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Sintesi Apologia della storia

(Marc Bloch)
Storia
Università degli Studi di Palermo (UNIPA)
19 pag.

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APOLOGIA DELLA STORIA O MESTIERE DI STORICO
(ed. originale 1949)

Apologia della storia o Mestiere di storico è un'opera incompiuta di Marc Bloch. Si presenta come uno dei
maggiori classici della riflessione di metodologia storica del Novecento. Pubblicato postumo per la prima
volta nel 1949, grazie all'amico e compagno di studi Lucien Febvre, la versione definitiva è stata curata nel
1993 dal figlio dell'autore, Etienne Bloch.

Marc Bloch scrisse l'opera all'indomani della disfatta francese del 1940: la riflessione sulla storiografia porta
lo scrittore ad analizzare le problematiche legate al perché e all'utilità pratica del mestiere dello storico. Alla
domanda "a che serve la storia" Marc Bloch risponde sostenendo che la storiografia analizza "il passato in
funzione del presente e il presente in funzione del passato".
Nella riflessione del francese lo storico non è solamente uno studioso dedito a ricerche del passato che non
hanno alcuna utilità nella società contemporanea: il recupero della "memoria collettiva" diventa per Bloch
un punto di riflessione importante per ogni società, che da una migliore conoscenza del passato potrà meglio
risolvere i problemi del presente.

L'Apologia fornisce anche altri spunti metodologici importanti, come la collaborazione interdisciplinare della
storiografia con altre discipline umanistiche come la sociologia e la psicologia, senza escluderne altre come
l'economia.

Altro compito che Bloch ritiene fondamentale per uno storico è lo sforzo che quest'ultimo, in maniera onesta
e rigorosa, deve compiere per comprendere e non solo per spiegare la storia. Conoscere le date, le battaglie
e i protagonisti non è così importante quanto ricostruire un "contesto" storico adeguato.

Introduzione
La do a da a ui il li o te ta di da e u a isposta Papà, spiega i allo a a he se ve la sto ia , po ta a
Bloch dal figlio. U ’alt a do a da da ui pa ti e quella di un soldato francese che, all'entrata delle truppe
tedesche di occupazione a Parigi, si chiedeva se la storia "avesse ingannato". Da queste questioni Bloch inizia
un discorso generale sulle scienze, sul loro utilizzo e sulla vocazione degli studiosi.
Queste domande pongono infatti il problema della legittimità della storia, che interessa tutta la nostra
civilizzazione occidentale. Infatti, a differenza di altri tipi di cultura, essa ha richiesto sempre molto alla
propria memoria. Questo è dovuto ai suoi retaggi: i Greci e i Latini, nostri primi maestri, erano popoli scrittori
di storia, e anche il cristianesimo è una religione di storici (i libri sacri sono libri di storia, vengono
commemorati i santi e le loro storie terrene e il dramma del peccato e della redenzione si svolge nella durata
e quindi nella storia).

Bloch ritiene importanti anche le psicologie dei gruppi, affermando che i francesi vivono i propri ricordi
collettivi molto meno intensamente dei tedeschi.
Inoltre, dato che le civiltà possono mutare, è possibile che un giorno anche la nostra si allontani dalla storia.
È un punto su cui riflettere per gli storici: la storia non compresa potrebbe finire col trascinare nel proprio
discredito la storia più comprensibile. Questo avverrebbe solo a costo di una violenta rottura con le nostre
tradizioni intellettuali.
Ogni volta che le nostre società, in perpetua crisi di sviluppo, iniziano a dubitare di se stesse, sembrano
domandarsi se abbiano avuto agio e ad i te oga e il p op io passato e se l’a ia o i te ogato e e.

Secondo Bloch, anche se la storia dovesse essere giudicata incapace di altri compiti, rimarrebbe comunque
divertente per un gran numero di esseri umani. Egli la considera un istinto, il gusto che precede il desiderio
di conoscenza.
Questo fascino non si dissolve nemmeno una volta intrapresa la ricerca metodica.
La sto ia ha i p op i godi e ti esteti i, he o asso iglia o a uelli di essu ’alt a dis ipli a: la
rappresentazione delle attività umane, che costituisce il suo oggetto specifico, è fatta per sedurre

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l’i agi azio e degli uo i i. “op attutto ua do, g azie al lo o dista zia e to el te po e ello spazio, il
loro dispiegarsi si colora del fascino del diverso. È la parte poetica della storia.

Lo sfo zo i tellettuale he o po ta la sto ia o fi alizzato solo all’azio e, alla p ati a: a he


indipendentemente da ogni possibilità di applicazione, la storia avrà il diritto di rivendicare il suo posto fra le
conoscenze deg e d’i peg o solo se i o se te, i ve e he u a se pli e e u e azio e se za essi
limiti, una classificazione razionale e una progressiva intellegibilità.
La storia ha il compito di aiutarci a vivere meglio, ma il problema della sua utilità (nel senso stretto e
p ag ati o del te i e utile o si o fo de o uello della sua legitti ità, p op ia e te i tellettuale.

I metodi di cui Bloch cerca di soppesare il grado di certezza sono quelli che la ricerca adopera, fin nei dettagli
delle sue tecniche. I problemi analizzati saranno gli stessi che la storia impone quotidianamente allo storico
La domanda alla fine non ha risposta immediata: per prima cosa Bloch dimostrerà "come e perché uno storico
pratica il suo mestiere", poi il lettore potrà decidere se tale mestiere sia degno d'essere esercitato.
La storia viene descritta come qualcosa di dinamico, "uno sforzo verso il miglioramento della conoscenza".
Bisogna perciò, più che descriverla nel modo in cui si fa, dire come essa spera progressivamente di farsi.
La storia non solo è una scienza "in cammino", ma è anche relativamente giovane, come tutte le scienze
sociali he studia o l’a i o u a o . Possia o o side a la ve hia ella fo a e io ale del a o to
secolare carico di miti e nel suo attaccamento agli avvenimenti più afferrabili, ma è appena nata come
impresa ragionata di analisi. Stenta a penetrare al di sotto dei fatti di superficie, a respingere i veleni della
outi e e udita e dell’e pi is o t avestito da se so o u e.
Bayle la definiva la più difficile di tutte le scienze.

Negli ultimi decenni del 19° secolo e fino ai primi anni del 20° secolo erano convinti che non potesse esistere
conoscenza autentica che non dovesse pervenire a dimostrazioni inconfutabili, a certezze formulate sotto
forma di leggi universali. Questa convinzione, applicata agli studi storici, diede origine a due tendenze
opposte:
- Gli storici della scuola sociologica di Durkheim credettero possibile instituire una scienza
dell’evoluzio e u a a he si o fo asse a questo ideale e cercarono di realizzarlo, ma in questo
odo dovette o asseg a si a las ia e fuo i dall’o izzo te di uesta o os e za degli uo i i
numerose realtà umane che però appariva o lo o i elli a u sape e azio ale. Queste ealtà
escluse dalla storia vennero chiamate "avvenimento" inteso come evento contingente. Eppure esse
costituivano buona parte della vita più intimamente individuale.
- Altri studiosi, gli storici storicizzanti, non riuscendo a inserire la storia in questi schemi, preoccupati
dalle difficoltà, dai dubbi e dal frequente ricominciare proprio della critica documentaria, attinsero
da queste constatazioni una lezione di umiltà: la disciplina storica gli sembrò incapace di progresso e
videro in essa, più che una conoscenza scientifica, un mero gioco estetico.
Bloch si augura di vedere i giovani storici di professione avvicinarsi sempre più a una storia ampliata e spinta
in profondità, le cui incertezze sono la giustificazione degli storici e danno freschezza ai loro studi:
l’i o piuto, se tende a superarsi eternamente, esercita una seduzione pari a quella della più perfetta
riuscita.

Secondo Bloch ogni scienza, presa a sé, è solo un frammento del moto universale verso la conoscenza. Per
api e e e e valuta e i suoi p o edi e ti d’i vestigazio e, isog e e e ollega li itida e te all’i sie e
delle tendenze che si manifestano, nello stesso tempo, negli altri tipi di discipline. È ciò che fa la filosofia.

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Capitolo primo - La storia, gli uomini e il tempo

1. La scelta dello storico


Il te i e sto ia a ti hissi o.
Me t e i so iologi del te po di Du khei l’ha o o fi ata i u a goli o delle s ie ze dell’uo o,
attribuendole i fatti umani ritenuti più superficiali e casuali.
Blo h i ve e l’a alizza el suo sig ifi ato più a pio.
Da quando il termine è apparso, più di due millenni fa, esso ha cambiato molto il suo contenuto (come ogni
parola veramente viva del linguaggio). Pur restando fedele al suo nome di origine ellenica, la nostra storia
non è proprio identica in tutto e per tutto a quella che scriveva Eraclito di Mileto.
Fa ia a fa ia o l’i e sa e o fusa ealtà lo sto i o po tato a itaglia vi il pa ti ola e pu to di
applicazione dei suoi strumenti e quindi a operare in essa una scelta.

