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Kant

Kant nasce nel 1724 a Konigsherg Che si trova in Russia. Vive durante il regno di
Federico II e poi del suo successore. Per quanto riguarda Federico II, È un sovrano
illuminato legato da rapporti di amicizia con Voltaire, che per molti anni è stato suo
consigliere. Federico II amava la cultura e riconosceva l’importanza del sapere, aveva
reso obbligatorie le scuole elementari. Konigsherg all’interno della Prussia del punto di
vista geografico non è una cittadina centrale, ma da quello culturale religioso sì. Si era
diffuso il pietismo corrente luterana molto rigorosa che influenzerà Kant attraverso la
madre che era una credente. Konigsherg era anche un centro culturale attivo dove
erano presenti diversi intellettuali dell’epoca importanti tre quali Schulz che è anche
direttore del collegio Fredericianum frequentato da Kant. L’aria tedesca di questo
periodo dal punto di vista culturale è piano di fermenti infatti si diffonde il movimento
dello Sturm und Drang che anticipa il romanticismo. Nel pensiero di Kant trovano
espressione sia l’Illuminismo che la sensibilità romantica. Infatti Kant non può essere
considerato un illuminista in senso proprio poiché lo supera. Nello stesso tempo
dobbiamo a Kant una celebre definizione dell’Illuminismo che egli considera come
l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità da attribuire a se stesso. Questo avviene per il
mancato uso della ragione quindi Kant dà importanza alla ragione proprio come
avevano fatto gli illuministi. Però in questo filosofo la ragione assume una funzione
diversa. Inizialmente i suoi interessi riguardano l’ambito scientifico, ovvero lo studio
della natura, l’origine dell’universo che porterà alla formulazione dell’ipotesi “Kant-la
Place“ in base alla quale i due pensatori ritengono che l’universo abbia avuto origine da
una nebulosa. Si tratta di una spiegazione che ebbe successo poiché non ricorreva a Dio
o alle cause finali per descrivere l’origine dell’universo ma lo faceva utilizzando Il
meccanicismo. Questa metodologia viene utilizzata per la spiegazione di alcuni
fenomeni naturali, come i terremoti. Dopo aver condotto gli studi al collegio
Fredericianum si iscrisse all’università Albertina.
Periodo Pre-Critico interesse scientifico. Poi interessi filosofici
Dopo aver completato gli studi rimane all’interno dell’università come libero docente:
erano gli studenti a pagare le sue lezioni poiché erano desiderosi di ascoltarlo. Nel 1770
invece diventa un professore ordinario poiché partecipa ad un concorso e lo supera con
un saggio intitolato “Sulla forma e i principi del mondo sensibile e intelligibile’’. Questo
scritto è anche noto come DISSERTAZIONE DEL 1770. Esso rappresenta uno spartiacque
tra il periodo Pre critico (quello che vi era stato fino ad allora) e il periodo critico. Gli
interessi scientifici cedono il posto agli interessi di carattere filosofico. Le opere più
importanti sono 3 critiche:
- Critica della RAGION PURA Dove affronta il problema della conoscenza
- Critica della RAGION PRATICA la cui tematica è la morale
- Critica del GIUDIZIO in cui tratta del sentimento.
Con queste 3 critiche Kant intende dare una risposta a 3 interrogativi fondamentali: che
cosa posso conoscere? Come devo agire? In cosa posso sperare? Altri scritti importanti
sono “la fondazione della metafisica dei costumi”, di argomento morale. Uno scritto
religioso intitolato “la religione entro i limiti della sola ragione”, condannata dalla
politica conservatrice di Federico Guglielmo II. Poi abbiamo, di carattere politico lo
scritto “Per la pace perpetua” e altri ancora. Tra questi il più importante è “sogni di un
visionario chiariti con i sogni della metafisica”, questo scritto appartiene Al periodo pre
critico, gli altri fanno parte di quello critico. Perché questo titolo? Perché Kant fa
riferimento a Swedenborg, Teologo svedese che dichiarava di poter parlare con i morti.
Kant in quest’opera affronta il problema dell’esistenza dell’anima immortale. Egli
utilizza un tono critico, ironico contro le pretese di Swedenborg, Lo prende in giro e
afferma che l’uomo può solo parlare di ciò che accade sotto i suoi sensi. Quindi
attraverso lo scritto Kant identifica in Swedenborg il visionario con la metafisica perché
anche essa pretende di andare aldilà dei sensi. Esprime una critica verso la metafisica.
Questo aspetto avvicina Kant all’Illuminismo perché anche loro la criticano, ma egli non
vuole svalutarla, si dichiara un Innamorato deluso dalla metafisica perché egli ama la
metafisica ma ne rimane poiché a differenza di altri ambiti del sapere, non ha
conseguito un’evoluzione perché la fisica e la matematica Hanno accresciuto la
conoscenza e hanno prodotto un sapere sul quale gli uomini sono d’accordo, oggettivo
e universale. La metafisica invece non è giunta all’elaborazione di una teoria universale
o oggettiva. Non c’è stato alcun tipo di accordo tra gli studiosi di metafisica. Kant non
solo si occupa della metafisica nella critica della ragion pura si chiede se essa Sia
possibile come scienza. Indaga lo statuto scientifico della matematica e della fisica. Il
suo è un atteggiamento ANTIDOGMATICO. Il suo principale punto di riferimento è il
pensiero filosofico empirista inglese nonchè il pensiero di Newton. Riconosce a Hume il
merito di averlo svegliato dal sonno dogmatico così come riconosce a Locke il merito di
aver dato vita ad un’indagine svolta a stabilire le possibilità e i limiti della conoscenza.
