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7 La filosofia

nel IV secolo
Platone Aristotele
Eraclide Pontico Dicearco
Aristosseno Teofrasto
La po*liQ e l'organizzazione del sapere
N el corso del V secolo la filosofia, attraverso l'umanesimo sofistico e socratico,
aveva rivolto la sua attenzione soprattutto alla vita associata che si svolgeva
nella comunitaÁ politica (" pp. 10 ss.). Nel IV secolo ± in cui si assiste alla crisi della
po*liQ ± gli obiettivi della ricerca filosofica saranno due: da un lato, la riflessione
sull'interioritaÁ della coscienza personale, con lo sviluppo di un'istanza che era stata
propria dell'eleatismo (" p. 15); dall'altro, l'impegno concreto nella verifica scienti-
fica secondo gli insegnamenti della scuola ionica (" p. 15).
La comunitaÁ civile continuoÁ a essere oggetto di riflessione filosofica anche
durante il IV secolo, ma assai spesso i pensatori si chiesero come la cittaÁ potesse
meglio rispondere alle istanze che nascevano dalla coscienza del singolo. Del resto,
nell'Atene che aveva fondato la sua grandezza sullo sfruttamento degli alleati
sudditi, giaÁ Socrate aveva sostenuto che la giustizia non doveva essere ricercata
nelle assemblee popolari, ma nella privata ricerca della veritaÁ e che il vero tribunale
a cui l'uomo deve rispondere eÁ la sua coscienza.

Platone Interprete coerente delle istanze del socratismo eÁ Platone, che, prendendo
atto delle contraddizioni evidenti del mondo sensibile, indica il criterio della
veritaÁ nella sfera esclusiva del razionale e delle idee pure: una dimensione a cui gli
oggetti del mondo in cui viviamo partecipano solo in parte. Benche per Platone la
realtaÁ si fondi sul mondo distaccato e interiore dell'idea, non viene meno nella sua
filosofia l'interesse per la creazione di una comunitaÁ civile che tenda all'ideale
trascendente del giusto. Proprio a questi principi si ispira la piuÁ vasta e complessa
delle sue opere, la Repubblica, mentre il tentativo di realizzare in concreto quel
modello ideale indusse Platone a compiere ripetuti viaggi in Sicilia, anche a costo di
fatiche fisiche (aveva sessantasette anni quando partõÁ per la terza volta) e a rischio
della sua stessa vita (" p. 562).

Aristotele Il maggiore tra gli allievi di Platone, Aristotele, individuoÁ la realtaÁ concreta
in una sintesi di materia sensibile e di forma ideale, il ``tutt'uno'' (sinolo).
Egli riconobbe, al centro di tutta la realtaÁ nella sua poliedrica multiformitaÁ, una
forma pura, pensiero di pensiero, motore immobile di tutto l'universo. Aristotele si
sforzoÁ anche di organizzare ± attraverso le ricerche e gli scritti suoi e della sua scuola
± le scienze del mondo umano: nella sua ricerca incluse la politica, la poetica e la
retorica, secondo l'istanza sofistica e socratica, ma anche la scienza della natura,
dalla biologia alla fisica all'astronomia, secondo la tradizione ionica. Gran parte
dell'enciclopedia delle scienze che caratterizzoÁ soprattutto il secolo seguente eÁ
dovuta all'opera di Aristotele e dei suoi allievi.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

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Platone
Platone

testi
Apologia di Socrate
1 I primi accusatori (18a-19a)
2 Il sapere di Socrate (20c-21d)
3 Restare al proprio posto (28a-d in it.)
4 Il congedo (40c-42a)
Critone
5 Il discorso delle Leggi (50a-54e)
Simposio
6 Eros desidera cioÁ
che non ha (119c-201d in it.)
7 Eros eÁ figlio di Poros e Penia (203b-203e)
8 Eros eÁ amore di immortalitaÁ (205d-207a in it.)
9 Per conoscere cioÁ che eÁ bello
in se (209a-212b in it.)
10 Socrate come Marsia (215a-216c in it.)
11 Ha qualitaÁ che nessuno
possiede (219d-222b in it.)
Fedone
12 Introduzione al dialogo (59d-63b in it.)
13 La morte (115b-118a)
Repubblica
14 I filosofi e il governo dello Stato (487b-490e)
15 Il mito della caverna (514a-516c in it.)
16 L'idea del Bene (517c-521b in it.)

P latone nacque ad Atene nel 427 a.C. da una famiglia della piuÁ alta nobiltaÁ attica:
da parte di padre discendeva dall'ultimo re di Atene, il mitico Codro, da parte di
madre dal grande legislatore Solone; cugino della madre fu l'oligarca Crizia, uno
dei Trenta tiranni. Il suo vero nome era ArõÁstocle: fu soprannominato Platone dal
suo maestro di ginnastica, perche aveva le spalle larghe.

L'incontro con Socrate L'evento fondamentale della sua vita fu, a vent'anni, l'incontro con Socrate,
che otto anni piuÁ tardi, nel 399, sarebbe stato condannato a morte con
l'accusa di empietaÁ. La vita politica allora attraeva il giovane Platone, che era im-
parentato con molti esponenti del partito conservatore; ben presto tuttavia rimase
deluso, sia dai Trenta, che avevano instaurato un governo sanguinario, sia dalla
restaurata democrazia, che aveva condannato a morte il suo maestro, l'uomo piuÁ
giusto da lui conosciuto. L'esperienza del processo e della condanna di Socrate fu
decisiva per lui, giaÁ profondamente turbato dai delitti perpetrati dai Trenta in nome
della restaurazione dei valori morali.
In relazione a queste esperienze Platone andoÁ formando la propria personalitaÁ:
per lui, come per qualsiasi Ateniese e per la maggior parte dei Greci dei suoi tempi,
il problema politico era fondamentale; Platone non riusciva ad accettare nessuna
delle forme politiche che aveva sperimentato, e per tutta la sua vita coltivoÁ l'idea di
costituire una cittaÁ giusta, in antitesi a quelle ingiuste che aveva conosciuto.

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In Magna Grecia A circa quarant'anni, nel 387, Platone visitoÁ la Magna Grecia e frequentoÁ
e in Sicilia gli ambienti pitagorici di Taranto e di Crotone. In seguito, in Sicilia,
conobbe Dionisio, tiranno di Siracusa, e cercoÁ di convincerlo a costituire
uno Stato giusto, che fosse ispirato all'idea del Bene. Per questo progetto poteÂ
contare sull'aiuto del cognato di questi, Dione, giovane ed entusiasta degli studi
filosofici; tuttavia Dionisio espulse immediatamente Platone da Siracusa, mandan-
dolo ad Egina che allora era in guerra contro Atene: il filosofo fu fatto prigioniero e
rischioÁ di essere venduto come schiavo.

Fonda l'Accademia Ritornato ad Atene, Platone fondoÁ in quello stesso anno, il 387, la sua
scuola, sull'esempio delle comunitaÁ pitagoriche della Magna Grecia: la
chiamoÁ Accademia, perche si trovava nei giardini consacrati all'eroe AcadeÁmo.
Nella scuola i discepoli vivevano prendendo i pasti in comune, studiando e discu-
tendo di filosofia con il maestro.

Secondo viaggio Nel 367 Dionisio di Siracusa morõÁ e gli successe il giovane figlio Dionisio II.
in Sicilia Lo zio di questi, quel Dione che Platone aveva conosciuto durante il primo
viaggio in Sicilia, insistette perche il filosofo rinnovasse il suo progetto di
costruire a Siracusa uno stato conforme a giustizia; allora Platone, nonostante il
fallimento del suo primo viaggio, ritenne di non dover rinunciare a questa possibilitaÁ
e partõÁ ancora una volta. Fu accolto splendidamente, ma l'ambiente di corte era
ostile e sospettoso; due anni dopo, quando Dionisio, per gelosia, mandoÁ in esilio
Dione, Platone, deluso, rientroÁ in patria.

Terzo viaggio in Sicilia Nel 361 fu Dionisio II stesso a richiamarlo ancora una volta. Platone esitoÁ a
lungo, ma alla fine partõÁ: la situazione peroÁ si era ulteriormente complicata,
per i permanenti contrasti tra Dione e il tiranno, e per le continue ingerenze di
quest'ultimo che, tra l'altro, tratteneva Platone contro la sua volontaÁ impedendogli
di lasciare la Sicilia; solo grazie all'intervento del pitagorico Archita di Taranto, nel
360, Platone rientroÁ in Atene, dove continuoÁ a insegnare e a scrivere fino al 347,
quando, a ottant'anni, morõÁ.

L'opera platonica Gli scritti di Platone ci sono giunti tutti. Il corpus delle trentasei opere di
Platone che l'antichitaÁ ci ha trasmesso (l'Apologia di Socrate, trentaquattro
dialoghi, tredici lettere) contiene peroÁ alcuni scritti probabilmente non suoi. Sul-
l'ordine di composizione sappiamo solo che le Leggi furono la sua ultima opera. Le
opere di Platone sono distinte in tre gruppi. Questa distinzione si fonda, da un lato,
su osservazioni stilistiche (la complessitaÁ crescente della struttura sintattica), dall'al-
tro, su considerazioni di ordine contenutistico: certe opere sembrano restituire piuÁ
fedelmente l'atteggiamento problematico di Socrate, mentre in altre ha sempre piuÁ
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

spazio la metafisica delle idee propria della filosofia di Platone. All'interno dei tre
gruppi, ricordiamo i dialoghi principali:
a) opere della giovinezza, anteriori al primo viaggio in Sicilia (dal 396 fino al
387): LacheÁte, LõÁside, EutõÁfrone, Carmide, Protagora, Ippia minore, Gorgia, Apologia di
Socrate, Critone, Ione, Alcibiade I, Ippia Maggiore, Repubblica libro I, Menesseno;
b) opere della maturitaÁ, composte tra il primo e il secondo viaggio (387-367):
Menone, Cratilo, Eutidemo, Simposio, Fedone, Repubblica libri II-X, Fedro, Clitofonte;
c) opere della vecchiaia, posteriori al secondo viaggio in Sicilia (dopo il 367):
Parmenide, Teeteto, Sofista, Filebo, Timeo, Politico, Leggi (in dodici libri), Crizia,
Lettere (tredici, non tutte autentiche).

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Platone
Quanto ad Alcibiade II, Ipparco, AnterastaÁi, Minosse, Teage, Epinomide la critica
generalmente li considera spuri, mentre eÁ divisa per Alcibiade I, Menesseno, Ippia
maggiore, Clitofonte. Un problema a se stante eÁ infine quello dell'autenticitaÁ delle
Lettere (delle quali parrebbero autentiche la VI, la VII e l'VIII).
Gli scritti del primo gruppo si propongono la definizione di alcuni concetti
morali, come il coraggio, l'amicizia, la pietaÁ religiosa, la temperanza, la giustizia,
ponendo problemi che spesso restano aperti; quelli del secondo gruppo esprimono
la metafisica platonica delle idee, mentre quelli del terzo gruppo affrontano i pro-
blemi conseguenti all'accettazione della teoria delle idee, vale a dire il rapporto
dialettico tra la sfera dell'intelligibile e quella del sensibile, tra il mondo delle idee,
accessibile solo all'intelletto, e quello che eÁ certificato dai nostri sensi.

Lachete, Liside Nel Lachete diversi personaggi discutono tra loro per definire il coraggio
ed Eutifrone (dialogo diretto), mentre nel Liside Socrate riferisce una conversazione
avuta con due giovani per definire l'amicizia.
Nell'Eutifrone Socrate ed Eutifrone discutono sul concetto di pietaÁ religiosa, ey$se* -
beia. In questi tre dialoghi eÁ evidente l'intenzione di rendere testimonianza a
Socrate, ma nell'Eutifrone appare giaÁ il tema del processo e della morte del Giusto.
Nell'atrio dell'arconte re, che giudica in via preliminare i delitti contro la religione,
Socrate attende di essere rinviato a giudizio per l'accusa di empietaÁ: nell'attesa,
discute con Eutifrone, che vuole trascinare in giudizio suo padre per l'uccisione
involontaria di uno schiavo; oggetto della discussione eÁ cosa si deve considerare pio
e cosa, invece, empio.

Carmide Nel Carmide oggetto della discussione eÁ la temperanza; nel Protagora So-
e Protagora crate discute con il sofista se la virtuÁ sia insegnabile o meno.
Protagora eÁ convinto che lo sia, e adduce come prova il fatto che in tutte
le cittaÁ i cittadini si preoccupano che i propri figli apprendano cioÁ che debbono fare:
e questo fa pensare che nell'opinione comune la virtuÁ sia insegnabile; Socrate
obietta che spesso i figli di uomini eccellenti sono assai inferiori ai loro padri: se la
virtuÁ fosse insegnabile, questi l'avrebbero insegnata ai loro figli. Ma, nel corso della
discussione, mentre Protagora si avvicina al punto di vista di Socrate, questi chiari-
sce il suo concetto di virtuÁ, che consiste nel sapere cioÁ che si deve fare; in questo
modo Socrate passa al punto di vista assunto prima da Protagora (la virtuÁ eÁ inse-
gnabile), e ritorce contro di lui la pretesa sofistica che su ogni argomento si possano
dire cose opposte.

Ippia minore Nell'Ippia minore Socrate afferma che chi mente sapendo di mentire eÁ
moralmente superiore a chi mente senza sapere; contesta cosõÁ la dottrina
giuridica secondo la quale chi sbaglia volontariamente deve essere punito piuÁ
severamente di chi sbaglia involontariamente. La base di questo paradosso eÁ evi-
dentemente il principio socratico che ``nessuno sbaglia volontariamente'', in quanto
la virtuÁ eÁ conoscenza, come si concludeva giaÁ nel Protagora.

Gorgia Il Gorgia affronta il problema dell'uso della retorica: secondo Gorgia la


retorica ha la semplice funzione di creare persuasione, in giudizio o in
assemblea, indipendentemente dall'uso positivo o negativo che qualcuno ne potreb-
be fare; Socrate contesta questa asserzione, e illustra il principio che eÁ meglio subire
ingiustizia piuttosto che farla. Questo dialogo si allontana dall'atteggiamento apo-
retico proprio del socratismo, e annuncia un metodo costruttivo che saraÁ piuttosto
quello di Platone.

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Apologia di Socrate Con l'Apologia di Socrate, Platone vuole riprodurre a distanza di parecchi
anni il discorso di difesa che Socrate avrebbe pronunciato davanti al tribu-
nale di Atene, nel corso del processo che lo vide imputato per a$se* beia. Anche se non
sempre Platone riporta fedelmente il pensiero del maestro nell'Apologia, dietro la
dottrina dell'immortalitaÁ dell'anima, eÁ riconoscibile l'atteggiamento tipicamente
socratico della sospensione del giudizio.
Dall'opera emerge chiaramente la funzione che Socrate assunse nei confronti
della comunitaÁ civile e politica di Atene: la missione affidata dal dio a lui, unico
saggio ± in quanto consapevole della propria ignoranza ± eÁ di sollecitare i suoi
concittadini a interrogare la propria coscienza e a rendersi conto dei limiti del loro
sapere (" Testi 1-4).

Critone Il Critone eÁ un dialogo tra Socrate, in carcere dopo essere stato condannato
a morte, e il suo vecchio amico Critone, che lo sollecita ad accettare la
proposta sua e di altri amici: corrompere i guardiani e fuggire dal carcere evitando
l'esecuzione capitale, perche la gente non creda che Socrate non ha potuto salvarsi
per la scarsa disponibilitaÁ degli amici. Socrate risponde sorridendo che non bisogna
preoccuparsi di cioÁ che pensa la gente: importa solo quello che pensano coloro che
sanno davvero. Afferma inoltre di essere stato allevato ed educato secondo i principi
stabiliti dalle leggi, che considera inviolabili (" Testo 5).

Menone Nel Menone si dimostra che la veritaÁ sta nell'interno della coscienza e non
viene appresa ``dal di fuori''. Socrate interroga lo schiavo di Menone, che
non sa nulla di geometria, e gli chiede come si puoÁ costruire un quadrato doppio di
un quadrato dato. Naturalmente lo schiavo non eÁ in grado di rispondere, ma
attraverso una serie accorta di domande Socrate riesce a fargli trovare la soluzione
giusta. Dato che Socrate non gli ha fornito alcuna informazione, si deve concludere
che lo schiavo ha ritrovato nella sua memoria una conoscenza innata.

Cratilo Nel Cratilo: Socrate discute con il parmenideo Ermogene e con l'eracliteo
Cratilo sulla natura del linguaggio e, in particolare, sulla relazione fra parole e
significati; da un lato, Ermogene ritiene che i nomi delle cose non siano legati per natura
alle cose stesse (in accordo con l'idea della convenzionalitaÁ dei nomi), dall'altro Cratilo eÁ
convinto che il rapporto tra parola e cosa sia insito nella natura della cosa. Socrate
accetta di dare credito a Cratilo, per suffragare la sua ipotesi, esamina le etimologie di
alcuni nomi. Risulta allora chiaro che certi nomi possono essere analizzati in modi
differenti; di conseguenza Socrate considera con scetticismo la possibilitaÁ che l'analisi
del linguaggio conduca ad una corretta comprensione dell'essenza delle cose.

Eutidemo L'Eutidemo attacca il relativismo che Platone attribuisce alla sofistica, at-
traverso lo scontro dialettico tra i due sofisti Eutidemo e Dionisodoro.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

Simposio Il Simposio eÁ il primo dei grandi dialoghi in cui Platone espone la propria
dottrina. Il dialogo riproduce una discussione (dialogo narrato) avvenuta a
casa del poeta Agatone, in occasione del convito per festeggiare la sua vittoria nelle
Lenee del 416: gli invitati sono Fedro, appassionato di retorica, il suo amico
prediletto Pausania, il medico Erissimaco, il poeta comico Aristofane e Socrate.
Ognuno degli intervenuti pronuncia un elogio di Eros: Fedro narra un mito secon-
do cui Eros sarebbe un demone capace di ispirare l'eroismo in chi ama, e dimostra
la sua affermazione con l'esempio di Alcesti, che aveva accettato di morire al posto
del marito Admeto; secondo Pausania ci sono due tipi di Eros, come esistono due

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Platone
Afroditi, una celeste e una volgare; Erissimaco sostiene che Eros eÁ presente in tutti gli
esseri; Aristofane racconta una storia fantasiosa, come le sue commedie: in origine gli
esseri viventi erano dotati di due sessi ciascuno, di solito uno maschile e uno femminile,
ma alcuni avevano due sessi maschili, altri due femminili; per reprimere l'arroganza di
questi esseri, Zeus li divise a metaÁ e, da allora, le due parti si ricercano reciprocamente
per ricostruire l'unitaÁ originaria. Dopo Agatone e il suo elogio della delicatezza e della
bellezza di Eros, eÁ la volta di Socrate, che riferisce ai convitati la storia che un tempo gli
aveva raccontato Diotima di Mantinea: Eros eÁ figlio di Poros e di Penia, di Astuzia e di
PovertaÁ; nel giorno in cui gli deÁi festeggiavano la nascita di Afrodite, Poros si ubriacoÁ e
Penia volle concepire un figlio da lui: gli si sdraioÁ accanto, e concepõÁ Eros, che essendo
figlio di Poros e di Penia eÁ povero ma ama la ricchezza, non eÁ bello ma ama la bellezza,
eÁ ignorante e quindi ama la sapienza, che delle cose belle eÁ la piuÁ bella. Il filosofo eÁ
come Eros: non eÁ sapiente, ma ama e desidera la sapienza che non ha.
Il dialogo eÁ concluso dall'arrivo di Alcibiade, ubriaco, che pronuncia un
singolare elogio di Eros, identificandolo con Socrate, che ispira a chi sta con lui
il desiderio della bellezza e della sapienza. Se la filosofia eÁ eros, ossia desiderio di
conoscere l'essenza ultima delle cose, il filosofo eÁ un innamorato, inquieto e
appassionato come tutti gli innamorati, in grado di ispirare a chi sta con lui
l'amore che prova (" Testi 6-11).

Fedone Che il sapere debba essere cercato in se stessi era stato giaÁ indicato nel
Menone; questo concetto tuttavia trova la sua giustificazione piena nel
Fedone, il dialogo in cui Fedone racconta al suo amico Echecrate delle ultime ore
di vita di Socrate. Ai suoi discepoli, il maestro spiega che non devono affliggersi per la
sua morte imminente, perche Socrate non eÁ il corpo ormai cadente per la vecchiaia
che sta loro davanti, ma la sua anima immortale; l'anima, una volta libera dalle
catene che la vincolano al corpo, potraÁ finalmente contemplare le idee, e raggiungere
cosõÁ la beatitudine per cui eÁ nata e che ha sempre desiderato. L'argomento decisivo
per la dottrina delle idee eÁ costituito dall'idea di uguale: spesso vediamo due oggetti,
dice Socrate, che si assomigliano in tutto, e diciamo che sono uguali; poi li osservia-
mo con maggiore attenzione, e correggiamo la nostra prima impressione; non sono
del tutto uguali, ma ci sono sembrati tali. Dunque l'idea dell'uguale non puoÁ venirci
dall'esperienza, di cui non possiamo essere mai sicuri: questa idea saraÁ invece una
pura forma innata dell'intelletto, con cui confrontiamo le sensazioni fornite dall'e-
sperienza, per concludere che non c'eÁ mai corrispondenza tra l'intelletto e i sensi. In
questo modo Platone recupera l'idea del primato dell'intelligibile sul sensibile, che
era stata formulata a suo tempo dagli Eleati (" Testi 12-13).

L'uomo non puoÁ non La veritaÁ dunque si trova nella coscienza del singolo, ma per un greco del
essere pensato se non IV secolo un uomo non puoÁ essere pensato se non nell'ambito di una
nell'ambito di una comunitaÁ. Socrate nel Critone escludeva di poter vivere in esilio, fuggendo
comunitaÁ da quelle leggi che avevano regolato la sua nascita e la sua educazione; cosõÁ
anche Platone concepiva la vita umana solo nell'ambito di uno Stato, per
quanto di uno Stato ideale che potrebbe non realizzarsi mai nell'ambito dell'espe-
rienza. Se questo Stato si realizzasse, sarebbe la CittaÁ giusta in opposizione assoluta
alla CittaÁ ingiusta in cui il Giusto viene condannato a morte.

Repubblica Lo Stato perfetto eÁ descritto nei dieci libri della Repubblica, forse il capo-
lavoro di Platone. Il dialogo si svolge al Pireo, nella casa del vecchio Cefalo,
il padre dell'oratore Lisia e di Polemarco, e vi partecipano anche i due fratelli di
Platone, Glaucone e Adimanto. Nel primo libro, si confuta la tesi esposta dal sofista

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Trasimaco, che la giustizia eÁ l'interesse del piuÁ forte (questo libro potrebbe essere
stato composto nella fase ``socratica'' del pensiero di Platone). In seguito Socrate va
delineando la struttura di uno Stato che sia governato dai filosofi (Custodi), difeso
dai guerrieri, e sostenuto dall'attivitaÁ economica di artigiani e commercianti. In
ognuna di queste classi prevale una delle tre funzioni dell'anima: la ragione guidata
dalla saggezza (filosofi), la volontaÁ guidata dalla fortezza (guerrieri), il desiderio
guidato dalla temperanza (artigiani e commercianti). I Custodi devono mettere in
comune non solo i beni, ma anche le donne e i figli, in modo da essere liberi da ogni
passione privata e preoccuparsi soltanto del bene della comunitaÁ. Da questo Stato
devono essere esclusi i poeti, soprattutto quelli che compongono poesia, epica o
drammatica. I poeti epici infatti producono immagini immorali degli deÁi, soggetti a
passioni vili quali l'ira e la lussuria, colpevoli di azioni immorali (come gli adulteÁri
di Zeus), o violente, come la battaglia degli deÁi sotto le mura di Troia. I poeti imitano
la realtaÁ sensibile, che eÁ a sua volta imitazione del mondo ideale, quindi la loro poesia
costituisce un'imitazione di secondo grado, ancor piuÁ contraddittoria e remota dal
mondo delle idee di quanto possa esserlo il mondo sensibile (" Testi 14-15).

Fedro Il tema dell'amore eÁ oggetto anche del Fedro: Socrate e Fedro ne discu-
tono sotto un platano presso le rive dell'Ilisso, appena fuori Atene. Fedro
legge a Socrate un discorso che attribuisce a Lisia, secondo cui eÁ meglio com-
piacere chi non ci ama piuttosto che chi ci ama: chi non ci ama, infatti, saraÁ
molto meno turbato dalla passione, piuÁ ragionevole e quindi piuÁ gradevole;
Socrate propone un ragionamento analogo, ma dopo averlo concluso si pente,
e dichiara che non vorrebbe aver pronunciato un discorso cosõÁ blasfemo. Spiega
invece che l'amore eÁ una sorta di divina follia che turba l'anima e la spinge alla
ricerca della bellezza ideale e della veritaÁ che coincide con essa. Per illustrare
l'idea racconta un mito: le anime degli uomini sono come bighe alate trascinate
da un cavallo bianco e da uno nero; prima di incarnarsi nei corpi, hanno
percorso una via nello spazio che sta sopra al cielo, l'iperuranio. L'auriga che
regge la biga rappresenta la parte razionale dell'anima, il cavallo bianco eÁ
l'anima passionale, mentre quello nero eÁ l'anima soggetta agli istinti: l'auriga
punta verso l'alto, per meglio contemplare da vicino le idee intelligibili, e l'anima
passionale collabora con lui, mentre il cavallo nero, cioeÁ l'anima che eÁ soggetta
alla concupiscenza, cerca di tirare la biga verso il basso. Le anime i cui aurighi
riescono meglio a governare la biga giungendo a contemplare piuÁ da vicino le
idee, dopo la reincarnazione, conservano piuÁ chiaro il ricordo dei modelli im-
mortali che hanno contemplato.
Il dialogo si conclude con una riflessione sulla retorica: la vera retorica eÁ quella
che conosce l'essenza intelligibile (le idee), e procede attraverso la dialettica, che
divide e riunisce i concetti, organizzandoli secondo la loro essenza.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

Parmenide Argomento del Parmenide eÁ appunto la dialettica, che indaga sul rapporto,
e Teeteto non chiaramente definibile, tra i modelli ideali della realtaÁ e gli oggetti della
conoscenza sensibile. Il Teeteto invece affronta i vari gradi della conoscenza,
soffermandosi in particolare sulla funzione che ha in questa ricerca lo studio della
matematica. Il problema che questi dialoghi affrontano eÁ come l'idea (una e reale),
puoÁ sussistere, senza cessare di essere una, nelle cose sensibili, che sono molte.
Mentre i dialoghi maggiori esaminavano la dialettica interna al mondo ideale, nella
sua separatezza da quello sensibile, questi due dialoghi iniziano a porre il problema
di evitare una separazione totale tra l'essere in seÂ, che eÁ oggettivo e fisso, e la
soggettivitaÁ di chi conosce.

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Platone
Sofista Il Sofista mette in discussione, l'interpretazione oggettivistica della teoria
delle idee; cioeÁ, eÁ impossibile che ``l'essere perfetto sia privo di movimento,
di anima, d'intelligenza, che non viva ne pensi''; invece, l'essere deve comprendere
in se l'intelligenza che lo conosce, e quindi deve essere movimento e quiete: quiete,
in quanto la stabilitaÁ eÁ condizione perche l'essere sia, ma anche movimento, percheÂ
l'intelligenza implica vita e quindi movimento. La dialettica eÁ la scienza che scopre
come il ``non essere'' non implica il nulla, come voleva Parmenide, ma semplice-
mente cioÁ che eÁ diverso, l'altro essere.

Filebo Nel Filebo si affronta nuovamente l'indagine sul bene, e si giunge alla con-
clusione che per l'uomo il bene non puoÁ essere semplice piacere; infatti, una
vita fondata sul piacere, senza sapere cosa sia piacere, sarebbe animale, ma anche
una vita di pura intelligenza non sarebbe umana. Per risolvere il problema, Platone
ricorre ai concetti pitagorici di limite e di illimitato. Funzione del limite eÁ riunire cioÁ
che eÁ disperso perche illimitato (principi come il caldo e il freddo, il piacere e il
dolore): decade cosõÁ l'opposizione tra l'uno e i molti, perche determinare il numero
dei molti significa ricondurli all'unitaÁ. Nella vita umana dunque si mescolano
piacere e intelligenza, in una proporzione determinata dall'intelligenza.

Timeo A questo punto il compito dell'indagine diviene il recupero del mondo


naturale: il Timeo affronta il problema dell'origine del mondo. Questo
problema non puoÁ essere trattato con la dialettica, che riguarda solo cioÁ che eÁ
modificabile. Platone si serve dunque di un mito: il Demiurgo, divinitaÁ artigiana,
ha prodotto il mondo trasferendo l'idea nella materia, attraverso il tempo, che eÁ
``immagine mobile dell'eternitaÁ''.

Politico Con il Politico Platone ritorna al problema dell'organizzazione della comu-


nitaÁ civile, ma non piuÁ per tracciarne un'immagine ideale come nella
Repubblica, bensõÁ in termini empirici, suggerendo al legislatore l'uso della misura,
come nel progetto etico del Filebo: grazie alla misura, saraÁ possibile conciliare
l'indole degli uomini coraggiosi e di quelli prudenti. Anche le leggi costituiscono
una necessitaÁ: prescrivono in modo sommario cioÁ che eÁ il meglio per tutti, e
costituiscono anche l'elemento che distingue le forme positive di governo da quelle
deteriori; le leggi, infatti, distinguono la monarchia dalla sua degenerazione, la
tirannide; distinguono l'aristocrazia dall'oligarchia, mentre la democrazia eÁ sempre
senza leggi e quindi eÁ in assoluto il peggiore di tutti i governi possibili.

Leggi Il tema delle leggi, che debbono governare la comunitaÁ, eÁ quindi affrontato
nell'ultima opera di Platone, appunto le Leggi. Il dialogo, in dodici libri, fu
pubblicato da Filippo di Opunte dopo la morte del maestro. La natura umana eÁ
inevitabilmente fragile e insicura, e lo stato deve necessariamente imporre le leggi;
queste non solo devono prescrivere i migliori modi di comportamento, ma devono
anche convincere i cittadini della loro necessitaÁ.

Lettere Con il nome di Platone ci sono giunte tredici lettere: di esse solo la VI, la
VII e l'VIII sono certamente autentiche. In particolare, la VII, in cui
Platone riferisce le proprie esperienze di partecipazione alla politica ± al tempo dei
Trenta e durante la restaurazione della democrazia, ma soprattutto in occasione dei
suoi viaggi in Sicilia ± eÁ di fondamentale importanza per ricostruire la vita del
filosofo e le esperienze che orientarono il suo cammino nella ricerca.

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Per approfondire
do, infatti, che Omero non abbia torto laÁ dove dice: se
Il dialogo platonico due vanno insieme, uno puoÁ vedere prima dell'altro. In tale
maniera tutti ci sentiamo piuÁ sicuri di fronte ad ogni
azione, discorso o pensiero. Se, invece, uno da solo
Diogene Laerzio (fine II-III d.C.), nel terzo libro della sua concepisce un pensiero, va subito in cerca di qualcuno
opera Vite e dottrine dei filosofi antichi, pur indicando ± fra per poterglielo esporre e per poterne saggiare la con-
altri ± un certo Alessameno di Teo o di Stirea come ini- sistenza, e non si ferma prima di averlo trovato» (trad. G.
ziatore del dialogo quale forma letteraria, ritiene che il Reale).
suo reale inventore sia stato Platone, in quanto fu proprio EÁ da osservare che i dialoghi di Platone ± dal punto di
lui a perfezionare il genere (a$kribv*saQ to+ ei#doQ). vista formale suddivisibili in dialoghi diretti (per es.
Possiamo qui indicare i modelli del dialogo filoso- Lachete) o narrati (per es. Simposio) ± sono talora in-
fico nel mimografo Sofrone di Siracusa, contempora- seriti in scene descritte con cura attenta (pensiamo al
neo di Euripide, e nel dramma attico. Entrambi erano locus amoenus raffigurato nel Fedro: la campagna ate-
ben noti a Platone: quanto al primo, fu proprio il filo- niese lungo la riva dell'Ilisso); la loro struttura, in qual-
sofo ateniese (sempre secondo Diogene Laerzio) a che caso, vede sovrapposti piuÁ livelli narrativi e dram-
farlo conoscere ai suoi concittadini; a proposito del matici: i discorsi del Simposio, ad esempio, sono riferiti
dramma, invece, ricordiamo che l'antichitaÁ riteneva da Apollodoro cui li ha raccontati Aristodemo presente
che Platone fosse stato autore di tragedie e che solo al convito a casa di Agatone (416). Tale cura per l'a-
per il decisivo incontro con Socrate, che ne segnoÁ spetto piuÁ prettamente letterario si spiega percheÂ, i
definitivamente l'esistenza, vi avesse rinunciato. Ci dialoghi venivano letti ad alta voce (come testimonia
racconta Diogene Laerzio (III, 5) che, mentre stava ancora Diogene), ed erano destinati alla divulgazione
per partecipare ad un concorso con una tragedia, all'esterno della scuola.
Platone udita la voce di Socrate, diede la sua opera Quanto alla loro organizzazione, essi sono inseriti in
alle fiamme. un corpus composto di trentasei opere e spesso pre-
Riflettere sulla forma del dialogo permette inoltre di sentano due titoli, che, per lo piuÁ, si riferiscono, rispet-
comprendere anche il modo in cui, secondo Platone, si tivamente, al nome dell'interlocutore e all'argomento
puoÁ giungere alla conoscenza. La sapienza non si tra- (per es. Alcibiade I o Sulla natura dell'uomo, Eutifrone o
smette, infatti, come un liquido da un recipiente pieno Sul santo ecc.). Fondamentale nella storia delle edizioni
ad uno vuoto. CosõÁ dice ironicamente Socrate in Sim- di Platone quella del 1578 del filologo francese Henri
posio 175d: «Sarebbe bello, Agatone, se la sapienza Estienne, latinizzato in Stephanus, alla quale anche le
fosse tale da scorrere da chi di noi ne eÁ piuÁ colmo a chi edizioni moderne si richiamano citandone in margine al
ne eÁ piuÁ vuoto, se veniamo a contatto l'uno dell'altro, testo la numerazione delle pagine; le pagine vengono poi
alla maniera dell'acqua delle coppe, che scorre at- ulteriormente suddivise in sezioni contrassegnate con
traverso un filo di lana dalla piuÁ colma alla piuÁ vuota» lettere dalla a alla e.
(trad. S. Nannini). La
sapienza puoÁ essere
raggiunta solo attra-
verso il dialogo fra di-
scepoli e solo il dialogo
accende la scintilla
della veritaÁ. Condizioni
indispensabili sono la
convivenza (syzh&n) e
la lunga frequentazio-
ne (synoysi* a): «dopo
molte discussioni fatte
su questi temi, e dopo
una comunanza di vita,
improvvisamente, co-
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

me luce che si accen-


de dallo scoccare di
una scintilla, essa na-
sce dall'anima e da es-
sa stessa si alimenta
(trad. R. Radice)» (Let-
tera VII 341c-d). La
contemplazione solita-
ria non eÁ dunque amata n La scuola di Platone.
dal filosofo che cosõÁ fa EtaÁ imperiale. Napoli,
esprimere Socrate nel Museo Archeologico
Protagora 348c: «Cre- Nazionale (Foto Scala).

568
Apologia di Socrate

Platone
1 I primi accusatori

Apologia di Socrate
(18a-19a)

Come di norma nei tribunali ateniesi (cf. p. 467), Socrate parla personalmente in propria difesa, e inizia (17a-
18a) accennando all'imbarazzo in cui si trova, a settant'anni compiuti, a parlare come imputato; inoltre i suoi
accusatori sono abili parlatori, mentre lui, inesperto di retorica, e confida solo nel fatto che diraÁ cose giuste: a
questo la corte deve fare attenzione, piuttosto che all'eleganza dei discorsi.

testi
18.a. Prv&ton me+ n oy#n di* kaio*Q ei$ mi a$pologh*sasuai, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, pro+Q ta+
prv&ta* moy ceydh& kathgorhme* na kai+ toy+Q prv*toyQ kathgo*royQ, e> peita de+ pro+Q ta+
y%steron kai+ toy+Q y<ste* royQ. 18.b. e$ moy& ga+r polloi+ kath*goroi gego*nasi pro+Q y<ma&Q
kai+ pa*lai polla+ h>dh e> th kai+ oy$de+ n a$lhue+ Q le* gonteQ, oy=Q e$ gv+ ma&llon foboy&mai h/
toy+Q a$mfi+ >Anyton, kai* per o>ntaQ kai+ toy*toyQ deinoy*Q " a$ll\ e$ kei& noi deino*teroi, v#
a>ndreQ, oi= y<mv&n toy+Q polloy+Q e$k pai* dvn paralamba*nonteQ e> peiuo*n te kai+ kath-
go*royn e$ moy& ma&llon oy$de+n a$lhue* Q, v<Q e> stin tiQ Svkra*thQ sofo+Q a$nh*r, ta* te
mete* vra frontisth+Q kai+ ta+ y<po+ gh&Q pa*nta a$nezhthkv+Q kai+ to+n h%ttv lo*gon
krei* ttv poiv&n. oy}toi, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, 18.c. oi< tay*thn th+n fh*mhn kata-
skeda*santeQ, oi< deinoi* ei$ si* n moy kath*goroi " oi< ga+r a$koy*onteQ h<goy&ntai toy+Q
tay&ta zhtoy&ntaQ oy$de+ ueoy+Q nomi* zein. e> peita* ei$ sin oy}toi oi< kath*goroi polloi+ kai+
poly+n xro*non h>dh kathgorhko*teQ, e> ti de+ kai+ e$ n tay*t| t|& h<liki* @ le*gonteQ pro+Q
y<ma&Q e$ n |} a/n ma*lista e$ pistey*sate, pai& deQ o>nteQ e> nioi y<mv&n kai+ meira*kia, a$texnv&Q

18.a. prv&ton ... kathgo*royQ, ``anzi- complemento in gen., richiesto dal pre- deino*teroi eÁ predicativo, ``quelli sono
tutto eÁ giusto (di* kaio*Q ei$ mi), cittadini verbio. ± e>peita ... y<ste*royQ: si sottin- piuÁ pericolosi''. ± e>peiuo*n te kai+ kathgo*-
d'Atene, che io mi difenda dapprima tenda ta+ y%steron < kathgorhme* na > royn: gli imperfetti durativi esprimono
(prv&ton) contro le prime accuse rivolte kai+ toy+Q y%steron < kathgo*royQ >; l'el- un'opera persistente e sistematica di
falsamente contro di me (ta+ prv&ta ... lissi rafforza l'espressione. convinzione e di calunnia. ± oy$de+n a$lh-
kathgorhme* na) e contro i primi accusa- ue*Q: acc. di relazione retto da kathgo*-
tori''; inaspettatamente Socrate, dopo 18.b. e$moy& ... pro+Q y<ma&Q, ``molti ci sono royn. ± sofo*Q, ``sapiente'': naturalmente
aver accennato all'abilitaÁ retorica di stati che mi (e$ moy&) hanno accusato pres- nelle sue pretese, come i sofisti; la descri-
coloro che lo hanno trascinato in tribu- so di voi''; e$ moy&: la forma piena eÁ collo- zione di questo ``uomo sapiente'' corri-
nale, fa un lungo passo indietro, rifa- cata enfaticamente all'inizio del perio- sponde al Socrate sofista delle Nuvole
cendosi ad accuse calunniose circolate do; gego*nasi: il pf., aspetto compiuto del aristofanee, ``che specula sulle cose cele-
molti anni prima, quando i giudici di presente, marca l'idea che l'effetto di sti, che investiga sui segreti di sotterra (ta+
oggi erano ragazzi (pai& deQ ... kai+ meira*- quelle accuse perdura nel momento in y<po+ gh&Q ... a$nazhthkv*Q) e che rende piuÁ
kia, 18 c 6-7) ed erano piuÁ che ora cui nuovi accusatori hanno trascinato forte il discorso piuÁ debole''; quest'ulti-
disposti a credere alle voci che senti- Socrate in tribunale. ± pa*lai ... e>th, ma, to+n h%ttv ... poiv&n, era la caratteri-
vano dire; in seguito Socrate accenneraÁ ``da tempo, ormai da molti anni'': su stica piuÁ propriamente sofistica del So-
a poeti comici che avevano diffuso una questo elemento, sia pur sempre in crate aristofaneo, mentre le altre lo acco-
certa immagine sua: tra questi uno era modo sempre indeterminato, Socrate stavano piuttosto agli studi di filosofia
certo Aristofane (nelle Nuvole, di venti- insiste. ± toy+Q a$mfi+ >Anyton, ``Anito e la naturale che Socrate aveva effettiva-
quattro anni prima), ma l'indicazione sua gente'': Socrate qui nomina non giaÁ mente praticato in giovinezza, sotto la
di tempo, per quanto sommaria, ci Meleto, che aveva sottoscritto l'accusa, guida di Archelao, allievo di Anassagora.
porta assai piuÁ indietro, ad accusatori ma quello tra i sinegori (avvocati pub-
piuÁ antichi, verso il tempo del processo blici) che era certamente il personaggio 18.c. oi< ... kataskeda*santeQ, ``quelli
contro Anassagora. ± dikaio*Q ei$ mi: piuÁ autorevole, cui risaliva tutta l'opera- che hanno diffuso questa voce'': fh*mh,
costruzione personale, mentre in ita- zione. Anito era un esponente di dalla rad. di fhmi* , eÁ ``cioÁ che si dice'', in
liano abbiamo quella impersonale (``eÁ spicco del partito democratico, che ave- bene o in male, la fama come la chiac-
giusto che io ...''). ± a>ndreQ $Auhnai& oi, va dato corpo al risentimento diffuso nei chiera. ± toy+Q tay&ta ... nomi* zein, ``che
``cittadini d'Atene'': in quanto maschi confronti di Socrate e che aveva pensato quelli che fanno simili ricerche non
adulti, a>ndreQ, gli Ateniesi partecipa- di allontanarlo dalla cittaÁ. In questo mo- credano nemmeno agli deÁi'': si fa rife-
vano alla giuria come anche all'assem- do Socrate mostra di riconoscere benis- rimento alle dottrine di Anassagora sul
blea popolare ± ta+ prv&ta* moy ... kath- simo qual era il senso e l'intenzione del- sole; pai& deQ ... kai+ meira*kia: cf. la nota a
gorhme*na: il verbo kathgore* v ha il l'accusa ¨. ± a$ll\ e$kei& noi deino*teroi: 18a. ± e$rh*mhn, sott. di* khn: si dice di

SCHEDA DI LESSICO "Il lessico LA VOCE DELLA CRITICA "Le maschere


del divino, p. 572 del Simposio, p. 640 569
e$ rh*mhn kathgoroy&nteQ a$pologoyme* noy oy$deno*Q. o= de+ pa*ntvn a$logv*taton, o%ti
oy$de+ ta+ o$no*mata oi}o*n te ay$tv&n ei$ de* nai kai+ ei$ pei& n, 18.d. plh+n ei> tiQ kvm{dopoio+Q
tygxa*nei v>n. o%soi de+ fuo*n{ kai+ diabol|& xrv*menoi y<ma&Q a$ne*peiuon ± oi< de+ kai+
ay$toi+ pepeisme* noi a>lloyQ pei* uonteQ ± oy}toi pa*nteQ a$porv*tatoi* ei$ sin " oy$de+ ga+r
a$nabiba*sasuai oi}o*n t\ e$ sti+ n ay$tv&n e$ ntayuoi& oy$d\ e$ le* gjai oy$de* na, a$ll\ a$na*gkh
a$texnv&Q v%sper skiamaxei& n a$pologoy*meno*n te kai+ e$ le* gxein mhdeno+Q a$pokrino-
me* noy. a$jiv*sate oy#n kai+ y<mei& Q, v%sper e$ gv+ le* gv, dittoy*Q moy toy+Q kathgo*royQ
gegone* nai, e< te*royQ me+ n toy+Q a>rti kathgorh*santaQ, e< te* royQ de+ 18.e. toy+Q pa*lai oy=Q
e$ gv+ le* gv, kai+ oi$ h*uhte dei& n pro+Q e$ kei* noyQ prv&to*n me a$pologh*sasuai " kai+ ga+r
y<mei& Q e$ kei* nvn pro*teron h$koy*sate kathgoroy*ntvn kai+ poly+ ma&llon h/ tv&nde tv&n
y%steron.
19.a Ei#en " a$pologhte* on dh*, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, kai+ e$ pixeirhte* on y<mv&n e$ jele* suai
th+n diabolh+n h=n y<mei& Q e$n poll{& xro*n{ e> sxete tay*thn e$n oy%tvQ o$li* g{ xro*n{.
boyloi* mhn me+ n oy#n a/n toy&to oy%tvQ gene*suai, ei> ti a>meinon kai+ y<mi& n kai+ e$ moi* , kai+
ple*on ti* me poih&sai a$pologoy*menon " oi#mai de+ ay$to+ xalepo+n ei#nai, kai+ oy$ pa*ny me
lanua*nei oi}o*n e$ stin. o%mvQ toy&to me+ n i> tv o%p| t{& ue{& fi* lon, t{& de+ no*m{ peiste* on
kai+ a$pologhte* on.

un'accusa pronunciata in assenza della ``far salire'' uno alla tribuna per rispon- 19.a. ei# en, ``e sia'': formula che espri-
difesa (a$pologoyme* noy oy$deno*Q, gen. dere alle domande del calunniato che me la decisione a procedere in un di-
assol.). avrebbe potuto in questo modo confu- scorso che risulta ostico. ± a$pologhte*on
tarlo (e$ le* gjai). ± a$ll\ a$na*gkh ... a$po- ... a$pologhte*on: in questa riflessione,
18.d. plh+n ei> tiQ ... v>n, ``tranne se uno krinome*noy, ``ma eÁ inevitabile combat- aperta e chiusa dall'agg. verbale a$po-
eÁ un commediografo'': noi pensiamo tere vanamente (a$texnv&Q) come con loghte* on come in una composizione
immediatamente ad Aristofane, ma delle ombre (v%sper skiamaxei& n) cer- ad anello, Socrate ritorna ancora un
era normale che la commedia antica cando di difendermi e cercare di con- attimo sulle difficoltaÁ del compito che
prendesse di mira i personaggi piuÁ noti futare senza che nessuno risponda (ge- lo attende. ± e$pixeirhte*on ... xro*n{,
della cittaÁ e i problemi che la loro pre- nitivo assoluto mhdeno+Q a$pokrinome* - ``bisogna cercare di rimuovere da voi
senza suscitava: cosõÁ per le Nuvole il noy)'': propriamente v%sper skiama- (y<mv&n e$ jele*suai) la calunnia che per
tema centrale eÁ quello dell'educazione xei& n sarebbe ``come combattere con molto tempo riceveste, ora in cosõÁ breve
moderna, ispirata alle dottrine della ombre''. ± dittoy*Q: di due specie, quelli tempo'': cioeÁ nel tempo concesso per il
sofistica, e Socrate ne eÁ presentato co- di ora e quelli di un tempo la cui effi- discorso difensivo; e$ jele* suai eÁ inf. aor.
me un esponente. ± fuo*n{ ... xrv*me- cacia perdura. ± kai+ oi$ h*uhte ... a$po- dal tema suppletivo di e$ jaire* v; e$ n
noi, ``con odio e con calunnia''. ± a$ne*- logh*sasuai, ``e pensate che io debbo poll{& xro*n{ costituisce antitesi con
peiuon ... pepeisme*noi ... pei* uonteQ: il fare la mia difesa anzitutto nei con- e$ n oy%tvQ o$li* g{ xro*n{; o%mvQ ... a$po-
poliptoto daÁ l'impressione del montare fronti di quelli'': dunque la prima parte loghte*on, ``pure questo vada ( i> tv) co-
della campagna di persuasione ai dan- della difesa, che procederaÁ fino alla fine me piace al dio, e bisogna obbedire alla
ni di Socrate. ± oy$de+ ga+r ... oy$de*na, ``ne del cap. X (24b 2), affronteraÁ le accuse legge e fare la propria difesa'': Socrate si
d'altra parte eÁ possibile convocare degli antichi avversari, e illustreraÁ in accinge a pronunciare la propria difesa
(a$nabiba*sasuai) qui uno di loro ne opposizione a quelle la vera natura del piuÁ con lo spirito di chi deve adempiere
confutarlo''. ± a$nabiba*sasuai: il ver- suo sapere, e le ragioni per cui eÁ nata un dovere civico (t{& no*m{ peiste*on) che
bo indica propriamente l'azione di tanta ostilitaÁ nei suoi confronti. seguendo l'istinto di sopravvivenza.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

traduzione d'autore
18.a. Prima di tutto, dunque, eÁ giusto che io mi difenda, o cittadini ateniesi, dalle
prime false accuse e dai primi falsi accusatori, e poi dalle accuse successive e dagli
accusatori successivi. 18.b. Infatti, ci sono stati molti che mi hanno accusato davanti a
voi, giaÁ da tempo e per parecchi anni e senza che dicessero niente di vero. E io temo
questi accusatori molto piuÁ di Anito e dei suoi amici, anche se pure questi sono
terribili. PeroÁ quelli sono piuÁ terribili, o cittadini, ossia quei primi i quali, prendendo
la maggior parte di voi fin da fanciulli, vi hanno persuaso e hanno rivolto contro di me

570
Platone
accuse per niente vere: che c'eÁ un certo Socrate uomo sapiente, che fa indagini sulle
cose celesti e fa ricerche su tutte le cose che stanno sotto terra, e che rende piuÁ forte il
ragionamento piuÁ debole. 18.c. Questi che hanno diffuso tali voci, o cittadini ateniesi,
sono gli accusatori terribili. Infatti, chi li ascolta ritiene che i ricercatori di tali cose non

Apologia di Socrate
credano all'esistenza degli deÁi. Inoltre, questi accusatori sono numerosi e mi hanno
rivolto accuse giaÁ da molto tempo. E, per giunta, parlavano a voi in quella etaÁ nella
quale eravate particolarmente disposti a credere, vale a dire quando alcuni di voi
erano fanciulli e giovinetti, accusandomi in contumacia, senza che nessuno mi difen-
desse.
E la cosa piuÁ strana di tutte eÁ che di costoro non si possono sapere ne dire nomi,
18.d. fatta eccezione di un commediografo.
Ma quanti, mossi da invidia e servendosi di calunnie vi persuasero ± persone che si

testi
sentivano esse stesse persuase, persuadendo gli altri ±, ebbene, tutti costoro sono
assolutamente irraggiungibili. Infatti, non eÁ possibile portare qui sulla tribuna alcuno
di loro a testimoniare, ne confutarli; ma mi trovo davvero nella necessitaÁ di difender-
mi come combattendo con delle ombre, e di confutarli senza che ci sia nessuno che mi
risponda.
Dunque, dovete credere anche voi, come vi dico, che sono sorti contro di me
accusatori di due tipi: alcuni che mi hanno messo sotto accusa da poco, altri, invece,
18.e. che mi hanno messo sotto accusa da tempo e dei quali vi sto parlando. E dovete
credere che bisogna che io mi difenda, in primo luogo, proprio nei confronti di questi.
E, infatti, voi avete ascoltato le accuse di questi accusatori, prima e molto piuÁ di quelle
degli altri che sono venuti dopo.
19.a. Bene! Allora devo difendermi, cittadini ateniesi, e devo cercare di rimuovere
da voi, in cosõÁ poco tempo, quella calunnia che vi tenete dentro da molto tempo. E
desidererei proprio che questo si verificasse, se cosõÁ eÁ il meglio per me e per voi, e che
col difendermi traessi qualche vantaggio. PeroÁ ritengo che cioÁ sia difficile, e non mi
sfugge affatto quale sia tale difficoltaÁ.
In ogni caso, vada come eÁ caro al dio; bisogna ubbidire alla legge e difendersi!
(Trad. G. Reale)

GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Socrate identifica e contrappone due specie di accusatori (vedi l'espressione dittoi+ kath*goroi di 18d).
Facendo puntuale riferimento al testo, evidenzia le informazioni che esso ci daÁ sugli uni e sugli altri (quanti sono,
chi sono, che sentimenti suscitano nell'accusato ecc.) in un elaborato di max 15 righe.
2. Rispondi alle seguenti domande:
" Nei confronti di chi Socrate ritiene di dover innanzitutto fare la sua difesa?
................................................................................................................................................................................
" PercheÂ?
................................................................................................................................................................................
" Quali i criteri che Socrate seguiraÁ nella difesa?
................................................................................................................................................................................

3. Chi eÁ il commediografo a cui allude Socrate? A quale commedia si fa riferimento?


.....................................................................................................................................................................................

571
Scheda di essico l
Il lessico del divino sottratto a noi il matricida tu che sei un dio''. Quando
Afrodite costringe a forza Elena a piegarsi al deside-
rio amoroso di Paride che si eÁ sottratto al duello con
ueo*Q i$ sodai* mvn Menelao, Elena tace sgomenta davanti all'imposizio-
dai* mvn ueoei* keloQ ne della dea, h#rxe de+ dai* mvn: Afrodite eÁ cosõÁ detta
di& oQ ueoeidh*Q perche si eÁ manifestata nella sua forza oscura e terri-
uei& oQ a$nti* ueoQ bile, cui la donna mortale eÁ soggiogata.
daimo*nioQ ey$dai* mvn La riflessione piuÁ tarda trasformoÁ profondamente
i$ so*ueoQ dysdai* mvn questa opposizione che risale ad un concetto arcaico
e complesso del divino: nell'Apologia platonica Socrate
risponde all'accusa di non onorare gli deÁi, ma nuovi ed
Il lessico del divino in greco ruota intorno a due termini, oscuri dai* moneQ, obiettando, che questi sono figli degli
ueo*Q e dai* mvn, oltre che alla radice di- che ha dato luogo deÁi, e non si puoÁ pensare che uno creda ai figli e non ai
al nome del primo degli deÁi, Zey*Q, gen. Dio*Q, e all'ag- padri (per alcuni esempi di ueo*Q nell'Apologia, cf. i para-
gettivo di& oQ, variamente impiegato e inteso. grafi 18, 19, 21, 23, 41, 42). Nel neoplatonismo dai* mo-
Propriamente ueo*Q (maschile e femminile, anche se neQ sono esseri intermedi nella complessa serie degli enti
esiste una forma femminile uea*) esprime una persona- divini, mentre nel Nuovo Testamento sono i ``diavoli''.
litaÁ superiore alla misura terrena, potente ma non La radice di- in origine indicava il dio del cielo
onnipotente, comunque sempre personale e netta- luminoso, e per questo eÁ entrata nel nome di Zey*Q,
mente caratterizzata nei suoi tratti e nelle sue funzio- Dio*Q, come in quello di Iouis, e in un aggettivo che in
ni, di norma anche nella rappresentazione degli attri- origine significava appunto ``luminoso'': pare proprio
buti che la accompagnano; invece dai* mvn ``eÁ una oscura che poly*tlaQ di& oQ $ Odyssey*Q dovesse esprimere inizial-
potenza sotterranea, spesso impersonale, concepita co- mente ``il molto audace chiaro Odisseo'', anche se poi
me la semplice sorte; quando viene chiamata in questo questa formula divenne alternativa di uei& oQ $Odyssey*Q.
modo una distinta personalitaÁ divina, si vuole mettere Il valore originale tuttavia si rivela in espressioni del
in rilievo l'elemento incomprensibile, che si sottrae alla tipo ai$ ue* ra di& on, ``l'etere luminoso'' o $ Hv+ di& an, ``l'au-
nostra umana conoscenza, implicito nel complesso del rora luminosa''. Invece in Eschilo, Prometeo incatenato
suo essere'' (Schmidt): in qualche modo, il dai* mvn eÁ 1032 s. ceydhgorei& n ga+r oy$k e$ pi* statai sto*ma to+ Di& on,
quello che i moderni chiamano il ``numinoso''. CosõÁ l'aggettivo viene chiaramente connesso con Zeus, e la
nello Ione di Euripide (vv. 1374 s.) il protagonista riflette frase significa ``la bocca di Zeus non puoÁ mentire''.
sulla propria sorte di illegittimo, partorito ed esposto, e Altri aggettivi del gruppo sono uei& oQ e daimo*nioQ, che
accolto in seguito benignamente da Apollo nel suo implicano un riferimento alla sfera della divinitaÁ non
tempio delfico, ta+ toy& ueoy& xrhsta*, toy& de+ dai* monoQ / meglio distinta, o talvolta un segno di eccellenza, come
bare*a, ``il trattamento da parte del dio eÁ stato generoso, in Odissea IX, 203 ss. Odisseo ricorda il vino rosso
ma la mia sorte eÁ stata dura'': ueo*Q eÁ Apollo che lo ha dolcissimo che gli era stato donato da Marone, ad
accolto, mentre il dai* mvn eÁ la sua triste sorte di illegitti- Ismaro, in segno di gratitudine per aver risparmiato
mo. Nell'Edipo re di Sofocle, il Coro riflette sulla terri- lui, la sua sposa e i suoi figli, ``dodici anfore piene di
bile sorte dell'uomo che improvvisamente eÁ passato vino puro, dolcissimo, divina bevanda'': questo uei& on
dalla potenza sovrana alla miseria piuÁ atroce, ``avendo poto*n saraÁ un vino straordinario, ``divino'', con l'idea di
davanti agli occhi il tuo esempio, la tua sorte, infelice eccellenza che anche noi diamo a questo aggettivo. Un
Edipo, non posso chiamare felice nessuno dei mortali'', rapporto piuÁ preciso doveva essere in origine in dio-
to+n so*n toi para*deigm$ e> xvn, to+n so+n dai* mona, v# tla&mon genh*Q e in diotrefh*Q, che in Omero indicano i sovrani
Oi$ dipo*da, brotv&n oy$de+ n makari* zv (vv. 1192 ss.). In ``discendenti da Zeus'' o ``allevati da Zeus'': si allevano i
Odissea IX, 142 s. ueo*Q eÁ accompagnato dal pronome propri figli e quindi i due aggettivi sono sinonimi, prima
indefinito, per indicare una personalitaÁ divina che resta di divenire formulari. Altri aggettivi denotanti eccel-
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

ignota, piuÁ che indefinita, e> nua kateple*omen, kai* tiQ ueo*Q lenza sono i$ so*ueoQ e il simmetrico i$ sodai* mvn; ancora
h<gemo*neyen/ ny*kta di$ o$rfnai* hn, ``allora noi procedeva- ueoei* keloQ, ``simile a un dio'', ueoeidh*Q, ``che ha l'aspet-
mo nella nostra navigazione, e un dio ci guidava attra- to di un dio'' e a$nti* ueoQ, ``che puoÁ star innanzi a un dio'',
verso la notte oscura''. Nel contrasto tra Apollo e le come nell'esposizione della propria stirpe che fa Enea
Erinni che caratterizza le Eumenidi eschilee, le antiche rivolto ad Achille, ``da Troo nacquero tre nobili figli,
dee della vendetta sono dai* moneQ, mentre il giovane dio $ ssa*rako*Q te kai+ a$nti* ueoQ Ganymh*dhQ.
# IloQ t\ A
eÁ ueo*Q: esse lamentano i$ v+ pai& Dio*Q, e$ pi* klopoQ pe* lei, ne* oQ Ancora da dai* mvn, in relazione all'idea di ``sorte'',
de+ grai* aQ dai* monaQ kauippa*sv ... to+n mhtraloi* an d\ e$ je* k- ``destino'', derivano gli aggettivi ey$dai* mvn, ``fortuna-
lecaQ v/n ueo*Q, ``o figlio di Zeus, tu sei un ladro, tu che sei to'' (``cui eÁ toccato un buon deÁmone'') e dysdai* mvn,
giovane hai fatto violenza a noi antiche divinitaÁ, ... hai ``sfortunato''.

572
Testi a confronto

Platone
Socrate visto da Aristofane
EÁ, in particolare, alle Nuvole di Aristofane (vedi p. 263) che allude Socrate quando, nell'Apologia, rico-
struisce l'origine lontana delle calunnie che ormai da tempo circolavano sul suo conto. Dalla commedia

Apologia di Socrate
aristofanea ti proponiamo il primo incontro fra Strepsiade e Socrate (vv. 219-248) e la parte finale (1476-
1509), in cui Strepsiade appicca il fuoco al ``pensatoio''.

STREPSIADE ± E quello chi eÁ, quello che sta appeso per aria?
DISCEPOLO ± EÁ lui.
STREPSIADE ± Lui chi?
DISCEPOLO ± Socrate!
STREPSIADE ± Me lo potresti chiamare tu a voce alta, per favore?
DISCEPOLO ± Chiamatelo da solo; io non ho tempo (Il discepolo rientra nel pensatoio).

testi
STREPSIADE ± Socrate! Socrate, amico mio!
SOCRATE ± Perche mi chiami, creatura di un giorno?
STREPSIADE ± Prima di tutto, per favore, dimmi cosa stai facendo.
SOCRATE ± Aerostatizzo, e me ne sto qui a scrutare il sole.
STREPSIADE ± E tu gli deÁi li squadri dall'alto d'un corbello, invece che coi piedi per terra,
casomai?
SOCRATE ± Senza sospendere la mente e il pensiero in modo da mescolarli all'aria, che eÁ
della stessa leggerezza, non avrei mai potuto fare scoperte esatte sui fenomeni celesti. Se
me ne fossi stato a terra a osservare da laggiuÁ le cose di lassuÁ, non ci sarei mai arrivato.
Devi sapere che la terra attrae a se con forza l'umore del pensiero, proprio come succede
col crescione.
STREPSIADE ± Come dici? Il pensiero che attira l'umido nel crescione? Ma adesso scendi,
caro Socrate, ti prego, vieni a insegnarmi quello per cui sono venuto.
SOCRATE ± CioeÁ?
STREPSIADE ± Voglio imparare a parlare. EÁ una cosa incontrollabile: interessi, creditori, e
mi spingono, mi tirano, mi sequestrano la roba.
SOCRATE ± Come hai potuto fare tanti debiti senza rendertene conto?
STREPSIADE ± Mi ha distrutto una febbre da cavalli, un male divorante. Ma tu insegnami
uno dei tuoi discorsi, quello che non paga i debiti. Fammi il prezzo che ti pare e io te lo
do, lo giuro sugli deÁi.
SOCRATE ± Ma che deÁi vai giurando? Tanto per cominciare, qui da noi gli deÁi sono
moneta fuori corso. [...]
STREPSIADE ± Che pazzia! Che follia, per colpa di Socrate, ripudiare anche gli deÁi! (rivol-
gendosi a un'immagine del dio presente in scena) Hermes, caro Hermes, non ti adirare con me,
non mi distruggere. Perdonami, con tutte quelle chiacchiere ero delirante. Anzi, dammi un
consiglio, se devo denunciarli, o cos'altro. Come dici? Non devo impegnarmi in un
processo? Hai ragione: devo bruciargli subito la casa, a quei mascalzoni. Santia, Santia,
vieni qui. Piglia scala e piccone, arrampicati sul Pensatoio e comincia a scoperchiare il tetto;
fallo per il padrone, buttagli giuÁ la casa. Qualcuno mi porti una torcia accesa. E adesso a
loro: saranno pure dei gran furbacchioni, ma oggi qualcuno me la paga! ...
SOCRATE ± Che ci fai tu sul tetto?
STREPSIADE ± «Aerostatizzo, e me ne sto qui a scrutare il sole» ....
SOCRATE ± Povero me! Sto per soffocare! ...
STREPSIADE ± Chi vi ha insegnato a bestemmiare gli deÁi e a curiosare il corso della luna?
Dagli addosso, forza, picchia! Per un sacco di ragioni ± prima di tutto, come sai, per
l'empietaÁ verso gli deÁi. (Trad. A. Grilli)

CONFRONTI
" Dopo aver riletto Apologia 18d p. 569, verifica se il ritratto di Socrate lõÁ proposto coincide con quello fatto da

Aristofane. Sottolinea in un elaborato di max 10 righe similitudini e differenze.


" Rintraccia nell'ultima parte del brano gli elementi che testimoniano come l'idea di sbarazzarsi ``legalmente''
di Socrate era presente ad Atene in tempi di molto precedenti l'effettivo processo.