2. La storia e gli uomini


Dire che la sto ia la s ie za del passato sig ifi a esp i e si i p op ia e te, pe h l’idea he il passato
in quanto tale possa essere oggetto di scienza è assurda: non si può prendere come oggetto di conoscenza
razionale fenomeni che hanno in comune solo il fatto di non essere stati contemporanei.
Alle origini della storiografia, gli antichi annalisti narravano alla rinfusa avvenimenti che avevano in comune
solo l’esse e stati p odotti ello stesso o e to es. e lissi, g a di ate, attaglie, t attati, o ti di eroi e re).
Ma i uesta p i a e o ia dell’u a ità, o fusa o e la pe ezio e di u a i o pi olo, u o sfo zo
soste uto d’a alisi ha ope ato, po o a po o, la e essa ia lassifi azio e.
Il linguaggio persiste nel dare il nome di storia a ogni studio del cambiamento nella durata.

L’ope a di u a so ietà he i odella se o do i suoi isog i il suolo su ui vive u fatto e i e te e te


storico (es. città di Bruges e insabbiatura del golfo dovuta alla costruzione di dighe e deviazioni di canali, e
conseguente declino della città).
L’allea za t a due dis ipli e es. sto ia e geologia si ivela i dispe sa ile pe og i te tativo di spiegazio e.
Esiste anche un punto di passaggio in cui, quando si è dato conto di un fenomeno e ormai solo i suoi effetti
sono i dis ussio e, esso vie e defi itiva e te eduto da u a dis ipli a a u ’alt a.

L’oggetto della sto ia so o gli uo i i eglio he il si gola e uo o , favo evole all’ast azio e, il plu ale
rende grammaticalmente la relatività e conviene a una scienza del diverso).
Dietro ai tratti concreti del paesaggio, dietro agli utensili e le macchine, dietro gli scritti che sembrano più
freddi e le istituzioni in apparenza più distaccate da coloro che le hanno fondate, sono gli uomini che la storia
vuole afferrare.
Metafo a: il avo sto i o so iglia all’o o delle fia e, he e a la sua p eda dove se te l’odo e di a e
umana.

Dal carattere della storia come conoscenza degli uomini dipende la sua posizione particolare circa il problema
dell’esp essio e: s ie za o arte?
I fatti umani sono fenomeni assai delicati e molti di essi sfuggono al calcolo matematico. Per tradurli bene, e
dunque per penetrarli a fondo, sono necessari una grande finezza di linguaggio e un giusto colore
ell’esp essio e ve ale. La storia si manifesta con metodi scientifici e con una trasposizione scritta che ha
una sua estetica. Inoltre lo storico non scrive con l'esattezza millimetrica di un "fresatore"; egli deve
procedere spesso a tatto, affidandosi alla sua sensibilità, come fa il "liutaio".
Pe iò la sto ia fatta u po’ di e t a e, osì o e l’ope a del f esato e e del liutaio devo o pe fo za
convivere.

3. Il tempo storico
La storia è dunque la scienza degli uomini nel tempo.
Lo sto i o o pe sa solo u a o . L’at osfe a i ui naturalmente il suo pensiero respira è la categoria
della durata. Il tempo della storia è il plasma stesso in cui nuotano i fenomeni.

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Nessuno storico si riterrà soddisfatto constatando che Cesare impiegò 8 anni per conquistare la Gallia: gli
importa di più collocare la conquista della Gallia nel suo esatto ordine cronologico nelle vicessitudini delle
società europee.
Questo tempo reale è un continuum, ma è anche un continuo cambiamento, dove i fatti sono incanalati
cronologicamente e, in un arco ragionevole, si influenzano tra loro. Dall’a titesi di uesti due att i uti
sorgono i grandi problemi della ricerca storica.
Il p i o di uesti p o le i il segue te: si dia o due pe iodi su essivi, itagliati ell’i i te otto su ede si
delle età; in quale misura si dovrà ritenere la conoscenza di quello più antico come necessaria o superflua
per capire quello più recente?

4. L’idolo delle origi i


La spiegazio e del più e e te t a ite il più e oto ha spesso do i ato gli studi sto i i: l’ossessio e delle
origini.
Questa pa ola, o igi i , i uieta te pe h e uivo a.
“ig ifi a se pli e e te i izi ? Pe la aggio pa te delle ealtà sto i he la ozio e stessa di uesto pu to
iniziale resta singolarmente sfuggente.
“ig ifi a ause ? el vo a ola io o e te le origini sono un cominciamento che spiega ed è sufficiente a
spiegare. Qui sta il pericolo.
Le s ie ze dell’uo o ita da o ispetto a uelle della atu a e all’evoluzio is o iologi o, he suppo e u
allontanamento progressivo dalle forme ancestrali.
Anche nella storia religiosa lo studio delle origini assunse spontaneamente un peso preponderante, perché
sembrava fornire un criterio per il valore stesso delle religioni. Il cristianesimo stesso è una religione storica,
nel senso che i suoi dogmi fondamentali poggiano su avvenimenti: i cominciamenti della fede sono anche i
suoi fondamenti.
Queste preoccupazioni sulle origini si estesero ad altri campi di ricerca, dove la loro legittimità era più
discutibile. La storia fondata sulle origini fu messa al servizio della stima dei valori. Il passato fu impiegato per
spiega e il p ese te solo o l’i te zio e di giustifi a lo o di o da a lo eglio. I olti asi il de o e delle
o igi i fu fo se solo u t avesti e to di uest’alt o e i o della sto ia ve a e p op ia: la mania del giudizio.

U ’alt a osa , pe lo sto i o, spiega e il attoli esi o del p ese te o e fatto osse va ile. La o os e za
dei loro inizi, indispensabile a una giusta conoscenza dei fenomeni religiosi attuali, non basta però a spiegarli.
Per quanto intatta si supponga una tradizione, resteranno sempre da individuare le ragioni umane del suo
permanere. La questione non è più di sapere se Gesù sia stato crocifisso e poi risorto: si tenta ora di capire
come avvenga che tanti esseri umani intorno a noi credano nella crocefissione e nella resurrezione. È tutto
un problema di clima umano.
Vi sono infatti una serie di condizioni favorevoli che permettono a un fenomeno di manifestarsi in un dato
modo: infatti un fatto storico non può mai essere studiato al di fuori dello studio del momento in cui avvenne.
La quercia nasce dalla ghianda, ma diventa quercia e tale rimane, solo se incontra condizioni ambientali
favo evoli, he o dipe do o più dall’e iologia.
A qualsiasi attività umana lo studio della sto ia si dedi hi, lo stesso e o e aspetta se p e al va o l’i te p ete:
quello di confondere una filiazione con una spiegazione.

Mai un fenomeno storico si spiega pienamente al di fuori dello studio del momento in cui avvenne.
P ove io a a o: Gli uo i i so iglia o più al lo o te po he ai lo o pad i .

5. Passato e presente
Infine Bloch si occupa del rapporto tra presente e passato negli studi di storia.
Il p ese te, ell’i fi ito della du ata u pu ti o i us olo he sfugge o ti ua e te: u istante dopo che
appe a ato, uo e. Ho appe a pa lato, so o appe a passato all’azio e, he le ie pa ole o i iei atti
sprofondano nel reame della Memoria.
Co da ata ad u ’ete a t asfigu azio e, u a p etesa s ie za del p ese te si t asfo e e e, i og i
momento del suo essere, in scienza del passato.

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Nel li guaggio o e te, p ese te vuol di e passato p ossi o a ettia o uesto uso app ossi ativo del
termine).
La frontiera tra presente e passato si sposta con un movimento costante.
Nel vasto flusso del tempo, si ritiene di poter circoscrivere una fase di estensione ridotta. Essa comprende,
al suo arrivo, persino i giorni che noi viviamo. In essa nulla, si direbbe, presenta delle differenze profonde con
il mondo con cui noi abbiamo dimestichezza. Essa pare dotata, in rapporto a noi, di un coefficiente forte di
o te po a eità es. dal.. i poi o più sto ia, politi a .
Alcuni ritengono che i fatti più vicini a noi sono, per questo stesso motivo, ribelli a ogni studio veramente
sereno. Quando ent a o i gio o le iso a ze affettive, il li ite t a l’attuale e l’i attuale lu gi dal egola si
necessariamente secondo la misura matematica di un intervallo di tempo.

Alt i studiosi o side a o i ve e l’u a o p ese te o e pe fetta e te sus etti ile di conoscenza
s ie tifi a, a da pa te di alt e dis ipli e. Essi o side a o l’epo a i ui vivo o o e sepa ata da uelle he
l’a o p e eduta.

