo al suo anim o.
Le basi delle riform e costituzionali che in quel giorno m em orabile furono p o ­
ste, approvate dal Senato, votate nei comizi e conferm ate dalle deputazioni delle
provincie sono le seguenti:
1. Diritto di cittadinanza riconosciuto ad ogni abitante libero o liberto delle provin­
cie occidentali. Estensione dei diritti m unicipali. Am missione di queste stesse pro­
vincie al voto delle leggi generali della Repubblica,
2. Cessione delle terre incolte dell'Italia e della G allia ai cittadini che si im pegnavano
a coltivarle, con l ’aggiunta di un’ esenzione di im posta per dieci anni (13); determ i­
nazione di un m assim o per la proprietà rurale; obbligo im posto ai proprietari di ven­
dere o di cedere ai loro liberti o schiavi tutte le terre che superavano il m assim o fissa­
to dalla legge a titolo di rendita perpetua riscattabile (14).
3. Liberazione legale di ogni schiavo che avesse preso in affitto perpetuo e coltivato
per tre anni la terra del suo padrone.
4. Soppressione degli appalti di im poste; abolizione dei pedaggi e dei diritti di vendi­
ta; riduzione delle rendite in tutta la Repubblica in queste quattro forme: miniere e
foreste; —im posta fondiaria; —censimento dei cittadini non proprietari; —tassa di
successione. Q uest’ultima stabilita al tasso di 1/20 d a Cesare A ugusto, poi im politi­
camente abolita da N erva, doveva, nel pensiero di M arco A urelio e di C assio , varia­
re secondi i casi da 1/50 a 1/5. \
5. Imposizione del servizio militare a ogni cittadino, a una determinata età, senza\ec-
cezioni; riduzione della ferm a a tre anni nei tempi più brevi possibili; scom parsa à$\
veterano e del soldato di professione; chiam ata dei liberti nelle guerre difensive^
M arco Aurelio e C assio si proposero di riprendere la politica di A driano e di porre
termine, alm eno per un lungo tem po, all’espansione rom an a.
6. Istituti per Teducazione fisica e m orale al servizio di tutti i centri abitati e dei cor­
pi m ilitari, insegnamento della filosofia, dei fondam enti dell’um anità, delle leggi
dello Stato.
7. Interdizione dei diritti di cittadinanza ad ogni uom o che si definisse cristiano, nel

(13) Questa misura tu presa da Pertinace circa venti anni dopo il momento in cui siamo. Ma troppo isolata
e male applicata rimarrà senza risultato.
(14) Nel secondo secolo fu introdotto il costume di cambiare le condizioni dello schiavo in quelle di colono
che .godeva di una certa libertà effettiva; tale fatto avrebbe avuto grandi conseguenze se le condizioni
sempre più dure create al coltivatore attraverso le leggi fiscali non avessero portato a fare del colono,
pronto a fuggire abbandonando la terra, un servo della gleba.

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senso e al punto dì dichiarare formalm ente di non amare il m ondo, attenderne la fi­
ne e subordinare senza riserve i propri desideri, i propri pensieri, la propria volontà
a speranze o ad interessi estranei alla Repubblica.
8. Estensione dei diritti civili delle donne, dei bambini e degli schiavi nella direzione
dei lavori tracciata dai giuristi al tempo dei tribunati dei divini N erva, T raian o,
A driano e Antonino secondo il generoso principio della m orale filosofica: ¡ ’amore
del genere um ano per le regole inviolabili della giustizia eterna; riconoscim ento dei
diritti naturali di eguaglianza e di libertà; dedizione al carattere sacro della legge,
non più arbitrio dei legislatori, m a contratto della Repubblica con se stessa (15),
Queste m isure, considerevoli in se stesse e di im m ensa portata, contrastavano
alcuni sentimenti e numerosi interessi. Si può dubitare del fatto che se tali misure
fossero state introdotte lentamente, cioè sospese per lungo tem po come una m inac­
cia sulla testa di coloro che ne sarebbero stati colpiti, avrebbero finito per pre­
valere sull’egoism o dei grandi proprietari e degli appaltatori d ’im posta. Spesso la
chiarezza del fine e la rapidità dell'esecuzione sostituiscono l ’abilità; cosi M arco A u­
relio e C assio furono abili a causa della convinzione e della forza. Im posero la loro
abilità non con grandi lotte e contro ogni resistenza, m a con l’entusiasm o e con le
buone tendenze di chi è trascinato all’im provviso da un bene im previsto. Del resto
da più di un secolo la p arola del grande naturalista era ripresa e com m entata dalle
classi colte di R om a: Latìfun dia Itafiam perdidere. E ra difficile che gli stessi uomini
che ripetevano quotidianam ente questo discorso nel Senato rifiutassero i sacrifici ri­
chiesti loro dalla doppia autorità della forza e della virtù.
In pochi anni, appena fu possibile d ar seguito alle riform e, fu facile vedere q u a ­
le grande cam biam ento si era prodotto nellTtalia e nella G allia m eridionale. Con la
piccola proprietà, anche a titolo provvisorio di affitto , era rifiorita Tagricoltura e
nell’agricoltore libero rinasceva l’uomo di una volta; uno spirito tutto nuovo si an ­
nunciava nei popoli. Contem poraneam ente, la pace e l’abolizione delle im poste ves­
satorie avevano dato al commercio c a ll’industria un im pulso che preparava, come
nell’agricoltura, un vivaio di uomini per l ’im pero. L a com posizione deH’esercitò e il
carattere del soldato venivano cosi m odificandosi. L ’educazione rom ana, organiz­
zata con grandi spese nelle legioni e nelle città, perfino in quelle più piccole, avrebbe

(l-S) Commums reipubitcaesponsio. L ’idea positiva contenuta in questa definizione di Ulpiano è quella
deila garanzia o assicurazione comune delia repubblica. Ma la garanzia stessa, in uno Stato libero, non
può avere la sua origine e la sua continuità che da un contratto almeno implicito fra i cittadini. I diritti
naturali di libertà e di uguaglianza sono formalmente riconosciuti dallo stesso Ulpiano, come si può vede­
re nel Digesto. Fiorentino, giurista dello stesso periodo, ammette una parentela fra gli uomini e definisce
la schiavitù una istituzione contro natura. Questi principi che si imposero nelle formule dei giuristi
all’epoca di Alessandro Severo erano stari elaborati ai più tardi sotto Nerva e i suoi successori. Nella filo­
sofia pura, risalgono certamente a prima di Seneca e Epitteio. Ma abbiamo perso le opere più importami
degli stoici. Riguarda chi considera come dovuta al Cristianesimo una morale i cui fondamenti hanno
preceduto il Cristianesimo, se i nemici del Cristianesimo Fhannc elevata mentre questo abitava nelle cata­
combe e se il Cristianesimo, lontano dal porli o dali’appìicarli li ha sempre combattuti secondo un senso
di giustizia umana e di diritto politico, il soJo che interessa gli Stali e i cittadini.

59
0 -í
ben presto sostituito gruppi di cittadini ai greggi di coloni, alle bandéldi oziosi e alle
orde m ilitari. Il reddito della repubblica non era m ai cresciuto tanto com e d a quan­
do la riform a aveva alleggerito il peso che gravava sul p opolo. N on c’erano più pri­
vilegi né m onopoli, furono riordinate le spese di corte, le gratifiche ai soldati e le fo l­
lie degli spettacoli. M a siam o andati troppo avanti: una nuova risoluzione doveva ri­
tardare di qualche anno questi grandi avvenimenti.
I dittatori designarono come successore P. Elvio Pertinace, uom o di origine
non nobile, un “ piem ontese” , soldato e poi generale, senatore, console, governato­
re di provincie, uom o onesto, rigoroso, inflessibile. Gli avevano a ffid a to , allonta­
nandosi dairO riente, il com ando dell’esercito contro i Sarm ati, così che una alta ca­
rica militare desse a lui la forza, alla Repubblica e ai loro progetti la garanzia della
continuità necessaria per esporre liberamente le loro persone a tutti i pericoli della
riform a. Tale precauzione non fu vana; infatti mentre la riform a era pensata con
l ’energia che è la prim a condizione del successo, diversa fu la sorte delle misure poli­
tiche particolari dalle quali la riform a doveva essere accom pagnata. C om m odo fu
solo esiliato, perché la dolcezza e una sorta di sentimento paterno di M arco Aurelio
non consentirono un processo solenne davanti al Senato, soprattutto non consenti­
rono la condanna a m orte che ne sarebbe uscita inevitabilmente. Il corpo dei preto­
riani avrebbe potuto essere sciolto con qualche sicurezza solo con un sanguinoso
colpo di Stato ; M arco Aurelio si rifiutò di farlo e così questi soldati privilegiati, già
scontenti del fatto che l ’adozione di C assio non si era tradotta in una gratifica e, in
aggiunta, di fronte alla prospettiva del licenziamento a càusa dei nuovi principi or­
ganizzativi deJPesercito, aspettavano solo l’occasione di ribellarsi e m assacrare ¡ J o ­
ro com andanti per darsi un im peratore gradito nella persona del degno C om nyido.
Inoltre questi semi di rivoluzione erano anche favoriti dagli intrighi continui dif que­
gli uomini i cui interessi venivano sacrificati dal nuovo regime, proprio quelli che
dopo averne abbracciato i principi in apparenza, mettevano in opera ogni accorgi­
mento per paralizzarne l ’applicazione e abusavano della debolezza di un governo V -
timista deciso a non infierire mai.
C assio non cercava di nascondere al collega che il sistem a ostinatam ente seguito
era una politica disastrosa. Non solo — diceva — com prom etteva le loro vite che ap ­
partenevano alla repubblica, ma preparava la rovina dell’opera nella quale si erano
votati, rovina sicura se la forza non veniva in aiuto alla giustizia in quel momento,
critico per ogni riform a, nel quale gli spiriti stanchi vedono il fine scom parire di
fronte agli ostacoli di ogni giorno e, dopo aver voluto vincere, non si rassegnano a
combattere. M arco Aurelio, pur riconoscendo tutto il pericolo, si rifiutava di scon­
giurarlo attraverso atti che la morale condanna. Proponeva di abdicare, cosa che
G assio giudicava rimedio pericoloso quanto il male e allora si sentiva obbligato a far
valere, contro un ostinato pensiero di suicidio, le stesse ragioni che il terzo Cesare
oppose una volta a Cocceio Nerva, suo am ico, l ’avo dell’im peratore N erva; gli m o­
strava quanto dura fo sse p er lui, suo am ico, dura p e r la su a reputazione, una deci­
sione dì morire che niente ai m ondo poteva m otivare. M a Cocceio, uom o puro, inte­
gro, im m acolato soffriva per i mali della repubblica e anche per l‘amícizia del tiran­
no, lo si può credere e, non vedendo alcuna prospettiva onesta per gli avvenimenti e

60
per la sua vita, non ascoltò ragione, non rispose e si lasciò m orir di fam e (16). C osì
M arco A urelio, guidato dalla ferm a volontà di C assio, anche contro i suoi istinti, fi­
no a quello stretto passaggio della coscienza nel quale l’ uom o politico non può tirar­
si indietro senza rim proverarsi qualcosa, né andare avanti senza fare ricorso a mezzi
violenti e riprovevoli, né decidersi alPim m obilism o che rappresenta la rovina sicura
dell’uom o e del sistem a, M arco Aurelio vide nella tom ba l ’unico rifugio di un filoso­
fo deciso a passare attraverso il m ondo e il potere senza m acchiare la sua veste. A ve­
va unito la sua autorità a quella di C assio quando si trattava di fare un richiam o alla
ragione pubblica e ai buoni sentimenti dei cittadini per adottare e far proseguire la
politica della salvezza di R om a. L o avrebbe lasciato solo nella continuazione
dell’opera nel m om ento in cui bisognava lottare di astuzia contro i cospiratori o
troncare con la forza d ifficoltà che nessuno poteva risolvere. D a parte sua avrebbe
reso fino alla fine questa testim onianza: non aver m ai oppo sto il m ale al male (eccet­
to che sul cam po di battaglia, quale contraddizione!) e, fedele alla santa Bontà alla
quale aveva innalzato il tem pio, avrebbe lasciato al m om ento debito questo m ondo
cattivo questa stanza p ien a di fu m o , come la definiva da stoico.
Gli ultimi pensieri di M arco A urelio, scritti nel mom ento della sua tragica deci­
sione, sono di alto interesse per la storia e per la m orale, in quanto chiariscono la na­
tura della disperazione, che abbattè questo grande uom o, e della speranza che un fi­
losofo come lui poteva form ulare per l ’avvenire del genere um ano. Ci colpiscono del
resto, con m aggior elevatezza e ragione, per la purezza e la bellezza ideale del senti­
mento che si am m ira volentieri negli eroi della setta perseguitata in quel tem po. M a
la setta non conservò a lungo questo fiore di purezza. Fu vista lasciarsi tentare dalle
grossolanità della politica volgare non appena potè im padronirsi di qualche potere.
* ‘Marco Aurelio a Cassio, figlio e collega, e a Pertinace, loro successore designato:
Testamento segreto. — È presto detto, amici miei, vi lascio. H o lungamente
pensato ai nostri colloqui e alle tue gravi istanze, C assio; mi sono ricordato, Pertina­
ce, della nostra fratellanza, di veglie militari e di sogni politici, e la m ia decisiqne è
irrevocabile: mi allontano da voi e dalla vita. Vi lascio il peso e le miserie deirfinpe-
ro, se la Provvidenza vi condanna a vivere e morire da com andanti. Vi lascio la glo­
ria di aver ristabilito la libertà, se la libertà e la salvezza del nostro vecchio m ondo
rom ano sono eterni decreti. Da parte m ia riconosco che l’esercizio del potere è in­
compatibile con la ricerca della perfezione dell’anim a, che fu sempre il mio fine, lo
sapete. Non ho avuto, non ho, non posso avere che una m assim a; essere buono; es­
sere buono, cioè sopportare, com patire, perdonare, opporre al m ale inevitabile solo
rassegnazione e m agnanim ità. R assegnato, m agnanim o p ossa io conservare questi
titoli e, sia che il m ondo me li confermi o me li neghi, sono l’uom o nuovo trasporta­
to nell’isola dei Beati. Se invece continuassi una vita di agitazioni e di brutture sarei
schiavo della vita come quei gladiatori sanguinanti che dom andano il favore di esse­
re conservati ancora un giorno per i giochi dell’indom ani, per essere esposti sulla

<I6) cí. Tacilo, Ann., VI, 26.

61
stessa arena ai medesimi denti, ai medesimi artigli che in quel moménto li dilaniano.
Dal momento che sto per non dom inare più gli eventi, la rassegnazione e la m agn a­
nimità mi abbandonano, devo confinarm i in qualche ritiro o, se non mi è possibile,
uscire dalla vita; e, anche in quel m om ento, senza precipitazione e collera, m a con
sem plicità, con m odestia, come chi avrà fatto nella sua vita almeno questa cosa: la­
sciarla (17).
Nel m om ento in cui sento i problem i deirim pero divenirmi estranei (res rom a-
nae, perituraque regna, diceva già il poeta due secoli fa) potrei distogliere la m ia vi­
sta dallo spettacolo dei cam biam enti di questo torrente sempre nuovo come lo defi­
niva Eraclito, in cui voi galleggiate sorvegliando gli scogli. Spingerei i miei occhi fi­
no alle rive fuggenti del m ondo e oltre, se la meditazione della m orte potesse m ostra­
re q ualcosa oltre i limiti della vita. M a lasciandovi attaccati agli interessi da cui mi
distacco, vi devo rendere conto dei miei ultimi pensieri che tanto più si innalzano e
diventano acuti quanto più io li fu ggo.
A bbiam o riconosciuto tre problem i, tre pericoli, tre piaghe deirim pero: i bar­
bari e l’esercito che è orm ai form ato da loro, lo spopolam ento e gli schiavi, i cristia­
ni e Tindifferenza politica. M a abbiam o esam inato fino in fondo queste tremende
questioni?
Dovrete vincere i barbari o saranno loro a vincervi e l’esercito ucciderà proprio
voi, gli uomini della libertà; nel caso contrario sarete voi ad annientare l’esercito.
Con l’ amore della guerra, con le necessità che essa crea, una piccola repubblica ha
potuto vivere e ingrandirsi, una grande è stata il trastullo e poi la preda dei generali.
Con la pace e il rilassam ento dei costum i, niente vi preserverà dalPinvasione dei"po­
poli rimasti feroci. A bbiam o creduto di scongiurare tutti questi pericoli in un^ sola
volta l ’abolizione del mestiere del militare senza recar danno alle qualità militari del
cittadino. M a se i nostri successori si limiteranno alle guerre difensive innalzando
ovunque m ura di Caledonìa lo spirito m ilitare si spegnerà e le pietre non difenderan­
no l ’impero. Se, al contrario il popolo rom ano conserverà il suo carattere conqui­
statore vedrem o, come sem pre, il gusto della battaglia far prevalere la forza sull’in­
telligenza e su tutti i beni della pace, vedremo la guerra aprire la via all’ambizione
crim inale, aU’usurpazione, a ll’ingiusto dom inio, a ogni violenza e a ogni tirannia.
Ai miei timori si aggiunge un’ altra verità: non posso nasconderm i che lo spirito mili­
tare è uno di quegli elementi della virtù che costituisce l ’essenza del cittadino, inten­
do la virtù del cuore, della fierezza, della resistenza all’oppressione, perché l ’uom o,
diventando pacifico, corre il pericolo di im bastardirsi e di abbandonare i suoi diritti
senza lottare. C osa pensare, cosa decidere fra queste alternative desolanti in cui, da
qualsiasi parte si guarda, ci si perde nelle contraddizioni della natura um ana che vive
e m uore delle sue lotte, ne cerca la fine e sem bra che non p ossa nemmeno aver pace
trovan dola! ‘Sono preoccupazioni d a filosofo e non d a politico, direte, a ogni gior­
no basta il suo bene; prendiam o il nostro quando ci tocca e non indaghiam o il futu-

(17) Queste ultime tre frasi si ritrovano quasi testualmente in Marco Aurelio, Bis heautón, X , 8.

62
r o \ M a allora io non sono nato per la politica; i miei m aestri e gli dei mi hanno fa t­
to filosofo e io li ringrazio di questo. Avrei ancora sopportato le perplessità crudeli
nelle quali mi gettano il potere, la m ia responsabilità e previsioni azzardate a lungo
termine. M a oggi, C assio, tu hai prem ura di farm i sentire la necessità di agire. I
tuoi argom enti sono pressanti. Bisogna che il cieco pretoriano uccida il dittatore o
che il dittatore prudente prevenga il delitto costruendo con le proprie m ani una guer­
ra civile di cui si assicurerà il successo con il tradim ento. Agite dunque, amici miei,
fate presto. M arco E lio, m orendo, non si arroga il diritto di biasim arvi, in tal caso
infatti dove si fermerebbero le sue m aledizioni? Chi sarebbe puro ai suoi occhi?
D alFalto di quale O lim po, in quale baratro vedrebbe precipitare la storia e i nostri
grandi uomini strisciare uccidendosi fra di loro? Lui, quando è necessario scegliere
fra questi due partiti, tradire o essere traditi, subire l ’ingiustizia o com m etterla, lui
non sceglie, muore.
Parliam o ora degli schiavi. È soltanto attraverso loro che possiam o e vogliam o
ripopolare l’ Italia. Queste vittime della brutalità dei nostri padri e della nostra, di­
ventano i nostri figli adottivi per la necessità di continuare la nostra razza orm ai
estinta. M a mentre ne liberiam o alcuni, ì favoriti della casa, o i capi del lavoro nei
cam pi, terremo a lungo in schiavitù i loro infelici fratelli che chiam iam o alla speran­
za? Avremo ancora il coraggio di vendere o di com prare l ’ uom o, di portare sui m er­
cati dalle nostre frontiere m asse di sconfitti, quando sappiam o che un ’agricoltura
fondata sugli schiavi è la rovina delle nostre risorse e della nazione stessa, quando la
nostra filosofia ci accusa di em pietà, quando il diritto stesso del pretore pone in via
di principio l’uguaglianza di nascita dei membri deila fam iglia um ana? D a lungo
tem po la schiavitù è il tormento segreto degli animi nobili. Quasi non osiam o render
pubblico ciò che pensiam o, m a, fra di noi e soprattutto nel segreto dei cuori, la con­
fessione dell’ingiustizia svanisce e il pensiero di qualche grande riparazione futura si
afferm a. Condanniam o la fredda dottrina di Aristotele, ripetiam o le belle parole
tanto profonde dei cinici, nostri sublimi m aestri. M a, appena i nostri desideri si a f­
fermano in pratica e una riform a iniziata esalta le passioni, sento il fermento pascere
fra le fila degli oppressi e r egoism o grondare nel cuore degli oppressori. L a riform a
è di ieri, e già vedo germ ogliare i semi di insurrezioni e di guerre servili; infatti lo
schiavo che è rim asto in catene guarda il liberto che è diventato suo padrone con un
occhio più astioso di quanto non facesse col grande signore che abitava a R om a;
r entusiasm o che ha accolto i nostri decreti si è trasform ato poco a poco in m enzo­
gna e poi in cospirazione: il senatore si considera privato di una terra di cui conserva
la rendita, il cavaliere ci rim provera la sua miseria da quando ha perso il diritto di
attingere al tesoro. Non posso più sopportare per m olto tempo questo spettacolo.
Lo fuggo sempre. Voi pensate di aver garantito la libertà, anche quella degli schiavi.
Sforzatevi di renderli degni di essa. O la schiavitù, divenuta consapevole dei propri
diritti, rovinerà la repubblica, o la repubblica abolirà la schiavitù.
E anche i cristiani vi rovineranno se non eliminerete il cristianesim o. A scoltate
le profezie di disgrazie di cui fanno risuonare le loro caverne e che, di là, arrivano
sui libri e brillano alla luce del sole. H anno fatto proprie le oscurità sibilline e, non
trovandole ancora abbastanza oscure per il loro gusto, attribuiscono alle stesse au-

63
torità oracoli di loro invenzione per avere il vile piacere di farci conoscere le disgra­
zie che ci augurano. Non c ’è co sa che assom igli all’odio atroce e alle grida di vendet­
ta con cui perseguitano le nostre città, il nostro com m ercio, le nostre ricchezze (18).
Com e gli ebrei prim a di V espasiano, com e i druidi, che profetizzarono una volta la
conquista religiosa d e irita lia attraverso i riti cruenti di un sacerdozio fan atico, i no­
stri cristiani si riprom ettono di celebrare un giorno i loro sacrifici sulle rovine di tut­
to ciò che rappresenta la nostra gloria. Se mai riusciranno a im porlo, dovrem o ri­
nunciare a tutto ciò per cui la vita è degna di essere vissuta: ai nobili piaceri, alle vir­
tù disinteressate, alla nostra libertà, alla speranza di estenderla nel m ondo. Per que­
sto non ci libereranno, qualunque co sa dicano, dal vero culto dei piaceri, culto che
l ’uom o può dissim ilare, m a che, nascondendolo, sporca e al quale la natura um ana
non permette di sfuggire. L a loro ostentata predilezione per le sofferenze, il loro at­
taccam ento dottrinale alle condizioni miserevoli e umili, che considerano garanzia
di salvezza m istica, il loro disprezzo di tutto ciò che è bello, la condanna con cui col­
piscono le nostre inclinazioni, le nostre gioie e perfino il nostro essere, che conside­
rano corrotto, voteranno alla schiavitù, all’ignoranza, al fatale regno dei più bassi
istinti questa miserevole terra tristemente consolata d all’assicurazione della sua
prossim a fine. Ciò che li rende pericolosi più dei barbari che ci pressano solo
d all’esterno, più degli schiavi che la liberazione fa entrare poco a poco nei nostri
ranghi, è il fatto che si infiltrano da ogni parte, usando la fede, come la chiam ano,
per essere ribelli a tutti i mezzi che possiam o usare contro di loro. C osì, divisi in sette
che si definiscono gnostiche, traggono il loro profitto dalle stravaganze che le nostre
scuole pitagoriche e platoniche, corrotte d a ll’infezione egiziana o persiana, spaccia­
no a proposito dell’ origine del m ondo e della natura del m ale. T raggon o così il loro
guadagno da tutte le scempiaggini e fanno il loro reclutam ento fra tutti gli spiriti
sm arriti. (
Li abbiam o privati del loro diritto di cittadinanza per il m otivo giustissiilno che

(18) C i. Gracula Sybiilina, a cura di Alexandre. Parigi 1842-56. Questi documenti interessanti quasi fino al­
la monotonia erano in mano di tutti i cristiani dei primi secoli come testimoniano le numerose citazioni dei
Padri della Chiesa. I/od io atroce e le grida di vendetta si riferiscono senza dubbio, nel pensiero deirautore
a passaggi come Apocalisse, XVIII. “ È caduta, è caduta Babilonia la grande, ed è diventata abitazione di de­
moni e rifugio di ogni spirito impuro e rifugio di ogni uccello impuro e odioso. Perché del vino e del furore
della sua prostituzione han bevuto tutte le genti, i re della terra han fornicato con essa e i mercanti della terra
si sono arricchiti per la sfrenatezza del suo lusso (...) Rendete a lei secondo quanto essa ha fatto a voi e
pagatele il doppio le sue opere (...) in un sol giorno verranno le sue piaghe: morte, lutto e fame c sarà arsa
dai fuoco. Giacché forte è il Signore Iddio che la giudicherà. E piangeranno e faranno cordoglio per lei È
re della terra che con lei hanno fornicato e lussureggiato, quando vedranno il fumo del suo incendio (...). I
mercanti della terra piangeranno e si lamenteranno per lei perché nessuno comprerà più i loro carichi: ca­
richi d ’oro e d’argento (...) di profumi (...) di vino, olio, farina, di cavalli e vite di uomini {...). E ogni pi­
lota e ognuno che navighi verso quel luogo e i marinai e tutti i lavoratori del mare se ne sietter da lungi e
gridarono vedendo ¡1 fum o del suo incendio, dicendo: Ahi, ahìÌÈ la gran città per cui si arricchirono
quanti avevano navi in mare per via della sua magnificenza! in un momento è stata ridotta a un deserto!
Rallegrati a cagion sua, o cielo, e vousanti e apostoli e profeti, perché vi ha reso giustizia Iddio con la sua
condanna!”

64
una società, che essi non riconoscono, non potrebbe riconoscerli e abbiam o lasciato
loro la facoltà di ritornare nei loro diritti provando di non esserci estranei o nemici.
M a, nella loro bassezza, essi non si curano dei diritti che neghiamo loro. Bisogne'
rebbe dunque obbligargli e lasciare l’im pero o, alm eno, l’ Italia, la G recia, la G allia e
la Spagn a. M a come? Ci sono mezzi legittim i? I nostri predecessori hanno voluto
obbligarli a far sacrifici in onore degli dei della tradizione greca e rom ana, minac­
ciandoli di m orte, ingiustamente a mio parere, perché dovrem m o rispettare la loro
fede anche se essi non rispettano la nostra. M a ciò che non possiam o trattare con ri­
guardo è l’ ostinazione che mettono nel fondare e mantenere in mezzo a noi un’ asso­
ciazione quasi segreta, m olto invadente sempre più incom patibile coi diritti civili che
sono il vero legame sociale del popolo rom ano.
Ecco il mio pensiero su una questione che spesso fu oggetto delle nostre preoc­
cupazioni più gravi: date una definizione legale del cristiano secondo i nostri decreti;
chiunque sia sospettato di essere cristiano e voglia conservare il diritto di cittadinan­
za rom ana, abitare e percorrere liberamente l’im pero, pronunci questo giuram ento:
‘ Credo alla durata del m ondo, alla m oralità naturale deH’uom o, alla santità dei d i­
ritti e dei doveri sociali, rispetto la coscienza dei miei concittadini e i culti che hanno
fondato o che possono fondare quando questi culti non portino danno alla libertà
degli altri. Riconosco l ’ordine politico in cui i miei diritti sono riconosciuti; non
pongo sopra questo ordine, in quanto è di sua com petenza, alcuna potenza sopran­
naturale che mi p ossa vincolare; rinuncio ad ogni azione personale e a ogni associa­
zione il cui fine sia quello di sotLomettere la vita civile a una fede religiosa e se violo
il mio giuram ento, acconsento, da quel m om ento, alla perdita di ogni obbligo posi­
tivo dello Stato e dei concittadini nei miei confronti’ . Mentre imponete questo im ­
pegno solenne sciogliete coraggiosam ente i deboli nodi che collegano ancora i nostri
culti nazionali al diritto civile e politico di R om a. Date la piena indipendenza alle re­
ligioni, proclam ate una verità conosciuta da tutti i filosofi, quella della natura fon ­
damentalmente um ana ed etica della R epubblica e del suo sistem a legislativo. N essu­
no potrà rimproverarvi quando, col pretesto di un semplice giuram ento civico, o b ­
bligate il cristiano a fare professione di una fede che non è la sua.
Noi sappiam o che il cristiano non può prestare nemmeno questo giuram ento, e
non lo presterà. A llora lo allontanerete, permettendogli di stabilirsi in certe regioni
dell’Oriente già sacrificate o la cui conservazione è im possibile; infatti io non riesco
a pensare di condannare al supplizio quest’uom o ostinato nella sua fede e che non
ha com m esso altro crimine. Quando il suo fanatism o lo riporterà fra voi allora pen­
serete a difendervi. L a sanzione legale contro il ritorno di questo straniero, al quale
avrete interdetto la perm anenza nel territorio dell’im pero, sarà senza dubbio la pena
di morte. Sarete nella pienezza del diritto, applicherete con perseveranza e rigore un
sistema persecutorio divenuto indispensabile. Prevedo la necessità di uri gran ricorso
a questo estremo mezzo. 1 settari esiliati, la cui pretesa dichiarata è solo quella di ot­
tenere la libertà di pregare in pace, sono in fondo divorati da un proselitism o arden­
te che non permette loro di sopportare religioni diverse da quella che professan o. A
sentirli accettano tutti i poteri del m ondo, le repubbliche e i Cesari. È il linguaggio
dei deboli, in qualcuno anche sincero. Fate che abbiano la forza e vorranno che il

65
m ondo intero sia dom inato dai loro sorveglianti, che dispongono già di una grande
autorità e che, anche se in questo m om ento son o elettivi, si recluteranno ben presto
da soli e pretenderanno di dipendere solo da D io, come hanno sem pre fatto , presso i
barbari, tutti i sacerdoti»
C osì servirete la repubblica, la proteggerete coi supplizi. A spettando il giorno
delle guerre di religione, che sarà preparato dal fanatism o ributtato in Oriente, per­
seguiterete, sotto la spinta di denunce e som m osse, questi infaticabili m issionarti che
continuano a sfidare sotto i vostri occhi gli dei della libertà» Vi consolerete cercando
di abbreviare, attraverso la rigenerazione dell’educazione antica e la diffusione della
filosofia, il corso dei tristi anni durante i quali Fim pero non sarà in grado di resiste­
re ai suoi nemici interni. Q uanto a m e, il merito e il desiderio della costruzione della
pace mi teneva in vita, m a Forrore per l’opera sanguinosa rende ribelle il mio animo
e fa precipitare il mio destino (19).
Conoscete la m ia indole: non ho bisogno di dirvi quel che son o; infelice quando
punisco, infelice quando perdono, da ven tan n i, da quando porto il peso delFimpe-
ro , la m ia coscienza non è mai stata un m om ento senza turbam ento. Innalzo templi
alla B on tà, quando il dovere mi dice che sarebbe necessario innalzarne al Terrore.
Poi il mio cuore smentisce questo dovere e mi vengono dubbi su ciò che sarebbe con­
tam inato d a una cosi dura rassom iglianza col crimine. Se vi dico che am o la politica
dei nostri filosofi, fatta per un m ondo ideale, e che odio e disprezzo questa politica
volgare che mente, colpisce e pensa di raggiungere il bene attraverso il m ale, di fare,
m algrado loro, il bene degli uomini, o quello che essa considera il loro bene e spesso
a torto, se vi dico che il mio desiderio sarebbe poter governare attraverso l’amore e)st
verità, pur riconoscendo che un tal governo sarebbe utile nel m om ento in cui fòsse
possibile, mi accuserete di considerare con debolezza la vita e di non riconoscerne le
forti virtù? oppure, am m irandom i, mi compiangerete perché, attraverso la filoso­
fia, mi sono elevato alla definitiva superiorità della natura um ana: essere degfto di
non esercitare per niente il potere cosi com e di non subirlo? (...) (Coetera desutrt).
L a m orte di M arco Aurelio fu fatale al suo collega e alFim pero, come lo erario^
state le sue indecisioni. Fu trovato trafitto dalla sua spada con VEnchiridion di E p i ­
teto accanto e una lettera indirizzata al senato, nella quale, attribuendo a motivi
personali un’azione a quell’epoca quasi ordinaria, dichiarava di continuare ad ap­
provare la politica inaugurata da lui stesso e d a C assio e lasciava a quest’ultimo il
suo patrim onio solo come testim onianza di stim a, dal m omento che era m odesto;
infine scon fessava di nuovo Com m odo com e figlio, diseredandolo. M a R om a era

(19) Vi furono, anche sotto M arco Aurelio, cristiani condannati a morte. I proconsoli applicavano le leg­
gi dell'impero e l ’imperatore non intendeva probabilmente fermarne il corso. Ma cos’è questo, di fronte al­
la persecuzione sistematica, universale di cui l’imperatore favoloso di Ucronia sembra ravvisare la necessi­
tà? Diocleziano c il solo dei successori di Marco Aurelio che si sia attenuto caparbiamente a questa idea
più di un secolo dopo, senza alcuna possibilità di successo c in totale disaccordo con tutto il resto della
politica imperiale.

66
già in rivolta. I nemici del nuovo ordine politico d iffusero il sospetto che M arco A u ­
relio fosse stato assassin ato e che la lettera al senato fosse fa lsa . C assio era l ’accusa--
io. C om m odo, bandito dagli intrighi di un usurpatore, veniva richiam ato a gran vo­
ce. T anta emozione da parte di persone troppo interessate per essere credute sarebbe
caduta per la loro m ancanza di attenbilità fra la gente; m a la guardia pretoriana in
rivolta circondò arm ata la casa di C assio, casa che questi aveva continuato ad ab ita­
re, e non gli lasciò altra scelta che uccidersi a su a volta im plorando dagli dei il ritor­
no di Pertinace e la vendetta. In quel m om ento, sotto il terrore degli avvenimenti,
Com m odo fu proclam ato im peratore dal senato, mentre lui stesso, ignorandolo, at­
traversava l’ Italia travestito per tenersi pronto alla chiam ata degli ufficiali pretoria­
ni che cospiravano per lui. Si im padronì dunque del potere, desiderato fin dall’in­
fanzia, e non lard ò a gettarvisi con furore. M a il pensiero di Pertinace e degli altri
generali guastava le sue gioie e, anche a R om a, la violenza della reazione doveva ab ­
breviarne la d urata.

67
Terzo Quadro
C om m odo, Pertinace e Clodio A lb in o . Ultima persecuzione dei cristiani. R icostitu­
zione delta R epubblica rom an a. R iform a della religione civile.

Il suicidio di M arco Aurelio e l’ uccisione di C assio abbandonarono Pampero al


rischio delle reazioni e alla discrezione dei generali, m a i più alti gradi della gerarchia
militare erano quasi tutti occupati da uomini di fiducia dei dittatori. L ’arm ata del
Danubio, la più im portante e la più agguerrita per la composizione e per le lotte con­
tinue che sosteneva contro i Sarm ati e i Germ ani, era com andata da Pertinace, suc­
cessore designato dai due im peratori, che chiam ando il vecchio soldato loro amico a
questo com ando avevano agito in previsione di una disgrazia e preparato il migliore
esito di una competizione m olto probabile fra i grandi capi militari. L 'arm ata
d ’A sia e il governo della Siria erano in m ano a un uom o pericoloso che i dittatori per
prudenza non avevano ancora allontanato, m a che in questo posto brillante e invi­
diato disponeva in realtà della parte meno consistente delle milizie dell’im pero. P ar­
liam o dell’africano Settim io Severo, soldato superstizioso e violento, che credeva
nell’aStrologia e nei sogni, capace di tutti i tradim enti, la cui am bizione non era uip--
mistero per nessuno. Tutta R o m a aveva parlato del suo m atrim onio con unaj>élia
siriana che gli aveva portato in dote delle costellazioni natali alle quali era stata p ro ­
m essa la regalità. E Severo non poteva essere ingannato, perché lui stesso aVeva stu ­
diato a fondo la m ateria degli oroscopi e dei presagi. Se quest'uom o abilissim o, e
colto a suo m odo nei sogni che lo dom inavano, avesse mai regnato, bisognava aspet­
tarsi il rovesciam ento delle speranze del Senato e del popolo e l ’istituzione, come
norm a, del dispotism o orientale. Severo avrebbe fatto rispettare le arm i rom ane al
di fuori dei confini. AH'intemo avrebbe fatto regnare l’ordine perfetto, il povero
ideale dei piccoli politici, la rispettabile illusione della gente perbene, un ordine che
spesso m anca alle repubbliche più floride, un ordine che tutte le autorità assolute,
fondate sulle rovine di queste repubbliche, trovano il m omento adatto per realizza­
re, grazie ai costum i stessi che la libertà ha potuto generare. M a ben presto, nell’iri-
debolim ento delle forze m orali e nella degradazione degli spiriti, gli abusi com incia­
no ad organizzarsi, l ’autorità si corrom pe divenendo il prezzo dell’astuzia o della
violenza, e la peggiore anarchia, quella che è senza speranza, m inaccia di seccare la
sorgente delle virtù sociali. Questo sarebbe stato il frutto della più inflessibile e rego-

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lare am m inistrazione che Rom a avrebbe potuto ricevere da un Settim io Severo, E
l ’im peratore avrebbe organizzato questo m eraviglioso governo, crudele per essere
p iù um ano, decim ando il popolo e distruggendo gli uom ini, le donne e perfino i
bambini e i clienti delle più valorose fam iglie senatoriali. A vrebbe licenziato 12.000
pretoriani rei di aver attentato alla vita di un cap o di Stato , delitto sem pre im perdo­
nabile dal punto di vista politico, m a l’ avrebbe fatto solo per reclutarne altri 50.000,
meno romani dei primi. Avrebbe aum entato il soldo, m oltiplicate le elargizioni; i
giochi e le distribuzioni di grano avrebbero accontentato e avvilito il popolo. Infine
il potere arbitrario, appena frenato dalla paura dell’assassinio e d a ll’innocente p a ­
trocinio dei giuristi, si sarebbe trasm esso, col favore delle nazioni barbare, a calcola­
tori am biziosi che cam m inano su cadaveri, a Ercoli in cam po, a minorenni educati
da eunuchi, a governatori di Siria,
L a terza grande arm ata d eirim p ero era allora l’arm ata di Bretagna, i cui a c ­
quartieramenti occupavano una parte della G allia. Il com ando era stato affid ato a
C lodio A lbino, di fam iglia patrizia rom an a, am ico di M arco A urelio, filosofo come
C assio anche se di carattere più mite. A lbino era l’uom o del senato e gli amici della
libertà potevano contare sulle sue virtù senza audacia, m a tanto più rare e irreprensi­
bili.
Pertinace, nel momento in cui gli giunse la notizia della ribellione si trovava im ­
pegnato in una cam pagna m olto difficile contro i popoli che, sottom essi una prim a
volta sotto T iberio, erano poi stati contenuti con grandi difficoltà e con legioni in
parte form ate d a loro stessi.
Il fine de! generale, nel perseguire con un ultimo sforzo bellico l’assim ilazione
definitiva della Pannonia all’im pero, era quello di rafforzare il nuovo ordine politi­
co con l’aiuto della gloria militare, il cui prestigio è grande presso tutte le nazioni.
Pertinace fu sorpreso dagli avvenimenti; il patriottism o gli impedì di m arciare su
R om a cam biando una conquista sicura in d isfatta sul D anubio; pensò allora che
non sarebbe stato un gran m ale lasciare che a R om a la reazione si rovinasse attraver­
so i suoi stessi eccessi e C om m odo com pletasse spontaneam ente un d e stin i di cui
suo padre si era preoccupato di regolare il corso. Inoltre se il p op o lo , sottoposto a
una dura prova dopo qualche anno di un governo in cui era rivissuto lo spirito della
repubblica, avesse dato prova con energia della sua resurrezione insorgendo contro
la tirannia, sarebbe stato giusto felicitarsi del ritardo.
Quel giorno la libertà rom ana avrebbe dato prova di vitalità e se fosse stata
schiacciata dalle forze del pretorio prim a di aver avuto aiuti dall’Oceano e dalle A l­
pi, i generali, che erano cittadini votati alla patria, avrebbero provato la soddisfazio­
ne di com battere per uomini capaci di aiutarsi quando si tratta della loro salvezza.
Albino e Pertinace si intesero facilmente; infatti il prim o era il tipo che non a f­
frontava nessuna cosa con precipitazione e aveva i figli a R om a, nelle mani di C o m ­
m odo. Un atto simile ai precedenti che conosciam o, m a segreto, attribuì ad Albino
la successione piena ed intera dei diritti e dei titoli di Pertinace con l ’esclusione fo r­
m ale del figlio di q u est’ultimo ancora m olto giovane. Albino prom ise la sua collabo-
razione alle im prese di Pertinace, rimanendo in un ruolo subordinato, com e m agi-
ster equitum del dittatore. Mentre questo trattato si perfezionava attraverso la me­

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diazione di emissari fidati, Settim io Severo faceva sondare i suoi colleghi, offren do
ad ognuno di loro la sua collaborazione contro l’altro. Le risposte equivoche che ri­
cevette l’obbligarono a tem poreggiare a sua volta e a riconoscere C om m odo. Oltre
l’inferiorità relativa del suo esercito, Severo doveva considerare la grande popolari­
tà di cui il suo luogotenente Fescennio N igro, che gli era stato im posto da C assio,
godeva personalmente in Oriente.
Il figlio di M arco Aurelio trovò facile solo apparentem ente l ’esercizio dell’auto­
rità. Non osando andare contro Pertinace gli fece offrire il titolo di C onsole e di C e­
sare, di conseguenza la speranza dell’eredità imperiale, mentre il giorno prim a l ’ave­
va qualificato usurpatore. Anche Albino ricevette belle prom esse e così pure Severo,
prom esse diverse a seconda della paura che ognuno poteva ispirare. Pertinace diede
una risposta evasiva che, som igliando in tutto a quella di A lbino e con essa palese­
mente calcolata, terrificò il divino A ugusto Antonino, trionfatore e pontefice. Non
poteva disfarsi dei generali né sognare di spingerli l ’ uno contro l’altro perché si di­
struggessero a vicenda: il vincitore sarebbe sem pre divenuto il padrone deirim pero.
Pertinace rifiutava i titoli che gli venivano offerti, “ perché li trovava troppo su­
periori ai suoi umili meriti o troppo al di sotto dei doveri che M arco Aurelio gli ave­
va precedentemente attribuito nella direzione politica degli affari rom ani. Avrebbe
rinunciato a tali impegni di fronte a una palese volontà del senato, se tale volontà
fosse stata indubbia e conform e ai desideri del p opolo, e se i suoi am ici, gli stessi
amici di M arco A urelio, a R om a non avessero avuto niente da temere dal figlio di
questo grande uom o giustam ente divinizzato. Si sarebbe considerato fortunato p r i­
m a che fed ele, se Com m odo avesse seguito le orm e del padre, per lui infatti con tava­
no solo i fatti non chi li avesse com piuti; la salvezza della repubblica era la legge su ­
prem a” . L a risposta di Albino alle offerte deH’im peratore era quasi altrettanto fiera
di quella di Pertinace e simile in tutto, tranne che nella menzione dei doveri che era
stata sostituita da una vigorosa professione di fedeltà alla politica antonina, che
rultim o degli A ntonini non p otev a che continuare♦ Ogni generale si fece proclam are
dall’ esercito riunito luogotenente dell’im peratore, delegato del Senato e del P opolo
R om ano. Significava chiaramente riconoscere a C om m odo solo un titolo m ilitarl e
subordinarlo alle autorità legittime della repubblica. Severo trovò convenien^effin
da quel m om ento, dare al proprio titolo il più grande risalto ed esaurire nei con­
fronti dell’ im peratore le risorse dell’adulazione orientale. /
In fondo C om m odo non era attaccato a una politica più che ad un’altra e le ri­
form e lo interessavano p oco; per lui era importante solo la possibilità di abban do­
narsi agli stravaganti stravizi dì cui C aio, Nerone e Dom iziano avevano creato la
m oda in Occidente, e per i quali sentiva in sé tutta la genialità dell’inventore. P u ò
darsi anche che volesse davvero, per una contraddizione che non è rara, favorire
l ’em ancipazione e il benessere delle classi più misere del su o im pero. A vrebbe dun­
que obbedito volentieri, per p au ra, alle suggestioni dei generali dal m om ento che la
prudenza lo costringeva alla legge più dura: lasciar vivere gli amici di suo padre, i
com plici di C assio, i protetti di Pertinace, i senatori che col loro sguardo im pertur­
babile lo atterrivano. Sostenuto dalla reazione, e d a essa soltanto, doveva servirla;
questa legge non poteva assolutam ente essere violata. L ’im peratore e il senato an­

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nullarono gli atti dittatoriali, anche se in parte erano sotto form a di senato-consulti,
che com portavano un regolam ento della proprietà terriera e preparavano la libera­
zione di una classe di schiavi contadini. Era quanto il partito oligarchico poteva de­
siderare. I pretoriani ebbero a loro volta piena soddisfazione, perché le riform e mili­
tari annunciate, m a non ancora attuate, furono dichiarate nulle e non avvenute. R i­
m ase in vigore il nuovo regime di im posta, riconosciuto vantaggioso per il tesoro.
Fu m antenuta l ’universalità del diritto di cittadinanza nelle provincie occidentali,
considerata solo un ingegnoso mezzo per far pesare i carichi dello Stato su un m ag­
gior num ero di abitanti dell’im pero (1). Non furono attuati né Farticolo concernen­
te i cristiani, né i principi e i progetti form ulati dai dittatori a proposito dell’istruzio­
ne pubblica e della legislazione civile (2). Tutti i rom ani colti, senza distinzione di
parte, dovevano essere d ’accordo su questi provvedimenti, eccetto coloro che non li
avessero a cuore; l’interesse di casta era troppo poco lungim irante per combatterli
prim a del tempo.
Mentre la controrivoluzione si attuava in limiti resi stretti dalla inquietudine,
C om m odo si fece una facile fam a di clemenza perdonando coloro che gli avevano
alienato l'an im o del p a d re . M a la sua rabbia doveva sfogarsi da qualche parte e la
sua crudeltà trovare m ateria di esercizio. Dom iziano alla fine dei supplizi aveva fini­
to per incrudelire sulle m osche, C om m odo si aprì subito una più grande e degna car­
riera. I cristiani divennero le sue vittime e si considerò un grande politico. Di tutti i
piani, di tutti i pensieri di M arco Aurelio aveva capito solo un’idea: quale pericolo
fosse il cristianesim o. Si riprom ise di sconfiggere per sem pre tale pericolo attraver­
so la saggezza del padre e senza i suoi scrupoli, da vero im peratore e non da povero
filosofo. L a persecuzione, appena abbozzata da Nerone e da Dom iziano più per ca­
so che per proposito deliberato, si era poi tacitam ente afferm ata in tutte le provin­
cie. Sospesa o m oderata dalla bontà degli Antonini, attese solo una parola, un esem­
pio da R om a per scatenarsi. C om m odo diede il segnale e fu un segnale terribile: due­
mila infelici furono gettati in pasto alla ferocia degli appassionati dello spettacolo in
occasione delle feste che ne celebravano l ’avvento e, da quel giorno, il tribunale del
pretore non fece altro che consegnare il giuram ento civile ai settari denunciati. Con
questo nome si indica in breve la form ula attraverso la quale un sospetto era obbli­
gato a testim oniare il suo attaccam ento alla città terrena e alla m orale civica (3).
C om m odo vi aggiunse l’indegna cerimonia d ell’incenso bruciato agli dei delle nazio­
ni e davanti alla sua statua. Q uesto inutile ritorno all’antica usanza era una deroga

(J) È infatti il motivo che gli storici hanno attribuito al celebre editto di Caracalht sul diritto di cittadinan­
za. Forse con poca giustizia perché i giuristi che furono net numero dei consiglieri di questo regno erano
degni di obbedire a sentimenti più nobili. Ma non era diffìcile prevedere che sotto il regime imperiale il
beneficio dei nuovi cittadini sarebbe stato in buona parte negativo e si sarebbe valutato in imposta da pa­
gare.
(2) cf. il secondo quadro Ucronia, pp. 58-59.
(3) cf. sopra p. 65, quesia formula di cui Fautore delVUcronia attribuisce la redazione a Marco Aurelio.

71
alle vedute di M arco Aurelio, m a piaceva agli istinti perversi dell’imperatore. L a pena
per il rifiuto del giuram ento non era l ’esilio com e nel progetto dei dittatori che, non
considerando legittimo e forse nemmeno possibile distruggere una fede nel sangue,
volevano solo rim andarla in Oriente e liberare da essa la società rom ana; era invece
la m orte, e spesso una morte atroce. Per colm o di infam ia i denuncianti ebbero dirit­
to a un aggio suirinsiem e dei beni della vittima.
Del resto la form alità dell’incenso, convenientemente applicata, avrebbe potu­
to essere sostenuta perché in fondo non rappresentava, come pensavano i cristiani
nella loro ignoranza, un atto di adorazione di fronte a quegli idoli che nessun rom a­
no, anche poco istruito, riconosceva com e tali, m a solo un om aggio sim bolico reso
alla fede delle nazioni, qualsiasi fosse, d a un cittadino libero nella sua fede. Q ualun­
que cosa si pensi di questa interpretazione delicata, m a più fon data di quanto non
creda chi non si rende conto della tolleranza pagan a e dell’intolleranza delle nuove
sette, era im possibile giustificare lo stato divino attribuito nella cerim onia a ll’ im pe­
ratore vivente. Le più detestabili pratiche orientali, il principio d eiradorazion e, in
quello che ha di più m ostruoso, si ritrovarono in un uso che, se fosse d u rato , avreb­
be fatto del cristianesim o stesso, dottrina infinitamente superiore a questa in fam ia,
l ’unica salvezza dell’um anità. Un m ondo condannato a tali errori, senza speranza di
essere m odificato, era fatto ap p osta per ridurre gli animi nobili a ll’esclusiva contem­
plazione di quella città che non è di questo m ondo.
11 giuram ento e l’ incenso furono rifiutati sia a R om a che nelle provincie da nu­
merosissim i cristiani che soffriron o il m artirio per la loro fede; alcuni sopportaron o
la prova con decisione, la m aggior parte in uno stato di estasi che richiam a e m olti­
plica gli im itatori e getta in mezzo alle m asse il seme di virtù che sem brano essere al
di sopra della natura um ana. Dovunque Todio del popolo cresceva con la sfida delle
vittime. I pretori e i loro delegati subirono, in più di un p osto, la deplorevole eccita­
zione da cui i m agistrati che vengono sfidati dagli accusati non sempre sanno tenersi
lontani. In popoli dal carattere meno duro degli antichi e nei quali la filosofia avesse
form ato virtù umane attraverso un’educazione prolungata, un accanim ento perse­
cutorio così feroce e insensato avrebbe di certo riportato ai condannati il favore p o ­
polare e reso odiosi i persecutori. M a questo cam biam ento di opinione non fu avver­
tito, almeno non subito; quando si attuò, non poteva restituire a n is é t t a nìènte-di^
ciò che aveva perduto; preti, dottori, leviti fanatici, il più puro e caldo sangue delle
sue vene. Infine i cristiani denunciati come recidivi, i sacerdoti macchiati d all’apo­
stasia, si videro costretti a nascondersi nuovam ente, quando l ’anim osità dei giudici
arrivò fino a condannarli illegalmente su semplice testim onianza e su pretesti calun­
niosi. Per anim osità o ignoranza spesso i cristiani senza distinzione furono ritenuti
responsabili, dei delitti che derivavano d a alcune superstizioni atroci praticate nei
cenacoli tenebrosi in cui l’Oriente nom ade sacrificav a secondo i riti dei cuito dei m a­
le, In meno di due anni Com m odo potè vantarsi di aver com pletato l ’opera di ridi­
cola epurazione che il padre aveva ritenuto im possibile. M a si ingannava: rapporti
segreti dei governatori presentavano la sfetta come indistruttibile in m olte località e
città di grande im portanza sia in Oriente che in Occidente. Dal momento che opera­
vano ancora le cause che avevano prodotto o alimentato lo spirito ostile alla civiltà,

72
e non dipendeva dalFim peratore che continuassero ad operare, dovevano necessa­
riamente riapparire a tem po debito i loro effetti.
È senza dubbio vero, co sa che i tiranni hanno sempre creduto, che la persecu­
zione continua distrugge, insieme all'idea, l’uom o che ha quell’idea. M a di solito la ti­
rannia ignora che un’ idea rinasce q uan do, m odificate solo le circostanze m ateriali
del m ondo, l’incessante generazione delle forze m orali trova alimento nel cuore stes­
so degli uomini.
L ’energia politica di Com m odo si esaurì in questa im presa degna di lui. L a sua
stupidità del resto apparve nelle scenografie religiose per le quali scandalizzò il m on­
do rom ano. Sperava forse di rim piazzare il cristianesim o coi riti ignobili o crudeli di
cui era autore, dedicando a Iside e a M itra le sue adorazioni, im m aginando nuovi sa ­
crifici, dando uno slancio sacerdotale al suo am ore per il sangue, al suo gusto del co­
stume e dei travestim enti? Sorvoliam o su queste infam ie. Interamente dedito agli
stravìzi e alla prostituzione, desideroso di allontanare gli occhi dalla spada, la cui
punta m inacciosa gli veniva rivolta dagli eserciti di Bretagna e di Pannonia, a ffid ò la
soluzione dei problemi a ministri onnipotenti. Veniva introdotta un’altra usanza
orientale! Gli antichi, nobili e seri, non avevano m ai com preso che il titolo, l’onore e
il potere potessero non appartenere a chi ne aveva la capacità nell’anim o e la respon­
sabilità sul cap o. Perenne, capo del pretorio, e poi O leandro, un frigio, furono i de­
positari dell’autocrazia imperiale. C om m odo lasciò loro la scelta delle vittime politi­
che, contentandosi, per parte sua, di quelle che si offrivan o in gran num ero fra i
suoi servi o nel m ondo oscuro dei gladiatori, dei mimi, dei ciarlatani e di chi, uomini
e donne, si prostituiva; orribile turba, indescrivibili professioni di cui si attribuiva
prim a di tutto la conduzione e il dom ìnio. Il grado sociale di chi veniva denunciato e
perseguito per il reato di lesa m aestà, procedim enti nei quali C om m odo avrebbe p o ­
tuto brillare, Io obbligava quasi sempre ad essere clemente. Per questo perdonò un
tentativo di assassinio contro la sua persona, quando l ’assassino si vantò di essere
l’uom o del senato; così dovette lasciar vivere i Birro, i Pom peiano e tanti altri che lo
chiam avano “ veleno, vergogna dell’ um anità, se solo fosse stato un uom ^I” Per
questo perdonò M anilio, già segretario di C assio , arrestato a R om a da agenti troppo
zelanti, per questo dovette fingere di bruciare generosam ente i documenti di questo
nemico senza leggerli.
M algrado queste sagge precauzioni il m inistro Perenne cadde in disgrazia pres­
so l’arm ata di Bretagna; millecinquecento legionari andarono a R om a per dom an ­
dare la sua testa e C om m odo spaventato l’ abban don ò loro. Cleandro, successore
di Perenne, era l’uom o che ci voleva per affrettare la caduta della tirannia. Pensò di
farsi benvolere im pegnando in fondazioni popolari, come bagni, portici ecc., una
parte delle immense ricchezze che ricavava dalla vendita degli impieghi. M a la sua
avidità osò toccare un oggetto sacro, il grano del p opolo. In tempi di peste e di fam e
la sua m ano fu riconosciuta nelle m anovre del m onopolio. L a cavalleria pretoriana
caricò i rom ani che si erano ribellati e i cittadini resistettero nelle strade, si difesero
dalFalto delle case. Le coorti urbane si unirono al popolo contro i pretoriani die fu ­
rono distrutti e C om m odo, vicino alla rovina, si vide ancora una volta obbligato a
sacrificare il suo m inistro. Era arrivato per i generali il m om ento di troncare uno

73
$5:
stato di cose che non poteva più essere prorogato. L a coscienza del “Senato li invoca­
va. 11 popolo non aveva paura di chiamarli a gran voce.
Un avvenimento di altro genere diede il senso dello stato e degli orientamenti
delle cam pagne. D a lungo tempo bande di disertori, di prigionieri fuggiti* di schiavi
fuggitivi devastavano la Gallia e la Spagn a. Strette da ogni parte e quasi annientate,
cosa che succedeva periodicamente, questa volta si trovarono rafforzate da elementi
degni di m aggiore attenzione; p assaron o in Italia e raccolsero, sotto im provvisati
vessilli, una folla di servi e anche di nuovi liberi che la reazione e la vendetta dei p a ­
droni spingevano alla ribellione. Chiam iam o servi quegli schiavi nati in Italia o nella
Provincia, già abituati ai costumi rom ani e usciti dalla barbarie, fra i quali i grandi
proprietari terrieri avevano dovuto cercare gli efìteuti conform em ente alla leg­
ge agraria dei dittatori. Bisogna ricordare che questa legge chiam ava gli a ffit­
tuari alla libertà dopo un breve lasso di tempo e inoltre li autorizzava al riscatto dei
loro debiti. Questa classe di uomini, il cui stato era divenuto intollerabile dopo l'av ­
vento di C om m odo, vedeva troncata e nello stesso tempo esaltata la sua speranza
In questa circostanza prendere le armi ricordava l'antica epoca, felice nei suoi stessi
mali, in cui le più deplorevoli guerre civili testim oniavano almeno resisten za di p as­
sioni sociali e politiche che sono l’alimento necessario della libertà. Venti anni prim a
una simile crisi, del resto m olto ordinaria, avrebbe significato solo disordine e sac­
cheggio e tutto sarebbe finito con croci innalzate su ogni crocevia. T u tt’al piu un ca­
po audace avrebbe potuto nascondersi a Rom a e drappelli di uomini travestiti avreb­
bero approfittato delle M egalesi o di qualche altra festa per fare scoppiare un tum ul­
to che inevitabilmente sarebbe stato rivelato prima di scoppiare. In quel m om ento
Materno controllava le campagne e la sua bandiera aveva un alto significato politico (4).
Nel periodo precedente la questione della suprem azia militare era stata risolta
contro Settim io Severo che non era sopravvissuto alla sconfitta. Com e ad A zio, co ­
me a Farsalo le legioni orientali erano state vinte da quelle del nord e del centro
deH’im pero; ora Pertinace e A lbino, congiungendo i loro eserciti ai piedi delle A lpi,
lanciavano un appello per la libertà al Senato e al P opolo rom ano. Pertinace riven­
dicava il titolo che i dittatori gli avevano trasm esso nella pienezza del diritto, in virtù
della solenne investitura loro concessa. Si scusava di non aver liberato la repubblica
dal m ostro che la m acchiava prim a di quel m om ento a causa degli imperiosi doveri
m ilitari. Designava C lodio Albino come suo secondo e successore; dopo di loro, nel
caso che la sorte avesse tradito l ’uno e l’ altro, designava Pescennio N igro, fuggito
poco prim a dal cam po di Settimio Severo e prom osso al com ando dell’esercito di
G allia e di Bretagna. Infine anche in previsione del m om ento, di cui bisognava già 4

(4) L a maggior parte delle linee dì questo quadro sono storiche, totalmente o in parte. Alcune sono altera­
te necessariamente in seguito ai fatti contingenti che l’autore di Ucronia ha introdotto di sua iniziativa al­
la fine del regno dì Marco Aurelio. Ogni cambiamento considerevole apportato a un momento qualsiasi
della storia ha ripercussioni che modificano gli avvenimenti seguenti e li trasform ano a poco a poco fino a
renderli alla fine irriconoscibili. Ucronia non è altro che L'abbozzo di una scelta fra le trasformazioni pos­
sibili.

74
preoccuparsi, nei quale dovevano cessare i poteri dittatoriali al termine della delega
fatta dal popolo rom ano a M arco Aurelio e a C assio , annunciava un’assem blea ge­
nerale, da tenersi nel foro, degli ordini senatoriali ed equestre insieme ai semplici cit-
ladini di R om a, ai delegati dell’ Italia e delle provincie.
A queste ultime notizie, che ap pagavan o le aspettative, a Rom a si diffuse una
gioia incontrollabile; i senatori non avevano ancora superato l’emozione di poter
nuovamente deliberare che già C om m odo cadeva sotto i pugnali dei suoi fam iliari,
bisognosi di assicurarsi il perdono dei nuovi padroni, m a subito dopo furono m as-
sacrati da un gruppo di pretoriani che correva per la città alla ricerca di un im perato­
re. La forza del pretorio si ferm ò a quel punto. N essuno osò offrirsi per acquistare,
con Pim pero, una morte certa e pronta, nemmeno un Didio, uno di quegli sciocchi
stravaganti che abboccano al primo allettamento dei potenti. I pretoriani caddero in
uno stato di stupida rassegnazione, ricercando solo chi fra loro poteva essere sacrifi­
cato per meritare il perdono dei vecchi m isfatti. Alcuni giorni dopo erano nel C am ­
po di M arte disarm ati, circondati da legioni m inacciose. Pertinace li decim ò e li li­
cenziò. C osì fini P arm ata pretoriana; da quel giorno R om a conobbe solo attraverso
la tradizione questa fam osa istituzione fondata e consolidata p e r la sicurezza dello
Stato da uomini che allo Stato preferivano il loro potere esclusivo (5).
La m emoria di C om m odo fu votata alPinfam ia e il suo corpo appeso a un gan­
cio in mezzo al più spaventoso concerto di im precazioni che mai assemblea um ana
ha pronunciato. Il senato si dedicò senza pericolo al basso furore, conseguenza ordì-
naria^dei rivolgimenti politici (6). Fortunatam ente Pertinace diede subito ai senatori
più degne occasioni di m ostrare il loro patriottism o. Non esitarono a ringraziarlo sia
per la comune liberazione, sia per [’attività con la quale faceva riprendere l’esecuzio­
ne delle misure agrarie. A ccettarono senza m olto lam entarsi che M aterno, fino a p o ­
co tempo prima soldato e capo di schiavi ribelli, fosse innalzato, col titolò di censore
rurale, a un posto amm inistrativo im portante e di grande significato. Fu incaricato
della direzione del catasto, della registrazione dei contratti d ’affitto e delle, rendite
pattuite fra schiavi e proprietari e della sorveglianza dei casi di affrancam énto lega­
le. Anche i più ciechi esponenti dell’antica oligarchia, alm eno coloro che avevano
qualche sentimento del bene e della patria (m a questi guidano gli altri quando vo­
gliono prendersi questo com pito), vedevano orm ai chiaram ente che la salvezza dello
stato rom ano avrebbe richiesto il prezzo di un tale sacrificio. D opo i N erone e i Vi­*6

ti) Si sa che i pretoriani furono effettivamente accerchiati, disarmati c licenziati, ma solo da Settimio Se­
vero dopo la morte di Pertinace c il mostruoso mercato dell'Impero. I.o stesso imperatore li riorganizzò e
ne quadruplicò le coorti. L'istituzione risaliva a Ottaviano.
(6) In Lampridio si possono leggere le lunghe c spaventose acclamazioni del senato , Sono vere e proprie
litanie con ripetizioni, allitterazioni, consonanze: “ hosti patriae honores detrahantur; parricida trahatur;
hostis patriae, parricida, gladiator in spoliario lanietur: hostis deorum, hostis senatus Qui senatum
occidit vìnclo trahatur; qui innocentem oc.cidit urico trahatur; hostis, parricida, vere, severe Roga-
mus, Auguste, parricida trahatur (...) Exaudi, Cacsar, eie., etc.” cf. Hist , /4wg., in Comm. Anton.

75
tellio, nessuno avrebbe potuto sperare o im m aginare di risalire in^ouesto m odo ai
tempi dei Gracchi con leggi radicalm ente diverse d a quelle che erario nei progetti di
quei grandi cittadini (7) e completare ciò che non avevano potuto nemmeno com in­
ciare perdendovi la vita Tuno d opo Paltro; dopo C om m odo lo si volle, perchè que­
sto regno che annunciava gli ultimi m ali, l ’ umiliazione estrem a, la fine certa di tutto
ciò che si era chiam ato Rom a e repubblica, era stato solidale con la reazione degli in­
teressi m inacciati contro la gloriosa iniziativa di C assio.
L 'egoism o cieco fece dunque posto alPinteresse giustam ente inteso. Gli schiavi
non vennero liberati per um anità, anche se, a dire il vero, si può dubitare che tutto
questo sarebbe stato possibile senza l ’um anità e la filosofia; si volle rigenerare l ’Ita ­
lia. L a lim itazione della proprietà non venne attuata per principi di m oderazione e di
tem peranza, non furono piacevoli le leggi suntuarie in m ateria di beni-terreni; m a
veniva ripetuto coscienziosamente l ’adagio popolare del naturalista: L atifun dio Ita ­
liani perdidere; si ricordava che gli stessi Pom peo e Cicerone avevano sentito la ne­
cessità di popolare la solitudine dell’ Italia e di togliere la feccia da R om a (8). Di soli­
to le grandi misure sono preparate dai grandi sentimenti ed eseguite dai grandi inte­
ressi. Questi interessi sono duplici: quelli degli oppressi, per lungo tem po deboli e
condannati a ll’im potenza, se non hanno altro appoggio che se stessi e una giustizia
ancora contestata, e quelli degli oppressori, per lungo tem po ignorati, il cui ricono­
scimento definitivo esige un p o ’ di saggezza e molti sacrifici.
L a legge più im portante per la salvezza, dopo la riform a agraria, era quella
dell’organizzazione militare. Pertinace trovò difficoltà, m a erano difficoltà che si ri­
solvono quando si ha volontà e fiducia n elfa w en ire . E ra possibile conciliare la sicu­
rezza e la difesa deH’im pero, l ’ordine interno delle città e la polizia delle cam pagne
con la riduzione del periodo di ferm a e la com pleta soppressione del m estiere di so l­
dato. Pertinace riuscì in quest’opera sostituendo, al regime imperiale del recluta­
mento volontario il regime della repubblica per il quale ogni cittadino è soldato per
natura. E non essendo più la guerra com e una volta, preoccupazione di ogni luogo e
di ogni m om ento, la funzione più naturale e più nobile dell’ uom o, era possibile im ­
porre ai cittadini stessi alcuni doveri senza richiedere da essi neppur lontanam ente
gli stessi sacrifici. Tutti furono quindi sottoposti all’istruzione m ilitare e obbligati
ad un certo addestram ento alla vita di accam pam ento. D opo questi provvedim enti, i
contingenti dovevano essere chiamati per ordine di età e per un tempo determ inato,
a seconda delle necessità dell’o ffesa e della difesa. Il legislatore non ebbe paura dì
arm are le provincie, più precisamente, di assegnare in tem po di pace il contingente
militare di ognuna a difesa delle frontiere esterne. Dei due pericoli, quello futuro
della rivolta e deH’affrancam ento di qualche parte dell’im pero e quello^pr-esente-

(7 /1 progetti di leggi agrarie ai tempo della repubblica poggiavano esclusivamente sui demanio pubblico e
non riguardavano affatto le proprietà immobiliari.
(8) “ Et sententiam urbis exhauririet Itatiae solitudinem frequentari posse arbitrabar“ . Cic., AdAtticum,
1, 19.

76
delPannullamento di ogni libertà e di ogni civiltà per il permanere di un esercito pro­
fessionale di gente senza patria, finse di non vedere il prim o; in fondo si dedicava al
suo obbiettivo generosamente, come chi, da stoico, vede l’ umanità al di sopra di R o­
m a stessa. Per quel che riguarda i compiti di polizia interna, Pertinace li a ffid ò
ovunque alle milizie locali, salvo eccezioni m otivate. V U rh e stessa non ebbe altra
guardia cittadina, infatti non è possibile considerare tale il piccolo gruppo di agenti
speciali indispensabili per la sorveglianza della feccia delle nazioni, delle sette e dei
costumi che si accum ulava nei bassifondi della capitale del m ondo.
Il progetto di queste riform e risaliva a C assio. II loro regolam ento non doveva
sembrare difficile a uno spirito largo e risoluto e anche esperto sia dal punto di vista
della conoscenza che da quello della gestione delle istituzioni militari. Difficile inve­
ce era metterli in pratica senza indisporre e allarm are i soldati e gli ufficiali ai quali
doveva affidare per qualche anno la sicurezza del nuovo corso politico. Pertinace
pensò che un uom o di Stato non dovesse fermarsi di fronte a un problem a la cui so­
luzione richiedeva sacrifici finanziari, grandi, è vero, m a definiti nel tem po. Distri­
buì saggiam ente ai soldati gratifiche che superavano di m olto quelle che erano state
assegnate dai tiranni. Non parlò di licenziamento delle vecchie milizie, m a del loro
rinnovamento progressivo. Alcuni corpi scelti, che necessariamente dovevano a ssu ­
mere le antiche funzioni, dovettero essere reclutati fra i veterani e i più meritevoli;
infine fu assicurato ad ogni congedato che si stabiliva secondo l ’uso nelle colonie
militari un capitale considerevole. Senza dubbio altri politici avrebbero preferito la­
sciare aperta indeterminatamente la vena per la quale si disperdevano le finanze del­
lo Stato piuttosto che vedere il governo disputato sui campi di battaglia e venduto
negli accam pam enti, come era successo altre volte; Pertinace preferì im pedire tutto
questo a suon di m oneta. Non consultò il senato. Sapeva che certe economie p osso­
no essere richieste con ostinazione da uomini ciechi o perfidi e divenire fonti di spese
prolungate e di danni irreparabili.
Non racconterem o come il dittatore mise a ll’asta il prodigioso m obilio di C om ­
m odo o come obbligò chi si era arricchito durante il regime imperiale a restituire le
ricchezze. Non diremo niente del m odesto arredo della sua casa, dell’educazione
semplice e liberale che fece dare al figlio confuso, senza titoli e onori, nella m assa
dei coetanei, né delle riunioni filosofiche in cui si trovavano periodicamente gli ispi­
ratori e i capi della grande riform a. II lettore può ricavare senza fatica quasi tutte le
conseguenze di un pensiero fondam entale. Sarebbe più interessante descrivere lo
spirito e l ’organizzazione degli istituti per l ’istruzione pubblica a R om a, nelle città
delle provincie e perfino nell’ultimo lem bo di cam pagna, realizzati in quantità im ­
mensa e inaspettata. Anche in questo Pertinace evitò l ’econom ia più rovinosa, quel­
la risparm ia le casse pubbliche impoverendo l ’anim a e le risorse morali del popolo.
Volle che ogni cittadino fosse educato alla professione del cittadino, che ogni uomo
fosse inform ato di ciò che interessa l ’uomo. Le leggi, il loro spirito, il loro fine, e la
m orale e il m odo razionale di concepirla che tutte le scuole filosofiche, da Socrate fi­
no ad Epicuro hanno in comune, e ancora i diritti della natura um ana riconosciuti
dai giuristi, volle mettere tutto questo alla portata dei più umili abitanti dell’im pero,
affinché ognuno potesse applicare a se stesso Yhomo sum del poeta, fam oso m odo

77
di dire al quale si dava già quell’alto significato che forse a ll’origiiK non aveva. M a
c ’è bisogno di parlare di cose che sono sotto i nostri occhi e la cui eredità abbiam o
anche m esso a profitto?
Anche i nuovi credenti benedissero la rivoluzione che per loro rappresentava la
liberazione: non furono più condannati su semplice testim onianza, i delatori non fu ­
rono più pagati; non fu richiesto loro che il giuram ento civile e in Occidente soltan­
to; si considerarono fortunati di trovare un asilo legale in alcune provincie. Quasi
tutti quei poveretti che erano rimasti si decisero ad emigrare e il governo accordò
una som m a per il viaggio ai più poveri. Da quel giorno l’ Egitto, la Siria, la Fenicia,
la Palestina, PA sia M inore e infine l’A frica, che fu sacrificata per necessità, comin­
ciarono ad essere occupate da una popolazione cristiana in rapida crescita, mentre
nelle provincie dell’Occidente e del N ord fu rigorosam ente eliminata ogni traccia
delle religioni orientali. Alcune sette che non avevano rifiutato il giuram ento furono
in seguito perseguitate e condannate come im m orali. Alcune di esse, poche, protette
in principio per la loro debolezza, si estinsero rapidam ente non trovando più fonte
di alimentazione in un popolo la cui istruzione e partecipazione politica venivano
estendendosi.
In questo periodo vennero introdotti grandi cam biam enti nel culto pubblico ro­
m ano. Posson o essere giudicati più politici che religiosi, m a riguardavano dei punti
nei quali questo doppio carattere è inevitabile. Fu trasform ata l’idea stessa del culto
pubblico. Fino a quel m om ento erano stati compiuti sacrifici solenni in certi giorni e
in certe occasioni. I m agistrati continuarono a parteciparvi, m a in qualità di delegati
di quei cittadini la cui devozione li investiva di un potere a tale riguardo; poco a p o ­
co la funzione tornò completamente a speciali m agistrati elettivi, flam ini che eb­
bero solo un m andato privato e si confusero infine coi cultori dei tem pli. A ugusto
aveva obbligato i senatori a compiere regolarmente un sacrificio prim a delle loro se­
dute: il senato dichiarò che i suoi membri erano liberi e che la religione era oggetto
di fede, non derivava da un obbligo. L ’arbitrarietà dell’ organizzazione degli aruspici
e della correzione dei libri sibillini, opere dell’ipocrisia di A ugusto, fu riconosciuta
pubblicam ente e senza tim ore venne detto chiaram ente un gran segreto che non sor­
prese nessuno; sapere che la tradizione era perduta, non avendo potuto sopravvivere
tanto tem po alla credulità che l’aveva fatta nascere. Il culto dei G randi Dei, orm ai
sostenuto solo dallo Stato, perse m olta della sua im portanza quando fu affid ato alla
buona volontà dei cittadini, perché il popolo tendeva sempre a personalizzare le pro­
prie devozioni. Il culto degli dei Lari restò il più vivo, perché era quello meglio com ­
preso, il più serio e uno dei più accettabili dal punto di vista razionale, i Rom apLsot-
to questo nome onoravano i geni, i m orti im m ortali, protettori naturali delle città,
dei quartieri, dei borghi, delle case, delle fam iglie; gli schiavi come membri inferiori
dell’organizzazione fam iliare, partecipavano in m aniera considerevole a un »culto, il
cui m erito minore non era questo. \
U na volta rovesciati gli altari di Cesare e di A ugusto, tolte le loro im m agini dal­
le case e dai crocevia dove l’adulazione le aveva posti e le manteneva, sopprèssi
ovunque i L a ri augustali„ rimasti senza funzioni, alm eno religiose (9), i loro nume­
rosi sacerdoti, rim ase vacante nelle riverenze abituali dei popoli il posto del primo

78
im peratore. E ra giusto che alla testa dei Lari pubblici e privati figurasse quella che
può essere considerata la rappresentazione più p ura delle idee di libertà, di repubbli­
ca, di salvezza popolare e il sim bolo della protezione attesa, per R om a rigenerata,
d all’alto delle sfere abitate dai defunti felici. Un movimento popolare spontaneo
elevò al suprem o rango dei grandi morti che potevano essere invocati qui M arco A u ­
relio, là C assio , m a quasi ovunque Puno e Paltro insieme, inseparabili. Pertinace
propose al senato di riconoscere legalmente questo nuovo culto, al quale erano cosi
visibilmente estranei ogni pensiero adulatore, ogni sentimento di bassa adorazione,
indegna di uomini liberi. Il decreto, che fu votato per acclam azione, designava il
Panteon d ’A grippa come santuario principale dei Lari pubblici.
Fu proibito, senza tuttavia che il culto privato potesse essere l ’oggetto di una in­
quisizione, porre persone viventi nel numero dei Lari del popolo rom ano. Il sacrifi­
cio del m aiale, probabilm ente istituito nel p assato per il carattere particolarm ente
utile di questo anim ale nell’econom ia dom estica, fu elim inato dal cullo pubblico. Fu
conservato solo l’uso dell’incenso più col significato di onorare che di adorare. Fu
prescritta la recitazione, a sedere o in piedi, delle preghiere, le cui form ule, in gran
parte nuove, dom andavano ai Lari di ispirare i cuori e preservare le fam iglie, le cit­
tà, la grande città, ispirando nobili sentimenti e la forza del bene ai padri, ai Figli e ai
cittadini. Infine lo stesso decreto incaricò Pertinace di riorganizzare la festa dei
C om pitali. Q uesta grande solennità delle fam iglie aveva come ministri principali i li­
berti e gli schiavi, che vi partecipavano come uomini liberi. N essuna festa toccava
più profondam ente i cuori, elevava m aggiorm ente il popolo oltre se stesso, ai pen­
sieri generali, al sentimento delFunità, nello stesso tem po nessuna festa aveva m ag*
giore interesse per le donne e per i bambini. Non poteva dunque essere scelto m eglio
il gran giorno dell’espansione della Repubblica.
C osì, mentre gli antichi culti, legati a ll’infanzia di R om a, come quelli di V esta,
di Saturno, di M arte, di Cìiove Capitolino o di Giunone Salvatrice, senza essere ab­
bandonati, divenivano sem pre più sim bolici, di buon costum e, e finivano di rispon­
dere a credenze positive del p opolo, un culto pubblico, di genere tutto diverso, ave­
va conquistato ognuno: un culto capace senza dubbio di rivestire form e ripugnanti e
pericolose, se fosse prevalso il sistem a delle divinità imperiale e della adorazione del
potere; m a sarebbe durato poco, perchè le dottrine mistiche dell’incarnazione e del
sacrificio l ’avrebbero necessariamente sostituito; invece se il ristabilim ento della li­
bertà avesse ritem prato gli anim i, avrebbe potuto fondarsi saldam ente, divenire
l’espressione religiosa di sentimenti giusti ed elevati. D opo tre secoli, da quando C e­
sare nel senato aveva definito favole le tradizioni dell’im m ortalità dell’anim a e del
culto dei m orti, la fede della gente non aveva certo potuto rinunciare alla speranza
di un nuovo destino per le persone umane: il culto stesso dei Lari la testim oniava;
ma la fede del popolo era vaga, anche se m olto ferm a, e i filosofi avevano opinioni

tV) Augusto aveva creato per i Seviri Augusrafes, dedicati alia celebrazione del suo culto in tutto l’impero,
vere magistrature municipali molto importanti e dotate di numerosi privilegi.

79
m olto diverse sui problem i di D io e dell’im m ortalità. Tutti potevano trovarsi d ’ac­
cordo, anche gli increduli, in un culto che univa le idee di libertà e dÉ&poteosi, in un
culto pubblico, essenzialmente legato alla concezione civile e politica di R om a, come
per il p assato , estraneo alle credenze individuali che, senza respingerle e senza dar lo ­
ro la sanzione dello Stato , riconosceva e rispettava la libera fede neiresprim ere quel­
la comune in m odo tale che un cittadino non potesse sconfessarla, È quanto si può
dire di una religione civile.
Q uando fu celebrata per la prim a volta la festa dei Com pitali dopo la prom ulga­
zione dei decreti religiosi, Clodio A lbino form ulò degnam ente nel senato il princi­
pio dell’apoteosi: ‘ ‘A bbiam o abbattuto le statue dei tiranni, edifichiam o senza p au ­
ra gli altari dei grandi uomini. Chi potrà ingannarsi, se non è in m ala fede, sul gene­
re di onori che rendiam o loro? Consacrerem o questi altari che la Grecia innalzò per
la prim a volta, mentre era ancora vivo, a Lisandro, ardente nemico di tutte le liber­
tà, che R om a, in un secolo di avvilimento, ha consacrato al vincitore Giulio Cesare
o al vincitore O ttaviano A ugusto; consacriam o questi altari ai vinti la cui m em oria
trionfa nei nostri cuori! Innalziam o un tem pio a M arco Aurelio o piuttosto, seguen­
d o il suo esem pio, alla Bontà, invocando M arco A urelio; innalziam o un tem pio a
C assio, o piuttosto alla forza m orale, alla Virtù, invocando C assio! Indirizziam o lo­
ro i nostri voti, riferiam o loro i nostri buoni pensieri, perché la preghiera a chi sta in
alto (Superis) eleverò il nostro coraggio e non sarà una vera im plorazione di grazie
im possibili, ma una santificazione delle nostra risoluzioni e dei nostri progetti di
fronte a quelli che crediamo in possesso di una m eritata im m ortalità. O ffriam o loro
anche sacrifici sim bolici, che la legge non ordina, come dono dei nostri beni e della
nostra vita, dono che dobbiam o essere pronti a fare in nome delle virtù e le opere
che li illustrano.
Veniamo accusati di idolatria, m a chi ci accusa? I nemici del nome rom ano e
delle libertà, i nemici delle dignità umane di cui Rom a è oggi l ’emblem a del m ondo
intero; quelli che fanno discendere in mezzo a loro, con form ule m agiche, il dio che
adorano e se ne fanno alimento sacro, smentendo Cicerone, troppo poco inform ato
delle aberrazioni orientali, che aveva detto che nessuno è abbastan za pazzo per cre­
dere dio ciò che m angia (1Ò)>
L ’idolatria non consiste nel dedicare a ll’uom o, che ha raggiunto per proprio
merito il punto più alto della natura um ana, un culto che l ’uom o possa ugualmente
rendere o ricevere senza avvilirsi, ma consiste nelFavvilire questa natura e nell’avvi-
lire se stessi innalzando qualche uom o o qualche altra cosa sopra di essa e della sua
perfezione ideale per adorarlo. Verrà un giorno, forse, in cui i nostri discendenti ri­
fiuteranno anche di abbassarsi a rendere om aggio a uomini che furono m ortali come
loro, a m orti la cui condizione presente in seno all’ universo costituisce il segreto de­
gli dei. Senza dubbio saranno troppo virtuosi in quei tempi per provare il bisogno di

(10) “ Ecquem tam amentem esse putas, qui illud, quo vescatur deum credat esse?" Cic., De N atura eleo*
rum, III, 16.

