Sei sulla pagina 1di 6

Renato de Fusco

Storia e Struttura, Teoria della storiografia architettonica


Il presente studio muove dalla costatazione che, mentre i cultori di altri settori storici hanno sempre
interrotto la ricerca “sul campo” per riflettere sugli aspetti metodologici della loro disciplina, quelli
di storia dell’architettura e dell’arte hanno sempre dato per noti, impliciti e intuitivi i capisaldi della
storiografia e l’idea stessa di storia.
Nel dibattito architettonico odierno, la parola storia denota per molti una ricerca rivolta soprattutto
al passato; ad un patrimonio di ambienti e fabbriche antiche che è “doveroso” in qualche modo
conoscere, ma, poiché “la storia non si ripete”, la sua conoscenza è praticamente inutile se non
addirittura dannosa.
Altri vedono la storia come una grande codificazione e autogiustificazione di tutto quanto è
accaduto.
Altri ancora la considerano come un repertorio di forme, dal quale è lecito trarre periodicamente
qualche “citazione” e in genere un museo cui rivolgersi nei momenti di crisi inventiva.
I caratteri dell’oggetto storico assumono una importanza primaria.
Secondo Abbagnano, tali caratteri, corrispondenti ai principali problemi della storiografia, sono:
1) l'unicità o individualità del fatto storico;
2) la correlazione dell'evento con gli altri che ne agevolano la comprensione;
3) il significato o importanza di esso giustificante la scelta e la valutazione storiografica.
Di conseguenza i capisaldi della storiografia sono:
a) la conoscenza individuante, per cui la storia, operando come scienza ideografica si occupa della
singolarità dell'evento in contrapposizione alle scienze nomotetiche che tendono alla formulazione
di leggi;
b) la conoscenza condizionale o causale, richiesta ogni qualvolta che — a meno di non limitarsi alla
semplice narrazione dei fatti o, nel nostro caso, alla descrizione delle opere — si voglia storicizzare
un evento rispondendo agli interrogativi sulla sua origine;
c) la conoscenza selettiva che implica il problema della valutazione, della prospettiva da cui è
condotta l'indagine e l'assunto della contemporaneità della storia. Questo terzo caposaldo rinuncia
esplicitamente ad ogni pretesa obiettività assoluta per stabilire un processo di continua interazione
fra lo storico ed i fatti.
Assunto questo schema, evidentemente convenzionale perché gli stessi temi e problemi potrebbero
dar luogo a numerosi altri quadri di riferimento, ognuno dei prossimi tre capitoli sarà dedicato
all'esame d'uno dei principali caratteri dell'evento storico cui corrisponde un caposaldo della
storiografia.

Capitolo I
Il principio di individualità
Mentre per la scienza l'indagine verte essenzialmente sulla «spiegazione causale», la ricerca storica
si basa sulla «comprensione».
Questo termine è variamente inteso e oscilla da un'attività intuitiva ad un'altra ipotetico-ideale.
L'origine intuitiva della comprensione storica risale al Droysen. Per lui, l'essenza del metodo storico
è il «comprendere indagando».
Tale comprensione avviene spontaneamente, fuori dalla consapevolezza d'un meccanismo logico; e
poiché questa attitudine presiede naturalmente a tutto l'agire interumano essa ci consente di
accostarci ad un evento del passato allo stesso modo col quale conosciamo un fatto del presente.
La base ingenuamente intuitiva di questo «intendere» veniva revocata in dubbio da Dilthey, per cui
l'attitudine dell'uomo a penetrare la sua vicenda non si fonda tanto sull'intuizione quanto
sull'esperienza vissuta (Erlebnis) in senso prevalentemente psicologico.
Ma poiché la storia non è solo frutto degli individui, bensì prodotto della cooperazione, per
comprenderla non basta l'esperienza individuale, ma la coesistenza di questa con l'«intendere», a
sua volta fondato sul
«rivivere» e sul «riprodurre». Sul pensiero di Dilthey ritorneremo più volte nel corso di questo
studio; qui bastando ricordare che contrariamente alla rigida distinzione tra scienze nomotetiche e
idiografiche, egli non esclude affatto che la ricerca storica debba tener conto di leggi, anzi la
storiografia, come tutte le scienze dello spirito, si serve proprio della legge per cogliere gli aspetti
individuali rispetto alla norma generale, quest'ultima espressa dalla nozione di «tipo».