L’idea di uesta etta distinzione tra passato e presente è una questione sorta in tempi molto recenti. Gli
antichi storici greci come Erodoto o Tucidide non hanno mai immaginato che, per spiegare il pomeriggio,
potesse essere sufficiente conoscere, al più, il mattino.
Chi vo à li ita si al p ese te, all’attuale, l’attuale o lo o p e de à.
Già Liebniz metteva fra i va taggi he si ip o etteva dalla sto ia le o igi i delle ose p ese ti it ovate f a
le ose passate , poi h u a ealtà si può api e e e solo t a ite le sue ause.
Le su essive ivoluzio i delle te i he ha o pe ò s isu ata e te alla gato l’i tervallo psicologico fra le
ge e azio i: l’uo o dell’elett i ità e dell’ae eo si se te lo ta o dai suoi avi, pe iò ha t atto la o lusio e
imprudente di aver smesso di essere determinato da loro.
Il privilegio di auto-intellegibilità così riconosciuto al presente poggia su una serie di strani postulati: suppone
he le o dizio i u a e a ia o su ito, ell’i te vallo di u a o due ge e azio i, u a ia e to o solo
olto apido, a a he totale, osì he essu a istituzio e u po’ a ti a, essu odo di agire tradizionale
sa e e sfuggito alle ivoluzio i del la o ato io e dell’offi i a. Ciò sig ifi a s o da si della fo za di i e zia
tipi a di ta te eazio i so iali. L’uo o passa il suo te po a o ta e e a is i di ui esta poi p igio ie o
più o meno volontario.
Gli stessi studiosi del presente non devono quindi cadere nell'errore che il presente sia auto-intelligibile,
staccato dal passato: anche tempi molto remoti continuano a influenzare il presente e l'autore porta come
esempio la disposizione dei campi coltivati, che ricalca tracciati risalenti forse addirittura all'epoca dei
dolmen.
Inoltre, affinché una società abbia potuto essere determinata interamente dal momento immediatamente
precedente a quello che essa vive, sarebbe necessario che gli scambi fra generazioni avvenissero soltanto in
fila indiana, non avendo i bimbi contatti coi nonni se non per mezzo dei genitori. Questo però non è reale
nemmeno per le comunicazioni orali: visto che i genitori sono impegnati col lavoro, i bambini vengono
educati soprattutto dai nonni. A ogni nuova generazione si compie quindi un passo indietro che, scavalcando
la generazione eminentemente portatrice di cambiamenti, mette in comunicazione i cervelli più malleabili
con quelli più cristallizzati (da qui deriva il tradizionalismo tipico delle società contadine).
A maggior ragione, lo scritto facilita molto, fra generazioni assai distanziate, questi passaggi di pensiero che
ostituis o o, p op ia e te, la o ti uità d’u a ivilizzazio e.

E o l’e o e: i si app ese ta il o so dell’evoluzio e u a a o e ostituita da u a serie di brevi e potenti


scosse, ciascuna delle quali non durerebbe che lo spazio di alcune esistenze.
L’osse vazio e pe ò p ova he i uesto i e so o ti uu le g a di vi azio i so o pe fetta e te i
grado di propagarsi dalle molecole più lontane fino alle più vicine.
A he le ose del passato he so o s o pa se ede ze, fo e so iali, te i he… o dizio a o la
o os e za del p ese te: o ’ o os e za aute ti a se za u a e ta ga a di o pa azio e. A
condizione che il confronto avvenga tra realtà sia diverse che, ciononostante, affini.
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Pe si o l’uo o a iato olto ello spi ito e ei e a is i del o po. La sua at osfe a e tale si
profondamente trasformata assieme alla sua igiene, la sua alimentazione. Eppure è necessario che nella
natura u a a e elle so ietà u a e esista u fo do pe a e te che attraversa le epoche storiche in una
sorta di continuum), senza cui i nomi stessi di uomo e società non vorrebbero dire niente.
Il passato non va valutato con gli strumenti del presente: i personaggi storici vanno collocati nell'ambiente,
nella mentalità e nell'atmosfera delle loro epoche.

L’i o p e sio e del p ese te as e i evita il e te dall’ig o a za del passato.


Questa capacità di afferrare il vivente è la qualità principale dello storico autentico, ed ha bisogno di essere
o ti ua e te ese itata e sviluppata o u o tatto i essa te o l’oggi.
Infatti, il fremito della vita umana, che richiederà un enorme sforzo di immaginazione per essere restituito
agli antichi testi, è nel presente direttamente percepibile ai nostri sensi (es. si può leggere di guerra e
battaglie, ma si conosce solo provandola in prima persona).
Lo storico ama la vita e le sue manifestazioni anche nel presente e per ricostruire il passato, coscientemente
o no, è sempre dalle sue esperienze quotidiane che, per sfumarle di nuovi colori, noi chiediamo in prestito
gli elementi che ci servono.
Lo studioso che non abbia gusto a guardare intorno a sé, né gli uomini, né le cose, né gli avvenimenti, meriterà
solo il nome di antiquario, rinunciando a quello di storico.

Capita che la conoscenza del presente, in una certa direzione di studio, serva ancora più direttamente alla
o os e za del passato. “a e e u e o e g ave ede e he l’o di e adottato dagli sto i i elle lo o ricerche
debba necessariamente modellarsi su quello degli avvenimenti, perché il procedimento spontaneo di ogni
i e a sta ell’a da e dal eglio o os iuto al più os u o. Ci vuole u el po’ pe h la hia ezza dei
documenti diventi via via più totale man mano che si percorre in giù il corso del tempo.
Nella maggior parte dei casi i periodi più vicini coincidono con le zone di relativa chiarezza.
Bisogna utilizzare un metodo regressivo. Capita che, per raggiungere chiarezza, è proprio fino al presente che
si deve arrivare.
Ad esempio, in alcuni dei suoi caratteri fondamentali il nostro paesaggio rurale risale a epoche remote, ma
per interpretare i documenti che ci permettono di capirlo, per porre concretamente i problemi, si è dovuta
soddisfare prima la co dizio e di osse va e e a alizza e il paesaggio di oggi. “olo uest’ulti o, i fatti, dava
la p ospettiva d’i sie e da ui e a i dispe sa ile pa ti e.
Lo sto i o vuole oglie e u a ia e to, a ella pelli ola he p e de i esa e solo l’ulti o fotog a a
è intatto. Per ricostruire i tratti sfuocati degli altri fotogrammi è necessario innanzitutto svolgere la bobina
nel senso contrario a quello della ripresa.

La storia è dunque una scienza degli uomini nel tempo, la quale senza posa necessita di unire lo studio dei
morti a quello dei viventi.

La vita è troppo breve e le conoscenze troppo lunghe da acquisire, per consentire, anche al più brillante
i geg o, u ’espe ie za totale dell’u a ità. Il o do attuale av à se p e i suoi spe ialisti, a isog a
ricorda si he le s ie ze sto i he o soppo ta o l’auta hia: isolato, og u o di oi o api à ai ie te se
o a età e l’u i a sto ia aute ti a si può ealizza e solo o l’aiuto e ip o o: la sto ia u ive sale.

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Capitolo secondo – L’osservazione storica

1. Caratteri ge erali dell’osservazio e storica


Lo storico studia dei fatti che è impossibilitato a constatare in prima persona.
Delle età che ci hanno preceduto non possiamo parlare se non sulla scorta di testimoni. Nei loro confronti lo
storico si trova nella situazione del giudice istruttore che si sforza di ricostruire un delitto a cui non ha
assistito.
La conoscenza del passato è necessariamente indiretta. (es. un comandante che redige il racconto di una
battaglia, pur avendola vissuta, ha bisogno necessariamente dei resoconti dei suoi soldati sul campo).
L’osse vazio e di etta u ’illusio e. Qualsiasi a olta di ose viste fatta, pe al e o età, di ose viste
da altri.
Qualu ue o os e za dell’u a ità, ual he e sia, el te po, il punto di applicazione, attingerà sempre a
testi o ia ze alt ui pe g a pa te della sua sosta za pe h ell’i e so tessuto di avve i e ti, di gesti
e di pa ole di ui si o po e il desti o d’u g uppo u a o, l’i dividuo oglie solo u a goli o dete i ato
dai suoi sensi e dalla sua capacità di attenzione e inoltre poiché dispone solo della coscienza immediata dei
suoi personali stati mentali.

L’i p essio e di uesta lo ta a za t a l’oggetto della o os e za e il i e ato e si i posta a olti teo i i


della storia che pensavano prima di tutto a una storia di avvenimenti, cioè di episodi (cioè coloro che
ritengono importante descrivere esattamente cosa hanno fatto o detto alcuni personaggi riuniti in una scena
di durata relativamente breve in cui sono riunite tutte le criticità del momento).
In un caso simile lo storico si sente come alla fine di una colonna in cui gli avvisi si trasmettano, partendo
dalla testa, da u a fila all’alt a: o u a posizio e olto favo evole pe esse e i fo ato o e tezza.

Esiste però un altro caso, es. scoperta sepolture rituali di scheletri infantili in Siria: possiamo interpretare il
fatto che si tratti di sacrifici senza avere testimonianze, ma possiamo conoscere una fede o una credenza che
non condividiamo solo attraverso le parole degli altri. È il caso di tutti i fenomeni di coscienza, dal momento
che ci sono estranei.
Gli spe ialisti del etodo sto i o, ge e al e te ha o i teso pe o os e za i di etta uella he a iva
alla mente solo per il canale di menti umane diverse. In questo senso, la nostra conoscenza dei sacrifici murali
in antica Siria non ha nulla di indiretto.
Pa e hie alt e vestigia del passato i off o o u a esso p op io allo stesso livello: il aso dell’i e sa
massa di testimonianze non scritte e di buona parte di quelle scritte. (es. ritrovamento amazzonite in tombe
a Ur -> o lusio e he la iviltà esopota i a i t atte esse appo ti o e iali o l’I dia .
L’i duzio e si fo da sulla o statazio e di u fatto e o vi i te vie e pe ulla la parola di qualcun altro.
Possono essere recepiti così immediatamente non solo i documenti materiali, ma anche un tratto del
linguaggio, una regola di diritto inserita in un testo, un rito fissato da un libro di cerimonie o raffigurato su
una stele: sono tutte realtà che lo storico coglie esso stesso e che mette a frutto con uno sforzo di intelligenza
st etta e te pe so ale. No ’ isog o di i o e e ad al u alt o e vello u a o o e t a ite.

