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🇬🇷 Cartesio e la ricostruzione dell'episteme

Per il realismo ciò che il pensiero pensa quando rimane fedele alla sua natura di pensiero e non si
lascia fuorviare dall'errore è l'essere in sé stesso,non un immagine alterata dell'essere. Inoltre, in un
celebre passo, Agostino esprime una fondamentale convinzione del realismo filosofico: " Non è il
pensare che crea la verità, esso solo la scopre: la verità esiste quindi in sé anche prima che sia
scoperta".
È la filosofia moderna da Cartesio a Kant a rendersi conto che se la realtà vera esiste in sé,
indipendentemente dal pensiero che la scopre, allora è necessario mettere in questione il principio
che la certezza, di per se stessa (considerata quanto alla sua natura e non in quanto traviata
dall'errore) abbia come contenuto la verità. Il realismo, che dalla filosofia greca si prolunga fino a
Cartesio è affermazione dell'identità di certezza e verità; la filosofia moderna fino a Kant è
affermazione dell'opposizione di certezza e verità. Tale opposizione significa che, proprio perché la
verità è indipendente dalla certezza (cioè dal pensiero), certezza e verità sono due dimensioni
originariamente separate,opposte, appunto, a proposito delle quali si tratta di stabilire come esse
vengano a unirsi. Nella filosofia moderna, l'opposizione di certezza e verità è dapprima intesa come
posizione problematica (filosofia prekantiana)e poi come opposizione definitiva (filosofia "critica").
La soggettività del mondo
La filosofia moderna si rende conto del carattere soggettivo, mentale del mondo che ci sta davanti e
in cui viviamo. La grandezza di Cartesio sta nell'aver portato alla luce la soggettività del mondo che
ci appare.
All'interno della prospettiva realistica del senso comune della filosofia tradizionale,noi siamo
invece persuasi dell'indipendenza e indifferenza del mondo rispetto a noi: siamo un minuscolo
granello di sabbia nell'immensità di questo universo che ci trascende da ogni parte che non ha
bisogno di noi per esistere: l' essenzialità e l'infinita realtà dell'universo; noi e la nostra coscienza
siamo qualcosa di accidentale. Eppure quest'immensità di cose, in cui ci troviamo sperduti e
inessenziali, questo gran mare di enti ed eventi, questa infinità di tempo e di spazi è ciò che noi
pensiamo, è il contenuto del nostro atto pensante. Non è, questa, una banalità sulla quale non val la
pena di soffermarsi? Tuttavia è proprio questa apparente banalità a operare nella filosofia moderna.
Le lontananza dell'universo in cui l'uomo si perde e naufraga diventano così vicinissime, ci
appartengono. Cartesio definisce così il pensiero: Ea omnia quatenus
in nobis sunt et in nobis fiunt et in nobis eorum conscientia est ( pensiero è "tutte quelle cose che in
quanto sono in noi e in noi accadono e delle quali in noi c'è coscienza") il nostro pensare è le cose
tutte, in quanto pensate, cioè nel loro essere pensate. Nella prospettiva realistica, gli enti della
natura e,una volta prodotti,anche i manufatti dell'uomo, esistono anche senza il pensiero: sono cose
extrasoggettive. La filosofia moderna mostra invece che non solo i nostri stati interni ,psichici ,ma
anche gli agenti esterni, la terra gli alberi il cielo gli astri e tutti gli enti della natura ,sono dei
pensati.Se non fossero tali, nemmeno potremmo parlarne. Da ciò deriva che l'intero mondo che ci
sta dinanzi e in cui viviamo non può essere la realtà vera e propria ,ossia la realtà che esiste
esternamente e indipendentemente dal nostro pensiero.
Questo mondo che ci sta dinanzi è il nostro pensiero, al di là del quale resta la realtà vera e propria.
Ciò che percepiamo immediatamente son le nostre rappresentazioni non la realtà. Ciò vuol dire che
la verità sta al di là di ciò di cui siamo immediatamente certi; è al di fuori di noi; e che noi siamo
immediatamente certi di qualcosa (le nostre rappresentazioni)che non è la verità. La realtà vera si
ritira in una lontananza che il pensiero antico non aveva sospettato. Mentre per il realismo la verità
è il contenuto immediato della certezza, la filosofia moderna si rende conto che il contenuto
immediato della certezza non può essere la verità.
Il problema della filosofia moderna
Poiché ciò che conosciamo immediatamente sono le nostre rappresentazioni si presenta un
problema. Infatti, se ciò che conosciamo immediatamente sono le nostre rappresentazioni non
possiamo essere immediatamente sicuri che esse rappresentino la realtà vera e propria, non
possiamo essere sicuri che la realtà esterna e indipendente dalla nostra mente sia così come noi ce la
rappresentiamo.
Questo problema si farà nel corso della filosofia moderna sempre più stringente.La filosofia
moderna è la problematizzazione della coincidenza tra le nostre rappresentazioni e la realtà esterna.
Ma tale problematizzazione è essenzialmente diversa dallo scetticismo. Lo scetticismo nega che il
contenuto della certezza possa mai essere verità. E questa negazione è il risultato oltre il quale lo
scetticismo non intende procedere. Quando invece, a partire da Cartesio, per la filosofia moderna è
un problema se il contenuto della certezza sia la verità, la filosofia moderna nega sì che si possa
porre immediatamente come verità il contenuto della certezza ma non nega, fino a Kant escluso, che
si possa giungere a dimostrare che la certezza (il pensiero)abbia come contenuto la verità. Non
esclude cioè che si possa affermare mediatamente ciò che non è immediatamente affermabile.
