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Arthur Schopenhauer: Realtà o Illusione?

○ Il mondo come rappresentazione.

Tra pensiero filosofico occidentale e antica sapienza orientale.


Il pensiero di Schopenhauer è un punto di intersezione di vari influssi culturali:

➔ la filosofia platonica, in cui egli ritrova la spinta a evadere dal mondo sensibile e a elevarsi
alle idee;

➔ il razionalismo settecentesco, di cui condivide l'interesse per il mondo;

➔ il razionalismo settecentesco, di cui condivide l'interesse per il mondo naturale, ma non la


fiducia nella funzione liberatrice della ragione;

➔ il criticismo kantiano e l'indagine sui limiti della conoscenza;

➔ il romanticismo, di cui egli rifiuta però l'aspetto filosofico, cioè l'idealismo;

➔ la tradizione mistica, cristiana e soprattutto orientale.

La ripresa di Kant avviene sotto il segno dell'opposizione a Hegel, che pretende di identificare
ragione e realtà, mentre sperimentiamo l'illusorietà di ogni tentativo di individuare un senso
razionale nelle cose del mondo.

Schopenhauer imposta però in termini diversi da quelli kantiani la distinzione tra fenomeno e
noumeno.

Per Kant il fenomeno è l'unica realtà che l'uomo può conoscere e il noumeno è inaccessibile.

Per Schopenhauer, che riprende l'idea platonica del mondo sensibile come copia ingannevole delle
idee, il mondo fenomenico è solo apparenza, quello che l'antica sapienza indiana chiamava il velo di
Maya, mentre al di là di esso sta il vero mondo, il noumeno, che l'uomo può scoprire.

Il dualismo kantiano di fenomeno e cosa in sé diventa dualismo di apparenza e realtà; e poiché il


fenomeno è una rappresentazione soggettiva della coscienza, il mondo esterno
sembra"volatilizzarsi" e diventare evanescente.

Il mondo è una mia rappresentazione.


La prima parte de Il mondo come volontà e rappresentazione, dove è esposta la teoria della
conoscenza, si apre con le parole «Il mondo è una mia rappresentazione».

Ciò significa, per Schopenhauer, che il mondo è solo un complesso di contenuti rappresentativi,
strutturato in base alle leggi del soggetto conoscente.
Poiché la realtà in sé non si lascia cogliere attraverso tali leggi, essa è inconoscibile per l'uomo a
livello rappresentativo.

Se si guarda in modo disincantato alle cose, è impossibile non accorgersi di essere immersi in un
mondo di dati che sembrano occultare la loro ragione d'essere.

Qual è la verità del mondo?

I fatti non danno risposta; di qui la tesi schopenhaueriana che ciò che abbiamo di fronte è solo
rappresentazione, il dato immediato del conoscere.

Come Kant, anche Schopenhauer vuole individuare le condizioni a priori che rendono possibile il
fenomeno e, per fare ciò, occorre definire preliminarmente le funzioni conoscitive del soggetto,
riprendendo la distinzione kantiana tra sensibilità, intelletto e ragione.

Tuttavia, a differenza di Kant, per Schopenhauer il soggetto non viene "prima" dell'oggetto: esso si
dà contemporaneamente all'oggetto nella rappresentazione.

La conoscenza ha origine dall'unione di soggetto e oggetto, entrambi necessari alla


rappresentazione, perciò le forme a priori della conoscenza sono una componente, non le
condizioni, della rappresentazione.

Spazio, tempo, causalità.


La sensibilità e l'intelletto, che per Kant hanno natura diversa, l'una immediata e intuitiva, l'altro
discorsiva, sono visti da Schopenhauer come due momenti del processo fisiologico attraverso cui la
mente umana arriva a conoscere, mentre le forme a priori sono ridotte a tre:

➔ lo spazio e il tempo (inerenti alla sensibilità);

➔ la causalità (inerente all'intelletto).