Lo sto i o o giu ge ai se o dopo he l’espe ie za terminata ma, se le coincidenze lo favoriscono,


l’espe ie za av à las iato dei esidui he gli possi ile pe epi e oi suoi p op i o hi.
L’osse vazio e sto i a ha al u e a atte isti he pa ti ola i.
Come prima caratteristica, la conoscenza di tutti i fatti umani nel passato e della maggior parte di essi nel
presente, ha quella di essere una conoscenza per tracce.
Le tracce sono il segno percepibile ai sensi lasciato da un fenomeno in se stesso impossibile da cogliersi.
Tutti i fatti umani sfuggono alla possibilità di una riproduzione o di una determinazione volontaria, ma,
ua do i fe o e i appa te go o al p ese te o al passato più p ossi o, l’osse vato e, pe ua to i apa e
di forzarli a ripetersi o di piegarne a piacere lo svolgimento, non si trova egualmente disarmato di fronte alle
lo o t a e. Egli può i hia a e al u e di esse all’esiste za. “i t atta dei appo ti dei testi o i.
(es. Napoleone ad Austerlitz: ha avuto le informazioni dopo la battaglia dai rapporti dei suoi ufficiali, ma se
gli uomini fossero morti tutti o se non se fosse rimasto neanche uno la cui memoria e attenzione meritassero
fiducia, egli si sarebbe trovato ad avere gli stessi problemi che incontra lo storico studiando quel giorno).

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Non bisognerebbe neanche esagerare con i privilegi dello studio del presente: capita che un particolare,
talvolta decisivo, diventi in poche ore impossibile da ricostruire. Inoltre non tutte le tracce si prestano a
questa sorta di rievocazione a posteriori (es. se la dogana non avrà registrato le entrate e le uscite delle merci
ogni giorno nel mese di novembre, non si potrà valutare in dicembre il commercio del mese prima).
La diffe e za t a la i e a sul lo ta o e l’i hiesta sul vi i o solta to di g ado. Essa o to a la sosta za
dei metodi.

Il passato è per definizione un dato che nulla più modificherà. Ma la conoscenza del passato è una cosa in
evoluzione, che si trasforma continuamente e si perfeziona. (in poco più di un secolo scoperta società egizia,
esopota i a e dell’Asia e t ale .
Gli esploratori del passato non sono uomini totalmente liberi: il passato stesso è il loro tiranno. Proibisce loro
di conoscere qualunque cosa su di lui che egli stesso non abbia acconsentito a lasciar loro conoscere,
consapevolmente o meno.
A causa di questa la u a, tutta u a pa te della ost a sto ia assu e e essa ia e te la fisio o ia, u po’
sbiadita, di un mondo senza individui. Ci sono perciò momenti in cui il dovere più categorico dello studioso è
uello di a e de si all’ig o a za e a ette lo o esta e te.

2. Le testimonianze
Le testimonianze possono essere volontarie (es. libro di storia di Erodoto di Turi) o meno (es. guide di viaggio
ell’al di là t ovate elle to e dei fa ao i .
Quando noi leggiamo, a scopo informativo, Erodoto o Froissart o i resoconti che i giornali forniscono circa un
avvenimento, ci stiamo conformando esattamente a ciò che gli autori e gli scritti si ripromettevano da noi.
Al o t a io, le fo ule del papi o dei o ti e a o desti ate solo ad esse e e itate dall’a i a in pericolo e
capite solo dagli Dei; l’uo o delle palafitte, he gettava i ifiuti della sua u i a el lago dove oggi li t ova
l’a heologo lo fa eva solo pe puli e la sua apa a. L’i te to di agguaglia e l’opi io e dei o te po a ei
o dei futuri storici non aveva il minimo posto.
Le fo ti a ative, io i a o ti deli e ata e te ivolti all’i fo azio e dei letto i, o ha o s esso di
off i e al i e ato e u aiuto p ezioso: esse so o le u i he a fo i e u i uad a e to o ologi o u po’
continuo. Tuttavia, è nella seconda categoria di testimonianze, nei testimoni loro malgrado, che la ricerca
storica, nel corso dei suoi progressi, è stata indotta a riporre sempre maggiore fiducia.
Interi brani del passato sono potuti essere ricostruiti solo in questo modo: tutta la preistoria, quasi tutta la
storia economica, quasi tutta la storia delle strutture sociali.
Non è che i documenti di questo genere siano esenti da errori o menzogne più di altri, ma qui la
deformazione, se esiste, non è stata concepita mirando in particolar modo ai posteri. Soprattutto, questi
indizi che il passato lascia cadere senza premeditazione sul suo cammino non ci permettono solo di supplire
ai racconti, allorché questi difettino, o di controllarli se la loro veridicità è sospetta. Senza il loro aiuto lo
storico, ogni volta che si china sulle generazioni scomparse, diventerebbe immediatamente prigioniero dei
pregiudizi, delle false prudenze, delle miopie di cui la vista di quelle stesse generazioni aveva sofferto.
La storia, invece di dive ta e esplo at i e delle età passate, i a e e l’ete a e i o ile alu a delle lo o
cronache.
Quindi, anche nelle testimonianze più decisamente volontarie, quel che i testi ci dicono espressamente ha
s esso oggigio o di esse e l’oggetto p efe ito dell’atte zio e degli sto i i. Di solito so o più i te essati a
quel che viene lasciato intendere, che non è detto espressamente.
Nella inevitabile subordinazione degli storici nei confronti del passato, essi si sono affrancati nel senso che,
sebbene condannati comunque a conoscerlo esclusivamente in base alle sue tracce, pervengono però a
saperne molto di più di quanto non avesse esso stesso ritenuto bene farci conoscere. È una rivincita
dell’i tellige za sul dato.

Ma dal momento che gli storici non sono più rassegnati a registrare puramente e semplicemente le
informazioni dei loro testimoni, dal momento che vogliono farli parlare, si impone un questionario.
Infatti, i testi o le fonti archeologiche non parlano se non quando li si sappia interrogare.
Og i i e a iti a suppo e, fi dai p i i passi, he l’i hiesta a ia già u a di ezio e. In principio è lo spirito.
Mai l’osse vazio e passiva ha p odotto ual osa di fe o do.

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Capita sicuramente che il questionario resti puramente istintivo. Tuttavia esso ’ . “e za he lo studioso e
sia conscio, i punti gli sono suggeriti dalle affermazioni o dalle esitazioni che le sue precedenti esperienze
hanno confusamente inscritto nel suo cervello, dalla tradizione, dal senso comune, cioè, spesso, dai
pregiudizi.
Naturalmente è necessario che questa scelta ragionata di questioni deve essere estremamente duttile,
suscettibile di arricchirsi, cammin facendo, di una quantità di nuovi punti, aperta a tutte le sorprese. Tale da
pote se vi e fi dall’i izio da ag ete pe le li atu e del do u e to. L’iti e a io he l’esplo ato e sta ilis e
in partenza, egli stesso sa già in anticipo che non lo seguirà passo passo.

La va ietà delle testi o ia ze sto i he p esso h i fi ita. Tutto iò he l’uo o di e o s ive, tutto iò che
costruisce, tutto ciò che tocca, può e deve fornire informazioni su di lui.
“a e e u ’illusio e pe sa e he ad og i p o le a sto i o o ispo da u u i o tipo di do u e ti,
spe ializzato i uest’uso. Più la i e a si sfo za di aggiu ge e i fatti profondi, meno le è permesso di sperare
chiarezza se non dai raggi convergenti di testimonianze molto diverse per natura.
“e uasi og i i po ta te p o le a u a o i hiede l’uso di testi o ia ze di tipi opposti, i ve e e essa io
che le tecniche erudite si distinguano a seconda del tipo di testimonianze.
Pe og u a di esse ’ u lu go app e di e to e u a p ati a osta te.
È i dispe sa ile he lo sto i o possegga al e o u ’i fa i atu a di tutte le p i ipali te i he del suo
mestiere, al fine di saper valutare in partenza la potenza dello strumento e le difficoltà del suo uso. Però
i a e o u ue e essa io sostitui e alla oltepli ità di o pete ze te i he di u solo uo o u ’allea za
di tecniche, praticate da differenti studiosi, ma rivolte alla indagine di un unico tema. La soluzione è il lavoro
di equipe.

3. La trasmissione delle testimonianze


Quello di raccogliere i documenti di cui ritiene di aver bisogno è uno dei compiti più lunghi e più difficili per
lo sto i o. No pot e e ius i vi se za l’aiuto di diverse guide: inventari di archivi i di biblioteche, cataloghi
di musei, repertori bibliografici di ogni sorta, raccolte di testi o di rappresentazioni grafiche.
Essi non sono ancora abbastanza numerosi, soprattutto per le epoche più lontane da noi. La loro redazione
segue a a e te u pia o d’i sie e azio al e te o epito e la lo o pu li azio e t oppo spesso las iata
al capriccio dei singoli o alla parsimonia mal informata di qualche casa editrice.

Lo strumento non fa la scienza, ma una società che abbia la pretesa di rispettare le scienze non dovrebbe
disinteressarsi dei loro strumenti.
Sarebbe saggio però non affidarsi troppo, per questo, a corpi accademici, il cui reclutamento non dispone
particolarmente allo spirito di iniziativa.

La trasmissione dei documenti mette in gioco il passaggio del ricordo attraverso le generazioni.
Ogni libro di storia degno di questo nome dovrebbe prevedere un capitolo o una serie di paragrafi che
dov e e i titola si o e posso sape e iò he i a i go a di vi? , i ui ollo a le fo ti he ha utilizzato,
l’ele o dei fo di di a hivio he ha o sultato e delle a olte he ha usato.