Cosicché, sebbene riferito ad una struttura tipologica, il carattere di unicità dell'evento storico viene
confermato da Dilthey. Analogamente, in Weber, che pure stabilisce per le scienze storico-sociali la
validità della spiegazione causale — riconosciuta da altri come peculiare alle scienze naturali -,
rimane inalterata l'idea dell'individualità del fatto storico, la cui conoscenza tuttavia necessita il
riferimento a delle leggi perché lo studio dell'individuale passa sempre attraverso il sapere
nomologico.
In sostanza, nell'ambito dello storicismo tedesco, pur con diverse specificazioni metodologiche,
alcune delle quali ancor oggi attuali, e con diversità di accenti, assai radicali talvolta, il carattere
individuale dell'evento storico rimane comunque una acquisizione comune.
Concludendo queste considerazioni metodologiche generali sul problema dell'unicità dell'oggetto
storico, possiamo affermare che in una prospettiva tendente a dissociarsi sia da una visione
idealistica della storia, sia da una scientista — posizione che fu peculiare dello storicismo tedesco
contemporaneo, del pragmatismo deweiano, delle ricerche metodologiche americane riassunte nei
due bollettini del Social Science Research Council e di quasi tutti gli autori che abbiamo citato —
non è più possibile operare una distinzione tra scienze nomotetiche ed idiografiche, in quanto tutte
le forme di conoscenza necessitano tanto di un momento individuante quanto di uno generalizzante.
In pratica, se è vero che l'orientamento individuante della storiografia, dalle critiche e le limitazioni
che ha subito, ha trovato più una conferma che una smentita, tale conferma vale a condizione che si
faccia ricorso a generalizzazioni agenti come ipotesi esplicative.
In altre parole, l’unicità dell’evento storico è in relazione e si ricava dal suo confronto con parametri
generali, con codici di riferimento.
Dopo questi cenni al problema dell’individualità storica in generale, consideriamo lo stesso tema
riferito specificamente alla storiografia dell’architettura e dell’arte.
Il punto di vista individuante sostiene che l'individualità dell'opera architettonica si manifesta a
prescindere dal dato biografico del suo autore. Anche nelle opere anonime, collettive o corali va
riconosciuto un carattere individuale non solo in quanto esse hanno degli aspetti peculiari, cosa che
accade del resto anche nei fenomeni naturali, ma anche perché comunque manifestano una
individuale intenzionalità. Come osserva il Droysen, «in tali formazioni, per quanto ce ne è rimasto,
si può riconoscere la personalità, l'individualità degli artefici, poiché nell'attività formatrice essa si
espresse: a quel modo che il suono della parola, i tratti della scrittura sono individuali, anche se
sono centinaia e migliaia coloro che si valgono del medesimo segno per esprimersi, e un edificio
reca testimonianza delle volizioni individuali di coloro che vi lavorarono, sebbene fossero in molti a
lavorare insieme a quell'unica grande opera».
Ma sulla dicotomia generalità-individualità, o meglio sulla impossibilità di prender partito per l'uno
o l'altro termine, troviamo nella riflessione sulla storiografia artistica delle considerazioni che sono
del tutto analoghe a quelle già incontrate nella storiografia Generale. «È una semplificazione
pericolosa — osserva Hauser - mettere a confronto la storia e la scienza naturale semplicemente
come le scienze dell'individuale e del generale... anche il metodo storico non è un metodo
completamente individualizzante; anch'esso si studia di creare rapporti fra gli oggetti del suo esame,
di porre gli oggetti in una relazione causale reciproca e di compendiare diversi fenomeni sotto un
concetto comune, come per esempio quello di stile.
Anche la storia sacrifica moltissimo alla natura complessa e individualmente articolata del suo
materiale d'indagine. Il mantenimento perfetto dell'individualità dei fenomeni particolari renderebbe
possibile soltanto la loro descrizione e significherebbe la rinuncia ad ogni sintesi. Ma la scienza
vuole sempre affermare qualcosa di comune fra più oggetti, così che, quando si tratta di un gruppo
di oggetti, non è necessario richiamarsi ogni volta al caso particolare. Quando definiamo un
concetto come quello di barocco, trascuriamo a priori un'intera serie di tratti concreti delle opere
d'arte raggruppate sotto quel concetto. Ma, potendo disporre di un concetto del genere, non soltanto
ci orizzontiamo meglio, all'interno dell'enorme varietà dei fenomeni storici, nel concepire la singola
opera d'arte come caso particolare o la modificazione di una possibilità tipica, ma possediamo al
tempo stesso una norma, col cui aiuto possiamo paragonare le opere d'arte singole e giudicarle
secondo il loro valore storicamente rappresentativo. Ma tutto ciò deve essere pagato con la perdita
parziale dei tratti concreti delle opere, e la perdita sopportabile ha i suoi limiti».