Spazio e tempo hanno la funzione di determinare il mondo oggettivo in una molteplicità di enti,
ciascuno distinto dagli altri attraverso la sua posizione spazio-temporale.

Essi servono dunque a individuare le singole cose: operano come principio di individuazione
(principium individuationis).

La causalità è la stessa essenza della materia, le cui individuazioni determinate da spazio e tempo,
cioè le cose, agiscono le une sulle altre e sono percepibili solo come cause ed effetti.

Rappresentare la realtà significa rappresentare l'azione reciproca delle cose nello spazio e nel tempo,
collegare un effetto con la sua causa.

E ciò che fa l'intelletto, il quale attraverso la causalità produce una conoscenza intuitiva, analoga a
quella prodotta dalla sensibilità.
Perciò non c'è differenza di natura tra sensibilità e intelletto: essi producono insieme un'unica
conoscenza immediata.

La ragione, facoltà della conoscenza mediata.


L'uomo è dotato anche di ragione, che consiste nella capacità di formare rappresentazioni di
rappresentazioni o concetti, di collegarli in ragionamenti, sviluppando una conoscenza riflessa delle
connessioni causalità che l'intelletto intuisce immediatamente.

La ragione è la facoltà del conoscere discorsivo che si fonda sul principio di ragione sufficiente,
consistente nello spiegare perché una cosa sia piuttosto che non sia e perché sia in un certo modo.

Tale principio, secondo Schopenhauer, è applicabile in quattro diversi ambiti:

1. ai processi naturali, dove consente di rendere ragione del divenire delle cose, attraverso la
connessione tra causa ed effetto;

2. alla conoscenza, dove spiega la conoscenza razionale attraverso il rapporto tra antecedente e
conseguente;

3. ai rapporti di spazio e tempo, agli enti geometrico-matematici, dove spiega la loro concatenazione
necessaria;

4. all'agire umano, dove spiega il nesso causale tra azione e motivi per cui è compiuta. Ci sono
dunque quattro tipi di necessità: fisica, logica, matematica, morale, su cui si fondano,
rispettivamente, le scienze naturali, quelle logico-gnoseologica, quelle matematiche e quelle morali.

La ragione ed il linguaggio.
I concetti della ragione sono entità astratte che non si collocano nello spazio e nel tempo, ma sono
presenti nell'esperienza degli individui grazie alle parole, rappresentazioni sensibili tramite le quali
essi sono espressi.

Attraverso le parole la ragione si incontra con le forme sensibili di spazio e tempo, perciò essa è
anche la facoltà del linguaggio, attraverso il quale l'umanità promuove il sapere scientifico, la
letteratura e le arti, le istituzioni politiche, le norme morali.

Ma ragione e linguaggio sono anche all'origine degli errori e dei pregiudizi degli uomini.

La ragione, poi, non va oltre il mondo come rappresentazione, quindi non può arrivare alla realtà
autentica: ciò che può condurre alla verità del mondo è il corpo
○ Il mondo come volontà.

Il filo del corpo e la volontà.


Grazie al corpo l'uomo può intraprendere una via che conduce all'essenza profonda delle cose, al
noumeno, perché egli ha con il proprio corpo un rapporto "doppio":
➔ da un lato, egli si vede come dall'esterno, una cosa materiale fra le altre, oggetto
dell'intuizione empirica;

➔ dall'altro, si vive dall'interno, provando gioia e dolore, e si manifesta come volontà, una
forza primordiale, irriducibile alla pura rappresentazione, non inquadrabile nella trama di
rapporti causali che intercorrono tra le cose.

L'essenza profonda del nostro io è la volontà di vivere, impulso irrefrenabile che spinge a esistere e
ad agire.

Noi siamo volontà di vivere e il corpo è la manifestazione fenomenica dei nostri desideri: volontà di
nutrirsi che si oggettiva nell'apparato digerente, volontà di riprodursi che si oggettiva nell'apparato
sessuale, e così via.

La volontà come struttura metafisica del mondo.