Sebbene le invasioni e le guerre cancellino molte tracce storiche e documenti, la placida continuità di una
vita sociale tranquilla non è molto favorevole alla trasmissione del ricordo: sono le catastrofi (es. Vesuvio e
Pompei o delle confische degli archivi ecclesiastici e aristocratici ai tempi della rivoluzione francese) e le
rivoluzioni che forzano le porte delle casseforti e costringono i ministri alla fuga, prima che abbiano trovato
il tempo di bruciare i loro appunti segreti.
A volte poi la maggiore o minore presenza di testimonianze è dovuta a fatti del tutto contingenti, come il
clima o l'indole di singole persone... ma questa impotenza dello storico davanti alla mancanza di documenti
non deve far tramontare la speranza verso ritrovamenti imprevisti e imprevedibili (come avvenne con l'ultima
copia della Germania di Tacito).

I due p i ipali espo sa ili dell’o lio o dell’ig o a za so o la eglige za, he s a is e i do u e ti, e la
passio e del seg eto sop attutto uello diplo ati o, d’affa i, di famiglia) che li nasconde o li distrugge.

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La nostra civilizzazione avrà realizzato un enorme progresso il giorno in cui la dissimulazione, eretta a metodo
d’azio e e uasi a o ghese vi tù, las e à il posto al gusto pe l’i fo azio e, io al gusto pe gli scambi di
informazioni.

Il isultato fi ale della i e a dei do u e ti dipe de a volte dall’i o t o di u u e o osì vasto di ause
indipendenti tra loro, che qualunque previsione si rivela impossibile.
Quella che si è chiamata la migrazione dei manoscritti offre un soggetto di studi interessante: i passaggi di
u ’ope a lette a ia att ave so le i liote he, l’ese uzio e delle opie, la u a o eglige za dei i liote a i e
dei copisti sono altrettanti tratti attraverso cui si esprimono le vicissitudini della cultura e il mutevole gioco
delle sue correnti.
Al fo do di uasi tutte le i e he do u e ta ie ’ u esiduo di i p evisto e ui di di is hio.

Capitolo terzo – La critica.

1. Abbozzo di una storia del metodo critico


Non si possono accettare cie a e te tutte le testi o ia ze sto i he. Più di u testo si spa ia di u ’epo a i
di una provenienza diversa da quel che sia in realtà: non tutti i racconti sono attendibili e persino le tracce
materiali possono essere truccate.
Nel Medioevo, dava ti all’abbondanza dei falsi, il dubbio fu come una reazione di difesa.
Tuttavia, lo scetticismo di principio non è un atteggiamento intellettuale più apprezzabile né più fecondo
della credulità. Anche la critica del semplice buon senso non poteva condurre lontano. Le osservazioni, cui si
dà così una validità esterna, sono tratte da un momento brevissimo della durata: la nostra. Più di uno stato
d’a i o po o fa o diviso i se a st a o dal o e to he o lo se tia o più o e ost o.
Il progresso è venuto il gior o i ui il du io dive tato esa i ato e , ua do si so o via via ela o ate
delle regole oggettive che, tra la menzogna e la verità, permettono di effettuare una scelta.
La critica dei documenti di archivio fu fondata nel 1681 da Mabillon (con il De re diplomatica), fu un momento
decisivo nella storia del metodo critico.

T a il 6 e il 6 il vo a olo iti a , da vale za di gusto, assu se il sig ifi ato di p ova di ve idi ità , di
saper dubitare.
Questo nome annuncia la scoperta di un metodo di applicazione quasi universale: la critica, questa specie di
fia ola he i illu i a e i guida lu go le os u e vie dell’a ti hità, fa e do i disti gue e il ve o dal falso.
Papenbroeck, Mabillon, Simon e Spinoza fanno parte della generazione che vide la luce nel momento in cui
appariva il discorso sul metodo.
La iti a della testi o ia za fa ta ula asa della ede za . Co e la s ie za a tesia a, essa p o ede i
questo sovvertimento di tutti gli antichi sostegni al fine di arrivare a nuove certezze o a grandi probabilità,
ormai debitamente provate.
L’idea he ispi a la iti a suppo e u apovolgi e to uasi totale delle a ti he o ezio i del du io.
Razionalmente guidato, il dubbio può diventare strumento di conoscenza.
Le generazioni successive hanno apportato al metodo critico molti perfezionamenti e ne hanno generalizzato
a plia e te l’uso ed esteso le appli azio i.
Le tecniche della critica furono a lungo praticate, in modo continuativo, quasi solo da pochi eruditi, critici e
curiosi. Gli scrittori dediti a comporre opere storiche di una certa importanza non si curavano di
famigliarizzarsi con quelle ricette.
Per la storia il pericolo di uno scisma tra la preparazione e la messa in pratica è duplice. I grandi saggi di
interpretazione vengono meno al dovere della veridicità; inoltre, privati del perpetuo rinnovamento e
sorpresa che solo la lotta col documento può procurare, non possono sfuggire a una sorta di oscillazione
senza fine tra alcuni temi stereotipati che la routine impone.
Soffre anche il lavo o te i o he, o esse do più guidato dall’alto, is hia di i piglia si i p o le i
insignificanti o mal posti.
Troppo spesso il lavoro di ricerca continua a procedere a casaccio, senza una scelta ragionata dei suoi punti
di appli azio e. L’esige za iti a o a o a ius ita a o uista e pie a e te l’opi io e della ge te e
nella produzione di letteratura corrente è preponderante il manuale.
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Tra la ricerca storica quale si fa e il pubblico che legge sussiste un malinteso: la disputa delle note. Spesso gli
autori riempiono i margini con note bibliografiche che si potrebbero mettere in un elenco a inizio volume
oppure vi relegano lunghi sviluppi il cui posto sarebbe stato nel corpo del testo.
U ’affe azio e o ha il di itto di p ese ta si se o a condizione di poter essere verificata e , per uno
sto i o, se usa il do u e to, l’i di a e il più eve e te possi ile la ollo azio e io il odo di it ova lo
equivale ad obbedire a una regola universale di onestà.

I documenti che i primi eruditi consultavano erano generalmente scritti che si presentavano, secondo la
t adizio e, o e di u auto e o di u ’epo a dati, he a ava o deli e ata e te tali o talalt i avve i e ti.
Ma la storia, nella misura in cui si è avviata a fare un uso via via più frequente delle testimonianze
involontarie, non ha più potuto limitarsi a pesare le informazioni esplicite dei documenti. Le è diventato
necessario anche estorcere loro le informazioni che non avevano intenzione di fornire.
Ad esempio, alcune carte medievali so o datate, alt e o; se o pa e l’i di azio e isog a ve ifi a la, pe h
potrebbe essere menzognera, se manca bisogna stabilirla. In entrambi i casi serviranno gli stessi strumenti.
Lo storico, come il giudice istruttore, sa che i suoi testimoni possono ingannarsi o dire bugie. Ma prima di
tutto si preoccupa di farli parlare, per capirli.
La attiva testi o ia za o stata solo l’i e tivo he ha p ovo ato i p i i sfo zi di u a te i a della ve ità;
essa resta il caso da cui questa deve partire per sviluppare le proprie analisi.

2. Alla caccia della e zog a e dell’errore.


F a tutti i vele i apa i di vizia e la testi o ia za, il più pote te l’i postu a.
Questa può assu e e due aspetti: può esse e l’i ga o sull’auto e e la data il falso el se so giuridico della
parola), o può ingannare sul contenuto.
La maggior parte degli scritti posti sotto falso nome mentono anche nel contenuto.
Non potrebbe essere stabilito a priori. Certi atti sono stati stesi solo al fine di replicare le disposizioni di
documenti perfettamente autentici, che erano andati perduti (è il caso eccezionale di un falso che dice il
vero).
Inversamente, le testimonianze più insospettabili nella loro dichiarata provenienza, non sono
necessariamente testimonianze veritiere. In particolare bisogna esercitare il dubbio davanti a documenti che
sembrano protetti da garanzie giuridiche impressionanti: atti del potere o contratti privati. Gli atti notarili
stesi secondo tutte le regole pullulano di inesattezze volontarie (es. firme retrodatate).
Ma o stata e l’i ga o o asta. Bisog a a he svela e i otivi, pe s op i lo eglio. Fi h pot à
sussiste e u du io sulle sue o igi i, i a à i esso ual osa di i elle all’a alisi e ui di di p ovato solo a
metà.
Una menzogna, in quanto tale, è una testimonianza che esprime una mentalità e fornisce informazioni sulle
i osta ze he l’ha o ispi ata. I uest’otti a, la iti a deve e a e, diet o l’i postu a, l’i posto e.
Ci sono uomini particolarmente propensi a mentire, ma anche intere epoche mitomani, quale può essere
l’Eu opa del Medioevo: g a pa te dei falsi diplo i, dei falsi de eti po tifi i, lo fu o o pe i te esse
assi u a e alla Chiesa u e e o testato, appoggia e l’auto ità della “a ta “ede, dife de e il Papa dai
Sovrani temporali).
I periodi più legati alla tradizione sono stati quelli che si presero le maggiori libertà con la sua vera eredità,
come se, a forza di venerare il passato, si fosse naturalmente portati ad inventarlo.

