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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA

“TOR VERGATA”
MACROAREA DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN
Storia dell’Arte

TESI DI LAUREA IN
Museologia e Storia del Collezionismo

TITOLO
Nuove metodologie tecnologiche applicate ai beni culturali
ed esempi di applicazione

Relatore: Laureanda: Patroni Olga Concetta


Chiar.mo Prof. Occhipinti Carmelo matricola: 0250093
Correlatore:
Chiar.mo Prof. Fornetti Giorgio

Anno Accademico
2017/2018
A chi ha reso possibile l’impossibile.
A te, per i giorni migliori e per quelli peggiori.
A te, sempre e per sempre.
INDICE

INTRODUZIONE ............................................................................................ 1

1. Giudizio Universale, Michelangelo and the secrets of the Sistine Chapel:


un caso di studio ............................................................................................... 7

1.1 Marco Balich: da band assistant a ‹‹Re di grandi eventi›› .......... 7

1.2 “L’Albero della Vita” di Expo Milano ....................................... 10

1.3 L’intervento di Michelangelo in Piazza del Campidoglio ......... 12

1.4 Tree of Life: l’Albero della Vita del Disney Animal Kingdom..18

1.5 Artainment e la commistione fra arte, tecnologia e


intrattenimento.................................................................................. 20

1.6 Giudizio Universale: lo spettacolo immersivo ........................... 22


1.7 Il parere della critica: Vittorio Sgarbi, Francesco Bonami e
Tomaso Montanari…………………………………………………28

2. I nuovi metodi di fruizione dell’arte: immersività, interazione e


performatività............................................................................................... 345

2.1 Multimedialità e immersività ..................................................... 35

2.2 Interattività ................................................................................. 42

2.3 L’esperienza performativa.......................................................... 47


2.4 L'immagine di sintesi…..………………………………………52

3. Descrizione e applicazione delle nuove metodologie tecnologiche: Il


Giudizio Universale nell’Oratorio di San Pietro Martire (Rieti) ............... 55

3.1 Il Radar Topologico a colori (RGB-ITR) .................................. 55

3.2 Chiesa e convento di San Domenico.......................................... 62


3.3 “Il Giudizio Universale”: l’affresco dei fratelli Torresani
nell’Oratorio di San Pietro Martire a Rieti....................................... 63

3.4 L’ENEA per la città di Rieti, la campagna di scansione


nell’Oratorio di San Pietro Martire .................................................. 77

CONCLUSIONI ............................................................................................. 86

RINGRAZIAMENTI ..................................................................................... 89

APPENDICE .................................................................................................. 91

GLOSSARIO ................................................................................................ 110

BIBLIOGRAFIA .......................................................................................... 114

SITOGRAFIA .............................................................................................. 116


INTRODUZIONE

“Credo che le tecnologie siano moralmente neutrali fino a quando non le


applichiamo. È solo quando si usano per il bene o per il male, che diventano bene o
male.”

William Gibson

L’arte e la scienza, e con essa la tecnologia, rispondono ad esigenze intimamente


legate alla natura dell’uomo ed è con l’uomo che sono nate e si sono evolute.
Nonostante l’abitudine a considerare incompatibili queste due discipline,
un’abitudine peraltro tristemente incentivata dal nostro sistema scolastico, sia l’arte
che la scienza sono nate da impulsi umani.
La prima è infatti frutto del cosiddetto processo di individuazione, ovvero della
necessità dell’uomo di manifestare la propria diversità e individualità rispetto agli
altri uomini e al mondo circostante.
Le più antiche manifestazioni artistiche frutto dell’azione dell’uomo risalgono
all’età paleolitica e sono nient’altro che tracce, impronte di mani lasciate sulla roccia.
Con questi semplici gesti l’uomo, alle proprie origini, ha preso coscienza di sé stesso
e ha manifestato istintivamente la volontà di esprimersi e di affermarsi nella propria
unicità.
L’arte potrebbe dunque essere definita come un linguaggio puro e spontaneo, un
linguaggio di necessità, attraverso il quale gli uomini hanno manifestato un bisogno
immediato.
In questo momento, in cui l’essere umano ha iniziato a percepire sé stesso come
un’individualità definita, è nata in lui la volontà di comprendere il mondo circostante
fino ad allora rimasto ignoto.

1
La fisica, e più in generale la scienza, derivano da questa volontà ovvero
dall’intenzione degli uomini di capire il mondo per adattarlo a sé.
Le innovazioni scientifiche in ogni ambito del sapere, dalla medicina alla biologia,
dall’ingegneria alla fisica, sono il risultato di questa ricerca.
Nel 1965 Laura Fermi, moglie di Enrico Fermi, scrisse “Atomi in famiglia” un libro
biografico in cui, con ricchezza di particolari, è stata raccontata la vita del
celeberrimo fisico italiano.
In un capitolo significativamente intitolato “Ombre di cose da venire”, la donna ha
raccontato di come Lise Meitner e Otto Frisch, recuperando gli esperimenti condotti
da Fermi cinque anni prima, scoprirono che quando un atomo di uranio si spezza in
parti uguali (in un processo definito scissione o fissione) libera una straordinaria
quantità di energia nucleare.
Grazie a questa rivelazione si scoprì che ciò che nasceva dalla scissione di un atomo
di uranio non era un nuovo elemento, come erroneamente Fermi e i suoi compagni
avevano creduto, ma era una reazione a catena che portava alla formazione di altri
atomi.
Dal controllo di questa reazione, messo in atto negli Stati Uniti nell’ambito del
famoso Progetto Manhattan, nacque la bomba atomica, una delle armi più letali della
storia umana.
Come raccontano Laura Fermi e più tardi sua figlia Nella, il fisico era perfettamente
consapevole delle importanti conseguenze derivanti dal suo lavoro.
Infatti, anni dopo, in uno scambio di lettere con l’amico e collaboratore Edoardo
Amaldi, Fermi scrisse: “È stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l'aver
contributo a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è
stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione”.
Il profondissimo amore di Enrico Fermi per la scienza superò anche l’etica: “Gli
interessava solo fare ricerca. Quando gli chiesero di diventare fascista per lavorare
in pace a Roma, lui si iscrisse. Quando gli Stati Uniti gli chiesero di lavorare alla

2
bomba atomica contro i fascismi, eseguì. Quando, a lui e altri tre fisici, chiesero se
la bomba andasse gettata su una città o su un luogo deserto, indicò la città, perché,
razionalmente, riteneva che solo così i giapponesi si sarebbero arresi.”
Così racconta Gino Segrè, nipote di Emilio Segrè, uno dei compagni di Enrico Fermi
che con lui condussero gli esperimenti di via Panisperna.
Questa storia, che racconta una delle più importanti e oscure scoperte dell’umanità,
ci aiuta a comprendere come l’innovazione e la tecnologia non possano considerarsi
univocamente agenti del bene o del male.
Gli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki, pur avendo cancellato migliaia di
vite e distrutto sotto ogni punto di vista un’intera nazione, hanno posto fine al più
sanguinoso dei conflitti fra gli uomini.
La fissione nucleare, pur essendo stata utilizzata con fini distruttivi, può fornire una
fonte di energia alternativa a basso costo ed autonomia infinita e può dunque servire
il genere umano con la migliore delle finalità.
Per dirla parafrasando le parole di William Gibson, creatore di mondi di fantascienza
in cui essere umano e tecnologia si fondono e si contaminano, la tecnologia e
l’innovazione non sono positive o negative per definizione ma è l’essere umano con
il proprio agire a definirne la natura.
Questo sottile concetto, che spiega come l’evoluzione tecnologica, se avulsa dalle
scelte dell’uomo, sia in realtà neutrale, si può ricondurre anche all’applicazione della
tecnologia all’arte e ai beni culturali, un tema tanto discusso quanto attuale.
La diffidenza dilagante in particolare tra critici e studiosi è legata al rischio che la
tecnologia possa tradire l’arte stravolgendone i contenuti e limitandosi ad esibire sé
stessa.
Riflettendo sul connubio tra storia dell’arte e tecnologia, immediatamente la nostra
mente si rivolge alle numerose possibilità offerte dagli strumenti diagnostici come
radiografie o riflettografie infrarosse.

3
Le indagini di questo tipo, oltre all’applicazione nell’ambito della conservazione e
della tutela dei beni culturali, possono anche offrire la possibilità di aumentare i
livelli di leggibilità di un’opera per conoscerne dettagli che vanno oltre la superficie
e oltre la visibilità.
Pensiamo ad esempio al “pentimento” di Michelangelo che sulla volta della Cappella
Sistina cancella e ritocca la mano senza vita di Adamo.
Questo piccolo dettaglio, che l’occhio nudo del visitatore non riesce a cogliere,
permette di comprendere che, aldilà del suo straordinario genio, Michelangelo non
era altro che un uomo e, in quanto tale, fallibile.
Pensiamo anche al distruttivo incendio che ha colpito Notre - Dame cancellando
gran parte di uno dei monumenti più preziosi e significativi d’Europa e del mondo.
A questo evento drammatico ha fatto seguito un grande slancio di solidarietà
finalizzato alla ricostruzione di questo gioiello della cultura gotica europea.
Una delle problematiche fondamentali nelle operazioni di ricostruzione è la
necessità di mantenersi fedeli alle caratteristiche originali del monumento per non
alterarne la memoria e per non perderne la connotazione storica.
A questo proposito Hannah Groch-Begley, dottoranda presso la Rutgers University
di New York, subito dopo l’incendio ha fatto sapere di essere in possesso di una
dettagliatissima mappa laser 3D realizzata da Andrew Tallon, storico dell’arte belga
da poco scomparso.
Questa mappa, alla quale lo storico d’arte iniziò a lavorare nel 2010, è costituita da
circa un miliardo di punti con un livello di fedeltà tale da poter essere riconosciuta
come uno dei potenziali strumenti da utilizzare per il restauro della cattedrale
parigina.
Per la stessa finalità sono stati indicati anche i modelli 3D realizzati dall’artista
Caroline Miousse per ricostruire virtualmente la città di Parigi all’interno di un
famoso videogame.

4
Per l’accuratezza della ricostruzione, l’artista ha impiegato circa due anni
analizzando fino ai singoli mattoni di Notre-Dame.
Dunque, la tecnologia interviene in favore dell’arte offrendosi come strumento
prezioso di conoscenza, di tutela e di ricostruzione.
Il ricorso alle tecnologie in relazione al patrimonio storico – artistico assume
crescente importanza anche dal punto di vista della fruizione, della diffusione e della
comunicazione.
La capillare diffusione del web e di strumenti come computer e smartphone ha
rivoluzionato il nostro modo di comunicare, di scambiare informazioni e di
interagire.
Questo cambiamento radicale, legato a filo doppio all’evoluzione tecnologica e
culturale del nostro tempo, ha coinvolto anche la fruizione e la comunicazione
dell’arte che ora avviene con modalità immersive, interattive e multimediali.
Nonostante grazie a queste modalità si incontrino i gusti di un pubblico molto vasto,
queste strategie comunicative, e più in generale il connubio tra arte e tecnologia,
attirano su di sé molte critiche.
Questo lavoro si pone l’obiettivo di rispondere a queste riserve e di aiutare a
comprendere che, se usata con saggezza, la tecnologia può permettere all’arte di
adeguarsi all’evoluzione umana per continuare a comunicare con forza e impeto il
proprio messaggio.
Nel tentativo di chiarire le enormi potenzialità della tecnologia applicata al
patrimonio storico artistico, in questo lavoro sono state illustrate e definite le nuove
metodologie di fruizione dell’arte.
Prendendo come caso di studio uno degli eventi più significativi di questo anno,
ovvero lo spettacolo Giudizio Universale, Michelangelo and the secrets of the
Sistine Chapel, è stato affrontato il tema della “spettacolarizzazione dell’arte”.
Questa tendenza di grande successo, in cui i grandi temi dell’arte vengono
comunicati attraverso mezzi e approcci tipici del mondo dello spettacolo, ha offerto

5
uno spunto per l’analisi della correlazione tra il successo di pubblico e l’utilizzo
delle nuove modalità di comunicazione dei contenuti artistici.
Queste metodologie mirano, infatti, al coinvolgimento emotivo e sensoriale del
fruitore che si può addirittura tradurre in un’esperienza corporea definita
performatività o esperienza performativa.
La perfomatività, dunque la possibilità dell’agire concreto sull’opera d’arte, si
raggiunge anche grazie alla multimedialità, all’immersività e all’interattività. Queste
strategie comunicative, definite ed analizzate all’interno di questo lavoro,
coinvolgono il fruitore a livello visivo e sensoriale e offrono la possibilità di
interagire attivamente con un determinato contenuto artistico manipolandolo
liberamente.
Nel tentativo di chiarire le enormi potenzialità di queste nuove modalità di fruizione
e comunicazione è stato fatto particolare riferimento al Giudizio Universale
nell’Oratorio di San Pietro Martire a Rieti, oggetto di una campagna di misure
condotta dai Laboratori del centro di ricerche ENEA di Frascati nel 2009.
Grazie al Radar Tologico RGB-ITR, le cui caratteristiche e funzionamento sono
state descritte in questo lavoro di tesi, è stato prodotto un modello 3D che, grazie
alle sue qualità, è stato utile a chiarire come le forme più evolute della tecnologia
possano essere straordinariamente utili dal punto di vista della conservazione e della
tutela.
Oltre a questi fondamentali aspetti, il riferimento al modello 3D derivante dalle
scansioni dell’RGB-ITR nel sito reatino è stato utilizzato come esempio per chiarire
come l’immersività, l’interattività e la perfomatività possano essere considerate
validi strumenti per rinnovare la fruizione delle opere d’arte con potenziali risvolti
anche nell’insegnamento della storia dell’arte.

6
1. Giudizio Universale, Michelangelo and the secrets of the Sistine
Chapel: un caso di studio
1.1 Marco Balich: da band assistant a ‹‹Re di grandi eventi››
Giudizio Universale, Michelangelo e i segreti della Cappella Sistina1 debutta
all’Auditorium Conciliazione il 15 marzo 2018, restando in cartellone per un anno
con l’ambizione di diventare il primo spettacolo permanente in un teatro di Roma.
La natura innovativa di questo spettacolo, che poco tempo dopo l’apertura delle
vendite ha visto staccare quarantamila biglietti, solletica la nostra curiosità e ci
spinge a studiarne a fondo la genesi e le caratteristiche per comprendere come in
questo interessante esperimento sia stato possibile intrecciare arte, spettacolo e
tecnologia.
L’intreccio è nato dalla mente di Marco Balich, produttore veneziano di cinquantasei
anni e socio fondatore della Balich Worldwide shows, che dagli anni Ottanta ha
abbandonato gli studi di giurisprudenza per dedicarsi al mondo dello spettacolo.
In gioventù Balich lavora all’interno dell’apparato organizzativo di concerti e
tournée di artisti internazionali in qualità di band assistant, o, come dice lui,
“cameriere di lusso delle band”. La sua mansione era dunque quella di
accompagnare gli artisti e le loro band nei vari spostamenti tra prove, sound check e
spettacoli, seguendo schemi e orari dettati dalla produzione.
Questa esperienza, durata quattro anni, si conclude il 15 luglio 1989, giorno in cui i
Pink Floyd si esibirono gratuitamente su una piattaforma galleggiante nei pressi di
piazza San Marco a Venezia attirando in laguna milioni di fan.
L’enorme evento ha causato un vero e proprio disastro sia dal punto di vista politico
che da quello ambientale. La clamorosa disorganizzazione nel gestire una folla così
grande e il continuo palleggiamento di responsabilità fra il Comune e Fran Tomasi,
organizzatore dell’evento, portarono al crollo della giunta comunale e la città si

1
Il titolo originale dello spettacolo è Giudizio universale, Michelangelo and the secret of the Sistine Chapel.

7
ritrovò nella confusione più totale con treni superaffollati, tonnellate di spazzatura e
persone costrette a sistemazioni di fortuna.
Dopo questo complicato episodio Balich chiude la sua carriera di band assistant ma
rimane nell’ambito della musica producendo circa trecento videoclip musicali per
alcuni tra i più famosi musicisti della scena italiana e ideando l’Heineken Jammin
Festival 2, tra i più apprezzati festival di musica rock della scena europea. La svolta
professionale vera e propria arriva nel 2002 con l’evento che porta definitivamente
il veneziano agli alti livelli dello spettacolo e dell’intrattenimento: la cerimonia del
passaggio di bandiera dei XIX Giochi invernali a Salt Lake City.
In questa occasione Balich prende coscienza dell’impatto delle cerimonie olimpiche
sul grande pubblico e quattro anni dopo è a Torino per l’organizzazione delle
cerimonie di apertura e chiusura delle Olimpiadi invernali.
Alle olimpiadi di Torino segue l’organizzazione della toccante cerimonia di chiusura
delle Paralimpiadi di Sochi 2014 in cui l’atleta paralimpico Alexey Chuvashev,
arrampicato su una fune, trasforma l’enorme scritta “IMPOSSIBLE” in “I’M
POSSIBLE”, spostando uno dei blocchi colorati da cui era composta.
Balich raggiunge l’apice della celebrità due anni dopo dirigendo la grandiosa
cerimonia di apertura di Rio 2016 che, grazie ai 3 miliardi e mezzo di spettatori, lo
proietta verso Tokyo 2020 l’olimpiade che il governo nipponico sponsorizza come
l’evento più tecnologico del nostro tempo.

2
L’Heineken Jammin’ Festival è il primo festival in Europa per dimensioni e biglietti venduti. La prima edizione si
tenne il 20 e 21 giugno 1998 a Imola. Dall’anno seguente il festival iniziò a prevedere tre giornate e si tenne a Imola,
fino all’edizione del 2006 dopo la quale lo show venne spostato a Mestre (VE). L’ultima edizione, quella del 2012, si
tenne invece alla Fiera di Rho (MI).

8
Fig. 1 – La cerimonia di chiusura delle Paralimpiadi di Sochi 2014.

La creatività di Balich non si esaurisce nell’ambito delle cerimonie olimpiche ma si


manifesta nei contesti più diversi, sia pubblici che privati.
Al 2010 risale l’organizzazione della cerimonia di celebrazione del bicentenario
dell’indipendenza del Messico, seguita nel 2015 dalla cerimonia per i festeggiamenti
dei 550 anni della nascita del Khanato di Kazach, lo stato sovrano che ha dato origine
all’odierno Kazakistan.
Nello stesso anno è stato realizzato “Mother of the nation”: un impressionante
spettacolo di suoni e luci sulla facciata del Burj Khalifa a Dubai in occasione del
compleanno di Sheikha Fatima Bint Mubarak Al Ketbi, madre del principe ereditario
degli Emirati Arabi.
Altrettanto spettacolare è stato il matrimonio da dieci milioni di dollari organizzato
in Puglia dalla Balich Worldwide shows per i due rampolli indiani Ritika Agarwal e
Rohan Metha.

9
Fig. 2 – Gli impressionanti giochi di luce realizzati sul Burj Khalifa durante l’evento Mother of the
Nation.

1.2 “L’Albero della Vita” di Expo Milano


Esperienza di particolare importanza nella carriera di Marco Balich è la direzione
del Padiglione Italia a Expo Milano nel 2015.
Nell’elaborare il concept che è stato alla base della realizzazione dell’intero
padiglione, Balich paragona idealmente la crescita di piante e fiori all’interno dei
vivai alla crescita dei giovani talenti in Italia. Palazzo Italia appare come un edificio
trasparente ispirandosi ai vivai anche dal punto di vista estetico, ma è in realtà “uno
spazio protetto che aiuta i progetti e i talenti a germogliare offrendo loro un terreno
fertile” 3. Oltre ad avvicinarsi al pubblico più giovane, il tema del Padiglione Italia

3
http://www.advertiser.it/2014011515133/brand/presentato-a-roma-il-logo-del-padiglione-italia-expo-2015-
realizzato-da-carmi-ubertis

10
intende superare il particolarismo regionale, da intendersi come frammentazione, e
offrire un’immagine italiana forte e unitaria.

Fig. 3 – L’Albero della Vita, animato da giochi di luci, acqua e fuochi d’artificio (Expo Milano 2015).

Questa immagine si manifesta concretamente nella enorme installazione l’Albero


della Vita: 35 metri di legno di larice siberiano e acciaio, arricchiti da giochi di luci,
musica e acqua (Fig. 3). Nonostante l’apparente semplicità del motivo, l’Albero
della Vita funge da simbolo universale, adatto a veicolare messaggi di speranza
rivolti al grande pubblico, soprattutto quello dei più giovani e dei più piccoli.
Per la creazione di questa colossale installazione, oggi al Milano innovation district 4,
Balich sceglie come base di partenza il mosaico pavimentale di Piazza Campidoglio
disegnato da Michelangelo Buonarroti.

4
Il nuovo Parco della Scienza, del Sapere e dell’Innovazione progettato nell’area che ha ospitato l’Expo di Milano.

11
1.3 L’intervento di Michelangelo in Piazza del Campidoglio
Negli anni Trenta del Cinquecento Michelangelo fu impegnato nella
riorganizzazione della Piazza del Campidoglio per volontà del suo mecenate Paolo
III Farnese.
Nel 1536, in occasione del percorso trionfale dell’imperatore Carlo V d’Asburgo a
Roma, il pontefice fu talmente imbarazzato dalle condizioni di questo luogo da
ordinarne immediatamente una riqualificazione5.
Il progetto interessò tutta l’area del colle che, nonostante un tempo fosse centro della
vita politica e religiosa romana, dal Medioevo era in stato di totale abbandono tanto
da guadagnarsi l’epiteto di “Colle Caprino” 6.
Il Buonarroti intervenne sia a livello architettonico che urbanistico conferendo alla
piazza un aspetto monumentale nonostante le dimensioni non particolarmente
ampie7.
Nella piazza erano già presenti due edifici: il Palazzo Senatorio di epoca medievale
e il quattrocentesco Palazzo dei Conservatori di fronte al quale venne realizzato il
Palazzo nuovo.
Conservando l’orientamento obliquo dei palazzi più antichi e inserendo il nuovo
edificio, Michelangelo creò un’area trapezoidale che si apriva non più sul Foro
romano ma sui rioni rinascimentali che a quel tempo erano il cuore pulsante della
vita sociale romana.
Inoltre, per dare maggiore armonia al complesso, l’artista modificò anche le facciate
di Palazzo dei Conservatori e del Palazzo Senatorio inserendo paraste di ordine
gigante, realizzando un cornicione con balaustra ornato di sculture e aggiungendo
una doppia scalinata d’accesso davanti al Palazzo Senatorio.

5
L’intervento di Michelangelo in Piazza Campidoglio è descritto accuratamente ne “Le vite” di Giorgio Vasari,
edizione Giuntina, 1568.
6
Il singolare nomignolo deriva dal fatto che dal Medioevo il colle veniva utilizzato per il pascolo di pecore e capre.
7
L’area misura infatti circa 56m in lunghezza e circa 63m in larghezza.

12
Al nome di Michelangelo sono legate anche la scalinata della Cordonata, che collega
la nuova piazza alla sottostante piazza d’Aracoeli, e la balaustra che chiude l’area di
Piazza Campidoglio. A causa della lentezza dei lavori la doppia scalinata
all’ingresso del Palazzo Senatorio fu l’unica parte che Michelangelo, morto nel
1564, vide conclusa, mentre il resto del progetto fu realizzato da Girolamo Rainaldi8
e Giacomo della Porta 9 negli anni successivi.

Fig. 4 - Paul Letaraouilly, pianta del Campidoglio, 1860.