Attraverso l'esperienza corporea, dunque, l'uomo giunge al di là di ciò che appare nella
rappresentazione, al mondo in quanto noumeno, che è volontà. Essa è la dimensione interiore di
tutte le cose, è la struttura metafisica del mondo.

La volontà originaria, il fondamento dell'essere, è un impulso inconsapevole e irrazionale; è la pura


volontà di vivere che, essendo oltre spazio, tempo e causalità, non è sottoposta al processo di
individualizzazione da cui ha origine la molteplicità delle cose.

Essa è dunque unica, eterna, dovunque la stessa.

Da un lato, il fatto che tutti i fenomeni siano manifestazioni dell'unica volontà spiega l'armonia
dell'universo; dall'altro, la presenza di una forza primordiale che spinge gli individui
all'affermazione di sé anche a danno degli altri spiega la lacerazione che percorre la realtà.

Spinti dalla volontà, gli esseri nel mondo vivono solo per continuare a vivere, anche a danno degli
altri.

La volontà si oggettiva in forme eterne ed immutabili.


La volontà di vivere si realizza nel mondo fenomenico in una serie ascendente di forme eterne ed
immutabili, fuori dallo spazio e del tempo, che Schopenhauer chiama idee, di cui le cose sono
copie.
Ma le idee non sono la vera realtà, bensì solo il tramite tra volontà originaria e mondo fenomenico,
in quanto esse riflettono i movimenti della volontà irrazionale.

Al grado più basso di oggettivazione della volontà stanno le forze della natura (tra cui gravitazione
ed elettricità), forze metafisiche, che operano indipendentemente dalla causalità; a un grado più alto
stanno le forze che governano la vita vegetale e animale.

Nell'uomo la volontà si oggettiva nei singoli individui, ciascuno dotato di un proprio volere, che si
manifesta come volontà razionale.

La consapevolezza che distingue l'uomo dagli altri esseri viventi lo destina a una sorta di perenne
malattia perché, al contrario degli animali, in cui la volontà si esplica come puro istinto, l'uomo
cerca di esercitare la ragione, che però è meno sicura ed efficace dell'istinto e perciò più
destabilizzante.

Il dolore del mondo.


La concezione della volontà come forza irrazionale apre la via ad un radicale pessimismo: tutto ciò
che di positivo crediamo di riconoscere nel mondo è un'illusione.

Incalzata dalla volontà, la vita è un continuo bisogno e desiderio. E poiché desiderare significa essere
privi di ciò che si desidera, la vita è mancanza, dolore. L'appagamento del desiderio è solo
momentaneo, perché sempre la volontà spinge verso nuovi desideri. Ciò che gli uomini chiamano
piacere è solo la cessazione del dolore.

Se viene meno lo stimolo del desiderio, l'individuo cade in uno stato di sazietà e noia. Di qui la
conclusione schopenhaueriana: la vita oscilla tra dolore e noia, attraverso l'intervallo illusorio del
piacere.

Il dolore è un fatto cosmico, perché il negativo è il principio da cui deriva ogni cosa. Dietro
l'immagine dell'ordine, sia nella natura sia nella società, sta la lotta sfrenata degli individui, ciascuno
parte dell'unica volontà.

L'ordine della società civile è solo un fragile schermo dietro cui si agitano passioni ed egoismi che
erompono non appena si allentano le forme di controllo da cui sono tenuti a freno. Allora
prevalgono gli istinti di autoconservazione e la ricerca dei propri interessi, ai quali soggiace la
ragione che, in nome dell'egoismo individuale, escogita i mezzi più efficaci per l'appagamento delle
spinte vitali.

Nemmeno l'amore è un elemento positivo, perché è soggiogato all'istinto sessuale, attraverso cui la
volontà opera per riprodurre la vita.
Friedrich Nietzsche: Impulso Apollineo e Dionisiaco.
La prima fase del pensiero nietzscheano è incentrata su un'originale interpretazione del mondo
greco e della decadenza della civiltà occidentale.