Kant segue questa strada, quella tracciata dagli empiristi e va oltre. Vuole fondare il
sapere su basi nuove. Poiché conoscere vuol dire giudicare la realtà egli passa in
rassegna i giudizi elaborati di Razionalisti e dagli empiristi. I giudizi dei razionalisti sono
analitici a priori, sono universali e necessari però non accrescono la conoscenza perché
il predicato è già contenuto nel soggetto. “Il corpo è esteso” è un giudizio analitico a
priori poiché universale. Senza estensione (predicato) non c’è il corpo (soggetto), ma
non accresce la conoscenza. Invece i giudizi degli empiristi sono sintetici a posteriori,
aumentano la conoscenza poiché derivano dall’esperienza però non sono universali o
necessari perché ogni esperienza è diversa, sono sempre particolari. Il predicato non è
contenuto nel soggetto. I giudizi scientifici devono coniugare questi aspetti, devono
essere universali e necessari ma devono anche accrescere la conoscenza. Questi giudizi
sono definiti da Kant sintetici a priori. Sintetici = accrescono conoscenza, a priori=
prescindono dall’esperienza e sono universali. Pertanto gli elementi A priori della
conoscenza non derivando dall’esperienza devono derivare dal soggetto. Kant compie
una vera rivoluzione copernicana in ambito conoscitivo. Come Copernico aveva posto al
centro dell’universo il sole, Kant al centro della conoscenza pone il soggetto e non lo
oggetto, perché gli oggetti assumono il caratteristiche Che sono imposte attraverso le
strutture a priori del soggetto. La realtà è conosciuta per come appare all’uomo, ma dal
momento che queste strutture a priori sono universali poiché appartengono a tutti gli
uomini, ne consegue che anche la conoscenza sarà universale. Gli elementi a priori
sono paragonati a delle lenti colorate. L’uomo vede il mondo attraverso questa e non
come realmente è. Dal momento che tutti possiedono tali lenti c’è accordo universalità
della conoscenza. Dopo aver stabilito che è al centro della conoscenza vi è l’uomo, Egli
vuole giudicare la ragione. Ecco perché la ragione di Kant è diversa: gli illuministi
sottoponevano al tribunale della ragione la realtà esterna per criticarla, Kant sottopone
la ragione stessa per stabilirne i limiti e le possibilità. La domanda fondamentale alla
quale essa deve rispondere è: “cosa posso conoscere?”.
CRITICA DELLA RAGION PURA Ogni critica deve dare una risposta ad una domanda
fondamentale. Quella della ragion pura si occupa del problema della conoscenza, è
strutturata in due parti: la dottrina degli elementi, la parte più consistente, e la dottrina
del metodo, la parte conclusiva dello scritto. Nella dottrina trascendentale degli
elementi Kant prende in considerazione le tre facoltà conoscitive dell’uomo: la
sensibilità, l’intelletto e la ragione. Nella dottrina trascendentale degli elementi, la
parte conclusiva dell’opera, tratta di questioni circoscritte che non hanno grande
rilevanza. Il titolo dell’opera è “Critica della ragion pura” e non semplicemente della
Ragione poiché parla della ragione in se escludendo l’esperienza, la ragione non
applicata all’esperienza. In questo scritto egli va a riprendere una distinzione che era
già presente nella “Dissertazione” del 1770, in questo scritto egli aveva distinto tra
contenuto e forma: il primo deriva dalla realtà esterna, della realtà da conoscere; la
forma invece deriva dal soggetto conoscente, dall’uomo e, il quale ordina le sensazioni
attraverso lo spazio e il tempo, considerate intuizioni pure (intuizioni poiché non sono
concetti, pure perché non dipendono dall’esperienza, sono del soggetto, sono a priori).
Kant quindi si differenzia da Locke secondo il quale lo spazio il tempo derivavano
dall’esperienza e si differenzia da Newton che invece le considerava realtà oggettiva
(Spazio e tempo assoluti). Sempre nella Dissertazione distingue il Fenomeno dal
Noumeno: il Fenomeno è ciò che appare, quindi l’ambito empirico, il Noumeno è ciò
che va oltre l’esperienza. In questo scritto ritiene che siano entrambi conoscibili:
l’uomo può conoscere sia il Fenomeno che il Noumeno. Nella critica della ragion pura
invece non rimane completamente fedele a questa impostazione poiché ritiene che il
Noumeno, chiamato anche Cosa in sé, sia inconoscibile. Quindi rappresenta un limite
per la conoscenza umana. Invece ripropone la distinzione tra contenuto e forma, in
questo caso non vi è Divergenza di vedute tra la Dissertazione E la Critica della Ragion
Pura perché ancora una volta egli ritiene che spazio e tempo siano forme a priori della
Sensibilità, tra le due intuizioni predilige il tempo. Questo poiché ritiene Che ogni cosa e
nel tempo in riferimento, in questo caso, ciò che fa la differenza sono gli stati d’animo
del soggetto che non passano attraverso lo spazio ma sono interiori, riguardano il
tempo della vita dell’uomo. Se non ogni cosa e nello spazio tutto però nel tempo.