573
2 Il sapere di Socrate
Cherefonte, un allievo di Socrate, domanda all'oracolo di Delfi se c'eÁ qualcuno piuÁ sapiente del maestro.
(20c-21d)

EÁ domanda provocatoria, ma imprevedibilmente l'oracolo risponde di no. Quando Cherefonte gli riferisce la
risposta ricevuta, Socrate rimane turbato e comincia ad interrogare gli uomini politici per dimostrare che
l'oracolo eÁ in errore.

20.c. < Ypola*boi a/n oy#n tiQ y<mv&n i> svQ " `` $All\, v# Sv*krateQ, to+ so+n ti* e$ sti pra&gma;
po*uen ai< diabolai* soi ay}tai gegonasin; oy$ ga+r dh*poy soy& ge oy$de+ n tv&n a>llvn
peritto*teron pragmateyome* noy e> peita tosay*th fh*mh te kai+ lo*goQ ge* gonen, ei$ mh*
ti e>pratteQ a$lloi& on h/ oi< polloi* . le* ge oy#n h<mi& n ti* e$ stin, i% na mh+ h<mei& Q peri+ soy&
ay$tosxedia*zvmen''. 20.d. tayti* moi dokei& di* kaia le* gein o< le* gvn, ka$gv+ y<mi& n
peira*somai a$podei& jai ti* pot\ e$ sti+ n toy&to o= e$ moi+ pepoi* hken to* te o>noma kai+ th+n
diabolh*n. a$koy*ete dh*. kai+ i> svQ me+ n do*jv tisi+ n y<mv&n pai* zein " ey# me* ntoi i> ste,
pa&san y<mi& n th+n a$lh*ueian e$ rv&. e$ gv+ ga*r, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, di\ oy$de+ n a$ll\ h/ dia+
sofi* an tina+ toy&to to+ o>noma e> sxhka. poi* an dh+ sofi* an tay*thn; h%per e$ sti+ n i> svQ
a$nurvpi* nh sofi* a " t{& o>nti ga+r kindyney*v tay*thn ei#nai sofo*Q. 20.e. oy}toi de+ ta*x\
a>n, oy=Q a>rti e> legon, mei* zv tina+ h/ kat\ a>nurvpon sofi* an sofoi+ ei#en, h/ oy$k e> xv ti*
le* gv " oy$ ga+r dh+ e> gvge ay$th+n e$ pi* stamai, a$ll\ o%stiQ fhsi+ cey*detai* te kai+ e$ pi+
diabol|& t|& e$ m|& le* gei. kai* moi, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, mh+ uorybh*shte, mhd\ e$ a+n
do*jv ti y<mi& n me* ga le* gein " oy$ ga+r e$ mo+n e$ rv& to+n lo*gon o=n a/n le* gv, a$ll\ ei$ Q
a$jio*xrevn y<mi& n to+n le* gonta a$noi* sv. th&Q ga+r e$mh&Q, ei$ dh* ti* Q e$stin sofi* a kai+ oi% a,
ma*rtyra y<mi& n pare* jomai to+n ueo+n to+n e$ n Delfoi& Q. Xairefv&nta ga+r i> ste poy.

20.c. y<pola*boi ... i> svQ, ``forse qualcu- fa la gente''; oi< polloi* , ``i piuÁ'', indica perf. resultativo di e> xv. ± h%per ... sofi* a:
no di voi potrebbe intervenire'': Socrate qui la maggioranza della gente, la gente la nuova definizione di sapienza eÁ tutta-
ha ricordato ancora una volta come so- comune che non fa nulla di strano. ± i% na via chiaramente condizionata dall'ag-
no corse su di lui calunnie strane, del mh+ ... ay$tosxedia*zvmen, ``perche noi gettivo a$nurvpi* nh, e prospettata pro-
tipo di quelle di cui si dice nella comme- non ci mettiamo ad inventare'', ``perche blematicamente ancora da i> svQ, come
dia di Aristofane, e ha affermato vigo- non siamo costretti ad inventare''. dall'espressione tipica kindyney*v ... so-
rosamente che esse non sono vere, co- fo*Q, ``in questa c'eÁ rischio (kindyney*v)
me non eÁ vero che egli si sia proposto di 20.d. tayti* ... le*gvn, ``chi dice questo che io sia sapiente''.
istruire altri. Quando ha sentito un cit- (tayti* ) mi sembra che dica il giusto'':
tadino che si proponeva di affidare il tayti* eÁ marcato dallo iota ``deittico'', 20.e. oy}toi ... ei# en, ``costoro forse, dei
proprio figlio a un maestro di sapere, che attira l'attenzione. ± to* te o>noma ... quali dicevo poco fa, potrebbero essere
ha sempre pensato quanto sarebbe stato diabolh*n, ``sia il nome sia la calunnia'': sapienti (a>n ... sofoi+ ei#en) di una sapien-
bello per lui conoscere quella dottrina: il nome eÁ di essere sofo*Q, la calunnia si za superiore alla misura umana (mei* zv ...
ma purtroppo egli non sa nulla di simile. riferisce alle dottrine che gli venivano a>nurvpon)'': questa definizione, chiara-
Qualcuno peroÁ potrebbe a questo pun- attribuite. ± kai+ i> svQ ... pai* zein, ``e forse mente ironica, esclude da qualsiasi di-
to chiedergli come mai hanno potuto ad alcuni di voi sembreraÁ che io scher- scorso la cosiddetta sofi* a degli avversa-
avere origine queste strane calunnie. zi'': questa asserzione vuole marcare ri di Socrate. ± h/ oy$k ... le*gv, ``o non so
_
to+ so+n ... pra*gma, ``che eÁ che tu per contrasto la serietaÁ di cioÁ che Socra- che dire'': una definizione alternativa
fai?''. ± oy$ ga+r dh*poy ... ge*gonen, ``certo, te sta per dire, e che sottolineeraÁ con ey# sarebbe certo piuÁ chiaramente critica,
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

un simile giro di chiacchiere (tosay*th me*ntoi i> ste. ± do*jv, videbor: il verbo e Socrate preferisce dichiararsi incapa-
fh*mh te kai+ lo*goQ) non si eÁ certo pro- doke* v, come il lt. videor, ha costruzione ce di esprimersi. ± oy$ ga+r ... e$pi* stamai:
dotto (oy$ ... ge*gonen) mentre tu non fa- personale. ± e$gv+ ga*r ... e>sxhka, ``io in- inizia il grande tema socratico del ``non
cevi nulla di strano (soy& ... oy$de+n ... pe- fatti, o cittadini di Atene, non ho questo sapere''. ± e$pi+ diabol|& ... le*gei, ``parla
ritto*teron pragmateyome*noy, gen. ass.) nome se non per una sorta di sapienza per calunniarmi'': e$ pi+ diabol|& t|& e$ m|& eÁ
rispetto agli altri'': peritto*Q, ``super- (dia+ sofi* an tina*)'': l'affermazione eÁ an- compl. di fine. ± mhd\ e$a+n ... le*gein,
fluo'', passa facilmente all'idea di ``stra- cora solenne, se anche temperata da ``nemmeno se vi sembri che io dica qual-
no'', ``straordinario'', e il suo compara- una sfumatura di indeterminazione (ti- cosa di molto grande'': ti ... me* ga, cosõÁ
tivo (peritto*teron) eÁ determinato dal na*); Socrate sta preparando un vero e indeterminato, preannuncia una noti-
secondo termine di paragone tv&n proprio colpo di scena, quando, dopo zia straordinaria. ± le*gein ... lo*gon ...
a>llvn; il senso viene cosõÁ completato aver negato in ogni modo di esser sa- le*gv: la serie preannuncia a$jiv*xrevn
da una protasi di periodo ipotetico del- piente ed aver definito calunniosa que- to+n le*gonta, ``colui che parla, degno
l'irrealtaÁ: ei$ mh* ti ... polloi* , ``se tu non sta voce, faraÁ proclamare la propria sa- della vostra considerazione'', nominato
facessi nulla di differente da quello che pienza proprio dal dio di Delfi; e> sxhka, alla fine del periodo, ``il dio di Delfi''.

574
Platone
oy}toQ 21.a. e$ mo*Q te e< tai& roQ h#n e$ k ne* oy kai+ y<mv&n t{& plh*uei e< tai& ro*Q te kai+
syne* fyge th+n fygh+n tay*thn kai+ meu\ y<mv&n kath&lue. kai+ i> ste dh+ oi}oQ h#n Xai-
refv&n, v<Q sfodro+Q e$f\ o%ti o<rmh*seien. kai+ dh* pote kai+ ei$ Q Delfoy+Q e$ luv+n
e$ to*lmhse toy&to mantey*sasuai ± kai* , o%per le* gv, mh+ uorybei& te, v# a>ndreQ ± h>reto

Apologia di Socrate
ga+r dh+ ei> tiQ e$ moy& ei> h sofv*teroQ. a$nei& len oy#n h< Pyui* a mhde* na sofv*teron ei#nai.
kai+ toy*tvn pe* ri o< a$delfo+Q y<mi& n ay$toy& oy<tosi+ martyrh*sei, e$ peidh+ e$ kei& noQ tete-
ley*thken. 21.b. Ske*casue dh+ v}n e% neka tay&ta le* gv " me* llv ga+r y<ma&Q dida*jein o%uen
moi h< diabolh+ ge*gonen. tay&ta ga+r e$ gv+ a$koy*saQ e$ neuymoy*mhn oy<tvsi* " `` Ti* pote
le* gei o< ueo*Q, kai+ ti* pote ai$ ni* ttetai; e$ gv+ ga+r dh+ oy>te me* ga oy>te smikro+n sy*noida
e$ mayt{& sofo+Q v>n " ti* oy#n pote le*gei fa*skvn e$ me+ sofv*taton ei#nai; oy$ ga+r dh*poy

testi
cey*detai* ge " oy$ ga+r ue* miQ ay$t{&''. kai+ poly+n me+ n xro*non h$po*royn ti* pote le*gei "
e> peita mo*giQ pa*ny e$pi+ zh*thsin ay$toy& toiay*thn tina+ e$ trapo*mhn. h#luon e$ pi* tina tv&n
dokoy*ntvn sofv&n ei#nai, 21.c. v<Q e$ntay&ua ei> per poy e$le* gjvn to+ mantei& on kai+
a$pofanv&n t{& xrhsm{& o%ti ``Oy<tosi+ e$ moy& sofv*tero*Q e$ sti, sy+ d\ e$ me+ e> fhsua.''
diaskopv&n oy#n toy&ton o$no*mati ga+r oy$de+n de* omai le*gein, h#n de* tiQ tv&n politikv&n
pro+Q o=n e$ gv+ skopv&n toioy&to*n ti e> pauon, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, kai+ dialego*menoQ
ay$t{& ± e> doje* moi oy}toQ o< a$nh+r dokei& n me+ n ei#nai sofo+Q a>lloiQ te polloi& Q
a$nurv*poiQ kai+ ma*lista e< ayt{&, ei#nai d\ oy> " ka>peita e$ peirv*mhn ay$t{& deikny*nai o%ti
oi> oito me+ n ei#nai sofo*Q, ei> h d\ oy>. e$ ntey&uen oy#n toy*t{ te a$phxuo*mhn kai+ polloi& Q
tv&n paro*ntvn " 21.d. pro+Q e$ mayto+n d\ oy#n a$piv+n e$ logizo*mhn o%ti toy*toy me+ n toy&

21.a. e$k ne*oy, ``fin da giovane'': segue lui a Cherefonte. ± tay&ta ... oy<tvsi* , ``do- chiesto a Socrate il nome dell'interrogato,
una breve caratterizzazione del perso- po aver udito quel responso (tay&ta) io ed egli approfittasse per dire che non in-
naggio, amico e discepolo di Socrate, ragionai in questo modo'': l'imperfetto tende nominarlo, ma che era un politico
presentato con lui nelle Nuvole aristofa- e$ neuymoy*mhn vuol seguire il filo delle ri- importante; qualcuno si eÁ chiesto se per
nee; fu esiliato nel 404 con i democratici flessioni di Socrate esposte di seguito. ± ti* caso non si trattasse di Anito, che effetti-
(syne*fyge ... tay*thn) e rientroÁ insieme a pote ai$ ni* ttetai, ``che cosa vuole nascon- vamente in giovinezza ebbe qualche con-
Trasibulo (kai+ ... kath&lue); nel 399 era dere sotto l'enigma?'': tipico dell'enigma tatto con Socrate, ma eÁ un falso bersaglio:
giaÁ morto. ± th+n fygh+n tay*thn: acc. del- eÁ infattiunenunciatoinapparenza assur- Socrate non intende tanto attaccare il suo
l'oggetto interno connesso al verbo per do, che vuole obbligare a riflettere per accusatore, quanto mettere in evidenza
figura etimologica. ± v<Q sfodro+Q ... trovare il significato riposto. ± oy>te me*ga l'ignoranza dei politici. ± o$no*mati ... le*-
o<rmh*seien, ``come era impetuoso, a oy>te smikro*n, ``ne molto ne poco'': acc. di gein, ``non occorre chiamarlo per nome'':
qualsiasi cosa si accingesse'': v<Q introdu- relazione; sy*noida ... v>n: il verbo regge il o$no*mati eÁ dat. strumentale. ± h#n de* tiQ ...
ce una interr. indiretta dipendente da part. predic. ± oy$ ... cey*detai* ge: nel suo e>pauon, ``ma era uno dei nostri uomini
i> ste, riprendendo oi}oQ h#n per specificar- smarrimento Socrate ha una sola certez- politici quello, esaminando il quale feci
ne il senso. ± o%per le*gv, ``come vi dico'', za, che l'oracolo ``certamente non men- una simile esperienza'', cioeÁ ``quello che
lett. ``la cosa che vi dico'': eÁ una forma te'', perche non puoÁ. ± poly+n ... h$po*royn: allora interrogavo e con cui ...'' . ± e>doje*
colloquiale per invitare il suo pubblico a insieme al complemento di durata, l'im- moi ... e<ayt{&, ``mi sembroÁ che quest'uomo
non rumoreggiare; ma, mentre prima perfetto descrittivo continua a rappre- sembrasse esser sapiente sia a molti altri
aveva detto mh+ uorybh*shte, cong. aor., sentarci le riflessioni imbarazzate di So- uomini sia soprattutto a se stesso'': il po-
ora dice mh+ uorybei& te, come se la gente crate, che alla fine contro voglia (mo*giQ) si litico eÁ la prima vittima della sua presun-
avesse giaÁ cominciato a far rumore, ed decide a ricercare il senso del responso. ± zione di sapere; Socrate tenta quindi di
egli la pregasse di ``non continuare a far tv&n dokoy*ntvn ... ei# nai, ``di quelli che dimostrargli (e$ peirv*mhn ay$t{& deikny*nai)
rumore''. ± a$nei& len, ``rispose'': da a$nai- avevano fama di essere sapienti'': il gen. che credeva di esser sapiente, ma non lo
re*v eÁ verbo tecnico del responso dell'o- sofv&n, nome del predicato, eÁ attratto da era (o%ti oi> oito ... d\ oy>). ± e$ntey&uen ... pa-
racolo. _ toy*tvn pe*ri 4 peri+ toy*tvn: tv&n dokoy*ntvn. ro*ntvn, ``da quel momento io venni in
l'anastrofe?, tipico costrutto del discor- odio (a$phxuo*mhn) a costui e a molti dei
so poetico, eÁ marcata dalla ritrazione 21.c. v<Q e$ntay&ua ... to+ mantei& on, ``pen- presenti'': il risentimento del politico,
dell'accento (baritonesi?). sando che (v<Q) in questo (e$ ntay&ua) avrei del quale aveva dimostrato l'ignoranza,
finalmente (ei> per poy) confutato l'oraco- fu dunque l'inizio delle molte antipatie
21.b. v}n e%neka, ``per quali ragioni'': lo'': ei> per poy, lett. ``se mai in qualche cui andoÁ incontro Socrate.
per necessitaÁ, non per vanagloria, Socra- punto''. ± diaskopv&n oy#n toy&ton, ``men-
te ha raccontato ai giudici il responso tre dunque esaminavo costui'': la frase si 21.d. pro+Q e$mayto+n ... a$piv*n, ``mentre
straordinario che l'oracolo ha dato su di interrompe, come se qualcuno avesse me ne andavo ragionavo tra me e me''.

575
a$nurv*poy e$ gv+ sofv*tero*Q ei$ mi " kindyney*ei me+ n ga+r h<mv&n oy$de* teroQ oy$de+n kalo+n
ka$gauo+n ei$ de*nai, a$ll\ oy}toQ me+ n oi> etai* ti ei$ de*nai oy$k ei$ dv*Q, e$ gv+ de* , v%sper oy#n oy$k
oi#da, oy$de+ oi> omai " e> oika goy&n toy*toy ge smikr{& tini ay$t{& toy*t{ sofv*teroQ ei#nai,
o%ti a= mh+ oi#da oy$de+ oi> omai ei$ de* nai. e$ ntey&uen e$ p\ a>llon |#a tv&n e$ kei* noy dokoy*ntvn
sofvte*rvn ei#nai kai* moi tay$ta+ tay&ta e> doje, kai+ e$ ntay&ua ka$kei* n{ kai+ a>lloiQ
polloi& Q a$phxuo*mhn.

± kindyney*ei ... ei$ de*nai, ``eÁ dunque pos- sia pure in via di probabilitaÁ, l'unica (smikr{& tini ay$t{& toy*t{), per il fatto
sibile (kindyney*ei) che nessuno di noi acquisizione, nel senso di sapere di che cioÁ che non so, non credo nemme-
due sappia nulla di bello ne di buono'': non sapere. ± e>oika ... ei$ de*nai, ``mi no di saperlo''. ± e$ntey&uen ... |#a, ``quin-
la progressione nelle verifiche eÁ sempre sembra dunque di essere piuÁ saggio di di mi rivolsi a un altro'': |#a eÁ impf. ind.
marcata dall'incertezza (i> svQ) e dal ri- costui (toy*toy ... sofv*teroQ ei#nai) pro- di ei#mi, ``andare''; anche questa nuova
schio (kindyney*ei), finche si raggiunge, prio per questo piccolo vantaggio intervista si concluse con uno scacco.

traduzione d'autore
20.c. Forse qualcuno di voi potrebbe prendere la parola per dirmi: «Ma allora,
Socrate, di cos'eÁ che ti occupi? Da dove sono venute quelle calunnie sul tuo conto?
Perche poi, se tu non facevi niente di straordinario rispetto agli altri, non nascevano
tante voci e dicerie ± se non facevi insomma nulla di diverso da quel che fanno i piuÁ ±.
Dicci cos'eÂ, perche non vogliamo improvvisare un giudizio sul tuo conto». 20.d. Chi
dice cosõÁ pare dire giusto, e io cercheroÁ di mostrarvi da dove sian partite fama e
calunnia insieme.
State a sentire. A qualcuno di voi forse sembreraÁ che io scherzi: sappiate bene peroÁ
che vi diroÁ tutta la veritaÁ. Perche io, Ateniesi, per nient'altro che per una forma di
sapienza mi sono guadagnato questa fama. Quale sapienza? Certo una sapienza
umana. Difatti eÁ in questa che forse io sono sapiente. 20.e. E costoro, di cui parlavo
poco fa, saranno certo sapienti di una sapienza superiore a quella umana, oppure non
so che dire: io almeno non la conosco, e chi lo afferma mente, e parla per denigrarmi.
E voi, Ateniesi, non protestate contro di me, neppure se vi pare che io parli con
presunzione: perche non saraÁ mio il discorso che vi faccio, bensõÁ devo riferirne la
paternitaÁ a chi guadagna la vostra fiducia. Della mia sapienza, se pure ce n'eÁ una e di
che natura sia, chiamo a testimone per voi il dio di Delfi.
Cherefonte lo conoscete certamente.
21.a. Fu mio compagno fin da giovane. E fu compagno vostro di partito, e con voi
visse quest'esilio e con voi rientroÁ. E sapete anche che uomo fosse Cherefonte, quanto
fosse impetuoso in ogni sua iniziativa. CosõÁ un giorno andoÁ a Delfi ed ebbe l'audacia
di chiedere questo all'oracolo ± e voi, signori, vi prego, non interrompete ± gli chiese
infatti se c'era qualcuno piuÁ sapiente di me. E la Pizia rispose che di piuÁ sapiente di me
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

non c'era nessuno. Ma di questa circostanza vi saraÁ testimone ± eÁ qui presente ± il


fratello di Cherefonte, perche questi eÁ morto.
21.b. Guardate ora la ragione di queste mie parole: perche intendo dirvi l'origine
della calunnia contro la mia persona. Al sentire il responso, riflettevo in questo modo:
«Cosa mai intende il dio, a cosa allude? Perche io, per parte mia, non sono convinto
ne tanto ne poco della mia sapienza; cosa intende mai quando dice che io sono tanto
sapiente? Perche non mente il dio ± non puoÁ mentire ±».
Per molto tempo non riuscii a cogliere il senso; ma poi, e certo con fatica, mi misi a
ricercarlo in questo modo. Mi recai da uno di quelli che hanno fama di sapienti, 21.c. e
pensavo che cosõÁ avrei in qualche modo confutato 1'oracolo e avrei risposto al vaticinio:
«EÁ questi piuÁ sapiente di me, mentre tu eÁ di me che hai parlato». Mentre esaminavo

576
Platone
attentamente quest'uomo ± non occorre che ve ne dica il nome, perche era un politico il
personaggio con il quale, tra indagini e discorsi, feci questa esperienza, Ateniesi ±, mi
sembroÁ che quest'uomo apparisse sapiente agli occhi, tra gli altri, soprattutto di se
stesso, ma che in realtaÁ non lo fosse. E allora mi provai a dimostrargli che riteneva di

Apologia di Socrate
essere sapiente, ma che non lo era. Ne risultoÁ dunque che me lo feci nemico e, con lui, mi
inimicai molti dei presenti. 21.d. Ma fra me e me, andandomene via, ragionavo che io
ero piuÁ sapiente di quest'uomo: perche forse nessuno di noi due conosceva qualcosa di
bello e di buono, ma lui riteneva di sapere ± e non sapeva ±, mentre io come non so cosõÁ
non penso neppure di sapere; mi pareva percioÁ di essere piuÁ sapiente di lui proprio in
questo piccolo particolare, e cioeÁ che le cose che non so non penso neanche di saperle.
Poi mi recai da un altro che aveva fama di essere piuÁ sapiente dell'altro, e ne ricavai
un'impressione identica ± e cosõÁ mi attirai l'odio suo e di molti altri.

testi
(Trad. E. AvezzuÁ)

ANALISI DEL TESTO


" TRA STRANEZZA E SAGGEZZA Socrate continua la sua di- tanto sa, ma rappresenta, da un lato, la consapevolezza
fesa ipotizzando che gli venga chiesto quale suo strano dell'inconsistenza delle opinioni, dall'altro, l'esigenza di
comportamento sia stato all'origine delle calunnie che lo andare sempre a fondo nelle cose, al di laÁ delle apparenze.
hanno travolto. L'obiezione -- secondo un uso comune nel Altrove, per esempio in Simposio 177d oy$de*n fhmi+ a>llo
greco ± viene introdotta, dopo la pausa, da i> svQ accom- e$ pi* stasuai h/ ta+ e$ rvtika*, Socrate sosterraÁ, invece, di sa-
pagnato dall'ottativo potenziale di un verbo di dire, inter- pere qualcosa, nell'ambito delle cose d'amore. Ci sarebbe
rompere, meravigliarsi e da tiQ o equivalente del soggetto. quindi un dato positivo di conoscenza da cui partire e
Due termini sono da sottolineare: proprio l'amore sarebbe la fonte che permette a Socrate di
n peritto*teron (20 c): composto con il prefisso peri* , ha apportare un beneficio agli altri. Sottile, nel passo del
in se l'idea del sopra, dell'oltre la misura, quindi, come nel Simposio, eÁ l'ironia del filosofo. Egli non sa nulla se non cioÁ
nostro passo, dello straordinario, dello strano. La stra- che riguarda l'amore: quindi in realtaÁ conosce tutto, dato
nezza, l'a$topi* a di Socrate eÁ peraltro un motivo topico, che Eros eÁ quella forza che porta alla piuÁ alta vetta del
legato alla piuÁ generale considerazione che la sua vita non sapere.
puoÁ essere paragonata a nessuna altra esistenza, non ha
precedenti, come ben si legge in Symp. 221c: Alcibiade, " MODULI STILISTICI Nel brano e Á da evidenziare l'obiezione
nell'elogio del suo maestro, sostiene che se con Achille di un ipotetico interlocutore, secondo un modulo tipico
puoÁ essere messo a confronto Brasida, con Nestore An- dell'oratoria giudiziaria; allitterazione e figura etymologica
tenore, con altri Pericle, Socrate, invece, non eÁ raf- presenti in tayti* moi dokei& di* kaia le*gein o< le*gvn (20 d)
frontabile con nessuno ne fra gli antichi, ne fra i moderni. ± insieme allo iota `deittico' di tayti* proprio del linguaggio
n sofi* a (20 d): dice Socrate di dovere fama e calunnie ad drammatico e oratorio ± contribuiscono a sottolineare il
una forma di sapienza che possiederebbe; tiQ (tina+ ... credito che si attribuisce a tale obiezione in quanto ele-
sofi* an) attenua il valore del sostantivo sofi* a poiche la mento significativo per il procedere del discorso di difesa.
sapienza come possesso stabile non eÁ prerogativa Sono da segnalare nel passo anche le espressioni del
umana: per l'uomo, infatti, esiste solo l'amore, mai com- lessico colloquiale (to+ so+n ti* e$ sti pra&gma) e i frequenti
pletamente appagato, per essa (da qui filosofi* a). La richiami al destinatario per tenerne desta l'attenzione
sapienza di Socrate non eÁ la sapienza positiva di chi (a$koy*ete, i> ste, mh+ uorybh*shte).

577
3 Restare al proprio posto
Segue la difesa contro l'accusa di MeleÁto. Socrate che non sa non puoÁ avere intenzione di corrompere i
(28 a-d)

giovani; se lo fa senza averne l'intenzione, non puoÁ essere accusato. D'altra parte l'accusa di non riconoscere
gli deÁi della cittaÁ non puoÁ essere provata: Socrate parla di demoni, che sono per loro natura figli degli deÁi. Del
resto il filosofo non puoÁ rinunciare al mandato ricevuto dal dio, che lo ha scelto perche stimolasse i suoi
concittadini.

28.a. Dunque, cittadini ateniesi, mi pare che non ci sia bisogno di una lunga difesa
per convincere che io non ho la colpa che mi viene imputata nell'atto di accusa di
Meleto. Sono sufficienti queste cose che ho detto. Ma quello che vi dicevo
all'inizio, ossia che contro di me eÁ sorto in molti un grave odio, sappiate bene
che eÁ vero.
E quello che mi infligge condanna, se pure ci saraÁ condanna, non sono neÂ
Meleto ne Anito, bensõÁ la calunnia e l'invidia dei piuÁ. E queste cose hanno inflitto
condanna a molti altri uomini valenti e credo che ne infliggeranno anche in
futuro. E non c'eÁ da temere che 28.b. si arrestino a me.
Qualcuno potrebbe forse dirmi: «Allora, o Socrate, non ti vergogni di esserti
dedicato a questa attivitaÁ, per la quale sei in pericolo di morire?».
A questi io potrei rispondere con un giusto ragionamento: «Non dici bene, o
amico, se tu ritieni che un uomo che possa essere di qualche giovamento anche
piccolo, debba tener conto altresõÁ anche del pericolo della vita o del morire e non
debba, invece, quando agisce, guardare solo a questo, ossia se possa fare cose
giuste o ingiuste, e se le sue azioni sono azioni di un uomo buono, oppure di un
uomo cattivo. 28.c. Se si sta al tuo ragionamento, sarebbero state persone di poco
valore tutti quei semidei che sono morti a Troia. E come gli altri anche il figlio di
Tetide, il quale, invece di sopportare l'infamia, disprezzoÁ il pericolo a tal punto
che, allorche la madre, che era dea, disse a lui che desiderava ardentemente di
uccidere Ettore, all'incirca cosõÁ: ``O figlio, se tu vendicherai la morte del tuo amico
Patroclo e ucciderai Ettore, morirai anche tu, perche a quello di Ettore subito segue
giaÁ pronto il tuo destino, nell'ascoltare queste parole non si diede pensiero del
pericolo e della morte. 28.d. E invece, temendo molto di piuÁ il vivere da codardo
e il non vendicare l'amico, disse: ``Che io muoia subito, non appena abbia punito
chi ha commesso la colpa, e che non rimanga qui deriso presso le curve navi, e
inutile peso della terra. E allora, o amico, pensi che egli si sia preoccupato per la
morte e per il pericolo?».
(Trad. G. Reale)

GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

1. L'inevitabilitaÁ della condanna, secondo Socrate, non dipenderaÁ tanto dall'atto d'accusa. Da che cosa dipenderaÁ
allora?
.....................................................................................................................................................................................
.....................................................................................................................................................................................

2. Qual eÁ l'argomento addotto dall'ipotetico interlocutore di Socrate per sostenere che l'attivitaÁ praticata dal
filosofo eÁ vergognosa?
.....................................................................................................................................................................................
.....................................................................................................................................................................................

3. Qual eÁ, invece, il criterio che, secondo Socrate, decide della bontaÁ di un'azione?
.....................................................................................................................................................................................
.....................................................................................................................................................................................

578
Platone
Testi a confronto
PiuÁ della vita

Apologia di Socrate
Antiloco, figlio di Nestore, ha portato ad Achille la terribile notizia della morte di Patroclo. A consolare
l'eroe, che piange disperatamente e sostiene che la vita per lui non avraÁ piuÁ valore se non vendicheraÁ
Patroclo, arriva la madre Teti: questa ribadisce al figlio che, se affronteraÁ Ettore, il suo tempo si faraÁ breve
(Iliade XVIII, 94-106).

To+n d\ ay#te prose*eipe Ue*tiQ kata+ da*kry xe*oysa "


95 ``v$ky*moroQ dh* moi, te* koQ, e> sseai, oi}\ a$gorey*eiQ "
ay$ti* ka ga*r toi e> peita meu\ % Ektora po*tmoQ e< toi& moQ.''

testi
Th+n de+ me*g\ o$xuh*saQ prose*fh po*daQ v$ky+Q \Axilley*Q "
ay$ti* ka teunai* hn, e$ pei+ oy$k a>r\ e>mellon e< tai* r{
kteinome* n{ e$ pamy&nai " o< me+n ma*la thlo*ui pa*trhQ
100 e>fuit\, e$mei& o de+ dh&sen a$rh&Q a$lkth&ra gene* suai.
ny&n d\ e$pei+ oy$ ne* omai* ge fi* lhn e$ Q patri* da gai& an,
oy$de* ti Patro*kl{ geno*mhn fa*oQ oy$d\ e< ta*roisi
toi& Q a>lloiQ, oi= dh+ pole* eQ da*men % Ektori di* {,
a$ll\ h}mai para+ nhysi+ n e$tv*sion a>xuoQ a$roy*rhQ,
105 toi& oQ e$v+n oi}oQ oy> tiQ \Axaiv&n xalkoxitv*nvn
e$n pole* m{ " a$gor|& de* t\ a$mei* none* Q ei$ si kai+ a>lloi.

traduzione d'autore
Teti allora versando lacrime disse:
95 ``Ah! Sei vicino alla morte, creatura, come mi parli.
Subito dopo Ettore t'eÁ preparata la Moira''.
Ma con gemito grave rispose Achille piede rapido:
«Potessi morire anche adesso, poiche non dovevo all'amico
portar soccorso in morte; molto lontano dalla patria
100 eÁ morto; e io gli sono mancato, difensore dal male.
E ora, che in patria non devo tornare mai piuÁ,
che non fui luce per Patroclo, ne pei compagni,
per gli altri, molti son stati uccisi da Ettore luminoso,
siedo qui presso le navi, inutile peso della terra,
105 io che son forte quanto nessuno dei Danai chitoni di bronzo
in guerra. Altri son migliori in consiglio»
(Trad. R. Calzecchi Onesti)

CONFRONTI
Á
" C'e un bene piuÁ grande per cui pare giusto sacrificare anche la vita: Socrate sceglie un esempio tratto dal
mito omerico per esemplificare quest'idea e cita liberamente da Iliade XVIII, 94 ss. Rileggi i versi di Omero che
abbiamo proposto e mettili a confronto con il testo dell'Apologia di p. 578 in un elaborato di 10 righe.

579
4 Il congedo
L'Apologia platonica contiene ancora una sezione, in cui Socrate prende congedo dai suoi giudici, da quelli che
(40c-42a)

avevano votato per la sua condanna a morte come dagli altri. Rivolto a questi ultimi, egli spiega che sicuramente
quanto gli eÁ accaduto eÁ destinato ad essere per lui un bene, e cerca di fornirne la dimostrazione.

40.c. $ Ennoh*svmen de+ kai+ t|&de v<Q pollh+ e$ lpi* Q e$ stin a$gauo+n ay$to+ ei#nai. dyoi& n ga+r
ua*tero*n e$ stin to+ teuna*nai " h/ ga+r oi}on mhde+ n ei#nai mhde+ ai> suhsin mhdemi* an
mhdeno+Q e> xein to+n teunev&ta, h/ kata+ ta+ lego*mena metabolh* tiQ tygxa*nei oy#sa kai+
metoi* khsiQ t|& cyx|& toy& to*poy toy& e$ nue*nde ei$ Q a>llon to*pon. kai+ ei> te dh+ mhdemi* a
ai> suhsi* Q e$ stin a$ll\ 40.d. oi}on y%pnoQ, e$ peida*n tiQ kauey*dvn mhd\ o>nar mhde+ n o<r@&,
uayma*sion ke*rdoQ a/n ei> h o< ua*natoQ ± e$ gv+ ga+r a/n oi#mai, ei> tina e$ kleja*menon de* oi
tay*thn th+n ny*kta e$ n |} oy%tv kate* daruen v%ste mhde+ o>nar i$ dei& n, kai+ ta+Q a>llaQ
ny*ktaQ te kai+ h<me* raQ ta+Q toy& bi* oy toy& e< aytoy& a$ntiparaue* nta tay*t| t|& nykti+ de* oi
skeca*menon ei$ pei& n po*saQ a>meinon kai+ h%dion h<me* raQ kai+ ny*ktaQ tay*thQ th&Q nykto+Q
bebi* vken e$ n t{& e< aytoy& bi* {, oi#mai a/n mh+ o%ti i$ div*thn tina*, a$lla+ to+n me* gan basile* a
ey$ariumh*toyQ a/n ey<rei& n ay$to+n tay*taQ pro+Q ta+Q a>llaQ h<me*raQ kai+ ny*ktaQ ± 40.e. ei$
oy#n toioy&ton o< ua*nato*Q e$ stin, ke* rdoQ e> gvge le* gv " kai+ ga+r oy$de+ n plei* vn o< pa&Q
xro*noQ fai* netai oy%tv dh+ ei#nai h/ mi* a ny*j. ei$ d\ ay# oi}on a$podhmh&sai* e$ stin o<
ua*natoQ e$ nue* nde ei$ Q a>llon to*pon, kai+ a$lhuh& e$ stin ta+ lego*mena, v<Q a>ra e$ kei& ei$ si
pa*nteQ oi< teunev&teQ, ti* mei& zon a$gauo+n toy*toy ei> h a>n, v# a>ndreQ dikastai* ; ei$ ga*r tiQ
a$fiko*menoQ ei$ Q %Aidoy, 41.a. a$pallagei+ Q toytvni+ tv&n fasko*ntvn dikastv&n ei#nai,
ey<rh*sei toy+Q v<Q a$lhuv&Q dikasta*Q, oi% per kai+ le*gontai e$ kei& dika*zein, Mi* nvQ te kai+
< Rada*manuyQ kai+ Ai$ ako+Q kai+ Tripto*lemoQ kai+ a>lloi o%soi tv&n h<miue*vn di* kaioi e$ ge*-

40.c. e$nnoh*svmen ... ei# nai, ``riflettia- 40.d-e. e$peida*n ... o<r@&, ``quando uno 40.e. ei$ oy#n ... le*gv, ``se dunque la
mo anche da questo punto di vista dormendo non fa nemmeno un sogno'': morte eÁ una cosa di questo genere
(kai+ t|&de) che ho molti motivi per spe- in prospettiva eventuale, con a>n di e$ pei- (toioy&ton), io certo (e> gvge) lo chiamo
rare che essa sia un bene''; e$ nnoh*svmen: da*n e il cong. o<r@&; il greco dice o<ra&n un vantaggio'': ritorna insistente il ter-
cong. esortativo; kai+ t|&de: avverbio di y%pnon, ``vedere un sogno'', dove l'italia- mine finanziario ke* rdoQ; e> gvge, ``io,
modo, il punto di vista che Socrate sta no usa un verbo assai piuÁ generico, ``fa- per conto mio'': il ge limitativo sottoli-
per esporre. ± dyoi& n ... teunev&ta: ``di re un sogno''. ± uayma*sion ... o< ua*natoQ, nea il punto di vista di chi sta parlando.
due cose una (ua*teron) eÁ il morire: o eÁ ``la morte sarebbe un profitto meravi- ± oy$de+n plei* vn, ``per nulla maggiore'':
come se il morto (to+n teunev&ta) non sia glioso'': apodosi della possibilitaÁ, dove oy$de* n eÁ acc. avverbiale di relazione.
piuÁ nulla e non abbia alcuna percezione ke*rdoQ eÁ termine del linguaggio com- _
ei$ d\ ay# ... ei> h a>n, ``se poi la morte eÁ
di nulla'': ua*teron 4 to+ e% teron, ``una merciale, propr. ``guadagno''. ± ei> tina come emigrare (a$podhmh&sai) di qui in
delle due cose'', alterum; to+n teunev&ta: eÁ ... bi* {, ``se bisognasse che uno, dopo un altro luogo, e sono veri i racconti
meglio intenderlo come sogg. sia di aver scelto (e$ kleja*menon), questa che si fanno, che sono laÁ tutti quelli
mhde+ n ei#nai sia di e> xein; mhdemi* an mhde- (tay*thn) notte in cui (e$ n |}) ha dormito che sono morti (oi< teunev&teQ), quale
no*Q: poliptoto. ± h/ kata+ ... to*pon, ``o, cosõÁ da non fare alcun sogno e confron- bene maggiore di questo potrebbe es-
secondo quanto si dice, eÁ (tygxa*nei oy#- tando (a$ntiparaue*nta) a questa notte le serci'': ritorna il tema dell'al di laÁ; la
sa) una trasformazione e una trasmi- altre notti e giorni della sua vita, doves- protasi di primo tipo non implica real-
taÁ, ma la prospettiva, pur non dimo-
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

grazione per l'anima da questo luogo se dire riflettendo (skeca*menon) quanti


quaggiuÁ (toy& e$ nue*nde) in un altro luo- giorni e quante notti ha vissuto meglio e strata, eÁ presentata come attraente e
go''; kata+ ta+ lego*mena: cosõÁ dicevano piuÁ piacevolmente di questa notte nella questo effetto Socrate intende produr-
soprattutto orfici e pitagorici. L'alterna- sua vita''; tay*thn costituisce prolessi ri- re sui suoi ascoltatori. ± a$fiko*menoQ ei$ Q
tiva che qui Socrate prospetta costitui- spetto al relativo e$ n |} che segue. ± oi# mai %Aidoy, ``giungendo all'Ade'': ei$ Q richie-
sce indubbiamente una posizione asso- ... ny*ktaQ, ``io credo che non solo un de normalmente l'acc. e giaÁ gli antichi
lutamente diversa da quella che poi sa- privato cittadino (i$ div*thn tina), ma il intendevano che fosse sottinteso un
raÁ esposta, per bocca dello stesso Socra- Gran Re potrebbe trovare (a/n ey<rei& n) acc. come do*mon, come nel lt. ventum
te, nel Fedone, dove l'immortalitaÁ del- ben poche (ey$ariumh*toyQ) queste notti erat ad Vestae, sott. templum.
l'anima eÁ una certezza luminosa. ± kai+ in relazione agli altri giorni e notti'':
ei> te, ``e se'': introduce un periodo ipo- oi#mai, annunciato dapprima come inci- 41.a. a$pallagei+ Q ... dikasta*Q, ``allon-
tetico misto, la cui apodosi eÁ uayma*sion so, ritorna con ben altro peso come tanandosi (a$pallagei* Q) da questi qui
ke*rdoQ a/n ei> h o< ua*natoQ, ed eÁ ripresa in proposizione principale, a reggere l'in- che pretendono (fasko*ntvn) essere
40e da ei$ oy#n ... ke*rdoQ e> gvge le*gv. finito a/n ey<rei& n. giudici, troveraÁ quelli che sono davve-

SCHEDA DI LESSICO "Il lessico della


580 morte, p. 585
Platone
nonto e$ n t{& e< aytv&n bi* {, a#ra fay*lh a/n ei> h h< a$podhmi* a; h/ ay# $ Orfei& syggene* suai kai+
Moysai* { kai+ < Hsio*d{ kai+ < Omh*r{ e$ pi+ po*s{ a>n tiQ de*jait\ a/n y<mv&n; e$ gv+ me+n ga+r
polla*kiQ e$ ue*lv teuna*nai ei$ tay&t\ e> stin a$lhuh&. e$ pei+ 41.b. e> moige kai+ ay$t{& uaymasth+ a/n
ei> h h< diatribh+ ay$to*ui, o<po*te e$ nty*xoimi Palamh*dei kai+ Ai> anti t{& Telamv&noQ kai+ ei> tiQ

Apologia di Socrate
a>lloQ tv&n palaiv&n dia+ kri* sin a>dikon te*unhken, a$ntiparaba*llonti ta+ e$ maytoy& pa*uh
pro+Q ta+ e$ kei* nvn ± v<Q e$ gv+ oi#mai, oy$k a/n a$hde+ Q ei> h ± kai+ dh+ to+ me* giston, toy+Q e$ kei&
e$ jeta*zonta kai+ e$ reynv&nta v%sper toy+Q e$ ntay&ua dia*gein, ti* Q ay$tv&n sofo*Q e$ stin kai+
ti* Q oi> etai me* n, e>stin d\ oy>. e$ pi+ po*s{ d\ a>n tiQ, v# a>ndreQ dikastai* , de* jaito e$ jeta*sai
to+n e$ pi+ Troi* an a$gago*nta th+n pollh+n stratia+n 41.c. h/ $ Odysse*a h/ Si* syfon h/
a>lloyQ myri* oyQ a>n tiQ ei> poi kai+ a>ndraQ kai+ gynai& kaQ, oi}Q e$ kei& diale* gesuai kai+

testi
synei& nai kai+ e$ jeta*zein a$mh*xanon a/n ei> h ey$daimoni* aQ; pa*ntvQ oy$ dh*poy toy*toy ge
e% neka oi< e$ kei& a$poktei* noysi " ta* te ga+r a>lla ey$daimone* steroi* ei$ sin oi< e$ kei& tv&n

ro giudici'': in quest'ultima parte del- racconti sono veri'': e$ ue* lv esprime la Socrate sarebbe felice di andare nell'al
l'Apologia inizia il tema che saraÁ comu- disponibilitaÁ ad adeguarsi alla volontaÁ di laÁ a continuare la stessa opera che
ne alla prima riflessione di Platone e altrui o ad una situazione. compiva in Atene, di sollecitare ognu-
degli altri socratici, quello del Giusto no a conoscere se stesso, secondo il
condannato: esso eÁ qui marcato dal 41.b. e>moige kai+ ay$t{&, ``per me in comando di Apollo. ± e$pi+ po*s{ a>n tiQ
poliptoto dikastai* ... dikastv&n ... dika- particolare''. ± o<po*te ... te*unhken, ... de*jaito: ritorna emblematicamente
sta*Q ... dika*zein e dalla serie dei mitici ``quando mi imbattessi in Palamede o la frase, per far riflettere i destinatari.
giudici giusti dell'al di laÁ, in opposizio- in Aiace figlio di Telamone o in quanti _
e$jeta*sai ... stratia*n, ``di interrogare
ne a quelli ingiusti che hanno condan- altri (ei> tiQ a>lloQ) tra gli antichi sono colui che condusse a Troia il grande
nato a morte Socrate. ± oi% per kai+ ... morti per un giudizio ingiusto''; ei> tiQ esercito'': Agamennone, che giaÁ nei
Tripto*lemoQ: ``coloro che si dice am- a>lloQ: questa locuzione si presenta co- poemi daÁ prova di presunzione e arro-
ministrino la giustizia, Minosse, Rada- me una protasi di periodo ipotetico, ma ganza anziche di sofi* a.
manto, Eaco e Trittolemo''. Rada- ha la funzione di una proposizione re-
manto e Minosse erano figli di Zeus ed lativa: ``se qualcun altro morõÁ'' 4 ``tutti 41.c. h/ $ Odysse*a h/ Si* syfon: eroi del-
Europa: il primo fu re di Creta e stabilõÁ gli altri che morirono''. ± Palamh*dei, l'astuzia e dell'inganno; queste, che era-
le leggi che furono imitate da molte ``Palamede''. Odisseo, per non an- no virtuÁ per l'etica arcaica, ripugnavano
cittaÁ greche; gli successe il fratello mi- dare a Troia, fingeva di essere pazzo, alla moralitaÁ di Socrate come a quella di
nore Minosse; Eaco, figlio di Zeus e ma Palamede scoprõÁ il suo piano e lo Platone. ± oi} Q e$kei& ... ey$daimoni* aQ, ``con
della ninfa Egina, fu re dell'isola cui costrinse a partecipare alla spedizione; i quali conversare laÁ e stare con loro ed
diede il nome di sua moglie, e padre Odisseo si vendicoÁ su di lui facendo interrogarli sarebbe il colmo della feli-
di Peleo e Telamone; a questi che la nascondere nella tenda di Palamede citaÁ''; a$mh*xanon ... ey$daimoni* aQ, ``l'im-
tradizione considerava i giudici dell'A- dell'oro e una falsa lettera di Priamo: possibilitaÁ della felicitaÁ'', cioeÁ una felici-
de, Platone aggiunge il re attico Tritto- cosõÁ Palamede fu accusato di tradimen- taÁ impossibile ad esprimersi: a$mh*xanoQ eÁ
lemo, che aiutoÁ Demetra nella ricerca to e lapidato. Questo argomento era cioÁ per cui non esistono mhxanai* , ``arti-
di Persefone e ottenne da lei il dono del svolto in varie tragedie di Eschilo, So- fici'', ed eÁ quindi impossibile. ± pa*ntvQ
grano: era associato alle due dee nei focle ed Euripide¨. ± Ai> anti, ``Aiace''. ... a$poktei* noysi, ``in ogni caso, per que-
misteri di Eleusi¨. ± a>ra fay*lh ... Aiace invece, dopo la morte di sto motivo (toy*toy e% neka), quelli di laÁ
a$podhmi* a, ``sarebbe questo un muta- Achille, considerandosi il piuÁ forte dei non mandano a morte''; toy*toy e% neka:
mento di sede spregevole?'': a>ra intro- Greci dopo quello, pretendeva che a lui per il fatto di discutere e di confutare
duce una interr. diretta retorica che fossero attribuite la armi del morto: quelli che credono di esser saggi senza
suggerisce al destinatario una risposta Odisseo riuscõÁ con l'astuzia a farle asse- esserlo; quindi nel regno dei morti So-
negativa; fay*lh, ``da poco'': certo non gnare a seÂ, e Aiace, per il dolore del crate non avrebbe corso rischio di esser
sarebbe stata da poco la possibilitaÁ di torto subito, impazzõÁ e si uccise: la vi- condannato a morte. Egli eÁ giunto a una
ottenere una nuova vita presso i semi- cenda era rappresentata in una trilogia tale serena luciditaÁ che si permette di
dei che si distinsero in vita per la loro perduta di Eschilo e nell'Aiace di Sofo- ironizzare perfino sulla propria morte.
giustizia. ± $ Orfei& ... Moysai* {, ``stare cle, che conserviamo¨. ± a$ntipara- ± ta* te ga+r a>lla ... kai+ , ``sia nel resto ...
insieme a Orfeo e a Museo'': gli espo- ba*llonti, ``confrontando'': part. con- sia anche''. ± ei> per ge ... a$lhuh&, ``se eÁ
nenti mitici della letteratura religiosa giunto con e> moige. ± kai+ dh+ ... dia*gein, vero cioÁ che si racconta'': ritorna l'ap-
della tradizione orfica, accostati qui ``e poi soprattutto, trascorrere il tempo parente riserva (ei> per ge) che riafferma
ai fondatori della mitologia classica, (dia*gein) esaminando ed interrogando in modo distaccato la certezza morale
Omero ed Esiodo. ± e$pi+ po*s{ ... y<mv&n, (e$ jeta*zonta kai+ e$ reynv&nta in acc. per- di Socrate. ± a$lla+ kai+ ... ua*naton, ``ma
``per che prezzo non lo accetterebbe che concordano con il sogg. sottinteso anche voi, cittadini giudici, dovete es-
uno di voi'', cioeÁ ``quanto uno di voi dell'infinitiva) quelli di laÁ (toy+Q e$ kei& ) sere fiduciosi (ey$e* lpidaQ) riguardo la
sarebbe disposto a pagare per que- come quelli di qua (toy+Q e$ ntay&ua), chi morte'': ha inizio cosõÁ l'ultimo capitolo,
sto?'': oggetto di de* jait(o) eÁ l'inf. syg- di loro eÁ sapiente e chi crede di esserlo in tono di perorazione; quanto alla pro-
gene* suai, ``stare insieme a''. ± e$gv+ me+n ma non lo eÁ'': l'inf. dia*gein dipende cedura giudiziaria non dovrebbe esser-
... a$lhuh&, ``io infatti sono disposto sintatticamente da e$ pi+ po*s{ a>n tiQ de*- ci luogo per una perorazione, giaccheÂ
(e$ ue* lv) a morire molte volte se questi jait(o) di 41 a 7, come syggene* suai: la sentenza di morte eÁ irrevocabile; ma

581
e$ nua*de, kai+ h>dh to+n loipo+n xro*non a$ua*natoi* ei$ sin, ei> per ge ta+ lego*mena a$lhuh&.
$Alla+ kai+ y<ma&Q xrh*, v# a>ndreQ dikastai* , ey$e* lpidaQ ei#nai pro+Q to+n ua*naton, kai+ e% n ti
toy&to dianoei& suai a$lhue*Q, 41.d. o%ti oy$k e> stin a$ndri+ a$gau{& kako+n oy$de+n oy>te zv&nti
oy>te teleyth*santi, oy$de+ a$melei& tai y<po+ uev&n ta+ toy*toy pra*gmata " oy$de+ ta+ e$ ma+ ny&n a$po+
toy& ay$toma*toy ge*gonen, a$lla* moi dh&lo*n e$ sti toy&to, o%ti h>dh teuna*nai kai+ a$phlla*xuai
pragma*tvn be*ltion h#n moi. dia+ toy&to kai+ e$ me+ oy$damoy& a$pe*trecen to+ shmei& on, kai+
e> gvge toi& Q katachfisame* noiQ moy kai+ toi& Q kathgo*roiQ oy$ pa*ny xalepai* nv. kai* toi oy$
tay*t| t|& dianoi* @ katechfi* zonto* moy kai+ kathgo*royn, a$ll\ oi$ o*menoi bla*ptein " 41.e.
toy&to ay$toi& Q a>jion me*mfesuai. toso*nde me*ntoi ay$tv&n de*omai " toy+Q y<ei& Q moy, e$ peida+n
h<bh*svsi, timvrh*sasue, v# a>ndreQ, tay$ta+ tay&ta lypoy&nteQ a%per e$ gv+ y<ma&Q e$ ly*poyn,
e$ a+n y<mi& n dokv&sin h/ xrhma*tvn h/ a>lloy toy pro*teron e$ pimelei& suai h/ a$reth&Q, kai+ e$ a+n
dokv&si* ti ei#nai mhde+n o>nteQ, o$neidi* zete ay$toi& Q v%sper e$ gv+ y<mi& n, o%ti oy$k e$ pimeloy&ntai
v}n dei& , kai+ oi> ontai* ti ei#nai o>nteQ oy$deno+Q a>jioi. kai+ e$a+n tay&ta poih&te, di* kaia peponuv+Q
e$ gv+ e> somai y<f\ y<mv&n ay$to*Q 42.a. te kai+ oi< y<ei& Q. a$lla+ ga+r h>dh v%ra a$pie* nai, e$ moi+ me+n
a$pouanoyme* n{, y<mi& n de+ bivsome* noiQ " o<po*teroi de+ h<mv&n e> rxontai e$ pi+ a>meinon pra&gma,
a>dhlon panti+ plh+n h/ t{& ue{&.

Socrate perora la causa delle sue idee, e conferma che per lui eÁ stato meglio afflitto; nella traduzione la carica se-
vuole che, quale che sia la sorte delle esser condannato dal tribunale. ± e>gv- mantica di lype*v viene trasferita all'og-
anime dopo la morte, i giudici che han- ge ... xalepai* nv, ``e io, per conto mio getto, che in greco eÁ reso genericamente
no avuto fiducia in lui abbiano chiara (e> gvge) non me la prendo (xalepai* nv) con il neutro. ± e$a+n y<mi& n ... a$reth&Q, ``nel
coscienza che l'uomo non deve esitare a con coloro che hanno votato per la mia caso che vi sembri (e$ a+n ... dokv&sin) che si
seguire la voce del dio, che parla nella condanna (toi& Q katachfisame* noiQ moy) diano pensiero o (h>) del denaro o (h>) di
sua coscienza. ne con gli accusatori'': i verbi giudiziari qualche altra cosa prima che (h>) della
composti con kata- si costruiscono con virtuÁ'': e$ a+n ... dokv&sin eÁ una protasi di
41.d. o%ti ... teleyth*santi, ``che per il gen., retto da kata- (4 ``contro''), periodo ipotetico dell'eventualitaÁ, la cui
l'uomo virtuoso non c'eÁ alcun male, della persona accusata o condannata. protasi eÁ l'imp. timvrh*sasue; i primi
ne da vivo ne da morto'': la dichiarati- ± kai* toi, ``eppure'': Socrate si ferma un due h> sono disgiuntivi (lt. aut), mentre
va ha funzione epesegetica rispetto a e% n attimo a riflettere che se anche gli ac- il terzo introduce il secondo termine di
ti toy&to, mentre zv&nti e teleyth*santi cusatori e i giudici a lui ostili non gli paragone (lt. quam); a>lloy toy: toy eÁ
sono predicativi di a$ndri+ a$gau{&. ± oy$de+ hanno fatto alcun male, non era questa pron. indefinito. ± oi> ontai ... a>jioi, ``e
... ge*gonen, ``ne le mie vicende (ta+ e$ ma*) la loro intenzione. ± oy$ tay*t| t|& dia- credono di esser qualcosa mentre non
sono avvenute a caso (a$po+ toy& ay$toma*- noi* @, ``non con questa intenzione''. meritano nulla'': oy$deno*Q eÁ gen. di stima.
toy)''. ± teuna*nai kai+ a$phlla*xuai ± di* kaia ... e>somai, ``avroÁ ricevuto cioÁ
pragma*tvn, ``esser morto ed essermi 41.e. toy&to ... me*mfesuai, ``di questo eÁ che eÁ giusto'': peponuv+Q e> somai eÁ futuro
liberato dai fastidi''; l'idea eÁ rappresen- giusto rimproverarli''. ± toso*nde .... de*o- perfetto dal tema di pa*sxv.
tata da due infiniti perfetti (da un|*skv mai, lett. ``di tanto io li prego'': de*omai,
e a$palla*ssv) nella prospettiva di esser con il gen. della persona, vale ``pregare'' 42.a. e$moi+ ... bivsome*noiQ, ``per me a
compiuta: solo allora si realizzeraÁ cioÁ (oltre che, talvolta, ``aver bisogno di''), morire, per voi a vivere'': i due part.
che eÁ meglio per Socrate. ± e$me+ ... to+ mentre toso*nde anticipa l'imperativo futuri hanno valore finale. ± o<po*teroi
shmei& on, ``il segno non mi distolse per che segue, timvrh*sasue. ± tay$ta* ... e$ly*- ... h<mv&n, ``chi tra me e voi'': o<po*teroi
nulla'': il segno misterioso (to+ shmei& on) poyn, ``infliggendo loro gli stessi fastidi esprime due gruppi contrapposti, anche
che talvolta lo distoglieva dal compiere che io infliggevo a voi'': lype*v, ``afflig- se il primo di essi eÁ costituito da una sola
un'azione era quello che Socrate chia- gere uno'', qui ripetuto per poliptoto, eÁ persona; o<po*teroi e> rxontai, prop. in-
mava il suo deÁmone; Socrate interpreta costruito con l'acc. della persona e l'acc. terr. indiretta, eÁ soggettiva rispetto alla
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

ora la mancanza di quel segno come la di relazione della cosa con cui uno viene sovraordinata a>dhlon, sott. e$ sti* .

traduzione d'autore
40.c. Consideriamo anche da questo lato il fatto che c'eÁ molta speranza che il morire
sia un bene. In effetti, una di queste due cose eÁ il morire: o eÁ come un non essere nulla
e chi eÁ morto non ha piuÁ alcuna sensazione di nulla; oppure, stando ad alcune cose
che si tramandano, eÁ un mutamento e una migrazione dell'anima da questo luogo che
eÁ quaggiuÁ ad un altro luogo.
Ora, se la morte eÁ il non aver piuÁ alcuna sensazione, 40.d. ma eÁ come un sonno che si ha
quando nel dormire non si vede piuÁ nulla neppure in sogno, allora la morte sarebbe un

582
Platone
guadagno meraviglioso. Infatti, io ritengo che se uno, dopo aver scelto questa notte in cui
avesse dormito cosõÁ bene da non vedere nemmeno un sogno, e, dopo aver messo a
confronto con questa le altre notti e gli altri giorni della sua vita, dovesse fare un esame
e dirci quanti giorni e quante notti abbia vissuto in modo piuÁ felice e piuÁ piacevole di quella

Apologia di Socrate
notte durante tutta la sua vita; ebbene, io credo che costui, anche se fosse non solo un
qualche privato cittadino, ma il Gran Re, troverebbe lui pure che questi giorni e queste
notti sono pochi da contare rispetto agli altri giorni e alle altre notti. 40.e. Se, dunque, la
morte eÁ qualcosa di tal genere, io dico che eÁ un guadagno. Infatti, tutto quanto il tempo
della morte non sembra essere altro che un'unica notte. Invece, se la morte eÁ come un
partire di qui per andare in un altro luogo, e sono vere le cose che si raccontano, ossia che in
quel luogo ci sono tutti i morti, quale bene, o giudici, ci potrebbe essere piuÁ grande di
questo?

testi
Infatti, se uno, giunto all'Ade, 41.a. liberatosi di quelli che qui da noi si dicono
giudici, ne troveraÁ di veri, quelli che si dice che laÁ pronunciano sentenza: Minosse,
Radamante, Eaco, Trittolemo e quanti altri dei semidei sono stati giusti nella loro
vita; ebbene, in tal caso, questo passare nell'aldilaÁ sarebbe forse una cosa da poco?
E poi, quanto non sarebbe disposto a pagare ciascuno di voi, per stare insieme con
Orfeo e con Museo, con Omero e con Esiodo? Per quello che mi riguarda, sono
disposto a morire molte volte, se questo eÁ vero. 41.b. Infatti, per me, sarebbe straor-
dinario trascorrere il mio tempo, allorche mi incontrassi con Palamede, con Aiace
figlio di Telamonio e con qualche altro degli antichi che sono morti a causa di un
ingiusto giudizio, mettendo a confronto i miei casi con i loro!
E io credo che questo non sarebbe davvero spiacevole.
Ma la cosa per me piuÁ bella sarebbe sottoporre ad esame quelli che stanno di laÁ,
interrogandoli come facevo con questi che stanno qui, per vedere chi eÁ sapiente e chi
ritiene di essere tale, ma non lo eÁ.
Quanto sarebbe disposto a pagare uno di voi, o giudici, per esaminare chi ha
portato a Troia 41.c. il grande esercito, oppure Odisseo o Sisifo e altre innumerevoli
persone che si possono menzionare, sia uomini che donne?
E il discutere e lo stare laÁ insieme con loro e interrogarli, non sarebbe davvero il
colmo della felicitaÁ? E certamente, per questo, quelli di laÁ non condannano nessuno a
morte. Infatti, quelli di laÁ, oltre ad essere piuÁ felici di quelli di qua, sono altresõÁ per
tutto il tempo immortali, se sono vere le cose che si dicono.
Ebbene, anche voi, o giudici, bisogna che abbiate buone speranze davanti alla
morte, e dovete pensare che una cosa eÁ vera in modo particolare, 41.d. che ad un
uomo buono non puoÁ capitare nessun male, ne in vita ne in morte. Le cose che lo
riguardano non vengono trascurate dagli deÁi.
E anche le cose che ora mi riguardano non sono successe per caso; ma per me eÁ
evidente questo, che ormai morire e liberarmi degli affanni era meglio per me.
Per questo motivo il segno divino non mi ha mai deviato dalla via seguita.
PercioÁ io non ho un grande rancore contro coloro che hanno votato per la mia
condanna, ne contro i miei accusatori, anche se mi hanno condannato e mi hanno
accusato non certo con tale proposito, bensõÁ nella convinzione di farmi del male.
41.e. E in cioÁ meritano biasimo.
PeroÁ io vi prego proprio di questo. Quando i miei figli saranno diventati adulti, puniteli,
o cittadini, procurando a loro quegli stessi dolori che io ho procurato a voi, se vi sem-
breranno prendersi cura delle ricchezze o di qualche altra cosa prima che della virtuÁ.
E se si daranno arie di valere qualche cosa, mentre non valgono nulla, rimproverateli
cosõÁ come io ho rimproverato voi, perche non si danno cura di cioÁ di cui dovrebbero
darsi cura, e perche credono di valere qualche cosa, mentre in realtaÁ non valgono niente.
42.a. Se farete questo, avroÁ ricevuto da voi quello che eÁ giusto: io e i miei figli.
Ma eÁ ormai venuta l'ora di andare: io a morire, e voi, invece, a vivere.
Ma chi di noi vada verso cioÁ che eÁ meglio, eÁ oscuro a tutti, tranne che al dio.
(Trad. G. Reale)

583
GUIDA ALL'ANALISI
LINGUA E LESSICO
1. Nel testo ricorrono alcuni termini legati alla radice uan(e)-. Dopo aver letto la Scheda di lessico (p. 585), elencali
ed evidenziane la differenza dal punto di vista del significato.
TERMINE LEGATO ALLA RADICE uan(e)- SIGNIFICATO

....................................................................................... .......................................................................................

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....................................................................................... .......................................................................................

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TEMI E CONFRONTI
2. In 40d-e alle due opzioni concernenti la morte vengono associate due immagini. Quali?
" ................................................................................................................................................................................
" ................................................................................................................................................................................

3. Trova, nel testo greco, le espressioni che sottolineano la differenza fra il credere di essere e l'essere. Trascrivile
poi nello schema seguente:
CREDERE DI ESSERE ESSERE

....................................................................................... .......................................................................................

....................................................................................... .......................................................................................

....................................................................................... .......................................................................................

....................................................................................... .......................................................................................

4. Ripercorri, nella struttura e nello sviluppo del ragionamento, i paragrafi 40c-41c. Completa la tabella:

RIGUARDO AL teuna*nai, VENGONO h/ mhde+ n ei#nai mhde+ ai> suhsin mhdemi* an mhdeno+Q e> xein to+n teunev&ta
POSTE DUE ALTERNATIVE
h/ .....................................................................................................................

PRIMA POSSIBILITAÁ ei> te dh+ mhdemi* a ai> suhsi* Q e$ stin a$ll\ oi}on y%pnoQ, e$peida*n tiQ kauey*dvn
mhd\ o>nar mhde+ n o<r@&, uayma*sion ke*rdoQ a/n ei> h o< ua*natoQ

SECONDA POSSIBILITAÁ ..........................................................................................................................


..........................................................................................................................

LE CATEGORIE DI PERSONAGGI
DELL'OLTRETOMBA:

a) I VERI GIUDICI Mi* nvQ te kai+ < Rada*manuyQ kai+ Ai$ ako+Q kai+ Tripto*lemoQ
b) .............................................. ..........................................................................................................................
c) .............................................. ..........................................................................................................................
d) ............................................. ..........................................................................................................................
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

5. L'ultimo pensiero di Socrate eÁ per i figli: esprimendo una sua preoccupazione nei loro confronti, ritorna su un
motivo ricorrente del suo pensiero. Sai dire quale?
.....................................................................................................................................................................................