80
rendere om aggio alle virtù, ma allora considereranno la ragione come elemento del­
la loro dignità. Non si prosterneranno per adorare dogm i incomprensibili, che usur­
pano il nome di misteri e la cui sedicente rivelazione ha Feffetto di umiliare la natura
um ana.
Veniamo accusati di ateism o. Perché? Quali dei ci m ancano? Rom a forse ne ha
troppi e di natura troppo oscura. I cittadini non sono forse liberi di dedicare il loro
culto agli dei in cui credono? Le nazioni non conservano i loro quando li considera­
no veri e buoni? Se per caso sono assurdi o perfidi, non siam o noi che li costringia­
mo ad abbandonarli. È necessario, per possedere un D io, fare come richiedono i no­
stri accu satori, prenderci cioè quello che è piaciuto loro forgiare o piuttosto che h an ­
no preso a prestito, sfigurandolo, d a un popolo che li accusa di em pietà e li vuole la ­
pidare? È forse il gran dio della natura che m anca alle nostre menti? N on facciam o
delia filosofia, senatori, dom andatelo agli stoici! O è il dio del pensiero e della virtù,
fine che m uove tutti gli esseri? Chiedetelo ad Aristotele! O è il creatore, il grande ar­
tefice la cui bontà m odellò l’ universo? Leggete il Tim eo di Platone, che M arco T ul­
lio ha tradotto per voi, prim a che queste persone venissero al m ondo! O è Tincom-
prensibile essenza alla quale ripugna ogni qualità? Ecco Senofane e Parm enide, ecco
Stratone, scegliete! Infine se possiam o avere qualcosa di m eglio, ascolterem o chiun­
que, a condizione che non abbia la pretesa di violentare la nostra fede per insediare
nello Stato la sua col pretesto di rovesciare una idolatria che non esiste.
Non andiam o a cercare cosi lontano i nostri dei. Potrem m o cercare a lungo e
smarrirci. Vi scongiuro: al di sopra dei geni beati che onoriam o, al di sopra delle
speculazioni della fisica (11), delle fantasie superstiziose degli uomini e delle più ri-
spettabili tradizioni dei popoli, non è un dio il sovrano delle nostre coscienze? Alle
mie parole, i vostri cuori hanno capito cosa voglio dire, anche se il suo nom e non
viene tutto in una volta sulle vostre labbra. Possiam o decidere di chiam arlo come
Platone Sole del m ondo intelleggibile, Generatore delle idee, Bene. L o conosciam o
senza indagarlo a fondo, l’adori amo senza piegarci. È il dio che non ci inganna m ai,
è il dio che nessuno potrà negare senza condannare a morte la propria anim^; è il dio
che, com unicando una particella della sua essenza ai m ortali che si avvicinano a lui,
ci autorizza a offrir loro l ’incenso delle nostre lodi, Tom aggio delle nostre virtù, in­
coraggiate dal loro esem pio.
Q uando il fanatico riunisce sui cam po dei morti le ossa calcificate del testim one
della sua fede, quando le bacia con ardore e va a consacrarle nella sua cappella sot­
terranea, obbedisce al sacro im pulso che in noi definisce idolatria. E quando, intera­
mente prostato nelle tenebre di una coscienza che non ammette la possibilità di a f ­
fermare altri principi, si ostina a negare la coscienza universale o ad attribuirsene il
m onopolio, disconosce gli unici dei a cui il genere um ano è obbligato: l’A m ore, la
Giustizia e la Libertà; vale a dire Punico Dio che li riunisce, il Bene. Egli a sua

(11) I.a maggior parte dei sistemi filosofici, ma soprattutto lo stoicismo, classificano come fisica le specu­
lazioni che più tardi si chiameranno ontologia c teologia.

81
volta per noi è un ateo, indegno della libertà che ci vuole togliere. Lui solo non
fa parte della com unità di questa repubblica nella quale si ^Scontrano senza
combattersi tante credenze particolari. Dal m om ento che non se ne accolla i doveri,
non può averne i diritti, ed è lui che vuole così. L ’avvenire ci dirà gli effetti per le
nostre provincie orientali di un flagello che la dolcezza dei nostri costum i ci avrà
condannato a sopportare in quelle regioni, anche se abbiam o creduto di poterlo
estirpare interamente col ferro, come Pinfame C om m odo. Senatori, cittadini, popo­
lo d ’ Italia, delle Gallie di Grecia e di Spagn a m arciam o piuttosto con risoluzione
sulla via della salvezza! Perseveriam o nel santo culto della libertà, dei grandi uom ini
che l’hanno conquistata e di coloro che la m anterranno! D ifendiam o le nostre città e
le nostre fam iglie! L ’um anità vive in n oi” .
T anta preoccupazione aveva gettato negli spiriti la grande persecuzione di
C om m odo e la m isura di clemenza che sacrificava al cristianesim o rO rien te. A b­
biam o riportato i passi principali di quel discorso per fare apprezzare lo stato m ora­
le dei partiti religiosi, nel m om ento in cui Popposizione delle due regioni delPimpero
veniva accentuandosi sempre di più, per finire, dopo quasi due secoli di lotte sorde
intramezzate a ribellioni, in una divisione aperta.
Inoltre si avvicinava il giorno in cui i poteri dittatoriali dovevano finire e nessun
avvenimento politico ne richiedeva la proroga. Tutti gli animi erano rivolti a ll’as-
sem blea dei delegati delPItalia e delle provincie insieme ai senatori e ai rom ani. Un
insolito fermento correva attraverso il c o i j >o ringiovanito della repubblica. Final­
mente arrivò il gran giorno. Pertinace non vi partecipò, m a la sua m em oria diresse i
lavori col pensiero dell’ultimo sacrificio che aveva appena com piuto. Questo
gran d’uom o logorato dalle fatiche e dalle veglie, sempre instancabile anche se m olto
vecchio e coperto di ferite, non tutte ricevute dal nem ico, volle andare personalm en­
te in aiuto al generale che era stato prom osso in Oriente al posto di Settim io Severo,
m a che non riusciva a prendere possesso della sua autorità. D opo aver vinto ebbe
appena la forza di rientrare a R om a; le esequie furono il suo trionfo.
L a com posizione dell’assem blea sollevava problemi m olto gravi e nuovi in quel
m om ento, problemi che Albino dovette risolvere prim a di riunirla. Il m odo ab b a­
stanza som m ario nel quale fino a quel m om ento era stata pensata, non permetteva
di capire facilmente come avrebbe potuto deliberare e mettere ordine nelle sue sedu­
te. I delegati delle provincie furono ridotti il più possibile e in seguito, per stabilire
una necessaria om ogeneità fra tutti i componenti dell’assem blea, fu necessario deci­
dere che anche i cittadini di R om a sarebbero stati tenuti a farsi rappresentare da
qualcuno. Erano lontani i tempi della guerra sociale: i rom ani abbandonavano il lo ­
ro ultimi privilegi e si identificavano col m ondo che avevano conquistato. C osì la
forza delle cose aveva in un prim o tem po fatto nascere l ’ idea politica della rappre­
sentanza dei cittadini lontani da R om a; in nessun altro m odo infatti sarebbe stato
possibile soddisfare i loro diritti; ora la stessa forza rendeva necessaria l’applicazio­
ne di questa idea anche a coloro che abitavano nella sede del governo centrale.
L ’unica eccezione fu fatta in favore del senato, chiam ato a prendervi parte al com ­
pleto. L ’assem blea fu com posta da non meno di tremila membri. Tutte le m aggiori
città della repubblica erano rappresentate. Le grandi associazioni rurali avevano d o ­

82
vuto accordarsi per m andare i loro deputati come le corporazioni degli a rtig ia n i che
si erano fortemente allargate durante gli ultimi regni e che T raian o, fra gli altri, ave­
va organizzato in regime di m onopolio. C 'eran o infine, come delegati degli interessi
comm erciali, alcuni liberti, coloro che erano stati affran cati più recentemente con
grande scandalo di quei senatori che si opponevano al movimento generale degli
spiriti.
Si possono cercare altrove le deliberazioni dettagliate della grande assem blea,
delle riforme che essa approvò e delle quali prese Finiziativa, delle inevitabili ribel­
lioni che Fostacolaron o. R iportiam o succintamente il sistem a di governo di cui pose
i fondam enti. Albino esercitò sulle risoluzioni un’ influenza che cercò in ogni m odo
di non perdere per am bizione; da cui non sempre i migliori sono esenti, o forse per­
ché sentiva insieme a molti altri la necessità di una m ano ferm a a sostegno di
un’ opera nella quale la forza aveva avuto fino a quel m om ento tanta parte.
I pensieri di fondo della m aggioranza furono soprattutto i seguenti: bisognava
deviare il meno possibile dalle forme e dai nomi dell’antica am m inistrazione rom a­
na, m a allontanarsene nella sostanza, dal m om ento che tutta l ’esperienza di tre seco­
li aveva dim ostrato la necessità di decentrare in parte l ’am m inistrazione, per preve­
nire la concentrazione cesariana del potere; era opportuno conservare, con l’appor­
to di elementi di estrazione popolare dell’Italia e delle provincie, l ’autorità della
classe patrizia, che era la più illustre delFim pero e la m aggior assertrice della libertà,
che aveva prodotto e produceva ancora i principali autori e i principali sostenitori
della riform a. L ’amministrazione centrale fu dunque rim essa nelle mani di un solo
console a vita. Il senato dovette nominare ogni quattro anni, salvo ratifica del con­
sole, cinque tribuni inviolabili: un rom ano, un italico, un greco, un gallo, e uno sp a­
gnolo, incaricati della sorveglianza generale in nome del popolo e forti del diritto di
veto, Questo diritto dei tribuni doveva essere esercitato alFunanim ità contro le leggi
e i senato-consulti, a semplice m aggioranza contro qualsiasi provvedim ento del con­
sole. Il senato era com posto, in primo luogo, dagli antichi membri a titolo eredita­
rio, poi da un ugual numero di membri nominati a vita dalle assemblee provinciali,
la cui com posizione era ordinata in m odo da assicurare la rappresentanza^dì tutte le
classi dei cittadini. 11 prim o dei consoli fu A lbino, nom inato in via eccezionale e per
acclam azione. L ’assem blea decise di adoLtare nella trasm issione del potere consola­
re, il sistema delle adozioni per i vantaggi, per Fim portanza che questa pratica aveva
avuto sotto gli Antonini e in tutte le misure che avevano preparato o com pletato la
rivoluzione. Ogni console entrando in carica doveva designarsi un suo successore,
che sarebbe stato anche il suo supplente in caso di impedimento. L ’eredità del con­
solato fu proibita.
II console ebbe fra i suoi compiti la direzione e il com ando suprem o delle forze
armate organizzate dalle leggi di Pertinace, ma col divieto di uscire d all’Italia. In
quanto pretore suprem o, fu incaricato dell’am m inistrazione della giustizia con
l’aiuto di un consiglio di giuristi designati dal senato; a lui toccavano le nomine dei
governatori delle provincie. Com e censore, fu incaricato di quanto esisteva ancora
di questa antica m agistratura. Le funzioni del pontefice m assim o, quelle dei tre
grandi flam ini, dei quindecemviri e le altre della stessa natura furono definitivamen­

83
te spogliate di ogni carattere politico ed escluse dai titoli ufficiati­
li senato infine fu investito di un diritto che gli im peratori non avevano mai
contestato» m a che era diventato puram ente nom inale: quello di giudicare e revocare
i consoli, p e r gravi motivi. Questi dovevano chiedere al senato la ratifica dei trattati
0 delle dichiarazioni di guerra, ma anche delle leggi e dell’istituzione delle imposte (12).
La costituzione Fu dichiarata perpetua e la pena di morte codificata seguendo
un antico costum e, forse poco efficace, contro chiunque ne proponesse il cam bia­
mento, Nondim eno, essa fu il primo grande esem pio, dato agli uomini, di una legi­
slazione universale, stabilita razionalmente da coloro che dovevano obbedirvi e non
più da un appello alPiniziativa di un Licurgo o di un Soione, o sotto la sanzione di
un oracolo. R om a si innalzò cosi al p ossesso meritato e alla trasform azione libera
delle sue istituzioni tradizionali. Quanto al fondam ento stesso dell’organizzazione
politica, essa restava lontana, è vero, d all’antica dem ocrazia di Atene e soprattutto
dall’idea che un filosofo può costruirsi da solo i valori sui quali m odellare il com ­
portam ento um ano, m a bisogna considerare la natura e la situazione dell’im pero.
Questo corpo politico artificiale sarebbe stato capace di una costituzione che corpi
naturali di m assa infinitamente più maneggevole non avevano saputo darsi, o di cui
1 loro stessi membri, corrotti, avevano fatto un uso indegno e che alla fine erano de­
caduti? Albino e l’ assem blea si com portarono praticam ente e risolsero problem i
pratici. L a risoluzione che avevano trovato durò quasi un secolo e ne preparò una
m igliore, che scom parve a sua volta solo in mezzo ai m ali inseparabili della decom ­
posizione della grande repubblica.
Se la giustizia e la libertà erano codificate nei costum i, si sarebbero impresse
senza fatica nelle istituzioni e lo Stato intero si sarebbe m odellato a loro im m agine.
M a queste virtù, quando si producono, si producono im perfettam ente e p ro g ressi­
vamente. Esse generano quindi leggi imperfette che progrediscono col tem po. P ur­
troppo succede che alcuni uomini giungano a dotare i loro simili, prim a del m om en­
to, di diritti che questi non richiedono o di cui non sono degni, e succede che la liber­
tà dei cittadini, incapace dì reggersi, si rivolti contro se stessa e si distrugga. Se una
tale enorm ità m orale fosse possibile bisognerebbe dire che l’eccesso dei bene ha pro­
dotto il male. M a i grandi esempi, le nobili mire, gli alti tentativi sono estremamente
belli, utili, necessari anche se, in un certo senso, condannati dall’esperienza, quasi
non conform i alla natura dei fatti sempre osservati. M a sarebbe possibile a società
in cam m ino raggiungere il fine più m odesto, se fra coloro che servono d a guida nes­
suno avesse l’intenzione di superarlo?

(12) L’autore di Ucronia dà più avanti (alPinizio del 5° quadro) ulteriori chiarimenti per la comprensione
di questa curiosa costituzione, che sarebbe stata degna di figurare, se fosse esistita da qualche parte, 500
anni prima, nel numero delle 3-400 di cui Aristotele aveva fatto l’analisi, purtroppo perduta.

84
Quarto Quadro
Dissoluzione dell'im pero. Provincie orientali. Le eresie, Le rivolte, 1 Barbari. L a
feu d alità orientale e germ anica. Le Chiese cattoliche.

L a seconda metà del X secolo della civiltà (1) era stata caratterizzata da un av­
venimento decisivo nella lotta fra l’Oriente e l’Occidente. L a crisi del modo di vivere
orientale, che dopo A lessandro, figlio di Filippo, e gli imperatori rom ani era sem­
brata per più di 500 anni sul punto dì finire a causa della corruzione irrimediabile
dello spirito occidentale, veniva giudicata in m aniera oppo sta dalla reazione trion­
fante. Il felice compimento di tanta abiezione e dolore procedeva da due di quegli
atti che la perseverante iniziativa di alcuni uomini può produrre nella storia: il prim o
era la concentrazione forzata delle sette orientalizzanti in Oriente, il secondo l’av-
vento dì una costituzione rom ana, fondata in parte sulle tradizioni di Stato e in p ar­
te adeguata ai nuovi bisogni del m ondo civilizzato.
Meno di due secoli dopo, la separazione politica fra l’Oriente e l ’Occidente era
un fatto com piuto. Se gii autori della riform a, C assio, Pertinace e Albino si fossero
proposti questo risultato nelle loro previsioni segrete, il loro patriottism o, possiam o
crederlo, non l’avrebbe deplorato. Chi ha fatto la parte del fuoco in un incendio do­
vrebbe aspettarsi di vedere il suo cam po senza tutte quelle ricchezze che ha sacrifica­
to alle fiam m e*
Non si può comprendere bene la causa e il risultato fatale della rivolta che scop­
piò in A frica e in A sia contro il governo rom ano nel 1150 (2), se non ci si form a una
idea esatta delle conseguenze sociali, legate allo sviluppo del cristianesim o, nelle
provincie. L a setta, diciam o la religione, divenuta libera e p adron a di se stevssa, non
riconosceva né potere politico, né leggi civili; dedita interamente alla sua m orale, al
suo culto, al suo dio si era d ata un sistem a di prescrizioni e regolamenti più che suf­
ficiente per ordinare la condotta e le relazioni dei suoi membri senza l’intervento di

(1) Fine del li e inìzio del III secolo dell’era cristiana.


(2) 374 dell’era cristiana; pochi anni dopo la prima divisione storica degli imperi di Occidente e d'Oriente
fra Valentiniano e Valente.

85
alcuna autorità estranea, I suoi sorveglianti (epìscopoi), che non potevano aver no­
me più appropriato, esercitavano sui fed eli una censura più e s a t t i più continua e
m olto più profonda di quella degli antichi censori della repubblica rom ana. Essendo
eletti dal popolo, concentravano nelle loro persone il diritto, il prestigio e una forza
irresistibile: la capacità di provocarne la ribellione. Disponevano di un immènso p o ­
tere religioso: la facoltà di escludere i membri infedeli. L ’intolleranza che regnava
nei cuori e il fanatism o che ispirava gli atti avrebbero ben presto fatto arrivare il m o­
mento in cui tale esclusione sarebbe stata accom pagnata da pene o da pericoli cosi
gravi, che sarebbe stata in pratica una inclusione forzata. Infine se l'antica autorità
civile fosse scom parsa, era fuor di dubbio che l ’autorità religiosa avrebbe potuto
pretendere la successione e che avrebbe applicato senza difficoltà l ’antica pena del
supplizio alla proibizione del mal fare e del mal pensare. A ppena il cristianesim o si
fu ripreso dalla persecuzione di Com m odo e potè organizzarsi liberamente nelle prò-
vincie orientali, si comprese che questa religione portava con sé un sistema completo
e definito di società e di governo.
Questo sistem a, se non fossero intervenute altre gravi cause a m odificarne Lap-
plicazione, si sarebbe sviluppato come qualsiasi produzione naturale e istintiva del
popolo. Nel suo prim o stadio era dem agogia. 1 sorveglianti, guida delle anime e
membri privilegiati delle assemblee sovrane, possedevano, è vero, un titolo vitalizio;
m a ¡ ’origine di questo titolo, la possibilità di rivolte e le sentenze dei concili poneva­
no chi lo portava alla mercè del popolo, di cui rappresentava le passioni, e dei suoi
colleghi, di cui doveva soddisfare il dogm atism o e temere la gelosia. Ci sono tutti i
tratti caratteristici della dem agogia. Col pretesto di dichiarare quanto l’autorità di­
vina aveva prom ulgato o, alm eno, quanto il popolo fedele aveva sem pre creduto, i
concili decidevano in realtà su quanto in quel m om ento era ritenuto necessario cre­
dere e praticare. I decreti venivano presi a m aggioranza basandosi unicamente su te­
sti interpretabili in ogni senso, come testim onia inconfutabilmente resisten za di una
m inoranza che non m ancava mai di testi ai quali riferirsi. M a se uno S tato , un corpo
politico può sempre ammettere che la conoscenza dell’accordo fra giustizia e verità
da una parte, e pluralità dei suffragi d a ll’altra, è solo una finzione necessaria, una
teocrazia d ovrà necessariamente considerarlo verità assoluta, essendo costretta a di­
chiarare la propria infallibilità.
Succedeva dunque che la m aggioranza pretendeva di enunciare la p arola di
D io, p arola che obbligava la direzione dei pensieri e delle azioni degli uomini e con­
dannava alla dannazione eterna ogni coscienza restia. L a m inoranza, invece, si tro­
vava ridotta al ruolo di nemico, di quello che fu mentitore fin dall'inizio. Gli infeli­
ci, che se ne facevano coscienziosam ente portatori in base a ragionam enti, o per fa ­
n atism o, o per dubbi sulla vera m aggioranza, erano im m ediatamente disonorati,
perseguitati e se fosse stato possibile, sterminati com e persone esecrabili, ricettacolo
di ogni corruzione e di ogni vizio. Se ci fosse stata la possibilità di verificare con
qualche certezza le m aggioranze, un governo, come quello al quale portava il cristia­
nesim o di quest’ epoca, sarebbe stato una dem ocrazia, senza dubbio la più oppressi­
va che fosse mai stata vista, m a in fondo ordinata, regolare, che presentava perfino
nel suo eccesso di autorità i vantaggi di un funzionam ento norm ale e im perturbabile

86
del potere. N on accadde niente! L ’unità, l ’universalità della Chiesa erano solo un
ideale. Le assem blee universali erano rare ed era possibile contestarne il titolo, cosa
che veniva fatta. Le assem blee provinciali, in lotta le uno contro le altre e con le loro
rispettive m inoranze, i sorveglianti spodestati, i successori, gli aspiranti, l ’ambizione
del clero e il fanatism o dei laici, le esaltate passioni teocratiche, la torcia e il pugnale
della rivolta m antenevano nelle regioni cristiane dell’im pero, col pretesto del gover­
no delle anim e, un’anarchia profon d a il cui rim edio, in parte duro e triste quanto il
male, era in preparazione, m a non si intraw edeva an cora (3). A proposito dei costu­
mi privati dei cristiani non c ’è alcuna ragione per non credere a quanto afferm an o i
loro autori e i loro predicatori. Tutti hanno fatto un quadro m olto oscuro. T uttavia
molti, alla scuola del cristianesim o, im paravano a dissim ulare, se non riuscivano a
dom inarsi, azioni e desideri comuni nell’antichità, m a o ra considerati vergognosi o
odiosi. È questa una delle differenze fondam entali fra la libera civiltà e il governo
delle anim e: uno fa vedere volentieri il m ale che tollera, mentre l’altro costringe a
nascondere, sotto apparenze ipocrite, le infam ie che non riesce a reprimere e tanti
atti naturali divenuti offensivi al com une senso del pudore. M a a questo punto sia ­
m o usciti dal nostro argom ento.
C osi d op o la scissione m orale dell’im pero, l’Oriente sem brava raggiungere la li­
bertà alla su a m aniera e l’Occidente alla sua. Qui riform e civili e politiche rim etteva­
no in vigore idee e costumi repubblicani. L à il potere dei sorveglianti religiosi si so­
stituiva gradualm ente a quello degli ufficiali civili, scoraggiati dal sentimento della
loro im potenza e, insieme, dall’ordine di R om a di lasciar correre tutto ciò che non
riguardava la sovranità politica form ale e la riscossione delle im poste. Siccom e que­
sto potere episcopale o di sorveglianza aveva la sua fonte nel popolo e la sua sanzio­
ne nella legge divina ne derivava, com e conseguenza, una specie di repubblica. M a
dopo questa apparente som iglianza, vediam one la p rofon da diversità. In Occidente
la tolleranza universale, la diffusione dei culti, la preminenza incontrastata dell’idea
civile assicuravano il popolo contro i! dispotism o spirituale, fatale generatore
dell’altro dispotism o che in fondo è anche peggiore. M a in Oriente la divisione della
Chiesa in sette rivali, con le stesse pretese assolute e dom inatrici, il fanatism o che
dom inava i cuori e poi la guerra nelle chiese, nelle città e nelle fam iglie obbligavano
necessariamente qualsiasi governo a tendere a ll’unità per il bisogno di pace. Se è ve­
ro in generale che l ’anarchia porta al dispotism o, doveva essere questo anche il de­
stino delle chiese cristiane: la teocrazia fram m entaria dei sorveglianti eletti dal po­
polo condusse, attraverso la mediazione di una gerarchia costituitasi spontaneam en­
te, a quello che sarebbe poi stato chiam ato semplicemente Chiesa, alla teocrazia uni­
taria di un pontefice asso lu to , padre per eccellenza, eletto dai sorveglianti che in un
secondo tempo avrebbe poi nom inato. Questa legge, se avesse agito da sola, avrebbe

(3) Non bisogna accusare questo quadro di esagerazione senza aver riletto quanto riportano gli storici a
proposito dei torbidi, delle sommosse, dei massacri, degli incendi e dei crimini ancora peggiori di cui le
eresie donatista e ariana furono occasione in Africa e in Asia durante il iv e V sec. della nostra era.

87
dunque fatto passare gradualm ente il cristianesim o dalla dem ocrazia alla aristocra­
zia, poi alla m onarchia, poi alla autocrazia pura, costituendo infine l ’esempio per­
fetto dei governi sacerdotali. Non fu cosi, almeno nel m ondo della cultura greco­
rom ana orientale.
Infatti la divisione delle sette, che nessuna autorità politica e coattiva si im pe­
gnava a restringere e contenere, rendeva quasi im possibile raccenlram ento del pote­
re spirituale e dell’autorità pontificia. D ’altra parte le istituzioni militari rimaste
mantennero» attraverso tutti quegli avvenimenti, alcuni poteri politici, detti tem po­
rali, per i quali, dal momento che erano anche divisi a seconda della natura delle co ­
se, avevano ogni interesse a impedire che un governo delle anim e, attuato attraverso
dei sorveglianti, divenisse unico e assoluto.
Il cristianesim o non poteva aver cam biato gli uomini al punto che lo spirito
guerriero dei cam pi di battaglia, soffo cato all in izio sotto il precetto ultrapacifico
non resistere m alo . Si quis te pere asserii in dexteram m axillam tuam praeb e illi et
alteram , fosse rappresentato nella pratica e nella realtà solo dal persistere dei santi
odi religiosi, dal sapiente uso delle insidie spirituali e dagli attentati, a lungo prepa­
rati e divinamente abbelliti. Siano benedette le feroci passioni di M arte, che unendo
un pò di franchezza alla violenza e un pò di sem plicità popolare a ll’astuzia, perm et­
tono ai sudditi degli Stati teocratici di essere difesi dalla pili grande degradazione!
Q uando il soldato, per una qualsiasi ragione, diventa necessario, vengon fuori i ge­
nerali e partecipano al potere. Se non ci fossero stati si sarebbero dovuti rim piange­
re, m a, dal m om ento che c ’erano, sem bravano solo una m aledizione in più. È al
funzionam ento confuso della doppia autorità che si deve la possibilità di respirare
che rim arrà ancora ai popoli.
F ra i poteri che si disputano i corpi in nome delle anime o le anime in nome dei
corpi non è difficile in via di princìpio regolare la divisione; raram ente gli interessati
hanno fallito. L 'u o m o che ha la spada si incaricherà di rendere obbligatoria, per
quanto possibile, la fede, almeno entro il recinto che la sua sp ad a traccia sul suolo;
difenderà l ’uom o di pace, organo di questa fede e gli porrà sotto i piedi il nemico ab ­
battuto: scabellum pedum tuorum . L ’ uom o di pace darà l ’ investitura dall’ alto
all’ uom o che ha la spada, gli porterà i cuori in dono e la vittoria in prom essa: auxit
te dom in as sup er haereditatem suam et liberabis populum de m anibus inimicorum
eius. Del resto divideranno fra loro gli onori é i beni che l’obbedienza dei popoli
produce, mentre entrambi cercheranno le occasioni per attribuirsene la m aggior par­
te e governare anche quelle più piccole. Fortunatam ente non sarà più facile alla fo r­
za bruta, che vedremo ben presto succedere al regime rom ano nelle provincie orien­
tali, che all’autorità episcopale, che si sviluppa già liberamente, giungere all’unità
attraverso un doppio movimento di espansione e di concentrazione. Le competizioni
e le rivalità la contrastano continuam ente. L a divisione e l ’anarchia dovranno spaz­
zarla via definitivam ente, salvo in quei rari momenti nei quali il genio di un uom o,
finché vive, trion fa sulle difficoltà del m om ento.
L ’anarchia era il risultato necessario del governo cristiano in quelle regioni che
erano divenute sua eredità. L a volontà e la santità non potevano cam biare nulla dei
decreti del destino. Una dem ocrazia religiosa, sballottata in un m are di passioni cie­

88
che, è una forza naturale e non una libera energia guidata dalla ragione. G iustizia e
leggi non potrebbero uscirne. A lla fatalità fu perm esso nascere e ingrandirsi: avrà
cosi il suo corso e ridurrà tutte le iniziative all’im potenza.
L a politica ordinata ai prefetti civili o militari di Siria, d ’E gitto, ecc. si riassun­
se infine n eirìndifferenza religiosa e non incontrò d ifficoltà. Nella m isura in cui il
rapido sviluppo delle sette cristiane creò in quelle provincie uno spirito, interessi e
passioni che assorbivano tutt’aitro principio di vita, gli agenti rom ani ricevettero
Lordine di obbedire, nelle questioni di ordine m orale, alle autorità religiose ricono­
sciute in ogni regione.
M a la distinzione nella pratica fu spesso difficile. Divenne dunque im possibile
distinguere in mezzo a diverse ortodossie, che si qualificavano reciprocam ente come
eresie, in mezzo a conflitti amministrativi o popolari che intorbidavano tutte le città,
quali fossero le autorità riconosciute dal popolo. Dal m om ento che la persecuzione
era tollerata, di diritto e di fatto, da tutti gli animi religiosi (teoricamente era perse­
cuzione p er am ore (4), in pratica e per il popolo era persecuzione brutale), l’asten­
sione del governatore politico rappresentava una vera e propria dim issione per la
quale si sarebbe condannato ad assistere, im potente, alle peripezie delle rivolte e del­
la guerra civile. Era dunque necessario proteggere una setta o reprimere l’altra. N o ­
nostante i sentimenti personali, i prefetti furono obbligati a intervenire e il risultato
di un intervento qualsiasi era quello di soddisfare i falsi amici del m om ento e crearsi
appassionati nemici.
Alcune sette, m olto caratterizzate, erano subito apparse in quasi tutte le città e
appassionavano vivamente gli spiriti. Ci riferiam o alle sette gnostiche e poi a quelle
manichee, che causarono guerre sanguinose dopo aver prodotto, alFinizio, soltanto
rivolte e numerosi scritti polemici, in cui l ’ingiuria trovava largo spazio. F ra tali set­
te si dibattevano questioni com e queste:
Il m ondo è dovuto ad un unico creatore o ad angeli espressam ente delegati da
Dio, o a eoni, a virtù emanate da questo Dio che le ignora e che, passan do in esse,
decade, m a senza sentire la decadenza e senza dim inuire la propria essenza?
Il m ondo è cattivo o soltanto im perfetto? L a m ateria è m ale? Bisogna^vincerla
astenendosene, o a b b a n d o n a tisi disprezzandola? Si devono accontentare i demoni
del male con sacrifici loro graditi o considerare il m ale meno forte del bene e prende­
re in ogni occasione le parti di quest’ultim o?
L a generazione è legittim a, indifferente o orribile? Son solo gli eunuchi che
guadagnano il regno del cielo o invece i sim boli della generazione sono quelli della
vera comunione e tale com unione deve essere universale? L a donna è im pura, o M a­
ria può essere ad orata e avere come sacerdotesse delle donne?
1 demoni del male e i criminali sono da com piangere o piuttosto da biasim are? 4

(4) Questa frase, così appropriata, è di S. Agostino. Aggiungete alla persecuzione p e r am ore la tolleranza
per prudenza e vi spiegherete le apparenti variazioni della politica ecclesiastica in materia di libertà di co­
scienza, cf. fra l’altro, Aug., Eplstube, 1 8 5 .

89
Lucifero ha niente da far valere a sua giustificazione? Si riconcilierà? È nemico fin
dal principio e lo sarà per sem pre? C aino e l ’Iscariota, grandi strumenti dei disegni
divini, l'uno consacrato, dichiarato inviolabile, l’altro previsto d alre tcm ità e neces­
sario a ll’opera della salvezza, sono santi m isconosciuti o vasi predestinati di infam ia
e di orrore?
Il corpo del Cristo era vero o era solo il fan tasm a di un corpo? Il figlio di D io,
per chiam arlo in m odo appropriato, ha sofferto , oppure il Padre placato ha sostitui­
to sulla croce una vittima illusoria?
Il Cristo esisteva prim a deirincarnazione del Verbo? Fu altra cosa dal prodotto
della partecipazione di una persona all’essenza dell’unico D io? Q uest’ultimo ha piu
di un’ipostasi? Le tre persone che gli si attribuiscono non sono semplici attributi che
il nostro pensiero ravvisa nell’unità dell’essenza? Si è incarnato Dio stesso o un u o ­
mo è divenuto l’abitazione del L o go s? Erano questi i grandi dibattiti dei sabelliani e
degli ariani che continuarono in quelli dei nesloriani e degli eutichiani m escolando
sottigliezze teologiche e spargimenti di sangue.
L a setta che aveva eccitato le più vivaci discussioni, ai tempi della grande perse­
cuzione di Com m odo e per tutta la generazione che l ’aveva vissuta, era naturalm en­
te quella dei novaziani e dei donatisti, che pretendevano di espellere dalla Chiesa tut­
ti quei membri la cui infedeltà si fosse resa m anifesta attraverso qualche atto pubbli­
co. I rigoristi esercitavano la loro severità contro quei cristiani che, di fronte alle
prove, erano venuti meno, m a la loro dottrina toccava anche gli altri tipi di peccato
m ortale e arrivava contestare il valore dei sacram enti som m inistrati d a ministri inde­
gni. M algrado i violenti torbidi che questa setta fece scoppiare in À frica e altrove,
difficilm ente avrebbe potuto resistere agli sforzi prolungati di tutto il clero interessa­
to a esercitare un’am m inistrazione senza contestazioni, a sottrarsi alPincom oda vi­
gilanza dei suoi am m inistrati e, infine, a attribuirsi com e carattere indelebile acqui­
sito una volta per sem pre, il dono di celebrare validam ente i misteri della religione."
M a il sistem a della tolleranza civile le portò ben presto un colpo definitivo elimi­
nando il più evidente di tutti i peccati di infedeltà e togliendo alla Chiesa, per Tavve-
nire, la speranza di usare il braccio secolare per espellere o mantenere i membri d a
scomunicare»
Del resto l ’unità di queste Chiese era diventata un sogno d a quando fu certo il
fatto che il potere politico, in linea di principio, non si sarebbe proposto di realizzar­
la o di conservarla. E ra senza dubbio un sogno vivo e perm anente, dal m om ento che
tutti pensavano che c ’era una sola verità, una sola fede e una sola salvezza di cui
ogni dottrina si attribuiva il possesso scom unicando tutte le altre (5). M a questa d o t­
trina, detta cattolica, era contem poraneam ente rappresentata da professioni di fede 5

(5) “ Haec est fides cathoiica — recita il simbolo di Atanasio — qviam nisi quisque fideliter firmiterquc
crcdìderit salvus esse non poterit” . Il Concìlio di Nicea termina nello stesso modo il suo simbolo pronun­
ciando l’anatema in nome delta “ Chiesa cattolica” contro chi ha opinioni diverse; cf. anche. Soc. Storia
della Chiesa, II, 41. I sorveglianti ariani nei loro controconcili pronunciavano lo stesso anatema contro
“ le eresie” che accoglievano dichiarazioni di fede diverse dalle loro.

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contraddittorie che niente al m ondo, eccetto la forza, poteva sopprim ere, e la forza
stessa non poteva impedirne la riproduzione dopo un certo lasso di tem po.
Se il cristianesim o fosse stato libero in Occidente, soprattutto a R om a (libero
prim a, padrone dopo), con l ’aiuto della pressione esercitata dalla saggezza e dallo
spirito politico degli occidentali sugli orientali, dal prestigio del seggio del sorve­
gliante rom ano vicino al seggio del governo e, infine, dalPintervento subito e nello
stesso tem po richiesto del potere temporale nel regolam ento della fede, non sarebbe
stato possibile assicurare a questa religione l’unità vera degli spiriti e dei cuori, che
non può essere com andata; sarebbe stata assicurata solo l ’unità fittizia che deriva
sempre dal dom inio arbitrario di una dottrina e d a ll’esclusione violenta delle opinio­
ni rivali. Gli avvenimenti ebbero, com e sappiam o, un altro corso e niente potè sup­
plire alle condizioni m ancanti.
L o spirito latino continuò a essere rappresentato in seno al cristianesim o, anche
quando divenne esclusivamente orientale, m a con una forza ben minore. T rovò la
sua sede principale in Palestina e in Siria. Molti cristiani occidentali, nel loro esilio,
si erano semiti attirati, come fosse la patria della loro fede, dai luoghi in cui si trova­
vano la culla e la tom ba del loro D io, mentre coloro che erano nati in Oriente resta­
rono più attaccati agli interessi delle loro terre natali, condividendone spesso le p a s­
sioni e seguendone gli sviluppi religiosi. Fu così che Gerusalem m e ricevette, oltre
agli ebrei ai quali fu riaperta, oltre a numerosi cristiani giudaizzanti, ebioniti o naza-
rei, un numero sempre m aggiore e ben presto dom inante di giovanniani e di paolia-
ni, venuti d a ll’ Italia e dalle provincie rom ane, che si distinguevano, in generale, d a ­
gli orientali per un fanatism o meno raffin alo , una tendenza m inore alte speculazioni
teologiche, una m aggiore praticità, un’abitudine a risolvere i problem i non tanto a t­
traverso il ricorso ai principi e alla dialettica disinteressata, quanto attraverso l ’esa­
me delle conseguenze e la considerazione dell ’utilità* L a città di Antiochia, nella sua
qualità di grande m etropoli, divenne un centro analogo a G erusalem m e; gli occiden­
tali vi fecero trionfare la loro influenza in più di una occasione. Fra tutte le regioni,
l’A frica forni allo spirito latino l ’appoggio principale, a causa della ostilità verso la
filosofia e le scienze che in essa dom inava. In A frica si vide la sottom issione più cie­
ca a pretesi misteri, le cui formule ufficiali erano piene di contraddizioni fT a ssu rd i­
tà non ebbe paura di vantare il proprio titolo. Il più illustre dei vescovi poteva soddi­
sfare i fedeli conferm ando loro che il suo m odo di esporre il mistero non aveva la
pretesa di dire qualcosa, m a voleva solo evitare il silenzio totale (6).
A lessandria fu una fucina di dogmi teologici e m etafisici. Vi predom inarono i
sistemi del m isticismo più trascendente e tutta la dottrina che abbiam o com preso
sotto il nome comune di orientalismo. L ’Egitto m eridionale fu fin d all’inizio il ritro­
vo preferito del monacheSimo cristiano, la sede delle pratiche ascetiche: gli eremiti6

(6) “ Non ut aliquid diceretur sed ne prorsus tacerctur” ; crediamo che tale frase sia del vescovo di Ippona.
Per quanto riguarda l’assurdità che vanta il suo titolo, probabilmente allude alla strana professione di fe­
de: “ Mortuus est Dei Filius: prorsus credibile est quia ineptum est: et sepultus resurrcxii: certum est quia
impossibile est1'. Tertul.. De carne Chrisii, cap. V.

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P aolo e A ntonio vi fecero i loro esercizi nell’X I secolo (7) e m olto prim a il cenobiti­
sm o ebraico aveva avuto un grande insediam ento vicino a A lessandria: il m onastero
dei Terapeuti. L a dottrina di Origene, che nacque in questa città, è im portante an­
che per le sue affin ità dogm atiche con le religioni dell’ estrem o Oriente, oltre che per
il carattere ascetico della sua m orale; O rigene stesso si era fatto eunuco per il regno
di D io, seguendo un precetto dei suoi autori inteso in m aniera più o meno giusta (8).
E ducato dal suo m aestro, Clemente, nella filosofia platonica, che allora era una sor­
ta di religione, aveva insegnato la preesistenza delle anim e e, interpretando i testi
delle scritture ebraiche in senso allegorico, che è sem pre adatto a ogni opinione pre­
concetta, aveva fatto risalire il peccato dell’uom o ad esistenze precedenti e aveva
considerato la vita attuale com e punizione. Secondo lui, ognuno di noi quaggiù co­
struisce il proprio destino con le opere, aiutato nel fare il bene dalla azione di un m e­
diatore eterno, il L o go s, personificazione universale dell’ Idea, che si incarna per la
salvezza dei peccatori. Q uesta dottrina, vivacemente com battuta a Antiochia e d a
tutti i sorveglianti, derivava dallo spirito latino e quindi non acquistò tutta l ’im por­
tanza che le si poteva pronosticare. Le discussioni sulla natura di Dio e del Figlio
precedettero quelle relative a ll’anim a um ana, alla libertà e a ll’origine del male. È
un triste segno di avvilimento m orale volere spiegare com e l ’unità di Dio sia com pa­
tibile con l’incarnazione di una sola delle persone che, secondo tali pretese, lo costi­
tuiscono invece di cercare di conoscere se stessi e spiegare le miserie um ane.
A A lessandria com inciarono o confluirono in gran parte queste ricerche sulla
trascendenza. Cristiani di Sm irne o di E fe so avevano g ià divulgato nell’ im pero, sen­
za destare grande scandalo, l’opinione che Dio Padre era stato personalmente croci­
fisso. L ’argom ento di cui si servivano sarebbe stato del resto m olto difficile d a con­
trobattere per chi credeva nella divinità del Cristo se, in un caso come questo, i sillo­
gismi potevano pretendere una qualche autorità. Dicevano: il C risto è D io, il Cristo
è m orto, dunque D io è m orto. Di fatto per il logico c ’è solo una m aniera di sfuggi­
re alla consequenzialità del ragionam ento premettere che la p arola D io si prende in
senso attributivo e non in senso individuale e personale, quando si dice: Il Cristo è
D io. È quanto fece Sabellio, un cristiano della Pentapoli libica, che sostenne che le
tre pretese persone, o ipostasi divine, sono semplicemente tre nom i e tre form e di un
solo D io, a seconda che crei, che si incarni o che ispiri le anim e. Pressoché identica è
l’argom entazione dei suoi contraddittori che, pur mantenendo l’esistenza delle tre
persone, continuarono a afferm are che la persona del L o go s fosse una per natura e
sostan za con quella del P adre. Solo i p atrip assian i, cosi venivano chiamati perchè
facevano soffrire il P adre, erano conseguenti: gli om eusiani o atanasiani, assertori
della consustanzialità di Dio e di Gesù, si condannarono a perpetue contraddizioni; 78

(7) Il III dell’era cristiana,


(8) “ Dico autem vobis quia quicumque dimiserit uxorem suam nisi ob fomicationem. et aliarti duxerit,
maechatur (...). Dicunt ei discipuli: Si ita est causa hominis cum uxorem non expedit nubere. Qui dixit (...)
sunt eunuchi qui se ipsos castraverunt propter regnum codorum. Qui potest capere capiat” . M a t h XIX, 9.

92
era infatti im possibile che si intendessero fra loro e dessero un solo senso alle loro
parole, quando afferm avano Punità sostanziale, o di natura, di due persone e, con­
tem poraneam ente, Pincarnazione di una solo di esse separata dall’altra. Il dilemma
uno o m olti, m onoteism o o politeism o, li seguiva nei loro dibattiti e torm entava i lo­
ro pensieri e le loro professioni di fede.
Solo Parianesim o usciva nettamente d a questa difficoltà. Com inciò prim a di
A rio nella dottrina di Paolo di Sam osata, sorvegliante di A ntiochia, che insegnò,
verso la m età del secolo X I (9), che Gesù era un uom o, vero uom o, nel quale il L o ­
gos aveva solo abitato come principio attivo. Non si trattava orm ai degli àlogi
dell’A sia minore, che contestavano l'intera dottrina del Verbo e rifiutavano il quar­
to Vangelo, o dei m onarchiani, secondo i quali G esù, figlio di una vergine non era
che il più grande dei profeti; l'incarnazione del L o g o s faceva decisamente corpo col
cristianesim o. Il problem a era sapere fino a qual punto e con quale form ulazione si
sarebbe spinta la identificazione o la distinzione fra D io, in se stesso, e il C risto D io.
P aolo di S am osata era protetto da Zenobia che, sotto il nom e di regina
d ’Oriente, era arrivata in quel periodo ad estendere l ’impero arabo dalla M esopota-
mia fino ad alcune provincie dell’A sia Minore e della Siria, sulle quali la politica ro ­
m ana stava abbandonando le sue antiche pretese.
I sinodi riuniti a Antiochia nei 1040 e nel 1045 (10), malgrado l ’intromissione pe­
sante di questa illustre persona e m algrado la antipatia che la m aggior parte dei cri­
stiani arabi e siriani m ostrava per l’identificazione di Gesù col Dio A ssoluto, furono
travagliati dal fanatism o sabelliano o patripassiano al punto da condannare l’op i­
nione del sorvegliante e incriminare i suoi costum i, fatto abituale in simili casi.
Queste assemblee condannarono anche il sistem a om eusiano che si era ripro­
messo di vincere, effetto deH’ordinario equilibrio di tutti i giochi politici. Qualche
anno dopo, quando il partito che aveva contato di riaccendere Io spirito patriottico
del governo della repubblica rom ana cercando di allestire una spedizione siriana
contro la Regina d ’ Oriente aveva perso ogni speranza di raggiungere l'obifettivo,
Paolo fu padrone della situazione e potè riunire a suo piacim ento nuovi sinodi che
gli dessero la piena approvazione. Del resto è bene notare che quello, che abbiam o
chiam ato spirito latino, aveva influenza in Siria e Palestina e non aveva un interesse
dottrinale o sacerdotale preciso per preferire una dottrina a ll’altra. S i può anche
pensare che questo spirito, lasciato perfettam ente libero, fosse più vicino a ritenere
G esù un Dio più um ano, che al dogm a, inintelleggibile e affatto orientale, che lo fa
emanazione dell’assoluto e assoluto lui stesso in quanto sostanza. Si trattava dun-

(9) III dell’era cristiana, verso il 274. L'autore, che prolunga 2’esistenza del regno di Zenobia distrutto nel
273 dall’imperatore romano Aureliano, cambia in successo la condanna pronunciata contro Paolo di Sa­
mosata nel sinodo di Aniioehia; infatti questa condanna potè aver esito solo dopo la caduta di Zenobia,
protettrice del Vescovo.
(10) 264 e 269 dell'era cristiana. Questi sinodi sono storicamente certi come anche la condanna della teo­
ria omeusiana nel secondo.

93
que soltanto del desiderio di aprirsi una via fra opinioni contrarie dife sem bravano di
ugual peso e im portanza. M a dal m om ento che le più im portanti provincie d ’Oriente
si pronunciavano in un senso e che l’ autorità rom ana lasciava far tutto, era saggio
assecondare il movimento.
, C inquanta anni più tardi l’Egitto era come la Siria: fatto particolarm ente im­
portante in un paese che fino a quel m om ento era stato uno dei principali centri del
m isticismo e dove, proprio in quegli anni, un filosofo pagan o, G iam blico, diffon de­
va idee, magiche e teurgiche, a confronto delle quali le pretese del culto cristiano
sem bravano ragionevoli e m oderate. A rio, pastore di A lessandria uscito dalla scuola
di Antiochia, insegnava, più o meno come aveva fatto Paolo di Sam osata, che il F i­
glio era Dio per partecipazione e non per sostanza, uguaglianza o contem poraneità e
che i nomi Dio, Verbo e Sapienza gli convenivano solo per un dono di Dio stesso,
che lo definiva come la sua prim a e più perfetta creatura, creata dal nulla p e r su a vo­
lontà p rim a di ogni tem po e creatrice a sua volta di tutte le cose, m a in fondo creata.
Un sorvegliante di quei m omento, A lessandro, non la pensava allo stesso m odo;
pensava uguali e coeterni sia il Padre e che il Figlio, anche se generato, e fece desti­
tuire il pastore Ario da un Sinodo di sorveglianti d ’Egitto e di Libia. Fu subito riuni­
to un contro-sinodo nel quale alcuni sorveglianti dell’A sia m inore e della Siria pro­
testavano contro Alessandro in favore del suo sottoposto che, del resto, era sostenu­
to da m olte e vive sim patie proprio nella sua Chiesa. In altri tem pi, quando l’ autori­
tà politica era più disposta ad intervenire nelle dispute religiose, si sarebbero rivolti
volentieri al potere tem porale per pregarlo di rendere la p a ce alla Chiesa, cioè di ri­
correre ai mezzi m ateriali necessari per mettere un accordo apparente nel cam po spi­
rituale. Un uom o di Stato, un im peratore, se fosse stato un vero im peratore, non ve­
dendo quale interesse poteva raccogliere nella d isputa avrebbe detto ai preti conten­
denti (11): “ Q uanto vi divide mi sem bra di scarsa im portanza e non vale la pena che
vi accaloriate a questo punto. Chi ha posto la questione ha avuto torto e chi ha ri­
sposto avrebbe fatto m eglio a tacere. Queste sottili ricerche servono ad esercitare lo
spirito di persone che hanno troppa libertà. D ovrebbero alm eno tenerle segrete, per­
ché le persone più sottili faticano a comprenderle, il popolo non le capisce per nulla
e fanno nascere un pericolo di rivolte. In fondo pensate tutti le stesse cose. Im itale
allora i filosofi che possono discordare su una o l ’altra conseguenza dei loro principi
comuni anche se sono della stessa setta, senza che la discussione im pedisca loro di
vivere d ’accordo. E voi sareste obbligati a ciò in m odo particolare dai sentimenti di
pace e di carità di cui fate professione” .
Se questa esortazione fosse rim asta senza effètto, cosa probabile, il capo dello
Stato, a dispetto dei sentimenti di pietà di cui faceva m ostra, volendo tenere i sorve­
glianti interni (12) in uno stato conveniente di fronte al popolo e nello stesso tem po

(11) Questa infatti è la sostanza di una lettera di Costantino al vescovo di Alessandria e ai prete Ario. Cf.
Eus., Vita di Costantino, II. LXIV e seg. e Soc., Storia della Chiesa , I, VII.
(12) Sono ancora termini di Costantino.

94
docili alla sua autorità sovrana, in quanto sorvegliante esterno li avrebbe convocati
dai quattro punti deirorizzonte, scortati con grandi spese attraverso le provincie,
trattenuti e mantenuti dove si svolgeva il concilio, ricevuti solennemente nel sua p a ­
lazzo, alla sua tavola o al suo fianco (13), e alla fine rim andati a casa pieni di doni,
dopo aver ottenuto, in un m odo o nell’altro, la loro totale adesione alla proposizio­
ne di fede più prudente e più indicata a essere accettata (14). Q uattro o cinque m em ­
bri del concilio si sarebbero ostinatam ente schierati d alla parte op p o sta: sarebbero
stati esiliati e, senza dubbio, due o tre di loro si sarebbero ricreduti. Inoltre il potere
tem porale si sarebbe incaricato di prom ulgare nel m ondo l ’anatem a pronunciato
contro l ’eresia, di diffondere la form ula della verafìd es, ne varietur; di m andare alle
fiam m e i libri contenenti opinioni condannate e alla m orte le persone colpevoli di
possederli (15).
L ’effetto di queste m anovre, insignite del nom e di operazione dello Spirito San ­
to, sarebbe durato fino a un altro attacco della stessa eresia o di una nuova, che sa ­
rebbe stata com battuta con gli stessi mezzi, dal m om ento che l ’opinione dom inante
era sem pre qualificata com e la so la cattolica alla semplice condizione di non dispia­
cere ad alcuna autorità capace di impedirle di essere tale.
Le cose non andarono cosi, perché i m agistrati civili si astennero da ogni intro­
m issione nell’am m inistrazione della fede. I sorveglianti, inquieti per la divisione che
si creava nella Chiesa, divisione più grave di quella provocata dalle num erose eresie
conosciute fino a quel m om ento in quanto tendeva a dividere il cristianesim o in due
parti inconciliabili e uguali, furono obbligati a decidere per proprio conto di rad u ­
narsi e conquistare l ’unità coi propri sforzi. A N icea, in Bitinia, dove si riunirono in
gran numero una prim a volta, non arrivarono a mettersi d ’accordo, perché né Luna
né l ’altra delle dottrine rivali poteva affidarsi a ll’aiuto del braccio secolare, e nessu­
na paura, nessuno scoraggiam ento anticipato era capace di trattenere i sorveglianti
nel loro seggio, nessun potente appello e nessun soccorso poteva farne arrivare altri;
al contrario, dal m om ento che la situazione spìngeva tutti i più anim osi a presentarsi
nella lizza, le sedute finirono in lunghe e violente discussioni e si conclusero con reci­
proci anatem i sui diversi argom enti.
Non si arrivò nemmeno a form are una m aggioranza in grado di im porsi su quel
punto del culto che riguardava, per cosi dire, l’spetto m ateriale della fede e che era
im portante per la sua apparente unità: la scelta del giorno per la celebrazione della
Pasqua. Inoltre alcune opinioni allora disprezzate nelle principali m etropoli cristia­
ne, m a che avevano conservato num erosi rappresentanti in luoghi lontani o dispersi,
si incontrarono in fo rza: non solo furono visti dei sabeiliani che, si sapeva, erano
sempre m olto forti, m a anche dei continuatori del docetism o dei tempi dell’A posto-

(13) Cf. Eus., Vita di Costantino, III, XV,


(14) Cf. Eus., op. cil., Ili, XIII.
(15) Soc., Storia della Chiesa, I, IX.

95
10 P a o lo , degli àlogi e dei patripassiani dichiarati, e, per l’opinione inversa, degli
ebioniti che si rifacevano quasi esclusivamente alla cultura ebraica e iéfine dei m ani­
chei venuti dalla vicina Persia e d a qualche altra provincia.
Il risultato non era incoraggiante per ricom inciare coi concili detti ecumenici. I
Padri del Concilio di N icea avevano costituito, in fin dei conti, una m aggioranza,
anzi più m aggioranze, co sa che succede sem pre sulle diverse questioni, m a fu loro
più facile fingere a parole che far credere ai più ingenui che Isp ira z io n e del Cielo
avesse, per esem pio, come organo 201 votanti contro 200, e le suggestioni di Satan a,
200 votanti contro 201. Del resto, appena sciolto un concilio, se ne riuniva uno n uo­
vo in un altro luogo, con la pretesa, difficile d a giudicare, di essere non meno ecu­
menico del prim o per com posizione e non m eno cattolico per dottrina; questo pro­
cedeva alla condanna dei dogm i che Paltro aveva approvato e a ll’approvazione di
quelli che aveva condannato.
A com inciare d a questo m om ento, concili rivali o nemici si riunirono continua-
mente in diverse provincie dell’Oriente. Oltre le dottrine sottom esse ai loro delibera­
ti e form ulate in mille m odi, venivano portate innanzi a loro terribili questioni che
toccavano le persone e le rivalità fra le autorità spirituali. Un sorvegliante era stato
caccialo violentemente dai suoi am m inistrati e sostituito d a un santo o d a un intri­
gante che per caso p assav a d a quelle parti; un altro si era visto deposto dai sorve­
glianti dei paesi vicini; un terzo era stato espulso e rim esso sul seggio d a una truppa
di fedeli arm ati usciti dalla città vicina. In tutte le città di una certa im portanza n a­
scevano quasi quotidianam ente risse e rivolte sanguinose. N on erano rari nemmeno
i m assacri di ebrei, oggetto di un odio atroce, dal m om ento che i dogmi circolanti li
definivano deicidi, e di settari inoffensivi che venivano accusati di qualche enor­
m ità. L a polizia rom ana interveniva, a dire il vero, nel reprimere gli attentati contro
11 diritto comune, m a il più delle volte non riusciva a constatare i fatti e a trovare te­
stimoni che non fossero parti in causa e che volessero parlare. Aveva giò m olto d a
fare per proteggere i vecchi edifici sacri, capolavori delirarte, contro le imprese
dei devoti, le cattedre dei filosofi indipendenti e la libertà dei cittadini legati agli an ­
tichi culti. Prendeva a poco a poco l ’abitudine di chiudere gli occhi su ciò che avve­
niva fra i seguaci di sette diverse, per quanto grave ciò potesse essere, in una parola,
di disinteressarsi di ciò che orm ai costituiva la vita del popolo.
Le istruzioni, date dai consoli successori di A lbino ai governatori delle provin­
cie orientali, furono trovate, ad un esam e superficiale, del tutto simili a quelle che
guidavano m olto tempo prim a la condotta dei procuratori rom ani in G iudea e nelle
colonie ebraiche o addirittura più tolleranti; identiche perciò furono le conseguenze
di una politica per la quale, del resto, non c ’era scelta: il popolo si divideva in fazio­
ni e in lotte locali e la guerra religiosa aveva, per così dire, preso tutte le menti, men­
tre som m osse continue si verificavano contro l’autorità civile che veniva im posta
d all’esterno; infatti in questa concezione religiosa il potere politico era inutile, o p ­
pressivo e scandaloso. Sotto il consolato di Ulpiano e negli anni successivi, verso la
fine del X secolo (16) c'erano stati, è vero, dei tentativi per organizzare in Oriente as­
semblee municipali e provinciali che, aggiungendosi alle libertà dei sudditi rom ani,
sarebbero servite ai proconsoli da punti d ’appoggio per governare i loro dipartimen­

96
ti. M a questi consigli elettivi, ai quali per prudenza era stato accordato solo un voto
consultivo in ogni m ateria, erano divenuti ben presto im possibili a causa dello spiri­
to fazioso e volgare che era emerso in essi e a causa della assoluta m ancanza di giu­
stizia e razionalità che quasi ovunque vi si poteva notare. Sarebbe stato necessario
scioglierli e non convocarne altri. Il potere sì trovava completamente isolato e m o­
ralmente distrutto. NeIP845 (17), due secoli e mezzo prim a, solo Gerusalemme aveva
fatto dubitare per un m om ento della forza di R om a. A quel momento m olte grandi
provincie, arrivate ad un 'an aloga situazione, si avvicinavano a una rivolta generale
per l ’influenza dello stesso spirito che aveva anim ato gli ebrei; solo m om entanea­
mente i cristiani se ne erano liberati, quando la consapevolezza precisa delle loro de­
bolezze aveva costretto Vapostolo delle genti ad afferm are il principio della sotto-
missione ai p oteri stabiliti d a D io .
In una situazione così critica era difficile prevedere le decisioni dei consigli di
R om a. G ià nelle assem blee rappresentative, che continuavano a riunirsi in virtù del­
la costituzione di A lbino del 977 (18) riform ata come si vedrà, nel 1068 (19), erano
nate vive proteste contro tutti i sacrifici richiesti d alla volontà di mantenere il dom i­
nio delle provincie orientali. L a repubblica, si diceva, ne avrebbe ricevuto uno scar­
so vantaggio e diventava im possibile ogni giorno di più conciliare spiriti così diversi
come quelli dell’Oriente e dell*Occidente e nessuna forza poteva tenere unito ciò che
l’incoercibile volontà dei cuori separa.
C ’erano deputati che rim proveravano al governo rom ano l’ingiustizia di tributi
imposti a nazioni che si pretendeva fossero nell’im pero e che pagavano per la sotto-
missione una som m a m aggiore di quella necessaria alla loro am m inistrazione, anche
se questo eccesso di im poste non copriva il costo della sottom issione. Questo lin­
guaggio trovava un eco m aggiore in quelle provincie della repubblica i cui eserciti
regionali venivano stornati dalla difesa della loro patria per andare a form are guar­
nigioni in terre lontane e la cui gioventù veniva decim ata d a un m om ento a ll’altro a
causa di spedizioni per le quali non sentivano alcun interesse.
M a la politica di evacuazione sollevava contro se stessa gli stessi argomenti,
fondati su un falso patriottism o, che avevano già determinato la rovina di Atene fa ­
cendole sognare l ’impero della Grecia, Vanno aggiunte, a questo, abitudini m ilitari,
conservate naturalmente dalla m aggior parte di chi aveva incarichi politici e dalle
quali pochi sono stati i governi che hanno saputo liberarsi.
Alcuni grandi avvenimenti, che si preparavano orm ai d a più di due secoli e che
alla fine precipitarono, resero più facile o addirittura inevitabile la soluzione del
problem a. Gli Antonini e i consoli che successero loro avevano dovuto costantemen-

(16) Il dell'era cristiana.


(17) 69 dell’era cristiana.
(18) 201 dell’era cristiana.
(19) 292 dell’era cristiana.

97
te difendere le frontiere attaccate o m inacciate dai barbari. Anche dopo aver saggia­
mente abbandonato alcune provincie troppo lontane, la situazione jpmaneva prati­
camente la stessa. In Oriente, Persiani e A rabi si erano trovati pressati dalla necessi­
tà di invadere l ’Im pero. In queste regioni erano sem pre possibili, agli eserciti rom a­
ni, gravi sconfitte come quella di C rasso , se non si fossero ritirati ulteriormente. In
Occidente numerose tribù scite, m ongole e germaniche si concentravano ai confini
di regioni poco popolate come le due M esie, la Dacia e la stessa T racia e azzardava­
no incursioni, depredavano i coloni, tentavano insediamenti stabili e non potevano
essere inseguite senza gravi pericoli quan do, battute, si ritiravano nel deserto. Du­
rante il corso d e ir x i secolo (20) molti consoli avevano organizzato spedizioni contro
i D aci, i Sarm ati, gli A lani, i Vandali, i G oti, i Burgundi nella M esia, nella T racia, in
Pannonia, nelPIllirico, perfino in M acedonia e contro i G oti in A sia M inore, contro
i Persiani in Arm enia e in Siria. E non è tutto. Alcune tribù germaniche, franche,
erule e sveve avevano diverse volte m inacciato la G allia sul Reno, l’Italia sulle Alpi o
la Grecia dal nord. Alcuni Franchi, spinti in Spagna dove non avevano avuto paura
di arrivare per m are, si erano buttati sulP A frica, considerata sicura, saccheggiando­
la e dev astandola dalle colonne d'È rcole fino alla Pentapoli libica. Indubbiamente le
provincie occidentali si trovarono abbastan za sicure dai pericoli più gravi grazie alla
organizzazione m ilitare prevista dalla costituzione di A lbino; m a le orde che veniva­
no annientate sulle frontiere ben difese si riversavano inevitabilmente a est e, discen­
dendo il corso del D anubio, andavano a riunirsi in quelle provincie dell’im pero in
cui il governo rom ano non poteva contare su milizie locali e doveva difendersi con
arm ate portate da lontano, spesso insufficienti a custodire territori tanto vasti. A n­
che in A sia era stata tentata l'organizzazione di tali milizie, m a fu necessario rinun­
ciarvi fin dai primi tentativi, perché si dim ostrarono turbolente o infide e poco sicu­
re; in queste regioni infatti lo spirito militare si era m anifestato solo nel brigantaggio
e il fanatism o religioso era Punica forza capace di muovere gli animi. Nelle regioni
danubiane e in qualche altra, ancora scarsam ente civilizzata, l ’insufficienza della
popolazione aveva gli stessi effetti dell’indisciplina.
Unico rimedio per la Dacia e la M esia, provincie che difficilm ente si sarebbero
potute popolare, difendere o abbandonare, era la concessione di alcuni di questi ter­
ritori alle tribù germaniche ancora nom adi e in cerca di insediamenti fissi. Più di una
volta fu presa questa decisione dom andando ai coloni di pagare un’ im posta e di g a ­
rantire la sicurezza delle frontiere. M a non bisognava nascondersi che una tal politi­
ca, se non era solo un pericoloso espediente, m irava chiaramente a creare delle n a­
zioni che prim a o poi si sarebbero rese indipendenti d a R om a. U sando loro un buon
un buon trattam ento si poteva sperare di averle amiche e m odellarle secondo la cul­
tura occidentale, m a non si poteva mantenere a lungo il dom inio di popolazioni di
tal carattere. I governi di R om a non ebbero questa lungim iranza e non furono nem­
meno leali nei rapporti coi barbari che, d o p o il loro insediam ento, divennero perico­

(2 0 ) D a l 2 2 4 a l 3 2 4 d e ll’e r a c r istia n a .

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losi come prim a, per la pressione di altre tribù, che privò le prime dei territori e li co­
strinse nuovamente alla vita errabonda con grave danno di tutte le provincie: alcune
furono invase, altre almeno minacciate.
L a prima metà del X II secolo (21) aveva avuto una storia militare quasi identica
a quella del secolo precedente e i consoli, in generale, erano riusciti a mantenere lo
stato di fatto evitando spedizioni di conquista. A lPim provviso la grande spinta degli
Unni, spingendo in avanti gli Alani e i G oti, gettò in una irrimediabile anarchia tutte
le parti dell’impero ancora disorganizzate. Questa terribile invasione coincise con la
rivolta di tutto l ’Oriente cristiano. L a Siria, l’Egitto, l’A sia M inore, la T racia stessa
e l’A frica, regioni cosi lontane le une dalle altre, m a unite dallo stesso odio e dalle
stesse superstizioni, passaron o d a una condizioni di rivolta endemica a uno stato di
insurrezione totale e violenta contro il comune nemico, straniero, em pio e collettore
di im poste: il governo rom ano che opprim eva i popoli di D io. I sorveglianti, capi di
un movimento che eccitavano senza mettersene alla testa, palesemente non capivano
che sottraendosi alPegem onia occidentale si sarebbero consegnati ai barbari; forse
pensavano di trarre m aggiori vantaggi da questi ultimi che dagli Italici, dai Greci e
dai G alli, convertirli e fare di essi un docile strumento del loro dom inio spirituale.
Pur votando le loro provincie a mali pietosi, a incursioni continue, a rivalità tribali,
al saccheggio di città e cam pagne, all’insicurezza della vita e della proprietà, spera­
vano di ottenere il rispetto degli invasori, in buona parte già cristiani, per le persone
e i beni della C hiesa, dal m om ento che in questa valle di lacrime il di più è assoluta-
lulamente superfluo e solo ciò che serve a guadagnare il cielo p u ò interessare chi so f­
fre.
L ’im pero non aveva traversato una tale crisi dai tempi di M arco A urelio A nto­
nino, ed essa poteva essere superata solo con una grande rivoluzione. Q uando le n o­
tizie delle rivolte dei cristiani e delle contemporanee avanzate dei barbari giunsero a
R om a, nel 1152, vi nacque un enorme fermento; la stessa cosa successe in parte
dell’ Italia, e le deliberazioni del senato divennero tum ultuose e violente. 1 cittadini
vicini alla sede del governo sono sempre più preoccupati degli interessi generali e de­
cidono per motivi patriottici più di quanto non facciano, di solito, gli abitanti delle
provincie attaccati alla loro tranquillità e contrari a tutto ciò che può richiedere loro
sacrifici. Nel caso che esam iniam o erano questi ultimi i veri saggi; l ’antico impero
era ormai impossibile ed essi ne reclamavano l'abbandono: la ragione e la pace p arla­
vano lo stesso linguaggio degli abitanti delle provincie, anche se per i più, probabil­
mente, era solo una m anifestazione di egoism o. Non deve sorprendere il fatto che i
vecchi rom ani, e quelli che la pensavano come loro, fossero rim asti più attaccati alle
antiche tradizioni della repubblica e dell’im pero e si sentissero profondam ente tur­
bati al pensiero della decom posizione di quest’opera dei secoli che per un momento
era parsa in grado di realizzare la pace perpetua dell’ universo sotto l’egida di R om a.
La m aggior parte dei senatori originari dell’ Italia centrale, un gran num ero di sena­

(2 1 ) F r a il 3 2 4 e il 3 7 4 d e i l ’ e ra c r is t ia n a .

99
tori greci, m acedoni e delle regioni danubiane, paesi che per la rini|pcia al dom inio
deirO riente si vedevano minacciati di isolam ento su alcune frontierére privati del Io-
ro territorio di influenza comm erciale verso levante, infine tutti gli uomini che ave­
vano passioni militari o che erano presi d airid e a di una politica di espansione indefi­
nita e di suprem azia universale si pronunciavano con tale energia per la guerra ad ol­
tranza e la rivendicazione dell’impero che chi riteneva più opportuna la rassegn azio­
ne e la pace aveva tutto d a temere. A R om a il fermento popolare si m ostrava nello
stesso m odo. L a popolazione di questa m etropoli era enormemente cresciuta, supe­
rando di m olto, nel periodo della giusta m a centralizzata amm inistrazione degli in­
teressi delle provincie, il numero di abitanti che aveva raggiunto al tem po della ti­
rannia dei proconsoli. Queste grandi m asse erano spinte, in tali circostanze, non so ­
lo da una m escolanza di passioni deche o nobili capaci di sollevare popoli, m a anche
da numerosi interessi che lo sfruttam ento delle provincie orientali creava necessaria­
mente a R om a.
Il senato era dunque diviso in due parti inconciliabili; infatti i rappresentanti
delle provincie, che volevano limitare l ’azione politica della repubblica all’organiz-
zazione e alla d ifesa delle provincie occidentali, erano arrivati a un grado di esalta­
zione e di furore quasi identico a quello dei loro avversari. I due partiti si rivolgeva­
no a vicenda le più gravi m inaccie; più di una volta, in pieno senato, il pugnale era
stato estratto dal fodero. Il partito della pace, o meglio della guerra puram ente di­
fensiva, sem brava tuttavia m aggioritario: in alcune votazioni preliminari sulle gran ­
di risoluzioni aveva ottenuto la m aggioranza. Il partito della conquista si dava m ol­
to da fare all’esterno, si era chiam ato partito di R om a e incitava le m asse urbane
esasperate alla violenza contro quei senatori che definiva federalisti e che accusava di
volere la dissoluzione completa dell ’im pero. Per due volte il senato fu invaso da una
folla, qualificata dai suoi capì come p o p o lo rom an o, alla quale attribuivano i! dono
dell ’infallibilità e il privilegio del patriottism o. Sotto la spinta della follia e del terro­
re, che in simili giorni arrivano a dom inare gli animi, l ’augusta assem blea si m utilò
con le proprie mani e fece a pezzi la costituzione della repubblica. Q uale autorità po­
teva rimanere a rappresentanti che nei loro colleghi violavano il solo titolo al quale
potevano appellarsi? Venti eminenti deputati scelti fra tutti i collegi furono messi
sotto accusa e condannati a morte da un tribunale iniquo istituito per la circostanza
e, per giunta, in violazione della grande e antica legge che proteggeva i cittadini ro ­
m ani, legge che non era stata violata quasi m ai, se si esclude il nefasto periodo degli
im peratori. Più di trecento senatori lasciati liberi tornarono proscritti nelle loro pro-
vincie dove diffusero uno spirito fatale all’unità di R om a e furono cosi costretti a
giustificare un’im putazione che prima non avevano m eritato: quella di aver voluto
sostituire un legam e puram ente federale fra le principali parti delPimpero all’ unità
del governo.
Il partito vincitore orgnizzò il suo dom inio in un senato m utilato, istituì una
dittatura annuale all’inizio e, subito d op o, decennale, a dispetto di quanti sapevano
come la sospensione della libertà porti im m ediatamente alla sua fine. Fu nom inato
dittatore lo spagnolo Flavio Teodosio al quale furono aggiunti quattro consoli a lui
subordinati fra cui il pannonico G raziano, un generale di nome Clemente M assim o

100
che allora com andava (’ esercito della Bretagna e il gallo A rbogaste. A questi ultimi
due spettava il com pito di mantenere sottom essa la G allia fino al m om ento in cui
T eodosio avesse com pletato la cam pagna d ’Oriente. Il com pito di tenere testa ai
barbari che m inacciavano parecchie frontiere, di battere quelli che occupavano la
Tracia e arrivavano fino a Bisanzio, quelli che si erano insediati in A sia M inore e in
Siria, di respingere i Persiani e gli A rabi orm ai padroni di molti altri punti e, poi, di
assogettare provincie in cui R om a aveva, orm ai soltanto pochi am ici, era certa­
mente un com pito difficile, A causa della piega che gli avvenimenti avevano pre­
so da venti anni, quasi tutti gli uomini che credevano nel governo della repubbli­
ca e n eiran tica religione giudicavano intollerabile il loro soggiorno nelle provincie
cristiane. Di conseguenza, una emigrazione volontaria di cittadini da Oriente a Occi­
dente com pletava di giorno in giorno gli effetti della emigrazione forzata d a Occi­
dente ad Oriente com piuta dai settari due secoli prim a. T eodosio non arrivò a impe­
gnarsi in questa im presa più che ingrata. L a gravità dei problemi in G allia e in S p a ­
gna richiam ò il dittatore. Queste provincie rifiutavano di lasciar partire ì loro con­
tingenti militari sia perché si sentivano insicure nella difesa sul Reno e sui Pirenei,
sia perché i cittadini erano decisamente stanchi di questa continuazione della politi­
ca imperiale da parte della repubblica d ’Occidente, sia perché venivano alla luce idee
di indipendenza. A rbogaste, trascinato dalla m anifestazione di un profondo senti­
mento nazionale, tradiva il suo com pito di console rom ano e M assim o era costretto
a seguire lo spirito tutto bretone e gallo della sua arm ata. T eodosio si vide così co­
stretto a rientrare in Italia avendo riportato in un anno solo alcune vittorie parziali
sui barbari, mentre sugli insorti cristiani Punico risultato fu la rovina della città di
Antiochia che rimase sottom essa finché vi stanziarono le truppe.
Il dittatore perse altri due anni a ferm are, con l ’aiuto dei suoi luogotenenti, i
barbari nelle provincie danubiane e a preparare un’arm ata capace di operare contro i
Galli e di far fronte alle dif ficoltà interne di governo, che le sue mezze vittorie, pre­
sentate in Italia come sconfitte, e l’insufficienza delle entrate fiscali gli venivano
creando. Alla fine si decise a passare in Spagn a sperando di vincere più facilmente le
resistenze nel paese in cui aveva le sue proprietà, la sua fam iglia e grandi influenze.
Di là, vincitore, avrebbe m arciato verso le Gallie alla testa di u n ’arm ata di suoi com ­
patrioti e di volontari africani come una volta Annibale. M a a ll’avvicinarsi del peri­
colo i Galli si federarono con gli Spagnoli nei quali T eodosio non trovò l ’ appoggio
su cui aveva contato e tutta la sua abilità di generale non gli impedì di essere battuto
sotto le m ura di Lerida da A rbogaste e dai capi della T arragona e della Lusitania che
si erano uniti. C on gran fatica potè im barcarsi e ritornare in Italia dove i problemi
della dittatura non dovevano tardare a precipitare (1155) (22).
Sono i destini dell’Oriente che dobbiam o seguire in questo m om ento o , piutto­
sto , abbozzare a grandi linee. U na lunga serie di discordie, infatti non possono esse­
re davvero chiam ate diversamente queste guerre fra le nazioni occidentali orm ai a f­

(2 2 ) 3 7 9 d e l l ’e r a c r i s t i a n a .

101
fratellate, e i torbidi scoppiati in diverse nazioni diedero, ai barbajp, piena libertà di
espandersi e, ai cristiani, di stabilire fra di loro la suprem azia dellafreligione sulla ci­
viltà. N essuna tribù germ anica o m ongola riusci a varcare il Reno o le Alpi o a intac­
care le lince difensive della Grecia. E ra il risultato delle istituzioni militari che la ri­
form a del 977 aveva istituito in ogni provincia, dove Pabolizione graduale della
schiavitù e il nuovo regime della proprietà facevano aum entare la popolazione oltre
ogni speranza. I barbari ben presto rinunciarono ad attaccare queste frontiere così
ben difese, m a divennero padroni delle regioni danubiane dove la colonizzazione ro ­
m ana era stata m olto im perfetta. Altri si im padronirono dei ricchi paesi del B osforo
e oltre, poi della Siria, dell’Egitto e della Libia. I cristiani, rimasti liberi a causa del
ritiro di tutti i funzionari dell’impero non tentarono praticam ente alcuna resistenza.
Respingendo ogni concetto di organizzazione civile e politica com presero solo che
l’im posizione fiscale sarebbe passata in altre m ani, peraltro meno odiose. Ma queste
mani non tardarono a m ostrarsi m olto rapaci e troppo frequentemente tese: infatti
le ondate di invasori portavano incessantemente nuovi vincitori. I sorveglianti si
contentarono di istituire, come unico m om ento di direzione, polizie e tribunali ec­
clesiastici e di trattare man m ano, con gli invasori, la protezione della Chiesa e i beni
del clero, e poi quelli dei sudditi laici, alm eno finché ne ebbero la possibilità. M a i
barbari, che facevano solo incursioni, saccheggiavano e offendevano, e quelli, i cui
capi pensavano a insediamenti stabili, erano soliti sostituirsi ai grandi proprietari e
continuare a loro profitto lo sfruttam ento delle coltivazioni esistenti. In città si im ­
padronivano dei palazzi e di tutti gli edifici non religiosi, e ne facevano fortezze d al­
le quali esercitavano tutti i poteri arbitrari che piaceva loro arrogarsi. I sorveglianti
si davano da fare a convincerli con le buone m aniere, a incutere loro un senso di ri1*
spetto attraverso un atteggiam ento ferm o e, soprattutto, a ottenere che venisse este­
so alla persona dei sacerdoti il rispetto che questi uomini primitivi avevano di solito
per gli oggetti sacri di ogni tradizione. Circuivano i re che riuscivano a dom inare con
la superiorità dell’intelligenza e li portavano, senza troppa fatica, alm eno a una con­
versione superficiale. A ccordavano loro i più grandi onori e i più alti titoli speran­
do, attraverso la concessione del governo dei popoli, di poterli a loro volta dirigere
con l ’ascendente del sacerdozio.
Un tale stato di cose, a dispetto delle illusioni dei sorveglianti, poteva portare
soltanto al com pleto degrado della società. La caduta definitiva di un corpo così ben
organizzato richiedeva però tem po, intanto era anche possibile che il genio di alcuni
capi facesse ritornare su territori più o meno vasti l ’om bra dell’im pero distrutto. Il
prestigio della estinta potenza rom ana era m olto grande ed è facile capire come ogni
capo tribù intelligente sognasse di ricostituirla a proprio vantaggio. L a storia è piena
dei tentativi di questi conquistatori e la narrazione delle loro gesta, che in verità non
son o affa tto invidiabili, eccita i desideri di T antalo in tutti coloro che detengono Io
scettro e si credono in grado di provare. Per due volte, alla fine dei secoli X II e X III,
alcuni re germanici sem brarono in grado di creare grandi imperi. Non si tratta di A t­
tila, capo degli Unni, le cui grandi spedizioni oltre la Pannonia, regione occupata
dalle sue orde, avevano come unico fine la distruzione e il saccheggio. Si tratta di
A larico, re dei Visigoti, padrone di Bisanzio, che portò le sue armi dalla T racia ai

10 2
più lontani confini della Libia e per venti anni afferm ò la sua suprem azia sulle dio­
cesi ariane dell’Oriente, e di Teodorico, re degli O strogoti, che si avvicinò ancor di
più a tale obiettivo giungendo quasi ad instaurare l ’impero in Oriente. Q uest’equili­
brio tem poraneo e questa sorta di sem isudditanza delle forze barbariche dovevano
naturalmente terminare con la vita e le vittorie di un uom o. L ’am m inistrazione, co­
struita secondo il m odello rom ano, non poteva funzionare a lungo nel clima genera-
le di corruzione e di uso arbitrario del potere che si era insinuato ovunque. 1 sorve­
glianti, veri capi morali delle popolazioni, avrebbero ben presto non solo minato
l’autorità dei principi che avevano le stesse aspirazioni, m a li avrebbero addirittura
nominati e forse si sarebbero attribuiti il controllo dei loro atti.
L a morte di Teodorico fu il segnale di una decom posizione che si fermò solo al
punto estremo delle divisioni territoriali e politiche.
L ’insicurezza, dovuta alle scorrerie dei barbari che non avevano an cora deciso
dove insediarsi, crebbe a un punto tale che le terre rim asero incolte e in molti posti
anche senza proprietari. L a popolazione diminuì in m isura notevole. II cenobitism o
si sviluppò in m aniera incredibile, come succede sempre quando le miserie della vita
si fanno sentire con troppa forza e la tendenza naturale a costruire delle fam iglie è
vinta dal piacere del riposo, dalla contemplazione di un destino celeste e anche
dairam bizione del potere che, chi è capace, esercita in fondo ai chiostri. Q uando
l ’anarchia cominciò a diminuire grazie a una sorta di cedimento che si operò negli
invasori, la fisionom ia delle antiche provincie era del tutto m odificata; ovunque si
afferm aron o nuovi costumi e un nuovo tipo di autorità mentre i popoli vivevano in
uno stato di profonda m iseria.
Le città erano andate in rovina e in gran parte abbandonate. I palazzi erano ri­
dotti a caverne ad uso dei fuggiaschi e delle belve. A qualche distanza si potevano
vedere delle catapecchie costruite senza alcun ordine e che poi avrebbero form ato i
bassifondi di nuove città. I marmi dei monumenti caduti servivano come pietre e
calce, mentre i frammenti di colonne venivano impiegati qua e là nelle chiese senza
guardare a ll’arm onia.
I templi erano distrutti, le statue ridotte in fram m enti, le biblioteche incendiate.
Infatti, appena gli am m inistratori rom ani ebbero lasciato il loro posto, al tem po del­
ia grande rivolta dell’Oriente e l’inizio della guerra civile in Occidente che si erano
susseguite come una scia di polvere d a Bisanzio di T racia fino a Tinge in M aurita­
nia, i sorveglianti ordinarono di bruciare tutti i libri pagan i, di togliere le porte ai
templi e di farne cadere i tetti, di riportare alla luce tutti gli idoli ovunque fossero
nascosti, di fondere tutto ciò che era d ’oro e d ’argento e lasciare ai proprietari solo
gli oggetti senza valore (23).
Di tutte le cose belle prodotte dagli antichi si salvarono solo le lingue, che del
resto non potevano essere distrutte. Il greco rimase la lingua del culto in quasi tutte

(23) C f. Eus., Vita di Costantino, III, 54. Le prescrizioni relative ai templi e alle statue sono state riprese
atta lettera.