Capitolo II
Il principio di causalità
Il secondo carattere dell'oggetto storico, stando all'elenco assunto come falsa riga del presente
studio, è la sua correlazione con gli altri eventi che ne agevolano la comprensione; tale carattere
corrisponde al caposaldo della conoscenza condizionale della storio-grafia. Tanto la correlazione
dell'oggetto storico quanto la conoscenza condizionale della storiografia fanno capo ad uno dei
problemi più dibattuti dai metodologi della storia: la possibilità o meno d'una spiegazione causale
della storia.
In storiografia il problema si pose all'origine come estensione in questo campo del principio di
causalità proprio alle scienze naturali, enunciato da Leibniz; successivamente è stato affrontato
come esigenza di una spiegazione causale autonoma dei fatti storici, ossia tale da fornire con i
mezzi specifici della storia il perché dell'essere o dell'accadere di un determinato evento.
Abbiamo già visto che il metodo individuante e della «comprensione» s'addice alle scienze umane e
quello generalizzante e della «spiegazione» (causale) alle scienze naturali. Weber tende ad una
fusione di questi «inconciliabili» caratteri; cioè tenta di unificare il fattore individuale con l'esigenza
di una spiegazione causale. Le scienze storico-sociali sono per lui quelle discipline in cui è possibile
accertare relazioni causali tra fenomeni individuali. Ognuno di questi sarà spiegato in relazione ai
vari legami che lo uniscono agli altri fenomeni costituenti il suo condizionamento e i fattori che ne
esplicitano il significato. Ma com'è possibile questa forma di ricerca che è contemporaneamente di
comprensione e di spiegazione, che riguarda sia l'intendere che la causalità?
A questa domanda Weber risponde col suo metodo ipotetico, che riduce la quantità dei fattori
causali, o condizionanti il fenomeno osservato, ad un campo ben più ristretto di quello reale,
limitato alle scelte preliminari da cui parte l'indagine. Tale procedimento ipotetico, per verificare la
causalità, l'importanza e il grado d'incidenza d'un evento, comporta l'ipotesi del suo annullamento
dal contesto storico e la verifica della portata di questa fittizia esclusione. «La considerazione del
significato causale di un fatto storico -— scrive Weber — comincerà anzitutto con la questione
seguente: se escludendo dal complesso dei fattori assunti come condizionanti, oppure mutandolo in
un determinato senso, il corso degli avvenimenti avrebbe potuto in base a regole generali
dell'esperienza, assumere una direzione in qualche modo diversamente configurata nei punti
decisivi per il nostro interesse.»
Se possiamo rispondere affermativamente a questa domanda vuol dire che l'evento in questione
costituisce un fattore causale, o almeno condizionante del processo storico; altrimenti va
considerato come accidentale o secondario. In tal modo la spiegazione diventa un processo di
«imputazione», ossia la determinazione di un rapporto di causa-effetto in forma individuale.
Nella storia dell'architettura il condizionamento causale è più evidente che nelle altre manifestazioni
artistiche, tutte comunque spiegabili, sia pure in modo parziale e talvolta per i loro aspetti marginali,
causalmente.
Certo, parlare di una tale spiegazione per i fatti artistici la cui caratteristica essenziale è d'ordine
fantastico e dove persino il caso può rientrare nel novero delle possibilità espressive, sembra una
contraddizione in termini. Diventa tuttavia ragionevole se ci si pone in una prospettiva come quella
indicata da Anceschi dove autonomia ed eteronomia (e quindi condizionamenti causali) sono
termini non estrinseci e «pratici», ma da ritrovare nella tensione interna che dà vita all'opera d'arte.
Oltre a ciò, quando diciamo qui che anche per il nostro settore è legittima una spiegazione causale e
quando affermiamo che questa appare più chiara per l'architettura che per le altre manifestazioni
artistiche, non si vuole trattare d’un problema estetico, ma d’uno tipicamente storico.
Riassumendo: o si nega per tutta la storiografia la spiegazione casuale o, ammettendola, è
indispensabile applicarla anche alla storia dell’architettura e dell’arte che non può sfuggire
totalmente a questo caposaldo della ricerca storica.
Pertanto, possiamo dire che, in prima approssima-zione, la spiegazione causale nella storiografia
architettonica può riguardare:
a) la tecnica,
b) la sociologia,
c) lo stile nell'accezione generalizzante,
d) i fattori spirituali cui abbiamo ora accennato.