8
Girolamo Rainaldi (Roma, 4 maggio 1570 – 15 luglio 1655) è stato un architetto italiano allievo di Domenico
Fontana e collaboratore di Giacomo della Porta.
9
Giacomo della Porta (Porlezza, 1532 – Roma, 1602) architetto e scultore italiano collaborò con Michelangelo
completando alcune delle sue opere dopo la sua morte.

13
Il compimento totale del progetto è però ancora più lontano nel tempo: la
decorazione pavimentale fu infatti realizzata da Antonio Muñoz10 solo nel 1940,
anno in cui l’architetto italiano ricostruì il disegno di Michelangelo ricorrendo ad
alcune incisioni tardo-cinquecentesche.
Particolarmente preziosa per la ricostruzione iconografica è stata l’incisione
realizzata da Etienne Dupérac11 nel 1569 che rappresenta l’intero progetto
michelangiolesco: insieme ai profili dei palazzi e della scalinata, l’incisore mostra
la decorazione pavimentale pensata da Michelangelo come un disegno a losanghe
con una stella a dodici punte al centro.

Fig. 5 - Etienne Dupérac, incisione raffigurante il progetto michelangiolesco di sistemazione del complesso
capitolino, 1569.

10
Antonio Muñoz (Roma, 14 marzo 1884 – 22 febbraio 1960) storico dell’arte e architetto italiano allievo di Adolfo
Venturi.
11
Etienne Dupérac (1564 circa – Parigi, 1604) architetto, disegnatore, incisore e cartografo francese.

14
Alcuni studiosi ipotizzano che il disegno di Michelangelo non sia soltanto una scelta
ornamentale ma abbia una forte valenza simbolica legata alla volontà di ripristinare
la perduta sacralità e importanza del colle.
Secondo James S. Ackerman 12 il motivo ideato da Michelangelo deriverebbe dalla
decorazione di un particolare tipo di scudo antico a sua volta ispirato al leggendario
scudo di Achille.
Questo particolare scudo, portato anche da Alessandro Magno, era ornato da simboli
celestiali rappresentanti lo zodiaco e recava inoltre l’immagine di Python, il terribile
drago di Delphi sconfitto dal dio Apollo.
Il riferimento per la decorazione di Piazza Campidoglio è in questo caso duplice: da
un lato la stella a dodici punte, rappresentata al centro del disegno, è simbolo delle
dodici costellazioni, dall’altro intendeva riferirsi all’Omphalos, una pietra ovale che
secondo la mitologia greca era il luogo di sepoltura del drago Python e che si trovava
all’esterno del santuario di Apollo a Delphi 13.
Il riferimento a questa pietra ha un significato particolare: nella lingua greca la parola
omphalos vuol dire infatti “ombelico”, la pietra sta perciò ad indicare l’ombelico, e
dunque il centro, del mondo e proprio per questo motivo fu messa alle porte del
tempio di Apollo.
Recuperando per Piazza Campidoglio il disegno a losanghe dell’Omphalos di
Delphi, anche Roma torna ad essere Umbelicus Caput Mundi e la dignità di Piazza
Campidoglio viene definitivamente ripristinata.

12
James Sloss Ackermann (S. Francisco 8 novembre 1919 – 31 dicembre 2016) storico dell’architettura e studioso
delle interazioni fra arte, teoria e scienza. Nel 2001 ha conseguito il premio Balzan per la storia dell’architettura.
13
Fontenrose, Joseph Eddy, Python, a study of delphic myth and its origins, New York, Biblo & Tannen, 1974.

15
Fig. 6 – L’originale Omphalos oggi conservato al museo di Delphi.

Michelangelo ricostruisce la tridimensionalità dell’Omphalos originale: visto


dall’alto il disegno dà la straordinaria sensazione di trovarsi esattamente al di sopra
di un globo la cui sommità è dominata dalla statua equestre di Marco Aurelio14, fatta
trasportare dal Laterano per volontà del Papa.
Anche nel monumento a Marco Aurelio, perfettamente inserito all’interno della
stella, si può ritrovare un riferimento all’antichità: Alessandro Magno infatti portava
il titolo di kosmokrator 15, adottato in seguito anche dagli imperatori romani e portato
anche dallo stesso Marco Aurelio.

14
La statua di Marco Aurelio sopravvisse alla fusione e fu conservata in Laterano solo perché creduta erroneamente
rappresentazione di Costantino, primo imperatore cristiano.
15
Il titolo di kosmokrator ha il significato di “sovrano del mondo”. Fu adottato da Alessandro Magno e dagli imperatori
romani per poi essere applicato alla figura di Cristo col significato di “onnipotente”.

16
Fig. 7 – Una veduta dall’alto del disegno pavimentale di Piazza Campidoglio.

Dal disegno michelangiolesco per Piazza Campidoglio e dai significati simbolici in


esso racchiusi, Marco Balich ha mutuato la forma del suo Albero della Vita, una
struttura a metà tra installazione, statua e monumento che affonda le sue radici
nell’opera di uno dei grandi maestri del Rinascimento italiano.
L’Albero della Vita, oltre ad ispirarsi ad un illustre passato, rappresenta anche uno
slancio verso il futuro. Nel caso di Expo Milano, in conformità con la tematica della
sensibilizzazione ambientale, si tratta di uno slancio verso un futuro sostenibile,
attento alla natura e all’ambiente, ma anche alla storia e alle tradizioni.

17
1.4 Tree of Life: l’Albero della Vita del Disney Animal Kingdom
L’attenzione all’ambiente, in particolare al regno animale, è il tema centrale anche
di un’altra manifestazione spettacolare: Rivers of light, uno spettacolo notturno di
fontane d’acqua, lanterne galleggianti, giochi di luci, videomapping e performance
dal vivo, che si svolge all’interno del parco Disney Animal Kingdom 16.
Come nel caso dell’Esposizione universale di Milano, il simbolo di questo enorme
parco, aperto sulla Discovery Island in Florida, è il Tree of Life (Albero della Vita):
un baobab artificiale alto più di quaranta metri.
L’albero, situato precisamente al centro dell’isola, conta circa centomila foglie fatte
a mano e la sua corteccia è intagliata con bassorilievi raffiguranti 325 animali estinti.
A partire dal 2016 anche sul Tree of Life vengono realizzati degli spettacoli notturni
di videomapping, noti come Tree of life Awakening.
Questi spettacoli, divisi in quattro atti e ispirati ai classici Disney legati alla natura,
prendono il loro nome proprio dai temi musicali di Rivers of light.
Tra L’Albero della Vita di Balich e il parco a tema Disney, nonostante le due
manifestazioni si trovino in due parti opposte del mondo, è possibile rintracciare un
legame concettuale e semantico: in entrambi i casi si ricorre infatti ad un simbolo
semplice ma potente che rafforza il proprio significato e il proprio impatto ricorrendo
alla spettacolarizzazione.
Esattamente come in Tree of Life e Rivers of light ogni sera, dopo il tramonto,
L’Albero della Vita conquistava infatti l’attenzione e lo stupore delle migliaia di
spettatori attoniti di fronte agli eccezionali e coloratissimi giochi di luci e acqua
accompagnati da musiche e spettacoli pirotecnici.

16
Il Disney Animal Kingdom, aperto nel 1998, è uno dei più grandi parchi tematici del mondo.

18
Fig. 8 – Tree of Life, il baobab artificiale del Disney Animal Kingdom.

Fig. 9 – Tree of Life Awakenings, lo spettacolo di videomapping del Disney Animal Kingdom.

19
1.5 Artainment e la commistione fra arte, tecnologia e intrattenimento
È attraverso questo percorso che Marco Balich arriva alla primavera del 2018
quando per la prima volta si alza il sipario sul tanto pubblicizzato spettacolo dedicato
al capolavoro di Michelangelo, disponibile a pochi metri di distanza
dall’Auditorium. Giudizio Universale, Michelangelo e i segreti della Cappella
Sistina è uno spettacolo immersivo prodotto dalla Artainment, ultima nata del
gruppo Worldwide shows, la holding attiva nel settore dell’intrattenimento dal vivo
e fondata da tre soci: Marco Balich, Gianmaria Serra e Simone Merico.
Il singolare nome della società, nato dalla contrazione tra la parola Arte e il termine
inglese entertainment, è già un manifesto degli obiettivi di questa nuova “avventura
imprenditoriale”. Artainment vuole raccontare in modo nuovo i capolavori del
patrimonio artistico per catturare l’attenzione del grande pubblico, in particolare
delle giovani generazioni, maggiormente attirate dalle innovazioni tecnologiche.
Per raggiungere lo scopo Artainment e il suo fondatore ricorrono ad un nuovo
linguaggio in cui i codici emozionali e comunicativi dello spettacolo incontrano
l’arte generando quello che potremmo definire uno “show totale”.
In Giudizio Universale coesistono infatti diverse forme d’arte: danza e musica
incontrano proiezioni ed effetti speciali, tutto concentrato in un’ora in cui video e
performance live si fondono per creare un’esperienza mai vista prima, sempre nel
rispetto storiografico di cui è stato responsabile lo stesso Vaticano.
È stata infatti Barbara Jatta, prima donna a ricoprire il ruolo di direttore dei Musei
Vaticani, ad offrire la propria collaborazione e consulenza scientifica assicurando la
validità e la veridicità dei contenuti dal punto di vista storico e artistico.
Nonostante l’approvazione del Vaticano, non sono mancate contestazioni in merito
ad alcuni contenuti dello spettacolo, ritenuti scorretti proprio dal punto di vista
storiografico17.

http://www.storiainrete.com/12316/rassegna-stampa-italiana/the-sistine-horror-il-nuovo-show-targato-musei-
17

vaticani-e-balich-che-sconsacra-il-capolavoro-di-michelangelo/

20
La prima inesattezza si trova in un particolare della veduta dall’alto della Roma
cinquecentesca che apre lo show: la prospettiva a volo d’uccello mostra l’enorme
cantiere di San Pietro ancora aperto, con la costruzione innalzata fino al livello del
tamburo della Cupola. L’errore sta nel fatto che nel 1508, anno di riferimento
temporale, Michelangelo era a tutti gli effetti appena giunto a Roma ed è dunque
impossibile che avesse già compiuto l’imponente lavoro sulla basilica petrina. Il
secondo errore sta nell’ordine in cui nello spettacolo vengono presentate le storie
della Genesi affrescate sulla volta della Cappella Sistina. Diversamente dall’affresco
e dal racconto biblico, dopo la Cacciata dal Paradiso viene mostrata la scena del
Diluvio universale, seguita dal Sacrificio di Noè.
L’errore di successione viene giustificato modificando il racconto e considerando il
Sacrificio di Noè come un gesto di gratitudine verso Dio per averlo salvato dal
Diluvio.
Lo show firmato da Balich annovera nomi altisonanti nelle fila dei protagonisti:
Pierfrancesco Favino è la voce di Michelangelo, sia nella versione in italiano che in
quella in inglese in cui la narrazione delle parti della Bibbia è affidata all’attrice
premio Oscar Susan Sarandon. La composizione delle musiche è stata invece
affidata a John Metcalfe e Sting, che ha scritto e prestato la sua voce al tema musicale
principale: una versione contemporanea del Dies Irae.
Tutte queste componenti concorrono a creare l’evento che ha spettacolarizzato il
racconto della genesi della Cappella Sistina proponendolo al grande pubblico in
termini del tutto nuovi.

21
1.6 Giudizio Universale: lo spettacolo immersivo

Fig. 10 – La Cappella Sistina riprodotta durante lo spettacolo all’interno dell’Auditorium Conciliazione.

In Giudizio Universale il racconto parte dal principio introducendo la figura del


Buonarroti in tutta la sua complessità, facendo emergere in primo luogo la passione
di Michelangelo per la scultura.
L’artista, interpretato da Eugenio di Fraia, è colto nell’estenuante ricerca del marmo
perfetto, rappresentata da una danza acrobatica in cui Michelangelo si libra intorno
al blocco di marmo ritenuto impossibile da scolpire e che darà invece vita al gigante
David18.
Nella rappresentazione il genio michelangiolesco però non si ferma alla scultura e
nel 1508 l’artista viene convocato a Roma da papa Giulio II della Rovere per la
realizzazione degli affreschi sulla volta Sistina.

18
Anche questo aspetto dello spettacolo è una inesattezza storica: il marmo utilizzato da Michelangelo per la statua
del David era in realtà già stato parzialmente scolpito da Agostino di Duccio (Firenze 1418, Perugia 1481).

22
La Cappella viene presentata al pubblico come appariva prima dell’intervento di
Michelangelo: lo spettacolo si apre come un manuale di storia dell’arte rivelando i
dipinti dei grandi maestri del Quattrocento e il cielo stellato che ha lasciato poi posto
al grande capolavoro la cui faticosa e solitaria creazione viene raccontata passo dopo
passo con effetti visivi spettacolari.
La catechesi visiva si dispiega davanti agli occhi degli spettatori totalmente immersi
nelle scene della Genesi che prendono vita in alto e sulle pareti “con leggere e
rispettosissime animazioni”19, mentre sul palco i ballerini sono scossi dal vento del
Diluvio universale o animano le scene come quella solenne della Creazione di Eva.

Fig. 11 – I ballerini in scena scossi dal vento del Diluvio universale.

19
Gravino, Michele, 2018, Sistina Experience, ‹‹Venerdì di Repubblica››, 13 febbraio 2018.

23
Fig. 12 – La Creazione di Eva.

A lavori conclusi la Cappella Sistina diviene luogo definitivo del Conclave che si
apre verso il pubblico a mostrare l’elezione di papa Clemente VII, esponente della
famiglia Medici.
Michelangelo, convocato dal Papa fiorentino, ritorna trent’anni dopo al luogo che
l’aveva fatto grande per dipingere il Giudizio Universale, un’opera visionaria e
potente che sconvolgerà i paradigmi dell’arte.
Questo è il momento più impressionante di tutto lo spettacolo: il pubblico è
totalmente immerso nell’affresco di Michelangelo che viene mostrato come è
impossibile vedere ad occhio nudo. La tecnologia soccorre la conoscenza e,
attraverso l’uso di effetti speciali e zoom molto spinti, mette a disposizione degli
osservatori particolari mai visti. Il Giudizio Universale prende vita in tutta la sua
terribilità20 mostrando l’agonia e l’angoscia dei dannati trascinati all’inferno dai
demoni o squassati dai remi di Caronte mentre si tappano le orecchie, assordati dal

20
Questa parola, inizialmente coniata per definire l’aspetto severo e potente della statua del Mosè, viene oggi applicata
più generalmente per definire il tratto caratteristico dell’arte di Michelangelo.

24
fragore dello squillo di tromba che sembra uscire realmente dalle guance gonfie degli
angeli. Più in alto i beati ascendono al cielo sospingendosi l’un l’altro quasi con
fatica in un vortice di corpi vigorosi che ha il suo centro nel Cristo giudice. Col
potente gesto del braccio e l’espressione severa il Figlio di Dio impone la sentenza
finale alla presenza sommessa della Madre che sgomenta distoglie lo sguardo da
tanto orrore.
In Giudizio universale, Michelangelo e i segreti della Cappella Sistina sofisticate
tecnologie sono messe a servizio del racconto di un capolavoro assoluto, che viene
così proiettato nell’era digitale grazie ad un mix caleidoscopico in cui tecnologia,
composizione musicale, danza e proiezioni si contaminano e si intrecciano con l’arte
creando un’esperienza totale di wagneriana ascendenza21.
Una caratteristica fondamentale dell’esperienza totale è l’immersività a 270 gradi:
le immagini della volta Sistina e del Giudizio Universale si espandono sul soffitto e
sulle pareti laterali dell’Auditorium avvolgendo quasi totalmente lo spettatore che
deve alzare lo sguardo e girare la testa per godere appieno dello spettacolo.
Questo approccio innovativo alla visione dell’opera d’arte contribuisce ad instaurare
un rapporto nuovo tra l’opera e l’osservatore, che non è più costretto alla visione
frontale ma è letteralmente immerso nell’opera.
Forte della lunga esperienza, Marco Balich si avvale degli strumenti e dei metodi
comunicativi del mondo dello spettacolo seguendo la logica dell’intrattenimento e
del divertimento per rendere più fruibile e aperta la Cappella Sistina.
In numerose interviste Balich racconta come sia stato spesso trascinato dai suoi
quattro figli al cinema per vedere i sempre più numerosi cinecomics, i film sui
supereroi che ogni anno collezionano file chilometriche ai botteghini.

21
Richard Wagner, compositore tedesco del XIX secolo, promosse l’idea della Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale
che, ispirandosi al teatro dell’antica Grecia, raccoglieva in sé musica, drammaturgia, poesia e arti figurative per
realizzare una sintesi perfetta tra le diverse arti.

25
Non altrettanto entusiasmo è però rivolto alla vera Cappella Sistina, che
difficilmente si torna a visitare “perché considerata un luogo vetusto”22. Così papà
Marco vuole dimostrare ai propri figli e alle giovani generazioni che “Michelangelo
è il supereroe più supereroe di tutti”23 ed elabora quindi l’art-show che racconta il
Giudizio Universale secondo i parametri dettati dai ben noti fenomeni mediatici e
cinematografici.
L’obiettivo della produzione è perciò quello di catturare l’interesse del pubblico più
giovane usando un linguaggio nuovo che le giovani generazioni possano apprezzare
e comprendere, un fine nobile condiviso anche dal fronte Vaticano.
In una conferenza stampa infatti, Monsignor Dario Edoardo Viganò, ex prefetto
della segreteria per le comunicazioni, depone a favore della tecnologia mettendo
l’accento sulla componente pedagogica e di apprendimento: “La tecnologia non è
solo uno strumento ma risponde a quei modelli pedagogici e alle modalità di
apprendimento del sapere che i nativi digitali oggi vivono” 24.
Ed è proprio per i “nativi digitali” che è stato creato, con la collaborazione del
MIUR, della Fondazione Bracco e di Fila, il progetto didattico Artainment@school25
che si muove in direzione di un nuovo metodo di divulgazione del patrimonio
artistico seguendo un approccio operativo ed esperienziale.
Dopo una prima fase teorica, che serve da preparazione, Artainment@school porta
gli studenti all’Auditorium Conciliazione per scoprire e vivere in modo del tutto
nuovo la Cappella Sistina.
Dopo l’esperienza all’auditorium, gli studenti sono invitati a mettere alla prova la
loro creatività mettendo in pratica gli spunti derivati da Giudizio Universale
inviando alla Fondazione Bracco gli oggetti multimediali ideati e realizzati durante
l’anno scolastico ancora in corso.

22
https://www.youtube.com/watch?v=FPh64QyM9vQ&t=269s
23
https://www.youtube.com/watch?v=FPh64QyM9vQ&t=269s
24
https://vimeo.com/250459916
25
https://artainmentatschool.com/

26
Anche Barbara Jatta, in occasione della conferenza stampa dedicata allo spettacolo,
manifesta con entusiasmo il sostegno del Vaticano al progetto: “Sono convinta che
sarà complementare all’apprezzamento della Cappella Sistina reale e l’idea di avere
un’ora di un video che racconti la storia della formazione di questo luogo
straordinario, patrimonio non solo della storia dell’arte universale ma della storia
della Chiesa e della nostra fede cristiana, e che lo faccia con dei mezzi che possano
ammaliare, avvicinare, coinvolgere anche le generazioni più giovani che possano
coglierne il vero significato con delle chiavi di lettura a loro consone, mi ha fatto
subito pensare che sia un progetto da abbracciare e da sostenere.” 26
In conformità col suo ruolo di guida dei Musei Vaticani, la Jatta mette l’accento su
come l’obiettivo di Giudizio Universale non sia solamente intrattenere il pubblico
ma incentivarlo a riavvicinarsi con interesse ai grandi luoghi dell’arte e, perché no,
della fede: “In fondo Balich è un po’ come quegli architetti barocchi che allestivano
spettacolari feste religiose suscitando stupore ed emozione ma anche afflato
mistico” 27.
La sfida di questo spettacolo sta dunque nel sorprendere il pubblico e nel rinnovare
la comunicazione dell’arte attraverso l’uso di nuovi linguaggi, ormai connaturati alla
società contemporanea.
Gli uomini di spettacolo come Balich, che senza dubbio sanno come impressionare
e catturare l’attenzione del pubblico, comprendono il valore e le infinite possibilità
offerte dall’innovazione e abbracciano la tecnologia come strumento da utilizzare,
plasmare e modellare al servizio di qualcosa di più grande.
“La tecnologia” dice Balich “esalta la bellezza, se usata bene, amplifica la bellezza,
la rende fruibile” e così, in Giudizio Universale, tecnologia ed arte si incontrano e si
intrecciano esaltandosi reciprocamente.

26
https://artainmentatschool.com/
27
Gravino, M. Sistina Experience, cit. p. 8.

27
1.7 Il parere della critica: Vittorio Sgarbi, Francesco Bonami e Tomaso
Montanari
Nonostante queste premesse, l’atteggiamento di storici e critici d’arte nei confronti
dell’esuberante produttore di spettacoli non è stato di particolare indulgenza fin dai
tempi di Expo Milano.
Ben nota è la violenta critica che Vittorio Sgarbi ha lanciato all’ indirizzo di Balich
e dell’Albero della Vita non esitando a definire l’installazione “una roba da circo” 28.
Le scintille fra i due finiscono col generare un falò alla cena di gala organizzata dopo
la chiusura di Expo proprio al padiglione Italia: il critico, presentatosi al palazzo
senza invito, viene cacciato da Balich e apostrofato come “una macchietta televisiva
patetica”. Al termine di una discussione dai toni non proprio pacati, Balich dà la
stoccata finale dicendo: “Io non capisco niente di arte ma tu niente di spettacolo”,
un’uscita di scena abbastanza sdegnosa che di certo non lo ha aiutato ad accaparrarsi
le simpatie dei critici d’arte.
La tensione fra Balich e il mondo della critica d’arte non può che continuare dopo
Giudizio Universale che, a dispetto del raggiunto successo di pubblico, incontra lo
scetticismo della platea più erudita.
Una fra le critiche più aspre è arrivata da Francesco Bonami, curatore e storico
dell’arte fiorentino che, pochi giorni dopo il debutto, demolisce lo spettacolo
liquidandolo con la definizione di “delirio tecnologico”, un delirio che nasce
dall’accostamento di varie arti che si contaminano tra di loro senza però fondersi
organicamente.
Per Bonami la causa del fallimento è da ricercarsi nella mancanza di qualcuno che
sapesse maneggiare intelligentemente sia la storia dell’arte che quella
dell’intrattenimento; una critica particolarmente feroce questa, se consideriamo che
è indirizzata al numero uno dell’organizzazione di grandi eventi a livello mondiale

28
https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_02/balich-sgarbi-duello-con-insulti-gala-palazzo-italia-
be59e8ea-8142-11e5-8d6e-15298a7eb858.shtml

28
e alla direttrice di una delle più prestigiose entità museali del mondo.
La confusione tra i generi, secondo il critico fiorentino, è tanto grave da rendere lo
spettacolo “innominabile”, nel senso che sembra davvero impossibile dare un nome
o una qualifica a questa “ora che sembra non finire mai” e che ha tirato fuori
“l’aspetto più noioso dell’arte”.
Giudizio Universale guadagna dunque l’ironia mordace di Francesco Bonami che
paragona lo show immersivo a Fantasia, il classico Disney del 1940: un turbinio di
musica, live action e animazione.
Da quest’ultima critica Balich si difende però con sarcasmo e un pizzico di
presunzione dichiarando in un’intervista rilasciata al New York Times: “But Disney
was a genius, what’s wrong with that?” (“Disney era un genio, che c’è di sbagliato
in questo?”)29.
Nonostante si sia riconosciuta l’immersività come il punto di forza dello spettacolo,
poiché stabilisce un nuovo contatto fra l’opera e lo spettatore, Bonami la considera
invece come un espediente che non coinvolge lo spettatore bensì lo “travolge”
lasciandolo del tutto passivo.
Dopo aver smantellato tutto ciò che Balich e Artainment hanno voluto creare con
Giudizio Universale, il critico si scaglia senza mezzi termini anche contro i Musei
Vaticani e per estensione contro Barbara Jatta, garante dello spettacolo e dei suoi
contenuti storici e artistici: “Poco importa se questa operazione ha avuto il marchio
di garanzia dei Musei Vaticani, non basta solo il simbolo del Gallo nero a far
diventare un Chianti buono” 30.
Va sottolineato come neanche lo stesso Balich manchi di polemiche, più o meno
velate, all’indirizzo degli storici e critici d’arte italiani mettendone in evidenza lo
scetticismo che, a sentire le sue parole, sembrerebbe vero e proprio ostracismo.

