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ARTHUR SCHOPENHAUER

Cenni biografici = Arthur Schopenhauer nasce nel 1788 a Danzica (Prussia Orientale), in una famiglia benestante. Nel 1793 la città passa sotto il
controllo dei prussiani, e la famiglia decide di trasferirsi ad Amburgo. Nel 1805 il padre di Arthur si suicida. È un trauma per il giovane, che è
molto più legato alla figura paterna che a quella materna. È tuttavia grazie alla madre se il giovane Arthur può entrare in contatto con figure
intellettuali come Gohete. Nel 1809 Schopenhauer si iscrive all’università di Gottinga per studiare medicina, ma in seguito, attratto dalla
filosofia, si trasferisce a Berlino per studiare filosofia idealista, ma rimane deluso da questo approccio. Al termine del suo percorso di studi, che
si conclude all’università degli studi di Iena, si laurea con una tesi dal titolo “La quadruplice radice del principio di ragion sufficiente”, un tema
che poi riprenderà e riapprofondirà nello sviluppo del suo pensiero filosofico. Dal 1814 si trasferisce a Dresda e comincia a concepire l’opera
che rappresenterà il suo capolavoro: “Il mondo come volontà e rappresentazione”, opera che esce nel 1819 nella generale indifferenza del
pubblico. Nonostante questo insuccesso, nel 1929 Schopenhauer ottiene una cattedra all’università di Berlino, dove entra in rivalità con Hegel,
che in questi anni è all’apice del successo ed è fautore di un approccio filosofico completamente opposto a quello di Schopenhauer. Nel 1831,
Schopenhauer si trasferisce a Francoforte per sfuggire ad un’epidemia di colera. Qui comincia a lavorare ad ampliamenti della sua opera
principale. Poi nel 1851 pubblica “Parerga e Paralipomena”, una raccolta di saggi che presenta in maniera più divulgativa e accessibile il suo
pensiero. Grazie a quest’opera, Schopenhauer riesce a raggiungere una grande fama. Nel 1860 muore all’età di 72 anni a Francoforte.

Le fonti della filosofia di Schopenauer:

1. Platone
2. Kant
3. Sapienza orientale

Schopenhauer parte dalla distinzione che Kant opera tra fenomeno e noumeno, ossia tra la realtà che si mostra all’uomo, e l’essenza stessa
della realtà che per l’uomo rimane inconoscibile. Questa distinzione la ritroviamo già espressa nel titolo del capolavoro di Schopenhauer: “Il
mondo come volontà e rappresentazione”. Con questo titolo, il filosofo vuole infatti sostenere che il mondo si mostra sotto due vesti:

1. Come fenomeno, che per Schopenhauer è la rappresentazione;


2. e come noumeno, che è inteso come volontà.

Seppur la base di partenza sia la stessa di Kant, le conclusioni a cui giunge Schopenhauer sono decisamente divergenti.

1. Per quanto riguarda il primo aspetto, quello fenomenico, la prima differenza che si trova è poco rilevante: se per Kant la
rappresentazione fenomenica è prodotta dal soggetto attraverso le due forme a priori dello spazio e del tempo e attraverso le dodici
categorie dell’io penso, Schopenhauer riduce il tutto a tre intuizioni a priori: spazio, tempo e causa. Questo significa che i fenomeni
sono individuati nella loro singolarità nello spazio/tempo (principio di individuazione); poi, per il loro accadere, il soggetto è in grado
di determinare la causa (principio di ragion sufficiente).
2. Una seconda differenza è invece più sostanziale: per Kant la realtà esterna è oggettiva, sempre esistente, al di là della
rappresentazione limitata del soggetto. Per Schopenhauer invece l’oggetto, ovvero la realtà esterna, esiste solo perché c’è un
soggetto che lo coglie. In altri termini, per Schopenhauer la realtà è un’illusione, un’apparenza determinata dalla rappresentazione
messa in atto dal soggetto (Schopenhauer ricorre qui all’immagine del velo di Maya, un’immagine che proviene dalla filosofia
orientale di cui il filosofo tedesco è un appassionato lettore. Per velo di Maya si intende un velo metaforico che rende la realtà
soltanto un’apparenza, un sogno ad occhi aperti).
3. La terza e più definitiva presa di distanza compiuta da Schopenhauer riguarda infine il passaggio dal fenomeno al noumeno: per Kant
il noumeno rappresenta un’ipotesi in quanto è quel lato della realtà che l’uomo non può mai arrivare a conoscere dal momento che
è al di là delle sue forme a priori. Per Schopenhauer invece il fenomeno non è che un velo, e in quanto tale può essere squarciato per
giungere alla conoscenza del noumeno. La chiave di accesso al noumeno (o alla cosa in sé, per usare un altro termine kantiano) è
rappresentata dal corpo. Il corpo infatti è l’oggetto della nostra rappresentazione fenomenica ma non solo: il soggetto ha l’intuizione
dei desideri, della spinta all’esistenza, della volontà di vivere che pervade il corpo; tutte dimensioni che sono al di là del fenomeno.
Entriamo così nel campo del noumeno.