Spazio e tempo sono strutture a priori poiché non derivano dall’esperienza ma la
rendono possibile, ecco perché sono considerate Trascendentali. Questo termine in
Kant ha un significato ben diverso rispetto alla filosofia tradizionale: non è sinonimo di
trascendente ma indica l’applicazione a priori dell’esperienza rendendo possibile la
conoscenza. Oltre a questo significato Kant utilizza questo termine anche in relazione
alla disciplina che analizzano le forme a priori, infatti della sensibilità e delle sue forme
a priori, che sono lo spazio il tempo, egli ne parla nella prima parte della Critica della
Ragion Pura nella sezione denominata Estetica Trascendentale. La domanda
fondamentale alla quale l’estetica trascendentale deve rispondere è: come sia possibile
la matematica come scienza. Egli non vuole mettere in discussione la scientificità della
matematica, il suo statuto scientifico, ma vuole indagare sui fondamenti di questa
scientificità è l’individuo rispettivamente nello spazio e nel tempo Che sono utilizzate
dall’aritmetica e della geometria. La seconda utilizza lo spazio, la prima il tempo (inteso
come successione di numeri). Dal momento che la matematica utilizza queste forme a
priori è in grado di elaborare giudizi sintetici a priori, cioè universale, necessari e che
accrescono la conoscenza. Esempio: 7+5=12 È un giudizio universale che accresce la
conoscenza perché 12 non è contenuto solo nel sette o nel cinque ma deriva da
un’operazione che porta a collegare questi due numeri e dal quale scaturisce questo
risultato, universalmente in qualsiasi parte del mondo è riconosciuta la validità di
quest’operazione. La matematica utilizzando queste forme a priori, lo spazio il tempo,
riesce elaborare giudizi Scientifici chiamati analitici a priori. Così dicendo e gli risponde
alla domanda iniziale: è possibile pepe elabora giudici sintetici a priori, poiché si avvale
delle forme a priori della sensibilità. La prima parte della Critica della Ragion Pura oltre
all’ Estetica Trascendentale contiene la Logica Trascendentale, la quale a sua volta si
articola in Analitica Trascendentale (studia l’intelletto e le sue forme a priori) e la
Dialettica Trascendentale (studia la ragione e le sue idee). Kant distingue tra la logica
generale e la logica trascendentale: la prima è stata elaborata da Aristotele e aveva un
carattere formale poiché riguarda la struttura del ragionamento, la logica
trascendentale riguarda il pensiero applicato all’esperienza. Il primo viene applicato alla
seconda attraverso le categorie che sono le forme a priori dell’intelletto, Kant non è
stato il primo a parlare di categoria ma ancora una volta il riferimento obbligato ad
Aristotele, il quale aveva attribuito alle categorie una duplice valenza: logica ed
ontologica, nel senso che erano i modi del pensiero Per organizzare i contenuti,
mentali, ma erano anche proprietà dell’essere, quindi realmente esistenti ed erano
10.Kant invece, non riconosce questo duplice valore delle categorie ma gli attribuisce
solo una funzione logica, non sono 10 ma 12, per ogni classe di giudizio (quantità,
modalità, relazione) corrispondono tre categorie ecco perché si arriva il 12. La causalità
appartiene al giudizio di relazione, in questo modo egli si oppone a Hume il quale non
l’aveva considerata come una relazione necessaria quindi non è il fondamento della
scienza poiché esprime una relazione che deriva dall’abitudine. Attraverso la
concezione della causalità come categoria, come concetto puro, Kant risolve un
problema fondamentale che è quello dell’induzione (dal particolare al generale e le
conclusioni alle quali si giunge con questo metodo non sono universali e non
necessarie): produce una conoscenza universale e necessaria poiché si avvale di queste
forme a priori che prescindono dall’esperienza e sono proprio esse stesse a garantire
l’universalità della conoscenza.
Kant ha operato una rivoluzione copernicana: al centro del processo conoscitivo c’è il
soggetto che non deve adattarsi alla realtà per conoscerla ma è la realtà che subisce
l’azione del soggetto perché viene inquadrata attraverso queste forme a priori che
appartengono al soggetto stesso.
Kant risolve il problema dell’induzione però si pone un altro problema che viene
chiamato deduzione trascendentale. Il termine deduzione non deve essere inteso in
senso matematico o logico bensì acquista una connotazione giuridica: Kant intende
dimostrare la legittimità dell’applicazione delle forme a priori che prescindono
dall’esperienza ma vengono applicate su essa stessa dal momento che si tratta di due
realtà eterogenee Kant si chiede se quest’uso sia legittimo. La Deduzione
trascendentale consiste nel dimostrare la legittimità di una questione di fatto in questo
caso l’applicazione delle categorie all’esperienza. Kant risponde che questo uso è
legittimo ma bisogna presupporre l’io penso che non è da intendersi come sostanza o
principio metafisico bensì come spazio logico o funzione conoscitiva. L’Io penso viene a
svolgere un ruolo diverso rispetto a quello che era stato in Cartesio esso rappresenta
una sorta di struttura conoscitiva universale che garantisce la conoscenza intesa come
sintesi tra sensibilità e intelletto e dal momento che l’Io è consapevole di conoscere
conoscere viene anche definito da Kant come Appercezione trascendentale. L’Io però
non può applicare direttamente le categorie l’esperienza è necessario pertanto
ammettere una facoltà conoscitiva intermedia che Kant chiama immaginazione
produttiva, l’Io penso non applica direttamente la teoria l’esperienza è necessario che
ci sia una funzione intermedia, tra sensibilità intelletto. il suo fine è quello di produrre
degli schemi trascendentali, uno schema una rappresentazione grafica di un concetto,
in questo caso l’immaginazione produce degli schemi basandosi sul tempo e, da questo
punto di vista lo schema della sostanza sarà ciò che permane nel tempo, lo schema