29
Povoledo, Elisabetta, 2018, Bringing the Sistine Chapel to Life, With the Vatican’s Blessing, The New York Times,
12 marzo.
30
Bonami, Francesco, 2018, Il Giudizio Universale di Balich, buoni propositi e risultato disastroso, ‹‹La Stampa››,
18 febbraio.

29
Nella già citata intervista rilasciata ad Elisabetta Povoledo per il New York Times,
Balich punta il dito contro i critici d’arte eccessivamente conservatori: “Italy has all
these very conservative art critics, and they are against the idea
ofʻspettacolarizzazione’. They hate that word, I love that word!” (L’Italia è piena di
critici d’arte conservatori, che sono contro l’idea della ‘spettacolarizzazione’. Loro
odiano quella parola, io amo quella parola!).
A sotterrare l’ascia di guerra è Paco Lanciano, fisico di formazione ma anche storico
e collaboratore di Piero Angela in Superquark, che, forte dell’esperienza di diversi
allestimenti multimediali, dice: “Dobbiamo camminare sullo stretto crinale che
separa l’accademia snob da Disneyland”31.
La soluzione per Lanciano sta dunque nel compromesso: cercare di rinnovare la
comunicazione dell’arte, utilizzando i mezzi che ci vengono offerti dalla tecnologia
moderna, non è un sacrilegio; bisogna dare maggior apertura all’arte e comunicarla
al pubblico con nuove modalità senza però scadere nel grottesco e nell’eccessivo.
Poco incline a questo compromesso è invece Tomaso Montanari, uno degli storici
d’arte più autorevoli del panorama italiano.
In un commento scritto sul Venerdì di Repubblica poco tempo prima del debutto di
Giudizio Universale, Montanari esprime la sua opinione criticando non lo spettacolo
in sé ma il suo stesso scopo: “Il dubbio” dice infatti il critico “è che tutto questo si
basi su una sfiducia di fondo, e forse anche su una esperienza infelice e frustrante:
cioè sulla tacita convinzione che in fondo Michelangelo non riesca più a muovere le
profondità dell’anima degli uomini moderni”32.
Oggetto della critica è dunque la volontà di Balich e di Artainment di utilizzare i
mezzi della moderna tecnologia e dello spettacolo per far crescere l’interesse del
grande pubblico verso un capolavoro della storia dell’arte che non dovrebbe aver

31
Gravino, M. Sistina Experience, cit. p. 8.
32
Montanari, Tomaso, 2018, Ma davvero ai capolavori serve il viagra?, ‹‹Venerdì di Repubblica››, 16 febbraio.

30
bisogno di questi incentivi, definiti da Montanari “un viagra percettivo” 33.
I grandi capolavori non hanno bisogno di sollecitazioni per riscuotere l’interesse del
pubblico: “L’opera è come persona viva […] dunque nulla, ma proprio nulla, è più
spettacolare che condividere lo stesso spazio reale, guardandosi negli occhi”34.
Dalla riflessione del critico nasce un’altra questione di grande interesse: “Non
sarebbe meglio lasciar stare Michelangelo (o Caravaggio o Klimt) e dedicarsi invece
a produrre nuove immagini, nuova arte, nuova cultura? Se questi mezzi tecnici
fossero messi in mano a grandi artisti di oggi non potrebbero forse produrre una vera
arte di massa originale? […] Davvero dobbiamo rassegnarci a usare i contenuti del
passato, peraltro rischiando di stravolgerli?” 35.
È consigliabile dunque utilizzare i moderni strumenti tecnologici per la creazione di
un’arte nuova che sia il riflesso della società contemporanea.
Lo scambio tra arte e tecnologia, inoltre, è auspicabile laddove sia davvero utile ad
accrescere la consapevolezza dell’arte senza però sconvolgerla: “Quell’amicizia è
possibile se non si traduce in prevaricazione, o in un tradimento. Cioè se la
tecnologia aiuta a intensificare la nostra conoscenza dell’arte, e non a stravolgerla.
Ci sono casi estremi in cui una riproduzione ipertecnologica di un originale
inaccessibile o perduto può essere vitale”36.
Grazie ai mezzi offerti dalla moderna tecnologia, diventa possibile far fronte alle
diverse situazioni in cui visibilità e fruibilità di un’opera d’arte sono limitate.
Una riproduzione 3D ad altissima risoluzione può sostituire validamente le opere
d’arte danneggiate o perdute consentendo di conservarne una memoria storica. Può
anche permettere la fruizione di opere inaccessibili o di quel grande numero di opere
che, per ragioni di spazio, sono confinate nei depositi dei musei. Sono inoltre da
considerare le numerose esperienze in cui le potenzialità della tecnologia sono state

33
Ibid.
34
Ibid.
35
Ibid.
36
Ibid.

31
messe al servizio dell’arte e dell’archeologia per la ricostruzione filologica e storica
di monumenti, pitture e affreschi anche con finalità di monitoraggio e diagnostica
dello stato conservativo. Nel 2017 il museo dell’Ara Pacis, in collaborazione con la
Sovrintendenza Capitolina ai beni culturali, ha presentato il progetto L’Ara com’era:
un percorso in cui realtà aumentata e video mapping 37 hanno permesso ai visitatori
di vedere il monumento nel suo aspetto originario. Grazie all’utilizzo di particolari
visori, “elementi virtuali ed elementi reali si fondono direttamente nel campo visivo
dei visitatori. […] I contenuti virtuali appaiono come “ancorati” agli oggetti reali,
contribuendo all’efficacia, all’immersività e al senso di magia dell’intera
esperienza”.38

Fig. 13 – Il bassorilievo della dea Tellus ricostruito nel suo aspetto originario per il progetto L’Ara com’era.

37
Il videomapping è una tecnologia multimediale che permette di proiettare luce o video su superfici reali.
38
http://www.arapacis.it/it/mostre_ed_eventi/eventi/l_ara_com_era

32
Fig. 14 – Videomapping e light mapping sulle pareti di Santa Maria Antiqua a Roma.

Gli stessi mezzi sono stati utilizzati con successo anche per la ricostruzione della
complessa stratificazione pittorica di Santa Maria Antiqua: in questo caso la
tecnologia digitale e il video mapping hanno consentito di mostrare le parti mancanti
degli affreschi delle cappelle ai due lati del presbiterio; inoltre, grazie al light
mapping 39, è stato possibile isolare i diversi strati di intonaco della parete
palinsesto 40.
Sin dall’inizio del progetto, uno degli obiettivi perseguiti da Marco Balich nella
realizzazione di Giudizio Universale è stato “far parlare bene dell’Italia e di
Roma” 41, offrendo uno spettacolo che potesse essere considerato simile ai grandi
titoli di Broadway.

39
Il light mapping è una tecnologia attraverso cui i dati relativi alla luminosità di una superficie vengono catturati e
memorizzati per consentirne la riproduzione.
40
La parete palinsesto è un tratto della parete absidale di Santa Maria Antiqua in cui è ravvisabile la sovrapposizione
di almeno 4 strati di intonaco.
41
https://www.ilfoglio.it/cultura/2018/03/14/news/giudizio-universale-cappella-sistina-spettacolo-balich-184084/

33
“Ci siamo detti: se vai a Broadway o nel West End di Londra sei sicuro di trovare Il
Fantasma dell’Opera o Il Re Leone che stanno lì da decenni. A Roma, dove ogni
anno 16 milioni di persone trascorrono almeno due notti, niente del genere, nessuno
show fisso. […] E allora arriviamo noi, un po’ sognatori e idealisti. Ci è sembrato
anche che la città si meritasse una scossa, una pacca sulla spalla in un periodo
difficilotto”42.
Con questa impronta internazionale, nonostante la disapprovazione degli storici e
critici d’arte citati precedentemente, Giudizio Universale ha riscontrato un grande
successo di pubblico e ha guadagnato il favore e l’entusiasmo della stampa estera.
Il quotidiano francese Libération scrive infatti: “Le Chapelle Sixtine prend vie por
le miracle des effects spéciaux” (La Cappella Sistina prende vita per il miracolo degli
effetti speciali), definendo gli effetti speciali utilizzati nello spettacolo un vero e
proprio miracolo che ha donato la vita al capolavoro di Michelangelo.

42
Gravino, Michele, Sistina Experience, cit. p. 8.

34
2. I nuovi metodi di fruizione dell’arte: immersività, interazione e
performatività.
Negli ultimi anni sono state numerose le esperienze e gli eventi in cui le potenzialità
della tecnologia sono state declinate in favore dell’arte.
Si sente sempre più spesso parlare di “spettacoli immersivi”, “mostre multimediali”
e “experience” che, grazie ad un approccio nuovo e coinvolgente, attirano un
pubblico sempre più vasto.
Ad esempio, la mostra itinerante Van Gogh Alive43, organizzata nel 2015 dalla
società australiana Grande Exhibitions, risulta al momento la mostra multimediale
più visitata al mondo.
Questa experience, nelle sue diverse tappe, ha infatti attirato milioni di visitatori
aprendo definitivamente la strada alle ormai familiari mostre multimediali:
al tentativo ben riuscito sul pittore olandese hanno fatto seguito diverse altre
esposizioni multimediali, tra cui quelle dedicate a Caravaggio 44 e a Gustav Klimt45.
In ragione del successo di pubblico raggiunto in queste occasioni, musei, gallerie e
curatori sono sempre più inclini a confrontarsi con l’arte in modo nuovo e parole
come “multimediale” e “immersivo” sono all’ordine del giorno.

2.1 Multimedialità e immersività


La multimedialità è una modalità di comunicazione caratterizzata dalla compresenza
e interazione di più linguaggi in uno stesso supporto o contesto informativo.
Secondo Roberto Maragliano, docente di Tecnologie per la Formazione degli Adulti
presso la terza Università di Roma, la multimedialità può essere intesa come la
confluenza di tre tradizioni mediali e culturali: quella della stampa, caratterizzata da
oggettività, analiticità, sistematicità e chiusura; quella dell'audiovisione, dove sono

43
http://grandeexhibitions.com/van-gogh-alive-the-experience/
44
http://www.caravaggioexperience.it/
45
https://www.klimtexperience.com/

35
presenti la soggettività, la globalità, l'apertura; quella dell'interattività, dove l'utente
ha una funzione co-autoriale 46.
Particolare importanza nell’ambito del nuovo approccio alla storia dell’arte
rivestono la componente dell’audiovisione e quella dell’interattività, da intendersi
come interazione fra uomo e macchina.
Nelle cosiddette mostre multimediali il visitatore assume un ruolo del tutto nuovo e
viene posto all’interno di ambienti in cui tutti i sensi vengono sollecitati.
Emblematico è il caso della Caravaggio Experience in cui, oltre alla proiezione delle
opere e alla musica, sono state diffuse nell’ambiente fragranze olfattive create con
lo specifico intento di portare il visitatore indietro nel tempo fino al Seicento.
La multimedialità dunque, contribuisce a rendere l’esperienza fruitiva più dinamica
e ad ampliarne la dimensione informativa aggiungendo alla componente visiva
elementi pertinenti ad altre sfere sensoriali.
Finalizzata al miglioramento della fruizione e al pieno coinvolgimento dei sensi è
anche l’immersività: una modalità di somministrazione dei contenuti che, attraverso
alcuni espedienti visivi, coinvolge profondamente lo spettatore dal punto di vista
percettivo ed emotivo.
L’origine di questo neologismo si rintraccia nel termine “immersivo”
originariamente legato al mondo della cinematografia e dei videogames.
Nel cinema contemporaneo l’esito di maggior coinvolgimento emotivo dello
spettatore è raggiunto rendendo i movimenti delle scene sempre più rapidi e concitati
mentre l’effetto del surround 47 aumenta la sensazione di immersione nella realtà
rappresentata.

46
Maragliano R., Nuovo Manuale di didattica multimediale, Editori Laterza, 1998.
47
Sistema di riproduzione del suono che, attraverso l’uso particolari di diffusori, crea un effetto di realismo sonoro.

36
Fig. 15 – La Caravaggio Experience tenutasi presso la Sala Arengo a Rimini.

Tuttavia, la situazione in cui la modalità comunicativa dell’immersività si realizza


maggiormente è quella del videogame ‘in prima persona’48: tramite un’interfaccia,
il giocatore viene inserito in un sistema virtuale di cui diventa parte attiva perdendo
il contatto con la realtà circostante durante il periodo di gioco.
Il videogame, visto l’elevato grado di attenzione e rapimento che crea nel giocatore,
viene addirittura considerato come veicolo di esperienze culturali e per estensione
viene paragonato all’espressione artistica.
Marshall McLuhan 49, sociologo e critico letterario canadese, sostiene infatti:
“Un’opera d’arte non ha esistenza né funzione se non nei suoi effetti sugli uomini
che la contemplano. E l’arte, come i giochi o arti popolari, e come i media di

48
Giochi in cui tutte le ambientazioni sono viste come attraverso gli occhi del protagonista.
49
Herbert Marshall McLuhan (Edmonton, 21 luglio 1911 – Toronto, 31 dicembre 1980).

37
comunicazione, ha il potere di imporre i propri presupposti stabilendo nuovi rapporti
e nuove posizioni nella comunità umana. L’arte, come i giochi, è un mezzo per
trasporre esperienze.”50
Dunque, l’effetto di alienazione rispetto alla realtà circostante, tanto forte nel caso
del videogame, viene ricreato anche nelle contemporanee esperienze di fruizione del
patrimonio artistico.
All’interno di una mostra multimediale e immersiva il visitatore entra a far parte di
luoghi e di tempi diversi rievocati grazie all’uso della tecnologia.
Nella Klimt Experience, ad esempio, insieme a circa 700 riproduzioni digitali di
opere di tutto il corpus artistico del pittore austriaco, è stata realizzata una
riproduzione tridimensionale della Vienna dei primi anni del Novecento.

Fig. 16 – Le riproduzioni 3D dei principali edifici della Vienna di inizio Novecento presso la Klimt Experience.

50
McLuhan M., Fiore Q., Il medium è il messaggio, 1967.
Il libro, a causa di un errore del tipografo entusiasticamente accolto da McLuhan, fu inizialmente pubblicato con il
titolo “Il medium è il massaggio”.

38
Legato ad un contesto non più museale ma teatrale, è invece lo spettacolo Giudizio
Universale, Michelangelo and the secrets of the Sistine Chapel51, un’altra
importante esperienza in cui le nuove tecnologie sono state utilizzate per
incrementare l’esperienza fruitiva.
Questo spettacolo, nato dal sodalizio tra i Musei Vaticani e la società Artainment,
mostra al pubblico la Cappella Sistina in maniera inedita facendo dell’immersività
il proprio punto di forza e la propria sigla distintiva.
Grazie all’uso di schermi e proiettori, lo spettatore viene immerso nella Cappella
Sistina e circondato dagli affreschi di Michelangelo che vengono proiettati sulla
parete frontale, sulle pareti laterali e sul soffitto dell’auditorium.
In Giudizio Universale l’effetto di coinvolgimento, oltre che dal movimento delle
immagini, viene accentuato dall’utilizzo di musiche, voci narranti e performance di
attori e ballerini.

Fig. 17 – Lo spettacolo ‘Giudizio Universale’ in scena all’Auditorium Conciliazione di Roma.

51
https://www.giudiziouniversale.com/

39
Analogamente a quanto avviene nei videogiochi in prima persona, lo spettatore
perde quindi il contatto con la realtà ma in questo caso la condizione di alienazione
è ulteriormente rafforzata dalla totale mancanza di percezione dell’interfaccia.
In un videogame, infatti, l’esito della partita è determinato dalle azioni compiute dal
giocatore il che, nonostante il fenomeno dell’alienazione, rende impossibile
prescindere completamente dall’interfaccia.
Invece, nel caso di mostre multimediali e spettacoli immersivi, la percezione
dell’interfaccia, da intendersi nello specifico come schermi, proiettori e altre
tipologie di strumenti, svanisce completamente lasciando allo spettatore solamente
la sensazione di essere totalmente coinvolto in spazi e tempi diversi da quelli reali
Perciò, considerando questo ulteriore aspetto, l’immersività può essere definita
come una strategia comunicativa che, mediante l’annullamento della percezione
dell’interfaccia, consente e favorisce il pieno coinvolgimento del visitatore e dello
spettatore.
Nell’ambito della fruizione e valorizzazione del patrimonio artistico, il ricorso a
multimedialità e immersività, indipendentemente dalle diverse opinioni degli esperti
del settore, è sempre più frequente.
Nel 2017 la rivista Artribune, in un articolo dall’amletico titolo “Mostre
multimediali: sì o no?”, ha raccolto le opinioni di alcuni storici, critici d’arte e
curatori.
In questa occasione Fabrizio Federici, storico dell’arte diplomato alla Normale di
Pisa, sostiene che ogni mezzo utile a limitare lo spostamento delle opere d’arte è da
considerare positivamente. Le mostre multimediali e immersive, anziché essere
stigmatizzate, vengono considerate un mezzo utile a “condurre l’attenzione dello
spettatore su dettagli meno appariscenti, consentono uno sguardo inedito sulle
tecniche artistiche, possono avvicinare all’arte, attraverso un forte impatto emotivo,

40
un pubblico che è normalmente estraneo a mostre e musei.” 52
Naturalmente, in qualità di storico dell’arte, Federici si concentra anche sulla
possibilità, senza dubbio auspicabile, che grazie alla tecnologia il pubblico sia
invogliato a scoprire le opere d’arte originali “nella loro materialità e nei loro
contesti e si può ragionevolmente credere che questo non sempre accada” 53.
Il limite delle mostre multimediali e immersive è proprio nel rischio che i fruitori
non si sentano stimolati ad approfondire la conoscenza dell’arte e che ritengano
sufficiente l’esperienza mediata dalla tecnologia.
Come dichiarato da Valentino Catricalà, curatore e studioso dei rapporti fra arte,
cinema e media, “L’esperienza fruitiva dello spettatore può essere aumentata in
molti modi e, in base all’efficacia degli espedienti trovati, può aggiungere
informazioni o confondere.”54
Si solleva in questo modo un’importante questione in merito al rapporto che lega
arte e tecnologia in questi contesti.
Il pericolo reale è infatti quello che la tecnologia, pur essendo utilizzata come
metodo di amplificazione dell’esperienza fruitiva, diventi autoreferenziale e non si
faccia veicolo di conoscenze ulteriori ma solo di spettacolo e stupore.
Molto chiare a tal proposito sono le parole di Roberto Fiorini, responsabile del
settore comunicazione e sviluppo di Crossmedia Group 55: “La multimedialità, se
immersiva, è lo strumento più adeguato a coinvolgere il pubblico invitandolo ad
approfondire la conoscenza di un artista, la comprensione delle sue opere,
consentirne la lettura stilistica attraverso la messa in scena spettacolare della sua
tecnica pittorica. Stupire, emozionare, senza mai dare la sensazione di volersi
accreditare quale succedaneo virtuale dell’opera d’arte originale, ma anzi fungere da
volano d’interesse per la riscoperta dell’opera dal vero, nella sua concretezza fisica.

52
https://www.artribune.com/progettazione/new-media/2017/04/mostre-multimediali-interviste-esperti/
53
https://www.artribune.com/progettazione/new-media/2017/04/mostre-multimediali-interviste-esperti/
54
https://www.artribune.com/progettazione/new-media/2017/04/mostre-multimediali-interviste-esperti/
55
Società fiorentina che dal 2008 si occupa di produzioni multimediali per l’ambiente digitale e quello cartaceo.

41
Un’impresa complessa, la cui realizzazione non può in nessun caso prescindere dal
rispetto di uno dei principi basilari del rappresentare per mezzo della multimedialità:
l’utilizzo della tecnologia non deve mai essere fine a sé stesso, ma in funzione
dell’esaltazione dei contenuti di cui è strumento.”56
Nonostante il rischio che l’esibizione della tecnologia finisca col sovrastare il valore
dei contenuti, i nuovi metodi di divulgazione della cultura fin qui delineati, sono
costantemente incoraggiati dall’entusiasmo del grande pubblico e continuano ad
incontrare il favore dei fruitori perché rispondono a due esigenze profondamente
correlate alla contemporaneità: il coinvolgimento attivo e la possibilità di
interazione.

2.2 Interattività
All’interno di una mostra multimediale il visitatore è pienamente coinvolto e sorge
in lui la naturale volontà di interagire con il contesto in cui si trova immerso.
Questa esigenza è legata all’ampia diffusione di strumenti come pc, smartphone e
tablet, che hanno fatto dei documenti interattivi i nuovi standard comunicativi con i
quali siamo ormai abituati a gestire ogni aspetto della vita.
Per questa ragione la parola “interattività” è entrata a far parte dell’uso comune,
nonostante questo il suo significato è spesso poco chiaro.
Una delle prime definizioni del concetto di “interattività” fu formulata da Jens F.
Jensen 57 in un articolo risalente al 1998 58.
In questo testo capitale Jensen, come Michael Jäckel59 prima di lui, sottolinea che la

56
https://www.artribune.com/progettazione/new-media/2017/04/mostre-multimediali-interviste-esperti/
57
Jens Frederik Jensen è un professore e ricercatore danese esperto di comunicazione e nuovi media. Nel 1998 ha
elaborato una delle prime definizioni di “interattività” differenziandola nettamente dall’ interazione sociale.
58
Jensen J.F., 1998, ‘Interactivity’: Tracking a new concept in media and communication studies, ‹‹Nordicom
Review›› vol. 19, issue 1, pp. 185 – 204.
59
Michael Jäckel (26 settembre 1959), presidente dell’università di Treviri dal 2011, conduce ricerche sulla sociologia
generale con particolare attenzione verso i temi delle nuove tecnologie di comunicazione e organizzazione del lavoro

42
parola interattività è un’estensione del concetto di interazione che generalmente
assume il significato di “scambio” o “reciproca influenza”.
Nel testo emerge chiaramente che la nozione di interazione, propria di discipline
molto diverse come la medicina, l’ingegneria, la statistica, la linguistica,
l’informatica e la sociologia, assume significati diversi a seconda dell’ambito in cui
viene utilizzata.
In questo caso, parlando dei nuovi metodi di divulgazione e comunicazione dell’arte,
riveste particolare interesse il significato che la parola “interazione” assume
nell’ambito della sociologia e dell’informatica.
Jensen scrive infatti: “Interactivity may be defined as a measure of a media’s
potential ability to let the user exert an influence on the content and/or form of the
mediated communication.” (L’interattività può essere definita come la misura della
potenziale capacità di un medium60 di lasciare che l’utente eserciti un’influenza sul
contenuto e/o sulla forma della comunicazione mediata)61.
Questa definizione si apre ai concetti di comunicazione e di controllo che sono alla
base del significato della parola interazione nel caso delle due discipline sopra
menzionate.
In sociologia, infatti, con “interazione” si definisce la più elementare delle relazioni
umane, il processo che sta alla base della formazione di una società, ovvero la
circostanza in cui il comportamento di due o più persone è mutualmente
interdipendente poiché ogni individuo adatta e modifica il proprio comportamento
in funzione di quello degli altri.
Diversamente dalla sociologia, che nel definire l’interazione si focalizza sulla
relazione e sulla comunicazione fra individui, l’informatica si concentra sulla
cosiddetta interazione uomo-computer (HCI, Human Computer Interaction).