Schopenhauer sostiene che dal momento che la volontà di vivere muove tutte le cose del mondo, sia quelle animate che quelle inanimate, la
volontà rappresenta il noumeno, ovvero l’essenza stessa della realtà.

1. Questa realtà è pensata da Schopenhauer innanzitutto come una realtà che noi vediamo rappresentarsi in tutti i corpi, perché
fenomenicamente agiamo secondo il principio di individuazione, ma in realtà si tratta di una forza unica, non divisa nel molteplice.
2. In secondo luogo, questa è una forza primordiale, inconscia, che agisce senza uno scopo. Si tratta dunque di una dimensione cieca,
che non esprime nessun fine: la volontà vive solo per se stessa, e lo fa senza una ragione. Si tratta dunque di una forza irrazionale.
3. In terzo luogo, questa volontà rende tutti i corpi suoi schiavi perché provoca in essi quei desideri e quella spinta ad esistere di cui non
si possono liberare, in altri termini questa forza agisce in maniera deterministica, rende gli esseri del mondo sottomessi ai suoi
desideri, costretti ad eseguirli; in una dimensione dunque di assenza di libertà. In tal senso, si può parlare di pessimismo cosmico
della filosofia di Schopenhauer.
Quindi:

Schopenhauer comincia il suo discorso filosofico ripartendo dalla distinzione, che già Kant aveva fatto, tra fenomeno e noumeno:
FENOMENO NOUMENO
Per Kant il fenomeno è ciò che della realtà ci appare (la realtà Per Kant il noumeno è il fondamento della realtà, la causa, la radice;
effettuale), ossia ciò che noi possiamo direttamente vedere con i ciò che sta al di là di ciò che è visibile. Non è conoscibile
nostri occhi. È conoscibile scientificamente. scientificamente, è solo pensabile dalla ragione umana.

Per Hegel fenomeno e noumeno erano due facce della stessa Per Hegel fenomeno e noumeno erano due facce della stessa
medaglia: da una parte realtà e dall’altra razionalità. medaglia: da una parte realtà e dall’altra razionalità.

Per Schopenhauer, nonostante il fenomeno sia l’unico oggetto di Per Schopenhauer, bisogna squarciare il velo di Maya e scoprire ciò
conoscenza, è in realtà una rappresentazione soggettiva, ossia una che sta al di là del fenomeno: il noumeno, che è una realtà che si
rappresentazione che ciascuno fa nella propria mente del mondo nasconde dietro l'ingannevole manifestazione del fenomeno e che il
circostante. La rappresentazione è parvenza, inganno. Un’illusione filosofo ha il compito di scoprire. Il mondo vero è da Schopenhauer
che ci nasconde la verità (il velo di Maya) (la spelonca platonica). Il ritenuto conoscibile (differenza sostanziale con Kant, per cui la
mondo è dunque una mia rappresentazione, nel quale non posso realtà vera è inconoscibile).
però distinguere tra il soggetto che rappresenta (cioè me stesso) e
l’oggetto rappresentato (le cose che mi circondano, il mondo)
perché ne faccio anch’io parte. Il fenomeno è dunque illusorio, è
ingannevole, è un sogno.