103
le provincie e il latino fu conservato nella Chiesa di Gerusalem me e É qualche altra
C hiesa della Siria e delPA frica dove si erano rifugiati molti cristiani occidentali ai
tempi della persecuzione di C om m odo. L ’avanzare della barbarie, la divisione cre­
scente fra le lingue antiche e quelle nuove, o meglio i dialetti nati dalla m escolanza e
dalla grossolan ità delle razze, obbligarono il clero a conservare, per il proprio uso e
per le com unicazioni interne, il linguaggio di quegli antichi che disprezzava e che
avevano espresso in form a immortale sentimenti e idee orm ai condannate. G razie a
questo caso l’ Oriente potè conservare anche un prezioso strum ento di studio per un
avvenire, anche se lontano, in cui i libri distrutti sarebbero tornati alla luce e di nuo­
vo onorati sotto gli occhi di un sacerdozio indebolito. Senza questo caso si può legit­
timamente pensare che in questa parte de! mondo la storia sarebbe del tutto morta (24).
L ’ estinzione della vita urban a, la scom parsa dei capitali, il pericolo dei viaggi e
l ’im praticabilità delle strade annullarono quasi tutto il commercio a grande disianza
e ridussero l’industria alle arti manuali praticate nei villaggi e nelle fam iglie. T utta la
ricchezza, tutto il lusso era accum ulato nelle chiese e nelle fortezze o portato nei
cam pi. Le abitazioni rurali venivano raggruppandosi attorno a qualche abbazia ve­
nerata, o su alture vicino a una fortezza, erano circondate da m ura e fossati e difese
come meglio si poteva con l’aiuto di merli e caditoie. D a questo m omento la chiesa e
la fortezza vicina furono le sole garanzie delle popolazioni, garanzie pagate a caro
prezzo al signore del forte con ogni tipo di tassa, di pedaggi e di corvè e al sacerdote
della chiesa con la decim a dei beni e il dono senza riserve dell’an im a; m a erano g a ­
ranzie incerte, perché i capi barbari, una volta insediati stabilm ente, si facevano la
guerra a vicenda e né i signori, né i preti potevano prom ettere ai loro protetti che
uno più forte, col suo intervento, non portasse mai via loro le donne e i raccolti.
I villani, o contadini, come venivano chiam ati gli abitanti dei villaggi, cioè delle
villae o case coloniche agglom erate, erano esenti d a ogni servizio m ilitare. M a que­
sto apparente privilegio era la semplice constatazione delFim potenza alla quale veni­
vano ridotti dalla privazione di ogni diritto, dal disprezzo in cui erano tenuti d a
chiunque fosse portatore di uno strumento di strage. L o schiavo rurale non veniva

(24) L'autore di Ucrortia aveva certamente Ietto Machiavelli ed era stato colpito da questo passaggio:
“ Quando surge una setta nuova, cioè una religione nuova, il primo studio suo è (per darsi riputatione)
estinguere la vecchia; e quando egli occorre che gli ordinatori della nuova setta siano di lingua diversa, la
spengono facilmente. La qual cosa si conosce considerando i modi che ha tenuti la religione Christiana
contro la setta gentile, laqual ha cancellati tutti gii ordini, tutte le cerimonie di quella, e spenta ogni me­
moria di quella antica theologia. Vero è che non gli è riuscito spegnere in tutto la notizia delle cose fatte
da gli huomini eccellenti di quella, il che è nato per havere quella mantenuta la lingua latina; il che fecero
forzatam ente, havendo a scrivere questa legge nuova con essa. Per che se l’a vessino potuta scrivere con
nuova lingua, considerato l’altre persecutioni gli fecero, non ci sarebbe ricordo alcuno dette cose passate.
Et chi legge i modi tenuti da san Gregorio et da gli altri capi della religione Christiana, vedri* con quanta
ostinazione e’ perseguitarono tutte le memorie antiche, ardendo Popere dei poeti e delli histórica» ruinan­
do le immagini e guastando ogni altra cosa che rendesse alcun segno deil’antichità. Tal che se a questa
persecutione egli ha vessino aggiunto una nuova lingua , si sarebbe veduto in brevissimo tempo ogni cosa
dimenticare.” Discorsi sopra fa prim a deca di Tito Livio . Il, 5.

104
venduto più senza la terra. Infatti i barbari avevano im portato il costum e della servi­
tù della gleba, lo stesso costum e che l’ evoluzione naturale delle cose tendeva a gene­
ralizzare n eirim p ero alla fine dell’epoca delle conquiste e che i riform atori del X se­
colo rendevano obbligatorio in Occidente per i proprietari di beni im m obili. Ricon­
segnavano alle famiglie dei lavoratori le terre di cui si consideravano proprietari per il
quali a volte venivano aggiunti arbitrii di ogni genere. L a C hiesa vedeva benevol­
mente una trasform azione che si com piaceva di attribuire ai sentimenti di fratellan­
za um ana d a lei ispirati ai conquistatori e che, invece, era semplicemente l ’effetto
delle loro com odità e delle loro abitudini. L a carità e la giustizia non entravano in
questo tipo di contratti, in cui una volontà senza freni trattava con l’obbedienza che
veniva dalla fam e, I nuovi schiavi, poveri quanto gli antichi, si videro spesso ridotti
a vivere in com unità di più famiglie in capanne c nel fan go: non erano a ffa tto consi­
derati membri della società dei loro padroni, nemmeno nella Chiesa, dove com uni­
cavano col loro Dio senza comunicare coi loro pretesi fratelli.
L a schiavitù dom estica non poteva evidentemente continuare a sussistere nel
m odo in cui si era costituita nelle città, tanto largo e feroce nel lusso rom ano, né co­
me l’avevano conosciuta le antiche città greche, dove era caratterizzata da una fo r­
m a per così dire dem ocratica, destinata al servizio interno delle piccole com unità i
cui capi si dedicavano esclusivamente alla vita pubblica. Perché avrebbe dovuto ac­
quistare o vendere degli schiavi chi, con un segno, poteva chiam are tutte le persone
di ogni sesso che servivano al proprio bisogno e al proprio capriccio? E di quali mer­
cati di schiavi si sarebbe servito quando l ’intera classe dei contadini e degli artigiani
era agli ordini di chi dom inava la terra, fosse esso un sacerdote o un barbaro? L a
servitù della gleba e quella dom estica volontaria o forzata (m a era relativamente
troppo vantaggiosa per non essere quasi sempre volontaria), presero così il posto
dell’antica schiavitù commerciale. Fu un bene in quanto la condizione di schiavo fu
completamente stabilizzata permettendo allo stesso una vita fam iliare. Gli orrori del
traffico di uomini d op o queste battaglie in gran parte cessarono, come pure quelli
degli anfiteatri. M a sarebbe difficile afferm are che questi m iglioram enti, dovuti alla
relativa sem plicità dei gusti dei barbari, ai loro costum i feudali e alPeffetto, anche se
sicuramente debole, dell’ incessante predicazione delle m assim e di dolcezza evangeli­
ca, costituissero un piccolissim o passo nello sviluppo della libertà um ana, nel rispet­
to della giustizia e nel desiderio di pace.
Q uesta era la situazione dell’Oriente, dal D anubio fino al Nilo e dal Sud, dal
N ilo, fino allo stretto di Cadice. A dire il vero in questa società così profondam ente
divisa e turbata c ’era una duplice causa della tendenza a ricostituire l ’unità nell’au-
torità: da parte, nell’ordine temporale, il principio feudale; dall’altra in quello spiri­
tuale, la costituzione gerarchica del clero e la tendenza dei popoli a far risalire le loro
venerazioni superstiziose il più lontano possibile» I capi barbari, che avevano fo rm a­
to insediamenti stabili nelle diverse provincie, non si consideravano puri e semplici
padroni dei loro dom ini. Conform em ente alle regole che assoggettavano tutti gli uo­
mini ad alcuni capi e questi a capi superiori, e che attribuivano ai capi più alti, o re,
una sorta di proprietà privilegiata sui paesi conquistati o , per lo m eno, un diritto sul
servizio militare o sui contributi pecuniari del subordinato, venivano stabiliti legami

105
di vassallaggio più o meno ramificati che, secondo i caratteri, la forza o l ’abilità de­
gli uni e degli altri, si rafforzavan o o si indebolivano e subivano diverse vicende. Ne
derivava un continuo movimento di unificazione e divisione caratterizzato da orribi­
li spettacoli di violenza e di perfidia che avrebbe portato certi paesi alla form azione
di principati nazionali, chiamati in modi diversi, e altri paesi al prolungarsi di questo
stato di conflittualità, senza arrivare mai a uno stato forte e duraturo per il carattere
indisciplinato e selvaggio degli abitanti o per la loro minore coesione religiosa o di
razza e di costum i.
L ’unità spirituale, o di fede, era resa difficile dalle divisioni delle sette, alle q u a­
li nessun potere politico era stalo in grado di opporsi con sufficiente energia a tem po
debito e niente orm ai, eccetto le più orribili persecuzioni, poteva cam biare questo
stato di fatto . Questo a sua volta, influendo sullo stato delPautorità civile, poneva
un ostacolo insorm ontabile alla form azione e alla d urata di ogni grande concentra­
zione am m inistrativa. Un tale frazionam ento di popoli e di governi non sarebbe sta­
to un gran male se si fosse accom pagnato alla libertà e alla m oralità, invece esprim e­
va ovunque solo disordine e anarchia. In tali condizioni, di regola, il male viene g u a­
rito solo da un altro m ale, e la forza sem bra Punica via per permettere il ritorno de­
gli uomini alla vita civile e al regno delle leggi.
Il gioco dei principati e dei principi: battaglie, trattati, violazioni dei trattati,
assassin io avvelenamenti e m atrim oni, l’aumento o la distruzione dei domini non
hanno niente in sè che possa interessare il filosofo della storia. Ai suoi occhi le guer­
re hanno im portanza quando nascono da odi religiosi, quando servono a constatare
o determinano cambiamenti considerevoli nelle credenze dei popoli, allora i destini
delle sette meritano di essere seguiti. Le loro peripezie sono gli avvenimenti principa­
li da raccontare negli annali delle nazioni che non hanno né un sapere, né una filoso­
fia indipendente, né un diritto pubblico,
L ’arianesim o si era d iffuso ed era forte in molte provincie, in m odo particolare
in T racia e in Bitinia, quando il siriano N estorio, sorvegliante di B isanzio, uno dei
più fanatici persecutori di un’epoca nella quale viveva Cirillo d’Alessandria (25), vol­
le portare il m ondo intero alle sue opinioni. “ Purgate la terra dalle eresie - disse il
giorno stesso della sua consacrazione episcopale ad A tau lfo, dom inatore di quel
momento e rivale del successore di A larico - e io vi d arò il cielo in ricom pensa; guer­
reggiate con me contro di loro e io vi aiuterò a fare la guerra ai vostri nem ici” (26).
Per cominciare fece di Bisanzio la sede della C h iesa ariana e bruciò un quartiere
intero della città. Il suo pensiero non era, in questo, tanto diverso da quello di A rio
come si è creduto, m a la sottigliezza non aveva confini. Il cristiano A pollinare, sor­
vegliante di Laod icea nel 1158 (27), aveva richiam ato l’ attenzione sul problem a di

(25) Allusione al martirio di una donna illustre, Ipatia, figlia dd matematico Teone, essa stessa filosofo e
geometra, della quale la popolazione di Alessandria, eccitata da Cirillo, trascinò per le strade il corpo in
pezzi.
(26) Questo significativo discorso è di Nestorio; è indirizzato all’imperatore d’Oriente nel 428.

106
spiegare, una volta am m essa la oniousia di Dio e di Gesù-Dxo, la relazione fra divi­
nità e um anità in q uest’ ultimo. Egli pensava, d a parte sua, che il Logos avesse preso
semplicemente il posto d à l* anim a razionale, anim a che può comm ettere il peccato
che non potrbbe essere am m essa, lasciando a Gesù-uom o il corpo e Vanima vitale
che aveva ricevuto dalla m adre per soffrire. M a un concilio di Bisanzio condannò
queste dottrine. Il partito om eusiano afferm ò dunque che il Figlio a v e v a t e nature:
rimaneva da spiegare il loro rapporto. A llora N estorio pretese che l ’ unione delle due
nature, a dispetto dell’om ousia, fosse un’ unione esteriore che non presupponeva a f ­
fatto una fusione intim a. Perciò C risto sarebbe stato un uom o guidato costantem en­
te d a un influsso divino. Di qui la condanna delle espressioni scandalose di Uomo-
Dìo per Cristo e M adre di Dio par la m adre di Cristo. Non c ’era, come si vede, nes­
suna differenza consistente fra il pensiero di N estorio e quello di A rio. N estorio co­
minciò a perseguitare gli ariani per prenderne il posto, m a questo non impedì che gli
om eusiani, sollevati contro di lui da Cirillo di A lessandria, si riunissero ad E feso e lo
condannassero come assertore di una vera dualità fra C risto e Dio. Giovanni di A n­
tiochia arrivò poco dopo nella stessa città con altri sorveglianti ben arm ati e scortati
e un contro-concilio annullò gli atti del prim o. La lotta continuò a lungo violentissi­
ma ed ebbe fasi alterne. II nestorianesim o restò da quel m om ento una form a di cri­
stianesim o distinta d ail’arianesim o in un m odo più netto di quanto non fosse
d all’inizio, dato che q u est’ultima setta, come vedremo, m odificò la propria dottrina
in un m onoteism o assoluto, arrivando a considerare Gesù solo un profeta.
La setta opposta al nestorianesim o, che ne seguì le vicende da vicino (nella sto ­
ria delle dottrine c’è sempre questa sorta di m ovim ento pendolare) è la setta di Enti-
che che si richiam ò alle opinioni gnostiche e docetiste che avevano avuto per lungo
tem po un ruolo im portante e che non erano estinte. L a nuova form ula am m essa fu
che in C risto c’era una sola natura e quella divina com prendeva in sé quella um ana;
a favore e contro tale opinione furono riuniti nuovi concili, fra gli altri quello detto
dei briganti di E fe so , dove i sorveglianti si azzu ffaron o, si m inacciarono avvicenda
di farsi a pezzi come era stato fa tto a pezzi il Cristo da N estorio e si rivolsero ai prìn­
cipi per costringere l’altra parte alla sottom issione attraverso l’esilio e le torture. E ra
ben difficile prendere una posizione in concili come q uest’ultimo che dissolvevano
l ’uom o nel Dio non riuscendo a concepire in altro m odo l ’unità deH’ uom o e di Dio,
e negli altri, che indebolivano l ’unità ipostatica non potendo, senza tale operazione,
considerare integro l’ uom o e ciò che gli appartiene. Fu questo il com pito che si diede
un concilio di C alcedonia che, pur essendo ecumenico, non riuscì ad im porre la sua
soluzione ai recalcitranti in m isura m aggiore degli altri. Questo concilio fu riunito
per l ’ influsso dello spirito di conciliazione della cultura latina di certe Chiese che per
prassi m antenevano costantem ente la stessa distanza fra le opposte opinioni e rifiu­
tavano così ogni dottrina che potesse logicam ente condurre a innovazioni, a riform e
o a qualche filo so fia troppo lontana dal m odo comune di concepire il m ondo. Fu di­

(2 7 ) 382 d e ll’e ra c r istia n a .

107
chiarata la fede cattolica in un solo Signore, perfetto D io e perfetta U om o, figlio di
D io, consustanziale a D io, nato dall'um an ità e consustanziale a ll’ um anità, dotato
nella sua unica person a di due nature non separate e non confuse. Significava a ffe r­
m are che il C risto era soggetto e non soggetto al peccato, ignorante e sapiente, uno e
non-uno, diviso e indiviso! L o spirito latino poteva riuscire ad im pedire che la teolo­
gia si ponesse di tali questioni scabrose, che m antenesse a volte l’ elaborazione teori­
ca su chine pericolose per i dogm i già afferm ati e per la stessa ragione, am m esso che
la ragione avesse an cora un certo peso* M a quan do si trattava di riportare all’ unità
tendenze contraddittorie che avevano g ià acquisito nella C h iesa una certa autorità,
di form ulare dottrine nelle quali si era radicata fin d a ll’inizio una contraddizione
n asco sta, diventa chiaro come l ’abilità dei teologi consistesse nel professare contem ­
poraneam ente il si e il no in termini tali d a non fam e im m ediatam ente apparire, m a­
scherandola con distinzioni verbali, la contraddizione.
Com unque le principali opinioni contrastanti si svilupparono pienam ente in a s­
senza di un’ autorità m ateriale e tirannica che potesse colpirle ovunque si annidasse­
ro. Il nestorianesim o, dottrina delle due nature separate poste fra loro in scala gerar­
chica, si afferm ò solidamente in una parte della Siria e di là si irradiò fino a ll’India
dove si form ò una piccola Chiesa cristiana. A poco a poco si fuse con P agan esim o,
man m ano che questa dottrina veniva im ponendosi in A rab ia, in M esopotam ia, in
tutta la Persia e VA ssiria. L a dottrina latina delle due nature unite, rispettivamente
consustanziali ai due termini contraddittori U om o e D io, visse un periodo agitato
grazie alla stim a che godeva il sorvegliante di G erusalem m e, m a finì per cadere
nell’oblio quando questi dovette rinunciare alla pretesa delPegem onìa episcopale di
fronte alla ferm a resistenza dei suoi confratelli e dei principi. 1 primi si attribuivano
uguali diritti, che derivavano d all’im posizione delle mani che risaliva agli apostoli. I
secondi erano poco propensi a permettere che un pontificato suprem o e universale,
ovunque fosse insediato, aum entasse la propria autorità. Al contrario pensavano di
esercitare, ognuno nel proprio Stato, la tutela della fede, conform em ente alle tradi­
zioni locali, condannando, per quanto possibile, tutti i dissidenti; e la m aggior parte
col tempo ci riusci.
L ’eutichianesimo o m onofisism o, dottrina dell’unicità della natura di Cristo, si
diffuse in Siria, in Egitto, in A bissinia, in Arm enia e divenne im provvisam ente im­
portante quando si form ò, sui resti della feudalità orientale, l’ impero scita (28), che
con potenti elementi tartari o mongoli apportati da tarde invasioni, sottom ise diret­
tamente o indirettamente il nord dell’E u ropa e una parte dell*A sia e estese la sua in­
fluenza politica su sette che professavan o una dottrina an aloga alla propria ovunque
si trovassero. L a T racia, con la capitale Bisanzio, e tutta l ’A sia minore entrarono in
questo im pero di lingua greca; di conseguenza in queste regioni venne a trovarsi il
principale sèggio del cristianesim o giovannista. li C risto fu concepito come una teo­
fania del L o go s di D io incarnato solo apparentem ente, fondam entalm ente estraneo

(28) L’amore vuole probabilmente parlare degli slavi e dell'impero di Russia.

108
ad ogni carne, dotatosi di un involucro m ortale per dare a ll’opera divina una form a,
più che profetica, m essianica, la più elevata per compiere fra gli uomini tale opera.
Fu reso un culto ap p assion ato, quasi politeista, alla Santissim a, alla Vergine, scelta
da D io per servire alla generazione della form a um ana pura, ispirata dalFH àghion-
Pneùm a e destinata alla m anifestazione tem porale del L o go s, Hàghion-Pneiìm a e il
L o g o s rappresentarono, in questa credenza, l’ uno l’eterna generazione, l’altro l ’eter­
no p rocesso ; in entrambi i casi rappresentarono una emanazione eterna di virtù divi­
ne chiam ate persone e adorate come persone. Consacrare parole inintelleggibili al
posto di altre che invece si com prendono e chiam are mistero il loro significato non
basta per cam biare la natura delle idee e il solo senso possibile di quanto vien detto.
Nelle regioni danubiane il cristianesim o subì una evoluzione diversa, più simile
a quella che si ebbe nelPestremo Oriente sotto l ’influsso degli Arabi. Le antiche colo­
nie romane della D acia Traiana, dove si erano insediati i primi G oti, le due Mesie, la
Pannonìa, la Rezia, la Vindelicia, il N orico e intere regioni a nord del Danubio e a
est del Reno erano quasi com pletamente popolate d a tribù germaniche che avevano
abbracciato Tarianesim o fin dalla loro entrata nelPimpero e ancor prim a di inse-
diarvisi. Queste regioni dell’E u ropa, per il costum e e il carattere più indipendente di
quei barbari, restarono sotto il regime feudale m olto di più di quei paesi nei quali si
erano insediate popolazioni scile o m ongole; solo m olto più tardi alcuni principi ar­
rivarono a crearsi solide posizioni di signoria e per secoli anche il re fu elettivo. L a
situazione politica e il tem peram ento distoglievano quegli uom ini dalle dottrine più
grossolane e dalle speculazioni teologiche strane e sottili, com e la distinzione delle
nature e la consustanziazione delle persone. L ’arianesim o, già favorito dalla m ag­
gior parte dei sorveglianti del X II secolo (29), rappresentò la form a più im portante
de! cristianesimo germ anico. Nelle Chiese occidentali il Cristo non fu considerato, è
vero, come un semplice rivelatore e un grande profeta, ma nemmeno come Dio e
consustanziale a D io. Venne detto creatura anche se nata prim a deirìnizìo dei secoli.
11 m ediatore e salvatore, nato da una vergine e m orto sulla croce, da alcuni fu identi­
ficato con questa stessa creatura, discesa dal cielo, da altri come un uomo destinato,
negli eterni disegni di Dio, a divenire l ’abitazione spirituale e il pieno ricettacolo
dell’ispirazione di questo essere ultram ondano o Saggezza in persona. A causa di
tutta questa m itologia a volte fu versato del sangue, come anche per altre questioni
teologiche, sorte successivamente e che misero in causa con m aggior decisione la su­
prem azia del clero.
In A rab ia nacque una form a del tutto diversa dairarianesim o, dopo che gli
ebrei e i cristiani, partiti daH’Occidente verso l ’Oriente, ricondussero al monoteismo
questa parte dei discendenti di A bram o, sm arrita o regredita in qualche vecchia ido­
latria. Questo sforzo di propagan da ebbe più successo di quanto il clero avrebbe vo­
luto ottenere; infatti gli A rabi, una volta conquistati alla riform a, elaborarono una
dottrina rigidam ente m onoteista e respinsero, con le credenze idolatriche sul Cristo,

( 2 9 ) IV d e ll’ e r a c r is t ia n a .

109
anche quelle che avrebbero potuto fondare fra di loro il dom inio dei sacerdoti. Gli
ebrei non ebbero miglior sorte; infatti il profeta Gesù fini per dom inare il profeta
M osè e dal m om ento che veniva rifiutato tutto il cerimoniale e le prescrizioni
dell9antica legge anche Pinfìuenza ebraica diminuì definitivamente. Anche l ’ultima
speranza di questo popolo disperso, che non poteva riprendere il suo antico posto e
sovrapporsi al Cristianesim o, nemmeno in Palestina, cadde il giorno in cui il fan ati­
sm o m onoteista, di cui fino a quel m om ento era stato la rappresentazione nel m on­
do, divenne la connotazione e il privilegio di un altro popolo. L ’inizio di questa ri­
voluzione è da collocarsi alla fine del X IV secolo (30), quando un arabo di nome M o-
ham m ed, dopo aver spezzato la ostinata resistenza dell’antico culto e aver m esso a
tacere con la forza quanti, nella sua tribù, ne invidiavano il successo, pretese, come
aveva già fatto l’apostolo P aolo, di essere salito in estasi al settimo cielo. Disse di
aver visto Gesù in carne ed o ssa e di riportarne i veri ordini che i cristiani avevano
falsificato : adorare come D io soltanto Dio e onorare Gesù come profeta. Aggiunse
anche alcune nuove prescrizioni che un angelo gli aveva dettato per i veri fedeli.
L ’esaltazione che questa sorta di rivelazione, alla portata dei più semplici, adatta a
quelle determinate circostanze di luogo e di tempo e a quelle abitudini, com unicava
agli spiriti fu cosi vivace che si diffuse rapidam ente anche m olto lontano dalI’Ara-
bia. Il dogm a cristiano fu sem plificato, lim itato alla semplice credenza dell’unità di­
vina, dell’im m ortalità dell’uom o e del giudizio finale; la rivelazione fu ridotta a fo r­
m a di profezia e le tendenze ascetiche rim piazzate d a alcune norme m olto semplici
di igiene o astinenza; le tendenze mistiche e le speculazioni sottili furon o sostituite
da una professione di fede più breve e la p ropagan da fu predicata col franco e bruta­
le insegnamento delle sciabole; tutto questo trascinò in breve le m asse al seguito di
M oham m ed o dei suoi luogotenenti e facilitò le loro conquiste.
Verso l ’A sia occidentale e a m aggior ragione verso l ’E u ro p a, i progressi di que­
sto cristianesim o ultra-ariano, chiam ato m aom ettano dal nom e di M oham m ed, tro­
varono uno sbarram ento nella forte organizzazione che il cristianesim o sacerdotale
e teologico si era data e nelle più superstiziose pratiche religiose alle quali gli uomini
di tradizione non semitica erano inclini. M a ben diverse furono le cose nelle provin­
ole meno popolose e m eno cristianizzate. Il torrente delFinvasione arab a vi si diffuse
con furore c in meno di un secolo ne cam biò tutta la fisionom ia. L ’E gitto, la Libia e
anche l ’A frica, fino allo stretto di Cadice, furono sottom esse a questi nuovi dom ina­
tori; immense furono le distruzioni. I m aom ettani arabi o convertiti non si m ostra­
vano animati dallo stesso fanatism o dei cristiani e imbevuti dello stesso spirito di in­
tolleranza. I cristiani infatti avevano p osto una estrema passione nel convertire gli
infedeli col fuoco o col sangue e si facevano un punto d ’onore nel non tollerare una
fede diversa. I m aom ettani, pur dando grande im portanza alla conversione, pratica­
rono in m isura minore la cosiddetta persecuzione per amore e, invece di annientare i
pagani e gli eretici, si accontentavano generalmente di sottoporre a un tributo le pro-

(30) Inizio del VII secolo dell’era cristian a.

110
vincie infedeli conquistate. O gnuno poteva mantenere la propria religione; veniva
trattato m ale e disprezzato, m a non annientato. Questo potrebbe far pensare che gli
effetti distruttori delPondata m aom ettana per i libri e i monumenti dell’antichità
avrebbero dovuto essere più limitati di quelli provocati dal terrore sistem atico dei
sacerdoti e dalla persecuzione m ortale che esercitarono per parecchi secoli contro
tutti gli spiriti indocili. Lo stato dell'Egitto, ancor oggi coperto di templi, di tom be,
di pitture e di scritte geroglifiche conferm a questo giudizio. Purtroppo gli invasori
maom ettani portarono colpi m ortali alla civiltà quasi in tutte le regioni in cui si sta­
bilirono a causa dell "insicurezza civile che contrassegnò il loro dom inio, del loro co­
stume di vita inetta e oziosa, della loro incapacità am m inistrativa. Vi furono è vero
alcune eccezioni: la M esopotam ia ad esem pio e qualche centro siriano compieta-
mente arabo, ma furono eccezioni incapaci di passare i secoli.
I disastri m aggiori si videro in A ssiria e in Persia. C erto, in quei paesi, il fanati­
smo m aom ettano fu accresciuto da altri fattori e toccò gli eccessi estrem i, trovando
l’approvazione, bisogna pur dirlo, di tutto il m ondo cristiano che provò gli stessi
sentimenti. Infatti in quelle regioni si era rifugiata una gran parte dei docetisti e de­
gli gnostici la cui dottrina poneva fra Dio e l’um anità un enorme numero di interme­
diari e m oltiplicava le virtù e le potenze, le emanazioni e le incarnazioni e, non essen­
do incline al profetism o, poneva un solo L ogos rivestito di sembianze umane, ma im­
m aginava tutte le essenze spirituali necessarie a com pletare la creazione. L à era nato
e si diffondeva il m anicheism o, una setta straniera che i cristiani tanto più avversa­
vano quanto più se ne servivano. L à infine veniva professata una delle religioni più
antiche del m ondo, esposta alTodio cieco di un nuovo m ondo religioso che le conte­
stava, a torto, il culto idolatrico del fuoco. L a guerra contro l ’ Iran si trasform ò in
uno sterminio e i m assacri continuarono gli effetti delle battaglie; le vittime si conta­
rono a milioni e la Persia, che poco prim a era ancora un vivaio di uom ini, potenza
rivale dell’ Im pero rom ano e spesso vittoriosa su di esso, la Persia divenne un altro
deserto deirO riente. Le grandi città dell’A ssiria, distrutte ancora una volta non si ri­
sollevarono più. L a religione di Z oroastro, di quel capo dei maghi che proprio i pri­
mi cristiani avevano onorato come profeti e sibille, in poco tem po rim ase solo rari
aderenti che andarono a nascondersi in fondo a ll’ India; i seguaci del gruppo gnosti­
co e m anicheo, alm eno quelli che si erano salvati, si dispersero rinnegando la loro
fede che riapparve a poco a poco qua e là; ovunque furono m andati al rogo quando,
a causa della loro continua crescita, non furono compiute nuovam ente grandi stragi.
Nei paesi della nuova fede venne introdotto il supplizio del rogo e i seguaci di una re­
ligione, che si definiva di carità, si com piacquero nel vedere torcersi e consum arsi
nel fuoco i corpi degli uomini che non condividevano le opinioni generali: li conside­
ravano anticipi dei tormenti che l ’im m aginazione popolare credeva fosse la loro
condanna eterna. C osì furono trattati tutti i poveri sm arriti, gli innumerevoli pazzi
di questi tempi di sciagura, nello spirito dei quali, secondo l’opinione corrente, abi­
tava lo spirito del m ale.
Quasi due secoli prim a dell’invasione dell’arianesim o m aom ettano, la riflessio­
ne dei cristiani si era sofferm ata sul problem a del male. Per lungo tem po la dottrina
del Logos incarnato fu l’alimento quasi unico delle passioni teologiche. L a questione

IH
del peccato era vissuta secondo l ’idea paolin a dell’apparizione nel m ondo della m or­
te, a causa del peccato del prim o uom o, e del ritrovam ento della ressurrezione e del­
la vita, attraverso il sacrificio del Dio fatto uom o. L a grazia e la fede necessarie alla
salvezza erano considerate, sempre secondo l ’ap ostolo, semplici doni di Dio che in
realtà non tutti gli uomini posson o ricevere. M a non venivano approfondite le d iffi­
coltà legate, d a una parte, all’esercizio deH’arbitrio divino che, predestinando alcuni
alla vita e altri alla m orte dell’anim a, fa di Dio l ’ autore reale del male e del bene, e,
d a ll’altra, all’esercizio della volontà um ana che, se non fosse libera, renderebbe im ­
possibile una condanna m orale del peccatore m entre, se fosse libera, creerebbe
all’ uom o meriti o demeriti atti a determinare la potenza divina e non a dipenderne.
L ’eterno dilem m a fra la negazione del libero arbitrio umano e la m essa in dubbio
dell’onnipotenza e della prescienza di Dio si pose in m odo abbastan za preciso nelle
Chiese cristiane, per la prim a volta, quando un m onaco d ’origine britannica, M or­
gan, il cui nom e fu latinizzato in P elagio, pensò di poter afferm are che l’ uom o, an ­
che senza una particolare assistenza divina, può non fare il m ale e pervenire alla vir­
tù e, poiché il peccato è im putabile solo alla persona che lo commette, non può rica­
dere come colpa sui suoi discendenti se Dio è giustizia. Tale opinione aveva un fon­
dam ento naturale e m olto solido per ogni anim o che non avesse altra guida che se
stesso, cosa che ne favorì la diffusione, almeno in alcune regioni, finché i sorve­
glianti poterono accordarsi per estinguerla. C osi dopo l ’A frica, in cui Pelagio co­
minciò ad opporre la sua dottrina a ll’insegnamento fatalista di A gostino, allora
m olto apprezzato, conquistò la Palestina e altre provincie, nelle quali lui e il suo di­
scepolo Celestio tentarono di farla accettare agli spiriti non prevenuti. M a i loro
sforzi sarebbero stati vani perché si opponevano a due fatti: in prim o luogo a ll’o p i­
nione dom inante d ie tendeva ad assolutizzare il potere divino e ad avvilire la natura
um ana nell’adorazione e nel nulla; in secondo luogo all’autorità di certe afferm azio­
ni dell’apostolo Paolo che anche i teologi più consum ati nel piegare i testi al senso
voluto avrebbero potuto a fatica conciliare con la tesi di un reale libero arbitrio.
A gostino, sorvegliante di Ippona, città dell’A frica, era stato un tem po m ani­
cheo, aveva cioè creduto nell’eternità del principio del male; divenuto cattolico, co­
me si diceva, cercò di cam biare il meno possibile le sue prime opinioni. Seguì in ciò il
movimento generale e l’apostolo, quando aveva scritto di Dio: “ U sa m isericordia a
chi vuole e indurisce chi vuole. M a tu mi dirai: perché rim provera chi si oppone alla
sua volontà? O uom o, chi sei tu che vuoi discutere con D io? Il vaso d ’argilla chiede­
rà forse a chi l ’ha m odellato: Perché mi hai fatto così? E il vasaio non è forse padro­
ne delPargilla e non ha diritto a fare della stessa m assa un vaso per usi onorevoli e
uno per usi vili?” Per un m om ento, durante una polem ica coi seguaci della setta a b ­
bandonata, A gostino era arrivato a sostenere che il peccato è im putabile soltanto al
peccatore e alla sua volontà; che la volontà è la sorgente prim a del peccato (31). E ra
cioè d ’accordo con quanto stava afferm ando Pelagio: che il bene e il m ale, in quan-

(31) Ci. Agostino, De lìbero arbitrio. 111, 17 e 19.

112
to ne siam o responsabili, non nascono con noi, m a vengono compiuti da noi e sono
opera nostra, anche se i vizi, che ci contagiano fin d all’infanzia e ci corrom pono
completamente attraverso l ’abitudine, alla fine ci tengono incatenati con una forza
che consideriamo come una forza stessa della natura (32). M a poi Agostino andò ben
oltre la volontà dell’uom o: nel m om ento della creazione Dio aveva stabilito, nel suo
eterno decreto, chi fossero i buoni e i cattivi e li aveva separati prim a che al m ondo
ci fosse qualche merito o demerito, qualche altra volontà oltre la sua. Strum ento de­
ciso di questo decreto, afferm ava che il genere umano si divide in due classi: quella
che vive secondo Dio e quella che vive secondo l ’uom o; “ è quello che misticamente
chiam iam o due città — diceva — due società di uomini, l’ una predestinata a regnare
eternamente con D io, l’ altra a soffrire il supplizio eterno col dem onio” (33).
Questo terribile teologo, questo M aom etto del cristianesim o che conquistò al
dogm a della fatalità, quasi per intero, le nuove credenze là dove l ’altro non arrivò
con le sue arm i, annientava la libertà dell’uom o in tre m odi. Un prim o m odo consi­
steva nel considerare Ja libertà contenuta e concentrata nel prim o uom o che la perse;
un secondo m odo nel vedere la libertà di tutti noi determ inata già d a m olto tem po in
ogni m om ento, poiché il creatore di ognuno vede fin d all’eternità gli individui e le
loro diverse volontà che verranno dal sem e del prim o uom o; il terzo infine consiste­
va nel ritrovare l’im possibilità di resistere a ll’azione divina nel fatto che ogni pecca­
tore viene salvato arbitrariam ente d a ll’intervento della grazia o arbitrariam ente ab ­
bandonato nella sua perdizione.
Dal m om ento che l’ um anità era un’entità contenuta e m odellata in uno stam po
originario che volontariam ente si è corrotto e in cui si precostituiva l ’avvenire, per
A gostino ne derivava che la libertà, il peccato e la condanna dovevano essere ravvi­
sate in quell’origine: “ Noi eravam o tutti in lui quando eravam o solo lui, lui caduto
nel peccato per colpa della donna. (...) Non avevam o ancora ricevuto la form a sepa­
rata che doveva costituirci come vite individuali, m a ne esisteva la natura seminale
dalla quale siam o discesi (34). L a m orte ha regnato anche su quelli che non hanno
peccato di loro volontà come A d am o , m a che hanno ereditato da lui il peccato origi­
nale, da lui la fo r m a del fu tu ro , perché in lui si è costituita la form a della condanna
dei suoi futuri discendenti in m odo che essi nascano tutti da lui solo per la condanna
da cui non si è liberati che attraverso la grazia del S alvato re” (35).
Per il carattere insuperabile e insieme arbitrario dell’azione della grazia sui cu o­
ri, A gostino, parlando degli eletti, si esprim eva così: “ S o n o eletti e scelti dalla G ra­
zia non per i loro meriti precedenti, perché la G razia è tutto il loro m erito... la vo­
lontà um ana non ottiene la grazia attraverso la libertà, m a la libertà attraverso la

(32) C f . Pelagio, Epistola ad Demetrium, V iti; lo stesso discorso in Agostino, De peccato originali, 13.
(33) Aug., De civitate Dei, X V , 1.
(34) A ug., op. cit., X III, 14.
(35) A ug., De peccatorum m eritiset remissione, I, 10.

113
grazia, e, affinché perseveri, riceve il dono di un piacere perpetuo n^jla virtù e una
forza invincibile nel bene ( .„ ) * Per ricevere il bene e conservarlo la g rafia di Dio non
ci rende possibile solo ciò che vogliam o, m a ci permette anche dì volere ciò che p os­
siam o; così non è stato per il prim o uom o (...). N on solo Dio dà agli eletti un aiuto,
come ha d ato anche al prim o uom o, senza il quale non potrebbero perseverare an­
che se volessero, m a fa scaturire in loro la volontà, perché non persevereranno se
non possono e non vogliono e proprio per questo la possibilità e la volontà stessa di
perseverare vengono dalla liberalità della grazia divina; e Io Spirito Santo abbraccia
talmente la loro volontà che la causa del loro agire è il volere e la causa della volontà
è Dio che opera nelle loro volontà (...). E quelli che non appartengono al num ero dei
predestinati che la grazia di Dio conduce al regno (...) al numero preciso e beato de­
gli eletti sono giudicati giustam ente per i loro meriti; infatti o sono oppressi dal pec­
cato originale che hanno ereditato dalla nascita ed escono d a questo m ondo senza
che tale eredità sia stata loro perdonata attraverso il battesim o, o per loro libera
scelta hanno aggiunto altri peccati al peccato originale, (...) o ricevono la grazia di
D io, m a la conservano solo per un certo tem po; non perseverano; abbandonano Dio
e Dio abban don a loro, e dal m om ento che sono lasciati al loro libero arbitrio non ri­
cevono il dono della perseveranza per un giudizio di Dio che è tanto giusto quanto
m isterioso” (36).
L ’eternità di questo giudizio giusto e m isterioso senza alcun m otivo im putabile
alla persona giudicata, di conseguenza arbitrario e ingiusto um anam ente parlando,
si m anifestava nel decreto em esso contro i bambini m orti senza essere stati sottopo­
sti nella Chiesa alla form alità delVarruolamento (sacram entum ) che rappresen tavi
una prim a selezione degli eletti da Dio: “ Dio — scriveva A gostino — esclude dal suo
regno alcuni figli dei suoi am ici, dei suoi fedeli lasciandoli uscire da questo m ondo
senza ricevere il battesim o; a questi figli, se volesse, potrebbe dare la grazia del bat­
tesimo dal m om ento che Lutto è nelle sue mani e in suo potere, anche se riceve nel
suo regno i padri e le m adri; e fa sì che alcuni figli dei suoi nemici diventino cristiani
e, attraverso il battesim o siano introdotti nel suo regno da cui sono esclusi i loro p a­
dri e le loro m adri, senza che alcun merito o demerito venga dalla volontà di quei
bam bini” . Spiegava il rifiuto del dono della perseverenza ad alcuni persecutori toc­
cati dalla grazia attraverso il m edesim o eterno decreto: “ perché non sarebbe mai
successo se fossero nel numero dei predestinati e di quelli che sono chiamati secondo
il decreto di Dio e che rappresentano i figli della prom essa (..,). Un figlio della pro­
m essa non m uore, solo i figli della perdizione m uoiono (...) tutti quelli che secondo
l'ordine della Provvidenza divina sono stati conosciuti fin dalPeternità com e prede­
stinati, chiam ati, giustificati, glorificati sono già figli di Dio anche se non sono an-

(36) Aug., De corrruptione et grada , passim, I passi citati in Ucronia sono quasi uguali, e se ne compren­
de la ragione, a quelli che Antonio Arnauld fece stampare a grandi lettere nella sua traduzione del tratta­
to di Agostino nel 1644.11 traduttore di Ucronia usa il francese di Antonio Arnauld anche se un pò arcai-
co .

11 4
cora rinati attraverso l ’acqua del battesim o e anche se non sono neppure ancora n a­
ti; essi non possono mai m orire.,. È dunque lui che dà la perseveranza fino alla fine
e la dà solo a chi non m orirà perché chi non persevera m orirà” (37).
Questi due m ondi, eternamente costituiti nei disegni divini, queste due città
eterne, dei buoni e dei dannati, rappresentano la divisione fra il bene e il m ale, volu­
ta fin dalla creazione: voluta daH’eternità per rimanere senza fine una volta stabili­
ta. Rimane però da sapere perché Dio abbia disposto le cose in questo m odo, a m e­
no che non si voglia rimanere in u n ’ignoranza che verrebbe invocata troppo tardi,
dopo aver dim ostrato di saperla così lunga. La filosofia di A gostino, infatti, facen­
do un altro passo avanti dichiarò che il m ondo così fatto è perfetto. Prim a di tutto
— osservava — le cose debbono essere messe in relazione agli eletti; “ quelli che non
sono nel numero degli eletti m a che sono form ati dalla stessa m assa degli altri per es­
sere vasi di rabbia, lo sono per la loro utilità. D io non ha creato nessuno di loro sen­
za un disegno, senza sapere a cosa può servire. È già un bene il fatto che operi quan­
do crea in loro la natura um ana e li faccia entrare nelParm onia del secolo presente” .
In ogni opera d ’arte i contrasti m ettono in risalto la bellezza. L ’antitesi è la più bella
delle figure retoriche. Dio creando i cattivi per farli servire agli interessi dei giusti,
ha innalzato, con l’antitesi, il sublim e poem a dei secoli (38).
C osì il fuoco deirinferno è un elemento dell’eterna bellezza, i suoi riflessi illu­
minano Paria, come meglio non si potrebbe, della dolce soddisfazione dei giusti.
Forse la brutalità m aom ettana può essere considerata un pregio e diventare rispetta­
bile di fronte a queste raffinatezze della teologia cattolica. L a sottom issione m usul­
m an a, questo islam da cui sono derivati i nomi di islam ism o e di m usulm ano, il pro­
strarsi in silenzio davanti alla potenza divina e Paccettare in obbedienza l’eterna vo­
lontà che solo i fatti rendono m anifesta hanno qualcosa di degno e di veramente pio
di fronte alle chiacchere agostiniane. Del resto queste dottrine sono m olto simili sia
per il loro principio che per il loro esito. L a dottrina di A gostino non è altro che un
islam cristiano.
Questa dottrina prevalse, a volte con fatica, ma in m aniera abbastanza netta in
tutti i concili in cui si svolse il dibattito e fu inutile proporre in termini più miti le
proposizioni pelagiane perché fossero accettate. L'un ica concessione fatta dai p ru ­
denti partigiani della predestinazione, concessione che derivava dal timore di rende­
re abuliche le anime e infruttuosi prediche, consigli e rimproveri, dal m om ento che
ognuno era sicuro fin dalPinizio della salvezza o della condanna, fu quella d ’aste­
nersi da un parlare troppo franco: significava ammettere che certi uomini sono pre­
destinati al m ale, che Dio è Pautore del peccato e che il Cristo è m orto solo per gli
eletti. A gostino l ’aveva scritto totidem verbis, quando a proposito dell’uom o affer­
m ava che: “ Nessuno può volere se non è incitato e chiam ato sia interiormente, sia

(37) Aug., Contro Juiianum , 4.


(38) Aug.. De civitate Dei, X I, 18.

115
esteriormente così che il volere stesso è un’operazione di Dio in noi (39); e su D io:
“ D isporre le opere future nella sua infallibile e im m utabile prescienza # io l dire solo
predestinare (40); noi vogliam o solo quello che D io ha voluto e prescritto e questo
con tutta la certezza e devono essere quello che son o, esse sono assolutam ente di
fronte alPessere, perché lui ha prescritto ciò che esse vorranno e ciò che saranno e la
sua prescienza non può sbagliare“ (41). “ Dio ci ha eletti in Cristo prim a delPinizio
del m ondo, predestinandoci per essere suoi figli adottivi, non perché fossim o per
nostro conto santi e senza colpa, m a perché lo fossim o e Pha fatto seguendo soltan­
to la sua volontà, affinché nessuno si glorifichi della p ropria, m a di quella di Dio su
di lui’ ’ (42), M a A gostino aveva scritto anche il contrario di queste afferm azioni; per
esem pio, che Dio non è Pautore del nostro volere il m ale, I concili conclusero nello
stesso m odo: adottarono i principi rifiutandone le conseguenze logiche più spiacevo­
li. C osì, padroni degli argomenti a favore e di quelli contrari, i teologi tennero gli
animi m olto chiusi in formule puramente convenzionali e conservarono alla direzio­
ne ecclesiastica una totale libertà, mentre i ragionam enti si perdevano in distinzioni
verbali e in infiniti cavilli, m a sempre nei limiti autorizzati,
Una dottrina b a sa la sul fato non è delle più favorevoli alla potenza sacerdotale;
anzi, ovunque si radichi, le porta un colpo m ortale. M a la teologia evitò le possibili
conseguenze della dottrina paolina e agostiniana, sostenendo, accanto alle tesi della
predestinazione, della grazia necessitante e della salvezza per fede, quella contrad­
dittoria del libero arbitrio dell’anim a, della potenza delle opere e della necessità dei
sacramenti amm inistrati dal sacerdote. Così la religione dei paesi non musulmani se­
gui per lungo tem po lo sviluppo naturale delle religioni clericali, quello di m oltipli­
care le credenze e le pratiche, affo gare nelle superstizioni la libertà di pensare e di
credere, consegnare, per cosi dire, le chiavi d elfan im o um ano a persone investite di
autorità divina. Fra le cose più im portanti dell’evoluzione religiosa va ricordato il
culto dei santi e della m adre di D io, considerati intercessori dei peccatori presso il
Cristo. Qualcuno pensò anche che questa Vergine-madre, nascendo, non fosse m ac­
chiata dal peccato originale, tornando per questa via in m odo evidente al politei­
sm o. A questo fervido culto si aggiunse in m odo naturale T adorazione delle im m agi­
ni che i cristiani avevano tanto rim proverato ai pagani e che era altrettanto idolatri­
co. Va ricordato inoltre il culto del corpo di Gesù. Fin d a ll’inizio l ’eucarestia era sta­
to il sacram ento per eccellenza dei cristiani, come il battesim o dell’acqua, e anche
più caratteristico. L ’istituzione della cena, riferita d all’ap ostolo P aolo, poteva an­
che risalire a Gesù stesso ed è certo che, in questo banchetto sacro, qualunque fosse il
suo significato, si m angiava il corpo e si beveva il sangue dell’angello umano sacrifica-

(39) Aug., De dtver. quaest. q. 83, q. 68, 5.


(40) A ug., De dono perseveranriae, X V II, 41,
(41) Aug., De av ita te Dei, V, 9.
(42) Aug., Depraedestinatione sanciarum , X V II1.

116
to per i peccati del mondo « In questo m odo fu precisato che Tatto essenziale del culto
consisteva nel m angiare un nutrimento che è “ il corpo e il sangue di Gesù Cristo in­
tero che vi è contenuto veramente, realmente e sostanzialm ente” . L a vittim a intera,
anim a e corpo, non solo è contenuta sotto le specie del pane e del vino, m a “ in
ognuna delle parti di ogni specie dopo la loro separazione“ ; questo non impedisce al
Salvatore “ di essere sempre in cielo seduto alla destra del Padre, secondo il m odo
naturale di esistere e insieme di essere realmente in molti altri luoghi attraverso il sa ­
cram ento” ; il corpo e il sangue “ una volta consacrati non sono presenti solo finché
viene am m inistrato il sacram ento, ma restano nelle ostie o particole consacrate” ; in­
fine “ Gesù Cristo, figlio unico di Dio, deve essere adorato nel santo sacram ento
dell’eucarestia col culto di latria anche esteriore, portato in processione in m aniera
visibile, e tc .” (43),
Questo dogm a straordinario, il più strabiliante che la fiducia nelle pratiche m a­
giche abbia mai prodotto, fu fonte, a sua volta, di innumerevoli leggende m iracolo­
se, superstizioni e crudeltà, m a soprattutto servi ad accrescere enormemente il carat­
tere del prete, investito del dono di produrre Gesù C risto nel tem po attraverso il sa ­
crificio della m essa così come il Padre l’ aveva prodotto nell’eternità; in questo m o­
do il prete si trovava innalzato oltre gli angeli e perfino oltre la m adre di D io la quale
aveva fatto una volta solo nella vita quello che lui, volendo, poteva fare in ogni m o­
mento (44). Un altro dogm a, m eno strano, m a altrettanto sorprendente per le conse­
guenze che ebbe, aum entò ancora il prestigio sacerdotale e il credito m ateriale del
prete. Poco a poco nella Chiesa prese piede un’opinione sulla condizione dell’anim a
dopo questa vita che gli antichi avrebbero definito rilassata. I m orti non venivano
più rappresentati nel riposo comune dell’Ade o Schéol mentre aspettano il giudizio
finale universale. Q uesto giudizio, annunciato come prossim o o addirittura immi­
nente, si era fatto attendere troppo. Si pensò perciò che essi avessero g ià subito indi­
vidualmente un giudizio in seguito al quale gii eletti senza m acchia sarebbero entrati
in paradiso. T ale cam biam ento del pensiero teologico derivava dall’abbandono del­
la dottrina dei millenaristi che avevano già atteso con una fede vivissim a il ritorno
del C risto sulle nuvole prim a della fine della loro generazione e anche dalla graduale
sostituzione della filosofia platonica con la dottrina ebraico-cristiana, la più diffu sa,
sull’anima. Tale dottrina non separava il corpo dalla vita perciò i m orti venivano
pensati immersi in questo riposo, di cui si parla tanto nei libri liturgici, fino al m o­
mento in cui la resurrezione dei corpi li avrebbe chiamati a prendere insieme l’anim a
e la vita. Al contrario il pensiero greco che separava le anime dai corpi non poteva
figurarsi le anim e che in un luogo distinto e in un certo stato di sensibilità definito
secondo t loro meriti. Derivava da ciò che la credenza del purgatorio, 0 luogo in cui le ani­
me destinate al p arad iso , m a m acchiate da qualche peccato veniale, pagavan o attra-

(43) L ’autore ha impiegato i termini del concilio di Trento: li abbiam o riconosciuti e virgolettati.
(44) Cf. (a difesa del pastore Steeg accusato di oltraggio alla religione, Corte d* Assise della Gironda,
udienza delP li set. 1872.

11 7
verso terribili tormenti materiali anche se sopportabili, il loro debito alla collera di­
vina. Una simile im m aginazione portava naturalmente inquietudin^o dolore secon­
do la forza della fede a quei cristiani che, non osando pensare i loro parenti ed amici
morti nel num ero piccolo dei beati e non disperando per questo della m isericordia
divina, erano costretti a rappresentarseli giorno e notte nel supplizio del fuoco: nor­
m ale espiazione secondo la più comune visione dei teologi. M a il male aveva un ri­
medio, almeno per chi poteva o voleva p agarlo. Il potere del prete si m ostrava cosi
in una luce del tutto nuova.
L a reversibilità dei meriti è un dogm a essenziale del cristianesim o; si fonda sulla
salvezza operata dal C risto, vittima unica che si è sostituita alla persona di ogni pec­
catore. Era sufficiente applicare tale reversibilità alle anime del purgatorio facendo
sì che godessero delle preghiere e delle buone azioni dei vivi. Per um iltà nessuno d a ­
va a questo fatto m olta im portanza; del resto com e assicurarsi dell’ efficacia di
quanto sarebbe stato possibile fare? Il merito del Cristo non era forse infinito, quin­
di applicabile ai nostri peccati personali e sempre inesauribile, anche dopo la reden­
zione di tutti dal peccato originale? E i meriti dei santi? B astava solo sapere chi ave­
va il potere di disporre di un tale tesoro. Dal m om ento che i sorveglianti, fin dai pri­
mi momenti della nuova fede, si erano conferiti la facoltà di im porre pene, di perdo­
narle o di abbreviarle nel nome di D io, secondo la loro conoscenza della natura e del
livello della soddisfazione dovuta a Dio stesso, potevano tranquillamente interveni­
re anche per distribuire ai fedeli come dono le virtù supererogatorie esistenti. E sicco­
me contem poraneam ente i barbari, in particolare i Germ ani, introdussero P usq di
riscattare i delitti col denaro, diventò naturale che il prete perdonasse alle medesime
condizioni le pene meritate col peccato e perdonasse qualsiasi peccatore vivo o m or­
to per il quale qualcuno volesse pagare. Q uesta pratica fu colorata nel m odo m iglio­
re con l’assim ilazione di denaro e buone opere. Il denaro, nella sua qualità di stru­
mento di scam bio rappresentava tali opere; per questo ai preti venivano pagate le
messe celebrate, venivano fatte donazioni alle abbazie o costruite chiese. Le remis­
sioni di pene ottenute in questa m aniera furono chiam ate indulgenze.
A ccanto alla dottrina e alla pratica delle indulgenze furono sviluppate quelle
dell’assoluzione dei peccati ad opera del prete e della confessione auricolare, che
portarono al punto m assim o il potere sacerdotale. Nella C hiesa, penitenza e assolu­
zione erano pratiche antiche; ma all’inizio, e per m olto tem po, si era creduto che
una vera assoluzione fosse legata al pentimento e il ruolo del preLe fosse lim itato
alfin vocazion e di D io. Il prete giunse ad avere il potere diretto di legare e sciogliere,
come si diceva, e il diritto di pronunciare le parole: Io ti assolvo. L ’introduzione del­
la confessione auricolare, divenuta obbligatoria per Lutti i cristiani, condizione ne­
cessaria per ottenere i sacramenti da cui dipende la salvezza, suggellò il potere del
clero consegnandogli i segreti delle persone e la direzione delle fam iglie, due cose
m olto utili per usare opportunam ente le chiavi del paradiso e dell'inferno.
Tutti gli elementi spirituali del potere teocratico erano stati messi insieme: tutti
ad eccezione d elfu n ità del potere tem porale, indispensabile all’unità dell’altro pote­
re e anche alla sua piena efficacia. Infatti, quando regioni nelle quali è professata
un ’ unica religione sono soggette a numerosi governi, come nelle parti deirantico im ­

118
pero rom ano in cui i barbari avevano instaurato il regime feudale, l ’oppressione re­
ligiosa e le persecuzioni possono difficilm ente raggiungere lo stesso grado di intensi­
tà che invece posson o raggiungere in un grande regno. Se arrivano a tal punto dove
la volontà di uno solo non riesce ad imporsi definitivamente è sempre in un m odo po­
co duraturo a causa della volubilità dei principi, della loro rivalità, degli asili che da
tutte le parti si aprono ai dissidenti, della diversità delle fedi e dei costum i, qualun­
que sia lo spirito di unità e l ’ardore m issionario di un clero. A bbiam o tracciato il
q uadro generale del cammino seguito dal potere sacerdotale per la propria afferm a­
zione. Non bisogna dimenticare che non si erano potuti form are né un dogm a unico,
né un pontificato suprem o universalmente riconosciuti, né costum i uniform i. I
principi non si erano prestati a questo rischio e quasi ovunque controllavano il clero
attraverso le assegnazioni di sedi, benefici di cui erano gli unici dispensatori e con al­
tri strumenti di cui disponevano, a volte anche facendosi assegnare il titolo di prim a­
te e capo della Chiesa nazionale.
Fra i diversi patriarcati esistevano divergenze assai gravi di dottrina, di culto e
di disciplina, in m odo particolare fra i principati germanici e le provincie orientali.
Solo in pochissimi seggi episcopali si era potuta afferm are un’istituzione che alcuni
sorveglianti avevano tentato di introdurre sotto il nome di Santa Inquisizione delia
fe d e . 1 governi ebbero paura di concedere ai preti il riconoscimento definitivo di p o ­
lizia religiosa e m orale, riconoscimento che avrebbe annullato il loro potere ail’ori-
gine. Bisognava mettere in pratica con regolarità, rigore e costanza la m assim a cat­
tolica secondo la quale è colpevole di lesa m aestà divina e degno delle più grandi pe­
re chiunque si allontani dalla fede dei sorveglianti o dei loro concili e si permetta
non solo di divulgare opinioni condannate, ma anche di tenerle in fondo al proprio
anim o. Bisognava creare un codice e procedure per entrare nelle coscienze, agenti e
tribunali segreti per interrogare severamente i colpevoli, torture per farli parlare. I
disgraziati, uomini e donne, sospettati di tenere relazioni con lo spirito del m ale sa ­
rebbero stati portati davanti agli stessi giudici che conoscevano già perfettam ente i
segni dai quali si poteva riconoscere che Satan a si era im possessato di un corpo. In­
fine gli accusati, una volta convinti, dovevano essere affidati al braccio scollare, che
veniva invitato a darli alle fiam m e, non potendo la Chiesa versare del ¿angue. II
braccio secolare, il braccio del principe si rifiutò quasi sempre di mettere in pratica
tali sentenze; furono m esse in pratica solo in qualche punto, dove un eccesso di regi­
me feudale aveva temporaneamente riunito ra u to rità episcopale e il potere politico
nelle stesse m ani. In questo m odo, uomini che generalmente avevano ogni vizio e
che praticavano, per cosi dire, solo violenza e perfidia, risparm iarono a ll’um anità
un tal punto di m iseria intellettuale e di obbrobrio m orale che veniva loro proposto
in nom e di Dio da uomini che dicevano volere la pace e la verità!
L a fede ardente e fanatica aveva conquistato tutti gli animi e gli stessi eretici
difficilm ente, si m ostravano ragionevoli e amici della m utua tolleranza. Le scienze
erano quasi del tutto m orte e i libri distrutti, a dispetto delle comunicazioni con
rO ccidente che venivano necessariam ente conservate. Perfino la lettura della Sacra
Scrittura fu proibita; fu il prezzo per impedire che le eresie si estendessero e infiam ­
m assero i cuori degli uomini, come si era visto tre o quattro secoli prim a. Ogni reli­

119
gione derivava orm ai dalla bocca del prete. U n'arte sola fioriva: la costruzione di
chiese, perché la natura dell’inclinazione artistica nello spirito um $no permette, in
certe condizioni di ordine e di potere, anche a chi fosse fa lso , o addirittura un m o­
stro, di cogliere le form e del bello. L ’industria e il com m ercio versavano in una si­
tuazione triste ed um iliata dovuta alle guerre continue e non circoscritte, al disprez­
zo verso il lavoro e alla divisione della vita um ana ritenuta nobile solo se condotta
fra le guerre, le gozzoviglie e la pratica dei conventi. Q uesto stato di cose si prolungò
quasi fino agli albori del X V I secolo (45), epoca in cui il movimento degli spiriti in
G erm ania fu m odificato dagli avvenimenti che restano d a raccontare.

(45) IX deirera cristiana.

120
Quinto Quadro
L e nazioni occidentali. Le costituzioni politiche. Evoluzione delle religioni in Occi­
dente. ¿ a grande crociata e la federazione europea. Il secolo delle scoperte. Il p ro te­
stantesim o germ anico. L o sta io delle, religioni in Occidente e in Oriente. Qi/esriowe
rfe//a proprietà. Le guerre sociali. L \avvenire del m on do.

L a costituzione dell’im pero rom ano, prom ulgata d a Albino nel 977 (1), era b a ­
sata sul sistem a delle adozioni, che nel periodo degli Antonini aveva così ben facili­
tato il passaggio dal principato alla nuova repubblica. L o chiam iam o ancora impero
a causa del dom inio che R om a, nel periodo al quale ci riferiam o, manteneva sulle
provincie, anche su quelle orientali. M a era un impero senza im peratore. Il n om ed i
im peratore, più che per decreto del senato, era stato assim ilato d a ll’esecrazione po­
polare a quello di re, sul quale pesavano quasi mille anni di maledizioni ininterrotte:
nessun generale poteva fregiarsene, sebbene la sua prim a e più am ica accezione fo s­
se unicamente militare. 11 consolato era unico e a vita. Ogni console, a ll’atto dell’ in­
sediam ento, doveva designare a sua volta un vicario, che sarebbe stato a un tem po
suo supplente e successore, m a tale nomina doveva essere ratificata dal senato e d ai
tribuni delle provincie. Ogni consanguineità fra i due era proibita. I tribuni, inviola­
bili come quelli della vecchia repubblica, stavano in carica quattro anni ed erano n o ­
minati dal senato; m a il popolo di R om a com inciò ben presto a protestare per nom i­
nare direttamente il suo tribuno e le provincie im itarono questo m ovim ento anche se
erano validam ente rappresentate in senato. £
E ra questa la grande assem blea dell’im pero, com posta in prim o luogo dai rap ­
presentanti delle vecchie famiglie rom ane che avevano mantenuto i principi della li­
bertà e avevano operato il rovesciamento del principato. I senatori che provenivano
d a questa classe poco num erosa potevano riunirsi d a soli una volta all’anno per desi­
gnare due nuovi m em bri, scelti fra gli abitanti di ogni provincia che si fossero segna­
lati per meriti eccezionali o per servigi resi allo Stato , ovviando cosi al decremento
numerico dell’antico patriziato. L a loro nom ina era ereditaria. L a classe dei senato­
ri, la seconda in ordine gerarchico, era nom inata solo a vita, m a nei primi tem pi, di
fatto, tale nom ina divenne spesso ereditaria. Le provincie dell’Italia, della G recia,

<1 ) 2 01 d e l l ’e r a c r i s t i a n a .

121
della Gallia e della Spagn a e la città di R om a, che coi suoi dintorni erarfbonsiderata
provincia, nom inavano i senatori indirettamente, in un m odo m olto com plicato, a
causa del quale ogni classe di cittadini credeva di poter esercitare un ’influenza su tali
uomini, Erano infatti le assemblee generali delle provincie a fare le designazioni ogni
qual volta un seggio si fosse reso vacante ed esse venivano nominate da num erosissi­
me assemblee locali, nelle quali tutte le classi e le professioni erano rappresentate da
delegati che, almeno agli inizi, erano revocabili. Non ci riferiam o alle provincie
orientali, che furono assim ilate a Stati amministrati e soggetti a un tributo più che a
parti autonom e delflim pero, non venendo riconosciute loro le necessarie attitudini
all’esercizio della libertà e rim asero perciò sotto il regime del proconsolato e la su­
prema sorveglianza del senato.
Ai consoli a vita erano conferiti p ress’a poco i compiti amm inistrativi degli im­
peratori, senza i titoli religiosi o tribunizi; dovevano ottenere il consenso del senato
per fare la guerra e per trattare la pace, per stabilire le im poste e per emanare ogni
ordinanza che avesse forza di legge delflim pero. Il veto dei cinque tribuni era un al­
tro limite alla loro autorità, questi funzionari, infatti, ricevevano dalla durata del lo­
ro m andato e dal carattere stesso delle loro funzioni una indipendenza reale di fron­
te all’assem blea che li nominava, di cui potevano frenare l’azione con l’unanimità,
come pure di fronte al console che, ratificando la loro nom ina, poteva assicurarsi un
accordo generale fra la loro politica e la sua, m a non una connivenza implicita a tut­
ti i suoi disegni. M algrado tutti i limiti posti sistematicamente al potere dei consoli,
questi m agistrati ebbero, nel periodo della Costituzione di A lbino, un’influenza,
considerevole e effettivam ente dirigente per la continuità delle loro politiche, conse­
guita attraverso adozioni successive, per l ’origine del loro potere che non derivava
affatto dal senato e per il numero di incarichi di cui solo loro disponevano nell’ am ­
ministrazione. È proprio a loro, più ancora che ai tribuni e agli sforzi continui del
partito stoico che sedeva in senato, che bisogna attribuire il successo definitivo della
grande riform a rom ana. Il partito oligarchico dell’ Italia e delle provincie, una volta
passato il prim o im pulso e il prim o entusiasm o, si era m esso all’opera per riconqui­
stare i privilegi perduti e i consoli furono spesso in d ifficoltà nel dirigere la m aggio­
ranza dell’assem blea. Gravi conflitti di autorità misero più di una volta in pericolo
la costituzione.
Insom m a l’evoluzione delle cose, come spesso accade dopo le rivoluzioni, di­
ventò a poco a poco regresso.A dispetto degli sforzi dei consoli che, affron tan do i
problemi d a ll’alto, al di sop ra delle passioni dei senatori proprietari e ricchi, aveva­
no sempre gli occhi fissi sui grandi obiettivi di C assio e di Pertinace, ripopolare flim-
pero e rafforzare i costumi della libertà, il senato limitò, per quanto gli fu possibile,
i diritti accordati ai liberti e inasprì, con tutti i cavilli, i balzelli che gravavano sugli en-
fiteuti dei privati e dello Stato e spesso anche i tribuni adottarono la politica del se­
nato. 1 canoni pagati ai vecchi proprietari sem bravano tanto più onerosi, allonta­
nandosi sempre più il ricordo dell’equità dei contratti a causa del tempo che era p a s­
sato, sem brava sempre più insostenibile la divisione a metà dei frutti del lavoro fra
chi continuava a lavorare di padre in figlio e chi riceveva una rendita netta, che ge­
neralmente derivava da qualche antica usurpazione. Dunque il partito oligarchico

122
lavorava a rendere più grave il balzello proprio nel momento in cui era considerato
più peso e meno giusto. In fondo questo partito rim piangeva l ’antica condizione dei
proprietari, il m onopolio, che era ritornato nelle sue m ani attraverso la rendita dèlia
terra e l ’usura nel commercio» Q uesta classe si era arricchita e non certo im poverita;
infatti verso la fine del vecchio regime il prodotto dei beni fondiari era continua-
mente diminuito e la coltivazione con m anodopera schiava era diventata fallim enta­
re; il tasso fisso degli affitti, gli alti interessi del denaro prestato a gran rischio insie­
me alla vergognosa piccola speculazione urbana al \2°?o Tanno, metteva la classe p a ­
rassitarla in una situazione di prosperità prim a meno comune.
Nello stesso tem po si produsse il fenomeno inverso. Non solo la popolazione
aum entò secondo le previsioni, non solo si form ò una classe im portante e compieta-
mente nuova di liberti contadini, m a nelle città, soprattutto a R om a, nacque un p ar­
tito politico e sociale legato alle form e del governo dem ocratico, un partito che vole­
va usare tali form e per introdurre la giustizia nelle leggi, cosa che non si verificava
da più di tre secoli. Questo partito, all’inizio, era form ato dalla m assa dei liberti che
godevano di estesi diritti di cui venivano im parando Tuso. L a m aggior parte di loro
pagava agli antichi proprietari una rendita sul prodotto delle industrie o delle p ro­
fessioni liberali che avevano abbracciato e non sempre riuscivano facilm ente a ri­
scattarle. C ’erano inoltre tanti giovani di ogni condizione ai quali venivano insegna­
te, nelle scuole che il nuovo regime aveva m oltiplicato e reso gratuite, la letteratura
latina e poi quella greca; con la letteratura erano obbligatori lo studio della filoso­
fia, cioè dello stoicism o che informav a quasi tutta la m orale delTistruzione pubblica
e delle tradizioni repubblicane, il culto dei grandi uomini e delle im prese del passato.
Infine c’ erano fam iglie di liberti contadini che si erano arricchite per merito dei loro
capi attraverso lo sfruttam ento di fondi e operazioni commerciali. I loro figli arriva­
vano a R om a da tutte le provincie, erano am biziosi e di solito abbracciavano la mili­
zia politica nelle fila del partito dem ocratico dove li univa naturalmente Torigine e
l’educazione liberale ricevuta»
L a lotta fra il partito oligarchico, egoista e cieco, e il partito popolare, sempre
più violento a causa delle invasioni e delle resistenze dei suoi nemici, porti^ come
succede di solito, a una di quelle crisi in cui il problem a di conoscere se un dittatore,
un despota qualsiasi, distruggerà tutte le libertà col pretesto di vendicare e servire il
popolo o di salvare gli interessi minacciati dei ricchi e dei grandi è rimesso alla com ­
binazione delle circostanze e delle capacità degli uom ini. Per fortuna il pericolo più
terribile di questi casi era stato scongiurato dalle riform e di Pertinace: non c ’erano
da temere generali elevati al consolato, vincitori, trionfatori fregiati di tutti i titoli
che preparano i tiranni, o le coorti di pretoriani o di altri soldati di mestiere senza
una vera patria e senza altra idea politica che il soldo e la prom ozione. Finite le gran­
di guerre, ripudiato lo spirito di conquista, m odificata la politica m ilitare in politica
difensiva anche nelle provincie orientali dove il tarlo religioso rodeva continuam en­
te, destinate le milizie, in gran parte locali, alla protezione dei territori nei quali ve­
nivano reclutate, era im possibile a ogni uom o politico, di qualsiasi rango e di qual­
siasi partito, im piegare le legioni pro o contro il governo o i suoi oppositori e cam ­
biare la costituzione. M a se fosse scoppiata, con l’appoggio segreto di qualche tribu­

123
no e senatore influente una di queste grandi som m osse popo lari, di £iui da tem po
non si diffidava più, il senato e il console stesso non avrebbero potuto sedarla.
Nel m om ento in cui i tentativi reazionari deiroligarchia e la rabbia crescente
della borghesia rom ana e di coloro che dovevano pagare degli affitti facevano presa­
gire una crisi imminente, nel 1068, il consolato era nelle mani di Flavio Valerio C o ­
stanzo, detto C loro, un Illirico che discendeva da una fam iglia di antiche tradizioni
m ilitari, adottato dal dalm ata Aurelio Diocleziano, successore di consoli di grande
valore civile, di costumi ed educazione stoici. L a sua nom ina, grave errore del con­
sole che l ’ adottò, era stata m otivata con un piano di politica estera allora in voga,
che consisteva nell’elevare al rango di grande provincia occidentale dell’im pero i ter­
ritori ad Oriente del m are A driatico fino alla M acedonia in m odo da creare su quel
fronte un baluardo più sicuro per l’Italia, nella previsione di nuove incursioni di
barbari, più terribili di quelle che si vedevano ogni giorno com battere ai confini del­
la Germ ania. M a per questo si doveva fare i conti con gli insediamenti di Goti, di
Svevi, di Vandali che erano stati autorizzati in diversi punti dell’im pero e contrasta­
re la setta intollerante che quelle tribù avevano portato in queste regioni. Per seguire
tale progetto, che doveva poi essere preso e ripreso dando luogo a molte guerre, le
più alte cariche della repubblica furono affid ate a uomini che mettevano in esse tut­
ta la loro passione, ma il cui attaccam ento alle nuove istituzioni dello Stato era tanto
minore quanto più si sentivano attratti da imprese di conquista. Infatti Diocleziano
e C ostanzo si legarono nel senato al partito oligarchico. Fecero revocare la legge che
proibiva ai consoli di uscire d a irita lia e per trenta anni fecero guerre contro tutte le
tribù che andavano e venivano, da Aquileia e Salona fino alla parte più rem ota della
T racia e anche oltre, senza arrivare a ristabilire la sicurezza e a fondare un numero
sufficiente di colonie civili in regioni per tre quarti deserte. A com penso di una
sconfitta definitiva raggiunta attraverso cento successi, Diocleziano sperava di fo r­
m arsi una sua arm ata con la quale avrebbe potuto, al m om ento opportuno, passare
in Italia e ristabilire l’ordine tu rbato, così si diceva, d all’insaziabile am bizione degli
schiavi di ieri. L a costruì in gran parte con volontari stranieri di ogni razza e il sena­
to non gli fece m ancare i fondi necessari. Q uesto console, a dispetto delle sue qualità
di am m inistratore e di generale, non arrivò ad organizzare quella specie di im pero di
Oriente dove probabilm ente contava di farsi una base sicura per riprendere il trono
di R om a. Il suo successore, C loro , che aveva obiettivi analoghi, forse meno perso­
nali e più m odesti, fu meno ipocrita e meno capace e divenne im popolare. L a m ag­
gioranza del senato, logorata da anni di corruzione e di intrigo, sperava in un g ra ­
duale ritorno al vecchio regime; alcune votazioni di quel periodo ne erano la prova;
ben presto tutti seppero che un’occasione favorevole sarebbe stata sufficiente a ro­
vesciare la costituzione albiniana. In quel m om ento il senato era favorevole a tale
progetto, pensando di poter prevenire l’usurpazione totale da parte di un console
come Cloro e restare così padrone dello Stato. In parecchi casi ci si fanno di queste
illusioni.
Il pretesto scelto fu il trionfo di C loro votato dal senato per tutti i suoi successi
e per quelli del padre adottivo in Oriente. Violando tutte le leggi e contro ogni p ru ­
denza, l’ assem blea commise un tradim ento e autorizzò il trionfarore a condurre il

124
Italia, e anche a R om a, il suo esercito. M a i cospiratori, da un lato ebbero paura di
far entrare tanti barbari nella città e dare al console una forza tanto grande, dall’al-
tro pensarono di poter pradoneggiare la situazione disponendo di una o due legioni
scelte, perché temevano solo una rivolta popolare di cui ogni forza regolare ha facil­
mente ragione. Com m isero così Terrore di ammettere a Rom a solo diecimila legio­
nari scelti dal loro generale. Protetto da questo piccolo esercito fatto più di stranieri
che di rom ani, la cui entrata in Roma indispose non solo il popolo m a anche le mili­
zie italiche, C loro fece sì che la m aggioranza del senato, la vigilia stessa del giorno
fissato per il trionfo, votasse per acclam azione una serie di m isure, la cui sola propo­
sta doveva essere punita con la pena di morte secondo la costituzione di cui erano il
rovesciam ento. Fu decretata la sospensione della legge sui latifundio dove non fo sse­
ro ancora intervenuti regolamenti e contratti definitivi, il ritorno agli antichi pro­
prietari dei beni per i quali affittuari e liberti non avessero ottem perato rigorosa­
mente a tutti gli impegni; infine fu decretato un aum ento degli affitti, a meno che il
proprietario non avesse preferito Tannullam ento del contratto, dove fossero stati
accertati profitti troppo alti. Inoltre furono recale offese alla condizione delle perso­
ne e con lo stesso atto legislativo si fecero prevedere cambiamenti al m odo di reclu­
tare i senatori e ad altre leggi fondam entali dello Stato.
L a sollevazione era pronta a R om a, in gran parte delT ltalia e in altre provincie
occidentali. L a m inoranza del senato, per protesta, alFinizio abbandonò l ’au la, poi,
con l ’aiuto delle milizie urbane che si ribellarono, si im padronì alTim provviso del
Cam pidoglio, dove per un senso di rispetto alla legge i soldati di C loro non erano
stati fatti entrare. L a m aggioranza dispersa non riuscì più a riunirsi e, nelTinsurre-
/.ione generale di questa immensa città dove tutti gli uomini, grazie alla legge di Per­
tinace, conoscevano Tuso delle arm i, le due legioni di Cloro rim asero paralizzate,
bloccate, im m ediatamente costrette alla resa abbandonando il loro generale. Riat­
traversarono TAdriatico e Cloro fu condannato a morte dal senato, anche da alcuni
di quelli che Tavevano incitato all’im presa. ¡1 fatto ebbe delle conseguenze, perché le
legioni, tornate nelTIlIiria con sentimenti di vendetta, com unicarono a tutto l ’eserci­
to lo spirito da cui erano animate. C ostantino, figlio di C loro fu proclam ato sul
cam po im peratore e mise in pericolo la repubblica. Qualche anno dopo (1072) C o ­
stantino com andava un esercito di considerevole entità, quando il vecchio Galerio,
antico luogotenente di Diocleziano ma legato alla politica delTOccidente, potè m ar­
ciare contro di lui con un esercito form ato di contingenti che provenivano dalTIta-
lia, dalla G allia e dalla Spagna; la Grecia e la M acedonia infatti dovevano difendersi
contro i barbari che Costantino aveva reclutato o che fece guerreggiare per la sua
causa. Questo giovane im peratore era abile e sapeva giocare nel suo interesse lo stru­
mento del fanatism o. Faceva balenare ai cristiani di M esia, d ’IIliria e di T racia la
speranza di vedere la loro religione conquistare l ’Occidente e l ’Oriente, diventare la
religione delTim pero in grado di perseguitare tutte le altre. Si racconta che durante
una grande rassegna un segno celeste, una croce lum inosa, gli apparisse in cielo; era
un presagio di vittoria sotto tale segn o. Del resto, col suo consenso, alcune legioni
avevano già sostituito in cima al labaro la solita aquila con la croce. M a fu sconfitto
e ucciso in una grande battaglia sotto le mura di Trieste.

12 5

Il senato, epurato dalla rivoluzione del 1068, non ebbe la forza, mentre erano in
atto ribellioni di cui tale fatto nelle provincie occidentali rappresentava il segnale, di
lavorare da solo a una nuova costituzione e neppure di mantenere quella antica,
screditata dagli ultimi due consolati e superata dai bisogni delle popolazioni. Questo
organism o si sottom ise a nuove elezioni a R om a e nelle provincie; solo i senatori ere­
ditari (per la verità in numero assai elevato) che avevano com battuto la politica della
m aggioranza furono esentati da tale prova. Le assem blee m unicipali delle città gran ­
di e piccole e quelle delle provincie furono lasciate libere di accordarsi e di farsi rap­
presentare, secondo la loro volontà, insieme alle popolazioni agricole che erano sta­
te ad esse accordate, con la sola condizione di eleggere un numero prestabilito di se­
natori, calcolato in proporzione alla popolazione censita. Q uesto sistem a elettorale
diminuì l’influenza e la rappresentanza della grande proprietà e deiroligarch ia. L a
nuova assem blea, per dottrina e principi, fu il frutto reale di quanto era stato fatto
tre quarti di secolo prim a per diffondere la filosofia e la letteratura nell’im pero,
espressione fedele degli interessi grandi e numerosi che la liberazione del lavoro ave­
va creato in ogni parte.
Il Senato, così rinnovato, attribuì a se stesso il ruolo politico fondam entale e vo­
tò l ’abbandono definitivo del sistem a delle adozioni e del consolato a vita, che era
finito male, m a aveva anche reso inestimabili servizi alla repubblica. I consoli ven­
nero nominati ogni cinque anni dal senato; rimasero undici, scegliendo però il nume­
ro di proconsoli necessario, a loro giudizio, a ll’am m inistrazione. 11 diritto di com an­
dare eserciti e di uscire dall’Italia fu loro assolutam ente rifiutato. Furono poi istitui­
ti sei tribuni, il cui m andato valeva per tre anni, che avevano diritto di veto; veniva­
no nominati da R om a, d all’Italia e dalle provincie attraverso una particolare form a
di suffragio dem andata alle m unicipalità: furono sei e non cinque, perché d a qual­
che anno la Britannia, travagliata d a ribellioni e combattimenti era diventata sede di
im portanti insediamenti coloniali, veniva perciò aggregata a tutti gli effetti alla Re­
pubblica, assum endo il rango di provincia. Q uesta, a grandi linee, la legge che resse
l’Occidente fino a ll’epoca della doppia crisi, dovuta alle grandi invasioni barbariche
e all ’insurrezione dei cristiani in Oriente, crisi che terminò nel 1152 (2) con la rivolu­
zione rom ana che aveva un carattere così diverso, come abbiam o g ià raccontato, e
con la dissoluzione dell1Impero.
Il 1156, anno successivo al ritorno del dittatore T eodosio a R om a col resto del
suo esercito sconfitto, vide compiersi il grande avvenimento: la dichiarazione di in­
dipendenza delle nazioni occidentali. L a G allia e la Spagn a, dopo la battaglia di Le-
rida si trovarono praticamente libere; questo probabilm ente era il loro obiettivo fin
dalla ribellione. Era m olto difficile per i dittatore pensare di sottom ettere con la fo r­
za regioni floride nelle quali si trovavano le migliori truppe dell’im pero, truppe m i­
rabilmente organizzate grazie alle istituzioni rom ane, pervase di spirito nazionale es­
sendo state costituite con elementi tratti in egual m isura da ogni classe e quasi sem-

(2) 376 dell’era cristiana. Cf. sopra p. 99 il racconto della rivolta che l’autore si limita a ricordare.