584
Testi a confronto

Platone
Il dai* mvn socratico
Nelle opere indiscutibilmente platoniche, il demone, che si manifesta come un segno o una voce, viene
presentato sempre come elemento impediente. Esso, infatti, dissuade e non incita ad agire. Diversamente,

Apologia di Socrate
nei testi senofontei (su Senofonte quale fonte di Socrate vedi p. 38) il demone socratico ha anche una
funzione critica positiva. Nei seguenti passi eÁ il ``segno demonico'' ad impedire a Socrate, seduto in palestra,
di alzarsi per andarsene (Eutidemo 272e), a non permettergli di attraversare il fiume (Fedro 242b-c).
Per un'ispirazione del dio mi trovavo seduto laÁ dove mi hai visto, da solo, nello spogliatoio e avevo
giaÁ in mente di alzarmi per andarmene. Mentre mi stavo per alzare, si produsse in me il consueto
segno divino (to+ ei$ vuo+Q shmei& on to+ daimo*nion). Pertanto, tornai a sedermi; poco dopo, entrarono
questi due, Eutidemo e Dionisodoro e, insieme con loro, molti altri, che mi parvero loro discepoli.
(Trad. M. Luisa Gatti, Eutidemo 272e)

testi
Mentre mi accingevo ad attraversare il fiume, mio buon amico, mi si eÁ presentato quel solito segno
demonico (to+ ei$ vuo+Q shmei& on) che sempre mi trattiene da cioÁ che sto per fare, e mi eÁ sembrato di
sentire una voce proveniente da esso, che non mi lasica andar via prima di aver fatto espiazione,
perche mi sono macchiato di una colpa nei confronti della divinitaÁ. Sono sicuramente un indovino,
anche se non molto bravo, un po' come quelli che non se la cavano troppo bene con le lettere
dell'alfabeto, ma solo per quel tanto che basta per me stesso.
(Trad. R.Velardi, Fedro 242b-c).

CONFRONTI
Á fra i due? Fai una sintesi delle tue
" Socrate nell'Apologia parla di shmei& on (41d) e di dai* mvn; che rapporto c'e

riflessioni sul significato di shmei& on e dai* mvn nel pensiero socratico tenendo conto anche dei due brani qui
proposti.

Scheda di essico l
Il lessico della morte Ecuba sul figlio appena ucciso da Achille, ti* ny bei* o-
mai ai$ na+ pauoy&sa /soy& a$poteunhv&toQ, ``come potroÁ
ora vivere dopo questa sciagura, ora che tu te ne sei
unh*skv ua*natoQ andato morendo?''. Analogo eÁ il senso del piuÁ raro
kataunh*skv a$ua*natoQ e$ kunh*skv, detto ad esempio di Tespesio di Soli che
a$pounh*skv teleyth* ``cadendo dall'alto sul collo, uscõÁ di vita senza che si
e$ kunh*skv teleyta*v producesse una ferita, ma in seguito al solo colpo'',
katenexuei+ Q ga+r e> j y%coyQ tino+Q ei$ Q tra*xhlon, oy$ geno-
me* noy tray*matoQ, a$lla+ plhgh&Q mo*non, e$ je* uane (Plutar-
La distinzione tra unh*skv, kataunh*skv e a$po- co, I ritardi della vendetta divina). Unh*skv si forma da
unh*skv eÁ quella che intercorre tra espressioni deno- una radice uan(e)-, con il grado zero alla prima sil-
tative e connotative. L'idea della morte di per se non laba: da essa derivano anche ua*natoQ, ``morte'', e
ammette sfumature, ma il modo in cui gli uomini l'aggettivo a$-ua*natoQ ``immortale''. Il greco conosce
rappresentano la morte ne ammette diverse. anche una forma composta con il suffisso -i-sko- da
Unh*skv dunque indica il morire in se (cf. Platone, cui risulta un|*skv, con lo iota sottoscritto.
Apologia 28, 40, 41), mentre kataunh*skv vi aggiun- Le espressioni teleyth*, ``fine'', teleyta*v, ``finire''
ge l'idea di uno che cade a terra colpito da un'asta o (cf. Platone, Apologia 21, 28, 41) non sono eufemismi,
da una freccia e a$pounh*skv quella di uno che era ma ricorrono spesso in connessione con l'idea di una
qui con noi e poi se ne va via (a$po-: cf. Platone, conclusione onorevole della vita. CosõÁ eÁ nel discorso
Apologia 28, 41, 42). Il participio di kataunh*skv, funebre per i caduti a Cheronea, attribuito a
proprio perche indica un modo particolare di mo- Demostene: kai+ teleyth&sai kalv&Q ma&llon e$ boylh*uh-
rire, puoÁ determinare un nome che significa sem- san h/ zv&nteQ th+n < Ella*da i$ dei& n a$tyxoy&san, ``e preferi-
plicemente ``morto''. rono morire onorevolmente piuttosto che, sopravvi-
Per a$pounh*skv ricordiamo il lamento disperato di vendo, vedere la Grecia nella sventura''.

585
Critone

5 Il discorso delle Leggi


Il Critone di Platone si colloca, per la cronologia degli eventi rappresentati, tra l'Apologia e il Fedone, tra il dialogo
(50a-54e)

che rievoca il discorso difensivo di Socrate davanti al tribunale popolare che lo condannoÁ a morte e quello che
rappresenta l'ultima giornata di vita del filosofo. Nel Fedone Socrate conversa serenamente con i discepoli,
spiegando loro le ragioni che lo portano a credere che l'anima umana sia immortale e che non gli sarebbe
avvenuto nulla di grave con l'esecuzione della condanna. In questo dialogo poi, agli amici che, comunque si
offrono di aiutarlo per evadere, Socrate risponde pacatamente che, se avesse voluto salvarsi, avrebbe potuto
chiedere l'esilio, come pena alternativa: non lo ha fatto perche aveva chiara coscienza di essere innocente e non
poteva pensare di proporre per se alcuna pena. Ma soprattutto Socrate spiega a Critone che la sua vita eÁ nata
sotto il segno delle leggi della cittaÁ: secondo quelle leggi suo padre ha sposato sua madre, e i genitori lo hanno
allevato; in qualche modo egli eÁ figlio delle leggi di Atene prima che dei suoi stessi genitori. D'altronde, se durante
la sua vita non fosse stato soddisfatto di quelle leggi, avrebbe potuto in qualsiasi momento andarsene da Atene in
un'altra cittaÁ e con altre leggi. L'errore del tribunale eÁ stato commesso da singoli uomini e non dalla cittaÁ non c'eÁ
quindi ragione di vendicarsi del torto subito offendendo le leggi e la cittaÁ. Critone deve riconoscere di non aver
nulla da replicare a queste ragioni, e Socrate conclude l'incontro invitando se stesso e l'amico ad agire con-
formemente alla volontaÁ del dio.

50.a. {SV.} \All\ v}de sko*pei. ei$ me* lloysin h<mi& n e$ nue*nde ei> te a$podidra*skein, ei> u\
o%pvQ dei& o$noma*sai toy&to, e$ luo*nteQ oi< no*moi kai+ to+ koino+n th&Q po*levQ e$ pista*nteQ
e> rointo " ``Ei$ pe* moi, v# Sv*krateQ, ti* e$ n n{& e> xeiQ poiei& n; a>llo ti h/ toy*t{ 50.b. t{&
e> rg{ {} e$ pixeirei& Q diano|& toy*Q te no*moyQ h<ma&Q a$pole*sai kai+ sy*mpasan th+n po*lin
to+ so+n me*roQ; h/ dokei& soi oi}o*n te e> ti e$ kei* nhn th+n po*lin ei#nai kai+ mh+ a$natetra*fuai,
e$ n |} a/n ai< geno*menai di* kai mhde+ n i$ sxy*vsin a$lla+ y<po+ i$ divtv&n a>kyroi* te gi* gnvntai
kai+ diafuei* rvntai;'' ti* e$ roy&men, v# Kri* tvn, pro+Q tay&ta kai+ a>lla toiay&ta; polla+
ga+r a>n tiQ e> xoi, a>llvQ te kai+ r<h*tvr, ei$pei& n y<pe+ r toy*toy toy& no*moy a$pollyme*noy
o=Q ta+Q di* kaQ ta+Q dikasuei* saQ prosta*ttei kyri* aQ ei#nai. 50.c. h/ e$ roy&men pro+Q ay$-
toy+Q o%ti `` $ Hdi* kei ga+r h<ma&Q h< po*liQ kai+ oy$k o$ruv&Q th+n di* khn e> krinen;'' tay&ta h/ ti*
e$ roy&men; {KR.} Tay&ta nh+ Di* a, v# Sv*krateQ. {SV.} Ti* oy#n a/n ei> pvsin oi< no*moi " `` #V

50.a. \All\ ... sko*pei, ``ma esamina la 50.b. to+ so+n me*roQ, ``da parte tua'', termini che qui ricorrono sono tecnici
questione anche da questo punto di vi- ``per quanto ti riguarda'': acc. avver- del linguaggio giuridico.
sta''. ± ei$ me*lloysin ... e>rointo, protasi biale di relazione. ± oi} o*n te: sott. ei#nai,
di periodo ipotetico della possibilitaÁ, ``che sia possibile''. ± kai+ mh+ a$natetra*- 50.c. h/ e$roy&men ...: qui Socrate pro-
``se, mentre stiamo sul punto (me* lloysi, fuai, ``e non sia sovvertita'': il verbo spetta, per confutarlo, il punto di vista
part. dat. concordato con h<mi& n) di scap- a$natre* pv propriamente indica il capo- implicito nella proposta di Critone.
pare da qui, o come bisogna chiamare volgimento di una nave nel mare in _
tay&ta h/ ti* e$roy&men: ``questo o che
questo, venendoci incontro le leggi e la tempesta. ± e$n |} a/n ... i$ sxy*vsin: rela- altro diremo?'': Socrate propone la sua
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

cittaÁ tutta (to+ koino+n th&Q po*levQ), met- tiva con valore eventuale, ``in cui le domanda in termini alternativi per ob-
tendosi davanti a noi (e$ pista*nteQ), ci sentenze pronunciate (ai< geno*menai di* - bligare il suo interlocutore a chiarire la
chiedessero''; l'apodosi che segue, del- kai) non abbiano efficacia (mhde+ n sua intenzione. ± Ti* oy#n ... oi< no*moi, ``E
l'obiettivitaÁ, eÁ ti* e$ roy&men, ``cosa rispon- i$ sxy*vsin)''. ± a>kyroi* te gi* gnvntai, che diremo (e$ roy&men, sottinteso) dun-
deremo?''. Da questo punto iniziano a ``vengano invalidate'': la climax viene que, se le leggi ci chiedessero'': il perio-
parlare le leggi: si ricordi che quando si coronata dalla conclusione kai+ dia- do ipotetico eÁ dell'eventualitaÁ. ± h#: ``for-
introduce a parlare un ente inanimato fuei* rvntai. ± a>llvQ te kai+ r<h*tvr, ``so- se non'', come il latino nonne, per intro-
si ha la cosiddetta ``prosopopea''. ± ti* e$n prattutto un uomo politico'': r<h*tvr, durre una interrogativa retorica che sol-
n{& ... poiei& n, ``cosa intendi fare?''. ± a>l- nella terminologia della polis, eÁ colui lecita una risposta positiva; per maggio-
lo ti h/ ... diano|&, ``(intendi fare) qual- che parla in assemblea. ± ta+Q di* kaQ ... re effetto espressivo la particella eÁ ripe-
cosa d'altro o ... pensi'', ``forse che non ei# nai, ``impone che le sentenze pronun- tuta due volte; kai+ tay&ta ... soi* , ``anche
pensi''. ± {} e$pixeirei& Q 4 o= e$ pixeirei& Q, ciate siano valide''; ta+Q di* kaQ ta+Q dika- questo era stato convenuto da noi e da
attrazione del relativo. suei* saQ eÁ figura etymologica? e tutti i te''; h<mi& n e soi* sono dativi di agente.

586
Platone
Sv*krateQ, h# kai+ tay&ta v<molo*ghto h<mi& n te kai+ soi* , h/ e$ mmenei& n tai& Q di* kaiQ ai}Q a/n h<
po*liQ dika*z|;'' ei$ oy#n ay$tv&n uayma*zoimen lego*ntvn, i> svQ a/n ei> poien o%ti `` # V
Sv*krateQ, mh+ uay*maze ta+ lego*mena a$ll\ a$pokri* noy, e$ peidh+ kai+ ei> vuaQ xrh&suai t{&
e$ rvta&n te kai+ a$pokri* nesuai. fe* re ga*r, ti* e$ gkalv&n 50.d. h<mi& n kai+ t|& po*lei e$ pi-

Critone
xeirei& Q h<ma&Q a$polly*nai; oy$ prv&ton me* n se e$ gennh*samen h<mei& Q, kai+ di\ h<mv&n e> labe
th+n mhte* ra soy o< path+r kai+ e$ fy*teyse*n se; fra*son oy#n, toy*toiQ h<mv&n, toi& Q no*moiQ

testi
toi& Q peri+ toy+Q ga*moyQ, me* mf| ti v<Q oy$ kalv&Q e> xoysin;'' ``Oy$ me* mfomai,'' fai* hn a>n.
`` $Alla+ toi& Q peri+ th+n toy& genome* noy trofh*n te kai+ paidei* an e$n |} kai+ sy+ e$ pai-
dey*uhQ; h/ oy$ kalv&Q prose*tatton h<mv&n oi< e$ pi+ toy*t{ tetagme* noi no*moi, pa-
ragge*llonteQ t{& patri+ t{& s{& se e$ n 50.e. moysik|& kai+ gymnastik|& paidey*ein;''
``Kalv&Q,'' fai* hn a>n. ``Ei#en. e$ peidh+ de+ e$ ge*noy te kai+ e$ jetra*fhQ kai+ e$ paidey*uhQ, e> xoiQ
a/n ei$ pei& n prv&ton me+ n v<Q oy$xi+ h<me* teroQ h#sua kai+ e> kgonoQ kai+ doy&loQ, ay$to*Q te kai+
oi< soi+ pro*gonoi; kai+ ei$ toy&u\ oy%tvQ e> xei, a#r\ e$j i> soy oi> ei ei#nai soi+ to+ di* kaion kai+
h<mi& n, kai+ a%tt\ a/n h<mei& Q se e$ pixeirv&men poiei& n, kai+ soi+ tay&ta a$ntipoiei& n oi> ei di* kaion
ei#nai; h/ pro+Q me+n a>ra soi to+n pate* ra oy$k e$ j i> soy h#n to+ di* kaion kai+ pro+Q de-
spo*thn, ei> soi v/n e$ ty*gxanen, v%ste a%per pa*sxoiQ tay&ta kai+ a$ntipoiei& n, oy>te kakv&Q
a$koy*onta 51.a. a$ntile* gein oy>te typto*menon a$ntity*ptein oy>te a>lla toiay&ta polla* "
pro+Q de+ th+n patri* da a>ra kai+ toy+Q no*moyQ e$ je*stai soi, v%ste, e$ a*n se e$ pixeirv&men
h<mei& Q a$polly*nai di* kaion h<goy*menoi ei#nai, kai+ sy+ de+ h<ma&Q toy+Q no*moyQ kai+ th+n
patri* da kau\ o%son dy*nasai e$ pixeirh*seiQ a$ntapolly*nai, kai+ fh*seiQ tay&ta poiv&n
di* kaia pra*ttein, o< t|& a$lhuei* @ th&Q a$reth&Q e$ pimelo*menoQ; h/ oy%tvQ ei# sofo+Q v%ste
le* lhue* n se o%ti mhtro*Q te kai+ patro+Q kai+ tv&n a>llvn progo*nvn a<pa*ntvn ti-
miv*tero*n e$ stin patri+ Q kai+ semno*teron kai+ a<giv*teron 51.b. kai+ e$ n mei* zoni moi* r@
kai+ para+ ueoi& Q kai+ par\ a$nurv*poiQ toi& Q noy&n e> xoysi, kai+ se* besuai dei& kai+ ma&llon
y<pei* kein kai+ uvpey*ein patri* da xalepai* noysan h/ pate* ra, kai+ h/ pei* uein h/ poiei& n a=
a/n keley*|, kai+ pa*sxein e$ a*n ti prosta*tt| pauei& n h<syxi* an a>gonta, e$ a*nte ty*ptesuai

_
e$mmenei& n tai& Q di* kaiQ ai} Q, lett. ``che gere, che non sono ben fatte'' e (qui e> xv ti preoccupi sempre della virtuÁ'': l'e-
saremmo stati fermi alle sentenze che ha valore intransitivo, ``stare''). ± a$lla+ spressione eÁ ironica, giacche se Socrate
la cittaÁ eventualmente pronunci'', quin- toi& Q ... sott. no*moiQ. decidesse di ricambiare male con male
di ``avremmo accettato le sentenze ...''; alla cittaÁ sarebbe in assoluta contraddi-
tai& Q di* kaiQ ai}Q eÁ attrazione del relativo. ± 50.e. ei# en, ``bene'': formula prosecuti- zione con cioÁ che ha sempre proclama-
ei$ ... uayma*zoimen ... a/n ei> poien: periodo va. ± prv&ton me*n: prosegue qui la serie to di essere. ± h/ oy%tvQ ... o%ti, ``oppure
ipotetico della possibilitaÁ; lego*ntvn eÁ delle argomentazioni che mostrano che sei tanto saggio che ti eÁ sfuggito (le* lh-
part. predicativo di ay$tv&n. ± e$peidh+ ... Socrate, uomo e cittadino, come giaÁ i ue* n se) il fatto che ...'': l'alternativa al-
a$pokri* nesuai, ``giacche sei solito (ei> - suoi antenati (ay$to*Q te kai+ oi< soi+ pro*go- l'esser disonesto sarebbe l'ignorare cioÁ
vuaQ) praticare il far domande e rispon- noi), dipende interamente per la sua di cui tutta la vita Socrate si occupato,
dere'': richiamo provocatorio al meto- stessa esistenza e per il suo status dalle la ricerca della sofi* a. ± timiv*teron ...
do di Socrate di procedere nell'indagine leggi che ordinano la cittaÁ e le sue isti- e>xoysi: la frase eÁ costruita in crescendo
attraverso un dibattito continuo per do- tuzioni. ± a#r\ e$j i> soy ... h<mi& n, ``credi tu (climax), e anche le determinazioni di-
mande e risposte. ± ti* e$gkalv&n ... a$pol- che la situazione di diritto sia alla pari vengono sempre piuÁ corpose secondo
ly*nai, lett. ``che cosa rimproverando ... per te e per noi''; quindi Socrate non lo stesso criterio; si noti la concordanza
ti accingi a distruggerci''. potraÁ nemmeno replicare a un torto dell'appellativo neutro (timiv*teron)
che gli fosse eventualmente fatto dalla con un sostantivo femminile (patri* Q) e
50.d. oy$: particella che introduce una cittaÁ. ± ei> soi v/n e$ty*gxanen, ``se ne aves- le locuzioni e$ n mei* zoni moi* r@, ``in mag-
interrogazione retorica, come , ``non eÁ si uno''. ± kakv&Q a$koy*onta a$ntile*gein, gior considerazione'' e toi& Q noy&n e> xoy-
forse vero che?''; h<mei& Q, enfatico, ``sia- ``replicare con male parole se offeso''. si, ``assennati''. ± se*besuai ... y<pei* kein
mo stati noi che'': le leggi che nella polis ... uvpey*ein, ``venerare ... inchinarsi ...
istituiscono il matrimonio sono la pri- 51.a-b. L'argomentazione prosegue rendere omaggio'': i tre verbi puntua-
ma causa che rendono possibile la na- mostrando che il cittadino non potraÁ lizzano l'atteggiamento deferente del
scita civile, oltre a quella biologica, de- mai ricambiare male per male alla cit- cittadino verso la patria. ± xalepai* noy-
gli individui. ± toy*toiQ ... me*mf| ti ... taÁ, perche non si trova in una posizione san, ``quando eÁ in collera'', part. con-
e>xoysin, ``a queste leggi tra noi relative giudica equivalente a essa. _ o< t|& a$lh- giunto. ± e$a*n ti prosta*tt| ... e$a*nte ei$ Q
alle nozze hai qualche critica da rivol- uei* @ ... e$pimelo*menoQ, ``tu che davvero po*lemon a>g|, ``sia che imponga di su-

587
e$ a*nte dei& suai, e$ a*nte ei$ Q po*lemon a>g| trvuhso*menon h/ a$pouanoy*menon, poihte* on
tay&ta, kai+ to+ di* kaion oy%tvQ e> xei, kai+ oy$xi+ y<peikte* on oy$de+ a$naxvrhte* on oy$de+
leipte*on th+n ta*jin, a$lla+ kai+ e$ n pole* m{ kai+ e$ n dikasthri* { kai+ pantaxoy& poihte* on
a= a/n keley*| h< 51.c. po*liQ kai+ h< patri* Q, h/ pei* uein ay$th+n |} to+ di* kaion pe* fyke "
bia*zesuai de+ oy$x o%sion oy>te mhte* ra oy>te pate*ra, poly+ de+ toy*tvn e> ti h}tton th+n
patri* da;'' ti* fh*somen pro+Q tay&ta, v# Kri* tvn; a$lhuh& le* gein toy+Q no*moyQ h/ oy>;
{KR.} > Emoige dokei& . {SV.} ``Sko*pei toi* nyn, v# Sv*krateQ,'' fai& en a/n i> svQ oi< no*moi,
``ei$ h<mei& Q tay&ta a$lhuh& le*gomen, o%ti oy$ di* kaia h<ma&Q e$ pixeirei& Q dra&n a= ny&n e$ pixei-
rei& Q. h<mei& Q ga*r se gennh*santeQ, e$ kure* canteQ, paidey*santeQ, metado*nteQ a<pa*ntvn
v}n oi}oi* t\ 51.d. h#men kalv&n soi+ kai+ toi& Q a>lloiQ pa&sin poli* taiQ, o%mvQ proago-
rey*omen t{& e$ joysi* an pepoihke*nai \Auhnai* vn t{& boylome*n{, e$ peida+n dokimasu|&
kai+ i> d| ta+ e$ n t|& po*lei pra*gmata kai+ h<ma&Q toy+Q no*moyQ, {} a/n mh+ a$re* skvmen h<mei& Q,
e$jei& nai labo*nta ta+ ay<toy& a$pie* nai o%poi a/n boy*lhtai. kai+ oy$dei+ Q h<mv&n tv&n no*mvn
e$ mpodv*n e$ stin oy$d\ a$pagorey*ei, e$ a*nte tiQ boy*lhtai y<mv&n ei$ Q a$poiki* an i$ e* nai, ei$ mh+
a$re*skoimen h<mei& Q te kai+ h< po*liQ, e$ a*nte metoikei& n a>llose* poi e$ luv*n, i$ e* nai e$ kei& se
o%poi 51.e. a/n boy*lhtai, e> xonta ta+ ay<toy&. o=Q d\ a/n y<mv&n paramei* n|, o<rv&n o=n
tro*pon h<mei& Q ta*Q te di* kaQ dika*zomen kai+ ta#lla th+n po*lin dioikoy&men, h>dh fame+ n
toy&ton v<mologhke* nai e> rg{ h<mi& n a= a/n h<mei& Q keley*vmen poih*sein tay&ta, kai+ to+n mh+
peiuo*menon trix|& famen a$dikei& n, o%ti te gennhtai& Q oy#sin h<mi& n oy$ pei* uetai, kai+ o%ti
trofey&si, kai+ o%ti o<mologh*saQ h<mi& n pei* sesuai oy>te pei* uetai oy>te pei* uei h<ma&Q, ei$ mh+
kalv&Q ti poioy&men, 52.a. protiue* ntvn h<mv&n kai+ oy$k a$gri* vQ e$ pitatto*ntvn poiei& n
a= a/n keley*vmen, a$lla+ e$ fie* ntvn dyoi& n ua*tera, h/ pei* uein h<ma&Q h/ poiei& n, toy*tvn

bire alcuncheÂ, standosene tranquillo patria, piuÁ sacra del padre e della ma- obblighi verso la cittaÁ. ± {} a/n mh+ ... h<mei& Q,
(h<syxi* an a>gonta), sia che (imponga) di dre. ± poly+ de+ toy*tvn e>ti h}tton (sott. ``al quale noi non siamo gradite'', relati-
ricevere percosse o di essere incarcera- bia*zesuai) th+n patri* da: toy*tvn eÁ se- va con il cong. eventuale. ± e$jei& nai ...
to, sia che ti conduca in guerra'': la condo termine di paragone. ± a$lhuh& boy*lhtai, ``che gli eÁ possibile andarsene,
serie delle protasi dell'eventualitaÁ insi- le*gein: sott. fh*somen. ± o%ti oy$ ... e$pi- una volta prese le proprie cose, dove
ste sulla necessitaÁ della sottomissione a xeirei& Q, ``che non sono giuste le azioni voglia'', e$ jei& nai eÁ infinito retto da proa-
qualsiasi comando che venga dalla pa- che ora ti accingi a fare nei nostri ri- gorey*omen. ± kai+ oy$dei+ Q ... a$pagorey*ei ...
tria, senza reagire; h<syxi* an a>gonta: guardi'', ma nel greco dra&n eÁ costruito metoikei& n, ``nessuna di noi leggi eÁ d'o-
part. congiunto concordato con il sogg. con due accusativi, della cosa (a=, di cui stacolo o impedisce che uno vada laÁ ...
inespresso di pa*sxein. ± trvuhso*menon di* kaia eÁ predicativo) e della persona, sia che uno di voi desideri andare in una
h/ a$pouanoy*menon, part. fut. con valore h<ma&Q; quindi letteralmente sarebbe colonia ... sia vivere da meteco ... ''.
finale, il primo passivo da titrv*skv, il ``che non ti accingi a far cose giuste a _
a>llose* poi e$luv*n ``recandosi da qual-
secondo da a$pounh*skv ``perche tu sia noi, quelle che (a=) ti accingi ora a fare''. che parte altrove'': meteco era uno stra-
ferito o muoia''± kai+ oy$xi+ y<peikte*on ... ± metado*nteQ ... toi& Q a>lloiQ, ``che ab- niero residente in una cittaÁ.
poihte*on a= a/n keley*| h< po*liQ, ``non biamo reso partecipi di tutti i beni che
bisogna cedere ne ritirarsi ne abbando- potevamo te e gli altri...'': la costruzio- 51.e. o%Q ... toy&ton, anticipazione del
nare il posto di combattimento, ma ... ne del verbo eÁ metadi* dvmi* tini* tinoQ, relativo; ``colui di voi che rimanga ...
bisogna fare ...'': altra serie di impera- ``rendere partecipe qualcuno di qual- diciamo che questo''. ± o=n tro*pon, ``in
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

tivi di azioni doverose per il cittadino, cosa'', con il gen. partitivo della cosa che modo'', acc. di relazione; ta*Q te
in negativo e in positivo. di cui si rende qualcuno partecipe, e il di* kaQ dika*zomen: figura etymologica?;
dativo di termine di quest'ultimo; inol- ta#lla, ``quanto al resto'', altro acc. di
51.c. h< po*liQ kai+ h< patri* Q, ``la cittaÁ tre l'antecedente del relativo (kalv&n) eÁ relazione. ± gennhtai& Q, come trofey&si,
che eÁ la tua patria'': coppia sinonimica stato attratto dentro la relativa. eÁ predicativo di oy#sin, part. congiunto
con valore di endiadi. ± |} to+ di* kaion concordato con h<mi& n, dat. retto da
pe*fyke, ``come eÁ per natura la giusti- 51.d. proagorey*omen, ``dichiariamo pei* uetai. ± pei* uei, ``cerca di convince-
zia'': il comportamento nei confronti pubblicamente''. ± t{& ... boylome*n{, re'', pres. di conato.
della patria non eÁ dettato dal no*moQ, ``a chi voglia''. ± e$peida+n dokimasu|&,
come sostenevano i sofisti, ma dalla fy*- ``dopo che sia stato iscritto nel registro 52.a. protiue*ntvn h<mv&n kai+ ... e$pitat-
siQ. ± bia*zesuai ... o%sion, ``non eÁ lecito dei cittadini'': la dokimasi* a era un esame to*ntvn poiei& n ... a$lla+ e$fie*ntvn, ``sebbe-
far violenza'', in quanto offende la giu- in cui uno doveva dimostrare sia la le- ne noi gli proponiamo ... e non gli ordi-
stizia divina, oy$x o%sion, trattandosi dei gittimitaÁ della sua nascita sia quella del niamo rudemente (a$gri* vQ), ma gli sotto-
legami piuÁ sacri, e ancora una volta la suo comportamento nei confronti degli poniamo'': gen. assoluti con valore con-

588
Platone
oy$de* tera poiei& . tay*taiQ dh* famen kai+ se* , v# Sv*krateQ, tai& Q ai$ ti* aiQ e$ ne* jesuai,
ei> per poih*seiQ a= e$ pinoei& Q, kai+ oy$x h%kista \Auhnai* vn se* , a$ll\ e$ n toi& Q ma*lista.''
ei$ oy#n e$ gv+ ei> poimi " ``Dia+ ti* dh*;'' i> svQ a>n moy dikai* vQ kaua*ptointo le* gonteQ o%ti e$ n
toi& Q ma*lista \Auhnai* vn e$ gv+ ay$toi& Q v<mologhkv+Q tygxa*nv tay*thn th+n o<mologi* an.

Critone
fai& en ga+r a/n o%ti 52.b. # V Sv*krateQ, mega*la h<mi& n toy*tvn tekmh*ria* e$ stin, o%ti soi
kai+ h<mei& Q h$re* skomen kai+ h< po*liQ " oy$ ga+r a>n pote tv&n a>llvn \Auhnai* vn

testi
a<pa*ntvn diafero*ntvQ e$ n ay$t|& e$ pedh*meiQ ei$ mh* soi diafero*ntvQ h>resken, kai+
oy>t\ e$ pi+ uevri* an pv*pot\ e$ k th&Q po*levQ e$ jh&lueQ, o%ti mh+ a%paj ei$ Q \Isumo*n, oy>te
a>llose oy$damo*se, ei$ mh* poi strateyso*menoQ, oy>te a>llhn a$podhmi* an e$ poih*sv
pv*pote v%sper oi< a>lloi a>nurvpoi, oy$d\ e$ piuymi* a se a>llhQ po*levQ oy$de+ a>llvn
no*mvn e> laben ei$ de* nai, a$lla+ h<mei& Q 52.c. soi i< kanoi+ h#men kai+ h< h<mete* ra po*liQ "
oy%tv sfo*dra h<ma&Q |<roy& kai+ v<molo*geiQ kau\ h<ma&Q politey*sesuai, ta* te a>lla
kai+ pai& daQ e$n ay$t|& e$poih*sv, v<Q a$reskoy*shQ soi th&Q po*levQ. e> ti toi* nyn e$n ay$t|&
t|& di* k| e$ jh&n soi fygh&Q timh*sasuai ei$ e$ boy*loy, kai+ o%per ny&n a$koy*shQ th&Q
po*levQ e$ pixeirei& Q, to*te e< koy*shQ poih&sai. sy+ de+ to*te me+ n e$ kallvpi* zoy v<Q oy$k
a$ganaktv&n ei$ de* oi teuna*nai se, a$lla+ |<roy&, v<Q e> fhsua, pro+ th&Q fygh&Q ua*naton "
ny&n de+ oy>t\ e$ kei* noyQ toy+Q lo*goyQ ai$ sxy*n|, oy>te h<mv&n tv&n no*mvn e$ ntre* p|,
e$ pixeirv&n diafuei& rai, pra*tteiQ 52.d. te a%per a/n doy&loQ o< faylo*tatoQ pra*-
jeien, a$podidra*skein e$ pixeirv&n para+ ta+Q synuh*kaQ te kai+ ta+Q o<mologi* aQ kau\
a=Q h<mi& n syne* uoy politey*esuai. prv&ton me+ n oy#n h<mi& n toy&t\ ay$to+ a$po*krinai, ei$
a$lhuh& le* gomen fa*skonte*Q se v<mologhke* nai politey*sesuai kau\ h<ma&Q e> rg{
a$ll\ oy$ lo*g{, h/ oy$k a$lhuh&.'' ti* fv&men pro+Q tay&ta, v# Kri* tvn; a>llo ti h/ o<mo-
logv&men; {KR.} \Ana*gkh, v# Sv*krateQ. {SV.} `` >Allo ti oy#n,'' a/n fai& en, ``h/ syn-
uh*kaQ ta+Q pro+Q 52.e. h<ma&Q ay$toy+Q kai+ o<mologi* aQ parabai* neiQ, oy$x y<po+
a$na*gkhQ o<mologh*saQ oy$de+ a$pathuei+ Q oy$de+ e$ n o$li* g{ xro*n{ a$nagkasuei+ Q
boyley*sasuai, a$ll\ e$ n e> tesin e< bdomh*konta, e$ n oi}Q e$ jh&n soi a$pie* nai, ei$ mh+
h$re* skomen h<mei& Q mhde+ di* kaiai e$ fai* nonto* soi ai< o<mologi* ai ei#nai. sy+ de+ oy>te
Lakedai* mona pro|roy& oy>te Krh*thn, a=Q dh+ e< ka*stote f|+Q ey$nomei& suai, oy>te
a>llhn oy$demi* an 53.a. tv&n < Ellhni* dvn po*levn oy$de+ tv&n barbarikv&n, a$lla+
e$ la*ttv e$ j ay$th&Q a$pedh*mhsaQ h/ oi< xvloi* te kai+ tyfloi+ kai+ oi< a>lloi a$na*phroi "

cessivo. ± tay*taiQ ... e$ne*jesuai, ``proprio a$reskoy*shQ soi th&Q po*levQ, ``mostran- e gli accordi''. ± kau\ a=Q ... politey*e-
in queste accuse diciamo che tu, Socra- do che la cittaÁ ti piaceva'': causale sog- suai, ``secondo i quali concordasti
te, ti troverai coinvolto''. ± o%ti e$n toi& Q ... gettiva con v<Q e il gen. assoluto. ± fygh&Q con noi (syne* uoy, aor. III di synti* uhmi)
o<mologi* an, ``che mi trovo ad aver con- timh*sasuai, ``proporre per te la pena di vivere da cittadino. ± a$po*krinai,
venuto questo accordo piuÁ di qualsiasi dell'esilio''; il verbo indica che si faceva ei$ ... fa*skonteQ, ``rispondi, se diciamo
altro Ateniese'' (lett. ``tra quelli degli una specie di valutazione comparativa la veritaÁ quando diciamo ...''; ei$ in-
Ateniesi che piuÁ [lo hanno convenuto]); tra la pena proposta dall'accusatore e troduce una interrrogativa indiretta,
l'argomento eÁ marcato dalla figura ety- quella proposta dall'accusato. ± kai+ fa*skonteQ eÁ part. congiunto con valo-
mologica v<mologhkv+Q ... th+n o<mologi* an. o%per ... poih&sai ``e (ti era possibile) fare re temporale. ± ti* fv&men, ``che do-
allora, essendo la cittaÁ disponibile, cioÁ vremmo dire?'', cong. dubitativo, co-
52.b. toy*tvn: prolettico della dichia- che ora tenti contro la volontaÁ della me o<mologv&men. ± a>llo ti oy#n ...
rativa o%ti h$re* skomen, ``che ti piaceva- cittaÁ''. _ e$kallvpi* zoy ... teuna*nai se, parabai* neiQ, ``tu fai altro, direbbero,
mo'', ``che eravamo approvati da te''. ``ti facevi bello, facendo capire che (v<Q se non violare i patti e gli accordi nei
_
tv&n a>llvn ... diafero*ntvQ, ``molto con il part.) non te la saresti presa se tu confronti di noi stessi'', lett. ``qualcosa
piuÁ che tutti gli altri Ateniesi''. ± e$pi+ avessi dovuto morire''. ± e$pixeirv&n d'altro (sott. `tu fai') se non violi ...''.
uevri* an, ``per assistere a una festa''. diafuei& rai, ``accingendoti ad annien-
_
o%ti mh+ a%paj ``se non una sola volta''. tarci''. 52.e. e$n oi} Q ... a$pie*nai ``nei quali ti
sarebbe stato possibile'': e$ jh&n eÁ poten-
52.c. oy%tv ... |<roy&, ``cosõÁ fortemente ci 52.d. a%per a/n ... pra*jeien, ``cioÁ che ziale del passato.
amavi'', propr. ``ci sceglievi'' (ai< re* v); farebbe lo schiavo piuÁ spregevole''.
kau\ h<ma&Q, ``conformemente a noi''. ± v<Q _
para+ ta+Q ... o<mologi* aQ, ``contro i patti 53.a. e$la*ttv ... a$na*phroi, ``ti sei allon-

589
oy%tv soi diafero*ntvQ tv&n a>llvn \Auhnai* vn h>resken h< po*liQ te kai+ h<mei& Q oi<
no*moi dh&lon o%ti " ti* ni ga+r a/n po*liQ a$re* skoi a>ney no*mvn; ny&n de+ dh+ oy$k
e$ mmenei& Q toi& Q v<mologhme* noiQ; e$ a+n h<mi& n ge pei* u|, v# Sv*krateQ " kai+ oy$ kata-
ge* lasto*Q ge e> s| e$ k th&Q po*levQ e$ jeluv*n. ``Sko*pei ga+r dh*, tay&ta paraba+Q kai+
e$ jamarta*nvn ti toy*tvn ti* a$gauo+n e$ rga*s| sayto+n h/ toy+Q e$ pithdei* oyQ toy+Q
53.b. saytoy&. o%ti me+ n ga+r kindyney*soysi* ge* soy oi< e$ pith*deioi kai+ ay$toi+ fey*gein
kai+ sterhuh&nai th&Q po*levQ h/ th+n oy$si* an a$pole* sai, sxedo*n ti dh&lon " ay$to+Q de+
prv&ton me+ n e$ a+n ei$ Q tv&n e$ ggy*tata* tina po*levn e> lu|Q, h/ Uh*baze h/ Me*gara*de
ey$nomoy&ntai ga+r a$mfo*terai, pole* mioQ h%jeiQ, v# Sv*krateQ, t|& toy*tvn politei* @, kai+
o%soiper kh*dontai tv&n ay<tv&n po*levn y<poble* contai* se diafuore* a h<goy*menoi tv&n
no*mvn, kai+ bebaiv*seiQ toi& Q dikastai& Q th+n do*jan, v%ste dokei& n o$ruv&Q th+n
53.c. di* khn dika*sai " o%stiQ ga+r no*mvn diafuorey*Q e$ stin sfo*dra poy do*jeien a/n
ne* vn ge kai+ a$noh*tvn a$nurv*pvn diafuorey+Q ei#nai. po*teron oy#n fey*j| ta*Q te
ey$nomoyme*naQ po*leiQ kai+ tv&n a$ndrv&n toy+Q kosmivta*toyQ; kai+ toy&to poioy&nti a#ra
a>jio*n soi zh&n e> stai; h/ plhsia*seiQ toy*toiQ kai+ a$naisxynth*seiQ dialego*menoQ ti* naQ
lo*goyQ, v# Sv*krateQ; h/ oy%sper e$ nua*de, v<Q h< a$reth+ kai+ h< dikaiosy*nh plei* stoy
a>jion toi& Q a$nurv*poiQ kai+ ta+ no*mima kai+ oi< no*moi; kai+ oy$k oi> ei a>sxhmon [a/n]
53.d. fanei& suai to+ toy& Svkra*toyQ pra&gma; oi> esuai* ge xrh*. a$ll\ e$k me+ n toy*tvn
tv&n to*pvn a$parei& Q, h%jeiQ de+ ei$ Q Uettali* an para+ toy+Q je* noyQ toy+Q Kri* tvnoQ; e$ kei&
ga+r dh+ plei* sth a$taji* a kai+ a$kolasi* a, kai+ i> svQ a/n h<de* vQ soy a$koy*oien v<Q geloi* vQ
e$ k toy& desmvthri* oy a$pedi* draskeQ skeyh*n te* tina periue* menoQ, h/ difue*ran labv+n
h/ a>lla oi}a dh+ ei$ v*uasin e$ nskeya*zesuai oi< a$podidra*skonteQ, kai+ to+ sxh&ma to+
saytoy& metalla*jaQ " o%ti de+ ge*rvn a$nh*r, smikroy& xro*noy t{& bi* { loipoy& o>ntoQ v<Q
to+ 53.e. ei$ ko*Q, e$ to*lmhsaQ oy%tv gli* sxrvQ e$ piuymei& n zh&n, no*moyQ toy+Q megi* stoyQ
paraba*Q, oy$dei+ Q o=Q e$ rei& ; i> svQ, a/n mh* tina lyp|&Q " ei$ de+ mh*, a$koy*s|, v# Sv*krateQ,
polla+ kai+ a$na*jia saytoy&. y<perxo*menoQ dh+ biv*s| pa*ntaQ a$nurv*poyQ kai+ doy-

tanatodaessamenocheglizoppieiciechi ricordare la sua vicenda privata. ± kai+ re'': gen. assoluto con valore concessivo.
e gli altri menomati''. ± dh&lon o%ti, ``evi- a$naisxynth*seiQ dialego*menoQ, ``avrai la
dentemente''. ± ny&n de+ dh+ ... v<mologhme*- sfrontatezza di pronunciare''. ± ti* naQ lo*- 53.e. e$to*lmhsaQ ... paraba*Q, ``hai
noiQ, ``ora dunque non resterai fedele agli goyQ: la figura dell'aposiopesi? sospende osato attaccarti cosõÁ viscosamente
accordi convenuti''. _ sko*pei: ogni volta il periodo, giacche le Leggi si mostrano (gli* sxrvQ) al desiderio di vivere, violan-
unanuovaseriediargomentazionisiapre imbarazzate a dire quali discorsi mai So- do le leggi piuÁ sacre''. ± oy$dei+ Q ... e$rei& ,
con questo imperativo. crate potrebbe pubblicamente rivolgere ''non ci saraÁ nessuno che diraÁ?'', eÁ la
ai suoi nuovi interlocutori. _ h/ oy%sper principale che regge la dichiarativa o%ti
53.b. o%ti me+n ... dh&lon, ``eÁ piuttosto e$nua*de, l'ipotesi che Socrate possa rico- ... e$ to*lmhsaQ che eÁ anticipata. ± i> svQ,
evidente che i tuoi cari rischieranno di minciare a parlare degli argomenti di cui a/n mh* tina lyp|&Q, ``forse, se non darai
essere esuli ed essere privati della cittaÁ o parlava ad Atene ± indicati nella seguen- fastidio a qualcuno''. ± y<perxo*menoQ ...
di perdere i beni'': la dichiarativa o%ti me+n te dichiarativa epesegetica v<Q h< a$reth+ ... doyley*vn, ``vivrai chinando il capo da-
... a$pole* sai eÁ anticipata per prolessi ri- kai+ oi< no*moi ± appare decisamente inac- vanti a tutti gli uomini e servendoli'':
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

spetto alla principale sxedo*n ti dh&lon. cettabile, e in tal caso il comportamento continua l'immagine della sottomissio-
_
ey$nomoy&ntai ga+r a$mfo*terai: l'una e di Socrate (to+ toy& ... pra&gma) apparireb- ne dell'uomo che si esclude dalla comu-
l'altra avevano governi aristocratici, e be decisamente indecoroso (a>sxhmon). nitaÁ civile in cui eÁ nato, la polis, e che
questo dato eÁ significativo per le tenden- _
a$ll\ ... h%jeiQ: in alternativa alla prima diventa simile all'essere piuÁ vile, appun-
ze politiche di Platone, piuttosto che per prospettiva. Socrate, potrebbe recarsi in to lo schiavo. ± ti* poiv&n h>, lett. ``facen-
quelle di Socrate. ± o%soiper ... y<poble*- un paese in preda all'anarchia, come la do che cosa, se non''. ± ey$vxoy*menoQ,
contai* se , ``quanti hanno cura delle Tessaglia, dove Critone ha degli amici ``passando il tempo in banchetti'', quin-
loro cittaÁ ti guarderanno con sospetto''. cui ha accennato in precedenza. ± plei* - di al servizio del ventre e non piuÁ del-
sth a$taji* a kai+ a$kolasi* a, ``disordine e l'anima. _ v%sper ... ei$ Q Uettali* an, ``co-
53.c-d. o%stiQ ga+r no*mvn ... ei# nai, ``in- scostumatezza''. ± skeyh*n te* tina, ``un me se tu te ne fossi andato all'estero
fatti chiunque eÁ corruttore delle leggi, travestimento''. ± oi< a$podidra*skonteQ, (a$podedhmhkv+Q), in Tessaglia, per un
potrebbe senz'altro apparire di essere ``gli schiavi fuggiaschi''. ± smikroy& ... banchetto''. ± y<perxo*menoQ ... doy-
corruttore dei giovani e degli uomini in- v<Q to+ ei$ ko*Q, ``sebbene verosimilmente le*yvn, ``vivrai cercando di ingraziarti
sensati'': il Socrate platonico non esita a (v<Q to+ ei$ ko*Q) ti resti poco tempo da vive- tutti gli uomini e facendo il servo''.

590
Platone
ley*vn ti* poiv&n h/ ey$vxoy*menoQ e$ n Uettali* @, v%sper e$ pi+ dei& pnon a$podedhmhkv+Q ei$ Q
Uettali* an; 54.a. lo*goi de+ e$ kei& noi oi< peri+ dikaiosy*nhQ te kai+ th&Q a>llhQ a$reth&Q poy&
h<mi& n e> sontai; a$lla+ dh+ tv&n pai* dvn e% neka boy*lei zh&n, i% na ay$toy+Q e$ kure* c|Q kai+
paidey*s|Q; ti* de* ; ei$ Q Uettali* an ay$toy+Q a$gagv+n ure* ceiQ te kai+ paidey*seiQ, je* noyQ

Critone
poih*saQ, i% na kai+ toy&to a$polay*svsin; h/ toy&to me+n oy>, ay$toy& de+ trefo*menoi soy&
zv&ntoQ be* ltion ure* contai kai+ paidey*sontai mh+ syno*ntoQ soy& ay$toi& Q; oi< ga+r

testi
e$ pith*deioi oi< soi+ e$ pimelh*sontai ay$tv&n. po*teron e$ a+n me+ n ei$ Q Uettali* an
a$podhmh*s|Q, e$ pimelh*sontai, e$ a+n de+ ei$ Q %Aidoy a$podhmh*s|Q, oy$xi+ e$ pimelh*sontai;
ei> per ge* ti o>feloQ ay$tv&n 54.b. e$ stin tv&n soi fasko*ntvn e$ pithdei* vn ei#nai, oi> e-
suai* ge xrh*.'' A $ ll\, v# Sv*krateQ, peiuo*menoQ h<mi& n toi& Q soi& Q trofey&si mh*te pai& daQ
peri+ plei* onoQ poioy& mh*te to+ zh&n mh*te a>llo mhde+ n pro+ toy& dikai* oy, i% na ei$ Q A % idoy
e$ luv+n e> x|Q pa*nta tay&ta a$pologh*sasuai toi& Q e$ kei& a>rxoysin " oy>te ga+r e$ nua*de soi
fai* netai tay&ta pra*ttonti a>meinon ei#nai oy$de+ dikaio*teron oy$de+ o<siv*teron, oy$de+
a>ll{ tv&n sv&n oy$deni* , oy>te e$ kei& se a$fikome* n{ a>meinon e> stai. a$lla+ ny&n me+n
h$dikhme*noQ a>pei, 54.c. e$ a+n a$pi* |Q, oy$x y<f\ h<mv&n tv&n no*mvn a$lla+ y<p\ a$nurv*pvn "
e$ a+n de+ e$ je* lu|Q oy%tvQ ai$ sxrv&Q a$ntadikh*saQ te kai+ a$ntika koyrgh*saQ, ta+Q saytoy&
o<mologi* aQ te kai+ synuh*kaQ ta+Q pro+Q h<ma&Q paraba+Q kai+ kaka+ e$ rgasa*menoQ toy*-
toyQ oy=Q h%kista e> dei, sayto*n te kai+ fi* loyQ kai+ patri* da kai+ h<ma&Q, h<mei& Q te* soi
xalepanoy&men zv&nti, kai+ e$ kei& oi< h<me* teroi a$delfoi+ oi< e$ n A% idoy no*moi oy$k ey$menv&Q
se y<pode* jontai, ei$ do*teQ o%ti kai+ h<ma&Q e$ pexei* rhsaQ a$pole* sai to+ so+n me* roQ. a$lla+ mh*
se 54.d. pei* s| Kri* tvn poiei& n a= le* gei ma&llon h/ h<mei& Q.'' Tay&ta, v# fi* le e< tai& re
Kri* tvn, ey# i> sui o%ti e$ gv+ dokv& a$koy*ein, v%sper oi< korybantiv&nteQ tv&n ay$lv&n

54a. lo*goi ... h<mi& n e>sontai, ``e che fine dono le apodosi e$ pimelh*sontai ... oy$xi+ ``ma ora tu te ne andrai, nel caso che tu
avranno fatto per noi quei discorsi sulla e$ pimelh*sontai. ± ei> per ge* ti ... e$stin, vada, non offeso da noi leggi ma dagli
giustizia e tutte le altre forme della vir- ``sõÁ, se almeno c'eÁ qualche utilitaÁ ...''. uomini'': il periodo ipotetico dell'even-
tuÁ?'': se Socrate decidesse di sottrarsi tualitaÁ sancisce la precisa distinzione tra
alla condanna fuggendo lontano da 54.b-c. oi> esuai* ge xrh*, ``bisogna pur la cittaÁ e le sue leggi e il torto che Socrate
Atene, si troverebbe in contraddizione crederlo'': apodosi del periodo ipotetico potrebbe legittimamente pensare di aver
con se stesso e con tutta la sua vita dell'oggettivitaÁ introdotto dalla protasi ricevuto; ne consegue che sarebbe som-
passata. ± a$lla+ ... paidey*s|Q: il discor- ei> per ... e$ stin. ± a$ll\, v# ... pro+ toy& mamente ingiusto se egli pensasse di po-
so delle Leggi affronta ora uno dei pun- dikai* oy: inizia qui la perorazione del ter ricambiare il torto subito dai cittadini
ti piuÁ commoventi delle argomentazio- discorso delle Leggi; a$ll(a*): la congiun- offendendo la cittaÁ. Questa conseguenza
ne di Critone, che aveva pregato So- zione eÁ conclusiva e non avversativa; eÁ espressa nell'ampio e articolato perio-
crate di salvarsi per non abbandonare i peiuo*menoQ: part. congiunto; ± h<mi& n toi& Q do ipotetico che segue: e$ a+n de+ e$ je*lu|Q ...
suoi figli; ma anche per amore dei figli soi& Q trofey&si, ``a noi che ti abbiamo h<mei& Q te* soi xalepanoy&men ..., kai+ e$ kei& oi<
egli non deve negare ora l'esempio del- allevato''; mh*te pai& daQ ... poioy&, ``non te- h<me* teroi a$delfoi+ ... oy$k ey$menv&Q se y<po-
l'obbedienza alle leggi. ± ei$ Q Uettali* an nere in maggior conto ne ...''; il medio de*jontai, ``qualora tu evada ... noi ti sa-
... poih*saQ: anzitutto Socrate non puoÁ poioy& eÁ di interesse, mentre peri+ plei* o- remo ostili ... e, laÁ, le nostre sorelle ... non
pensare di poter educare i figli portan- noQ eÁ complemento di stima, in forma ti accoglieranno benevolmente''; dalla
doli fuori della cittaÁ; i% na ... a$polay*sv- comparativa alla quale corrisponde il protasi dipendono ben quattro part.
sin, ``perche godano anche di questo''. secondo termine di paragone pro+ toy& congiunti: a$ntadikh*saQ, koyrgh*saQ, pa-
Diversamente interpreta Savino: sar- dikai* oy, ``in confronto alla giustizia''. raba*Q, e$ rgasa*menoQ. ± zv&nti, ``finche sa-
casmo. ± ay$toy&, ``laÁ'', in Tessaglia; _
% idoy e$luv+n e>x|Q, ``percheÂ
i% na ei$ Q A rai vivo''. ± to+ so+n me*roQ acc. di relazione
soy& zv&ntoQ ``mentre tu sei vivo'' gen. giungendo nell'Ade tu possa''; a$pologh*- ``per parte tua'' ± a$lla*, conclusivo, co-
assoluto con valore temporale, mentre sasuai, inf. retto da e> x|Q, da cui dipen- me giaÁ in 54b 2. Qui si conclude la pro-
mh+ syno*ntoQ soy& ha valore concessivo, de il dat. di termine toi& Q e$ kei& a>rxoysin, sopopea delle Leggi.
e ay$toi& Q eÁ dat. sociativo richiesto dal ``a quelle (leggi) che governano laÁ''.
preverbio di syno*ntoQ. ± e$pimelh*son- _
oy>te ga+r ... a>meinon ei# nai, ``infatti 54.d. Tay&ta ... a$koy*ein: riprende a
tai ay$tv&n, ``si prenderanno cura di lo- mentre ti trovi qui (e$ nua*de) non ti sem- parlare Socrate, concludendo il dialo-
ro''. ± po*teron ... e$pimelh*sontai: la bra che sia meglio se agisci cosõÁ (tay&ta go con Critone; v# fi* le ... Kri* tvn,
struttura interrogativa retorica intro- pra*ttonti, part. congiunto con valore ``mio buon amico Critone''; dokv& reg-
dotta da po*teron eÁ scandita dalle due ipotetico)''; e$ kei& se a$fikome*n{, ``una vol- ge l'infinito a$koy*ein, perche si tratta
protasi di periodi ipotetici dell'even- ta che tu sia giunto laÁ'', altro part. con- di una impressione soggettiva, come
tualitaÁ e$ a+n me+ n ... e$ a+n de* , cui corrispon- giunto. ± a$lla+ ny&n me+n ... y<p\ a$nurv*pvn, quella di coloro che sono pervasi dalla

591
dokoy&sin a$koy*ein, kai+ e$ n e$ moi+ ay%th h< h$xh+ toy*tvn tv&n lo*gvn bombei& kai+ poiei& mh+
dy*nasuai tv&n a>llvn a$koy*ein " a$lla+ i> sui, o%sa ge ta+ ny&n e$ moi+ dokoy&nta, e$ a+n le*g|Q
para+ tay&ta, ma*thn e$ rei& Q. o%mvQ me*ntoi ei> ti oi> ei ple*on poih*sein, le* ge. {KR.} \All\,
v# Sv*krateQ, oy$k e> xv le* gein. 54.e. {SV.} > Ea toi* nyn, v# Kri* tvn, kai+ pra*ttvmen
tay*t|, e$ peidh+ tay*t| o< ueo+Q y<fhgei& tai.

frenesia dei Coribanti (oi< koryban- del relativo o%sa, ripreso poi dal para+ riconoscere di non aver nulla da dire.
tiv&nteQ) hanno l'impressione di senti- tay&ta; Socrate ha chiara coscienza
re il suono degli oboe. ± o%sa ... ge e$a+n che non potraÁ modificare il suo punto 54.e. e>a toi* nyn, ``lascia andare'': il
le*g|Q ... e$rei& Q, ``se parlerai contro di vista, e ne avverte l'amico, pur con- dialogo eÁ concluso, e Socrate conclu-
queste ragioni, quante (o%sa) in questo cedendogli di ascoltarlo, ei> ti oi> ei de pacatamente, invitando il suo in-
momento (ta+ ny&n) mi sembrano vali- ple* on poih*sein, ``se credi di ricavare terlocutore ad adeguarsi alla volontaÁ
de, parlerai invano''; si ha la prolessi qualcosa''. Critone ora non puoÁ non del dio. ± tay*t| eÁ avverbiale.

traduzione d'autore
SOCRATE Guardala da quest'altro lato. Un'ipotesi. Noi siamo lõÁ lõÁ per tagliare la corda, o come
vuoi chiamarla, questa cosa. Arrivano le Leggi e l'istituzione pubblica. Un'apparizio-
ne, e poi questo discorso: «Di' a me, caro Socrate, cos'hai in mente di fare? Mediti di
farci stramazzare, se ci riesci, noi Leggi e il paese tutto quanto, o cos'altro, con questa
bravata che hai fra le mani? O t'illudi che sappia sopravvivere dopo, e non finire
sottosopra quel paese dove i giudizi celebrati nulla valgono e l'uomo della strada puoÁ
svilirli, cancellarli?». Di', Critone, cosa risponderemmo a questo e al seguito di
questo? Ci sarebbe abbondanza d'argomenti, piuttosto, specie per un professionista
della parola, a difesa della legge attaccata che comanda: siano validi i giudizi giaÁ
giudicati! O a questi personaggi noi diremo: «A noi Atene faceva offesa: in piuÁ, la sua
sentenza non fu retta»? Diremo questo, o che altro?
CRITONE SõÁ, per dio, questo, Socrate.
SOCRATE Supponiamo che le Leggi aggiungano: «Socrate, fra noi e te c'era quest'altro accordo,
o quello di star fedeli ai giudizi della giustizia ateniese?». Se noi fossimo imbarazzati
dalla domanda, probabilmente direbbero: «Socrate, non lasciarti imbarazzare, su,
rispondi: sei abituato, tu, a maneggiare domanda e risposta. Ecco il punto: di che
c'incrimini, noi Leggi e il tuo paese, per metter mano ad annientarci? Primo: non
t'abbiamo messo noi in questo mondo? E tuo padre non sposoÁ tua madre in nome
nostro, per poi darti vita? Ci sono le Leggi sulle nozze, qui fra noi: vuoi criticarle per
qualche punto difettoso? Parla chiaro». «Non ho critiche» dovrei dire io. «Ne hai per
quelle sulla protezione del bambino, sulla scuola, della quale tu pure fosti scolaro?
Forse, fra noi, non erano all'altezza quelle schierate in questo campo, che comanda-
vano a tuo padre di mandarti a scuola di musica, e d'esercizio fisico?» «All'altezza»
dovrei ammettere. «CosõÁ va bene. E dopo che sei nato, che hai ricevuto cure e
un'istruzione, avresti la forza di dire, proprio adesso, che tu non ci appartieni, no,
non sei un frutto ed un soggetto nostro: tu, con le tue radici? E se la realtaÁ eÁ questa,
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

t'illudi che fra te e noi esista equilibrio di diritti? T'illudi che qualunque azione su di te
noi avviamo, ritorcerla sia tuo pacifico diritto? Ah, non avevi certo equilibrio di diritti
con tuo padre, tu, o con un tuo padrone, se esisteva, un tuo padrone: al punto da
ritorcere gli eventuali colpi, restituire le parole dure, le bastonate prese e tutto il resto.
E questo ti permetterai con la tua patria, con le tue Leggi? Al punto che se c'impe-
gniamo a cancellarti -- nella coscienza che sia giusto -- pure tu t'impegnerai, reagendo
con tutte le tue forze, a cancellare noi, tue Leggi, e il tuo paese? In piuÁ proclamerai che
questa scelta tua eÁ un atto di giustizia: tu, l'autentico amatore della perfezione! O sei
tanto colto da scordarti che di tua madre, di tuo padre, delle tue ultime radici piuÁ
preziosa cosa eÁ la tua patria, piuÁ solenne, piuÁ sacra, su un piedistallo piuÁ elevato, agli
occhi di dio e degli uomini dotati di cervello? Si deve culto, alla patria. E disciplina, e

592
Platone
dolcezza, con lei, se s'inquieta, piuÁ che con un padre. O calmarla, o fare i suoi
comandi: e pazientare con serenitaÁ, ti imponga pure sofferenze, schiaffi e la prigione.
Magari ti chiama alla battaglia, futuro mutilato, o morto ucciso: devi andare, perche eÁ
giusto, non imboscarti, non defilarti, non disertare. In guerra, in aula di giustizia,

Critone
ovunque tu sia, devi eseguire gli ordini del paese nativo. O convincerlo che la radice di
giustizia eÁ lõÁ, dalla tua parte. Essere brutali con padre e madre eÁ sacrilegio: ma peggio
ancora con la patria.» Che ne diremo, Critone? Parlano giusto le Leggi o no?

testi
CRITONE Per me, sõÁ; credo di sõÁ.
SOCRATE «Allora, Socrate, rifletti» potrebbero aggiungere le Leggi «se siamo giuste a dire che tu
non hai diritto a farci quanto intendi fare. Noi t'abbiamo dato una vita, cure, un'i-
struzione; l'accesso a quei vantaggi che dipendevano da noi, e non solo a te, a tutti gli
ateniesi. Ma non basta. Noi comunichiamo dall'inizio -- prova ne eÁ la facoltaÁ, da noi
ratificata, per chiunque qui in Atene lo decida -- che l'ateniese, giaÁ ammesso alla
cittadinanza, giaÁ a conoscenza delle istituzioni nostre, e di noi Leggi, se proprio noi
non gli piacciamo, eÁ padrone d'emigrare dove vuole, con la roba sua. Non c'eÁ Legge
che sia una catena, o una porta chiusa, nel caso in cui voglia trasferirsi in uno
stanziamento via da Atene -- se eÁ Atene la sgradita, e noi con lei -- o andare in altre
parti a fare l'emigrante, vada dove vuole, lui con la sua roba. Ma all'uomo che
rimane, che ha sott'occhio i nostri modi di giustizia, le regole politiche, noi diciamo
chiaro che con il suo gesto giaÁ si obbliga, concordemente, a eseguire in futuro i nostri
vari comandi. Non obbedire eÁ un'ingiustizia tripla: perche quell'uomo non obbedisce
ai genitori (noi lo siamo); non ai suoi tutori; e lui, che ha concordato d'obbedire, non
lo fa. Nemmeno cerca di persuaderci, se commettiamo qualcosa di poco pulito!
Eppure noi offriamo scelta, non imponiamo brutalmente d'eseguire ordini: anzi
lasciamo l'alternativa, o convincerci, o eseguire. Ma lui non fa ne questo, ne quello.
«In questi crimini cadrai pure tu, Socrate, se farai quanto mediti: non meno d'altri
ateniesi, anzi piuÁ di tutti.» Io potrei dire ``PercheÂ?'', e credo che loro contrattacche-
rebbero, con argomenti lineari, che quell'accordo, guarda caso, l'ho concordato io
con loro, piuÁ di chiunque altro qui in Atene. Direbbero subito: «Socrate, abbiamo
prove importanti che a te noi Leggi, noi e il tuo paese, piacevamo: non saresti stato qui
in Atene con quella tua costanza eccezionale, se non ti fosse piaciuto in modo
eccezionale. Tu dalla cittaÁ non sei uscito mai, neanche per vedere feste (tranne che
all'Istmo quella volta sola), ne in nessun altro posto, se non sotto le armi. Non hai mai
fatto un viaggio, come l'altra gente. Non t'ha mai preso la curiositaÁ d'un altro stato,
d'altre leggi. Noi ti bastavamo: noi e Atene. Che scelta appassionata, era: e poi eri
d'accordo, tu cittadino al nostro modo, tanto che, tra l'altro, hai messo al mondo figli,
qui in Atene. Segno che il paese ti piaceva. Proprio nel processo, se volevi, t'era dato
di candidarti all'esilio. Ora non arrossisci di quelle tue parole. Di noi, le Leggi, non
t'importa. Sei pronto ad annientarci. Agisci come il peggiore schiavo, ti prepari a
tagliare la corda, contro le intese e i patti: contro quel tuo impegno con noi, a
civilmente vivere. Comincia dunque a risponderci su questo punto: eÁ vero o non eÁ
vero che hai concordato, concretamente, non a parole, di vivere da essere civile, al
modo nostro?». Che ribatteremmo, Critone: che concordiamo, o altro?
CRITONE Per forza, Socrate.
SOCRATE «Quanto alle intese» forse aggiungeranno «agli accordi particolari con noi Leggi, tu
sconfini: eppure non li hai concordati sotto torchio, ne vittima d'imbroglio, ne pre-
muto a scegliere in poco tempo, settant'anni, anzi, e t'era sempre dato d'emigrare, se
non ti piacevamo noi e non ti pareva lineare il nostro accordo. Ma tu non hai scelto
Sparta, o Creta, stati d'ottima legislazione, come dici sempre; e nessun altro paese,
greco o forestiero. Da Atene ti sei allontanato meno di storpi, orbi, malandati. Era un
amore eccezionale, il tuo, per Atene e per noi altre Leggi, eÁ chiaro. Un paese senza
leggi a chi puoÁ mai piacere? Non starai agli accordi, adesso? Certo: se vorrai seguirci,
Socrate. Non farai la buffonata di evadere da Atene.
«Cerca d'intuire che bel vantaggio tu procuri, a te e al tuo gruppo, se sgarri, se fai

593
questo sbaglio. I tuoi uomini rischiano l'esilio anche loro, il distacco da Atene e la
perdita di tutto, eÁ trasparente. Poi tu. Supponiamo che tu vada in una cittaÁ del
circondario, Tebe, o Megara (buone leggi in entrambe), vi entrerai nemico dei loro
ordinamenti e gli uomini, preoccupati del paese proprio, ti guarderanno storto, ti
penseranno guastatore delle leggi. Tu avrai consolidato nei tuoi giudici l'idea, ormai
definitiva, che quel giudizio loro era giustificato. Chi guasta leggi ha tutta l'aria, se
non sbaglio, di poter guastare anche ragazzi, e uomini incoscienti. Schiverai le cittaÁ
che hanno leggi buone? Le comunitaÁ disciplinate meglio? AvraÁ senso vivere, per te,
facendo questo? O t'affiancherai alle persone, avrai la sfacciataggine di ragionare ...
che razza di ragionamenti, Socrate? I tuoi, di qui, cioeÁ che la morale, la condotta retta
sono i valori sommi dell'umanitaÁ, insieme alle regole civili ed alle leggi? SaraÁ una
parte disgustosa, Socrate. Ci pensi? Eh sõÁ, devi pensarci. Ma no. Tu leverai le tende da
quei posti. Punterai alla Tessaglia, ai conoscenti di Critone? C'eÁ il caos, laggiuÁ, e
l'anarchia. ChissaÁ, potresti divertirli con la tua storia comica, di te che te la squagli
dalla cella, con il costume addosso, un pastrano conciato, magari, o l'altra solita
mascheratura degli evasi: ed eccoti travestito da solo, Socrate. Che tu, vecchio uomo,
con un rimasuglio di tempo da vivere, hai avuto il coraggio di sgarrare dalle piuÁ alte
leggi per passione vischiosa della vita, dõÁ, non ci saraÁ nessuno pronto a dirlo? Forse, se
non darai noia. Altrimenti ne sentirai tante, Socrate, e non meritate. GiaÁ: dovrai
vivere strisciando ai piedi della gente. Un servo. E intanto? T'ingrasserai per bene,
in Tessaglia: che saraÁ, un viaggio gastronomico in Tessaglia, il tuo? E quei tuoi
ragionamenti di rettitudine, di perfezione, dove li ritroveremo? Forse per i figli vuoi
ostinarti a vivere, per curarli, educarli? Ah sõÁ? Per allevarli ed educarli li trascinerai in
Tessaglia, li farai stranieri, questo vuoi che sia il loro bene? Oppure no, verranno
grandi qui: e se tu resti vivo cresceranno meglio, piuÁ istruiti, anche senza la presenza
tua? I tuoi cari amici provvederanno a tutto. Ed ecco un dubbio: provvederanno se tu
sparirai in Tessaglia, e se sparirai nell'aldilaÁ, no? CosõÁ devi pensarla, se si puoÁ contare
su chi dice in giro che t'eÁ tanto amico.»
«Socrate, obbedisci a noi, tue nutrici: non dare peso al vivere, ai figli, a null'altro piuÁ
che a giustizia, per avere gli argomenti di difesa, con le autoritaÁ dell'altro mondo,
quando arriverai. Fare quell'altra cosa non eÁ l'azione piuÁ fruttuosa, eÁ chiaro, ne per te,
ne per i tuoi cari: nemmeno la piuÁ giusta e religiosa. Non ti daraÁ frutti, al tuo arrivo laÁ.
Ora, almeno, tu scompari -- se scompari -- vittima di un torto, non di noi Leggi, ma di
esseri umani. Se evadi, per quella strada infame, se tu reagisci col delitto, con
cattiveria criminale sconfinando dagli accordi e patti tuoi con noi, colpendo dura-
mente chi proprio non dovresti, cioeÁ te stesso, i tuoi della famiglia, il tuo paese e noi,
ebbene ti saremo ostili noi, finche vivi, ed anche le Leggi, giuÁ del morto mondo, sorelle
nostre, non t'abbracceranno col sorriso sapendo che hai alzato su di noi le mani per
finirci, se potevi. Che Critone non ti pieghi a fare quanto dice: piuÁ che noi!»
Ecco che parole, Critone mio, vecchio amico, mi sembra di sentire, come quell'im-
pressione che hanno i coribanti, di flauti nelle orecchie, ed anche in me risuona
quest'onda di ragionamenti, e la conseguenza eÁ che non percepisco gli altri. Bada,
se tu ragioni in modo discordante, parlerai al vento. Alla luce, almeno, delle idee mie
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

di adesso. Ma non importa, parla, se speri in qualche risultato.