Questa potrà essere superata solo attraverso il rinnovamento dello spirito, attingendo alla fonte
vitale dell'antico pensiero greco.

Da Schopenhauer, Nietzsche trae l'idea che la vita dell'universo affondi nell'irrazionale e che
l'esistenza degli individui sia solo un momento fugace e inconsistente nel perenne fluire delle cose.
Egli però dissente dalla soluzione schopenhaueriana: la fuga dalla realtà, il ritiro nell'ascesi e nella
noluntas.

Bisogna, al contrario, accettare la vita fino in fondo, in tutti i suoi aspetti; bisogna cioè accettarne il
senso tragico, come accade nell'esperienza artistica, che non si uniforma alle categorie della
razionalità, per lasciare spazio alle passioni e al sentimento.

Per questa via l'individuo può entrare in contatto con gli aspetti più oscuri e terribili dell'esistenza e
trasfigurarli in una forma vitale più ricca e profonda.

Una simile esperienza, afferma Nietzsche nella Nascita della tragedia, si realizza nell'originaria
tragedia greca, quella di Eschilo e di Sofocle.

Per quanto riguarda il mondo moderno, invece, essa si concretizza nel dramma musicale di Wagner,
convinto che tramite la musica si possa esprimere anche ciò che non è esprimibile con i concetti.
Nella tragedia antica e nell'opera wagneriana l'esistenza nella sua totalità è resa vivibile grazie all'arte.

Il mondo greco evocato da Nietzsche non è quello a cui si richiama la cultura neoclassica
esaltandone gli elementi di armonia e di equilibrio; non è il mondo della civiltà ateniese, della
filosofia di Socrate, Platone e Aristotele. E invece il mondo della Grecia più antica dei poeti tragici e
dei primi pensatori, soprattutto di Eraclito, con la sua visione di una realtà in perenne contrasto e
trasformazione.

Il fraintendimento per cui il mondo greco è tutto identificato con il mondo dell'armonia e
dell'equilibrio nasce, secondo Nietzsche, dai primi intellettuali cristiani.

Essi, infatti, hanno conosciuto quel mondo nella sua fase di decadenza, quando ormai predomina la
componente razionale-intellettualistica in opposizione alle forze dinamiche della vita.
Apollo e Dioniso.
Nell'originaria civiltà greca, invece si fondono due impulsi contrapposti:

➔ Il Dionisiaco che si richiama alla figura di Dioniso, il dio che assume in sé i caratteri
contraddittori della lacerazione, del dolore, della gioia, della rinascita, il dio della festa e
dell'ebbrezza.

Il dionisiaco esprime la forza dell'istinto vitale e dell'energia creatrice, che nasce


dall'accettazione incondizionata del divenire anche nei suoi aspetti contraddittori e tragici.
Al dionisiaco è congeniale la musica, che libera gli impulsi profondi dell'individuo;

➔ L'apollineo che si richiama ad Apollo, il dio della luce. Esso esprime l'aspirazione alle forme
nitide ed equilibrate che solo l'ordine razionale può rappresentare e che trovano la loro
perfetta traduzione artistica nella scultura.

Anche Apollo ha un legame con la musica, ma la sua è una musica tenuta a freno, non la
musica eccitante e sfrenata di Dioniso che suscita le passioni.

Nella loro opposizione, tuttavia, Apollo e Dioniso sono complementari:

➔ Da un lato, il prorompente e caotico flusso delle forme vitali non sarebbe sopportabile se
non rivestito delle belle immagini plasmate dell'apollineo;

➔ Dall'altro, l'ordine apollineo resterebbe un vuoto contenitore se non fosse alimentato


dall'inesauribile fecondità del dionisiaco.

La tragedia greca più antica compone in sintesi i due impulsi fondamentali, facendo coesistere la
musica e la danza dionisiache, messe in scena dal coro, con le immagini prodotte dallo spirito
apollineo che narrano la trama eroica.

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