C’ i fi e u a fo a più i sidiosa di i ga o. I ve e del o t a io della ve ità, ’ il i a eggia e to


sornione: interpolazioni1 di carte autentiche, abbellimenti con dettagli inventati, nella narrazione, su uno
sfondo tutto sommato veritiero. Generalmente si interpola per interesse e si abbellisce per ornare.

T a la fi zio e pu a e se pli e e l’e o e o pleta e te i volo ta io i so o olti g adi.

Molti testimoni si ingannano in perfetta buona fede. Ecco dunque giunto il momento, per lo storico, di
utilizzare la psicologia della testimonianza.

1
Interpolazione = aggiunta, inserimento in un testo di elementi che gli erano originariamente estranei
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Il mondo esterno trova nella maggior parte delle menti solo apparecchi mediocri capaci di registrarlo. Inoltre,
essendo le testimonianze espressione di ricordi, i primi errori della percezione rischiano sempre di
complicarsi con errori di memoria.
A he se t ovassi o dei testi o i si u i i lo o dis o si o sa a o ugual e te deg i di fede su tutti gli
a go e ti e i tutte le i osta ze. Due tipi ause p i ipali alte a o a he ell’uo o eglio dotato la
veridicità delle immagini mentali: le pri e de iva o dalla o dizio e o e ta ea dell’osse vato e es.
sta hezza, e ozio e , le alt e dall’i te sità della sua atte zio e: o si vede e o si apis e e e se o
ciò che si si aspettava di percepire (es. il dottore vedrà il malato e non il mobilio della casa).
Inoltre, gli oggetti familiari di solito sono quelli di cui è più difficile ottenere una descrizione esatta: infatti la
fa ilia ità p odu e uasi e essa ia e te l’i diffe e za e quindi scarsa affidabilità (esempio di Bernardo di
Chiaravalle e dei suoi errori nel ricordare la cappella dove era solito pregare da giovane).
Molti avvenimenti storici sono stati osservati solo in momenti di profondo turbamento emotivo o da
testimoni la cui attenzione, talvolta richiamata tardivamente, se colta di sorpresa (a volte ostacolata dalle
p eo upazio i dell’azio e i ediata o della si u ezza , e a i apa e di o e t a si o suffi ie te i te sità
sui punti ai quali lo storico attribuirebbe oggi un interesse preponderante (esempio del primo colpo di arma
da fuoco il 25 febbraio 1848 che iniziò la sommossa a Parigi).
Le sole cause che la psicologia della testimonianza taccia spesso di incertezza sono gli antecedenti del tutto
immediati, perché le cause prossime di un evento (es. appena prima di sparare) sfuggono troppo spesso
all’osse vazio e dei testi o i e du ue a uella degli sto i i. Esse i sto ia ostituis o o la pa te p ivilegiata
del aso, dell’i p evedi ile.

Eminentemente variabile da individuo a individuo, la facoltà di osservazione non è neanche una costante
sociale: certe epoche se ne sono trovate sprovviste più di altre. Al di là dei piccoli accidenti mentali di natura
comune (debolezze di sensi e attenzione), molti errori della testimonianza risalgono a cause significative di
una particolare atmosfera sociale. Per questo motivo essi acquistano spesso valore documentario (come nel
caso della menzogna).
Tuttavia, pe h l’e o e di u testi o e dive ga uello di olti uo i i, pe h u a attiva osse vazio e si
trasformi in una voce falsa, occorre anche che lo stato della società favorisca questa diffusione. Non tutti i
tipi sociali le sono propizi allo stesso meglio. (es. in trincea sono gli addetti al servizio viveri che portavano
lungo tutti i camminamenti, assieme al cibo, le informazioni quasi sempre deformate e pronte per una nuova
elaborazione).
I pa ti ola e, elle so ietà i ui la t adizio e o ale l’u i a effi a e, o e uella dell’Alto Medioevo, f a
elementi dispersi si effettuano collegamenti quasi esclusivamente tramite intermediari specializzati, o in
punti di riunione fissi. Venditori ambulanti, giocolieri, pellegrini, mendicanti facevano la stessa operazione
del popolo errante delle trincee, mentre gli incontri regolari avvenivano in occasione delle feste religiose. Le
cronache monastiche sono state compilate sulla base di interrogatori, con i passanti come informatori.
Relazioni frequenti fra gli uomini, al contrario, rendono agevole il confronto tra diversi racconti, eccitano il
senso critico, mentre invece si crede più ingenuamente al narratore che, a lunghi intervalli di tempo, porta
attraverso percorsi difficili le dicerie da terre lontane.

3. Saggio di una logica del metodo critico


Per la critica della testimonianza, che lavora su realtà psichiche, non esiste un manuale di ricette, ma è anche
arte di razionalità, che si basa sulla pratica metodica di alcune grandi operazioni mentali. Possiede insomma
una propria dialettica, che occorre cercare di scoprire.
Non si controlla e non si interpreta mai un documento se non inserendolo in un contesto, in una serie
cronologica o in un insieme sincrono.  alla base di quasi ogni critica sta un lavoro di comparazione con
materiali analoghi per epoca e per luogo di origine, così che i falsi saltino facilmente agli occhi. Nel caso di
qualcosa di scritto si analizzerà il linguaggio, il supporto (papiro, pergamena o carta), lo stile, eccetera: un
disaccordo in uno o più elementi può portare alla condanna. Anche se non si deve cercare un'assoluta
corrispondenza, che ci porterebbe a segnalare come falsi alcuni reperti assolutamente straordinari (ad
esempio i primi documenti scritti in francese, nonostante all'epoca si usasse quasi esclusivamente il latino):
in alcuni casi solo alcuni elementi di concordanza sono sufficienti a stabilire la datazione e l'autenticità.

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Ma i risultati di questa comparazione non sono automatici. Essa perviene a svelare ora delle somiglianze, ora
delle differenze; a seconda dei casi, la concordanza di una testimonianza con testimonianze vicine può
imporre conclusione totalmente opposte.

La constatazione di un disaccordo può togliere di mezzo una delle opposte testimonianze. Una delle due deve
soccombere. Il principio di contraddizione vieta che un avvenimento possa contemporaneamente essere e
non essere.
Resta poi da s eglie e t a la testi o ia za da espi ge e e uella he doveva esta salda. U ’a alisi
psicologica valuta nei testimoni, di volta in volta, le presunte ragioni di verità, di menzogna e di errore, e
decide di conseguenza.

“i può da e a he il aso he, e t e tutti i do u e ti di u ’epo a so o s itti su pe ga e a, se e t ovi u o


s itto su a ta. Ve à p o a il e te o side ato falso i vi tù dell’idea he, i u a stessa ge e azio e di u a
stessa società, regni una somiglianza di usanze e di tecniche troppo forte per consentire a qualcuno di
discostarsi dalla pratica comune. È un postulato di ordine sociologico.

La somiglianza, però non deve essere troppo forte, altrimenti costituirebbe la condanna della testimonianza:
se due testimoni descrivono la battaglia esattamente negli stessi termini o fornendo i medesimi particolari,
isog a dedu e he u o di lo o ha opiato l’alt o o he e t a i ha o opiato u a fo te o u e. La ost a
ragione, infatti, si rifiuta di ammettere che due osservatori, necessariamente situati in punti diversi nello
spazio e dotati di ineguali capacità di attenzione, abbiano potuto notare, punto per punto, gli stessi episodi.
Inoltre è improbabile che fra gli innumerevoli vocaboli di una lingua, due scrittori, lavorando
indipendentemente, si trovino fortuitamente a scegliere gli stessi termini e li abbiano associati nello stesso
modo per raccontare le stesse cose. Se i due racconti si presentano come desunti direttamente dalla realtà,
bisogna che almeno uno dei due menta.

Così la critica si muove tra questi due estremi: la somiglianza che giustifica e quella che discredita.
Nell’u ive so e ella so ietà ’ a asta za u ifo ità da es lude e l’eve tualità di diffe e ze t oppo ette,
ma questa uniformità si riferisce a caratteri molto generali e, man mano che si avvicina al reale, comprende
u u e o di o i azio i possi ili t oppo vi i o all’i fi ito pe h la lo o ipetizio e spo ta ea sia
concepibile: occorre un atto volontario di imitazione.
La iti a della testi o ia za si fo da su u a isti tiva etafisi a del si ile e del dissi ile, dell’U o e del
Molteplice.

“e l’ipotesi della opiatu a si i posta, isog a poi sta ili e le di ezio i d’i flue za. I og i oppia, i due
docu e ti ha o atti to da u a fo te o u e? “e u o i ve e l’o igi ale, o e si i o os e? Talvolta la
risposta sarà fornita da criteri esterni, come per esempio le rispettive date, se è possibile determinarle.
Esistono diversi modi di imitare. Essi variano a se o da dell’i dividuo, talvolta se o do ode o u i a u a
generazione.
“ op i e u ’i itazio e e uivale a las ia sussiste e u o solo dei due o più testi o i di ui p i a edeva o
di poter disporre.

Capita infine che, dietro al presunto testimone, si nasconda un suggeritore, che non voleva affatto rivelarsi,
(testimonianze indotte, come se ne trovano frequentemente nei documenti dei tribunali dell'Inquisizione,
dove gli stessi giudici raccoglievano confessioni pressoché identiche da imputati diversi, dettando le risposte).

La storia si avvale anche della critica statistica se tre studiosi, utilizzando documenti diversi, arrivano allo
stesso conclusioni sullo stesso tema, queste conclusioni saranno più probabilmente veritiere. Sebbene i
documenti pongano sempre dei tranelli allo studioso, su un grande numero di pezzi questi errori si
compensano a vicenda.