Infatti la negazione scettica della verità non intende approdare ad alcuna verità; mentre in Cartesio,
come vedremo, la verità originaria si costituisce proprio nell'atto in cui ci si rende conto che non si
può affermare immediatamente che il contenuto della certezza sia la verità. Cartesio, dice Hegel, è il
padre della filosofia moderna. In lui, infatti, l'opposizione certezza e verità emerge per la prima
volta nel modo più chiaro. Il primo passo della filosofia per Cartesio è il dubbio che non solo
investe ogni conoscenza, ogni fede, ogni ragionamento, ma anche tutto ciò che è attestato dai sensi.
Ebbene, dubitare di tutto vuol dire, per Cartesio, dubitare che le nostre rappresentazioni, per quanto
evidenti possano sembrare, rappresentino le cose reali e proprio così come esse sono. L'ipotesi
cartesiana che esista un "genio maligno"onnipotente che pone ogni sua industria nell' ingannarci
esprime nel modo più icastico la problematicità delle nostre rappresentazioni: chi ci assicura che la
realtà non sia costitutivamente ostile all'uomo: nel senso che si sottragga radicalmente al tentativo
umano di conoscere e vivere in essa, al punto che anche quanto ci appare più evidente abbia
un'esistenza soltanto all'interno della nostra coscienza? Chi ci assicura, ad esempio, che persino le
verità matematiche, le quali sembrano privilegiate rispetto a tutte le altre nostre conoscenze, non
siano qualcosa di puramente mentale, soggettivo, che non trova alcuna corrispondenza nella realtà
esterna?
Il cogito
Noi stiamo dubitando di tutto: dell'esistenza della terra e del cielo del nostro stesso corpo e delle
conoscenze ritenute più evidenti, come quelle matematiche. Per Cartesio questo vuol dire: non
siamo sicuri che le nostre rappresentazioni corrispondano alla realtà esterna; dubitiamo che esse
siano soltanto un sogno.
Ma questo tutto di cui dubitiamo deve pur esser noto, affinché se ne possa dubitare: se non fosse
noto, non potremmo nemmeno dubitarne. "Dubito dell'esistenza del sole" vuol dire dubito che a
questa mia rappresentazione, in cui consiste il sole, corrisponda nella realtà esterna un ente che
abbia le stesse proprietà del sole. Ma per poter così dubitare è necessario che il sole, della cui
esistenza io dubito, sia noto (sia cioè presente,conosciuto, saputo). Se non avessi alcuna notizia del
sole come potrei dire che dubito della sua esistenza? Per poter dubitare di tutto è allora necessario
che la totalità delle mie rappresentazioni sia indubitabilmente nota,ossia è necessario che questa
totalità esista. Il sole esiste indubitabilmente appunto perché è una rappresentazione appartenente a
quella totalità delle mie rappresentazioni, l'esistenza della quale deve essere riconosciuta come
indubitabile, proprio perché se ne possa dubitare. L'indubitabilità dell' objectum mentis è espressa
da Cartesio con la celebre formula: Cogito, ergo sum, dove sum indica l'indubitabilità dell'esistenza
dell' "essere oggettivo". Cogito, ossia dubito di tutto; e ciò vuol dire che questo tutto è (come
contenuto del pensare). Io sono l'insieme delle mie rappresentazioni. Questa verità è la leva di
Archimede con la quale è possibile sollevare il mondo della vera conoscenza. Se non considerato in
relazione alla realtà in sé, non solo è indubitabile, ma è qualcosa di reale in sé stesso: è l'essere che
è originariamente affermato. Considerato in sé stesso il pensiero è la certezza e la verità. La verità
originaria è qualcosa che si impone al pensiero nell'atto in cui il pensiero pensa, cioè solo nell'atto
in cui il pensiero si produce. In questo senso, la verità originaria è prodotta dal pensiero.
Il cogito cartesiano e Agostino
Nella filosofia di Agostino è presente una grande anticipazione di questo fondamentale tema
cartesiano del rapporto tra il dubbio è l' indubitabile. Singolari le coincidenze, ma molto netta la
differenza di prospettiva. Anche Agostino si pone in relazione allo scetticismo del suo tempo (che è
quello della tarda Accademia)e mostra come dal dubbio scaturisca inevitabilmente l'indubitabile
vero: chi dubita della verità non può dubitare di esistere. " È certo che anche colui che si inganna
vive", cioè esiste. "Scienza interiore [intima scientia] è quella con la quale sappiamo di vivere" e di
esistere.Tale scienza sussiste anche se si sta sognando e anche se si è pazzi. Ma per Agostino la
verità indubitabile che è il contenuto di questa intima scientia continua a esistere "anche se
svanissero quelli che ragionano",perché "non è il pensiero a creare la verità, esso solo la scopre": la
verità che emerge nel dubbio e dal dubbio non esiste, come invece in Cartesio, unicamente nell'atto
in cui il pensiero produce se stesso, ma esiste in sé, indipendentementemente dal pensiero che la
scopre. Lo sfondo della filosofia agostiniana è cioè realistico: non c'è ancora la consapevolezza che
il contenuto immediato del pensiero non è la realtà in sé stessa, ma la sua rappresentazione, e quindi
in Agostino l'indubitabilità del pensiero non è l'unico punto in cui l'identità di certezza e verità
emerge in mezzo all' oceano della loro opposizione: l'unico punto che sta a fondamento della
scienza.

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