Nell'esame di questi punti ci serviremo sia degli assunti generali della storiografia ricordati nella
prima parte di questo capitolo, sia di quelle indicazioni degli storici dell'architettura e dell'arte che
possono considerarsi appartenenti al novero delle spiegazioni causali.
Concludendo queste osservazioni sulla spiegazione causale della storiografia architettonica,
possiamo dire che, intesa la nozione di causa nel senso più ampio del termine, dalla intenzionalità di
un singolo artista a un qualunque condizionamento contingente, con la opportuna gradualità ed
accento, nessuna causa, dalla più sottile alla più spuria, riesce a spiegare da sola tutte le domande
che rivolgiamo ad un evento storico-artistico.
È necessario considerare allora non una, ma un sistema di cause, che di volta in volta il ricercatore
individuerà a seconda dell'angolazione e dei fini ch'egli si propone.
Rispetto a tale sistema, come ha indicato a suo modo Weber, va spiegata l'opera da esaminare.
Tuttavia, se è vero che, per dirla col Panofsky, essa costituisce la
"soluzione" dei problemi " posti" dallo storico e se è vero quindi che essa ingloba i fattori di quel
sistema, diventa a sua volta, come s'è detto, causa delle opere successive. Cosicché, a nostro avviso,
andrebbe ribaltata la tendenza ad associare alle opere minori, alla produzione di scuola, alla corrente
stilistica i fattori eteronomi storico-sociali e a lasciare in una aura ineffabile le opere di elevato
valore espressivo, svincolate da quasi ogni nesso causale, proprio per la loro carica fantastica ed
eversiva. Viceversa, considerando quest'ultime paradigmatiche, proprio e specialmente ad esse
vanno ricondotti tutti i nessi causali e i motivi storico-sociali, che inglobati e risolti in tali opere,
renderanno queste i nodi causali della storiografia architettonica.

Capitolo III
Le scelte storiografiche
Sempre riferendoci al nostro schema iniziale, il terzo carattere dell'oggetto storico è il suo
significato o valore, cui corrisponde il caposaldo storiografico della conoscenza selettiva. Questa
racchiude tre complesse questioni fra loro intimamente connesse: il problema dei valori e della
valutazione, la prospettiva da cui viene svolta l'indagine (scelta dell'evento storico e sua
interpretazione) e la serie di fattori problematici riassumibili nel precetto della contemporaneità
della storia.
Definendo valore «in generale, ciò che dev'essere oggetto di preferenza e di scelta», accenneremo al
rapporto tra storia e valori per poi discutere del valore e della valutazione relativi alla storiografia
architettonica. Lo stesso faremo per quanto attiene al carattere di selettività della storiografia e al
principio della contemporaneità della storia, esponendo — così come abbiamo fatto nei capitoli
precedenti - prima gli assunti metodologici generali e poi quelli riguardanti l'architettura.
Passando alla storiografia dell'architettura, il problema dei valori, quello della prospettiva storica e
l'assunto della contemporaneità della storia risultano, se è possibile, ancora più intrecciati fra loro di
quanto non accade per la storia politica.
Quanto ai valori, l'arte è per definizione valore e produttrice di valori. Considerando valore ciò che
è oggetto di preferenza e di scelta, essendo quella artistica un'esperienza conoscitiva, essa ci
fornisce una visione della realtà conformata essenzialmente in senso selettivo.
Il valore dell’architettura e dell'arte non sta solo nelle proprietà della loro specifica «essenza». Oltre
ad essere sinonimo di valore, l'arte è anche portatrice di significati e si pone come modello di valore
e di comportamento. Cosicché, da un punto di vista assiologico, l'arte, come la storia, reca i segni
del passato, intelligibili dalla prospettiva del presente in vista degli orientamenti futuri.

Capitolo IV
Storicismo e Strutturalismo
Abbiamo visto nella prima parte di questo saggio che i caratteri dell'oggetto storico corrispondono
generalmente ad omologhi capisaldi della storiografia; questa, oltre ad essere prospettivistica
(alterità fra passato e presente, interazione fra lo storico e gli eventi), dà luogo ad una conoscenza
individuante per il carattere di unicità dell'oggetto storico; ad una conoscenza selettiva per il
significato e l'importanza che ad esso viene attribuito; ad una conoscenza condizionale per la
correlazione degli eventi esaminati con gli altri che ne agevolano la comprensione, operazione
quest'ultima che implica il principio di causalità. S'è anche visto che l'idea della contemporaneità
della storia riguarda tanto il caposaldo prospettivistico quanto quello selettivo. Molti dei caratteri
storici suddetti, trasferiti nel campo della storiografia architettonica, danno luogo ad una serie di
problemi difficilmente risolvibili coi tradizionali metodi della ricerca storica.