Valutare poi la probabilità di un avvenimento significa calcolare le probabilità che esso ha di prodursi. È
legittimo parlare della possibilità di un fatto passato? I se so assoluto o, pe h solo l’avve i e aleato io,
e t e il passato u dato di fatto he o las ia posto al possi ile. Pe ò l’uso he la i e a sto i a fa della
nozione di probabile non ha nulla di contraddittorio con questa definizione: lo storico che si interroga sulla
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p o a ilità di u avve i e to passato te ta di t aspo ta si e tal e te p i a di uell’avve i e to stesso,
per valutarne le probabilità, quali esse si presentavano il giorno prima del suo accadere. La probabilità
avvie e ell’avve i e di u a volta, ost uito o u f a e to di iò he pe oi attual e te il passato.
La maggior parte dei problemi della critica storica sono complessi problemi di probabilità.
La critica dei documenti non può attingere la certezza. È solo mediante una semplificazione che noi talvolta
sostituiamo a un linguaggio di probabilità un linguaggio di evidenza.

Se nel passato ogni fatto affermato era accettato, a meno che non ci fossero a priori ragioni per sospettare
della menzogna dei testimoni e dei narratori (regnava il sentito dire), siamo oggi capaci di svelare e di spiegare
le imperfezioni della testimonianza. Abbiamo acquistato il diritto di non crederle sempre, perché sappiamo
quando e perché deve essere creduta.

Bloch conclude il capitolo con una denuncia: nella nostra epoca, più che mai esposta alle tossine della
menzogna e della falsa diceria, è una vergogna che il metodo critico non sia previsto dai metodi di
insegnamento.

Quarto capitolo – L’analisi storica

1. Giudicare o comprendere?
Secondo Ranke, lo storico si propone di descrivere le cose tali quali esse sono avvenute. Questa frase invita
lo studioso a eclissarsi davanti ai fatti, a essere passivo.
“olleva pe ò al te po stesso due p o le i: uello dell’i pa zialità sto ica e quello della storia come tentativo
di riproduzione o come tentativo di analisi.

Il p o le a dell’i pa zialità si po e pe h la pa ola a sua volta e uivo a.


Ci sono due modi per essere imparziali: quello dello studioso e quello del giudice. Entrambi si sottomettono
alla verità e hanno un obbligo di coscienza.
Lo studioso egist a, p ovo a l’espe ie za he fo se i alte à le sue teo ie.
Il giudice interroga i testimoni per conoscere i fatti come avvennero.
Però le loro strade divergono a un certo punto: quando lo studioso ha osservato e spiegato, il suo compito è
finito, mentre il giudice deve anche emettere la sentenza.
Per lungo tempo, secondo la scuola romantica di studi storiografici, lo storico è stato considerato come un
giudice degli inferi, incaricato di distribuire elogi o biasimi agli eroi morti. Questo però non ha più senso
poiché nel passato che studiamo gli ideali comunemente accettati differivano dai nostri, quindi non abbiamo
gli stessi punti di riferimento morali per poter basare un giudizio.
È meglio cercare ciò che realmente volevano gli uomini del passato con le loro azioni, spogliandosi dei propri
retaggi attuali.
Inoltre, a forza di giudicare si finisce per perdere il gusto di spiegare. Appena il giudizio pende da una parte
non ci si può trattenere dal distorcere la narrazione in quel senso.
Pe pe et a e i u a os ie za est a ea, he l’i te vallo delle ge e azio i sepa a da oi, o o e spoglia si
del proprio io.

Uno dei tratti specifici della storia è il finalismo, perché essa riguarda esseri capaci, per natura, di fini
coscientemente perseguiti.

Il motto che illumina gli studi degli storici è comprendere senza giudicare troppo. Altrimenti, chi è diverso da
noi passa necessariamente per un cattivo.
La storia deve aiutarci proprio a guarire da questo difetto, in quanto vasta esperienza della varietà umane e
luogo d’i o t o f a gli uo i i.

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2. Dalla diversità dei fatti u a i all’u ità di coscie za.
Comprendere è però un atteggiamento per nulla passivo. Per fare una scienza, oltre alla realtà, occorrerà
a he l’uo o.
Dato che la realtà umana è vasta e variegata, sarà compito dello storico scegliere e distinguere, cioè
analizzare es. u ’is izio e fu e a ia o a a può fo i i dati li guisti i, sulle ede ze, sulla politi a, su
mestie i ig oti…
Per arrivare a comprendere però non si può registrare passivamente gli avvenimenti, bisogna spingersi oltre
analizzando e organizzando razionalmente la materia.
Qua do, el o so dell’evoluzio e u a a, edia o di s o ge e u a pa e tela t a alcuni fenomeni,
intendiamo che ogni tipo di credenze, pratiche, avvenimenti ci sembra esprimere una tendenza particolare e
più o e o sta ile dell’i dividuo o della so ietà. “i può o p e de e ui di eglio il fatto u a o se si
possiede già la conoscenza di altri fatti di questo stesso genere.
Se si trascurasse di ordinare razionalmente una materia che ci giunge allo stato grezzo si finirebbe per negare
il tempo e dunque la storia stessa.
Nella misura in cui la loro determinazione si attua dal più antico al più recente, i fenomeni umani si
condizionano attraverso concatenazioni di fenomeni simili. Classificarli per generi significa mettere in luce le
li ee di fo za di u ’effi a ia de isiva. Queste li ee esistono solo nella mente, non nella realtà, dove tutto si
es ola: si fa uso dell’ast azio e e dell’i agi azio e.
In questo senso si può attuare una scomposizione e selezione del reale, sotto più discipline, in modo da
osservare meglio, senza ignorare i campi attigui che si combinano e compenetrano continuamente l’u
l’alt o: come nel panorama visibile da una finestra, ogni studioso si ritaglia una sua parte (il fisico l'azzurro
del cielo, il chimico l'acqua del ruscello, il botanico l'erba...) e semmai solo il poeta o l'artista ricompone il
tutto.
Il paesaggio come unità esiste però solo nella nostra coscienza e la caratteristica del metodo scientifico
o siste el t as u a e deli e ata e te l’osse vato e, pe o os e e solo i fatti osse vati. “e o h la sto ia
ha come oggetto proprio le coscienze umane: le relazioni che si stabiliscono, le contaminazioni, le confusioni
di cui esse sono il terreno, costituiscono agli occhi dello storico la realtà stessa.
Per restare fedeli alla vita, nel costante intreccio delle sue azioni e reazioni, non è necessario pretendere di
indagarla tutta intera, in uno sforzo più ampio delle possibilità di un solo studioso: è legittimo centrare lo
studio di una società su uno dei problemi che uno dei suoi aspetti particolari solleva (credenze, struttura delle
classi o dei gruppi, isi politi he… . Co uesta s elta agio ata i p o le i sa a o posti più fermamente ed
emergeranno più chiaramente anche i fenomeni di contatto e di scambio.

3. La nomenclatura
Sarebbe però troppo poco limitarsi a discernere in un uomo o in una società i principali aspetti della loro
attività. È necessario distinguere le varie istituzioni che compongono un sistema politico, le diverse credenze,
p ati he, e ozio i di ui fatta u a eligio e… Bisog a a atte izza e i og i pa te e ei ispettivi i sie i i
tratti che li avvicinano o li allontanano da realtà dello stesso ordine.
Questo problema di classificazione è inseparabile da quello della nomenclatura.
Infatti ogni analisi ha bisogno di un linguaggio appropriato, capace di tracciare con precisione il linguaggio
dei fatti ma al contempo di adattarsi progressivamente alle scoperte.
Questo linguaggio è però il punto debole degli storici. Mentre, ad esempio, la chimica, ha stabilito dei segni
perché poteva rivolgersi a realtà incapaci di nominarsi da sé, la sto ia u a s ie za dell’u a ità: pe da e
dei nomi alle loro azioni, credenze, oggetti, strutture gli uomini non hanno aspettato di diventare oggetto
della ricerca. Dunque la storia riceve il suo vocabolario dalla materia di studio stessa.
Si tratta però di un linguaggio ambiguo, perché non deriva dalla riflessione dei tecnici.
Inoltre questo linguaggio manca di unità, perché i documenti tendono a imporre la loro nomenclatura e
ui di la dettatu a di u ’epo a, e t e lo sto i o pe sa se o do le atego ie e le parole del proprio tempo.
Così due orientamenti distinti si contendono il linguaggio della storia.

Riprodurre o ricalcare la terminologia del passato sembra sicuro, ma nella pratica si riscontrano delle
difficoltà.
In primo luogo i cambiamenti delle cose non sempre portano con sé cambiamenti paralleli dei loro nomi. Il
linguaggio ha carattere tradizionalista, inoltre, soprattutto per quanto riguarda realtà meno materiali, le
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trasformazioni avvengono spesso troppo lentamente per essere percepibili dagli uomini che le vivono: essi
non cambiano il nome perché non si accorgono del cambiamento del contenuto (es. passaggio dal termine
schiavo a servo).
Al contrario può capitare che i nomi cambino indipendentemente da una variazione nelle cose che designano:
a volte cause particolari di evoluzione del linguaggio hanno provocato la scomparsa di una parola, senza che
l’oggetto o l’atto he essa se viva a desig a e e fosse to ato es. elle li gue ate dal lati o aduta di pa ole
troppo corte divenute progressivamente indistinte a causa della debolezza delle sillabe atone).
Alt e volte so o le o dizio i so iali he si oppo go o all’istituzio e o alla o se vazio e di u vo a ola io
uniforme: in società molto frammentate come quella medievale era frequente che istituzioni
fondamentalmente identiche fossero indicate con termini diversi in base ai luoghi.
Anche oggi le parlate locali sono molto varie, ma se lo storico adeguasse la propria terminologia a questa
varietà, ne risulterebbe compromessa la comprensione del suo discorso e il lavoro di classificazione.