La rappresentazione è il rapporto necessario tra il soggetto (ciò che tutto conosce) e l’oggetto. Se Hegel aveva voluto superare il dualismo
kantiano di fenomeno e noumeno, qui pare vi sia un ritorno a quella impostazione. Non c’è prima il soggetto (come volevano gli idealisti, che
riservano al pensiero grande importanza [cfr. Hegel]) né prima l’oggetto (i realisti dicevano che il pensiero deve semplicemente adeguarsi
all’oggetto). Nessuno dei due termini ha un primato sull’altro. Ciò che caratterizza la materia è la possibilità di agire o subire le azioni [cfr.
Platone, ne Il sofista: essere è tutto ciò che può agire o subire azioni]. Wirken (= agire, termine da cui deriva la parola realtà). anche gli animali
esperiscono rappresentazioni. Secondo Schopenhauer ciò che qualifica l’uomo è costruire rappresentazioni di rappresentazioni (ciò è
permesso dalla ragione). La ragione è la facoltà mediante cui gli uomini pensano gli oggetti, ma è anche la facoltà che produce il linguaggio.

Il corpo che esperisce la volontà = Spazio, tempo e causalità sono non le forme a priori del soggetto, ma strutture della rappresentazione (che
già include soggetto e oggetto). Ognuno di noi è un individuo che viene individuato attraverso spazio, tempo e causalità. Noi conosciamo il
corpo come oggetto di rappresentazione. Noi abbiamo un altro modo di sperimentare il corpo: il nostro corpo è fame, sete, piacere, dolore,
pulsioni, etc. Tutto questo rinvia non tanto al mondo in quanto rappresentazione, ma alla volontà. La volontà è un principio metafisico,
cosmico, universale. I caratteri della volontà sono: l’unità (la volontà è una; la molteplicità è invece espressione del mondo come
rappresentazione), la volontà è un tendere senza fine e senza scopo (della volontà del voler vivere non vi è scopo altro se non voler vivere ?), è
irrazionale, è inconscia

Tutto è oggettivazione della volontà. La volontà esprime una tensione che è insoddisfazione.

Senza fine si intende che non esiste fine alcuno o che non vi è fine altro oltre al fine in sé?

La vita umana è un pendolo che oscilla costantemente fra il dolore e la noia = Infine, dice Schopenhauer, fra tutti gli esseri viventi, l’uomo è
quello che più ha consapevolezza della sua schiavitù nei confronti della volontà, e dunque dell’essere più sofferente. Le dimensioni esistenziali
in cui vive l’uomo sono infatti il dolore e la noia. L’uomo è infatti costretto dalla volontà a desiderare costantemente ed il dolore è lo stato
d’animo che nasce dalla mancanza del possesso di ciò che si desidera. Quando anche poi il desiderio arriva ad essere soddisfatto, subentra lo
stato d’animo della noia, che è una sorta di assenza di vitalità, una parentesi momentanea in cui il soggetto si sente appagato e dunque privo di
spinta vitalistica. Questa situazione esistenziale è riassunta da Schopenhauer con una famosa immagine, in cui la vita umana è rappresentata
come un pendolo che oscilla costantemente fra il dolore e la noia.