mentale della causalità sarà la successione quindi dopo aver spiegato questo
meccanismo che regola la conoscenza Kant nella analitica trascendentale risponde alla
domanda “come è possibile la fisica conoscenza?“, Infatti afferma che essa elabora
giudizi sintetici a priori proprio perché spiega i fenomeni naturali attraverso il principio
di causalità, uno delle 12 categorie Kantiane, va oltre la scetticismo di Hume per
ristabilire lo statuto scientifico di questo principio attraverso il quale l’uomo spiega la
realtà partendo dallo stesso presupposto di Newton: la natura è uniforme e il suo
comportamento è regolare. Quindi l’io diventa il legislatore della natura, colui che
stabilisce le leggi della natura, leggi che hanno una validità universale e che sono
necessarie perché Kant spiega la natura in termini puramente meccanicistica (non
ammette nessuna forma di libertà). Questo mondo spiegato scientificamente
costituisce il fenomeno, la realtà che appare agli individui. Aldilà del fenomeno vi è il
know meno che Kant dichiara inconoscibile ma esistente. Infatti metaforicamente
paragona la conoscenza sull’isola circondato da un vasto mare: l’isola viene esplorata
dall’uomo in tutti i suoi angoli quindi l’uomo conosce perfettamente l’isola (la
conoscenza fenomenica), il mare che costituisce l’isola è inesplorato, l’uomo non ha
possibilità di conoscerlo (il noumeno). Quest’ultimo assume due significati uno positivo
e uno negativo: negativo poiché di fatto costituisce un limite per la conoscenza umana,
positivo poiché per l’uomo rappresenta una sorta di sollecitazione per oltrepassare
questi limiti. Questo è il tentativo che fa la ragione: andare oltre il fenomeno per
conoscere l’anima il mondo e Dio. Tuttavia Kant precisa che si tratta di una pretesa
illegittima che li analizza nella sezione intitolata “Dialettica Trascendentale“. La
domanda fondamentale in questa parte dell’opera è “come sia possibile la fisica
conoscenza”: parte dal presupposto che la natura sia uniforme si comporti
regolarmente (come Newton) e quindi questi fenomeni naturali vengono spiegati
attraverso il principio di causalità che è una delle 12 categorie possedute dell’intelletto,
di conseguenza l’universalità in questo caso viene attribuita dal soggetto perché
riguarda l’aspetto formale della conoscenza e non il contenuto ecco perché egli
definisce l’Io come legislatore della natura.
DIALETTICA TRASCENDENTALE Il termine dialettica in kant non ha lo stesso significato
che nell’antichità era stato attribuito da Eraclito, in quanto la dialettica per Eraclito
esprimeva il perenne fluire della realtà. Per Platone la dialettica costituiva la
conoscenza migliore, invece per Kant la dialettica indica quella sezione della critica della
ragion pura dove il filosofo analizza la pretesa della ragione di conoscere il numero,
poiché la ragione vuole andare oltre l’esperienza per dare un interpretazione
complessiva della realtà. Nello specifico essa esprime un esigenza di totalità, infatti
vuole interpretare in maniera globale tutta l’esperienza interna attraverso L’IDEA DI IO.
Vuole interpretare la totalità dell’esperienza esterna attraverso l’idea di mondo e
interpretare la totalità di tutte le esperienze, sia quella esterna che quella interna, sotto
l’idea di Dio.
Queste 3 idee: Io-Mondo-Anima erano state già oggetto d’indagine da parte di Wolf,
sostenitore del razionalismo. Questa corrente filosofica aveva pertanto trovato
diffusione anche in Germania, oltre che in Francia. Secondo Wolf anima, mondo e Dio
venivano indagate da 3 discipline: psicologia razionale, cosmologia razionale, teologia
razionale.
IDEA DI IO L’idea di Io secondo Kant ha dato origine ad un Paralogismo, cioè ad un
falso ragionamento, poiché Dio è stato considerato come sostanza, invece secondo
Kant l’Io non è sostanza ma è una funzione conoscitiva, in quanto rappresenta il
presupposto della conoscenza. Pertanto non possiamo dire che adesso corrispondono
tutti una serie di predicati che gli sono stati attribuiti, come ad esempio l’immortalità, la
spiritualità. Non possiamo ne dimostrarlo e tantomeno escluderlo, quindi essendo l’io
oggetto di trattazione della metafisica ne consegue che da questo punto di vista, la
metafisica non può essere considerata scienza, poiché non può formulare su Dio giudizi
sintetici a priori.
UNIVERSO Un analogo discorso può essere fatto in riferimento al mondo, in questo
caso Kant non parla di paralogismo, ma parla di Antinomie, ovvero contraddizioni. Ogni
antinomia è costituita da una tesi e da un’antitesi che sono appunti contrapposte, le
quali però nel caso dell’argomento sul mondo possono essere ritenute entrambe
valide, poiché esprimono dei punti di vista diversi. Esprimono la concezione del mondo
in relazione alla scienza e alla metafisica, quindi ha 2 dimensioni che sono diverse. Le
antinomie inoltre possono essere:
• Matematiche, prendono in considerazione la quantità e le qualità
• Dinamiche, prendono in considerazione la relazione e la modalità
Per quanto riguarda il mondo secondo Kant l’uomo cade in delle antinomie quando
pretende di conoscerlo. Le antinomie sono costituite da 2 argomentazioni
contrapposte, denominate TESI e ANTITESI. Esse pur essendo contrapposte tra di loro
possono essere fondate con argomentazioni valide.
N.b Quindi noi non possiamo dire che la tesi è vero o l’antitesi è falsa e viceversa, in
quanto risultano entrambe vere.
Esse esprimono infatti 2 punti di vista diversi:
-scienza in relazione al mondo
-metafisica in relazione al mondo
N.b Quindi non è possibile stabilire un giudizio sintetico a priori, di conseguenza anche
in relazione al mondo la metafisica non esprime un punto di vista univoco e non può
essere considerata scienza. Infatti del mondo noi possiamo dire contemporaneamente
che sia finito o infinito, semplice o composto, eterno o creato, libero o necessitato.