60
Mezzo di comunicazione di massa.
61
Jensen J.F., 1998, ‘Interactivity’: Tracking a new concept in media and communication studies, ‹‹Nordicom
Review›› vol. 19, issue 1, pp. 185 – 204.

43
In altre parole, come scrive lo stesso Jensen, la parola “interazione” nell’ambito
dell’informatica definisce il processo in cui un operatore umano agisce su una
macchina62.
Con questa definizione lo studioso si lega al concetto di controllo, introdotto nel
convegno dal titolo The Methodology of Interaction tenutosi a Seillac (Francia) nel
1979.
In questa occasione, che ha visto riuniti grandi ricercatori nel campo
dell’informatica, l’interazione è stata infatti definita come uno “stile di controllo
esibito dai sistemi interattivi”63.
Nel suo articolo Jensen chiarisce che, nell’informatica, interazione e interattività
sono intesi come sinonimi e che il concetto di interattività può essere analizzato
secondo diversi punti di vista.
Infatti, se si pensa all’interattività come forma di comunicazione, si può affermare
che un sistema è tanto più interattivo quanto più è simile alla cosiddetta
comunicazione face to face, in cui lo scambio fra mittente e destinatario coinvolge
tutti i sensi e prevede una risposta immediata.
In questo modo il significato di interattività nell’informatica si avvicina alla
sociologia poiché, insieme a concetti propri dell’informatica, è coinvolto anche il
concetto di “mutuo scambio” che è tipico delle scienze sociali.
Rockley Miller, infatti, ha definito l’interattività “a reciprocal dialog between the
user and the system” 64 (un dialogo reciproco tra utente e sistema) e nell’Enciclopedia
Internazionale delle Comunicazioni 65 John Carey66 definisce i media interattivi
“Technologies that provide person-to-person communications mediated by a

62
Jensen, J.F., ‘Interactivity’ Tracking a new concept in media and communication studies, cit. p.190.
63
Jensen 1998, p. 190.
64
Miller, Rockley; Alex S. Kasten; Multimedia and Related Technologies: A Glossary of Terms; Multimedia
Monitors; 1988.
65
International encyclopedia of communications, pubblicata nel 1989 dall’Oxford University Press in collaborazione
con l’Università della Pennsylvania.
66
John Carey è amministratore delegato della Greystone Communications, una società americana di ricerca e
pianificazione dei media.

44
telecommunications channel (e.g., a telephone call) and person-to-machine
interactions that simulate an interpersonal exchange” (Tecnologie che permettono la
comunicazione fra persone mediata da canali telecomunicativi, ad esempio una
chiamata telefonica, e le interazioni uomo-macchina che simulano uno scambio
interpersonale).
Questo tipo di scambio tra operatore umano e macchina viene applicato anche alla
comunicazione dei contenuti culturali e artistici con lo specifico intento di
incrementare la fruizione e renderla più dinamica e stimolante.
Nei moderni allestimenti espositivi, sia multimediali che tradizionali, si ricorre
sempre più spesso a tecnologie e supporti interattivi come totem, maxischermi per
la visione 3D, tavoli e pareti digitali e touchscreen che permettono all’utente di
interagire e manipolare in modo diretto i contenuti interattivi della mostra.
“Gli allestimenti interattivi” come spiega Andrea Bianchi 67 “creano un dialogo con
gli utenti, arricchendo l’esperienza del visitatore di realtà virtuali. Supporti e
tecnologie interattive sono gli strumenti per approfondire la visita e la conoscenza,
creando un avvolgente percorso narrativo che coinvolge sonorità e sensazioni.”68
Adeguando alle forme comunicative più attuali il contenuto di un’esposizione, il
fruitore viene messo in condizione di recepirne nuovi aspetti e di portare la propria
conoscenza a un livello superiore.
“La base di queste tecnologie predisposte alla manipolazione” scrive Salvatore
Paone69 “è infatti fondamentale soprattutto in relazione alla comprensione e alla
valutazione dell’opera.” 70

67
Andrea Bianchi è il titolare di Touchwindow, azienda milanese impegnata nella creazione di percorsi e esperienze
interattive: http://www.touchwindow.it/it/index.html.
68
Donnini, Daniela, 2014, Gli strumenti per l’emozione con le innovazioni tecnologiche al servizio di una nuova
relazione tra il visitatore e i beni culturali, ‹‹Archeomatica››, settembre 2014, pp. 26 – 29.
69
Salvatore Paone, docente di Abilità informatiche per i beni culturali presso l’Università degli studi di Firenze.
70
Paone, Salvatore; Arte e tecnologia, Milano, Ledizioni, 2018, p. 56.

45
Questo dialogo fra arte e tecnologia, in cui queste due discipline interagiscono e si
rafforzano reciprocamente, permette al fruitore di attingere a nuove possibilità
percettive e di accrescere le proprie capacità sensoriali e la propria conoscenza.
A titolo d’esempio, insieme alle già citate Klimt Experience e Caravaggio
Experience, si può considerare il progetto realizzato da Touchwindow presso il
Palazzo Marino di Milano.

Fig. 18 – Attraverso il leggio interattivo un utente manipola la proiezione scoprendo i dettagli degli affreschi
realizzati da Raffaello.

Nel 2013 l’azienda guidata da Andrea Bianchi ha curato l’esposizione della


Madonna di Foligno, capolavoro di Raffaello Sanzio, rimasto esposto nel palazzo
milanese dal 28 novembre 2013 al 12 gennaio 2014.
Oltre alla fruizione diretta dell’opera di Raffaello, nell’allestimento era presente un
leggio interattivo corredato da un ricco catalogo che raccoglieva immagini di altre
opere del maestro urbinate, dettagli pittorici, tavole di studio e approfondimenti
scientifici prodotti dalle diverse analisi diagnostiche fatte sull’opera.

46
Questo strumento rendeva possibile per il visitatore manipolare la proiezione delle
immagini ad altissima risoluzione su uno schermo curvo.
In questo modo è stato creato un ambiente interattivo di grande impatto che, unito
agli approfondimenti offerti da guide e storici dell’arte, ha contribuito notevolmente
ad amplificare l’esperienza e la conoscenza dei fruitori.

Fig. 19 – Il dettaglio della figura del Bambino della Madonna di Foligno proiettato sullo schermo.

2.3 L’esperienza performativa


L’obiettivo che sta alla base di queste nuove tecniche di divulgazione e fruizione è
quello di incrementare l’interesse intorno alle opere d’arte, e più in generale intorno
al patrimonio storico artistico, puntando al coinvolgimento attivo del fruitore.
L’interattività e l’immersività, infatti, introducono nella fruizione la possibilità del
coinvolgimento emotivo e sensoriale, della partecipazione attiva e del controllo dei
contenuti da parte del fruitore.

47
Nel caso dell’interattività all’utente è consentito di agire fisicamente sui contenuti
manipolandoli attraverso degli strumenti interattivi, dunque l’intervento fisico è
concreto ma vincolato all’interfaccia.
Diversamente, l’immersività agisce a livello sensoriale eliminando la percezione
dell’interfaccia ma lasciando lo spettatore passivo dal punto di vista dell’azione
fisica.
Dunque, nonostante l’immersività agisca a livello sensoriale sull’utente e
l’interattività, in un certo senso, ne subisca l’azione, in nessuno dei due casi avviene
un’esperienza fisica totalizzante.
Pensare di poter realizzare concretamente uno scambio reale tra utente e opera
d’arte, che consenta un’esperienza corporea diretta da parte del fruitore, vorrebbe
dire operare sulla soglia liminare che sta tra la fruizione di un’opera e l’esperienza
che si fa di essa, un’esperienza che potremmo definire performativa (o
performatività).
Il concetto di esperienza performativa (o performatività) si apre dunque all’idea
della necessità della sperimentazione fisica e della pratica corporea come mezzi per
poter comprendere e di conseguenza valutare l’ambiente artistico che stiamo
osservando.
L’esigenza della sperimentazione fisica in prima persona, con particolare
riferimento alla pratica artistica, è un’intuizione antica che potremmo ricondurre
addirittura al secolo dei Lumi.
Fu proprio Diderot, uno dei padri dell’Illuminismo, a sostenere che per fare arte era
necessario immergersi e “provare” la natura facendone, appunto, un’esperienza
diretta attraverso l’immersione e la visione contemplativa.
La connotazione fisica ed esperienziale che Diderot intuiva come necessaria nel fare
artistico, oggi, grazie alle moderne tecnologie, può essere applicata anche alla
fruizione dell’arte.

48
Laddove Diderot auspicava un dialogo fra natura e artista, che si concretizzasse
nell’esperienza della natura, oggi è possibile puntare a un dialogo tra arte e
tecnologia che possa, attraverso l’agire fisico, realizzare una conoscenza nuova e
profonda dell’arte che superi i limiti imposti dal senso della vista per spostarsi
sull’esperienza.
L’immersività e l’interattività hanno senza dubbio cambiato le modalità della
fruizione dell’arte attribuendo una crescente importanza alle dinamiche di
interazione, scambio e dialogo.
Le nuove tecnologie hanno infatti un carattere che potremmo definire performativo,
ovvero sono adatte a coinvolgere lo spettatore spingendolo ad agire attivamente sui
contenuti senza limitarsi all’osservazione passiva.
Sfruttando e sviluppando ulteriormente queste caratteristiche, diventa possibile
estendere la dimensione partecipativa del fruitore fino a comprendere la
sperimentazione corporea, ovvero fino a creare un’esperienza performativa.
Secondo Victor Turner, noto antropologo scozzese, attraverso l’agire psicofisico,
dunque attraverso la performance, è possibile vivere e portare a compimento
un’esperienza e, nella messa in scena del nostro corpo, è possibile riflettere
sull’esperienza stessa.
Occorre dunque ragionare sul significato della performance intesa come “pratica
corporea necessaria ad una ridefinizione critica del reale” 71 che, applicata alla
fruizione, diventa uno strumento per interpretare e conoscere l’arte.
La possibilità dell’agire corporeo, che è caratteristica principale dell’esperienza
performativa, può essere realizzata concretamente grazie alle nuove tecnologie che
si connotano di una certa fisicità.

71
Bazzichelli, Tatiana, Pratiche reali per corpi virtuali. Per una riformulazione del concetto di opera d’arte
attraverso la sperimentazione performativa coevolutiva con l’ausilio delle nuove tecnologie, tesi di laurea a.a 1998-
99, Università degli studi di Roma La Sapienza.

49
Dunque, il processo dialogico che si crea tra arte e tecnologia con lo scopo di
apportare innovazioni profonde alla fruizione, coinvolge direttamente anche il
corpo.
Le moderne tecnologie, essendo caratterizzate da una certa fisicità, seppur simulata,
permettono di operare concretamente la messa in scena del proprio corpo.
I mezzi offerti dalla tecnologia rendono possibile, attraverso la sperimentazione
performativa, agire concretamente sul reale e non solo sulla sua rappresentazione
immaginaria.
Un esempio utile a rendere più esplicite le potenzialità dell’esperienza performativa
si può rintracciare nel film Avatar risalente al 2009 e noto come il primo film pensato
e proiettato in 3D.
Il film vede come protagonista un uomo che compie una spedizione su Pandora, un
pianeta del sistema solare Alfa Centauri popolato da alieni umanoidi senzienti
chiamati Na’vi.
Tuttavia, essendo l’atmosfera del pianeta tossica per gli esseri umani, il viaggio del
protagonista avviene attraverso un avatar, una creatura ibrida realizzata dalla
composizione tra geni umani e geni Na’vi ma priva di coscienza propria, che viene
utilizzata come veicolo dall’essere umano.
Attraverso il suo avatar il protagonista si reca sul pianeta e qui vive esperienze
fisiche reali interagendo con l’ecosistema e con i suoi abitanti fino addirittura ad
innamorarsi.
Nonostante questo esempio sia ben lungi dall’essere legato alla fruizione dell’arte,
è utile a comprendere come, attraverso un simulacro corporeo, possano essere
possibili la manipolazione e l’interazione con determinati ambienti.
La performatività, intesa come sperimentazione corporea resa possibile dalle nuove
tecnologie, rimanda a un processo conoscitivo che si basa sulla fisicità e su un fare
attivo che può portare la fruizione dell’arte ad un livello ulteriore superando la soglia
della visione per approdare sul terreno dell’esperienza.

50
La possibilità dell’agire fisico in tempo reale è una caratteristica propria anche della
Realtà Virtuale (spesso indicata con la sigla VR, Virtual Reality) ovvero di un
sistema che, grazie alla combinazione di dispositivi hardware e software, crea una
realtà simulata.
All’interno di questa “realtà”, grazie all’uso di alcune speciali periferiche come
visori, guanti e auricolari, l’utente può esplorare ambienti tridimensionali
interamente costruiti grazie all’uso del computer e può interagire con la realtà
simulata che lo circonda.
Questo sistema, il cui campo di applicazione più noto è quello dei videogames, è
stato anche utilizzato come strumento per immergere l’utente all’interno di ambienti
ricostruiti con finalità culturali.
In occasione dell’anno dedicato a Leonardo da Vinci, Nicolò Sidoti 72, Mirko
Lambiase73 e Cristina Biella74, hanno utilizzato la Realtà Virtuale per ricostruire la
Città ideale di Leonardo sulla base di studi iconografici approfonditi.
Grazie all’uso di un visore e di altri strumenti è stata data agli utenti la possibilità di
esplorare la loro ricostruzione virtuale e, attraverso alcuni espedienti ludici, gli utenti
hanno potuto approfondire la loro conoscenza di Leonardo e del periodo storico in
cui è vissuto.
Dunque, anche nel caso della Realtà Virtuale, l’utente si trova immerso in un
contesto con il quale può interagire e entro cui può vivere esperienze fisiche reali
tuttavia, nonostante questa evidente similitudine tra Realtà virtuale ed esperienza
performativa, tra i due sistemi esiste una differenza sostanziale.

72
Nicolò Sidoti è attualmente Cultural & Content Manager presso ELV - Culture of Innovation, azienda che si occupa
di valorizzazione culturale, divulgazione e narrazione del patrimonio artistico, territoriale, sociale e aziendale.
73
Mirko Lambiase, Co-founder e VR artist presso ARDAstudio, un gruppo impegnato nello sviluppo di contenuti per
la realtà virtuale e aumentata.
74
Cristina Biella è attualmente Cultural Manager e Digital Media Specialist presso ELV - Culture of Innovation.

51
Nel caso della Realtà Virtuale, infatti, l’utente si confronta e si immerge in un
ambiente totalmente sintetico, creato grazie all’uso del computer utilizzando come
fonti rilievi e immagini fotografiche.
Inoltre, il grado di interazione consentito all’utente nella Realtà Virtuale è
necessariamente limitato a quelli che si potrebbero definire “spunti di interazione”,
ovvero alle azioni stabilite dalla programmazione del software grazie al quale è stato
realizzato l’ambiente.
Per contro, nel caso dell’esperienza performativa, l’azione dell’utente si svolge in
un ambiente reale, non costruito dal software ma fedelmente riprodotto da un
apparato sensoriale avanzato e quindi non strutturato, entro il quale la possibilità di
interazione è abbastanza ampia da poter permettere, nel caso di un ambiente artistico,
una fruizione del tutto nuova e senza limiti.

2.4 L’immagine di sintesi


L’osservatore, grazie alle modalità di fruizione fin qui illustrate, può infatti
manipolare e intervenire in modo attivo sui contenuti al fine di soddisfare la propria
curiosità e di accrescere la propria conoscenza.
L’unità fondamentale di questo articolato scambio tra osservatore e strumenti della
fruizione è un particolare tipo di immagine noto come “immagine di sintesi”.
L’immagine di sintesi (o immagine sintetica) è una rappresentazione della realtà
elaborata grazie all’uso del computer partendo da un elenco di dati numerici espressi
in forma di matrici bidimensionali ovvero, secondo la definizione matematica, in
forma di una tabella ordinata di elementi.
Si tratta della rappresentazione numerica di un’immagine bidimensionale in cui ad
ogni elemento della matrice corrisponde un pixel 75.

75
Il più piccolo elemento di cui è composta un’immagine digitale.

52
L’immagine sintetica è dunque un’immagine digitale in cui ciascun pixel è un’unità
complessa che contiene, e consente di esprimere, diverse informazioni relative alla
distanza, alla forma e a tutte le componenti cromatiche dell’oggetto riprodotto.
Ciascun elemento (o pixel) di un’immagine di sintesi contiene dunque informazioni
che trascendono la visibilità pura definendo, oltre alla tonalità, anche la brillantezza
e la temperatura di ogni colore, informazioni diagnostiche strutturali comprese
nell’immagine.
Tutto questo, unito alla natura numerica, fa dell’immagine di sintesi una
rappresentazione che potremmo definire “iper-reale” in quanto è in grado di
esprimere e codificare dati di cui un’immagine visiva è invece priva.
Le quantità numeriche che formano l’immagine sintetica vengono elaborate da
programmi complessi che le codificano graficamente memorizzandole in forma di
gruppi di informazioni digitali.
I dati elaborati da questi software possono essere ottenuti da rilevamenti
fotogrammetrici oppure da immagini topologiche come quelle che si possono
produrre utilizzando un laser scanner 3D.
A partire dalle immagini di sintesi, siano esse ottenute grazie alla fotogrammetria o
grazie all’impiego di un laser scanner, è possibile riprodurre qualsiasi oggetto a
diversi livelli di risoluzione, infatti in questa particolare tipologia di riproduzione
grafica rientrano le immagini vettoriali, televisive e cinematografiche.
Con particolare riferimento all’ambito della storia dell’arte e dei beni culturali il
ricorso a un’immagine sintetica permette di ottenere e analizzare informazioni di
tipo tecnico per effettuare misure metriche precise e valutare in maniera esaustiva lo
stato di conservazione dell’oggetto artistico esaminato.
L’utilità dell’immagine sintetica, tuttavia, non si limita unicamente alla diagnostica
e all’analisi tecnica.
Infatti, considerando l’immagine di sintesi non solo come uno strumento di analisi
ma anche come uno strumento di visualizzazione, appare evidente come questo tipo

53
di elaborazione possa contribuire in modo significativo all’evoluzione delle modalità
di somministrazione della didattica, della fruizione e della valorizzazione del
patrimonio artistico.
La possibilità di accedere a informazioni approfondite sul colore e sulle
caratteristiche fisiche di una superficie o di un qualsiasi oggetto indagato consente
di approfondire in maniera considerevole la conoscenza di un’opera d’arte.
Questo aspetto dell’immagine di sintesi, unito alle moderne tecnologie, permette una
visione spettacolare dell’arte che coinvolge pienamente fruitori, specialisti del
settore e studenti.

54
3. Descrizione e applicazione delle nuove metodologie tecnologiche:
Il Giudizio Universale nell’Oratorio di San Pietro Martire (Rieti)
3.1 Il Radar Topologico a colori (RGB-ITR)
La cooperazione tra storia dell’arte e tecnologia ha una lunga storia, da principio
legata a finalità di diagnosi e conservazione.
Tuttavia, spesso anche inaspettatamente, la tecnologia ha offerto la possibilità di
conoscere aspetti ulteriori dell’opera di un artista, caratteristiche e connotazioni
prima sconosciute.
Nei capitoli precedenti è stato illustrato come la possibilità di disporre di un’opera
d’arte in forma di immagine sintetica a contenuto complesso possa permettere la
comunicazione avanzata e la fruizione multimediale dell’opera stessa.
Infatti, avvalersi di un’immagine codificata in formato numerico a layer multipli,
consente di ottenere informazioni che superano la semplice visibilità e potendo così
sfruttare un’immagine con grande ricchezza di particolari e contenuti diversi e
complementari.
Le tecnologie per la produzione di immagini sintetiche ad alto contenuto informativo
sono per la maggior parte basate sull’osservazione remota da parte di sistemi a
sorgenti di luce laser.
Attualmente, il sistema più avanzato che fa uso di questa metodologia di indagine è
il radar topologico a colori o RGB-ITR76, strumento grazie al quale sono state
prodotte le immagini illustrate e commentate in questo lavoro di tesi.
Questo sistema, nato in una prima versione monocromatica (ovvero con una sola
sorgente laser) come strumento di indagine in ambienti inaccessibili all’uomo come
i reattori nucleari, si è evoluto progressivamente fino ad essere specificamente
sviluppato per la visione, il monitoraggio e l’analisi dei beni culturali.

76
Red Green Blue – Imaging Topological Radar.

55
L’utilità dell’RGB-ITR deriva proprio dalle sue caratteristiche fisiche e meccaniche.
Il sistema, mostrato nella figura seguente, è composto da due blocchi distinti: un
modulo “attivo”, costituito dalla parte elettronica, da tre sorgenti laser a lunghezza
d’onda dei colori primari (rosso, blu e verde), dai rivelatori e dal controller dei
motori di scansione, e da un modulo “passivo” rappresentato dalla testa ottica a sua
volta composta da uno schema meccanico di specchi e lenti per il lancio e la
ricezione dei fasci laser.

Fig. 20 - Il laser scanner RGB-ITR durante una campagna di misure. Sulla sinistra montato su treppiedi è visibile il
modulo passivo (parte ottica) mentre sulla destra la parte attiva rappresentata dall’elettronica del sistema contenuta
in tre moduli gialli. Le due parti del sistema RGB-ITR sono collegati tramite fibre ottiche. È infine visibile anche il
computer utilizzato per gestire le fasi di scansione e acquisizione dati.

56
I tre fasci laser, regolati a bassa potenza per evitare il danneggiamento delle opere e
modulati in ampiezza77, vengono sovrapposti attraverso filtri dicroici 78 ottenendo un
unico fascio di luce bianca che, mediante l’ottica di lancio, viene inviato sulla
superficie dell’opera da scansire (target).

Fig. 21 – Schema del funzionamento del laser sanner RGB-ITR.

77
La modulazione in ampiezza è una tecnica di trasmissione che consiste nel modulare l’ampiezza del segnale portante
(ovvero del segnale a radiofrequenza che si intende utilizzare per la trasmissione dell’informazione) in maniera
proporzionale all’ampiezza del segnale modulante (ovvero del segnale che contiene l’informazione da trasmettere).
78
Il filtro dicroico (o interferenziale) è un particolare tipo di filtro usato in ottica, in particolare nella spettroscopia.