Le vie per fuggire la volontà = Data la sua condizione di dolore in cui vive l’uomo, Schopenhauer riflette sulle possibili vie di liberazione da
questa situazione esistenziale. La soluzione più immediata sembrerebbe essere il suicidio, come univa forma per sottrarsi definitivamente alla
libertà. Ma Schopenhauer la rifiuta, in quanto l’atto in sé è esso stesso un atto di volontà, e dunque sarebbe un riprodurre la schiavitù a cui
questa forza sottopone l’uomo. Escluso il suicidio, Schopenhauer indica tre possibili vie di liberazione: la prima è l’arte. Rifacendosi ai concetti
platonici, Schopenhauer sostiene che l’arte rimanda a una dimensione ideale, al di là delle categorie di spazio e tempo e dunque al di là del
principio di individuazione che domina il mondo fenomenico. Quindi, è come se la contemplazione artistica mettesse l’uomo in una situazione
di parentesi, fuori dalla catena di desideri e bisogni. Il limite della sua efficacia è però evidente: la contemplazione, il rapimento che provoca
l’arte non può che essere limitato nel tempo; dunque è una forma di liberazione solo momentanea. La seconda via indicata è quella della
compassione: la volontà ci costringe ad essere egoisti e in competizione con gli altri; l’atteggiamento della compassione ribalta questa logica.
Compatire significa condividere il dolore. È l’atto con cui si riconosce che tutti gli uomini sono schiavi della volontà e dunque tutti soffrono.
Attraverso la compassione si superano gli atteggiamenti egoistici e si pone un freno alla schiavitù della volontà. Anche questa via non può però
essere definitiva, in quanto non può arrivare a coprire tutti i nostri atti determinati dalla volontà. La terza via, quella più definitiva, è detta da
Schopenhauer “noluntas”. Il termine rimanda ad un ribaltamento totale della logica della volontà per arrivare ad una situazione di completa
assenza della volontà. La “noluntas” si può raggiugere attraverso un percorso di purificazione e ascetismo, che parte dalla castità per poi
giungere ad un totale annullamento della volontà. L’atteggiamento pessimista di Schopenhauer in ogni caso rimane: la “noluntas” non è una
situazione che produce la felicità, ma l’annullamento del dolore.

Quindi:

LE TRE GRANDI VIE DI LIBERAZIONE:


- È un atto, e dunque una forma di volontà. Non comprende, il suicida, l’assurdità del volere; ma anzi
Il suicidio. sceglie la via del suicidio proprio perché egli desidera qualche cosa di diverso rispetto a ciò che ha. Dal
punto di vista teoretico, il suicidio è un errore.
- Che un individuo ponga fine al suo dolore non ha rilevanza alcuna (metafisicamente è insignificante
come atto).
- Chi si suicida (o chi tenda ti togliersi la vita) comunque esprime il desiderio di vivere.
- L’arte ha la capacità di interpretare e spiritualizzare la natura  possibilità di vivere, nella
contemplazione estetica, momenti di sospensione del
volere.  Schopenhauer sta proponendo una sorta di fenomenologia della contemplazione estetica.
- Schopenhauer, ostile come egli è all’idealismo tedesco, afferma che Schelling, in quest’idea di
godimento estetico, ci aveva visto bene.
La contemplazione estetica (l’arte). - La tragedia è l’arte per eccellenza perché porta in scena la contraddizione che la volontà ha in se
stessa.
- La tragedia è superata dalla musica, forma d’arte disincarnata.
- Questo distacco che l’arte è in grado di produrre è però momentaneo  ciò rappresenta
evidentemente un limite.

- Significa riuscire ad avere una passione insieme all’altro (è quindi lontana da una sorta di
paternalistico valutare sentimentalmente).
- Noi usciamo da noi stessi quando siamo in grado di compatire l’altro [l’atto del compatire avviene e
La compassione (mit-leid/cum-patire). per uno sdegno oggettivo, la giustizia, e per un sentimentale interiore, la pietà].
- Tat twam asi = Ciò sei tu
- La capacità di compatire non è però permanente  limite.
- Significa spegnere in sé il mondo, la perfetta consumazione del mondo. Non si tratta di voler non
mangiare o di voler essere casti, ma di far scorrere ogni atto volitivo.
- Il perfetto consumo del corpo non consiste nel nihil negativum (cioè affermare che il mondo è nulla,
che significa affermare che il nulla è); ma nel nihil privativum (cioè consumare progressivamente le
Annullamento della volontà. volontà acquietandole fino a che esse si addormentano e taciono in noi).
- Schopenhauer sembra in questo essere in contraddizione con l’essenza della filosofia indiana.

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