126
pre impiegate nella difesa delle frontiere. Q uesta circostanza fu la base di una stretta
alleanza fra la G allia e la Spagna che raram ente in seguito si smenti; infatti la S p a­
gn a, difesa per la sua posizione peninsulare dalla G allia, era giustam ente chiam ata
già da due secoli a fornire contingenti per la difesa comune sul Reno, Si era cosi
creata un’unità militare fra le due nazioni insieme airabitudine di contare Luna
sulPaltra nel m om ento del pericolo.
L a Britannia doveva necessariamente rendersi indipendente d all’impero nello
stesso momento della G allia. L a m arina, a quell’epoca, non era in grado di condurre
una seria spedizione nell’O ceano, soprattutto perchè sarebbe stato necessario navi­
gare lungo coste nemiche dal golfo di G enova a Cadice e da qui al canale britannico.
Di tutte le popolazioni del vecchio impero i Britanni furono coloro che tennero le
più strette relazioni coi Galli e non per essere sem pre in pace con loro; ci vuole ben
altro! Il comune interesse a difendersi dalle continue incursioni di nazioni barbare
m arittim e: Frisoni, Sasson i, Angli, Danesi portarono alla stipulazione di diversi
trattati fra questi due popoli simili per razza, lingua e religione. M a la Britannia,
conquistata troppo tardi alla civiltà, ancora sem iselvaggia e sem ideserta non potè
sempre evitare le invasioni. Grandi estensioni del suo territorio furono germanizzate
a più riprese attraverso insediamenti di tribù di pirati che non poterono essere im ­
pedite.
L a Grecia e la M acedonia non attesero gli avvenimenti dell’Occidente per chie­
dersi quale partito prendere nei confronti dell’im pero. Questi popoli, abbandonati a
se stessi quando T eodosio, che non era riuscito né a vincere i barbari in T racia né a
reprimere efficacem ente la rivolta di una sola provincia cristiana, fu richiam ato in
Italia da pericoli ancor più gravi, provarono naturalmente una viva irritazione. D o­
vettero far fronte a tutte le difficoltà e difendere d a soli le loro frontiere perché il
dittatore aveva portato con sé tutte le truppe che aveva potuto raccogliere. Simili
circostanze non potevano avverarsi senza portare a una sollevazione generale di tutti
gli antichi Stati, a un risveglio delle tradizioni e a un grande movimento entusiastico:
pensarlo vorrebbe dire non conoscere il carattere greco per quanto fosse stato m odi­
ficato, come è im m aginabile, da cinquecento anni di dittatura rom ana. Fortunata­
mente c ’era uno spirito unitario contratto d a lunga d ata e le città greche erano libe­
re, soprattutto dopo la grande riform a, mentre i problem i che riguardavano tutta la
Grecia si concentravano a Corinto, sede del proconsole. L a completa fusione di co ­
stumi e idee realizzata fra Galli, Italici e Greci aveva perm esso a questi ultimi di oc­
cupare quasi tutti gli incarichi amm inistrativi del proprio paese e le funzioni di inse­
gnam ento pubblico quasi tutto l’im pero; infine si deve considerare lo studio assi­
duo del passato, le lezioni della storia e l’intelligenza naturale di quel popolo, allora
più colto, più istruito, le cui m asse erano pervase da un ideale più alto rispetto ai
tempi della guerra del Peloponneso. Tutte queste cose insieme, sotto il pericolo im ­
minente di una invasione, im pedirono un frazionam ento funesto della Grecia libera­
ta. Risorsero le antiche repubbliche senza attribuirsi, in un m ondo orm ai m olto più
grande agli occhi dei loro cittadini, m aggiore im portanza di quanta ne possono ave­
re città e territori ai quali sono necessarie per la sicurezza, per il commercio e in ge­
nerale per tutti i beni della vita una stretta unione, relazioni costanti e pacifiche con

127
città e popoli confinanti; non sono forse anche questi m ateria di scam bio?
L a G recia si costituì in un a repubblica di Stati federati, nella quale l’autorità fe­
derale fu forte, perché prese il posto della vacante am m inistrazione rom àn a. Gli Sta­
ti che la costituivano godettero di una grande libertà, la stessa che l’am m inistrazione
im periale lasciava volentieri ai municipi e che in Grecia era sempre stata più larga
che nelle altre provincie, grazie al memore rispetto che la civiltà greca godeva nella
cultura rom an a. L a M acedonia fu trascinata d alla tradizione e dalle circostanze nel­
la rivolta prom ossa dalla nuova federazione. Q uesta regione non era più sem ibarba­
ra; resa disciplinata da un despota geniale, era diventata vivaio di valenti ufficiali,
potente sia per l ’organizzazione che per la popolazione; gloriose città, una volta tan ­
to potenti, non avevano saputo opporre ad essa che i resti di uom ini e tesori perduti
in guerre nefaste. Il saccheggio dell’Oriente, dal G ranico all’ Indo, non era più, co­
me una volta per i successori di A lessandro, una fonte inesauribile per assoldare
mercenari chiamati dal m ondo interno a completare i ranghi dei macedoni caduti o
arricchiti. L a M acedonia del X II secolo dell’era delle O lim piadi era m olto diversa da
quella del V secolo, resisteva difficilm ente d a sola agli attacchi delle tribù barbare,
quelle che Filippo aveva dovuto sconfiggere a suo tem po prim a di volgere le armi
contro le regioni m eridionali. Queste tribù ora erano costrette o spinte in avanti da
ondate di invasori che si rinnovavano continuamente e desideravano giocare il ruolo
che proprio la M acedonia aveva una volta avuto. E ssa aveva la sua civiltà d a difen­
dere, la civiltà ellenica che la rendeva in tutto simile alle regioni m eridionali. E)el re­
sto fra la M acedonia e la Grecia la bilancia delle forze era cam biata. L a M acedonia
era ricca e p op o lo sa, m a meno della Grecia il cui commercio e le cui industrie m arit­
time producevano una prosperità senza eguali. In nessun’epoca le popolazioni elle­
niche ebbero un sìmile livello di densità e di industria; le leggi militari di Pertinace
perm ettevano loro di form are eserciti cittadini se ci fosse stato bisogno; la flotta,
che sotto la bandiera greca doveva diventare la più potente come una volta lo era
stata sotto la bandiera di Rom a, era fonte di immense risorse.
D opo la piega degli avvenimenti in G allia e in G recia, dopo la sconfitta di T eo­
dosio in Spagn a, mentre le regioni orientali, invase e contem poraneam ente in rivol­
ta, e quelle danubiane, occupate dai Germ ani, non consentivano di trovare uom ini,
mezzi e punti d ’appoggio per ristabilire l ’autorità rom ana, in Italia il partito della
guerra e della dittatura aveva perduto ogni speranza. T eodosio, di ritorno dalla spe­
dizioni fallita, vedeva il suo governo esposto a tutte le aggressioni, anche a quelle dei
vecchi am ici, e circondato d a quegli ostacoli che si innalzano e si m oltiplicano sem­
pre di fronte a coloro che non hanno sapu to vincere. Fra l’antica provincia d ’ Italia e
l’ Italia, Stato federale come la Grecia, esisteva solo l ’ostacolo di una dittatura di cui
nessuno vedeva il fine, che faceva temere alle persone di buon senso lunghe imprese
rovinose. L ’ Italia, ridotta alle proprie forze, sarebbe stata in grado di riprendere la
conquista della G allia come Cesare ora che i Galli avevano preso le sue istituzioni e
con esse tutta la forza della p ropria civiltà? O non bisognava piuttosto provare a
prendere la G recia m eridionale, le cui forze attive erano im pegnate sui confini set-
tentionali contro i barbari? M a anche in tali circostanze la capacità difensiva che
ogni regione p op o lo sa dell’im pero doveva alla legge m ilitare di Pertinace era note­

128
vole e a Teodosio veniva a mancare la miglior parte della marina, perché ogni nave gre­
ca in mare si era dichiarata per l'indipendenza. In questa difficile situazione il dittato­
re dovette tem poreggiare e dirigere i suoi sforzi a conservare la propria autorità: del
resto è quello che di solito fanno i prìncipi e quelli che si credono destinati a diventar­
lo. M a i tempi del principato erano passati e la dittatura non aveva orm ai più ragion
d ’ essere in un paese che sem brava obbligato alla pace e dove gli odi di classe, dopo le
riform e agrarie, non potevano più essere sfruttati. T eodosio si vide costretto, m al­
grado la legalità apparente del suo titolo dittatoriale, a rinnovare la parte elettiva del
senato; e non appena la m aggioranza delFassem blea si pronunciò contro il m anteni­
mento dei suoi poteri, decise im provvisam ente di portare la guerra dall’ altra parte
dell’A driatico per fare una diversione e assicurarsi l ’appoggio di quelli che nutriva­
no sentimenti patriottici. Fu più fortunato in questa nuova im presa; giunse infatti,
con una serie di spedizioni vittoriose contro le tribù che occupavano in quel m om en­
to la D alm azia, l ’Illirico o i confini di quelle regioni a procurare agli italiani insedia­
menti civili di grande im portanza per la loro sicurezza e per lo sviluppo della m ari­
na. In questo m om ento venne fo n d ata una grande città militare e comm erciale nella
laguna veneta. Questi successi, sempre m olto apprezzati qualsiasi sia il loro m oven­
te, e le capacità amministrative assicurarono a Teodosio il potere per tutta la vita.
Soddisfece anche la sua am bizione, ambizione di tutti i grandi, nella convinzione di
trasmettere ai suoi discendenti il frutto delle sue ruberie: il suo titolo di sovrano. M a
i suoi figli si dim ostrarono incapaci e il principato con essi fini di nuovo.
L o stato m orale e politico dell’ Italia era in fondo del tutto simile a quello della
G recia e doveva portarla alle stesse istituzioni. Le libertà m unicipali, che avevano
fondam enti così antichi, erano rim aste profonde in ogni epoca e si erano m olto este­
se e rafforzate, sfuggendo ai pericoli e ai casi dell’arbitrio imperiale, inoltre avevano
ricevuto, in seguito etile riform e dell’esercito, dei tribunali e delle istituzioni, nuovi e
più im portanti compiti per l ’istruzione dei cittadini. Per la verità i municipi erano
delle piccole repubbliche, m a l’abitudine a considerare un unico centro di governo
per gli interessi nazionali equivaleva ad un legame federale fra di loro. In altre circo­
stanze, se la disciplina rom ana non avesse m odificato le idee e i costum i politici, il
frazionam ento di una regione in questa specie di piccoli stati avrebbe probabilm ente
generato rivalità inconciliabili, guerre, poi l’abbandono e la rovina comune. O ra
l’amm inistrazione imperiale era m igliorata, m oderata, anche se non annullata, dalla
ritrovata libertà. A lla lunga tutto questo sarebbe successo a causa dell’azione sner­
vante di una religione sacerdotale e dei fatali abusi del potere assoluto, premesse n a­
turali della conquista barbarica. Libertà forti e preziose di tutti i gruppi naturali di
popolo si conciliavano col mantenimento di una direzione rom ana per la sicurezza
dell’Italia, gli interessi collettivi, le leggi generali necessarie al regolam ento dei diritti
civili e politici, dell’insegnamento, della giustizia e della guerra. Questo non signifi­
ca che fossero impedite per sempre le guerre civili; m a quelle almeno che nascono
dalle divisioni territoriali e dalle diversità costituzionali sarebbero state risparm iate
alla penisola italiana.
L a sorte della G allia fu meno fortunata perché l ’assim iiazione rom ana, che fu
totale nella G allia N arbonense e nella Provenza, incontrò gravi ostacoli e momenti

129
di arresto nella regione di Lione, nell’A quitania, nel territorio dei Sequ^ni, in quello
dei Belgi (3) e neir Arm onica. La liberazione degli schiavi e le leggi agrarie che ave­
vano dato la proprietà dei terreni a chi li lavorava alla sola condizione di canoni ri­
scattabili e amm ortizzabili, riform e che avevano chiuso l’era degli Antonini, non
poterono naturalmente essere applicate nella loro interezza in quelle regioni nelle
quali non esisteva una m anodopera propriam ente servile. Senza dubbio in quelle
parti della G allia, dove al tempo degli imperatori si era costituita la grande proprietà
secondo il m odello italico, la rivoluzione aveva cam biato, in due secoli, gli schiavi in
liberti e i liberti in cittadini; ma le cose erano m olto diverse nelle altre regioni dove
gli usi nazionali c locali continuavano senza problem i. “ Il popolo — diceva Cesare
parlando dei Galli della sua epoca — è quasi in stato di schiavitù, da solo non può
nulla e non è am m esso ad alcuna assem blea” (4), M a questa gente non era schiava
come lo erano gli schiavi dei greci e dei rom ani, cioè antichi prigionieri di guerra, o
loro o i loro padri, di solito anche di razza diversa da quella dei padroni, il suo a s­
soggettamento era politico, stabilito nei costum i e spesso di origine volontaria: “ L a
m aggior parte delle persone — continua C esare — vedendosi schiacciata dai debiti o
riempita di tasse dai potenti si rimette al servizio dei nobili che da quel m om ento
hanno tutti i diritti del padrone sullo schiavo” . Si tratta evidentemente di quello sta­
to di schiavitù che per tanti effetti pratici ricorda la pura condizione servile, anche se
ne differisce per altri soprattutto in via di principio. Esam iniam o la composizione
delle altre due classi dei Galli e la natura della loro autorità, capirem o senza fatica
che Io stato sociale che presuppongono deve sopravvivere a lungo a riform e portate
da fuori:
“ I druidi e i cavalieri com pongono queste due classi. I druidi sono gli interme­
diari delle cose divine. 1 sacrifici pubblici e quelli dei singoli sono di loro competen­
za, come anche la decisione dì ogni questione religiosa. A ttorno a loro si raccolgono
numerosi giovani per essere educati; sono tenuti in gran conto perché emettono sen­
tenze su quasi tutte le questioni pubbliche e private, sui delitti, sugli assassin io sulle
eredità, sui confini delle proprietà. Puniscono e ricom pensano; se qualcuno non si
sottom ette ai loro decreti, sia esso uom o pubblico o privato cittadino, gli proibisco­
no di assistere ai sacrifici. Questa condanna per loro è la più grave, perché il condan­
nato è m esso sullo stesso piano degli empi e dei criminali: è evitato da tutti, non gli
viene rivolta p arola, non viene neppure guardato per paura del contagio; se dom an ­
da giustizia gli viene rifiutata e non partecipa ad alcuna onoran za” . L a potenza uni­
versale e illimitata dei druidi doveva pesare sui sudditi di questo governo teocratico
in m isura tanto m aggiore in quanto essi form avano un corpo unito sotto la guida di
un solo capo: “ A cap o di tutti i druidi ce ne è uno che dispone della suprem a autori-

(3) L ’ antica Gallia belgica, le cui frontiere cominciavano dalla riva della Senna.

(4) “ Plebs pene servoium habetur loco quae per se nihil audet et nullo adhibetur consilio” . Caes., De bel­
lo gallico, VI, 13.

130
tà ” . Educare i giovani, rendere giustizia, scom unicare gli insubordinati e am m ini­
strare da soli, com e intermediari fra l’uom o e la divinità, i problem i religiosi (5), re­
clutarsi fra le fam iglie che possono sostenere le spese di venti anni di studi e che de­
dicano volentieri i figli a una professione esente dal servizio militare e da ogni altro
peso (6), sfuggire di conseguenza ai pericoli e airim p opo larità della casta e mettere
le radici nel cuore di una nazione superstiziosa significa essere padroni di tutto. R e­
stava solo una crepa neiristituzione, attraverso la quale, a volte, poteva passare
Fazione dei principi: reiezione del pontefice m assim o. Alla morte di un druido su­
prem o, “ se molti erano di pari dignità, i druidi designavano il successore col voto.
Qualche volta lo decidevano con le a rm i” .
Quanto ai cavalieri o nobili, basti sapere che il loro unico mestiere era la guerra
e che si portavano al seguito dei clienti e degli am bacti in proporzione al loro grado
di nobiltà e alla loro ricchezza. Dal num ero delle persone del seguito, ci dice C esare,
si m isurava la loro im portanza e, evidentemente, un numero corrispondente di
schiavi lavorava per il mantenimento di ogni nobile, della sua fam iglia e del suo se­
guito militare. In un paese con una costituzione cosi caratterizzata in senso teocrati­
co e nello stesso tem po aristocratico (lo stato delle cose era di poco cam biato sotto
questo profilo dal tempo di Cesare a quello degli Antonini), si capisce bene come le
riform e agrarie non potessero trovare un’ applicazione pura e semplice e neppure re­
sistenze tanto facili da battere, anche volendolo, come invece era possibile nei paesi
caratterizzati da grandi proprietà condotte da schiavi e dove i proprietari non erano
nemmeno residenti. M algrado Fattività di M aterno, ai tempi della prim a riform a, e
la coerenza dim ostrata nelle operazioni territoriali del secolo successivo, la cattiva
volontà delle classi dom inanti in G allia e l'estrem o avvilimento dello spirito del p o ­
polo furono ostacoli seri al cam biam ento di regime. In certe zone Penorm ità dei ca­
noni e delle im poste, insieme al peso dei debiti privati, mantenne gli schiavi nello
stato servile, che era riscattabile, m a solo in via di principio. In altre zone lo schiavo,
divenuto proprietario e liberato dai suoi carichi, restò m oralm ente sottom esso al
druido e al cavaliere. Le elezioni per il Senato erano quasi completamente nelle mani
del clero e della nobiltà e l’am m inistrazione locale risentiva, come era logico,
dell’influenza dei senatori galli. Tutto questo riguarda le provincie dei N ord,
dell’Occidente, e in parte del centro della G allia. F ra queste provincie e quelle m eri­
dionali si venne così a creare una differenza di spirito e di costumi quanto m ai pro-

(5) Questo è il vero senso del passo che i traduttori sbagliano sempre: Rebus divmis intersunt, Caes.,
op.cìt. Solo i Druidi potevano compiere sacrifici secondo Strabone; thuetai de ouk aneu Druidòn, Geog.t
IV: grande differenza con quasi tutto il mondo antico in cui chi offriva il sacrificio era il capofam iglia e il
sacerdote un semplice ministro.

(6) “ A beilo abesse consucvcrunt, neque tributa una cum reliquis pendunt, militae vacantioncm omnium-
que rerum habent immunitatem. Tantis excitati praemiis et sua sponte multi in disdplinam conveniunt et
a propinquis parentibusque mittuntur” , Caes. op.cit. Cesare ci dice poi che Pistruzione dei Druidi era
tutta tramandata oralmente. Non scrivevano, evitavano il pericolo della divulgatone delle Scritture:
“ Neque in vulgus disciplinam efferri velint” .

131
nunciata. I Galli del M eridione dim ostrarono un tem peram ento m olto dem ocratico,
fusero in una sorta di sincretismo le loro religioni con quelle italiche e adottarono
anche i misteri della Grecia. I Galli del N ord restarono a lungo sottom essi ai nobili e
ai sacerdoti.
È vero che la religione druidica era stata piu o meno perseguitata durante tutto
il periodo del dom inio rom ano, ma senza un successo definitivo. L ’im peratore A u ­
gusto aveva com inciato col proibirla ai cittadini rom ani; Claudio si era illuso di p o ­
terla distruggere (7); Paolino Suetonio, proconsole in Britannia al tempo di Nerone,
incendiò Pisola di M ona e vi fece una strage; in quest'isola infatti si erano rifugiati
alcuni druidi che si fecero m assacrare insieme a stuoli di donne fanatizzate (8). Fu di
nuovo perseguitata sotto Vespasiano in seguito alla rivolta di Civile che i druidi
avevano favorito. M a nonostante l’intolleranza di R om a nei loro riguardi, intolle­
ranza m otivata dal carattere politico del loro sacerdozio e dalla natura sanguinaria
del loro culto, essi continuarono ad esistere anche dopo il ristabilimento della re­
pubblica; approfittarono delle libertà portate da questa rivoluzione, esercitarono
una grande influenza sulla nomina dei senatori delle loro regioni, si preoccuparono
solo di evitare un’azione politica troppo evidente e di nascondere i loro sacrifici
nell’oscurità delle foreste grazie alla connivenza delle popolazioni. C assio nelle sue
leggi non assim ilò del tutto questa religione al cristianesim o, ne proibì solo culto
con le pene più severe. Infine, quando l’im pero cadde, il loro patriottism o esclusi­
vo e feroce li mise alla testa di quanti, in G allia, ricercavano la separazione. M a
nemmeno la separazione era loro sufficiente, perché com inciarono in quel momen­
to a predicare, come ai tempi di Vespasiano, che la collera degli dei contro Rom a
cresceva e che la sovranità del m ondo stava per passare alle nazioni transalpine (9).
Questa iattanza è connaturata al popolo gallico. M a i druidi non poterono
nemmeno estendere il loro dom inio a tutta la G allia. Terribili guerre civili scoppia­
rono a più riprese fra il N ord e il Sud; il secolo successivo alla scissione potrebbe a
buon diritto chiam arsi, per quanto riguarda la G allia, il secolo delle guerce di reli­
gione. L a repubblica del meridione costruì il proprio destino separatam ente, m a es­
sendo meno p op o lo sa e meno vasta, anche se più ricca, ebbe spesso grandi difficoltà
a difendersi contro le bande del N ord, condotte a ll’attacco dai grandi signori fa n a ­
tizzati dai druidi. Forse, senza l’ appoggio e l ’aiuto dell’Italia sarebbe stata conqui­
stata, sarebbero stati annientati ì suoi cittadini liberi, soffocate le sue libere religio­
ni, rese deserte le sue città commerciali; la civiltà dell’Europa intera sarebbe regredita.

(7) C f. Suet., in Claudius: “ Druidarum religìonem apud Gallos dirae immeritatis, et tantum civibus sub
Augusto interdictam penitus absolvit.”

(S) C f. Tacito, Annales, XIV , 30. SÌ tratta dell’isola di Anglesey.

(9) “ Signum coelesti irae datum et possessionem rerum humanarum transalpinis gentibus portendi super-
si itione vana druidae canebant.” Tacito, Storie , IV, 54. Da quando il grande Druido è a Roma sulla Gat-
lia incrudelisce il bisogno della collera celeste, alla regione ultramontana, col cambiamento di posizione,
è nuovamente promesso l’impero deile nazioni.

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C o sa era divenuta la religione p agan a, una volta staccata dalla stretta del dog-
m a orientale, nella G allia m eridionale, in G recia e in Italia, in queste vecchie patrie
di nobili pensieri? Non era più il tem po di trovare m ateria di scandalo nei miti o nel­
le leggende del paganesim o. L 'ign oran za grossolan a o la finta ignoranza avevano
potuto solo ammettere che le vicende degli dei che venivano raccontate, la loro na­
scita, i loro am ori, i loro delitti non sarebbero m ai stati considerati fatti reali, relati­
vi alle persone. M a anche i bam bini sapevano, da quando il pensiero stoico era inse­
gnato nelle scuole, che Giove e Giunone, A pollo e M inerva, M arte, Venere, Vulcano
e tutti gli altri non erano mai stati, per i loro antenati, che nomi di forze naturali o
nomi di personificazioni umane. C osì le avventure di questi personaggi im m aginari
dovevano essere considerate simboli ora chiari, o ra oscuri, dubbi o dimenticati del
gioco delle forze cosm iche. Per esem pio, le divinità di ordine subalterno, m oltiplica­
te dalla m itologia rom ana, hanno un carattere facilmente riconoscibile dai nomi del­
le loro passioni, delle loro virtù o dei loro vizi; escludendo gli abusi (ogni tradizione
non è necessariam ente rispettabile per il fatto di essere antica) è quindi scusabile
ristin to religioso che, vedendo in queste nuove forze prodotti profondi e naturali
dell’anim a e degli elementi del destino, li ha designati com e oggetti di culti capaci di
influire sul m odo d'essere dell’uom o verso questi fatti. Le stesse cose, se necessario,
erano dette in termini più popolari dagli interpreti delle antiche forme religiose. Per
la verità queste forme erano completamente cancellate dagli animi e un cam biam en­
to così m arcato delle abitudini dello spirito, orm ai incapace di cercare, o anche solo
di comprendere un sim bolo nei fatti naturali, richiedeva una m odificazione adegua­
ta nella concezione e nel culto della divinità. Bisognava che le credenze prendessero
una direzione più morale che naturalistica e che contem poraneam ente fosse d ata
soddisfazione alle tendenze proprie di ogni culto a rappresentare le divinità sotto at­
tributi um ani. Q uesta condizione era la più difficile da soddisfare, m ancando una
dottrina dell’incarnazione; ogni religione pagan a ne aveva il sim bolo, m a la personi­
ficazione non rendeva più viva la fede.
I misteri di Sam otracia e di Eieusi furono la dim ostrazione di come l’antico
sim bolism o degli dei potesse ricostruire una concezione religiosa e essere apche il
supporto di una dottrina adeguata. Quattro senatori, A ureliano, P robo, Tacito e
C laudio il G otico, che per il loro servizio militare e il loro valore, durante l’impero
sarebbero stati degnamente vestiti di una porpora effim era, com inciarono a colm are
il vuoto che l’ espulsione delle sette orientali lasciava nella coscienza dell’Occidente
o, m eglio, com inciarono a m ostrare quanto il paganesim o, vilipeso dai settari, fosse
nobile e santo. Iniziati i misteri di Eieusi, riunirono ad Atene, nella stessa sede dei
misteri Eleusini, aderenti di rito greco, d iffuso in tutto il m ondo, coi seguaci del rito
rom ano che da gran tem po si era consolidato (10) e che da qualche anno stava pren­
dendo un considerevole sviluppo, non senza tradire la sua origine. In questo sinodo

(10) Sacra Eleusinia etiam transferre ex Attica Romani conatus est {imperator Claudius)1’ cf. Suet., Vi-
tae, in Claudius.

133
generale furono fissate le cerimonie e il loro intimo significato in accordo coi rap­
presentanti degli Eum olpidi di quel m omento e fu organizzata una capillSfe opera di
affiliazione che permise le iniziazioni e le celebrazioni del culto in tutte le città più
im portanti in m odo che nessuno fosse obbligato a lunghi viaggi. 11 segreto fu ridotto
a quello che in fondo era sempre stato, a un insieme di parole e di segni di riconosci­
mento e alla celebrazione del mistero dal quale i p ro fa n i continuarono a rimanere
estranei; la divulgazione della dottrina non incontrò più alcun ostacolo. F u infine ri­
form ato il culto in una parte delicata e pericolosa escludendo tutto ciò che derivava
dai miti dionisiaci. V o rg ia religiosa e ogni incitamento a ll’ebrezza divina e a ll’estasi
dei sensi furono abbandonati. L ’iniziazione orfica e iacchica fu lasciata a un gruppo
di fanatici che più di una volta erano stati banditi da R om a e che le polizie urbane
dovettero sem pre sorvegliare da vicino.
In quel m omento venne com presa la sem plicità e la nobiltà della dottrina eleusi­
na. La principale rivelazione che la collegava al paganesim o volgare, e che al tempo
essenziale degli dei conosciuti sotto tanti nomi diversi. Considerati nella loro distin­
zione si riducevano a proprietà divine della natura, a leggi universali, a tesm oforie
cosmiche, alle forze generali che costituiscono queste leggi o che obbediscono loro.
Bisognava dunque che Panim o delPiniziato si elevasse a un teism o fondato sulla
Provvidenza che ogni religione insegna alm eno nei simboli e nelle parole e a una m e­
tafisica panteistica. M a questo era lo scoglio; infatti il panteism o (l’assorbim ento
degli esseri nell’ unità, delle persone nell’im personale, della ragione nell’ A ssoluto
inintellegibile) è la morte della religione e della filosofia, dalle quali sem bra deriva­
re. Ma questo è Io scoglio di tutte le dottrine senza eccezione. L ’antichità non poteva
sfuggirvi. 1 misteri tendevano al panteism o in quanto sim boleggiavano soprattutto
la divinità attraverso la forza fecondante e generatrice, dalla quale è cosi facile rica­
vare, attraverso un processo di astrazione e personificazione, l ’idolo di un Dio-
Natura. Ma se nel liberavano anche attraverso la fede nell’immortalità delle persone.
Nel seno della Terra-M adre il mistero di Eieusi ravvisava l’organo divino della
generazione. Gli dei terrestri e gli dei infernali avevano per l ’ im m aginazione la m e­
desima dim ora. Ne derivava un prim o legame mistico fra il principio della riprodu­
zione e il regno dei m orti. L ’analogia diveniva più reale e penetrante con Pimmagi-
nare che il frutto o il seme della vita vegetale, posto sotto terra, vi subisce una m orte
apparente che porta al fatto naturale, al fatto m eraviglioso della generazione. L a ri­
nascita di form e di vita simili attraverso successive distruzioni era dunque un sim bo­
lo. L a m eraviglia poteva essere il fondam ento della speranza nella palingenesi delle
coscienze delle persone, palingenesi che avrebbe assicurato loro Peternità, in una
successione di morti e di nascite in forme in parte nascoste ai nostri sguardi. In que­
sto m odo era concepita la perm anenza dell’Essere, del sentimento e della m em oria
di cui la religiosità antica non ha mai am m esso la com pleta fine; venivano così uniti
in uno stesso culto gli dei sim bolici della T erra, della M orte, della Resurrezione.
Il m ito eleusino consiste infatti nella scom parsa della giovane Sem enza; essa
raccoglie inavvertitamente un fiore narcotico e ne fa dei mazzi con le com pagne sui
prati; l’ Invisibile, il re dei M orti, la conduce nel T artaro e la sposa portan dola via,
col perm esso del Padre degli Dei, alla Terra-M adre, sua m adre, e agli altri Im m orta­

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li della sfera lum inosa. L a Terra-M adre, aiutata dalla Lun a e dal Sole che vede tut­
to, ricerca il rapitore e percorre invano il m ondo, vestita con gli abiti del dolore e
della disperazione. In questo periodo i semi sono sotterrati nel suolo e grava sulla
razza um ana la m inaccia di estinzione. È necessario che il Padre degli Dei interven­
g a ; al suo ordine PInvisibile rende le sp o sa al giorno d opa averle fatto gustare il fru t­
to della Generazione. Questo frutto obbliga Sem enza a passare un terzo delPanno
nel letto del Re dei M orti; ogni prim avera ne esce per abitare con la M adre e col coro
dei Celesti im m ortali.
II dram m a di iniziazione, la cui rappresentazione era esclusiva e fatta dagli ini­
ziati stessi, era solo la traduzione della passione e dei pellegrinaggi leggendari della
m adre addolorata. U no straordinario episodio si ricollegava a pratiche di purifica­
zione e di espiazione attraverso l’acqua o il fuoco, sim boli delle opere di santifica­
zione m orale che avvicinano l’uom o a ll’essenza divina: era lo spettacolo dei riti
compiuti di notte accanto al fuoco d alla T erra-M adre che, nascosta ad Eieusi sotto il
nome di D eo, cercò di rendere im m ortale il figlio dell’ospite. Un altro episodio p o r­
tava all’istituzione di un sacram ento di com unione divina: come la dea, nel m om en­
to del dolore accettò dalle mani della sua ospite una pozione densa e profu m ata, il
kykeón, la cui ricetta è stata tram andata, allo stesso m odo l’iniziato si univa alla dea
e partecipava al suo m odo di vivere ricevendo un pane divinamente preparato. Un
altro fatto, ancora più im portante, si riferiva all’approvazione delle leggi civili e
all’istituzione dei misteri stessi durante il soggiorno della Terra-M adre ad Eieusi. L a
dea era on orata come tesm ofora, come primo artefice dell’istituzione sociale, della
proprietà e del m atrim onio. L a festa delle tesm oforie era celebrata nei misteri eleusi­
ni: le tavole della legge erano portate in solenne processione e le donne interveniva­
no attivamente per celebrare l’istituzione delle unioni legittime. Infine l’ultimo atto
della iniziazione richiam ava e fissava il pensiero sul sim bolo deH’im m ortalità. U na
spiga di grano, raccolta in silenzio era il sim bolo del pegno e della prom essa di una
futura m ietitura; il quadro finale, quello che poneva fine alle vicende felici e doloro­
se dopo molte giornate consacrate ai riti, alle prove, alle processioni e agli spettaco­
li, curati con tutta la grazia e ia m agnificenza dell’ arte greca, é ra la rappresen tin on e
della felicità dell’altra vita, che succede alla m iseria della vita presente.
Le chiese eleusine si diffusero in tutto il m ondo che si ispirava alla cultura gre­
ca e subito dopo vi fu una uguale diffusione dei misteri di Sam otracia, la cui base
era an aloga, m a presentava differenze caratteristiche. Il fine da raggiungere, da una
parte e d all’altra, era il com pim ento, il fine m orale deH’anim a, che caratterizzava il
nome dato al m istero: la teleté. Veniva presentato con atti religiosi, purificazioni e
sacrifici particolari, con prove e rivelazioni sensibili, capaci di commuovere e elevare
i cuori. L ’iniziazione di Sam otracia esigeva in particolare la confessione delle colpe e
la volontà di condurre una vita senza macchie troppo gravi, prom etteva non solo la
felicità celeste, m a anche l’aiuto degli dei salvatori nei pericoli di questa vita. Questi
dei, questi K abiri erano quattro; i primi tre sim boleggiavano l’unità originaria
dell’A m ore puro e divino e la divisione deH’Amante-Vergine e della Vergine-Am ata:
A xieros, A xiokersos e A xiokersa. Il quarto, Kùdm ilos, identificato con Erm es, era il
prodotto vivente della generazione divina e aveva il carattere del m ediatore univer­

s i
sale, m inistro e interprete degli dei presso gli uomini.
Le religioni di Eieusi e di Sam otracia, m algrado la capacità di edifrfazione m o­
rale loro riconosciuta, non penetrarono negli strati più bassi della società. M ancava­
no loro oggetti di adorazione di un sim bolism o meno trasparente. Altri misteri
avrebbero ottenuto senza dubbio un successo più vistoso pur senza proporre una fe­
de in dei più seriamente antropom orfici ; m a il m otivo più profondo era il fatto che
si indirizzavano a sentimenti meno puri o più facili da corrom pere. I m agistrati m u­
nicipali dovevano sorvegliare continuamente le riunioni dove questi misteri veniva­
no celebrati, spesso dovevano anche proibirle, perseguire giuridicamente i ministri
dei culti di flagrante im m ortalità, o quei ministri le cui prescrizioni di espiazione e
purificazione som igliavano troppo a m anovre truffaldine. C ’erano degli orfeotelesti
che vendevano il perdono degli dei, dei taumaturghi che facevano diffondere oggetti
santificati, talism ani, rimedi particolari, acque m iracolose. Queste truffe non pote­
vano essere tollerate. Infatti finché l ’istruzione popolare, grazie alla politica della
repubblica, non si fosse diffusa e divenuta efficace al punto da rendere tutti i cittadi­
ni capaci di difendersi da soli contro la ciarlataneria religiosa, dovevano esserci leggi
e tribunali in grado di proteggere i cittadini. In ogni circostanza è legittimo distin­
guere le fedi sincere, quelle che non hanno niente di contrario al diritto comune e
che posson o essere comunicate liberamente fra gli uomini senza che sia necessario
un intervento pubblico, e quelle false, il cui vero movente è lo sfruttam ento delle de­
bolezze umane.
L ’ orfism o, il dionisism o e i culti egizi m odificati, come quello di Serapide, che
erano le m aggiori occasioni per tali abu si, finivano tutti in orge che lungi dal purifi­
care la passione dandole un carattere religioso, elevandola, nobilitandola, disto­
gliendola dalle attrazioni materiali più basse, scopo dei primi m aestri dei misteri dio­
nisiaci, finivano per avvilirla nei più volgari eccessi. L a dottrina del resto era sempre
la stessa, aveva solo una form a più accentuata, più violenta di quella dei misteri di
Eieusi, Si trattava di un Dio m orto e resuscitato: di qui l’immagine e la garanzia del­
la resurrezione dell’anim a; questo Dio era anche il sim bolo di un fatto naturale. Nel­
la religione di D ioniso, o lacco, il sim bolo derivava dal ciclo della vigna e dal contra­
sto fra lo stato di morte apparente dell’ arbusto durante Pinverno e il vigore dei ger­
mogli durante Pestate. Veniva im m aginata una p assion e della pianta tagliata, lace­
rata, torturata in mille modi e una seconda p assion e dell’uva, che deve soffrire e
morire prima di apparire nello stato glorioso del liquore inebriante. Tutto questo
aveva una specie di giustificazione storica nella leggenda di Bacco, l ’eroe che, come
uom o, aveva subito tante persecuzioni e traversie prima di giungere all’im m ortalità;
tutto concludeva nella concezione di un Dioniso ermetico, m ediatore fra gli dei e gli
uom ini, conduttore, liberatore e redentore delle anim e, Sole notturno, dio della
m orte e della resurrezione, che riconduce al cielo attraverso Pestasi dei baccanali le
essenze decadute che Pebbrezza della vita ha staccato d a ll’unità originaria. Per gua­
rire i pripri simili non è forse necessario essere uguali? Serapide era un dio an alogo,
un Osiride m orto, Sole dell’emisfero inferiore, identificato con tutte le idee di p a s­
sione e di m orte, di resurrezione e di m ediazione. Anche altri dei di origine asiatica,
morti e resuscitati, avevano lo stesso significato e si collegavano a riti osceni e a p ra­

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tiche infam i soltanto attraverso simboli più grossolani. C ’erano religioni per ogni
tem peram ento, cosa che è condizione di libertà, e nessuno aveva il diritto di proibir­
le, ad esclusione di quelle incompatibili con la legge civile e con la legge m orale, fo n ­
damento di quella civile, che per questo solo motivo debbono essere proibite. L a leg­
ge e la polizia di R om a usarono questo potere per difendere la civiltà dal fanatism o
delle religioni orgiastiche, nello stesso m odo in cui queste si erano com portate con­
tro J’intolleranza cristiana che si era, per così dire, esclusa d a sola dal m omento che i
suoi sacerdoti si erano rifiutati di prestare il giuram ento civile. I sacerdoti degli altri
culti avrebbero volentieri prestato tutti i giuramenti possibili: fu necessario incalzar­
li di città in città, di casa in casa fino al momento in cui i progressi della filosofia e
delle scienze avessero definitivamente m odificato le comuni credenze sulTespiazione
e sul sacrificio. In quel mom ento il cristianesim o, corretto lui stesso, separato dal
suo ferm ento di intolleranza e di fanatism o, sarebbe potuto rientrare senza pericolo
nelle repubbliche occidentali.
Un altro vasto movimento religioso trascinò m olte intelligenze, fra le più colte
in quel periodo di transizione, di medio evo, che raccontiam o. Non è giusto infatti
chiam are religione una filosofia che, partita forse dalle favole di Platone, arrivava a
dim ostrare dogm aticam ente la storia di Dio e degli esseri e a rivelare la via della divi­
nizzazione attraverso Testasi. Il fondatore della setta era Am m onio Sacca, un fa c ­
chino di A lessandria che prim a si convertì al Cristianesim o poi lo abban don ò.
Q uando cominciò a filosofare scoprì che A ristotele e Platone, i due grandi rivali
sempre contrapposti dai loro discepoli, avevano avuto in fondo le stesse idee, e, alla
mente di chi sa capirli, si incontravano. F u il punto di partenza àùY eclettism o: fu
dato questo nome a una confusione sistem atica che, preparata d a coloro che da tem ­
po pretendevano di trovare Platone nella B ibbia e la Bibbia in Platone, O rfeo in P i­
tagora o in M osè, Z oroastro in O rfeo o in Erm es, A bram o nei druidi o Gesù nei bra-
mini (11), ebbe un’ immensa fortuna in u n ’epoca in cui esistevano tanti imitatori nel
cam po della letteratura e m ancava un vero spirito critico. L ’insegnamento di Sacca
si svolse proprio nel periodo in cui a R om a venivano portate a termine le grandi ri­
form e di Albino e di Pertinace e in cui d all’Occidente veniva definitivamente espulsa
l’intolleranza cristiana. Tre grandi uomini si incontrarono in questo m om ento: P io ­
tino, Origene (il cristiano?) ed Erennio; decisero di fondare un m istero per la com u­
nicazione. M a non si capisce cosa potesse rimanere di esoterism o religioso dal m o­
mento che sappiam o che subito dopo Plotino era a R om a, dove fondò una grande
scuola di filosofia e svelò ai suoi uditori entusiasti tutti i segreti im m aginabili degli
dei, deH’um anità e della natura.
Il principio suprem o, secondo Plotino, è l ’identità del soggetto e dell’oggetto
della conoscenza in una unità originaria, indivisa, indistinta, assoluta, che non pen­
sa, che non vede, che non è qui e là, che non è nello spazio né nel tem po, che non

(11) Il sincretismo, come si dice oggi, è riapparso nelle opere di P . Leroux principalmente ne L ’wnanitày
suo princìpio e su o avvenire.

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può essere definita in alcun m odo. Q uesto Essere, questo nulla, perché njan esiste, è
Dio e il Bene, VUno, il Lum inoso e il P erfetto. N oi possiam o conoscerlo Con Paiuto
di una p aru sìa che ci unisce im m ediatam ente a lui. È Porigine universale, perché da
lui esce per emanazione VIntelligenza pura che lo contempla eternamente. D all’ In-
telligenza pura em ana a sua volta VAnim a dei tutto. L ’Intelligenza pensando fa esi­
stere gli oggetti. L ’Anima li vede per teoria nell’ Intelligenza e, contem plandoli, li
rende reali. Produce le anime in una scala gerarchica; dal grado più alto esse scendo­
no fino alla pura indeterminazione, cioè fino alla m ateria, alla quale danno Pidea, la
form a, a seconda che si fermino più o meno lontano dalla fonte di ogni pensiero e di
ogni essenza determinabile. Di qui deriva la natura, il m ondo sensibile, im m agine
del m ondo intelleggibile, il L o go s degradato, le cui idee determinanti si indebolisco­
no sempre più nella loro discesa verso il nulla. In questo prodursi di tutte le cose per
em anazione c ’ è una catena talmente necessaria e assoluta che u n ’anim a illum inata
diviene naturalmente indovina e m aga attraverso la semplice conoscenza dei legami
della natura. Il m ale, del resto, è una negazione essenziale all’ esistenza; i buoni e i
m alvagi giocano ruoli egualmente necessari nel m ondo. M a l’anim a decaduta risale
la scala della perfezione col desiderio. L ’anim a um ana può giungere alla piena inti­
mità con Dio già dalla vita presente contem plando l ’unità suprem a e staccandosi da
tutto ciò che è m utabile e diverso.
Q uesta chiacchera geniale (12) non era il punto d ’arrivo della volgarizzazione
della religione neoplatonica. Porfirio, discepolo di Plotino, che contem plava libera­
mente D io come il m aestro, si immerse sem pre più nelParbitrio e nella superstizione
delle rivelazioni degli spiriti degli oracoli, delle opere dette teurgiche. In seguito
G iam blico, o chi ne usurpò il nom e, arrivò alle estreme puerilità delle evocazioni,
degli incanti, delle formule magiche per rendere ermetici e diffondere i M isteri degli
Egizi. Queste follie screditarono la setta eclettica agli occhi degli spiriti m igliori e fa ­
vorirono la sua espansione fra gli altri. Dal punto di vista politico aveva il vantaggio
di offrire un’esegesi assai speciosa dell’antico politeism o, un’ interpretazione e una
giustificazione dei sacrifici e di restituire al culto dei grandi Dei e Demoni un fon da­
mento di realtà, aiutando la fede che le altre filosofie non avevano, nemmeno lo
stoicism o che era la più religiosa di tutte. Anche in questa circostanza il senato rifiu­
tò di vedere un m otivo sufficiente per ristabilire, sulla base dei dogm i platonici, una
religione ufficiale della repubblica rom ana. L a proposta fu fatta nel 1138 (13) dal
console quinquennale Flavio Claudio G iuliano, nipote di quel C ostantino, figlio di
C loro, che aveva tentalo di ristabilire il principato. Giuliano non era sospettabile, es­
sendo rim asto a R om a e essendosi apertam ente schierato contro l ’oligarchia quando
i suoi fam iliari si ribellarono. L a sua educazione ateniese e il culto intelligente verso

(12) Questa chiacchera, come la chiama con poco rispetto Tautore, è in fondo la dottrina di Schelling e
del grande Hegel, di Vera e di Vacherot, che poi differisce molto poco da quella di Schopenauer e di
Hartmann, rultimo principe dell’intelligenza filosofica.
(13) 362 dell’era cristiana.

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le antiche tradizioni civiche assicuravano il suo attaccam ento alle riform e agrarie e
militari. M a i discepoli di O iam biico l’ avevano conquistato alla m agia e alla teurgia;
del p assato imperiale rim piangeva il pontificato, gli àuguri, i sacrifici ufficiali, la
consultazione degli intestini delle vittime. Se fosse dipeso solo da lui, sarebbe stata
data una nuova disciplina ai popoli dell’ impero per mezzo di un potente sacerdote,
padrone degli oracoli e dei misteri. I libri apocrifi di Ermete e Z oroastro avrebbero
com pletato quegli oscuri libri sibillini dai quali era im possibile ricavare qualcosa di
comprensibile. A ragione il senato pensò che non fosse il caso di istituire un cattoli­
cesim o pagano e che la libertà religiosa dell’Occidente, contrastata con le ortodossie
che si disputavano violentemente le provincie orientali, dim ostrava che non c ’ era
m otivo di rim piangere la religione di Stato.
Il platonism o continuò a svilupparsi liberamente e, uno o due secoli dopo g ra­
zie a ll’opera di Proclo e di tutta la scuola di Atene, assunse un’ im portanza filosofica
e nello stesso tem po religiosa che ne fece un concorrente temibile per il cristianesim o
nelle provincie in cui la cultura greca aveva conservato un qualche vigore. C om bina­
va, come aveva fatto agli inizi, Aristotele con Platone, invocava la fede senza rinun­
ciare alla scienza, spiegava la geometria e gli oracoli caldaici, raccontava la storia e
la caduta deWUno di triade in triade, caduta infinita e eterna, istituiva un sacerdo­
zio che attraverso una concatenazione divina risaliva fino a Erm ete e insegnava agli
uomini il cam m ino che riconduce al cielo dal quale sono discesi. A Bisanzio e ad
A lessandria l ’ortodossia cristiana si difese soltanto attraverso persecuzioni e delitti
come l’assassinio della dotta Ipatia, figlia del m atem atico Teone, una delle donne
più illustri e virtuose mai apparse sulla terra. 4‘Persecuzioni” qui sta per moti p op o­
lari, segni di fanatism o e i mille com plotti che il governo rom ano quasi mai riusciva
ad ostacolare avendo di fronte un potere m orale più alto del suo: l’autorità sacra dei
sorveglianti.
La religione platonica, fra le dottrine filosofiche o, se si vuole, dogm atiche, fu
quella che insieme allo stoicismo influì sull’Occidente. L a sua influenza, dal m o­
mento che continuava ad avere dei seguaci, durò fino e anche oltre l ’epoca di quel
grande movimento culturale che portò alle scoperte scientifiche. Q uando il cris|iane-
sim o, in una form a che gli consenti di essere nuovam ente presente nelle provincie oc­
cidentali, potè sollecitare la fede degli uomini, l’eclettismo perse quasi tutto quello
che guadagnò il cristianesim o; m a, fin da quel m om ento, la filosofia vide sempre
riapparire in ogni epoca qualche illustre pensatore, rappresentante di quel pensiero
che ne era l’ispirazione e l’essenza.
Questo pensiero è il panteism o, dogm a dalle mille forme, m a in fondo unico e
ben riconoscibile ovunque: quello dell’unità dell’essere, dell’infinità delle sue m ani­
festazioni e delle loro concatenazioni eternamente necessarie. Del resto tutte le filo­
sofie e le religioni erano ispirate da questi temi, ad eccezione dell’epicureism o, a
quei tempi setta di ricchi oziosi che credeva al caso invece di rivendicare la libertà
m orale, e dell’aristotelism o, dottrina profon da e di ispirazione analitica, accusata di
non ardire grandi ipotesi conoscitive e di essere arida. Si conosceva il senso vero di
Aristotele perché non tutti gli interpreti erano come gli eclettici, per i quali non c’era
differenza fra Aristotele e Platone, neppure, e questo è ancora più strano, fra A ri­

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stotele e il Platone che essi capivano» A lessandro di A frodisia, m aestro della scuola
peripatetica nell’università fondata da M arco Aurelio ad Atene (14) p ié ss’a poco al
tempo delle grandi riform e, autore di un amm irevole trattato Sul destino e su ciò che
dipende d a noi, aveva difeso il libero arbitrio con argom entazioni m olto serrate e
aveva com battuto la concezione stoica di una catena invariabile degli avvenimenti e
la sua scuola continuava ad esistere. M a lo stoicism o era molto piu potente di tali
scuole, prim a in ragione della sua forza dogm atica e del fatto che lo spirito ricerca
con avidità ogni sintesi universale, il cui annuncio sem bra ora infondergli Tonni-
scienza, poi a causa della sua incontestabile elevatezza m orale* Gli stoici, pur cre­
dendo che i fatti e gli atti fossero tutti legati necessariam ente a quelli precedenti e la
natura fo sse luitei piena di D io, anzi che fosse Dio stesso, insistevano con forza sulla
distinzione fra quanto dipende o non dipende d a noi, raccom andavano la tensione
costante dell’ anim a e non il rilassam ento e l’abbandono, insegnavano la rassegn a­
zione solo per questo non è in nostro p otere. Con in nostro potere intendevano de­
terminazioni preordinate, volute dalla nostra natura e dai nostro carattere (che
dall’inizio non dipendono da noi) ed iscritte fin d all’eternità negli scopi e nei disegni
della D ivina Provvidenza. Non am m ettevano che qualcosa non fosse predeterm ina­
to, che certi futuri fossero am bigui; che certe probabilità, che poi non si sarebbero
prodotte, fossero reali; che certe situazioni presenti, che un m om ento prim a erano
imprevedibili per l ’intelligenza più perfetta e più estesa, si fossero realizzate
“ 11 m ondo è uno — dicevano gli stoici — e comprende in sé tutti gli esseri; la
natura che Vamministra è anim ale, razionale ed intellettiva a un tem po. È il governo
di tutte le cose che si sviluppa in m aniera ordinata di m odo che l ’antecedente sia la
causa del conseguente. Tutto è concatenato, nulla accade che non sia necessaria­
mente causa di qualcosa che viene d op o : ciò che viene dopo non può essere slegato
da ciò che è prim a. Niente al m ondo può disunirsi o dividersi nell’unità e nell’rcono-
mia del tutto. Nel caso contrario si affermerebbe che qualcosa viene dal nulla. È dun­
que dall’infinito che viene in maniera diretta e necessaria lo sviluppo del m ondo” (15).
DalVìnfìnito all'infinito e solidarietà universale erano le due tesi che perm ette­
vano rincontro fra lo stoicism o e la religione eclettica» Prescienza divina infallibile
era la terza afferm azione in cui le due sette si incontravano con la teologia cristiana.
Seguiva una quarta tesi nella quale era m antenuto questo accordo: Tutto è bene, A
parte qualche eccezione, questa era la fede che trascinava il m ondo. M a il tempo in­
finito e la negazione di ogni inizio originario sono assurdità evidenti, poiché se il
tempo ora trascorso e gli avvenimenti per m isurarlo fossero infiniti, questo tempo in
realtà non sarebbe trascorso proprio perché inesauribile e questi avvenimenti non

(14) L ’amore non ci ha parlato di questa fondazione di Marco Aurelio nel racconto di questo imperatore.
Ma la parola università è qui usata in modo perfettamente corretto; infatti leggiamo nella storia romana
di Dione Cassio: '‘Marco Antonino, arrivato ad Atene, dopo Piniziazionc, accordò onori agli ateniesi.
Concesse ai mondo intero, in Atene, maestri di ogni scienza, con uno stipendio annuale” (Dion., LXXl, 31).
(15) Questo passo è preso testualmente del De faro di Cicerone che tratta il problema.
sarebbero una som m a d ata. L a prescienza infallibile e universale presuppone che il
futuro sia assolutam ente certo, cioè che il futuro sia necessario, cioè che tutto esista
prim a di esistere; se tutto preesiste, tutto è solidale, tutto consegue, niente succede
airim provviso o per distacco, per poco che p ossa essere. Se tutto è cosi solidale biso­
gna bandire l’illusione per la quale crediam o ci siano possibilità diverse da ciò che
accade e rinunciare nello stesso m om ento alle nostre im m aginazioni, ai nostri ragio­
namenti naturali e ai nostri discorsi di ogni m om ento! È possibile? E p o i,se tutto è
bene, è ridicolo e assurdo piangere, accusare e pentirsi. L a natura o il D io, conside­
rati perfetti, ci hanno dato sentimenti in contraddizione con la verità delle cose. Chi
im m agina un Dio di tal fatta? Non siam o noi? Chi ci costringe a farlo ? Forse il fatto
che molti di noi se ne considerino esenti e che la necessità in questo abbia preso m ale
le sue m isure!
I dogm i ereditati dalla cultura greca e rom ana non erano proprio quello che un
Filosofo come A ristotele, se fosse vissuto in quel periodo, avrebbe desiderato come
punti fermi di una sana crescita dei giovani delle repubbliche occidentali. M a la tol­
leranza almeno regnava negli animi, le discussioni delle scuole non degeneravano in
rivolte e combattimenti e le religioni, anche le più esclusive si vedevano costrette a
tollerare le altre salvaguardate dalla legge civile che non ne privilegiava alcuna. Era
m olto diversa la situazione in Oriente e in G erm ania, dove gli spiriti, completamente
estranei alle preoccupazioni della vita pubblica e della giustizia sociale, considerava­
no la religione come il solo m otore m orale! Questa religione era viziata dalla costri­
zione e dal fan atism o; nessuno aveva la libertà di seguire le proprie convinzioni o la
tendenza della propria fede, ognuno pensava solo a farsi introdurre di forza in un
certo m eccanismo di credenze e di pratiche chiam ato C hiesa, in cui ogni decisione
viene im posta al fedele dal di fuori. M algrado le divisioni politiche avessero im pedi­
to, lo sappiam o, la costituzione di una ordossia universale, o cattolicesim o, e che
ogni eresia o setta pretendesse di form ulare tale ortod ossia di propria iniziativa e di
im porre d ’autorità agli altri, le comunicazioni costanti e reciproche fra i sorveglianti
in tutto l ’antico impero orientale, la loro interpretazione interessata, anche fra gli
infiniti dibattiti e concili che riportavano all’im provviso l ’accordo dopo le divisioni,
una fede popolare grossolan a sulla questione dell’ Uom o-Dio mantenevano l’ unità,
alm eno come opposizione a ll’esecrato Occidente, dove la religione era. stata bandita
dopo la persecuzione del figlio di M arco A urelio. A ll’altra estrem ità dell’antico
m ondo rom ano c ’era solo l ’arianesim o m aom ettano per il quale comunemente non
si provavano questi sentimenti, m a contro il quale veniva nutrito un odio non m ino­
re di quello che si m ostrava per i politeisti.
Questi popoli che provavano un comune am ore per la vera religione, la loro, e
un comune odio verso Yinfedele si sarebbero fatalm ente messi in guerra contro
quest’ultim o. Eran o quindi necessari governi m olto stabili, m ollo forti e capaci di
concordare una grande im presa. Il m om ento arrivò verso la fine del X V secolo (16) e

(16) Inizio delPVIII secolo dell’era cristiana.

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trovò il suo fondam ento nell’anarchia feudale dopo tre secoli di invasioni e di con­
quiste seguite da guerre private, da principati ereditari congiunti a voi té gli uni alle
altre con vincoli di vassallaggio come veniva dettato dalla m alafede dom inante. Il
clero, dal momento che un certo ordine sociale sem brava possibile, che veniva rico­
nosciuto un diritto pubblico, cercava di m uovere rimproveri ai prìncipi cristiani per
il loro spirito violento e per l ’ingiustizia che li arm ava contro i loro fratelli in G esù
C risto, mentre l ’infedele era padrone indisturbato delle regioni che gli apostoli ave­
vano arrossato col loro sangue. R om a, soprattutto R om a, il preteso seggio di Pietro
e la tom ba di Pietro e P aolo, sem brava, nella sua grandezza e nella sua libertà, un
insulto continuo alla vera fede. I sorveglianti, i patriarchi credevano o fingevano di
credere che il prìncipe degli apostoli avesse fondato lui stesso un insediam ento nella
capitale del m ondo, ora priva della sua suprem azìa e ridotta al rango di una q ualsia­
si città d ’ Italia a causa della sua prevaricazione. Pretendevano che i successori di
Pietro fossero siati per più di un secolo un ’autorità nel cam po della fede, autorità
sacra e riconosciuta, che, se R om a fosse rim asta il centro delPim pero, avrebbe pre­
servato la religione dalle divisioni di cui ci si lam entava, dalle eresie che sono la per­
dizione delle anime, e così tutti i cristiani sarebbero rim asti, com e ai primi tempi
(sempre secondo quanto dicevano), un so l gregge e un so lo p asto re . Citavano un
gioco di parole della Scrittura: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la m ia
Chiesa; attribuivano allo stesso apostolo in persona il seguente testo: Io ti darò le
chiavi del regno dei cieìi e ciò che chiuderai su lla terra sa rà chiuso anche nei cieli, e
ciò che aprirai sulla terra sarà aperto anche nei cieli. Partendo da questi presupposti
profetizzavano che il giorno in cui R om a fosse stata conquistata alla fede, !la reli­
gione avrebbe trovato la sua unità, la Chiesa il suo capo e, subito dopo, il m ondo
avrebbe trovato il suo re; ne derivava la distruzione di ogni eresia e la salvezza delle
anime rese così alla vera libertà. L a prospettiva di un pontificato suprem o non era in
proprio il m odo migliore di incoraggiare i prìncipi a ll’im presa, m a ognuno poteva
sperare di assicurarsi un insediamento politico in Italia o m agari il dom inio della
stessa R om a e poi di tutto il m ondo attraverso le proprie premure e i propri successi
in una spedizione comune! Ugualm ente i patriarchi dei diversi Stati potevano deside­
rare per sé il seggio spirituale senza escludere quello della Palestina che, è vero, ri­
vendicava continuamente per Gerusalem me la successione supposta del potere spiri­
tuale latino, m a che non riusciva a raccogliere grandi consensi alle sue pretese.
Le lotte di Grecia, Italia e G allia, provincie orm ai indipendenti, contro le regio­
ni invase e colonizzate dai barbari erano state fino a quel momento solo piccoli
scontri sul Reno o sulle Alpi, sulPEm o e sul R odope. Infatti la posizione difensiva
dei nuovi Stati era così forte grazie alle libere istituzioni e al regime della proprietà
privata e la loro politica difensiva era così solidamente im postata grazie a una lunga
tradizione, che di rado accadeva che le incursioni di questi vicini arrivassero m olto
al di là delle frontiere. Per quanto concerne la m arina, la superiorità della Grecia e
d e iritalia nel M editerraneo, della Spagn a e della Gallia sulle coste dell’oceano esclu­
deva ogni rivalità. L a pirateria stessa era quasi scom parsa da quando i Greci non vi
si dedicavano più. Le sole guerre lunghe e difficili che i romani liberti, prim a della
fine dell’ im pero, e poi gli Italici avrebbero sostenuto, erano quelle che nascevano

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dal desiderio naturale di impedire insediamenti di barbari sulle rive dell’A driatico.
C osì loro stessi andarono a occupare e popolare in quella direzione una vasta esten­
sione di territori per mantenere a distanza di sicurezza i Germ ani, gli Slavi e gli Un­
ni. M a in quel m om ento le repubbliche, in particolare PItalia non erano più m inac­
ciate da temibili attacchi, divisi e mal concentrati, da parte di popoli vicini, bellicosi
e predoni; erano invece minacciate da una coalizione generale dei principi dell’Euro-
pa centrale ed orientale contro la libertà religiosa che avrebbe prodotto, per dirla in
breve, una guerra di sterminio e di conquista. In tutto l’Oriente si parlava, è vero, di
convertire gli infedeli almeno quanto di sterminarli, la carità cristiana infatti recla­
m ava i suoi diritti, m a la conversione doveva essere il frutto della persecuzione per
am ore, una libera scelta del condannato che aveva com e alternativa la m orte. E ra
già stata fatta una prova, e anche in grande, di questo m etodo. Per la verità non era
diretta contro questi infedeli volontari e ostinati che per m olto tempo avevano avuto
in mezzo a loro la luce e non l'avevano ricevuta, m a contro semplici ciechi di nasci­
ta, contro le tribù germaniche del N ord, insensibili al prim o bagliore della fede che i
m issionari portavano loro. Un capo franco di nome C arlo, cioè il Forte, che aveva
fondato un immenso impero germ anico che si estendeva dalle Alpi Retiche al m are
del N ord (17), aveva condotto una serie di spedizioni militari contro i Sassoni per
strapparli a ll’idolatria; m a siccome non li avrebbe convertiti come voleva, se avesse
perm esso loro di rimanere nel loro paese e nei loro costum i anche se debitamente
battezzati, aveva finito per deportarli in m assa e insediarli fra le popolazioni creden­
ti. I Franchi erano il popolo più devoto alla Chiesa. Avrebbero volentieri creato
l’unità della Chiesa per dom inarla e farsene strum ento di potere. C arlo raggiunse
questo fine nel proprio im pero, infatti si fece ungere e consacrare Cesare cristiano
da un patriarca germ anico che sottom ise in cam bio di un piccolo potere tem porale.
Ma i figli di C arlo divisero le sue conquiste secondo l’uso e poi si contesero le parti
con le arm i, come succede di solito; cosi non poterono giocare negli eventi che si pre­
paravan o, il ruolo im portante e forse dom inante che il loro padre avrebbe certam en­
te avuto. L a grande spedizione contro l ’Occidente fu condotta in m aniera anarchica
com e del resto era nel carattere dei suoi prom otori. g-
Il segnale fu dato dai Paesi la cui fede era innestata su uno spirito e su tradizioni
in parte latine dopo rem igrazione forzata dei cristiani d ’ Occidente. C ’era un m ag­
gior desiderio di restaurare la grande Chiesa ideale sul seggio di R om a. L ’entusia­
smo si diffuse rapidam ente e dovunque appena i m onaci iniziarono a predicare con
ardore il lesto che rivendicava il seggio rom ano. Fu com e una lingua di fuoco che
passasse di città in città, di chiesa in chiesa. Pochi sorveglianti, pochi principi frap­
posero ostacoli; la m aggior parte favorì il movimento e, alla fine, tutti furono obbli­
gati a prendere la croce, segno di una ritrovata unità per la conquista di R om a e lo
sterminio degli infedeli. M a dal prendere la croce e m arciare per le crociate correva

( 17) Se l'autore ha voluto indicare Carlo Magno ha commesso un errore di oltre un secolo secondo la sua
cronologia rispetto al tempo rcale.’Ma potrebbe anche aver giocato su un antenato di Carlo il grande.

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ancora m olto. I prìncipi non erano pronti; alcuni finsero di aver paura; j^più teme­
vano realmente che la loro assenza, per una spedizione lontana e probabilm ente lun­
ga, esponesse i loro Stati a ribellioni interne o li consegnasse mal difesi alle aggressio­
ni dei vicini. Erano inoltre necessari grandi approvvigionam enti o fondi di guerra
per non essere obbligati a vivere facendo razzie nei territori degli alleati prim a di
aver raggiunto il territorio nemico. Chi poteva rifornirli? Bisognava concordare un
piano generale di cam pagna, la partecipazione di ognuno, i luoghi di ritrovo, i tempi
e i modi d eirattacco ; m a tanti governi e popoli diversi non avevano né organizzazio­
ne, né mezzi di intesa sufficienti per una im presa comune. 1 condottieri attesi, i
grandi interessati, gli agenti responsabili erano dunque m olto incerti. Il popolo però
non lo capiva; si lam entava della tiepidezza dei prìncipi, rim proverava loro la volon­
tà di perseguire unicamente obiettivi privati e di arricchirsi gli uni a spese degli al­
tri, mentre si offriva loro l ’occasione di dim ostrare la fratellanza cristiana e di porre
le loro braccia al servizio del Cristo Gesù. I tribuni di convento, i m onaci, grandi
parlatori e accusatori di professione, non provavano il minimo im barazzo. Sostene­
vano che era sufficiente gettare in Occidente le m asse dei devoti cristiani, pronti a
partire e che l'opera di liberazione della tom ba di Pietro si sarebbe com piuta senza
l’aiuto di uomini arm ati che m ercanteggiavano con Dio il loro servizio. Si offrivan o
come condottieri dell’immensa colonna per dim ostrare agli increduli come si com pia
la volontà divina. Tanto i più arditi osarono fare.
Bande interminabili di pellegrini com inciarono a m arciare partendo dalle più
lontane lande dell’A sia M inore, dalla Siria, d a ll’Egitto e dalla L ibia dove non erano
tutti ariani e si diressero verso il B o sforo per congiungersi coi cristiani di T racia e
Germ ania; tutti insieme sarebbero piom bati sulle frontiere della G allia e dellTtalia
con una pressione irresistibile. M an mano che queste truppe indisciplinate e m ale a r­
m ate, com andate da monaci e da alcuni condottieri fanatici, si avvicinavano ai natu­
rali punti di raccolta come Antiochia o E feso ingrossandosi continuam ente, anche le
difficoltà aum entavano; la carità e il saccheggio non potevano sostenere a sufficien­
za questa m assa di gente quasi del tutto priva di viveri. I paesi dovevano fare dei sa­
crifici per liberarsene al più presto; m a a Bisanzio la confusione e l ’affollam ento
raggiunsero livelli incredibili. Qui, come nelle altre città, c ’era interesse a m andarli
avanti, qualunque fosse la som m a da pagare. M a quando i tre o quattrocentom ila
crociati ebbero finalmente raggiunto la valle del Danubio trovarono sul loro cam m i­
no popoli meno pazienti di quelli d ell'A sia. Anche se i cristiani e loro fratelli in G e­
sù, gli Slavi e i Germani di queste regioni si opposero a viva forza alle loro rapine, li
spinsero nelle gole e li obbligarono, attaccandoli anche in pianura, a radunarsi in
grandi corpi che produssero la carestia. 1 figli di C arlo, che dovevano scortarli col
loro esercito, si com battevano a vicenda. L ’im possibilità di vivere obbligò alla fine i
crociati a sbandarsi o a battere in ritirata; quasi tutti m orirono miseramente nella
M esia superiore o nella Pannonia. Q uesta fu la prim a crociata.
Vi furono altre crociate, vere spedizioni militari più volte ripetute; questo infat­
ti era Io spirito del tem po e l’opinione generale spingeva i prìncipi, che a volte erano
anche animati da un sincero fanatism o. L a più im portante, m a non la meno folle di
quelle che partirono dall'O riente, fu una spedizione m arittim a condotta lungo le co-

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sie africane fino a Utica nel tentativo di evitare, non senza fatica, la flotta greca con
l ’appoggio degli ariani o m aom ettani delle provincie africane e della loro m arina.
Da Utica i crociati si diressero verso la Sicilia, dove tentarono invano di crearsi una
base per il vettovagliam ento, poi costeggiarono l ’Italia mentre la flotta m aom etta­
na, loro alleata, dava battaglia a quella italica per facilitare il passaggio dell’immen­
so convoglio. Il com battim ento ebbe un esito incerto e i cristiani riuscirono a sbarca­
re a Salerno e ad assediare N apoli. Qui finì il loro successo. Dal m om ento che non
avevano il dominio del m are, ben presto i loro mezzi di trasporto furono distrutti e
la loro ritirata fu tagliata dall5arrivo della squadra greca che aveva aspettato il m o­
mento in cui fossero stati bloccati sulla terraferm a; da ogni parte infatti stavano a r­
rivando delle legioni; e i crociati non erano abbastan za forti contro un esercito n a­
zionale che, alPoccorrenza, avrebbe avuto l ’ Italia intera dietro di sé. Furono obbli­
gati a capitolare e com inciarono a capire.
I cristiani della Germ ania avevano com binato poco e male i loro sforzi con
quelli delPOriente, m a diedero un colore religioso e di crociata alla continuazione o
alla ripresa delle incursioni secolari dei barbari in llliria, nella G allia cisalpina e a
nord verso il Belgio e il Reno. Dal momento che loro stessi erano più vulnerabili da
quando avevano form ato Stati saldamente insediati e avevano governi regolari, ere­
ditari, per la verità profondam ente divisi, m a uniti da legami feudali, la guerra che
m ossero agli Italici e ai Galli, anche se temibili per il loro numero e per il fanatism o
religioso in qualche m odo più civile e fu intercalata da tregue e trattati che permisero
ai popoli di stringere relazioni più strette che nel p assato. A ppena i Germ ani ebbero
occupato le città cisalpine o belghe, gli Italici e i Galli penetrarono nella Rezia, nel
N orico, nella Vindelicia a seconda della fortuna delle armi e il merito dei capitani. I
cristiani, anche nei successi, si videro obbligati a trattar bene gli occidentali per p au ­
ra di attirarsi, nelle sconfitte, rappresaglie trop p o dure; si abituarono così, se non
proprio a considerare senza orrore le credenze che definivano idolatriche, alm eno ad
am m irare le istituzioni civili, a meravigliarsi della libertà politica e subito dopo a gu­
stare la letteratura antica e alcune parti della sua filosofia. Risultati analoghi, anche
se in m isura m inore, furono ottenuti in Oriente in seguito alle necessarie conSunica-
zioni e ai rapporti commerciali che nacquero dalle crociate. L e idee dell’Occidente
penetrarono parzialm ente in A sia a causa della grande estensione assunta dai com ­
merci dei Greci e degli Italici in tutto il mediterraneo, e più tardi del m ar Nereo, dopo
di che, per rispondere alle crociate, le due nazioni decisero di mantenere forti squa­
dre navali e proteggere decisamente il loro com m ercio sulle coste d eirA frica, della
Siria e dell’A sia fino all’Ellesponto e alle porte di Bisanzio. E ra la ripresa della
grande politica m arittim a dell’antica Atene prim a della guerra del Peloponneso. L a
suprem azia indiscutibile, le relazioni com m erciali non portarono ancora gli spiriti
degli Orientali alla vera tolleranza, per questo sono infatti necessari altri sentimenti,
ma portarono a una conoscenza più esatta del carattere e dei mezzi dell’avversario e
al necessario rispetto. D a quel m om ento i cristiani e i m aom ettani, senza cessare
completamente di disprezzare gli occidentali com e esseri inferiori per il loro genere
di vita e la loro fede, hanno im parato sem pre più a temere le loro capacità e il loro
attivismo e, infine, la loro scienza, m adre della grande industria.

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AJla fine del secolo delle crociate apparvero nel m ondo segni di gr^pdi cam bia­
menti. I popoli» distrutti e m escolati dalla guerra e ciononostante usciti d illo stato di
anarchia totale e paralizzante che era seguita airinsediam ento e alla g ara fra i popoli
barbari in Oriente e in Germ ania* si stavano abituando, sotto un regime feudale m i­
tigato dalla crescente preponderanza dei grandi signori, a una certa vita politica e
com inciavano a capire concetti giuridici. DalPOccidente im paravano i principi, se
non proprio della libertà, almeno della giurisprudenza rom ana e della m orale razio­
nale applicata alla giustizia e alla am m inistrazione degli Stati. Re e im peratori,
c ’erano infatti prìncipi che avevano preso questo titolo rim asto prestigioso presso i
barbari quanto disonorato a R om a, usavano i servizi di una nuova classe di giuristi
per rafforzare la loro autorità nei confronti dei vassalli e del clero e, nello stesso
tem po, per farsi benvolere dai loro sudditi che, dall'organizzazione di un potere cen­
trale, venivano sollevati d a una oppressione più vicina e pesante. Soprattutto in G er­
m ania prendeva piede questa rivoluzione, m a progressivam ente si allargava ai prin­
cipati degli unni e degli slavi. M an m ano che le aggressioni dei vicini, meglio orga­
nizzati e più ricchi, prendevano il posto delle antiche incursioni di orde selvagge con­
tro le quali erano state sufficienti semplici misure difensive ben com binate e rigoro­
samente osservate, le nazioni occidentali temevano sempre di più lè"guerre che dalla
dissoluzione dell’im pero rom ano avevano dovuto sostenere. M a dopo le crociate
sentivano ancor di più la necessità della loro unione, di dare all’identità di sentimen­
ti e di costum i che le opponevano al resto del m ondo la sanzione di un legame positi­
vo. Solo in questo m odo, insieme alle istituzioni militari delle loro libere repubbli­
che, sarebbero state certe di poter sfidare tutte le ostilità e le più forti coalizioni. S a ­
rebbe stato un semplice ritorno all’ antica unità rom ana, m a per conservare, in que­
sta unificazione volontaria, le libertà conquistate, fatta salva la stipulazione di m u­
tui obblighi per la difesa solidale di ogni p opolo e dei propri alleati. Questo gran
passo non fu fatto in quel m om ento e neppure m olto tem po dopo, m a si può pensa­
re sia stato preparato d a alleanze come quelle fra la Grecia c l’ Italia nel periodo delle
spedizioni m arittim e partite d all’Oriente, o fra la G allia c l ’Italia contro le forze al­
leate dei principati germanici e di qualche altro regno. M a la politica degli uomini di
S tato e i sentimenti popolari ai quali si debbono ispirare non erano ancora arrivati
alla concezione del grande Stato federale che l’antica Grecia aveva m ancato un’ altra
volta quando le circostanze esterne erano più favorevoli.
Il progresso m orale fu più rapido là dove m aggiore era il ritardo. I G erm ani,
popolo intelligente, serio, forte di spirito e di corpo, ricevettero dalle guerre d ’ Italia
una viva am m irazione per quelle che potrebbero essere chiamate istituzioni lettera­
rie, senza rinunciare alla ripugnanza per le idee e i costumi religiosi dell’Occidente.
L a lingua, la letteratura colta con le sue lunghe ed imponenti tradizioni, la retorica,
la storia, i libri, prim a di tutto la Bibbia, poi le scienze, come l’ aritm etica e l ’astro­
nom ia, le arti imitative, la m usica, per la quale sono notevolmente dotati, esercita­
rono su di loro un vero fascino. L o stesso clero fu spinto allo studio dei testi sacri dei
cristiani che, a poco a poco, erano stati ritirati dalla circolazione all’epoca delle in­
vasioni in tutti i paesi separati d a R om a, e la semplice lettura di questi testi era dive­
nuta un privilegio dei sorveglianti e di un certo numero di monaci appositam ente au­

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torizzati. C om e, in un altro m om ento, i libri sibillini del C am pidoglio, che venivano
consultati solo nelle grandi circostanze; la sola differenza stava nel credere che le più
alte autorità religiose avessero la conoscenza im plicita delle Scritture e ne dessero la
vera interpretazione ispirata d a D io. Il latino, anche se era rim asto la lìngua ecclesia­
stica in G erm ania (il greco in T racia e in tutto rO riente), il latino portato dai primi
m issionari e protetto dalla politica del clero locale e dei prìncipi contro le mene del
patriarca di Bisanzio, era troppo lontano dalla lingua nazionale dei Germani per
non cadere, in quei tempi di ignoranza, nello stato di lingua m orta, quasi di lingua
m agica ad atta solo all’ufficio divino. M a dopo le crociate lo studio del latino fu ri­
preso con passione e gli approcci alla Bibbia non poterono essere proibiti a lungo.
M onaci che avevano ancora una fede viva e molti laici, attratti dalle lezioni dell’an-
tichità sia p ro fa n a che sacra, si buttarono su questa colta novità, il desiderio di ap ­
profondire le origini sacre favorì poi lo studio del greco e perfino dell’ebraico e ben
presto qualche mente, per una sorta di rigenerazione o rinascita intellettuale, sfuggì
alla stretta di una religione fatta di oscurità e proibizioni mentre gli uomini di fede
im paravano a esam inare il cristianesim o sotto una luce completamente nuova.
L a prim a cosa che fu capita, in verità era m olto chiara, fu che il potere sacerdo­
tale non ha alcuna legittimazione nell’antichità cristiana. L ’insegnamento di Gesù è
ostile allo spirito sacerdotale e l ’autorità dei sorveglianti, quella degli stessi apostoli,
non poteva essere, in via di principio né per tradizione originaria, un diritto alla re­
pressione, una polizia di Stato. In un secondo mom ento si scoprì che i dogmi più fa ­
vorevoli al dom inio ecclesiastico, o sui quali esso si fonda, erano arbitrari e relativa­
mente recenti. I Germ ani, anche se ariani come si è detto, si erano piegati poco a po­
co all’ autorità di questi dogm i, L ’eucaresLia era d a loro riferita alla so stan za se non
proprio di D io, come in certe Chiese orientali, almeno a quella della creatura eterna
di D io . Diversi fatti secondari che favorivano il potere sacerdotale, presenti nella
dottrina della penitenza, si erano insinuati nelle loro istituzioni. M a in quel m om en­
to si diceva che la confessione auricolare e l’ assoluzione dai peccati attraverso la for­
m ula del prete erano superstizioni estranee ai tempi antichi. L a presenza reale del
corpo del crocifisso nel pane consacrato, questo m istero che d à all’officiante i| pote­
re di fare un uom o in una sorta di incantesim o e di m angiarlo, è u n ’immagine che
potrebbe essere descritta solo in termini spiacevoli e che è smentita nello stesso Van­
gelo (18). Il dono delle indulgenze è un triste rilassam ento delle più antiche idee sulla
penitenza; la loro vendita una m ostruosità; la dottrina del purgatorio che favoriva
questo com m ercio, una supposizione gratuità e in contrasto con le credenze accerta­
te dei primi cristiani sulla morte e sulla resurrezione. G li ariani puri, gli uomini della
religione riform ata com e d a quel m om ento fu chiam ata, attaccarono dunque i dog­
mi più cari al clero. E non furono meno innovatori sul terreno della disciplina; si di­
chiararono infatti contro il celibato ecclesiastico e la vita in convento. F ra gente che
aveva in grande rispetto la fam iglia, ebbero successo nell’opporre la vita e la virtù

(18) Si tratta probabilmente del passo spesso citato a conferma del senso simbolico: cf. Johan. VI, 64.

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fam iliare alla corruzione dei m onaci e dei preti secolari. Questo fatto li avvicinò più
di ogni altro ai modelli morali dell’Occidente e preparò il ritorno di un cristianesim o
trasform ato nelle regioni in cui il fanatism o cattolico era bandito da seicento anni.
M a l’attacco più im portante al cattolicesim o germ anico fu portato proprio d o ­
ve si trovava la fonte della sua dignità e della sua forza m orale, contraddizione stri­
dente! L a liberazione degli ariani fu favorita da un equivoco e la rovina del cattoli­
cesimo com portò per lungo tem po lo smarrim ento di una verità capitale che tutta­
via, bisogna dirlo, era stata falsificata nella sua applicazione. M ettendo le opere es­
senzialmente nelle pratiche superstiziose e nella stretta obbedienza alla Chiesa, il
prete cattolico aveva reso più difficile la d ifesa, contro gli innovatori, della tesi della
necessità delle opere per la costruzione dei meriti dell’uom o di fede. Quel che difen­
deva non era più la libertà m orale, né la possibilità personale di fare il bene. I primi
riform ati tornarono alla originaria dottrina di P ao lo , della salvezza attraverso la fe­
de e della predestinazione dei buoni e dei m alvagi, dei beati e dei dannati. Per loro
era un ’emancipazione sicura, un colpo m ortale al privilegio sacerdotale di conferire
i sacram enti, orm ai inutili o ridotti a meri sim boli di cui potevano tranquillamente
occuparsi i ministri di grado più basso . In seguilo un ulteriore progresso dello spirito
riform atore, o m eglio, l’ estensione della libertà di leggere, di esam inare, di interpre­
tare che aveva prodotto la riform a e che continuava a sostenerla, portò i teologi a
mettere in discussione i misteri stabiliti nei concili, non più soltanto quello della tri­
nità, a restituire alla religione la naturale credenza nel libero arbitrio abbandonando
i dogm i panteisti della grazia determinante e della prescienza divina degli eventi fu ­
turi. Più tardi an cora, il libero esam e, divenuto filosofia religiosa, fu applicato alle
stesse Scritture e non solo alla loro interpretazione. N acque il problem a di quali ele­
menti di verità storica e di im m aginazione o di errore esse contenevano, di cosa era
stato realmente Gesù, di cosa avesse pensato di se stesso, di cosa avesse insegnato.
In quest’epoca il cristianesim o era orm ai entrato nelle repubbliche occidentali ed era
diffuso liberamente, subendo tutte le conseguenze di una dottrina sottoposta all’esa­
me della riflessione e delle scienze. Si era diviso in tante sette libere e in tante Chiese
quante posson o fam e nascere le naturali differenze degli spiriti e l ’indipendenza
dell’ispirazione.
Alcuni prìncipi aderirono alla riform a con sinceri sentimenti religiosi, credendo
di ritrovare la vera fede nella p arola vibrante o nella cultura profon da dei nuovi
apostoli. Altri, la maggior parte, seguirono la ragion di Stato che consigliava l’espul­
sione dei monaci oziosi, la diminuzione del potere dei sorveglianti e la restituzione,
alla com unità civile e politica, dei beni che la pietà dei m oribondi aveva lasciato al
clero durante il corso dei secoli, che esso accum ulava senza vergogna e senza limiti e
senza farli rendere nulla. Nessuna potenza era abbastanza grande per intervenire
daH’estem o a difesa del cattolicesim o. L ’ im peratore slavo di Bisanzio era alle prese
coi Greci proprio in quel periodo, e cosi i sorveglianti furono obbligati in tutta la
Germ ania, sia al nord che al sud, a rifugiarsi in Oriente o accettare, sposan dosi, il
m andato religioso dalle mani dei sovrani tem porali, divenuti rettori delle Chiese e
interpreti della fede. 1 m onasteri, num erosissim i, maschili e femminili furono eva­
cuati, le monache in gran parte si sposarono e i m onaci che per fanatism o o per m e­

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stiere rim anevano irrevocabilmente incatenati alle loro credenze cercarono climi più
propizi. A ppartenevano soprattutto agli ordini religiosi detti mendicanti, che face­
vano voto di p o v ertà, in altri termini vivevano del lavoro altrui dal m omento che
non lavoravano per vivere, di castità, cioè di assoluta continenza mettendosi così
neiralternativa di bruciare, come dice Papostolo, o ài fornicare, altra parola poco
casta della lingua ecclesiastica, e di obbedienza, per essere docili strumenti dell’am ­
bizione e degli intrighi dei loro capi.
Il cenobitism o degli antichi m onasteri era stato solo una specie di com unità di
asceti solitari: com unità concepita in m odo che nessun m em bro derogasse dalla soli­
tudine se non per le preghiere comuni e per la refezione com une, consum ata in silen­
zio e in m odo che ognuno fosse separato dal m ondo in un m odo più com pleto e sicu­
ro delle stesse celle della Tebaide. Anche il significato della p arola m onastero ne è la
prova; esprim e infatti l’isolam ento e non la società (19), M a i fondatori dei nuovi or­
dini si erano proposti tutt’altro fine da quello di facilitare l’esercizio di una im m agi­
naria perfezione individuale. Avevano preteso di agire sul m ondo e i m onaci di loro
creazione, m algrado il regime conventuale esistente nei capoluoghi delle loro istitu­
zioni, erano m onaci che viaggiavano, visitavano, predicavano: fu una grande inno­
vazione partita dai seggi episcopali di Palestina e Siria poco prim a delle crociate per
stim olare la passione dei cristiani delle regioni più occidentali, spingere i loro re­
gnanti ad attaccare l ’ Italia e la G allia, forse per rispondere in questo m odo alle con­
fuse tendenze a ll’indipendenza o a ll’incredulità, che si m anifestavano già in G erm a­
nia, e per rinnovare, con questa possente azione popolare, il tentativo, più volte
m ancato, di ricondurre verso l ’Oriente la fede e la soggezione religiosa degli Slavi bi­
zantini e dei Germ ani.
Uno dei nuovi ordini, la cui origine era più m istica e spontanea degli altri, d if­
fondeva il culto di un nuovo santo di cui diceva che aveva avuto l’onore di imitare
nel suo corpo stigm atizzato la Passione del Salvatore degli uomini. Una carità totale
era Isp ira z io n e delle predicazioni di questi m onaci che condannavano persino l’or­
dine sociale; si dom andavano infatti se era lecito possedere qualcosa, anche solp un
vestito. Il vero obiettivo di chi li autorizzava era quello di infiam m are il sentiníento
religioso che tendeva ad estinguersi per la lontananza già così grande di avvenimenti
leggendari e dei loro testimoni supposti. Fanatizzarono di nuovo i cuori soprattutto
nei paesi slavi dove fondarono grandi m onasteri. Un altro ordine si riservò il cam po
spirituale e si incaricò della predicazione della fede, della confutazione dell’eresia,
della ricerca o inquisizione degli eretici dove il potere tem porale permetteva quando
diritto e gli accordava la sanzione delle pene. Q uest’ordine ebbe il favore dei patriar­
chi fornendo loro zelanti agenti per il fruttuoso com m ercio delle indulgenze. Infine
un terzo ordine, più recente, fondato nel periodo della R iform a, che si era dato il

(19) Potremmo citare in appoggio l’errore molto comune di chi dà alla parola cenobita il senso di sotita-
rio . Questa carenza del francese ci permette di constatare la predominanza dell’idea di isolamento nell’in-
terpretazione consueta di quel termine del vocabolario monacale che ha portato al regime comunitario.