57
La luce laser viene riflessa e diffusa dal target in tutto lo spazio circostante e viene
raccolta dall’ottica di ricezione, fornendo informazioni sulla superficie colpita sia in
termini di riflettività che di distanza.
Le informazioni in riflettività offrono una valutazione precisa delle caratteristiche
colorimetriche sui tre piani separati permettendo un’analisi dello stato conservativo
dei pigmenti e della necessità di eventuali interventi di restauro.
L’informazione in distanza dei vari punti della superficie permette invece la
ricostruzione geometrica tridimensionale dell’opera scansita.
La struttura dell’oggetto analizzato può essere ricostruita dettagliatamente grazie
alla modulazione in ampiezza che, permettendo di calcolare il ritardo di fase del
segnale di partenza rispetto a quello di ritorno, consente di misurare la distanza tra
target e sensore.
La componente luminosa retrodiffusa dal target viene separata nelle sue tre
componenti cromatiche principali (Red, Green, Blue) da un filtro dicroico all’uscita
della testa ottica.
In seguito, tramite tre diverse fibre ottiche, le informazioni relative alle componenti
cromatiche vengono inviate a tre rivelatori che, per ogni piano di colore, convertono
il segnale luminoso in segnale elettrico.
I tre segnali così acquisiti vengono trasmessi al sistema elettronico tramite il quale i
dati prodotti raggiungono un computer portatile sul quale vengono memorizzati.
Il computer consente di gestire in modalità remota la fase di scansione scegliendone
opportunamente i parametri.
Inoltre, utilizzando appositi software copyrighted sviluppati in ambiente
MATLAB 79, raccoglie i dati e ne consente l’elaborazione.

79
MATLAB (Matrix Laboratory) è un ambiente software di calcolo numerico e analisi statistica.

58
Grazie a questo sistema, ideato e realizzato presso il centro di ricerche ENEA di
Frascati 80, è possibile ottenere contemporaneamente cinque diverse informazioni per
ogni punto della superficie analizzata.
Tre di queste sono relative ai tre diversi piani cromatici da cui si possono ottenere
anche informazioni sulla tonalità, sulla saturazione e sulla brillantezza di ogni
colore, le restanti due sono invece relative informazioni strutturali relative alla
distanza fra bersaglio e sensore.
Con l’utilizzo dell’RGB-ITR è possibile ottenere immagini che raggiungono un
livello di definizione prossimo ai limiti dell’ottica e che, contrariamente agli altri
metodi di imaging (ad esempio la fotografia), non risentono dell’influenza della luce
esterna e non presentano aberrazioni 81.
L’uso del fascio laser (visibile sul bersaglio sotto forma di una piccola area luminosa
chiamata spot) permette di avvicinarsi ai limiti della risoluzione previsti dalle leggi
dell’ottica fisica.
Infatti, prendendo ad esempio la fotografia, ottenere la stessa accuratezza con cui
possono essere misurati i livelli di dettaglio raggiunti grazie all’RGB-ITR, sarebbe
possibile solo ricorrendo a ponteggi e impalcature che consentano un’analisi a
distanza molto ravvicinata.
Diversamente, nel caso di immagini prodotte grazie all’utilizzo dell’RGB-ITR la
risoluzione dell’immagine (dunque il numero di pixels che la compone) dipende dal
tempo a disposizione per effettuare la scansione, dalle dimensioni della scena
investigata, dalla grandezza della spot laser e dallo step angolare impostato82.

80
L’ RGB- ITR è stato ideato e realizzato presso il Laboratorio FSN-TECFIS-DIM (Brevetto ENEA n° 621).
81
In un sistema ottico vengono definite aberrazioni quei fenomeni che rendono le immagini prodotte diverse da quelle
reali dal punto di vista della geometria, del colore ecc. (si può parlare infatti di aberrazioni cromatiche o sferiche). Le
aberrazioni, oltre alla deformazione dell’immagine, danno luogo a prestazioni ridotte sul piano della nitidezza e della
resa cromatica.
82
Distanza angolare tra due punti adiacenti acquisiti in fase di scansione ovvero passo angolare dei motori.

59
Beneficiando di una profondità di campo praticamente illimitata, le immagini così
ottenute risultano nitide e sufficientemente focalizzate per ampie distanze e grandi
angoli.
Inoltre, l’utilizzo di sorgenti laser implica che, contrariamente al caso della
fotografia, i dati acquisiti e le immagini prodotte non sono influenzati dalle
condizioni di illuminazione esterna.
Tutte queste caratteristiche rendono possibile per l’RGB-ITR effettuare scansioni
anche al buio e ottenendo comunque immagini completamente prive di ombre.
Avendo a disposizione immagini con queste caratteristiche, utilizzando appositi
software di elaborazione grafica, si possono ottenere modelli 3D a colori
estremamente nitidi e, grazie all’elevatissima risoluzione spaziale,
straordinariamente accurati e realistici della scena investigata83.
Questo tipo di riproduzione grafica e la possibilità di manipolazione dei dati RGB-
ITR attraverso i software offrono agli esperti del settore un grande ventaglio di
possibilità per i più diversi utilizzi e scopi.
Innanzitutto, disporre di un sistema di indagine remota che possa agire anche nelle
ore notturne e senza necessità di ponteggi, significa poter effettuare delle analisi
senza compromettere la fruibilità dell’oggetto artistico investigato (sia nel caso di
opere pittoriche che nel caso di ambienti complessi).
Avendo la possibilità di intervenire sul modello 3D con zoom, ingrandimenti,
rotazioni e traslazioni, ovvero attraverso una reale navigazione all’interno del
modello, si possono effettuare analisi approfondite per stabilire l’eventuale necessità
e tipologia di interventi di restauro, manutenzione e conservazione.

83
L’intervallo di distanze entro il quale lo strumento è in grado di operare è compreso tra i 2 metri e i 35 metri (altezza
raggiunta nella scansione della volta del Duomo di Orvieto nel 2015).
Nelle immagini ottenute grazie all’RGB-ITR è possibile apprezzare dettagli inferiori al millimetro per scansioni
effettuate fino a 15 metri di distanza dal target mentre, per scansioni effettuate a distanze superiori (fino a circa 35
metri) è possibile apprezzare dettagli minimi dell’ordine del millimetro.

60
Oltre alla finalità diagnostica, le immagini e i modelli 3D ottenuti grazie all’ RGB-
ITR possono essere utilizzati efficacemente anche nell’ambito della didattica e della
letteratura specialistica.
Marco Bussagli, storico dell’arte e docente di Anatomia artistica presso l’Accademia
di Belle Arti di Roma, grazie alle scansioni effettuate con l’RGB-ITR all’interno
della Cappella Sistina nel 2011, ha approfondito aspetti dell’arte di Michelangelo
rimasti fino a quel momento trascurati.
Osservando “da vicino” il Giudizio Universale, lo storico dell’arte ha potuto notare
che uno dei demoni rappresentati da Michelangelo presenta una caratteristica
anatomica insolita ovvero un incisivo centrale.
Questo piccolo particolare, impossibile da notare ad occhio nudo o davanti a una
fotografia che non ritragga esclusivamente questo soggetto, ha stimolato la curiosità
dello storico dell’arte che, nel 2014, ha pubblicato “I denti di Michelangelo”84.
In questo libro Bussagli ha compiuto una interessante analisi di questo particolare
anatomico notando come Michelangelo abbia dipinto numerosi soggetti con un
incisivo centrale che, sulla base di studi filologici e iconografici, è stato riconosciuto
come un simbolo di malvagità.
Insieme ai risvolti nell’ambito della didattica e degli studi specialistici, considerando
la crescente diffusione delle nuove modalità di fruizione delle opere d’arte, è
evidente come le immagini e i modelli 3D a colori prodotti dall’RGB-ITR, grazie
alle caratteristiche di straordinaria accuratezza, nitidezza, realismo e versatilità,
possano essere impiegati anche nell’ambito della fruizione e della valorizzazione del
patrimonio artistico e culturale.

84
Bussagli, Marco, I denti di Michelangelo, Medusa Edizioni, 2014.

61
3.2 Chiesa e convento di San Domenico
Nell’estate del 1234 Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine dei Predicatori, fu
canonizzato nella cattedrale di Rieti per volontà di papa Gregorio IX.
Alcuni anni dopo Domenico, vescovo di Rieti, sollecitò l’Ordine dei Predicatori ad
istituire una comunità nella città in cui il santo era stato canonizzato.
Nel 1268, in risposta a questa richiesta, venne deliberata la costruzione del convento
di San Domenico e della relativa chiesa.
Il complesso conventuale, edificato nei pressi dell’antica chiesa dei SS. Apostoli,
risultò agibile già dal 1294, anno in cui la comunità reatina dei domenicani ospitò il
Capitolo Provinciale dell’Ordine, e solo pochi anni dopo diede rifugio a papa
Bonifacio VIII, scampato al terremoto che colpì la città nel novembre 1298.
Sebbene ai tempi della costruzione la città di Rieti godesse del favore del papa, nel
tempo il complesso andò incontro a una progressiva decadenza e rischiò di essere
demolito ma nel corso del Settecento fu ristrutturato e abbellito.
Con l’invasione napoleonica del 1810, che vide soppressi numerosi conventi, i
domenicani furono allontanati fino alla Restaurazione e poi cacciati definitivamente
nel 1862 poiché, dopo l’unità d’Italia, l’intero complesso fu adibito a caserma e la
chiesa venne sconsacrata ed utilizzata come scuderia.
Il convento è ancora oggi parte della caserma Attilio Verdirosi ma la chiesa,
restaurata tra il 1994 e il 1998, è stata riconsacrata e restituita al culto.
Inoltre, il notevole patrimonio di cultura e spiritualità costituito dall’Oratorio di San
Pietro Martire e dal chiostro della Beata Colomba, che congiunge l’antico complesso
conventuale all’edificio sacro, viene lodevolmente valorizzato e protetto.
L’impianto della chiesa, intitolata a San Domenico, risponde perfettamente alle
norme architettoniche stabilite dagli Ordini mendicanti ed armonizza tra loro
elementi di ascendenza romanica e gotica.
L’aula basilicale, con tetto a due spioventi e capriate a vista, è interrotta
ortogonalmente da un transetto sul quale, in un secondo momento, furono costruite

62
quattro cappelle e che si conclude con un’abside ortogonale.
All’esterno, la solida cortina di pietra locale si apre sulla facciata con un sobrio
portale coronato da un timpano e riporta ancora traccia dei successivi interventi
murari legati in particolare alla tamponatura delle monofore gotiche che occupavano
l’abside e la parete orientale.
L’interno della chiesa dovette essere completamente decorato, diversi musei reatini
ospitano infatti parti di affreschi, staccati e riportati sulla tela negli anni Venti del
Novecento, che andavano a sommarsi ai lacerti pittorici ancora oggi visibili sulle
pareti della chiesa.
Tra le più antiche pitture, risalenti al XIV secolo, sono le Storie di Santa Maria
Egiziaca e della Maddalena, le storie di San Pietro e una Crocifissione con San
Domenico e San Pietro Martire.

3.3 “Il Giudizio Universale”: l’affresco dei fratelli Torresani


nell’Oratorio di San Pietro Martire a Rieti
Al nome di San Pietro da Verona, inquisitore di Lombardia e primo martire
dell’ordine domenicano, è dedicata la confraternita d’altare formata dai ricchi
mercanti reatini del Sestiere di Porta Cintia de Suptus.
Il termine Confraternita definisce quelle associazioni laicali promosse e tutelate
dalla Chiesa che si diffusero in particolare nell’età dei comuni con lo scopo di
contribuire a dare senso e significato al culto mediante opere di carità e pietà.
Queste associazioni, composte dalla borghesia emergente impegnata ad affermarsi
nell’amministrazione e nella politica cittadina in forza delle proprie risorse
finanziarie, hanno rivestito notevole importanza non solo nella cura dei membri più
deboli della società ma anche nella promozione e tutela delle arti, da sempre veicolo
privilegiato di diffusione e insegnamento dei dogmi.

63
Lo stesso San Pietro da Verona, ucciso da due sicari inviati dai catari nel comasco il
6 aprile 1252, fu promotore della formazione di numerose confraternite mariane
nelle città di Milano, Firenze e Perugia.
La sua iniziativa, grandemente apprezzata, venne imitata nelle comunità domenicane
che dopo la canonizzazione avvenuta il 9 marzo 1253 per volontà di papa Innocenzo
IV, furono dedicate al suo nome.
Completata la costruzione del chiostro del convento, ai membri della confraternita
reatina fu concesso l’utilizzo di un locale adibito ad Oratorio per poter garantire lo
svolgimento delle attività associative.
L’ampio locale, adiacente all’aula capitolare, venne reso agibile nell’arco di un
decennio e fu adornato da un maestoso portale in marmo travertino.
Come scritto da Angelo Sacchetti Sassetti 85 nel volume “Le chiese di Rieti”, la
facciata dell’Oratorio fu quasi tutta affrescata: in alto era la rappresentazione di S.
Domenico nell’atto di presentare la regola a Innocenzo III mentre in basso, sopra
l’antica porta più tardi rimurata, era un affresco attribuito a Liberato da Rieti86
raffigurante San Pietro genuflesso, con le mani giunte in preghiera, ucciso con un
fendente da un guerriero in veste rossa, gambe nude e corazza.
La prima delle due scene fu sottoposta a scialbatura mentre la seconda, consumata e
spicconata, è irrimediabilmente perduta.
L’Oratorio di San Pietro fu abbellito anche dalla mano di Antoniazzo Romano 87 che
eseguì un trittico, oggi perduto, con la rappresentazione della Resurrezione di Cristo
affiancata, sugli sportelli laterali, dalle figure di San Pietro e Santa Barbara e con
storie di San Bartolomeo sullo zoccolo.
Nonostante la fama del suo esecutore, neppure questo lavoro riuscì a soddisfare le
aspettative della confraternita e nel 1552, in occasione del terzo centenario della

85
Storico e filologo italiano, sindaco della città di Rieti dal 1946 al 1952.
86
Pittore reatino nato tra il 1404 e il 1407 e morto prima del 1465.
87
Antonio Benedetto degli Aquilii, detto Antoniazzo Romano, pittore italiano nato negli anni Trenta del Quattrocento
e morto a Roma nel 1508.

64
morte di San Pietro da Verona, il priore Giovanni Bernardino di Lone Sanizi incaricò
a proprie spese il pittore veronese Bartolomeo Torresani della realizzazione di un
affresco raffigurante il santo titolare sulla parete al fianco del portale d’ingresso.
Il protomartire, il cui supplizio viene testimoniato dal pugnale conficcato nel petto,
viene rappresentato entro la trabeazione di un finto altare a trompe-l'œil, vestito
dell’abito dei domenicani e incoronato da tre angeli che gli pongono sul capo le
corone della castità, della santità e del martirio.
L’intera composizione, che ritrae anche il committente vestito del saio del penitente
e inginocchiato in preghiera, si staglia su uno sfondo paesaggistico dai colori
sfumati.
L’affresco fu apprezzato al punto da dare vita a un’impresa di più ampio respiro che
interessò una parte cospicua dell’aula e coinvolse, oltre a Bartolomeo Torresani,
anche il fratello Lorenzo e i nipoti Alessandro e Pierfrancesco.
Sono poche le informazioni relative alla vita e alla formazione di Lorenzo e
Bartolomeo Torresani, nati sul finire del Quattrocento nel veronese, ma attivi in
particolare nell’Italia centro appenninica durante la prima metà del XVI secolo.
La loro attività pittorica, lunga ben quattro decadi, fu ampia e ben documentata in
particolare nella zona del reatino e della Sabina del tempo.
La presenza di Lorenzo, maggiore tra i due fratelli, è testimoniata per la prima volta
nel 1521 nel catino absidale della chiesa intitolata a San Paolo a Poggio Mirteto in
provincia di Rieti, mentre l’ultima traccia dell’attività dei due veronesi si trova ad
Aspra Sabina, antico nome del comune laziale di Casperia, luogo di esecuzione del
Giudizio Universale commissionato a Bartolomeo dall’arciprete Giacomo
Tomassoli nel maggio 1560.
A Rieti l’attività dei due artisti è documentata tra il 1525 e il 1528 anni in cui
realizzarono un Presepio presso la chiesa confraternale di Santa Maria del Pianto e
una tavola per la cappella di San Vincenzo Ferrer nella chiesa di San Domenico.

65
Fig. 22 – L’interno dell’Oratorio di San Pietro Martire

Nonostante la loro esperienza pittorica fosse senza dubbio minore rispetto a quella
dei grandi artisti del tempo, nell’arco di questi anni i due Torresani e la loro bottega
si fecero validi interpreti e divulgatori dei più importanti momenti dei protagonisti
della pittura tardorinascimentale.
Infatti, come tema della nuova impresa pittorica fu scelto, in accordo tra il priore
Ippolito Petrozzi e Bartolomeo Torresani, quello del Giudizio Universale sviluppato
sulla parete di fondo e ampliato sulle pareti laterali e sulla volta fino a coprire i due
terzi dell’edificio (Fig. 22).

66
Sulle quattro vele della volta (Fig. 23), elaborate secondo uno stile ancora legato alle
modalità rappresentative del medioevo, è stato rappresentato il Cristo Giudice
affiancato a destra dai santi del Vecchio Testamento, a sinistra dai santi del Nuovo
Testamento, dai patriarchi e dai profeti mentre sulla vela opposta stanno i quattro
Angeli coi simboli della Passione.
L’ampia parete di fondo è dedicata alla raffigurazione della Resurrezione della carne
e del momento in cui, una volta ricongiunte al proprio corpo, le anime dei salvati e
dei dannati si dividono (Fig. 24).

Fig. 23 – Le quattro vele della volta dell’Oratorio di San Pietro Martire.

67
Fig. 24 – La Resurrezione della carne sulla parete di fondo dell’Oratorio di San Pietro Martire.

In alto, al di sopra di una compatta coltre di nubi, una teoria di santi, riuniti intorno
alle figure di San Pietro da Verona e di San Domenico, assiste alla scena.
Tra i santi disposti attorno ai due domenicani sono chiaramente riconoscibili quelli
più cari alla devozione popolare tra cui Santa Barbara, patrona della città di Rieti
resa riconoscibile grazie alla rappresentazione della torre, San Francesco d’Assisi,
Santa Chiara, Santa Maria Maddalena, Santa Maria Rita e Sant’Antonio abate.
Rispettivamente sulla parete sinistra e destra, sono le rappresentazioni del Paradiso
e dell’Inferno che dovevano servire da monito per comprendere quali fossero nella
vita eterna gli esiti dei comportamenti tenuti nella vita terrena.
Al tema del Giudizio Universale, già noto e frequente nel medioevo, era stato fatto
abbondante ricorso anche in importanti esperienze rinascimentali come quelle di
Angelo Signorelli nel Duomo di Orvieto, di Beato Angelico e soprattutto quella di
Michelangelo nella Cappella Sistina.

68
Nell’Oratorio di San Pietro Martire, l’opera dei Torresani costituisce un autentico
compendio di brani sapientemente tratti da questi illustri precedenti al punto che
Angelo Sacchetti Sassetti, riconoscendo la somiglianza con l’opera del Signorelli,
avanzò l’ipotesi che, secondo il costume di quei tempi, il Giudizio possa esser stato
realizzato per imitazione obbedendo a un espresso ordine della committenza.
Come tutti gli artisti del tempo, anche Bartolomeo e Lorenzo Torresani furono
profondamente colpiti dal Giudizio Universale di Michelangelo, svelato nella
Cappella Sistina circa un decennio prima del loro incarico presso l’Oratorio di San
Pietro Martire.
L’opera dei Torresani risentì grandemente dell’influenza michelangiolesca che si
manifesta sia nell’adozione di forme dalla accentuata plasticità, tipiche dello stile
del Buonarroti, sia nel ricorso ad alcune iconografie del Giudizio della Sistina che
vengono replicate apertamente.
Infatti, sulla parte bassa della parete di fondo sta la rappresentazione della barca di
Caronte che traghetta le anime all’inferno, questa citazione del repertorio
dantesco viene riproposta attraverso l’elaborazione che ne era stata fatta da
Michelangelo nella Sistina.
Ecco che le anime dei dannati tentano disperatamente la fuga, vengono percosse e
trattenute forzatamente dai demoni, si tappano le orecchie per proteggersi dal suono
assordante delle trombe.
Insieme alle affinità con le varie rappresentazioni del tema del Giudizio Finale, i
Torresani hanno arricchito l’affresco reatino di numerose citazioni che fanno da
omaggio ai grandi nomi della pittura.
Sulla parete sinistra, dove sono radunate le anime dei beati, è raffigurata una donna
stante chiaramente ispirata alla celebre Fornarina di Raffaello della quale imita
l’atteggiamento, la posizione e persino l’acconciatura.

69
Fig. 25 – Il dettaglio della figura della beata ispirata alla Fornarina di Raffaello.

70
Fig. 26 – La Fornarina di Raffaello conservata nella Galleria Nazionale d’Arte Antica.

71
La presenza di questo omaggio all’opera del maestro urbinate, spinse Andrea
Pozzi88, pittore responsabile del restauro ottocentesco dell’affresco, ad attribuire
l’intera opera ad un membro non ben specificato della scuola di Raffaello.
L’incertezza sulla paternità dell’opera scomparve però all’inizio del Novecento
quando durante una ricerca d’archivio Angelo Sacchetti Sassetti trovò un documento
che attribuiva definitivamente la paternità dell’opera ai fratelli Torresani.

Fig. 27 – La figura in torsione di una delle anime risorte.

88
Pittore italiano membro dell’Accademia di San Luca (Roma 1777-1837).

72
Fig. 28 – La personificazione del Giorno realizzata da Michelangelo nella Sagrestia Nuova.

Nell’affresco reatino, oltre che nei riferimenti al Giudizio Universale, l’ammirazione


per il Buonarroti si rivolge anche al Michelangelo scultore, infatti, numerose figure
dell’affresco dei Torresani sono atteggiate in pose complesse ispirate ad alcune ben
note sculture michelangiolesche.
Nell’ardita torsione del busto di una delle figure posizionate nella parte bassa della
parete di fondo è possibile riconoscere la posizione della figura de “Il Giorno”, una
delle statue realizzate da Michelangelo per la Sagrestia Nuova nella chiesa di San
Lorenzo a Firenze.
Il tributo più esplicito all’opera di Michelangelo sta in uno dei pennacchi della volta
in cui i Torresani hanno realizzato la precisa trasposizione in pittura del Mosè, la
celeberrima scultura realizzata da Michelangelo nel 1518 e inizialmente destinata al
monumento funebre di papa Giulio II.

73
Fig. 29 – La statua del Mosè replicata in pittura sulla volta dell’Oratorio di San Pietro Martire.

74
Fig. 30 – La statua del Mosè realizzata da Michelangelo, oggi conservata nella Basilica di San Pietro in
Vincoli.

75
Nonostante sia ricco di citazioni e illustri riferimenti, l’affresco dei Torresani è
comunque caratterizzato anche da una importante dose di originalità che si rintraccia
in particolare nella rappresentazione sulla parete di fondo.
I santi, raffigurati sulla parte alta, allungano le mani, offrono alle anime lembi di
mantello e lasciano che queste si aggrappino alle corone dei Rosari e alle aste delle
croci, aiutando attivamente nell’ascesa al Regno dei Cieli coloro che li invocano
come intercessori.
Questa scelta compositiva, oltre all’originalità tematica, contribuisce ad arricchire
l’affresco di una connotazione storica poiché i Torresani si fanno interpreti del
dettato dottrinale elaborato in quegli stessi anni dai Padri Conciliari riuniti a Trento.
Grazie a questa vasta opera, costata 400 scudi, la Confraternita dei mercanti
guadagnò il prestigio e il rispetto della comunità reatina tuttavia, un ventennio più
tardi, l’intero affresco rischiò di essere distrutto.
Il 6 gennaio 1574 il Visitatore apostolico Pietro Camaiani, vescovo di Ascoli,
ispezionò l’Oratorio di San Pietro Martire e, giudicando severamente la
raffigurazione delle nudità delle anime, ordinò che l’intera pittura venisse disfatta in
ottemperanza ai decreti tridentini sulle norme figurative.
La distruzione degli affreschi fu impedita dall’intervento dei domenicani che per la
salvaguardia degli affreschi ma, si racconta, anche per liberare i religiosi dai troppo
rumorosi vicini, trasferirono la confraternita dei mercanti nell’antica chiesa di San
Matteo ad Ysclam (oggi San Pietro Martire).
L’Oratorio venne adibito ad aula di studio per i noviziati poiché l’interdetto legato
alla raffigurazione delle nudità valeva infatti per i laici ma non per i religiosi i quali,
grazie alle conoscenze di teologia, erano in grado di comprendere il profondo
significato delle immagini degli ignudi prescindendo dalla corruzione e dalle
tentazioni carnali.

