Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
La sua vita non fu particolarmente movimentata. Egli viaggiò in Francia e Inghilterra. Dopo la
morte del padre frequentò l’università di Gottinga. Sulla sua formazione influirono le dottrine di
Kant e Platone. Frequentò l’università di Berlino e in seguito si laureò a Jena. Nel 1820 si abilitò
all’università di Berlino, tenendo corsi senza alcun successo.
Di Platone, lo attrae la teoria delle “idee”, intese come estranee al dolore del nostro mondo. Da
Kant, deriva l’impostazione soggettiva della sua gnoseologia. La sua maggiore opera è CRITICA
DELLA RAGION PURA e la scrisse per controbattere ciò che diceva Hume, e per riedificare
l’edificio della scienza. Egli è il primo positivista. Critica il principio di causalità, poiché bisogna
dimostrare che l’induzione è un procedimento valido.
Cos’è per S. la filosofia? Perché fa filosofia? Secondo S. l’uomo è l’uomo filosofico, è uomo
metafisico che sente l’esigenza di porsi domande filosofiche su tutto. Il vero uomo è chi si pone
domande radicali, non chi si lascia vivere.
CONCETTO DI FORZA.
S. evita il termine di forza per parlare della volontà, perché esso fa tutt’uno con il concetto
di causa. La volontà la conosco tramite me stesso. Io non la vedo direttamente, ma vedo le
manifestazioni di volontà delle persone. Ciò che io conosco direttamente è la mia volontà,
che è soggettiva. S. sceglie la volontà e non la forza perché ciò che muta dalla forza alla
volontà è il modo attraverso la quale io conosco la forza e la volontà. Nella forza c’è
esperienza esteriore, mentre nella volontà è interiore. In comune c’è la modo con cui
conosco la volontà, che è la Volontà. Anche negli animali agisce volontà, ma loro
rispondono a degli istinti.
Ci sono 2 tipi di volontà: volontà (è una delle manifestazioni, la più alta che sì da nel
principio dell’uomo) e Volontà (essenza della realtà come principio metafisico).
Domanda: perché tu vuoi questo e non qualcos’altro? Perché si vuole in generale? Noi
vogliamo per continuare volere anche in futuro, il più a lungo possibile.
La metafisica della volontà di S. si configura come ermeneutica* dell’esperienza nella sua
interezza. Ovunque nel mondo vi è volontà.
* la volontà serve come chiave di lettura che c’è tra scienza (classifica, prevede e coordina
fenomeni guardandoli dall’esterno) e metafisica (illumina i fenomeni dall’esterno e
pretende di spiegarli).
La metafisica è valida se riusciamo a esser convinti che la Volontà si manifesta in ogni
singolo.
METAFORA: la natura è come un libro aperto con tanti segni che non capisco. Lo
scienziato descrive i segni, mentre il filosofo trova una chiave di lettura che gli consente con
un codice (volontà) di interpretare la natura.
La metafisica secondo S. fonda una particolare analitica esistenziale (= si basa sulla sua
metafisica della volontà) che è un’analisi/studio delle condizioni di base dell’esistenza
dell’uomo.
S. tenta di riformulare il suo percorso partendo da un’intuizione della vita. Lui vede volontà
ovunque. Ciò vuol dire porsi già su un punto di vista metafisico, esser andati al di la
dell’apparenza. Per questo deve superare Kant, lui aveva posto un limite sulla conoscenza.
Se tutto è volontà anche noi siamo volontà. Le condizioni strutturali sono dettate dalla
volontà.
Il mio essere coincide con la mia esistenza. Ciò che io sono è volontà, l’esistenza è volontà.
Questo significa che ciò che noi siamo si muove all’interno delle coordinate di fondo
tracciate dalla metafisica. La volontà sta dappertutto. Se fosse vero non soffriremmo.
DOLORE E NOIA.
Come si manifesta la volontà nell’esistenza dell’uomo? Le condizioni base per S. sono due:
- vita è dolore (come elemento non accessorio),
- vita è noia (in controparte).
L’esistenza è come un pendolo: oscilliamo sempre tra dolore e noia, perché siamo sempre
alla ricerca di qualcosa. Se noi siamo volontà, per forza la nostra vita è fatta così. Noi siamo
strumenti della volontà cosmica. Voglio per continuare a volere (è un principio metafisico
che non permette resistenza). Volere qualcosa significa sentire la mancanza di ciò che si
vuole, e quindi di soffrire. Io non posso cessare di volere, perché il volere è il mio essere.
Se io sono, io voglio. Noi non siamo padroni di noi stessi perché siamo posseduti da una
forza chiamata Volontà, che è maligna. Quando voglio e lo ottengo, subito un'altra volontà
si crea. La volontà è manifestazione nello spazio e nel tempo di quella volontà generale. In
realtà non sono io che voglio, ma la volontà che vuole altra volontà (psicanalisi).
Io voglio perché non posso non volere. Tutto soffre, perché tutto vuole. L’uomo soffre
perché è consapevole di volere. Vivere inconsapevoli di vivere, vuol dire non essere
consapevoli di soffrire (consapevolezza=sofferenza). Se è vero che tutto soffre, l’uomo è
quello che soffre di più.