CRITONE Ah, Socrate: non so che dire.
SOCRATE Lascia perdere, Critone. Procediamo in questa via, perche in questa via il dio pilota.
(Trad. E. Savino)

594
GUIDA ALL'ANALISI

Platone
LINGUA E LESSICO
1. In 50a viene impiegato a$podidra*skein; indica che differenza c'eÁ tra questo verbo e fey*gein.
.....................................................................................................................................................................................

Critone
2. Secondo te, qual eÁ il motivo per cui, in 50c, Socrate dice h$di* kei ... h< po*liQ e non, invece, h$di* koyn ... oi< no*moi?
Motiva la tua risposta in un elaborato di max 10 righe.
.....................................................................................................................................................................................

testi
3. Trascrivi apodosi e protasi dei periodi ipotetici di 50a-c (usa le parentesi per eventuali elementi sottintesi);
specificane poi il tipo.
.....................................................................................................................................................................................

4. Rileggi 50a-c: in due casi, si verifica il fenomeno dell'attrazione del relativo: spiega brevemente (max 5 righe) in
che cosa consiste, indicando poi in quale caso dovrebbe trovarsi il relativo se non fosse attratto.
.....................................................................................................................................................................................

5. Rileggi 52a-d (da tay*taiQ dh* famen kai+ se*, v# Sv*krateQ, tai& Q ai$ ti* aiQ e$ ne*jesuai, a a>llo ti h/ o<mologv&men;),
sottolinea sul testo gli infiniti e, per ciascuno di essi, fai un'analisi morfologica e della funzione.
.....................................................................................................................................................................................

6. Spiega, considerando l'aspetto, l'impiego di tempi diversi nei due participi paraba*Q e e$jamarta*nvn di 53a.
" paraba*Q: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
" e$ jamarta*nvn: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
................................................................................................................................................................................

TEMI E CONFRONTI
7. In che senso Socrate eÁ figlio e servo delle Leggi? Perche Socrate ha il dovere di obbedire alle Leggi? Motiva la
tua risposta in un elaborato di max 10 righe.
.....................................................................................................................................................................................

8. Qual eÁ l'atteggiamento che il cittadino deve avere nei confronti della patria? Motiva la tua risposta in un
elaborato di max 10 righe.
.....................................................................................................................................................................................

9. Perche il vecchio Socrate fuggendo si coprirebbe di disonore e di ridicolo? Motiva la tua risposta in un elaborato
di max 10 righe.
.....................................................................................................................................................................................

10. In un passo precedente rispetto a quello appena letto (48b), Socrate pronuncia una frase destinata a rimanere
famosa: ``non bisogna tenere in massima considerazione il vivere in quanto tale, ma il vivere bene, ed il vivere
bene eÁ lo stesso che il vivere con virtuÁ e con giustizia''. Che cosa ne pensi? Motiva la tua risposta in un elaborato di
max 20 righe.
....................................................................................................................................................................................

STILE E RETORICA
11. Le Leggi impiegano lo stesso metodo dialettico di Socrate; spiega, facendo puntuale riferimento a casi specifici,
in che cosa consista il diale*gesuai. Motiva la tua risposta in un elaborato di max 15 righe.
....................................................................................................................................................................................

12. Evidenzia la funzione assolta dalle climakes di 50b e 51a.


....................................................................................................................................................................................

13. Individua e spiega (max 5 righe) la funzione dell'aposiopesi di 53c.


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14. Nel passo letto eÁ presente, in piuÁ di un caso, la figura etymologica: proponine almeno due esempi
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15. Platone, nei Dialoghi, tende a riprodurre ``mimeticamente'' il parlato e nei testi si incontrano spesso apostrofi,
anacoluti, ripetizioni, particelle da sole o in formule che sollecitano risposte, segnano la conclusione di
un'argomentazione, conferiscono enfasi alle domande. Soffermati su questi tre aspetti, cercando esempi nel
testo e sottolineandoli con tre diversi colori
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16. Tenendo conto delle caratteristiche del dialogo socratico, scrivi tu, in italiano, un dialogo di 20 righe che veda
protagonisti Critone e le Leggi ed in cui Critone sostenga le ragioni della fuga di Socrate.
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595
Simposio

6 Eros desidera cioÁ che non ha (199c-201d)

Il Simposio rievoca un banchetto fra amici, offerto dal poeta tragico Agatone per festeggiare la vittoria da lui
riportata nel concorso tragico delle Grandi Dionisie del 416 a.C. Il simposio era, nel costume greco fin dall'etaÁ
arcaica, un'occasione di scambio di esperienze sociali e culturali: gran parte della lirica arcaica era destinata ad
essere eseguita in occasione della festa simposiaca.
Dal punto di vista della struttura narrativa, anche il Simposio appartiene ai dialoghi narrati: nelle prime pagine
Apollodoro riferisce ad un amico dell'incontro a casa di Agatone che gli eÁ stato riferito da uno dei partecipanti,
Aristodemo.
Nel simposio di Agatone i convitati decidono (176e-178a) che ciascuno faraÁ un elogio di Eros, secondo una
prassi retorica che era stata inaugurata dai sofisti e che continueraÁ in seguito fino alla Nuova Sofistica e a Luciano.
A turno quindi, Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane ed Agatone pronunciano il loro elogio.
In 194e-197e interviene Agatone che dichiara necessario definire in via preliminare le qualitaÁ del dio Eros:
egli eÁ il piuÁ felice degli deÁi perche eÁ il piuÁ bello e il piuÁ buono; eÁ bellissimo in quanto giovanissimo, delicatissimo,
flessuoso, ben conformato e leggiadro nel colore; eÁ il piuÁ buono in quanto si distingue per giustizia, temperanza,
valore e sapienza, e di tutte queste virtuÁ fa partecipi gli uomini.
Dopo l'intervento di Agatone, Socrate (198b) dichiara la propria ammirazione per le parole degli amici che lo
hanno preceduto e nello stesso tempo il proprio smarrimento. ``PercheÂ, da quel semplice che sono, credevo che
si dovesse dire la veritaÁ su ciascuna delle cose lodate, e che questo fosse il nostro compito, scegliendo da queste
veritaÁ le piuÁ belle, disporle nel modo piuÁ conveniente. Ed ero molto fiducioso di me, pensando che avrei parlato
bene, giacche sapevo come lodare ogni cosa secondo veritaÁ'' (198d). Ma ora si trova in difficoltaÁ, perche non
sapeva che per fare un elogio si dovesse attribuire al soggetto in questione tutto cioÁ che c'eÁ di grande e di bello,
indipendentemente dalla veritaÁ. Agatone insomma ha eluso il problema fondamentale: ``che cosa eÁ Eros, e in virtuÁ
di cosa opera?''. Socrate, in questo modo, dichiara la propria riluttanza di fronte al metodo retorico adottato dai
suoi amici, e chiede loro se gli consentiranno di parlare come saraÁ capace, con le prime parole che gli verranno
alle labbra. Gli amici acconsentono in coro, ed egli inizia ponendo alcune domande preliminari ad Agatone.

199.c. «Mi sembra, caro Agatone, che tu abbia incominciato bene il tuo discorso,
dicendo che per prima cosa bisogna mostrare chi eÁ Eros e poi le sue opere1. Questo
inizio mi piace. Su Eros, dunque, poiche per il resto hai fatto un'esposizione in
modo bello e grandioso, spiegando chi per natura eÁ, dimmi 199.d. anche questo:
Eros eÁ tale da essere amore di qualcuno, oppure di nessuno? Non ti domando se sia
di una madre o di un padre ± sarebbe ridicola la domanda se Eros sia di una madre
o di un padre ±; te lo domando, invece, come se del padre io ti domandassi questo:
il padre eÁ padre di qualcuno, oppure no? E certamente tu mi diresti, se volessi
rispondere bene, che il padre eÁ padre di un figlio o di una figlia; o no?»
«Sicuramente», rispose Agatone.
«Non eÁ cosõÁ anche la madre?» Fu d'accordo anche su questo.
199.e. «Rispondimi» riprese Socrate, «ancora un poco di piuÁ, perche tu possa
capire meglio cioÁ che io voglio. Se io ti domandassi: e che? un fratello, in quanto
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

tale, eÁ fratello di qualcuno, oppure no?»


Disse che lo era.
«E non eÁ fratello di un fratello o di una sorella?» Lo ammise.
«Cerca quindi di dirlo» proseguõÁ Socrate «anche sull'amore: Eros eÁ amore di
nulla, oppure di qualcosa?»

1. e poi le sue opere: le azioni di Eros tonico, che ricerca l'essenza degli esseri, gante e ricco; quest'ultimo, secondo Pla-
devono essere illustrate in relazione alla si scontra qui con il metodo sofistico di tone, non si basa su una conoscenza
sua essenza. Il metodo di indagine pla- persuadere mediante un discorso ele- compiuta della realtaÁ.

596
Platone
«Certamente di qualcosa.»
200.a. «Questo» soggiunse Socrate «custodiscilo in te, ricordandoti di chi eÁ
amore. Dimmi invece questo: Eros desidera o no la cosa di cui egli eÁ amore?»
«Certamente», rispose.

Simposio
«Perche possiede cioÁ che desidera e ama, per questo lo desidera e ama, o
perche non lo possiede?»
«Perche non lo possiede, come eÁ verosimile», rispose.

testi
«Considera peroÁ» proseguõÁ Socrate, «se anziche verosimile, non sia proprio
necessario che il desiderare sia desiderio di cioÁ che manca, e che non vi sia
200.b. desiderio se non c'eÁ mancanza. Io, Agatone, ho la piena convinzione che
sia necessario. E a te come sembra?»
«Sembra anche a me», rispose.
«Dici bene! Uno che eÁ grande, desidera forse di essere grande, o uno che eÁ
forte desidera forse di essere forte?»
«EÁ impossibile, dopo quello che si eÁ convenuto.»
«Non puoÁ mancare infatti di certe qualitaÁ chi giaÁ le possiede.»
«Dici il vero.»
«Supponiamo» riprese Socrate, «che chi eÁ forte desideri essere forte, veloce chi eÁ
veloce e sano chi eÁ sano. Forse qualcuno potrebbe infatti credere che, per tutte
queste qualitaÁ e per le altre di questo genere, coloro che ne sono dotati e 200.c. le
posseggono, desiderino anche cioÁ che giaÁ posseggono. Dico questo, per non lasciarci
ingannare. Ebbene, Agatone, se tu rifletti, eÁ necessario che costoro, nel momento
presente, posseggano ognuno ciascuna delle qualitaÁ che hanno, lo vogliano o no; e
questo chi lo potrebbe mai desiderare? E se qualcuno, poi, mi dicesse: ``Io, pur
essendo sano, voglio anche essere sano; ricco, pur essendo ricco, e desidero cioÁ
che ho'', noi gli risponderemmo questo: ``Tu, caro, che hai ricchezza, salute e forza,
vuoi in realtaÁ averle anche in 200.d. futuro, perche nel momento presente, che tu
voglia o no, le possiedi giaÁ. Bada, dunque, se quando affermi: ``Desidero le cose che
ora ho'', tu, in veritaÁ, non dica altro se non questo: ``Desidero che le cose che ho al
presente mi rimangano anche in futuro''. Potrebbe non essere d'accordo?».
Agatone ne convenne.
Socrate continuoÁ: «E questo non significa amare cioÁ che non si ha a disposi-
zione e ancora non si possiede, ossia desiderare che queste cose ci siano conservate
e siano presenti anche in futuro?».
200.e. «Certamente», rispose.
«Costui, dunque, e ogni altra persona che abbia desiderio, desidera cioÁ che
non ha a sua disposizione e che non eÁ presente, cioÁ che non possiede, cioÁ che egli
non eÁ, e di cui manca. Sono queste le cose di cui sente desiderio e amore?»
«Certo», rispose.
«Suvvia», disse Socrate, «ricapitoliamo le cose che abbiamo detto. Eros non eÁ
forse, innanzi tutto, amore di alcune cose e, poi, di quelle cose di cui sente mancanza?»
201.a. «SõÁ», rispose.
«Dopo questo, ricorda a quali cose nel tuo discorso hai detto che Eros si
rivolge. Se vuoi, te lo ricorderoÁ io. Credo che tu abbia detto press'a poco questo:
che le vicende degli deÁi hanno ricevuto ordine per l'amore delle cose belle2; delle

2. amore delle cose belle: dopo aver avere, Socrate gli ricorda che nel suo di-
indotto Agatone ad ammettere che si ha scorso aveva detto come le contese tra gli
amore di cioÁ che non si ha ma si vorrebbe deÁi si placarono per amore del bello.

597
cose brutte, infatti, non c'eÁ amore. Non hai detto all'incirca questo?»
«SõÁ, l'ho detto», rispose Agatone.
«E lo hai detto a proposito, amico» disse Socrate. «E se eÁ veramente cosõÁ, che
altro eÁ Eros se non amore di bellezza, e non giaÁ di bruttezza?»
Lo ammise.
201.b. «E non si eÁ ammesso che Eros ama cioÁ di cui eÁ privo e non possiede?»
«SõÁ», disse.
«Eros, dunque, eÁ privo di bellezza e non la possiede.»
«Per forza», disse.
«E che? CioÁ che eÁ privo di bellezza e non la possiede in nessun modo, dici che eÁ
bello?»
«Proprio no.»
«E se eÁ cosõÁ, ammetti ancora che Eros eÁ bello?»
E Agatone disse: «C'eÁ pericolo, Socrate, che non sapessi nulla di quello che
dicevo».
201.c. «Eppure» disse Socrate, «hai parlato bene, Agatone. Ma mi devi dire
ancora una piccola cosa: le cose buone non ti sembrano anche belle?»
«A me sõÁ.»
«Se, allora, Eros eÁ privo delle cose belle, e le cose belle sono buone, egli eÁ privo
anche delle cose buone.»
«Socrate, non posso contraddirti» rispose Agatone. «Sia pure come tu dici!»
«EÁ alla veritaÁ» disse Socrate, «che non puoi contraddire, caro Agatone, percheÂ
contraddire a Socrate non eÁ per nulla difficile.»
(Trad. G. Reale)

GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Completa la tabella, sintetizzando i passaggi del dialogo fra Socrate e Agatone.
PASSAGGI SINTESI DEL DIALOGO

1ë Eros non eÁ amore di nulla, ma eÁ amore di qualcosa


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7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

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2. Cita le parti in cui si evidenzia l'antinomia che esiste fra un tipo di discorso, quello dei sofisti, che mira alla
persuasione e il discorso dialettico di Socrate che mira alla veritaÁ.
3. Ad Agatone che aveva detto di non essere in grado di controbattere (a$ntile*gein) Socrate, questi ribatte che non
eÁ in grado di controbattere la veritaÁ, giacche non eÁ per nulla difficile controbattere Socrate. Che cosa intende dire?
Che cos'eÁ, in realtaÁ, la discussione socratica?

598
7 Eros eÁ figlio di Poros e Penia

Platone
(203b-203e)

Nel passo seguente viene ricordata la genealogia di Eros cosõÁ come a Socrate eÁ stata riferita da Diotima, la
sacerdotessa di Mantinea che pare quasi un ``doppio'' del filosofo e di cui Socrate espone il pensiero. Era stata lei

Simposio
ad allontanare da Atene il flagello della peste e ad insegnare a Socrate le dottrine sull'essenza dell'amore esposte
nel Simposio.

testi
203.b. < Makro*teron me* n\, e>fh, < dihgh*sasuai " o%mvQ de* soi e$ rv&. o%te ga+r e$ ge* neto h<
$Afrodi* th, h<stiv&nto oi< ueoi+ oi% te a>lloi kai+ o< th&Q Mh*tidoQ y<o+Q Po*roQ. e$ peidh+ de+
e$ dei* pnhsan, prosaith*soysa oi}on dh+ ey$vxi* aQ oy>shQ a$fi* keto h< Peni* a, kai+ h#n peri+
ta+Q uy*raQ. o< oy#n Po*roQ meuysuei+ Q toy& ne* ktaroQ ± oi#noQ ga+r oy>pv h#n ± ei$ Q to+n
toy& Dio+Q kh&pon ei$ seluv+n bebarhme* noQ hy}den. h< oy#n Peni* a e$piboyley*oysa dia+
th+n ay<th&Q a$pori* an paidi* on poih*sasuai e$ k toy& Po*roy, katakli* netai* te par\ ay$t{&
kai+ e$ ky*hse to+n > Ervta. dio+ dh+ 203.c. kai+ th&Q $Afrodi* thQ a$ko*loyuoQ kai+ uera*pvn
ge* gonen o< > ErvQ, gennhuei+ Q e$ n toi& Q e$ kei* nhQ geneuli* oiQ, kai+ a%ma fy*sei e$ rasth+Q v/n
peri+ to+ kalo+n kai+ th&Q $Afrodi* thQ kalh&Q oy>shQ. a%te oy#n Po*roy kai+ Peni* aQ y<o+Q v/n
o< > ErvQ e$ n toiay*t| ty*x| kaue* sthken. prv&ton me+ n pe* nhQ a$ei* e$ sti, kai+ polloy& dei&
a<palo*Q te kai+ kalo*Q, oi}on oi< polloi+ 203.d. oi> ontai, a$lla+ sklhro+Q kai+ ay$xmhro+Q
kai+ a$nypo*dhtoQ kai+ a>oikoQ, xamaipeth+Q a$ei+ v/n kai+ a>strvtoQ, e$ pi+ uy*raiQ kai+ e$ n
o<doi& Q y<pai* urioQ koimv*menoQ, th+n th&Q mhtro+Q fy*sin e> xvn, a$ei+ e$ ndei* @ sy*noikoQ.
kata+ de+ ay# to+n pate* ra e$pi* boylo*Q e$ sti toi& Q kaloi& Q kai+ toi& Q a$gauoi& Q, a$ndrei& oQ v/n
kai+ i> thQ kai+ sy*ntonoQ, uhreyth+Q deino*Q, a$ei* tinaQ ple* kvn mhxana*Q, kai+ fronh*sevQ
e$ piuymhth+Q kai+ po*rimoQ, filosofv&n dia+ panto+Q toy& bi* oy, deino+Q go*hQ kai+ far-

203.b. makro*teron: intensivo, ``piut- naturale giacche c'era un banchetto''. aggirano scalzi, sono coraggiosi e ar-
tosto lungo'', ``un po' lungo''. ± o%te ± h#n peri+ ta+Q uy*raQ, ``stava sulla por- diti, pieni di astuzie, abili a dare la
ga+r ... $Afrodi* th: nel mito platonico, ta''. ± h< oy#n Peni* a ... dia+ th+n ... a$pori* an caccia, nel tendere insidie a cioÁ che
Eros fu concepito nel giardino di Zeus, paidi* on poih*sasuai e$k toy& Po*roy: lo eÁ bello. Entrambi infine sono terribili
nell'occasione del banchetto che gli deÁi stile viene elevato dalla serie allitteran- `incantatori' che passano la vita a fi-
celebrarono per la nascita di Afrodite. te, in cui a$pori* an e Po*roy sono uniti losofare'' (Susanetti)¨. ± e$ndei* @ sy*-
Madre e padre di Eros furono due anche in figura etymologica?, in anti- noikoQ, ``coabitante con il bisogno''.
divinitaÁ immaginate da Platone, in fun- tesi?. _
e$pi* boyloQ, ``insidioso''; poco prima
zione dell'idea che si proponeva di il- anche Penia era stata rappresentata
lustrare: Penia eÁ la ``PovertaÁ'', o la ``Pri- 203.c. a$ko*loyuoQ kai+ uera*pvn, ``se- come e$ piboyley*oysa; l'aggettivo reg-
vazione'', mentre il padre Poros eÁ guace e ministro''. Afrodite era ge il dativus incommodi ? toi& Q kaloi& Q
l'``Espediente'', o la ``Risorsa'' (propria- normalmente accompagnata da una kai+ toi& Q a$gauoi& Q. ± a$ei* tinaQ ple*kvn
mente il ``mezzo'', che si attraversa o schiera di divinitaÁ connesse con la sua mhxana*Q: giacche anche l'inganno fa
che serve per raggiungere uno sco- azione di dea del sesso, come la Persua- parte dell'attivitaÁ di Eros e di Afrodi-
po)¨. Eros porta in seÂ, quindi, le carat- sione; una di queste era, anche nel mito te, che da Saffo, fr. 1,2, eÁ invocata
teristiche di entrambi i genitori: dalla tradizionale, il fanciullo Eros¨. ± e$n come dolo*ploke, ``tessitrice di ingan-
madre Penia ha ricevuto lo stato di toi& Q e$kei* nhQ geneuli* oiQ, ``nella festa na- ni''. ± fronh*sevQ e$piuymhth*Q, ``desi-
privazione e di desiderio, che aspira a talizia di lei''. ± a%te oy#n ... v%n, participio deroso di intendere'': meno determi-
soddisfare con tutte le sue forze, dal congiunto con a%te, indica causale og- nato del successivo participio filo-
padre Poros l'astuzia sagace, con cui gettiva. ± polloy& dei& ... kalo*Q, ``tutt'al- sofv&n. ± deino+Q go*hQ kai+ farmakey+Q
cerca di procurarsi cioÁ di cui eÁ privo. tro che bello'': frase colloquiale che kai+ sofisth*Q, ``imbroglione terribile,
In questo modo, Eros diviene funzione vorrebbe dire propriamente ``molto ci stregone e sofista'': si noti quest'ulti-
dell'aspirazione dell'anima alla cono- manca (che sia) bello''. mo termine, allineato con i due pre-
scenza dell'intelligibile, di cui essa ha cedenti. Anche se sofisth*Q significa-
un ricordo ma il cui possesso le manca. 203.d. sklhro+Q kai+ ay$xmhro*Q, ``aspro va in origine ``maestro di sapienza'',
± Mh*tidoQ: la dea Metis, secondo Esio- e irsuto''. EÁ stata notata una signi- ben presto passoÁ ad indicare gli espo-
do, Teogonia 886, fu la prima moglie di ficativa analogia tra l'Eros descritto nenti di una particolare scuola filoso-
Zeus, che la inghiottõÁ quando era gra- da Diotima e il Socrate descritto da fica, i sofisti: Platone ne fa qui un
vida di Atena. ± y<o*Q: forma attica per il Alcibiade (215b ss.). ``Eros eÁ `aspro e termine ingiurioso, e con questa con-
piuÁ comune yi< o*Q. ± oi} on dh+ ey$vxi* aQ irsuto', e Socrate eÁ paragonato a un notazione esso eÁ passato nel linguag-
oy>shQ: causale oggettiva, ``come era rozzo e sgraziato sileno. Entrambi si gio filosofico e in quello corrente.

599
makey+Q 203.e. kai+ sofisth*Q " kai+ oy>te v<Q a$ua*natoQ pe* fyken oy>te v<Q unhto*Q, a$lla+
tote+ me+ n th&Q ay$th&Q h<me*raQ ua*llei te kai+ z|&, o%tan ey$porh*s|, tote+ de+ a$poun|*skei,
pa*lin de+ a$nabiv*sketai dia+ th+n toy& patro+Q fy*sin, to+ de+ porizo*menon a$ei+ y<pekrei& ,
v%ste oy>te a$porei& > ErvQ pote+ oy>te ploytei& , sofi* aQ te ay# kai+ a$maui* aQ e$ n me*s{
e$ sti* n.

203.e. pe*fyken, ``eÁ''. ± tote+ me+n ... z|&, menon a$ei+ y<pekrei& , ``cioÁ che si procura re'', per indicare il processo per cui
``talvolta nello stesso giorno (gen. di sempre gli sfugge'': y<pekrei& risulta da qualcosa sfugge via senza che uno se
tempo) fiorisce e vive''. ± to+ de+ porizo*- y<p(o)-, ``di sotto'', e$ k-, ``via'', r<ei& , ``scor- ne accorga.

traduzione d'autore
Á cosa un po' lunga da spiegare, pure te la diroÁ. Quando nacque Afrodite,
203.b. «``E
gli deÁi tennero banchetto, e fra gli altri c'era Poros, figlio di Metis. Dopo che ebbero
tenuto il banchetto, venne Penia a mendicare, poiche c'era stata una grande festa, e se
ne stava vicino alla porta. Poros, ubriaco di nettare ± il vino non c'era ancora ±,
entrato nel giardino di Zeus, appesantito com'era, fu colto dal sonno. A causa della
sua povertaÁ, Penia escogitoÁ di avere un figlio da Poros; giacque con lui e concepõÁ Eros.
Per questo, Eros divenne anche 203.c. seguace e ministro di Afrodite, perche fu
generato durante le feste natalizie di lei; ed eÁ nello stesso tempo per natura amante
di bellezza, perche anche Afrodite eÁ bella. PoicheÂ, dunque, Eros eÁ figlio di Penia e di
Poros, gli eÁ toccato un destino di questo tipo. Prima di tutto eÁ povero sempre, ed eÁ
tutt'altro che bello e delicato, come ritengono i piuÁ. EÁ duro, invece, e ispido, scalzo e
senza casa, si sdraia sempre per 203.d. terra senza copertura, e dorme all'aperto
davanti alle porte o in mezzo alle strade, e, perche ha la natura della madre, coabita
sempre con la povertaÁ. Per cioÁ che riceve dal padre, invece, egli eÁ insidiatore di cioÁ che
eÁ bello e cioÁ che eÁ buono, eÁ coraggioso, temerario, impetuoso, straordinario caccia-
tore, intento sempre a tramare intrighi, appassionato di saggezza, pieno di risorse,
filosofo per tutta la vita, straordinario incantatore, mago, sofista. E per sua natura non
eÁ ne mortale ne 203.e. immortale, ma, in uno stesso giorno, talora fiorisce e vive,
quando riesce nei suoi espedienti, talora, invece, muore, ma poi torna in vita, a causa
della natura del padre. E cioÁ che si procura gli sfugge sempre di mano, sicche Eros
non eÁ mai ne povero di risorse, ne ricco. Inoltre sta in mezzo tra sapienza e ignoranza.
(Trad. E. Savino)

ANALISI DEL TESTO


" LA FAVOLA DI EROS Il racconto del concepimento di Eros e Á veniva percepito fra l'occasione del concepimento e il
collocato da subito, grazie al connettivo subordinante carattere del bambino ed eÁ questo il motivo per cui, in
temporale o%te ed all'indicativo aoristo e$ ge* neto che richiama Le opere e i giorni 735, Esiodo invita a non procreare di
un lontano passato, in una dimensione favolistica. Una ritorno da un funerale, ma piuttosto dopo aver parte-
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

favola perfettamente inserita nel contesto del dialogo e i cui cipato ad una festa per gli deÁi immortali.
singoli elementi hanno una ben precisa funzione nella ri- b. EÁ figlio di Poros, che eÁ personificazione dell'Espe-
flessione sulla natura di Eros. diente, della Risorsa e nipote di Metis, personificazione
" SEQUENZA RACCONTO-SPIEGAZIONE L'ordinata struttura della Prudenza, della Saggezza e dell'AbilitaÁ e divinitaÁ
del testo, che fa succedere racconto e spiegazione, la tanto sapiente che Zeus, per assicurarsi il suo sapere,
rende evidente. prima la sposa e poi la ingoia: questo spiegherebbe
a. Eros eÁ stato concepito durante le feste per la nascita l'abilitaÁ di Eros nel tramare intrighi e nel tendere in-
di Afrodite (gennhuei+ Q e$ n toi& Q e$ kei* nhQ geneuli* oiQ, con il sidie ai belli e ai buoni.
participio e aggettivo sostantivato legati da figura ety- c. La madre del demone eÁ la Personificazione della Po-
mologica): questo spiegherebbe percheÂ, oltre ad es- vertaÁ: questo spiegherebbe la mancanza che caratte-
sere per natura amante della bellezza, egli eÁ anche rizza la natura di Eros, essere che cerca qualcosa che
seguace e ministro della dea. Stretto era il legame che non ha.

600
Platone
" RICERCATEZZA LESSICALE Ci sembra interessante sottoli- a$pore*v e suffisso verbale -i* a per indicare qualitaÁ; il termine
neare come fine sia la tessitura del testo e non sia casuale la rimanda, etimologicamente, al padre ma eÁ legato allo stato di
scelta di alcuni termini: questi, come luci che si accendono privazione di Peni* a, la madre. Da notare, inoltre, che il so-
a mo' di segnale, hanno lo scopo, invece, di sottolineare stantivo a$pori* an eÁ unito al successivo Po*roy anche da
rimarcandolo il legame Eros-Poros-Penia. A Peni* a sono antitesi e figura etymologica.

Simposio
efficacemente connessi tre aggettivi che presentano a$ In 203d abbiamo po*r-imoQ (da por- e suffisso degli ag-
privativo: Eros non ha calzari (a$n-ypo*-dh-toQ), eÁ senza gettivi in -imoQ per indicare possibilitaÁ sia in senso passivo
casa (a>-oik-oQ), non ha un posto ove dormire (a>-strv- che, come nel nostro caso, in senso attivo e detto del
toQ). Un'altra serie di vocaboli richiama, invece, la natura del nostro Eros ``che puoÁ procurare'', quindi ``scaltro''), in

testi
padre, Po*roQ: il nome appartiene alla famiglia linguistica 203e, in successione, ey$-por-h*s| (da ey$-por-e* v con ey$
contrassegnata dalla radice por- che indica il ``luogo di `bene' e suffisso verbale in -e* v per indicare situazione,
passaggio'', ``la via'' da cui, per mezzo del richiamo a ``cioÁ stato), por-izo*-menon (participio sostantivato da por-i* zv,
che si attraversa'' o ``che eÁ utile per raggiungere un obiet- por con suffisso -i* zv per indicare attivitaÁ con valore cau-
tivo'', ``l'espediente'', ``la risorsa''. Nel testo, oltre a Po*roQ, sativo e detto di cioÁ che Eros si procura), a$-por-ei& (con a$
abbiamo, con efficace rimando, a$-por-i* an, da a$-por- di privativo e suffisso -e* v, ``sono senza mezzi'').

8 Eros eÁ amore di immortalitaÁ (205d-207a)

All'inizio del passo che segue, Diotima contesta il mito raccontato da Aristofane (199d), secondo cui gli esseri
umani erano in origine doppi ma, da quando sono stati divisi da Zeus, le rispettive metaÁ si ricercano, a seconda di
come era composto il tutto di cui facevano parte. In realtaÁ, invece, quelli che amano non cercano la loro metaÁ, ma
il bene. Muovendo dalla premessa che Eros eÁ desiderio della bellezza, sulla base dell'identificazione tra il bene e
il bello, si afferma che Eros eÁ amore del bene per concludere che Eros eÁ desiderio di possedere il bene. E,
siccome Eros eÁ desiderio di avere il bene, eÁ anche desiderio di generare, perche nella generazione si realizza
l'immortalitaÁ, che eÁ l'aspirazione massima per un essere mortale.

``PeroÁ si sente fare un certo discorso, per il quale quelli che amano sono 205.e. co-
loro che cercano la loro metaÁ. Il mio discorso dice, invece, che l'amore non eÁ
amore ne della metaÁ ne dell'intero, se questo, caro amico, non si trovi a essere un
bene. Gli uomini preferiscono farsi tagliare piedi e mani, se queste parti di seÂ
risultano loro in cattivo stato. Ciascuno ± io penso ± non eÁ attaccato a cioÁ che gli eÁ
proprio, a meno che non si chiami bene cioÁ che gli eÁ proprio, e male cioÁ che eÁ
estraneo, dal momento che non c'eÁ altro che gli 206.a. uomini amano se non il
bene. O tu non sei di questo parere?''
``Per Zeus, no certo'', risposi.
``Possiamo'' disse ``affermare semplicemente che gli uomini amano il bene?''
``SõÁ'', risposi.
``E che? Non bisogna aggiungere'' proseguõÁ, ``che amano che il bene sia anche
in loro possesso?''
``Bisogna aggiungerlo'', risposi.
``E non solo che sia in loro possesso'' disse, ``ma che lo sia per sempre?''
``Bisogna aggiungere anche questo.''
``In breve'' disse ``l'amore eÁ tendenza a essere in possesso del bene per sempre.''
``Quello che dici eÁ verissimo'', risposi.
206.b. ``Dal momento che l'amore eÁ sempre questo'' proseguõÁ, ``in quale modo e
in quale azione l'impegno e la tensione di coloro che lo perseguono possono
chiamarsi amore? Quale mai eÁ questa opera? Sei capace di dirlo?''
``Se fossi capace di dirlo, Diotima, io non ti ammirerei'' risposi ``per la sapien-

601
za, ne verrei da te per imparare proprio queste cose!'' «``Allora te lo diroÁ io: eÁ un
parto nella bellezza, sia secondo il corpo sia secondo l'anima.''
``Ci vorrebbe un indovino'' dissi ``per intendere quello che dici! Io non capi-
sco.''
206.c. ``Te lo diroÁ piuÁ chiaramente. Tutti gli uomini, Socrate'' proseguõÁ, ``diven-
tano gravidi secondo il corpo e secondo l'anima e, quando sono giunti a una certa
etaÁ della vita, la nostra natura brama partorire. Partorire nel brutto non eÁ possi-
bile, mentre eÁ possibile nel bello. L'unione dell'uomo e della donna eÁ parto.
Questa eÁ cosa divina: nell'essere vivente che eÁ mortale vi eÁ questo di immortale:
la gravidanza e la procreazione. Ma queste non possono avvenire 206.d. in cioÁ
che sia disarmonico. E disarmonico con tutto cioÁ che eÁ divino eÁ il brutto; il bello eÁ
invece in armonia con esso. Dunque, Callone (la Bellezza) nella generazione ha la
funzione di Moira e di Ilitia1. Per questo cioÁ che eÁ gravido, quando si avvicina al
bello, si allieta e, rallegrato, si effonde, partorisce e genera; quando si avvicina,
invece, al brutto, si rattrista e, addolorato, si contrae e si rinchiude in seÂ, si tira
indietro e non genera, e, tenendo dentro di se cioÁ di cui eÁ gravido; ne soffre molto.
Di qui, in chi eÁ gravido e turgido, nasce 206.e. una forte eccitazione per il bello,
perche puoÁ liberare da grandi doglie chi lo possiede. L'amore, Socrate, non eÁ
desiderio del bello, come ritieni tu.''
``Di che cosa, allora?''
``Di procreare e partorire nel bello.''
``E sia!'', dissi.
E lei rispose: ``EÁ proprio cosõÁ! Ma perche amore della procreazione? Perche la
procreazione eÁ cioÁ che ci puoÁ essere di sempre nascente e di immortale in un
mortale. E per cioÁ che si eÁ convenuto, eÁ necessario che l'immortalitaÁ si 207.a. de-
sideri insieme con il bene, se eÁ vero che Eros eÁ amore di possedere sempre il bene.
Da questo ragionamento consegue, necessariamente, che Eros eÁ anche amore di
immortalitaÁ''.
(Trad. E. Savino)

1. Moira e di Ilitia: Moira eÁ un'entitaÁ


omerica, impersonale, il destino, che
qui Platone trasforma in una personali-
taÁ divina, mentre Ilitia eÁ la dea dei parti.

GUIDA ALL'ANALISI
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

TEMI E CONFRONTI
1. Se l'amore eÁ tendenza ad essere in possesso eterno del bene, qual eÁ l'azione che caratterizza e connota lo sforzo
e la tensione di coloro che amano (206b)? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 5 righe.
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2. In 206c sembra implicito che l'anima non possa «partorire nel brutto». PercheÂ? Motiva la tua risposta in un
elaborato di max 5 righe.
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602
9 Per conoscere cioÁ che eÁ bello in seÂ

Platone
(209a-212b)

La sacerdotessa Diotima delinea infine un itinerario iniziatico che prevede vari stadi e che, alla fine, conduce chi eÁ
educato nelle cose d'amore alla visione del Bello in seÂ: questo non nasce e non muore ma, rimanendo sempre se

Simposio
stesso, fa sõÁ che tutte le altre cose belle partecipino di lui.

209.a. ``Ci sono infatti'' disse ``quelli che sono gravidi nell'anima piuÁ che nei

testi
corpi1, di quelle cose che all'anima si addicono concepire e partorire; e che cosa,
precisamente, si addice all'anima, se non la saggezza e ogni altra virtuÁ? Tra i quali
sono da annoverare tutti i poeti che sono creatori e quelli fra gli artefici che sono
detti inventori. Ma la saggezza di gran lunga piuÁ grande e piuÁ bella eÁ quella che
riguarda l'ordinamento delle cittaÁ e 209.b. delle case, cui si daÁ il nome di tempe-
ranza e di giustizia. E quando uno di costoro fin da giovane abbia l'anima gravida
di queste virtuÁ e, essendo celibe, giunta l'etaÁ, desideri ormai partorire e generare,
egli pure, credo, andando attorno, cerca cioÁ che eÁ bello nel quale possa generare,
perche nel brutto non potraÁ mai generare. Allora, in quanto eÁ gravido, si unisce ai
corpi belli piuÁ che ai brutti. E se mai incontra un'anima bella, nobile e di buona
natura, allora si attacca a questa bellezza, e di fronte a quest'uomo abbonda di
discorsi intorno alla virtuÁ e sul come debba essere l'uomo buono e di quali cose
209.c. debba prendersi cura, e incomincia a educarlo. Venendo a contatto con cioÁ
che eÁ bello, credo, e conversando con lui, partorisce e genera quelle cose di cui era
gravido da tempo; sia quando eÁ presente sia quando eÁ assente lo ricorda sempre, e
insieme a lui alleva cioÁ che eÁ nato. CosõÁ che queste persone hanno fra loro una
comunanza maggiore di quella che daÁ la comunanza dei figli, e una piuÁ solida
amicizia, poiche hanno in comune dei figli piuÁ immortali e piuÁ belli. E ognuno
preferirebbe che gli nascessero figli di questo genere piuttosto che 209.d. figli,
umani, guardando a Omero e a Esiodo2 e invidiando gli altri grandi poeti e le
creature che essi hanno lasciato, le quali procurano loro gloria immortale e
ricordo, immortali esse stesse; o se vuoi'' soggiunse, ``ammirando i figli che
Licurgo3 lascioÁ a Sparta, che furono salvatori di Sparta e, per cosõÁ dire, dell'Ellade.
Da voi eÁ tenuto in onore anche Solone4, per la generazione delle leggi. E ci sono
poi anche altri in molti altri luoghi, e fra gli Elleni e fra i barbari, che hanno dato
alla luce molte e belle opere, generando ogni specie di virtuÁ. Per questi figli sono
stati innalzati a loro giaÁ molti templi, mentre per i figli umani non ne eÁ stato
ancora innalzato a nessuno''.
``Fino a questo punto delle cose d'amore forse, Socrate, anche tu potresti
210.a. essere iniziato; quanto ai riti perfetti e contemplativi cui tendono anche
queste, se si procede in modo giusto, non so se potresti. Ne parleroÁ io'' disse ``e non
risparmieroÁ l'impegno; tu cerca di seguirmi, se ne sei capace. Chi procede'' disse
``per la giusta via verso questo termine, deve cominciare fin da giovane ad
avvicinarsi ai corpi belli, e dapprima -- se chi gli fa da guida lo guida bene -- deve
amare un corpo solo e in quello generare discorsi belli; bisogna poi che rifletta che

1. gravidi nell'anima ... nei corpi: artisti, ed in particolare coloro che 3. i figli che Licurgo ... : cioeÁ le leggi.
si distinguono due modi diversi di gene- amando i bei fanciulli, si impegnano a
rare: uno piuÁ terreno e volgare, secondo renderli nobili ed eccellenti e a guidarli 4. Solone: mentre Licurgo eÁ conside-
cui si genera nei corpi, proprio di coloro alla perfezione morale. rato salvatore non solo di Sparta ma di
che amando donne e, fecondandole, si tutta la Grecia, Solone eÁ "tenuto in ono-
assicurano l'immortalitaÁ attraverso la 2. a Omero e a Esiodo: giaÁ in prece- re da voi", dice all'ateniese Socrate Dio-
prole, mentre l'altro eÁ di coloro che ge- denza si era detto (209a) che soprattutto tima che eÁ di Mantinea.
nerano nell'anima, come i poeti e gli i poihtai* concepiscono con l'anima.

603
il bello presente in un corpo qualsiasi eÁ fratello del 209.b. bello che eÁ in un altro
corpo e che, se si deve tener dietro a cioÁ che eÁ bello per la forma, sarebbe una
grande insensatezza non ritenere una e identica la bellezza che traluce in tutti i
corpi. Dopo aver compreso questo, deve diventare amante di tutti i corpi belli e
moderare l'eccessivo ardore per un corpo solo, disprezzandolo e giudicandolo una
piccola cosa. DovraÁ poi ritenere la bellezza che eÁ nelle anime di maggior pregio di
quella che eÁ nei corpi; e percioÁ, se uno ha un'anima bella, ma ha poco fiore nel
corpo, dovraÁ 209.c. essere pago di amarlo, prendersi cura di lui, e partorire e
ricercare discorsi che potranno rendere migliori i giovani, per essere poi spinto a
considerare il bello che eÁ nelle varie attivitaÁ umane e nelle leggi, e a vedere che
esso eÁ sempre tutto quanto congenere a se stesso, in modo da rendersi conto che il
bello che concerne il corpo eÁ piccola cosa. Dopo le attivitaÁ umane, deve essere
condotto alle scienze, affinche possa vederne anche la bellezza e, guardando
209.d. alla bellezza ormai molteplice, non piuÁ amando come uno schiavo la
bellezza che eÁ in una sola cosa, la bellezza di un giovanetto o di un uomo o di
un'unica attivitaÁ umana, non sia piuÁ, servendo a quella, un uomo da poco e di
animo meschino, e rivolto invece lo sguardo al vasto mare del bello e contem-
plandolo, partorisca molti discorsi, belli e splendidi, e pensieri in un amore del
sapere senza limite, fino a che, rafforzatosi e cresciuto in questo modo, sapraÁ
vedere una scienza unica come questa che riguarda il bello di cui ora ti diroÁ''.
209.e. ``Ora'' disse, ``cerca di fare attenzione quanto piuÁ ti eÁ possibile. Chi eÁ stato
educato fino a questo punto nelle cose d'amore, contemplando una dopo l'altra e
nel modo giusto le cose belle, quando sta per giungere ormai al termine delle cose
d'amore, scorgeraÁ immediatamente qualcosa di bello, per sua natura meraviglio-
so, proprio quello, Socrate, per il quale sono state sostenute tutte le fatiche di
prima: in primo luogo, qualcosa che sempre eÁ, che 211.a. non nasce ne perisce,
non cresce ne diminuisce; qualcosa, inoltre, che non eÁ bello da un lato e dall'altro
brutto, ne talora bello e talora no, ne bello in relazione a una cosa e brutto in
relazione a un'altra, ne bello in una parte e brutto in altra parte, ne quasi che
possa essere bello per alcuni e brutto per altri. E questo bello neppure si mostreraÁ
a lui come un volto, o come delle mani, ne come alcun'altra delle cose di cui il
corpo partecipa; ne gli si mostreraÁ come un discorso e come una scienza, ne come
qualcosa che si trovi in qualcos'altro, per esempio in un essere vivente, oppure in
terra o in cielo, o 211.b. in qualcos'altro, ma si manifesteraÁ in se stesso, per seÂ
stesso, con se stesso, come forma unica che sempre eÁ. Tutte le altre cose belle,
invece, partecipano di quello in un modo tale che, mentre esse nascono e peri-
scono, quello in nulla diventa maggiore o minore, ne patisce nulla''.
``E quando uno, partendo dalle cose di quaggiuÁ, attraverso il retto amore dei
giovanetti, sollevandosi in alto comincia a vedere quel bello, eÁ vicino a toccare il
termine. La giusta maniera di procedere, o di essere condotto da un altro, nelle
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

cose d'amore eÁ questa: prendendo le mosse dalle cose belle di 211.c. quaggiuÁ, al
fine di raggiungere quel bello, bisogna salire sempre, come procedendo per
gradini, da un solo corpo bello a due, e da due a tutti i corpi belli, e da tutti i
corpi belli alle belle attivitaÁ umane, e da queste alle belle conoscenze, e dalle
conoscenze procedere fino a che non si giunga a quella conoscenza che eÁ cono-
scenza di null'altro se non del bello stesso, e cosõÁ, giungendo al termine, conoscere
cioÁ che eÁ il bello in seÂ''.
211.d. ``E Á questo il momento nella vita, caro Socrate'' disse la straniera di Manti-
nea, ``che piuÁ di ogni altro eÁ degno di essere vissuto da un uomo, quando egli
contempla il bello in seÂ. E se mai potrai vederlo, non come l'oro e le vesti ti

604
Platone
sembreraÁ, ne come i bei fanciulli e i giovanetti alla vista dei quali ora tu resti
turbato e sei pronto, tu come molti altri, pur di poter vedere l'amato e stare
sempre insieme a lui, a non mangiare e bere se fosse possibile, ma contemplarlo
solo e stare insieme a lui. Che cosa, dunque, noi dovremmo pensare'' disse, ``se a

Simposio
uno capitasse di vedere il bello in se assoluto, puro, non mescolato, non conta-
minato da carni umane e da colori e da altre sciocchezze mortali, ma potesse
contemplare nella sua forma unica lo stesso bello divino? Consideri'' 212.a. disse

testi
``una vita da poco quella di un uomo che guardasse laÁ e che contemplasse quel
bello con cioÁ con cui si deve contemplare, e rimanesse unito a esso? Non pensi
piuttosto'' soggiunse ``che, lõÁ solo, guardando la bellezza con cioÁ con cui eÁ visibile,
costui partoriraÁ non giaÁ immagini di virtuÁ, dal momento che non si accosta a una
immagine di bello, ma partoriraÁ virtuÁ vere, dal momento che si accosta al bello
vero? E non credi che, generando e coltivando virtuÁ vera, saraÁ caro agli deÁi, e saraÁ,
se mai un altro uomo lo fu, egli pure immortale?''
(Trad. E. Savino)

GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Quanti e quali sono i gradini della scala dell'Eros (210a-211a)? Sintetizza la tua risposta nello schema
seguente:
LA SCALA DELL'EROS

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2. Per quale motivo Platone sceglie una donna, Diotima, quale ``iniziatrice'', ``mistagoga'' di Socrate ai misteri di
Eros? Sapresti precisare status e funzione di questo enigmatico personaggio? Puoi aiutarti leggendo il Per
approfondire riportato qui di seguito.
3. Evidenzia, nel discorso di Diotima, elementi strutturali e linguistici che richiamino un `rituale' dell'iniziazione.
4. Evidenzia le caratteristiche e le modalitaÁ di manifestazione del Bello in seÂ.

Per approfondire
mento dissacrante nei confronti dei convincimenti clas-
Diotima: un mistero femminile? sici'' (L. Furiani) non ci pare, in ogni caso, corretto, in
quanto Diotima non eÁ presentata semplicemente come
Per cioÁ che concerne l'universo femminile, va rilevato che una donna, bensõÁ come una figura sacerdotale (fra l'altro, il
la donna occupa nel Simposio quella posizione marginale nome del luogo da cui proviene ± Mantinea ± puoÁ sug-
che il costume tradizionalmente sanciva (cfr., tra l'altro, gerire per similaritaÁ fonica il termine mantis, ``indovina'').
176 e, quando la flautista viene allontanata dal simposio Diotima appartiene ad un ambito ± quello della religione,
maschile e invitata a suonare per le donne di casa; 181a- delle ``cose divine'' ± nel quale, tradizionalmente, le donne
d, ove l'amore omosessuale fra maschi eÁ giudicato su- avevano un ruolo rilevante e significativo. Ad altre consi-
periore a quello eterosessuale). Unica eccezione eÁ Dio- derazioni dunque ci si deve volgere per penetrare il gioco
tima, cui Platone affida il nucleo teorico piuÁ rilevante sottile ed ambiguo che il testo platonico mette in opera
dell'intero dialogo: le ragioni di tale scelta platonica con l'evocazione di questa voce femminile.
devono essere valutate con cautela: vedere in essa (D. Susanetti, Il Simposio, Marsilio,
``un'ostentata provocazione del filosofo ... un atteggia- Venezia 1992, p. 52)

605
10 Socrate come Marsia (215a-216c)

Dopo che Socrate ha finito il suo discorso, Aristofane sta per replicare quando si sente battere alla porta con
grandeschiamazzo. Agatonemandaunservoa vederechieÁ;pocodopo,entraAlcibiadecompletamenteubriaco,
che pretende di essere condotto da Agatone per bere alla sua salute e in suo onore: appena entrato, comincia ad
incoronare Agatone con nastrie fiori e lo stesso fa, non appena lo vede, con Socrate. Erissimaco allora gli dice che
in quel simposio si era convenuto di limitare le bevute e di comporre invece a turno un elogio di Eros. Alcibiade
pur rifiutandosi di mettersi in gara con gli altri, ubriaco com'eÁ, fa comunque un elogio particolare di Eros.
Ricordiamo che Alcibiade eÁ un esponente di primo piano nella societaÁ ateniese della seconda metaÁ del V
secolo. Discendente della nobile famiglia degli Alcmeonidi e nipote di Pericle, si segnala ben presto per la sua
grande bellezza e le straordinarie doti del suo carattere, nonche come uomo abilissimo e spregiudicato.

Signori miei, io incominceroÁ a lodare Socrate cosõÁ, mediante immagini. Forse egli
crederaÁ che io voglia rappresentarlo in modo ridicolo. Ma l'immagine mira allo
scopo del vero e non a quello del riso. Dico, dunque, che egli assomiglia moltissi-
mo a quei Sileni1, 215.b. messi in mostra nelle botteghe degli scultori, che gli
artigiani costruiscono con zampogne e flauti in mano, e che, quando vengono
aperti in due, rivelano di contenere dentro immagini di deÁi. E inoltre dico che egli
assomiglia al satiro Marsia2. In effetti, o Socrate, neppure tu potresti mettere in
dubbio che nella tua figura sei simile a questi. Che, poi, tu assomigli ad essi anche
in altre cose, ora sta' a sentirlo.
Sei arrogante, no? Se non lo ammetti, io porteroÁ qui dei testimoni. E non sei forse
un suonatore di flauto? Anzi, sei molto piuÁ mirabile di quello. 215.c. Marsia incan-
tava gli uomini mediante strumenti, con la potenza che gli veniva dalla bocca; e cosõÁ
fa ancora oggi chi suona le sue melodie con il flauto. Infatti, io dico che quelle
melodie che suonava Olimpo3 sono di Marsia, che gliele aveva insegnate. Dunque,
le sue musiche, sia che le suoni un bravo flautista sia un flautista di scarso valore, da
sole comunicano ispirazione e manifestano coloro che hanno bisogno degli deÁi e
dell'iniziazione ai misteri, perche sono divine. E tu sei diverso da lui solamente in
questo, ossia che, senza usare strumenti, produci questo stesso effetto con le nude
parole. 215.d. Noi, in ogni caso, quando ascoltiamo qualche altro oratore far
discorsi, anche se molto bravo, non ce ne importa, per cosõÁ dire, un bel niente;
invece, quando uno ascolta te, o sente i discorsi che tu fai riferiti da qualcun altro,
anche se l'oratore che li riferisce eÁ di scarso valore, sia che li ascolti una donna, o un
uomo, o un giovanetto, ne restiamo tutti quanti colpiti e posseduti.
Cari amici, se non rischiassi di sembrare completamente ubriaco, vi riferirei,
con giuramento, che cosa ho provato io stesso nell'ascoltare i discorsi di quest'uo-
mo, e anche ora continuo a provare. 215.e. Infatti, quando io lo ascolto, nel
sentire le sue parole, mi batte il cuore e mi vengono le lacrime, molto piuÁ che
ai coribanti4; e vedo che moltissimi altri provano le stesse cose. Invece, quando
ascoltavo Pericle5 e altri bravi oratori, pensavo che parlassero bene, ma non
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

1. Sileni: come i satiri, erano esseri di l'interno, e apribili in modo da riporvi buita l'``invenzione'' di alcune melodie.
natura ibrida, con testa e tronco umani, delle statuette di divinitaÁ.
zampa e coda animaleschi; facevano 4. coribanti: erano sacerdoti di Cibe-
parte del corteo di Dioniso e con le loro 2. Marsia: i satiri sono simili ai sileni e le, che si esibivano in canti e danze
smoderatezze e la loro impudenza rap- sono spesso confusi con quelli. Marsia frenetiche.
presentavano nella festa dionisiaca l'an- aveva sfidato ad una gara di musica
titesi della cultura e dell'ordine insiti Apollo, ma fu da lui vinto e scuoiato vivo. 5. Pericle: la fama di oratore di cui
nella polis. I sileni di cui parla qui Alci- godeva Pericle eÁ ricordata piuÁ volte dal-
biade erano statuette che si trovavano 3. Olimpo: non abbiamo molte noti- lo stesso Platone, tra l'altro in Fedro 269
nelle botteghe degli scultori, vuote al- zie su Olimpo; a lui doveva essere attri- e Protagora 329.

LA VOCE DELLA CRITICA "Le maschere


606 del Simposio, p. 640
Platone
sentivo qualcosa di simile, ne la mia anima veniva messa in tumulto, ne si
arrabbiava, come se io mi trovassi nelle condizioni di schiavo. Ma nel sentire
questo Marsia qui, piuÁ volte 216.a. mi sono trovato in una situazione di questo
genere, tanto da sembrarmi che non valesse piuÁ la pena di vivere, comportandosi

Simposio
come mi comporto io.
E queste cose, o Socrate, non dirai che non siano vere. E anche ora so bene
che, se volessi prestargli orecchio, non saprei opporgli resistenza, ma proverei le

testi
medesime cose. Infatti, egli mi costringe ad ammettere che, pur avendo molte
mancanze, io non mi prendo ancora cura di me stesso e, invece, mi occupo delle
cose degli Ateniesi6.
A viva forza, quindi, come dalle Sirene7, io me ne allontano, turandomi le
orecchie e dandomi alla fuga. Io non voglio proprio invecchiare 216.b. stando
seduto qui, vicino a lui.
E solamente nei confronti di quest'uomo io ho provato quello che nessuno
penserebbe esserci dentro di me, ossia il vergognarsi di fronte a qualcuno. Solo di
fronte a lui, in veritaÁ, io mi vergogno. Infatti, io sono ben consapevole di non
essere in grado di contraddirlo, mostrandogli che non bisogna fare le cose che egli
mi esorta a fare. Ma poi, non appena io mi allontano da lui, mi lascio avvincere
dagli onori che la moltitudine tributa. PercioÁ mi sottraggo a lui e lo rifuggo. E
quando lo rivedo, mi vergogno per quelle cose che mi aveva fatto ammettere.
216.c. E piuÁ volte mi viene voglia di non vederlo piuÁ fra i vivi. Ma se questo, poi, si
verificasse, so bene che proverei un dolore molto maggiore: e, allora, io non so
proprio come regolarmi con quest'uomo.
(Trad. G. Reale)

6. delle cose degli Ateniesi: in un cose'' ± afferma Socrate ± non puoÁ 200) in cui Ulisse tappa le orecchie dei
altro dialogo, l'Alcibiade I, Socrate invi- prendersi cura degli interessi comuni. compagni perche non siano sedotti dal-
ta il giovane e ambizioso Alcibiade a l'ammaliante canto delle Sirene.
seguire il precetto delfico di conoscere 7. Sirene: si fa riferimento al celebre
se stessi, infatti chi ``ignora le proprie episodio dell'Odissea (XII, 37-54 e 154-

GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Compila una scheda di 20 righe su Alcibiade, cercandone notizie anche sul tuo manuale di storia greca.
2. Soffermati sugli effetti prodotti dai discorsi di Socrate sul destinatario. Elabora uno scritto di max 10 righe.
3. Come si evince dalla lettura di Reale (Le maschere del Simposio p. 640), la vicenda del rifiuto di Alcibiade
(e$rv*menoQ) da parte di Socrate (e$rasth*Q) segna, attraverso un'esperienza presentata come effettiva, il profondo
cambiamento attuato da Diotima/Socrate nella concezione della relazione tra amante e amato. Spiega come era
concepita tale relazione nella cultura tradizionale e come, invece, da Socrate.

607
11 Ha qualitaÁ che nessuno possiede
In 216d-219a Alcibiade racconta come ha sempre desiderato conoscere a fondo la sapienza di Socrate:
(219d-222b)

vedendolo osservare con interesse i bei ragazzi ed essendo ben consapevole della propria bellezza, avrebbe
avuto piacere di essere sedotto da lui per poter aver in cambio il dono di quella sapienza. Ma Socrate si eÁ sempre
mostrato incorruttibile, verso la bellezza come verso il denaro, cosõÁ che gli approcci di Alcibiade non hanno sortito
alcun effetto. Nel passo che segue Alcibiade elogia Socrate per la sua karteri* a (fino a 220d) e la sua a$ndrei* a
(fino a 221c).

219.d. Dopo questo1, quale credete che fosse il mio proposito, dal momento che,
da un lato, mi pareva d'essere stato disprezzato2 e, dall'altro, ammiravo la sua
natura, la sua temperanza e la sua fortezza, e mi ero imbattuto in un uomo quale
non avrei mai creduto di trovare, per saggezza e forza d'animo?
Pertanto, io non ero in condizione ne di adirarmi con lui e di privarmi della sua
compagnia, ne trovavo espedienti con cui attirarlo a me. 219.e. Sapevo bene,
infatti, che era da ogni parte invulnerabile dalle ricchezze piuÁ di quanto non lo
fosse Aiace dal ferro3, mi era sfuggito proprio in quella cosa con cui soltanto
credevo che potesse essere preso. PercioÁ mi trovavo privo di espedienti e, fatto
schiavo da quest'uomo come nessuno da nessun altro, gli giravo intorno.
Tutte queste cose erano giaÁ accadute, quando ci trovammo insieme nella
campagna militare di Potidea4, e laÁ eravamo compagni di mensa.
Prima di tutto, nelle fatiche era superiore non solo a me, ma anche a tutti gli
altri. Quando, restando isolati da qualche parte, come avviene in guerra,
220.a. eravamo costretti a rimanere senza cibo, gli altri, nel resistere alla fame,
non valevano nulla nei suoi confronti. Ma quando c'erano molte provviste, era il
solo che sapesse godersele, e, fra le altre cose, anche nel bere, quando era costretto
a farlo anche se non lo voleva spontaneamente, batteva tutti. E la cosa piuÁ
straordinaria di tutte eÁ che nessun uomo ha mai visto Socrate ubriaco.
Nella sua resistenza, poi, ai freddi dell'inverno che laÁ sono terribili, fece cose
mirabili. Fra l'altro 220.b. una volta, essendoci una gelata veramente terribile,
mentre noi tutti ce ne stavamo al coperto senza uscire, o, se uscivamo, ci avvol-
gevamo in una incredibile quantitaÁ di indumenti, e si calzavano e avvolgevano i
piedi con panni di feltro e pelli di agnello, costui, invece, uscõÁ fuori con addosso
quello stesso mantello che anche prima soleva portare, e si muoveva scalzo sul
ghiaccio, meglio degli altri che avevano ai piedi i calzari, e i soldati lo guardavano
220.c. irritati, come se li mortificasse.
Su questo basti quanto ho detto. Ma quel che fece e sopportoÁ il forte eroe5, laÁ, una
volta in quella campagna, vale la pena di ascoltarlo.
Preso da qualche pensiero, era rimasto in piedi fermo al medesimo posto a
meditare fino all'alba; e poiche non riusciva a venirne a capo, non desisteva e
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

rimaneva lõÁ fermo, continuando a cercare. Era ormai mezzogiorno e gli uomini se

1. Dopo questo: dopo il tentativo di sua grande ammirazione per Socrate. belloÁ ad Atene nel 432 e resistette all'as-
Alcibiade di ``sedurre'' Socrate e il rifiu- sedio ateniese fino al 429.
to di quest'ultimo. 3. dal ferro: secondo una versione del
mito che conosciamo da Pindaro, Istmi- 5. ... forte eroe: eÁ una citazione ± leg-
2. d'essere stato disprezzato: per- ca 6, 47ss. e da Eschilo, fr. 83, Aiace era germente modificata per adattarla al
che la sua bellezza non era stata tenuta invulnerabile in tutto il corpo tranne discorso ± di Odissea IV, 242, dove Ele-
nella considerazione meritata. Alcibia- che nell'ascella. na rievoca l'audace impresa di Odisseo
de era confuso e perplesso, diviso fra che, travestito, era riuscito a penetrare
il risentimento per l'offesa patita e la 4. Potidea: cittaÁ della Calcidica, si ri- a Troia.