76
3.4 L’ENEA per la città di Rieti, la campagna di scansione
nell’Oratorio di San Pietro Martire
Da diversi anni i laboratori ENEA sono impegnati in numerose campagne di
indagine sui beni culturali.
Grazie alle caratteristiche tecniche del laser scanner RGB-ITR è infatti possibile
compiere analisi di altissima qualità, risoluzione ed accuratezza in maniera non
invasiva e con notevole risparmio di tempo e di risorse.
La possibilità di agire da remoto e anche nelle ore notturne, dunque senza interdire
ai visitatori il sito soggetto ad analisi, costituisce un notevole vantaggio anche dal
punto di vista economico.
Nel 2009, su invito della Scuola Interforze per la Difesa Nbc, il sistema RGB-ITR
del centro di ricerche ENEA di Frascati è stato impiegato in una campagna di
scansione presso l’Oratorio di San Pietro Martire a Rieti.
Scopo principale di tale campagna era il monitoraggio dello stato conservativo della
struttura e degli affreschi tuttavia, il modello 3D risultante dalla scansione, risponde
in modo valido anche alle esigenze di valorizzazione e di fruizione del sito.

Fig. 31 – L’RGB-ITR durante la campagna di scansione presso l’Oratorio di San Pietro Martire a Rieti.

77
Fig. 32 – Il modello 3D dell’Oratorio di San Pietro Martire.

Per agire efficacemente dal punto di vista della conservazione e della manutenzione
è necessario analizzare e osservare l’oggetto da un punto di vista ravvicinato che
consenta di valutare in modo chiaro l’entità e la misura dei danni.
Nel caso dell’RGB-ITR, grazie alle possibilità di interazione offerte dal software di
elaborazione dei dati acquisiti, questo tipo di osservazione può essere condotta
manipolando le immagini tramite un computer.
Le caratteristiche delle immagini del laser scanner permettono di ottenere un livello
di zoom estremamente elevato che, senza perdita di risoluzione, consente di
osservare l’opera come se ci si trovasse a distanza ravvicinata.

78
Analizzando le immagini dell’Oratorio di San Pietro Martire, infatti, è stato possibile
rintracciare la presenza di profonde crepe frutto dei terremoti che hanno vessato la
zona del reatino.
Le informazioni strutturali contenute nelle immagini sintetiche prodotte dall’RGB-
ITR hanno permesso di conoscere l’entità, le dimensioni e altre caratteristiche delle
crepe che si snodano lungo l’affresco.
Ugualmente rilevante per la conservazione, con particolare riferimento agli
interventi di restauro, è la possibilità di pervenire a informazioni precise sulle
componenti cromatiche delle opere d’arte, compreso lo stato di conservazione dei
pigmenti.
Normalmente queste informazioni possono essere ottenute grazie all’impiego del
colorimetro, uno strumento che, misurando il grado di assorbimento di particolari
lunghezze d’onda della luce da parte di una superficie, ne determina la composizione
cromatica.
Tuttavia, agendo per contatto, ovvero a distanza ravvicinata rispetto alla superficie
analizzata e avendo a disposizione una superficie sensibile molto limitata, questo
tipo di indagine, per quanto precisa, richiede un notevole dispendio di tempo.
Diversamente, grazie all’impiego dell’RGB-ITR queste informazioni possono
essere ottenute in una sola volta analizzando i dati raccolti nella scansione
relativamente all’intera superficie.

79
Fig. 33 – Le crepe sulla parte di affresco raffigurante Cristo Giudice visibili dal modello 3D ottenuto con RGB-
ITR.

Fig. 34 – Le crepe su una delle vele della volta visibili dal modello 3D ottenuto con RGB-ITR.

80
La natura delle immagini prodotte dall’RGB-ITR è preziosa anche dal punto di vista
della fruizione e consente di attuarne in modo compiuto le modalità più innovative.
I modelli tridimensionali generati dai dati raccolti nelle scansioni rispondono
pienamente al concetto di interattività precedentemente definito.
Grazie alle loro caratteristiche e a quelle del software, all’utente è data la libertà di
manipolare il modello 3D quasi senza limitazioni, ruotandolo, ingrandendone o
diminuendone le dimensioni, cambiandone punto di vista in base alle esigenze della
fruizione o dell’analisi che si vuole effettuare.
Avere la possibilità di interagire così liberamente e approfonditamente con le
immagini vuol dire poter cambiare radicalmente il rapporto con l’opera d’arte.
Ad esempio, nel caso dell’Oratorio di San Pietro Martire, avere a disposizione un
modello 3D a colori, caratterizzato da un simile grado di nitidezza e realismo, è utile
a supplire all’impossibilità di visitare il sito.
Essendo a tutti gli effetti parte di una caserma militare, l’Oratorio non è facilmente
accessibile al pubblico, il che potrebbe compromettere definitivamente la
conoscenza di un prezioso esempio di arte tardorinascimentale nell’Italia centrale.
Invece, disporre di uno strumento che consenta una visione così precisa, accurata e
con una tale liberà di interazione, può senza dubbio influire in modo positivo sulla
diffusione e sulla valorizzazione di un oggetto artistico potendo servire da valido
supporto anche nell’ambito della didattica.
Facendo specifico riferimento alla fruizione e alla didattica, è importante considerare
come l’utilizzo di un modello 3D, con le caratteristiche sopra definite, possa
costituire un prezioso strumento per metterne in atto le modalità immersive.
Proiettando il modello su schermi 3D ad alta definizione opportunamente
posizionati, si può infatti creare un ambiente totalmente immersivo.
La costruzione di questo ambiente, unita alle possibilità di manipolazione e
interazione offerte dal software, può coinvolgere il fruitore in modo completo
modificandone radicalmente l’esperienza e lo studio dell’opera d’arte.

81
Potendo beneficiare di una tale strumentazione non è difficile immaginare gli
sviluppi potenziali sull’insegnamento della storia dell’arte.
L’ambiente costruito secondo le modalità e le strumentazioni appena definite
contribuirebbe senza dubbio ad incrementare l’attenzione e il coinvolgimento degli
studenti che potrebbero ammirare l’opera essendone completamente avvolti.
Grazie ad un simile ambiente per i discenti diverrebbe possibile approfondire,
interagendo in modo diretto ed immediato con l’opera d’arte, aspetti la cui
conoscenza sarebbe senza dubbio più complessa avendo a disposizione solamente
documentazione fotografica o visitando un sito personalmente.
Sebbene la visione dell’opera d’arte nel proprio sito di appartenenza rimanga
fondamentale e imprescindibile, poter svolgere un’analisi sistematica e dettagliata
dell’opera dal proprio computer o dall’interno di un ambiente immersivo può
rendere chiari aspetti e particolari difficilmente visibili dal vivo.
Nel caso specifico dell’Oratorio di San Pietro Martire, infatti, interagire col modello
3D ha permesso di esaminare con precisione ogni figura rappresentata e di scoprire
numerose particolarità e similitudini.
Una delle figure più interessanti si trova in uno dei pennacchi della volta, nell’angolo
in basso a destra rispetto alla figura del Cristo in Gloria.
Si tratta della figura di un santo con barba e capelli bianchi, in veste arancione e
verde, seduto tra due figure che possono essere identificate come San Paolo a
sinistra, riconoscibile oltre che dalla presenza del tomo e della spada anche dalla
fisionomia, e come Sant’Andrea a destra, identificabile grazie alla presenza della
caratteristica croce e della lunga barba.

82
Fig. 35 – Tre figure di santi su uno dei pennacchi della volta dell’Oratorio di San Pietro Martire (modello RGB-
ITR).

Fig. 36 – Il dettaglio delle tre mani della figura del santo (modello RGB-ITR).

83
In forza della presenza di San Paolo, per istinto o per semplice abitudine
iconografica, nel personaggio centrale non esiteremmo a riconoscere San Pietro,
tuttavia l’identificazione della figura non è chiara.
A seguito di una più attenta analisi, condotta grazie al modello 3D prodotto durante
la campagna di scansione del 2009, si nota infatti che la figura in questione ha tre
mani che differiscono tra di loro per la tonalità della carnagione conferitagli dal
pittore.
Una delle due mani più scure, la cui tonalità è la stessa utilizzata per il volto del
santo, tiene una grossa chiave dorata in parte cancellata o danneggiata.
La presenza di questo attributo, unita alla fisionomia del santo, alla carnagione scura
e, di nuovo, alla vicinanza con San Paolo, spingerebbe a identificare in questa
rappresentazione la figura di San Pietro.
Nonostante questi elementi l’enigmatica figura resta caratterizzata anche dalla
presenza di una terza mano che, oltre ad essere della stessa tonalità più chiara nella
quale sono stati realizzati i piedi, presenta un dito sporco di sangue.
Questo dettaglio potrebbe modificare l’identità della figura barbuta che in questo
caso non rappresenterebbe San Pietro ma San Tommaso, identificato dalla macchia
di sangue sul dito che il santo infilò nel costato di Gesù.
Questo è solo uno dei tanti e interessanti dettagli che possono essere analizzati in
modo ravvicinato e approfondito grazie all’uso della tecnologia senza la quale,
considerando l’altezza alla quale si trovano, potrebbero non essere visti.
Navigando all’interno del modello è possibile anche scoprire le numerose citazioni
e riferimenti iconografici che i Torresani hanno sparso lungo tutto l’affresco in
omaggio alla pittura e alle opere dei grandi maestri.
Unitamente agli aspetti immersivi e interattivi, il ricorso a un modello 3D ottenuto
grazie alle immagini di sintesi prodotte dall’RGB-ITR può sviluppare
compiutamente la dimensione esperienziale dell’opera d’arte che si concretizza
nell’unione di tutti gli aspetti conoscitivi sopra illustrati.

84
Poter compiere l’esperienza performativa di un’opera vuol dire avere la possibilità
di interagire senza vincoli con la stessa potendo manipolarla, approfondirne punti di
interesse, e comprenderla dei suoi molteplici aspetti.
Come per il caso dell’affresco dei fratelli Torresani, diventa possibile riconoscere i
riferimenti ad altre opere e le caratteristiche o i dettagli che collegano l’opera al
contesto storico, artistico e culturale in cui è stata prodotta.
Diventa persino possibile, grazie allo zoom, calarsi nei panni dell’autore di un’opera
e vederla alla stessa distanza alla quale stava il suo esecutore o immaginare infinite
altre situazioni o condizioni di fruizione.
Si può infatti pensare di intervenire sul modello alterandone le cromie per simulare
una visione notturna, crepuscolare o a lume di candela, come era uso osservare le
opere d’arte in passato, il tutto all’interno di un ambiente immersivo totalmente
coinvolgente.
Nonostante nulla possa sostituire o eguagliare il valore dell’osservazione e dello
studio diretto sulle opere d’arte, non si può non riconoscere che la tecnologia, con
particolare riferimento alle modalità e agli strumenti cui si è fatto riferimento,
costituisca un valido alleato per la storia dell’arte sotto tutti i punti di vista.
Sono ormai ben note le possibilità che la tecnologia offre nel campo della
conservazione, della tutela e del restauro ma altrettanto fondamentali e non
trascurabili sono le potenzialità degli sviluppi tecnologici in ambito della fruizione,
della valorizzazione e della didattica.
Nella nostra epoca, in cui la tecnologia influenza ogni aspetto della vita, la storia
dell’arte non può restarne separata rischiando di essere compromessa.
È infatti importante instaurare un dialogo virtuoso tra questi due ambiti del sapere
apparentemente tanto diversi in modo da poter raggiungere efficacemente un
pubblico ormai ben lontano dai tradizionali veicoli della conoscenza.

85
CONCLUSIONI

Lo spettacolo immersivo Giudizio Universale, Michelangelo and the secrets of the


Sistine Chapel, nonostante abbia attirato su di sé feroci critiche, è stato il veicolo
principale della riflessione che questo lavoro ha avuto lo scopo di formulare.
Lo spettacolare esperimento condotto da Marco Balich ha coniugato il racconto di
un capolavoro d’arte e le forme comunicative tipiche del mondo dello spettacolo,
riuscendo ad attirare un pubblico vasto e variegato.
L’entusiastica risposta del pubblico a questo spettacolo, che ha unito in sé arte,
tecnologia e intrattenimento, ha ispirato l’analisi e lo studio più approfondito
dell’interazione tra arte e tecnologia, con particolare riferimento alla fruizione e alla
valorizzazione dell’arte.
Nonostante Giudizio Universale abbia incontrato l’avversione di molti critici, è stato
un interessante oggetto di studio dalla cui analisi sono nate l’elaborazione e la
definizione di quelle che potrebbero validamente costituire le nuove modalità di
fruizione dell’arte e di diffusione della cultura storico artistica.
La fortuna dello spettacolo di Balich, a dispetto della semplicità dei contenuti, è
derivata dal fatto che, grazie ad un complesso meccanismo nato dalla commistione
di arte, tecnologia, musica, danza e grandi nomi del mondo dello spettacolo, il
pubblico è stato completamente coinvolto sia dal punto di vista emotivo che dal
punto di vista visivo.
Molto abilmente il direttore artistico dello spettacolo sulla Sistina ha scelto di andare
incontro alle esigenze di un pubblico ormai sempre più abituato a zoom vertiginosi,
a immagini in movimento e alla possibilità di ottenere informazioni su un
determinato contenuto in modo rapido e coinvolgente ma senza sforzo. Insieme a
Giudizio Universale sono state numerose le esperienze in cui anche musei e gallerie
hanno utilizzato un approccio nuovo per diffondere e valorizzare contenuti artistici.

86
A titolo d’esempio sono stati citati i casi della Klimt Experience, della Caravaggio
Experience e del ben noto Van Gogh Alive, altro evento di fama mondiale che ha
riscontrato un enorme livello di gradimento.
Punto di forza di queste mostre multimediali, che continuano a replicarsi con
successo, è stato saper comunicare l’arte unendola ai nuovi strumenti e alle nuove
modalità di diffusione del sapere.
È chiaro, infatti, come la diffusione dei personal computer, del web e degli
smartphone, abbia cambiato radicalmente il nostro modo di approcciarci al sapere e
di costruire la nostra cultura.
Nonostante questi strumenti siano preziosi e possano, se usati correttamente,
contribuire in maniera rilevante al miglioramento della nostra vita, un errore comune
è quello di credere che il web e la tecnologia possano, da soli, soddisfare
efficacemente il nostro fabbisogno di cultura evitando di passare per i mezzi
tradizionali del sapere.
In verità, ciò che questo lavoro ha inteso proporre è un connubio virtuoso, un dialogo
aperto fra tradizione e innovazione, fra scienziati e umanisti, tra arte e tecnologia.
Con lo specifico intento di suscitare l’interesse di un pubblico ormai avvezzo alle
nuove forme e ai nuovi strumenti comunicativi, in particolare pensiamo ai più
giovani - i cosiddetti post millennials o generazione Z - appare necessario modificare
la didattica, il modo di fare ricerca, il modo di comunicare e fruire l’arte.
Ed ecco che, per evitare che la storia dell’arte e l’arte stessa, da sempre legate a
esigenze connaturate all’essere umano, sprofondino nell’oblio, si va incontro a un
rinnovamento che si concretizza in concetti nuovi come quello di «immersività», di
«performatività», di «interattività».
Uno degli obiettivi principali di questo lavoro è stato definire in maniera chiara,
partendo dal significato delle parole che li identificano, questi concetti il cui utilizzo,
per quanto usuale nella vita moderna, è spesso arbitrario e poco coscienzioso.

87
Avendone chiaro il significato, per renderne più esplicite le potenzialità nel campo
della fruizione dell’arte e dell’insegnamento della storia dell’arte, questi concetti
sono stati applicati ad un caso di studio ben specifico: l’affresco dei fratelli Torresani
nell’Oratorio di San Pietro Martire a Rieti.
Questo piccolo quanto prezioso esempio di arte tardorinascimentale del centro Italia
è stato oggetto di una campagna di scansione condotta dai laboratori del centro di
ricerche ENEA di Frascati.
In questa occasione, grazie all’utilizzo del laser scanner RGB-ITR, le cui
caratteristiche e qualità sono state descritte all’interno di questo lavoro, è stato
prodotto un modello 3D a colori ad alta risoluzione le cui peculiarità di realismo e
nitidezza consentono una manipolazione e una analisi pressoché illimitate.
Facendo specifico riferimento all’Oratorio di San Pietro Martire, è stato illustrato
come avvalersi di un simile strumento offra la possibilità di osservare e studiare
l’opera in modo interattivo riuscendo a coglierne aspetti e sfumature che vanno oltre
la pura visibilità.
Esaminando il sito reatino grazie al modello 3D, anche l’immersività, l’interattività
e la performatività sono state definite mettendone in evidenza i potenziali risvolti
pratici e la versatilità.
Infatti, questi concetti, nati dall’evoluzione tecnologica che ha caratterizzato il
nostro tempo, hanno grandi potenzialità e possono considerarsi validi alleati della
storia dell’arte non solo dal punto di vista della fruizione ma anche in riferimento
alla valorizzazione e alla didattica.
Questo lavoro di tesi, svolto in stretta collaborazione con i laboratori ENEA, ha
mirato a chiarire e spiegare come l’uso sapiente e consapevole della tecnologia possa
effettivamente costituire uno slancio verso il futuro, verso una nuova forma di
conoscenza e comunicazione che incontri il pubblico senza scadere nel mero
intrattenimento ma elevandone e ampliandone il livello di conoscenza e
consapevolezza grazie ai mezzi tipici della nostra contemporaneità.

88
RINGRAZIAMENTI

Desidero innanzitutto ringraziare il mio relatore, il professor Carmelo Occhipinti, la


cui vivacità intellettuale è stata una grande ispirazione.
Un affettuoso ringraziamento va al professor Giorgio Fornetti che è stato per me un
prezioso mentore, una inesauribile fonte di sapere e una solida guida dal punto di
vista intellettuale e umano.
Grazie al dottor Massimo Francucci, tutor attento e meticoloso, che dall’inizio alla
fine ha curato con devozione questo lavoro fino al più piccolo dettaglio.
Un doveroso ringraziamento va alla dottoressa Ileana Tozzi per il suo gentilissimo
e indispensabile contributo.
Con sincera simpatia ringrazio anche il dottor Raffaele Boiano per i suoi generosi e
utilissimi suggerimenti.
Grazie ad Angela, dolcissima e cara amica, per non avermi mai fatto mancare il suo
supporto, nonostante la distanza che ci divide.
Con grandissimo affetto ringrazio Jacopo per essere stato, come sempre, una
presenza costante nella mia vita.
Spero che questo lavoro possa ricordarti che, nonostante gli errori che si
commettono, l’unica cosa che conta è andare avanti.
Un sincero ringraziamento va anche a Luciano, ad Antonella e a Leonardo per
avermi fatto sentire parte della loro famiglia e per avermi sempre sostenuto con
grande affetto.
Col cuore pieno di gioia ringrazio Adriano, il più tenero dei fratelli, che mi ha
insegnato la dignità e il rispetto di me stessa e che, per quanto lontano, resta e resterà
sempre al mio fianco.
Ringrazio tutta la mia meravigliosa famiglia, i miei zii e i miei cugini per avermi
accompagnata con l’affetto di sempre anche lungo questo percorso.

89
Nonostante le diversità, l’affetto che ci unisce è profondo e sincero e di questo non
posso che essere grata a tutti voi.
Anche se sono troppo piccini per comprenderlo, voglio ringraziare soprattutto i miei
nipoti Manuel e Cloe perché, senza saperlo, con le loro piccole mani spesso mi hanno
aiutata a portare i miei fardelli.
Dedico questo lavoro anche a loro sperando che, qualunque cosa scelgano per il loro
futuro, possa aiutarli a comprendere il valore dell’impegno e del coraggio.
Il più caro e commosso dei ringraziamenti va ai miei genitori che mai, nonostante
tutto, hanno mancato di credere in me e nelle mie capacità.
Tutto questo è anche per voi, per il vostro amore e la vostra infinita forza con la
speranza che oggi possiate essere orgogliosi e con la promessa che questo sarà solo
l’inizio.
Infine, con profondissimo amore, ringrazio Gabriele per essere stato il più grande
esempio di coraggio e perseveranza, per aver creduto in me con incrollabile fiducia
e per avermi dato il suo meglio anche quando non l’avrei meritato.
Grazie, amore mio, per aver fatto di me la persona che non avevo mai avuto il
coraggio di essere.

22 maggio 2019

90
APPENDICE

91
ANTOLOGIA

Questo piccolo florilegio raccoglie la versione completa degli articoli di giornale e


delle interviste precedentemente citati solo in parte.
Gli articoli, pubblicati da illustri testate giornalistiche, sono stati riportati per intero
con l’intento di aiutare il lettore a comprendere in modo più esaustivo il punto di
vista della critica sullo spettacolo di Marco Balich e, più generalmente,
sull’interazione fra arte e tecnologia nell’ambito della fruizione e della
musealizzazione.
Lo scenario in cui dobbiamo calarci è quello degli ultimi anni che vede un dilagante
successo di mostre immersive ed experience, eventi che hanno fatto ricorso alla
tecnologia, all’interattività e alla multimedialità, per comunicare in modo nuovo i
contenuti artistici.
Grazie all’utilizzo della tecnologia, queste esperienze hanno in parte modificato i
paradigmi della comunicazione e della diffusione della cultura adeguandosi ai nuovi
strumenti comunicativi con l’intenzione di incontrare le esigenze e i gusti del grande
pubblico.
Lo spettacolo Giudizio Universale, Michelangelo and the secrets of the Sistine
Chapel, nato dalla commistione tra arte, teatro e tecnologia, è il più grandioso di
questi eventi e, insieme al grande successo, ha attratto su di sé anche l’attenzione
della critica.
Quello che viene raccolto in questa sede è il punto di vista di una critica in parte
composta da insigni esperti di arte, ed in parte composta da reporter e persone
variamente impiegate nel mondo della comunicazione, dei media, della museologia
e della diffusione della cultura.
Come tutti i cambiamenti anche questa recente unione tra contenuti artistici e
tecnologia, dalla quale nascono nuove modalità di fruizione e comunicazione, attira
su di sé i pareri più diversi e divide il pubblico e la critica tra sostenitori detrattori.
Dunque, ciò che questa raccolta di brani e interviste intende offrire sono i mezzi
tramite i quali riuscire a formulare un proprio giudizio su questa tanto attuale quanto
discussa tematica.