Lo storico non possiede un sistema di simboli distinto, si esprime solo con le parole del proprio paese,
traducendo quando si trova davanti a realtà che ricevettero un nome in lingua straniera (morta o viva che
essa sia).
Quando però si tratta di costumi, istituzioni e credenze specifiche di una data società, la traduzione diventa
rischiosa ed è preferibile conservare il termine originale, spiegandolo (es. reich).

Numerose società hanno praticato un bilinguismo gerarchico: si trovavano insieme una lingua popolare e una
dotta, la p i a pe l’o alità e la se o da pe la s ittu a.
Ereditate da civiltà passate o prese in prestito da dominazioni straniere, queste lingue di
letterati/sacerdoti/notai dovevano esp i e e ealtà pe le uali o e a o pe sate i o igi e, o l’aiuto di
un sistema di trasposizioni rozze.
Noi conosciamo solitamente una società a partire dai suoi scritti. Quelle in cui vinse un simile dualismo
linguistico ci appaiono in molti dei loro tratti fondamentali, attraverso un velo di approssimazione. Perciò lo
storico deve fare il lavoro a ritroso.
Anche nelle nazioni più unite ogni piccola collettività professionale caratterizzata da ricchezza o cultura
possiede il suo particolare sistema di espressione: non tutti i gruppi scrivono, né lo fanno nella stessa
quantità, né hanno le stesse probabilità di far giungere ai posteri i propri scritti. Questo succedeva anche
nelle civiltà del passato, perciò è la voce dei giuristi che ci è giunta per prima.

Il vocabolario dei documenti è quindi testimonianza preziosa ma soggetta a critica perché imperfetta. Ogni
termine importante, ogni modulo stilistico caratteristico diventa un efficace strumento di conoscenza solo se
inserito nel suo contesto cronologico, culturale ed ambientale.
Una nomenclatura imposta al passato perverrà sempre a deformarlo, se ha per assunto o per risultato quello
di ipo ta e le atego ie alle ost e, assolutizzate. Nei o f o ti di si ili eti hette l’u i o atteggia e to
ragionevole è eliminarle.
Lo storico definisce raramente. Egli amplia, delimita, deforma arbitrariamente i significati senza avvertire il
lettore né rendersene conto lui stesso. Ogni storico intende determinati termini a suo modo, comportandosi
come un artista individualista.
I linguaggi degli storici, secondo Bloch, non formano ancora il linguaggio della storia. Alcuni gruppi di
specialisti di discipline relativamente giovani (linguisti, etnografi, geografi) hanno provato a muoversi in
questa direzione.
Bloch prospetta che un giorno una serie di intese permetteranno di precisare la nomenclatura e di affinarla,
ma per questo è fondamentale lo spirito di equipe. Lo storico dovrà evitare di allontanare dal loro significato
i termini già accolti e deve ricorrere a definizioni accurate solo per rendere il suo vocabolario utile a tutti.

4. Le divisioni cronologiche
Questione fondamentale per la classificazione storica è poi la divisione in epoche cronologiche.
Il flusso degli anni scorre senza interruzione, ma è e essa io he l’a alisi sto i a p ati hi delle divisio i,
poiché la natura della mente umana ci vieta di cogliere anche il più continuo dei movimenti se non lo
spezzettiamo ricorrendo a segni di riferimento arbitrari. Però secondo Bloch è importante che essi coincidano
o i p i ipali pu ti di u vatu a dell’ete o uta e to.
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Bloch analizza i vari sistemi usati fino ad allora dagli storici, a partire dalla divisione in dinastie di regnanti (ad
esempio, soprattutto per la storia francese, con l'epoca merovingia, carolingia, capetingia, ecc.). La storia
come cronaca di capi basava le articolazioni del suo racconto alle vicissitudini della sovranità. Le dominazioni
dei popoli o uistato i, dist ugge dosi l’u l’alt a, seg ava o le epo he.

Si è diffuso poi, per non voler sottolineare sempre e solo gli aspetti legati ai sovrani, una divisione in epoche,
come l'epoca del Medioevo o del Rinascimento, nomi che portano nella loro radice un giudizio congenito.

Più recentemente, per Marc Bloch, si è diffusa infine una periodizzazione per secoli, sicuramente più
semplice, ma incapace di inquadrare correttamente i fenomeni (con deformazioni quali la convinzione, per
esempio, che il XVIII secolo "sia iniziato" nel 1687 o nel 1697 o ancora nel 1715, volendo evidenziare alcuni
passaggi epocali che non avvennero esattamente nel 1701).
I secoli non vengono infatti più chiamati con i nomi dei loro eroi, ma numerati muovendo da un punto di
partenza fissato una volta per tutte.
Nessuna legge della storia però impone che il primo anno di ogni secolo coincida coi punti critici
dell’evoluzio e u a a, da ui st a e deviazio i di sig ifi ato. Noi te tia o di divide e, se o do u igo oso
ritmo scelto arbitrariamente, realtà alle quali questa regolarità è del tutto estranea, introducendo così una
confusione in più.

Esiste poi, sempre riguardo alla classificazione temporale, una questione legata alla precisione: si devono
delimitare i fenomeni per anni, per mesi, per giorni o addirittura per minuti o secondi? Ciò dipende dal
fenomeno che si considera, dove ogni fatto ha insito una sua precisione richiesta, il cui spessore può variare
in base alla natura del fenomeno stesso. A volte infatti è sufficiente usare un intervallo di tempo piuttosto
ampio (ad esempio "dal 1875 al 1885"), anche perché i fatti non consentono una precisione maggiore.

La storia è ancora una scienza in via di elaborazione


Gli uomini che sono nati in un medesimo ambiente sociale, in date vicine, subiscono flussi analoghi, specie
nel periodo della loro formazione. Il loro comportamento presenta dei tratti distintivi netti in confronto a
gruppi di uomini più anziani o più giovani. Questa comunanza costituisce una generazione.
Però una società raramente è uniforme: si scompone in ambienti diversi in ciascuno dei quali le generazioni
non sempre combaciano.
Anche la periodicità delle generazioni non è regolare: in storia esistono generazioni lunghe e brevi.
Inoltre può accadere che le generazioni si compenetrino a vicenda, infatti gli individui non sempre reagiscono
in modo uguale agli stessi flussi.
Una generazione rappresenta però una fase relativamente breve, le fasi più lunghe si chiamano civilizzazioni.

In conclusione Bloch mette in guardia come il tempo umano sia sempre "ribelle" alle richieste di uniformità
della classificazione e della ripartizione: ci sono varianti del ritmo che dipendono anche dai diversi luoghi, che
necessitano l'accettazione di una certa plasticità e adattamento.

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Quinto capitolo (senza titolo)

Il quinto capitolo è molto più breve, frutto di soli cinque fogli di Bloch scritti a mano, e mostra l'interruzione
dell'opera. Non ha titolo, ma vi si tratta della ricerca dei rapporti di causa-effetto.
Lo stabilire rapporti di causa-effetto costituisce un bisogno istintivo del nostro intelletto, a l’uso della
relazione causale richiede una presa di coscienza critica.
Innanzitutto Bloch evidenzia la divisione tra condizioni e cause: le prime sono variabili più stabili, permanenti,
generali e costanti (es. in una caduta, la presenza di: g avità, ilievo t a iato el o so dei ille i, …), le
seconde sono legate all'azione eccezionale dell'uomo o di altri fattori (es. scivolata) e costituiscono
l’ele e to diffe e ziale.
Agli occhi del senso comune, parlando di causa, questo componente dell’ulti o ista te appa e o e l’a tista
che dà forma alla materia predisposta.
Lo storico si deve soffermare ovviamente solo sulla causa. Gli antecedenti, più costanti e più generali,
rimangono sottintesi e vengono definiti universali perché sono comuni a troppi fenomeni per meritare di
apparire nella genealogia di qualcuno di essi in particolare.
Siamo però noi, in ultima analisi, che compiamo una scelta, facendo una classificazione gerarchica fra le linee
di forza che convergono verso lo stesso fenomeno. La distinzione tra causa e condizioni ha quindi carattere
elativo, poi h la p ospettiva vie e su o di ata al pu to di vista p op io dell’i dagi e.
Bisogna inoltre porre attenzione, perché spesso in storia la ricerca della causa unica tende a mascherare la
ricerca del responsabile e quindi il giudizio di valore. Non dobbiamo chiederci di chi sia la colpa/il merito, ma
solo domandarci il perché.

Inoltre non si deve cercare di ricondurre tutto a una spiegazione logica e ragionata: Bloch riporta in questo
senso una citazione di Napoleone Bonaparte, "non c'è nulla di più raro che un progetto". Bisogna tener conto
delle variabile evitando l'apriorismo e gli errori dovuti a ipotesi acquisite in partenza.
« Per dirla in una parola, le cause, in storia non più che altrove, non si postulano. Si cercano... »

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