PENSIERO DI KANT SU DIO Tale pensiero è oggetto di indagine della teologia
razionale. Secondo i razionalisti è possibile dimostrare con argomentazioni razionali
l’esistenza di Dio. Kant sostiene l’impossibilità di questo modo di procedere. Prende in
considerazione gli argomenti sviluppati e analizza 3 tipologie di prove:
1. PROVA ONTOLOGICA, la quale è stata elaborata per la prima volta da Anselmo
d’Aosta. Parte dalla concezione di Dio come essere perfetto, che non è
manchevole di nulla, neanche dell’esistenza. Questo argomento da Kant non è
considerato valido perché l’esistenza riguarda l’ambito dell’esperienza. Ma di Dio
e l’esistenza di Dio noi non possiamo farne esperienza. L’esistenza di Dio non può
essere dedotta dall’essenza di Dio, pertanto egli respinge l’argomento ontologico
non considerandolo valido
2. PROVA COSMOLOGICA, essa afferma che per evitare un regresso all’infinito tra
effetti e cause è necessario ammettere l’esistenza di una causa originaria,
increata ma che ha dato origine ad ogni cosa. Questa causa originaria è
identificata in Dio. In realtà si tratta di una supposizione dell’uomo del tutto
arbitraria perché non può essere dimostrata (l’esistenza di questa causa
originaria) con nessuna prova.
3. FISICO TELEOLOGICA (anche questa messa in discussione) questa prova parte
dall’ordine esistente nel mondo, il quale ci appare come una sorta di progetto
organizzato da un ente superiore. Questa organizzazione del mondo infatti non
può essere conferita ad esso dall’uomo ma deve derivare da un essere
intelligente, appunto da un intelligenza superiore, che l’uomo identifica con “il
divino”. Kant afferma che quest’argomentazione non dimostra l’esistenza di Dio,
semmai potrebbe dimostrare l’esistenza di un “architetto del mondo” ma non di
un” creatore del mondo”. Inoltre secondo Kant non è da escludere che tale
ordine perfetto sia interno alla natura stessa. Kant conclude questa sezione
rispondendo alla domanda iniziale che la metafisica non può costituirsi come
scienza perché non è in grado di elaborare giudizi sintetici a priori
N.B. Kant non è possibile definirlo ateo, ma possiamo definirlo agnostico dal punto di
vista teoretico, in quanto Kant non nega l’esistenza di Dio, ma sostiene che questa
esistenza sia indimostrabile
Alla fine della critica della ragion pura Kant afferma che l’esistenza di Dio potrebbe
essere intesa come postulato pratico, cioè come un’esigenza dell’uomo, anticipando
con questa affermazione, quanto poi dirà nella critica della ragion pratica, quindi nella
successiva critica.
Le idee della ragione: IO-MONDO-DIO non svolgono alcuna funzione conoscitiva ma
svolgono una FUNZIONE REGOLATIVA, cioè manifestano un’esigenza, ovvero l’esistenza
della ragione di oltrepassare l’esperienza e il limite della conoscenza. Così facendo si
contrappone all’intelletto che invece conosce l’esperienza in maniera scientifica e certa.
Importante: lo scopo della dialettica trascendentale non è quello di svoltare la
metafisica. Pur non essendo scienza, Kant si dichiara innamorato eluso ma pur sempre
innamorato, quindi apprezza la metafisica nonostante gli esiti non scientifici.
LA MORALE Egli muove dal presupposto che esista una morale universale come ci
viene testimoniato dalla coscienza e si pone il problema della sua fondazione quindi
non mette in discussione l’esistenza di una morale universale ma partendo dal
presupposto che essa esista vuole capire su cosa essa si fondi. Quindi in questa critica
tratta la fondazione della morale come nella critica precedente aveva trattato la
fondazione della conoscenza. La coscienza secondo Kant attesta che la morale è
universale, autonoma e incondizionata poiché altrimenti non potrebbe essere
universale. Se non fosse autonoma ma si lasciasse condizionare dall’esperienza che è
sempre qualcosa di particolare, soggettivo la morale non potrebbe valere per tutti.
Inoltre quella di Kant è una morale formale, cioè egli non prescrive alcun contenuto ma
analizza unicamente la forma della morale. Kant analizza le diverse norme morali
perché vuole individuare la forma che risulta universale. Distingue tra massime e
imperativi:
•Le massime hanno sempre un valore soggettivo
•Gli imperativi hanno valore oggettivo però è necessario distinguere tra due tipi di
imperativi, ovvero:
•imperativi ipotetici, è subordinato ad una condizione ed hanno una forma del SE VUOI
DEVI
•imperativi categorici, esprime il dovere in forma pura infatti ha la forma del DEVI
quindi questo non è condizionato al raggiungimento di alcun fine. Quindi l’imperativo
categorico obbliga ad attuare un determinato comportamento, ne consegue che
secondo Kant l’imperativo categorico è l’autentico imperativo morale perché esprime Il
Dovere Per Il Dovere. Dell’imperativo Kant da tre formulazioni:
La prima la troviamo nella critica della ragion pratica dove egli afferma che ciascun
uomo deve comportarsi come se obbedisse ad una legislazione universale. Si tratta di
una formulazione che non esplicita alcun contenuto ma riguarda unicamente la forma
ovvero il comportamento dell’uomo deve rispettare una legge universale che deriva
dall’imperativo categorico.