Il filosofo guarda in faccia la realtà che è dolore e noia. Con il possesso di ciò che volevo,
viene meno l’interesse e subentra la noia.
S. è pessimista (più di Leopardi) e questo è un’aggravante per le sue teorie.
Per Platone e Aristotele, la molla che li convince a filosofeggiare è la curiosità (che è
disinteressata), mentre per S. è l’inquietudine (che ci spinge a fare più domande, non
distaccate, ma interessate).
Secondo S. la volontà si manifesta in tutto ciò che è reale. La volontà agisce ovunque.
La felicità esiste ovunque tra dolore e noia, ma è fugace e vive in spese del dolore. Quando
non c’è il dolore, non c’è neanche la felicità. Non è realtà positiva (gioia, godimento).
La paura della morte bisogna spingerla il più avanti possibile, non perché siamo attaccati
alla vita, perché abbiamo paura della morte, ci terrorizza. Dio da valore alla nostra esistenza.
Per S. invece non ha senso, per lui esiste solo la volontà di volere.
Il divertimento viene visto come distrazione, perché se non sappiamo cosa fare piomba la
noia. Il passatempo per la noia è passare il tempo con gli altri (principio di socievolezza).
La radice della noia è il sentimento verso i singoli oggetti di desiderio. Tutto è a portata di
mano (per un ricco ancora di più), questo genera noia assoluta. Bisogna cercare una fonte di
distrazione, poiché la noia è insopportabile quanto il dolore.
Vivere in isolamento totale (carcere), dove c’è una noia insopportabile, non consente a
questa persona di ottenere ciò che desidera (lo so già dall’inizio, perché mancano le
condizioni concrete).
Leopardi e Schopenauer, vivevano allo stesso tempo, e anche se non si conoscevano,
condividevano un pessimismo esistenziale.
S. è un pensatore rivoluzionario. Egli: cambia la nuova filosofia con la vecchia; non c’è
coerenza con quello che dice e quello che fa, perché lui pensa e filosofeggia come se fosse
in un granaio, ma decide di vivere in una reggia.
Essere è volontà, da cui consegue tutto. Si può sfuggire alla sofferenza? Se si, come?
Sfuggire alla sofferenza vuol dire sfuggire alla volontà e quindi all’essere. NON È
POSSIBILE. Per S. sì da la liberazione della sofferenza ma non s’implica la soppressione
della vita e della volontà (suicidio= io mi uccido perché lo voglio, quindi non sopprimo la
mia volontà).
Se sopprimo la vita, non vuol dire che non voglio vivere, ma voglio un’altra vita.
Alla fine del percorso, S. vuole distinguere volontà e vita (che inizialmente voleva unite).
Ciò che io desidero è continuare a vivere, ma suicidandomi, spero di vivere un’altra vita,
quella che mi piacerebbe vivere. Ma per S. non è possibile, perché non si danno alternative
al dolore/sofferenza, perché quello che ho vissuto lo dovevo vivere. L’infelicità è alla radice
d’ogni vita. All’interno della vita, immagino delle alternative (perché sto soffrendo) poiché
queste non mi farebbero soffrire. Quando mi accorgo che non ci sono più alternative, non
voglio più suicidarmi, perché comunque in tutte le vite si soffre.
Noi sogniamo sempre, ma quello ad occhi aperti è un incubo (realtà). Se la volontà è
l’essere, se voglio sopprimere la vita, sopprimo anche l’essere.
Lui trova esempi/situazioni limite in cui si riesce a liberare la volontà rimanendo in vita
(argomento contro il suicidio), per esempio situazioni di: godimento/contemplazione
estetica1 (l’arte vista da 2 prospettive, chi crea e chi le contempla**) e d’etica della
compassione .2
1La bellezza dell’arte è l’oggetto di una contemplazione estetica che sgancia l’uomo dal
vincolo della volontà. Quando contempla un oggetto bello, non lo vuole, lo lascia a distanza
(per un attimo). Una consegue l’altra, ma non sono assieme. Estasi= lasciare là,
contemplazione disinteressata.
2 Tutto soffre e fintanto che io non sento che tutto soffre, io sono necessariamente un
egoista. Tento di affermare la mia volontà, ciò significa esser un egoista. Se non sento la
sofferenza altrui non vuol dire che non soffro. Se io sono volontà, ogni mio atto è atto
d’affermazione della mia volontà, che significa scontrarmi con la volontà altrui a danno
degli altri. Egoismo= sento la mia volontà prima di quella degli altri; Compatire= essere
compartecipe della sofferenza altrui.
L’etica della compassione si basa sul sentimento della compassione. Ci abitua a non
volere. S. lo definisce come l’unica liberazione. Perché non si soffra devo sfuggire alla
volontà e non al volere. Imporre la nostra volontà, lo si fa a scapito degli altri. È una lotta
tutti contro tutti.
S. vuole spingersi all’astinenza completa e alla castità, ma lui non è in grado.
Volontà ed essere non fanno un tutt’uno. È possibile liberarsi dai vincoli della volontà.
Ciò vuol dire andare oltre i limiti dello spazio e del tempo. Non siamo più un oggetto a
cui vengono contrapposti i soggetti. Essere oltre il fenomeno e la volontà attingono al nulla
del fenomeno che non coincide con l’essere.