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compito di com battere, ebbe espressamente come missione la conversione degli infe­
deli, e fece grandi sforzi per introdursi in G allia, in Spagn a, in Grecia e in Italia. Il
coraggio, unito alla flessibilità e alla astuzia di questi monaci m ondani, obbligò le
nazioni a ricorrere a misure legislative nuove ed eccezionali per difendersi d a un’ as­
sociazione che l ’assenza di ogni scrupolo rendeva pericolosa, che era solita dissimu-
lare diversi precetti cattolici che condivideva in m odo assoluto, oppure con traffare e
alterare la fede prestandosi a tutto nell’attesa del m om ento in cui i propri progressi
le avrebbero perm esso di affrontare il giorno e pretendere il dom inio. Dove
quest’ordine fu accettalo, perseguì un disegno di conversione interiore, affron tan do
il problem a, per così dire, alla radice: si introdusse nelle fam iglie col pretesto della
guida m orale delle donne, se si prestavano, anche degli uomini e per quanto gli fu
possibile, si im padronì dell’educazione. Si votò più di ogni altro ordine al servizio
del patriarca di Antiochia e ne rappresentò la pretesa airegem on ia del m ondo catto­
lico. Ma questa milizia sacerdotale si rese odiosa per i suoi legami con gli stranieri,
per le sue violazioni della vita privata e per la m orale lassa di cui si era fatta un siste­
m a; infatti, sacrificando il fondam ento alle apparenze, anche chi non ha principi
può rimanere padrone dei cuori. Spesso fu perseguitata e p assò dalla prosperità alla
rovina in quei paesi in cui era riuscita a conquistare Tanim o dei prìncipi. L a R ifor­
ma ne segnò il bando assoluto dalla Germ ania e dai paesi scandinavi, così come suc­
cesse agli altri ordini m onacali.
A partire da questo m om ento i popoli germanici entrarono nell’orbita della cul­
tura occidentale. Le nazioni cristiane riform ate e quelle la cui cultura era caratteriz­
zata dalle libere religioni si aprirono le une alle altre. L a differenza di fondo che le
aveva caratterizzate era scom parsa da quando anche il cristianesim o aveva comin­
ciato a fondarsi sulla libertà della coscienza individuale, su tradizioni liberamente
accettate o rifiutate e si costituiva in Chiese tolleranti e diverse. Gli Stati occidentali
avevano, è vero, eliminato ogni ingerenza dello Stato sulle religioni e ogni pressione
delle religioni sullo Stato, mentre la R iform a, in Germ ania, lasciava ai prìncipi al­
meno l’eredità di una parte di quel potere, chiam ato spirituale, ostentato dai sorve­
glianti. Ma i riform ati dovevano arrivare alla libertà religiosa sia per l ’esem pio degli
Stati vicini, emancipati già da secoli, sia per l’effetto delle dissidenze religiose che si
erano moltiplicate ed erano inevitabili e insopprim ibili e per l ’im potenza crescente
dell’autorità civile nel fare accettare direttamente i dogm i. La differenza fondam en­
tale fra il nuovo cristianesimo germ anico e gli antichi culti greci e .romani, rinnovati
dal neoplatonism o, si era m olto attenuata rispetto al tempo degli apologisti come
Tertulliano. Agli occhi di un osservatore estraneo ed im parziale, la concezione m o­
rale del m ondo tipica di un discepolo di Plotino e di Proclo sarebbe m olto simile a
quella di un teologo cristiano. D a una parte e d a ll’altra si im m aginava una caduta
originaria, un'espiazione, angeli e demoni in comunicazione con gli uom ini, la vita
ascetica come mezzo di salvezza. È vero che la creazione e la decadenza delle creatu­
re non erano generalmente immaginate nello stesso m odo dalle due parti: il platoni­
smo ravvisava questi elementi in un infinito ritorno all'indietro, li applicava a tutto
l'essere che si era m anifestato mentre i cristiani li com prendevano dentro l’orizzonte
della storia dell’uom o. E ra proprio la ristrettezza delle loro vedute che li liberava da

150
tante assurdità su ll’Uno e ^Infinito e dal panteism o; m a, in realtà, i teologi germ a­
nici avevano quasi sempre cercato di liberarsi di tale superiorità e le loro dottrine
sulla natura divina e sul determinismo universale si sarebbero confuse, se non aves­
sero cercato di dissim ularlo, con quelle dei teologi stoici o platonici del paganesim o.
Una differenza im portante sem brava quella del culto del Cristo e della missione di­
vina di Gesù. T uttavia il cristianesim o, considerato freddam ente, doveva apparire
un m istero, simile a molti altri, che ricordava, con la base di un Dio m orto e resusci­
tato, i misteri orfici, dionisiaci e altri ancora; era soltanto più elevato, meno sim boli­
co, più an tropom orfico, m algrado le difficoltà che la sua storia ci m ostra, e quindi
m olto più adatto a contentare la passione religiosa e a sostenere l ’im m aginazione.
D 'altra parte il ritorno del cristianesimo nelle antiche provincie occidentali di Rom a
non aveva ragione di essere ostacolato dal momento che non com portava più un sa ­
cerdozio che usurpava le libertà comuni e che condannava insolentemente tutto ciò
che gli era estraneo.
Un cristianesim o, clam orosam ente separato dal clero, che affidava il ministero
del culto a uomini senza privilegi come aveva sempre fatto il politeism o, che aboli­
va o trasform ava i sacram enti la cui som m inistrazione implica il carattere divino del
prete, che airin izio subiva, e accettava sempre di più nei fatti, per forza di cose,
l ’uguaglianza dei diritti delle Chiese dissidenti, un cristianesim o infine che ricono­
sceva e praticava la vita civile, che esaltava la fam iglia, che incoraggiava decisamen­
te le professioni industriali e comm erciali, non aveva più la minima parentela o a ffi­
nità, dal punto di vista dello Stato, con quella setta nemica del m ondo, sospettata di
odiare il genere um ano, imbevuta di principi teocratici e comunistici, intollerante
per natura e insensatamente fanatica, i cui aderenti avevano rifiutato il giuram ento
civile seicento anni prima e per tutto il periodo in cui era stata bandita: “ C redo alla
durata del m ondo, alla moralità naturale dell’uom o, alla santità dei diritti e dei dove­
ri sociali; rispetto la coscienza dei miei concittadini e i culti che hanno fondato e che
posson o fondare ancora, quando non rappresentino un attentato alla libertà altrui;
riconosco Pordine politico in cui sono riconosciuti i miei diritti; non pongo sopra
q u est’ordine, in quanto è di sua com petenza, alcuna forza soprannaturale capace di
obbligarm i; rinuncio a ogni azione personale e a ogni azione il cui fine sia di sotto­
porre la vita civile a una fede religiosa; se violo il mio giuram ento acconsento che da
quel giorno sia annullato ogni dovere positivo dello Stato e dei miei concittadini nei
miei riguardi” . Q uesto giuram ento, rim asto fondam entalm ente invariato a parte
qualche piccola aggiunta che le circostanze e i lìmiti di coscienza alcuni settari aveva­
no richiesto, fu prestato, nel m om ento del bisogno, d a tutti i settari che ponevano
Pinteresse delle loro comunicazioni con l ’Italia, la G recia, la G allia, la Bretagna, la
Spagna al di sopra degli scrupoli che molti di loro potevano avere nel professare la
m oralità naturale delPuom o dopo il peccato. I progressi del cristianesim o divennero
così m olto rapidi in tutte le nazioni a causa della superiorità del m istero di Gesù su­
gli altri misteri dei quali univa le proprietà fondam entali di santificazione e di fede
nella vita futura e nello stabilire una relazione più intima fra l’uom o peccatore e il
Dio salvatore.
Da allora la cultura occidentale si divise sempre più fra due correnti contrarie,

151
m a parallele, e la vecchia lotta fra il cattolicesim o c la ragione, fra la te ^ r a z ia e la li­
bertà p assò nel puro cam po della storia* In E u ro p a non furono più visti uomini che
si ponevano fra i loro simili e un D io rivelatore che loro stessi rivelavano, che inse­
gnavano con assoluta autorità co sa credere e cosa fare, che m odellavano gli spiriti,
che dirigevano le fam iglie, che rivendicavano il potere dello Stato, che usurpavano
la conduzione delle coscienze* Si videro soltanto anime religiose, afflitte più delle al­
tre dallo spettacolo del m ale presente nella natura e nel cuore dell’uom o che dispera­
vano della possibilità del trionfo delta giustizia, continuo m iraggio delle persone e
delle nazioni da quando è nato il pensiero delPuom o. Queste anime cristiane non
credono alla forza della ragione, come facoltà capace di costruire da sola una verità
assolutam ente convincente, accettabile da tutti, capace di contenere i pensieri e le
ipotesi interessate. Non credono a ll’esistenza di una forza norm ale, nella coscienza
di ognuno, capace di governare le passioni per avere ragione, senza aiuti, delle catti­
ve tentazioni nelle tenebre, fra le insidie accumulate d aìjjeccato . Per questo hanno
fatto ricorso alla fede e alla grazia: alla fede per creare un merito che prenda il posto
della giustizia inaccessibile, alla grazia come aiuto accordato dall’U om o-D io nella
prova, come dono di chi vuole la nostra salvezza e la attua. Secondo il loro m odo di
sentire, l’aiuto divino si dà spontaneam ente, senza la m ediazione di un prete, attra­
verso una sorta di comunione divina, m a il m odo concreto e storico attraverso il
quale Dio ci chiam a e ci insegna è la m anifestazione di Gesù nel tem po, è la Scrittura
lasciata dai suoi discepoli e consegnata al nostro studio e alle nostre m editazioni.
Non vogliono, con questo m odo di vedere, restringere la salvezza nei limiti dell’indi-
viduo; è possibile ammettere, come spesso si fa, un progresso sociale, sperare in un
avvenire m igliore per le società um ane, m a esso deve venire dalla virtù cristiana a
lungo praticata e d a ta z io n e m orale che ne deriva, fon data completamente sul pre­
cetto della carità e su ll’esem pio del sacrificio.
L ’altro genere di spiriti cerca il bene nella giustizia e continua a ricercarlo n ono­
stante vengano costantemente disilluse le speranze delle persone e delle società di cui
il Giusto è la necessaria calam ita, di cui l’uguaglianza, che il G iusto conosce, è la re­
gola dell’azione e l ’ispirazione dei precetti. Seguendoli è necessaria una sola cosa
(unum necessarium) , la giustizia, dal m om ento che l ’am ore non può darsi ordini, es­
sendo un’aria agitata che soffia dove vuole: sp ir ìtu sfla t ubi vuit. L a giustizia ordi­
na: ordina a uno il rispetto dandogli la libertà, a ll’altro dà la libertà ordinandogli il
rispetto. L a giustizia non è assoluta in nessuno, forse nemmeno nel mutuo rapporto
di due persone che siano al m ondo, è la sperenza immanente di tutta la creazione
m orale, la speranza sempre vicina anche $e sempre delusa. Solo quando l’avremo
realizzata nei nostri cuori e nelle nostre istituzioni, conform andoci in questo a ll’uni­
co precetto necessario e assoluto, la libertà dell’amore potrà venire dalla ragione.
A llora godrem o del pieno diritto dei doni e dei sacrifici. Fino a quel m om ento nep­
pure il m igliore di noi ha troppe forze, o anche solo sufficienti, per pagare i propri
debiti. Prim a di tutto dobbiam o esser giusti, poi ci ameremo (20).
Queste sono le due direzioni, una religiosa, l ’ altra razionale, che il pensiero o c­
cidentale segue e su cui si divide. M a la divisione non è stata più un a guerra dal m o­
mento in cui tutti hanno riconosciuto la giustizia e la ragione (qualunque sia il m oti­

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vo vero della salvezza delPanim a e qualunque sia la più alta forza m orale) come re­
gole universali della coscienza, criterio universale e necessario, bene com une, garan ­
zia comune, fondam ento delle società um ane.
L a ragione è unica per natura e le religioni sono per natura tante. L a ragione,
che lo Stato rappresenta nella sua forza e nella sua unità, non deve contrastare la
tendenza delle religioni a dividersi; non per m andarle alla rovina, esse dureranno in­
fatti finché durerà la legittim a tendenza della n atura um ana a risolvere con la fede
quanto non è risolto dalLesperienza e dal Pini uizione, m a per rifiutar loro Puso dei
mezzi di costrizione o di pressione illegittim a, coi quali cercano una unità artifìcio­
sa. L a ragione, per cosi dire nuda, com e quella degli antichi greci e rom ani, fondata
soltanto su una filosofia, in parte incerta e variabile, praticam ente senza Paiuto di
una scienza stabilita, difficilm ente poteva bastare allo Stato e rappresentarne ogni
funzione m orale. Per questo le antiche repubbliche conservarono sem pre la tradizio­
ne delle loro religioni civili e com uni, m olto diverse dalle teocrazie asiatiche e più si­
mili, se si vuol fare un paragone, a culti privati.
R om a, d o p o la grande R iform a, e poi le repubbliche occidentali che si dirisero
il m ondo rom ano ebbero l ’equivalente di una legge religiosa nella m orale stoica, nel
dogm a stoico della Provvidenza, m olto d iffuso fra gli statisti del tem po, e nel diritto
che, nonostante le antiche radici, veniva considerato frutto del pensiero stoico. L a
religione, in senso stretto, era problem a di coscienza personale e di libera intesa di
menti c cuori per la costituzione di ogni C hiesa: im m enso progresso della libertà
um ana, vanamente e irrisoriam ente prom esso dal cattolicesim o che voleva m antene­
re le catene della religione di Stato, per ribadire con più forza la religione universale
che cercava di im porre. Progresso com piuto per il disinteresse dello Stato nei con­
fronti dei vari culti, disinteresse iniziato sotto l’ultimo degli Antonini e conferm ato
in questo periodo dai profondi principi che si svilupparono dalla R iform a e dalla
abitudine, orm ai acquisita dalle sette religiose, di trovare la propria forza in ogni
circostanza soltanto in se stesse. L o stoicism o infatti aveva prodotto un costum e
m orale sia nel cam po am m inistrativo che in quello giuridico dopo essere stato il
grande m otore delle riform e politiche. G razie a ll’im portanza di questa filosofia
nell’insegnamento pubblico, tutti gli Stati che ebbero la successione di R om a, com ­
presa la stessa G recia, si ritrovarono un vivaio di uom ini di valore con fermi e sicuri
principi. L a filosofìa peripatetica contribuiva, per parte sua, dopo i lavori di A les­
sandro di A frod isia, a mantenere le menti su una retta via. M a, nonostante queste
circostanze favorevoli, la ragione era indebolita dalla lontananza e dalla contraddit­
torietà delle filosofie: l ’unità e la necessità del pensiero razionale non erano percepi­
te in m ezzo alle speculazioni contrastanti e persino stravaganti dei m etafisici. Il pla­
tonism o dogm atico e m istico si conquistava un considerevole spazio che il cristiane­
sim o riform ato doveva contendergli. L o scetticism o, che si poneva all’o p p o sta estre-

(20) Questo detto richiama una bella frase di Rousseau su un'altra questione, quella della felicità:4‘Cer­
chiamo prima di essere buoni, poi saremo felici” , cf., Professione d i fe d e di un vicario savoiardo

153
m ità delle inclinazioni della mente um an a, obbiettava utilmente che tuttéie affe rm a­
zioni, fatte in nome deirevidenza erano fondam entalm ente incerte, essendo l’evi­
denza sempre personale e variabile» M a questa filosofia aveva il difetto m ortale di
contestare perfino le verità logiche e m atem atiche e di ridurre la m orale a ll’osserva­
zione dei costum i. Infine l ’epicureism o, con la sua indifferenza m orale e politica,
con la sua fisica grossolanam ente m aterialistica, era un altro elemento di dissoluzio­
ne. Probabilm ente gli Stati occidentali sarebbero stati esposti agli stessi influssi che
avevano agito sul vecchio m ondo rom ano se il pensiero razionale non avesse trovato
nuovi cultori e principi fermi.
L ’aiuto venne dalle scienze m atem atiche e fisiche. I m atematici diedero l ’esem­
pio e la lezione di verità m olto lontane, scoperte attraverso lunghe catene di ragion a­
menti collegati a premesse certe. In questo m odo fu dim ostrato che attraverso un
m etodo corretto, attraverso principi universalmente riconosciuti, è possibile arriva­
re a proposizioni imprevedibili, che sem brano in un prim o tem po im probabili e poi
diventano certe. Invece le ipotesi di qualche filosofo, che qualcun’altro contesta, e le
rivelazioni teologiche, che variano da luogo a luogo e da tem po a tem po, non per­
m ettono alla logica alcuna costruzione inattaccabile. T utto questo divenne ancor
più evidente quando l’applicazione di un ’esperienza, regolarmente riferita alle cose
sensibili, e [’induzione da verità acquisite di verità sconosciute, che potevano a loro
volta essere verificate, dim ostrò che la m aggior parte delle im m aginazioni spon ­
tanee degli uomini conducono a conclusioni false, che le loro percezioni sensi­
bili, anche le più fam iliari, si m escolano a giudizi naturali ingannatori e che le verità
più saldam ente fondate attraverso la ricerca scientifica, di norm a, non hanno niente
di comune con le prim e supposizioni che si presentano alla mente e con le visioni più
tormentate dei m etafisici.
L a geom etria era sempre stata coltivata da un certo numero di intelligenze supe­
riori, che in ogni epoca avevano form ato fra loro una specie di accadem ia. Q uesta
bella scienza acquistò ben altra im portanza nel m ondo da quando lo studio di Eucli­
de nelle scuole elementari, di Archimede e di A pollonio di Perga nelle superiori, fo r­
nì ai giovani, e non solo a loro, le conoscenze indispensabili per tutte le arti della co ­
struzione, per Parte della guerra e innalzò le menti alla riflessione sulle leggi astratte
dell’ universo. Veniva aperto alia scienza un cam po nuovo e vastissim o e le genera­
zioni successive vi venivano iniziate. In questo m odo il progresso divenne rapido,
non tanto nella geom etria, dove si trattava solo di ricavare sempre nuove deduzioni,
relativamente facili, da proposizioni già scoperte (21) m a in una branca parallela del­
la m atem atica, nella scienza dei numeri. L ’arte di D iofan to, che consisteva nell’ im-
piegare segni generali per la designazione delle incognite nelPanalisi dei problem i, fu

(21) L ’autore pensa che la questione del metodo sia chiusa. È un’illusione naturale che potremmo avere
anche oggi, nonostante le scoperte e le applicazioni della geometria infinitesimale. Al tempo in cui scrive­
va era appena nato un suo compatriota destinalo a compiere il primo di una meravigliosa serie dì tentativi
di generalizzazione del metodo di Archimede. Parliamo del Cavalieri.

154
perfezionala con l ’indicare, attraverso dei segni» anche le quantità conosciute e, con
altri segni particolari, le operazioni; si arrivò cosi a generalizzare l'espressione dei
rapporti num erici, a seguirli nelle loro differenze e nei loro cambiamenti senza a f ­
frontare i casi particolari, a calcolare i numeri senza im piegarli, a dare soluzione ai
problemi della quantità attraverso form ule generali, che si applicano a tutti i casi si­
mili senza rifare l'analisi e i calcoli finché il problem a è com preso nel caso generale.
Un tal m etodo condusse immediatamente, attraverso gli stessi segni di aritm etica
speciosa o universale, alla rappresentazione delle stesse grandezze geometriche, dei
loro rapporti, delle operazioni che su di esse vengon fatte» delle costruzioni di figu­
re e, in questo m odo alPapplicazione, in un senso tutto nuovo, delTaritmetica alla
geometria e della geometria airaritm etica (22). Con quest'ultim a scoperta si arrivò
alla com prensione esalta della concezione pitagorica della natura, per la quale il co­
smo era identificato in una serie di rapporti numerici. Infatti la m eccanica, nel cam ­
po dei fenom eni terrestri più comuni, e l'astron om ia, in quello dei fenomeni più lon­
tani da noi, divennero ben presto, nella considerazione degli scienziati, m anifesta­
zioni del Num ero cosm ico, costanti e certe come la stessa m usica.
Le osservazioni astronom iche erano coltivate in una scuola che M arco A ntoni­
no aveva istituito in Grecia e che si era riproposta di continuare il lavoro scientifico
di quella di A lessandria, soffo cata dal cristianesim o e dalle invasioni e solo parzial­
mente surrogata dagli astronom i arabi e persiani, che coltivavano quasi tutti le su ­
perstizioni astrologiche. Oltre le osservazioni si preoccupavano di mantenere r a c ­
cordo fra i fatti, o apparenze, e il sistema aristotelico, corretto e sovraccaricato di
cerchi ed epicicli da Tolom eo. Nuove ipotesi e aggiunte di questo genere diventava­
no necessarie e ogni nuovo progresso dell'osservazione. Gli astronom i greci» che
avevano conservato i libri dei pitagorici del IV secolo (23), di Iceta e di Filolao, anda­
rono a rileggerli non per avere la conoscenza dei fatti, che al tem po di questi grandi
uomini era m olto più esatta, m a per esam inare di nuovo quale ipotesi spiegasse m e­
glio gli spostam enti relativi dei corpi celesti: Tipotesi che pone la terra al centro del
m ondo, o quella che considera la terra e i pianeti ruotare attorno al sole con tjs^rhpi di
rivoluzione diversi; poi Tipotesi che considera la terra ferm a sui suoi poli e l ’univer­
so che le ruota attorno con una velocità inconcepibile, o quella per la quale ruote­
rebbe in un sol giorno sul suo asse. Le vecchie ipotesi, recuperate, furono tro­
vate più conform i alle apparenze, più adatte al calcolo e condussero alla scoperta
delTordine reale e delle cause dei movimenti generali del cielo (24). Il pensiero umano

(22) Si riferisce evidentemente all'analisi speciosa di F. Viète (1540-1630) e del suo sistema algebrico di ri­
solvere i problemi geometrici costruendo le soluzioni ottenute. Non può trattarsi di Descarets c delle
equazioni delle curve, ma solo delle costruzioni di valori determinati che Fautore conosce molto bene.
Suppone, giustamente, che il naturale seguito dell’antica cultura matematica avrebbe ben presto portato
alla scoperta dell’algebra e all’applicazione dell'algebra alla geometria. Non deve chiedersi, come faccia­
mo oggi, se l'algebra ci perviene dagli arabi o dagli indiani.
(23) V a.c. della nostra era.

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si senti più grande nella m isura in cui la terra, una volta considerata il l\jogo più b a s­
so e vile delPuniverso, divenne un m ondo com e gli altri, dotato di un idèntico m ovi­
mento attorno al sole, che, a sua volta, p u ò muoversi attorno ad un altro centro
(25). Gli spazi, una volta chiusi, furono in qualche m odo aperti.
M a la spinta più favorevole agii spiriti non venne dai m atematici o dagli astro­
nomi. L ’ingrandimento ideale e senza fine del m ondo, favorito dal recupero del si­
stem a pitagorico, fu considerato un grave perìcolo. Nulla era meno adatto alla filo­
so fia di questa scuola che il considerare l’infinito com e attributo della realtà; la con­
cezione fondam entale dei pitagorici, al contrario, postulava un ’arm onia che non
può esistere, né essere com presa, se non è definita, cioè se non si com pone di un in­
sieme di rapporti finiti; l ’infinito era l’idea delPeterno caos, un termine assoluta-
mente contrario all’ordine e alle relazioni di tutte le cose, cioè a ll’esistenza stessa.
Inoltre, non una serie ragione, m a solo un incredibile errore non permise loro di ca­
pire che il sistem a solare, rappresentato col sole come stella fra miriadi di stelle,
apriva a ll’im m aginazione spazi dell’universo m olto m aggiori di quanto in passato si
fosse creduto; caddero quindi nell’assurda idea che i m ondi esistenti fossero infiniti.
Significava dire che, o il numero dei mondi non è un num ero, che è una contraddi­
zione in termini, o che i mondi possono essere dati, realmente dati, e non esistere in
un numero piuttosto che in un altro, che è l ’assurdità più enorme e gratuita che sia
mai entrala nelle menti umane. Le fantasie della scuola platonica e sincretista trova­
rono in questo una m eravigliosa occasione per rifiorire in un nuovo m isticism o. C o ­
m inciarono le speculazioni sugli infiniti come fossero cose reali, e la pretesa che l ’in-
finitamente grande e l’infinitamente piccolo fossero la stessa cosa, che la totalità
dell’universo fosse un punto, che l’infinità del tem po fosse rinchiusa in un istante,
che Dio riunisse cosi i contrari nella sua essenza, che fosse uno, che fosse tutto, che
non fosse nulla, che non fosse nemmeno lui stesso (26). Queste assurdità ritardarono
ancora per m olto tempo l’avvento della vera filosofia. Che bisogno c ’è di questo in­
finito per ingrandire il m ondo e la conoscenza che ne abb iam o? Forse perché al pen­
siero m ancano le grandezze? Non sono esse in grado di superare il pensiero secondo
il nostro desiderio, e diventano forse minori se vengono supposte determ inate, pur
andando oltre i concetti possibili della nostra libera fan tasia?

(24) L’autore esprime qui, senza dubbio, solo una vaga speranza; infatti, se ha potuto conoscere i sistema
di Copernico, pubblicalo nel 1543, ha certamente ignorato le leggi di Keplero e le scoperte di Galilei, che
sono del XVII secolo c, a maggior ragione, la legge della gravitazione universale.
(25) Ecco una interpretazione assolutamente contraria al luogo comune che ci viene dalla dottrina aristote­
lica della terra come centro, quasi fosse un motivo di orgoglio per l’uomo e per il suo posto nell'universo.
L'interpretazione dclPauiore ci sembra più giusta; è certo infatti che gli antichi vedevano nel centro im­
mobile la sede della massima debolezza e nella sfera dcirempireo la sede della costanza« della perfezione.
Il sistema Tolemaico non lusingava affatto l’orgoglio umano.
(26) Allusione al pensiero di Nicola Cusano e dello sfortunato Giordano Bruno, contemporaneo dell’au­
tore e come luì arso sul rogo per ragioni ben diverse, come si può vedere.

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Un movimento più decisivo fu im presso alle menti dalla cultura delle scienze
sperimentali, che gli antichi avevano appena conosciuto e che da secoli erano state
abbandonate. Infatti l’abitudine a procedere secondo concetti generali si era diffusa
sempre più dopo la nascita del platonism o. Nem m eno i successori di Aristotele ave­
vano form ato una scuola fondata suirosservazione, sulla verifica e la registrazione
dei fenomeni naturali; erano andate perdute vergognosam ente le opere di Dem ocrito
e di quei filosofi ionici o eleati le cui vaste teorie erano impregnate di osservazioni p o ­
sitive. Infatti, mentre da una parte il cristianesim o conquistava gli anim i, d all’altra
si diffondevano delle sette basate su dottrine prevalentemente m orali, che non parti-
vano dai fatti, m a da un certo numero di proporzioni universali. Tali furono Io stoi­
cism o, l ’ epicureism o, la stessa dottrina peripatetica d opo Aristotele e il platonism o
nelle sue diverse fasi. Q uesto stato di abbandono delle scienze sperim entali, ad ecce­
zione dell’astronom ia e deH’anatom ia, durò per tutta l’ epoca di m edio evo che co ­
mincia durante la vita dei successori di Alessandro e continua fino al X V I secolo (27).
Fu soprattutto dalla Gran Bretagna che parti il segnale di una nuova m aniera più
m odesta e proficua di fare filosofia per quanto riguarda la conoscenza dell’ordine
della natura. L a riform a fu anche una viva reazione a ogni autorità, a quella di A ri­
stotele in particolare, la cui fisica, piena di concetti astratti e spesso sbagliati, aveva
condiviso, senza diritto, il favore dovuto alla sua logica.
Si notò che “ in ogni scienza bisogna usare il m etodo migliore. L ’essenziale è
metter prima ciò che è prim a, secondo ciò che è secondo: il facile prim a del difficile.
È im possibile giungere, senza esperienza, a una conoscenza certa. Tre sono i m odi di
conoscere: attraverso l’ autorità, la ragione e l’esperienza. M a l’autorità non cono­
sce, a meno che non venga giustificata: porta solo la fede, non la com prensione. Per
quanto riguarda la conoscenza che ci viene dalla ragione, come sapere se è dim ostra­
zione o sofism a, se non se ne verifica la conclusione mediante la pratica, come nelle
scienze sperim entali? Ecco perché la m aggior parte dei dotti (dei dotti medievali)
ignora ancora i grandi segreti che un m etodo m igliore permetterebbe di scoprire. A
forza di sillogismi dim ostrano delle pretese verità che sono solo errori radicati e
smentiti dall'esperienza: non d a ll’esperienza im perfetta e banale, m a d a quella che è
al di sopra delle scienze speculative e delle arti, da una scienza di fare esperienze cer­
te e com plete” (28).

(27) Vili dell’era cristiana, secondo la solita traduzione delle date deirautore.

(28) Abbiamo virgolettato questo brano, che è un insieme di passi presi dall’inglese Ruggero Bacone. Il no­
stro autore non avrebbe potuto certo trovare in altri opinioni cosi audaci da abbracciare, dal momento
che le scoperte di Galilei e le opere di Bacone Verulamio sono del XVII sec. e lui è morto nel 1600. Rugge­
ro Bacone è del XIII sec., nato e morto nel XIII sec., Le massime riportate sono letteralmente sue e per
primo ha usato il termine di scienza sperimentale. Riportiamo due o tre passi fra i più interessanti: “ Auc-
toritas non sapit, nisi detur eius ratio, ncc dat inteilectum sed credulitatcm... nec ratio potcsi sci ri an so-
phisma vel demonstratio, nisi conclusioncm sciamus experiri per opera, ut inferius in scientiis experimen-
talibus docebo... Et. ideo secreta et magnalia sapientiae pcniius his temporibus a vulgo studentium igno-

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11 nuovo m etodo portò i suoi frutti solo dopo che gli spiriti furono scossi da
scoperte inattese, scoperte che non venivano dalla scienza, m a dall’ difendersi dei
commerci e dal m iglioramento delle condizioni di vita.
Prim a del secolo delle crociate, l ’ostilità dell’Oriente cristiano e i forti insedia­
menti barbarici dell’E u ropa orientale e dell'A sia, insieme a una politica estera delle
nazioni occidentali che era quasi esclusivamente difensiva, avevano lim itato le spe­
dizioni militari e diminuito i commerci in questa parte del M editerraneo, per queste
ragioni lo spirito di intraprendenza degli occidentali trovò il suo sbocco naturale ver­
so l’Oceano e le coste dell’A frica. Del resto la ricchezza sempre crescente di nazioni
come la G allia e la Spagn a, che hanno una lunghissim a costa oceanica, il rapido pro­
gresso m arittim o della Gran Bretagna, la rivalità fra le marine greca e italica e
quelle delle altre repubbliche, il libero passaggio per lo stretto di Cadice in tem po di
pace potevano solo condurre allo sviluppo del commercio verso l’A tlantico, a inse­
diamenti sulle coste occidentali dell’A frica, a viaggi esplorativi e avventurosi. D opo
molti tentativi si riuscì a conoscere la regione equatoriale. I primi elementi della co­
sm ologia, che nell’antichità erano patrim onio solo delle persone più colte, divenne­
ro nozioni com uni, quando tanti navigatori di ogni nazione poterono vedere diretta-
mente lo spettacolo del sole verticale, del sole che sorge a destra e che avanza nel cie­
lo verso la sinistra di chi guarda. Poco dopo fu com piuta la circum navigazione
dell’A frica, sbocchi nuovi e immensi si aprirono al comm ercio dell’E u ropa. L a
scienza e l’industria europee ricavarono preziose risorse dalle comunicazioni con re­
gioni della terra che erano conosciute orm ai solo di nom e, d a quando le vie
dell’Egitto e della Siria erano state interdette ai suoi mercanti.
Il m aggior beneficio che la conoscenza dell’estrem o Oriente portò a ll’inizio del
XV I secolo (29), beneficio incom parabile, assolutam ente senza prezzo, fu una sco­
perta di ordine materiale che avrebbe poi avuto u n ’influenza straordinaria e una eco
senza fine nel cam po m orale. L a stam pa raddoppiò, se è sufficiente dire così, il valo­
re di quanto era stato fatto in Occidente da cinque o sei secoli per diffondere l’istru­
zione elementare in tutte le classi sociali e facilitare l’acesso alla letteratura colta a
tutti coloro che ne avevano la capacità. I libri, prim a costosi e rari, diventarono co ­
muni; lo studio potè essere praticato nella solitudine, mentre prim a ogni studente di­
pendeva necessariamente dalle labbra di un professore. L'introduzione del torchio
tipografico in Europa fu l’ avvenimento degno di segnare il vero inizio dell’era m o­
derna, anche se non fosse coinciso con la riform a religiosa dei popoli germanici (30) e

rantur, licet possint de facili pertingere ad omnes partes sapientiae, si modus debitus adhibeatur... Duo
sunt modi cognoscendi, silicei per argumentum et experimenmm; argumentum concludit et facit nos con­
cludere quaestionem, sed non significa! neque removìt dubitationem ut quiescat animus in intuitu verita-
tis.MQuesta tranquillità dell’intuizione si trova, secondo Bacone, nella scienza sperimentale: “ Haec est
domina scientiarum omnium praecedeotium et finis totius speculationis.”
(29) Vili a.c. dell'era cristiana. L'autore interrompe il racconto delle scoperte geografiche prima di par­
larci dell'America per occuparsi della stampa; è naturale, dal momento che fa derivare questa scoperta
dalle relazioni coi cinesi.

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non gii fosse seguito un periodo di invenzioni e di lavori senza uguale, se si eccettua­
no i primi secoli delPera delle Olim piadi. A questa invenzione infatti, si deve la li­
bertà e la varietà delle lezioni di ogni uom o che pensa o insegna rivolgendosi con­
tem poraneam ente a m igliaia dì discepoli sconosciuti, libertà e varietà che ogni uomo
desideroso di conoscere e di approfondire può toccare entrando in una biblioteca.
Inoltre cosa ha significato la moltiplicazione delle biblioteche, messe a disposizione
dei singoli, la ristam pa dei libri amichi e, di conseguenza, un incontro più assiduo
con gli uomini del passato e, oltre tutto questo, la facilità, per gli uomini di una n a­
zione e di una stessa lingua, di diffondere la loro parola come d all’alto della tribuna
di un foro nel quale si riuniscono grandi m asse senza incom odarsi e senza vedersi?
L a stam pa esisteva in Cina, m a non produceva gli effetti im portanti che furono
subito visti in Europa. Il motivo non è, come è stato detto e ripetuto con poco di-
scernimento, nel fatto che quei popoli siano incapaci di progredire, siano posseduti
dalla passione deirim m obilism o; sarebbe una cosa m olto strana perché, per quanto
conosciam o, questo popolo ha com piuto nella sua storia un num ero di rivoluzioni
politiche e religiose uguale a quello delLOccidente (31). Il m otivo è semplicemente
nella sua scrittura idiografica e nelle conseguenze di questo sistem a sbagliato che
rende estremamente difficoltoso, nella comunicazione e nell'insegnam ento scritti,
emettere e propagare nuove idee. Non sono im m obili i cinesi o la loro lingua p arla­
ta, m a la lingua scritta, profondam ente diversa dall'altra, la sola che p o ssa ricorrere
all’arte della stam pa. Com unque il procedim ento fu im portato nelle nazioni occi­
dentali dalla Cina e non tardò a dare alle istituzioni repubblicane una solida base e
un nuovo vigore, alle scienze uno strum ento potente e agli slanci religiosi un limite
con la diffusione dei metodi razionali.
L a bussola, altra im portazione che venne dalla Cina nello stesso periodo, liberò
la navigazione e il commercio d all’obbligo di mantenersi lungo le coste. Le navi a f­
frontarono il mare aperto e diventò sicuro quello che prim a, a ragione, era tem uto e
dove solo la tem pesta le poteva spingere contro la volontà dei piloti che non avevano
più la possibilità di riconoscere la rotta. L o spirito di intraprendenza dei m arinai e la
politica commerciale degli Stati portarono a voler deliberatam ente v e r ific a r le voci
popolari che da m olto tempo circolavano a proposito di quelle navi che, spinte lon­
tano nelle regioni del Nord o dell’occidente oceanico, avevano incontrato la fam osa
isola di Atlantide, che distava oltre mille leghe dalle Colonne d 'È rcole che gli antichi
abitanti dei paesi vicini credevano scom parsa sotto le acque. D ’altra parte la cosm o­
logia era da gran tem po assai progredita ed era possibile farsi un ’idea approssim ati­
va della grandezza della circonferenza terrestre; era anche difficile pensare che non
fosse possibile incontrare una terra nell’im m enso spazio fra le coste occidentali

(30) Coincidenza del raccondo del nostro autore e delle sue interpolazioni; c’è bisogno di avvertire?
(31) Queste informazioni venivano senza dubbio all’autore dalle missioni cattoliche a Roma e coincidono
con le conoscenze moderne.

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dell’E u ropa e quelle orientali dell’A sia che com inciavano ad essere n u d a m e n te co­
nosciute. Il nuovo m ondo occidentale fu presto scoperto d a più parti, in pochi anni
la Spagn a, la G allia, la G ran Bretagna e gli Stati rivieraschi del m are germ anico arri­
varono a possedere insediamenti nelle nuove terre, vi trovarono sbocchi per le loro
popolazioni sempre più num erose e, p urtroppo, degli avventurieri li fecero anche
teatro di eccessi e di delitti, occasione di rivalità che degenerarono in guerre crudeli.
Anche le nazioni affacciate solo sul m editerraneo vollero partecipare alla conquista
di quei tesori; ovunque si accendevano avarizia e spirito di dom inio; la guerra sul
m are divenne generale: triste fine del periodo in cui istituzioni com uni, un genio c o ­
m une, nemici comuni e le esortazioni dei filosofi avevano fatto intravvedere com e
vicino il m om ento di una federazione degli Stati occidentali.
Mentre le società evolute si allargavano attraverso la colonizzazione, le migliori
conseguenze della scoperta del nuovo m ondo furono il notevole slancio d ato al com ­
mercio e allo spirito d ’intraprendenza, anche se spesso m al diretto, una scossa idea­
le e, in un altro ordine di idee, m a orm ai di estrem a im portanza, una quan tità, fino a
quel m om ento mai vista, di metalli preziosi. Questo fatto favori lo sviluppo del la­
voro, sollevò in tutta l’ Europa i debitori di una parte dei loro debiti e impoverì rela­
tivamente i ricchi e gli oziosi diminuendo il valore del titolo sul quale fondavano le
loro rendite. Favori anche in m aniera eccezionale le economie nazionali e F u so ,
sempre più largo, della cam biale che facilitava i pagam enti d a un paese all’altro sen­
za trasferim ento di denaro, diede alle relazioni commerciali e a tutte le professioni
che com portano la produzione di beni uno sviluppo che m ai era stato raggiunto
nell’antichità e nel medio evo. L ’invenzione della cam biale fu degli ebrei che, accolti
nelle nazioni occidentali delle quali osservavano le leggi senza minacciarne la libertà
mentre erano oppressi, perseguitati e periodicamente cacciati dagli Stati orientali e
germ anici, si erano dedicati all’unica attività loro concessa in questi paesi, il com ­
mercio, e avevano pensato questo mezzo econom ico e sicuro per cam biare le m onete
e regolare i conti.
L ’origine della polvere da sparo ci è m olto più oscura; non sem bra la si debba
far risalire a un atto puram ente scientifico, né al m om ento in cui la scienza speri­
mentale trovò il suo solido fondam ento grazie alla m atem atica, alle reciproche co­
municazioni e al progresso regolare, alla correttezza m etodologica dei suoi cultori. È
più credibile l ’ipotesi per cui il segreto della m iscela tonante sia stato scoperto, a fo r­
za di tentativi, da uno degli oscuri alchimisti medievali la cui avidità, di solito, era
connessa alle superstizioni ermetiche. N on era infatti l ’am ore della scienza a spin­
gerli alle ricerche sulla natura. Com e la scoperta della stam pa, anche questa, in un
cam po ben diverso purtroppo, fu un’invenzione m ateriale con im portanti effetti nel
cam po m orale. L e arm i d a fuoco prim a operarono un livellamento degli uom ini in
guerra, poi vi contribuirono nella pace. P osero fine ai lunghi esercizi e a ll’educazio­
ne fisica, che una volta aveva conferito la superiorità m ilitare, perché soldati di
ugual coraggio di fronte a ll’archibugio si equivalevano. L a fanteria diventò più im ­
portante della cavalleria. Tutta la capacità militare dipese dalla disciplina, se la di­
sciplina dei due eserciti era la stessa, allora la forza stava tutta nel num ero. Diventò
più che mai necessario che i popoli si battessero in prim a persona, invece che sfuggi­

l i
re tale fatica e tale pericolo se non volevano correrne uno più grande affidan do la lo ­
ro difesa a una classe di cittadini condannati al sacrificio, dipendenti dalla condotta
di capi che delle armi avevano fatto il loro m estiere, che li usavano come strumenti e
li rivolgevano contro la patria. In questo senso la polvere da sparo fu anche una fo r­
za che rese più salde le istituzioni democratiche. M a tutto questo avveniva attraverso
Paum ento dei mezzi di offesa e di sterminio reciproco che le nazioni già possedeva­
no e che un giorno le avrebbe portate, quando si fosse levato il vento alla guerra, le
une contro le altre per assicurarsi, finché avessero potuto, il vantaggio del numero
come ai tempi in cui le tribù barbariche avanzavano in m assa nei territori nemici,
procurandosi, in una sola cam pagna, danni tanto più grandi e terribili di quanto i
barbari avessero potuto fare nelle più lunghe invasioni. Non devono essere accusati
di tali funeste conseguenze Pinventore o Pinvenzione; quaPè lo strumento prezioso
o necessario, che gli uomini non possano volgere al m ale e, spesso, con m aggior fa ­
cilità se il loro uso è tanto più utile? È da sciocchi m aledire lo strumento della distru­
zione (32) quando c ’è qualcuno che responsabilmente lo mette in azione. Questo
qualcuno siam o noi; mentre poteva servirci per aum entare i mezzi di legittima dife­
sa, Pabbiam o usato per una aggressione criminale!
Le grandi scoperte della scienza sperimentale hanno aum entato la capacità
dell’uom o di dom inare la natura e di godere della vita m ateriale più che questa in­
venzione, soprattutto senza presentare nella stessa m isura l ’inconveniente di diven­
tare armi nelle mani di un pazzo. I meravigliosi segreti della vita delle piante, l’orga­
nizzazione intima degli anim ali, il gioco delle loro funzioni vitali ci hanno insegnato
Parte di prolungare la vita e di renderla più sana, se dim ostriam o un pò di buon sen­
so. A bbiam o im parato a produrre, cospirando con le forze della natura, meraviglie
m aggiori di quelle che un tem po venivano attribuite ad im m aginari poteri m agici.
A bbiam o im parato ad ingrandire gli oggetti piccoli e a rim picciolire i grandi per
mezzo di lenti e rim ediare così i difetti della nostra vista, a descrivere le Figure e le
grandezze dei corpi più lontani, a creare attraverso mezzi rinfrangenti o superFici ri­
flettenti tutte le m eraviglie che vogliam o. A bbiam o im parato a produrre incendi a
distanza, com e Archimede, a far bruciare i corpi nell’acqua, a scaldare i bagni senza
fu oco, a illuminarci con fiaccole che non si consum ano. Conosciam o le navi che sol­
cano i m ari senza m arinai, guidate d a un solo uom o qualunque sia la loro grandez­
za, navi più veloci di quelle piene di rem atori. C onosciam o ponti costruiti senza pi­
lastri per poter attraversare i fium i, apparecchi per muoverci in fondo al m are o ai
fium i, vetture senza tiri e carri spinti da una forza straordinaria senza avere m otori

(32) Oh maladetto, oh abomino**« ordigno,


Che fabbricalo nel tartareo fondo
Fosti per man di Belzebù maligno,
Che minar per te disegnò il mondo,
All’inferno onde uscisti ti rassigno,
Così dicendo lo gittò in profondo..., Orlando fu rioso , LX, 91.

161
vivi. Conosciam o strumenti per volare, ali artificiali e congegni piccolissim i che ci
perm ettono di sollevare enormi pesi. C onosciam o l ’arte di scrivere c o lila velocità e
la brevità desiderata in caratteri occulti e quella di usare attraverso mezzi conve­
nienti la fo rza naturale del desiderio e della volontà sulla natura; infatti, come dice
Avicenna, “ prim o m otore è il pensiero, poi il desiderio che è conform e al pensiero e
infine la virtù delFanim a in coloro che obbediscono al desiderio e al pensiero. Tutto
ciò che è possibile per Fazione specifica delForganism o, è facilitato, fortificato
dalFintervento di una volontà energica o di un desiderio veemente e anche d a ll’effet-
to detta voce che li traduce quando la persona possiede purezza d ’anim o, santità,
forza e beltà” (33).
Del resto, a che serve la scienza, a che serve com andare alla natura se uno non
ha il buon senso e il dominio di se stesso? Le repubbliche occidentali, arrivate al
punto più alto dello sviluppo dei loro genio, rette da governi liberi, non hanno an co­
ra chiuso l'ep oca della guerra. M algrado le alleanze che spesso le hanno ravvicinate,
m algrado il voto della filosofia, le nazioni son o rimaste le une di fronte alle altre nel
cosidetto stato di n atura, stato che però non è di buon a e sana natura e di retta ra­
gione, dal mom ento che ogni nazione ricerca solo il proprio vantaggio particolare
che vede m olto volentieri nel danno degli altri, dai m om ento che conta solo sulla
forza per conservarsi e crede di potersi mantenere sicura solo cercando di assicurarsi
la suprem azia. È il contrario dello stato sociale, dove ognuno deve mantenere il suo
posto senza so p raffare gli altri, anche solo a parole, a considerare l'osservanza dei
diritti altrui come condizione e garanzia del mantenimento dei propri. Bisogna
emendare e correggere questo carattere im m orale del sentimento nazionale prim a
che i popoli siano capaci di fondare un'istituzione federale che com porti resisten za
di un tribunale universale delle vertenze nazionali, di un tribunale capace di obbliga­
re a ll’attuazione delle sue sentenze.
Di fronte a questo fine morale degli Stati europei si innalzano ostacoli che
l'antica Grecia non ha conosciuto quando le si pose il problem a di una federazio­
ne capace di perpetuare la sua indipendenza con grande vantaggio del m ondo
intero. 11 prim o ostacolo è nella diversità delle lingue. D opo la fine dell’im pero le
diverse nazioni non provarono più lo stesso interesse e non considerarono più
con lo stesso gusto lo studio del latino letterario o della lìngua parlata dalle classi
colte di ogni provincia. I dialetti volgari, che erano ovunque, anche in Italia, la lin­
gua popolare, prevalsero e divennero a loro volta lingue colte, m olto diverse
l’una d a ll’altra. A m aggior ragione, nelle regioni in cui il latino era penetrato di

(33) È inutile dire che il nostro autore mette qualche superstizione nel suo entusiasmo sottraendo qualcosa
ai meravigliosi annunci di Ruggero Bacone, al quale attribuisce, come sopra, tutto ciò che dice sul potere
delle scienze sperimentali. Questa citazione è presa qua c là dal trattai elio di Bacone De mirabili potestà-
te artis et naturae. Bacone» al suo tempo, di solito profetizzava, pur vantandosi di aver vista,, inteso o di
esser capace di fa r e ; le sue profezie non erano esenti da esagerazioni ridicole. L’autore di Ucronia prende
le profezie di Bacone e le usa per narrare ciò che la scienza umana avrebbe veramente compiuto nell’ipo­
tesi in cui si pone.

162
meno, ripresero il sopravvento le lingue parlate prim a della conquista rom ana. Il
latino, e soprattutto, il greco, lingua dei primi im m ortali poeti, continuarono ad
essere parte im portante di ogni educazione raffin ata e a servire come strumento
di comunicazione fra gli studiosi delle diverse nazioni, m a andarono persi sia il
sentimento che ì vantaggi comuni e popolari di un ’unica lingua; il sentimento
d e lf unità europea ebbe un serio scacco.
Un altro fatto indebolì questo sentimento: il nuovo vigore delle differenze
razziali che Pimpero rom ano aveva contenuto e che rinascevano dopo aver rice­
vuto senza dubbi vantaggi e danni, ma anche la conoscenza della vita civile (34).
Avendo le nazioni lo stesso Fine ultimo e la stessa cultura, concetti razionali e il
sentimento della libertà, che rappresenta gli attributi essenziali della civiltà, la d if­
ferenza di nascita e di linguaggio .avrebbe dovuto rafforzare ancor di più la pro­
fonda unità um ana costituita dalla ragione e dalla giustizia. M a questo m otivo fu
sentito solo in determinati momenti, in opposizione a popoli realmente estranei,
estranei per idee e costum i, quindi, a nostro m odo dì vedere, non associabili, ver­
so i quali era nutrito un sentimento ostile. A parte ciò, si svilupparono liberamen­
te odi nazionali a causa di interessi contrastanti, fittizi o reali, e qualche volta an ­
che a causa di dissidenze religiose, come è stato riferito a proposito della G allia,
le guerre per il controllo dei commerci devastarono il m ondo intero soltanto un
secolo dopo le crociate che avevano fatto risaltare con tanto rilievo l’unità
dell’E u ropa per il solo fatto che tutto l’Oriente cristiano e m usulm ano unito tenta­
va l ’im presa contro le repubbliche occidentali.
In fondo il vero principio della guerra è interno agli Stati in m isura tanto m ag­
giore, quanto minori sono ì motivi di guerra all’ esterno e nei rapporti reciproci. B i­
sogna dunque risalire alla politica interna, alla vita sociale, alle istituzioni econom i­
che, al m odo in cui si comprende e si governa la cosa pubblica per rendersi conto del
permanere di un sentimento di odio fra popoli di costum i m olto sìmili, la cui unione
rappresenta tutto som m ato, il loro interesse più alto. Finché l ’ Italia e le nazioni so­
relle avevano mantenuto le stesse condizioni dell’antichità per il comm ercio e i lavo­
ri serviti, se si eccettua il fatto che la schiavitù era stata abolita, finché la lotta fra le
classi, fatto norm ale nelle repubbliche occidentali, era concentrata fra le"famiglie
degli antichi proprietari e quelle degli enfiteuti o liberti, più o meno legati da un resi­
duo di schiavitù in virtù della legge, m a più ancora in virtù delle usanze, finché durò
il periodo della trasform azione m ateriale della società, i nobili, le persone di razza e
di raffin ata educazione, mantenevano la m aggior parte delle cariche pubbliche,
mentre i membri della nuova classe plebea che giungevano agli onori e al potere rap ­
presentavano le stesse idee generali dei loro antichi padroni, con qualche eccezione
per gli interessi oligarchici che ci si aspettava com battessero. Queste idee risalivano

(34) Naturalmente Pautore ignora, come del resto ignoravano e ignorano ancora le stesse nazioni, Punita
della razza ariana, in cui diversi rami hanno popolalo quasi tutta l’Europa: Greci, Latini, Celti, Germani
e Slavi.

163
alle teorie suH’amm inistrazione e sul bene pubblico della scuola stoica che aveva
ispirato le grandi riform e e introdotto ovunque il suo spirito, nelle istituzioni civili e
militari e neirinsegnam ento pubblico. Sui problem i della guerra e della pace, e su
quelli paralleli dell’ozio e del lavoro, gli stoici e i cinici, da cui le teorie stoiche ave­
vano preso le m osse senza svisarne completamente il pensiero a questo proposito,
erano lontani dal condividere le passioni violente di tanti antichi patrioti greci o ro­
m ani: non pensavano che la funzione più nobile delPuom o fosse dare la caccia allo
straniero o vivere di preda. A bbiam o visto la politica del lasciar correre che ad o tta­
rono contro POriente. Q uando le provincie occidentali dichiararono la propria indi-
pendenza, accettarono questa necessità, anche se fino a quel momento avevano
m antenuto l ’ ideale della p a x rom ana e d ell’unità am m inistrativa delPOccidente.
D opo la rottura si trovarono costretti dalle circostanze a favorire relazioni pacifiche
fra gli Stati divisi. Furono protagonisti delle alleanze e dei tentativi di federazione.
Tuttavia dalle antiche tradizioni veniva u n ’abitudine inveterata, giustificata
dalPesperienza, a ritenere che due popoli vicini potessero solo assoggettarsi a vicen­
da, in un senso o in un altro, e per il solo fatto che le nazioni erano separate tutti
pensavano che potessero solo danneggiarsi; così ogni nazione lavorava a questo fine
finché non si vedeva un nemico comune che prem eva.
L a norm a di condotta, che gli stoici avevano posto nei governo e nei costumi
pubblici, non andò oltre la trasform azione definitiva del lavoro e della proprietà,
cioè oltre la form azione di nuove classi sociali. D opo il secolo delle crociate, dopo
quello del grande sviluppo commerciale e delle scoperte, la situazione delle città e
delle cam pagne divenne completamente diversa: qui la proprietà privata, anche se
fortemente oberata dì debiti, era libera da vincoli servili e le dipendenze personali,
almeno per legge, erano abolite; là operavano forti corporazioni professionali che
tenevano il lavoro in una considerazione fino a quel m om ento sconosciuta, e che in
diversi luoghi erano capaci di bilanciare o dom inare tutte le altre influenze sociali.
Nello stesso tem po, grazie al comm ercio e ad alcuni m onopoli, crebbe un nuovo ge­
nere di nobiltà, basato sulla fortuna, che arrivò a possedere interi territori, a dispor­
re di una autorità attraverso vasti patrocini, attraverso il numero dei fittavoli e dei
salariati a sua disposizione, attraverso la m assa dei debitori e che, attraverso clienti
letterati, esercitava un altro tipo di influenza suU’opinione pubblica. U na parte di
questi nobili, come succede sempre, ostentava un attaccam ento agli interessi p o p o ­
lari, mentre altri m iravano apertam ente a costituire una classe privilegiata, u n ’oli­
garchia (35). II potere che si disputavano era quasi sempre nelle mani degli uni o degli

(35) L'autore parla al presente in maniera decìsa dopo aver in più di una occasione parlato come se gli av­
venimenti venissero avvicinandosi a lui e al suo tempo. È arrivato, è vero, al XVI secolo, ma, secondo il
suo modo di contare, al XVI secolo delle Olimpiadi. Si trasporta nel tempo e si Finge vivo otto secoli pri­
ma. De! resto, dopo tante invenzioni, non fa proprio delle profezie; non spinge la storia fittizia oltre il
presumibile, secondo l'esperienza della natura umana. La sua moderazione è lodevole. Il quadro che pre­
senta rassomiglia abbastanza allo stato dei comuni medievali, almeno sotto Taspetto politico e sociale;

16 4
altri, o dei loro uomini c quelli più popolari erano anche i più pericolosi per le istitu­
zioni repubblicane, che corrono pericoli m olto gravi, quando pesanti misure sulle
tasse e sui debiti infiam m ano gli anim i, facendo sperare al popolo una ripartizione
delle cariche pubbliche che tenda al livellamento delle fortune c a far temere ai ricchi
un regime nel quale i loro Figli siano costretti a lavorare per vivere, in più di una o c ­
casione questi problem i, nelle repubbliche occidentali, come un tempo in G recia,
hanno favorito il sorgere di un usurpatore, che una classe spinge al potere nella spe­
ranza di trovare in lui uno strum ento di conquista, di garanzia o di vendetta contro
l ’altra classe. Da ciò derivano le peripezie, che si sono ripetute in più sensi, che rap ­
presenterebbero la rovina definitiva delle libere istituzioni, se qualche im portante in­
fluenza religiosa agisse in tal senso o anche se la guerra mettesse fine all’ equilibrio
attuale e alle reciproche azioni m orali degli Stati. In questo m odo chi, da questi av­
venimenti, riuscisse a avere la suprem azia m ilitare perdendo necessariam ente la li­
bertà nel m om ento in cui viene annientando quella degli altri, aprirebbe la via alla
m onarchia universale in Europa.
La guerra presenta dunque questo estremo pericolo oltre i flagelli che la con­
traddistinguono, la distruzione, Pimpoverim ento da cui è accom pagnata e ie p assio ­
ni di rapina di cui è, di volta in volta, effetto e causa. E come potrebbe scom parire la
guerra finché tali passioni sono tanta parte della vita? L a conquista del nuovo m on­
do da parte delle nazioni europee, le rivalità e le lotte sanguinose che ne sono segui­
te, hanno riportato indietro la volontà di pace; le idee di una confederazione, che
per un certo m om ento erano m olto d iffu se, hanno subito una sorta di eclissi. Indi-
pendentemente dalle circostanze bisogna riconoscere che la guerra di interessi fra le
classi, la tendenza dei ricchi a costituirsi privilegi e m onopoli per vivere nell’ozio o
esercitare ingiusti poteri sui loro concittadini, la tendenza dei poveri a chiedere giu­
stizia alla cieca violenza, sono una ben triste preparazione mentale alla pace fra i p o ­
poli. È naturale, è inevitabile che, se alcuni uomini lottano per la ricchezza, per il
potere, per la prepotenza personale nel corpo politico di cui sono m em bri, questi
stessi uom ini, non appena arrivino in un m odo o neH’altro a rappresentare, cp fronte
agli altri Stati, le unità nazionali, abbiano solo l’idea e la volontà di lottare, nel con­
fronto fra le nazioni, per gli stessi obiettivi ingigantiti, con mezzi uguali o peggiori,
Secondo l’opinione com une, sono privi di quegli scrupoli che nella vita privata li po­
trebbero ferm are. Se ogni nazione vuole essere la prim a, la più grande, il tutto, se
per il dom inio è pronta a commettere ogni crimine, nessuna considerazione di ordi­
ne si fa luce. Solo l’im potenza e la p au ra, di solito, sono l ’ostacolo a tali crimini;
l ’anarchia dei popoli è fatale alla loro sicurezza e al loro benessere, anche se non lo
si pensa, quanto l ’ anarchia, tem uta dai cittadini, è fatale alla loro felicità e alla loro

sono stati solo ingranditi, raffigurati in maniera singolarmente emancipata per quanto concerne il proble­
ma religioso e progredita nel campo delle scienze e delle lettere. Se oggi avessimo raggiunto un tal punto
di civiltà potremmo riesumare l’ipotesj di Vcronia dicendo che fa guadagnare mille anni alla storia. Ma
non ¡’abbiamo raggiunto.

165
tranquillità. #
Le guerre di religione, del resto, sono finite. H anno portato la tolleranza uni­
versale, non quella banale frutto delPindifferenza, m a il rispetto sincero e profon do
della coscienza. Il cristianesim o, rientrando in Occidente, ha perduto il suo fan ati­
smo e il costum e delle scomuniche. L a G erm ania stessa e una parte dell'Oriente m e­
diterraneo arrivarono, sotto l’influenza del pensiero greco e latino che è sem pre più
libero, a eliminare dalle loro credenze la superstizione dei miracoli e la m agia dei sa ­
cramenti, a costruire una fede più vera, sottoposta alle condizioni della ragione.
Questa religione, così purificata, ha il m erito, che non sicpuò più m isconoscere, di
toccare i cuori in un m odo m olto particolare e di mettere gli uomini in condizioni di
am arsi, dal momento che non li porta più ad odiarsi.
Le guerre commerciali sono finite, o sem brano esserlo, d opo aver dim ostrato la
loro im potenza a creare un unico m onopolio che assecondasse l ’avarizia di ogni n a­
zione e dopo che le diverse nazioni hanno dovuto accontentarsi della propria parte
di sfruttam enti coloniali, o dei profitti sicuri che il commercio reciproco permette
loro. Le guerre nazionali, guerre per la suprem azia, dovranno terminare a loro volta
di fronte a una giusta concezione del governo a ll’interno degli Stati e delle relazioni
fra gli stessi. Si tratta dell’introduzione della libertà e della m oralità nel concetto di
Stato. Il lavoro viene onorato sempre più come la più nobile delle attività um ane e le
pubbliche am m inistrazioni vengono considerate, forse non troppo spesso dai gover­
ni, m a certo alm eno dai filosofi che danno la definizione di diritto um ano, come un
lavoro di interesse comune, diretto da idee com uni, ispirato da sentimenti comuni,
a ffid ato a rappresentanti e com piuto onestam ente. A llora come c possibile non arri­
vare anche alla concezione di un comune ordine delle società europee che si propon­
gono tutte lo stesso fine, nella costruzione del quale è necessario o aiutarsi, o dan ­
neggiarsi vicendevolmente? Le società non sono palesemente chiam ate ad associarsi
come le persone se, come le persone, riconoscono una m edesim a giustizia al di sopra
di tutte le giustizie particolari, che detti i doveri, che stipuli i diritti che amministri i
beni di interesse comune, il cui uso non è dato esclusivamente a nessuna in particola­
re? Questo m odo di considerare la società è il solo che permetta una netta distinzio­
ne fra la civiltà europea e gli Stati asiatici che, come legge um ana, conoscono solo
l’astuzia e la violenza e, come legge divina, conoscono solo [’annullamento volonta­
rio, divenuto da allora unica salvezza.
AH’interno di un medesim o Stato si n ota una estrem a diversità di atteggiam en­
ti, di caratteri e di lavori; si notano gravi e inconciliabili divergenze di interessi e di
dottrine, rivalità che portano allo sviluppo delle passioni più eversive. Questi o sta­
coli al consolidam ento di un ordine sociale, che non fosse fondato sul terrore, non
hanno a ffa tto im pedito di istituire il regno della legge. L a legge rende uguali, garan ­
tisce e protegge, permette, proibisce, reprime, ha tribunali per applicare le sue pre­
scrizioni e una forza arm ata per applicarne le sentenze. Ugualm ente, se si considera
il problem a in se stesso, si nota che nulla si oppone a che la giustizia, la legge, i giu ­
dizi e i mezzi di costrizione si arm onizzino, superando le frontiere degli Stati, in tut­
ta la m ateria che esige un regolam ento comune, facciano astrazione da alcune d iffe ­
renze, ne concordino altre e pongano rim edio, volontariamente o con la costrizione,

166
alle deviazioni che assum ono un carattere crim inale. Si tratta solo di volere tutto
questo e, per arrivare a tale volontà, è sufficiente sentirsi uomini che hanno la stessa
coscienza e la stessa ragione, e unirsi dom inando le proprie legislazioni particolari
d a ira lto d eirid e a della legge generale che ognuna di esse presuppone. Se il cercare di
federare più società presenta m aggiori difficoltà rispetto alla semplice costruzione di
un ordine sociale, lo si deve solo alla distanza che separa il concetto deb o rd in e g iu ­
ridico tipico di un gruppo di tribù naturalmente associate, dallo stesso concetto di
gruppi naturali più difficilm ente definibili, dì un gruppo più vasto e più dissem ina­
to, il cui obbligo a vivere in pace è meno evidente, m a non meno razionale e meno
m orale. G ran parte di questa distanza è stata superata quando si sono form ati i
grandi Stati m oderni, dove lo stesso ordine giuridico si estende su una serie di meri­
diani e governa, per loro spontanea volontà, popolazioni diverse, che hanno interes­
si opposti e spesso sono trascinate da passioni contrastanti. Questo fine sarà più vi­
cino quando, in tutte le repubbliche, i cittadini che hanno buone intenzioni e i lavo­
ratori dei diversi cam pi deirattività fisica e mentale, non più abituati a cercare la
norm a dei loro desideri e delle possibilità offerte dalle relazioni reciproche fra i p o ­
poli, dalle am m inistrazioni che cercano di evitare ogni m iglioram ento, dalle diplo­
m azie il cui com pito è il predisporre insidie ed evitarle e il cui destino solitamente è
di cadervi, guarderanno gli uni verso gli altri al di sopra delle frontiere, avranno co­
scienza che i loro reciproci doveri derivano semplicemente dal sentimento m orale e
che il loro unico interesse è la pace. Le associazioni spontanee e libere di chi lavora
in m aniera onesta e assidua e con buona volontà, indipendenti dagli Stati, saranno
infine i mezzi per im porre agli stessi Stati la federazione, quando esse saranno abba­
stanza num erose e concordi. M a gli Stati, nella loro tradizione, sono inclini alla
menzogna e alla diffidenza, a credere solo alla forza, a im porla quan do non la subi­
scono.
M a, d op o tutto, i governi sono solo em anazioni dei popoli, sono i ritratti di cui
i popoli m oltiplicano gli originali. Due nazioni, capaci di preparare fra di loro un le­
gam e federativo attraverso un'azione indipendente dai governi, saranno anemie ca­
paci di darsi dei governi disposti a federarsi. Condizione unica per il successo di tale
idea è. in definitiva, la forza della ragione, il sentimento della giustizia e del suo ca­
rattere obbligatorio, universale, che non sopporta nessuna restrizione, che m an m a­
no si estende fra gli uomini e p assa sopra le circoscrizioni piccole o grandi che li rac­
chiudono. D a molti segni sembrerebbe che, sedici secoli dopo la nascita delle arti,
delle scienze e della filosofia in Grecia e in Italia si annunci il gran giorno, il giorno
della pace reale, della pace dei cuori. Com e sarebbero stati diversi i destini se la con­
versione deirO ccidente ai costumi orientali, affrettata per un m om ento dai Cesari,
non fosse stata ferm ata dalle forti decisioni di quegli uomini che ricostruirono i fon­
damenti dello Stato, richiam arono in vita ciò che i buoni avevano sempre pensato e
riplasm arono l’anim a del popolo! Senza aver reso la proprietà ai piccoli, senza aver
ridato onore alla libera cultura, lo spopolam ento avrebbe seguito il suo corso e la
schiavitù sì sarebbe perpetuata, la follia cesariana sarebbe nuovamente successa alla
saggezza antonina e la bassezza popolare avrebbe risposto per sempre alla follia dei
principi. II servizio militare sarebbe p assato dai cittadini ai barbari che da servitori

167
di R om a ne sarebbero divenuti i padroni. Dal m om ento che nessun^ educazione
pubblica sosteneva l’antica civiltà, l’ignoranza avrebbe portato l ’ob lìoiiella schiavi­
tù; dal m om ento che una religione ostile al vero regime conquistava i cuori, avrebbe
fatto loro perdere l’interesse per la scienza e la libertà. Gli uomini avrebbero rivolto
i loro pensieri a una teologia m istica o strana e i loro gusti a ricevere dei sacram enti e
a discuterne. L a teocrazia si sarebbe radicata nelle credenze, mentre il potere, sosti­
tuito alle antiche m agistrature, sarebbe stato preda dei m aggiori criminali che cor­
rom pevano il m ondo con lo spettacolo di tutti i vizi e di tutte le vergogne.
L ’im pero non sarebbe potuto durare in queste condizioni, la presenza dei bar­
bari ne avrebbe determinato la caduta e la dissoluzione dei legami civili avrebbe se­
guito l ’invasione della barbarie. Le società sarebbero tornate alla loro origine. M o­
naci e capiban da arm ati sarebbero rim asti i soli a disputarsene i resti. E forse ancor
oggi, dopo mille rivolgimenti, avrem m o come sola consolazione e speranza la m ora­
le del sacrificio, il culto del Dio che soffre e il sogno dell’A ssoluto. Il trionfo del Be­
ne non verrà dalla dedizione, dal sacrificio, parole vane che spesso nascondono ap a­
tia e debolezza delPanim o, o le sue illusioni, o anche l’egoism o e l’adorazione di se
stesso: il trionfo del Bene verrà dalla G iustizia e dalla R agione. Non è una teoria
dell’ Infinito, parolaia e vuota, che può afferm are la verità per le generazioni future,
m a la dottrina delPArm onia, delle relazioni perfette compiute in un ordine finito.
Non è una grazia che viene d all’alto, il dono di uno soltanto, né il merito di una sola
persona che ci dà la salvezza sulla terra I veri redentori dei propri fratelli sono stati
quegli uomini di retta ragione e di gran cuore che in ogni epoca hanno guidato gli
spiriti. Fra tutti, essi tracciano il ritratto di u n ’um anità alla ricerca del Bene, traccia­
no le linee della sua incessante fuga dai legami del male e della ricerca della perfezio­
ne. Nostro compito è continuare il loro lavoro e portare nuova lin fa, secondo le no­
stre capacità, all’opera di liberazione comune. C erto, proveremo un sentimento di
impotenza dovendo il nostro sforzo personale costruire un movimento che nascerà
soltanto d all’unione di popoli diversi e di generazioni successive. M a, per quanto
forte p ossa essere il sentimento della tua im potenza, non scoraggiarti, uom o! L a tu a
idea ti innalzerà e, anche nell’isolam ento totale, in fondo a una prigione, quando
senti accanto la m orte, la tua speranza ti sosterrà!
Sphaeram spera.
Attendi l’arm onia.

168
Seconda parte delFAppendice
Nota finale del figlio
Secóndo depositario del manoscritto
(scritta in Olanda attorno ai 1658)

Ho scritto le pagine precedenti (1) subito dopo la morte del mio amato padre, che soprav­
venne poco dopo il racconto della sua vita e dei suoi pensieri, che avete appena letto. Prima di
rendere Tultimo respiro, vedendo come il mio animo era cambiato per le sue esortazioni e co­
me erano cambiati tutti i miei giudizi a causa delle sue lezioni, mi impose di trasmetterne un
giorno La conoscenza ai figli che, secondo il suo pensiero, avrei avuto. Cosi promisi a mio pa­
dre di conservare fedelmente Ucronia e di lasciarlo in eredità ai miei discendenti. La lettura di
questo libro completò la mia guarigione c la mia nuova personalità, anche in confronto agli
spiriti più liberi del tempo. In esso appresi che la costruzione politica della religione cristiana
in Occidente, essendo un fatto contingente che dipende dalla disposizione delle libere volontà
umane, avrebbe potuto non prodursi. Facendo questa strana supposizione applicavo la mia
mente a uno svolgimento possibile dei fatti fra tutti quelle che si potevano immaginare. I secoli
futuri, se ci saranno» quando la fede di Cristo e tutti i santi misteri saranno tenuti fuori dall’as­
setto e dalle norme della repubblica, mi apparvero come secoli presenti. Cosi mi innalzai al di
sopra della contingenza del presente attraverso Timmaginazione di ciò che avrebbe potuto av­
verarsi.
Il libro che a vostra volta leggerete, figli miei, spero sia per voi conforto segreto nelle pro­
ve alle quali tutti siamo sottoposti dall’ardente rivalità delle religioni che cercano d i s t r u g ­
gersi a vicenda e di dominare lo Stato per imporsi così ai sudditi a viva forza. Non posso ac­
compagnare il dono che vi trasmetto con una raccomandazione che sia più forte del ricordo
indebolito di quello che mi insegnò mio padre. Tuttavia voglio aggiungere, da parte mia, una
cosa che potrebbe fare il più modesto cronista. Il presente, di cui vi parlavo, secondo Ucronia
deve essere considerato come conseguenza di quanto è successo prima; si risale cosi il corso dei
tempi fino al punto in cui il racconto entra nella finzione supponendo che certe grandi risolu­
zioni siano state prese dagli Antonini. Voglio dunque fare il riassunto di tutta la successione
dei fatti reali, affinché possiate completare la vostra istruzione, come ho fatto io, nel confron­
to fra ciò che sarebbe potuto accadere e ciò che effettivamente è stato.
IL senatore Cassio non ha affatto scritto all’imperatore Marco Aurelio la famosa Lettera
che segna in Ucronia l’inizio di un nuovo corso delle cose. O almeno Marco Aurelio non l’ha

(!) Cf. la prima parte, che abbiamo staccato per usarla da prefazione.