Quindi la morale di Kant NO PRESCRITTIVA→NO PRECETTI E NORME MORALI perché
così facendo Kant ricondurrebbe la morale ad un contenuto empirico ma non è questo
il suo fine infatti una morale contenutistica potrebbe essere valida in determinate
circostante ma non sempre quindi non sarebbe più universale. Infatti nel sottotitolo
dell’opera c’è scritto: CRITICA DELLA RAGION PURA “RATICA” perché egli vuole
analizzare la ragione pratica però nella sua purezza senza alcun riferimento
all’esperienza. Ne consegue che il fondamento della morale è la ragione, l’uomo però
non è solo ragione è anche sensibilità, possiede due dimensioni contrapposte, quindi il
comportarsi secondo ragione diventa una sorta di ideale da raggiungere che Kant
chiama SANTITÀ. In un quarto scritto intitolato FONDAZIONE DELLA METAFISICA DEI
COSTUMI anche esso dedicato alla morale, Kant esprime altre due formulazioni
dell’imperativo categorico, la seconda formula è molto importante e attuale, poiché
afferma che bisogna trattare l’umanità sempre come fine e MAI come mezzo. Kant si
riferisce non solo all’umanità delle altre persone ma anche alla proprio umanità a
quella che noi potremmo chiamare dignità personale, che è stata enunciata nel art. 1
Della dichiarazione universale dei diritti e alla quale i padri costituenti hanno fatto
riferimento a proposito dell’ art.2 quindi bisogna rispettare sempre la dignità della
persona sia della propria che di quella altrui. La terza formula dell’imperativo
categorico ribadisce l’autonomia meta-morale, quindi possiamo dire che anche in
quest’ambito così come aveva fatto in precedenza riguardo la conoscenza, Kant compie
una rivoluzione copernicana perché l’uomo è considerato il fondamento della ragione.
La morale non deriva ne dalla ragione, ne da altri fini esterni ma deriva UNICAMENTE
dalla ragione che appartiene a tutti gli uomini. Dopo aver ribadito l’autonomia della
morale passa in rassegna le altre teorie morali che definisce ETERONOME perché esse
non si basano sulla ragione bensì su altre motivazioni come la ricerca del piacere,
dell’utile, la religione stessa facendo diventare Dio il fondamento della morale.
Nonostante questa critica nei confronti delle morali eteronome Kant ammette che il
comportamento umano è anche condizionato dalla sua educazione e quindi dalla
società in cui questo vive. Questi aspetti però non riguardano la forma della morale ma
il contenuto che non è oggetto di argomentazione. Egli infatti distingue tra
•legalità, qualcosa che deriva dall’esterno, dalla prescrizione della legge che implica un
determinato comportamento
•moralità, oltre ad essere fondata sulla ragione si basa anche sulla intenzione
dell’uomo che intenzionalmente sceglie di rispettare il dovere. Quindi affinché questa
scelta sia possibile è necessario presupporre la libertà. Se l’uomo non fosse libero non
dovrebbe scegliere alcunché quindi non potremmo parlare di morale perché le sue
scelte sarebbero determinato da altri/o. La libertà di cui Kant parla non è riferita alla
possibilità di fare qualcosa ma alla possibilità di VOLERE QUALCOSA ed è proprio il
volere che implica una scelta, una infezione da parte dell’uomo. Quindi può essere
anche denominata morale DEONTOLOGIA ovvero basata sul dovere che deriva dalla
ragione stessa. L’uomo è nello stesso tempo suddito e legislatore di se stesso:
Suddito perché deve rispettare il dovere ma questo non deriva dall’esterno ma dalla
sua stessa ragione, quindi l’uomo obbedisce a se stesso, alla propria ragione.
L’uomo che obbedisce alla morale è un uomo virtuoso ma non sempre è felice, è questa
la contraddizione, il dissidio della morale kantiana. Poiché l’uomo è bidimensionale, se
questo decide di seguire la ragione deve sacrificare una parte di se che è quella
sensibile. Inoltre questa perfetta adesione alla ragione costituisce uno stato di santità
che l’uomo nella vita terrena non riesce a raggiungere e quindi gli è precluso il sommo
bene che è costituito dalla unione di virtù e felicità. In tedesco il termine bene viene
tradotto il due modi GUD, bene in senso morale, e VOL, bene riferito al soggetto ovvero
benessere piacere (no universale). Quindi per bene egli intende la virtù, mentre per
sommo bene virtù + felicità. Quindi esprime una esigenza di totalità ma dal momento
che questo non può esserlo sulla terra è necessaria secondo Kant ’immortalità
dell’anima e l’esistenza di Dio. L’immortalità dell’anima viene postulata perché l’uomo
deve avere a disposizione un tempo illimitato per potersi perfezionare, ovvero per
poter raggiungere lo stato di santità rendendosi degno del sommo bene. Il fatto che
l’uomo sia degno del sommo bene non gli garantisce la possibilità di ottenerlo per
questo Kant formula il postulato dell’esistenza di Dio inteso come essere onnipotente e
buono il quale premia l’uomo virtuoso rendendolo felice. Quindi da questo punto di
vista, pratico, Dio diventa il garante del sommo bene. Un altro postulato è quello della
libertà che rappresenta il presupposto del discorso morale. Quindi è talmente evidente
che l’uomo deve essere libero per poter parlare di morale che non viene l’idea di alcun
tipo di spiegazione è come se fosse un posto autoevidente (postulato della libertà).