608
Platone
ne erano accorti e, stupiti, dicevano l'uno all'altro che Socrate se ne stava lõÁ fin
dall'alba in piedi a pensare qualcosa. Alla fine, alcuni soldati ionici, quando era
venuta la sera, dopo che avevano cenato, 220.d. poiche era estate, portarono fuori
il loro letto da campo, e, mentre riposavano al fresco, lo sorvegliavano, per vedere

Simposio
se restasse laÁ in piedi tutta la notte. E lui rimase veramente in piedi finche venne
l'alba e si levoÁ il sole. E poi, rivolta una preghiera al sole, si mosse e se ne andoÁ.
E se volete, parliamo di lui nelle battaglie. EÁ giusto, infatti, rendergliene

testi
merito.
Quando ci fu la battaglia in cui gli strateghi diedero a me il premio di valore,
nessun altro uomo mi salvoÁ la vita 220.e. se non costui, che non volle abbando-
narmi ferito, e riuscõÁ a trarre in salvo me stesso e le armi insieme. E io, Socrate, giaÁ
allora esortai gli strateghi a dare a te il premio al valore; e quanto a questo non
potrai farmi rimproveri, ne potrai dire che io mento. Ma gli strateghi, per riguar-
do alla mia posizione sociale6, volevano dare a me il premio al valore, e tu ti sei
dato piuÁ premura degli strateghi perche il premio lo ricevessi io e non tu.
E poi ancora, o amici, valeva davvero la pena contemplare Socrate quando da
Delio7 221.a. l'esercito si ritirava in fuga. Mi capitoÁ di trovarmi accanto a cavallo,
mentre lui era a piedi con armi pesanti8. Mentre gli altri si erano giaÁ dispersi9,
costui si ritirava insieme con Lachete10. Io, capitando lõÁ e vedendoli, subito li
esortai a farsi coraggio e dissi che non li avrei abbandonati. E qui io potei
contemplare Socrate meglio che a Potidea, dato che avevo meno paura, percheÂ
ero a cavallo, e vedere anzitutto quanto fosse superiore 221.b. a Lachete per
presenza di spirito. E poi mi pareva, o Aristofane, per dirla con le tue parole,
che anche laÁ camminasse come qui a testa alta e gettando occhiate di traverso11, cioeÁ
guardando di sbieco amici e nemici, per fare intendere a tutti, anche da lontano,
che, se qualcuno lo avesse attaccato, si sarebbe difeso con molto vigore. E percioÁ si
ritirava con sicurezza, e con lui il suo compagno. Infatti, chi si comporta in questa
maniera i nemici non lo toccano neppure e inseguono, invece, chi fugge in
disordine.
221.c. Di molte e di altre straordinarie cose si potrebbe continuare a lodare
Socrate. Ma per queste altre qualitaÁ si potrebbero dire le stesse cose anche di altri.
Invece, del fatto che egli non sia simile a nessuno degli uomini, ne degli antichi neÂ
dei contemporanei, questa eÁ la cosa degna di ogni meraviglia.
Infatti, Achille12 per le qualitaÁ che ebbe si potrebbe paragonare anche a
Brasida o ad altri, e le qualitaÁ di Pericle si potrebbero paragonare anche a quelle
di Nestore e Antenore; e ci sono anche altri esempi. 221.d. E allo stesso modo si
potrebbe fare il paragone anche per altri.

6. posizione sociale: si ricordi che 9. si erano giaÁ dispersi: si intenda 12. Achille: ad Achille seguono esem-
Alcibiade discendeva da una delle fami- gli Ateniesi. pi di grandi guerrieri ed oratori: Bra-
glie piuÁ nobili e potenti di Atene. sida (valoroso comandante spartano
10. Lachete: fu stratego nel 427 e nel caduto ad Anfipoli nel 422) eÁ accosta-
7. Delio: a Delio, ai confini con la Beo- 418, quando morõÁ nella battaglia di to ad Achille per il valore; Pericle eÁ
zia, un esercito ateniese fu annientato Mantinea; nel dialogo socratico che paragonato a Nestore e ad Antenore,
dai Tebani nel 424. prende il suo nome elogia il valore di figure mitiche di saggi per le capacitaÁ
Socrate a Delio. oratorie.
8. armi pesanti: secondo la divisione
censitaria, i cavalieri erano piuÁ agiati 11. ... di traverso: si tratta di una ci-
degli opliti, perche potevano permetter- tazione da Nuvole 362s.; tuttavia, nella
si il mantenimento del cavallo con il commedia, Socrate eÁ ridicolizzato, tron-
relativo equipaggiamento. fio e presuntuoso del suo sapere.

609
Ma non si troverebbe, cercandolo, un uomo fuori del normale simile a costui, sia
per quello che lui stesso eÁ sia per i discorsi che fa, neppure uno che gli si avvicini,
ne fra i contemporanei ne fra gli antichi. A meno che non lo si paragoni a quello
che io dico, ossia non a uomini, ma ai Sileni e ai Satiri, e lui e i suoi discorsi.
Anche questo in principio non vi ho detto: che i suoi discorsi assomigliano
moltissimo ai Sileni che si aprono.
221.e. Infatti, se uno intendesse ascoltare i discorsi di Socrate, gli potrebbero
sembrare del tutto ridicoli: tali sono i termini e le espressioni con cui sono avvolti
dal di fuori, appunto come la pelle di un arrogante Satiro. Infatti, parla di asini da
soma e di fabbri e di calzolai e conciapelli, e sembra che dica sempre le medesime
cose con le medesime parole13, al punto che ogni uomo che non lo abbia praticato
e non capisca 222.a. riderebbe dei suoi discorsi.
Ma se uno li vede aperti ed entra in essi, troveraÁ, in primo luogo, che sono i soli
discorsi che hanno dentro un pensiero, e, poi, che sono divinissimi e hanno in seÂ
moltissime immagini di virtuÁ, e che mirano alla maggior parte delle cose, e anzi,
meglio ancora, a tutte quelle cose sulle quali deve riflettere colui che vuole
diventare un uomo buono.
Queste, o amici, sono le cose per cui elogio Socrate. E mescolando anche con
esse le cose per cui lo biasimo, io ho riferito le cose per cui mi ha offeso.
Del resto, 222.b. non ha fatto questo solo a me, ma anche a Carmide14 figlio di
Glaucone, a Eutidemo figlio di Diocle e a moltissimi altri, che costui ha ingannato
presentandosi loro come amante, per mettersi nelle condizioni di diventare lui
stesso l'amato invece che l'amante15.
«Queste cose le dico anche a te, o Agatone, perche tu non ti debba lasciar
ingannare da quest'uomo, ma, venuto a conoscenza delle cose che ci sono capi-
tate, te ne stia in guardia, perche non ti accada, come dice il proverbio16, di
imparare come l'improvvido, dopo aver sofferto».
(Trad. G. Reale)
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

13. con le medesime parole: la ri- 14. Carmide: figlio di Glaucone, era 15. l'amante: in quanto, fingendo di
petitivitaÁ eÁ una delle caratteristiche del zio materno di Platone, che gli intitoloÁ corteggiare la loro bellezza, suscita inve-
dialogo socratico: egli stesso in Apologia il dialogo sulla temperanza, mentre Eu- ce in quelli la passione per i suoi discorsi.
30e, si definisce assillante come un tafa- tidemo eÁ un altro devoto discepolo di
no; in Gorgia 490e-491a, Callicle lo ac- Socrate, ricordato piuÁ volte nei Memora- 16. proverbio: questo proverbio eÁ ci-
cusa invece di parlar sempre di ``calzo- bili di Senofonte e da non confondere tato in varie forme, ad esempio in Esio-
lai, cardatori, cuochi e medici''. EÁ stato con il presuntuoso sofista cui si intitola do (Le opere e i giorni 218) ``a sue spese
osservato che, d'altronde, il riferimento un altro dialogo platonico. anche lo sciocco apprende''.
continuo di Socrate al lavoro degli arti-
giani e alle tecniche deve essere inteso
in riferimento alla tesi socratica, secon-
do la quale la virtuÁ eÁ scienza.

610
GUIDA ALL'ANALISI

Platone
TEMI E CONFRONTI
1. Alcibiade, con fare agiografico, mette a fuoco, attraverso degli esempi tratti dalla sua biografia, due particolari
qualitaÁ di Socrate. Compila una scheda che realizzerai sul tuo quaderno secondo l'esempio:

Simposio
QUALITAÁ AZIONI CHE NE METTONO IN LUCE IL POSSESSO DA PARTE DI SOCRATE

karteri* a Durante l'assedio di Potidea sta a lungo senza mangiare


..................................................................................................................................
..................................................................................................................................

testi
..................................................................................................................................

a$ndrei* a ..................................................................................................................................
..................................................................................................................................
..................................................................................................................................

2. Sottolinea i punti in cui si insiste sul motivo della straordinaria singolaritaÁ di Socrate.
3. Riproponi, nello schema seguente, il ritratto di Socrate (segui le indicazioni):
RITRATTO DI SOCRATE

" aspetto fisico


(ne abbiamo evidenza dal confronto con i sileni ed i grosso ventre, labbra tumide, naso camuso ed occhi
satiri, esseri di natura ibrida, umana ed animalesca) sporgenti

" abbigliamento .......................................................................................


.......................................................................................

" carattere .......................................................................................


(per definirne gli aspetti, ricorri ad aggettivi) .......................................................................................

" eloquio .......................................................................................


.......................................................................................

STILE E RETORICA
4. Evidenzia le caratteristiche dei discorsi di Socrate, quali emergono dal testo.
Perche vengono assimilati ai Sileni che si aprono?
5. Evidenzia i punti di contatto fra l'aspetto fisico di Socrate e quello di Eros (nel discorso di Socrate, p. 599).
Spiega poi il motivo di questa coincidenza certamente non casuale.
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6. Dopo aver letto i testi tratti dal Simposio e le pagine di Reale (pp. 640 ss.) puoi riconoscere la ``cornice'' in cui il
dialogo eÁ collocato e la sovrapposizione di piani cronologici e di livelli narrativi e drammatici che la sua
struttura presenta. Evidenzia tutto questo in un elaborato di 30 righe, spiegandone la funzione e l'importanza ai
fini della trasmissione del pensiero.
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611
Fedone

12 Introduzione al dialogo (59d-63b)

Il Fedone ha un'importanza particolare nell'opera di Platone, sia per la testimonianza che l'autore vi ha reso alla
memoria di Socrate, sia per le dottrine specificatamente platoniche che vi sono esposte in modo organico.
Argomento del dialogo eÁ la morte di Socrate. Prima di bere la cicuta, il filosofo si intrattiene a lungo con alcuni dei
suoi discepoli piuÁ devoti, tra cui Critone, Fedone, Apollodoro e due pitagorici di Tebe, Simmia e Cebete, e discute
con loro di un tema che aveva giaÁ affrontato in molte occasioni, ma che in quel momento si imponeva con
urgenza alla sua come alla loro attenzione: la sopravvivenza delle anime dopo la morte.
All'inizio del dialogo, Fedone incontra Echecrate, che gli chiede se era stato presente alla morte di Socrate,
e se ricorda quali discorsi questi aveva tenuto con gli amici. Fedone risponde volentieri.

59.d. CercheroÁ di raccontarti ogni cosa da principio.


Sempre, anche nei giorni prima, io e gli altri eravamo soliti far visita a Socrate. Ci
radunavamo di buon'ora nel tribunale in cui si svolse il processo, perche si trovava nei
pressi del carcere. Restavamo lõÁ, ogni volta, fino a quando il carcere non fosse aperto,
discorrendo fra noi; infatti, non si apriva di buon'ora. Poi, appena aperto, entravamo
da Socrate, e trascorrevamo con lui, per lo piuÁ, la maggior parte della giornata.
Ebbene, anche quel giorno ci radunammo, ma ancora piuÁ presto, perche la
sera prima, 59.e. quando uscimmo dal carcere, sentimmo dire che era giunta la
nave da Delo1. Ci demmo parola di incontrarci la mattina dopo al solito posto, il
piuÁ presto possibile.
E ci trovammo.
Il portinaio che era solito aprirci, ci venne incontro e ci disse di attendere e di
non entrare prima che egli ce ne desse il permesso, e soggiunse: «Gli Undici ora
sciolgono Socrate2 e gli danno l'annuncio che oggi egli deve morire».
Dopo poco ritornoÁ e ci invitoÁ a entrare.
Entrammo, dunque, 60.a. e trovammo Socrate da poco slegato e Santippe3 --
tu la conosci -- col loro figlio piccolo4 in braccio, seduta accanto a lui.
Non appena ci vide, Santippe incomincioÁ a lamentarsi e a dire quelle cose che
le donne sono solite dire: «O Socrate, questa eÁ l'ultima volta che i tuoi amici
parleranno con te e tu parlerai con loro!». E Socrate, rivolto lo sguardo a Critone,
disse: «O Critone, qualcuno la porti a casa!».
E alcuni del seguito5 di Critone la portarono a casa, mentre ella gridava 60.b. e
si batteva il petto.
E Socrate, ponendosi a sedere sopra il letto, ripiegoÁ la gamba e la sfregoÁ con la
mano, e mentre la sfregava, disse: «Quanto eÁ mai strano questo che gli uomini
chiamano piacere e in quale straordinaria maniera si comporta verso quello che
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

1. Delo: in ricordo dell'impresa che della nave appresa la sera prima signi- 3. Santippe: la moglie di Socrate.
vide vincitore Teseo contro il Minotau- ficava che la morte di Socrate era ormai
ro, gli Ateniesi inviavano tutti gli anni imminente. 4. piccolo: cioeÁ MeneÁsseno, il piuÁ pic-
una nave a Delo, ad offrire un sacrificio colo dei tre figli di Socrate. Gli altri due
di ringraziamento ad Apollo e, fino al 2. sciolgono Socrate: i carcerati por- si chiamavano LaÁmprocle e Sofronisco.
momento del ritorno della sacra amba- tavano una catena al piede e, prima
sceria, non era lecito eseguire condanne dell'esecuzione, i magistrati che so- 5. del seguito: una persona di condi-
a morte. La partenza della nave era vraintendevano alle carceri, appunto zione sociale elevata andava in giro ac-
avvenuta il giorno stesso della condan- gli Undici qui nominati, li liberavano compagnata da alcuni schiavi, che in
na di Socrate, e per questo l'esecuzione e davano le disposizioni necessarie per questo caso avranno aspettato fuori gli
era stata rinviata. La notizia del ritorno procedere all'esecuzione stessa. ordini del padrone.

612
Platone
pare il suo contrario, il dolore! Essi non vogliono mai stare insieme ambedue
nell'uomo; ma, se qualcuno insegue e prende uno dei due, eÁ pressoche costretto a
prendere sempre anche l'altro, quasi che essi, pur essendo due, pendessero da un
unico capo. 60.c. E credo che, se Esopo6 ci avesse pensato, ne avrebbe tratta una

Fedone
favola: cioeÁ che il dio, volendo pacificare questi due che si fanno la guerra, dal
momento che non poteva, legoÁ i loro estremi ad un medesimo capo: e, cosõÁ, dove
compare l'uno, subito dopo segue anche l'altro. E questo appunto pare che sia

testi
capitato anche a me: mentre, prima, qui nella gamba c'era il dolore prodotto dalla
catena, ora ecco che a quello vien dietro il piacere».
Allora prese la parola Cebete e disse: «Per Zeus! Hai fatto bene a ricordarme-
lo, o Socrate. Infatti a proposito 60.d. delle poesie che hai composto mettendo in
versi le favole di Esopo e l'inno di Apollo, alcuni, e in particolare Eveno7 l'altro
ieri, mi hanno domandato con quale intenzione ti fossi messo a fare queste cose,
da quando sei venuto qua, mentre non le avevi mai fatte prima. Se ti sta a cuore
che io abbia di che rispondere a Eveno, quando egli mi domanderaÁ di nuovo -- e
so bene che me lo domanderaÁ --, ebbene, dimmi che cosa debbo rispondere».
O Cebete -- disse --, devi rispondere la veritaÁ, e cioeÁ che io ho composto queste
poesie non con l'intenzione di gareggiare con lui e con i suoi carmi, 60.e. percheÂ
sapevo bene che questo non era facile; ma le ho composte per mettere a prova
certi sogni e intendere che cosa volessero dire, e per liberarmi da uno scrupolo, se
mai fosse stata proprio questa la musica che essi spesso mi comandavano di fare.
Infatti, nella mia vita passata, mi capitoÁ, spesso, di sognare il medesimo sogno,
ora sotto una forma ora sotto un'altra, che mi ripeteva sempre la medesima cosa:
``Socrate, componi e pratica musica!'' E io, per il passato, ritenni che il sogno mi
stimolasse e mi spronasse a fare quello che giaÁ stavo facendo. 61.a. E come coloro
che incoraggiano quelli che corrono, cosõÁ io credevo che il sogno mi volesse
incoraggiare a fare quello che facevo, cioeÁ a fare quella musica che giaÁ facevo,
in quanto la filosofia eÁ la musica piuÁ grande.
Ma, dopo che il processo ha avuto luogo e la festa del dio ha differito la mia
morte, mi parve opportuno, nel caso che il sogno mi comandasse di fare proprio
questa musica nel senso comune del termine, di non disubbidirgli e di farla,
perche era piuÁ sicuro non andarmene prima di essermi liberato dallo scrupolo,
61.b. facendo poesie e ubbidendo a quel sogno.
E, cosõÁ, per prima cosa, composi un carme al dio di cui ricorreva la festa. E,
dopo aver composto quel carme al dio, pensando che un poeta, se vuole essere
veramente poeta, debba comporre miti e non discorsi, e, d'altra parte, non essendo
io un creatore di miti, per questo misi in versi i racconti di Esopo, che avevo a
portata di mano e sapevo a memoria, nell'ordine in cui mi capitavano in mente.
«Questo, o Cebete, devi riferire a Eveno; e anche che io gli do il mio addio e
che, se eÁ saggio, mi deve seguire al piuÁ presto. 61.c. Io, come pare, me ne vado
oggi stesso, perche cosõÁ gli Ateniesi comandano».
E Simmia: «Che invito eÁ mai questo che mandi a Eveno, o Socrate? Mi eÁ
capitato di trovarmi con lui parecchie volte, ma, per la veritaÁ, dall'impressione che
ho avuto, non mi sembra che abbia alcuna intenzione di ubbidirti».
«Ma come? Non eÁ un filosofo Eveno?», disse.
A me pare proprio di sõÁ», rispose Simmia.

6. Esopo: scrittore di favole di origine 7. Eveno: Eveno di Paro (V sec. a.C.)


tracia, vissuto intorno al VI secolo a.C. fu sofista e poeta.

613
«Allora vorraÁ seguirmi non solo Eveno, ma anche chiunque altro pratichi la
filosofia come si deve; peroÁ non dovraÁ fare violenza a se medesimo, perche dicono
che questo non sia lecito». E, mentre diceva queste cose, posoÁ 61.d. le gambe a
terra, e, stando cosõÁ seduto, continuoÁ tutto il resto del suo ragionamento.
Allora Cebete gli domandoÁ: «Come puoi sostenere, o Socrate, che non eÁ lecito
fare violenza contro se stessi, e che, d'altro canto, il filosofo dovrebbe aver voglia
di seguire chi muore?».
«Ma come, o Cebete? Tu e Simmia, quando siete stati con Filolao8, non avete
sentito parlare di queste cose?».
«Certamente, ma nulla di chiaro, o Socrate».
«Ma anch'io ne parlo per sentito dire. Tuttavia, niente mi impedisce di dirvi quello
che mi eÁ accaduto di sentire. E, del resto, 61.e. eÁ la cosa piuÁ conveniente di tutte, per
chi eÁ sul punto di intraprendere il viaggio verso l'altro mondo, indagare con la ragione
e discorrere con miti su questo viaggio verso l'altro mondo e dire come crediamo che
sia. Se no, che altro si potrebbe fare in tutto questo tempo fino al tramonto del sole?»
«E percheÂ, allora, dicono che non eÁ lecito uccidere se stessi, o Socrate? Che
non si debba fare questo, come tu ora dicevi, l'ho giaÁ sentito anche da Filolao,
quando egli era con noi, e anche da alcuni altri. Ma qualcosa di chiaro su questo
non l'ho sentito mai da nessuno».
62.a. «Allora -- disse --, devi rassicurarti! Presto la potrai udire. A te, forse, faraÁ
meraviglia che solo questo caso, fra tutti gli altri, non ammetta eccezioni, e che non
accada mai che, per l'uomo, cosõÁ come avviene per le altre cose, si possano eccet-
tuare casi o persone per cui sia meglio morire che vivere. E, forse, ti faraÁ meraviglia
che anche per costoro, per i quali eÁ meglio morire, non sia cosa santa fare a se stessi
questo beneficio e che, invece, debbano stare ad aspettare un altro benefattore!».
E Cebete, nel suo dialetto, ridendo tranquillamente, disse: «Ci capisca Zeus!».
62.b. E Socrate: «Certo, detta cosõÁ, la cosa pare non ragionevole; eppure una sua
ragione, forse, ce l'ha. Quello che viene espresso a questo proposito nei misteri9, che
noi uomini siamo come chiusi in una custodia, e che, percioÁ, non dobbiamo liberar-
cene e fuggire, mi sembra un profondo pensiero non facile da penetrare. Ma questo
almeno, o Cebete, mi pare che sia ben detto: che sono gli deÁi quelli che si prendono
cura di noi, e che noi siamo un possesso degli deÁi. O non ti pare che sia cosõÁ?».
«A me sõÁ», rispose Cebete.
62.c. «Allora anche tu -- disse Socrate --, se mai qualcuno che fosse tuo possesso
uccidesse se stesso, senza che tu gli avessi dato alcun segno di volere la sua morte, non ti
infurieresti contro di lui, e, se potessi infliggergli qualche punizione, non lo puniresti?».
«Certo», rispose.
«Allo stesso modo, dunque, non eÁ cosa irragionevole che nessuno debba
uccidere se stesso prima che il dio non gli mandi un necessario comando, come
ha fatto ora con noi».
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

«Questo mi pare naturale -- disse Cebete --. Ma quello che poco fa affermavi,
cioeÁ che i filosofi dovrebbero volere di buon animo 62.d. la morte, a me pare
insensato, o Socrate, se quello che dicevamo prima era sensato, vale a dire che il
dio eÁ colui che ha cura di noi e che noi siamo suo possesso. Infatti, che gli uomini

8. Filolao: filosofo pitagorico, attivo a 9. misteri: eÁ possibile che qui si alluda


Tebe intorno alla metaÁ del V secolo. ai misteri orfici.
Fra i suoi allievi, come apprendiamo
da qui, ci furono anche Simmia e Ce-
bete.

614
Platone
piuÁ saggi non si rammarichino di uscire da questo servizio in cui sono tutelati dai
migliori tutori che esistano, quali sono appunto gli deÁi, eÁ cosa che non ha senso.
Ne si puoÁ credere che uno sia convinto di provvedere a se stesso con maggiore
vantaggio, una volta liberatosi da quel servizio. Un folle potrebbe credere questo e

Fedone
pensare che si deve fuggire 62.e. dal padrone; e solo un folle non penserebbe che
non si deve fuggire dal padrone buono, ma che, anzi, conviene rimanere con lui, e
che, fuggendo, si commetterebbe una follia. Invece chi eÁ saggio desidera stare

testi
sempre accanto a chi eÁ migliore di lui. Ma, se si ragiona cosõÁ, risulta naturale
esattamente il contrario, o Socrate, di quello che prima si diceva, ossia che ai saggi
conviene rammaricarsi della morte, agli stolti rallegrarsene».
Socrate, udito questo, mi parve compiacersi di 63.a. quella vivace argomenta-
zione di Cebete, e, rivolgendo verso di noi lo sguardo, disse: «Cebete tira sempre
fuori ragionamenti nuovi e non si lascia mai convincere immediatamente da
quello che uno gli dice».
E Simmia: «Ma questa volta, o Socrate, sembra anche a me che Cebete abbia
qualche ragione: perche mai uomini veramente sapienti si sottrarrebbero a padroni
migliori di loro e se ne andrebbero lontano da essi cosõÁ facilmente? E mi sembra che
Cebete rivolga il suo ragionamento proprio a te, che sopporti cosõÁ a cuor leggero di
abbandonare sia noi, sia quei buoni governanti, che sono, come tu dici, gli deÁi!».
E Socrate rispose: «Dite cose giuste! Credo, infatti, 63.b. che voi vogliate dire
che io, di fronte a queste obiezioni, mi debbo difendere come se fossi in tribunale».
«Proprio cosõÁ», disse Simmia. (Trad. G. Reale)

GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Luogo
" Dove si colloca la scena del dialogo narrato?
................................................................................................................................................................................

2. Tempo
" Quando si svolge il dialogo narrato?
................................................................................................................................................................................

3. Il viaggio della nave di Delo lega, in una sorta di trilogia, Apologia, Critone, Fedone. PercheÂ?
.....................................................................................................................................................................................

4. Personaggi
Desumi, dal testo che ti proponiamo in traduzione, le informazioni relative ai personaggi indicati in tabella:

Fedone ...........................................................................................................................................................

Portinaio ...........................................................................................................................................................

Santippe ...........................................................................................................................................................

Critone ...........................................................................................................................................................

Cebete ...........................................................................................................................................................

Eveno ...........................................................................................................................................................

Simmia ...........................................................................................................................................................

5. Che cosa significa per Platone l'espressione «la filosofia eÁ la musica piuÁ grande» (61a)?
6. Qual eÁ il messaggio di Socrate? Cosa desidera massimamente il filosofo?
7. Qual eÁ il contenuto dell'obiezione di Cebete? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 5 righe.
8. Proponi in un elaborato di max 10 righe le argomentazioni usate da Socrate contro il suicidio.

615
13 La morte Dopo aver proposto tre prove dell'immortalitaÁ dell'anima (rispettivamente in 69e-77d, in 78b-80b e in
(115b-118a)

95a-107b), Socrate introduce un secondo mito escatologico relativo al destino delle anime dopo la morte
che si accompagna ad alcune considerazioni di tipo etico (107c-115a). La sua conclusione eÁ che certo
non si puoÁ essere sicuri che tutto sia proprio come lui ha ipotizzato, ma dato che l'anima eÁ immortale e che
siamo convinti che gli deÁi si prenderanno cura dei buoni, qualcosa di buono dopo la morte si puoÁ sperare.
Per questo, Socrate crede che non debba aver paura del trapasso chi in vita ha saputo rinunciare ai piaceri
del corpo e ha coltivato esclusivamente la propria anima nella pratica della virtuÁ e aggiunge di essere
pronto per il suo viaggio. Va cosõÁ a lavarsi per non dare alle donne il fastidio di pulire il cadavere.

115.b. Tay&ta dh+ ei$ po*ntoQ ay$toy& o< Kri* tvn, ``Ei#en'', e> fh, ``v# Sv*krateQ " ti* de+
toy*toiQ h/ e$ moi+ e$ piste* lleiQ h/ peri+ tv&n pai* dvn h/ peri+ a>lloy toy, o%ti a>n soi
poioy&nteQ h<mei& Q e$ n xa*riti ma*lista poioi& men;''
`` %Aper a$ei+ le* gv'', e> fh, ``v# Kri* tvn, oy$de+ n kaino*teron " o%ti y<mv&n ay$tv&n e$ pime-
loy*menoi y<mei& Q kai+ e$ moi+ kai+ toi& Q e$ moi& Q kai+ y<mi& n ay$toi& Q e$ n xa*riti poih*sete a%tt\ a/n
poih&te, ka/n mh+ ny&n o<mologh*shte " e$ a+n de+ y<mv&n me+ n ay$tv&n a$melh&te kai+ mh+ $ ue* lhte
v%sper kat\ i> xnh kata+ ta+ ny&n te ei$ rhme* na kai+ ta+ e$ n t{& e> mprosuen xro*n{ zh&n, oy$de+
115.c. e$ a+n polla+ o<mologh*shte e$ n t{& paro*nti kai+ sfo*dra, oy$de+n ple* on poih*sete''.
``Tay&ta me+n toi* nyn prouymhso*meua'', e> fh, ``oy%tv poiei& n " ua*ptvmen de* se ti* na
tro*pon;''
`` % OpvQ a>n'', e> fh, ``boy*lhsue, e$ a*nper ge la*bhte* me kai+ mh+ e$ kfy*gv y<ma&Q''. Ge-
la*saQ de+ a%ma h<syx|& kai+ pro+Q h<ma&Q a$poble* caQ ei#pen " ``Oy$ pei* uv, v# a>ndreQ,
Kri* tvna, v<Q e$ gv* ei$ mi oy}toQ Svkra*thQ, o< nyni+ dialego*menoQ kai+ diata*ttvn e% ka-
ston tv&n legome* nvn, a$ll\ oi> etai* me e$ kei& non ei#nai o=n o>cetai o$li* gon y%steron
115.d. nekro*n, kai+ e$ rvt@& dh+ pv&Q me ua*pt|. o%ti de+ e$ gv+ pa*lai poly+n lo*gon pe-

115.b-c. tay&ta ... ay$toy&, si riferisce a crate e della sua scuola, ha un significato dell'anima. ± pv&Q me ua*pt|: interroga-
quanto Socrate ha appena detto ri- preciso, che si puoÁ esprimere come il tiva indiretta con il congiuntivo di tipo
guardo al fatto che eÁ pronto per il viag- precetto di praticare la virtuÁ intellettuale dubitativo.
gio ed ha intenzione di andare a lavar- e morale; ha come antonimo? il ``trascu-
si. _ ti* ... e$piste*lleiQ ..., ``che disposi- rare se stessi'' (e$ a+n de+ ... a$melh&te). ± toi& Q 115.d. o%ti ... pepoi* hmai, sostantiva di-
zioni vuoi dare ... ?''. Critone si infor- e$moi& Q eÁ un neutro che comprende, gene- chiarativa con funzione esplicativa di
ma premurosamente sulle intenzioni di ricamente, tutto cioÁ che riguarda Socra- tay&ta che segue; tay&ta* moi dokv& ay$t{&
Socrate e sugli incarichi che desidera te, dai suoi familiari al suo patrimonio a>llvQ le* gein, ``queste mi sembrano
dare a lui e agli amici presenti nei con- alla sua memoria. _ v%sper, ``per cosõÁ per lui chiacchiere senza senso''; da
fronti dei figli, delle altre persone che dire'', attenua la metafora? venatoria poly+n lo*gon dipendono poi le due di-
gli sono care, e per il suo funerale. A rappresentata da kat\ i> xnh, ``sulle orme''. chiarative v<Q paramenv&, a$ll$ oi$ xh*so-
questo allude con il neutro generico ± oy$de+ e$a+n ... poih*sete: non eÁ con le mai, ``non resteroÁ, ma me ne androÁ''.
peri+ a>lloy toy (toy eÁ pronome indefi- promesse inutili, rivolte ad una persona ± to+ fa*rmakon eÁ vox media? che puoÁ
nito). _ o%ti a>n ... poioi& men, relativa a cui in punto di morte, che si puoÁ progredire indicare un rimedio per la salute o un
a>n 1 ott. daÁ valore potenziale. _ a%per sul piano morale. veleno, a seconda del contesto. Socrate
a$ei+ le*gv, ``cioÁ che sempre vi dico''. berraÁ la cicuta e moriraÁ avvelenato,
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

Socrate fa finta di non aver capito a 115.c. e$a*nper ... y<ma&Q, ``nel caso mi ma con le sue ultime parole pregheraÁ
cosa alluda Critone con peri+ a>lloy prendiate e non vi scappi''. Critone, gli amici di offrire per lui un gallo ad
toy e risponde ricordando gli insegna- che insiste a chiedere istruzioni per la Asclepio. Il veleno che uccideraÁ il suo
menti morali su cui ha sempre (a$ei* ) sepoltura di Socrate, non ha ancora corpo saraÁ cosõÁ una medicina per la sua
insistito, piuÁ importanti di ogni altra compreso la differenza tra ``questo'' anima. _ ei$ Q maka*rvn ... ey$daimoni* aQ,
questione. A questo punto Critone eÁ Socrate (oy}toQ eÁ il deittico? riferito a ``verso le felicitaÁ dei beati'': Socrate nei
costretto a formulare la domanda in cosa o persona vicino a chi parla), che si capitoli precedenti aveva detto che le
modo meno elusivo (ua*ptvmen de* se trova in mezzo agli amici e che sta per anime dei giusti, e in particolare di
ti* na tro*pon). ± y<mv&n ... e$pimeloy*menoi: morire bevendo la cicuta, e ``quello'' coloro che si sono dedicati alla filoso-
part. cong. con valore condizionale, ``se (e$ kei& noQ, riferito a cosa o persona lon- fia, sono destinate ad una dimora di
vi prenderete cura'', protasi di perio- tana da chi parla e da chi ascolta), che beatitudine eterna. La particella asse-
do ipotetico dell'eventualitaÁ, la cui apo- dopo la morte sfuggiraÁ ad ogni prigione verativa dh* sottolinea la convinzione
dosi eÁ poih*sete; il ``prendersi cura di se terrena, al carcere in cui eÁ rinchiuso e che questo luogo esiste veramente ed
stessi'', nella terminologia corrente di So- nello stesso tempo al corpo, prigione eÁ cosa nota, mentre il pronome inde-

616
Platone
poi* hmai, v<Q, e$peida+n pi* v to+ fa*rmakon, oy$ke* ti y<mi& n paramenv&, a$ll\ oi$ xh*somai
a$piv+n ei$ Q maka*rvn dh* tinaQ ey$daimoni* aQ, tay&ta* moi dokv& ay$t{& a>llvQ le* gein,
paramyuoy*menoQ a%ma me+ n y<ma&Q, a%ma d\ e$ mayto*n. e$ ggyh*sasue oy#n me pro+Q
Kri* tvna'', e> fh, ``th+n e$ nanti* an e$ ggy*hn h/ h=n oy}toQ pro+Q toy+Q dikasta+Q h$ggya&to.

Fedone
oy}toQ me+n ga+r h# mh+n paramenei& n " y<mei& Q de+ h# mh+n mh+ paramenei& n e$ ggyh*sasue
115.e. e$ peida+n a$poua*nv, a$lla+ oi$ xh*sesuai a$pio*nta, i% na Kri* tvn r<@&on fe*r|, kai+ mh+

testi
o<rv&n moy to+ sv&ma h/ kao*menon h/ katorytto*menon a$ganakt|& y<pe+ r e$ moy& v<Q deina+
pa*sxontoQ, mhde+ le* g| e$ n t|& taf|& v<Q h/ proti* uetai Svkra*th h/ e$ kfe* rei h/ kato-
ry*ttei. ey# ga+r i> sui'', h# d\ o%Q, ``v# a>riste Kri* tvn, to+ mh+ kalv&Q le* gein oy$ mo*non ei$ Q
ay$to+ toy&to plhmmele* Q, a$lla+ kai+ kako*n ti e$ mpoiei& tai& Q cyxai& Q. a$lla+ uarrei& n te xrh+
kai+ fa*nai toy$mo+n sv&ma ua*ptein, kai+ ua*ptein oy%tvQ o%pvQ a>n soi fi* lon |# kai+
ma*lista h<g|& no*mimon ei#nai''.
116.a. Tay&t\ ei$pv+n e$kei& noQ me+ n a$ni* stato ei$Q oi> khma* ti v<Q loyso*menoQ, kai+ o<
Kri* tvn ei% peto ay$t{&, h<ma&Q d\ e$ ke* leye perime*nein. perieme* nomen oy#n pro+Q h<ma&Q
ay$toy+Q dialego*menoi peri+ tv&n ei$ rhme* nvn kai+ a$naskopoy&nteQ, tote+ d\ ay# peri+ th&Q
symfora&Q diejio*nteQ o%sh h<mi& n gegonyi& a ei> h, a$texnv&Q h<goy*menoi v%sper patro+Q
sterhue*nteQ dia*jein o$rfanoi+ to+n e> peita bi* on. e$ peidh+ de+ e$ loy*sato 116.b. kai+
h$ne*xuh par\ ay$to+n ta+ paidi* a ± dy*o ga+r ay$t{& yi< ei& Q smikroi+ h#san, ei}Q de+ me* gaQ ± kai+
ai< oi$ kei& ai gynai& keQ a$fi* konto e$ kei& nai, e$ nanti* on toy& Kri* tvnoQ dialexuei* Q te kai+
e$ pistei* laQ a%tta e$ boy*leto, ta+Q me+ n gynai& kaQ kai+ ta+ paidi* a a$pie* nai e$ke* leysen, ay$to+Q
de+ h}ke par\ h<ma&Q. kai+ h#n h>dh e$ ggy+Q h<li* oy dysmv&n " xro*non ga+r poly+n die* tricen
e> ndon. e$luv+n d\ e$ kaue* zeto leloyme*noQ kai+ oy$ polla+ a>tta meta+ tay&ta diele* xuh, kai+

finito tinaQ aggiunge all'espressione un l'esposizione del defunto, perche riceva stesso demo. In questi momenti non lo
tono di mistero e di indeterminatezza. l'estremo omaggio da parte di parenti lascia nemmeno per un attimo, assi-
_
th+n e$nanti* an ... h$ggya&to, ``la garan- ed amici (proti* uesiQ), il suo trasporto stendolo anche nei servizi piuÁ umili¨.
zia opposta a quella che questi ha fatto (e$ kfora*) e la cremazione o la sepoltu- _
symfora&Q: il termine eÁ vox media?,
davanti ai giudici'': eÁ probabile che si ra¨. Critone, insomma, non deve pen- e indica ``cioÁ che la sorte porta con seÂ
riferisca alla garanzia che Critone ave- sare di rendere le onoranze funebri a (sym-fe* rv)''; in base al contesto puoÁ as-
va dato per Socrate quando, dopo la questo Socrate che parla, ma a quello sumere una connotazione neutra (``cir-
condanna a morte, aveva chiesto per che rimarraÁ, al semplice corpo. ± ey# costanza'') oppure negativa (``sventu-
lui la libertaÁ provvisoria fino al ritorno ga+r i> sui, ``sappi bene'', con tono di ra''). _ diejio*nteQ, part. cong. da die-
della nave da Delo, impegnandosi a comprensione affettuosa nei confronti jei*mi, ``esaminando''. _ o%sh ... ei> h: in-
versare una certa somma di denaro se del buon Critone. _ h# d\ o%Q ``diceva terrogativa indiretta con l'ott. obliquo
Socrate non si fosse presentato al sup- quello'', imperf. 3a s. di h$mi* , ``dire''. di una formazione perifrastica con
plizio in quel momento. L'offerta, pe- _
ei$ Q ay$to+ ... plhmmele*Q, ``eÁ di per se part. perf. di gi* gnomai 1 ott. di ei$ mi* .
raltro, non fu accettata e Socrate fu sconveniente'': analogamente all'italia- _
a$texnv&Q, ``davvero'', rafforza o$rfa-
subito incarcerato. La garanzia oppo- no ``stonato'', l'aggettivo viene da plh*n noi* : gli amici di Socrate sentivano
sta a quella eÁ che Socrate non resteraÁ 1 me* loQ, ``contro il tono o il metro'', e davvero che stavano per rimanere co-
dopo la condanna a morte, ma se ne per estensione ``difettoso'', ``inopportu- me orfani nel momento in cui lo
andraÁ via libero. ± oy}toQ ... paramenei& n: no''. ± kako*n ti ... cyxai& Q, ``produce avrebbero perduto.
sott. e$ m\ h$ggya&to. _ h# mh*n eÁ una formu- anche qualche danno alle anime''. Il
la asseverativa (``senza dubbio'') pro- danno consiste nel fatto che esse perdo- 116.b. h$ne*xuh par$ ay$to*n, ``gli furono
pria dei giuramenti. no l'abitudine al ragionamento. portati'', perche lo salutassero per l'ul-
tima volta. ± dy*o ga+r ... h#san, ``ne ave-
115.e. oi$ xh*sesuai a$pio*nta riprende 116.a. a$ni* stato ei$ Q oi> khma* ti, ``si le- va due piccoli'': ay$t{& eÁ dat. del posses-
la ridondanza oi$ xh*somai a$piv*n. ± v<Q voÁ (per andare) in una stanzetta''. ± v<Q sore. I tre figli di Socrate sono giaÁ stati
deina+ pa*sxontoQ, ``come se io subissi loyso*menoQ, ``per lavarsi'': finale impli- ricordati in 60 a. ± e$kei& nai: le donne
un torto atroce'': participio congiunto cita con il participio futuro. ± kai+ o$ della famiglia di Socrate erano ben no-
con valore comparativo ipotetico. ± e$n Kri* tvn ... ay$t{&: l'espressione eÁ paren- te ai suoi discepoli, come ad Echecrate
t|& taf|&, ``durante il funerale''. ± pro- tetica, perche il successivo e$ ke* leye ha che ascolta il racconto. ± e$ggy+Q ...
ti* uetai ... e$kfe*rei ... katory*ttei, espri- ancora per soggetto Socrate. Il vec- dysmv&n: si avvicina il momento della
mono i tre momenti della cerimonia chio Critone eÁ l'amico piuÁ intimo di morte, perche le esecuzioni capitali si
funebre. Tale cerimonia prevede Socrate: eÁ suo coetaneo e nativo dello compivano dopo il tramonto. ± e>ndon,

617
h}ken o< tv&n e% ndeka y<phre* thQ kai+ sta+Q par\ ay$to*n, 116.c. `` # V Sv*krateQ'', e> fh, ``oy$
katagnv*somai* ge soy& o%per a>llvn katagignv*skv, o%ti moi xalepai* noysi kai+ ka-
tarv&ntai e$ peida+n ay$toi& Q paraggei* lv pi* nein to+ fa*rmakon a$nagkazo*ntvn tv&n
a$rxo*ntvn. se+ de+ e$ gv+ kai+ a>llvQ e> gnvka e$ n toy*t{ t{& xro*n{ gennaio*taton kai+
pr@o*taton kai+ a>riston a>ndra o>nta tv&n pv*pote dey&ro a$fikome* nvn, kai+ dh+ kai+ ny&n
ey# oi#d\ o%ti oy$k e$ moi+ xalepai* neiQ, gignv*skeiQ ga+r toy+Q ai$ ti* oyQ, a$lla+ e$ kei* noiQ. ny&n
oy#n, oi#sua ga+r a= h#luon a$gge* llvn, xai& re* te kai+ peirv& v<Q r<@&sta fe* rein ta+
116.d. a$nagkai& a''. Kai+ a%ma dakry*saQ metastrefo*menoQ a$p|*ei.
Kai+ o< Svkra*thQ a$nable*caQ pro+Q ay$to*n, ``Kai+ sy*'', e> fh, ``xai& re, kai+ h<mei& Q tay&ta
poih*somen''. Kai+ a%ma pro+Q h<ma&Q, `` < VQ a$stei& oQ'', e> fh, ``o< a>nurvpoQ " kai+ para+
pa*nta moi to+n xro*non pros|*ei kai+ diele* geto e$ ni* ote kai+ h#n a$ndrv&n l{&stoQ, kai+
ny&n v<Q gennai* vQ me a$podakry*ei. a$ll\ a>ge dh*, v# Kri* tvn, peiuv*meua ay$t{&, kai+
e$negka*tv tiQ to+ fa*rmakon, ei$ te*triptai " ei$ de+ mh*, trica*tv o< a>nurvpoQ''.
116.e. Kai+ o< Kri* tvn, `` $All\ oi#mai'', e> fh, ``e> gvge, v# Sv*krateQ, e> ti h%lion ei#nai e$ pi+
toi& Q o>resin kai+ oy>pv dedyke*nai. kai+ a%ma e$ gv+ oi#da kai+ a>lloyQ pa*ny o$ce+ pi* nontaQ,
e$ peida+n paraggelu|& ay$toi& Q, deipnh*santa*Q te kai+ pio*ntaQ ey# ma*la, kai+ syggenome* -
noyQ g\ e$ ni* oyQ v}n a/n ty*xvsin e$ piuymoy&nteQ. a$lla+ mhde+n e$ pei* goy " e> ti ga+r e$ gxvrei& ''.
Kai+ o< Svkra*thQ, ``Ei$ ko*tvQ ge'', e> fh, ``v# Kri* tvn, e$ kei& noi* te tay&ta poioy&sin, oy=Q
sy+ le*geiQ ± oi> ontai ga+r kerdai* nein tay&ta poih*santeQ ± kai+ e> gvge tay&ta ei$ ko*tvQ oy$
poih*sv " oy$de+ n ga+r oi#mai kerdanei& n o$li* gon y%steron piv+n a>llo ge h/ ge* lvta
117.a. o$flh*sein par\ e$ mayt{&, glixo*menoQ toy& zh&n kai+ feido*menoQ oy$deno+Q e> ti
e$ no*ntoQ. a$ll\ i> ui'', e> fh, ``pei* uoy kai+ mh+ a>llvQ poi* ei''.

``dentro'', nella stanza vicina, in com- 116.d. kai+ a%ma ... a$p|*ei, ``e nello stes- quando in cittaÁ si eÁ giaÁ fatto scuro: Cri-
pagnia dei familiari. ± o< tv&n e%ndeka so tempo, scoppiando in lacrime, si vol- tone vorrebbe in tutti i modi rimandare
y<phre*thQ: gli Undici erano i magistrati se e se ne andoÁ'': dakry*saQ esprime il piuÁ possibile il momento del distacco
che sovraintendevano alla polizia ur- l'azione incipiente. La frequentazione da Socrate, e ricorda come altri con-
bana, alle prigioni ed alle esecuzioni di Socrate ha intenerito anche il rozzo dannati si siano ancora soffermati fino
capitali; erano uno per ognuna delle carceriere. _ a$nable*caQ, ``levando lo a tardi a mangiare, bere e a fare l'amore
dieci tribuÁ, piuÁ un segretario. sguardo'', che aveva tenuto evidente- con chi desideravano (syggenome*noyQ
mente abbassato mentre l'uomo parla- (e$ kei* noiQ sott.) ... v}n a/n ty*xvsin e$ piuy-
116.c. oy$ katagnv*somai ... kata- va. La scena eÁ fatta anche di questi moy&nteQ). Socrate non puoÁ non giudica-
gignv*skv, ``non avroÁ da lamentarmi piccoli ma precisi tocchi: il carceriere re penoso questo attaccamento ai pia-
di te per cioÁ per cui mi lamento degli che parla, si volta e scappa via, senza ceri terreni, e lo ricorda con un leggero
altri'': il verbo katagignv*skv, con il aver l'animo di aspettare la risposta, tono di rimprovero per il buon Critone
genitivo richiesto dal preverbio, eÁ pro- Socrate che leva lo sguardo e commen- che continua a non rendersi conto della
priamente un verbo giudiziario che si- ta con umanitaÁ le sue parole. _ a$stei& oQ, situazione. Il distacco tra Socrate e gli
gnifica ``pronunciare una sentenza di ``civile'', ``cortese'', da a>sty, ``cittaÁ'', co- altri eÁ marcato dal chiasmo ei$ ko*tvQ ...
condanna contro uno''; qui, in senso me il lt. urbanus; ha come antonimo? e$ kei& noi ... e> gvge ... ei$ ko*tvQ. Per gli altri eÁ
traslato, sta per ``lamentarsi di uno''. a$grei& oQ, ``rustico'', da a>groQ, lt. ager, forse ragionevole cercare di ritardare il
_
o%ti moi ... katarv&ntai (la proposi- ``campo'', ``campagna''. L'opposizione momento estremo, aggrappandosi ai
piaceri terreni, ma per Socrate eÁ ragio-
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

zione introdotta da o%ti spiega o%per), nasce evidentemente dall'ideologia del


``per il fatto che si irritano e imprecano cittadino, che disprezza il contadino co- nevole e naturale andarvi incontro con
contro di me'': a$ra*omai eÁ ``pregare'', me rozzo ed ignorante. ± peiuv*meua serenitaÁ, sapendo a che cosa si deve
ma il suo composto kat-ara*omai vale ay$t{&, ``diamogli ascolto'': congiuntivo dare veramente valore.
``pregare contro'' e quindi ``maledire''. esortativo; il successivo e$ negka*tv eÁ in-
_
a$nagkazo*ntvn tv&n a$rxo*ntvn, ``per vece imper. aor. I da fe* rv. ± te*triptai 117.a. feido*menoQ ... e$no*ntoQ, ``e ri-
ordine dei magistrati'', gen. assoluto cau- eÁ pf. di tri* bv: il veleno era costituito da sparmiando mentre non c'eÁ piuÁ nulla'',
sale: qui oi< a>rxonteQ non sono gli arconti, semi di cicuta pestati in un mortaio. eÁ un genitivo assoluto con valore avver-
ma genericamente ``i magistrati'', in par- sativo: eÁ un detto proverbiale. ± t{& paidi* :
ticolare gli Undici. ± se+ ... e>gnvka ... 116.e. a$ll$ oi# mai ... dedyke*nai, ``ma il servo che stava in piedi (e$ stv&ti, part.
a>ndra o>nta: costruzione del participio credo, almeno io, Socrate, che ci sia perf. di i% sthmi) accanto a lui, in attesa
predicativo in dipendenza da gignv*skv. ancora sole sui monti e non sia ancora di un ordine; to+n me* llonta, part. sost.
± gignv*skeiQ ga+r toy+Q ai$ ti* oyQ: parente- tramontato''. Sulle pendici dell'Imetto, ``colui che doveva'' regge l'inf. futuro
tica. ad oriente di Atene, il sole si sofferma dv*sein, nella frase successiva il participio

618
Platone
Kai+ o< Kri* tvn a$koy*saQ e> neyse t{& paidi+ plhsi* on e< stv&ti. kai+ o< pai& Q e$ jeluv+n kai+
syxno+n xro*non diatri* caQ h}ken a>gvn to+n me* llonta dv*sein to+ fa*rmakon, e$ n ky*-
liki fe* ronta tetrimme* non. i$ dv+n de+ o< Svkra*thQ to+n a>nurvpon, ``Ei#en'', e> fh, ``v#

Fedone
be* ltiste, sy+ ga+r toy*tvn e$ pisth*mvn, ti* xrh+ poiei& n;''
``Oy$de+ n a>llo'', e> fh, ``h/ pio*nta periie*nai, e% vQ a>n soy ba*roQ e$ n toi& Q ske* lesi
117.b. ge* nhtai, e> peita katakei& suai " kai+ oy%tvQ ay$to+ poih*sei''. Kai+ a%ma v>reje th+n

testi
ky*lika t{& Svkra*tei.
Kai+ o=Q labv+n kai+ ma*la i% levQ, v# $ Exe*krateQ, oy$de+ n tre* saQ oy$de+ diafuei* raQ oy>te
toy& xrv*matoQ oy>te toy& prosv*poy, a$ll\ v%sper ei$ v*uei tayrhdo+n y<poble* caQ pro+Q
to+n a>nurvpon, ``Ti* le* geiQ'', e> fh, ``peri+ toy&de toy& pv*matoQ pro+Q to+ a$pospei& sai*
tini; e> jestin h/ oy>;''
``Tosoy&ton'', e> fh, ``v# Sv*krateQ, tri* bomen o%son oi$ o*meua me* trion ei#nai piei& n''.
117.c. ``Manua*nv'', h# d\ o%Q " ``a$ll\ ey>xesuai* ge* poy toi& Q ueoi& Q e> jesti* te kai+ xrh*, th+n
metoi* khsin th+n e$ nue*nde e$ kei& se ey$tyxh& gene* suai " a= dh+ kai+ e$ gv+ ey>xomai* te kai+
ge* noito tay*t|''. Kai+ a%m\ ei$ pv+n tay&ta e$ pisxo*menoQ kai+ ma*la ey$xerv&Q kai+ ey$ko*lvQ
e$ je* pien. kai+ h<mv&n oi< polloi+ te* vQ me+ n e$ pieikv&Q oi}oi* te h#san kate*xein to+ mh+ da-
kry*ein, v<Q de+ ei> domen pi* nonta* te kai+ pepvko*ta, oy$ke* ti, a$ll\ e$ moy& ge bi* @ kai+ ay$toy&
a$stakti+ e$ xv*rei ta+ da*krya, v%ste e$ gkalyca*menoQ a$pe* klaon e$ mayto*n ± oy$ ga+r dh+
117.d. e$ kei& no*n ge, a$lla+ th+n e$ maytoy& ty*xhn, oi% oy a$ndro+Q e< tai* roy e$ sterhme*noQ
ei> hn. o< de+ Kri* tvn e> ti pro*teroQ e$ moy&, e$ peidh+ oy$x oi}o*Q t\ h#n kate*xein ta+ da*krya,
e$ jane* sth. $Apollo*dvroQ de+ kai+ e$ n t{& e> mprosuen xro*n{ oy$de+ n e$ pay*eto dakry*vn,

fe* ronta eÁ riferito a to+n me* llonta, mentre leva guardare di sotto in su, y<poble* caQ, valore esaustivo. Socrate, anche in que-
il part. perf. tetrimmenon a to+ fa*rmakon. chinando un po' il capo, con un'espres- sto momento, non mostra alcuna esita-
± ei# en ... v# be*ltiste, ``su, mio caro'': sione ironica e sottilmente maliziosa. zione, ma beve la cicuta tutta d'un fiato e
Socrate si rivolge gentilmente al suo car- _
pv*matoQ: il termine pv&ma, nomen rei con estrema tranquillitaÁ (kai+ ma*la ey$-
nefice, chiedendogli istruzioni, e trova actae? da pi* nv, ``bere'', indica la ``be- xerv&Q kai+ ey$ko*lvQ). Fanno contrasto
ancora la voglia di scherzare chiaman- vanda'' oppure la ``coppa'' da cui si con questa calma il turbamento e le la-
dolo e$ pisth*mvn, ``esperto'' di queste co- beve. ± pro+Q to+ a$pospei& sai* tini, crime degli amici presenti. ± kate*xein to+
se. ± pio*nta (part. congiunto con valore ``quanto al fare libagione (inf. aor. di mh+ dakry*ein, ``trattenersi dal piangere'',
temporale) periie*nai, ``dopo aver bevuto a$pospe* ndv) per qualcuno'': nei conviti continere se ne flerent, con la costruzione
camminare un po' intorno'': l'interroga- le libagioni erano fatte di norma agli dei verba impediendi. ± pi* nonta ... pepv-
to risponde con la sobrietaÁ del tecnico. deÁi, come offerta di ringraziamento e ko*ta: il poliptoto? giocato sui tempi di-
di propiziazione. Socrate porta fino in versi del verbo pi* nv rende la concitazio-
117.b. kai+ ... poih*sei, ``e cosõÁ esso agi- fondo il suo atteggiamento ironico, in- ne del racconto in questo momento di
raÁ da seÂ'': il verbo poie* v, nei trattati dice di estremo distacco nei confronti alta emotivitaÁ, segnalata anche dalla
medici, indica propriamente l'azione di cioÁ che accade. L'interrogato ovvia- stretta connessione di te kai* , che indica
di un medicinale. ± kai+ o%Q, ``e quello'': mente non coglie l'ironia, e risponde la rapida successione dei due attimi: gli
si ricordi che o%Q eÁ un dimostrativo. con esattezza. Tuttavia la domanda di amici vedono Socrate che beve (il pre-
_
kai+ ma*la i% levQ, ``molto lietamente'': Socrate nascondeva un significato piuÁ sente sottolinea l'aspetto progressivo del-
il kai* ha qui, unito a ma*la, valore in- profondo: per lui, in quel momento, l'azione) e immediatamente dopo vedo-
tensivo. ± v# $ Exe*krateQ: l'apostrofe? ci non era inopportuno un atto di pre- no che ha ormai bevuto (il perfetto sotto-
riporta alla prima cornice, quella del ghiera e di ringraziamento. Questo ri- linea l'azione compiuta, di cui si atten-
dialogo tra Fedone ed Echecrate, e ha sulteraÁ evidente dal paragrafo 117d. dono le conseguenze: il veleno assunto
qui una funzione espressiva; il narrato- _
manua*nv, ``capisco''. porteraÁ ormai inevitabilmente la mor-
re interrompe il suo racconto come te). ± a$stakti* eÁ un avverbio formato
vinto anch'egli dalla commozione della 117.c. a= dh+ ... tay*t|, ``e questo io pre- da a$- privativo con la radice di sta*zv,
scena che sta evocando. ± oy$de+ dia- go, e cosõÁ sia'': l'ottativo ge* noito ha qui il ``gocciolare'': ``non a gocce'', quindi ``a
fuei* raQ, ``senza la minima alterazio- suo valore proprio, di esprimere augurio. fiotti''.
ne''. ± a$ll$ v%sper ... to+n a>nurvpon, Socrate formula ora la preghiera impli-
``ma, come era solito, guardando verso cita nella precedente domanda al servo 117.d. oi% oy a$ndro+Q ... ei> hn, ``(pensan-
l'uomo con il suo sguardo taurino''. degli Undici. ± e$pisxo*menoQ, ``trattenen- do) di quale uomo ero privato'': in 116
Questa eÁ l'ultima immagine di Socrate, do il fiato'', cioeÁ ``tutto d'un fiato'': spesso a, Fedone aveva detto di se e degli altri
fissata nel ricordo di chi fu presente a il verbo e$ pe* xv, in unione a pi* nv, assume v%sper patro+Q sterhue* nteQ. ± e$pay*eto
quel colloquio: l'uomo aveva occhi questa accezione; e$ je* pien significa ``bev- dakry*vn: il verbo pay*omai, regge il
grandi e sporgenti, quasi taurini, e so- ve fino in fondo'': il preverbio e$ j- ha qui participio predicativo del soggetto.

619
kai+ dh+ kai+ to*te a$nabryxhsa*menoQ kla*vn kai+ a$ganaktv&n oy$de*na o%ntina oy$ ka-
te* klase tv&n paro*ntvn plh*n ge ay$toy& Svkra*toyQ.
$ Ekei& noQ de* , ``Oi}a'', e> fh, ``poiei& te, v# uayma*sioi. e$ gv+ me* ntoi oy$x h%kista toy*toy
e% neka ta+Q gynai& kaQ a$pe*pemca, i% na mh+ toiay&ta plhmmeloi& en " 117.e. kai+ ga+r a$kh*koa
o%ti e$ n ey$fhmi* @ xrh+ teleyta&n. a$ll\ h<syxi* an te a>gete kai+ karterei& te''.
Kai+ h<mei& Q a$koy*santeQ |$sxy*nuhme*n te kai+ e$ pe* sxomen toy& dakry*ein. o< de+ pe-
rieluv*n, e$ peidh* oi< bary*nesuai e> fh ta+ ske* lh, katekli* nh y%ptioQ ± oy%tv ga+r e$ ke*-
leyen o< a>nurvpoQ ± kai+ a%ma e$ fapto*menoQ ay$toy& oy}toQ o< doy+Q to+ fa*rmakon,
dialipv+n xro*non e$ pesko*pei toy+Q po*daQ kai+ ta+ ske* lh, ka>peita sfo*dra pie* saQ
118.a. ay$toy& to+n po*da h>reto ei$ ai$ sua*noito, o< d\ oy$k e> fh. kai+ meta+ toy&to ay#uiQ ta+Q
knh*maQ " kai+ e$ paniv+n oy%tvQ h<mi& n e$ pedei* knyto o%ti cy*xoito* te kai+ ph*gnyto. kai+
ay$to+Q h%pteto kai+ ei#pen o%ti, e$ peida+n pro+Q t|& kardi* @ ge* nhtai ay$t{&, to*te oi$ xh*setai.
> Hdh oy#n sxedo*n ti ay$toy& h#n ta+ peri+ to+ h#tron cyxo*mena, kai+ e$kkalyca*menoQ
± e$ nekeka*lypto ga*r ± ei#pen ± o= dh+ teleytai& on e$ fue*gjato ± ``v# Kri* tvn'', e> fh, ``t{&
$Asklhpi{& o$fei* lomen a$lektryo*na " a$lla+ a$po*dote kai+ mh+ a$melh*shte''.
`` $Alla+ tay&ta'', e> fh, ``e> stai'', o< Kri* tvn " ``a$ll\ o%ra ei> ti a>llo le* geiQ''.
Tay&ta e$ rome*noy ay$toy& oy$de+n e> ti a$pekri* nato, a$ll\ o$li* gon xro*non dialipv+n
e$ kinh*uh te kai+ o< a>nurvpoQ e$ jeka*lycen ay$to*n, kai+ o=Q ta+ o>mmata e> sthsen " i$ dv+n de+
o< Kri* tvn syne* labe to+ sto*ma kai+ toy+Q o$fualmoy*Q.
% Hde h< teleyth*, v# $ Exe*krateQ, toy& e$ tai* roy h<mi& n e$ ge*neto, a$ndro*Q, v$Q h<mei& Q fai& men
a>n, tv&n to*te v}n e$ peira*uhmen a$ri* stoy kai+ a>llvQ fronimvta*toy kai+ dikaiota*toy.

_
oy$de*na o%ntina oy$ kate*klase: attra- rimasto presente e controlla gli effetti del tratto gli venne in mente un'ultima rac-
zione del relativo per oy$dei+ Q h#n o%ntina veleno. ± dialipv+n xro*non, ``lasciando comandazione e si scoprõÁ un attimo.
..., ``non ci fu nessuno che non fece passare del tempo''. Man mano il veleno _
t{& $Asklhpi{& ... a$lektryo*na, ``siamo
piangere''; da katakla*v, causativo. ± paralizza gli arti inferiori: dopo un po' il debitori di un gallo ad Asclepio''. Era uso
v# uayma*sioi, ``o gente strana''. oy$x h%ki- carceriere gli preme forte un piede, per offrire sacrifici ad Asclepio, dio della me-
sta, ``non minimamante'' quindi ``so- constatare se sente, ei$ ai$ sua*noito. So- dicina, per ringraziare di una guarigione
prattutto'' litote?. crate dice di no, o< d\ oy$k e> fh. ricevuta. Socrate eÁ debitore di un gallo ad
Asclepio percheÂ, morendo, si eÁ liberato
117.e. kai+ ga+r a$kh*koa ... teleyta&n, 118.a. A poco a poco, risalendo il della malattia peggiore, la vita. ± a$lla*:
``infatti ho sentito dire che bisogna mo- corpo, il carceriere constata e fa osser- asseverativo, ``senz'altro''. ± ei> ti a>llo
rire con parole di buon augurio'': e$ n vare ai presenti come si va raffreddan- le*geiQ, ``se hai qualche altra cosa da di-
ey$fhmi* @ puoÁ anche significare ``in silen- do e irrigidendo, o%ti cy*xoito* te kai+ re''. ± e$kinh*uh, ``sussultoÁ'', nel momento
zio''. Questa era dottrina pitagorica, ed ph*gnyto. ± ay$to+Q h%pteto ... oi$ xh*setai, in cui la vita venne meno. Il carceriere lo
infatti Socrate dice di averne sentito ``ed egli (il carceriere) lo andava toc- scopre e Socrate rimane con gli occhi
parlare, a$kh*koa: in particolare, il gar- cando e spiegoÁ che, quando gli fosse fissi, ta+ o>mmata e> sthsen. A questo punto,
bato rimprovero era rivolto ai pitago- giunto (si intenda: l'effetto del veleno) Critone gli chiude gli occhi e la bocca. Le
rici presenti, Simmia e Cebete. ± a$l- al cuore, allora se ne sarebbe andato''. ultime parole del dialogo sono ancora
l(a*) con un imperativo significa ``suv- ± e$kkalyca*menoQ, ``scoprendosi il pronunciate da Fedone, ma si sente chia-
via'', ``orsuÁ''. Socrate ora passeggia un volto''. Come il narratore precisa su- ramente in esse la pietas di Platone verso
po', poi si sdraia supino, secondo le bito dopo, Socrate si era coperto il vol- ``l'uomo migliore e piuÁ saggio e piuÁ giusto
istruzioni del servo degli Undici, che eÁ to mentre si sentiva morire; ma a un che abbiamo conosciuto''.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

traduzione d'autore
115.b. Come Socrate ebbe detto cosõÁ, Critone gli domandoÁ: -- Ebbene, Socrate, quali
ordini ci daÁi, a questi tuoi amici o a me, riguardo ai tuoi figli o a qualche altra cosa?
Che cosa possiamo fare per te che ti riesca particolarmente gradito?
-- Quello che dico sempre, Critone, disse, niente di nuovo. Ecco, se vi prenderete
cura di voi stessi farete cosa gradita a me e ai miei e a voi stessi qualunque cosa
facciate, anche se ora non prendete nessun impegno; se invece non vi prenderete cura
di voi stessi e non vorrete vivere seguendo le tracce di quello che si eÁ detto ora e in
passato, 115.c. nemmeno se in questo momento vi impegnaste con tante promesse e
con forza, non farete niente di meglio.