92
Tomaso Montanari Ma davvero ai capolavori serve il viagra? ‹‹Venerdì di
Repubblica››, 16 febbraio 2018
«Art meets entertainment»: l’arte incontra l’intrattenimento fino a fondersi
nell’«Artainment».
È questa l’esplicita prospettiva dell’attuale stagione di spettacoli digitali,
multimediali, immersivi dedicati all’archeologia e all’arte figurativa.
In pratica, una sorta di riedizione supertecnologica di «son et lumière» applicata
all’arte figurativa.
Le caratteristiche fondamentali sono l’uso massiccio di ingrandimenti, animazioni
delle singole figure e dettagli, enfatici commenti musicali. Lo scopo è quello di
«lasciare il pubblico senza fiato», di annegarlo in un oceano di percezioni ed
emozioni.
La prima reazione è indotta proprio dalla suadente etichetta commerciale:
Artainment ed è una domanda: cosa manca all’arte per essere (anche)
intrattenimento? In altri termini: abbiamo davvero bisogno di queste protesi, di
questa specie di viagra percettivo, per trovare ‘spettacolari’ Michelangelo o il
Colosseo? Cosa penseremmo se ci proponessero un «Sextainment» o un
«Foodtainment»? Se ci fosse offerto, cioè, uno spettacolo multimediale e immersivo
che si propone di immergerci nell’esperienza del sesso o del cibo?
Una delle reazioni possibili sarebbe proprio quella: che cosa manca al sesso reale o
al cibo reale per essere spettacolari? Abbiamo davvero bisogno di questa macchina?
Il dubbio è che tutto questo si basi su una sfiducia di fondo, e forse anche su una
esperienza infelice e frustrante: cioè sulla tacita convinzione che in fondo
Michelangelo non riesca più a muovere le profondità dell’anima degli uomini
moderni. I suoi contemporanei sapevano che lo scopo dell’arte figurativa era triplice:
«docere, delectare, movere». Insegnare, dilettare e scuotere l’anima: oggi ne siamo
ancora convinti?
D’altra parte, il fatto che la formula «Artainment» sia declinata al passato (cioè sia
rivolta ai sommi artisti della storia, e non all’arte di oggi) rivela un altro lato del
problema: che è quello della mancanza di contenuti attuali e originali con cui
‘riempire’ le meravigliose tecnologie immersive. Seneca diceva che nessun vento è
favorevole se non sai dove andare: l’impressione è che questo valga anche per i
creatori di questi meravigliosi strumenti. Perché la domanda è: non sarebbe meglio
lasciar stare Michelangelo (o Caravaggio o Klimt) e dedicarsi invece a produrre
nuove immagini, nuova arte, nuova cultura? Se questi mezzi tecnici fossero messi in

93
mano a grandi artisti di oggi non potrebbero forse produrre una vera arte di massa
originale (paragonabile, negli effetti, alle feste barocche in cui Bernini inondava le
piazze di Roma di statue effimere e fuochi d’artificio)? Davvero dobbiamo
rassegnarci a usare i contenuti dal passato, peraltro rischiando di stravolgerli?
Non è dunque possibile un virtuoso colloquio tra seduzione sensoriale digitale e arte
del passato? Io non lo credo. Ma quell’amicizia è possibile se non si traduce in
prevaricazione, o in un tradimento. Cioè se la tecnologia aiuta a intensificare
(avrebbe potuto dire Bernard Berenson) la nostra conoscenza dell’arte, e non a
stravolgerla. Ci sono casi estremi in cui una riproduzione ipertecnologica di un
originale inaccessibile o perduto può essere vitale. E questo vale per la ricostruzione
filologica di parti mancanti di monumenti, o per la restituzione delle sue varie fasi
storiche (un esempio riuscito è ciò che si è fatto a Santa Maria Antiqua), ma anche
per ipotesi più estreme.
Prendiamo proprio il caso della Cappella Sistina: visitarla è oggi un’esperienza
umiliante. I numeri dei visitatori ammessi nei Musei Vaticani la rende simile ad un
concerto in uno stadio o ad un sabato all’ipermercato, e le voci dei custodi che ogni
cinque minuti invitano perentoriamente al silenzio violano proprio quella sacralità
che vorrebbero difendere. La soluzione è evidentemente un diverso governo degli
accessi, ma una riproduzione virtuale della Cappella in scala reale a Tokyo o a Los
Angeles potrebbe avere un senso. Come ne ha ogni tentativo di aumentare la
conoscenza e l’esperienza dell’arte (e non di diminuirla, o sostituirla con
qualcos’altro): purché ci ricordiamo che un’opera è come una persona viva. E che
dunque nulla, ma proprio nulla, è più spettacolare che condividere lo stesso spazio
reale, guardandosi negli occhi.

94
Francesco Bonami, Il Giudizio Universale di Balich, buoni propositi e risultato
disastroso, ‹‹La Stampa››, 18 febbraio, 2018
Da dove si può iniziare dovendo descrivere Giudizio Universale: Michelangelo e i
segreti della Cappella Sistina, il progetto di Marco Balich prodotto da Artainment?
Iniziamo dal dire cosa non è. Non è uno spettacolo teatrale, non è un' opera lirica,
non è un' opera d' arte né un' installazione video tipo Bill Viola, non è uno spettacolo
di danza né classica né contemporanea, non è un programma né di Piero né di
Alberto Angela, non è il Cirque du Soleil, non è nemmeno un videogame perché
questo presume un coinvolgimento attivo di chi gioca, mentre qui lo spettatore è
coinvolto anzi travolto solo passivamente. Cosa è allora?
È il tentativo disastroso - spero per chi lo ha immaginato non fallimentare, visto lo
sforzo economico che deve essere stato fatto - di essere tutto quello che ho detto
sopra senza mai avvicinarsi alla qualità dei migliori esempi delle varie categorie
tecniche e creative. Artainment si presenta come una società che vuole mescolare e
intrecciare, lo dice il nome un po' storpiato, arte e entertainment, intrattenimento.
Purtroppo il risultato è la dimostrazione che nessuno dei soggetti coinvolti nella
creazione di questo innominabile progetto (perché non è possibile oggettivamente
dargli un nome) sa maneggiare con cautela e sapienza né la storia dell'arte né la storia
dell'intrattenimento. Basta pensare al film animato Fantasia di Walt Disney, creato
nel 1940. Rispetto a quello che ho visto all' Auditorium della Conciliazione l'altra
sera è davvero come la Cappella Sistina a confronto dell'opera di un madonnaro
qualsiasi fatta sul selciato di una piazza romana.
L' obiettivo di Balich e dei suoi collaboratori era quello di creare a due passi dalla
vera Cappella Sistina qualcosa di paragonabile ai musical che si vedono a Londra,
tipo I miserabili, o a Broadway, tipo Il Re Leone. Per farlo, anziché affidarsi a sé
stessi, avrebbero dovuto chiamare qualcuno in grado di costruire un vero musical.
Che so, uno del livello di Peter Shaffer, colui che scrisse nel 1979 il meraviglioso e
realmente popolare musical Amadeus sulla vita di Mozart, uno spettacolo
godibilissimo e veramente educativo per un pubblico che di Mozart e della sua
musica sapeva magari nulla o poco - cosa che Artainment nonostante i buoni
propositi e le spropositate ambizioni non riesce nemmeno lontanamente a fare. Poco
importa se questa operazione ha avuto il marchio di garanzia dei Musei Vaticani,
non basta solo il simbolo del Gallo nero a far diventare un Chianti buono.

95
Quello che sorprende e lascia perplessi è il fatto che Marco Balich è nel suo campo,
le cerimonie inaugurali dei Giochi olimpici, uno dei migliori se non il migliore.
Non si capisce allora perché abbia voluto infilarsi in un vicolo cieco come questo
dell'arte e dell'intrattenimento confrontandosi con giganti che, appunto, da quasi un
secolo hanno creato opere eccezionali.
È come se Jean-Luc Godard si fosse messo in testa di fare la regia dell'inaugurazione
di un’Olimpiade, Riccardo Muti di fare il direttore non di un’orchestra ma di un
gruppo rock o Giorgio Armani di sfidare Federer a tennis.
Nel tentativo di far diventare a tutti i costi uno spettacolo un capolavoro della storia
dell’arte, con l’illusione che un delirio tecnologico potesse fare il miracolo, Balich
e Artainment sono riusciti a centrare l’obiettivo opposto, tirar fuori l’aspetto più
noioso dell’arte dilatando l'esperienza in un'ora che sembrava non finire mai e
trasformare il vero intrattenimento in uno spettacolo pirotecnico mal riuscito.
Può darsi che la consolazione arriverà con un successo di pubblico. Considerare però
il pubblico anche non specializzato incapace di giudicare con i propri occhi ciò che
vede potrebbe rivelarsi un terribile e arrogante errore.
Se alla cerimonia di un'Olimpiade l'insieme per gli spettatori ha la meglio sui
dettagli, nell' arte la forza e la qualità del dettaglio può trascinare all' inferno tutto
l'insieme.

96
Elisabetta Povoledo, Bringing the Sistine Chapel to life, with the Vatican’s
blessing, ‹‹The New York Times››, 15 marzo 2018
The music swelled, heavenly clouds began to fade and impossibly bright rays of
light began to cut through the theater.
And then it stopped.
The spectacle’s artistic director, Marco Balich, waited patiently. “What’s going on?”
he asked his creative producer.
“Power outage,” responded the producer, Stefania Opipari. Later, she explained that
it was the first time that all of the lasers, projectors and special effects of the
multimedia production, “Universal Judgment: Michelangelo and the Secrets of the
Sistine Chapel,” had been turned on at the same time. “It was a minor problem,” she
said. “We fixed it.”
The debut of “Universal Judgment” was just over a week away, but if Mr. Balich,
who is also the show’s producer, was nervous, you’d never have known it.
He has a lot at stake on the production, which is set to debut on March 15. He has
booked the capital’s former symphony hall for at least a year. If it’s successful, it
would become Rome’s first permanent theatrical production along the lines of
Broadway in New York or the West End in London.
The Vatican has approved the project, on the condition that it would respect the
artistic, religious and spiritual values that the Sistine Chapel embodies. Mr. Balich
has to live up to that promise.
The Vatican Museums, which house the Sistine Chapel, provided high-definition
digital reproductions of the frescoes in the hall at a reduced rate because they
acknowledged the educational value of the project. Experts from the museum
consulted on historical and other questions. “This I liked, because it showed that
they were serious,” said Barbara Jatta, the director of the Vatican Museums. At the
same time, Mr. Balich had to create something that will enchant Romans (who,
surrounded by beauty, are reluctant to pay for it), tourists, cardinals and teenagers.
He’s got a private investment of 9 million euros, or around $11 million, and years
of planning riding on it.
Mr. Balich also has to convince Italy’s traditionally skeptical art conservators that
he’s not out to circumvent visits to the real chapel with a glitzy concoction that
includes theater, ballet and many, many bells and whistles. “Italy has all these very
conservative art critics, and they are against the idea of ‘spettacolarizzazione,’” he
said, using an Italian expression for putting on a big show.

97
“They hate that word; I love that word,” Mr. Balich said. “When they say ‘Oh but
we don’t want to make a Disney kind of thing,’ I say, ‘But Disney was a genius —
what’s wrong with that?’”
One of Italy’s most respected cultural critics, Tomaso Montanari, described the over-
the-top effects as “visual Viagra,” wondering outright whether they were “more of
a mirror of the present than a means to better understand the past.”
“It’s like all the buzz over virtual sex — but what’s wrong with the real thing?” said
Mr. Montanari, who teaches art history at the University of Naples. “It’s based on
the notion that Michelangelo no longer speaks to modern sensibilities.”
The Vatican followed the process step by step. While it did not interfere with the
creative aspects of the production, Vatican officials kept tabs to make sure that the
show’s content and references were historically accurate and did not stray too far
from the righteous path.
“We have been very, very, very obedient and careful and precise because that was
our insurance policy. To have them on board was to be sure that everything will be
exact and appropriate,” Mr. Balich said of the Vatican’s support during a break in
the rehearsal. “Obviously this comes with a price,” he said conceding that if he’d
had his way, he would have “probably added more special effects.”
The musical merger between the Vatican Museums, the keepers of one of the
greatest artistic troves of humanity, and Mr. Balich, best known as the designer of
over-the-top spectacles — among them the closing ceremony of the Sochi
Olympics in 2014, both ceremonies for the Turin Games in 2006 and the 550th
anniversary celebration of Kazakhstan — wasn’t an obvious match.
Pope Francis is known for his casual, avuncular style, but the Vatican is not
accustomed to sharing top billing with Sting, who wrote the main theme of the show,
as they do on the playbill.
But Mr. Balich believes that his past experience with the Olympics played in his
favor.
“The Vatican understood that our work is always celebrating values,” he said. “In
the Olympics, you don’t go in with a cynical approach.”
Mr. Balich said he wanted “to put the grammar of the big Olympics at the service of
the Sistine Chapel, which is one of the milestones of humanity.” The Vatican, he
added, understood “that we were well intentioned.”
It took some time. Mr. Balich first began discussing his idea with the Vatican in
2015.

98
He laughed when it was pointed out that it took Michelangelo four years to paint the
Sistine Chapel’s ceiling, between 1508 and 1512, about the same time as it took to
complete the project.
The Roman Catholic Church has a long history of embracing technological
advancements, however. The Vatican was at the forefront of astronomical
research for centuries.
Pope Pius XI championed Guglielmo Marconi to establish Vatican Radio in 1931.
Several popes were intrigued by photography in its nascent years, and Leo XIII was
the first pope to be filmed giving a blessing in 1896.
Leo XIII “understood that through the camera, he was blessing the audience. A pope
who was confined reached the world through the new medium,” said the Rev. Dario
Edoardo Viganò, the prelate responsible for the Vatican’s communications division,
which approved Mr. Balich’s project. With the show, the Vatican is embracing a
language that appeals to young generations, Father Viganò said.
The hourlong performance does not seek to evangelize, Mr. Balich said, adding,
“The Vatican never suggested it should.” Instead, the production is more like a
meditation on Michelangelo’s relationship with his creation, and on creation in
general. “It’s about capturing the spirit between the artist and his masterpiece,” said
Lulu Helbek, the co-director of the show.
“We can’t do anything bigger than Michelangelo, it’s like committing a sin to
suggest that,” added Fotis Nikolaou, the show’s choreographer, and another
Olympics alumnus. “We’re dialoguing with this masterpiece in the new forms of art,
video, dance, theater. It’s like saying thank you to a masterpiece like the Sistine
Chapel.”
As most sightseers to the real Sistine Chapel know, the visit isn’t always edifying.
The hall, though large, is almost always packed, and even though silence is
mandatory it can be noisy experience. Ensuring that visitors have a positive
experience there “is constantly on my mind,” said Ms. Jatta, the Vatican director —
and a problem that still has to be resolved.
Last week, Ms. Jatta saw a rehearsal of the “Universal Judgment” and gave it a
thumbs up. “It’s a delicate way to tell a beautiful story of faith, art and history,” she
said. “And it’s a way of communicating the Sistine Chapel in a way that many
generations can understand.”
Asked whether she thought it could replace going to see the real thing, she blinked.
“No, sorry,” she said, and smiled.

99
Michele Gravino, Sistina Experience, ‹‹Venerdì di Repubblica››, 13 febbraio
2018
C’è un’astronave da nove milioni di euro, un oggetto teatrale non identificato, che
sta per atterrare al centro di Roma e del mondo un po’ asfittico dello spettacolo
italiano. Non è un musical, anche se a curare le musiche è John Metcalfe,
arrangiatore di star come U2 e Coldplay, e il tema principale è scritto e cantato da
Sting. Non è prosa, anche se a recitare i dialoghi c’è la voce fuori campo di un
Pierfrancesco Favino. Non è danza acrobatica in stile Cirque du Soleil, malgrado le
evoluzioni dei ballerini-attori e l’impiego di imponenti macchine sceniche. E non è
cinema, anche se vanta un sistema di proiezione con effetti speciali su schermi a 270
gradi che promette di avvolgere il pubblico e scaraventarlo nell’azione.
Vuol essere tutto questo, e all’ennesima potenza, “Giudizio Universale.
Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel.”, come recita il titolo,
opportunamente bilingue, sui manifesti che in tutta Roma annunciano il debutto per
il 15 marzo. E sotto: “Uno show di Marco Balich”. Già, perché il nome di questo
cinquantacinquenne veneziano – ex schermidore, ex organizzatore di concerti, ex
produttore tv – è ormai un brand: garanzia di spettacoli avvolgenti ammalianti,
incalzanti, bombardamenti di luci e di musiche, giochi d’acqua e di fuoco,
mongolfiere, barche volanti, cavalli, cammelli, e soprattutto centinaia di persone in
scena (“coordinarli tutti per la coreografia è difficile, ma anche farsi confezionare
10 mila paia di scarpe non è uno scherzo”). La sua specialità sono le cerimonie
olimpiche (Torino 2006 e Rio 2016, “e siamo in corsa per Tokyo 2020”), ma anche
feste nazionali in Messico, inaugurazioni in Turkmenistan, matrimoni di miliardari
indiani in Puglia. Nelle sue varie ramificazioni (ha appena aperto una sede a Dubai,
strategica per coprire Asia e Medio Oriente) l’impero Balich fattura 100 milioni di
euro l’anno e impiega intorno a 150 persone (“solo in ufficio a Milano abbiamo
contato 22 passaporti diversi”).
A Roma però l’impero sbarca con qualcosa di (quasi) completamente diverso: non
una kermesse in uno stadio, ma un “viaggio sensoriale e immersivo” a teatro, non
un gigantesco evento una tantum, ma uno show “a lunga tenitura”, che punta a
restare anni in cartellone e a staccare centinaia di migliaia di biglietti: a un mese
dalla prima le prenotazioni hanno già superato le 35mila. “Ci siamo detti: se vai a
Broadway o nel West End di Londra sei sicuro di trovare Il Fantasma
dell’Opera o Il Re Leone che stanno lì da decenni” spiega Balich nella sala prove
supersegreta allestita in un padiglione abbandonato dall’ex area Expo di Milano,

100
mentre un braccio meccanico solleva un barbutissimo Michelangelo verso il cielo e
una macchina del vento scompiglia le vesti delle vittime del Diluvio Universale.
“A Roma dove ogni anno 16 milioni di persone trascorrono almeno due notti, niente
del genere, nessuno show fisso. Neanche più il cabaret romanesco, ora che è venuto
a mancare il povero Lando Fiorini… E allora arriviamo noi, un po’ sognatori e
idealisti. Ci è sembrato anche che la città si meritasse una scossa, una pacca sulla
spalla in un periodo difficilotto”.
Quindi questo Giudizio Universale sarà una macchina acchiappaturisti? Macchè
giura Balich. E scordatevi i paragoni con Nerone, il musical in toga e calzari allestito
l’estate scorsa con fondi pubblici in cima al palatino e sbaraccato con ignominia
dopo poche repliche (ne parla Filippo Ceccarelli tra qualche pagina). Lui di
sovvenzioni non ne ha chieste, produce con una nuova società, Balich Artainment,
e l’aiuto di un gruppetto di sponsor e investitori. “Facendo show molto ricchi
abbiamo accesso alle migliori professionalità esistenti”: non solo Sting (come ha
fatto a reclutarlo? “Beh, lui e soprattutto la moglie Trudie sono grandi fan di papa
Francesco”), ma anche Fotis Nikolaou, il coreografo delle Olimpiadi di Atene. La
co-regista Lulu Helbek, giovane italo-danese che con Balich collabora da sempre.
Gli scenografi della Stufish, che hanno allestito i palchi di Rolling Stones, Queen,
Madonna, e la grande mostra sui Pink Floyd attualmente a Roma. “Le migliori luci,
i migliori proiettori, i migliori effetti laser, i migliori creatori di animazioni digitali
per videogiochi”.
Ma il punto di forza, naturalmente, sono i protagonisti: Michelangelo, rock-star
globale dell’arte oggi come 500 anni fa, e la sua creazione più celebre, la Cappella
Sistina. “Un totem della nostra cultura, un luogo che rappresenta le nostre radici più
profonde, da raccontare con le tecnologie più avanzate”, spiega il regista Gabriele
Vacis, che ha curato la supervisione teatrale. E così, grazie agli schermi avvolgenti,
il pubblico potrà immergersi negli affreschi della volta e della parete del Giudizio.
Che prendereanno anche vita, con “leggere”, rispettosissime animazioni: si vedrà
Dio che disegna i cerchi del Sole e della Luna o i beati che ascendono al cielo al
suono dei gorgheggi in latino del Dies Irae stinghiano. La narrazione videoproiettata
si fonderà con il movimento dei danzatori, impegnati a replicare le straordinarie
posture e torsioni dei corpi michelangioleschi.
E ancora: la creazione di Adamo, Eva e il serpente, l’espulsione dall’Eden; il
Diluvio, con tuoni e fulmini da far accapponare la pelle in platea; Michelangelo
davanti a un blocco di marmo che si anima a mostrare come compito dell’artista sia
trovare la bellezza levando “il soverchio”; Giulo II che per convincere l’artista ad

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affrescare la Sistina gli descrive la nuova Roma rinascimentale, mentre sugli schermi
appare una ricostruzione a volo d’uccello della città, dal Colosseo circondato di
campi fino alla fabbrica di San Pietro; la teatralissima cerimonia del Conclave, con
la processione dei cardinali, le votazioni, la fumata bianca, l’affaccio sulla piazza
gremita… Il tutto con la benedizione, anzi più laicamente la consulenza scientifica,
dei Musei Vaticani. Che hanno fornito – a prezzi calmierati “per l’evidente finalità
educativa” – le immagini ad alta definizione degli affreschi della Sistina; e che hanno
approvato ogni dettaglio della coreografia, ogni riga dei dialoghi, ogni pixel delle
ricostruzioni digitali.
Appartiene al Vaticano – anche se è oggetto a un’altra amministrazione – anche la
sala, l’Auditorium della Conciliazione, che strategicamente dista poco più di un
chilometro dalla Cappella “vera”. Le trattative sono durate sei anni, ma oggi Barbara
Jatta, direttore dei Musei, si dice felice del risultato. “È un bellissimo modo di
coniugare tradizione e innovazione, di fruire della storia dell’arte, della scienza,
affrontando i temi della fede… In fondo Balich è un po’ come quegli architetti
barocchi che allestivano spettacolari feste religiose, suscitando stupore ed emozione
ma anche afflato mistico”.
Ogni anno la Sistina viene visitata da sei milioni di persone, fino a 25mila nei giorni
di punta; all’interno le guide non possono spiegare, i turisti si trattengono al massimo
per qualche decina di minuti: lo show può essere un’alternativa alla visita? “Certo
che no, ma può essere un arricchimento per chi vuole saperne di più”. Il Santo Padre
è a conoscenza dell’operazione? “Possiamo presupporre che ne sia informato”.
Spettacolarizzazione dell’arte: Balich non ha paura di questo termine, anzi lo
rivendica. Inserendosi in un filone che, man mano che le tecnologie si fanno più
avanzate e disponibili, finisce per toccare anche i luoghi stessi dell’arte e della storia,
che qualcuno vorrebbe inviolabili e sacralizzati. Sempre a Roma è diventato un
appuntamento fisso delle serate estive il Viaggio nei Fiori ideato da Piero Angela e
Paco Lanciano: luci, proiezioni ed effetti speciali – e, in cuffia, la voce del decano
della divulgazione scientifica italiana – fanno rivivere gli antichi resti simulando il
loro aspetto di 2.000 anni fa. Ricostruzioni in videomapping sono state allestite per
le domus romane di Palazzo Valentini e gli affreschi bizantini di Santa Maria
Antiqua, che riemergono dal nulla sotto gli occhi dei visitatori. All’Ara Pacis e alle
Terme di Caracalla i visori per la realtà aumentata solo l’alternativa, tecnologica e
in tre dimensioni, a quelle pellicole trasparenti che nei libretti per bambini
permettono di sovrapporre la ricostruzione d’epoca alla foto delle rovine. E la realtà
virtuale arricchisce di uno spettacolare viaggio nel tempo la visita guidata al cantiere

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della Domus Aurea: ci si siede nella sala della Volta dorata, si indossa un Oculus
Rift e si “sfonda” virtualmente il muro di terra e mattoni che imprigiona nel
sottosuolo l’antica villa di Nerone, finendo per affacciarsi sul panorama a 360 gradi
della Roma di Nerone.
“Dobbiamo camminare sullo stretto crinale che separa l’accademia snob da
Disneyland”, dice Paco Lanciano. Fisico di formazione, storico collaboratore di
Angela a Superquark, ha curato allestimenti multimediali in decine di musei e da
qualche mese ha aperto una “mostra-spettacolo”, Welcome to Rome, in un ex cinema
della capitale. Quattro modelli interattivi ricostruiscono le vicende di alcuni dei
monumenti più importanti; un film proiettato a ripetizione per tutto il giorno su
pareti, soffitto e pavimenti di una sala speciale ripercorre in mezz’ora la storia della
Città Eterna dalle origini a oggi. La proiezione è immersiva, coinvolgente e molto
godibile, ma senza troppo dispendio di effetti speciali o animazioni 3D. “Piace al
bambino di sei anni come al professore di archeologia”, assicura Lanciano “La
divulgazione è un processo democratico”.
Balich sottolinea che per il suo Giudizio Universale ha voluto prezzi abbordabili,
non più di 28 euro per i posti migliori delle serali, e che sono previste matinée ancor
più economiche per le scuole, con un kit che sarà distribuito agli insegnanti per
preparare gli alunni e poi discutere in classe quello che hanno visto. Ma le sue
amibizioni vanno oltre la semplice divulgazione. “A me non interessa che la gente
esca dalla sala dicendo” ah, carino il documentario”. Voglio che restino senza parole
per mezz’ora come quando sono uscito da 2001 Odissea nello Spazio. Voglio che
sia un momento di sbigottimento, un’esperienza totale, artistica, emotiva e perché
no spirituale. Per tutti, dalla famigliola agli autostoppisti con lo zaino, dal cattolico
all’ateo al buddhista, fino alla fascia di pubblico più difficile: gli adolescenti abituati
a videogiochi e film di supereroi. Se riusciamo a fargli passare un’ora senza sbirciare
il telefonino, abbiamo vinto”.
Vacis si spinge ancora più in là: “È teatro che supera la dimensione dello spettacolo
per farsi rito, con gli spettatori che diventano partecipanti”.
Dettaglio: nessuno dei due si dichiara credente.
Alla fine dell’intervista Marco Balich chiude il portatile ed esce dal capannone:
“Andiamo a vedere il mio alberello.”
Si incammina lungo i viali oggi deserti che tre anni fa brulicavano dei visitatori
dell’Expo; ed ecco, là in fondo, l’Albero della Vita, il grande totem di legno e
acciaio, alto 37 metri, che con i suoi giochi di acqua e luce ripetuti ogni ora divenne
il fotografatissimo simbolo della manifestazione.