Questi tre postulati: libertà immortalità dell’anima ed esistenza di Dio non hanno un
valore conoscitivo, Kant non entra in contraddizione con quanto affermato nella critica
della ragion pura poiché questi postulati hanno solo un valore pratico cioè rispondere a
delle esigenze dell’uomo. nella natura continua il meccanicismo, non è il regno della
libertà che è invece tipico della morale, così come Dio e l’esistenza dell’anima da un
punto di vista conoscitivo non vengono messi. Quindi questi due postulati rispondono
soltanto ad un’esigenza Morale dell’uomo. Egli stabilisce il primato della ragion pratica
su quella teoretica poiché l’uomo viva come essere morale e non soltanto come essere
organico. Attraverso queste due critica Kant ha delineato due mondi contrapposti: il
mondo fenomenico, organizzato meccanicamente e conoscibile perfettamente
attraverso la scienza, è il mondo morale caratterizzato dalla libertà è da questa
esigenza pratica di ammettere l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima. l’uomo può
scegliere di essere virtuoso però questo non implica la felicità perché la parte legata
alla sensibilità continua ad essere presente nell’uomo a farsi sentire quindi l’uomo non
la mette a tacere definitivamente può farlo soltanto perfezionandosi, un processo
lungo che richiede molto tempo ecco perché secondo Kant non si riesce a realizzare
nella vita terrena E bisogna credere che la vita sia mortale affinché si possa
perfezionarsi e raggiungere lo stato di santità e quindi diventare degno del Sommo
bene.
LA CRITICA DEL GIUDIZIO
La critica del giudizio è quella che ha maggiormente influenzato la cultura romantica.
Essa infatti tratta del sentimento e risponde alla domanda “In che cosa posso
sperare?”. Si pone come una sorta di mediazione tra le due critiche precedenti. Nella
prima (Critica della ragion pura) Kant aveva cercato i fondamenti della conoscenza
universale. Nella seconda critica aveva indagato circa i fondamenti della morale. Da
queste due critiche erano emersi due mondi in antitesi. Nella prima critica si parlava di
un mondo determinato meccanicamente, e soltanto il fenomeno poteva essere
conosciuto scientificamente; nell’altra critica invece non si parlava più di meccanicismo,
bensì di libertà, che era il presupposto stesso del discorso morale. Quindi meccanicismo
da una parte, libertà dall’altra.
Nella terza critica Kant vuole scoprire se nella natura, aldilà del meccanicismo che la
caratterizza, vi sia un fine. Si tratta di una ragionevole speranza che non ha nessuna
pretesa conoscitiva.
Anche la critica del giudizio si articola in due parti; la prima riguarda il giudizio estetico,
in relazione al bello e al sublime, la seconda tratta del giudizio teleologico. Nella Critica
del giudizio, la facoltà di base è il sentimento, non la ragione; il sentimento da’ luogo a
giudizi riflettenti e non determinanti, come sono quelli della conoscenza che devono
determinare la realtà.
Il giudizio riflettente secondo Kant non ha alcuna funzione conoscitiva, ma esprime ciò
che il soggetto sente, non ciò che l’uomo può conoscere. Anche nell’ambito estetico,
Kant compire una rivoluzione Copernicana, analogamente alle due critiche precedenti:
egli afferma che la bellezza non è nelle cose, ma è un sentimento del soggetto, non di
un soggetto qualunque, ma di un soggetto universale, il quale afferma che una cosa sia
bella in relazione al sentimento del gusto che è apriori, cioè prescinde dall’esperienza e
in quanto tale è universale. Ecco perché noi possiamo dire che, nonostante il bello sia
soggettivo, si può raggiungere universalmente un accordo su di esso.
Kant distingue tra il bello e il piacevole; quest’ultimo è legato alla sensibilità, e di
conseguenza è soggettivo: cambia di persona in persona, di popolo in popolo, di cultura
in cultura, e qui egli cita il detto “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”.
Ciò che invece definiamo bello, prescinde dalla sensibilità, pertanto non è soggettivo,
bensì universale.
Anche la definizione Kantiana dell’artista avrà notevole successo e sarà ripresa dai
romantici: l’artista è colui che crea spontaneamente e in modo consapevole, nel senso
che aldilà dell’intenzionalità dell’artista, esiste quest’aspetto inconscio in base al quale
egli trasmette con le sue opere, un significato, dei valori, di cui lo stesso artista non è
consapevole, non aveva intenzione di scrivere tali valori, che sono pertanto sottoposti
ad interpretazione.
Per quanto riguarda il bello Kant gli attribuisce una serie di caratteristiche in base alla
tavola dei giudizi. Per quanto riguarda il bello e il giudizio di qualità, egli lo definisce
disinteressato, nel senso che è bello ciò che piace senza interesse, quindi senza
perseguire una finalità esterna alla bellezza; e di conseguenza è disinteressato.
Per quanto riguarda invece la quantità, la bellezza non può essere argomentata
attraverso i concetti perché questo giudizio estetico si basa sul sentimento e non
sull’intelletto, ed è universale poiché ciò che è bello lo è ritenuto da tutti.
In base al giudizio di relazione, egli prende in riferimento l’aspetto formale, pertanto
sarà bello ciò che risulta armonico.
E infine abbiamo il giudizio di modalità; Kant afferma che il piacere estetico è
necessario, proprio perché esso non dipende dai gusti individuali. Inoltre, riprende la
distinzione tra bello e sublime. Il primo deriva dall’armonia tra le parti, il secondo
invece deriva dal disarmonico. Può essere di due tipi: sublime matematico e sublime
dinamico. Quando l’uomo si trova ad assistere da spettatore ad alcuni spettacoli della
natura, come maremoto terremoto o eruzione, avverte la grandiosità di questi
fenomeni, e di fronte ad essi percepisce tutta la propria finitezza. Quindi di fronte al
sublime l’uomo da un lato si sente atterrito, ma dall’altro trova un senso di esaltazione,
un bisogno di andare aldilà dei propri limiti.