169
ricevuta. Il generale, vecchio stoico, è stato assassinato dal suo esercito. Marco'Aurelio, l’uomo
della rassegnazione stoica, non ha deciso di dare avvio alla riforma dell’impero, di ricostituire
attraverso leggi le piccole eredità, di riportare l’amore al lavoro, di ridurre ogni religione al
suo àmbito e fissarne gli obblighi civili e, infine, di porre un nuovo fondamento alla repubbli­
ca attraverso l’educazione pubblica, come hanno fatto tutti gli antichi legislatori e tutti i filo­
sofi hanno considerato necessario. Quest’imperatore non ha nemmeno attuato il sacro dove­
re, che gli veniva dall’ esempio dei predecessori, di lasciare in eredità l’amministrazione del
mondo alla persona più degna.
Marco Aurelio, ritornato dalla spedizione contro Cassio, ha celebrato il trionfo a Roma
insieme a Com m odà im peratore: Commodo non ha regnato in seguito a una rivolta che dove­
va produrre un’altra rivolta, come si legge in Ucronia; il suo regno è venuto senza sommosse,
come successione di quello del padre e deroga al costume delle adozioni voluto dagli Antonini.
Non è stato costretto a appagare sui cristiani le sue passioni crudeli: al contrario li ha protetti
per intercessione di Flavia, la sua amante, e si è fatto iniziare ai misteri egizi, cosa che gli uo­
mini di Stato romani hanno sempre respinto. Ha fatto morire tutti i senatori di animo libero e
virtuoso di cui aveva paura. Materno, il capo degli schiavi, è stato preso e ucciso in un’impresa
temeraria. Commodo, dopo un regno tanto orribile, è caduto sotto i colpì dei suoi familiari e
Pertinace, eletto dai pretoriani, è stato assassinato dopo appena tre mesi dai suoi elettori dei
quali non difendeva gii interessi.
in quel momento è stato offerto al mondo rom bile spettacolo di un impero messo
all’asta. Colui che l’aveva comprato dai pretoriani fu subito decapitato per l’avvicinarsi di ge­
nerali scontenti e fece cosi posto a quello dei tre generali che era più accorto e che aveva le
truppe migliori. Di questi tre generali, gli stessi di Ucronia, il pretendente orientale, come al
solito, fu battuto; quello appoggiato dal senato, che pensava alla costituzione repubblicana,
non fu sostenuto dagli interessi e dalle passioni sollevate nell’Italia e nelle provincie dalle rifor­
me di Ucronia e fu vinto. Il vincitore, Settimio Severo, licenziò i pretoriani solo per ricostituir­
li. Elevò Commodo al rango di dio, nonostante la memoria esecrata e la proscrizione degli uo­
mini dabbene che questo gladiatore porporato aveva condotto a causa della sua follia. Setti­
mio Severo invece compì tali atti con la fredda scelleratezza di un principe abilissimo. Quaran-
tun famìglie senatorie, i loro capi, le donne, i bambini, i clienti, furono sterminate. La politica
imperiale estese anche alla Gallia e alla Spagna questo sistema di epurazione alla rovescia, il
cui risultato sembrava definito ma che fu necessario applicare nuovamente sotto parecchi re­
gni, tanto era difficile annientare i semi dell’antica libertà romana che rinascevano sempre in
qualche luogo e che, nel tentativo di completarne la corruzione, venivano considerati comple­
tamente corrotti. In quel momento la sorte dell’impero fu decisa. Settimio Severo fu il primo
imperatore che, completamente conquistato dagli usi e dai modi di pensare tipici dell’Oriente,
tentò con tutte le sue forze di comporre un ordinamento orientale dell’impero romano. Que­
sto fu solo un primo gradino; il secondo fu di Diocleziano e il terzo di Costantino. Teodosio
avrebbe fatto il quarto se, dopo di lui, ci fosse rimasto ancora qualcosa dell’impero.
Sono entrato completamente nella storia, non devo più immaginare nulla, devo seguire
soltanto i fatti considerandoli nella loro sommità. Settimio Severo era a suo modo, come
Marco Aurelio, uno che teneva ad adempiere bene alla sua carica; come lui voleva il figlio per
successore anche se questo, per fare prima, l’avesse assassinato. L ’associò all’impero e fu un
altro Commodo. Tralascio le mostruosità della vita dei prìncipi che una potenza incontrollata
faceva impazzire, guardo solo t’evolversi delle cose umane che resta uguale, sia sotto principi
bene accorti nella loro condotta che sotto altri insensati, mirando al proprio fine; così vedo,
sotto Caracalla, il senato e la città di Roma invasi dagli orientali, il corpo dei pretoriani, forte
di cinquantamila unità, reclutato tra i barbari essendo la gioventù italiana de! tutto esonerata

170
dal servizio militare e conservando nello stesso tempo il potere imperiale, che allora veniva
considerato come il promulgatore e l’attualore delle leggi, la sua essenza militare: cosi il detto
dell’antica Roma, cedant arm a togae, si rovesciò e i Romani vennero governati dalla spada
proprio nel momento in cui smisero di portarla. I giuristi, ammesso che fra di loro ci fossero
ancora degli onesti, si rassegnarono all’abdicazione del diritto politico e acconsentirono a ve­
dere nella giustizia solo uno dei servizi della monarchia, contenti di mantenere il controllo del
diritto civile.
1 costumi politici dell’Oriente dimostrarono di aver definitivamente conquistato l’impero
quando Caracalla fece sgozzare il fratello e coerede, quando Nacrino, prefetto del pretorio
assassinò Caracalla e ne divenne il successore, a sua volta assassinato quando i soldati procla­
marono imperatore, perché figlio di Caracalla, Elagabalo, sacerdote del Sole, che si diceva
marito di Astarte, la luna, che portava collane e si imbellettava. Dopo il suo assassinio fu ac­
clamato e poi massacrato il parente Alessandro Severo, più capace di Elagabalo, il quale,
prendendo sul serio il suo ruolo di imperatore, cercò di mantenere i militari all’ obbedienza; al­
lora essi spostarono la loro scelta sulle persone più brutali dell’esercito, che particolari qualità
fisiche raccomandavano. Succedeva a volte che fra i pretendenti dei diversi eserciti alcuni vin­
citori dimostrassero più zelo o facessero vedere qualche capacità nelfopporsi ai barbari sulle
frontiere dell’impero. Ce ne fu uno, fu l’ultimo, Tacito, uomo di valore e romano, che il sena­
to elesse su istanza delle truppe; ma sia gli uni che gli altri finirono sgozzati. In settanta fecero
questa fine; e in questo numero non è compresa la sere, uguale o più lunga, dei prìncipi di
passaggio, che gli annali chiamano tirannit che non lo furono più degli altri e il cui regno non
fu molto più corto. Il periodo che parte da Settimio Severo corrisponde in Ucronia a quello
della riforma di Albino e Pertinace, della grande opera di ricostruzione della repubblica sotto i
consoli a vita e i tribuni delle provincie. Ma, non avendo gli imperatori che potevano ancora
salvare la pace e la durata del dominio di Roma, attuato la riforma militare, quella agraria e
dell’istruzione pubblica, della saggia limitazione delle conquiste deirimpero e della partecipa­
zione al governo delle provincie, questo periodo fu solo il progresso di un’anarchia divenuta
alla fine irrimediabile. Da una parte gii imperatori continuarono, atteggiamento tipico di per­
sone innalzate solo dalla guerra e effetto della vanità dei principi e della loro ambizione, a cer­
care di portare più lontano le frontiere, invece di averne di solide e mantenerle più sicure;
esaurirono così le forze deii’impero in Oriente e nelle lotte contro ì Persiani, guerce ingrate
quando non furono funeste e con gran danno dei costumi e delle credenze pubbliche, alterate
e corrotte per sempre da tutta questa mescolanza di popoli. Dall’altra parte in Sicilia guerre
servili, in Gallia, e poi anche in Italia, guerre di contadini o bacaudae, ad Alessandria guerre di
religione, orribili sommosse popolari, dimostrarono che nessuna legge era stata fatta per porre
rimedio agli antichi mali c impedire ai nuovi di apparire. Il mondo si spopolava ogni giorno,
non essendoci alcuna sicurezza per la vita e per il lavoro; e quando il disgusto conquistò gli
animi, gli eremiti Paolo e Antonio istituirono il monacheSimo nella Tebaide d ’Egitto.
La famosa tetrarchia di Diocleziano: due Augusti e due Cesari, successori designati, non
fu una vera costituzione dell’impero, perché non pose rimedio alle competizioni dei familiari
né a quelle dei generali, e la distribuzione dei governi militari fra quattro prìncipi sembrò assi­
curare una difesa perpetua che alla fine divenne impotente contro aggressioni continuamente
rinnovate. Questa sistemazione politica, inoltre, mise in evidenza la decomposizione crescente
dello Stato con l’abbandono di Roma e il trasferimento della capitale a Milano e Nicomedia,
con la rovina del senato che restò abbandonato a se stesso per la lontananza degli imperatori e
anche per l’abbandono dei pretoriani che potevano ancora passare per corpi romani di fronte
alle scelte legioni di barbari con le quali furono sostituiti. Man mano che Roma si avviava a
tale decadenza, i cittadini acconsentivano a chiamare l’imperatore col nome che gli schiavi da­

171
vano al loro padrone »Dontinus. Parlavano a Diocleziano della sua sacra m aestà della sua divi­
nità , degli oracoli delta sua saggezza, ed egli* in un palazzo sorvegliato da eunuchi, col diade­
ma sulla fronte, con vesti di seta e oro e calzature costellate di pietre preziose, si offriva
all’adorazione dei sudditi prostrati di fronte a lui. Molte cose, credete, cambiarono in questi
usi perché gli imperatori non tardarono a dirsi cristiani e furono subito guardati come investi­
ti della potenza divina per sottomettere il mondo alle buona dottrine e ridurlo all’obbedienza
dei vescovi ortodossi. Prima l’apoteosi era loro concessa solo da morti, da vivi agivano come
semplici uomini. A quell’epoca diventarono il braccio secolare, il braccio di Dio stesso, pur­
ché ispirassero la loro volontà alla sede stessa del pensiero divino che il sacramento dell’ordine
ha posto nella testa di un vescovo, e non si ingannassero nella scelta dei veri e falsi pastori.
Da Diocleziano, che abdicò disgustato della sua opera, a Costantino, che regnò da solo,
passò solo una mezza generazione nella quale molti Augusti e Cesari, in lotta fra loro, produs­
sero tante catastrofi. Fra il primo e il secondo impero non ci fu nessuna differenza se si esclude
la risoluzione di un imperatore di rafforzare la sua autorità con quella di tutti i settari che i
suoi predecessori avevano più volte, invano, cercato di abbattere. Quest’uomo, descritto in
Ucronia come un’ambizioso ribelle, capo del partito perdente (grazie a circostanze create a
mantenute per un intero secolo dalla politica delle riforme), fu in realtà l'erede necessario del­
la politica delle dilazioni e degli inutili espedienti. Allargò il suo titolo di pontefice supremo di
Roma, ormai caduto in disuso e privo di qualsiasi funzione, pretendendo un più serio e effi­
cace potere: quello che per delega della Provvidenza lo incaricava di ridurre l’universo a
un’unica fede, che dichiarò essere la sola vera. Non rinunciò a fare l’apoteosi del padre, Co­
stanzo, secondo i riti dell’antica religione e diede l’esempio ai popoli soggetti santificandosi
con le cerimonie della nuova religione che, per mezzo di un battesimo abilmente differito fino
alla morte, lo assolse, per azione mistica, da tutti i crimini che aveva commesso. Infatti questa
nuova fede, che non aveva nulla a che fare con la vita onesta se si escludono le parole e le pre­
diche, non era riuscita a impedire a questo grande catecumeno di assassinare la moglie, il figlio
e il nipote se, mettere a morte delle persone senza che sia pronunciata alcuna condanna, signifi­
ca assassinare. Manifestò il suo cristianesimo oltre che nel gran zelo che lo portò a promulgare
l’editto sulla dottrina della fede unica e cattolica di cui parlerò fra poco, nel l’abolire il suppli­
zio della croce e gli infami combattimenti fra gladiatori che erano stati tanto rimproverati alla
nobile antichità, anche se non appartenevano a lei, ma solo alla sua decadenza. Ma poiché in
questa riforma obbediva solo alla comune aspettativa che nell'umanità aveva il motivo mino­
re, non smise di abbandonare i prigionieri in preda alle fiere nelPanfiteatro e di promulgare,
a proposito del matrimonio, del rapimento e dei figli naturali leggi atroci di proscrizione e di
supplizi che fanno fremere la più semplice e mondana carità.
Il grande problema di quei tempi era decidere a ogni costo e imporre la fede invece di ri­
cercare ciò che per l’uomo è bene e saggio volere e fare. L ’imperatore Costantino accettò la
missione di costringere gli uomini a credere in maniera corretta rendendosi strumento del cam­
biamento in ingiusto dominio di ciò che prima era sembrano solo rivendicazione di una giusta
libertà, almeno a chi non voleva osservare o prevedere gli effetti del fanatismo in persone to­
talmente convinte della superiorità delle loro coscienze su quella del resto del mondo, piene di
disprezzo per il diritto del prossimo di pensare diversamente. Rovesciare gli idoli, cioè la fede
altrui, con lo zelo del cittadino privato nel I secolo o con un decreto legislativo nel IV era la
stessa cosa, salvo il fatto che in quest’ultimo caso fu la forza pubblica a far sua la violenza.
Spesso i martiri furono solo nei fatti dei persecutori e nel pensiero dei perseguitati. Costantino
mise ordine in questo stato di cose facendo passare tutta la forza dalla loro parte. Non perse­
guitò subito gli antichi culti delle città, coloro che adoravano gli antichi dei, perché il sovrano
non deve mai urtare le abitudini dei popoli, e fu necessario apsettare circa mezzo secolo prima

172
di proibirle con sicurezza e definitivamente. Costantino mostrò volontà e abilità nel ricercare
l’unità delle fedi nell’ambito della religione che aveva deciso di professare. Dopo aver fatto
stabilire il canone dell’unità dottrinale dai vescovi riuniti a Nicea, ordinò ai governatori delle
provincie di mandare lontano dai fedeli “ i lupi rapaci travestiti da pecore, i falsi profeti dal
cuore corrotto” . Così consacrò la massima di iniquità e odio che da allora è sempre prevalsa,
secondo la quale gli errori di fede (dal momento che uno considera errore ciò che lui stesso
non pensa) sono frutto del vizio e effetto dalla corruzione del cuore. Questo imperatore iniziò
con lo scrivere la lettera riportata in Ucronia in cui faceva presente ai vescovi che sarebbe stato
più opportuno per tutti loro tacere su questioni di cui nessuno conosce Pessenza invece che di­
laniarsi per la smania di disputarne, ma, avendo poi visto che il silenzio, mezzo che i prìncipi
preferiscono sempre, era cosa difficile da ottenere, decise di dichiarare Punicità della fede che
doveva essere chiamata per sempre ortodossa e cattolica. Fece quindi scrivere una lettera, che i
suoi panegiristi hanno riportato, agli eretici, a quelli cioè che non si sottomettevano al simbolo
della fede comandata, nella quale pronunciava invettive contro questi ribelli chiamandoli nel­
lo stile ecclesiastico, “ nemici delia verità e della vita, oppressori ddl’innocenza, perpetratori
di crimini enormi che uccidono Panima, corruttori, col solo pensiero, della purezza della
fede” . Li avrebbe qualificati meglio e più sinceramente criminali di Stato per avere Paudacia
di diffondere opinioni diverse da quelle del principe; infatti aveva stabilito che i corruttori
peggiori erano quelli che davano all’anima un nutrimento diverso da quello raccomandato dai
capi spirituali, approvato e al bisogno imposto da quelli temporali. Questi ultimi, sfortunata­
mente per la piena riuscita di un ordine tanto bello, si sono dimostrati a volte poco docili alle
loro guide e in difficoltà a scegliere quelle vere e autorizzate. Lo stesso Costantino ne fu un
esempio trovandosi in un imbarazzo maggiore di quanto avesse in un primo tempo pensato,
nello scegliere tra i più saggi e .pii vescovi ariani che seppero farsi ascoltare da lui e altri, loro
nemici, e altrettanto abili. 1 suoi successori provarono la stessa perplessità e più di una volta la
persecuzione andò da destra a sinistra e da sinistra a destra. Siccome negli affari umani alla fi­
ne bisogna che qualche parte abbia la meglio, si può sempre chiamare ortodossa Topinione
vincente, cattolica la dottrina che è universale solo nella speranza. È la grande e necessaria ri­
sorsa del sistema dell’unità e invariabilità della fede della Chiesa.
Non mi fermo su queste peripezie delle quali avete visto in Ucronia una storia estrema-
mente reale pur attraverso costruzioni immaginarie. Non c’è bisogno di sapere a quali eretici
l’imperatore Costantino indirizzava queste ingiurie, è sufficiente ricordare l’entrata nfil mon­
do di questa novità che viene imposta, il dogma, la proscrizione dell’errore in materie scono­
sciute o dubbie, Tinterdizione di tutti i nuovi culti, e subito dopo di quelli antichi, nella città e
anche della libertà di pensare quanto i preti non avrebbero detto. Era una dichiarazione di in­
fallibilità: i preti non lo negavano immaginando uno Spirito Santo che li illuminasse nelle as­
semblee che potevano far decretare come le sole valide e cattoliche. Chi li contraddiceva era
eretico, nemico dello Spirito Santo e degno per questo in eterna condanna con tutti gli effetti
temporali che si sarebbero potuti aggiungere. Costantino proibì loro di riunirsi in luoghi pub­
blici o privati; se avessero contravvenuto i suoi ordini gli oratòri e le case delle loro assemblee
sarebbero state confiscate e consegnate ai vescovi fedeli e autorizzati. Ordinò anche di confi­
scare e distruggere i loro libri e questo fatto segnò l’inizio delle ingerenze dell’autorità pubbli­
ca nel giudicare verità e menzogna sia nel campo fisico che in quello metafisico.
Sotto Costantino e i suoi immediati successori il potere dei vescovi arrivò molto presto a
bilanciare il potere civile che li investiva della verità divina. La cosa fu chiara quando gli impera­
tori che per un certo periodo appoggiarono l’eresia ariana, trovarono in un semplice vescovo,
il vescovo Atanasio, la cui ostinazione e il cui ardore, con l’appoggio dei monaci dell’Egitto
determinarono l’estensione reale del cattolicesimo, una resistenza alle persecuzioni tanto lun­

173
ga che alla fine risultò vittoriosa. Probabilmente l’imperatore Giuliano detto ^Apostata, an­
che se avesse avuto il tempo, che invece il suo genio intraprendente e le sue intenzioni di perse­
guire il bene di un impero materialmente mollo complesso non ebbero, non sarebbe mai arri­
vato a ridare ai pontefici divinità simboliche e agli aruspici il credito di cui disponevano presso
alcuni popoli milleottocento vescovi. D ’altra parte non era possibile ristabilire la repubblica
romana, il momento favorevole era ormai passato. Ne aveva preso il posto una repubblica del­
le religioni straniere che, malgrado gli sforzi degli amministratori e dei generali, avrebbe por­
tato alla rovina le istituzioni civili e a una nuova barbarie gli Stati.
I vescovi venivano eletti dal popolo, ma la cosa non durò e così l’autorità spirituale sotto la
quale ciascuno doveva piegarsi dipese ben presto solo dagli stessi sacerdoti. Dall’ordinazione
senza tener conto delle condizioni di rango o di nascita usci una generazione spirituale di preti
potenti come le caste dei maghi o i pontefici dell’Egitto.
II celibato era la loro condizione e dovette esserlo sempre più. Esenti dai doveri civili non
potevano essere giudicati per i loro delitti da alcun tribunale, eccetto quello dei loro pari, il che
significa che non erano sottoposti alla legge e fra loro formavano una gerarchia attraverso la
quale costituirono una repubblica indipendente neirimpero. Molto spesso divennero anche gli
arbitri che le parti sceglievano nelle contestazioni fra i cittadini poi, grazie al diritto di asilo
accordato ai luoghi santi, furono in grado di fermare l’azione dello Stato contro i criminali.
Erano proprietari inamovibili di beni fondiari la cui quantità si accresceva continuamente
in virtù del permesso accordato loro da un editto di Costantino che mantennero sempre, di ri­
cevere lasciti da privati affinché fossero per sempre incorporati nella Chiesa o nelle sue opere
temporali.
Infine, al privilegio di predicare, insegnare e determinare da soli tutte le verità del mondo
aggiungevano la funzione di censori, privati e pubblici, attraverso la confessione e la cattedra,
dispensando penitenze e scomunicando gli impenitenti fino al punto di interdire magistrati e
città intere. L ’infallibilità degli oracoli ecclesiastici, pronunciata secondo la formula dovuta,
suggellava tutti questi poteri che, si può dire, fossero senza limiti, poiché chi li esercitava, an­
che se veniva mantenuto più o meno forzatamente entro certi confini, si arrogava sempre il di­
ritto di decidere da solo quali fossero i confini giusti e legittimi.
Non continuo nella definizione dei punti del dominio ecclesiastico che, nel momento in
cui scrivo, hanno milletrecento anni e solo nell’ultimo secolo, se si può considerare passato, la
grande rivolta di molti popoli dell’Europa ne ha indebolito e rovinato qualcuno in diversi pae­
si. Solo ieri la pace stipulata in Westfalia ha messo fine alia terribile guerra di religione che è
chiamata l’ultima e forse non lo sarà, perché le ragioni degli stati cattolici continuano a sussi­
stere e determinano i progetti di principi potentissimi. I sacerdoti non hanno abbandonato
nessuna delle loro massime e dominano più che mai alcune nazioni anche per l’invenzione di
mezzi nuovi e molto efficaci. I prìncipi, che hanno abbandonato il progetto di conquistare il
mondo alla loro religione con le armi e di assoggettarlo ai preti, non hanno con questo perdu­
to la facoltà di riprendere un piano confuso questa volta dagli avvenimenti, né hanno perduto
l’autorità di imporre nei propri Stati un culto e una fede se o dal momento in cui lo vorranno.
Le regole del fanatismo, Timposizione di una fede, il confondere un delitto con la mancata
sottomissione della coscienza alla fantasia di un altro hanno formato negli animi una abitudi­
ne secolare, che potete vedere gli stessi protestanti perseguitarsi fra di loro, mentre chi vuole
esaminare liberamente ogni religione autorizzata non ha il coraggio di scoprirsi con nessuno.
E voi non avreste paura di mostrare a qualcuno i pensieri che scrivo solo per voi?
Voglio continuare, senza arrivare alla formazione o alla caduta degli Stati che nacquero
dalla grande rovina di Roma, per fare un quadro sommario degli attentati, delle persecuzioni,
delle guerre e dei massacri di cui sono pieni gli annali dei popoli da! momento in cui diventa

174
norma e costume che ciascun principe o privato cittadino usi il proprio potere e i propri mezzi
per obbligare gli altri a pensare come lui o ad attaccarlo e distruggerlo. Le persecuzioni comin­
ciarono dove si era sviluppata la nuova religione: nascevano dallo spirito dei suoi adepti, orga­
nizzati in sette diverse e nemiche. Costantino accrebbe e rese più forti queste sette con tutto il
peso del potere statale che esercitarono sia lui che i suoi figli e questi in maniera anche più
aspra, in favore della religione che avevano abbracciato e che non era sempre la stessa« Uno
di questi figli emanò un editto contro l’antica religione ordinando la chiusura dei templi e
proibendo i sacrifici. Le misure di rigore furono per un momento rinviate quando l’imperato-
re Giuliano emanò il suo editto di pacificazione religiosa e di tolleranza universale col quale
restituiva i beni a ogni setta, la libertà a ogni persona, le sedi ai vescovi che si erano esiliati a vi­
cenda. Ma la volontà di un uomo solo non poteva placare gli odi più che riformare i costumi e
ogni cosa ben presto riprese il suo corso fatale. Dal momento che nessuno riusciva a pensare
qualcosa al di fuori delle persecuzioni, anche Giuliano fu dichiarato persecutore della Chiesa,
perché aveva tentato di privarla del potere di perseguitare e di affidare l’educazione dei roma­
ni a persone diverse dai settari che se ne erano impadroniti per inculcare il fanatismo. Poco
dopo ì filosofi che avevano ispirato la politica di Giuliano e che avevano fatto richiamare i cat­
tolici e gli eretici dall*esilio divennero vittime dei furore di tutte le sette unite. Costretti a na­
scondersi, sterminati, obbligati al suicidio, furono inclusi, perché la condanna a morte fosse
più sicura, nel numero dei sospetti cultori delle cosiddette arti magiche, contro i quali, sotto i
regni di Valentiniano e di Valente, vi furono atroci persecuzioni, inquisizioni, torture e suppli­
zi che terrorizzarono numerose regioni dell’impero. Prima di questa epoca e in tutti i tempi i
magistrati avevano dovuto inferire contro miserabili, fanatici o mentitori, che ingannavano la
buona fede pubblica. Solo in questo periodo cominciarono le sanguinose e orride procedure
contro i pretesi fautori del demonio. Tale abominio ha poi infettato tutti gii animi, riempito di
orrore e crudeltà il mondo ed è servito di pretesto per rovinare uomini che per nobiltà d’animo
erano al di sopra del livello comune.
L ’ultimo editto che rese obbligatorio il cattolicesimo è di quel Teodosio che è stato raffi­
gurato ironicamente in Ucronia (ma l’ironia della storia, che l’ha soprannominato il grande, è
più crudele) come l’ultimo e sfortunato esempio di chi pretendeva l’impero in una repubblica
rigenerata. Sotto Teodosio finisce, coi giochi di Olimpia, l’era delle Olimpiadi che l’autore di
Ucronia ha considerato giustamente come l’era degli uomini liberi. L a divisione dell*impero
divenne definitiva, i costumi orientali conquistarono l’Occidente che si avviava alla ^caden ­
za. Gli eserciti di Teodosio erano eserciti di barbari che nel suo nome diventarono padroni di
tutto per i comandi che Teodosio affidò loro, per i soccorsi che da essi comprò e che lo misero
in loro balia, per i territori che occuparono e non abbandonarono più aspettando il momento
per invaderne altri. Generali, eunuchi o altri ufficiali di corte, vescovi; accampamenti di bar­
bari, palazzi dove sotto la protezione del cerimoniale orientale vivono principi sospesi fra ado­
razione e assassinio; città dove le dispute teologiche sono tumulti e i tumulti, massacri di ereti­
ci e ebrei; popoli in miseria non potendo seminare e raccogliere in pace né difendere contro
l’esattore i magri beni che la soldataglia lasciava loro; cittadini delle capitali nutriti nell’ozio
dal sudore delle campagne: questo era lo spettacolo del mondo greco e romano! Fu distrutto
l’ordine delle città terrene, di cui gli imperatori non erano più padroni, i tristi resti furono ab­
bandonati nelle mani di mercanti che promettevano la città del cielo e si incaricavano di obbli­
gare, se fosse stato necessario, i sudditi a credere a queste promesse, a pagarle e a non prestar
più Fede ad altra cosa/‘È nostro piacere e volontà — questo diventerà lo stile delle leggi — che
tutti i cittadini e i magistrati si astengano dalle cerimonie che la vera religione, la nostra, proi­
bisce; tutti coloro che contravverranno formalmente saranno condannati a morte, saranno
confiscati i terreni e le case contaminate dal falso culto e saranno comminate ammende per i

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complici e per chi non denuncia tali fatti” . In conformità a questo editto, rinj^pvato di fre­
quente, vennero distrutti i templi, spezzate le statue spogliato l’altare della vittoria a Roma e
perfino nelle provincie più lontane dell’Egitto; i nuovi sacerdoti ereditarono ovunque i beni di
quelli proscritti. E gli eretici applaudivano a tutto questo come i cattolici, secondo quanto vie­
ne affermato, e lo si può credere, da un dottore della nuova giurisprudenza della fede che, in
un periodo di poco successivo, insegna che gli increduli devono essere costretti a credere per il
loro vero bene e eterno vantaggio, e quanti fra costoro non sono ingrati non tarderanno a be­
nedire i loro persecutori; tale, secondo questo dottore, è la dottrina dei Vangeli. Essa è rivolta
contro gli eretici, che naturalmente sono quelli a cui manca la forza di farla valere contro gli
altri che ti chiamano eretici per poterli perseguitare.
Agli eretici Tedino proibiva di riunirsi e usurpare il sacro nome di Chiesa sotto pena di in­
correre nei castighi che Timperatore avrebbe inflitto loro come acconto sulla dannazione eter­
na. Teodosio volle interdire agli eunomiani di ereditare e far testamento, cosa che, aggiunta
ad altri segni di infamia, li colpiva di scomunica civile e li abbandonava alPingiustizia e
alPodio dei privati; ai manichei ordinò la morte; ai priscilliani la morte e le torture senza esen­
tare dai supplizi neanche le donne. Pene particolari e più dure furono prese contro i recidivi,
perché, se qualche eretico si fosse convertito per debolezza, il timore fosse per lui una catena
definitiva e lo obbligasse a sembrare un vero fedele. Da ogni parte apparvero inquisitori della
fede e delatori incoraggiati e ricompensati. Poi venivano le spedizioni belliche per il consolida­
mento della religione imperiale. L ’ariano Costanzo, figlio di Costantino, fu il primo a manda­
re una spedizione contro i novaziani della Paflagonia, a condannare i cattolici a ricevere per
forza i sacramenti dai vescovi ariani al seguito delle truppe, a rapire i bambini per amministra­
re loro il battesimo e a torturare le donne per la loro fermezza. Il cattolico Teodosio, a sua vol­
ta, seguito dal vescovo Gregorio, entrò coi suoi soldati nell’ariana Costantinopoli come in una
città occupata: seminò il terrore, confiscò, a vantaggio dei cattolici, i beni della Chiesa ariana
e restituì con le armi tutto POriente alla fede di Nicea. Del resto avrebbe potuto prendere il ti­
tolo di boia delle città; mandava infatti le sue legioni a decimare quelle che Pavevano offeso e i
soldati avevano da lui l’ordine di massacrare le popolazioni indifese. Cosi fece ad Antiochia e a
Tessalonica. Q uesf ultimo caso, dal momento che le persone sgozzate non erano eretici o
ebrei, o almeno non furono sgozzati come tali, rappresentò una mirabile occasione per il ve­
scovo di Milano di mostrare fin dove potesse arrivare la potenza del prete. Sottopose Pimpera-
tore a una pubblica penitenza, anche se mite, molto mite, come conveniva al capo di tanti sol­
dati, ma umiliante per la sacra maestà, se la cerimonia di una umile devozione non Pavesse sa­
puta volgere a gloria del penitente e dirigere all’utilità del principe.
Il fanatismo tn questo modo non si limitava a generare tumulti nelle città, casi da guerre
civili esecuzioni popolari come da parecchi secoli si vedevano ad Alessandria e in altre città
dell’Oriente e da qualche tempo si cominciava a vedere nella stessa Roma: ¡1 giorno in cui papa
Liberio fece le sua sottomissione alle autorità ariane e ottenne la sua reintegrazione nella sede
romana, i suoi seguaci colsero l’occasione per massacrare quelli dell’altro papa, Felice. La re­
ligione organizzò in tutti i membri dello Stato lo spirito di persecuzione e di odio: innanzitutto
nei vescovi che poterono imporre a ciascuno il culto di cui un tempo reclamavano solo la cap­
ziosa libertà; in secondo luogo nei principi dal momento che era accettato che i buoni doveva­
no essere il braccio secolare dei vescovi; in terzo luogo nella massa dei fedeli, una milizia di vo­
lontari guidata dalla milizia episcopale dei monaci, gli effetti dei cui santi eccessi, come un
tempo delle sommosse dei pretoriani, dovevano essere approvati da prìncipi. In questo modo
Teodosio, che lamentò il fatto che i sudditi avevano dimostrato la loro fede massacrando ebrei
e saccheggiando sinagoghe, avevano cioè usurpato la sua autorità, ebbe un solenne rimprove­
ro dal vescovo Ambrogio e si rassegnò a rimettere nelle mani dei cattolici i beni dì cui si erano

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impossessati indebitamente per zelo e senza alcun ordine.
L'impero religioso era così abbandonato alla violenza e quello del governo e delle leggi
poco dopo divenne uguale. Tutte le forze dello Stato infatti erano passate ai barbari che cac­
ciavano i governatori romani e poi si cacciavano a vicenda e si succedevano, fondavano e di­
struggevano regni più o meno cristiani, sottomettevano i popoli a esazioni riprese dagli impe­
ratori, consegnavano continuamente i servi a nuovi signori che li facevano passare dal sac­
cheggio alla difesa e dalla difesa al saccheggio, secondo i casi della guerra, finché tutto si dis­
solse e ogni uomo non conobbe più nulla al mondo al di là del castello e della chiesa; l’uno di­
venne padrone del suo corpo, l’altra della sua anima. Necessariamente passò molto tempo pri­
ma che gli Stati si ricostituissero, innalzandosi di nuovo dalla barbarie all’ordine civile perdu­
to. Tanto la politica imperiale e la politica ecclesiastica, legandosi Luna all’altra, hanno fatto
della pace romana e dell’impero d’Occidente. lo questo periodo l ’impero ¿ ’Oriente si trasci­
nava in preda agli intrighi di corte, a rivoluzioni di palazzo, a dispute teologiche, a invasioni di
orde straniere e a una profonda corruzione interna. Questo impero riusciva a volgere in barba­
rie anche la sua civiltà. Non avendo alcuna virtù nella religione, sapientemente puerile, nel go­
verno, nei costumi, che lo rendesse capace di dominare e influire sui popoli che lo guardano a
levante, era destinato a assistere, senza potenzisi opporre, all’invasione delPislamismo, a quel­
la rivoluzione della fede semplificala, propagala come l’altra dalle armi, che stava per trasci­
nare tutti quei popoli e che alla fine l’avrebbe distrutto. Ho detto abbastanza dell’impero
d’Oriente; infatti al suo posto vedete nazioni prostrate che quel cristianesimo, fatto di metafi­
sica e di superstizioni, e quegli imperatori non sono stati capaci di difendere.
Il cattolicesimo, i vescovi e i monaci, che di concerto con gli imperatori romani e i princi­
pi barbari hanno completato la rovina della civiltà antica nell’Occidente, ne hanno conservato
almeno gli scritti, che erano loro estremamente necessari proprio per H consolidamento del­
l’amministrazione e della dottrina. Attraverso quesli scritti hanno conservato diverse tradizio­
ni e conoscenze che hanno permesso di mantenere in declino il mondo che stava crollando,
consentito agli uomini di rivedere di tanto in tanto un lampo delie cose antiche e, dopo mille
anni, di ritrovare il senso della civiltà umana insieme a quello della primitiva libertà evangeli­
ca, seppelliti sotto la grande costruzione sacerdotale. Nondimeno quanto potè essere ottenuto
per la liberazione delle anime, a parte una certa cultura meccanica delle lettere, lo fu contro il
desiderio e gli sforzi perseveranti della Chiesa. La sua vantata dolcezza non tralasciò di aiutare
tutte le violenze che servivano ai suoi fini e sostenere tutti i poteri dei dominatori dejla terra
che non nuocevano al proprio dominio. I sudditi del doppio potere temporale e spirituale si
trovarono così doppiamente oppressi dalle guerre dei prìncipi, mosse di solito dall’ambizione,
l’avarizia e l’orgoglio e dalle persecuzioni della fede, nate dalle stesse cause, che il fanatismo
alimentava nei preti e nei re e che provocarono altre guerre e supplizi innumerevoli. Non mi
addentrerò nel racconto delle crudeltà dei periodi in cui la guerra, ripetendosi, si moltiplicò
senza fine e si inasprì e nemmeno delle crudeltà dei periodi definiti di pace, negli Stati dove i
prìncipi e la Chiesa hanno tenuto la spada e il rogo in continuo esercizio. Voglio però farvi ben
sentire, attraverso la loro definizione e chiarendoli con qualche esempio, i tratti principali che
caratterizzano questa età del mondo di cui vi ho spiegato l’origine e le cui conseguenze fatali
determinano ancora tante cose attorno a voi.
in primo luogo fate attenzione all’anarchia e, per cosi dire, all’ estinzione civile che vi ho
già segnalato. Se volete formarvi una idea esatta dal punto in cui la decomposizione sociale e
la guerra universale furono spinte nell’epoca feudale fino ad arrivare all’estrema divisione del
mondo in castelli e parrocchie, monasteri e nidi di avvoltoi, pensate alla tregua di D io . Tale
istituzione, che segna il limite in questo periodo della potenza di pacificazione attribuita alla
Chiesa, consiste nella proibizione di battersi in certi giorni e, di conseguenza, conferma l’uso

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universale e continuo dei combattimenti tra signori o altri capi di bande armate e delle spedi­
zioni che avevano come fine il saccheggio. In ciò sta la ragione per cui questi Sfidi, non avendo
più niente di civile nelle loro tradizioni e nei loro costumi, rinunciarono a contare gli anni se­
guendo un’era civile. I giochi olimpici non venivano più celebrati mentre il culto degli dei era
proibito, pena la morte, e mentre il capo gotico Alarico saccheggiava tutta la Grecia e si pre­
parava a saccheggiare anche Roma. Dopo l’era delle Olimpiadi, Pera del mondo occidentale,
dopo la rovina delPimpero d’Occidente, a Costantinopoli continuava Pera dei consolati con
nomi e ombre di consoli che Pimperatore Giustiniano fece scomparire. 1 greci allora contaro­
no gli anni non attraverso le magistrature, ma a partire da un punto immaginario, a rnundo
condito , calcolato sulla Bibbia dei Settanta e ratificato dai vescovi. Gli occidentali preferirono
l’era a Christo nato , il cui punto di origine non è nitido e non appartiene alla storia autentica.
Così gli annali furono ritirati dal campo civile e legati a dottrine religiose. Cancellando le ulti­
me tracce, o meglio la memoria, delle città libere e dei magistrati elettivi, l’universo, cosi tra­
sformato si rese solo giustizia.
In secondo luogo osservate come vengono alterati Pidea stessa del diritto e i suoi effetti
man mano che gli spiriti, per attenuare o sostenere il dominio della forza conoscono solo quel­
lo delle superstizioni. Senza dubbio le tradizioni giuridiche raccolte al tempo di Giustiniano
conservano un principio di ragione nel diritto e mantengono, anche se molto offuscato dalla
finzione delle rivelazioni dirette di Dio, il pensiero antico di una relazione naturale di giustizia
tra tutti gli esseri che possiedono l’intelletto. Tuttavia la nozione degli obblighi naturali e di
quelli che nascono dai liberi contratti è e resta indebolita per molti secoli a causa della creden­
za nelPobbligo superiore che procede dalle imperscrutabili vontà divine c dalle volontà dei
preti e dei potenti. In questo momento si consolidano i costumi barbari che la Chiesa non può
o non vuole reprimere, perché mette la sua impronta su tutti, a volte li incoraggia e ne appro­
fitta per il suo dominio. Bisogna enumerarne qualcuno.
11 primo è Pidea grossolana dei popoli invasori che il male commesso, il torto causato al
prossimo vengano valutati in denaro e si paghino in rapporto alla capacità di vendetta dell’of­
feso e al pericolo dell’offensore. 11 principio delle compensazioni pecuniarie ebbe il consenso
dei vescovi e dei monaci che, fingendo che Dio fosse offeso dalle mancanze alle prescrizioni
ecclesiastiche come dai delitti comuni, ottennero donazioni di beni, edificazioni di chiese, fon­
dazioni di monasteri, privilegi di asilo e altro sulla base superstiziosa delle ingiustizie da ripa­
rare e che non si riparavano, delle fiamme dell’inferno da cui bisognava riscattarsi non con
una vita onesta, ma col consolidamento del potere sacerdotale.
All’ordalia, alla prova con valore di sentenza, altro uso barbarico, altra deroga e contrad­
dizione alle più semplici idee di giustizia e di giudizio, la superstizione sincera o l’ipocrisia die­
dero un colore religioso immaginando segreti giudizi di Dio nell’esito dell’ordalia o della pro­
va. Il duello, sconosciuto e incomprensibile agli antichi per rivendicazioni, ingiurie o litigi, en­
trò nei costumi sotto la doppia protezione dell’insolenza dell'oppressore, che capisce come la
forza decida di tutto, e della bassa credulità dell’oppresso che, rassegnato a conoscere il diritto
attraverso il successo, nell’evento vede il decreto di Dio. Cavalleria fu chiamata la brutale
mescolanza di misticismo e spada. Il cavaliere si definì nella poesia 4‘riparatore dei torti” ,
mentre di solito si teneva pronto a sostenere con la forza tutti i torti che poteva commettere. Il
duello è sempre, per una parte, negazione della giustizia e aggravamento dell’ingiuria, per le
due parti insieme, riconoscimento della ragione del vincitore. Quando gli uomini accettano
quest’uso e l’impongono sotto pena di essere disonorati, dichiarano apertamente di sottomet­
tere la giustizia alla violenza e di abbassare tutte le virtù umane davanti alla capacità di uccide­
re o di essere uccisi. La Chiesa, per la verità, ha finito per includere il combattimento singolo
nel numero dei peccati, ma non ha smesso di fornirgli un alimento mistico. Non si sa infatti

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che abbia scomunicato i campioni del giudizio di Dio e i duellanti» come ha fatto con gli eretici
o i principi che sposavano le cugine. Le ordalie queste terribili prove dell’acqua, del fuoco,
del ferro rovente o della croce che sostituivano l’inchiesta, sono state pratiche autorizzate,
quasi rendessero testimonianza della fede e servissero a nutrirla con tali spettacoli. L'educa­
zione cattolica ha tenuto le nazioni al livello della procedura in atto fra i selvaggi più brutali.
Meno di due secoli fa l’intero popolo di una delle più ricche e belle città del mondo si riuniva
con passione per vedere due monaci che, per provare la verità della propria dottrina, si sfida­
rono a attraversare senza bruciarsi le fiamme di un rogo; uno dei due, che si chiamava Savana-
rola, vi salì solo poco tempo dopo. Le dispute di questi uomini e dei loro seguaci, a proposito
della possibilità accordata o rifiutata di portare addosso talismani sacri quando subivano la
prova, i timori manifestati a proposito delle pratiche magiche che avrebbero potuto, si diceva,
alterare il giudizio di Dio, l’intervento di tutte le autorità civili e religiose nel regolamento delle
condizioni e nella disposizione pomposa della scena, il fanatismo e la ferocia della folla in que­
sta incerta attesa di un miracolo o di un orrendo supplizio, sono per noi profondi segni della
corruzione del principio del diritto.
Ho ricordato la magia; è tipico del carattere di tale corruzione aver introdotto falsi crimi­
ni nelle pene stabilite dalla legge, attraverso procedure che avrebbero dovuto cogliere la realtà
di ciò che è immaginario, attraverso pregiudizi fatti di credulità e di paura verso conoscenze
che passano il livello comune, attraverso pene crudeli contro la magia, ritenuta manifestazione
diabolica e contro la scienza, sospettata di opere soprannaturali. Le credenze del mondo anti­
co, soprattutto durante la decadenza, erano state macchiate da moke superstizioni e i proble­
mi della criminalità non avevano potuto evitarne l'infezione. Tuttavia il diritto, nel suo insie­
me, era rimasto nelle competenze delle magistrature civili; sotto il dominio del cattolicesimo
aumentò continuamente la sfera dei delitti da miracolo e le accuse di magia e stregoneria, co­
me quelle di eresia, si mescolarono a tutte le altre e spesso furono proprio queste le accuse più
gravi lanciate contro nemici che dovevano essere rovinati. Così Simmaco c il teologo Boezio,
accusati alla corte del re Teodorico di aver desiderato la libertà dell'Italia governata da questo
barbaro, furono condannati per delitti di sacrilegio e magia. L ’uso continuò; sette-otto secoli
dopo i templari, di cui il papa e il re di Francia avevano progettato la rovina, furono vittime di
simili imputazioni» Fra gli innumerevoli processi di eretici e stregoni che hanno coperto la ter­
ra di sangue, è senza dubbio superfluo ricordarvi quello della Pulzella d’Orleans che fu con­
dotto dalla stessa Chiesa. Ricorderò quelli di Urbain Grandier e di Léonore Galigai, nostri
contemporanei, solo per farvi osservare la costanza e la durata perenne di una legislazione così
vergognosamente e profondamente viziata.
Vi prego ora di riflettere sull’intero sistema delle penitenze e delle indulgenze accettato
dalla Chiesa cattolica; sono una violazione oltraggiosa dei precetti di giustizia e di conveniente
riparazione ai misfatti. L'antichità “ profana” dichiarava universalmente, attraverso la voce
dei suoi saggi e filosofi, che la norma dclJ’agire bene ha il suo significato e la sua sanzione in
noi stessi, si riferisce ai nostri doveri di uomini di fronte a uomini. La consapevolezza era per­
sonale, le offese non si riscattavano con vane pratiche e il merito degli uni non contava, come
virtù, per i prevaricatori. Ma i teologi hanno deciso che i comandamenti del Creatore e Rivela­
tore, di cui essi sono l’organo, impongono obblighi di cui non possiamo renderci conto e, giu­
sti o ingiusti che possano apparirci, sono santi per la sola ragione che rappresentano la Sua pu­
ra volontà. Hanno voluto che le opere non fossero prima di tutto atti di vita onesta, ma il rice­
vere i sacramenti e compiere riti che giustificano, perché l’uomo ha una certa fede, dono com­
pletamente gratuito di Dio, ma diventa colpevole se non si dona a sua volta. È piaciuto loro
fìngere l'esistenza di un male profondo negli uomini, male che non risulta dagli errori di tutti,
cosa certamente vera, e che è diviso in maniera ineguale fra tutti, ma assoluto e comune, im­

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putabile come crimine personale a tutti quelli che non Phanno commesso. Hanno poi immagi­
nato che le sofferenze di Dio fatto uomo hanno permesso a ogni persona ctìSsfuggire alla sua
responsabilità, purché si faccia e le vengano dati, anche senza consenso, attraverso i sacra­
menti, meriti che non le appartengono affatto. Seguendo le conseguenze di un modo di vedere
cosi perverso sono arrivati al punto di supporre che siccome moltitudini di uomini, morti nel
peccato o fuori della fede, sono attualmente abbandonati ai supplizi infernali che Dio ordina
e, d’altra parte, poiché le macerazioni o le preghiere dei santi e il sacrificio del Salvatore costi­
tuiscono meriti reversibili, è possibile che i peccatori ne approfittino nel momento in cui sono
dannati e trovano qualcuno che li raccomanda. Questi meriti possono sinché essere riversati
sui vivi che hanno così la remissione delle penitenze di cui sono debitori. Chi opera la reversio­
ne è il prete e la sua raccomandazione deve essere pagata con tutto ciò che serve a rafforzare la
sua autorità: in primo luogo col denaro, sicuro e comune strumento di ogni tipo di potere.
Chi, fra gli antichi, avrebbe immaginato un simile rovesciamento di tutte le idee del dirit­
to, del merito e della virtù? Hanno avuti anche loro, è vero, i loro mercanti di indulgenze, or-
feotelesti o altri disprezzati commercianti di diversi misteri a seconda dei tempi, ma non conob­
bero il consolidamento universale o cattolico di questo commercio, con l’obbligo imposto per
legge a tutti di aderirvi, che derivava dalle istituzioni della confessione e del sacramento della
penitenza. Le antiche repubbliche e le antiche religioni non diedero lo spettacolo scandaloso e
degradante di persone obbligate a confessare perpetuamente i loro peccati, a farsi assolvere
senza offrire alcuna garanzia di non ricominciare a peccare e di fatto ricominciare ogni volta.
L ’adozione di un tale modo di vivere fa della penitenza una semplice sottomissione all’autori­
tà del prete di cui esalta l’orgoglio, mentre da parte del delinquente è solo una formale rinun­
cia alla giustizia della vita. Inoltre, se questo crede all’assoluzione mistica e, contemporanea­
mente, all’irrimediabile debolezza della carne, riduce naturalmente a costume e a sistema di vi­
ta il concatenamento regolare delle tentazioni, dei crimini, dei pentimenti, delle assoluzioni e
poi di nuovo delle tentazioni e dei crimini. Mettiamo da parte le illusioni dei piccoli e dei debo­
li, la loro corruzione autorizzata e assolta, vediamo i crimini dei grandi. I sacerdoti che hanno
imposto penitenze ai prìncipi sono stali lodati e ammirati; cosa fu la famosa penitenza pubbli­
ca di Teodosio che, notate, si cercò di ridurre a una vana cerimonia, dal momento che non gli
venne imposta né punizione, né riparazione reale dell’offesa e del danno, né garanzia per i po­
poli contro un potere al quale tutto è permesso, cosa fu se non sottomissione dell’orgoglio di
un imperatore al dominio usurpalo di un vescovo? Le penitenze di Ludovico il Pio, che aveva
rinchiuso in un chiostro i fratelli, accecato il nipote e combattuto i figli sostenuti da vescovi,
penitenze che consistevano nel vestire il sacco e il cilicio per cui fu più volte degradato e riabili­
tato, cosa provavano se non i diversi successi della guerra o deil’intrigo e l’abitudine di dare un
colore religioso a tutte le pretese e una sanzione divina a tutti gli effetti dell’astuzia o della vio­
lenza? E più tardi, al tempo della lotta fra i papi e gli imperatori, quale altro significato hanno
avuto le penitenze di questi ultimi se non quello della loro ipocrisia, nell’attesa di giorni mi­
gliori di fronte a un potere che attirava il favore popolare distribuendo i segni del favore cele­
ste e portando come ragione del credito che gli era dovuto in tutto ciò che gli conveniva la vo­
lontà di Dio?
Questo potere tendeva solo a sostituire la polizia ecclesiastica a tutti i diritti civili o politici
e le dichiarazioni e rivelazioni dei preti a tutte le verità naturali: in gran parte vi riuscì. Avendo
iniziato a parlarvi di come si è alterato o perduto nei popoli il diritto, bisogna che vi indichi
espressamente ingerenze e usurpazioni considerevoli come il potere di riscuotere le tasse, il po­
tere sulle sepolture e sui matrimoni. 1 concili ordinarono molto presto il pagamento della de­
cima alla Chiesa e, poiché il braccio secolare non rifiutava il suo intervento, i contributi volon­
tari dei cittadini per i loro culti divennero una imposizione in favore della religione alla quale

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erano obbligati. Allo stesso modo furono fissati d'autorità i giorni per lavorare e quelli in cui
si doveva solo pregare e quelli in cui, non lavorando, ci si esponeva a sospetti che potevano
portare alla prigione e alia morte. I concili dichiararono allora che gli scomunicati non dove­
vano essere sepolti e da aliorale fosse comuni hanno sostituito le antiche ustrine, i campi dove
si bruciavano i morti, e sono diventati luoghi privilegiati, dai quali il cadavere ortodosso re­
spinge con oltraggio il cadavere eretico. Per quanto riguarda i matrimoni, sapete che l'autorità
sacerdotale e specificamente quella dei papi che hanno sempre cercato di assumerla intera­
mente, si è arrogata il diritto di decidere da sola quali sono legittimi o no, e disporre cosi dello
stato civile delle persone. Questa pretesa si è elevata fino a disporre di regni, scomunicando re
e imperatori, interdicendo popoli interi perché solidali coi loro prìncipi. Non vi citerò tanti
esempi, la storia ne è piena; ma vi prego di notare come, buone o cattive che fossero per la
Chiesa le ragioni per permettere o condannare tali matrimoni o tali divorzi, esse sono state
adottate secondo le circostanze, nell’interesse del dominio ecclesiastico. Lo stesso potere che
ha costretto Filippo Augusto a riprendere Inghelburga, ha permesso a Enrico IV, convertito,
di divorziare da Margherita di Valois. Si sono visti papi che mercanteggiavano le licenze, come
Alessandro VI che vendette a Luigi XII un permesso di divorzio per fare avere al figlio, Cesare
Borgia, un territorio in Francia.
Non c’è da stupirsi se lo spirituale, essendo divenuto un potere, cosa che presso i greci e i
romani non era assolutamente, sia stato considerato strumento temporale e mezzo di arricchi­
mento dei suoi depositari. Da questo è nata la simonìa. Simonia è cambio dello spirituale col
temporale e vendita di quanto può essere venduto. Come sarebbe stato possibile che un simile
cambio non diventasse prassi comune e continua quando lo spirituale reclamava per i suoi mi­
nistri domini e benefici indispensabili alla propria azione e quando, da parte loro, i ministri
del temporale, che detenevano questi domini e li potevano donare, avevano bisogno delle be­
nedizioni e delle consacrazioni degli altri per imporsi meglio ai popoli che erano costretti
anch’essi a subire la cosiddetta autorità divina? È chiaro che questi reciproci vantaggi doveva­
no necessariamente dare luogo a un traffico tra persone portate al commercio che si trovano
in tutti i paesi e, se non trafficano, devono combattere. Così tutto il tempo in cui la Chiesa cat­
tolica ha dominato incontrastata è l’età della simonia. A ben vedere dunque non c’è simonia
solo nel fatto che Vigilio compri il pontificato romano col denaro e aderisca alla dottrina che
allora era in favore di Costantinopoli o che Bertrando di Goth lo riceva dalle mani di Filippo il
Bello, promettendo tra l’altro di fare un processo per eresia al cadavere di papa Bonifacio
V ili, suo predecessore, o che papa Giovanni XXII venda correntemente gli uffici ecclesiastici,
o che i Borgia traggano profitti enormi dalla fede dei pellegrini nell’anno 1500, o che papa
Leone X faccia smerciare nelle fiere e nei mercati della Germania indulgenze per tutti i crimini.
C’è simonia anche quando principi o pontefici dispongono dei territori con le anime che li oc­
cupano come di oggetti materiali, o quando la contessa Matilde lascia in eredità i suoi sudditi
al papa, o quando Giovanna di Provenza vende al papa la città di Avignone; infatti un potere
che si dice spirituale non dovrebbe comprare o ricevere a titolo temporale anime che sono spi­
rituali. C ’è simonia gravissima nelle transazioni, e non possono essere chiamate diversamen­
te, con le quali un imperatore o un re viene consacrato da un vescovo in cambio di qualche ter­
ra, della promessa di consegnargli le anime dei suoi Stati e di sterminare gli eretici.
In terzo luogo, dopo aver mostrato il rovesciamento dell’idea di diritto, debbo esporvi la
conseguenza di questo rovesciamento. Dal momento che gli Stati hanno perso la civiltà, diven­
ta naturale che il nuovo potere spirituale, eretto arbitro unico del giusto e dell’ingiusto intro­
duca e, poco a poco, metta in mostra la pretesa di avere mani che tengono lo scettro, di far
muovere la spada e di porre le corone su teste fedeli. Di fronte a ciò bisogna mettere gli atti di
oppressione esercitati dai prìncipi sui vescovi e sui papi e il diritto reclamato da essi di investirli

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o deporli per difendersi e non essere completamente giocattoli dei preti. Da un lato Tarma è la
scomunica» dall’altro l’imputazione di eresia, che è simile nella sostanza, m^più debole per la
mancanza di autorità in questo campo di coloro che la usano. Rimediano^ tale inferiorità
avendo ai propri ordini dei soldati, cosa che mette in pari la partita. Per questo i papi, nei qua­
li si concentra il potere ecclesiastico, per avere il sopravvento ricorrono al solo mezzo possibile
e ostentano così il possesso di feudi e la guida di eserciti. Ma siccome non sono tali per origine
o per finalità, è necessario per loro ricevere donazioni o fingere di averne ricevute.
11 primo che prese il titolo di servus servorum Dei per opporre il fasto dell’umiltà romana
al fasto della grandiosità del patriarca bizantino che si era dato il titolo di vescovo ecumenico,
fu anche il primo vescovo che parve ottenere decisamente per la sede romana, pretesa tomba
di S. Pietro, una specie di supremazia nell’Occidente. Ma di questa sede temporale che i Lon­
gobardi assediavano e gli imperatori d ’Oriente non potevano difendere, poteva avere solo un
godimento molto precario perché, lontano dall’attribuirsene la proprietà, attribuiva anche il
potere spirituale all’investitura delTimperatore. Uno dei successori dì questo papa, Gregorio
I, volendo crearsi un titolo per questo dominio nell’anarchia universale, fece fabbricare un
falso atto di donazione di Costantino, primo imperatore cristiano, al vescovo romano del tem­
po. Papa Adriano I si valse di questo atto nei confronti di Carlo Magno seguendo l’uso comu­
ne di chi non vuole avere vincoli di riconoscenza pretendendo un diritto sulla cosa che gli viene
donata. Fu più reale il dono del franco Pipino al papa romano, dono che il figlio confermò:
un regno della Chiesa conquistato a spese dei Longobardi. Carlo Magno tuttavia si riservò an­
cora una supremazia temporale» ma questo feudo rimase neU’instabilità che caratterizzava tut­
ti gli altri, e il profitto insieme alle amarezze che i papi ne ricavarono nella serie delle vicissitu­
dini delle loro espulsioni e delle loro restaurazioni, fu quello di essere contati nel numero dei
piccoli signori, di unire alle pretese di questi le proprie, di fare torturare e mandare al supplizio
anch’essi le persone senza essere sempre costretti a chiedere in prestito i carnefici a prìncipi
amici.
1 veri strumenti del loro regno, ben maneggiati dal fondo di un monastero o andando di
regno in regno come spesso è accaduto quando un prìncipe aveva bisogno di loro, sono le con­
sacrazioni, le interdizioni, le scomuniche, le investiture, il dono di una corona ai pretendenti
protetti. In Spagna, al tempo del regno gotico, si possono vedere esempi antichi e sorprendenti
dei poteri che il clero si arrogava non appena ne aveva l’occasione. Quando i Goti furono con­
vertiti dall’arianesimo al cattolicesimo, un concilio decise da quale famiglia dovesse venire il
re, i vescovi entrarono coi grandi del regno nella sua elezione e nel VII secolo ne fu decisa la
consacrazione. Nell’Vili secolo in Francia Pipino fu consacrato due volte e la seconda dal pa­
pa che ne ebbe l’aiuto contro il re longobardo. Il papa consacrò Carlo Magno, poi Ludovico il
Pio come A ugusti e imperatori d’Occidente e consacrò re i figli del primo quando erano anco­
ra in tenera età. In seguito i re capetingi furono consacrati da vescovi, unti con un olio che lo
stesso Spirito Santo aveva fornito fin dai tempi del battesimo del re Clodoveo. Questi re giura­
vano di rispettare i privilegi ecclesiastici e dì sterminare nel loro territori gli eretici denunciati
dalla Chiesa. Enrico IV, eretico recidivo e riconvertito, fu unto come gli altri e giurò come gli
altri. L ’elenco delle interdizioni sarebbe troppo lungo; non esistono paesi cattolici nei quali
non sia stato tentato questo mezzo per obbligare i principi alla sottomissione promuovendo ri­
bellioni dei sudditi che venivano cosi puniti per azioni alle quali erano estranei. La stessa cosa
vale per le scomuniche e le deposizioni dei re o degli imperatori che rispondevano con la depo­
sizione dei papi e la creazione di antipapi. Il più celebre, e a buon diritto, di questi atti è la sco­
munica dell’imperatore Enrico IV da parte del papa Gregorio VII, che proprio da questo im­
peratore aveva avuto l’investitura, la conseguente deposizione del papa e la successiva consa­
crazione dell’imperatore da parte di un altro papa nominato appositamente che avvenne nella

182
stessa Roma. Tutti due morirono: il papa in esilio, dimenticato e respinto dai romani per aver
abbandonato la città ai normanni del Guiscardo, altro personaggio scomunicato e riconcilia­
to; l’imperatore, perseguitato dal figlio e dai vescovi, cacciato lontano, in miseria e senza se­
poltura. Il figlio, a sua volta, riprese la disputa e mise in prigione papa Pasquale li, che si sot­
tomise, lo incoronò, poi lo scomunicò di nuovo e di nuovo fu cacciato. Poco dopo vi fu la
competizione di due imperatori, ognuno dei quali aveva il suo papa, e quella di due papi,
ognuno dei quali aveva il suo imperatore. Furono raggiunti accomodamenti che non potevano
durare. Fu poi la volta del famoso Barbarossa, incoronato, scomunicato e nuovamente incoro­
nato da papi diversi che a volte riuscirono a farsi baciare i piedi, a volte non riuscirono a evita­
re l’esilio. Così Innocenzo III scomunicò Ottone IV e Gregorio IX Federico II che, costretto,
partì per la crociata, ritornò e fu nuovamente scomunicato da Innocenzo IV che gli suscitò
contro due anticesari amici della Chiesa. I suoi Stati furono offerti a chi voleva difendere la
causa sacerdotale: per esempio al re di Francia; Federico II morì scomunicato, la vendetta dei
preti sulla sua casa si appagò sedici anni dopo con la morte sul patibolo di un fanciullo, il suo
ultimo discendente.
Le pretese papali e anche le umiliazioni arrivarono all’estremo grado con Bonifacio Vili.
Non era un fatto nuovo per i papi definirsi vicari di S. Pietro, l’apostolo che agli occhi delle
nazioni era un Dio sulla terra, come aveva notato Gregorio II. Benedetto III prendeva questo
titolo divino già nel IX secolo. Nel XIU, la rivendicazione del titolo divino fu più diretta: si
chiamarono vicari di Gesù Cristo. Bonifacio Vili fece ancora meglio: traendo la conseguenza
logica della sua funzione nei confronti del potere, sì nominò vicario generale delfimpero, per
prendere il posto di Alberto d’Austria che non riconosceva. Trattò come feudo ecclesiastico
anche la Scozia e nelle bolle contro Filippo il Bello rivendicò la supremazia universale sugli
Stati. Alcuni sovrani si erano inchinati davanti alle semplici cattedre episcopali, “ questi troni
di Dio — diceva Carlo il Calvo — per mezzo dei quali Dio pronuncia le sue sentenze” , altri
avevano condotto per la briglia la mula papale o si erano umiliati in penitenze pubbliche. Que­
sto re, attraverso un ambasciatore, commise un atto di brutalità sulla persona che pretendeva
di trasmettergli gli ordini stessi del cielo. Ma la violenza e il risultato di questa impresa, la sot­
tomissione del papato che ne fu la conseguenza, la venalità, i vizi, le dissolutezze di tanti papi
e antipapi non impedirono che il papato continuasse a mantenere le stesse pretese o che i prìn­
cipi servissero fedelmente i sacerdoti proseguendo lo sterminio degli eretici. I papi scomunica­
rono da Avignone per due volte l'imperatore Ludovico V, riuscirono a deporto malgrado gli
antipapi che egli aveva creato e fecero nominare, da elettori venduti, un successore sotto il
quale il clero governò la Germania senza alcun assoggettamento temporale. Versò la fine dello
stesso secolo, il XIV, il papato si divise decisamente in due partiti: c’era un papa italiano, Ur­
bano VI, riconosciuto dail’imperaiore e dall’Inghilterra che predicava una crociata contro la
Francia e un papa francese, Clemente VII, riconosciuto dalla Francia, dalla Spagna e da Napo­
li. Nel secolo successivo, il XV, Podiebrad, re di Boemia, fu scomunicato e deposto da papi
che volevano obbligarlo a violare la promessa fatta agli hussiti. Qualche tempo dopo accadde
qualcosa di più strano, anche se meno sanguinoso del dono della Prussia ai cavalieri teutonici
fatto dalla Chiesa: tutte le terre ancora da scoprire del nuovo mondo furono divise tra Spagna
e Portogallo, le sole chiamate e autorizzate all’impresa, mediante un meridiano terrestre che
ne separava i possedimenti. Alla vigilia del nostro secolo abbiamo la scomunica della regina
Elisabetta di Inghilterra da parte di papa Sisto V, e quella del re di Francia Enrico IV, fatta
dallo stesso papa e poi nuovamente dal successore. Ai nostri giorni i papi dispongono sempre
delle stesse armi e sono pronti a servirsene ogni volta che l'occasione e l’utilità si presentino. È
loro sufficiente occupare quel seggio, non aver abbandonato, che si sappia, nessuna pretesa e
sperare di trovare, dal momento che sono eterni mentre i principi cambiano, sovrani potenti

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che mettano la spada al loro servizio. Possono sempre, in virtù deirautorità dat£ a San Pietro
e ai suoi successori ‘ ‘che supera tutta la potenza dei re e dei prìncipi della terra, ¿¡Istigarli e pri­
varli del trono, qualunque sia la loro potenza, quando contravvengono alfordine di Dio. Pos­
sono sguainare la spada della vendetta contro i figli della collera, dichiarare i principi infedeli,
generazione bastarda e detestabile delle più illustri famiglie, eretici, recidivi, colpevoli di lesa
maestà divina e decaduti, essi e i loro discendenti, da ogni principato, dominio, dignità, signo­
ria, onore e ufficio” . Possono ingiungere ai loro sudditi di non prestare loro alcuna obbedien­
za, pena l'essere compresi nell’anatema. Possono umiliare i vili convertiti per motivi politici
imponendo loro le puerili penitenze del rosario e delle litanie, oltre alla confessione e al resto,
come fecero con Enrico IV. Possono anche decretare, volendo, l’illegittimità dei matrimoni e
annullarli, anche di quelli che essi stessi hanno permesso, prendendo come pretesto i vizi di
forma che hanno introdotto nelle autorizzazioni date. Possono tenere negli Stati una milizia di
chierici che vogliono sottrarre a ogni obbligo temporale e civile, come ha fatto Paolo V pro­
prio in questo secolo quando ha interdetto Venezia. Possono avere in tutte le corti cattoliche
confessori e nunzi che, in segreto e apertamente, dispensano i re dalFosservare i trattati giurati
agli eretici, come se gli eretici non fossero nemmeno nemici verso i quali sentirsi obbligati dai
giuramenti come vuole ogni fede, ogni onore e ogni pace sulla terra. Con tali principi religiosi
e morali non è possibile nessun diritto e nessuna giustizia tra le nazioni. Quelle che si sono af­
francate con la Riforma restano Stati illegittimi per le altre che sono incessantemente spinte al­
la crociata dai pontefici romani, agli occhi dei quali anche le paci più solenni sono soltanto
tregue finché non hanno raggiunto lo scopo ultimo della loro supremazia, come arbitri unici
del bene e del male e organi della volontà di Dio.
in quarto luogo per farsi un'idea giusta del cambiamento degli animi avvenuto durante il
regime sacerdotale e delle sue conseguenze bisogna ricordare le distruzioni che caratterizzano
l’epoca degli editti costantiniani e teodosiani, segni del disgusto e dell’odio dei popoli per la cul­
tura antica, ma anche segni della distruzione lenta, e forse più efficace, che da allora non cessò
mai di operare sui resti di questa cultura. La distruzione dei templi c delle altre ammirevoli
opere degli artisti greci e romani fu compiuta, in Italia, dall’azione continua dei popoli abban­
donati all’ignoranza e all’incuria della vita più degradata, senza alcuna polizia, più che dagli
editti degli ultimi imperatori e dal ripetuto saccheggiare dei barbari. In Oriente gli incendi di
Costantinopoli e di Alessandria e le devastazioni dei musulmani continuarono i loro effetti per
lo zelo degli iconoclasti, una setta che regnò a lungo e fu rinnovata più volte, il cui fanatismo
trovava giusto vendicarsi del fanatismo degli adoratori di immagini sulle immagini stesse. La
perdita irreparabile dei libri è da imputare, in fondo, all’abbandono degli studi, al disprezzo o
alla paura delle scienze, alla proscrizione delle opere dello spirito, prima di dover essere impu­
tata alla distruzione delle biblioteche. Questa perdita é soprattutto nostra. Da molto tempo gli
antichi ne facevano solo un uso vano e ridicolo. 1 teologi di Alessandria, sia che fossero neo­
platonici o gnostici, manichei o cattolici, non avevano più nulla in comune coi dotti geome­
tri, astronomi, fìsici, grammatici e storici dell’epoca di Tolomeo, si servivano di tutto quel te­
soro che avevano in mano solo per trame grossolane compilazioni o per appoggiare con prove
e argomenti banali le immaginazioni nelle quali si compiacevano di sfigurare e confondere tut­
to. Avere dei libri non è tutto, bisogna anche servirsere con uno studio assiduo, con buon di-
scernimento e scrupolo. Ma questi uomini nuovi erano ricorsi agli antichi solo per la forma.
Ne condannavano le opinioni e i metodi, cosa che non impedì loro, in tempi successivi, di ripe­
tere gli errori religiosi che avevano più aspramente rimproverato agli antichi. Il ripudio di ogni
dottrina ragionevole fu la loro costante, condannarono infatti tutte le spiegazioni e interpreta­
zioni dei loro stessi articoli di fede che potevano essere accettati dal buon senso e dal retto giu­
dizio. È questo il senso della mia breve dimostrazione.

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Essi erano stati estremamente violenti contro i culti che non avevano per oggetto Dio stes­
so, ma si riferivano a creature o a rappresentazioni inanimate. Dal IV secolo, mentre i templi
andavano in rovina, iniziarono il culto delle reliquie dei martiri della fede. La superstizione in­
fatti aveva portato nell’impero teste di malfattori suppliziati che erano chiamati santi. Nel pri­
mo anno del V secolo fu compiuta una solenne processione, con grande concorso di popolo,
dalla Palestina fino a Costantinopoli per portare devotamente l’impossibile reliquia del prete
Samuele. Poco dopo un sogno rivelò il luogo, sarebbe meglio dire che fu la frode a fissarlo,
nel quale si trovavano le reliquie di Gamaliele, di Stefano, il primo martire, e di maestro Nico-
demo. In questo periodo si diffuse l’idea che i santi, dopo la morte, non dividevano F eterno
riposo con le anime delle persone comuni, ma vivevano e potevano intercedere per i peccatori.
Si diffuse cosi un nuovo genere di pluralità divina, e preghiere indirizzate a questa specie di
dei. A questo dovevano naturalmente seguire le apoteosi; infatti, quando furono trasportate a
Costantinopoli le reliquie del vescovo Crisostomo, morto in esilio, l’imperatore Teodosio 11
dovette andare loro incontro e prostrarsi implorando il perdono del santo per la madre Eudos-
sia e il padre Arcadio che l’avevano crudelmente perseguitato. Questo culto dei morti non è di­
verso da un culto dei vivi, di modo che molti vescovi venivano quasi adorati: le loro benedizio­
ni o maledizioni erano considerate determinanti per la volontà del Salvatore di cui godevano
ila fiducia. Da vivi, i santi facevano miracoli, da morti ne facevano ancora; sulle loro tombe
accadevano miracoli; quella di Pietro e Paolo a Roma, quella di Martino a Tours, quella di
Giacomo a Compostella e tante altre divennero del lutto simili a quei luoghi delle leggende di­
vine e degli oracoli, a quelle sedi consacrate dalla superstizione delle nazioni che erano state il
motivo dell’oltraggio verso tutta l’antichità. Dal momento che era conveniente fissare d ’auto­
rità gli oggetti della pietà popolare e alimentarla, vennero stabilite regole particolari e una pro­
cedura per creare dei santi positivi, abitanti del cielo su cui non si poteva dubitare, agenti e
consiglieri della Provvidenza per la ripartizione delle grazie sui mortali. I papi si assicurarono
il diritto esclusivo di conferire ai morti questi benefici celesti. Tutto ciò accadeva attorno al
momento in cui si preparavano a rivendicare un altro diritto che procurò loro più fastidi: quel­
lo di disporre delle sedi dei principi sulla terra.
Il culto delle immagini e delle reliquie, interrotto violentemente dal successo degli icono­
clasti in diversi luoghi, continuò a conquistare seguaci e a estendersi ovunque dopo l’invenzio­
ne della vera croce ad opera della madre di Costantino, il dono delle catene di S. Pietro e del
preteso ritratto della Vergine Maria da parte dell’imperatrice Atenaide ai bizantini fino al mo­
mento in cui papa Gregorio, detto il Grande, istituì in tutto l’Occidente un commercio delle
particelle della catena di S. Paolo, insieme a piccole croci d’oro e, sei o sette secoli dopo, fino
al momento in cui il re di Francia costruì un tempio a quella che si pretendeva fosse la sacra
spina e in cui il mondo fu coperto di santuari nei quali ogni cosa vile preziosamente incastona­
ta è servita a guarire ammalati, a implorare la consacrazione più adatta a ingannare chi li ri­
chiedeva. Tuttavia, tra questi culti, uno ha ottenuto la preminenza e si è legato a qualcosa di
più delle reliquie, alla madre vìvente delle grazie e dei favori, alla vergine immaginaria che ge­
nerò Dio e che, essendo stata dichiarata da papa Sisto IV priva fin dalla nascita della macchia
e del comune stato di peccato proprio dei figli di Adamo, è diventata una vera dea, altrimenti
non si capisce più cosa voglia dire dea.
Aggiungete a tutto questo le favole comuni sulla vita e le opere dei santi, le ridicole fanta­
sie, come quella dei sette dormiglioni di Efeso, inseriti nel calendario, le superstizioni odiose di
chi attribuisce alla presenza di pagani o di eretici i flagelli naturali dell’inclemenza delle stagio­
ni, come alcuni imperatori hanno osato fare e come viene insegnato ai popoli e infine l’abitu­
dine dei potenti di procurarsi la complicità del cielo per i loro crimini, come faceva re Luigi XI
e come ha fatto Enrico III che ha ordinato al suo cappellano una messa per la riuscita dell’as­

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sassinio dei Guisa» inizierete allora ad avere una giusta idea del fermento di scelleratezza intro­
dotto nelle credenze religiose dai popoli nutriti nella Chiesa papale. Ricordile anche le tesi dei
teologi che giustificano il pugnale e il veleno a servizio della causa dichiarata buona, la solenne
celebrazione della giornata di S. Bartolomeo ordinata da papa Gregorio XIII, l’approvazione
data agli assassini Balthasar Gerard, Jacques Clément e a altri, che digiunarono e pregarono
per prepararsi alle orribili imprese che, per l’insegnamento avuto» consideravano come la via
per assicurarsi le corone celesti.
Vi ho detto che Pautorità della Chiesa aveva invariabilmente condannato tutte le spiega­
zioni degli articoli della fede cristiana accettabili da un corretto giudizio, accanendosi a perse­
guitarne gli autori. Un breve sommario di tutti questi fatti vi illuminerà.
Il primo punto per Paggancio della teologia con la morale è il potere che ha Dio di render­
ci buoni o cattivi per salvarci o dannarci, insieme al potere delPuomo di compiere il bene o il
male dirigendo il proprio arbitrio e la propria volontà. Quando nella Chiesa si cominciò a ri­
flettere sul contrasto fra Dio, che fa tutto, e l’uomo, che fa qualcosa, ci furono subito alcuni,
detti pelagiani dal nome del loro maestro, che cominciarono a considerare reale il potere
delPuomo, anche se il peccato aveva contaminato tutta la razza umana. Ne conclusero che il
potere di Dio doveva in qualche modo essere attenuato e così la sua conoscenza del futuro.
Ma i vertici del clero decisero che nessuna attenuazione poteva essere ammessa e che, ciò no­
nostante, Dio non era l’autore del male. In questo modo si obbligò lo spirito dei peccatore a
credersi libero solo accettando la contraddizione. La controversia non poteva finire e dura da
milleduecento anni. La vera essenza della fede comune, per quanto si può intendere, è la
schiavitù eterna delle anime nella dannazione e nella salvezza. L ’ unica risorsa che la metafisica
ha trovato, per fingerci nonostante tutto autori dei nostri atti, è quella di immaginarci salvi o
dannati in una volta, nell’eternità, e che questa apparente successione che Dio racchiude in un
presente indivisibile, in fondo, è nulla.
I teologi ariani, volendo spiegare l’incarnazione di una persona divina, o Verbo di Dio,
senza che Dio stesso si incarni nelle sue tre persone, hanno trovato naturale pensare, che la
persona del Figlio è fatta da Dio all’origine. Ma l’autorità ha deciso di obbligare i popoli a cre­
dere che il Figlio e il Padre sono una stessa eterna essenza. Così la separazione delle persone,
di cui una si incarna e Paltra no, senza essere due dei ma un solo Dio, è rimasta uno scandalo
per la logica. Hanno convenuto di chiamarlo mistero, ma non è un puro nome che può cam­
biare la natura di un concetto contraddittorio al quale per nessun motivo siamo obbligati a ri­
ferirci,
Nestorio e i suoi seguaci, desiderosi di comprendere ¡'incarnazione in rapporto all’uomo,
hanno ritenuto che, allo stesso modo in cui nelI’uomo-Gesù ci sono due nature, quella umana
e quella divina secondo la comune credenza, devono esserci due persone, quella umana e quel­
la divina. Ma i teologi, che nei concili hanno vinto e hanno fatto testo, hanno stabilito che in
Cristo ci sarebbe una sola persona e che il Verbo aveva dovuto unirsi ipostaticamente, come si
dice, alla natura umana. Come può una simile identificazione permettere alla persona umana
di avere in Cristo il proprio gioco e la propria funzione? Altro mistero gratuito simile al prece­
dente. I nestoriani furono perseguitati e, alla fine, sterminati come gli ariani e i pelagiani. Per
imporre con maggiore certezza a tutti quanto era stato stabilito in sostituzione delle opinioni
di queste sette e delle teologia dei platonici, fu fatto chiudere quello che restava delle grandi
scuole di logica dell’antichità. L ’imperatore Giustiniano ebbe questo incarico. Più tardi fu
proibita anche la conoscenza delle origini e dei fondamenti della fede, cioè la lettura delle Sa­
cre Scritture, e non solo gli studi filosofici, perché l’esperienza insegnava che la logica naturale
dell’intelletto non poteva essere applicata ai testi che erano il preteso sostegno dell’insegna-
mento stabilito.
Del resto queste stesse opinioni, o interpretazioni naturali, rinascevano di tempo in tem­
po e attiravano nuovi anatemi. Abelardo, proponendo di considerare la Trinità divina come
unione degli attributi della divinità realmente indivisibile, ritornava, nel XII secolo, alia sem­
plicissima spiegazione che Sabellio aveva proposto nel IH secolo; fu accusato di essere ariano,
nestoriano e pelagiano e di conseguenza venne condannato. Man mano che una nuova super-
stizione si aggiungeva alle antiche, nell’insieme dei dogmi, nasceva un interprete che cercava di
conformarla al buon senso. Così Berengario di Tours o i suoi discepoli tentarono di spiegare
l’eucarestia negandone il senso materiale, che allora si risolveva nelPaffermare la presenza del
Cristo nel sacramento e evitando di credere al cambiamento miracoloso delle sostanze del pa­
ne e del vino. Infine, quando le pretese dei papi al governo della terra divennero chiare a tutti,
il prete Arnaldo da Brescia tentò un ritorno alla vera origine della Chiesa e alla pura dottrina,
sostenendo che il clero non doveva ammassare beni e che la religione era estranea al regime ci­
vile . Aggiungendo la parola all’azione rinnovò a Roma il ricordo della repubblica romana cac­
ciando il papa. Vittima di una momentanea riconciliazione fra papa e imperatore, fu abban­
donato da quest’ultimo e salì sul rogo nella stessa città che aveva tentato di liberare.
I paolìani, precursori dei riformati del nostro tempo, continuarono a protestare ferma­
mente senza rompere con la tradizione c contro il male trionfante sulla Chiesa orientale come
su quella romana. Si distinguevano dagli altri cristiani per la semplicità del culto, l’esclusione
del sacerdozio e la libera interpretazione delle Scritture; non adoravano la Vergine, i santi e le
immagini, si attiravano l’odio del popolo e del clero per questo fatto, per la purezza dei loro
costumi che rappresentavano un affronto alla religione degli altri e per una dottrina molto
lontana da quella comune, in quanto preferivano cercare nell’origine e nella condotta del
mondo un proprio principio del male, invece di fare di un Dio tutto buono l’autore di tutte le
cose come sono e come vanno. Forse penserete che una tale dottrina, se non è vera, ha però il
merito, di fronte alle miserabili arguzie degli inventori della predestinazione e di quelli che tro­
vano eccellente e irreprensibile un regime della Provvidenza nel quale saremmo tutti predesti­
nati alla dannazione eterna, di poter essere annoverata fra le opinioni di buon senso di cui vi
ho parlato. Così questa dottrina dei doppio principio ha eccitato più di ogni altra il furore san­
guinario dei preti ai quali toglieva il privilegio infinitamente vantaggioso di vendere la libera­
zione dagli effetti della collera di Dio.
I paoliani, che in un primo tempo erano riuniti in alcune provincie dell’Asia Minore, fu­
rono il bersaglio delle atroci persecuzioni dell’imperatore Giustiniano e dei suoi successori, an­
che di quelli che parteggiavano per gli iconoclasti. Tuttavia uno di questi ultimi, uri certo Co­
stantino, la cui memoria è stata macchiata da racconti ridicoli e dal nome Copronimo, che la
pensava quasi come i paoliani, aveva insediato una delle loro colonie in Tracia ed essi per un
momento divennero i padroni del paese. Nel secolo successivo, il IX. una imperatrice d ’Orien-
te, santa Teodora, sterminò i paoliani dell’Armenia, ne mandò al supplizio centomila e obbli­
gò gli altri a trasferirsi nei paesi musulmani. Ma quelli della Tracia, anche se sempre persegui­
tati, rimasero nelle valli dei monti Balcani in numero sufficiente per inviarne più tardi alcuni in
Italia e in Francia e seminarvi la loro concezione di libertà spirituale. Le loro tracce possono
essere ritrovate in quelle altre chiese libere che papi e re distrussero crudelmente e che ci porta­
no alla vigilia del grande scoppio della Riforma.
In quinto luogo, essendosi il governo dei vescovi e dei papi approfittato di un merito spe­
ciale per l’educazione degli uomini e per l’insegnamento dell’umiltà e della dolcezza evangeli­
ca in opposizione alla durezza di cuore degli antichi, io devo farvi pensare ai veri costumi del
popolo e dei principi per tutta quest’era sacerdotale. Pensate attentamente a tutte le violenze e
perversità di sovrani che non sono più trattenuti da alcun senso di responsabilità verso cittadi­
ni che li devono giudicare, nemmeno verso opinioni diverse dalla necessità di placare la collera

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di Dio, cosa clic si Fa con le penitenze, con le fondazioni monastiche e le persecuzioni di ereti­
ci. I popoli venerano i grandi personaggi ora come rappresentanti della Provvidenza preposti
alla loro difesa, ora come flagelli inviati dalla stessa per decimarli. In tutti i casi hanno impara­
to a rispettare nelle loro persone un carattere sacro, si può dire ad adorarlo, quando osservano
l’uso della prostazione e della bassa adulazione che né gli antichi, né i barbari conoscevano e
delle cerimonie come le consacrazioni e le incoronazioni da parte dei vescovi. I popoli smetto­
no dunque di interessarsi agli affari pubblici, nei quali vedono solo la loro impotenza e che,
d'altra parte, si riducono a guerre e tradimenti, trattati conclusi e subito violati, invasioni e de­
vastazioni, conquiste senza durata, complotti e crimini di palazzo, assassinii e parricida. Gli
orrori dei merovingi in Francia, per nulla inferiori a quelli delle tirannie antiche o orientali, ve­
nivano compiuti in un periodo in cui i vescovi avevano lo stesso potere dei re e in cui i re, mol­
to credenti e pii, ragionavano a volte di teologia e perseguitavano chiunque fosse loro denun­
ciato dalla Chiesa. Gli attentati alle persone, la corruzione delle famiglie e delle corti imperiali,
ravvilimento dell’intero popolo per tutti gli oltre mille anni dell’impero bizantino, denuncia­
no chiaramente l’inefficienza delle leggi, delle regole ecclesiastiche e del potere dei preti, non
meno dell'ardente fede nei dogmi, per arrivare a stabilire buoni costumi e una sana direzione
delle coscienze. NelPOccidente non si trova un’epoca in cui dire, con qualche parvenza di di­
mostrazione, che i privati o i principi hanno onestamente praticato le virtù cristiane. La terra
ha grondato sangue, gli innumerevoli supplizi sono la testimonianza dei tanti crimini privati e
pubblici, Anche in quella parte dei costumi in cui la religione dei monaci ha preteso di rifor­
mare pronfondamente la vita corrotta dell'antichità greca o romana nella sua decadenza, è ab­
bastanza manifesto che il cambiamento ottenuto è consistito nell’insegnare agli uomini a na­
scondere certe azioni piuttosto che a non commetterle affatto e nello sporcare le fantasie al di
là di quanto era stato mai visto, come succede quando le cose, anche quelle naturali e sane, so­
no rigettate nell’ombra e costringono la gente a non osare più confessarle.
Per il resto i delitti dei grandi condottieri spirituali delle nazioni non sono per nulla infe­
riori a quelli degli altri prìncipi della terra: la cosa non deve sorprendere, perché per lungo
tempo e a più riprese sono stati innalzati ai loro seggi o rovesciati con gli stessi intrighi e violenze
degli altri signori della terra. Si possono citare, tra i molti, Giovanni X, XI e XII, Benedetto
IX, Gregorio VI, nei secoli X e XI. Alcuni sono creature di signori più grandi di loro, fatti e
abbattuti con l'intrigo e la fortuna, alcuni vendono la loro carica, un numero maggiore la
compra a qualsiasi prezzo. Uno è anche papa dall'infanzia. La dissolutezza ti segnala tra
prìncipi che hanno su di essi il vantaggio di trovare nella guerra la spinta a un’attività più viri­
le, a commettere più agevolmente i delitti a fronte scoperta. Poi c’è la lunga serie di papi e an­
tipapi creati dal duplice interesse della dominazione imperiale e di quella che della superstizio­
ne popolare fa uno strumento per consolidarsi. Poi vengono altri papi che sono rivali e si sco­
municano a vicenda, giocattoli della rivalità dei re che, per il proprio interesse, li oppongono
gli uni agli altri e tuttavia li lasciano padroni di dare libero corso al loro orgoglio e alla loro
avarizia nella distribuzione delle grazie divine ai sudditi prostrati. Poi ci sono ancora quelli che
servono solo al sostegno della lotta per l'ambizione di alcune famiglie signorili, come gli Orsi­
ni e i Colonna a Roma, ci sono quelli che sul campo specifico della Chiesa sono esaltati o depo­
sti dai concili di cui accolgono o negano la supremazia, a seconda del potere che si ritrovano
per affermare la propria. Non vi parlerò in modo particolareggiato dei pontefici avvelenatori e
sanguinari, di quelli che hanno vissuto nelle delizie o che hanno fatto del pontificato il tram­
polino della fortuna delle loro famiglie; sono cose abbastanza conosciute. Tuttavia, se volessi
passare gli annali dei loro crimini privati, potrei andare indietro nella storia e attaccarmi
all'esempiò, tra gli altri, di un papa che, avendo fatto condannare a morte il suo predecessore
già morto, ordinò che il suo cadavere fosse sfregiato e decapitato. E in effetti, i famosi crimini

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dei Borgia airinizio del secolo scorso e la complicità dei pontefici romani nei più crudeli mas-
sacri e assassinii all’inizio di questo secolo, non sono forse la prova che la Chiesa cattolica non
ha corretto la vita dei suoi principali agenti, come non ha corretto le sue massime, dalle quali
abbiamo ancora da temere tutto quanto essa ha fatto vedere nel passato più lontano?
Le nazioni che ricevono tali esempi dai loro prìncipi e dai loro pontefici, quali costumi
potranno seguire, quale giustizia potranno conoscere? Ignoranza, superstizione, fanatismo,
crudeltà: tutto è racchiuso in queste quattro parole. Basterà citarvi di tanto in tanto alcune
grandi linee nella storia e altre linee che si ripetono continuamente in tutti i paesi cristiani per
tanti secoli. Dopo l’epoca dello scontro dei popoli, delle continue invasioni e della decomposi­
zione dei poteri civili, ricordiamo lo stato di universale ingiustizia e violenza, di corruzione dei
costumi che prima portò a fissare l’anno mille come l’inevitabile fine di un mondo interamen­
te perduto. Passato il panico, che il clero ha usato per coprire la terra di chiese e monasteri, as­
sistiamo, se volete, allo spettacolo della lunga follia delle nazioni dell’Occidente che, pensan­
do alla salvezza in un altro mondo invece che alla giustizia e alla pace in questo, cercano tale
salvezza nel violento tentativo di conquistare una tomba e di sterminare gli infedeli. Pensiamo
alle miserie e alla catastrofe della prima crociata, alle infinite sofferenze delle altre. Non sono
ancora terminate con l’inevitabile sconfitta e con la perdita di tutti ì territori conquistati, che
la passione di farsi crociato si volge e si sfoga contro gli infedeli che sono nella stessa Europa;
qui incontriamo gli orrori della crociata contro gli albigesi. È sempre più che mai la Chiesa ro­
mana a stimolare lo zelo delle anime fanatiche, zelo che si porta fedelmente ovunque gli venga
segnalato il ribelle alla fede. Facciamo passare due o tre secoli, questo zelo sacro emerge in
Spagna nei misfatti dell’inquisizione delta fede, nello sterminio degli ebrei e, dopo la scoperta
dell’America, in tutti i crimini commessi da avventurieri o governatori del re, che prendono a
motivo o pretesto la conversione degli indiani. Le guerre di religione, i complotti, i massacri,
gli assassinii mascherati sotto la legge in Francia, in Inghilterra e nei Paesi Bassi sono effetti di
questo fanatismo popolare. Non possiamo pensare che i principi chiamassero al servizio delle
loro ambizioni, o in aiuto al mantenimento della loro autorità, passioni diverse da quelle che
conoscono nei loro sudditi c che a volte condividono. Ritroviamo queste passioni sanguinarie
nella guerra dei trenta anni, che ha coinvolto l’Europa intera e che è finita solo ieri e che po­
trebbe ricominciare con nuovi incidenti.
In queste linee che ho tratteggiato, che sono sempre uguali e che si ripetono nelle nazioni
cristiane, comprendo gli effetti spontanei della rabbia vendicativa e persecutrice generata e
nutrita a imitazione di quello che viene chiamato inferno e delle sue pene, l’ardore eia curiosi­
tà feroce verso lo spettacolo dei supplizi moltiplicati e raffinati. Comprendo in essé i massacri
degli ebrei (quale regno non ne ha avuto?), gli atti crudeli ispirati dalia vana credenza nella ma­
gia e nella stregoneria, le abominevoli pratiche di queste arti la cui finzione non elimina il de­
litto, il contagio di questa follia e gli orrendi processi che ne sono nati. Vi comprendo anche gli
odi e le persecuzioni di cui sono fatti segno gli spìriti che si elevano al di sopra del comune o
che si dedicano alle scienze e ricercano i segreti della natura e, infine, le rivolte che in ogni tem­
po scoppiano contro chiunque osi avere pensieri diversi da quelli comuni e da quelli della
Chiesa. 11 flagello dell’intolleranza non si è indebolito, si è anzi inasprito man mano che i non
conformisti sono diventati più numerosi e forti: il regicidio, ad esempio, cosa ben diversa
dall’antico tirannicidio, che era la rivendicazione della libertà dei cittadini e opera dei più no­
bili tra di essi, viene compiuto da uomini del più basso volgo e serve da strumento al manteni­
mento della schiavitù delle anime. Siccome i principi non hanno determinato questo carattere
dei popoli, anche se l’hanno assecondato e vediamo che esso persiste dopo tanti secoli di edu­
cazione degli uomini, di cui la Chiesa romana si è attribuita l’incarico, dobbiamo pensare che
l’ignoranza, la superstizione, il fanatismo e la crudeltà, che ne sono gli aspetti, o sono opera

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volontaria della Chiesa, o sono segni certi della sua incapacità di educare le anime nell Mntelll-
genza e nella buona moralità.
Forse penserete» senza che ve lo faccia fare io, che gli spettacoli dei roghi e cj|Jle torture di
cui si compiacevano la città e la corte durante i regni di Francesco l e Enrico II, ore processioni
di eretici da torturare con tenaglie roventi e da bruciare fatte dalPinquisizione spagnola, feste
solenni della fede a cui sì recano le folle e che i re, col cero in mano, decorano con la loro pre-
senza, equivalgono per crudeltà e qualità di attentati contro la vita umana, ai combattimenti
di gladiatori, di solito volontari, che la ferocia guerriera dei romani aveva istituito. Alto stesso
modo le celle e le segrete dei castelli e dei conventi, dove tanti innocenti hanno sofferto, e le
torture operate in fondo ai palazzi o sulle pubbliche piazze non hanno niente da rimproverare
all’infame spettacolo dei criminali abbandonati alle belve, di cui Roma, nella sua decadenza,
aveva introdotto l’uso. Il secondo dominio di Roma ha ereditato questa decadenza e Pha con­
tinuata. La pubblica crudeltà si è solo spostata e ha cambiato teatro; non pensate che Pabbìa
fatto volentieri. È vero che nel V secolo, sotto il piissimo imperatore Onorio, si dice che un
combattimento di gladiatori, Pultimo, sia stato interrotto dall’intervento di un monaco disgu­
stato dallo spettacolo, ma i combattimenti fra animali e fra uomini e animali, sono continuati
per fornire alimento alla passione di osservare gli altri in pericolo e vedere cadere il sangue. Pro­
prio nel Colosseo, durante il XIV secolo, numerose vittime caddero in uno di quei combatti­
menti di tori di cui i popoli cattolici del meridione hanno conservato fedelmente la tradizione,
quasi a mostrare che il sangue dei criminali non è il solo che vedono volentieri e che i supplizi
degli eretici non sono ancora abbastanza numerosi per accontentare la loro passione per gli
stettacoli crudeli.
Vi ho già parlato, in un altro senso, delle sfide e dei duelli di cui la cavalleria cristiana si
è tanto compiaciuta; voglio citare, a questo proposito, i tornei come una specie di combatti­
mento di gladiatori, differenti dagli antichi perche sono i signori a combattere e non gli schia­
vi; sono la testimonianza del barbaro culto della guerra, del disprezzo della vita umana e della
giustizia.
In un mondo tanto crudele, abbandonato alla violenza e a ogni tradimento, cosa può di­
ventare la vita cristiana e dove può rifugiarsi? Lo sapete, nel monacheSimo. I mali della vita ge­
nerano il disgusto della vita, perché le vergogne e le miserie della carne insinuano negli spiriti
di chi ne fa cattivo uso il pensiero che la carne è male, mentre solo la volontà può esserlo, e le
veglie, i digiuni, i flagelli sono risorse più facili per gli offesi e gli esaltati di questo mondo di
quanto non lo siano la rettitudine della vita e la santa lotta per la giustizia. Aggiungete il fatto
che i monasteri, formando una specie di società, danno una nuova occasione all’intrigo e
all'ambizione dei più pii, incapaci di distruggere in se stessi i semi di questi vizi, aprono una
carriera airipocrisia e, attraverso lo spirito corporativo, alimentano altre passioni migliori.
Ma le virtù dei monaci, quando sono virtù, non servono al mondo, il loro esempio non lo toc­
ca se non per indurre qualcuno ad abbandonarlo. Le loro esortazioni alla vita santa sembrano
venire dal di fuori e non producono un effetto analogo a quelle che, ai nostri giorni, lontani
missionari indirizzano a popolazioni delle Indie che hanno costumi molto diversi dai nostri e
non ci ascoltano.
Fin dal V secolo, quando Crisostomo e Gerolamo se ne fecero sostenitori e panegiristi, il
monacheSimo si distingueva per regole o attributi che in gran parte ha ancora: il celibato, l’ob­
bedienza passiva ai superiori, la preghiera meccanica, le macerazioni, le flagellazioni, la spor­
cìzia, la solitudine, la prigione per chi ha commesso errori, Tinquisizione sul pensiero, le visio­
ni, le tentazioni sataniche e gli abbigliamenti bizzarri. La solitudine è il solo principio di vita
monacale che, adattandosi col tempo alla dottrina che aveva appena istituito le milizie eccle­
siastiche, sia stato interpretato con molta libertà fino a sostituire quasi completamente gli anti­