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L’aveva inventato lui: “Non lo voleva nessuno, ma io sapevo che l’Expo aveva
bisogno di un elemento riconoscibile da lontano, un’icona. Anche solo per farsi i
selfie”.
Per disegnare la base, aveva preso spunto dallo schema della piazza del
Campidoglio: progettata, manco a dirlo, da Michelangelo.
“È la prima volta che ci torno da allora. Uh, guarda, si accendono ancora le luci.”
Lacrimuccia neanche troppo metaforica.
L’uomo è o si presenta così, un impasto di idealismo pragmatismo imprenditoriale,
di visione internazionale e imprevedibile patriottismo.
Finora ha dimostrato un talento da rabdomante nel capire cosa piace alla gente. Ora
ha un’altra scommessa da vincere.

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Santa Nastro, Mostre multimediali: sì o no?, ‹‹Artribune››, 5 aprile 2017

Ultimo trend del momento, le mostre multimediali stanno attraendo un numero


sempre più ampio di visitatori. Ma come si concilia la tendenza con la necessità della
fruizione dell’opera d’arte? Ne abbiamo parlato con storici dell’arte, con critici e
con chi – naturalmente – queste mostre le fa, coinvolgendo le maggiori società del
settore in Italia.

Fabrizio Federici - Storico dell’arte


Nella nostra epoca affetta da “mostrite”, qualunque strumento che limiti il continuo
girovagare delle opere d’arte è benvenuto.
Le “mostre” multimediali (che forse sarebbe meglio chiamare “spettacoli”, per non
generare confusione con le mostre vere) possono condurre l’attenzione dello
spettatore su dettagli meno appariscenti, consentono uno sguardo inedito sulle
tecniche artistiche, possono avvicinare all’arte, attraverso un forte impatto emotivo,
un pubblico che è normalmente estraneo a mostre e musei.
L’ideale sarebbe che poi il visitatore avesse voglia di scoprire le opere d’arte
originali, nella loro materialità e nei loro contesti, e si può ragionevolmente credere
che questo non sempre accada.
Un avvertimento che può sembrare scontato, ma non lo è, riguarda gli spazi per
manifestazioni di questo tipo: è auspicabile che si tengano in ambienti neutri,
evitando il deprecabile paradosso della chiesa fiorentina di Santo Stefano al Ponte,
in cui l’arte reale dello spazio sacro è regolarmente annichilita dall’arte riprodotta
delle mostre multimediali che vi si tengono.

Valentino Catricalà – Curatore


L’accezione “mostra multimediale” è declinabile in due modi differenti. Da una
parte l’utilizzo della tecnologia per aumentare l’esperienza fruitiva dello spettatore
(ad esempio Van Gogh Alive) e, dall’altra, mostre dedicate ad artisti che operano con
la tecnologia, a ciò che in un recente libro ho chiamato “media art”. Il primo caso lo
trovo utile ma meno “urgente” del secondo. L’esperienza fruitiva dello spettatore
può essere aumentata in molti modi e, in base all’efficacia degli espedienti trovati,
può aggiungere informazioni o confondere. Interessanti i casi di artisti che hanno
realizzato allestimenti per mostre. Il secondo, invece, a mio avviso è oggi più
urgente. È urgente oggi in Italia incominciare a riconoscere i rapporti fra arte e

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tecnologia come qualcosa a sé stante, con una loro storia e una loro tradizione.
Riconoscere nelle loro problematiche concettuali, espositive, curatoriali, vuol dire
iniziare a costruire un ambiente culturale, comprenderlo come fenomeno a sé stante
quindi necessitante di istituti dedicati, musei, piani di preservazione, finanziamenti
eccetera. dare in questo modo voce a quegli artistiche cercano di farci vedere un altro
modo di concepire il nostro quotidiano, dominato sempre più da strumenti
tecnologici. È solo così che indiscutibili vantaggi possono arrivare per noi, per la
società e per il sistema dell'arte contemporanea.

Antonella Sbrilli – Università La Sapienza – Roma


Rispondo partendo da un esempio dimostra multimediali, affiancato dalla presenza
di opere originali trattino alla cui realizzazione partecipato trattino, che è visitabile
a Bolzano, al centro Trevi, fino a maggio 2017: il titolo è tempo e denaro. Perché
una mostra multimediale? Per presentare de temi trasversali game play danno
riferimenti a tante opere d'arte di diversa natura, anche filmica: la multimedialità
consente di montare le riproduzioni in un racconto fluido.
Il rapporto col pubblico è calibrato su diverse modalità: immersiva, grazie a una
videoproiezione circolare; interattiva, grazie a riproduzioni di opere esplorabili;
ludica, con sfide e invenzioni; partecipativa, con i social tagging; didattica, con visite
che integrino le proposte multimediali e la visione dal vero punto rischi di
confusione percettiva non ce ne sono, se gli strumenti multimediali sono sfruttati per
le loro potenzialità (visione aumentata, interazione, suggerimenti di relazioni) e non
come mere sostituzioni di immagini alle opere. I vantaggi sono valutabili – anche in
tempo reale – dal riscontro dei visitatori.
Riccardo Mazza – Interactive Sound
Occorre partire da una premessa importante: il museo è il luogo dove la cultura può
essere trasmessa e di cui le persone possono fruire. La progettazione tecnologica
devi quindi rispettare questo principio per non diventare fine a sé stessa e
autoreferenziale. per scelta e per stile ho sempre cercato di creare percorsi museali,
di tipo altamente immersivo virgola che permettono al visitatore di essere al centro
e immerso nell’esperienza culturale che chi vuol proporre. La tecnologia non deve
quindi mai sovrastare la comunicazione virgola che deve filologicamente essere
corretta. Migliore sarà virgola in tal senso, la progettazione, più prevedibile e
controllabile sarà la risposta del visitatore, che ciò che desideriamo ottenere, così
che possa ricevere l'informazione in modo corretto.

106
Noi non possiamo né vogliamo sostituirci all'oggetto: noi lo “spieghiamo” grazie a
un racconto “verticale” e “orizzontale”.
“Orizzontale” perché rivolto a tutti, e di questo la multimedialità è fondamentale, in
quanto è il linguaggio contemporaneo che noi tutti oggi parliamo; e “verticale”
perché la comunicazione del racconto che ne scaturisce genera le informazioni
culturali necessarie: entrambe le prospettive sono integrate nelle nostre installazioni.
Roberto Fiorini – Crossmedia Group
Non credo sia una banalità sostenere che, con l'affermarsi dei New media e della
comunicazione onnivora generata dalle piattaforme social, anche la fruizione della
cultura in senso lato e del patrimonio artistico in particolare debbano aprirsi a nuove
modalità interpretative. La multimedialità, sei immersiva virgola e a mio avviso lo
strumento più adeguato a coinvolgere il pubblico, invitandolo ad approfondire la
conoscenza di un artista, la comprensione delle sue opere, consentirne la lettura
stilistica attraverso la messa in scena spettacolare della sua tecnica pittorica.
Stupire, emozionare, senza mandare la sensazione di voler si accreditare quale
succedaneo virtuale delle opere d'arte originale, ma anzi fungere da volano di
interesse per la riscoperta dell'opera dal vero, nella sua concretezza fisica.
Un'impresa complessa, la cui realizzazione non può in nessun caso prescindere dal
rispetto di uno dei principi basilari del rappresentare per mezzo della multimedialità:
l'utilizzo della tecnologia non deve mai essere fine a sé stesso, ma in funzione delle
scelte azione dei contenuti di cui è strumento.
Marco Felici – Bodino Engineering
Lascio ad altri le riflessioni pre e post McLuhan, salto a piè pari gli interrogativi sui
“perché” – vogliamo chiederci queste cose, quando la maggioranza dei nuovi utenti
sono nativi digitali? – e vado dritto al dunque, forte della visione pragmatica
maturata con la Bodino Enineering, in cicli di ricerca, innovazione e costruzione.
Ci piace materializzare i sogni degli architetti e degli artisti più visionari: oggi la
componente multimediale e uno degli approcci principali; Partecipa tanto
nell’innovare i contesti quanto nel moltiplicare la comunicazione. Sono ricerche
necessarie; non c'è futuro senza la ricerca. Le mostre, per la loro caratteristica
temporaneità, da sempre sono la palestra ideale per queste ricerche, richiedono
innovazione, comunicazione, sperimentazione… e poi si smontano. “Sostituire,
integrare, confondere” sono problemi legati alla qualità con cui si opera, ai limiti
che ci si pone, e non al tipo di strumento: utilizzando anche - e non solo – il

107
multimediale in ogni genere di mostra, dall’exhibit al retail, si hanno solo
“vantaggi”.
Andrea Villotti – Asteria
In Italia è in Francia, dove asteria a delle attività, abbiamo visto come nacque una
vera e propria coscienza multimediale negli ultimi dieci anni. Questo boom del
multimediale al museo fu contemporaneo all'uscita dell'iPhone e dell’Android nel
2007. Il multimediale entra nella tasca del visitatore e del non - visitatore. Lo studio
del rapporto con il pubblico tramite il multimediale si sviluppa e nel 2011 nasce in
Francia Museomix.
Ormai allestiamo veri e propri multimediali che non sostituiscono l'opera ma che ci
permettono di leggerla in un modo diverso.
Facilmente e in modo divertente, ad ogni età.
Il tutto multimediale Di oggi ci interroga sulla sua legittimità. Le tecnologie nascono
sempre più velocemente. Diventa quindi cruciale sviluppare l’UXD per una mostra.
Il multimediale è al servizio dell’opera. La sua forza è poter creare un rapporto molto
intimo con il visitatore e il non – visitatore. La forza d'attrazione del multimediale è
un indiscutibile vantaggio per una mostra.
Antonio Scuderi – Artglass
Le mostre multimediali sono sicuramente un fenomeno “in trend” e dimostrano il
bisogno crescente del pubblico di avvicinarsi da protagonisti all’arte e alla cultura.
Questi progetti rappresentano molto spesso un’opportunità sostenibile per le tante
persone che non hanno competenze e chiavi di lettura specifiche. Per i giovani,
sicuramente, ma anche per i meno giovani, come dimostra l’esperienza di ArtGlass,
che con i suoi progetti di Realtà Aumentata su occhiali multimediali (300mila utenti
nel 2016, in 14 siti culturali) incontra un livello medio di soddisfazione del 97%, con
gli apprezzamenti più convinti e gli stimoli più interessanti che arrivano da due
target lontani anagraficamente: gli under 25 e gli over 65.
Il rapporto col pubblico ci conferma ogni giorno che la tecnologia deve essere
rigorosamente al servizio del visitatore e dei progetti di valorizzazione culturale. Nel
caso della Realtà Aumentata, la presenza delle opere fisiche è fondamentale, come
è facile comprendere. Ma i racconti che creiamo assieme ai curatori hanno sempre
una cifra originale e legata a doppio filo agli artisti, ai musei e ai loro territori.
Fulvio Chimento – Critico d’arte
Questi progetti nascono dalla volontà di rispondere alle urgenze critiche del
presente. Effimera, la rassegna annuale al MATA di Modena, che ho ideato con

108
Luca Panaro e che ha inaugurato la sua seconda edizione a marzo 2017, si fonda
sul presupposto che l’unicità dell’opera non è più un assunto dell’uomo
contemporaneo. Con Internet il significato di originalità si svuota di senso: ogni
file è riproducibile con la medesima qualità, ogni copia è sempre identica
all’originale. Tuttavia, benché il mercato dell’arte rimanga aggrappato a teorie che
la digitalizzazione dei processi artistici ha contribuito a superare, anche un’opera
potenzialmente replicabile all’infinito può aspirare allo status di opera d’arte.
Le mostre multimediali, come le altre, si compongono di un insieme variabile di
lavori che, tuttavia, instaurano una differente relazione (probabilmente
“disarmonica”) con lo spazio ospitante e con il pubblico. Il visitatore vive
un’esperienza “immersiva”, nella quale viene meno il rapporto con le singole opere
a vantaggio di una dimensione complessivamente esperienziale – questa sì, non
ripetibile – che rappresenta una delle componenti fondamentali di un progetto
curatoriale sensato.

None Collective
Il tema centrale è il come: siamo talmente assuefatti dalla multimedialità che
riproporre un qualcosa di cui possiamo fruire anche autonomamente, a casa, su uno
schermo qualunque, non aggiunge e non raggiunge nulla di nuovo, anche se di grandi
dimensioni. Troppo spesso dietro l’innovazione tecnologica si nascondono
operazioni di marketing, anche nel campo della cultura.
L’obiettivo di un progetto multimediale, secondo noi, dovrebbe essere quello di
creare una nuova esperienza, non il surrogato di un’esperienza originale. Questo
ovviamente dipende dalle condizioni in cui avviene l’esposizione (budget, location,
fruibilità) ma anche dalle capacità di chi progetta: nella multimedialità lo storytelling
è ciò che ci guida e la tecnica è tanto più raffinata quanto è in grado di non mettersi
in mostra.

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GLOSSARIO

• Avatar: dal sanscrito Avatāra, termine collegato al verbo avatṝ ovvero


“discendere”, “discendere in”, “arrivare a”.
Questo termine ha le proprie radici nell’Induismo e viene usato per
identificare le dieci reincarnazioni di Vishnu sulla terra.
Secondo la fede Indù questa divinità fondamentale scende sulla terra nei
momenti più oscuri della storia per ristabilire il Dharma, ovvero l’equilibrio,
la giustizia divina.
Nella sua discesa sulla terra Vishnu si rincarna in una persona detta appunto
Avatar, fra i nomi dei diversi Avatar ne troviamo anche di illustri come quello
di Krishna e dello stesso Buddha.
Questa parola dalla nobile origine viene utilizzata nella forma inglesizzata di
Avatar e ha “ereditato” il significato originale: in riferimento agli ambienti di
realtà virtuale (ad esempio nei videogiochi) viene infatti usata per identificare
l’immagine o il personaggio che rappresenta l’utente.
• Experience: parola inglese che indica la conoscenza e la padronanza di un
evento attraverso il coinvolgimento o l’esposizione ad esso.
In riferimento al mondo dell’arte, questo termine fa riferimento alle mostre
multimediali e immersive basate sul coinvolgimento degli utenti.
• Face to face: espressione inglese traducibile come “Faccia a faccia” o “A tu
per tu” utilizzata per definire una comunicazione immediata e diretta fra un
mittente e un destinatario.
• HCI (Human Computer Interaction): In italiano interazione uomo-
computer, ovvero lo studio dell’interazione fra l’utente umano e la macchina
(computer).
Questa area di studio comprende principalmente la progettazione di interfacce
che rendano più efficace, rapida e intuitiva l’interazione tra l’uomo e il
computer.
Tuttavia, lo studio completo dell’interazione copre anche aspetti di psicologia,
informatica, ergonomia e design.

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• Immagine di sintesi: Particolare tipo di immagine che consiste
nell’espressione in forma numerica di un’immagine digitale.
L’immagine di sintesi (o immagine sintetica) è composta da un elenco di dati
numerici in forma di matrice tridimensionale ovvero di strati di matrici
bidimensionali in cui, a ogni elemento della matrice, corrisponde un pixel.
In questo particolare tipo di riproduzione grafica a ogni pixel corrisponde una
stratificazione di informazioni a diversi livelli: visivo, diagnostico, strutturale
e altre informazioni che qualificano le immagini.
• Immersività: dal verbo Immergere ovvero, con valore riflessivo,
“Addentrarsi in un ambito variamente definibile, talvolta fino a scomparirne
o esserne completamente assorbiti”.
La parola immersività deriva dall’aggettivo Immersivo che definisce un
contesto o un ambiente nel quale si entra completamente, rimanendone avvolti
e catturati.
Dunque, con il termine Immersività si definisce una modalità di
comunicazione dei contenuti che coinvolge il fruitore dal punto di vista visivo,
sensoriale ed emotivo facendogli perdere momentaneamente il contatto con la
realtà circostante.
• Riflettografia infrarossa: Tecnica di diagnostica non invasiva e non nociva
basata sull’utilizzo degli infrarossi, ovvero radiazioni elettromagnetiche con
frequenza compresa tra i 700nm e 1 mm, dunque al di sotto delle frequenze
visibili. Questa tecnica permette di analizzare gli strati sottostanti ai pigmenti
per visualizzare l’eventuale presenza di disegni preparatori o restauri
successivi.
• Interattività: Da Interazione, reciproca azione e reazione di fatti e fenomeni.
Più specificamente questa parola è legata all’aggettivo interattivo detto di due
o più elementi o fenomeni che esercitano reciproca attività e influenza.
Con particolare riferimento all’informatica e alla programmazione, è detto
interattivo un sistema che consente e prevedere l’interazione con un operatore.
Dunque, l’interattività, nell’ambito dell’interazione uomo - computer (HCI),
è la capacità di un sistema di scambiare informazioni con un operatore (utente)
umano.

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• Interfaccia: Dall’inglese interface, generalmente indica un ente che agisce in
parte da separazione e in parte da collegamento fra due o più elementi.
Nell’ambito dell’informatica e dell’interazione uomo - computer il termine
interfaccia (o interfaccia utente) definisce tutti gli strumenti che si
frappongono tra macchina e utente e ne permettono la reciproca interazione.
• Laser Scanner: Strumento in grado di compiere ad altissima velocità la
misurazione della posizione di centinaia di migliaia di punti che definiscono
la superficie degli oggetti circostanti, da questo rilievo si ottiene un insieme
di punti molto denso definito “nuvola di punti”.
Si tratta di strumenti di misurazione diretta che consentono il rilevamento di
modelli tridimensionali di oggetti a scale e risoluzioni differenti.
Lo strumento si basa sull’impiego del laser (Light Amplification by
Stimulated Emission of Radiation) ovvero un fascio luminoso monocromatico
e coerente prodotto dall’amplificazione stimolata di un’onda
elettromagnetica.
• Multimedialità: da Multimedia, locuzione inglese composta dai termini latini
multi- e media, significativamente il plurale di medium cioè “mezzo”.
Con questa espressione si fa riferimento a dispositivi per l’elaborazione di
informazioni o a programmi comunicativi che uniscono fonti scritte, suoni e
immagini.
La multimedialità è una modalità di comunicazione caratterizzata dalla
coesistenza e interazione di linguaggi afferenti a diverse sfere sensoriali in
uno stesso contesto comunicativo.
• Performatività: dal verbo inglese to perform ovvero “eseguire”, “svolgere”,
“compiere”, “esibirsi”.
La parola performance, da cui performatività, viene usata in senso generico
per definire la realizzazione concreta di un’attività o di un comportamento.
In particolare, nel linguaggio sportivo indica la modalità di svolgimento e
l’esito di una gara.
Nell’ambito artistico, invece, la parola performance è legata alle forme di
esibizione basate nate negli anni Settanta del Novecento e basate sul
coinvolgimento del pubblico e sull’impiego di tecniche multimediali.
Quest’ultima accezione del termine performance ha una connotazione
fortemente corporea e trae le proprie origini dal mondo del teatro in cui con

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questa parola si fa riferimento alla messa in scena del corpo e all’agire fisico.
Dunque, la performatività può essere definita come un processo conoscitivo
basato sulla fisicità e sulla sperimentazione corporea.
• Radiografia: La radiografia è una modalità di diagnostica basata
sull’impiego dei raggi x che da una sorgente vengono indirizzati a un recettore
per impressionare una pellicola.
Questa non invasiva e non distruttiva è ampiamente utilizzata con riferimento
ai beni culturali per analizzare il supporto, lo stadio preparatorio e gli strati
pittorici di un’opera d’arte.
• Topologico: Relativo alla topologia con riferimento ai suoi diversi significati.
In linguistica: lo studio relativo alla collocazione delle parole nella frase.
In geografia: lo studio del paesaggio dal punto di vista morfologico.
In matematica: lo studio di quelle proprietà degli enti geometrici che non
variano quando questi vengono sottoposti a una deformazione continua.

113
BIBLIOGRAFIA

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concetto di opera d’arte attraverso la sperimentazione performativa
coevolutiva con l’ausilio delle nuove tecnologie, tesi di laurea a.a 1998-99,
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