620
Platone
-- Ebbene, disse Critone, quanto a questo procureremo di fare come tu dici. Ma in
che modo dobbiamo seppellirti?
-- Come volete, rispose, a condizione che riusciate a prendermi e che io non vi
sfugga dalle mani. Allora sorrise tranquillamente e voÁlto lo sguardo verso di noi

Fedone
aggiunse: -- Non riesco a persuadere Critone, cari amici, che sono io, Socrate, quello
che ora sta ragionando con voi e che cerca di mettere in ordine ciascuna delle cose che
vengono dette; egli crede che Socrate sia quello che di qui a poco vedraÁ cadavere, e

testi
115.d. naturalmente mi domanda come mi debba seppellire. E cioÁ che da un pezzo
ho discusso a lungo con voi, che, dopo aver bevuto la pozione, io non saroÁ piuÁ con voi,
ma me ne androÁ via recandomi naturalmente tra le beatitudini dei beati, queste cose,
mi pare, per lui le dico inutilmente, intese solo a consolare voi e allo stesso tempo
anche me. Siatemi dunque garanti presso Critone, disse, ma di una garanzia contraria
a quella che egli mi dette davanti ai giudici. Egli garantõÁ in fede sua che io sarei
rimasto; voi garantitegli in fede vostra che io non rimarroÁ qui 115.e. dopo morto, e
me ne androÁ via lontano, perche Critone possa sopportare piuÁ facilmente la cosa, e
per evitare che, vedendo bruciare o sotterrare il mio corpo, possa rammaricarsi per
me come se stessi soffrendo pene terribili, ed evitare anche che durante il funerale
possa dire che eÁ Socrate quello che egli espone o che porta via per la sepoltura o che
sotterra. Perche sappi, ottimo Critone, che parlare in modo non corretto non solo eÁ
brutto per se stesso, ma reca anche danno all'anima. Bisogna dunque essere fiduciosi e
dire che eÁ mio il corpo che bisogna seppellire, e il mio corpo puoi seppellirlo come ti
piaccia e come ritieni sia piuÁ conforme agli usi.
116.a. CosõÁ detto Socrate si alzoÁ per andare in una stanza a lavarsi; e Critone lo
seguiva, e a noi disse di rimanere. E noi rimanemmo in attesa ragionando tra noi delle
cose dette e riconsiderandole, e talora anche considerando la nostra sventura, quanto
era grande, ritenendo che il resto della nostra vita come privati del padre l'avremmo
116.b. trascorso davvero da orfani. E quando si fu lavato e gli ebbero portati i suoi
figli -- ne aveva due piccoli, ed uno giaÁ grande -- ed erano giunte anche le sue donne di
casa, dopo aver parlato con loro alla presenza di Critone e aver fatto le raccomanda-
zioni che desiderava fare, disse alle donne e ai figli di andarsene, e ritornoÁ fra noi. E
ormai vicini al tramonto del sole, giacche si era trattenuto dentro parecchio tempo.
Tornato dal bagno si mise a sedere e dopo di allora non si disse piuÁ molto; e venne
116.c. l'inviato degli Undici e fermatosi davanti a lui: -- Caro Socrate, disse, non avroÁ
certo a muovere a te i rimproveri che muovo agli altri, che se la prendono con me e mi
maledicono, quando vengo ad annunciare loro, per ordine degli arconti, che devono
bere la pozione. Ma te, in tutto questo tempo, ho avuto molte occasioni per conoscere
che sei il piuÁ gentile e il piuÁ mite e il migliore di quanti siano mai capitati qui, e ora
specialmente so bene che tu non con me sei irritato, perche li conosci i responsabili,
ma con loro. Ora dunque, giacche tu sai quello che sono venuto ad annunciarti,
116.d. addio, e cerca di sopportare meglio che puoi cioÁ che eÁ inevitabile. E cosõÁ
dicendo scoppioÁ a piangere, voltoÁ le spalle e se ne andoÁ.
E Socrate levoÁ lo sguardo verso di lui: -- E anche a te, disse, addio, e noi faremo
come tu dici. E poi rivolto a noi: -- Che persona gentile, disse. Per tutto questo tempo
era solito venire a trovarmi e talvolta si tratteneva a conversare con me, ed era il
migliore degli uomini; e anche ora con quanta sinceritaÁ mi piange. Ma via, Critone,
obbediamogli, e qualcuno mi porti la pozione, se la pestatura eÁ stata fatta; se no,
l'uomo proceda a pestare.
116.e. E Critone: -- Ma il sole, disse, eÁ ancora sui monti, credo, e non eÁ ancora
tramontato. Ed io so anche che altri bevono assai piuÁ tardi, dopo che eÁ stato dato
loro l'annuncio, e dopo aver ben mangiato e ben bevuto, e alcuni perfino dopo
essere stati insieme con chi desideravano. Tu, almeno, non aver fretta, perche c'eÁ
ancora tempo.
E Socrate: -- EÁ naturale senza dubbio, Critone, disse, che facciano cosõÁ quelli di cui
tu parli -- giacche pensano di avere qualcosa da guadagnare facendo cosõÁ -- ed eÁ anche

621
naturale che io non faccia cosõÁ. Perche penso di non guadagnare altro, bevendo un po'
117.a. piuÁ tardi, se non di rendermi ridicolo ai miei stessi occhi, attaccandomi alla vita
e cercando di farne risparmio quando non c'eÁ piuÁ niente. Su via, disse, dammi retta e
non fare altrimenti.
E Critone, udite queste parole, fece cenno a un suo servo in piedi vicino a lui.
E il servo uscõÁ e rimase fuori un po' di tempo; e tornoÁ conducendo con se l'uomo
che doveva dare la pozione, che portava dopo la pestatura in una coppa. So-
crate, vedutolo: -- Bene, disse, brav'uomo, tu che te ne intendi, che cosa si deve
fare?
-- Nient'altro, rispose, che, dopo aver bevuto, camminare per la stanza, finche tu
117.b. non senta pesantezza alle gambe; dopo rimanere sdraiato; cosõÁ faraÁ effetto da
seÂ. E cosõÁ dicendo porse la coppa a Socrate.
Ed egli la prese con vera letizia, Echecrate, senza un tremito, senza la minima
alterazione ne del colore ne del volto, ma guardando in su verso l'uomo con quei suoi
occhi da toro, come era solito: -- Che dici, disse, di questa bevanda, se ne puoÁ fare una
libagione a qualche divinitaÁ oppure no?
-- Noi, Socrate, ne pestiamo, disse, giusto quanto crediamo sia sufficiente a bere.
117.c. -- Capisco, disse Socrate. Ma almeno eÁ permesso, credo, ed anzi eÁ un dovere,
pregare gli deÁi che questo trasferirmi da qui a laÁ avvenga felicemente; ed eÁ questa
appunto la mia preghiera; e cosõÁ possa avvenire. E detto cioÁ, levoÁ la coppa alle labbra
e, senza segno di disgusto, bevve di buon grado tutto d'un fiato. E la maggior parte di
noi fino a quel momento erano riusciti alla meglio a trattenere le lacrime; ma appena
vedemmo che beveva, e che aveva bevuto, non fu piuÁ possibile; ed anche a me,
malgrado ogni mio sforzo, le lacrime scesero a fiotti, dimodoche mi nascosi il volto
e piansi me stesso -- giacche certamente non lui piangevo, ma la mia sventura --, di tale
117.d. amico restavo privato. E Critone, ancor prima di me, incapace di trattenere le
lacrime, si era alzato per uscire. E Apollodoro, che anche prima non aveva mai
smesso di piangere, allora poi scoppioÁ in grida, gemendo e rammaricandosi, a tal
punto che non ci fu tra noi lõÁ presenti chi non si sentõÁ spezzare il cuore; ad eccezione di
lui, Socrate.
Ed anzi egli: -- Strano modo di comportarvi questo, cari amici, disse. EÁ soprat-
tutto per questa ragione che ho mandato via le donne, perche non facessero simili
117.e. stonature. E poi ho anche sentito che bisogna morire con parole di buon
augurio. State dunque calmi e siate forti.
E noi a sentirlo, provammo vergogna e ci trattenemmo dal piangere. Socrate
camminava per la stanza; e quando disse che le gambe gli si appesantivano, si
mise a giacere supino -- giacche cosõÁ gli raccomandava l'uomo --; e intanto
costui, l'uomo che gli aveva dato la pozione, lo andava toccando e a intervalli
gli esaminava i piedi e le gambe; e poi, premendogli forte un piede, gli domandoÁ
se sentiva; ed egli rispose di no. 118.a. E poi ancora gli premette le gambe; e cosõÁ
risalendo via via ci mostrava che si raffreddava e si irrigidiva. E continuava a
toccarlo, e ci disse quando si fosse giunti alla regione del cuore, allora se ne
sarebbe andato. E ormai le parti intorno al basso ventre si erano quasi raffred-
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

date; ed egli si scoprõÁ -- giacche si era coperto -- e parloÁ, -- e furono le ultime


parole che pronuncioÁ: -- Mio caro Critone, disse, siamo in debito di un gallo ad
Asclepio; dateglielo e non ve ne dimenticate.
-- SõÁ, disse Critone, saraÁ fatto. Ma guarda se hai altro da dire.
A questa domanda Socrate non rispose piuÁ; passato poco tempo ebbe un movi-
mento e l'uomo lo scoprõÁ, ed egli restoÁ con gli occhi fissi. E Critone, vedutolo, gli
chiuse le labbra e gli occhi.
Questa, mio caro Echecrate, fu la fine dell'amico nostro, un uomo, possiamo ben
dirlo, tra quelli che allora conoscemmo, il migliore, e inoltre il piuÁ saggio e il piuÁ
giusto.
(Trad. P. Fabrini)

622
GUIDA ALL'ANALISI

Platone
LINGUA E LESSICO
1. Seleziona termini che facciano parte di lessici specifici (giudiziario, medico) e spiegane (in max 10 righe)
l'uso nel contesto platonico.

Fedone
LESSICO GIUDIZIARIO LESSICO MEDICO

..................................................................................... .....................................................................................

testi
..................................................................................... .....................................................................................

..................................................................................... .....................................................................................

..................................................................................... .....................................................................................

..................................................................................... .....................................................................................

2. Trascrivi i connettori subordinanti presenti in 115b-e indicando il tipo di subordinata che introducono.
CONNETTORI SUBORDINANTI TIPO DI SUBORDINATA

..................................................................................... .....................................................................................

..................................................................................... .....................................................................................

TEMI E CONFRONTI
3. Proponi in successione le varie fasi della morte di Socrate, dividendo in sequenze. Elabora uno schema.
NUMERO SEQUENZE SEQUENZE

................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................

4. Sono rintracciabili, nel testo, diversi punti in cui viene sottolineata una differenza tra il modo comune di
intendere le cose e il modo di Socrate; giaÁ in 115c, Socrate reagisce vivacemente a Critone che aveva
dimostrato di non aver chiara un'opposizione evidente. Rintraccia, nelle pagine lette, i passi in cui sono
marcate delle differenze che vedono protagonista Socrate e riportali nello schema seguente.
MODO TRADIZIONALE MODO SOCRATICO

..................................................................................... .....................................................................................
..................................................................................... .....................................................................................
..................................................................................... .....................................................................................
..................................................................................... .....................................................................................

5. Il parlare ``in modo non corretto non solo eÁ brutto per se stesso, ma reca anche danno all'anima'' (115e).
" PercheÂ?
............................................................................................................................................................................
"Che cosa pensi tu al riguardo: la lingua influisce sul pensiero? Motiva la tua risposta in un elaborato di max
20 righe.
6. Qual eÁ il senso dell'invito di Socrate a sacrificare un gallo ad Asclepio?
................................................................................................................................................................................

STILE E RETORICA
7. Segnala almeno un poliptoto ed esplicitane la funzione nel contesto.
POLIPTOTO FUNZIONE

..................................................................................... .....................................................................................

623
Repubblica

14 I filosofi e il governo dello Stato


Il governo dello Stato eÁ come la pratica di un'arte: solo coloro che ne sono esperti possono esercitarla. Dunque
(487b-490e)

soltanto i filosofi, che sono in grado di distinguere il bene dal male e di non farsi fuorviare da meschini interessi
personali, possono e debbono assumere il governo dello Stato.

487.b. Kai+ o< $Adei* mantoQ, v# Sv*krateQ, e> fh, pro+Q me+ n tay&ta* soi oy$dei+ Q a/n oi}o*Q t\
ei> h a$nteipei& n. a$lla+ ga+r toio*nde ti pa*sxoysin oi< a$koy*onteQ e< ka*stote a= ny&n le* geiQ "
h<goy&ntai di\ a$peiri* an toy& e$rvta&n kai+ a$pokri* nesuai y<po+ toy& lo*goy par\ e% kaston
to+ e$ rv*thma smikro+n parago*menoi, a<uroisue* ntvn tv&n smikrv&n e$ pi+ teleyth&Q tv&n
lo*gvn me* ga to+ sfa*lma kai+ e$ nanti* on toi& Q prv*toiQ a$nafai* nesuai, kai+ v%sper y<po+
tv&n pettey*ein deinv&n oi< mh+ teleytv&nteQ a$poklei* ontai kai+ oy$k e> xoysin o%ti
fe* rvsin, 487.c. oy%tv kai+ sfei& Q teleytv&nteQ a$poklei* esuai kai+ oy$k e> xein o%ti
le* gvsin y<po+ pettei* aQ ay# tay*thQ tino+Q e< te*raQ, oy$k e$ n ch*foiQ a$ll\ e$ n lo*goiQ " e$ pei+ to*
ge a$lhue+ Q oy$de* n ti ma&llon tay*t| e>xein. le*gv d\ ei$ Q to+ paro+n a$poble* caQ. ny&n ga+r
fai* h a>n ti* Q soi lo*g{ me+ n oy$k e> xein kau\ e% kaston to+ e$ rvtv*menon e$ nantioy&suai,
e> rg{ de+ o<ra&n, o%soi a/n e$ pi+ filosofi* an o<rmh*santeQ mh+ toy& pepaidey&suai 487.d.
e% neka a<ca*menoi ne* oi o>nteQ a$palla*ttvntai, a$lla+ makro*teron e$ ndiatri* cvsin, toy+Q
me+ n plei* stoyQ kai+ pa*ny a$lloko*toyQ gignome* noyQ, i% na mh+ pamponh*royQ ei> pvmen,
toy+Q d\ e$ pieikesta*toyQ dokoy&ntaQ o%mvQ toy&to* ge y<po+ toy& e$ pithdey*matoQ oy} sy+
e$ painei& Q pa*sxontaQ, a$xrh*stoyQ tai& Q po*lesi gignome* noyQ.
Kai+ e$ gv+ a$koy*saQ, Oi> ei oy#n, ei#pon, toy+Q tay&ta le* gontaQ cey*desuai;
Oy$k oi#da, h# d\ o%Q, a$lla+ to+ soi+ dokoy&n h<de* vQ a/n a$koy*oimi.

487.b. toio*nde ti ... le*geiQ, ``quelli che deinv&n) quelli che non lo sono (oi< mh*) alla teQ) non se ne allontanano (mh+ ... a$pal-
di volta in volta ascoltano cioÁ che tu dici fine (teleytv&nteQ) restano bloccati''; oi< la*ttvntai) ancor giovani, dopo averla
provano qualcosa di questo genere''; mh*: sott. deinoi* . ± oy$k e>xoysin ... fe*rvsin, sfiorata (a<ca*menoi) per essere educati,
Adimanto prospetta a Socrate la difficol- ``e non sanno che mosse fare'': fe* rv qui eÁ ma vi si trattengono abbastanza a lun-
taÁ in cui si trovano quelli che discutono verbo tecnico del gioco degli scacchi, per go, i piuÁ diventano assolutamente stra-
con lui: come giocatori inesperti nel gio- indicare l'atto di spostare un pezzo. vaganti (a$lloko*toyQ), per non dire as-
co degli scacchi, a forza di spostare le solutamente pessimi''; in dipendenza
pedine qua e laÁ a un certo punto restano 487.c-d. oy%tv kai+ sfei& Q ... lo*goiQ, da o<ra&n si ha il part. predicativo gigno-
bloccati nei loro ragionamenti e non ``cosõÁ (pensano) che anch'essi alla fine me* noyQ, preceduto dalle relative antici-
sanno piuÁ cosa rispondere. _ h<goy&ntai restano bloccati (a$poklei* esuai) e non pate o%soi a/n ... mh+ ... a$palla*ttvntai ...
... a$nafai* nesuai, ``ritengono che, per l'i- sanno che dire, per effetto di quest'altra a$lla+ e$ ndiatri* cvsin: la seconda eÁ coor-
nesperienza del domandare e risponde- specie di gioco degli scacchi, (che con- dinata avversativa (con a$lla*) alla pri-
re, fuorviati (parago*menoi) un po', ad siste) non nei pezzi, ma negli argomen- ma. _ toy+Q de+ ... gignome* noyQ, ``mentre
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

ogni domanda (par\ e% kaston to+ e$ rv*th- ti'': a$poklei* esuai eÁ retto ancora dal quelli che sembrano del tutto ragione-
ma), dalla discussione, una volta che le verbo di pensare h<goy&ntai. _ le*gv ... voli (e$ pieikesta*toyQ), pure dalla disci-
piccole deviazioni si sono accumulate a$poble*caQ, ``parlo riferendomi (a$po- plina che tu lodi, diventano inutili
(a<uroisue*ntvn tv&n smikrv&n) alla con- ble* caQ) alla situazione presente'': a$po- (a$xrh*stoyQ) alle cittaÁ'': toy+Q ... dokoy&n-
clusione del discorso (e$ pi+ teleyth&Q tv&n ble* caQ significa propriamente ``rivol- taQ eÁ part. sostantivato, mentre ancora
lo*gvn), lo scarto (to+ sfa*lma) appare gendo lo sguardo''. _ fai* h a>n tiQ, da o<ra&n dipendono i part. predicativi
enorme e opposto alle premesse'': il pe- ``uno potrebbe dire'': regge i due infi- pa*sxontaQ e gignome* noyQ; oy}: relativo
riodo muove avendo per soggetto di niti correlati lo*g{ me+ n oy$k e> xein ... e$ nan- attratto per o%n, che ci attenderemmo
h<goy&ntai ancora oi< a$koy*onteQ, e il verbo tioy&suai (``di non avere, a parole, da in dipendenza da e$ painei& Q. _ oy$k oi# da,
di dire introduce una oggettiva che ha contraddire'': e$ nantioy&suai eÁ inf. og- ``non so'': se mentiscono o no. _ h# d\ o%Q,
per soggetto to+ sfa*lma e il predicato getto dipendente da e> xein) e e> rg{ de+ ``disse quello'': h# eÁ impf. di h$mi* , lt. aio; o%Q
a$nafai* nesuai. _ kai+ v%sper ... a$pok- o<ra&n. _ o%soi a/n ... gignome*noyQ ... ei> pv- eÁ un dimostrativo, sopravvissuto in for-
lei* ontai, ``e come da quelli che sono men, ``che, quanti dopo essersi rivolti mule standard come questa. _ to+ soi+
abili nel gioco delle pedine (y<po+ ... alla filosofia (e$ pi+ filosofi* an o<rmh*san- dokoy&n, ``cioÁ che a te pare''.

624
Platone
487.e. $Akoy*oiQ a/n o%ti e> moige fai* nontai ta$lhuh& le* gein.
Pv&Q oy#n, e> fh, ey# e> xei le* gein o%ti oy$ pro*teron kakv&n pay*sontai ai< po*leiQ, pri+ n
/an e$ n ay$tai& Q oi< filo*sofoi a>rjvsin, oy=Q a$xrh*stoyQ o<mologoy&men ay$tai& Q ei#nai;
$ Ervt@&Q, h#n d\ e$ gv*, e$ rv*thma deo*menon a$pokri* sevQ di\ ei$ ko*noQ legome*nhQ.

Repubblica
Sy+ de* ge, e> fh, oi#mai oy$k ei> vuaQ di\ ei$ ko*nvn le* gein.
Ei#en, ei#pon " skv*pteiQ e$ mbeblhkv*Q me ei$ Q lo*gon oy%tv dysapo*deikton; 488.a.
a>koye d\ oy#n th&Q ei$ ko*noQ, i% n\ e> ti ma&llon i> d|Q v<Q gli* sxrvQ ei$ ka*zv. oy%tv ga+r

testi
xalepo+n to+ pa*uoQ tv&n e$ pieikesta*tvn, o= pro+Q ta+Q po*leiQ pepo*nuasin, v%ste oy$d\
e> stin e= n oy$de+ n a>llo toioy&ton peponuo*Q, a$lla+ dei& e$ k pollv&n ay$to+ synagagei& n
ei$ ka*zonta kai+ a$pologoy*menon y<pe+r ay$tv&n, oi}on oi< grafh&Q tragela*foyQ kai+ ta+
toiay&ta meigny*nteQ gra*foysin. no*hson ga+r toioytoni+ geno*menon ei> te pollv&n
nev&n pe* ri ei> te mia&Q " 488.b. nay*klhron mege*uei me+ n kai+ r<v*m| y<pe+ r toy+Q e$ n t|& nhi+
pa*ntaQ, y<po*kvfon de+ kai+ o<rv&nta v<say*tvQ braxy* ti kai+ gignv*skonta peri+ nay-
tikv&n e% tera toiay&ta, toy+Q de+ nay*taQ stasia*zontaQ pro+Q a$llh*loyQ peri+ th&Q ky-
bernh*sevQ, e% kaston oi$ o*menon dei& n kyberna&n, mh*te mauo*nta pv*pote th+n te* xnhn
me* te e> xonta a$podei& jai dida*skalon e< aytoy& mhde+ xro*non e$ n {} e$ ma*nuanen, pro+Q de+
toy*toiQ fa*skontaQ mhde+ didakto+n ei#nai, a$lla+ kai+ to+n le*gonta v<Q didakto+n e< toi* -
moyQ katate* mnein, 488.c. ay$toy+Q de+ ay$t{& a$ei+ t{& nayklh*r{ perikexy*suai deome*-
noyQ kai+ pa*nta poioy&ntaQ o%pvQ a/n sfi* si to+ phda*lion e$ pitre* c|, e$ ni* ote d\ a/n mh+

487.e. a$koy*oiQ a>n: riecheggia a/n toi, dei quali si era detto (487 d) che che finisce per essere travolto nelle
a$koy*oimi di Adimanto, e corrisponde ad erano ``inutili alle cittaÁ''. _ a$lla+ dei& ... sue scelte dai marinai in dissidio tra
un'espressione di consenso. _ ta$lhuh& 4 gra*foysin, ``ma bisogna comporla loro. _ toy+Q de+ nay*taQ ... kyberna&n,
ta+ a$lhuh&. _ oy$ pro*teron ... a>rjvsin, ``le (synagagei& n ay$to*) descrivendone ``e i marinai che litigano tra loro per
cittaÁ non cesseranno dai mali (kakv&n pay*- un'immagine (ei$ ka*zonta) e facendo il governo della nave, mentre ognuno
sontai) prima che in esse governino i la loro difesa (a$pologoy*menon y<pe+ r crede di doverla governare'': sono que-
filosofi''. _ oy=Q a$xrh*stoyQ ... ei# nai: l'e- ay$tv&n), come i pittori descrivono ca- sti i demagoghi che cercano ognuno di
spressione eÁ dichiaratamente ironica. procervi (tragela*foyQ) ed esseri simili influenzare le scelte del Demos. _ mh*te
_
e$rvt@&Q ... legome*nhQ, ``tu mi poni una fondendo varie forme''; synagagei& n mauo*nta ... katate*mnein, ``senza mai
domanda che richiede una risposta ay$to*: il neutro eÁ riferito a to+ pa*uoQ; aver appreso l'arte e senza essere in
espressa mediante un'immagine'': saraÁ ei$ ka*zonta: il part. congiunto eÁ concor- grado di indicare un proprio maestro
l'immagine del capitano debole di vista dato in acc. con il sogg. inespresso di ne il tempo in cui ha appreso, ma per
e di udito, e inesperto della guida della synagagei& n; y<pe+ r ay$tv&n: il riferimen- giunta (pro+Q toy*toiQ) affermando che
nave, per rappresentare il popolo vittima to eÁ agli e$ pieike* statoi; tragela*foyQ: il essa non eÁ nemmeno insegnabile, ma
volta per volta dei politici senza scrupoli; termine, composto da tra*goQ, ``ca- pronti anche a fare a pezzi (katate* m-
e$ rvt@&Q ... e$ rv*thma: figura etymologica?. pro'' ed e> lafoQ, ``cervo'' eÁ inventato nein) chi afferma che eÁ insegnabile'': in
_
skv*pteiQ ... dysapo*deikton, ``tu ti da Aristofane, Rane 937, come esem- questa rappresentazione dei marinai
prendi gioco di me, dopo avermi cacciato pio delle mostruositaÁ lessicali intro- ignoranti il Socrate platonico pensa
(e$ mbeblhkv*Q) in un argomento cosõÁ diffi- dotte da Eschilo, qui indica animali ai sofisti rappresentati nei dialoghi co-
cile (dys-) a dimostrarsi'': e$ mbeblhkv*Q eÁ fantastici inventati dai pittori per de- me il Protagora e il Gorgia. Protagora
part. pf. da e$ m-ba*llv, dysapo*deikton ri- corazione, come si vede nell'arte per- stesso, nel dialogo che da lui prende il
sulta dal prefisso dys- con l'agg. verbale siana e scitica. _ no*hson ... mia&Q, ``im- nome, partendo da una affermazione
di a$po-dei* knymi. magina un fatto di questo genere ac- contraria, giunge paradossalmente a
caduto o riguardo a molte navi o a sostenere che la virtuÁ non eÁ insegnabi-
488.a. a>koye ... ei$ ka*zv, ``sta a sentire una sola''. le, mentre Socrate, che la fa coincidere
l'immagine, perche tu veda ancor di con il sapere, conclude affermando
piuÁ con che difficoltaÁ (gli* sxrvQ) io 488.b. nay*klhron ... toiay&ta, ``un ca- quello che dapprima aveva messo in
procedo per immagini'': l'aggettivo pitano superiore per statura e vigore a dubbio, cioeÁ che essa eÁ perfettamente
gli* sxroQ propriam. significa ``appic- tutti quelli che stanno sulla nave, ma insegnabile¨. L'accenno ai marinai
cicaticcio''. _ oy%tv ga+r ... peponuo*Q, un po' sordo (y<po*kvfon) e che vede rissosi pronti a fare a pezzi il capitano
``eÁ cosõÁ difficile la condizione (to+ altrettanto poco e che ha analoghe che li contraddicesse rievoca poi la
pa*uoQ) dei migliori, in cui si trovano (e% tera toiay&ta) conoscenze intorno alle condanna di Socrate.
(o= pepo*nuasin) di fronte alle cittaÁ, che cose nautiche''; y<po*kvfon: con il pre-
non c'eÁ nessun'altra cosa (oy$d\ e> stin fisso y<po- si formano composti che ri- 488.c. ay$toy+Q de+ ... e$pitre*c|, ``ed essi
e= n oy$de+ n a>llo) che subisca nulla di ducono il significato dell'aggettivo stessi si affollano (perikexy*suai) intor-
simile'': eÁ ossessiva l'insistenza sulla semplice; e% tera toiay&ta, lett. ``altre di no al capitano stesso, pregandolo e fa-
situazione subita (to+ pa*uoQ ... o= pepo*n- tal genere'': il gigante mezzo sordo, cendo di tutto (pa*nta poioy&ntaQ) per-
uasin ... peponuo*Q) dagli e$ pieike* sta- miope ed incompetente eÁ il popolo, che affidi loro il timone''; perikexy*-

625
pei* uvsin a$lla+ a>lloi ma&llon, toy+Q me+ n a>lloyQ h/ a$pokteiny*ntaQ h/ e$ kba*llontaQ e$ k
th&Q nev*Q, to+n de+ gennai& on nay*klhron mandrago*r@ h/ me* u| h> tini a>ll{ sympodi* -
santaQ th&Q nev+Q a>rxein xrvme*noyQ toi& Q e$ noy&si, kai+ pi* nonta*Q te kai+ ey$vxoyme* noyQ
plei& n v<Q to+ ei$ ko+Q toy+Q toioy*toyQ, 488.d. pro+Q de+ toy*toiQ e$painoy&ntaQ naytiko+n me+n
kaloy&ntaQ kai+ kybernhtiko+n kai+ e$ pista*menon ta+ kata+ nay&n, o=Q a/n syllamba*nein
deino+Q |# o%pvQ a>rjoysin h/ pei* uonteQ h/ biazo*menoi to+n nay*klhron, to+n de+ mh+
toioy&ton ce*gontaQ v<Q a>xrhston, toy& de+ a$lhuinoy& kybernh*toy pe*ri mhd\ e$ pai^ onteQ,
o%ti a$na*gkh ay$t{& th+n e$ pime*leian poiei& suai e$ niaytoy& kai+ v<rv&n kai+ oy$ranoy& kai+
a>strvn kai+ pneyma*tvn kai+ pa*ntvn tv&n t|& te*xn| proshko*ntvn, ei$ me*llei t{& o>nti
nev+Q a$rxiko+Q e> sesuai, 488.e. o%pvQ de+ kybernh*sei e$ a*nte tineQ boy*lvntai e$ a*nte mh*,
mh*te te*xnhn toy*toy mh*te mele*thn oi$ o*menoi dynato+n ei#nai labei& n a%ma kai+ th+n ky-
bernhtikh*n. toioy*tvn dh+ peri+ ta+Q nay&Q gignome*nvn to+n v<Q a$lhuv&Q kybernhtiko+n
oy$x h<g|& a/n t{& o>nti metevrosko*pon te kai+ a$dole*sxhn kai+ a>xrhsto*n sfisi ka-
lei& suai y<po+ tv&n e$ n tai& Q oy%tv kateskeyasme*naiQ naysi+ plvth*rvn;
Kai+ ma*la, e> fh o< $Adei* mantoQ.
489.a. Oy$ dh*, h#n d\ e$ gv*, oi#mai dei& suai* se e$ jetazome* nhn th+n ei$ ko*na i$ dei& n, o%ti tai& Q
po*lesi pro+Q toy+Q a$lhuinoy+Q filoso*foyQ th+n dia*uesin e> oiken, a$lla+ manua*nein o=
le* gv.

suai: inf. pf. di peri-xe* v, ``riversarsi toioy&ton) dichiarandolo (v<Q) inutile''; da oi$ o*menoi, correlato con de* a e$ pai^ on-
intorno''; il periodo, iniziato con una e$ painoy&ntaQ eÁ predicativo del soggetto teQ: toy*toy ricapitola (funzione epana-
serie di participi complementari retti di a>rxein, mentre kaloy&ntaQ eÁ part. lettica) l'interr. indiretta che precede,
da no*hson, prosegue anacoluticamen- congiunto e spiega e$ painoy&ntaQ; ky- o%pvQ ... kybernh*sei. Il senso dell'allego-
te con l'infinito. _ e<ni* ote ... toy+Q toioy*- bernhtiko*Q, ``esperto nell'arte del ky- ria eÁ che il vero politico deve possedere
toyQ, ``e talvolta, se non lo convincono, bernh*thQ'', secondo la stessa struttura la scienza e la pratica del governo, e
ma (lo convincono, sott.) piuttosto altri, per cui naytiko*Q deriva da nay*thQ; deve perseguire il bene collettivo senza
ammazzando (questi) altri e gettandoli a>xrhston: come i filosofi nella questio- darsi cura del favore della moltitudine:
fuori dalla nave, e impedendo (sympo- ne posta da Adimanto. _ toy& de+ a$lhui- il filosofo al governo viene cosõÁ a costi-
di* santaQ) quel valente (gennai& on) capi- noy& ... e>sesuai, ``mentre non si intendo- tuire l'antitesi del demagogo.
tano con la mandragora o con l'eb- no affatto del vero pilota (toy& ... pe*ri), _
toioy*tvn ... plvth*rvn, ``quando si-
brezza o con qualche altro mezzo, go- del fatto che egli deve prendersi cura mili vicende accadono nelle navi, non
vernano la nave facendo uso di cioÁ che (e$ pime*leian poiei& suai) dell'anno e delle credi tu che chi sia davvero un timo-
trovano (toi& Q e$ noy&si) e, bevendo e ban- stagioni e del cielo e degli astri e dei niere sarebbe chiamato in realtaÁ un
chettando, navigano come eÁ naturale venti e di tutto cioÁ che concerne l'arte, acchiappanuvole (metevrosko*pon) e
che (navighi) simile gente''; a$lla+ a>lloi se deve essere davvero (t{& o>nti) capace un chiacchierone (a$dole* sxhn) e un es-
ma&llon: sott. pei* uvsin; a$lla+ a>lloi co- di comandare la nave''; toy& ... pe*ri: ba- sere inutile per loro, da parte di quelli
stituisce una parechesi; gennai& on: eÁ iro- ritonesi? con anastrofe?; e$ pime*leian che navigano (plvth*rvn) in navi in
nico; mandrago*r@: un tempo alla radi- poiei& suai: il medio indica che il vero queste condizioni?''; tutta la struttura
ce di questa pianta si attribuivano qua- timoniere eÁ personalmente coinvolto del periodo eÁ retta dalla principale
litaÁ afrodisiache; toi& Q e$ noy&si, lett. ``di in tutte queste preoccupazioni; e$ pai^ on- oy$x h<g|&, nonne putas?, interr. retorica,
cioÁ che c'eÁ'': part. sostantivato; i dema- teQ: il nom. eÁ attratto da pei* uonteQ e che regge l'infinitiva to+n kybernh*thn
goghi si impadroniscono dunque del biazo*menoi che precedono; t|& te*xn|: co- a/n kalei& suai, dalla quale dipende an-
potere eliminando i rivali, ingannando me quella della navigazione, anche cora il gen. assoluto toioy*tvn ... gigno-
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

il popolo e sfruttando nel proprio inte- quella del governo dello Stato eÁ per Pla- me* nvn, con valore di protasi di periodo
resse le pubbliche risorse: sono questi tone un'arte, che richiede altresõÁ una ipotetico dell'eventualitaÁ; entro di esso
gli argomenti correnti nella pubblicisti- conoscenza e non puoÁ essere di tutti. peri+ ta+Q nay&Q eÁ in posizione attributiva;
ca dei conservatori. _
a$rxiko*Q, ``capace di comandare'', for- metevrosko*pon: colui che sta ad osser-
mato come kybernhtiko*Q e naytiko*Q. vare (skope* v) i fenomeni celesti, ta+ me* -
488.d. pro+Q de+ toy*toiQ ... a>xrhston, tevra, come il Socrate delle Nuvole; si
``e inoltre (pro+Q ... toy*toiQ) lodano, chia- 488.e. o%pvQ de+ ... kybernhtikh*n, ``e noti ancora l'antitesi? tra kybernh*thQ
mandolo abile marinaio ed esperto ti- come egli governeraÁ, sia che qualcuno e plvth*r.
moniere e conoscitore dell'arte del na- lo voglia, sia che non voglia, di questo
vigare chi sia abile (deino*Q) a collaborare (toy*toy) non credendo (oi$ o*menoi) che 489.a. oy$ dh* ... le*gv, ``io non credo
con loro perche comandino, o persua- sia possibile apprendere l'arte (te* xnhn) che tu abbia bisogno (oy$ ... oi#mai dei& -
dendo o costringendo il comandante, e ne la pratica (mele* thn) e il modo di suai* se) di vedere l'immagine spiegata
biasimano chi non eÁ come loro (to+n mh+ reggere il timone''; il periodo eÁ retto (e$ jetazome* nhn), nel senso che (o%ti) essa

626
Platone
Kai+ ma*l$, e> fh.
Prv&ton me+ n toi* nyn e$ kei& non to+n uayma*zonta o%ti oi< filo*sofoi oy$ timv&ntai e$ n
tai& Q po*lesi di* daske* te th+n ei$ ko*na kai+ peirv& pei* uein o%ti poly+ a/n uaymasto*teron
h#n ei$ e$ timv&nto.

Repubblica
$Alla+ dida*jv, e> fh.
489.b. Kai+ o%ti toi* nyn ta$lhuh& le*geiQ, v<Q a>xrhstoi toi& Q polloi& Q oi< e$ pieike*statoi
tv&n e$ n filosofi* @ " th&Q me*ntoi a$xrhsti* aQ toy+Q mh+ xrvme* noyQ ke* leye ai$ tia&suai,

testi
a$lla+ mh+ toy+Q e$ pieikei& Q. oy$ ga+r e> xei fy*sin kybernh*thn naytv&n dei& suai a>rxesuai
y<f\ ay<toy& oy$de+ toy+Q sofoy+Q e$ pi+ ta+Q tv&n ploysi* vn uy*raQ i$ e* nai, a$ll\ o< toy&to
komceysa*menoQ e$ cey*sato, to+ de+ a$lhue+ Q pe* fyken, 489.c. e$ a*nte ploy*sioQ e$ a*nte
pe* nhQ ka*mn|, a$nagkai& on ei#nai e$ pi+ i$ atrv&n uy*raQ i$ e* nai kai+ pa*nta to+n a>rxesuai
deo*menon e$ pi+ ta+Q toy& a>rxein dyname* noy, oy$ to+n a>rxonta dei& suai tv&n a$rxome*nvn
a>rxesuai, oy} a/n t|& a$lhuei* @ ti o>feloQ |#. a$lla+ toy+Q ny&n politikoy+Q a>rxontaQ
a$peika*zvn oi}Q a>rti e$ le* gomen nay*taiQ oy$x a<marth*s|, kai+ toy+Q y<po+ toy*tvn a$xrh*-
stoyQ legome* noyQ kai+ metevrole* sxaQ toi& Q v<Q a$lhuv&Q kybernh*taiQ.
$ Oruo*tata, e> fh.
> Ek te toi* nyn toy*tvn kai+ e$ n toy*toiQ oy$ r<@*dion ey$dokimei& n to+ be* ltiston e$ pith*-
deyma y<po+ tv&n ta$nanti* a e$ pithdeyo*ntvn " poly+ de+ megi* sth kai+ i$ sxyrota*th diabolh+
gi* gnetai filosofi* @ 489.d. dia+ toy+Q ta+ toiay&ta fa*skontaQ e$ pithdey*ein, oy=Q dh+ sy+
f|+Q to+n e$ gkaloy&nta t|& filosofi* @ le*gein v<Q pampo*nhroi oi< plei& stoi tv&n i$ o*ntvn
e$ p\ ay$th*n, oi< de+ e$ pieike*statoi a>xrhstoi, kai+ e$ gv+ synexv*rhsa a$lhuh& se le* gein. h# ga*r;

somiglia nell'atteggiamento (th+n dia*ue- come fanno i mendicanti. _ o< toy&to ... fa dicemmo, non sbaglierai''; a$pei-
sin) alle cittaÁ nei confronti dei veri filo- e$cey*sato, ``chi pronuncioÁ questa spiri- ka*zvn: part. cong. con valore supposi-
sofi, ma che tu intenda cioÁ che dico''; tosaggine si sbaglioÁ''. L'episodio eÁ tivo; toy+Q ... politikoy+Q a>rxontaQ: eÁ ben
e$ jetazome* nhn, lett. ``indagata'': la spie- riferito dettagliatamente da Aristotele, chiaro che per Platone l'aggettivo nega
gazione eÁ come un'indagine nei con- Retorica 2, 16, 1391 a 8 ss.: Simonide, il sostantivo cui viene attribuito; oi}Q:
fronti del testo che deve essere illustra- interrogato dalla moglie del tiranno Ie- attratto in dativo da nay*taiQ, assorbito
to; th+n dia*uesin: acc. di relazione; So- rone se fossero preferibili le ricchezze o entro la relativa in seguito all'attrazio-
crate intende che Adimanto non avraÁ la sapienza, rispose che erano preferi- ne. _ metevrole*sxaQ: combina le due
certo bisogno che l'immagine della na- bili le ricchezze, perche i saggi si trova- qualifiche attribuite in 488 e al filosofo,
ve e del timoniere gli sia spiegata, ma no alla corte dei ricchi¨. ± to+ de+ ... metevrosko*pon te kai+ a$dole* sxhn. _ e>k
intenderaÁ da se quello che essa signifi- pe*fyken, ``mentre la veritaÁ eÁ per natu- te ... e$pithdeyo*ntvn, ``in conseguenza
ca. _ e$kei& non ... e$timv&nto, ``spiega (di* - ra'': segue l'illustrazione di questo di cioÁ e in queste situazioni non eÁ facile
daske) l'immagine a quello che si me- enunciato. (oy$ r<a*dion) che la pratica piuÁ nobile sia
ravigliava del fatto che i filosofi non in onore presso quelli che praticano il
sono onorati nelle cittaÁ, e cerca di con- 489.c. e$a*nte ... o>feloQ |#, ``sia che sia suo contrario''; oy$ r<a*dion presenta l'el-
vincerlo che sarebbe molto piuÁ singo- malato (ka*mn|) un ricco sia un povero, lissi del verbo essere e la lõÁtote?; ey$do-
lare (uaymasto*teron) se fossero onora- che sia necessario andare alle porte dei kimei& n ... y<po+ tv&n ... e$ pithdeyo*ntvn: il
ti'': Glaucone in 487 c-d aveva espresso medici, e che ognuno che ha bisogno verbo ey$dokimei& n eÁ costruito con il
questa meraviglia. (pa*nta to+n ... deo*menon) di essere gover- complemento di agente come se fosse
nato vada a quelle di chi eÁ in grado di un passivo (``goder di buona fama'' =
489.b. kai+ o%ti ... filosofi* @, ``e (digli) governare (toy& a>rxein dyname* noy) e che ``essere lodato''), con un procedimento
anche che afferma il vero, che i piuÁ non giaÁ chi governa, del quale ci sia in intenzionalmente arcaicizzante; to+
saggi (oi< e$ pieike* statoi) tra quelli che veritaÁ qualche utilitaÁ (ti o>feloQ) preghi be* ltiston e$ pith*deyma, ``la pratica piuÁ
si dedicano alla filosofia sono inutili i sudditi di lasciarsi governare'': l'av- eccellente'': perifrasi per ``la filosofia'';
per i piuÁ''; o%ti le* geiQ prosegue, coordi- versione di Platone verso la democra- e$ pith*deyma ... e$ pithdeyo*ntvn: la figura
nato da kai* iniziale, di* daske kai+ peirv& zia si manifesta nell'insistenza e nell'in- etymologica marca l'antitesi.
pei* uein o%ti. _ th&Q me*ntoi ... e$pieikei& Q, fittirsi della figura etymologica? a>rxe-
``ma pregalo (ke* leye) che di quella inu- suai ... a>rxein ... a>rxonta ... a$rxome* nvn 489.d. dia+ toy+Q ... e$p\ ay$th*n, ``a causa
tilitaÁ diano la colpa a quelli che non si a>rxesuai, che vorrebbe sottolineare la di coloro che affermano di praticare
servono di loro, non ai saggi''._ oy$ ga+r perversitaÁ del procedimento per cui chi simili attivitaÁ (ta+ toiay&ta), dei quali tu
e>xei ... y<f\ ay$toy&, ``non eÁ infatti naturale dovrebbe governare prega coloro cui dici che l'accusatore (to+n e$ gkaloy&nta)
che il pilota preghi i marinai di lasciarsi dovrebbe comandare. _ a$lla+ toy+Q ... della filosofia afferma (le* gein) che (so-
comandare da lui''; oy$ ... e> xei fy*sin, a<marth*s|, ``pertanto, paragonando i no) pessimi i piuÁ di quelli che si rivol-
lett. ``non ha natura'', quindi ``non eÁ politici governanti (toy+Q ... politikoy+Q gono ad essa (tv&n i$ o*ntvn e$ p\ ay$th*n)'';
conforme a natura''. _ e$pi+ ta+Q ... uy*raQ: a>rxontaQ) di ora ai marinai di cui poco oy=Q sy+ f|&Q: dipende da le* gein, ma al

627
Nai* .
Oy$koy&n th&Q me+ n tv&n e$ pieikv&n a$xrhsti* aQ th+n ai$ ti* an dielhly*uamen;
Kai+ ma*la.
Th&Q de+ tv&n pollv&n ponhri* aQ th+n a$na*gkhn boy*lei to+ meta+ toy&to die* luvmen, kai+
o%ti oy$de+ toy*toy filosofi* a ai$ ti* a, a/n dynv*meua, peirauv&men dei& jai;
Pa*ny me+ n oy#n.
489.e. $Akoy*vmen dh+ kai+ le* gvmen e$ kei& uen a$namnhsue*nteQ, o%uen di|&men th+n fy*sin
oi}on a$na*gkh fy&nai to+n kalo*n te ka$gauo+n e$ so*menon. 490.a. h<gei& to d\ ay$t{&, ei$ n{&
e> xeiQ, prv&ton me+ n a$lh*ueia, h=n div*kein ay$to+n pa*ntvQ kai+ pa*nt| e> dei h/ a$lazo*ni o>nti
mhdam|& metei& nai filosofi* aQ a$lhuinh&Q.
# Hn ga+r oy%tv lego*menon.
Oy$koy&n e= n me+n toy&to sfo*dra oy%tv para+ do*jan toi& Q ny&n dokoyme*noiQ peri+
ay$toy&;
Kai+ ma*la, e> fh.
#Ar\ oy#n dh+ oy$ metri* vQ a$pologhso*meua o%ti pro+Q to+ o/n pefykv+Q ei> h a<milla&suai
o% ge o>ntvQ filomauh*Q, kai+ oy$k e$ pime*noi e$pi+ toi& Q dojazome* noiQ ei#nai polloi& Q
e< ka*stoiQ, 490.b. a$ll\ i> oi kai+ oy$k a$mbly*noito oy$d\ a$polh*goi toy& e> rvtoQ, pri+ n
ay$toy& o= e> stin e< ka*stoy th&Q fy*sevQ a%casuai {} prosh*kei cyxh&Q e$ fa*ptesuai toy&
toioy*toy ± prosh*kei de+ syggenei& ± {} plhsia*saQ kai+ migei+ Q t{& o>nti o>ntvQ,

posto dell'infinito annunciato dal sog- ``cominciando a ricordare da laÁ'': l'idea lava la commedia di Difilo da cui Plauto
getto in accusativo troviamo una di- del punto da cui si inizia eÁ suggerita dal trasse il suo Miles gloriosus); mhdam|&, ``per
chiarativa con v<Q e l'ellissi del verbo preverbio a$na-; di|&men: impf. att. 1a pl. nulla'': locuzione avverbiale. _ oy$koy&n
essere. _ h# ga*r, ``o non eÁ cosõÁ?''. _ oy$- da di* eimi (ei#mi), usato come variante ... ay$toy&, ``dunque questo (toy&to) eÁ qual-
koy&n ... dielhly*uamen;, ``dunque non sinonimica di die* rxomai; kalo*n te ka$- cosa (e% n) molto contrario (para+ do*jan) a
abbiamo esaminato a fondo la causa gauo*n: l'espressione tradizionale per cioÁ che ora si pensa (toi& Q dokoyme*noiQ)
dell'inutilitaÁ dei saggi?'': dielhly*uamen: indicare l'eccellenza di sangue viene su di lui?''; para+ do*jan regge il dat. di
l'idea del ``passare attraverso'' (dia-) qui attribuita all'intellettuale compiu- relazione toi& Q dokoyme*noiQ; l'opinione
implica quella di una verifica ``pene- to, il filosofo. corrente sul filosofo eÁ proprio che egli
trante''. _ th&Q de+ tv&n pollv&n ... dei& jai, sia un a$lazv*n. _ a#r\ oy#n ... e<ka*stoiQ,
``vuoi (boy*lei) che esaminiamo in se- 490.a. h<gei& to, ``lo guidava'', nella di- ``forse dunque non prenderemo oppor-
guito la causa necessaria (th+n a$na*gkhn) scussione che precede questa e la intro- tunamente (metri* vQ) la difesa, (dicendo)
della malvagitaÁ dei piuÁ, e che cerchia- duce. _ ei$ n{& e>xeiQ, ``se ricordi'', si me- che il vero amante della sapienza eÁ di-
mo di dimostrare, se potremo (a/n moria tenes: n{& eÁ dat. strumentale. _ h=n sposto per natura (pefykv+Q ei> h) a com-
dynv*meua), che nemmeno di questo div*kein ... e>dei, h/ ... metei& nai, ``che biso- battere per cioÁ che eÁ (pro+Q to+ o>n) e non si
la filosofia eÁ causa?''; boy*lei presenta gnava che egli perseguisse (div*kein) in arresta (oy$k e$ pime* noi) ai molti singoli
la desinenza in -ei alla 2a persona sin- tutto e per tutto (pa*ntvQ kai+ pa*nt|), ov- oggetti (polloi& Q e< ka*stoiQ) che hanno
golare del medio al posto di quella piuÁ vero, se si fosse dimostrato un millanta- l'apparenza di essere''; a#r\ oy#n, num, in-
diffusa in -|; da boy*lei dipende il tore (a$lazo*ni o>nti), che non partecipasse troduce l'interrogazione diretta, che
cong. sostantivo die* luvmen, senza (metei& nai) in alcun modo della vera filo- prevede risposta negativa in relazione
congiunzione come nel lt. visne percur- sofia''; anche se e> dei eÁ inserito in una a metri* vQ: ``non prenderemo dunque
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

ramus, cui si coordina il seguente pei- delle due coordinate, regge sia div*kein opportunamente'', quindi ``saraÁ dunque
rauv&men; th+n a$na*gkhn, lett. ``la neces- sia metei& nai; pa*ntvQ kai+ pa*nt|: polipto- una difesa opportuna quella che faremo
sitaÁ''; a/n dynv*meua: protasi di periodo to?; come nella forma italiana ``in tutto dicendo che ...''; pefykv+Q ei> h, e$ pime* noi:
ipotetico dell'eventualitaÁ. e per tutto'', il rafforzamento espressivo ott. obliqui; qui Socrate riprende un
eÁ dato dall'accumulazione dei due ter- pensiero giaÁ precedentemente espresso.
489.e. a$koy*vmen dh+ kai+ le*gvmen, mini semanticamente tra loro non diffe-
``ascoltiamo e parliamo'': cong. esorta- renziati; a$lazo*ni o>nti: il dat. eÁ richiesto 490.b. a$ll\ i> oi ... pri+ n d\ oy$, ``ma pro-
tivi. _ e$kei& uen ... e$so*menon, ``rifacendo- dall'impersonale metei& nai (me* testi* moi* cede e non si fiacca (a$mbly*noito) e
ci con la memoria a questo punto da tinoQ, ``a me eÁ parte di qualcosa'', con non cessa dal suo desiderio (a$polh*goi
dove (o%uen) esaminavamo (di|&men) qua- dat. di possesso e gen. partitivo; il part. eÁ toy& e> rvtoQ), prima di aver toccato
le deve essere (a$na*gkh fy&nai, con sott. congiunto; a$lazv*n era, nel linguaggio (a%casuai) la natura di ciascuna cosa
e$ sti) per natura colui che saraÁ (to+n ... diffuso dalla commedia nuova, il ``(sol- qual eÁ (e< ka*stoy ay$toy& o% e$ stin), con
e$ so*menon) eccellente (kalo*n te ka$- dato) fanfarone'' che vantava imprese quella parte dell'anima con cui con-
gauo*n)''; e$ kei& uen a$namnhsue* nteQ, lett. straordinarie e incredibili (cosõÁ si intito- viene toccare simile cosa ({} ... toy&

628
Platone
gennh*saQ noy&n kai+ a$lh*ueian, gnoi* h te kai+ a$lhuv&Q z{*h kai+ tre* foito kai+ oy%tv
lh*goi v$di& noQ, pri+ n d\ oy>;
< VQ oi}o*n t$, e> fh, metriv*tata.
Ti* oy#n; toy*t{ ti mete*stai cey&doQ a$gapa&n h/ pa&n toy$nanti* on misei& n;

Repubblica
Misei& n, e> fh.
490.c. < Hgoyme* nhQ dh+ a$lhuei* aQ oy$k a>n pote oi#mai fame+ n ay$t|& xoro+n kakv&n
a$koloyuh&sai.

testi
Pv&Q ga*r;
$All\ y<gie* Q te kai+ di* kaion h#uoQ, {} kai+ svfrosy*nhn e% pesuai.
$ Oruv&Q, e> fh.
Kai+ dh+ to+n a>llon th&Q filoso*foy fy*sevQ xoro+n ti* dei& pa*lin e$ j a$rxh&Q a$nag-
ka*zonta ta*ttein; me* mnhsai ga*r poy o%ti syne* bh prosh&kon toy*toiQ a$ndrei* a, me-
galopre*peia, ey$ma*ueia, mnh*mh " 490.d. kai+ soy& e$pilabome*noy o%ti pa&Q me+n a$nag-
kasuh*setai o<mologei& n oi}Q le* gomen, e$ a*saQ de+ toy+Q lo*goyQ, ei$ Q ay$toy+Q a$poble*caQ
peri+ v}n o< lo*goQ, fai* h o<ra&n ay$tv&n toy+Q me+ n a$xrh*stoyQ, toy+Q de+ polloy+Q kakoy+Q
pa&san kaki* an, th&Q diabolh&Q th+n ai$ ti* an e$ piskopoy&nteQ e$ pi+ toy*t{ ny&n gego*namen, ti*
pou\ oi< polloi+ kakoi* , kai+ toy*toy dh+ e% neka pa*lin a$neilh*famen th+n tv&n a$lhuv&Q
filoso*fvn fy*sin kai+ e$ j a$na*gkhQ v<risa*meua. 490.e. > Estin, e> fh, tay&ta.

toioy*toy) ± e si addice alla parte che le te possibile''. _ toy*t{ ti ... misei& n, ``a 490.d. soy& e$pilabome*noy ... v<risa*-
eÁ affine (prosh*kei de+ syggenei& ) ± con costui toccheraÁ (mete* stai) di amare la meua, ``e quando tu obiettavi (soy& e$ pi-
la quale, accostatosi e unito (migei* Q) a menzogna o, al contrario, di odiarla labome* noy) che ognuno saraÁ costretto a
cioÁ che eÁ veramente (t{& o>nti o>ntvQ), totalmente'': ormai superato il picco consentire a cioÁ che (oi}Q 4 toy*toiQ a%)
dopo aver generato intelligenza e ve- della definizione teorica che ha illu- diciamo, ma, lasciando i discorsi e vol-
ritaÁ (gennh*saQ ... a$lh*ueian), acquista strato l'immagine del pilota, le con- gendo lo sguardo (a$poble* caQ) alle per-
conoscenza (gnoi* h) e vive veramente clusioni procedono con un discorso sone stesse di cui si parla (peri+ v}n o<
e si nutre (tre* foito) e cosõÁ eÁ liberato piuÁ agevole. lo*goQ) affermava (fai* h) di vedere alcu-
dalla doglia, non prima''; a$mbly*noito: ni di loro inutili, e i piuÁ malvagi di ogni
il verbo propriamente significa all'at- 490.c. h<goyme*nhQ ... a$koloyuh&sai, forma di malvagitaÁ (kakoy+Q pa&san ka-
tivo ``affievolire'', ``ottundere''; toy& ``se la veritaÁ facesse da guida, credo, ki* an), noi, indagando la causa di questa
e> rvtoQ: la ricerca della veritaÁ, per l'a- diciamo che non le si potrebbe mai accusa (th&Q diabolh&Q), siamo giunti ora
nima del filosofo, eÁ un vero e proprio (oy$k ... pote) accompagnare un coro a questo punto, (di vedere) in che i piuÁ
eros che la sconvolge e si placa solo di vizi'': in dipendenza da fame* n abbia- sono malvagi, e per questo abbiamo
con la congiunzione dell'anima con mo un periodo ipotetico della possibi- ripreso (pa*lin a$neilh*famen) la natura
l'idea e la generazione del pensiero e litaÁ, la cui protasi eÁ rappresentata dal dei veri filosofi e l'abbiamo definita
della veritaÁ; {} ... toioy*toy 4 e$ kei* n{ gen. assoluto h<goyme* nhQ ... a$lhuei* aQ. conforme a necessitaÁ (e$ j a$na*gkhQ)'';
cyxh&Q {}, ``con quella parte dell'anima _
a$ll\ y<gie*Q ... e%pesuai, ``ma (l'accom- oi}Q 4 toy*toiQ a%: attrazione del relativo;
con cui'': il pronome relativo assorbe pagnerebbe) un costume sano e giusto, peri+ v}n o< lo*goQ, lett. ``riguardo ai quali
il suo antecedente dimostrativo; de+ al quale si accompagna anche la tem- (eÁ) il discorso''; fai* h: dipendente da
syggenei& : tra le tre parti dell'anima peranza'': anche la relativa ha l'inf., me* mnhsai ... o%ti, con l'ott. obliquo; (e$ j
quella cui spetta accostarsi all'idea eÁ come se il suo predicato fosse un verbo a$na*gkhQ, ``come di necessitaÁ deve esse-
naturalmente quella intelligibile, co- di dire, ``al quale (diciamo che) si ac- re''). Colui che ha ricevuto una vera
me viene precisato nell'inciso prosh*- compagna''. _ kai+ dh+ ... ta*ttein, ``e che educazione filosofica assommeraÁ ne-
kei de+ syggenei& ; migei* Q: l'unione dell'a- bisogno c'eÁ di disporre nuovamente da cessariamente dunque in se le piuÁ no-
nima e dell'idea eÁ indicata proprio capo, costringendole, le altre virtuÁ che bili virtuÁ, ma esiste, almeno in pro-
con il verbo dell'unione sessuale, e accompagnano la natura del filosofo?''; spettiva, anche per questi la possibilitaÁ
da questa unione vengono generate to+n a>llon ... xoro*n, lett. ``il rimanente della corruzione: in questo caso anche
``intelligenza e veritaÁ (noy&n kai+ a$lh*- coro della natura del filosofo''; a$nag- le anime meglio dotate da natura, in-
ueian); gnoi* h: l'aoristo indica l'istan- ka*zonta, ``costringendole'': riferito al contrando una perversione della vera
taneitaÁ dell'atto della conoscenza che sogg. sottinteso di ta*ttein. _ me*mnhsai educazione, possono divenire pessi-
si consegue con questa mistica unio- ... mnh*mh, ``ricordi infatti, credo (poy), me: come nel percorso formativo de-
ne; a$lhuv&Q: solo la vita nella cono- che risultoÁ (syne* bh) conveniente lineato finora si prospettava la figura
scenza eÁ vera vita per l'anima; v$di& noQ: (prosh&kon) a questi il valore, la magna- di Socrate, maestro dell'eros ideale,
propriamente la doglia del parto, che nimitaÁ, la facilitaÁ di apprendere, la me- come apprendiamo dal Simposio, cosõÁ
cessa nel momento in cui la nuova moria'': poy, lett. ``in qualche modo'', nella possibilitaÁ della corruzione si av-
creatura viene alla luce. _ v<Q ... me- sfuma il concetto della frase; prosh&- verte la presenza della negazione del-
triv*tata, ``eÁ la difesa piuÁ opportu- kon: il neutro, pur riferito a quattro l'eros per la veritaÁ, impersonata in Al-
na'', lett. ``quanto piuÁ opportunamen- soggetti femminili, generalizza l'idea. cibiade.

629
traduzione d'autore
487.b. Al che intervenne Adimanto: «O Socrate, su tale materia nessuno potrebbe
coglierti in fallo, e d'altra parte eÁ questa l'impressione che ricava ogni volta chi ascolta
le tue parole. Costoro sono convinti che, per la loro incapacitaÁ a porre problemi e a
fornire risposte, ad ogni tua domanda siano impercettibilmente dirottati dalla giusta
linea di discorso, siccheÂ, mettendo insieme uno dopo l'altro questi spostamenti, per
quanto piccoli essi siano, alla fine ne vien una gran deviazione, al punto che uno si
trova in contraddizione con le premesse da cui eÁ partito. Avviene come nel gioco degli
scacchi, quando un giocatore veramente capace prima o poi finisce col metterne in
trappola uno inesperto, non lasciandogli piuÁ alcuna mossa possibile; 487.c. allo stesso
modo i tuoi uditori finiscono col trovarsi con le spalle al muro e restano privi di
argomenti da giocare su questa strana scacchiera fatta non di pedine, ma di ragio-
namenti; e tutto cioÁ non torna certo utile alla veritaÁ.
«Dico cioÁ, riferendomi al caso presente. A tal punto uno dovrebbe riconoscere di
non aver piuÁ nessuna argomentazione da contrapporre in via teorica ai tuoi quesiti,
salvo far vedere nella pratica come tutti quelli che, dopo aver studiato la filosofia nel
loro programma scolastico non se ne sono ritratti in tempo, quando erano ancora
giovani, 487.d. ma vi hanno insistito troppo a lungo, siano per lo piuÁ divenuti
stravaganti per non dire assolutamente disgraziati. E pure quelli che sembrano i
piuÁ normali traggono questo bel vantaggio da tale disciplina che tu vai lodando:
d'essere inutili allo Stato».
E io, intese queste parole, domandai: «Credi, dunque, che chi sostiene una tal tesi si
inganni?».
«Non saprei -- disse --, ma ascolterei volentieri la tua posizione».
487.e. «In tal caso, mi sentirai affermare che, a mio giudizio, essi dicono la veritaÁ».
«Allora -- obiettoÁ --, che senso ha dire che gli Stati non avranno tregua dalle loro
sciagure finche i filosofi non prenderanno il potere, se poi concordiamo sul fatto che eÁ
gente politicamente inutile?».
«La tua domanda -- gli risposi -- richiede che io risponda per metafore».
«E tu? -- osservoÁ -- non sei certo abituato ad esprimerti per immagini».
«E che? -- esclamai --. Oltre ad avermi intrappolato in una argomentazione cosõÁ
complessa, ora mi prendi anche in giro? 488.a. Ma sta' un po' attento a questa
immagine, cosõÁ potrai ancor meglio renderti conto di come io mi trovi a disagio in
un discorso per immagini.
«D'altra parte, gli uomini che sono piuÁ adatti al comando, hanno attualmente un
rapporto cosõÁ difficile con lo Stato da non aver precedenti. Per tal motivo eÁ necessario
che chi vuol difenderli, migliorando la loro immagine, raccolga elementi dai punti piuÁ
disparati, come fanno i pittori che dalla fusione di diversi particolari tirano fuori la
figura degli ircocervi e di altri mostri del genere.
«Supponi che su molte navi -- ma anche su una sola nave -- si verifichi una scena del
genere. Da una parte c'eÁ un capitano che pur superando tutto l'equipaggio 488.b. in
forza e in prestanza fisica eÁ un po' sordo, un po' miope, e, oltre a cioÁ, poco esperto
nelle tecniche della navigazione. Da un'altra parte ci sono i marinai fra loro in
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

perenne disaccordo su come gestire la nave, ciascuno ritenendosi in diritto di far


da nocchiero anche se digiuno di quest'arte; a tal proposito non saprebbero neÂ
indicare il loro maestro, ne il tempo in cui avrebbero appreso le tecniche di naviga-
zione. Anzi, asserendo che detta arte non eÁ in linea di massima insegnabile, costoro
sarebbero pronti a malmenare chiunque sostenesse il contrario. Immagina, a tal
punto, che questi marinai circondino senza tregua 488.c. il nocchiero pretendendo
e facendo ogni genere di pressione perche sia loro affidato il timone. E se per caso
talvolta non riuscissero a convincerlo e altri, in vece loro, la spuntassero, essi non
esiterebbero a ucciderli oppure a buttarli in mare, in modo tale -- quand'anche il buon
capitano fosse stato drogato con la mandragola o ubriacato o comunque messo fuori
gioco con qualche altro mezzo -- da avere il dominio incontrastato del vascello per

630
Platone
poter disporre dei viveri: a tali condizioni, essi navigherebbero fra libagioni e gozzo-
viglie, come eÁ nel loro stile.
«Oltre a cioÁ, questa ciurma 488.d. tesserebbe ogni elogio, e darebbe il titolo di lupo
di mare, di nocchiero, di esperto navigatore a chiunque fosse stato capace di favorire

Repubblica
le sue richieste di potere, convincendo o costringendo il capitano, e invece taccerebbe
di inefficienza chi non si fosse comportato in tal modo. Purtroppo, questi individui
non comprendono minimamente che un vero nocchiero, se vuole seriamente che la
sua nave sia ben condotta, non puoÁ non tener conto del clima, delle stagioni, del cielo
e degli astri, e cosõÁ pure dei venti e di tutto cioÁ che attiene alla sua arte.

testi
«In veritaÁ, a loro preme solo ottenere il comando 488.e. con o senza l'approva-
zione di una parte o dell'altra della ciurma, e, indipendentemente dal fatto che allo
scopo non possiedano alcuna conoscenza ne teorica ne pratica, e questo perche sono
convinti di poter apprendere l'arte della navigazione nel momento in cui ne assumano
il comando. Orbene, stando cosõÁ le cose sulla nave, non credi tu che anche un fior di
capitano finirebbe col meritarsi il titolo di acchiappanuvole, e di inconcludente
chiacchierone, da parte dei marinai di un vascello cosõÁ mal combinato?».
«Proprio cosõÁ», rispose Adimanto.
489.a. «Da parte mia -- osservai -- non credo affatto che tu abbia bisogno di
un'ulteriore spiegazione di questa metafora, e di come rappresenti il rapporto fra lo
stato e i veri filosofi; spero, anzi che sia riuscito a comprendere quello che intendo dire».
«Molto bene», rispose.
«Pertanto -- ripresi --, a quel tale che si meraviglia perche i filosofi sono poco
apprezzati nelle cittaÁ, in primo luogo fa' interpretare questa immagine e poi cerca
di convincerlo che, semmai, sarebbe molto piuÁ strano che essi fossero onorati». 489.b.
«CercheroÁ di farglielo capire», disse.
«Inoltre, spiega a quel tipo che dicevi il vero quando sostenevi che i piuÁ versati nella
filosofia sono anche i piuÁ inutili; ma la responsabilitaÁ di questa inutilitaÁ attribuiscila a
chi non sa servirsi di loro, e non a questi altri che, invece, sono all'altezza del proprio
ruolo.
«E, del resto, non eÁ nell'ordine delle cose che un capitano implori dai suoi marinai il
permesso di guidarli, ne che il sapiente vada a battere alla porta dei ricchi; e chi ha
detto questa battuta lo ha fatto a sproposito. La veritaÁ eÁ che tocca al malato -- ricco o
povero che sia -- 489.c. recarsi alla porta del medico, e cosõÁ pure a chi eÁ privo di guida
bussare alla porta di colui che potrebbe guidarlo. Il caso contrario, e cioeÁ che il
conduttore abbia bisogno di chi deve essere condotto per condurlo, non si daraÁ
mai, almeno se si prefigge di ottenere un qualche risultato utile. E, tuttavia, non sei
fuori strada, se paragoni i politici dei nostri giorni a quei marinai di cui abbiamo detto,
e gli uomini che quelli definiscono acchiappanuvole e buoni a nulla ai veri nocchieri».
«Benissimo», disse lui.
«Dunque, per i motivi suddetti, non eÁ certo facile che, in questo campo, il com-
portamento piuÁ serio possa godere i favori di chi vive in maniera esattamente opposta.
E peroÁ, l'insidia piuÁ grave e micidiale per la filosofia viene da coloro che fingono di
coltivarla. 489.d. Ed eÁ proprio riferendomi a questi che io mi dichiaravo d'accordo
con te quando giustamente ti facevi portavoce dell'accusa alla filosofia: dicevi, infatti,
che la maggior parte dei filosofi eÁ costituita da pessimi elementi, e quelli che pur
sarebbero i migliori risultano persone inutili. O non eÁ vero?».
«SõÁ, eÁ vero».
«Con cioÁ ritieni che si sia trattato a sufficienza del fatto che i migliori non vengano
utilizzati?».
«Certamente».
«Dopo questo, vuoi che trattiamo della necessitaÁ che i piuÁ siano malvagi e che
cerchiamo, nel limite delle nostre possibilitaÁ, di fornire la prova che cioÁ non puoÁ essere
imputato alla filosofia?».
«Assolutamente».