L'individualità della ricerca non può fare a meno dell'apporto di quelle discipline tendenti alla
norma e alla classificazione; il significato di un'opera che la rende un evento storico, per uscire dalla
genericità, non può non riferirsi e ricavarsi dalle scienze aventi per oggetto la significazione; la
spiegazione causale, a sua volta, richiama la complessa questione del rapporto tra storia e scienze
naturali o, quanto meno, quello fra storia e sociologia; la soggettività intrinseca al principio selettivo
rimanda inevitabilmente alla necessità di una obiettiva limitazione. Si aggiungano a questi generali
assunti tutti quei problemi specifici del nostro campo, i legami cioè della storiografia architettonica
con l'arte, la teoria, la critica, la tecnica, le tipologie, la progettazione etc.
Ora, senza alcuna pretesa di oggettività, anzi riconoscendo che la storia vale soprattutto per il suo
porre costantemente dei problemi, si avverte tuttavia l'esigenza di conferire alla storiografia
architettonica un maggiore rigore scientifico, di renderla cioè una conoscenza che includa una più
ampia garanzia della propria validità. A tale esigenza può rispondere, a nostro avviso, l'integrazione
del metodo storico con quello strutturale, che peraltro dovrebbe rispondere a numerosi quesiti
lasciati irrisolti dalla storiografia tradizionale; tenteremo quindi nel presente capitolo un
accostamento tra storicismo e strutturalismo.
A conclusione del discorso sul rapporto tra storicismo e strutturalismo possiamo dire che:
1) i due metodi sono integrabili, almeno per quanto attiene alla storiografia architettonica;
2) lo strutturalismo risolve molti problemi che la tradizionale metodologia della storia lasciava in
sospeso: l'unicità dell'evento storico, il riferimento ad un modello, una maggiore verificabilità delle
ipotesi di ricerca, il superamento della dicotomia fra scienze nomotetiche ed idiografiche;
3) i principi-base della metodologia strutturalista trovano anticipazioni proprio nell'ambito della
ricerca metodologica della storia con Dilthey e Weber, nonché nel campo specifico della teoria della
critica d'arte con Wölfflin e soprattuto con Panofsky;
4) oltre agli apporti sistematici, il vero contributo dello strutturalismo alla storia dell'architettura e
dell'arte è offerto dalla semiologia con le sue implicazioni semantiche e il suo rifarsi al modello
linguistico;
5) la semiologia si distingue dall'iconologia, ma ne integra i simboli figurali nella sua significazione
segnico-spaziale.
La linea di pensiero che abbiamo tracciato dovrebbe far fronte sia ai limiti metodologici della
storiografia artistica in generale, sia ai problemi particolari della storia dell'architettura: rapporto tra
storia e progettazione, tra architettura e società, tra tatti pratici ed artistici, tra gli aspetti autonomi
ed eteronomi dell'attività edificatoria; ma soprattutto, grazie all'apporto della semiologia, consentire
alla ricerca storiografica una indagine sui significati ritrovabili prevalentemente all'interno della
conformazione spaziale delle fabbriche.
La semiologia innestata sulla storiografia architettonica tramite il metodo strutturale, al di là delle
mode, anch'esse giustificabili storicamente (si pensi all'attuale crisi semantica dell'architettura) e
agli aspetti secondari che inevitabilmente cadranno, dovrebbe consentire di rispondere a due
esigenze prima inconciliabili: il massimo grado di sistematicità e il massimo grado di apertura. La
prima, oltre che per le questioni metodologiche discusse, s'impone come un carattere indispensabile
di una cultura attiva nell'odierna società di massa, specie per quanto attiene alla comunicazione e in
particolare all'insegnamento. La seconda vale come correttivo della prima nel senso di riconoscere
l'inevitabile usura di ogni sistema e di tener conto di quel dinamismo ed ambiguità che sono
caratteristiche ineliminabili non solo della storiografia ma della storia stessa. In definitiva uno
storicismo strutturalista dovrebbe consentire l'istituzione di un codice, o un sistema di codici, il più
adatto possibile a definire, assecondare o contestare tanto «l’astuzia della ragione» quanto «l'astuzia
del desiderio» delle quali è permeata la storia.

Potrebbero piacerti anche