190
chi anacoreti e gli antichi ccnobiti con ordini di mendicanti e predicatori che riempiono le no­
stre città. La regola del celibato non è stata attenuata, ma è stata estesa a tutto il clero attra­
verso razione continua dei concili e dei papi desiderosi di assicurare anime dannate alla Chie­
sa. Ne derivarono molti disordini e la cosa peggiore fu l’istituzione della direzione delle anime
c poi della confessione auricolare. In questo modo persone senza famìglia ebbero il governo
dei costumi, entrarono nel segreto delle persone e regolarono una castità loro sconosciuta; a
tutto questo aggiungete l’ingiustizia dei voti perpetui. Cerio è imprudente che una persona
alieni la sua libertà con un giuramento che vieta l’uso di facoltà lecite in se stesse e secondo na­
tura, le quali in seguito possono dar luogo a passioni ardenti, in sé legittime, ma impreviste e
divenire terribili occasioni di caduta e principi di perversità. E cosa si deve dire delle istituzioni
e delle legislazioni per le quali la costrizione materiale e il potere pubblico devono sanzionare
tali giuramenti? Sì possono immaginare abusi più mostruosi del cambiare i conventi in luoghi
di schiavitù per chi era diseredato dalla famiglia, un numero enorme di uomini e donne che i
genitori “ offrivano a Dio” ancora bambini per conservare tutti i beni e riservarli a persone più
favorite?
Non vi parlo degli ordini che sembravano fondati sul principio del lavoro e della coltiva­
zione delle terre; sfortunatamente i monaci con questa vocazione non hanno avuto un ruolo
molto importante sulla terra. Li potete dividere in quattro classi e vi basta la sola definizione
per ricavarne l’opportuno giudizio.
La prima classe è costituita dagli ordini più fedeli al primitivo sentimento dei Paolo, degli
Antonio e degli stiliti; sono votati alla solitudine, alla macerazione, alla contemplazione. Ca­
ratteristiche di questa vita monacale sono la rinuncia alla vita attiva, alla salute delPanima e la
ricerca della salvezza in un sogno pieno di visioni funebri e di immaginazioni sinistre. La secon­
da classe è quella degli ordini guerrieri, per esempio l’ordine dei Templari, quello dei cavalieri
di Malta e dei cavalieri Teutonici. La reciproca ripugnanza tra vita cristiana, anche nella con­
cezione più bassa che si possa averne, e azioni e costumi militari, azioni e costumi di chi tende
insidie e uccide per professione, è una contraddizione tanto grande che non fu ritenuta de) tut­
to superabile, Così non è stata superata e gli ordini guerrieri rappresentano un prodotto della
corruzione religiosa che ha portato a considerare la salvezza delle anime come opera da affida­
re alla violenza. Quando inquisitori e prìncipi accendevano i roghi per la fede, i monaci cava­
lieri potevano, per la fede, fare i corsari in Oriente e massacrare popolazioni intere in Prussia e
in Lituania; potevano anche combattere gli uni contro gli altri, diciamo per lo meno che questi
servitori di Dio non si sono sempre proibiti di dare un tale spettacolo agli empi. Nella terza
classe mettiamo gli ordini che insegnano, predicano, confessano ecc., come quello dei france­
scani, nei suoi numerosi aggruppamenti, e dei domenicani, il cui zelo e la cui scienza-hanno
fornito all’Inquisizione gli agenti principali. Rappresentano una vasta milizia spirituale che si è
dedicata da quattro secoli, da quando gli impulsi e le molle del potere ecclesiastico sono ap­
parsi logori, a sostenere l’oppressione della fede nel mondo, a inculcare il fanatismo, a rinno­
vare i miracoli, a modernizzare le superstizioni, a rafforzare le dottrine, a perseguire lo stermi­
nio degli increduli più che degli eretici. Conviene riservare in questa classificazione la quarta
classe ai gesuiti, i più zelami promotori e missionari particolari del precetto della pura obbe­
dienza e della fede passiva, a questi giannizzeri del trono romano di cui ordinariamente dirigo­
no i consigli da padroni e che pretendono di elevare a centro di unità, quale nessun dominio al
mondo ha mai avuto. Degli antichi monaci hanno conservato solo le apparenze necessarie a
salvare la tradizione sempre preziosa; infatti, invece della solitudine e della rinuncia che carat­
terizzavano gli antichi monaci, si sono dati una disciplina che è spirito di apertura universale a
ogni cosa del mondo per conquistarla impadronendosene. Questo spirito occupa l’intimità
delle famiglie attraverso la confessione e la direzione delle persone pie che desiderano accorda­

ci
re le vie della salvezza con la soddisfazione delle comuni passioni temporali; occupa i viali dei
palazzi e, per quanto può, gli stessi centri delle corti cattoliche, fornendo i ccxÉfessorì ai princi­
pi; assedia l’insegnamento pubblico e cerca di rendersene unico padrone, perché desidera, e se
ne ritiene capace» costruire per le anime ancora tenere un modello uniforme di pensiero, insi­
nuare in esse, come religione e morale più alla, la sottomissione di ciascuno al proprio diretto­
re e l’abbandono delle coscienze nelle mani della compagnia. Va dal piccolo al grande, non di­
sdegna nessuna conquista domestica e allarga la propria ambizione a tutto il mondo che spera
di sottomettere alla soggezione del papa e alla propria attraverso le missioni alPestero. Per de­
lineare questo spirito della compagnia, non voglio esporre dettagliatamente cose destinate a ri­
manere scritte nella storia delle dottrine teologiche e, contemporaneamente, in quella degli as­
sassini celebri, che sono stati appena divulgati con grande scalpore da Pascal con la pubblica­
zione delle Piccole Lettere. Voglio però farvi vedere, nelle sue enormi conseguenze e nella sua
interezza, il piano di composizione e direzione del mondo cattolico secondo il pensiero più pu­
ro di questa nuova aristocrazia sacerdotale o monarchia, se preferite, dal momento che ha la
ragione della propria unità nelPinfallibile monarca spirituale di Roma. Penso alle missioni del
Paraguai e al vasto Stato indio che ora i gesuiti governano e di cui hanno trasformato la civil­
tà; si vantano, non senza ragione del resto, di aver sostituito la civiltà alla vita selvaggia, di
aver costruito un regime di esatto e minuzioso comando delle persone e dei costumi sotto la
sanzione della frusta, di uniforme distribuzione dei lavori e dei frutti della terra secondo Par*
bitrio dei padri missionari. In tale governo vedete la fedele immagine di ciò che possono e vo­
gliono fare dell’istituzione cattolica quelli che, operando senza controllo su nuove anime, pos­
sono con tutta libertà costruire il loro franco modello politico. In una parola possiamo dire
che è assenza assoluta di regime civile e diritto di attribuire ogni sorta di beni e di grazie rico­
nosciuto ai servitori di Dio nel solo titolo supremo di dispensatori dei sacramenti.
Il monacheSimo così diffuso, trasformato rispetto alle sue origini, non più volto all’ab­
bandono, ma all’incatenamento e alla guida del mondo è, per chiamarlo col suo nome, lo stru­
mento della coercizione delle anime. Pensate almeno di avere una buona e solida garanzia
contro la schiavitù dei corpi? Riflettete bene su questo; la rinuncia delle coscienze alla direzio­
ne di se stesse e l’allontanamento dei cittadini dalla vita pubblica e dal reciproco controllo la­
sciano gli affari umani indifesi di fronte a tutti i tentativi: non mi riferisco solo all’onnipoten­
za di quelle persone in favore delle quali gli uomini hanno abdicato ai loro diritti, ma anche
all’impresa di quelli più malvagi e sbandati le cui azioni e i cui disegni non potrebbero essere
sufficientemente contenuti da un governo fatto di prediche, di confessioni, di penitenze e di
polizia ecclesiastica. So che alcuni pensano che la schiavitù del mondo antico sia stata abolita
dall’azione del cristianesimo. Anche se fosse vero, non sarebbe motivo di pensare che la reli­
gione degli apostoli, divenuta quella di Costantino e di Teodosio, quella dei vescovi, dei mo­
naci e dei papi non abbia potuto autorizzare, in un’epoca avanzata della sua storia, quanto in
altri tempi aveva sconsigliato. Tuttavia i giuristi che hanno studiato le leggi e le consuetudini
dei Romani nella loro decadenza, le rivoluzioni dei costumi per quanto riguarda il monopolio
della proprietà e la condizione delle persone, dicono che di norma il cambiamento delia schia­
vitù antica in quella cristiana consiste nel tenere queste persone legate alla gleba e nel non po­
ter vendere di norma le proprietà senza vendere anche gli uomini che le coltivano; questo cam­
biamento era iniziato da tempo e seguiva i progressi e il cammino imposto dalle leggi fiscali e
dalia crescente miseria dell’impero, quando la religione aggiunse ai precetti di uguaglianza na­
turale e di umanità, che da tempo la filosofia aveva insegnato, la predicazione della carità c
dell’uguaglianza davanti a Dio. Queste predicazioni non potevano liberare la classe degli uo­
mini che non appartenevano a se stessi in misura maggiore di quanto avrebbero potuto fare
quei precetti se fossero stati perseguiti a lungo e appoggiati dalla grande autorità degli stoici

192
durante l’impero senza che vi si aggiungessero riforme politiche. Purtroppo contro le invetera­
te abitudini dei popoli le pure dottrine hanno meno successo di quanto non si creda dì solito.
Chi vuole potrà farsi un'opinione della dolcezza dei trattamenti che potrà pensare sia stata
fatta nascere dalla predicazione della carità e delPumiltà cristiana nell'animo dei nuovi padro­
ni , cioè dei barbari al posto della durezza rimproverata ai romani attraverso la conoscenza del­
lo spirito di giustizia e di pace che la religione fu capace di comunicar loro in altri campi, dove
i loro costumi erano scritti nella storia in maniera più chiara. Non c’è mai stata tanta violenza,
tanta ingiustizia al mondo, non ci sono mai stati animi più feroci e perversi di quelli dei domi­
natori barbari, perciò mai, come in quest’epoca, possiamo esserne certi, i diseredati, legati alla
volontà sfrenala dei loro padroni sono stati in condizioni tanto misere. D’altra parte le loro
leggi ci mostrano chiaramente il valore attribuito all’anima dì uno schiavo, anche se riscattato
dal sangue di un dio come veniva loro detto.
Parlo dei servi della gleba e, siccome vi ho detto che i servi erano diventati dipendenze fis­
se delle proprietà invece di essere mostrati nel mercato, come una volta dopo le grandi guerre
o secondo le richieste del vasto commercio degli antichi e del lusso disumano delle loro case,
potreste credere che i servi domestici fossero del tutto scomparsi, almeno nel periodo in cui la
religione caratterizzava i costumi, così come caratterizzava ad esempio le nascite, i matrimo­
ni le sepolture, ma sarebbe un errore. Dovete infatti osservare in primo luogo che solo
nell’epoca feudale, e dopo l’anno mille, Pistituzione della servitù della gleba, la cui regola­
mentazione è stata interrotta e ritardata più che favorita dalla caduta delPimpero e dal disor­
dine delle invasioni, trovò il modo universale di sistemazione delle proprietà e delle colture. In
secondo luogo dovete sapere che il diritto di appropriarsi c vendere delle persone attraverso la
guerra fu conservato e esercitato costantemente secondo le usanze antiche; ne fa fede il costu­
me delle taglie, cioè dei riscatti dei prigionieri che, quando non hanno rappresentato un buon
guadagno per i vincitori, sono stati uccisi sul campo in ogni guerra. La mancanza di mercati
pubblici dove gli schiavi potessero essere venduti non rappresentava un miglioramento dei co­
stumi e un progresso della giustizia e della bontà fra i popoli, ma era causa di disumanità e
mancanza di garanzia per la vita dei vinti. In terzo luogo osserverete che la soppressione di
questi mercati pubblici era dovuta all’annientamento del commercio, alPinsicurezza delle
transazioni e delle strade e al fatto che i nobili, non vivendo in città ma sulle loro terre, aveva­
no i servi necessari a coltivarle e a servir loro tutto quello che era utile e si poteva consumare in
quei posti. Tutto ciò derivava dal numero di coloni che vi abitava per dovere ereditario e di co­
loro che, vagando affamati per la miseria dei tempi, venivano a offrirsi in servizio ai potenti a
qualsiasi condizione; ben presto poi tale rapporto diventava di completa schiavitù. In quarto
luogo si deve riconoscere che, non essendoci alcuna garanzia pubblica, ì servi erano anche
schiavi domestici, col dovere di soddisfare ogni richiesta dei loro padroni: fabbricare armi e
altri utensili, costruire chiese o fortezze se erano artigiani o lavorare la terra, che era il caso più
comune, in quinto luogo infine dovete osservare che la vendita e l’ uso dei servi domestici non
sono mai interamente cessati nell’era cristiana; le cause che potevano far diminuire l’impor­
tanza e l’estensione di questo commercio non erano tali da farlo completamente interdire e sa­
pete bene che, quando sono sopravvenute nuove cause, dalle quali sono nati una passione e un
interesse potenti e nello stesso tempo una possibilità di ristabilire i grandi mercati di schiavi,
nessun sentimento cristiano, nessuna proibizione della Chiesa hanno tentato di ostacolare tale
stato di case.
I signori hanno sempre avuto ì servi domestici necessari ai loro bisogni personali; chi
avrebbe potuto impedir loro di dare ai servi gii ordini o di assegnare gli impieghi più opportuni
o di farli pentire di ogni negligenza e sottomettersi? Si sono scambiati o hanno venduto i loro
servi quando avevano vantaggio; solo che la disposizione delle cose non poteva allora rendere

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frequente tale mercato. Si sono arrogati privilegi che hanno determinato abusi di signoria orri­
bili, che gli antichi hanno potuto giudicare. Anche dopo che l’istituzione di giurisdizioni civili
di competenza di poteri proiettori e Vemancipazione parziale dei comuni, pertin altro verso,
hanno dato agli oppressi garanzie di cui le buone parole del clero in loro favore non facevano
affatto le veci, in diversi paesi come l’Italia, la Spagna e il Portogallo hanno continuato a esi­
stere i servi domestici. Un commercio di schiavi è continuato con le regioni del Levante, in
ogni tempo uomini liberi sono stati rapiti e venduti anche da loro compatrioti dove la vicinan­
za del mare ne favoriva il commercio. Altri, presi ai levantini o di loro mano sono stati intro­
dotti nei nostri porti e nei nostri arsenali, anche il re di Francia ne ha nelle sue galere» Queste
linee sparse servono solo a mostrare che il regime cattolico romano, che ha guastato i costumi
del mondo in tante cose, per quanto concerne la schiavitù non li ha affatto migliorati, come
qualcuno vorrebbe credere. Purtroppo c’è di peggio, oggi vediamo il flagello della servitù dif­
fondersi in vastissime proporzioni e abbracciare attraverso il commercio regioni più estese, per
terra e per mare, di quanto non abbia fatto al tempo delle grandi conquiste dell’antichità. Nel
XV secolo, dopo cinque secoli che la servitù della gleba sembrava la sola istituzione universale
e il solo costume ovunque diffuso, i portoghesi sono arrivati dal rapimento di uomini bianchi,
praticato sulle coste africane, a quello dei nativi nei paesi di popolazione nera, rapimenti che
non sono più cessati e coi quali hanno istituito un enorme traffico. Le altre nazioni dell’Euro­
pa hanno seguito il loro esempio. Isabella la cattolica e il cristianissimo re Luigi XIII hanno
dato il loro consenso a questo commercio e allo sfruttamento regolare delle sorgenti che ¡’ali­
mentano sotto l’ipocrita pretesto, più odioso della franca confessione del delitto, di salvare
dall’idolatria le anime di questi miserabili incatenando i loro corpi. Questo commercio è servi­
to a ripopolare i regni delle Indie dove gli spagnoli hanno piegato ai loro fini i primi e deboli
abitanti, sottoponendoli ai più duri trattamenti degli schiavi. Così, da una parte, vediamo che
si sono costituiti nel mondo nuovi Stati che nella schiavitù hanno il principio fondamentale e
l’unica risorsa. In essi chi lavora viene venduto, comprato, tenuto nelle condizioni più brutali
che mai la storia abbia riferito. Dall’altra, vediamo che si è costituito un commercio che non
solo chiede la merce umana alla guerra, ma alle imprese belliche più ingiuste che sia possibile
concepire, dirette contro nazioni inoffensive al solo scopo di ricavarne degli schiavi. Anche i
nostri vecchi Stati sono minacciati da questa lebbra, perché chi fa la tratta dei negri, vedendosi
incoraggiato nella sua opera dai premi che alcuni sovrani gli accordano tenendo conto delle
colonie, ritiene lecita questa tratta e richiede alle polizie di alcuni regni di poter aprire
mercati di schiavi ovunque si trovino compratori; e ci arriveranno, non c’è dubbio, visto lo
stato delle cose (2). Certo, nelParrestare soprattutto alla nascita un male cosi orribile, l’auto­
rità cattolica romana avrebbe avuto, attraverso i mezzi ordinari della sua azione, un’efficacia
maggiore di quanta non ne abbia avuta nel tentativo di usurpare l’intero regno delle leggi.
Quindi bisogna concludere che non l’ha voluto.
E perché dovremmo stupircene? Pensiamo alla distanza e alla differenza di natura, per
così dire, fra la dottrina dell’uguaglianza davanti a Dio che la Chiesa predica, e la dottrina
dell’uguaglianza naturale secondo la giustizia e la ragione propria dell’antica filosofia. Chi af­
ferma l’esistenza di diritti naturali delle persone, come ha fatto il nostro Grozio, non per sacri­
ficarli quasi in ogni occasione alle usanze e giustificare la schiavitù una volta istituita, ma per
pensare che d ò che è eternamente giusto e buono deve essere ricercato dagli uomini o ristabilito,
se è stato perduto, con l’aiuto di tutti i mezzi giusti che sono capaci di condurre a qucll’obietti-2

(2) Cf, Wallon, D e f ’esclavage dans les colonies , p. LXXXV,

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vo, deve chiedere al legislatore di ricostituire la natura umana nella sua integrità attraverso la
politica» finché è possibile percorrere queste vie. Tale sarebbe stata» se avessero conservato la
suprema direzione degli affari umani, la volontà sempre più efficace degli antichi stoici, i cui
principi sulla natura e la ragione erano ben conosciuti e ai quali gli schiavi dell’impero romano
hanno dovuto la continua estensione delle garanzie che le leggi assicuravano loro. Coloro
che fondano la loro dottrina sulla sottomissione dell’uomo, caduto e umiliato e ai poteri
dell’arbitrio (solo la religione con la speranza del cielo può restaurare la giustizia e la sana na­
tura dell’uomo) non possono proporsi il perseguimento dell’equità su quest a terra che si fonda
sulla ragione e su leggi volontarie. Devono insegnare che ognuno ha interesse a mantenere fe­
delmente il posto e la condizione che la Provvidenza gli ha, dicono loro, assegnato. Poi devo­
no indurre tutti a forza di consigli, esortazioni e minacce celesti ad assolvere onestamente i pro­
pri incarichi: i ricchi nelle loro ricchezze, i padroni nelle loro signorie, i poveri nella loro po­
vertà e gli schiavi nella loro servitù. Le loro ingiunzioni, sostenute dal braccio secolare, asso-
gettano gli inferiori all’autorità dei superiori, specialmente quelli ecclesiastici, li allontanano
da ogni eresia e da ogni libero giudizio» Le altre sono materia di predica. Questa morale pare-
netica ha, naturalmente, sulle anime l’effetto che può avere e che le si riconosce: nessuno o
molto, a seconda del bisogno. Ogni corruzione della civiltà, degli Stati e dei governi temporali
trova la strada aperta. La storia della schiavitù ricostituita ne è la prova inconfutabile.
In sesto luogo dovete aggiungere, a quanto vi ho detto a proposito del regime delle leggi e
dei costumi, il fatto importante, già indicato, ma sul quale non è mai troppa l’insistenza, ca­
ratteristico di tutti questi tempi e che li oppone a quelle delle fondazioni, delle rivalità e delle
guerre delle antiche città: il sangue versato negli scontri dei prìncipi per la costituzione o la di­
struzione delle nazioni, è stato versato principalmente per motivi religiosi, sia che fossero vere
cause o pretesti di odio e di sterminio; l’oppressione dei popoli, la servitù, i tributi si sono
fondati volentieri sullo stesso motivo; aH’interno di ogni popolo, poiché non è facile governa­
re divisioni tanto profonde, qualsiasi limite abbiano, ogni setta ha lavorato per sterminare le
proprie rivali, quando disponeva del potere pubblico. Cosi è accaduto che le antiche unità na­
zionali e giuridiche hanno lasciato il posto a unità religiose, ma solo pretese, Il cristianesimo,
che doveva fare degli uomini un solo corpo in Cristo riducendo le barriere nazionali, ha impe­
dito a ogni nazione di costituire un corpo unito e ha conferito, attraverso il fermento dell’in-
tolleranza, un lievito attivissimo di guerre intestine e non.
Per trovare esempi delle prime possiamo risalire al momento in cui quelli che in un primo
tempo avevano richiesto solo la libertà per la propria fede sotto le leggi della república, e
questo avveniva al tempo def Cesari, divenuti loro stessi Cesari, mostrarono chiaramente che la
libertà reclamata era solo quella di attentare alla libertà degli altri. Dagli editti di Costantino,
di Valente, di Teodosio e di Giustiniano contro chi adorava gli antichi dei e contro i filosofi,
dalle reciproche persecuzioni dei cattolici e degli ariani, dalle spedizioni di guerra contro que­
sti ultimi nelle provincie in cui si erano insediati, dalla distruzione dei samaritani, dai supplizi
crudeli dei donatisti, dei priscillanisti e degli altri eretici che furono ordinati, dalle sommosse,
dai massacri e dalle proscrizioni dei donatisti in Africa, dalle scomuniche e dai bandi dei catto­
lici ad opera degli eutichiani e degli eutichiani ad opera dei cattoliti, dai concili definiti brigan­
taggi, dalle armate e dalle battaglie dei monaci, dagli assassinii e dagli incendi di cui i vescovi
dànno il segnale al popolo, da tutto questo fino ai roghi e agli assassinii dei protestanti, alle
guerre fra cattolici e protestanti in Germania, in Francia, nei Paesi Bassi, fatti accaduti dodici
secoli più tardi, agli orrori che li hanno segnalati ancora nel nostro tempo e alle dispute san­
guinose che noi stessi abbiamo visto fra arminiani e gomaristi, per tutto questo tempo potete
dire che la guerra civile è stata, in tutte le nazioni cattoliche, ininterrotta se si eccettuano quei
momenti che qua e là causavano il soffocamento più completo dei pensieri liberi e naturali de-

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gli uomini c il terrore che la setta dominante imprimeva negli spiriti. E le guerre tra nazioni so­
no nate continuamente dagli stessi motivi che inasprivano le comuni p a ssic i della guerra e
imponevano il silenzio agli interessi della pace. *
Questi orrori sono uguali sia nel tempo che nello spazio. Partendo dai confini dei regni
dell’Oriente per arrivare a noi, vedete che alle proscrizioni contro i cristiani in Persia o nei
luoghi delle loro conquiste, corrisponde lo sterminio che, nelle nazioni cristiane, perseguita
ogni dottrina che ha qualche rapporto con le opinioni dei persiani. Ne deriva una causa ordi­
naria di guerre fra i re di Persia e gli imperatori di Costantinopoli. In Africa i vandali, ariani,
restituiscono ai cattolici le atroci persecuzioni da essi ricevute, trasportano intere popolazioni
nei deserti, mentre altri amministrano con la forza il battesimo e a tutti i recidivi infliggono l'e­
stremo supplizio. I musulmani coprono a loro volta una gran parte del vasto campo dei dissi­
denti religiosi. Tuttavìa, più umani degli altri settari, pur ammettendo come uguali solo i fedeli,
impongono a questi solo una breve formula di adorazione dell’unico Dio; agli infedeli lasciano
resistenza civile, la loro fede e i loro costumi, con la sola eccezione per quelli che non hanno
una 4‘legge scritta’ * che, in quanto idolatri considerano, come i cristiani, degni di morte. Sot­
tomettono dunque l’infedele, ebreo o cristiano, solo a un tributo e a una specie di servitù ag­
gravata soltanto dal profondo disprezzo di cui la colmano e dagli insulti che il padrone ha
sempre la forza e l’occasione di far subire allo schiavo. Istituiscono questo regime in una parte
del mondo c le loro lotte continue con l’altra parie rappresentano un grande e lungo capitolo
della storia. Perché sono infedeli, molto più che invasori, sono dirette contro di essi le crociate
e le guerre moresche in Spagna, imprese che terminano col crudele sterminio delle nazioni mu­
sulmane più civili e con una persecuzione che supera di gran lunga tutto quello che i cristiani
ebbero mai a soffrire. Quando tutta la questione delle crociate finisce con un successo definiti­
vo dei musulmani che diventano padroni della Siria e dell’Asia Minore e entrano vincitori a
Costantinopoli, noterete che è ancora per motivi religiosi e settari che i latini rifiutano di aiu­
tare i greci nella difesa del comune baluardo contro l'infedele; infatti pongono al loro soccor­
so la condizione della fine dello scisma fra le due Chiese a profitto del papa romano e lasciano
così perire quelli che non possono schierare e sottomettere all’obbedienza a cui essi stessi sono
sottomessi.
Ritorniamo ai primi regni dei conquistatori barbari. È ancora la religione che li divide e si
aggiunge alle altre cause di scontro; infatti ogni re, che i vescovi hanno istruito, stima giusto e
meritorio servir Dio con la forza del suo braccio, piegando il nemico al vero battesimo, che c il
suo, I franchi che fra tutti questi barbari sono stati i più brutali, ma cattolici, vengono incitati
dalle loro guide spirituali a conquistare le terre dei prìncipi di Borgogna e visigoti, infinita­
mente più civili, ma ariani. Così, a detta degli storici, fu fondato il regno dei francesi; ma que­
sto regno venne rovinato più di tutti gli altri dai crimini e dall’anarchia che si protrassero per
parecchi secoli fino al momento in cui caddero tutti ¿iella stessa decomposizione finale alla
quale cominciò a mettere rimedio Carlo Magno con le sue conquiste e le sue numerose ordi­
nanze. II regno dei visigoti fu costretto, sotto il re Riccardo, a convertirsi al cristianesimo a
causa degli intrighi che il figlio, cattolico, e la nuova, franca di nascita, avevano sollevato con­
tro il re loro padre durante il regno precedente e insanguinato la corte. Da questo periodo
all’tnv&sione della Spagna da parte dei musulmani, si può dire che i preti abbiano governato il
paese, destinato a diventare nuovamente, più tardi, la loro principale cittadella. Nel 612 mo­
strarono in questo regno la grandezza del loro potere con la proscrizione degli ebrei, novanta-
mila dei quali furono battezzati con la forza, gli altri furono sottoposti alla tortura ed ebbero
confiscati i loro beni con la proibizione di andare in esilio. In seguito furono esiliati e conti­
nuarono a essere perseguitati. Nei loro confronti ebbero lo stesso atteggiamento anche i Mori,
non appena il passare dei secoli offrì loro la possibilità, con il fermo proposito di non lasciare

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/

in questa regione qualcosa che potesse elevare gli abitanti nella vita civile e nel libero studio
delle lettere.
Proprio in questo secolo, passando dal meridione al nord, incontriamo un prezioso esem­
pio di come veniva intesa allora la coscienza cristiana e di come, in fondo, viene ancora intesa
dai padroni della terra, sia preti che prìncipi: voglio parlare di un re del Sussex che, vinto da
un re di Mersia, in Gran Bretagna, accetta come condizione di pace l’obbligo di ricevere il bat­
tesimo c con lui i suoi sudditi, le cui anime, secondo l’opinione comune, sono alle sue dipen­
denze. Questo esempio ne vale mille, ma se vi sembra troppo singolare, pensate che quello che
anche ogni privato vuole ottenere da un altro privato, se può e non ha altri mezzi, anche con la
costrizione: voglio dire a farlo credere in ciò che lui stesso crede, o almeno farlo agire come se
vi credesse. È il principio dell’intolleranza. Guardate la grande disputa degli iconoclasti, che
dura per almeno tre secoli, dal VI al IX, e termina solo per ricominciare al tempo degli albige-
si, poi a quello dei protestanti, discussione che è sempre causa di tante azioni sanguinose e di
distruzione violenta, fino a coprire la terra di rovine. Togliete da questa disputa quanto è tipi­
co dei mezzi che i contendenti vi possono trovare, gli uni per consolidare il dominio sacerdota­
le sulle superstizioni, gli altri per liberarsene violentemente, considerate in essa solo le passioni
popolari prò o contro le immagini, contro chi le segue c chi le disprezza e riconoscerete allora
che runico fondamento di tutto questo c che un uomo che si rivolge agli oggetti del suo culto
attraverso alcune immagini, non ammette la possibilità di vivere in pace e giustizia con chi re­
spinge questo mezzo di edificazione; a sua volta l’altro è in guerra con lui per gli stessi motivi.
Come quei re di Mersia e del Sussex che si propongono, come condizioni di pace, la sottomis­
sione dei sentimenti dell’ uno alla volontà dell’ altro. L a schiavitù spirituale, da un lato o
dall’altro, sarà trasmessa dal più debole ai suoi discendenti, finché l’abitudine la renda loro
naturale. Cosi sarebbe vero il detto che la religione è venuta a portare la spada e non la pace
sulla terra, aspettando il giorno in cui potrà essere concesso alla spada di sottomettere tutte le
anime a una stessa incrollabile servitù.
1 prìncipi più grandi sono, naturalmente, quelli che operano su più vaste scale, distri­
buendo ai popoli la fede o la morte. L ’imperatore Carlo Magno, fondatore del papato politi­
co, fu uno dei più grandi. Suo padre, Pipino, aveva obbligato i Sassoni a ricevere dei missio­
nari incaricati di amministrar loro il battesimo con una mano, mentre con l’altra mostravano
verso occidente i franchi che avevano deciso di farli battezzare a qualunque prezzo. Dal mo­
mento che i sassoni opposero resistenza, Carlo in una prima spedizione incendiò e distrusse i
loro paesi; in una seconda poi in una terza spedizione battezzò intere tribù, in un$f quarta di­
stribuì le loro terre ai vescovi e ai monaci che da allora furono in grado di dare peso all’inse­
gnamento del Vangelo. Sono questi i predecessori di tanti preti sovrani della Germania. In
un’ultima spedizione Carlo Magno fece di nuovo migliaia di prigionieri che massacrò dal mo­
mento che il battesimo non era servito e decise di trasportare diecimila famiglie sassoni in fon­
do alle Gallie e le sostituì in Sassonia con famiglie di franchi fedeli. É il prezzo con cui fu pa­
gato il battesimo di Vitichindo e la conversione dei Germani alla legge deU’amorc.
Sembrerebbe quindi che nelPera cattolica la religione dovesse essere un frutto della vio­
lenza! Ricordiamo ancora le opere, stranamente apostoliche, di quei missionari che, sotto il
nome di cavalieri teutonici, evangelizzarono la Prussia e la Lituania; ricordiamo le imprese de­
gli ordini militari delle crociate e poi le stesse crociate contro gli eretici e, più vicino a noi, i
massacri affidati agli eserciti, coi pretesto del bene della religione in Boemia, in Valtellina, nel­
la regione dei valdesi. Per comprendere che le guerre che i prìncipi di solito si fanno non
hanno solo questi effetti, ma soprattutto quello di persuadere i cittadini privati che la pace so­
ciale esige la comunanza religiosa, comunanza cioè che verrà chiesta alla guerra, consideriamo
la parte dei popoli, d&i grandi signori fino alle più umili persone in questo fanatismo che li
i

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spinge gli uni contro gli altri c contro i loro compatrioti. Le guerre di religione della Francia e
dei Paesi Bassi ne sono l’ultimo esempio e completano la dimostrazione di uifg verità lunga
quanto la storia fin dalla decadenza del primo impero di Roma: la fondazione del cattolicesi­
mo romano è stata opera della forza. Simile è la nostra liberazione in qualsiasi luogo venga
tentata» liberazione che disgraziatamente conserva un forte fermento delle medesime passioni
sulle quali i protestanti trionfano solo se le condividono. È anche vero che i prìncipi si sono
serviti delPintolleranza dei loro sudditi più spesso di quanto non ne abbiano essi stessi subito
gli attacchi. Non potrebbe essere spiegata diversamente l’alleanza del re Francesco I coi turchi
infedeli mentre faceva salire sul rogo i cristiani migliori del suo regno; non potrebbe essere
spiegata la politica del figlio, Enrico II» che si era alleato coi protestanti della Germania e con­
duceva le dame della sua corte allo spettacolo della strappata, o l’accordo di Enrico III con
Enrico di Navarra contro la Lega Santa, o la guerra di Richelien, ministro di un re devoto e
cardinale della Chiesa romana, ardito difensore del protestantesimo all’estero e distruttore,
nel suo paese, delle garanzie che i protestanti avevano conquistato contro le persecuzioni
dell’autorità e del popolo. Questi sovrani che provano la loro libertà e apertura di spirito negli
affari degli altri, almeno finché pensano di avere interesse, erano ben lontani dal volere dimi­
nuire i semi del fanatismo o opporsi ai suoi frutti nei loro Stati. Avrebbero potuto farlo impie­
gando il potere pubblico solo nel conservare la libertà di quelli che, non pensando come la
gente comune, erano portati da un grande zelo a insegnare la carità e la verità a tutti, ma non
l’hanno voluto perché pensavano che il loro libero e assoluto potere sarebbe stato meglio asse­
condato dal comune avvilimento degli animi e dei caratteri, sotto il peso di una regola e di una
usanza popolare alla quale nessuno aveva il diritto di obiettare. Questa osservazione mi
porta all’ultima riflessione che voglio sottoporvi.
In settimo luogo dunque osserverete che, dal momento che la religione fin dall’inizio del
sistema cattolico, fu una potenza che non voleva unire gli uomini, come invece voleva far cre­
dere, ma dividerli e distruggere gli Stati, i sovrani hanno deciso di perseguire con tutti i mezzi,
giusti o ingiusti, l’unità religiosa tra i sudditi e sterminare chiunque osasse credere, in qualsiasi
campo, qualcosa che andasse oltre o contro la credenza autorizzata. Alcuni avrebbero ricevu­
to i loro domini dalie mani dei vescovi e avrebbero servito fedelmente la fede per la quale ave­
vano giurato, cacciando altri vescovi e combattendo altri prìncipi; altri avrebbero resistito a
queste ingiunzioni dei preti e a queste ingerenze dei monaci arrivando anche a degradare e a
imprigionare dei papi; nessuno trascurava di fare appello alla vera religione e al decreto stesso
del cielo, costrìngendo tutti a imitarlo, a seconda che gli piacesse affermare o negare qualcosa
sulla sostanza di questo decreto. Da una autorità ecclesiastica ricadevano in un’altra identica,
non essendo considerati capaci di prendere da soli una decisione o interpretazione che riguar­
dasse la coscienza; non potevano nemmeno limitarsi a definire i limiti dello spirituale e del
temporale, perché è un atto spirituale, in ultima analisi, vedete che solo per interesse costrin­
gevano i preti a limitarsi nei loro confronti; il prezzo della loro condiscendenza era lasciare i
popoli sotto la loro direzione e il loro comando per tutto il resto e per questo motivo mettevano
volentieri lo scettro al loro servizio. Da questa alleanza, turbata ma non rotta dalla perseve­
rante ambizione di una Chiesa che, poiché veniva riconosciuta come unica autorità spirituale
pretendeva giustamente di essere anche l’unica guida del corpo e della vita, da questa alleanza
che si è sempre retta con diversi compromessi sono nati i due maggiori flagelli della cristianità,
per il timore dei prìncipi di vedere i sudditi meno docili al loro comando una volta sfuggiti
al giogo di un clero alleato, anche se incomodo, e essersi dedicati a credenze che, abbracciate
più liberamente, rendono l’anima più fiera. L ’inquisizione sulla fede e le epurazioni religiose
praticate a viva forza sono i due flagelli.
L’Inquisizione cattolica non è soltanto lo spaventoso tribunale che ha dato vita dopo mil-

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leduecento anni di incubazione al suo esemplare più perfetto, è lo spirito cattolico stesso, co­
me si è mostrato fin dall’inizio nella storia di Satiro e di Anania, eliminati dalla Chiesa con
una morte violenta per aver tentato di mentire “ non agli uomini ma a Dio” , negli odi che per­
seguitarono l’apostolo Paolo e tentarono di escluderlo come eretico, nelle reciproche accuse
degli gnostici, in tutti gli oltraggi e gli anatemi di cui i Padri della Chiesa colmarono non solo
gli avversari, ma si scambiarono l’un l’altro. A mano a mano che i dogmi in qualche concilio
venivano redatti nel linguaggio di una metafisica per così dire giuridica e pretoriana, ogni ve­
scovo e ogni monaco esercitava per proprio conto una inquisizione sugli scritti o sulle paro­
le dell’altro cercando di coglierlo in fallo per ottenere una condanna che quest’ultimo cercava
poi di volgere contro i suoi accusatori, con l’aiuto di autorità alleate, di ragionamenti e di in­
trighi; tutto questo fino al trionfo, all’esilio o alla sottomissione ipocrita deU’uno all’altro. Il
fondamento dello spirito inquisitore poggia infatti sul pensiero che l’errore ostinato, la resi­
stenza all’autorità in materia di fede sono opera di un nemico di Dio, che deve essere ricerca­
to, messo in condizione di non diffondere la sua pestilenza e punito. Dovete solo aggiungere
quanto sopravviene col tempo: l’estensione della ricerca a tutti i sudditi di uno Stato e non so­
lo ai preti o dottori, la fornitura agli inquisitori di mezzi di costrizione per ottenere la rivela­
zione dei pensieri segreti, Pincoraggiamento ai delatori, le astuzie procedurali, l’orribile impie­
go delle torture e la crudeltà dei supplizi.
Traiano e altri imperatori pagani quando furono consigliati sulla politica da seguire verso
i cristiani, che allora erano nemici delle altre religioni c della libertà di quanti le professavano e
perciò meritavano di essere condannati, ordinarono che non si facessero sottili ricerche; se ve-
4 nivano denunciati per le loro azioni o altro, fossero perseguitati solo se avessero rifiutato la
sottomissione esteriore alle leggi o usanze delle altre religioni diffuse nell’impero, di cui d’altra
parte, come fautore di Ucronia, non intendo affatto prendere la difesa. Ma l’imperatore cri­
stiano Giustiniano, informato che nei ceti più alti come in quelli più bassi si nascondevano an­
cora dei pagani nel disprezzo degli editti dei suoi predecessori più zelanti desi­
gnò un vescovo della sua corte come inquisitore universale che obbligò ai battesimo settanta-
mila sudditi, facendo costruire novantasei chiese in grado di ricevere questi buoni neofiti. La
Samaria si oppose, cosa che non poteva essere fatta da uomini isolati, e perse quarantamila
abitanti, alcuni massacrati, altri venduti come schiavi e da quel giorno divenne un deserto.
Così le epurazioni dei popoli di cui vi ho parlato hanno lo stesso passo dell’inquisizione reli­
giosa: questa è sempre impiegata a eliminare ìe occasioni di peccato per gli individui, quelle
devono intervenire su masse come quelle dei paoliciani, dei sassoni, dei mori, degli albigesi e
dei protestanti con guerre, deportazioni, esili o massacri. Non dico nulla degli ebrei: sapete
che in tutti i paesi cristiani non è mai cessala la persecuzione nei loro confronti e sarebbe quasi
impossibile contare gli esili, gli assassinii, le confische di beni di cui sono stati vittime, come il
numero dei giudaizzanti o dei mori sospettati di essere recidivi che i tribunali dell'Inquisizione
hanno fatto morire.
Seguiamo intanto il progresso di quest’opera abominevole, assiduamente perseguita
per l’unità della fede. Nel corso di una prima epoca, che si prolunga fin verso la fine del XII
secolo i vescovi, confermati ail'occorrenza dai concili, giudicano i crimini di eresia. Alle loro
condanne i prìncipi uniscono effetti temporali che arrivano al rogo quando si tratta di quegli
eretici, numerosissimi e molto diversi come i manichei, considerati invincibili per natura.
Esempi ci vengono dai paoliciani, bruciati davanti alla chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli,
da quelle tredici persone di una setta analoga bruciate a Orleans davanti al re Roberto e alla re­
gina Costanza, fra le quali si trovava lo stesso confessore della regina che essa vilmente colpi
di sua mano mentre andava al supplizio. Altri eretici venivano frustati, perdevano i loro beni
ed erano colpiti di infamia nell’abbandono a cui ogni scomunicato era inevitabilmente con-

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dannato. A volte venivano esiliati, a volte rinchiusi rigorosamente. Í giudaizzanti, in partico­
lare in Spagna, dopo essere stati frustati venivano privati dei loro bambini in c a u z io n e del
decreto di un concilio di Toledo. Ai popoli convertiti erano imposti sacerdoti e giudici secon­
do l’esempio di Carlo Magno verso i Sassoni rimasti nel loro paese. Venivano obbligati ad ave­
re dei prìncipi battezzati se li avevano cacciati, come successe ai boemi che per tanto tempo e
più volte hanno subito la violenza del fanatismo straniero fino a diventare completamente si­
mili ai loro oppressori. Ma ciò che rendeva orribile in tutti i territori sottomessi al controllo dei
preti, le condizioni degli uomini che, dopo Pabiura esteriore delle antiche credenze e dei costu­
mi o dei particolari punti di vista, possiamo immaginare poco attaccati alle dottrine di chi fa­
ceva così violenza alle toro coscienze, era il fatto che denunce e persecuzioni rappresentavano
un merito dei privati e anche la Chiesa, visti tali meriti di fede, assegnava loro dei vantaggi sul­
la salvezza eterna. I papi promisero ai cristiani impegnati nella “ guerra santa” indulgenze
apostoliche e perfino finterà remissione dei peccati; ed essi, dopo aver “ preso la croce” co­
me insegna degli stupri e degli assassinii, commisero delitti più abominevoli di quelli che rap­
presentano il tessuto comune di ogni guerra. Come guadagno per chi denunciava ogni atto o
parola contro la fede furono proposti anche beni spirituali oltre a quelli temporali che prove­
nivano dalla confisca delle proprietà degli eretici. Alla delazione furono promesse ricompense
divine che i tiranni più crudeli non avrebbero mai immaginato di potere usare come sostegno
alla tirannia. Interi popoli, moltissime famiglie di ebrei o di mori convertiti con la forza rima­
sero sotto il giogo del terrore dell’inquisizione inculcato in tutte le anime fedeli e dei frequenti
roghi su cui venivano fatti salire i recidivi alla presenza della folla e dei re.
Questi sono i principi immutabili del papismo, applicati sempre dove la milizia papale
esercita liberamente il suo mestiere di esercito spirituale. La crociata contro gli albigesi ha
messo in evidenza questi principi in tutta la loro forza e la loro estensione. Da questa guerra,
la cui memoria infanga il nome stesso di guerra, è uscito il tribunale propriamente detto
delPinquisizione. Vi si trovano tutte le caratteristiche del mondo che viene dopo Pimpero ro­
mano e che sono cresciute continuamente fino a questa crociala: la fede fissata solo dal prete e
alla quale i fedeli sono costretti, pena il supplizio; la tortura per far confessare Peresia; la let­
tura delle Scritture proibita proprio da coloro che le chiamano Sacre, perché altrimenti non
avrebbero avuto alcun titolo su cui fondare il loro predominio; ogni opinione, ogni pensiero
ragionevole e di buon senso in grado di spiegare delle credenze, duramente condannato e pro­
scritto; i padroni, nel campo spirituale come in quello temporale e questi ultimi sotto la pena
di essere trattati come gli eretici, obbligati sotto giuramento a esercitare una sorveglianza con­
tinua e rigorosa c a prestare man forte alla Chiesa; le città considerate solidali col delitto di
quei cittadini che vìvono o pensano diversamente dalla maggior parte dei cattolici Pobbligo
per ogni persona della denuncia, anche dei figli nei confronti dei padri (essi avrebbero cosi
conservato i beni e gli onori che la condanna dei genitori avrebbe fatto loro perdere); la milizia
speciale dell’ordine di Domenico di Guzman chiamata, senza pregiudizio per l’azione di tante
altre milizie, a perseguire con prerogative sacre la complessa opera di predicazione e di
persecuzione; il cieco fanatismo delle provincie spinte le une contro le altre, incitate a distrug­
gere quelle che avevano conservato una vita intellettuale e civile e un pensiero più libero; infi­
ne il brigantaggio dei grandi che fa precipitare negli orrori della guerra di religione l’appello
del papa, la passione della rapina e quella dell’unità della fede. Perfino gli impegni che posso­
no esser presi verso gli eretici vengono dichiarati nulli dai papi; cosi la religione nelle sue con­
quiste va anche oltre la barbarie.
Principi che a ragione in quell’epoca potevano essere considerati nemici dei preti, un Fe­
derico 1 e un Federico II, approvarono i concili in cui fu organizzata questa crociata universa­
le. La definisco universale perché la guerra contro gli albigesi è proprio l’esempio perfetto del­

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le imprese che in ogni luogo i preti hanno compiuto o fomentato contro la libertà delle anime.
Da questo è derivalo il tribunale delPInquisizione i cui principali attributi sono l’istituzione di
una giurisprudenza speciale che sostituisce quella dei vescovi nel giudicare i delitti contro la fe­
de e di una procedura che riunisce tutte le iniquità che possono far condannare non solo un in­
nocente, ma anche chi non ha mai pensalo quello di cui lo si accusa. Sono cose già note che ri­
corderò semplicemente. Questo tribunale fu istituito da papa Innocenzo IH nella Gallia meri­
dionale, regolamentato dai suoi successori, trasportato subito dopo in Italia, poi in Spagna e
in altri paesi dell’antico e del nuovo mondo dove continua a far strage di abitanti, eliminando
tutti quelli le cui idee possono fare ombra al cattolicesimo. Solo in Spagna, secondo alcune
persone bene informate che ora abitano nelle nostre provìncie, nell’ultimo secolo, il XVI, e
negli ultimi diciotto anni del precedente, quando fu inquisitore il famoso Torquemada, sedici
tribunali avrebbero condannato al rogo più di venticinquemila accusati e oltre duecentocin-
quantamila sarebbero stati i condannali alta pena dell’infamia, alla prigione a vita e alla confi­
sca dei beni. Aggiungendo a questo numero le persone bruciate dopo la morte o, in effigie do­
po la fuga, arriveremmo alla cifra di quasi duecentomila famiglie distrutte in questo periodo.
Se qualcuno fosse curioso di conoscere la globalità dei danni di questo regno dovrebbe aggiun­
gere ancora gli ottocentomila ebrei esiliati dalla Spagna sotto Ferdinando il Cattolico e i molti
ebrei e mori battezzati che, vivendo nella continua paura a causa dell’ Inquisizione c delle dela­
zioni interessate di chi frequentava il Santo Uffizio, malgrado le proibizioni, riuscirono a ven­
dere i loro beni e abbandonarono il paese e infine il milione di moreschi, non furono di meno,
esiliati in una volta con infiniti disagi soltanto cinquantanni fa, sotto Filippo III. Egli potrebbe
formarsi un’idea completa del lavoro dell’Inquisizione aggiungendo ancora, a tutto questo, le
vittime del primo periodo di questa istituzione nei secoli XIII, XIV, XV in Francia, in Italia,
in Spagna e in Germania e poi, nel secondo periodo, le vittime di Città del Messico, di Lima,
di Cartagena delle Indie e di Napoli, di Milano e delle Fiandre, città tulle sottoposto alla co­
rona di Spagna, sia che gli inquisitori vi si fossero stabiliti definitivamente o che fosse corso
del sangue per portarveli. Ma non è possibile contare i gemiti, le lacrime, i singhiozzi le impre­
cazioni e le preghiere nelle prigioni, nelle famiglie, nella miseria e nell’esilio; non è possibile
contare le torture degli innocenti e la continua decimazione delle nazioni alle quali vengono
strappati coloro che osano pensare e che diventano, nelle mani di quelle guide, greggi senza
forza e senza virtù.
Non ignorate infatti, poiché è la storia del paese dove il vostro nonno fuggendo l’inquisi­
zione romana ha trovato un po’ di libertà, come il cattolicesimo e la corona di Spagna abbiano
perseguitato queste Provincie Unite, come oggi le chiamiamo, nelle quali sono state coihmesse
tante atrocità per sottometterle aJl’unità della fede. Non ricorderò quindi il Consiglio di san­
gue, le guerre dei pezzenti, i dolori di ventimila famiglie e la fuga di tanti nostri concittadini, i
migliori, obbligati a cercare in terre lontane la libertà della coscienza. Conoscete anche, dalla
storia del paese d ’origine della nostra famiglia, i sessanta anni di assassini! compiuti dai nobili
cattolici, dai monarchi e dai parlamenti in nome dell’unità della fede, cominciando dal suppli­
zio di Anna di Bourg e degli altri luterani o calvinisti, sotto i regni di Francesco l e d i Enrico
II, fino alfeditto di Nantes, promulgato alla vigilia di questo secolo. Conoscete la condanna a
morte di tutto un popolo, decretata dal parlamento di Aix-en-Provence, e la spedizione milita­
re che per ordine del re distrusse ventiquattro città o villaggi della regione di Venosa e abban­
donò al fanatismo dei soldati e della plebaglia papista, vale a dire al massacro, allo stupro,
all’incendio, alle galere e anche alla schiavitù quanto rimaneva di coloro che furono persegui­
tati da Innocenzo III e dai suoi successori. I pochissimi che riuscirono a salvarsi furono stermi­
nati qualche anno dopo con altri valligiani del Piemonte da un governatore di Milano al servi­
zio della politica di grandezza di Filippo II, mentre il viceré di Napoli completava il massacro

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distruggendo le loro città in Calabria, città che fino a Qual momento erano riuscite a salvarsi.
Conoscete Porrendo massacro di protestanti compiuto nella chiesa di Vassy iri^Francia, che
rappresentò il segnale delle guerre di religione, per l’ambizione del duca Francesco di Guisa e
la violenza dei predicatori cattolici, il tradimento e il massacro della notte di S. Bartolomeo, il
cui orrore non può essere espresso in alcuna lingua. Conoscete gli anni della Santa Lega, che
non rappresentano solo il periodo della follia di un popolo, ma degli assassina ordinati da
prìncipi, tramati all’uscita del confessionale e giustificati dalla Chiesa. Infine, per coronare il
tutto, conoscete l’apostasia di Enrico IV, la sua vile sottomissione alle buffonate che gli furo­
no ordinate dai persecutori di sempre, da quelli che avevano ucciso i suoi amici. È certo che
questo re volle agire male per fa re bene, come ebbe a dire di lui la regina Elisabet ta; ma è
un gioco pericoloso c non può essere ammesso. Concesse, è vero, ai seguaci della religione che
aveva abiurato le libertà dclPeditto di Nantes, ma le libertà date da un re, possono essere revo­
cate da un altro finché dura la stessa politica, quella dell’unità, che è sempre buona per i re,
perché rende schiavi i loro sudditi. Sarà questa la politica che, quasi certamente, verrà attuata
da un qualche nipote di Enrico IV, non appena si sentirà ben sicuro sul trono.
Gli stessi furori religiosi hanno colpito la Gran Bretagna, ma potremo dire che avranno
avuto un esito migliore se ci fosse la certezza che l’uomo che governa questa grande nazione
protestante col titolo di Protettore abbia la possibilità di compiere un lavoro che sarà prose­
guito oltre la sua morte, così come ha avuto la possibilità di porre fine alla guerra civile. Ricor­
diamo che l’Inghilterra ha subito il regno cattolico di Maria la Sanguinaria, dopo che re e par­
lamento insieme sembravano aver distrutto in questa nazione l’autorità del papa; che dopo il
regno della grande Elisabetta e di Giacomo Stuart, che discuteva con accanimento di teologia,
che predicava almeno con l’esempio la libertà di coscienza, questa nazione è stata colpita dalle
persecuzioni di un re deciso a stabilire il potere assoluto della corona e dei vescovi; che gli uo­
mini migliori sono stati costretti a fuggire dalla loro patria, a cercare una sistemazione per le
loro famiglie oltre l’oceano e gli altri sudditi hanno dovuto scegliere di sottomettersi alla servi­
tù dei vescovi c del re o gettarsi a testa bassa in una rivoluzione e in una guerra civile che, come
tutte le guerre civili, guarendo il popolo dai suoi mali ne porta molti altri, senza garantirlo dal
ritorno di quelli da cui c guarito. Chi può assicurarsi che dei discendenti di quell’antica fami­
glia di Scozia, riportati sul trono dopo la morte del Protettore, non abbiano più la possibilità
di riprendere l’opera di Carlo Stuart e forse anche quella di MariaTudor? La dottrina fanatica
dell’obbedienza connaturata ai preti o al re ha ancora seguaci di ogni genere e nuovi argomen­
ti probanti le vengono dallo spettacolo degli inevitabili disordini che le rivoluzioni portano
con sé. Se volete conoscere questi argomenti, elaborati da una mente rigorosissima e sottile,
leggete i libri del Cittadino e del Leviatano che Hobbes, precettore degli Stuart, ha pubblicato
ultimamente nel suo esilio in Francia.
Non ho alcuna intenzione di nascondervi le ingiustizie con le quali i protestanti, come
ogni altro oppresso dalla Chiesa o da un principe, hanno risposto agli attentati dei loro perse­
cutori; perché dovrei farlo? Le violenze dei nuovi iconoclasti non sono da giustificare, come
non lo sono i delitti di tutti i capi banda in guerra, o le aspre discussioni che i teologi risolvono
facilmente in argomenti di ferro e di fuoco, perché hanno un potere reale gli uni sugli altri. So­
no effetti di un unico lievito che fermenta nel cuore degli uomini, un lievito che si è formato in
Occidente tanti secoli fa, nel periodo e nelle circostanze che l’autore di Ucronia ha descritto
efficacemente c che è stato poi nutrito e conservato con cura da tutte le autorità dellaChiesa
cattolica, difeso con la penna, la spada e il rogo contro ogni mescolanza che avrebbe potuto
indebolirlo e immesso perfino nei sangue dei figli dei sudditi dei prìncipi cattolici. Come po­
trebbero dei ribelli usare da molto tempo, anche nelle loro rivolte, lezioni diverse da quelle che
hanno ricevuto? A stento avranno un sapere diverso c precetti diversi da quelli dei loro padro­

202
ni, le stesse passioni li spingono a pratiche identiche* Potete mettere sullo stesso piano il sup­
plizio di Serveto, ordinato da Calvino a Ginevra, o le persecuzioni di tanta gente sconosciuta
di cui non sappiamo nulla e i supplizi di un Giordano Bruno, di un Vanini, per citare solo due
contemporanci, c l’abiura forzata di un Galilei inginocchiato davanti al tribunale del Sant’Uf­
fizio di Roma. Da una parte e dall'altra vige una sola tradizione e un solo sistema, la costrizio­
ne delle coscienze c l’unità della fede. Ma possiamo dimenticare che il partito al potere ha usa­
to abitualmente, dal concilio di Costanza fino alla notte di San Bartolomeo i patiboli, i mas­
sacri e i tradimenti contro chi rivendicava i diritti della coscienza, che ha sempre usato la rap­
presaglia? Anche se per tutto questo dobbiamo risalire nella storia e ricordarci sempre che da
Costantino a Filippo II, l’Inquisizione» o almeno il suo tribunale, i suoi dogmi, le sue massime
e le sue sentenze nelle mani dei vescovi e dei prìncipi, sono stati i soli maestri degli spiriti. Per
cambiare il mondo c necessaria un’educazione diversa e il mondo dovrà darsela da solo per la
corruzione e la malvagità della maggior parte di coloro che governano i popoli.
Da una violazione del giuramento fatto ai protestanti con la conquista della Boemia a
vantaggio del cattolicesimo, con la distribuzione delle terre c delle magistrature al clero, col
massacro dei protestanti in una provincia delle Alpi rivendicata dal re di Spagna, iniziò la
grande guerra di Germania che è finita dieci anni fa. Grazie all’intervento delle nazioni prote­
stanti del nord e di un ministro straniero che ha saputo, pur essendo prete, non essere cattolico
fuori dei territori del suo padrone, la guerra, la crociata, fu tale dai momento che i monaci
brandivano il crocefisso alla testa dei battaglioni, ha visto un numero di crimini dei capi, di ec­
cessi causati dall’indisciplina delle truppe, di miserie e di orrori per chi voleva la pace non mi­
nore di quello che ha caratterizzato la crociata contro gli albigesi o di quello delle bande dei
pellegrini di Pietro l’Eremita in Ungheria e il suo esito non ha dato all’impero c al papa, allea­
ti, ragione di rallegrarsi. La Germania protestante, i Cantoni svizzeri, le Provincie Unite han­
no conservato le loro libertà o le hanno aumentate e garantite c numerosi beni e domini di
grande estensione della Chiesa, una volta secolarizzati, sono entrati a far parte di Stati dove
papa c vescovi non hanno una giurisdizione diretta. Ora che abbiamo assistito alla pace dì
Munster dobbiamo forse pensare che questa lotta, la più terribile di tutta la storia, la sola ve­
ramente fondamentale in mezzo a tanti accidenti che ne turbano o ne interrompono il corso
senza fermarlo, sia venuta così a finire sotto i nostri occhi? Dobbiamo pensare che il cattolice­
simo rinunci al suo sistema della fede obbligata, o che nel potere temporale trovi solo stru­
menti non docili, e che i popoli camminino ormai senza ostacoli sulle vie della libertà e della
giustizia, da cui la Chiesa c i prìncipi fi hanno allontanati violentemente quando vi si erino in­
camminati al tempo degli albigesi e dell’istituzione dei comuni? Credere questo significa ab­
bandonarsi all’illusione di chi vuole vedere solo nel suo secolo il risultato di tutti i secoli e tro­
vare per primo la pace e la contentezza dove i suoi antenati hanno avuto solo combattimenti e
dolore. Significa anche accontentarsi di poco poiché la Riforma, l’applicazione alle lettere c
allo studio delle scienze non hanno affatto elevato i propri cultori a una condizione in cui, non
avendo più nulla da temere dalle imprese di chi li odia, possano fare qualcosa per cambiare i
pensieri e i costumi di chi è in grado di usare la forza. Dal momento che le passioni dell’intolle­
ranza sono rimaste quasi le stesse e i principi che la maggior parte degli spiriti professa, sono
sempre in grado di giustificare queste passioni, le libertà in Europa hanno una costituzione
precaria. Da una parte, se guardate gli Stati cattolici, ne vedete parecchi che continuato a esse­
re governati dall’Inquisizione e da principi che sono strumenti della Chiesa cattolica c delle sue
milizie, mentre pensano di usarla come strumento di potere: in questi Stati il crimine organiz­
zato funziona sempre, si chiama giusto ordine e vita cattolica; negli altri, vedete che la libertà
di credere, di pensare e di parlare non impedisce in parecchi casi, anche in questi momenti, i
più crudeli supplizi di alcuni imprudenti, perché deriva solo dal semplice permesso di monarchi

203
o di ministri che hanno tutta l’autorità di proibire quello che un tempo hanno considerato uti­
le permettere. Le circostanze potranno poi dar loro il pretesto per metter fine a questa intolle­
ranza e il fanatismo di molti sudditi potrà render loro più facile la repressione degli altri, spinti
a quest’opera dalla costante sollecitazione dei vescovi, dalla cieca passione dei politici appas­
sionati dall’idea dell’unità dello Stato e pronti a pagarla con la sua rovina. Dall’altra parte, se
guardate gli Stati protestanti, vedete facilmente che le loro sette, sia quelle dominanti che
quelle dissidenti, sono animate da sentimenti di esclusione e di odio che hanno ereditato dal
cattolicesimo e sono disposte a interdirsi reciprocamente con le leggi o a distruggersi attraver­
so il braccio del sovrano. Questi, a sua volta, per la passione dell’unità ricordata, ha di norma
il fermo proposito di cacciare quelli che non condividono la sua fede; non solo di cacciare i
cattolici, cosa che potrebbe essere giustificata dal momento che sarebbero i soli a non voler
sopportare sette diverse dalla loro, a minacciarle tutte e, con esse, lo Stato ma ha il proposito
di perseguitare i sudditi che desiderano solo la libertà di rendere a Dio un culto secondo il loro
cuore e di diffondere i loro sentimenti con la parola. Non basta raffigurarsi le condizioni di
ogni repubblica, a proposito della servitù in cui i sudditi sono tenuti gli uni dagli altri e dalla
potenza dei re e dei magistrati che li governano, bisogna pensare anche che i trattati coi quali
hanno posto tregua alle guerre di ambizione e di religione mantengono gli Stati in un equili­
brio instabile. Siamo ben lontani da quella pace solida o profonda che sarebbe favorita dal ri­
conoscimento reciproco dei principi di comune civiltà, di un’unica giustizia politica attraverso
l’istituzione del diritto universale dei popoli. Invece resta aperta la via a chi vorrà rinnovare le
imprese della monarchia universale; e il cattolicesimo ha conservato e in alcuni punti ha anche
rafforzato la posizione che gli permette di fornire i mezzi più efficaci e di sperare di cogliere i
frutti più certi di una conquista che invoca per realizzare l’unità della fede e delFimpero. Una
fides, unum imperium; questo è il costante motto di Roma, sempre pronta a consacrare il con­
quistatore che vorrà porle ai piedi le proprie conquiste.
Questa è la triste realtà ultima, questo è quanto rimane di quel regno durato mille anni,
anzi molto più di mille anni, che ci è stato dato invece di quello dei santi, nel quale gli antichi
cristiani speravano con la prossima venuta di Cristo sulle nubi del cielo! Questa è la verità del­
la storia che ora potete confrontare con le immaginazioni cosi belle e disperanti delle possibili­
tà che l’autore di Ucronia si compiaceva di costruire nel carcere prima di salire sul rogo, pri­
gioniero dell’ Inquisizione romana. Sognava quello che gli uomini avrebbero potuto fare da
uomini liberi se avessero esercitato la loro libertà in tempo, ispirandosi a buoni ragionamenti.
Vi ho appena detto quello che hanno fatto, quali relazioni hanno creato portandoci, una volta
perduta l’antica civiltà dopo tanti secoli, al punto di confusione in cui ci troviamo con un’im­
magine dell’ordine e della verità politica rimaste in un lontano passato e deboli speranze in un
avvenire lontano del nostro Occidente nel quale la religione dei roghi non potrà più diffondere
nel mondo le sue fiamme e il suo fumo.
Religione, cari figli, è l’ultima parola che arriva sulla mia penna proprio per iniziare con
essa un’ultima e necessaria osservazione sulla quale vi prego di meditare. Leggendo queste pa­
gine che scrivo per voi potreste immaginare, se non conosceste tanto bene i miei sentimenti su
Dio e l’anima e il mio rispetto per ogni fede sincera, che le ho scritte contro la religione. La let­
tura di Ucronia potrebbe darvi la stessa impressione, se non foste in grado di giudicare l’inten­
zione dell’autore quando ha mostrato il ritorno della religione di Cristo in Occidente dopo
l’affermazione definitiva delle sane istituzioni politiche che l’avevano epurata dal fanatismo e
ridotta al suo stato di mistero divino, dove non c’è posto per una fede alla quale essere obbliga-
gati, né per l’ambizione di costruire e governare un impero. Così il nostro libro di famiglia sa­
rebbe per voi occasione di scandalo e se per rispetto ai vostri avi non osaste distruggerlo, avre­
ste però paura di porlo vicino a quello delle famiglie cristiane, nel quale esse hanno trovato la

204
possibilità di conoscere la giustizia e la resistenza contro i nostri oppressori. Ma significherebbe
comprendere male il mio pensiero, quello di mio padre e del suo maestro. Avremmo scritto contro
la religione! Come sarebbe possibile dal momento che non abbiamo scritto sulla religione, ma
solo contro le regole ingiustamente autoritarie e dispoticamente poliziesche che si fregiano di
questo nome? Tutt’al più abbiamo scritto contro superstizioni capaci di abbassare le anime e
divinizzare il potere usurpato dai preti che tutte le chiese protestanti vogliono bandire dal loro
seno. Abbiate dunque sempre presente nel vostro animo la distinzione profonda tra queste
due cose: da una parte il sentimento della fede, i suoi oggetti sacri, Tunione dei cuori nelle fa­
miglie e nelle Chiese di chi, allevato nello stesso culto divino e nelle stesse credenze sul destino
delFuomo, le professa liberamente; dall’altra le istituzioni che l’orgoglio, l’ambizione, l’erro­
re e la menzogna hanno introdotto nel mondo per usare la fede come semplice strumento
di un dominio ingiusto sugli uomini e per piegare un tale dominio alla sistemazione di una fede
obbligatoria e di una religione falsa che deve essere forzatamente professata e che può essere
solo abominio agli occhi di Dio. È stupefacente vedere come sia misconosciuta una differenza
tanto grande fra la religione e ciò che i nostri pastori chiamano con questo nome, finché non
sono perseguitati essi stessi, come la consuetudine può deformare le conoscenze più natural­
mente impresse nel nostro animo. E poiché solo il tempo può distruggere la sua opera, non po­
trei sperare che i pensieri che vi confido possano essere presto esposti al mondo con utilità, co­
me anche il voto che la confessione di questi pensieri non creasse pericolo a chi li divulgasse.
Ma voi almeno potete comprenderli e render loro giustizia se, aggiungendoli alle altre lezioni
che avete ricevuto da me e non tralasciando la distinzione che vi raccomando, leggerete
Ucronia e le note storiche che ho redatto con la stessa convinzione dell’autore di questo libro e
che oggi è condivisa da parecchie nostre Chiese: che l’uomo non è comunque determinato dal­
la necessità a comportarsi in un determinato modo, ma che molte cose che sono successe per la
sua azione, in realtà avrebbero potuto non succedere e molte cose che non sono successe sa­
rebbero potute accadere portandosi dietro infinite conseguenze che darebbero a noi, uomini
di questo secolo, un mondo diverso da quello che abbiamo c forse migliore.

Fine della seconda parte dell’appendice.

205
Terza parte dell’Appendice
Nota finale del nipote
Terzo depositario del manoscritto (1709)

Chiunque tu sia, lettore di questo manoscritto, hai appena visto quale timore aveva colui
del quale riprendo la penna in un momento di estrema afflizione. Egli sapeva che la pace, con
la quale era terminata la lotta della Francia e dei principi protestanti contro le mire continue
della politica papista verso la metà dell’ultimo secolo, era favorevole solo a metà, lasciava
l’Europa con garanzie ancora deboli nei confronti delle nuove imprese e lasciava quanto mai
esposti i popoli, che vivono all’ombra dei preti, a essere strumento di ogni monarca con pro­
positi di conquista e di dominio universale confortati dall’ambizione dei preti e dall’ardore dei
sudditi. Sono passati cinquanta anni dal momento in cui mio padre aveva queste paure nel suo
cuore incerto; ma ne erano passati solo una dozzina quando il cristianissimo re Luigi XIV in­
vadeva l’Olanda e la costringeva a allagarsi per sfuggire alle sue armi. Questo re nella sua
azione insolentemente usurpatrice aveva la complicità di un re di Inghilterra protestante che
egli pagava per tradire il suo popolo. Dopo questi momenti, mio padre ha vissuto ancora ab­
bastanza per assistere all’apogeo delle grandezze e delle prosperità di una specie di corte asiati­
ca che risiedeva a Versailles e allo svolgimento di ciò che la Francia, ingannata, chiamava sua
gloria, gloria pagata un prezzo troppo alto allora e dopo. Ha vissuto abbastanza per vedere
l’orgoglio delirante del sovrano assoluto, padrone delle persone e dei beni, che non era soddi­
sfatto se non costringeva tutti a regolare la propria coscienza sulla sua obbligando cosi la gen­
te a violare la propria fede di fronte a Dio, così come egli violava la sua o quella del nonno da­
ta ai suoi sudditi di fronte ai mondo intero. Il pensiero, che può essere definito solamente in­
fernale, dell’unità spirituale e temporale da perseguire e cementare con la forza, la passione e
l’idolatria deirUno, che non è secondo Dio, ma secondo il nemico degli uomini, hanno dato
all’Europa, per giunta attraverso i poveri che hanno sempre amato definirsi nella loro desola­
zione soldati di Dio, uno spaventoso spettacolo di sangue e di lacrime, degno di essere annove­
rato per atrocità e durata perfino al di sopra dei massacri della notte di San Bartolomeo e
iscritto in prima pagina nei lunghi annali dei delitti commessi in nome della religione e santifi­
cati nel sistema di potere dei papi. La mia famiglia ha pagato cara la sua parte dì questo san­
gue e di queste lacrime. Mio padre ha visto dal letto di morte la rovina e la miseria dei suoi se­
guire i disastri pubblici, di cui aveva cosi ben compreso la trama nella storia e di cui aveva te­
muto gli attacchi futuri.
Non era dipeso da lui che i suoi figli non abitassero in un paese libero seguendo il suo
esempio e quello di suo padre. Quest’ultimo, fuggito da Roma abiurando il papismo, era fran­
cese, come ricorderete; per questa ragione nella nostra famiglia era rimasto l’uso e il gusto del­

206
la lingua d ’origine e della lettura degli scrittori francesi insieme al desiderio di ritornarvi, se si
fosse presentata l’occasione con la possibilità di guadagnarsi la propria vita onestamente e for­
se anche di servire la causa della Riforma. A mio padre sembrava cosa difficile e poco sicura
conoscendo i problemi dei francesi, qualsiasi fosse la loro classe sociale, finché avessero con-
sentito a farsi istruire, cosa che in Francia significa passare attraverso la messa. Devo dire di
più, infatti allora essendo ministro del Santo Vangelo, ancora molto giovane e con la vocazio­
ne, posso rendermene testimone: mio padre, lo potete giudicare dal suo scritto, non aveva mai
avuto in quel periodo il mio zelo e pensava con dispiacere ai doveri particolari e agli enormi
pericoli che avrei incontrato in quel paese. La risposta che sembrava adatta a superare queste
difficoltà, ma che gli avvenimenti non resero tale, si presentò nell’offerta che mi fu fatta appe­
na chiamato al ministero di essere assegnato alla chiesa di Orange, con un altro vantaggio: vi
sarei andato con mio fratello, che avrebbe occupato il posto di notaio del Principe, Tutti san­
no infatti che il principato di Orange, che per la verità è incluso nei domini del Re che dispone
come e quando vuole del contado venassino, territorio papale, era di diritto della casa di Nas­
sau e apparteneva al grande Federico-Enrico. Questo principe, allora minorenne, più tardi ha
servito con la testa e col braccio l’Europa intera dopo aver portato soccorso al popolo inglese
contro la tirannia di Giacomo li Stuart, papista recidivo, venduto al re di Francia che, come
lui, voleva convertire con la forza per quel che era in suo potere le anime che rifiutavano le
sue offerte. Putroppo lo stato del principato dava al re, che abitualmente violava i diritti e i
trattati, il pretesto di intervenire con grande facilità in ciò che non lo riguardava spinto dal fa­
natismo di una parte dei suoi sudditi. 11 seguito ci mostrò troppo bene, anche molto prima del
momento disgraziato in cui questo re decise che laddove il suo braccio avesse potuto estendersi
e i suoi dragoni portare persecuzione e dissolutezza, qualsiasi fosse il costo per le perdite e le
ingiustizie smisurate e stridenti, non avrebbe tollerato che individui diversi dai cattolici respi­
rassero sotto il cielo.
Ricorderò solo brevemente la catena di queste miserie. Fin dal 1660, quando da poco ero
sistemato nel mio ministero il re, col pretesto di un disaccordo tra le principesse che esercita­
vano la tutela del sovrano, si impadroni del principato con esclusione del castello; fu come
l’assalto di una città nemica, poiché i prot estanti sostennero un assalto nel tempio maggiore e
le città furono terreno di saccheggi e stragi. In questa occasione la prepotenza del Re per me­
glio marcare l’ingiustizia e darle motivi per future e più definitive imprese fece demolire i ba­
stioni che del resto non avevano fermato le truppe dell’invasore.
Dopo, anche i sudditi del principe cominciarono a essere vittime delle stesse ossessioni e
dei cattivi trattamenti che i sudditi del re dì Francia che si rifiutavano di condividere la sua reli­
gione, ricevevano. Ad Avignone fu perfino fondata una casa per educare i figli delle famiglie
protestanti di Orange nella fede cattolica: alcuni venivano sedotti, altri presi a viva forza. Per
avere un’idea della legislazione di questi missionari in materia di responsabilità dei minori e di
autorità dei genitori, è bene che sappiate che nel 1681 arrivarono a decidere, per dichiarazione
del re, che i bambini avrebbero potuto essere convertiti a sette anni. I supplizi non aspettavano
certo l’età per chi si montava la testa arrivando a disprezzare pubblicamente la religione; ab­
biamo visto a Orange un bambino di n ove anni, il piccolo Louis Villeneuve condotto dal car­
nefice col capestro al collo, incatenato poi fustigato per il pubblico spettacolo della città e del­
la guarnigione, a causa di qualche irriverenza commessa in un luogo di culto cattolico. Per cin­
que anni ¡1 terrore regnò sui protestanti, perché contro di loro venivano portati dei falsi testi­
moni quando non se ne trovavano di veri, per affermare che avevano mancato di rispetto di
fronte a casa loro sia al Santo Sacramento di questa Chiesa sia al re, che però non era il loro
sovrano, o che non avevano mostrato abbastanza la gioia d’obbligo per la nascita del delfino
di Francia. In seguito a tali denunce ci furono sentenze del parlamento di Orange che commi-

207
navano ammende ed esili per piacere alia corte. Molti borghesi furono esiliati, altri messi in pri­
gione, altri ancora andarono a remare nelle galere del re e uno di questi vi morì sfigato dalle
sofferenze.
In questi anni il povero regno ricevette, con la pubblicazione del famoso editto dei recidi­
vi del 1663, il primo avvertimento della rivoluzione che si preparava contro la liberto religiosa.
L'editto di Nantes aveva decretato, alFarticolo 19, che "i seguaci della religione protestan­
te non saranno costretti, né obbligati a causa delle abiure, delle promesse o dei giuramenti
fatti prima" a ritornare alla fede cattolica. Certo, i sessantacinque anni passati da quel mo­
mento avevano confermato in maniera abbastanza precisa che i protestanti, la cui costanza
era stata scossa un tempo dalle seduzioni o dalle minacce, potevano liberamente abiurare il
cattolicesimo in maniera definitiva; questo articolo, più che un privilegio era quasi una richie­
sta di perdono a quei compagni di Enrico IV che, essendo stati come lui recidivi nel protestan­
tesimo, come lui non lo erano stati nel cattolicesimo. Ma il nipote di questo re dal cuore debo­
le potè dichiarare che l'articolo 19 "era valido solo per il passato e non per il futuro" e che
"l'indulgenza di suo nonno per i recidivi di quei tempi non poteva essere estesa ai recidivi at­
tuali". "Vogliamo — aggiunse — e ci piace che nessun nostro suddito che professi la religione
che si dice riformata c che un tempo avrebbe abiurato per professare la religione cattolica,
apostolica e romana, non possa più rinunciarvi e allontanarsi da detta religione per qualsiasi
causa o pretesto". Il resto della dichiarazione concerne i preti o chi è legato da voti a case reli­
giose e proibisce loro di abbandonare il cattolicesimo per sposarsi o altro "sotto pena di pro­
cedere contro i colpevoli secondo il rigore delle ordinanze". Ma, a proposito dei recidivi si ag­
giunse all'effetto delle crudeli ordinanze una cosa infame e insieme, terribile: se si vogliono
raccontare veramente le persecuzioni del re non bisogna parlare di recidivi, bisogna parlare di
disgraziati, ingannati e torturati nell'anima e nel corpo fino a trarne un'ombra di promessa in
presenza di testimoni appostati; se da quel momento non avessero dimostrato una effettiva
conversione sarebbero stati considerati recidivi potendo così incorrere nelle pene estreme.
L'ingiustizia della dichiarazione era solo il male minore; peggiore era il piano di quei poli­
tici senza scrupolo per condurre i protestanti a compiere separatamente i primi passi falsi, o
anche solo a manifestare qualche timidezza e, quindi, proibire loro ogni rimorso e ogni ritor­
no alta buona coscienza con la minaccia della pena capitale. D'altra parte questi politici non
avevano inventato nulla di nuovo, la manipolazione delle leggi contro i recidivi era un fatto
normale per tutte le amministrazioni che da più di mille anni, dopo l'istituzione temporale del
cristianesimo, avevano compiuto delle persecuzioni. Mai arma più funesta potè essere messa
nelle mani di ufficiali di un re o di una chiesa sotto padroni risoluti, in grado di punire la mol­
lezza o ricompensare lo zelo di ognuno.
A questa legge il re cercò di sottomettere, adducendo la propria volontà, dei sudditi non
suoi. Anche quando il principato fu restituito al governatore legittimo per il Principe, cosa ac­
caduta nel 1665 ma per pochi anni, dopo l’amnistia generale e le feste pubbliche, il vescovo di
Orange e la corte di Francia cercarono di strappare al principato un monaco italiano sfratato
che metteva fine ai suoi errori e ai diversi ondeggiamenti facendosi di nuovo ricevere nella no­
stra comunità con pubblica penitenza. Gli spettacoli degli effetti naturali della libertà di crede­
re e di abiurare sono insopportabili per chi conosce solo la fede che gli è stata ordinata e alla
quale è stato costretto e Tinevìtabile sottomissione. 1 nostri papisti dovettero per il momento
essere tolleranti, ma sono un partito che non abbandona mai le sue pretese.
Per me, il breve tempo in cui esso acconsenti a moderarsi fu, anche se meno duro, altret­
tanto penoso a causa delle continue macchinazioni dei papisti attorno a noi e delle grandi
arie di superiorità affettate dal vescovo. Quei cattolici che erano stati espulsi dal principato in
seguito all'orribile massacro di protestanti avvenuto nel 1571, diciotto mesi prima della strage

2 08
della notte di San Bartolomeo, e stimolato dai preti che a Grange agivano per il fanatismo e
che erano rientrati solo per la tolleranza del principe, si consideravano i soli padroni della
piazza, come fanno ovunque, e macchinavano continuamente. Quanto al vescovo, non pote­
vo lamentarmi delle sue cattive maniere, non nc hanno mai quando dichiarano una persecu­
zione, ma piuttosto del suo modo di fare insidiosamente buono, dei suoi abbracci e delle sue
lacrime che sono loro facili e familiari, dì una fratellanza studiata, intrisa di arie da gran si­
gnore e da favorito del popolo, che cercava di far capire che uno poteva essere vescovo come
lui se fosse stato saggio mentre, seguendo le proprie inclinazioni, poteva andare in galera e
che la salvezza spirituale e temporale sta solo nel suggellare la propria coscienza con Panello
piscatorio, perchè cosi ordina il re. F/ vero che davanti a tale bassezza d ’animo, ostentata at­
traverso modi di fare da grande, io potevo, senza essere fariseo, ringraziare Dio di non avermi
fatto simile a uno di questi uomini. Ma la dissimulazione cortese dei miei veri sentimenti, alla
quale ero costretto da queste scene di commedia episcopale, pesava al mio carattere di mini­
stro. Quando arrivò la persecuzione ebbe crudeli tormenti, ma forse una coscienza più tran­
quilla, non essendo più tenuto a nascondere nulla per il quieto vìvere.
Nel 1673 il Re si decise a gettare del tutto la maschera. Era in guerra con le Provincie Uni­
te e non pensava neppure da lontano al possibile pericolo di ferire attraverso un'ingiustizia
aperta e oltraggiosa il grande animo del principe di Orange. Men che meno poteva pensare che
quel piccolo principe un giorno sarebbe diventato re, chiamato dal popolo inglese stanco di
servire una religione nemica. Privo di questi timori il re proclamava fieramente davanti alle
potenze cattoliche che vero motivo dell'invasione dell’Olanda era il suo fermo disegno di di­
struggere un arsenale e di chiudere una scuola di eresia per estirpare definitivamente il prote­
stantesimo dall’Europa. Per quest'opera teneva legati alle sue decisioni e alle sue armi un re,
ministri e ammiragli pagati che avevano tradito il proprio paese e la propria religione. In un
progetto così vasto, appropriarsi dei beni altrui che fanno comodo è solo un piccolo dettaglio.
Ma il re volle tingere l’usurpazione incaricando il suo Consiglio di Stato di assegnare il princi­
pato, come rappresaglia, al conte di Auvergne che la guerra aveva privato del feudo in Olan­
da. In virtù di questo decreto l'amministratore della Provenza coi suoi arcieri, il comandante
e il boia entrò ad Orange subito dopo; poiché il governatore militare del principe continuava a
resistere dopo essersi ritirato nel castello, il Re diede ordine al conte di Grignan di marciare
contro di lui con tutta la nobiltà provenzale, oltre al suo reggimento di galeotti. II nostro co­
mandante ricevette dal suo sovrano la necessaria autorizzazione a cedere alla forza. Questa
volta non furono demoliti solo i bastioni, ma tutto il castello fu raso al suolo, il pozzo fu col­
mato e la disgraziata città fu ridotta in uno stato di desolazione e di rovina che oggi |a rende
più simile a un ammasso di tristi catapecchie che alla grande città di un tempo (1).