631
489.e. «Facciamo, dunque, attenzione e nel discorso riportiamoci a quel punto in
cui abbiamo illustrato la natura tipica dell'uomo di perfetta virtuÁ. 490.a. Se ben ti
ricordi, egli aveva come guida in primo luogo la veritaÁ che doveva perseguire in ogni
suo aspetto e ad ogni costo, pena l'esclusione dal campo della vera filosofia, come un
qualsiasi ciarlatano».
«Infatti avevamo detto proprio questo».
«E non eÁ giaÁ questa convinzione del tutto contro corrente rispetto a quanto oggi si
pensa del filosofo?».
«Altro che!», esclamoÁ.
«Sarebbe giaÁ un'adeguata difesa il sostenere che chi ama il sapere dev'essere per
natura proteso verso l'essere, 490.b. non perdendosi dietro alla molteplicitaÁ dei
particolari che eÁ oggetto di opinione, ma andandosene dritto per la sua via, senza
tentennamenti, senza desistere dal suo amore, finche non abbia colto nella sua essenza
l'essere di ciascun oggetto particolare con quella facoltaÁ dell'anima che eÁ destinata a
comprendere una tale realtaÁ; ed eÁ destinata a cioÁ perche eÁ della sua stessa natura. Ora,
non credi che solo per mezzo di questa facoltaÁ uno, accostandosi e fondendosi
intimamente con l'essere che eÁ veramente e generando intelligenza e veritaÁ, riusci-
rebbe a conoscere e quindi a vivere una vita autentica, e solo a questo punto, ma non
prima, grazie a un cibo nutriente, finalmente si libererebbe dalle doglie del parto?».
«Certo -- disse --, una difesa di tal genere sarebbe la piuÁ adatta».
«E che? In un uomo siffatto puoÁ trovar posto l'amore della menzogna, o non dovraÁ
piuttosto odiarla?».
«Certamente dovraÁ odiarla», ammise.
490.c. «Ora, quando alla guida eÁ la veritaÁ io credo che il seguito non possa essere
composto da un coro di vizi».
«Come pensarlo?».
«Ma da un costume integro e onesto, al quale si aggiunga la temperanza?».
«Questo va bene», disse.
«E dobbiamo forse di bel nuovo rimetterlo in fila questo resto del coro che segue la
natura del filosofo? Ti ricordi che a tali nature eravamo d'accordo di attribuire il
valore, la magnanimitaÁ, la facilitaÁ di apprendimento e la memoria. 490.d. Tu peroÁ a
un certo momento mi obiettavi che alle cose dette chiunque avrebbe dato il proprio
assenso; ma quando si fosse lasciata la teoria, per guardare in concreto alle persone di
cui si tratta, allora sarebbero apparsi in gran numero tristi figuri in tutto viziosi, o
comunque gente inutile. Ora noi, cercando il movente di una siffatta accusa, ci siam
fermati a questo punto: ossia a cercare la causa di una tale diffusa malvagitaÁ e, per far
cioÁ, abbiamo dovuto considerare di bel nuovo la natura dell'autentico filosofo e
definirla nei suoi caratteri necessari». 490.e. «EÁ andata proprio cosõÁ», ribadõÁ lui.

(Trad. R. Radice)

ANALISI DEL TESTO


" L'INTERLOCUTORE MESSO IN SCACCO Nel passo sono pre- Da notare, la prolessi del pronome toio*nde che ha lo
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

senti termini che caratterizzano il diale* gesuai socratico scopo di evidenziare lo smarrimento che vivono
quale arte della domanda e della risposta: e$rvta&n, quelli che ascoltano Socrate. Successivamente, sa-
e$rv*thma, a$pokri* nesuai. I primi due vocaboli vedono in- ranno anche la comparazione e la scelta dei termini a
debolito l'originario valore della radice er- che indica il mettere sapientemente in parallelo il blocco speri-
``manifestare'', ``ricambiare un segno'' quindi ``rendere mentato dai giocatori inesperti del gioco degli scac-
chiaro grazie alla parola'' e significano rispettivamente chi al blocco sperimentato dai destinatari del lo*goQ
``chiedere'' e ± con il suffisso -ma a significare l'azione e Svkratiko*Q:
l'effetto dell'azione ± ``domanda''. Il verbo a$pokri* nesuai,
± oi< mh+ teleytv&nteQ ? sfei& Q teleytv&nteQ
invece, dalla radice kri- che troviamo anche in kri* siQ o in
krith*rion ``segno, norma, mezzo in base a cui giudicare'', ± a$poklei* ontai ? a$poklei* esuai (sott. h<goy&ntai)
indica il ``rispondere'' dopo aver passato al vaglio, al se- ± kai+ oy$k e> xoysin o%ti fe* rvsin ? kai+ oy$k e> xein o%ti
taccio (cf. lat. cribrum, ``crivello'', ``setaccio''). le* gvsin

632
Á interessante notare come il

Platone
" UN MOTIVO RICORRENTE E avvicini: ``O Socrate, avevo udito, prima ancora di in-
motivo dello smarrimento dell'interlocutore di Socrate contrarmi con te, che tu non fai altro che dubitare e che
sia ricorrente nell'opera platonica. Si tratta dello smar- fai dubitare anche gli altri: ora, come mi sembra, mi af-
rimento che sperimenta il bello e giovane Alcibiade, che fascini, mi incanti, mi ammalii completamente, cosõÁ che
arriva ad ammettere: ``Socrate, per gli deÁi! Io non so son diventato pieno di dubbi. E mi sembra veramente, se

Repubblica
nemmeno piuÁ quello che dico, ma provo una sensazione eÁ lecito celiare, che tu assomigli moltissimo, quanto alla
molto strana e anomala: nel momento in cui tu mi poni figura e quanto al resto, alla piatta torpedine marina.
delle domande, le cose mi appaiono ora in un modo, ora Anch'essa, infatti, fa intorpidire chi le si avvicina e la
in un altro'' (Alc. I 116e; trad. D. Puliga). Ed eÁ lo stesso tocca: e mi pare che, ora, anche tu abbia prodotto su di
smarrimento che sperimenta il bello e giovane Menone me un effetto simile. Infatti, veramente io ho l'anima e la

testi
che, proprio per questo motivo, paragona Socrate a una bocca intorpidite e non so piuÁ che cosa risponderti''
torpedine marina che fa intorpidire chiunque le si (Menone 80a-b; trad. G. Reale).

15 Il mito della caverna (514a-516c)

L'esperienza dei nostri sensi, secondo Platone, eÁ assolutamente illusoria: questo concetto eÁ illustrato dal famoso
mito della caverna.

``Paragona a una condizione di questo genere la nostra natura per quanto con-
cerne l'educazione e la mancanza di educazione. Immagina di vedere degli
uomini rinchiusi in una abitazione sotterranea a forma di caverna che abbia
l'ingresso aperto verso la luce, estendentesi in tutta la sua ampiezza per tutta
quanta la caverna; inoltre, che si trovino qui fin da fanciulli con le gambe e
con il collo in catene in maniera da dover stare fermi 514.b. e guardare solamente
davanti a seÂ, incapaci di volgere intorno la testa a causa di catene e che, dietro di
loro e piuÁ lontano arda una luce di fuoco. Infine, immagina che fra il fuoco e i
prigionieri ci sia, in alto, una strada lungo la quale sia costruito un muricciolo,
come quella cortina che i giocatori pongono tra se e gli spettatori, sopra la quale
fanno vedere i loro spettacoli di burattini''.
``Vedo'', disse.
514.c. ``Immagina, allora lungo questo muricciolo degli uomini portanti attrez-
zi di ogni genere, che sporgono al di sopra del muro, e statue 515.a. e altre figure
di viventi fabbricate in legno e in pietra e in tutti i modi; e inoltre, come eÁ naturale,
che alcuni dei portatori parlino e che altri stiano in silenzio''.
``Tratti di cosa ben strana ± disse ± e di ben strani prigionieri''.
Sono simili a noi ± ribattei ±. Infatti, credi innanzi tutto che vedano di se e degli
altri qualcos'altro, oltre alle ombre proiettate dal fuoco sulla parte della caverna
che sta di fronte a loro?''.
``E come potrebbero ± rispose ±, se sono costretti a tenere la testa immobile
515.b. per tutta la vita?''.
E degli oggetti portati non vedranno pure la loro ombra?''.
``E come no?''.
``Se, dunque, fossero in grado di discorrere fra di loro, non credi che riterreb-
bero come realtaÁ appunto quelle che vedono?''.
``Necessariamente''.
515.c. ``E se il carcere avesse anche un'eco proveniente dalla parete di fronte,
ogni volta che uno dei passanti proferisse parola, credi che essi riterrebbero che
cioÁ che proferisce parola sia altro se non l'ombra che passa?''.
``Per Zeus! ± esclamoÁ ±. No di certo''.
``In ogni caso ± continuai ±, riterrebbero che il vero non possa essere altro se
non le ombre di quelle cose artificiali''. ``Per forza'', ammise lui.

633
``Considera ora ± seguitai ± quale potrebbe essere la loro liberazione dalle catene
e la loro guarigione dall'insensatezza e se non accadrebbero loro le seguenti cose.
Poniamo che uno fosse sciolto e subito costretto ad alzarsi, a girare il collo, a
camminare e a levare lo sguardo in su verso la luce e, facendo tutto questo,
provasse dolore, e per il bagliore fosse incapace di riconoscere quelle cose delle
quali prima 515.d. vedeva le ombre; ebbene, che cosa credi che risponderebbe,
se uno gli dicesse che mentre prima vedeva solo vane ombre, ora, invece, essendo
piuÁ vicino alla realtaÁ e rivolto a cose che hanno piuÁ essere, vede piuÁ rettamente, e,
mostrandogli ciascuno degli oggetti che passano, lo costringesse a rispondere
facendogli la domanda `che cos'eÁ?'? Non credi che egli si troverebbe in dubbio
e che riterrebbe le cose che prima vedeva piuÁ vere di quelle che gli mostrano
ora?''.
``Molto'', rispose.
515.e. ``E se uno poi lo sforzasse a guardare la luce medesima, non gli farebbero
male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi indietro verso quelle cose che puoÁ
guardare, e non riterrebbe queste veramente piuÁ chiare di quelle mostrategli?''.
``EÁ cosõÁ'', disse.
Ed io di rimando: ``E se di laÁ uno lo traesse a forza per la salita aspra ed erta, e
non lo lasciasse prima di averlo portato alla luce del sole, forse non soffrirebbe e
516.a. non proverebbe una forte irritazione per essere trascinato e, dopo che sia
giunto alla luce con gli occhi pieni di bagliore, non sarebbe piuÁ capace di vedere
nemmeno una delle cose che ora sono dette vere?''.
``Certo ± disse ±, almeno non subito''.
``Dovrebbe, invece, io credo, farvi abitudine, per riuscire a vedere le cose che
sono al di sopra. E dapprima, potraÁ vedere piuÁ facilmente le ombre e, dopo
queste, le immagini degli uomini e delle altre cose riflesse nelle acque e, da ultimo,
le cose stesse. Dopo di cioÁ potraÁ vedere piuÁ facilmente quelle realtaÁ che sono nel
cielo e il cielo stesso di notte, guardando la 516.b. luce degli astri e della luna,
invece che di giorno il sole e la luce del sole''.
``Come no?''.
``Per ultimo, credo, potrebbe vedere il sole e non le sue immagini nelle acque o
in un luogo esterno ad esso, ma esso stesso di per se nella sede che gli eÁ propria, e
considerarlo cosõÁ come esso eÁ''.
``Necessariamente'', ammise.
``E, dopo questo, potrebbe trarre su di esso le conclusioni, ossia che eÁ proprio lui
che produce le stagioni e gli anni e che governa tutte le cose 516.c. che sono nella
regione visibile e che, in certo modo, eÁ causa anche di tutte quelle realtaÁ che lui e i
suoi compagni prima vedevano''.
``EÁ evidente ± disse ±, che, dopo le precedenti, giungerebbe proprio a queste
conclusioni''. ``E allora quando si ricordasse della dimora di un tempo, della
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

sapienza che qui credeva di avere e dei suoi compagni di prigionia, non crederesti
che sarebbe felice del cambiamento, e che proverebbe compassione per quelli?''.
``Certamente''.
``E se fra quelli c'erano onori ed encomi, e premi per chi mostrava la vista piuÁ
acuta nell'osservare le cose che passavano, e ricordava maggiormente quali di esse
fossero solite passare per prime o per ultime 516.d. o insieme e quindi dimostrasse
grandissima abilitaÁ nell'indovinare che cosa stesse per arrivare, credi che costui
potrebbe provare ancora desiderio di cioÁ o che invidierebbe coloro che sono
onorati o che hanno potere presso quelli? Non pensi invece che accadrebbe
quanto dice Omero, e che di molto preferirebbe vivere sopra la terra a servizio

634
di un altro uomo senza ricchezze1 e patire qualsiasi cosa, anziche ritornare ad avere

Platone
quelle opinioni e vivere in quel modo?''
EÁ cosõÁ ± disse ±. Io credo che egli soffrirebbe qualsiasi cosa piuttosto che vivere
in quel modo''. (Trad. R. Radice)

Repubblica
1. sopra la terra ... senza ricchezze:
Odissea, XII, 489.

testi
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. L'immagine della caverna eÁ un'allegoria. Analizzane i singoli elementi sulla base di questo schema:
IMMAGINE SIGNIFICATO

caverna condizione di chi conosce attraverso i sensi...


prigionieri ....................................................................................

muro ....................................................................................

ombre ....................................................................................

salita ....................................................................................

sole ....................................................................................

Elabora quindi uno scritto di 10 righe per spiegare il significato complessivo dell'allegoria.
STILE E RETORICA
2. Lo stile di Platone mira alla ``visualizzazione'' del reale. Passando dal codice della lingua scritta a quello grafico
e basandoti esclusivamente sui dati forniti dal testo, realizza un disegno che visualizzi l'ambiente della
caverna cosõÁ come eÁ presentato in 514a-516c.

Per approfondire
La forza del mito in Platone del mito in Platone eÁ particolarmente complessa e si
sofferma, nello specifico, sugli effetti del mito sul de-
Platone eÁ stato grande creatore di miti: noti a tutti sono i stinatario. La persuasione operata dal mito eÁ, infatti, di
miti della biga alata (Fedro 246a-d), quello del soldato Er tipo particolare ``una persuasione che si opera tra le
(a rappresentare, come in una visione, il destino del- nebbie dell'inconscio, piuÁ che alla luce della co-
l'anima dopo la morte, Repubblica 614a-621d) o, an- scienza, perche l'ascoltatore, in questo caso, non si
cora, quello della Caverna (che raffigura la condizione rende conto di essere destinatario di un discorso
degli uomini e dice della loro conoscenza limitata e persuasivo, ma crede di ascoltare per diletto un rac-
parziale, Repubblica 514a-517a). conto verace sul passato. E, a differenza del discorso
Il mito platonico si caratterizza per il fatto di esprimere di un oratore, il mito non produce nel pubblico un
in immagini le profonditaÁ della riflessione della ragione cambiamento repentino di opinione, un'adesione im-
umana e di rivolgersi alla componente irrazionale del- mediata, e magari effimera, bensõÁ un'assuefazione
l'animo del destinatario. Il mito cosõÁ inteso eÁ radicalmente progressiva, inavvertita e duratura ai messaggi depo-
diverso dal mito tradizionale, peraltro ritenuto profon- sitati'' (G. Cerri, Platone sociologo della comunicazione,
damente diseducativo: Platone, infatti, non si rifaÁ a storie Argo, Lecce 1996, p. 84).
note, collettivamente condivise, ma diventa egli stesso Indipendentemente dagli effetti che il mito sortisce,
creatore di ``storie'' originali. resta comunque da ribadire che mito e filosofia, di fatto,
GiaÁ gli antichi si chiedevano quali fossero le ragioni di rispondono entrambi ad un medesimo bisogno: l'esi-
questa sua particolare creazione: l'epicureo Colote, per genza di suscitare meraviglia.
esempio, rimproverava al filosofo ateniese il fatto di im- Lo stesso Aristotele, che ha visto nella meraviglia
piegare il mito perche in contraddizione con se stesso, l'origine della filosofia (dia+ ga+r to+ uayma*zein oi<
ricorreva a storie menzognere e non si preoccupava di a>nurvpoi kai+ ny&n kai+ to+ prv&ton h>rjanto filosofei& n,
dimostrare per via razionale una veritaÁ scientifica. Metafisica 982b) osserva che ``anche colui che ama il
Lo studioso italiano Cerri, ribadisce che la questione mito eÁ, in certo qual modo, un filosofo'' (ibidem).

635
16 L'idea del Bene (517c-521b)

Proseguendo nella sua indagine, Socrate illustra l'educazione piuÁ adatta per la natura eletta del filosofo. Questa
dottrina suprema, me* giston ma*uhma, costituisce la relazione delle singole virtuÁ con il principio che le raccoglie e le
origina: questo principio eÁ il Bene, che viene presentato con l'immagine della Luce; una luce, anzitutto intel-
lettuale e quindi fisica, che eÁ immagine della prima. Il processo che consente questa ascesa verso l'idea del Bene
eÁ rappresentato, come abbiamo visto a p. 633, dal mito della caverna.

517.c. Ad ogni buon conto, questa eÁ la mia opinione: nel mondo delle realtaÁ
conoscibili l'Idea del Bene viene contemplata per ultima e con grande difficoltaÁ.
Tuttavia, una volta che sia stata conosciuta non si puoÁ fare a meno di dedurre, in
primo luogo, che eÁ la causa universale di tutto cioÁ che eÁ buono e bello -- e
precisamente, nel mondo sensibile, essa genera la luce e il signore della luce, e
in quello intelligibile procura, in virtuÁ della sua posizione dominante, veritaÁ e
intelligenza -- e, in secondo luogo, che ad essa deve guardare chi voglia avere una
condotta ragionevole nella sfera pubblica e privata».
«Sono d'accordo con te: -- ammise --, almeno nella misura in cui mi riesce di
seguirti».
«Allora -- aggiunsi io --, concordi con me che non vi sia nulla di strano che
persone che si sono elevate fino a tali vertici non vogliano piuÁ impegnarsi in
imprese umane, ma che nel loro animo sempre siano attratti e sollecitati a tornare
lassuÁ. 517.d. E cioÁ eÁ perfettamente logico, se ci si deve attenere alla metafora sopra
illustrata».
«Certo, eÁ logico», convenne.
«E poi -- dissi -- ti sembrerebbe strano se qualcuno che discende dalla contem-
plazione delle realtaÁ divine ai fatti umani rischia di far una brutta figura, di
apparire del tutto ridicolo, quando, muovendosi a tentoni, prima ancora di esser
riuscito ad abituarsi alla presente oscuritaÁ eÁ costretto nei tribunali o in altro luogo
a scendere in lizza solo per un'ombra di giustizia o per quel simulacro che proietta
quell'ombra 517.e. e a stare a discutere sul modo in cui queste apparenze debba-
no essere interpretate da chi non ha mai visto la Giustizia in seÂ?».
«Non ci sarebbe proprio nulla da meravigliarsi», disse.
518.a. «Ma -- ripresi -- se uno ha un po' di senno dovrebbe ricordare che ci sono
due tipi di disturbi agli occhi con due cause diverse: quel disturbo che affligge la
vista quando si passa dalla luce al buio e quello che l'affligge quando si passa dal
buio alla luce.
«Ora, si deve immaginare che qualcosa di analogo succeda anche per l'anima,
sicche quando se ne incontri una in difficoltaÁ perche eÁ incapace di vedere, non se
ne dovrebbe ridere stoltamente, ma prima bisognerebbe verificare se essa per caso
non sia di ritorno da un mondo piuÁ luminoso e si trovi con la vista annebbiata
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

perche non ancora avvezza all'oscuritaÁ, oppure se non stia passando da una
condizione di maggiore ignoranza ad una di piuÁ viva conoscenza cosõÁ da essere
completamente trafitta da luce abbagliante. 518.b. In tal senso egli dovrebbe, nel
caso di quest'anima, congratularsi con essa per quanto le sta accadendo e per la
vita hche la attendei, nel caso dell'altra dovrebbe aver compassione. E se proprio
non potesse trattenersi dal ridere, sappia che, diretto a quest'ultima anima, il suo
riso sarebbe comunque meno ridicolo che non se fosse indirizzato all'altra anima,
quella discesa dall'alto e dalla luce.
«Conviene ritenere -- dissi io -- che, se quanto si eÁ detto eÁ vero, l'educazione non
sia quale la dipingono alcuni, che ne fanno professione. Dicono, infatti, che pur

636
Platone
non essendoci nell'anima la conoscenza, 518.c. essi ve la immettono, come se
immettessero la vista in occhi ciechi».
«Effettivamente lo sostengono», ammise.
«Invece -- continuai --, il mio ragionamento mostra che questa facoltaÁ presente

Repubblica
nell'anima di ognuno e l'organo con cui ognuno apprende, proprio come l'occhio,
non sarebbe possibile rivolgerlo dalla tenebra alla luce se non insieme con tutto il
corpo, cosõÁ bisogna girarlo via dal divenire con tutta intera l'anima, fino a che non
risulti capace di pervenire alla contemplazione dell'essere e al fulgore supremo

testi
dell'essere; ossia questo che diciamo essere Bene. 518.d. O no?».
«SõÁ».
«Di cioÁ, ossia di questa conversione -- dissi io --, ci puoÁ essere un'arte, che
insegni in che modo l'anima possa essere piuÁ facilmente e piuÁ efficacemente
girata. E, quindi, non si tratta dell'arte di immettervi la vista, ma di metterci
mano, tenuto conto che essa giaÁ la possiede, ma non riesce a volgerla nella giusta
direzione, ne a vedere quel che dovrebbe».
«CosõÁ sembra», disse.
«Dunque, le altre virtuÁ che sono dette dell'anima puoÁ darsi che si avvicinino a
quelle del corpo -- esse, infatti, 518.e. non preesistono al corpo, ma vi vengono in
seguito infuse attraverso l'abitudine e l'esercizio --, invece, la virtuÁ dell'intelligenza
piuÁ di ogni altra, a quanto pare, eÁ connessa a qualcosa di piuÁ divino, che non
perde mai la propria potenza, 519.a. ma diventa utile o giovevole o, al contrario,
inutile e dannosa, a seconda della piega che le si daÁ. O non hai notato che
l'animuccia di coloro che sono detti malvagi, ma che sono intelligenti, vede in
modo penetrante e distingue acutamente le cose alle quali si rivolge, in quanto ha
la vista non cattiva, bensõÁ asservita alla malvagitaÁ, di guisa che quanto piuÁ acu-
tamente vede, tanto maggiori mali produce?».
«Certamente», disse.
«Pertanto -- ripresi --, se ad una siffatta natura a partire dall'infanzia venissero
tagliati tutt'intorno questa specie di 519.b. pesi di piombo collegati con il divenire
-- e del resto sono essi che, attaccandosi a tale natura mediante i cibi, i piaceri e le
mollezze di tal genere, trascinano in basso il suo sguardo --, e se, liberandosi da
essi, si convertisse alla veritaÁ, ebbene questa medesima natura di tali uomini
vedrebbe nella maniera piuÁ acuta anche queste cose, esattamente come ora vede
quelle alle quali eÁ volta».
«EÁ naturale», ammise lui.
«E che? -- dissi --. Non ti sembra che sia naturale e che sia strettamente connesso
con quello che si eÁ detto che gente ignorante e senza alcuna esperienza della veritaÁ
non potrebbe mai amministrare in un modo decente uno Stato; 519.c. e che
neppure lo potrebbero coloro che sono stati lasciati fino alla fine a studiare? I
primi, in effetti non hanno nella vita neppure un ideale, ispirandosi al quale poter
conformare tutto il proprio comportamento sia in pubblico che in privato; gli altri,
invece, fosse per loro, non prenderebbero alcuna iniziativa, ritenendo di essere
migrati, ancora in vita, nelle isole dei beati».
«EÁ vero», ammise.
«Pertanto -- continuai --, saraÁ nostro preciso dovere di fondatori dello Stato
costringere le nature piuÁ dotate a indirizzarsi verso quella che prima avevamo
definito conoscenza massima -- ossia la visione del Bene -- e a incamminarsi per
quella erta salita. 519.d. PeroÁ, saraÁ anche nostro dovere, una volta che siano
arrivati in cima ed abbiano contemplato quanto basta, non permettere loro cioÁ
che oggi eÁ concesso».

637
«E che cosa eÁ concesso?».
«Di starsene lassuÁ -- risposi -- e di non voler piuÁ saperne di tornare dai compagni
in catene, e di condividere i loro onori e le loro fatiche, grandi o piccole che siano.
«Ma, in tal modo -- osservoÁ -- non rischiamo forse di trattarli ingiustamente,
costringendoli ad una vita peggiore, quando avrebbero la possibilitaÁ di una mi-
gliore?».
519.e. «Ed ecco, caro amico, che ancora una volta ti dimentichi che la legge
non ha come obiettivo di privilegiare nella CittaÁ una sola classe, ma di fare in
modo che cioÁ si verifichi in tutto lo Stato, creando consenso fra i cittadini con le
buone o con le cattive, 520.a. e facendo in modo che si scambino reciprocamente
quei servizi che ognuno individualmente ha la possibilitaÁ di rendere alla colletti-
vitaÁ. Del resto il compito specifico della legge eÁ quello di formare nella societaÁ non
uomini che prendono ognuno la strada che vuole, ma cittadini che essa stessa puoÁ
impiegare in funzione del consolidamento dello Stato».
«Hai ragione -- riconobbe lui --, me ne ero proprio dimenticato».
Io, allora, continuai in questo modo: «Considera, Glaucone, che noi non
tratteremo affatto ingiustamente coloro che sono divenuti filosofi che nasceranno
nel nostro Stato, ma avremo buone motivazioni da addurre, quando li forzeremo
a prendersi cura e a difendere il loro prossimo.
520.b. «Diremo che quelli che sono come loro negli altri Stati non partecipano
alla vita della CittaÁ, e con tutte le ragioni, perche essi si sono fatti da seÂ, senza
l'intervento del loro Stato; e chi si eÁ fatto da se e non deve nulla a nessuno per la
sua formazione ha ogni diritto di non sentirsi vincolato a risarcire alcuno delle
spese di mantenimento. Voi invece siete stati formati da noi, perche foste, come
avviene negli alveari, per voi stessi e per l'intera comunitaÁ guide e sovrani: per
questo avete avuto una formazione piuÁ elevata e piuÁ completa degli altri, per
essere in grado di partecipare dell'una o dell'altra scienza.
520.c. «Dunque, per ciascuno di voi, a turno, saraÁ un dovere scendere nelle
case degli altri ed abituarsi a scorgere gli oggetti avvolti dalle tenebre, in quanto,
non appena vi sarete abituati a questa condizione vedrete assai meglio di quelli di
laggiuÁ e riconoscerete ciascuna immagine per quel che eÁ e per quello che rap-
presenta proprio in quanto avete contemplato la vera essenza del Bello, del Giusto
e del Bene.
«E cosõÁ lo Stato potraÁ dirsi amministrato da gente desta e non trasognata, sia a
nostro che a vostro vantaggio, mentre oggi la maggior parte delle CittaÁ eÁ retta da
uomini che si azzuffano per delle ombre e sono in perpetua rivolta per il potere,
come se fosse un gran bene.
520.d. «Ma in veritaÁ le cose stanno in tal modo: lo Stato che eÁ amministrato
meglio di ogni altro e piuÁ pacificamente di ogni altro, eÁ senz'altro quello in cui
detiene il potere chi meno lo desidera; viceversa, lo Stato che eÁ retto peggio
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

sarebbe quello che ha uomini di governo di natura opposta a questa».


«Esattamente», disse lui.
«E dunque, udite tali ragioni, pensi che i nostri pupilli oseranno disubbidirci e
non vorranno fare la loro parte nella vita dello Stato, ciascuno per quanto gli
compete, per poter convivere tutti insieme per lungo tempo in un mondo non
indegno?».
520.e. «E Á impossibile -- rispose --, percheÂ, dopotutto, noi proponiamo cose
giuste a uomini giusti. Piuttosto, ciascuno di loro si avvicineraÁ al comando per
senso del dovere, con un sentimento opposto a quello che oggi hanno gli uomini di
potere in ogni altro Stato».

638
Platone
Ed io continuai dicendo: «Questa eÁ la veritaÁ, caro amico: potrai avere uno Stato
ben governato solo se riuscirai a trovare, 521.a. per chi vorraÁ governarlo, un
modo di vivere migliore del potere stesso. Effettivamente, eÁ solo in una societaÁ
siffatta che i ricchi avranno accesso al comando; ma non saranno i ricchi di oro,

Repubblica
bensõÁ di cioÁ di cui deve abbondare l'uomo felice: intendo dire una condotta di vita
onesta e saggia. Ma se dei pezzenti avidi di trarre profitto personale si avventano
sul bene pubblico, con tutte le intenzioni di doverne strappare il proprio torna-
conto, non ti saraÁ possibile avere una CittaÁ ben governata, in quanto, essendo il

testi
potere oggetto di discordia, una guerra fratricida e intestina prima o poi manderaÁ
in rovina i contendenti e con loro tutto il resto dello Stato».
«EÁ la pura veritaÁ», riconobbe.
521.b. «E sapresti tu trovare un'altra vita che ha in spregio il potere politico,
che non sia quella dedicata all'autentica filosofia?».
«No, per Zeus!», esclamoÁ.
«Ad ogni modo, bisogna rivolgersi al potere senza esservi spinti dal desiderio,
altrimenti si andraÁ allo scontro con gli altri pretendenti».
«Come no!».
«E, d'altra parte, quali persone potrai spingere ad assumersi la responsabilitaÁ
della difesa dello Stato, se non quelle che sono piuÁ ferrate sulle regole del buon
governo, e si riservano ben altri onori e una vita migliore di quella del politico?».
«Nessun'altra persona», ne convenne.
(Trad. G. Reale)

GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Rispondi alle seguenti domande:
" di che cosa eÁ causa l'idea di Bene?
............................................................................................................................................................................
" chi deve guardare ad essa?
............................................................................................................................................................................

2. A quale personaggio storico si faraÁ riferimento con l'accenno ai tribunali (dikasth*ria) in 517d?
................................................................................................................................................................................

3. Contrariamente ai Sofisti che ritenevano che l'educazione venisse da qualcosa di esterno all'anima secondo
un procedimento paragonabile a quello dell'immettere la vista in occhi ciechi (518c), Platone afferma che la
scienza eÁ potenzialmente in ogni anima e che l'insegnamento e l'istruzione non fanno che destarla. In che
cosa consiste, quindi, la vera educazione? Motiva la tua risposta con un elaborato di 10 righe.
4. Rispondi alle seguenti domande:
" qual eÁ il dovere del filosofo?
............................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................
" chi eÁ il vero politico?
............................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................
" in che senso paidei* a e politei* a sono connesse?
............................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................
" chi sono i referenti polemici di Platone?
............................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................

639
La voce della critica Le maschere del Simposio

G. Reale
Platone.
Simposio,
F riedrich Nietzsche ha scritto:
«Tutto cioÁ che eÁ profondo ama
In conclusione: Platone fa una precisa scel-
ta dei personaggi e di cioÁ che viene messo loro
in bocca, con una straordinaria inventiva
Rusconi, la maschera», e ha precisato: «Ogni
Milano 1993, spirito profondo ha bisogno di una drammaturgica e poetica, secondo un progetto
pp. 5-31. maschera: e piuÁ ancora, intorno a molto preciso che mira alla comunicazione di
ogni spirito profondo cresce conti- messaggi assai ricchi e per molti aspetti rivolu-
nuamente una maschera, grazie alla costante- zionari.
mente falsa, cioeÁ superficiale interpretazione di I personaggi chiamati in causa sono tutti
ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita maschere che esprimono non solo personaggi
che egli daÁ» (Al di laÁ del bene e del male, I 40). singoli, ma correnti di pensiero dell'epoca di
Forse il Simposio rappresenta l'esempio piuÁ Socrate e di Platone. Fedro, il primo che parla,
tipico e piuÁ perfetto del modo in cui un genio eÁ simbolo di quel tipo di uomini che sanno piuÁ
quale Platone ha sentito questo profondo biso- provocare discorsi che non farli loro medesimi
gno e lo ha espresso in forma artistica. (i convitati, nel fare l'elogio di Eros, prendono
In questo suo scritto, egli non solo si nascon- proprio spunto da un suo rilievo, che da tempo
de dietro una maschera, ma mette in gioco tutta stava facendo, secondo cui i poeti hanno can-
una serie di maschere, e per nascondersi, e in- tato molti deÁi, ma non Eros, che pur merite-
sieme rivelarsi, sceglie due di queste, e mette in rebbe grandi elogi). Pausania eÁ la maschera del
atto un gioco complessissimo e insieme bellissi- retore-politico, che parla con grandi abilitaÁ
mo con una abilitaÁ veramente straordinaria. doxastiche e psicagogiche. Erissimaco esprime
Il luogo in cui si tiene il simposio eÁ la casa il personaggio del medico greco, assai colto e
del poeta tragico Agatone, che festeggia la vit- ispirantesi ai filosofi naturalistici. Aristofane eÁ
toria da lui ottenuta (416 a.C.) con la rappre- la maschera della musa della commedia. Aga-
sentazione di una sua tragedia. [...] tone eÁ la maschera della musa della tragedia.
Il Simposio non viene presentato «in diret- Socrate eÁ l'incarnazione del filosofo, che, peroÁ,
ta», ma come una narrazione fatta alcuni anni qui non parleraÁ in prima persona per esprime-
dopo l'evento, e addirittura alla seconda poten- re le veritaÁ ultimative su Eros, ma prenderaÁ la
za. Un discepolo di Socrate, Apollodoro, eÁ il maschera di Diotima sacerdotessa indovina di
narratore; ma non ha partecipato di persona al Mantinea. Infine, Alcibiade incarna il perso-
simposio, bensõÁ ne ha ascoltato, a sua volta, la naggio del giovane che ha grandi doti, ma
narrazione da un altro discepolo di Socrate, che eÁ incapace di ascoltare Socrate fino in
Aristodemo, che invece aveva partecipato per- fondo. [...]
sonalmente all'evento. Dunque, si ha a che fare Molti studiosi hanno spesso ripetuto che il
con la narrazione di una narrazione. Simposio si presenta come uno scritto che sale a
Ma c'eÁ ancora di piuÁ. gradi alla veritaÁ, quasi che i personaggi, nel-
Platone stesso avverte il lettore che, in que- l'ordine in cui vengono presentati, portino
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

sto scritto, eÁ ben lungi dal fare una narrazione sempre piuÁ vicino al pensiero di Platone. Ma,
storica. Precisa, infatti, che Aristodemo (la fon- se questo per un verso eÁ vero, per un altro verso
te originaria della narrazione) non si ricordava trae in inganno. Infatti, alcuni di questi perso-
di tutto quello che i presenti al simposio ave- naggi esprimono non solo e non tanto cioÁ che
vano detto e, per giunta, non si ricordava nep- avvicina al pensiero di Platone, ma cioÁ da cui ci
pure tutti i discorsi che erano stati pronunciati; si deve allontanare, se si vuol guadagnare il
a sua volta, poi, Apollodoro, narratore della pensiero di Platone.
narrazione di Aristodemo, non ricordava tutto Come vedremo, Pausania esprime proprio
quello che gli era stato narrato da Aristodemo quel pensiero che Platone intende rovesciare,
medesimo (cfr. 178a, 180c). Erissimaco quel pensiero che va trasceso con

640
Platone
quella che nel Fedone chiama la sua «seconda impostino in modo adeguato e lo risolvano, e
navigazione» (99c-d). come solo il filosofo sappia fare questo in modo
La maschera di Aristofane, poi, come vedre- veramente esauriente.
mo, eÁ utilizzata da Platone addirittura per espri- L'idea corrente del momento viene ben evi-

La voce della critica


merere alcune delle idee-chiave delle sue dottri- denziata soprattutto nel discorso messo in boc-
ne: Platone gli fa presentare in forma di imma- ca a Pausania, piuttosto ampio. Nell'Atene di
gini, che solo sulla bocca di un commediografo quei tempi si riteneva che fosse una cosa brutta
potevano essere significative e apprezzabili, la e vergognosa che un giovane concedesse i pro-
sua dottrina dell'Uno e della Diade, che tanti pri favori all'innamorato che insisteva nella sua
dissensi e tante critiche avevano suscitato; e pro- richiesta, solo nel caso che costui fosse una
prio con l'arte del ridere Platone si beffava di persona indegna; e che, pertanto, fosse lecito,
coloro che non lo capivano. se il richiedente fosse invece una persona pro-
La maschera del poeta tragico Agatone eÁ ba, capace di aiutare il giovane a formarsi e a
presentata come espressione tipica del poeta crescere, se il giovane stesso mirasse a questo, e
che sa parlare molto bene, ma con le sue pur se il rapporto venisse allacciato nel debito mo-
belle immagini e parole non sa arrivare al dun- do. Si legga in particolare il passo 184d [...].
que, ossia all'essenza delle cose. EÁ proprio avvalendosi di questa concezione
Infine, la maschera di Diotima, che non diffusa nell'alta societaÁ ateniese che Alcibiade
pare sia esistita, e che, comunque, non eÁ un cerca di offrirsi a Socrate, per avere in cambio
personaggio noto e quindi, nella statura in la sua sapienza. Alcibiade dice infatti espressa-
cui eÁ presentata, eÁ una creazione di Platone, mente a Socrate: «Ho pensato che tu sia l'unico
come rivelazione delle veritaÁ ultimative, serve degno di diventare il mio amante e mi pare che
a Platone per dare quel carattere ieratico al suo tu esiti a farmene parola. Ma il mio sentimento,
discorso sull'amore, e il carattere quasi sacrale eÁ questo: mi pare che sia del tutto privo di senno
dell'iniziazione. non concederti i miei favori anche in questo,
Si noti, infine, che Platone ha dato alla ma- cosõÁ come in altro... Per me, infatti, nulla eÁ piuÁ
schera di Aristofane un ruolo tanto importante importante di diventare quanto piuÁ eÁ possibile
che ha sentito il bisogno di farlo ben capire al migliore, e per questo penso che non potrei
«suo» lettore. Infatti, in questo gioco delle ma- trovare nessuno che mi possa dare un aiuto
schere che passano e che corrono, non lo fa che sia piuÁ valido di te» (218c-d).
parlare al momento che gli toccherebbe, fa- La risposta che Platone fa dare a Socrate
cendogli venire un potente singhiozzo (185c-e); costituisce il rovesciamento piuÁ radicale di tale
ne fa richiamare il discorso da Diotima mede- concezione: «Caro Alcibiade, si daÁ il caso che
sima (205d-e); e infine, quando chiede la pa- tu sia veramente un uomo non da poco, se cioÁ
rola, non lo lascia parlare, facendo irrompere che dici di me eÁ proprio vero, e se in me c'eÁ una
in sala il gruppo di festaioli, con alla testa forza per la quale potresti diventare migliore.
Alcibiade. [...] Tu vedresti in me una bellezza straordinaria,
Il messaggio di fondo su un tema che, al- molto diversa dalla tua avvenenza fisica. E se,
lora, doveva essere molto dibattuto, ossia sul- contemplandola, cerchi di averne parte con
l'amore omosessuale, e in particolare sulla que- me, e di scambiare bellezza con bellezza, pensi,
stione se i ragazzi amati potevano o no conce- di trarre non poco vantaggio ai miei danni:
dere i loro favori agli innamorati, Platone lo in cambio dell'apparenza del bello, tu cerchi di
offre in questo suo scritto in maniera splendida. guadagnarti la veritaÁ del bello, e veramente pensi
Con il gioco bellissimo delle maschere, come di scambiare armi di bronzo con armi d'oro»
abbiamo giaÁ sopra accennato, fa parlare gli (218e - 219a).
esponenti di tutte le componenti culturali del Bellezza e amore del corpo non si scambia-
momento, e fa esporre i loro messaggi in modo no con la virtuÁ dell'anima e con il sapere. Ap-
superbo. Dapprima mette molto bene in evi- punto questo eÁ il grande messaggio che Platone
denza il problema di fondo, nonche le spiega- vuole comunicare all'uomo dei suoi tempi, e di
zioni e soluzioni date dalle differenti compo- tutti i tempi. In effetti, si tratta di cose che non
nenti culturali nei vari discorsi, mostrando co- sono scambiabili perche hanno valori differenti
me ne i retori, ne gli scienziati, ne i poeti lo e fra loro non commensurabili.

641
Nel discorso messo in bocca a Diotima, Platone solo di quelli dialettici). Si tratta, in realtaÁ, di un
spiega che il bello implica cinque livelli gerarchi- messaggio che Platone manda a tutti quelli che
ci: 1) il bello fisico, 2) quello delle anime, 3) quello avrebbero letto questo suo scritto: voi sarete
delle attivitaÁ umane e delle leggi, 4) la bellezza capaci di essere iniziati all'ascesa della scala
della scienza, 5) il Bello assoluto che eÁ al di sopra d'Amore e giungere al vertice, se saprete com-
di tutto, e da cui deriva ogni altra forma di prendere che non esiste solamente il sensibile e
bellezza. Il vero Eros eÁ quello che porta oltre la tutto cioÁ che i sensi colgono, ma che esiste
dimensione del fisico e che aiuta a salire sempre un'altra forma d'essere al di laÁ del sensibile:
piuÁ in alto in quella scala d'amore che, al suo la dimensione del meta-fisico.
vertice, raggiunge l'assoluto. Chi non sapraÁ comprendere e guadagnare
Si tenga inoltre presente quanto segue. Al- questo punto essenziale, rimarraÁ piuÁ o meno al
cibiade eÁ entrato dopo che Socrate aveva par- livello in cui si colloca Alcibiade che non ha
lato. Non ha quindi sentito, e dunque ignora la sentito, o come chi, pur avendo sentito, non
veritaÁ sull'amore. Proprio per questo, egli si vuol capire e recepire il messaggio innovativo:
ferma all'amore nella dimensione del fisico, e il vero Eros, da qualsiasi parte si prendano le
crede che con questo amore si possa acquistare mosse, eÁ sempre e solo quella forza dinamica di
tutto, anche cioÁ che lo trascende. Il non accet- ascesa che, al vertice supremo, perviene a con-
tare le sue offerte da parte di Socrate significa, templare il vertice assoluto, ossia il Bello asso-
precisamente, andare al di laÁ del fisico verso luto (che eÁ la piuÁ alta manifestazione del Bene).
l'ulteriore meta-fisico. EÁ proprio questo, e solo questo, a giudizio
Ma si noti come Platone, ben cosciente del- di Platone, quel momento della vita «che piuÁ di
la rivoluzione che metteva in atto, avverte il ogni altro eÁ degno di essere vissuto» (211d).
lettore. Proprio prima della grande pagina sul- Poche volte si eÁ tenuto ben presente questo,
la scala d'amore (una delle pagine piuÁ belle di per capire le conclusioni che Platone trae nel
tutti i tempi, e giustamente famosissima), vien suo discorso sul problema dell'amore dei ra-
fatto dire dalla sacerdotessa di Mantinea a So- gazzi, che egli sentiva e comprendeva a fondo,
crate: «Fino a queste cose d'amore forse, o ma che risolveva in modo opposto ai contem-
Socrate, anche tu potrai essere iniziato, ma a poranei, appunto come fece Socrate con Alci-
quelle perfette e alla piuÁ alta iniziazione cui ten- biade. Se si rimane nella dimensione del fisico,
dono anche queste, se si procede, in modo in se e per se l'amore per i ragazzi non eÁ un
giusto, non so se tu saresti capace di essere ini- positivo. Nel Fedro Platone lo qualifica addirit-
ziato» (209e - 210a). tura espressamente come «un piacere contro
EÁ evidente che, essendo la sacerdotessa di natura» (251a), e ribadisce a tutto tondo questo
Mantinea la maschera di Socrate-Platone, il concetto anche nelle Leggi (I 636c; VIII 835d
dubbio sulla capacitaÁ di essere iniziato non eÁ ss.). L'amore maschile eÁ un positivo, se eÁ sfrut-
certo rivolto a Socrate stesso (ossia da Socrate- tato non come impulso da soddisfare rimanen-
Platone a se medesimo); e meno che mai, come do nella dimensione del fisico, ma come forza
qualche studioso ha erroneamente creduto, si che aiuta a trascendere il fisico e salire sempre
tratta di un messaggio di Platone che avverte di piuÁ in alto nella dimensione dell'essere intelli-
andare oltre Socrate (appunto entrando nel gibile e meta-sensibile.
mondo dell'intelligibile, che eÁ sua scoperta), La scoperta del mondo metafisico delle
perche egli si cala in toto nella figura di Socrate Idee eÁ la base su cui Platone costruisce la sua
(come in tutti gli altri suoi scritti, eccezion fatta dottrina dell'amore.

RIFLESSIONI E CONFRONTI
Á per cui, secondo Reale, Platone l'ha cosõÁ concepita.
" Spiega la complessa struttura narrativa del dialogo e la finalita

" Spiega le funzioni che, secondo Reale, svolgono i vari discorsi del dialogo, cioeÁ le varie maschere che Platone
attribuisce ai personaggi.

642
Discutere:

Platone
la potenza della dialettica

La voce della critica


M. Vegetti
Quindici lezioni
su Platone,
Uci ha
na secolare tradizione, culmi-
nata nella filosofia hegeliana,
resa familiare la parola ``dialet-
quali ogni tesi di ordine morale veniva messa in
discussione da una tesi contraria ed equipoten-
te (cfr. Diels-Kranz, 90). Al suo limite estremo,
Einaudi,
Torino 2003, tica'', tanto che non ci sorprende la la forma di argomentazione antilogica aveva
pp. 175-179. decisione di Platone di chiamare con dato luogo all'eristica, una tecnica della con-
questo nome il principale strumento troversia capace di confutare qualsiasi asser-
metodico del suo pensiero. Eppure, si trattava zione a qualsiasi costo: Platone ne offriva un
di una scelta linguistica e concettuale tutt' altro esempio vivace nell'atteggiamento dei sofisti
che ovvia, perche estranea al tradizionale lessi- Eutidemo e Dionisodoro in un dialogo intito-
co della ``sapienza'' (sophia). Dialektike eÁ un lato appunto Eutidemo. Ma, nella societaÁ ate-
aggettivo riferito al sostantivo techne, ``tecnica'' niese del V e del IV secolo, la discussione anti-
o ``arte'', che designa in generale un ``saper logica si era estesa, anche grazie alla sua tecni-
fare''; il sostantivo veniva peroÁ spesso sottinte- cizzazione sofistica, dalla pratica politica e
so, dando luogo di norma alla locuzione abbre- giudiziaria a tutte le forme del confronto cultu-
viata ``la [tecnica] dialettica''. L'aggettivo deri- rale: gli stessi medici, ad esempio, si confronta-
va dal verbo dialegesthai, che significa prima- vano fra loro e con i detrattori del loro sapere in
riamente ``dialogare'', ``discutere''; il verbo pubbliche discussioni di questo tipo, come at-
viene spesso usato da Platone nella forma so- testano molti scritti del Corpus hippocraticum
stantivata (to dialegesthai) come sinonimo di (quali la Natura dell'uomo, l'Arte o i Venti). E
dialektike (che vale dunque ``saper usare l'arte a regolamentare razionalmente la discussione
della discussione'') . antilogica Aristotele avrebbe dedicato uno dei
Questi termini indicano con chiarezza il suoi trattati piuÁ ampi, i Topici.
retroterra culturale al quale Platone si riferiva Era del resto esattamente questo il terreno
nella sua decisione di fare della ``dialettica'' la sul quale si era mosso Socrate, di fronte al
tecnica per eccellenza dell'indagine filosofica. pubblico cittadino, ai suoi rivali e naturalmen-
Si trattava, in primo luogo, di una pratica intel- te ai suoi allievi. Certo, la confutazione socra-
lettuale che da gran tempo costituiva il fulcro tica (elenchos) poteva venire distinta dall'antilo-
della vita sociale di Atene. Le maggiori decisio- gica e dall'eristica dei sofisti per la sua intenzio-
ni politiche venivano prese dopo ampie discus- ne morale e il suo desiderio filosofico di veritaÁ;
sioni in cui le tesi rivali si confrontavano di ma i procedimenti argomentativi di Socrate
fronte all'assemblea cittadina: memorabili do- non sembravano davvero intellettualmente di-
cumenti di queste discussioni pubbliche sono versi da quelli dei suoi rivali, e questi potevano
offerti dai discorsi contrapposti testimoniati a loro volta rivolgergli l'accusa di voler preva-
dalla Storia di Tucidide (e, dopo di essa, dalle lere a tutti i costi nella discussione, la philonikia
Elleniche di Senofonte). La stessa procedura (cfr. ad esempio Protagora, 360e), o addirittura
veniva seguita nella pratica giudiziaria, in cui di comportarvisi come un ``sicofante'' e un
si contrapponevano, a turno, due discorsi della ``malfattore'' (cosõÁ Trasimaco in Repubblica, I,
accusa e due della difesa (ne possediamo 340d, 341 b). Del resto, lo stesso Platone [...]
un'importante testimonianza in un manuale avrebbe segnalato nel libro VII della Repubbli-
destinato alla preparazione degli avvocati, le ca i rischi di un insegnamento troppo precoce
Tetralogie di Antifonte). La sofistica aveva ge- della dialettica confutatoria a giovani moral-
neralizzato questa pratica sociale trasforman- mente irresponsabili. Li ribadiva un passo pie-
dola in una tecnica antilogica di argomentazio- no di humour del Filebo: ``quando un giovane la
ne per tesi contrapposte, nella quale a quanto gusta per la prima volta, pensando di aver
pare aveva eccelso Protagora: alla sua scuola trovato un tesoro di sapienza, va in estasi dal
sembra appartenessero i ``Discorsi duplici'', nei piacere e con gioia scuote e agita ogni argo-

643
mento [...] gettando nell'incertezza anzitutto e cerca dialettica doveva essere sancito dal rag-
soprattutto se stesso, e poi chi gli sta vicino, sia giungimento di un ``accordo'' o ``consenso''
questi piuÁ giovane di lui, piuÁ vecchio o suo (homologia) tra gli interlocutori coinvolti nella
coetaneo, non risparmiando ne il padre ne la discussione, in assenza del quale il discorso
madre, ne nessun altro di quanti lo possano filosofico assumeva la precaria condizione di
udire, e poco ci manca che coinvolga non solo un esperimento mentale solitario. EÁ chiaro,
gli uomini, ma anche gli altri animali; dei bar- da tutto questo, che la forma dialogica rappre-
bari poi non risparmierebbe proprio nessuno, sentava per la filosofia platonica nella sua con-
se solo potesse trovare un interprete da qualche figurazione dialettica molto piuÁ che un espe-
parte'' (15d-e). diente letterario, costituendone invece l'inelu-
La forma della discussione, del confronto dibile ambiente di interazione discorsiva e
argomentativo, si imponeva dunque a Platone argomentativa.
± per effetto del contesto culturale, della prati- Dall'altro lato, peroÁ, occorreva secondo
ca dei suoi rivali e del suo stesso maestro ± co- Platone riorganizzare la procedura dialettica
me lo strumento ineludibile per la costruzione mettendola in grado di sostenere il progetto
del sapere filosofico, oltre che come il suo spe- di una filosofia ``costruttiva'', mirante a un sa-
cifico spazio intellettuale; al tempo stesso peroÁ pere positivo, non solo critica e confutatoria. Si
risultava necessaria una rifondazione di quella trattava dunque di farne una tecnica capace di
forma, che la facesse uscire ± anche al di laÁ di ``interrogare e rispondere nel modo piuÁ scien-
Socrate ± dalle secche dell'antilogia eristica. tifico'' (Repubblica, VII, 534d), cioeÁ di ``con-
Questa doppia necessitaÁ avrebbe configurato durre la confutazione non secondo l'opinione
la struttura della ``dialettica'' platonica. (doxa) ma secondo l'essenza (ousia) (534c).
Da un lato, essa restava ben radicata sul Questo rendeva necessario un mutamento ra-
terreno intersoggettivo del confronto discorsi- dicale della forma della domanda socratica. Essa
vo fra uomini in carne e ossa, dell' argomenta- chiedeva all'interlocutore ``che cosa intendi''
zione critica e razionale di tesi contrapposte; quando parli di giustizia, bellezza e cosi via;
restava quindi caratterizzata da quell'atteggia- sollecitava dunque l'esplicitazione di un'opi-
mento ``raziocinante'', raÈsonierend, che secon- nione, di un punto di vista soggettivo (appunto,
do Hegel, e poi ancora secondo Heidegger, ne una doxa), per poi mostrarne l'inconsistenza o
costituiva il limite filosofico perche incapace di l'inadeguatezza e sollecitare cosõÁ una riapertu-
mostrare il movimento ``reale'' delle ``cose stes- ra della riflessione critica. Si trattava invece per
se''. La dialettica procedeva soltanto nell'am- Platone, secondo la versione ``matura'' dell'in-
biente del discorso (logos), di cui rappresentava terrogazione dialettica, di chiedere ``che cosa
la piu efficace forma di organizzazione meto- eÁ'' in veritaÁ la giustizia, la bellezza e cosi via: di
dica, e mediante il logos (Repubblica, VI, 5IIb; aprire cioeÁ la via all'enunciazione di un discor-
VII, 532a). Lo stesso livello piuÁ elevato di co- so relativo all'essenza oggettiva ± all'idea ± del-
noscenza cui la dialettica poteva pervenire, l'oggetto indagato. In questo modo la dialettica
quello delle idee (le essenze noetico-ideali), si restava pur sempre un ``percorso'' intellettuale
configurava come un ``discorso sull'essenza'' (532b), un ``metodo'' d'indagine razionale
(logos tes ousias); di questa conoscenza il dialet- (533b-c) ± dunque non un sistema chiuso e
tico doveva ``dar ragione'' (logon didonai) ``a se ``monologico'' della conoscenza ± ma l'oriz-
stesso e agli altri'', appunto mediante la discor- zonte di questo cammino metodicamente or-
sivitaÁ razionale (Repubblica, VII, 53Ie, 533c, ganizzato era l'acquisizione consolidata di un
534b). PercioÁ il successo conoscitivo della ri- sapere ``scientifico''.

RIFLESSIONI E CONFRONTI
" Dopo aver spiegato il significato dell'espressione dialektike techne, evidenzia come la tecnica della ``dialettica'' si

inserisca nel contesto culturale della societaÁ di Atene.


" Che funzione ha, secondo Vegetti, l'uso della dialettica nell'opera di Platone?

" Sulla base dei testi letti, fai almeno un esempio di ``domanda socratica'' che conduce alla acquisizione della
veritaÁ.

644
Aristotele
Aristotele
Metafisica

testi
1 Il sapere eÁ un'esigenza primaria dell'uomo
(980a-981a)
2 I filosofi della natura (983b-984d)
Retorica
3 I generi della retorica (1358b in it.)
Poetica
4 L'origine della tragedia (1449a in it.)

A ristotele nacque a Stagira, nella Calcidica, nel 384, da NicoÁmaco, medico alla
corte di Aminta III di Macedonia; nel 367, a diciassette anni, si recoÁ ad Atene,
dove seguõÁ le lezioni prima di Isocrate e poi di Platone, e vi rimase fino alla morte di
quest'ultimo. Quando nel 347 Platone morõÁ, fu designato alla guida dell'Accademia
Speusippo; allora Aristotele si recoÁ ad Asso, in Cilicia, su invito di Ermia, tiranno di
Atarneo; sposoÁ una figlia di Ermia e insegnoÁ per tre anni ad Asso; nel 343 passoÁ a
Pella, in Macedonia, dove Filippo II gli affidoÁ l'educazione di suo figlio Alessandro.
Dopo che questi successe al padre, Aristotele ritornoÁ nel 335 ad Atene, e vi aprõÁ
una sua scuola, presso il tempio di Apollo Liceo sulle pendici del Licabetto, orga-
nizzandola in modo simile all'Accademia di Platone (un luogo dove si viveva, si
studiava e si discuteva insieme), ma la dotoÁ anche di un piano organico di studi che
comprendeva, oltre alla filosofia, altre scienze dell'uomo e della natura. Dal nome
del luogo dove si trovava, la scuola di Aristotele fu detta Liceo, ed anche PerõÁpato
perche le lezioni si tenevano presso il viale delle passeggiate (peri* patoQ) accanto al
tempio.
Alla morte di Alessandro, Aristotele preferõÁ allontanarsi da Atene, temendo che
le sue antiche relazioni con la corte macedone gli procurassero guai in occasione
della violenta reazione antimacedone in corso; si recoÁ a Calcide in Eubea, dove
morõÁ l'anno seguente, a sessantadue anni.
Si possono riconoscere tre periodi importanti nella vita di Aristotele: il primo
soggiorno ateniese, quando si formoÁ alla scuola di Platone; i dodici anni successivi,
in Cilicia e in Macedonia, in cui tra l'altro contribuõÁ fortemente ad influenzare il
carattere di Alessandro, fornendogli una solida cultura greca e avviandolo al culto di
Omero (secondo la tradizione il re avrebbe portato sempre con se una cassettina con
la copia dell'Iliade curata per lui da Aristotele). Infine gli ultimi anni, in cui si stabilõÁ
nuovamente in Atene e vi fondoÁ la sua scuola. Aristotele teneva due tipi di corsi: al
mattino quelli riservati agli allievi, rigorosamente specialistici, e al pomeriggio altri
destinati al pubblico, ovviamente con un linguaggio diverso; a questi due tipi di corsi
corrispondevano due tipi di scritti diversi, quelli esoterici (da e> sv ``dentro'') e quelli
essoterici (da e> jv ``fuori'').

Scritti esoterici Gli scritti esoterici, che riflettevano l'insegnamento di scuola, non vennero
pubblicati perche destinati alla scuola stessa: composti spesso in una forma
poco elaborata, erano talvolta poco piuÁ che raccolte di appunti, con espressioni
convenzionali, che spesso compendiavano quanto poteva essere facilmente inteso,
data la familiaritaÁ dei destinatari con l'argomento; in generale questi testi erano

645
composti nella forma asciutta e apparentemente trascurata della prosa scientifica
greca. Quasi tutto l'Aristotele che noi conosciamo eÁ costituito da questi scritti di
scuola. Essi furono lasciati da Aristotele al suo allievo Teofrasto, che alla sua morte li
affidoÁ a Neleo di Scepsi, figlio di un amico di Aristotele. Gli eredi di Neleo trascu-
rarono questi manoscritti, che solo due secoli dopo, nel I secolo a.C., furono
ritrovati in pessime condizioni e acquistati da Apellicone di Teo, un bibliofilo che
li trasportoÁ ad Atene. Nell'84 a.C. Silla espugnoÁ Atene e portoÁ questi scritti a Roma,
dove, una cinquantina di anni piuÁ tardi, furono studiati e pubblicati da AndronõÁco
di Rodi.

Scritti essoterici I libri essoterici, invece, erano scritti in uno stile vivace e piacevole, destinati
a una larga cerchia di lettori. Questi ultimi scritti non ci sono stati trasmessi
dalla tradizione medievale; solo nel 1891 eÁ stata pubblicata la Costituzione degli
Ateniesi, ritrovata in un papiro, che ha confermato pienamente, per quanto riguarda
lo stile, le notizie che le fonti antiche ci attestano.
Di altre opere di questo genere ci sono giunti solo titoli e pochi frammenti:
sappiamo di un Protrettico o Esortazione alla filosofia indirizzato a Temisone prin-
cipe di Cipro, e di un Eudemo o Sull'anima, che in occasione della morte dell'amico
Eudemo riprendeva il tema del Fedone platonico. Importante era ancora il dialogo
Sulla filosofia, in cui Aristotele criticava la separazione tra realtaÁ sensibile e realtaÁ
intelligibile: anche di questo abbiamo frammenti e testimonianze.

Divisione delle opere Le opere esoteriche di Aristotele si possono dividere in diversi gruppi a
esoteriche seconda dei contenuti.