Nel caso del sublime Kant pone l’accento soprattutto sull’interiorità dell’uomo, proprio
perché acquista importanza la reazione dell’individuo di fronte a questi avvenimenti
della natura. Inoltre, nel bello tutto sembra essere organizzato in modo da poter
piacere all’uomo. Nel sublime non esiste alcuna finalità, pur essendo entrambi giudizi
riflettenti. In modo particolare il sublime è legato all’ambito morale, perché esso ci fa
prendere coscienza della nostra interiorità, e analogamente di fronte alla legge morale
l’uomo prova un atteggiamento simile a quello del sublime, avverte la grandiosità della
legge morale, e allo stesso tempo si avverte come piccolo di fronte ad essa. Si tratta,
però, di analogie, non di corrispondenze, poiché abbiamo detto che l’ambito estetico è
basato sul sentimento e non sulla ragione, come invece è per la morale.
Per quanto invece concerne il giudizio teleologico, Kant prende in considerazione la
natura da una prospettiva diversa da quella della “Critica alla ragion pura”, che era una
prospettiva simile a quella di Newton. Quindi va aldilà del meccanicismo poiché vuole
osservare il mondo naturale, soprattutto la natura organica, per scorgere in essa
l’esistenza di finalità, quindi è un approccio di tipo finalistica quello di Kant nella terza
critica nei confronti della natura. Con ciò non rinnega l’importante del giudizio
determinante, però comprende che la scienza pur studiando e strutturando la natura,
non riesce a cogliere il significato ultimo della natura. Il giudizio riflettente, invece, può
immaginare l’esistenza di tale senso, scopo nella natura pur non potendolo dimostrare
scientificamente. Quindi Kant vuole scoprire se nella natura esista un fine e se lo stesso
fine esiste nell’esistenza dell’uomo, se il senso dell’uomo ha un senso oppure si riduce a
semplice meccanicismo. Quindi questo fine ultimo della natura, secondo Kant, è
l’uomo, in quanto in essa tutto sembra essere predisposto in funzione dell’uomo. Si
tratta però di una ragionevole speranza che non trova riscontro in nessuna teoria
scientifica.
Quindi, rispetto a queste domande di senso, Kant conclude dicendo che l’uomo non
può far a meno di porsele, ma nello stesso tempo ad esse può rispondere non in
maniera certa, determinata, ma solo attraverso ipotesi o speranze. E quindi,
osservando la natura, è come in essa l’uomo potesse scorgere l’azione di Dio, che ha
presupposto tutto in funzione dell’uomo.

POLITICA
Kant si è occupato anche di politica; tra gli scritti principali vi è “La metafisica dei
costumi” (diverso da “La fondazione della metafisica dei costumi”).
Kant appartiene al liberalismo politico e riprende sia il giusnaturalismo, con l’esistenza
del diritto naturale, sia il contrattualismo, con l’origine convenzionale dello stato, che
nasce da un contratto stipulato dagli uomini.
Fa una distinzione tra diritto e moralità. Il diritto è inteso come il conformarsi alle leggi
scritte; la morale invece implica una interiorizzazione delle norme, quindi diventa un
fatto di coscienza non presente nel diritto. E quindi riprende la distinzione già vista con
diritto naturale e leggi positive, che non richiedono un’approvazione interiore. Le leggi
positive vengono espresse da colui che possiede il potere di fare le leggi, ma anche da
coloro che possono sanzionare chi non le rispetta. Quindi, mentre il diritto naturale è
universale, il diritto positivo invece è diverso da stato a stato, sia per quanto riguarda il
contenuto delle leggi, sia per quanto concerne il modo di farle rispettare. In modo
particolare egli rivendica l’importanza della libertà, che deve appartenere a tutti gli
uomini, e si sofferma anche sulla giustizia affermando che essa concerne tutti gli
individui, deve essere garantita a tutti gli individui; quindi riprende quel concetto di
uguaglianza giuridica già espressa durante la Rivoluzione francese.
Nonostante questi aspetti moderni del suo pensiero, ve ne sono altri che invece
rappresentano una sorta di involuzione: non condanna la pena di morte; non riconosce
il diritto al voto a tutti gli uomini, tipico del pensiero liberale.
STORIA
Per quanto riguarda la storia, egli riprende la concezione illuminista: anche per Kant la
storia è “progresso”, perché l’uomo progressivamente realizza la propria razionalità
nonostante l’uomo secondo Kant inizialmente, nello stato naturale, è mosso
dall’egoismo. Egli parla di “socievole insocievolezza”, in quanto inizialmente gli uomini
tendono alla propria sopravvivenza, conservazione e quindi non sono socievoli, ma
prevale l’egoismo, finalizzato però alla conservazione. Quindi l’egoismo svolge una
funzione positiva. Progressivamente, invece, l’uomo riesce a superare questo
sentimento e fa sì che la ragione subentri all’istinto, e così facendo è anche in grado di
creare la società, subentra la dimensione sociale. In questa evoluzione un ruolo
fondamentale è stato svolto dall’illuminismo che rappresenta per Kant l’ingresso per
l’uomo nella maturità, nella maggiore età, poiché utilizza la ragione. Questo progresso
è qualcosa che dura all’infinito, e che porta allo sviluppo delle tecniche e al
miglioramento della vita degli individui; dapprima nascono le famiglie, poi i gruppi, le
società e gli stati.
Kant nello scritto “Per la pace perpetua” arriva a delineare una condizione di unione tra
tutta l’umanità in cui siano superate le divisioni nazionali per creare uno Stato
confederato, quindi un unico governo confederato che risolve le eventuali controversie
senza ricorrere alla guerra, ma mantiene questo stato di pace perpetua per mezzo della
diplomazia.

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