(1) Questa testimonianza e numerosi altri trattati del racconto sono confermati dallo stesso pastore sotto
citato nel bello e incomparabile libro che ci ha lasciato, intitolato Le lacrime di Jaques Pineton di Cham­
brun, pastore della casa di Sua Altezza Serenissimat deila Chiesa di Orange e professore di teologia che
contengono le persecuzioni delle chiese del principato di Orange dal J660, la caduta e il ravvedimento
dell’autore, La Haye, 1739. Chambrun, imprigionato e portato di piazza in piazza dopo la revoca
dell’editto di Nantes, fu oggetto di torture fisiche e morali che superavano le sue forze. Circuito dagli ar­
cieri e dai dragoni nel suo letto di dolore, ebbe la debolezza di pronunciare davanti ai poliziotto queste
parole: Mi ricongiungere'). Il vescovo di Valenza si affrettò a far redigere agli astanti un processo verbale
di promessa di conversione che avrebbe posto Chambrun nello stato di recidivo se avesse poi rifiutata dì
ricongiungersi. Il pastore non andò oltre ed è questa che chiama ia sua caduta. Dopo molte sofferenze
riuscì a salvarsi.

209
In questa occasione, come in altre simili, la gioia offensiva dei papisti si t r a d u c a , fra
l’altro, in minacce di morte contro i protestanti; il principale pastore di Grange, Pincton di
Chambrun, pur essendo in città, ebbe l’onore di essere bruciato in effigie con Teodoro di Beza
c Calvino, illustri defunti che in queste occasioni venivano bruciati c ribruciati continuamente.
Fortunatamente fummo salvati dal massacro per la presenza di tanti gentiluomini, di altre per­
sone autorevoli alle quali tale compito non era stato ordinato dal Re. Gli insulti che soppor­
tammo furono ripresi e continuati dagli stessi autori senza alcuna interruzione, neanche quan­
do un’interruzione sembrò naturale, in occasione della pace di Nimega del 1678 con la quale il
principato fu restituito ancora una volta al legittimo governatore.
Bisogna dire che fu una parvenza di restituzione; i fatti che la seguirono dimostrano che si
trattava di uno di quegli articoli dei trattati di pace nei quali potenze in mala fede fanno per
iscritto alcune concessioni, stipulandone e ricevendone un prezzo, ma con l’intenzione c la
possibilità di non mettere in atto quanto è stabilito e sapendo, o fidando, che la mancata mes­
sa in atto non porterà alcuna rottura. 11 re, restituendo il principato, si oppose alla ricostruzio­
ne delle mura di Orange. Rompendo ogni trattato, quattro anni dopo fece entrare per un’ulti­
ma volta i suoi dragoni nella città che fu saccheggiata, agli abitanti migliori fu imposto un ri­
scatto, altri, che erano considerati recidivi, furono arrestati o esiliati e sottoposti a mille estor­
sioni e violenze. Per paura di un contagio religioso, senza dubbio, il soggiorno a Orange fu
proibito “ ai francesi” , quasi che quei disgraziati che vi abitavano non avessero ricevuto suffi­
cienti lettere di naturalizzazione, subendo le stesse ingiustizie e gli stessi maltrattamenti religio­
si dei francesi delle diverse provincia Dopo l’invasione ci fu dunque il blocco. Tuttavia fu ne­
cessario colorire una così oltraggiosa violazione del trattato di Nimega, intentando a nome
della casa di Longueville un processo di rivendicazione del principato contro “ Guglielmo di
Nassau, abitante a Amsterdam, in Olanda” , come diceva insolentemente l’atto.
In un primo tempo non pensavo di scendere in questi dettagli nei quali sono stato trasci­
nato dal racconto, ma serviranno a mostrarvi con un esempio la politica del re e l’effetto delle
istruzioni che venivano date in tutto il regno per ridurre alla disperazione le persone religiose,
infatti tutte le sofferenze d’Orange non avevano altra causa. Per la stessa ragione voglio che
sappiate a quali bassi c sinistri mezzi di persecuzione ricorreva contro di noi un clero senza
scrupoli, favorito dall’odio del partito papista. Sarà per voi una indicazione dei tormenti che
dovevo provare e attraversare prima degli ultimi eventi che si andavano avvicinando c che
hanno interamente rovinato la mia famiglia. I grandi mezzi usati a nostro danno venivano, da
una parte, dalle conversioni che operavamo tra i cattolici e che non mancavano di attirarci pe­
ricolosissime noie, dall’altra, da quelle dei nostri che volevano ritornare al cattolicesimo; que­
ste conversioni, vere o false che fossero, per debolezza di qualcuno e le tentazioni alie quali i
nostri erano sottoposti, divenivano sempre occasioni di trionfo per l’avversario e di intimida­
zione, o peggio ancora, per noi. Ma tutto questo è opera di qualche autorità, perciò voglio
parlarvi delle manifestazioni popolari. Più volte, nella città in cui esercitavo il mio ministero,
vedemmo delle croci innalzate sulle mura o sui bastioni demoliti; non èrano certo manifesta­
zioni della religiosità o legittimi oggetti di culto in luoghi appropriati, ma solo insulti alla Ri­
forma; venivano innalzate solennemente alla presenza dell’esercito e dei sacerdoti dopo essere
state portate in lunghe processioni dove il reggimento dei dragoni camminava coi penitenti in
sacchi multicolori, al suono di una musica originaria della terra del papa, E questo sarebbe
stato ancora poco, anche aggiungendo l’obbligo per i consoli protestanti della città di assistere
alla cerimonia per evitare disgrazie più grandi. Ma non riuscivano a evitarle tutte, non riusci­
vano a impedire che queste croci fossero rovesciate nottetempo e che il misfatto, a causa di un
perfido complotto di alcuni papisti che ne erano gii autori, fosse imputato ai protestanti; il
fatto aveva conseguenze terribili; non riuscivano a impedire che dei penitenti neri, congrega-

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zionc istituita espressamente per provocarci, facessero processioni armati di bastoni, che certa
plebaglia assalisse le nostre case con pietre c che infine, quando si diffondeva la voce di un
omicidio, la città non divenisse tutto a un tratto affollata e in preda alla più pericolosa sedizio­
ne. Questo stato di cose durò venticinque anni, salvo rare interruzioni, con un governo usur­
pato dal Re, fondato sul triplice accordo del clero, dei magistrati c della parte del popolo igno­
rante e fanatica. C ’era dunque da aspettarsi che il disegno definitivo concepito per l’intero re­
gno fosse applicato al principato, sottomesso alla stessa indegna c violenta amministrazione
dei fatti religiosi.
Da lungo tempo era ormai facile capire questo disegno. Ho parlato della dichiarazione
contro i recidivi e dell’uso che se ne faceva c anche delle sottrazioni c conversioni di bambini,
vere o finte. Numerosi decreti testimoniavano ogni giorno il fermo proposito di rendere odio­
so ai protestanti il soggiorno nella loro patria. Venivano privati dei diritti più naturali dei sud­
diti e dì quelli che spettano necessariamente a un culto tollerato: il diritto di vendere i beni, di
trovarsi in un certo numero nelle cerimonie di famiglia, di entrare in parecchi nelle corporazio­
ni, di abbracciare certe professioni, come l’avvocato o il medico, il diritto di tutela, di dare ai
figli un’istruzione non solo elementare, di creare per essi le scuole necessarie; venivano privati,
del diritto di raccogliere fondi per il mantenimento dei loro ministri c per gli inviati ai sinodi,
di ricusare i giudici sospetti, come potevano fare gli altri cittadini nella tutela dei loro affari, di
assistere religiosamente i loro malati negli ospedali, di seppellire i morti, fuorché di primo
mattino e di sera, alla presenza di poche persone come se si trattasse di una cosa impura, infi­
ne del diritto di innalzare le chiese demolite o di riunirsi all’aperto quando non ci fossero più
chiese. Molte nostre chiese infatti erano state chiuse in diversi luoghi con decreti arbitrari e in
questi luoghi il nostro culto, che tuttavia non ci era ancora stato proibito, era impossibile: in-
corravamo nell’esilio dopo aver fatto onorevole ammenda, portati in giro dal carnefice con la
corda al collo; questo era l’infame trattamento riservato a coloro che venivano sorpresi prega­
re in assemblee illecite. Erano banditi dal regno, e si capiva, dopo la promulgazione di leggi che
rendevano insopportabile il viverci, e nello stesso tempo era proibito ai sudditi del Re (1669)
abituarsi ai costumi di paesi stranieri se non volevano avere i loro beni confiscati e a quelli che
vi si erano stabiliti era ordinato di ritornare entro sei mesi “ con le mogli, i figli, le famiglie e i
beni” . Sono contraddizioni che gettano livide luci su tutte le iniquità della mente dei tiranni!
La revoca delLcditto di Nantes era dunque ben preparata. Sembrava una preparazione
sufficiente grazie ad abiure comprate, simulate, supposte e a tutte le proibizioni fatte ne^pe-
riodo precedente, perche la vera ipocrisia potesse fingere che la revoca era solo la sistemazione
di un dato di fatto senza rappresentare una ulteriore ingiustizia. Si osava dire: “ Ora vediamo,
con la giusta riconoscenza che dobbiamo a Dio, che le n o stre sollecitu d in i han no av u to il risu l­
tato che ci siam o p ro p o sti , poiché la parte migliore e più numerosa dei nostri sudditi di reli­
gione protestante ha abbracciato quella cattolica; visto che per questo fa ttu a z io n e delV editto
d i N an tes e d i tutto quello che è stato o rd in ato in fa v o re d ella su d d etta religion e p ro testan ­
te è in utile , abbiamo pensato che la cosa migliore, per cancellare interamente il ricor­
do dei torbidi, della confusione c dei mali che il progresso di questa falsa religione ha causato
nei nostro regno e che hanno dato luogo al suddetto editto (...), è revocare interamente il sud­
detto editto c tutto quello che è stato fatto in favore della suddetta religione” . Dopo questo
preambolo, il re, ritirando senza eccezioni anche la più piccola libertà prima riconosciuta ai
protestanti, ordinava, nuovo Teodosio che stermina i pagani: 1. la distruzione di tutti i templi
nelle terre e nelle signorie sottoposte al suo governo; 2. la proibizione di assemblee private per
il culto e anche la possibilità di esercitarlo in casa propria; 3. l’abbandono, da parte dei mini­
stri di quel culto, del regno entro quindici giorni, senza fermarsi a pregare da nessuna parte,
pena la galera, a meno che non preferissero abiurare la loro fede, nel qual caso avrebbero visto

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aumentare i loro sussidi insieme a molti altri vantaggi accuratamente specificati; 4. l’obbligo
per i figli dei protestanti di non essere educati in scuole private e, per i nati da quel momento in
poi, l’obbligo di essere battezzati dai curati delle parrocchie e istruiti secondo la reli$ipne cat­
tolica, pena forti ammende; 5. la confisca dei beni dei protestanti fuoriusciti che non fossero
rientrati in Francia entro quattro mesi dalla pubblicazione dell’editto; 6. la punizione dei pro­
testanti rimasti se avessero tentato di fuggire con le loro famiglie e i loro beni che, per gli uo­
mini sarebbe stata la galera, e per le donne, la confisca del corpo e dei beni (editto del 1685).
L ’autore dell’editto aveva l’audacia di concludere questo decreto scellerato, di definitiva
schiavitù dei protestanti francesi, col permesso, mentre lo Stato c il re rapivano i loro figli, il
culto, la normale protezione delle leggi e il diritto di emigrare, col permesso, dico, di stare
tranquilli nelle loro case e dì svolgere i loro commerci senza essere in qualche modo molestati
fino al momento in cui fosse piaciuto a Dio illuminarli (2)!
Sapete che questa misura, presa “ per cancellare il ricordo dei torbidi e dei mali” ha fatto
perdere alla Francia, che fu abbastanza cieca ad applaudirlo, centinaia dì migliaia di francesi,
i migliori, ha fatto scomparire il denaro dal regno e rovinare il commercio, votare a mille pene
o alla morte una infinità di persone massacrate o impiccate nelle prigioni, nelle galere, in Ame­
rica dove sono state portate c abbandonate ai tormenti della fame. K i cattolici, complici di un
cosi grande delitto di Stato, non hanno pensato che riconoscevano al re un’autorità che nep­
pure Dio si è presa, quella di dire: “ Voglio che nel mio impero ci sia una sola religione; voglio
che tutti i miei sudditi professino la mia religione” ! Non hanno riflettuto sul fatto che questo
re non ha più Stati e parlamenti da considerare, che ha prigioni e segrete dove fa imputridire
chi gli sembra buono, che questo re governa la religione con vescovi di corte, di cui il basso
clero è lo schiavo umiliato e miserabile, ridotto in tutto al rango di valletto. Non hanno pensa­
to che tiene, cosa mai vista fino a oggi, enormi truppe sempre pronte, sia in pace che in guerra,
con le quali opprime i suoi sudditi in misura maggiore e con frequenza maggiore dello stranie­
ro e con le quali compie le sue abominevoli imprese; non hanno pensato infine che questo re,
non riconoscendo diritti e trattati al di sopra di lui, riduce in tale servitù le città che entrano a
far parte del suo regno e alle quali promette il mantenimento della libertà (3), che si guadagna,
anche presso le potenze meno scrupolose, la reputazione e il rimprovero come il maggior vio­
latore della parola data, che espone il regno agli estremismi più terribili, sia per ciò che può ac-

(2) Chi potrebbe credere che questa clausola ironica dell’editto sia stata anche interepretata come un rico­
noscimento della libertà di coscienza, tanto che in parecchi luoghi le coqversioni si fermarono! Fu neces­
sario mettere da parte l'ipocrisia: “ Sua Maestà desidera — scrisse in questa occasione Louvois al duca di
Noailles — che si cerchi con tulli i mezzi di persuaderli [i protestanti] a non aspettarsi alcun riposo, o dol­
cezza finché professeranno una religione che dispiace a Sua Maestà, e si deve far loro capire che chi vorrà
avere la sciocca gloria di essere l’ultimo ad abbandonarla potrà ricevere trattamenti ancora più spiacevoli
se si ostina a professarla” . (Lettera del novembre 1685),
(3) L ’autore a questo punto allude evidentemente alle cessioni o annessioni alla Francia di città o provin-
cic in Alsazia, in Lorena c nelle Fiandre, le cui libertà e i cui privilegi, riconosciuti dagli antichi sovrani o
anche conservati e stipulati in trattati furono persi nell’universale dispotismo. I nostri storici hanno pen­
sato con troppa facilità che ogni annessione e, di conseguenza, ogni centralizzazione, avesse rappresenta­
to un progresso per l’umanità. Hanno pensato, è vero, alla rivoluzione francese, che era imminente, ma
non hanno ritenuto, o almeno è solo da poco che cominciano a ritenere che il centralismo dell'antica mo­
narchia, conservato attraverso tutti t cambiamenti di governo, avrebbe rappresentato un ostacolo insor­
montabile a ogni progresso atteso dalla rivoluzione e, di più, una continua tentazione di tornare all'anti­
co regime dopo i diversi momenti convulsi.

212
cadere del governo arbitrario» divenuto costume della Francia, sia per le sicure rappresaglie
del nemico contro le guerre ingiuste e le conquiste, E chi alla fine non diventa nemico di un
popolo così guidato, che acconsente anche a essere oppresso nella propria casa pur di servire
da strumento a un despota, gravando lui stesso sul mondo e che chiama tutto questo gloria!
Tutto ciò deriva senza dubbio dal grande splendore delle lettere e dairinfluenza della lin­
gua francese ìn Europa. Forse per molto tempo ancora chi non peserà ogni cosa, chiamerà
questo secolo il Grande Secolo, per il Grande Re e la nobile lingua degli scrittori che egli ha sti­
pendiato e che l’hanno celebrato. I continuatori di questi panegiristi non andranno a cercare
nel secolo delle guerre civili, dove almeno la licenza c la rivolta davano frutti di libertà scono­
sciuti alla tranquilla servitù, le cause e le reali origini di tutto ciò che è venuto a fiorire alla cor­
te e che vediamo già appassire a questo falso sole. Ancora meno si chiederanno quale spetta­
colo di grandezza e di virtù, e quale letteratura tanto bella, serena, pomposa forse, ma più
aperta ai pensieri sinceri e liberi, avrebbe potuto offrire al mondo una Francia madre di tante
belle menti e di grandi personaggi che l'oppressione papista ha soffocato, quando non li ha
sterminati cori la persecuzione, se questa forte nazione, lasciandosi toccare dalla voce, dalle
lacrime e dal sangue dei suoi martiri, avesse avuto tutta intera il coraggio di spezzare il giogo
dei suoi preti e di rendere alla libertà tante vittime del fanatismo, tante anime che devono im­
parare a reggersi. L'Inghilterra, che l'ha fatto, non ha dovuto in seguito inginocchiarsi davan­
ti ai suoi re. Tuttavia come potrebbero questi panegiristi, ai quali non è proibito essere sensibi­
li ai fasti del Grande Secolo, se li considerassero in se stessi, come potrebbero non contrappor­
li alle miserie del popolo? Gli splendori della corte, le sontuose costruzioni di Versailles, le
rappresentazioni teatrali, i nobili esercizi dei poeti, tutto questo mondo artificiale ha un triste
compagno: la sofferenza del contadino, rovinato dalla guerra e dalle tasse che vive sul solco e
muore nella tana, che l'istruzione dd prete non libera dairabbrultimento, insieme alia repressio­
ne di tutti i pensieri e di tutte le aspirazioni alla vita libera in un sistema di legami sacerdotali e
reali che a lungo andare precludono tutto. Cortigiani e poeti, per la maggior parte, hanno provato
solo indifferenza per questi mali, per una persecuzione che arrivavano a considerare vantag­
giosa per il regno, con la quale, a dire il vero, alcuni di essi riuscirono a arricchirsi, ottenendo
dal Re, in grazioso dono, i beni confiscati ai loro parenti! Che dire dell'orribile freddezza mo­
strata da questi adoratori dell'iniquo mammona davanti agli atti di crudeltà che sporcano e in­
quinano il regno? Non può essere dimenticato che, mentre le nobili figlie di Saint-Cyr, educate
dalla dolce Maìntenon, interpretavano declamando e cantando, davanti alla corte rapita, le
pie e tranquille creazioni del genio, gli infelici profughi, che tutto spingeva a partire e ai quali
veniva impedita la partenza, morivano con la spada in mano nella neve delle montagne a-su
fragili barche abbandonate alla tempesta, o camminavano a piedi fra mille dolori insopporta­
bili nella catena dei galeotti, per andare ad assicurarsi coi loro occhi, a Marsiglia o a Dunker-
que, di quanto la carità degli schiavi turchi superasse quella dei padroni cristiani. I loro bam­
bini, le loro madri, le loro mogli gemevano nei conventi, dal momento che i loro corpi erano
stati confiscati, come recitava l'editto, per essere meglio e in modo più sicuro istruiti nella reli­
gione dei carnefici dei loro padri, dei loro figli e dei loro mariti!
Anche i borghesi delle città, sarebbe inutile negarlo, voglio dire la maggior parte di quelli
che si dicono cattolici sono invaghiti dei vantaggi dell'unità che derivano dall'obbligo della fe­
de nel regno e fermamente convinti dei meriti della ragion di Stato, hanno condiviso fino a
questi ultimi tempi il fasto della corte e del monarca e hanno ceduto al prestigio della gloria.
Forse cominciano a ravvedersi, ma la loro terribile insensibilità di fronte alle nostre miserie, la
loro convivenza coi nostri persecutori, i bassi consigli che d hanno dato in ogni occasione (4),
non tornano gran che ad onore della loro nazione. Cì vorrà molto tempo per dimenticare le fe­
ste, ordinate a Parigi dalia polizia e che si diffusero in un lampo in tutto il regno alla notizia,

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inventata di sana pianta, della morte del nobile re Guglielmo, nel momento stesso in cui il mi­
serabile Giacomo II si apprestava a stabilirsi e a formare una corte a Saint-Germaih. Gugliel­
mo e Maria, in effigie, furono bruciati, impiccati, scorticati e squartati nei macelli e fatti por­
tare neirinfemo dai diavoli (5): grande testimonianza di viltà d’animo e debole risorsa, pur­
troppo, per i tempi in cui l’odio sarebbe stato definitivamente giustificato dalle conseguenze
della grande rivoluzione inglese! Questi tempi sono venuti; oggi i francesi possono riconoscere
che, legando cosi strettamente la loro causa nazionale all’ambizione della conquista e del do­
minio e allo spirito di un culto che perseguita, il re ha lavoralo alla decadenza del regno e ne ha
preparato la caduta. Possono vedere che la falsa gloria ha seminato la miseria e che il potere
esercitato insolentemente, ha generato debolezza. Dal momento che l'ultima cosa che un uo­
mo gonfio della sua prosperità conosce è futilità dei dolori quando lo colpiscono, forse non
sanno ancora che la miseria sarebbe la loro salvezza e la loro benedizione, in confronto al de­
stino che si preparano nei loro sogni di splendore. D monarca, la cui fortuna vuole essere nu­
trita da un tanto grande dispendio di uomini e di denaro e che è abbastanza folle, nel momen­
to in cui può già vedere la line delle sue risorse, da mandar via dalle sue terre l’operaio, l'indu­
stria, madre della ricchezza, e le famiglie più raccomandabili per virtù domestiche, dalle quali
dipende la sana moltiplicazione degli uomini, questo monarca cieco distrugge con le proprie
mani tutto il suo potere, finisce di rovinare 11 suo sistema, cosa che il seguito degli avvenimenti
farà vedere nella sua persona o in quella dei suoi figli e libera cosi la sua patria e l’Europa, a
prezzo di enormi mali, dal male ancora più grande che i suoi successi facevano sentire minac­
cioso: la caduta della cristianità nel costume orientale dei prìncipi arbitrari e dei sacerdoti ele­
vati al rango di dei.
Ora devo lasciare la contemplazione di questi grandi interessi e ritornare al piccolo princi­
pato dove la Provvidenza non mi aveva posto per essere testimone senza danno degli orrori
causati dall'editto del funesto 1685. Gli intendenti del Re e i vescovi avevano già iniziato le pre­
dicazioni per bocca dei dragoni in tutto il regno e a Grange ci lusingavamo ancora di uscire in­
denni da un cosi grande abominio per il privilegio di libero culto che sembrava assicurato dagli
antichi diritti e dalla sovranità del paese. Ma questa speranza, ai miei occhi, era resa insicura
dalla esplicita volontà del Re che aveva sempre manifestato il proposito di ridurci agli stessi do­
veri degli altri suoi sudditi. Alla volontà del Re, di un cosi Grande Re, nessuno può opporsi, di­
cevano, ed era l’unico argomento dei vescovi ai quali veniva obiettata l’infamia sacrilega della

(4) I bassi consigli! 1 borghesi non erano i soli a darli. Si può credere che uno dei più grandi signori del
tempo, allora, ma anche oggi famoso per la sua virtù, il duca di Montausier, scrivendo a Jean Rou, un
protestarne che era fuggito, abbia osato dire nel post-scriptum: “ Se ritornaste, come desidero [in Francia
e al cattolicesimo] trovereste ancora, me lo ha assicurato i! signor cancelliere, vantaggi considerevoli.
Non tra sc u ra te liLa bella risposta di Rou può essere letta nelle sue memorie. Del resto anche Montau­
sier era considerato uno che aveva abiurato per ambizione, innamorato della signorina di Rambouillet. È
facile credere che nella sua conversione avesse obbedito a motivi come quelli che raccomandava: Non tra­
scurateli! Su questo argomento si possono vedere, tra i documenti di quell’epoca, delle lettere di Louvois,
che giudicheremmo volentieri ironiche, coi sentimenti di oggi, se non sapessimo bene che, in quel secolo,
erano solo grossolane. Questo ministro esorta uno dei suoi agenti di Strasburgo, Un certo Gunzer, a com­
piere, convertendosi “ un passo importante per gli affari dell’altro mondo c di questo” , e continua, “ so
che a Strasburgo alcuni dei borghesi più in vista si fanno istruire; se abiurano, il re, temo, darà loro i
compiti di cui voi siete incaricato” . Cf. Rousset, Storia di Louvois, IH, c. VII.
(5) Cf, Soupirs de ta Prance esclave, 1690, p. 224. Gli scolari dei gesuiti, travestiti da demoni, furono gli
attori di questa indegna farsa a Parigi.

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comunione obbligatoria e delte torture per costringere le persone a credere di cuore, torture
cento volte più irragionevoli di quelle che gli antichi martiri avevano sofferto per aver rifiutato
l’incenso, e questo argomento lo consideravano definitivo e senza replica. Infatti la Chiesa,
proprio quella cattolica che dice di avere solo armi spirituali, che obbliga in coscienza i princi­
pi a essere persecutori e che ritiene la persecuzione buona e necessaria, può, da una parte, assi­
curare di non perseguitare nessuno e di non poter immaginare nulla di più lontano dalla sua
dolcezza naturale e dalla sua carità senza limiti per i peccatori, e dall’altra può animare i perse­
cutori nella loro opera e aiutarli con tutti i mezzi personali e temporali attraverso i suoi mem­
bri, che possono anche montare a cavallo: ho visto dei vescovi montare a cavallo per le missio­
ni dei dragoni (6). In questo modo essa invoca l’interesse della religione e la volontà di Dio
presso il principe e la volontà del principe presso i sudditi. Questo fatto comporta che le occor­
rano prìncipi molto potenti, molto fedeli e ben risoluti a compiere persecuzioni per lei. Questo
indegno sofisma divulgato per tutta la Francia Fu dunque presentato anche a noi, pastori e
teologi di Orange da alcuni casisti della Compagnia di Gesù e da altri che ebbero cura di raf­
forzarlo con l’autorità della cavalleria (7).

(6) “ I vescovi — diceva quello di Valenza a Chambrun — non sono la causa del modo oggi usato per la
riunificazione Noi vediamo lassù ciò che dovremmo fare. È la volontà del Re, alla quale nessuno
può opporsi” (...) Era appena uscito da casa mia che seppi che era salito a cavallo alla testa dei dragoni
per andare a tormentare chi, nella sua diocesi, non aveva abiurato o non voleva andare a messa.” Cf.
Chambrun, op. cit., p. 212.
Se qualcuno vuol essere certo che il vescovo mentiva impudentemente (meniiris impudentissime, come di­
cono le Provinciales) assicurando che la Chiesa non chiedeva la persecuzione, deve solo guardare la lista
cronologica delle principali domande contro i protestanti indirizzata al re dalle assemblee del clero fran­
cese dal 1660 al 1685. Cf. Rousset, op. cit., Ili, p. 457.
(7) A proposito di questo “ indegno sofisma” bisogna citare un passo curioso dei Mémoires d*un prote­
stimi condamné auxgalères de France. Un certo padre Garcin, predicatore da strapazzo delle galere, so­
stiene nei confronti di Jean Marlheile, il giovane autore dei Mernoires che aveva solo sedici anni quando
fu condotto in galera, che i protestanti “ non erano perseguitati per motivi religiosi” . Secondo questo
bravo superiore dei lazzarisii alcuni erano perseguitati per essersi trovati in un'assemblea proibita dal re,
altri per aver voluto abbandonare il regno malgrado i suoi ordini, altri ancora per aver dichiarato al pre­
te, mentre erano malati, di voler vivere o morire nella religione protestante, cosa ugualmente contraria
agli ordini del re, il quale voleva che i suoi sudditi vivessero e morissero nella religione romana. A questi
argomenti Jean Martheil obiettò: “ Se tutte queste persone vogliono assistere alla messa saranno liberale e
nel caso contrario rimarranno schiave?” La risposta di padre Garcin fu: “ Senza dubbio!” e Martheil di
rimando: “ Così non sono perseguitate per motivi religiosi!” Su questo argomento riporto anche il parere
di Bousset, cf. lettera a M. de VriUac, aprile 1686. “ Ho visto in una lettera da Voi scritta alla signorina
De Vriìlac che la vera Chiesa non perseguita. Cosa intendete? Volete dire che la Chiesa non usa mai in
prima persona la forza? È verissimo, la Chiesa infatti ha solo armi spirituali. O volete dire che i prìncipi,
che sono i figli della Chiesa, non devono mai servirsi della spada che Dio ha messo loro in mano per ab­
battere i suoi nemici? Osereste affermarlo? (...) Non vedete chiaramente che fondate il vostro ragiona­
mento su un falso principio? Se fosse vero gli ariani, i ncstoriani, i pelagiani avrebbero avuto ragione
contro la Chiesa, in quell’epoca infatti erano loro i perseguitati, gli esiliati; infatti allora erano i principi
cattolici quelli che perseguitavano e esiliavano; ora anche i cattolici che sono stati condannati a morte in
Svezia e in tanti altri regni avrebbero ragione contro quelli che si dicono evangelici; ognuno a sua volta
avrebbe ragione e torto: ragione in un senso e torto in un altro; e la religione dipenderebbe da queste in­
certezze. (...) Considerate solo se può essere vero che Dio permettendo tante profondità nelle Scritture e
gli scismi che ne sono derivali fra chi dice di accoglierle, non abbia lasciato nessun mezzo alta Chiesa per

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Durante le feste del primo di questi terribili anni che cominciano con Pedittg^ dopo pa-
squa vi fu nel principato un’affluenza straordinaria di protestanti che prima la proibizione
delPesercizio delle preghiere, più tardi i dragoni, cacciarono dal Vivarese, dal Delfinato, dalla
Provenza e da molte altre regioni più lontane, che venivano a chiederci la comunione attraver­
so infinite sofferenze e poi restarono contando sul soccorso che potevamo dar loro, o alme­
no sulla libertà delle loro anime. 1 falsi rapporti alla corte sugli effetti di questa affluenza di
protestanti servirono subito come pretesto per un’invasione che, dopo poco, non ebbe più bi­
sogno di ricercare pretesti per l’enorme numero di delitti premeditali che causò. Affinché
quella gran folla di miserabili stranieri, che prima erano stati espulsi con un decreto del parla­
mento» potesse andare errando per le strade e le montagne incontro al proprio destino, che in
caso diverso sarebbe stato oscuro o mortale, Grignan e altri ufficiali del re promisero di rispet­
tare i nostri diritti. Ma dopo questa promessa le città di Orange, di Courthezon e di .Fonquières
furono prese d’assalto dai dragoni di Tesse. I ministri che cercarono di fuggire furono arresta­
ti e subito gettati nelle segrete* Le chiese furono demolite, anche con le mine, per fare più in
fretta e diffondere meglio il terrore; i dragoni alloggiati secondo l’ordine della corte (8) presso

metterti d ’accordo; così che solo rimedio alle divisioni sarebbe lasciar credere ciascuno secondo la sua
fan tasia e portare in questo modo senza problemi gli spiriti all’indifferenza religiosa, che è il più grande
di tutti i mali. (...) Se i cristiani, quando non sono d’accordo sul senso della Scrittura, non riconoscessero
un ’autorità vìvente e pariante alla quale sottomettersi, la Chiesa cristiana sarebbe sicuramente la società
più debole dei mondo, quella più esposta a irrimediabili divisioni, quella più abbandonata agli innovatori
e ai faziosi” .
li vero destinatario di questa lettera era il protestante Jean Rou, cf. i suoi Memoires, c il marchese di Vril-
lac era solo ¡1 prestanome e diede alla lettera una risposta molto debole, invischiato com’era anche lui nel­
le antiche tradizioni di intolleranza. Noi consideriamo queste formule particolarmente franche e istruttive
e vogliamo solo trarne qualche lezione per essere confermati nella nostra opinione dì sempre, che in fon­
do è debole la differenza tra la logica religiosa del “ grande vescovo” e quella che la scuola di Joseph de
Maistrc professa con rumore.
Secondo Bossuct, Dio ha dato ai principi la spada per abbattere i nemici della Chiesa, cosa che comporta»
se anche i principi lo credono, quando appartengono a una Chiesa diversa da quella cattolica, la possibili­
tà e il dovere di perseguitare i cattolici. Secondo Bossuet, affinché nessuno abbia ragione e torto c affin­
ché la religione non dipenda da queste incertezze» bisogna che la forza imponga la religione. Resterebbe
solo da sapere come si farà ad assicurare aH’azione della forza una maggiore autorità c unità rispetto a
quella che si può assicurare alla religione stessa o alle “ armi spirituali” . Secondo Bossuet la guerra è
runico mezzo per pacificare le fedi e le opinioni. La pace è la guerra. Secondo Bossuet, se ciascuno crede­
rà “ secondo la sua fantasia” , nessuno vorrà più credere; in altri termini, la sola fede che vale è quella che
deriva dairabitudinc o dalla forza che la impone. Tutte le religioni che possiedono la forza o hanno a
proprio favore le usanze, possono evidentemente invocare questa massima allo stesso titolo; i cinesi allo­
ra fanno bene a lapidare i nostri missionari. Infine, secondo Bossuet, la società cattolica che non vuole, e
su questo non c’è dubbio, essere una società “ debole” , deve provvedere a darsi un*“ autorità vivente e
parlante” . Dove si fermerà nella ricerca di una parola e di una autorità che niente possa dividere? Oggi
non possiamo saperlo -
(8) Cf. la lettera del Louvois all’intendente Manille del marzo 1681, quattro anni prima della revoca
dell’editto di Nantes: il problema è solo quello di alloggiare presso i protestanti “ il maggior numero” di
cavalieri: “ seguendo una giusta ripartizione i protestanti ne dovrebbero ospitare dieci, potete assegnarne
loro venti e alloggiarli tutti presso i più ricchi protestami prendendo a pretesto...” . Ci furono poi esita­
zioni, ordini c contrordini, finché sotto la pressione degli intendenti più zelanti si persegui l’obiettivo di
rovinare l’onore e i beni delle famìglie protestanti installando in casa loro la soldataglia con licenza di fa­

2 16
i protestanti» e solo presso di loro, dopo i primi disordini e i primi saccheggi fecero delle nostre
case il teatro di quel metodo di conversione ottenuta attraverso minacce, maltrattamenti e tor­
ture che non possono essere immaginate; di qui è nata la loro fama, quella del loro principe e
della loro nazione, condivisa da tutta l ’Europa (9). Se qualcuno degli uomini che dal fondo dei
loro uffici impartiscono questi ordini freddamente crudeli, potesse fare lo sforzo di scendere
col pensiero dalla sua falsa grandezza al livello degli uomini più comuni e immaginare la pro­
pria famiglia dispersa nell’uragano della persecuzione, i propri figli in fuga, arrestati, messi
nelle galere, impiccati, le proprie mogli rinchiuse in un chiostro in preda all’odio fanatico delie
monache e allo zelo convertitore della badessa e il vecchio padre, rimasto solo in casa su un
letto di agonia, fra gli insulti e il clamore continuo, di giorno e di notte, dei cavalieri, assediato
nei pochi momenti di riposo dalie offerte corruttrici e dai vani discorsi teologici di un vescovo
infame; se potesse immaginare tutto questo forse avrebbe un’idea più giusta del rapporto tra
l’editto di un principe augusto sul suo trono e il delitto dei più volgari criminali della terra.
Avevano timore a gettare in prigione i malati che avevano una grande probabilità di morire,
quindi li torturavano a domicilio; fu questo il supplizio inflitto al nostro patriarca di Orange,
il ministro Chambrun, che fece a me c poi al mondo intero l’esatto racconto nel suo libro Lar-
m es de Pineton . Rimasto in casa sua per una gamba spezzata e per gli intollerabili dolori pro­
vocati dai calcoli alla vescica mentre i suoi colleghi erano in prigione, ricevette dal conte di
Tesse, in un primo momento, la promessa di essere trattato con riguardo per il suo stato socia­
le, poi, a causa del rifiuto a convertirsi, ricevette la minaccia di essere giustiziato rigorosam en­
te. Racconta Chambrun: “ A questo proposito fu uomo di parola. Senza provare alcuna com­
passione per lo stato in cui mi aveva trovato, inviò a casa mia, dopo meno di due ore, quaran­
tadue dragoni e quattro tamburi che suonavano notte e giorno intorno alia mia camera per
rendermi insonne e farmi perdere la ragione (...). In poche ore la mia casa fu messa sottoso­
pra, l’intera scorta di provviste non fu loro sufficiente, sfondarono tutte le porte chiuse a chia­
ve e danneggiarono tutto quello che cadeva sotto le loro mani. Mia moglie si sforzò di provve­
dere a tutto con un coraggio intrepido (...). Sopportò tutte le insolenze che possono essere im­
maginate, le minacce, le ingiurie di p..., di c... e altre, mille discorsi osceni che questi disgra­
ziati facevano continuamente Non era ancora notte che i dragoni accesero le candele in
tutta la casa. Nel cortile e nelle mie camere era come pieno giorno, il compito abituale di que­
ste persone screanzate era di mangiare, bere e fumare tutta la notte. Se non fossero venuti a
fumare nella mia camera per stordirmi e soffocarmi col fumo del tabacco e se i tamburi^aves­
sero cessato il loro chiasso importuno per lasciarmi riposare un poco, lutto questo mi sàrebbe
stato sopportabile. Ma a questi barbari non era sufficiente molestarmi cosi, a tutto questo ag­

re tulio. Spesso accadde che mentre gli uomini erano in prigione, per esempio chi aveva promesso di con­
vertirsi ma non era andato subito a messa, le donne rimanessero sole in casa coi dragoni.
(9) Si potrebbe pensare che chi ordinava le dragonate si limitasse a contare sulla licenza dei soldati e aveva
ragione di farvi assegnamento. Ma sarebbe un errore, perché, cosa inaudita, la licenza fu espressamente
comandata. Louvois, nel novembre 1685, scrive: “ Il re è staro informato deirostinazione dei protestami
di Dieppe per la cui sottomissione unico mezzo è il mandarvi un gran numero di cavalieri e di farti vivere
in casa loro motto Ucenzìosameme. (...) Non dovrete osservare nei toro riguardi nessuna delle misure che
vi sono state prescritte e dovrete render il più possibile rude e oneroso il mantenimento delle truppe presso
di loro. (...) Invece di venti soldi a testa e del mantenimento potrete avere un ricavo dieci volte maggiore
permettendo ai cavalieri il disordine necessario per togliere quelle persone dallo stato in cui sono e farne
un esempio nella provincia...”

2 17
giunsero urla spaventose e, se per mia fortuna i fumi del vino ne addormentavano qualcuno,
l’ufficiale che li comandava, parente stretto del marchese di Louvois, li svegliava a dÉilpi di ba­
stone affinché ricominciassero a tormentarmi” . Dopo questi tormenti, durati a lungo, che ve­
nivano qualche volta sospesi solo per il timore che il malato svenisse, questo martire fu tra­
sportato di diocesi in diocesi per essere sottoposto ai dolci sistemi dei vescovi; uno di questi
credette per un momento di potersi attribuire l’onore dell’opera dei dragoni che alternavano i
loro lavori ai suoi, ma non ebbe nessun risultato. Se Chambrun fosse morto nelle mani dei
suoi persecutori, dopo qualche parola di debolezza subito ritirata, e se egli avesse rifiutato, co­
sa che certamente avrebbe fatto, i sacramenti dei papisti, essi avrebbero potuto fingere che li
aveva ricevuti e la cosa avrebbe procurato loro un gran merito presso la corte. Se la finzione
non fosse stata possibile a causa dei troppi testimoni, avrebbero potuto intentare un processo
come recidivo al cadavere. Una dichiarazione del re contro i nuovi convertiti prevedeva che
quelli che avessero rifiutato i sacramenti durante la malattia, in caso di guarigione sarebbero
stati condannati alle galere c i loro beni sarebbero stati confiscati, in caso di morte sarebbero
stati villipesi, dissotterrati, se fosse stato necessario, e gettati nei rifiuti. Queste cose sono state
fatte per qualche tempo in alcune provincie, come la Ix>rena, la Champagne, la Borgogna (10).
Anche a Metz, dove i protestanti potevano credere di avere più garanzie che altrove, la gente
spaventata potè vedere, fra i tanti uomini e donne, il corpo nudo di un vecchio di ottanta anni
giudicato, condannato e vilipeso; vicino a quel corpo c’erano gli intestini che gli erano stati
strappati prima (11). Intere popolazioni di alcune città caddero sotto il colpo di queste terrìbili
ordinanze che nemmeno i tiranni più detestati hanno mai superato. C ’erano città che il terrore
dei dragoni “ convertiva” interamente in ventiquattro ore; tutto a un tratto si trovavano popo­
late di persone che potevano essere punite come recidive. Si può immaginare infatti quale asse­
gnamento si poteva fare sulla sincerità delle professioni di cattolicesimo ottenute con tali mez­
zi, La nostra disgraziata città di Orange fu fra queste ultime. I suoi sacerdoti, tra i quali
anch’io, furono imprigionati e il principale fra loro fu sottoposto alle stesse torture che veni­
vano ripetute in tutte le case; fu convocata un’assemblea generale dei cittadini nella quale fu
fatta un’abiura comune della religione protestante con la promessa di concessioni e addolci­
menti nel culto, anche se con l’intenzione di non mantenerle. Chi non intendeva piegarsi del
tutto sotto le forche caudine dei gesuiti e degli altri buoni padri, forche tenute dai dragoni, do­

lio) Cf. La France protestante, X, p. 433. Viene riportata la lista di questi cadaveri condannati e giustizia­
ti; è una lista di circa sessanta nomi perché ben presto ci si accorse che la Chiesa ricavava da queste proce­
dure più infamia che vantaggio. In compenso le liste dei galeotti, dei deportali e dei prigionieri di Stato,
benché necessariamente incomplete, riportate nella stessa opera, sono interminabili. Che accadrebbe se
fosse possibile fare l’elenco dei fuggitivi che trovarono la morte cercando Pesilio?
(Il) Cf. Persecution de f'Eglise de Metz décritepar le sieur Jean Olry, notaire royai, Hanau, 1690, ristam­
pata a cura di 0 . Cuvier, Parigi, 1850, pp. 102-108. J. Olry fu deportato in America, la moglie e i suoi
due figli furono fatti prigionieri e messi in un convento. A Metz un ragazzo di sedici anni fu impiccato col
padre e altre due persone, un uomo e una donna, che li avevano aiutati a fuggire. In questa città si erano
avute conversioni in massa per fazione sempre efficace dei dragoni. Ma poi fu necessario inviare un mis­
sionario con gli stivali per obbligare i nuovi convertiti ad assistere alla messa. H cavaliere che più tardi di­
ventò marchese, duca c maresciallo di Boufflers si incaricò di questa missione. Questo grande uomo di
guerra, allora governatore dei “ tre vescovadi” , assisteva di persona, circondato dalle sue guardie e dai
maggiori magistrati, al catechismo a cui ì padri di famiglia che non volevano ricevere una seconda volta i
dragoni in casa erano costretti a mandare ì loro figli. Cf. Olry, op. cit., p. 128.

218
veva ricorrere alla fuga. Nessuno potrà mai conoscere a quali pene e a quali miserie siano an­
dati incontro quei disgraziati che presero tale decisione e il numero di quelli che morirono.
Quanto accadde a Orange in questo periodo accadde ovunque, alle porte di ogni città e a ogni
frontiera del regno. Vedevo avvicinarsi questi avvenimenti, ma per pensare alla sicurezza dei
membri più teneri dell mia famiglia e non tirarmi indietro in quello che ritenevo mio dovere,
cioè sostenere e consolare i nostri fratelli fino alla fine, avevo mandato già da qualche tempo
mia moglie con i miei figli e i miei nipoti in Olanda, usando le facilitazioni e il pretesto di una
parentela di mia moglie col signore di Starenbourg, allora ambasciatore di Sua Altezza il Prin­
cipe alla corte di Francia, Li salvai da un lungo supplizio e salvai i più giovani almeno dalle se­
duzioni che il cattolicesimo nei suoi conventi abilmente mette in opera e alterna ai maltratta­
menti. Fino all’ultimo i miei figli rifiutarono di allontanarsi, allora ordinai loro di partire con
mio fratello che, come ho detto sopra, era stato notaio a Orange e che, disgraziatamente per
tutti noi, cercò per troppo tempo di persuadersi che, in seguito alla nuova condizione dei sud­
diti del principe e dei protestanti, ci fosse una ragione di restare al proprio posto più forte di
quella di fuggire. La notte stessa dell’irruzione nella città dei dragoni di Tessè, mio fratello coi
suoi due figli e i miei due potè guadagnare i campi e dì là, senza troppi pericoli conoscendo be­
ne il paese, le montagne del Delfinato. Ma poi era necessario abbandonare il regno e i passi
delle frontiere erano sorvegliati. Lo sfortunato gruppo, al quale si erano aggiunti altri fuggiti­
vi e in ultimo anche delle donne alle quali non era stato possibile rifiutare la compagnia, si ac­
cordò con una guida che li avrebbe condotti per strade sicure negli Stali del duca di Savoia.
Quest’uomo aumentò le sue pretese in proporzione del pericolo e del bisogno che avevano di
lui, molto al di là delle sue richieste originarie e, poiché il gruppo imprudentemente rifiutò,
trovò più vantaggioso vendere quelli che aveva promesso di salvare. Pensava che parecchi di
loro avessero molti beni. Da una parte, gli editti condannavano alla pena di morte chi avesse
favorito l’evasione dei protestanti, dall’altra assicuravano gli averi e le sostanze dei protestanti
in fuga a chi li avesse arrestati o denunciati. Un’altra dichiarazione del re accordava ai denun­
cianti la metà dei beni dei denunciali. Questi pubblici incoraggiamenti al tradimento moltipli­
carono in ogni luogo i delitti (12). L ’infedele guida aizzò dunque contro i nostri fuggiaschi un

(12) Il dramma che fautore ci riferisce in termini coincisi è accaduto mille volte fra il 1685 e il 1689. Se ne
può trovare un esempio in un racconto del tutto simile dei suoi momenti principali nei Mémoires ée Du-
mont de Bostaquett gentilhomme normand che questo gentiluomo ha scritto in Irlanda e in Inghilterra
dove sono stati ritrovati. Bostaquet si sposò tre volte ed ebbe almeno venti figli i cui discendenti esistono
ancora in Francia e in Inghilterra. Quando fu revocato l’editto di Nantes, cercò di difendersi, di guada­
gnar tempo, ma, minacciato dai dragoni, fini, come la maggior parte delle famiglie normanne di suoi pa­
renti e amici, per firmare una promessa di conversione. Non riuscendo a decidersi a renderla effettiva, nel
1687 decise di fuggire. Il gruppo di trecento persone, tra le quali la madre, molto anziana, la sorella, la ni­
pote, il genero e i suoi bambini, fu attaccato mentre aspettava sulla riva di Saint Aubin la barca che dove­
va portarli via. Il tradimento sembrava opera soprattutto di un certo Vertot d’Aubeuf che aveva riunito
un gruppo di contadini che si opponevano all’imbarco; per questo gentiluomo era una semplice saccheg­
gio. Bostaquet fu ferito nella lotta e dovette fuggire, si salvò rifugiandosi in diversi castdii amici, por­
tando la sua ferita fino alla frontiera di Fiandra. Entrò al servizio del principe d’Orange c partecipò alla
battaglia della Boyne. Da questo scontro nacque un processo nel quale sei donne furono condannale a ra­
dersi e a rinchiudersi in un chiostro, due uomini furono condannati a tre anni di galera e dieci, giudicati in
contumancia, alla galera a vita, una donna, anch’essa contumace, al chiostro a vita; dopo il pagamento
delle ammende, il resto dei beni fu confiscato. Di questo episodio ci sono rimasti la sentenza, diversi rap­
porti e altri atti procedurali. Ci colpisce e ci appare istruttivo il contrasto fra il tono visibilmente apologe-

219
gruppo di contadini che o per avidità, o perché infiammati dalle predicazioni pap|ste, li assali­
rono in armi, di notte mentre alcuni andavano a dare Pallarme ai soldati di una postazione po­
co lontana. In tanto terribile eccesso, fu messa mano alla spada e fu versato del sangue. Mio
fratello fu ferito subito da un colpo di arma da fuoco, ancor prima di aver pensato a difender­
si; fu portato dai figli in una capanna dove poco dopo furono tutti e tre consegnati ai soldati.
Questo martire è mono per le conseguenze della ferita ricevuta a Grenoble prima che fosse
istruito il processo contro il disgraziato gruppo. I miei due nipoti sono stati condannati, per
aver voluto abbandonare il regno in armi, alla galera a vita pur non essendo sudditi del re; so­
no morti tutti e due per i trattamenti disumani che il loro fisico non ha potuto sopportare.
Uno dei miei figli, ancora vivo, ha condiviso la loro condanna perché, avendo solo sedici anni,
era in qualche modo scusabile per essersi armato insieme ad alcuni suoi parenti. Ma siccome
un contadino era stato ucciso nella mischia, durante l’attacco che disperse il gruppo dei fug­
giaschi prima deir arrivo dei soldati che li arrestarono quasi tutti, molti furono condannati alla
pena capitale e il mio figlio maggiore fu tra quelli che subirono una morte che può essere con­
siderata ignominiosa solo quando non viene inferra per motivi di coscienza e come un pegno
della gloria celeste.
Per quanto mi riguarda non vi intratterrò sulle mie sofferenze, che sono poca cosa in con­
fronto a quelle dei miei nobili figli. Per lungo tempo fui portato di prigione in prigione osses­
sionato, ma mai allettato, a volte da vescovi e a volte da colonnelli di cavalleria; alla fine fui ti­
rato fuori dal castello di Pierre-fincise grazie all’intervento delle autorità olandesi che ricorda­
rono alla corte che non ero suddito del re, né per nascita appartenevo al principato d ’Grange.
Con la pace di Ryswick, dodici anni fa, ottenni la libertà a condizione di abbandonare per
sempre quella terra di persecuzione, la terra dei miei antenati.

Lieo dei rapporti inviati a corte, dai quali risultano le disposizioni più favorevoli verso la famiglia perse­
guitata e la crudeltà delle conclusioni giudiziarie: convento c galera. II favore, che dappertutto è tanto po­
tente, qui non poteva nulla. La sorella e la nipote di Bostaquet furono rinchiuse in convento e persevera­
rono nella loro religione nel convento delle nuove cattoliche di Rouen. La madre, ottantenne, rimase libe­
ra a forza di pratiche, presentando la cauzione di un cattolico per non abbandonare il regno. Un
dramma particolare e commovente si collega airepisodio principale: le avventure di una bambina, figlia
di Bostaquet, che fu salvata dopo essere stata calata daU’allo deile mura della città di Dieppe; imbarcata,
fu smarrita in seguito a una tempesta e a un cambiamento di direzione della nave e si ritrovò alla fine, in­
speratamente, in Olanda fra le braccia del padre.

220
(1715)

Ho scritto le righe precedenti nella solitudine della mia vecchia casa di Amsterdam dopo
che il mio figlio maggiore, il mio fratello e i miei nipoti erano morti per la fede, come ho rac­
contato e dopo che il mio figlio più piccolo era salito sulle galere del re, dove so che grazie a
Dio e malgrado la sua giovinezza, ha mantenuto la sua coscienza cristiana coraggiosamente
contro gli assilli e i maltrattamenti.
Ci si potrà fare un’idea attraverso alcuni particolari, che voglio riferire, delle innumere­
voli e indescrivibili miserie che ha sofferto in ventisette anni di questa schiavitù, nella quale si
trova ancora e alla quale una morte crudele ha sottratto almeno i suoi fratelli. Dopo la loro
condanna infatti essi furono condotti a Parigi e, a causa di alcuni fatti accaduti nel processo
per la fuga a mano armata, nel quale erano implicate diverse persone e che era caratterizzato
da incroci di competenze, furono rinchiusi nella spaventosa prigione di Tournelle, il carcere
dove i condannati alle galere aspettano la partenza della catena. Vi furono visti da alcune per­
sone pie che avendo ceduto alla persecuzione, cercavano di rendere meno riprovevole la loro
debolezza soccorrendo, con opere di carità, i fratelli che soffrivano. In una sola stanza sotter­
ranea, rotonda c molto grande possono esservi incatenati cinquecento infelici allineati gli uni
vicino agli altri in una posizione mezzo rovesciata, che non consente loro di sdraiarsi intera­
mente o di sedersi, ma lascia parte del loro corpo libera di poggiare sul pavimento méntre la te­
sta è rinchiusa in collari di ferro. Questi collari sono tenuti da catene corte, attaccate tutte a
grosse travi di legno alle quali possono appoggiare la testa venti persone. Dopo quattro mesi di
tale supplizio sessanta nostri martiri insieme a parecchie centinaia di criminali abbandonarono
la Tournelle per attraversare tutta la Francia a piedi trascinando la catena alla quale erano le­
gati i loro ferri. Nel dicembre del 1687 la catena si fermò verso sera, per la prima tappa, a Cha-
renton; gli uomini furono spogliati e rinchiusi nudi per due ore in un cortile circondato da alte
mura, nella neve che si scioglieva c nel fango; tanto durava l’esame degli abiti e il sequestro di
tutto ciò che avrebbero potuto nascondervi all’inizio del viaggio. Subito dopo uno dei miei ni­
poti cadde malato e morì in pochi giorni in un piccolo carro dove il capitano della colonna era
stato costretto a farlo salire non potendo far camminare quel corpo esausto. Bisogna dire che
le responsabilità della catena sono tali che il suo conduttore trova più vantaggioso lasciare dei
morti per strada, per i quali è sufficiente un verbale del curato più vicino che si prende cura dei
cadaveri, che portare sul carro dei malati dal momento che la spesa viene messa a suo carico.
Per questo motivo gli uomini più esausti vengono caricati di botte finché non cadono, perché
facilmente la loro debolezza mortale viene ritenuta cattiva volontà. L'altro mio nipote soprav­

221
visse, come mio figlio, alle intollerabili sofferenze di una marcia che, malgrado la discesa del
Rodano fosse compiuta su chiatte, durò un mese intero: i corpi, a due a due, portavano le loro
catene sotto la pioggia e nel fango, di notte marcivano nel letame per riscaldarsi, i*§ki dai pi­
docchi e dalla rogna. Alla fine salirono entrambi sulle galere di Marsiglia, dopo aver visto mo­
rire buona parte, non so dire quanti, dei protestanti e dei loro compagni di sventura. Mio ni­
pote a sua volta era destinato al martirio; fu picchiato a lungo e lasciato come morto perché,
avendo la custodia della cassa comune dei protestanti, si era sempre rifiutato di far conoscere
ai suoi carnefici le persone caritatevoli della città che si adoperavano per far entrare nelle gale­
re i soccorsi in denaro che venivano da fuori; da quel momento non fece che languire e mori
più di un anno dopo, senza aver ritrovato la parola. Queste sono le disgrazie che il mio figlio più
giovane, che è ancora vivo, ha visto e soffre dal momento della nostra funesta separazione (l).
Non so se potrò rivedere questo figlio adorato, anche se oggi posso sperare nel fatto che
la regina Anna, sollecitata dalle corti del Nord e dalle altre potenze protestanti, le cui istanze
sono state raccolte da un profugo, il marchese di Rochegude, andando di piazza in piazza do­
po infinite marce e pene, intervenga presso il re ora umiliato, per ottenere la liberazione dei
martiri. Aspetto, insieme a molti altri infelici genitori profughi, gli effetti dello zelo di questo
semplice privato, che cerca cosi di riparare alle dimenticanze impietose dei diplomatici che
hanno negoziato per conto delle potenze protestanti la pace a Ryswick e a Utrecht (2).
In queste miserie della mia vita ormai alla fine, troverei una consolazione, se fosse possi­
bile, oltre che in Dio e nel ritorno di mio figlio, nel fatto che i sentimenti di vera tolleranza e di
universale carità che mi vengono riconosciuti fin dal mio rientro in questo paese dalfOlanda
non hanno nuociuto al buon nome della mia fede cristiana e al libero esercizio del sacro mini­
stero che mi è stato mantenuto. Attribuisco tutto questo alla costanza che Dio mi ha dato in
tante prove e alPorribile persecuzione durante la quale, senza alcun merito dei nemici della co­
scienza, non sono caduto per timore o debolezza nel rango degli apostati.
Dalle notizie che mi sono arrivate e di cui sono grato alla carità dei rappresentanti dei
banchieri di Amsterdam a Marsiglia, so che mio figlio, rifiutando le offerte degli scellerati
missionari, non solo ha obbedito all’onore che ci proibisce di vendere la coscienza, qualsiasi
sia il prezzo, per dare un apparente consenso a pretese verità e di apporre la nostra firma a
menzogne, ma anche che avrebbe creduto di mancare al suo dovere verso Dio se avesse con­
sentito a considerare come parola divina, che conosce, le imposture papiste. Essendo mio fi­
glio cristiano gli spiego, dal momento che sono anch’io ministro del Cristo, i motivi per cui mi
sono trovato a trasmettergli, se Dio gli permetterà di conoscerli, tutti i manoscritti al cui termi­
ne scrivo queste pagine. Ho avuto delle esitazioni, lo confesso, sapendo bene che i pensieri di
mio padre e soprattutto quelli de! maestro di mio nonno, verrebbero certamente accusati di li-

(1) A proposito del regime delle galere e della catena dei galeotti cf. J. Martheile, Mémoires , pp. 315-340.
(2) La domanda della regina Anna a Luigi XIV, provocata dagli altri Stati protestanti, e la liberazione dei
condannati nelle galere di Marsiglia per motivi religiosi, a dispetto degli ostacoli e delle molestie di ogni
genere suscitate dai missionari tazzarìstì, sono fatti del 1613; cf. J. Martheile, op. cit. Non sappiamo se il
figlio dell’autore di quest’ultima postilla di Ucronia indirizzata ai posteri sia uscito vivo da queirinferno
o se sia morto poco dopo in seguito ai supplizi sofferti. Ne ignoriamo anche il nome. Comunque se è so­
pravvissuto al padre non ha aggiunto nulla di suo ai manoscritti che dovettero passare per mani estranee
dopo restinzione di questa sventurata famiglia. Probabilmente il rispetto degli eredi e poi findifferenza li
hanno fortunatamente conservati fino al momento in cui il caso li ha messi sotto gli occhi di un lettore che
ne fu interessato.

222
bertinaggio e irrimediabilmente destinati al fuoco da ogni consiglio pastorale al quale fossero
sottoposti. Forse quanto c'è di sacro in un’eredità familiare, per chi pensa di esserne solo il
depositario, dovrebbe prevalere sul timore di nuocere alla particolare eredità della fede del pa­
dre al Figlio. A un esame più attento vedo altre più importanti ragioni che voglio annotare per
non sopprimere opere nelle quali viene messo in risalto l’odio vigoroso per l’ingiustizia e la­
sciarle in eredità aj miei discendenti.
Confesso ingenuamente che Ucronia, pur non attaccando direttamente la possibilità delle
verità evangeliche, spiega tutte le vicende umane, la loro nascita e la loro sistemazione e ci fa
vedere un’indifferenza, quasi un’ignoranza ostentata a proposito di quanto vi si potrebbe tro­
vare di fede legittima, in una parola, rivelata, dopo la divisione corretta e rigorosa di tutto il
miscuglio umano e naturale e poi della corruzione nata dalle superstizione e dal fanatismo ti­
rannico. È quindi chiaro che l’autore, in mezzo alla sanguinosa intolleranza pubblica e al se­
greto scatenarsi dell’ateismo del suo tempo e del suo paese, non vedendo più niente, per dirla
correttamente, che potesse chiamarsi religione, aveva perso ogni fede nella verità e nella mis­
sione di una Chiesa del Cristo. D ’altra parte, la forza delFodio e del disprezzo che emerge dal­
lo stile di questo autore ogni volta che pensa all’istituzione mondana del cristianesimo, al suo
spirito oppressore, al triste cambiamento delle credenze in decreti e dei martiri in carnefici, al­
fa sacrilega alleanza della spada e della croce, è tale che dal cattolicesimo ricade sullo stesso
vangelo; poiché è sempre accaduto che il secondo sia stato rappresentato nella storia dal
primo, è impossibile, dopo qualche secolo, distinguere l’opera della grazia da quella dei perse­
cutori, o Tistituzione di Dio dal teatro dell’Inquisizione e dei roghi. Tuttavia l'intenzione pro­
fonda di Ucronia e la giustizia dello scrittore, che finisce per dover riconoscere la santità di
una fede cristiana nelle anime che si sono unite liberamente alla verità sta nel fingere di essere
arrivato alla fine di questo medio evo, che la sua fantasia ha abbreviato, quando riferisce che
la Chiesa del Cristo, un tempo giustamente proscritta a causa della sua volontà di usurpare il
campo del potere civile e respinta in Oriente, rientra senza opposizione in Europa dopo che il
progresso e la Filosofia in alcuni paesi l'hanno spogliata del suo lievito di intolleranza e libera­
ta dalla parte superstiziosa e odiosa del suo mistero.
Nel quadro dei principi e dei fatti del vero medio evo, aggiunto da mio padre come riesame
dei quadri fittizi di Ucronia, il suo spirito, che non voglio sondare, era pieno e profondamente
immedesimato nei tanti orrori e menzogne che doveva riferire in forma succinta che* o per
Tinclinazione naturale del suo modo di pensare o per artificio stilistico, non gli era assoluta-
mente possibile riferire quanto poteva essere successo nel mondo, in questo periodo, di buono
o di puro e non deformato da sottili e false scienze, non disonorato dalla credulità volgare,
non odioso ai migliori a causa delle persecuzioni. Vedere come tutto quello che può chiamarsi
fede sincera e opera di Cristo viene ricoperto e mascherato neil’evolversi delle cose umane,
cioè di quelle religiose, agli occhi dell’osservatore e dello storico che non si nutrono di parole e
non hanno lo spirito offuscato dall’autorità di giudizi che vengono imposti, dovrebbe essere
una lezione per ogni persona capace di comprendere Ucronia e l’appendice aggiunta da mio
padre. La sanguinosa e lugubre maschera che i secoli hanno tramandato e che il cattolicesimo
ha considerato come l’aspetto vero e giusto della religione e del bene pubblico, è facilmente at­
tribuibile alla tirannia delle credenze e della politica dei papi, usurpata e continuata violente­
mente di secolo in secolo, sia che i nostri autori si siano ingannati oppure abbiano visto giusta­
mente e chiaramente quanto ci hanno dipinto.
L ’insegnamento che possiamo ricavare dai loro scritti, qualunque sia l’intima convinzio­
ne sulla religione che ne emerge, o anche il veleno del primo, se si vuole a ogni costo giudicarlo
in questo modo, è abbastanza prezioso per essere conservato. Mai forse fu raffigurata con co­
lori più sinceri, combattuta a fondo con ragioni così evidenti, anche se senza alcuna genialità,

2 23
ma solo in virtù della finzione a cui ci si rifa, la dottrina della costrizione religiosa, il .pensiero
comune e corruttore di una istituzione politica che sola possa determinare il pensiero teologi­
co, dove la grazia e la fede trovano la loro tomba. In nessun luogo, se la memoria non mi in­
ganna, troverete rappresentata, come rovesciamento dei fatti che sono accaduti, la tesi del li­
bero arbitrio che tale capovolgimento mette in opera. Questa specie di difesa contro la conce­
zione fatalistica della storia mi pare adatta a metterci in guardia nei confronti di un errore a
cui tendono tutte le nostre chiese, per le teorie sulla predestinazione dei primi protestanti che
sono state accolte dalla maggior parte delle nostre confessioni.
Tutto questo è sufficiente per dire che, nella recente disputa tra ì nostri ministri, che mi­
naccia un nuovo scatenarsi dello spirito di persecuzione, io sto dalla parte di Arminio c dei ri­
mostranti non solo nell'affermazione del principio della piena tolleranza e della facoltà di in­
terpretare la Sacra Scrittura da parte dei semplici privati, ma anche nel rifiuto della dannazio­
ne prestabilita, dell*irresistibilità della grazia e dell’imputazione del peccato alle creature che
nascono, come di immaginazioni della peggiore specie. Chi leggerà senza prevenzione quel po’
che mio nonno, nel suo racconto, ha riferito sulle tesi del maestro, che anche se è poca cosa
fornisce vivi lumi, andrà forse più lontano nel pensare una riforma di tutta la teologia che
possiamo ricavare da una tradizione che non ha una vera autorità divina, e potrà legittima-
mente concludere, come faccio anch’io, che i dogmi che manifestano contraddizioni inelimi­
nabile sono invenzioni della scuola e non rivelazioni dell'Augusta Verità ai padri conciliari.
Tutto questo insegnamento è ancora per pochi e non c’è da sperare che Ucronia possa es­
sere presentato con utilità e sicurezza al mondo prima che siano passate parecchie generazioni.
A quale dei nostri amici potrei affidarlo? Pierre Bayle, il grand’uomo che da poco abbiamo
perduto, ci lascia un’opera estremamente ardita per il suo tempo, ma umile se si considerano i
limiti che si è imposto. E quante ingiurie ha vomitato contro di lui il dogmatico Jurieul Ha de­
finito Bayle uno scettico perché, coi suoi ragionamenti, ha messo alle strette le dottrine di co­
loro che pretendono di saper tutto dimostrando che si annullano a vicenda. L ’ateo che ci parla
di Dio afferma che tutta la filosofia è cartesiana, cioè platonica in Malebranche, alessandrina
in Spinoza, in Leibniz fatalista e per giunta offuscata da molte considerazioni mondane. Vedo
spuntare qualche luce in Inghilterra: è un’aurora, la fine del secolo udrà l’annuncio del gior­
no? La religione ripudierà i suoi dogmi oppressivi, quelli che sono definiti rivelati? La filoso­
fia, non meno ambiziosa e tenace, abbandonerà le sue dottrine contraddittorie, quelle che
vengono dette evidenti? Una certa falsa alleanza della teologia e della filosofia, comunemente
accettate per mantenere gli spiriti in uno stato di sottomissione, farà posto a una sana libertà
che possa essere esercitata meglio che con queste negazioni arbitrarie e temerarie, normale
conseguenza della rivolta aperta o di quella che è obbligata a nascondersi?
La sconfitta e Tumiiiazione del Gran Re di fronte alla coalizione europea potrebbe prepa­
rare un avvenire migliore per ì popoli dopo le tante guerre dello scorso secolo e di questo, in
cui la politica degli Stati ha usato la religione come pretesto e dal fanatismo ha preso una parte
dei suoi strumenti? Ma la persecuzione non si è arresa nemmeno nei luoghi più favoriti, il papa
non pensa di abbandonare il principio dell’intolieranza, la politica pura non deve cambiare
molto i suoi metodi, a giudicare dalle lezioni di diritto dei popoli venute dai filosofi più illumi­
nati e meglio intenzionati dei nostri giorni, se si trovano ancora tracce profonde dì barbarie e
un totale asservimento alle abitudini di spirito dei cittadini e alla religione dei principif
C ’è dunque proprio da temere che l'equilibrio fra gli Stati continui a essere soggetto a rotture
e a restaurazioni periodiche, che non possa fondare la speranza di una federazione futura de­
gli Stati come l'ha sognata l’autore di Ucronia. Chissà se il tentativo di una monarchia euro­
pea non possa riprendere in seguito, con maggiore successo, a vantaggio di qualcuno dei po­
poli che hanno vinto o anche di quello che è appena stalo sconfitto l Dico a vantaggio, ma $a-

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rebbe meglio dire a danno e a maggior disgrazia deirintera Europa, che si vedrebbe ricondot­
ta da un'unità amministrativa a quella di tutti i poteri, compreso quello spirituale, e destinata
di conseguenza all'universale avvilimento degli spiriti*
Non c giusto nascondere la verità di quanto spesso si è detto negli stati monarchici per
meglio opporsi alla Riforma: che il suo spirito è uno spirito repubblicano. Come potrebbero
non essere repubblicani, in tutte le loro segrete disposizioni, quegli uomini che imparano dalla
religione a giudicare secondo il proprio pensiero, a regolarsi con la propria volontà, fatta salva
la grazia di Dio, a non accettare padroni della propria anima nemmeno per farsi guidare al cie­
lo, pur accordando ciò che è dovuto alla forza della consuetudine e alla presente incapacità dei
popoli o della maggior parte di essi e di quelli più importanti, a amministrarsi da soli? Bisogna
dunque pensare che, se per un verso le rivalità fra gli Stati volgono le cose in maniera decisa e
sempre più a danno dei cattolici, e per Taltro lo spirito della Riforma, secolarizzandosi, rive­
stendo forme non più soltanto religiose, ma filosofiche e politiche, penetra negli Stati cattoli­
ci c vi disgrega le forze che il fanatismo in quei paesi rende alleate dei preti e dei prìncipi, i no­
stri discendenti assisteranno a un vasto movimento simile a quello che nel penultimo secolo ha
sconvolto tutto il modo di vivere. Ma rivoluzioni più radicali di tutte quelle che abbiamo visto,
un sentimento dei popoli più turbolenti d'Europa, che si sottrae totalmente e non solo nell'éli­
te intellettuale e nelle coscienze più ferme, a abitudini millenarie, lo sforzo necessario per vin­
cere e svellere dal suolo stesso dove si è radicato profondamente il potere più forte del mondo,
quello dei preti, non può non provocare gravi sconvolgimenti la cui conseguenza sarà una lun­
ga anarchia. Non so se quello sarà il momento favorevole per lasciare alle meditazioni degli spi­
riti turbati dalla lotta o accecati da tante passioni, i pensieri elaborati nel nostro libro di fami­
glia e indirizzati ai saggi. Il saggio dovrà tenersi a lungo in disparte (3). Fino a oggi il fanati­
smo è stato il suo principale nemico; quando il fanatismo sarà disarmalo, tre campioni ri­
prenderanno la causa perduta: l’abitudine, l’ignoranza e la paura. Il mondo li vedrà a lungo
all’opera.
Fine dell’appendice.

(3) H saggio in disparte! È proprio questo martire della persecuzione del Gran Re che parla cosi, lui che,
confessando la sua fede sulla paglia delle celle di Pierre-Encise ha mantenuto la libertà religiosa coltro la
proscrizione di cui un popolo intero si faceva complice, lui, il cui fratello e i cui nipoti hanno tentato di
evadere dal regno a mano armata e il cui tiglio rema ancora nelle galere del re! Come ministro della parola
ha o no, oltre al dovere di difendere la sua coscienza, quello di operare con tutti i mezzi legittimi per l’af­
francamento della coscienza degli altri e deìi’anima popolare? Ma anche il martire, è inutile negarlo
e l’esperienza ce lo insegna, dopo le prime esaltazioni subisce l’indebolimenio della vittima sopravvissuta.
Vale anche per un popolo, un partito, una religione perseguitata, quando la persecuzione è stata suffi­
cientemente dura e lunga. Non potrei spiegare altrimenti, per esempio, Patteggiamento umiliato e vittimi­
stico che il protestantesimo ha mantenuto sempre in Francia, anche quando c stato legittimato e anche
quando alcuni provvedimenti gli hanno conferito un'uguaglianza nominale col suo crudele persecutore,
[.’ardore da proseliia e il metodo aggressivo contro le “ superstizioni” , in se stesso legittimo e che sarebbe
anche giusto come rappresaglia, hanno fatto posto ad atteggiamenti timidi c rassegnati di persone che esi­
stono solo perché tollerate e che lo sentono troppo. li saggio in disparte! Non era certo questo il pensiero
del “ Padre Antapiro” c del suo allievo. Questi si è ritirato dalla lotta, lo si può credere, nobilmente, co­
me se ne ritira ogni persona costretta a subire, se si decidesse di rendere di pubblico dominio le sue nuove
opinioni, il discredito di una smentita delle vecchie opinioni, contrarie alle nuove, soprattutto se le aveva
condivise ardentemente. Ma chi obbligava il figlio, e soprattutto il nipote, a cambiare in prudenza mon­
dana, o per lo meno in isolamento filosofico, la dolorosa riservatezza del padre? Il nipote, dopo essere

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uscito dalle prigioni francesi, viveva in un periodo e in un paese in cui Locke pubblicava liberamente i
suoi punti di vista sul cristianesimo e la tolleranza e dove il movimento arminiano abituava le menti alla
pubblica espressione anche di teorie molto ardite. E cosa sarebbe stato di noi se il notaio di Châtelet aves­
se insegnato al giovane Arouet la massima del saggio in disparte? Se Rousseau si fosse confinato nella
musica e così avessero fatto anche altri? Invece questi uomini hanno affrontato pericoli molto precisi e
fra i più terribili. Bisogna biasimare che uno dei depositari dei nostri manoscritti, all’inizio del XV111 se­
colo, abbia pensato fosse giusto non correre alcun rischio, neanche quello delPinopportunità, non ag­
giungere nuiraltro alle teorie che avrebbero educato il pensiero dei cittadini fino al momento della rivolu­
zione francese e anche dopo, che avrebbero rappresentato una memoria importantissima da consultare,
perché combatte il determinismo storico col più istruttivo dei paradossi. Ma il successore dei nostro ano­
nimo, vecchio e debole, qualunque sia stata la causa, ha probabilmente subito l’influenza del secolo apa­
tico in cui lo stesso Spinoza scriveva all’inizio di quel terribile libro che inaugurava la critica alle Sacre
Scritture:
“ Non raccomando questo trattato al volgo; non gli piacerà. Conosco la tenacia con la quale le anime di­
fendono ciò che hanno abbracciato all*ombra della fede. Conosco anche come sia impossibile guarire il
volgo dalla superstizione e dalla paura (...)■ Desidero che il mio libro non vada a quei lettori che, senza ri­
cavarne una utilità per se stessi, danneggiano i liberi filosofi.” * *
Guarire il popolo dalla superstizione e dalla paura è un lavoro difficile, ma che bisognerebbe cominciare
anche solo a vantaggio della filosofia, a meno che proprio la filosofia non voglia diventare del tutto per­
sonale e solitaria abbandonando la politica, cosa che Spinoza non condivideva. I liberi pensatori potran­
no dire quel che vogliono fra di loro, ma non potranno separare la loro libertà da quella del popolo e fin­
ché il popolo sarà in preda alla superstizione e alla paura, i padroni del popolo saranno anche i loro pa­
droni.
**cf. B. Spinoza, Tractatus teologìco-politicus.

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Nota finale del Curatore

Scusate gli errori dell’autore. Se mai form ula convenne a un libro, a


quello che pubblichiamo si addice la form ula con la quale gli antichi poeti
spagnoli erano soliti prendere congedo dai loro lettori.
Nessuno meglio di noi può conoscere le difficoltà di una costruzione im­
maginaria come quella che è il soggetto di Ucronia. Criticare l ’autore perché
non ha saputo imitare la varietà infinita della vita, rimproverarlo sulla pover­
tà dei fatti che ha inventato, sulla loro disposizione reversibile e sulle con­
traddizioni che non ha saputo evitare nel sistemarli, significherebbe perdere
tutto il tempo e la fatica. Neppure gli storici della realtà riescono a soddisfare
i diversi critici in quella parte della storia che mira solo a stabilire delle vero­
simiglianze. Come potrebbe il narratore, doppiamente apocrifo, che non esi­
ste e che racconta quello che non è successo dal punto di vista di un ’epoca in
cui il lettore deve trasportarsi, come potrebbe sperare di assolvere il suo com­
pito con soddisfazione di tutti quando le stesse verità di fatto non sono ricon­
ducibili in un sistema, dove tutto sembra chiaro e coerente a tutti? Consegui­
re troppo bene il proprio scopo sarebbe per lui un altro modo di mancarlo;
infatti la prim a tesi che sostiene è la possibilità di concepire in diversi modi la
serie degli avvenimenti. Bisogna quindi che la serie che ha pensato possa es­
sere abbandonata in favore di un ’altra.
A dire il vero bisognerebbe parlare dell’impossibilità e non delle semplici
difficoltà di ottenere un risultato soddisfacente, pensando alla quantità e al
groviglio di ipotesi che si accalcano sul cammino del creatore di ucronie,
quando prende la decisione di sostituire in un punto O, e di conseguenza in
molti altri, della serie reale dei fatti passati, la direzione Oa della effettiva
traiettoria storica, con la direzione OA della stessa traiettoria. L a sostituzio­
ne supposta, con un fatto che sarebbe potuto accadere, di uno, possibile
anch ’esso ma che ha in più il privilegio unico di essere accaduto, introduce

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immediatamente la scabrosa questione di sapere se la direzione OAjé verosi­
milmente quella che sarebbe venuta come risultante del fatto modificato, dei
fatti correlativi che nello stesso tempo è stato necessario cambiare e di quelli

che sono stati conservati come circostanze e condizioni date. L ’interazione


delle possibili volontà e il credibile livello delle condizioni generali del mondo
e della solidarietà umana che possono ammettere o rifiutare l ’intervento effi­
cace dei coefficienti particolari che ci si permette di cambiare, sono incognite
che obbligano il creatore di ucronie a decisioni molteplici, arbitrarie e incon­
trollabili.
D al momento che è stata introdotta una prim a deviazione della linea ef­
fettiva, la traiettoria OABCDE... diviene interamente immaginaria, ma non
si può sapere se tenderà o meno, nel susseguirsi degli avvenimenti in virtù del
solo effetto delle condizioni conservate, a confondersi interamente o in parte
con la traiettoria reale. Si può rappresentare con una figura poligonale che si
avvicina sensibilmente e quasi in ogni punto a una curva per la fre ­
quenza e la pressoché totale continuità dei cambiamenti di direzione dovuti
alle forze che in ogni momento si compongono nel determinarla (1). M a Val-

(1) Il lettore che reclamasse la totale precisione delle definizioni nello schema di cui viene presentata la
traccia »vorrebbe sapere cosa è questa traiettoria e cosa rappresentano le direzioni successivamente modi­
ficate di cui esSa è formata. Si può chiarire la cosa, e è già molto, per l’oggetto proposto, che c simbolico
e non rigorosamente matematico, immaginando che gli angoli rappresentino delle variabili rispetto a un
certo asse la cui direzione sarebbe data dalla tendenza immaginata verso uno stato sociale in qualche mo­
do definibile.

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tra, la traiettoria immaginaria, per il creatore di ucronie può essere raffigura­
ta solo come un poligono di qualsiasi angolo e di grandi lati, determinati in
maniera grossolana. Chi volesse costruirlo in maniera esatta, dovrebbe, per
conformarsi al proprio metodo, ferm arsi nei punti della successione OABC-
D E ... nei quali vede altrettanti nodi di questa storia che non è mai stata e le
difficoltà sarebbero più che raddoppiate.
In effetti, seguendo (’ipotesi dell’identica possibilità di determinazioni
diverse nei punti O, A, B, C ..., in ognuno di questi punti si dovrà tener conto
della doppia direzione possibile OA, Oa; AB, Ab; BC, B c ...; il parlare sem­
plicemente di una direzione doppia significa già operare una qualche sempli­
ficazione. L a finzione è permessa, da un certo punto di vista, dalla possibili­
tà, che la logica e la morale ci dònno, di dicotomizzare le decisioni umane ri­
conducendole in ogni caso al problema di fare o non fare una determinata
azione. Ma per la verità le possibili maniere di agire sono molteplici e si inter­
secano in molti sensi prima di giungere a un risultato netto. Si possono capire
le astrazioni necessarie.
In pratica sarà possibile avere una consapevolezza totale di quanto dì
chimerico c ’è nelle ucronie, se ci si darà cura di pensare un momento alle de­
viazioni in diverse direzioni e alle incredibili intersezioni prodotte dalle deter­
minazioni ugualmente possibili come BC e Bc, CD e C d ...; a seconda che
questa o quella sia considerata vera o falsa, verrebbe supposta contempora­
neamente falsa o vera l ’altra, e l ’altra ancora e così di seguito, con combina­
zioni che a un tempo si moltiplicano e si inseguono nell’ordine del tempo, ac­
cumulando continuamente nuovi fatti. È impossibile allo spirito umano en­
trare in questa via e non gli è nemmeno facile immaginare semplicemente la
complicazione delle cause o la risultante della minima parte di esse per co­
struire una traiettoria o un ’altra.
M a se è così, si può obiettare, se riconoscete tanto bene la difficoltà e se
anche la parola chimera è troppo poco per una costruzione ucronica, come è
possibile divertirsi anche per un solo istante?
Per tutta risposta chiederemo prim a il permesso di ricavare dallo schema
che abbiamo presentato sopra una conclusione che forse non è legittima. Lo
schema mostra, è vero, l ’impossibilità della costruzione in questione. Ma di­
mostrando, spiega l ’illusione del fatto compiuto, voglio dire l ’illusione co­
mune della necessità preliminare perché il fatto ora compiuto fosse tra tutti
quelli che si possono immaginare, il solo che avrebbe potuto realmente com­
piersi. L a finzione di una tale necessità risponderebbe al giusto sentimento
dell’impossibilità di immaginare con successo una serie diversa da quella che
si è prodotta.
D al momento che si tratta di un ’illusione che si spiega, deve essere con­

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sentito dissiparla non col cogliere fin o in fondo la causa insuperabile, ma col
reclamare il diritto di introdurre nella serie effettiva dei fatti delltì storia un
certo numero di determinazioni diverse da quelle che si sono prodotte. Sce­
gliendole bene diventerà sufficientemente verosimile che il corso delle cose,
nel caso in cui tali determinazioni fossero accadute, si sarebbe modificato in
maniera significativa. Sarà possibile immaginare in quale senso e designare
tali determinazioni in modo che le variazioni abbiano luogo nel senso voluto.
L 'autore che mettesse nell’esecuzione del suo piano una grande erudizione e
una grande scienza e una uguale capacità di intuizione, comincerebbe colfis ­
sare un punto di scissione nel nodo della storia più adatto a rendere concepi­
bile e probabile un grande cambiamento storico alla semplice condizione di
supporre un cambiamento di alcune volontà. Poi dovrebbe decidere sui fatti
futuri che, a cominciare da quel punto vengono giudicati determinati e inevi­
tabili in ragione degli avvenimenti acquisiti, delle cause date e delle tendenze
necessarie. Dovrebbe quindi combinare questi fatti con quelli che ha intro­
dotto come ipotesi e disporre infine la serie dei fatti successivi in modo da te­
nere una sorta di minimo di deviazione dalla realtà, tra tutte le possibili di­
sposizioni che possono condurlo in maniera analoga allo scopo proposto.
L ’autore da parte sua non ha né la capacità di intuizione necessaria, né la
scienza, ha solo il principio e l ’idea di fondo; commetterà molti errori modi­
ficando i fatti in maniera più arbitraria del necessario, combinando in modo
maldestro i fatti reali e quelli supposti e venendo meno, senza utilità per la
sua opera, ad alcune o ad altre grandi verosimiglianze: è quanto forse ci è acca­
duto. Tuttavia, in questo modo, avrà costretto la mente a ferm arsi un mo­
mento sulle possibilità che non si sono realizzate e a ferm arsi così, in maniera
più risoluta, al pensiero delle possibilità che ancora possono verificarsi. A vrà
combattuto e, chissà, forse sgominato i pregiudizi che nelfatalism o aperto o
smascherato hanno la radice. Di un libro, forse chimerico e difettoso
nell’esecuzione, avrà fatto un libro utile. Se abbiamo raggiunto questo risul­
tato, possiamo accontentarci.
C. Renouvier
Fine

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