Scritti di logica Gli scritti di logica, che in etaÁ bizantina furono raccolti in un corpus a parte,
con il nome di Organon sono: le Categorie, o principi della scienza; Dell'in-
terpretazione; gli Analitici primi e gli Analitici secondi, che indagano le forme del
ragionamento; i Topici e le Confutazioni sofistiche.

Scritti di fisica Gli scritti di fisica e di scienze naturali comprendono: la Fisica e i trattati
e scienze naturali Del cielo, la Meteorologia, le Ricerche sugli animali, Sulle parti degli animali e
altri.

Scritti di psicologia Agli scritti di psicologia appartiene il trattato Sull'anima.

Scritti di ``filosofia ``Metafisica'' eÁ una denominazione che risale probabilmente ad Andronico,


prima'' o ``metafisica'' per indicare gli scritti aristotelici che vengono ``dopo la fisica'', un termine
dunque di catalogazione; Aristotele li definiva invece ``filosofia prima''. In
quest'opera il filosofo espone la sua idea dell'essere: non pura forma come le idee
platoniche, ma un ``sinolo'', sintesi di materia e forma in una unitaÁ inscindibile che
egli chiama anche ``sostanza'', cioeÁ l'``essere dell'essere''; la sostanza sta alla base di
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

qualsiasi valore ed eÁ il principio di intelligibilitaÁ dell'essere stesso. Particolare im-


portanza in quest'opera riveste il libro primo, in cui Aristotele traccia una storia
critica dei filosofi che lo avevano preceduto, come anche il libro dodicesimo, che
sviluppa la teoria di dio, pura forma separata dalla materia; dio muove la materia
come motore immobile in quanto essa non puoÁ sussistere senza una forma. Infatti
Aristotele divide le sostanze in due classi: sostanze incorruttibili del mondo sovra-
lunare, non sensibili e immobili, che sono oggetto della teologia, e sostanze del
mondo sublunare, generabili e corruttibili, oggetto della fisica. In questo modo
Aristotele, che aveva criticato vivacemente le idee platoniche perche erano trascen-
denti, reintroduce al centro dell'universo un principio altrettanto trascendente per-

646
Aristotele
che dio eÁ forma pura. Viene cosõÁ indebolito il principio originale della sua specu-
lazione, cioeÁ che l'essere reale puoÁ venire concepito solamente come sintesi di
materia e forma.

Scritti di etica Questi scritti comprendono: l'Etica a Nicomaco, dedicata al figlio che si
chiamava come il nonno; l'Etica ad Eudemo e la Grande etica, sulla cui
autenticitaÁ sono stati avanzati dubbi. Ogni attivitaÁ di un essere vivente eÁ compiuta
in vista di un fine, ma si deve pensare che esista un bene sommo, al quale tendono
tutte le azioni. Per un essere vivente il sommo bene eÁ indubbiamente la felicitaÁ, ma
per un essere razionale la felicitaÁ non puoÁ prescindere dall'intelligenza, che gerar-
chizza i vari valori: questo vivere secondo ragione eÁ la virtuÁ. Essa si divide in due
attivitaÁ: il controllo degli impulsi sensibili, che determina i buoni costumi, ossia la
virtuÁ etica, e l'esercizio stesso della ragione in seÂ, che eÁ detta virtuÁ intellettiva o
dianoetica. La prima comprende tutte le virtuÁ morali, coraggio, temperanza, ma-
gnanimitaÁ, mansuetudine, ognuna delle quali costituisce il giusto mezzo tra i vizi
opposti (coraggio sta tra la viltaÁ e la temerarietaÁ, e cosõÁ via): esse si assommano tutte
nella giustizia. La seconda attivitaÁ invece eÁ la forma piuÁ alta di virtuÁ propria
dell'uomo, e comprende la scienza, l'arte, la saggezza, la sapienza e l'intelligenza.
Poiche tale attivitaÁ eÁ quella piuÁ propria dell'uomo, praticarla conduce alla felicitaÁ.

Scritti di politica Nella Politica Aristotele definisce l'uomo un ``animale nato per vivere in una
polis'' (z{&on politiko*n), e quindi portato per natura ad associarsi in forme
comunitarie; esamina poi le forme positive di costituzione, monarchia, aristocrazia e
democrazia, che possono degenerare rispettivamente in tirannide, oligarchia e oclo-
crazia (governo della folla) quando viene smarrito il primato del bene comune e la
costituzione viene piegata al servizio di un singolo gruppo sociale. Empiricamente
Aristotele giunge a definire come migliore una forma mista tra oligarchia e demo-
crazia, che egli denomina politia: nasce con lui l'idea della costituzione mista, che fu
poi sviluppata e applicata da Polibio due secoli piuÁ tardi. Ad esempio, l'oligarchia
incoraggia i ricchi a fare i giudici, imponendo una multa a chi si sottrae, mentre la
democrazia offre un compenso a chi accetta: il filosofo suggerisce di adottare en-
trambi i provvedimenti per avere tribunali equilibrati. Riguardo alla struttura sociale
dello stato egli propone una base censitaria moderata, in cui le cariche siano elettive e
non sorteggiate. Per la composizione di questo trattato, Aristotele si era preparato
descrivendo le costituzioni di centocinquantotto cittaÁ della Grecia: di questi saggi
preliminari si eÁ salvata solo la Costituzione degli Ateniesi, di cui si eÁ detto.

Retorica ed estetica La Retorica comprende tre libri: il primo tratta della natura della retorica, che
ha come oggetto lo studio del verisimile al fine di indurre alla persuasione; il
secondo tratta del modo con cui la parola puoÁ suscitare affetti e passioni, e il terzo
dell'espressione e dell'ordine in cui debbono essere disposte le parti del discorso.
Particolarmente fecondo per la teoria oratoria eÁ il passo del terzo libro, in cui Aristotele
definisce i tre generi di retorica che divennero poi canonici. Essi si distinguono a
seconda che il destinatario sia un semplice ascoltatore o un giudice che deve pronun-
ciarsi sulle cose passate (nel caso di un processo) o su quelle future (e in tal caso saraÁ
un'assemblea deliberativa che deve decidere se fare una cosa o un'altra). Nel primo
caso, se il giudice eÁ un semplice ascoltatore, si tratteraÁ delle cose presenti, per lodarle o
condannarle, come vere o false, buone o cattive: saraÁ l'oratoria dimostrativa; nel
secondo caso si avraÁ la retorica giudiziale che tratta di fatti avvenuti, per convincere
che sono giusti o ingiusti; infine, si tratteraÁ della retorica deliberativa, che riguarda il
futuro, per dimostrare che una cosa eÁ utile o dannosa.

647
Dei due libri della Poetica ce ne eÁ giunto uno soltanto, l'altro eÁ andato perduto. Nel
librio rimasto leggiamo che l'arte in generale per Aristotele eÁ imitazione: sia per
mezzo di colori e forme, come si fa nella pittura, sia per mezzo della voce, come
nella poesia, sia per mezzo del suono, come nella musica. La poetica si presenta
come teoria dell'imitazione, in una polemica aperta con Platone che aveva condan-
nato l'arte poetica come imitazione della natura che, a sua volta, imita le idee: l'arte
quindi eÁ doppiamente lontana dalle idee che sono la vera realtaÁ; per Aristotele
invece essa eÁ imitazione del possibile, e quindi ``piuÁ filosofica e piuÁ elevata della
storia'', giacche ``la poesia esprime piuttosto l'universale, la storia il particolare''
(Poet. 1451b). Inoltre alla tragedia egli attribuiva una liberazione dalle passioni
(``catarsi'') (" pp. 44-45), come alla musica. Infine la Poetica contiene per noi le
testimonianze piuÁ antiche sulle origini della tragedia e della commedia, e analisi
precise sui vari tipi della prima. Della commedia, come sappiamo dall'autore stesso,
si parlava nel secondo libro.

VolontaÁ di superare Aristotele si eÁ posto il problema di risolvere il limite implicito nella filosofia di
Platone Platone: questi, nell'affermare il primato del mondo intelligibile su quello
sensibile, aveva lasciato un vuoto incolmabile tra queste due esperienze
dell'uomo; per lui infatti, l'uomo eÁ in realtaÁ un'anima razionale prigioniera in un
corpo carnale, che le impone le sue necessitaÁ e le sue imperfezioni, e le impedisce la
contemplazione delle idee, che eÁ insita nella natura di essa. In questo modo Platone
perdeva il senso della grande esperienza speculativa costituita dalla tradizione ionica,
da Talete ad Anassagora; Aristotele invece, benche fosse convinto che le speculazioni
dei filosofi ionici fossero imperfette, e destinate ad essere superate da una visione piuÁ
organica dell'essere, non poteva pensare che potessero essere totalmente azzerate.

Recupero della realtaÁ Per questo Aristotele, nella Metafisica, ha voluto recuperare la realtaÁ sensibile
sensibile facendo della sostanza degli enti una sintesi di materia e forma. Nelle altre sue
opere ha poi trattato a lungo problemi di fisica, di biologia, e anche questioni
relative alla vita associata degli uomini (politica) e alla comunicazione (retorica e
poetica). CosõÁ egli ha considerato per primo la filosofia come un sistema scientifico
e si eÁ posto il problema di una concezione organica del sapere, articolato in varie
branche ma in una prospettiva unitaria; ha cosõÁ organizzato il sapere a partire da
rilievi empirici, come nei trattati di fisica e biologia, ed anche nella scienza politica,
che parte dall'analisi delle costituzioni storiche delle diverse comunitaÁ.

La filosofia come Mentre per Platone filosofia eÁ ``fare filosofia'', una ricerca continua e mai
sistema organico compiutamente definita della veritaÁ, secondo l'impulso di Socrate, per
Aristotele la filosofia costituisce un sistema organico, che si basa su una
dottrina dell'essere in quanto essere (filosofia prima) e affronta quindi analitica-
mente le varie forme in cui l'essere si realizza, in natura come nella vita associata
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

degli uomini, nei loro comportamenti e nelle manifestazioni della loro attivitaÁ
spirituale. I suoi allievi hanno proseguito l'impulso da lui dato alla scuola, affron-
tando problemi di fisica e di biologia, di geografia e di antropologia, di storia delle
scienze, di retorica, di poesia e di musica.
Per secoli la storia della filosofia si eÁ divisa tra seguaci dell'indirizzo idealistico di
Platone e di quello, piuÁ realistico e volto al concreto, di Aristotele: attraverso
l'antichitaÁ e il Medioevo ci sono stati periodi di prevalenza dell'una e dell'altra
tendenza, finche si eÁ fatta luce l'idea che anche il sistema aristotelico aveva una
impronta fortemente idealistica, e che il metodo empirico dei filosofi ionici aveva
ancora qualcosa da insegnare all'umanitaÁ.

648
Metafisica

Aristotele
1 Il sapere eÁ un'esigenza primaria dell'uomo (980a-981a)

Metafisica
Argomento del primo libro della Metafisica eÁ la costruzione del sapere: Aristotele risale per gradi dalle percezioni
sensibili alla conoscenza filosofico-scientifica, e distingue poi entro quest'ultima la forma piuÁ elevata del sapere,
quella filosofica, che eÁ conoscenza dei principi e delle cause prime. Presentiamo di seguito la prima pagina

testi
dell'opera, in cui Aristotele dimostra che la ricerca del sapere eÁ assolutamente naturale per l'uomo, indi-
pendentemente dalle necessitaÁ legate alla sopravvivenza. Questo punto di partenza costituisce un'acquisizione
fondamentale per la comprensione non solo di Aristotele, ma dell'esperienza dei Greci nella costruzione del sapere:
stabilisce cioeÁ il primato dell'attivitaÁ intellettuale, esercitata in modo disinteressato, sulle necessitaÁ immediate.
Questa eÁ una caratteristica di tutta la cultura greca, e lo eÁ anche della ricerca di base nelle scienze moderne: la
filosofia, come la filologia, la matematica e la fisica teorica non sono esercitate in vista di una utilitaÁ immediata, ma per
una istanza fondamentale propria della tradizione culturale che riconosce nell'esperienza greca la propria radice.

980.a Pa*nteQ a>nurvpoi toy& ei$ de* nai o$re* gontai fy*sei. 980.b shmei& on d\ h< tv&n
ai$ suh*sevn a$ga*phsiQ " kai+ ga+r xvri+ Q th&Q xrei* aQ a$gapv&ntai di\ ay<ta*Q, kai+ ma*lista
tv&n a>llvn h< dia+ tv&n o$mma*tvn. 980.c oy$ ga+r mo*non i% na pra*ttvmen a$lla+ kai+ mhue+ n
me* llonteQ pra*ttein to+ o<ra&n ai< roy*meua a$nti+ pa*ntvn v<Q ei$ pei& n tv&n a>llvn. 980.d
ai> tion d\ o%ti ma*lista poiei& gnvri* zein h<ma&Q ay%th tv&n ai$ suh*sevn kai+ polla+Q dhloi&
diafora*Q. 980.e fy*sei me+n oy#n ai> suhsin e> xonta gi* gnetai ta+ z{&a, e$ k de+ tay*thQ toi& Q
me+ n ay$tv&n oy$k e$ ggi* gnetai mnh*mh, toi& Q d\ e$ ggi* gnetai 980.f kai+ dia+ toy&to tay&ta
fronimv*tera kai+ mauhtikv*tera tv&n mh+ dyname* nvn mnhmoney*ein e$ sti* , fro*nima me+n
a>ney toy& manua*nein o%sa mh+ dy*natai tv&n co*fvn a$koy*ein (oi}on me* litta ka/n ei> ti
toioy&ton a>llo ge* noQ z{*vn e> sti), manua*nei d\ o%sa pro+Q t|& mnh*m| kai+ tay*thn e> xei

980.a Pa*nteQ ... fy*sei, ``Tutti gli es- non ci accingiamo a far nulla scegliamo getti percepiti, altri no; nel periodo suc-
seri umani per natura aspirano al sape- la vista, per cosõÁ dire, a preferenza di tutte cessivo avanzeraÁ una connessione con
re'' (il verbo o$re* gomai ha il suo comple- le altre percezioni''. Si insiste ancora met- elementi che differenziano i primi ani-
mento in genitivo): Aristotele inizia la tendo in luce, sempre sulla base dell'espe- mali rispetto agli altri.
sua riflessione enunciando il punto che rienza quotidiana, il carattere disinteres-
vuole dimostrare; segue la dimostrazio- sato del guardare, ``non solo per fare ma 980.f kai+ dia+ toy&to ... th+n ai> suhsin``e
ne, introdotta da un elemento di osser- anche senza l'intenzione di fare alcun- per questo i primi (tay&ta) sono piuÁ sagaci
vazione tratto dall'esperienza sensibile, cheÂ''. _ v<Q ei$ pei& n, ``per cosõÁ dire''. e piuÁ capaci di imparare (fronimv*tera
ed assolutamente evidente, il desiderio kai+ mauhtikv*tera) di quelli che non pos-
di vedere cioÁ che ci sta intorno, che eÁ 980.d ai> tion ... diafora*Q, ``causa eÁ che sono ricordare; sagaci, ma senza capaci-
spontaneo negli esseri umani. questa tra le percezioni soprattutto ci fa taÁ di imparare, quelli che non hanno
conoscere e minifesta molte differen- l'udito (come ad esempio l'ape e tutti
980.b shmei& on ... tv&n o$mma*tvn, ``prova ze''. L'argomento procede cercando gli altri animali dello stesso genere), men-
ne eÁ l'amore per le percezioni: infatti la causa del primato delle percezioni tre imparano quelli che, oltre la memo-
anche senza necessitaÁ sono amate di visive, e Aristotele suggerisce che so- ria hanno anche questo senso''. _ ei> ti
per stesse, e soprattutto tra le altre quella prattutto la vista ci consente di cono- toioy&ton a>llo ge*noQ z{*vn e>sti: lett. ``se
che si realizza attraverso gli occhi''. In scere, giacche essa ci mostra molte dif- c'eÁ un altro genere simile di animali''. La
questo ulteriore segmento Aristotele insi- ferenze tra gli oggetti percepiti; argo- distinzione tra gli animali forniti di udito
ste su quello che chiama ``l'amore delle mento implicito eÁ che la conoscenza di e quelli che ne mancano, di necessitaÁ
percezioni'', aggiungendo che il piuÁ forte un oggetto eÁ funzione della relazione in approssimativa date le conoscenze bio-
eÁ per quelle derivate dalla vista, ma so- cui viene posto con gli altri compresi logiche del tempo, ha una funzione prag-
prattutto insiste sul carattere disinteressa- nell'esperienza. matica: essa si fonda, per Aristotele, sulla
to di esse, che ``senza bisogno di necessitaÁ relazione con l'uomo, e cosõÁ il cane e il
(xvri+ Q th&Q xrei* aQ) sono amate di per se 980.e fy*sei me+n oy#n ... toi& Q d\ e$ggi* gne- cavallo, ad es., possono udire il comando
(a$gapv&ntai di' ay<ta*Q)''. ± shmei& on eÁ il tai, ``infatti per natura gli esseri viventi o le minacce, e quindi possono essere
termine chiave di questo procedimento nascono capaci di percezioni, e da que- addomesticati, a differenza di altri;
dimostrativo, in cui all'enunciazione del- sta per alcuni di loro non si riproduce _
co*fvn a$koy*ein: il verbo a$koy*v ha il
l'ipotesi segue la dimostrazione analitica. memoria, per altri si produce''. Ari- suo complemento in genitivo; ± oi} on:
stotele procede nella sua analisi, af- lett. ``quale'', diventa di fatto una con-
980.c oy$ ga+r mo*non ... tv&n a>llvn, ``in- frontando un fenomeno ulteriore: al- giunzione, ``come'', usata per introdurre
fatti non solo per agire, ma anche quando cuni animali hanno memoria degli og- un esempio.

649
th+n ai> suhsin. 980.g ta+ me+ n oy#n a>lla tai& Q fantasi* aiQ z|& kai+ tai& Q mnh*maiQ, e$ m-
peiri* aQ de+ mete*xei mikro*n " to+ de+ tv&n a$nurv*pvn ge*noQ kai+ te* xn| kai+ logismoi& Q.
981.a gi* gnetai d\ e$ k th&Q mnh*mhQ e$ mpeiri* a toi& Q a$nurv*poiQ " ai< ga+r pollai+ mnh&mai
toy& ay$toy& pra*gma toQ mia&Q e$ mpeiri* aQ dy*namin a$poteloy&sin.

980.g ta+ me+n oy#n ... toi& Q a$nurv*poiQ, vivono di immagini (fantasi* aiQ) e di della memoria facendone esperienza.
``dunque gli altri animali vivono di ricordo (tai& Q mnh*maiQ), ma parteci-
immagini e di ricordi, ma parte- pano limitatamente all'esperienza, 981.a gi* gnetai ... a$poteloy&sin, ``e dal-
cipano limitatamente all'esperienza, mentre l'uomo vive anche di arte e la memoria si forma per gli uomini l'e-
mentre l'uomo vive anche di arte e di ragionamento (kai+ te* xn| kai+ logi- sperienza: infatti molti ricordi dello stes-
di ragionamento''. La distinzione smoi& Q), e dalla memoria si forma al- so oggetto realizzano (a$poteloy&sin) l'e-
tra l'uomo e gli altri animali (ta+ ... l'uomo l'esperienza: si intenda che sperienza''. Questa dunque, per Aristo-
a>lla) consiste per Aristotele nella l'esperienza organizzata (la te* xnh) e i tele, eÁ il risultato di una sintesi di molti
capacitaÁ di fare esperienza: i primi ragionamenti elaborano i contenuti ricordi connessi allo stesso oggetto.

traduzione d'autore
980.a Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. 980.b Segno ne eÁ amore per le
sensazioni: infatti, essi amano le sensazioni per se stesse, anche indipendentemente
dalla loro utilitaÁ, e, piuÁ di tutte, amano la sensazione della vista: 980.c in effetti, non
solo ai fini dell'azione, ma anche senza avere alcuna intenzione di agire, noi prefe-
riamo il vedere, in certo senso, a tutte le altre sensazioni. 980.d E il motivo sta nel
fatto che la vista ci fa conoscere piuÁ di tutte le altre sensazioni e ci rende manifeste
numerose differenze fra le cose.
980.e Gli animali sono naturalmente forniti di sensazione; ma, in alcuni, dalla
sensazione non nasce la memoria, in altri, invece, nasce. 980.f Per tale motivo questi
ultimi sono piuÁ intelligenti e piuÁ atti ad imparare rispetto a quelli che non hanno
capacitaÁ di ricordare. Sono intelligenti, ma senza capacitaÁ di imparare tutti quegli
animali che non hanno facoltaÁ di udire i suoni (per esempio l'ape e ogni altro genere di
animali di questo tipo); imparano, invece, tutti quelli che, oltre la memoria, posseg-
gono anche il senso dell'udito.
980.g Orbene, mentre gli altri animali vivono con immagini sensibili e con ricordi,
e poco partecipano dell'esperienza, il genere umano vive, invece, anche d'arte e di
ragionamenti. Negli uomini, l'esperienza deriva dalla memoria: infatti, molti ricordi
dello stesso oggetto giungono a costituire 981.a un'esperienza unica.
(Trad. G. Reale)

GUIDA ALL'ANALISI
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

LESSICO E LINGUA
1. Nel testo vengono impiegati vocaboli appartenenti al lessico filosofico: spiega i seguenti termini dal punto di vista
etimologico e del significato, anche con riferimento al contesto: fy*siQ (980a), shmei& on (980b), ai> suhsiQ
(980b), ai> tion (980d), logismo*Q (980g), e$mpeiri* a (981a).
TEMI E CONFRONTI
2. Soffermati sulle caratteristiche che Aristotele attribuisce alla conoscenza, legando il tuo discorso a due termini
chiave: naturale; disinteressata. Motiva la tua risposta in un elaborato di 5 righe.
3. Quale il motivo del primato delle percezioni visive? Motiva la tua risposta in un elaborato di 5 righe.
4. Qual eÁ, dal punto di vista dell'esperienza, la differenza fra uomo ed animale?

650
2 I filosofi della natura

Aristotele
(983b-984d)

Dopo aver definito la ricerca delle cause prime come oggetto primario della filosofia, Aristotele passa in rassegna
i primi filosofi che indicarono la causa prima in un elemento naturale (Talete, Anassimene, Empedocle ed
Anassagora).

Metafisica
983.b Tv&n dh+ prv*tvn filosofhsa*ntvn oi< plei& stoi ta+Q e$ n y%lhQ ei> dei mo*naQ
{<h*uhsan a$rxa+Q ei#nai pa*ntvn " e$ j oy} ga+r e> stin a%panta ta+ o>nta kai+ e$ j oy} gi* gnetai

testi
prv*toy kai+ ei$Q o= fuei* retai teleytai& on, th&Q me+ n oy$si* aQ y<pomenoy*shQ toi& Q de+
pa*uesi metaballoy*shQ, toy&to stoixei& on kai+ tay*thn a$rxh*n fasin ei#nai tv&n o>ntvn,
kai+ dia+ toy&to oy>te gi* gnesuai oy$ue+n oi> ontai oy>te a$po*llysuai, v<Q th&Q toiay*thQ
fy*sevQ a$ei+ svzome*nhQ, 983.c v%sper oy$de+ to+n Svkra*thn fame+ n oy>te gi* gnesuai
a<plv&Q o%tan gi* gnhtai kalo+Q h/ moysiko+Q oy>te a$po*llysuai o%tan a$poba*ll| tay*taQ
ta+Q e% jeiQ, dia+ to+ y<pome* nein to+ y<pokei* menon to+n Svkra*thn ay$to*n, 983.d oy%tvQ
oy$de+ tv&n a>llvn oy$de* n " a$ei+ ga+r ei#nai* tina fy*sin h/ mi* an h/ plei* oyQ mia&Q e$ j v}n
gi* gnetai ta#lla svzome*nhQ e$ kei* nhQ. 983.e to+ me*ntoi plh&uoQ kai+ to+ ei#doQ th&Q
toiay*thQ a$rxh&Q oy$ to+ ay$to+ pa*nteQ le* goysin, a$lla+ Ualh&Q me+ n o< th&Q toiay*thQ
a$rxhgo+Q filosofi* aQ y%dvr fhsi+ n ei#nai (dio+ kai+ th+n gh&n e$ f\ y%datoQ a$pefh*nato
ei#nai), labv+n i> svQ th+n y<po*lhcin tay*thn e$ k toy& pa*ntvn o<ra&n th+n trofh+n y<gra+n
oy#san kai+ ay$to+ to+ uermo+n e$ k toy*toy gigno*menon kai+ toy*t{ zv&n 983.f (to+ d\ e$ j oy}
gi* gnetai, toy&t\ e$ sti+ n a$rxh+ pa*ntvn) ± 983.g dia* te dh+ toy&to th+n y<po*lhcin labv+n
tay*thn kai+ dia+ to+ pa*ntvn ta+ spe*rmata th+n fy*sin y<gra+n e> xein, to+ d\ y%dvr a$rxh+n

983.a Tv&n dh+ prv*tvn ... pa*ntvn, ``I mazioni che danno luogo agli oggetti cosa ma Talete, l'iniziatore (a$rxhgo*Q) di
piuÁ di coloro che hanno filosofato tra i del mondo sensibile. una simile filosofia, dice che eÁ acqua
primi, credettero che fossero principi di (percioÁ sosteneva [a$pefh*nato] che la
tutte le cose (a$rxa+Q ... pa*ntvn) soltanto 983.c v%sper ... ay$to*n, ``come non di- terra galleggia sopra l'acqua) prenden-
quelli di specie materiale (ta+Q e$ n y%lhQ ciamo nemmeno che Socrate nasca as- do forse questa ipotesi (th+n y<po*lhcin
ei> dei mo*naQ)''. I filosofi ionici si posero solutamente quando diviene bello o tay*thn) dal vedere che il nutrimento
come primo problema la definizione musico, ne che perisce quando perde di ogni cosa eÁ umido, e lo stesso calore
dell'a$rxh*, del principio universale delle queste proprietaÁ, per il fatto che resta il (ay$to+ to+ uermo*n) nasce da questo e di
cose esistenti, e diedero a questo prin- sostrato, cioeÁ Socrate stesso''. ± to+ y<po- questo vive''. ± e$k toy& pa*ntvn o<ra&n: eÁ
cipio il nome di una materia (aria, ac- kei* menon eÁ termine tecnico per indicare un inf. sostantivato. o<ra&n regge il part.
qua o fuoco); alcuni tra i loro contem- la ``sostanza'' che ``giace sotto'' le varie predicativo th+n trofh+n y<gra+n oy#san,
poranei intesero questi termini in puro forme che si succedono, come e% jiQ in- come il gigno*menon che segue. Aristote-
senso materiale, ed Aristotele continua dica le proprietaÁ permanenti che si suc- le non approfondisce le ragioni della
questo fraintendimento. cedono in un essere che si trasforma. scelta di Talete, ma ipotizza una moti-
vazione per essa.
983.b e$j oy} ga+r ... svzome*nhQ, ``Infat- 983.d oy%tvQ ... e$kei* nhQ, ``similmente
ti cioÁ da cui tutti gli esseri sono costi- (avviene) di tutte le altre cose (lett. 983.f to+ d\ e$j oy} ... pa*ntvn, ``cioÁ da cui
tuiti (e$ j oy} ga+r e> stin a%panta ta+ o>nta), ``nemmeno nessuna''): infatti (eÁ neces- tutto deriva, questo eÁ il principio di
e dal quale come primo si generano e sario) che ci sia sempre una natura, o tutto''. Aristotele precisa che puoÁ essere
in cui alla fine si corrompono, mentre una sola o piuÁ di una, dalla quale si considerato principio di tutto (a$rxh+
la sostanza (th&Q me+ n oy$si* aQ) permane generano le altre mentre essa si conser- pa*ntvn) cioÁ da cui tutto deriva; a lui
anche se si trasforma quanto alle sue va''. Il senso eÁ: come Socrate resta sem- non interessa la genesi della realtaÁ,
affezioni (toi& Q de+ pa*uesi metabal- pre Socrate, perche eÁ la sostanza che si ma cioÁ che la fonda, e tuttavia ricono-
loy*shQ), questo dicono elemento e mantiene attraverso le trasformazioni sce che in una prospettiva naturalistica
questo il principio degli esseri (a$rxh*n che egli subisce, come quando da gio- i due concetti coincidono.
... tv&n o>ntvn), e credono per questo vane diventa vecchio, cosõÁ ognuna delle
che nulla (oy$ue* n) abbia origine ne pe- altre sostanze rimane al di sotto delle 983.g dia* te dh+ ... toi& Q y<groi& Q, ``per
risca, mentre questa natura sempre si trasformazioni che esse incontrano. questo motivo dunque, assumendo
conserva''. L'argomento eÁ che, se l'es- questa ipotesi, e per il fatto che i semi
senza di ogni cosa eÁ costituita da un 983.e to+ me*ntoi ... zv&n, ``Ma quanto al di tutto hanno natura umida, e per le
elemento primo, aria, acqua o altro, numero e alla specie (to+ ei#doQ) di un si- cose umide l'acqua eÁ principio della
questo permanga nelle varie trasfor- mile principio, non dicono tutti la stessa loro natura''.

SCHEDA DI LESSICO "Il lessico della


vita, p. 654 651
th&Q fy*sevQ ei#nai toi& Q y<groi& Q. 983.h ei$ si+ de* tineQ oi= kai+ toy+Q pampalai* oyQ kai+
poly+ pro+ th&Q ny&n gene* sevQ kai+ prv*toyQ ueologh*santaQ oy%tvQ oi> ontai peri+ th&Q
fy*sevQ y<polabei& n " $ Vkeano*n te ga+r kai+ Thuy+n e$ poi* hsan th&Q gene*sevQ pate* raQ,
kai+ to+n o%rkon tv&n uev&n y%dvr, th+n kaloyme* nhn y<p\ ay$tv&n Sty*ga " timiv*taton me+n
ga+r to+ presby*taton, o%rkoQ de+ to+ timiv*tato*n e$ stin " 984.a ei$ me+ n oy#n a$rxai* a tiQ
ay%th kai+ palaia+ tety*xhken oy#sa peri+ th&Q fy*sevQ h< do*ja, ta*x\ a/n a>dhlon ei> h,
Ualh&Q me*ntoi le* getai oy%tvQ a$pofh*nasuai peri+ th&Q prv*thQ ai$ ti* aQ [...]. 984.b
$Anajime* nhQ de+ a$e* ra kai+ Dioge* nhQ pro*teron y%datoQ kai+ ma*list\ a$rxh+n tiue*asi tv&n
a<plv&n svma*tvn, % IppasoQ de+ py&r o< Metaponti& noQ kai+ $ Hra*kleitoQ o< $ Efe* sioQ,
$ Empedoklh&Q de+ ta+ te* ttara, pro+Q toi& Q ei$ rhme* noiQ gh&n prostiuei+ Q te*tarton 984.c
(tay&ta ga+r a$ei+ diame* nein kai+ oy$ gi* gnesuai a$ll\ h/ plh*uei kai+ o$ligo*thti, sygkri-
no*mena kai+ diakrino*mena ei$ Q e% n te kai+ e$ j e< no*Q) " 984.d $Anajago*raQ de+ o< Klazo-
me* nioQ t|& me+ n h<liki* @ pro*teroQ v/n toy*toy toi& Q d\ e>rgoiQ y%steroQ a$pei* royQ ei#nai*
fhsi ta+Q a$rxa*Q " sxedo+n ga+r a%panta ta+ o<moiomerh& kaua*per y%dvr h/ py&r oy%tv
gi* gnesuai kai+ a$po*llysuai* fhsi, sygkri* sei kai+ diakri* sei mo*non, a>llvQ d\ oy>te
gi* gnesuai oy>t\ a$po*llysuai a$lla+ diame* nein a$i^ dia.

983.h ei$ si+ de* ... e$stin, ``ci sono alcuni miv*taton ... timiv*tato*n e$ stin, ``merita ri- sono soggetti a divenire, ma associan-
che credono che anche i piuÁ antichi e spetto cioÁ che eÁ piuÁ antico, e cioÁ per cui si dosi e separandosi in uno e dall'uno (ei$ Q
che hanno trattato degli deÁi per primi e giura eÁ piuÁ degno di rispetto che mai''. e% n te kai+ e$ j e< no*Q), in numero grande o
molto prima della presente generazio- piccolo (h/ plh*uei kai+ o$ligo*thti)''. Men-
ne, abbiano cosõÁ pensato della natura: 984.a ei$ me+n oy#n ... ai$ ti* aQ, ``Se dunque tre i predecessori spiegavano le diffe-
posero Oceano e Teti come autori del- questa opinione riguardo alla natura sia renze mediante la trasformazione qua-
la generazione delle cose, e che cioÁ su arcaica ed antica, potrebbe forse non litativa di un unico principio, Empedo-
cui gli deÁi giurano eÁ l'acqua, quella che essere chiaro; pure Talete si dice che si cle ne assunse quattro e ridusse il mu-
essi chiamano Stige: infatti cioÁ che eÁ sia cosõÁ espresso riguardo alla prima tamento a movimento quantitativo di
piuÁ antico eÁ piuÁ degno di rispetto, e il causa''. Dopo aver riferito l'opinione elementi tra loro in origine differenti.
giuramento eÁ cioÁ che eÁ piuÁ degno di dei teologizzanti, Aristotele esprime il _
ei$ Q e%n te kai+ e$j e<no*Q: i movimenti si
rispetto''. Qui Aristotele riferisce l'opi- suo scetticismo su di essa, riaffermando producevano quando gli elementi si
nione di chi vorrebbe far risalire la dot- che solo di Talete si puoÁ dire con chia- riunivano in un solo oggetto (ei$ Q e% n) e
trina di Talete ai tempi piuÁ antichi, al rezza che abbia riportato all'acqua la quando invece da un solo oggetto (e$ j
mito di Oceano e Teti autori della ge- prima causa; solo a una posizione di e< no*Q) si dissociavano.
nerazione, e alla pratica degli deÁi di questo tipo ci si puoÁ riferire per l'inda-
giurare sullo Stige. ± toy+Q ... ueologh*- gine sul fondamento dell'essere. 984.d $Anajago*raQ ... a$i^ dia, ``Anassa-
santaQ, ``coloro che si sono occupati di gora di Clazomene poi, che per etaÁ eÁ
teologia'': a questi Aristotele contrap- 984.b A $ najime*nhQ ... te*tarton, ``Anas- anteriore a costui, ma per gli scritti eÁ
porraÁ i ``fisiologi'', piuÁ vicini alle scien- simene invece, e Diogene pongono posteriore, dice che i principi sono in-
ze naturali. ± pampalai* oyQ: ``gli anti- (tiue* asi) l'aria prima dell'acqua, quale finiti (a$pei* royQ ei#nai* fhsi ta+Q a$rxa*Q):
chissimi''. ± poly+ pro+ th&Q ny&n gene*- principio tra i corpi semplici (tv&n infatti dice che quasi tutte le cose, che
sevQ: ``molto prima dell'attuale gene- a<plv&n svma*tvn), e Ippaso di Meta- hanno parti omogenee (a%panta ta+
razione''. Nella Teogonia di Esiodo ponto e Eraclito di Efeso il fuoco, e o<moiomerh&) nascono e periscono nello
(vv. 337 ss.) si narra che, dopo le stirpi Empedocle (ne pone) quattro, aggiun- stesso modo dell'acqua e del fuoco
piuÁ antiche dei Titani, nati dal Cielo e gendo ai tre elementi predetti (ei$ rhme* - (kaua*per y%dvr h/ py&r), solo per asso-
dalla Terra, una successiva generazione noiQ) la terra come quarto''. Dopo Ta- ciazione e separazione, e che non si
di deÁi fu generata dagli amori di Oceano lete Aristotele accenna brevemente alle generano ne muoiono altrimenti, ma
e Teti¨. Si distingua tra Thuy*Q, la sposa soluzioni offerte al problema dell'a$rxh* rimangono eterne''. ± o<moiomerh&: so-
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

di Oceano, e Ue*tiQ, la Nereide madre di da altri filosofi ionici. no gli enti che Anassagora chiamava
Achille; il giuramento per lo Stige po- o<moiomerei& ai, secondo Plutarco, qua-
trebbe far pensare che l'acqua di quel 984.c tay&ta ... e$j e<no*Q, ``Questi infatti litativamente diversi tra loro e divisi-
fiume fosse la cosa piuÁ antica, infatti ti- sono permanenti (a$ei+ diame* nein) e non bili all'infinito (vedi p. 19).

traduzione d'autore
983.a La maggior parte di coloro che primi filosofarono pensarono che princõÁpi di
tutte le cose fossero solo quelli materiali. Infatti essi affermano che cioÁ di cui tutti gli
esseri sono costituiti e cioÁ da cui derivano originariamente e in cui 983.b si risolvono
da ultimo, eÁ elemento ed eÁ principio degli esseri in quanto eÁ una realtaÁ che permane

652
Aristotele
identica pur nel trasmutarsi delle sue affezioni. E, per questa ragione, essi credono che
nulla si generi e che nulla si distrugga, dal momento che una tale realtaÁ si conserva
sempre. 983.c E come non diciamo che Socrate si genera in senso assoluto quando
diviene bello o musico, ne diciamo che perisce quando perde questi modi di essere,
per il fatto che il sostrato ± ossia Socrate stesso ± continua ad esistere, cosõÁ dobbiamo

Metafisica
dire che non si corrompe, in senso assoluto, nessuna delle altre cose: infatti, deve
esserci qualche realtaÁ naturale (o una sola o piuÁ di una) dalla quale derivano tutte le
altre cose, mentre essa continua ad esistere immutata.
983.e Tuttavia, questi filosofi non sono tutti d'accordo circa il numero e la specie di

testi
un tale principio. Talete, iniziatore di questo tipo di filosofia, dice che quel principio eÁ
l'acqua (per questo afferma anche che la terra galleggia sull'acqua), desumendo
indubbiamente questa sua convinzione dalla costatazione che il nutrimento di tutte
le cose eÁ umido, e che perfino il caldo si genera dall'umido e vive nell'umido. 983.f
Ora, cioÁ da cui tutte le cose si generano eÁ, appunto, il principio di tutto. 983.g Egli
desunse dunque questa convinzione da questo e inoltre dal fatto che i semi di tutte le
cose hanno una natura umida, e l'acqua eÁ il principio della natura delle cose umide.
983.h Ci sono, poi, alcuni i quali credono che anche gli antichissimi che per primi
hanno trattato degli deÁi, molto prima della presente generazione, abbiano avuto
questa stessa concezione della realtaÁ naturale. Infatti, posero Oceano e Teti come
autori della generazione delle cose, e dissero che cioÁ su cui gli deÁi giurano eÁ l'acqua, la
quale da essi vien chiamata Stige. Infatti, cioÁ che eÁ piuÁ antico eÁ anche cioÁ che eÁ piuÁ
degno di rispetto, e cioÁ su cui si giura eÁ, appunto, cioÁ che eÁ piuÁ degno di rispetto. 984.a
Ma, che questa concezione della realtaÁ naturale sia stata cosõÁ originaria e cosõÁ antica,
non risulta affatto in modo chiaro; al contrario, si afferma che Talete per primo abbia
professato questa dottrina intorno alla causa prima.
984.b Anassimene, invece, e Diogene considerarono come originaria, piuÁ dell'ac-
qua, l'aria e, fra i corpi semplici, la considerarono come principio per eccellenza,
mentre Ippaso di Metaponto ed Eraclito di Efeso considerarono come principio il
fuoco.
Invece Empedocle pose come princõÁpi i quattro corpi semplici, aggiungendo ai tre
sopra menzionati anche un quarto, cioeÁ la terra. 984.c Essi, infatti, restano sempre
immutati e non sono soggetti a divenire se non per aumento o diminuzione di
quantitaÁ, quando si congiungono in una unitaÁ o si sciolgono da essa.
984.d Anassagora di Clazomene, che per etaÁ viene prima di Empedocle ma eÁ
posteriore per le opere, afferma che i principi sono infiniti: infatti egli dice che
pressoche tutte le omeomerie si generano e si corrompono unicamente in quanto si
riuniscono e si disgiungono cosõÁ come avviene per l'acqua o per il fuoco; mentre in
altro modo non si generano ne si corrompono, ma permangono eterne.
(Trad. G. Reale)

GUIDA ALL'ANALISI
LESSICO E LINGUA
1. Spiega i seguenti termini appartenenti al lessico filosofico: filosofi* a (983b), a$rxh* (983b), oy$si* a (983b),
e% jiQ (983b), to+ y<pokei* menon (983b), o<moiomerh*Q (984a)
TEMI E CONFRONTI
2. Aristotele riporta l'affermazione dei teologizzanti (983h: ei$ si+ de* tineQ oi= ...), ma subito fa intendere che il pensiero
di Talete rappresenta qualcosa di totalmente nuovo. Rifacendoti anche alle tue conoscenze filosofiche, qual eÁ,
secondo te, la novitaÁ portata da Talete rispetto al pensiero precedente?
STILE E RETORICA
3. Analizza 983b-983d (e$ j oy} ga+r e>stin a%panta ta+ o>nta ... oy%tvQ oy$de+ tv&n a>llvn oy$de* n) dal punto di vista
stilistico; considera anche la funzione della prolessi iniziale, la iniziale struttura trimembre e$ j oy} ... e$j oy} ... ei$ Q o%
con ampliamento della terza parte).

653
Scheda di essico l
Il lessico della vita vissuti a mezza via tra il bene e il male ... giungono
alla palude'', diedika*santo oi% te kalv&Q kai+ oi< o<si* vQ
biv*santeQ kai+ oi< mh* " kai+ oi= me+ n a/n do*jvsi me*svQ bebiv-
bi* oQ diaita*v ke* nai, ... a$fiknoy&ntai ei$ Q th+n li* mnhn (Fedone 113 e).
zvh* ai$ v*n Talvolta bi* oQ assume il valore di ``mezzi di vita'',
bio*v zvo*Q valore che il suo derivato bi* otoQ ha sempre: Esiodo,
za*v e> mbioQ Opere 232 ricorda i sovrani giusti ``per i quali la terra
bi* otoQ e> mcyxoQ produce abbondanti mezzi di vita'', toi& si fe*rei me+n gai& a
bioth* sv&ma poly+n bi* on, mentre in Omero Diomede ricorda che suo
biotey*v cyxh* padre Tideo ``abitava una casa ricca di mezzi'', nai& e de+
dv&ma / a$fneio+n bio*toio (Iliade XIV, 121 s.); invece bioth*
di* aita
si riferisce al modo di vivere. A Menelao, in Odissea IV,
565, viene profetizzato che un giorno sarebbe stato
accolto nei campi Elisi, ``dove eÁ dolcissima la vita per
Ammonio di Alessandria, un allievo del grande filolo- gli uomini'', t|&per r<hi* sth bioth+ pe* lei a$nurv*poisin. Nel-
go alessandrino Aristarco di Samotracia, autore di un lo stesso modo biotey*v eÁ un'espressione che abbraccia
trattato sui sinonimi greci, ci ha lasciato una definizio- la vita in tutte le sue relazioni, non solo nel comporta-
ne dei due termini fondamentali che indicano la vita: mento etico, ma altresõÁ nell'essere felici o meno.
bi* oQ zvh&Q diafe* rei. bi* oQ me+n e$ pi+ tv&n logikv&n ta*ssetai Altri termini di questo gruppo semantico sono di* ai-
z{*vn, toyte* stin a$nurv*pvn mo*non " zvh+ de+ e$pi+ a$nurv*pvn ta (cf. Ippocrate, Arie, acque e luoghi, 1.5; 2.2), con il
kai+ e$pi+ tv&n a$lo*gvn z{*vn. e$ntey&uen $Aristote*lhQ to+n denominativo diaita*v, e il poetico ai$ v*n. Di* aita, diai-
bi* on v<ri* sato oy%tvQ " bi* oQ e$ sti+ logikh+ zvh*, ``bi* oQ differi- ta*v indicano un modo di trascorrere la vita e possono
sce da zvh*: bi* oQ eÁ riferito agli animali dotati di ragione, indicare la vita stessa come modalitaÁ di comportamen-
cioeÁ solo agli uomini, mentre zvh* si dice degli uomini e to: cosõÁ in Eschine 2, 146 l'oratore dichiara che ``ri-
degli animali irragionevoli. Pertanto Aristotele ha cosõÁ tengo che voi siate in grado di valutare adeguatamente
definito bi* oQ: `bi* oQ eÁ zvh* dotata di ragione' ''. la mia vita e il mio comportamento di ogni giorno'',
Come spesso avviene, la distinzione dei grammatici, toy& me+n oy#n e$ moy& bi* oy kai+ th&Q kau$ h<me*ran diai* thQ y<ma&Q
che nasce da un rigoroso criterio logico, eÁ piuÁ netta di dokimasta+Q i< kanoy+Q ei#nai nomi* zv. Infine ai$ v*n, che indi-
quella che i testi suggeriscono. CosõÁ troviamo in Plato- ca ``il tempo'', in varie accezioni che vanno da un
ne, Protagora 351 b le* geiQ de* tinaQ, v# Protago*ra, tv&n tempo determinato all'eternitaÁ nella storia dei suoi usi,
a$nurv*pvn ey# zh&n, toy+Q de+ kakv&Q; ... ti* d$, ei$ h<de* vQ bioy+Q viene usato poeticamente per indicare il tempo asse-
to+n bi* on teleyth*seien, oy$k ey# a>n soi dokoi& oy%toQ bebiv- gnato alla vita degli uomini, come in Pindaro, Istmica
ke*nai, ``tu dici, Protagora, che alcuni degli uomini vi- 7, 16: do*lioQ ga+r ai$ v+n e$ p$ a$ndra*si kre*matai, e< li* ssvn
vono bene, altri male ... ma che diresti, se concludesse bi* oy po*ron, ``giacche pende ingannevole sugli uomini
la sua vita dopo esser vissuto piacevolmente, quest'uo- il tempo, voltando il corso della loro esistenza''.
mo non ti sembrerebbe essere vissuto bene?'': in questo Fra gli aggettivi che si formano in questo campo
discorso l'alternanza tra bio*v e za*v sembra governata semantico, zvo*Q, ``vivente'', costituisce l'antonimo
da criteri di stile, che suggeriscono di evitare la ripeti- esatto di teunhkv*Q, ``morto'', e> mbioQ, detto di piante e
zione dello stesso termine, e i due verbi sembrano di animali, eÁ chi ha in se la vita, mentre e> mcyxoQ, dato il
assolutamente intercambiabili. Tuttavia si puoÁ ammet- valore di cyxh* (``principio vitale''), eÁ detto propria-
tere che in generale zvh* indichi la vita fisica, con le mente degli animali.
funzioni direttamente ad essa connesse, come il nutri- Infine, alcune locuzioni che indicano la conserva-
mento, mentre bi* oQ indichi il complesso dei comporta- zione o la perdita della vita: tra queste, sv&ma sv*zein,
menti di un essere ragionevole: Aristotele, nel trattato letteralmente ``salvare il corpo'', significa ``salvare la
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

Sull'anima 2, 4, 14 osserva e$ pei+ oy$de+ n tre* fetai mh+ me- vita'', come in Eschine 1, 5 ta+ me+ n tv&n dhmokratoy-
te* xon zvh&Q, to+ e> mcyxon a/n ei> h sv&ma to+ trefo*menon, |} me* nvn sv*mata ... oi< no*moi sv*zoysi, ``le leggi garanti-
e> mcyxon ``poiche non si nutre nessun essere che non sia scono la vita di coloro che vivono in democrazia''.
partecipe della vita, il corpo vivente potrebbe nutrirsi Un'analoga locuzione esiste per cyxh*, che propria-
in quanto eÁ vivente''. CosõÁ anche Platone, descrivendo mente eÁ il principio vitale che anima gli uomini e gli
la sorte dei defunti nell'aldilaÁ, racconta che quando i altri animali; cfr. Erodoto V, 92 e 2: Cipselo ``perse-
morti giungono nel luogo dove ognuno eÁ accompagna- guitoÁ molti tra i Corinzi, molti privoÁ delle sostanze, e
to dal suo deÁmone, ``vengono giudicati separatamente ancor molti di piuÁ della vita'', polloy+Q me+ n Korinui* vn
quelli che sono vissuti in modo giusto e pio e quelli che e$di* vje, polloy+Q de+ tv&n xrhma*tvn a$pesth*rhse, pol-
non sono vissuti cosõÁ; e quelli che sembrino esser loy+Q d$ e> ti plei& stoyQ th&Q cyxh&Q.

654
Retorica

Aristotele
3 I generi della retorica (1358b)

Retorica
I tre tipi di discorso si distinguono in relazione al tempo cui fanno riferimento: se ci si riferisce al passato, abbiamo
il discorso giudiziario; il discorso deliberativo o politico, riguarda il futuro, mentre il discorso epidittico, in lode o in

testi
biasimo di qualcosa o qualcuno, si riferisce al presente.

I generi della retorica sono tre, come di tre tipi possono essere gli ascoltatori dei
discorsi; e a sua volta il discorso eÁ composto di tre elementi; chi parla, cioÁ di cui si
parla e a chi si parla. Il fine del discorso eÁ rivolto a quest'ultimo, intendo dire
all'ascoltatore. L'ascoltatore non puoÁ che essere spettatore o giudice, e se giudice,
giudice del passato o del futuro. Un membro dell'Assemblea eÁ giudice del futuro,
mentre un membro del tribunale eÁ giudice del passato, e lo spettatore eÁ giudice
dell'abilitaÁ dell'oratore. Di conseguenza, ci sono tre generi di discorsi: deliberati-
vo, giudiziario, epidittico.
Il genere deliberativo consiste in un'esortazione o in una dissuasione; sempre
infatti chi esprime il proprio parere in privato e chi parla in assemblea fa l'una o
l'altra di queste cose. Il genere giudiziario consiste in una difesa o in una accusa; le
parti in causa infatti non possono fare che l'una o l'altra di queste due cose. Il
genere epidittico consiste in una lode o in un biasimo. Ognuno di questi discorsi
ha un suo proprio tempo; il deliberativo il futuro (chi esorta o dissuade consiglia
sempre per il futuro), il giudiziario il passato (l'accusa o la difesa riguardano fatti
giaÁ avvenuti), l'epidittico il presente, perche tutti lodano o biasimano in riferi-
mento al presente, anche se spesso ricordano il passato o prefigurano il futuro.
Ognuno di questi discorsi ha un fine diverso, tre come tre sono i discorsi. Per il
discorso deliberativo, il fine eÁ l'utile o il dannoso: chi raccomanda qualcosa
consiglia per il meglio, chi dissuade da qualcosa cerca di evitare il peggio. Il resto,
se sia giusto o ingiusto, bello o brutto, eÁ accessorio. Per il discorso giudiziario, il
fine eÁ il giusto e l'ingiusto; il resto eÁ accessorio. Per il discorso epidittico, il fine eÁ il
bello e il brutto, e tutto il resto viene ricondotto a questo.
(Trad. G. Paduano)

GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Aristotele, nel brano proposto, ha disegnato uno schema della retorica destinato a diventare classico.
Ripercorrilo, completando la tabella che segue:
GENERE DELLA RETORICA " Deliberativo " ................................ " Epidittico
DESTINATARIO " Membro dell'assemblea " ................................ " ................................

CONTENUTO " ........................................ " Accusa e difesa " ................................


TEMPO DI RIFERIMENTO " ........................................ " ................................ " presente
FINE " Utile e nocivo " ................................ " ................................

2. Il semiologo Umberto Eco afferma che l'arte della persuasione, la te* xnh th&Q peiuoy&Q di un tempo, eÁ stata
ereditata oggi dalla pubblicitaÁ. Discuti e giustifica tale giudizio, portando degli esempi (max. 20 righe).
3. A quale genere della retorica (deliberativo, giudiziario, epidittico) appartiene la pubblicitaÁ?

655
Poetica

4 L'origine della tragedia (1449a)

Aristotele inizia la sua trattazione della tragedia con un rapido profilo storico sull'origine del genere, cui aggiunge
qualche notizia anche sulla commedia, di cui si riprometteva di trattare piuÁ oltre. EÁ evidente ed eÁ stato sempre
osservato che questo profilo eÁ condizionato dall'idea che Aristotele aveva dei generi letterari, considerati come
esseri viventi che nascono, si sviluppano fino alla maturitaÁ fisica e poi degradano. In ogni caso, si tratta di una
testimonianza preziosa, di cui eÁ necessario tenere conto.

La tragedia dunque, sorta da un principio di improvvisazione ± sia essa sia la


commedia, l'una da coloro che guidavano il ditirambo, l'altra da coloro che
guidavano i cortei fallici che ancora oggi rimangono in uso in molte cittaÁ ± a
poco a poco crebbe perche i poeti sviluppavano quanto in essa veniva manife-
standosi, ed essendo passata per molti mutamenti la tragedia smise di mutare
quando ebbe conseguito la propria natura. Eschilo fu il primo a portare il numero
degli attori da uno a due, a ridurre la parte del coro e a conferire un ruolo
rilevante alla parola; di Sofocle sono i tre attori e la pittura degli scenari. Per
quanto poi riguarda la grandezza: da racconti piccoli e un linguaggio scherzoso,
poiche il suo processo di trasformazione muoveva dal satiresco, assunse tardi toni
solenni, e il verso di tetrametro si fece giambo. All'inizio si adoperava il tetrametro
perche la poesia era satiresca e piuttosto ballabile, ma, affermatosi il parlato, fu la
stessa natura a trovare il verso appropriato; il giambico eÁ in effetti il verso piuÁ
colloquiale e un segno di cioÁ eÁ che nella nostra conversazione ci capita di dire
spesso giambi, mentre eÁ raro che si dicano esametri, e solo quando ci si allontana
dal tono discorsivo. Per quanto riguarda poi il numero degli episodi e il resto,
come si dice che ciascun elemento abbia trovato la propria sistemazione, fermia-
moci a quel che si eÁ detto. Considerare ogni particolare sarebbe probabilmente
lavoro eccessivo.
(Trad. D. Lanza)

GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. A partire dal passo di Aristotele qui presentato e dalle considerazioni esposte alle pp. 46 ss., chiarifica ± ai fini
della formulazione di un'ipotesi sull'origine della tragedia ± le notizie che desumiamo dalle fonti antiche.
Terrai presenti i seguenti elementi:
" improvvisazione
" coloro che guidavano il ditirambo
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

" cori in onore di eroi

2. Spiega il significato dell'associazione tra improvvisazione ed origine della tragedia.


3. Seleziona le indicazioni presenti nel testo e realizza un breve schema riassuntivo della posizione di Aristotele
riguardo alla storia del genere tragico. In esso terrai conto dei seguenti elementi:
" numero degli attori
" ampiezza dell'opera
" rapporto stasimi/episodi
" scenografia
" metro/i impiegato/i

4. Aristotele indica nell'ambiente cultuale dionisiaco l'ambiente in cui nasce la tragedia. Sottolinea, nel testo, gli
elementi che segnalano tale ``matrice'' dionisiaca.

656
La scuola di Aristotele

La scuola di Aristotele
A ristotele fu non solo una grande personalitaÁ di ricercatore, ma fu anche un
organizzatore della ricerca collettiva eccezionalmente dotato e fortunato:
non sarebbe stato possibile creare l'enciclopedia delle scienze umane e naturali
che egli lascioÁ all'umanitaÁ senza la solida collaborazione di un gruppo affiatato di
ricercatori; questo gruppo infatti proseguõÁ la ricerca anche dopo la morte del
maestro, approfondendo molte delle direzioni di indagine da lui assunte, non
tanto nel campo della metafisica quanto in quello dell'etica e delle virtuÁ morali,
delle leggi e forme di governo, delle scienze naturali, della meteorologia, della
geografia, della antropologia, della storia della scienza, ed altresõÁ della biografia,
della retorica, della poesia e della musica.

Eraclide Pontico Eraclide visse tra il 390 e il 310, fu in gioventuÁ allievo di Platone, poi subõÁ
l'influenza del Peripato e scrisse di diversi argomenti filosofici e scientifici,
ma soprattutto di letteratura (su Omero, Esiodo, Archiloco e sulla tragedia) e di
musica, soffermandosi sulle armonie, che per lui si potevano ricondurre a tre tipi,
corrispondenti alle tre stirpi elleniche, dorica, eolica e ionica. L'armonia dorica era
la piuÁ semplice e austera, quella eolica era altera e un po' diffusa, mentre quella
ionica era la piuÁ delicata.

Dicearco da Messina Dicearco ebbe molteplici interessi che riguardavano la politica (studioÁ le
costituzioni di varie cittaÁ greche, approfondendo la dottrina della costitu-
zione mista), la storia letteraria, la storia della civiltaÁ e la geografia.

Aristosseno di Taranto Nacque nel 370 e fu allievo dapprima del pitagorico Senofilo. Alla scuola di
Aristotele approfondõÁ il genere biografico e scrisse vite di Socrate, Platone,
Archita e del ditirambografo Teleste; ma fu soprattutto un grande teorico di pro-
blemi musicali. Di lui ci sono giunti gli Elementi armonici in tre libri e parte degli
Elementi ritmici. Negli Elementi armonici sono trattati gli intervalli e i sistemi musi-
cali, la composizione della melodia e i generi diacronico, cromatico e enarmonico:
in questo modo egli affrontava nel quadro della filosofia di Aristotele una dottrina
che era stata per lungo tempo studiata dai Pitagorici e che recentemente era stata
rivoluzionata dai ditirambografi sulla base del concetto di ritmo.
Altri allievi di Aristotele furono Demetrio del Falero e Cameleonte di Eraclea
pontica. Il primo si occupoÁ di etica, di filologia e di storia, mentre il secondo divenne
famoso per le biografie di molti poeti, di cui illustrava le vite attingendo alle loro
opere.

Teofrasto di Ereso Teofrasto fu il piuÁ stretto collaboratore di Aristotele e gli successe alla guida
della scuola nel 322 a. C.; visse fino al 288. Fu il promotore della tendenza a
privilegiare le discipline specialistiche rispetto alla metafisica, che era stata il primo
interesse del fondatore della scuola. Abbiamo un catalogo dei suoi scritti, che con
226 titoli ci illustra una produzione che abbraccia tutta l'encilopedia dello scibile:
dalla logica alla metafisica, dalle scienze naturali alla politica, dalla retorica alla
letteratura. Di tutte queste opere ci sono giunti due trattati di botanica, Historia
plantarum e De causis plantarum, un compendio di metafisica e alcuni opuscoli
scientifici; inoltre un'operetta, intitolata I Caratteri, raccolta di trenta vivacissimi
bozzetti che delineano tipi umani per qualche verso caratteriali, come lo spilorcio, lo
scortese, l'avaro, il superbo. Ognuno di essi eÁ definito sinteticamente, e poi rappre-
sentato icasticamente nei comportamenti in cui si manifesta.

657
strumenti PLATONE E ARISTOTELE
... per memorizzare
427 387-361 378 347 322
Nascita Viaggi di Platone fonda Morte Morte di

300 a.C.
450 a.C.

di Platone Platone in Sicilia l’Accademia di Platone Aristotele

400

350
367
Morte di
Dionisio I 335
399 384 di Siracusa, 338 Aristotele 323
Morte Nascita gli succede Battaglia fonda il Morte di
di Socrate di Aristotele Dionisio II di Cheronea Liceo Alessandro

IL CONTESTO IL GENERE LETTERARIO


n Epoca: IV secolo a.C. n Per quanto concerne Platone, il configuravano come veri e propri
n Platone e Aristotele svolsero la genere prediletto fu il ``dialogo'', ``strumenti di lavoro'', quasi
loro attivitaÁ didattica e speculativa dove la speculazione filosofica ± in ``dispense'' per gli allievi della sua
per lo piuÁ ad Atene: il primo lingua attica ± si colorisce di scuola; scritti cosiddetti essoterici,
± allievo di Socrate ± vi fondoÁ nel vivacitaÁ dialettica; al centro di pensati cioeÁ per la pubblicazione
378 a.C. una scuola detta molte sue opere c'eÁ il esterna: di essi resta solo La
Accademia, il secondo ± allievo ``personaggio'' di Socrate. costituzione di Atene.
proprio di Platone ± vi aprõÁ nel 335 n Aristotele invece produsse, con
a.C. un'altra scuola detta Liceo una lingua che anticipa la koineÂ:
(o Peripato). scritti cosiddetti esoterici che si

GLI AUTORI, LE OPERE E LE IDEE


n Platone (V-IV sec. a.C.) n

n Nacque e morõÁ ad Atene (427-347 a.C.), e qui lungamente operoÁ, segnato dal magistero di Socrate (che
seguõÁ fino alla morte del maestro, nel 399); ebbe anche tre deludenti esperienze presso la corte dei tiranni di
Siracusa, nella speranza di fare di loro dei ``sovrani filosofi''.
n Di lui ci restano: l'Apologia di Socrate, trentaquattro dialoghi filosofici, tredici lettere.
n Le opere scritte fino al 387 (primo viaggio in Sicilia) propongono una ricerca ± non sempre conclusa ± di concetti
morali (coraggio, amicizia, pietaÁ religiosa, temperanza, giustizia): tra esse spiccano l'Apologia e il Critone.
n Le opere della maturita Á (387-367 a.C.) esprimono la metafisica platonica, attraverso la cosiddetta ``dottrina
delle idee'' (per la quale la realtaÁ terrena eÁ solo una ``copia'' del divino mondo delle idee, mentre il corpo umano eÁ
``prigione'' dell'anima): si segnalano soprattutto il Simposio, il Fedone, il Fedro, la Repubblica.
n Le opere della vecchiaia (posteriori al 367 a.C.) affrontano per lo piu Á il rapporto tra il mondo delle idee e
quello sensibile: tra le piuÁ importanti, il Timeo, il Crizia, le Leggi.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO

n Aristotele (IV sec. a.C.) n

n Nacque a Stagira e morõÁ a Calcide (384-322 a.C.), ma opero Á a lungo ad Atene; tra le sue altre esperienze,
quella ± assai lunga ± ad Assos presso il re Ermia, e in Macedonia presso Filippo, dove fu precettore di
Alessandro Magno.
n Lo sforzo filosofico di Aristotele fu quello di valorizzare maggiormente la realta Á sensibile (svalutata
dall'idealismo platonico), ritenendola sintesi di forma e materia: per Platone la filosofia era il filosofare, una
ricerca continua e senza fine della veritaÁ, mentre per Aristotele la filosofia eÁ un sistema organico, che si basa su
una dottrina dell'essere in quanto essere (filosofia prima) e affronta le varie forme in cui l'essere si realizza, in
natura, nella vita associata degli uomini, nei loro comportamenti, nelle loro manifestazioni spirituali; nelle sue
opere (che trattano di logica, fisica e scienza, psicologia, filosofia prima o metafisica, etica, politica, retorica ed
estetica) vi eÁ la volontaÁ di classificazione e catalogazione della realtaÁ.

658
strumenti PLATONE E ARISTOTELE

strumenti
... per verificare
Quesiti a risposta multipla Quesiti a risposta singola
(max. 5 righe)
1. Quale fu l'ultima opera scritta da Platone?
6. Sintetizza il contenuto del Critone
a. & Simposio di Platone.
b. & Timeo
c. & Menesseno 7. Spiega la dottrina dello Stato presentata
nella Repubblica di Platone.
d. & Leggi

2. In quale dialogo Platone affronta il 8. Delinea i concetti fondamentali esposti


problema dell'origine del mondo? da Aristotele nella Metafisica.
a. & Eutidemo 9. Delinea i concetti fondamentali esposti
b. & Critone da Aristotele nella Poetica.
c. & Timeo
10. Spiega in che senso per Aristotele la filosofia
d. & Filebo costituisce un sistema organico.
3. La scuola che fondoÁ Aristotele fu chiamata:
a. & Liceo Trattazione sintetica di argomenti
(max. 15 righe)
b. & StoaÁ
c. & Accademia 11. Sintetizza il contenuto dell'Apologia
d. & Ginnasio e spiegane la sua importanza.

4. Aristotele fu precettore di: 12. Delinea la concezione dell'amore esposta


da Platone nel Simposio.
a. & Filippo II di Macedonia
b. & Alessandro Magno 13. Spiega, facendo qualche riferimento ai testi,
c. & Isocrate l'uso del mito nei dialoghi di Platone.
d. & Alcibiade
14. Delinea le caratteristiche dei dialoghi
5. Aristotele nella Poetica:
di Platone.

a. & giustifica la poesia, opponendosi 15. Esponi la problematica relativa alle opere
a Platone esoteriche e a quelle essoteriche di
b. & condanna la poesia Aristotele.
c. & condanna solo la poesia epica
d. & condanna solo la tragedia

659

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