Sei sulla pagina 1di 5

SCHOPENAUER (1788-1861)

La sua vita non fu particolarmente movimentata. Egli viaggiò in Francia e Inghilterra. Dopo la
morte del padre frequentò l’università di Gottinga. Sulla sua formazione influirono le dottrine di
Kant e Platone. Frequentò l’università di Berlino e in seguito si laureò a Jena. Nel 1820 si abilitò
all’università di Berlino, tenendo corsi senza alcun successo.
Di Platone, lo attrae la teoria delle “idee”, intese come estranee al dolore del nostro mondo. Da
Kant, deriva l’impostazione soggettiva della sua gnoseologia. La sua maggiore opera è CRITICA
DELLA RAGION PURA e la scrisse per controbattere ciò che diceva Hume, e per riedificare
l’edificio della scienza. Egli è il primo positivista. Critica il principio di causalità, poiché bisogna
dimostrare che l’induzione è un procedimento valido.
Cos’è per S. la filosofia? Perché fa filosofia? Secondo S. l’uomo è l’uomo filosofico, è uomo
metafisico che sente l’esigenza di porsi domande filosofiche su tutto. Il vero uomo è chi si pone
domande radicali, non chi si lascia vivere.

IL MONDO DELLA RAPPRESENTAZIONE COME “VELO DI MAYA”.


Il suo punto di partenza è la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé.
Per Kant il fenomeno è la realtà, l’unica realtà accessibile alla mente umana; e il noumeno è un
concetto limite che serve per ricordarci i limiti della conoscenza. Il fenomeno è la realtà per me, il
mondo delle percezioni, è il mondo come mia rappresentazione; mentre il noumeno è la realtà in sé,
che non dipende da ciò che percepisco. Non posso entrare nella realtà in sé (che secondo Kant esiste
ma non è conoscibile). Il noumeno sta di là dal fenomeno ed è la realtà esterna.
Schopenauer non si accontenta delle definizioni di fenomeno e noumeno di Kant, quindi vuole
reinstallare la metafisica a vecchia maniera, ricercando un principio metafisico unico che spieghi
tutto.
Per Schopenauer, invece il fenomeno è parvenza, illusione, sogno ovvero ciò che è detto “velo di
Maya” dagli indiani; mentre il noumeno è una realtà che si nasconde dietro l’inganno del fenomeno
e che il filosofo ha il compito di scoprire.
Per il Criticismo, il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione che esiste fuori della coscienza. Il
fenomeno di cui parla Schopenauer è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza.
La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, la cui distinzione costituisce la forma
generale della conoscenza: da un lato c’è il soggetto rappresentante, dall’altro c’è l’oggetto
rappresentato. Entrambi esistono solo all’interno della rappresentazione, come due lati di essa e
nessuno procede né sopravvive senza l’altro. Non ci può essere oggetto senza soggetto.
Il problema principale, è evadere da questa dicotomia. Egli vuole evadere dal fenomeno e andare
oltre Kant e l’incognita del noumeno rappresentato dalla dicotomia soggetto-oggetto.
L’oggetto è conoscibile solo se è filtrato a priori dalla conoscenza. Egli ammette solo tre forme a
priori: spazio, tempo e causalità. Le prime due sono intrinseche all’oggetto. Vuol dire che il
noumeno sta al di fuori dello spazio e del tempo poiché la realtà stessa dell’oggetto si risolve nella
sua azione causale su altri oggetti.
Abbiamo conoscenza assoluta del soggetto? Se cerco di analizzare il soggetto, diventa di
conseguenza oggetto? Posso conoscermi solo attraverso l’oggetto, mai con il soggetto. Il soggetto e
l’oggetto s’implicano amichevolmente. Il soggetto sa di esistere pensando.
Passando da soggetto ad oggetto si perde l’identità, l’integrità del soggetto e la personalità. Per
distinguere ciò che io sono o non sono, uso il sentimento. Non mi conosco come soggetto, mi sento
un soggetto. Così perdo l’identità, mi colgo come noumeno attraverso il sentimento. S. pensa di
aver trovato il “passaggio segreto” attraverso il sentimento. Il soggetto conoscente e l’oggetto
conosciuto fanno tutt’uno.
Al di là del sogno e del fenomeno esiste la realtà vera, sulla quale l’uomo, o meglio l’uomo filosofo
non può fare a meno di interrogarsi. Infatti, S. sostiene che l’uomo è “l’animale metafisico”, che a
differenza degli altri esseri viventi è portato a stupirsi della propria esistenza e ad interrogarsi
sull’ultima esistenza della vita.
VOLONTA DI VIVERE.
S. vuole integrare la filosofia di Kant, vantandosi di aver trovato la via d’accesso al noumeno che
Kant interruppe.
Se noi fossimo solo conoscenza e rappresentazione non potremmo mai uscire dal mondo
fenomenico, ossia dalla rappresentazione esteriore di noi e delle cose. Ma, siccome siamo dati a noi
non solo come rappresentazione, ma anche come corpo, non ci limitiamo a vederci al di fuori,
bensì ci viviamo al di dentro, godendo e soffrendo.
Infatti, ci rendiamo conto che l’essenza profonda del nostro io è la volontà di vivere, vale a dire un
impulso prepotente e irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire. Noi siamo vita e volontà di
vivere, e il nostro corpo è la manifestazione esteriore dell’insieme delle volontà interiori.
L’intero mondo fenomenico non è altro che la maniera attraverso cui la volontà si manifesta o si
rende visibile a sé stessa nella rappresentazione spazio-temporale. Egli afferma che la volontà di
vivere non è solo la radice noumenica dell’uomo, ma anche l’essenza segreta di tutte le cose ossia
la cosa in sé dell’universo, finalmente svelata. La volontà di vivere penetra ogni essere della
natura.
S. si pone due diversi problemi.
I°. Conosco l’essere. Il passaggio è attraverso il corpo. Ho accesso all’esistenza della realtà. Il corpo
è parte della natura. L’essere è volontà.
La volontà di vivere è ciò che io sento. Per S. quando abbiamo a che fare con fenomeni, non
abbiamo a che fare con conoscenza. La realtà la sento, è parte della natura. Nell’autocoscienza il
soggetto è qualcosa di più ricco, e per conoscersi deve rovesciarsi in oggetto.
II°. Il vero filosofo è quello che sente tanto, e sente che la realtà è volontà. Perché la volontà?
Volontà di esistere/ di vita, per ogni singolo essere di continuare ad esistere. Noi dobbiamo
riconoscerci come volontà concreta cosmica. Tutto ciò che esiste è manifestazione nello spazio e
nel tempo di questa volontà.
Es. Il sasso sulla mano. S. sente la volontà del sasso che vuole cadere. Illumina queste cose
dall’interno. Ovunque c’è volontà.
Per S. Dio non è natura, ma il diavolo. Vuol dire che l’essenza della realtà è il male.

Realtà fenomenica. Realtà metafisica.


SPAZIO, TEMPO, CAUSA VOLONTA
Soggetto/oggetto (caratt. della volontà)
Il soggetto vuole qualcosa: un oggetto Volontà universale
Ne sono consapevole perché l’oggetto che Volontà senza oggetto, senza scopo
voglio è la causa del mio volere Volontà inconscia, non consapevole

Seconda S. la realtà fenomenica sì da come confronto di soggetto e d’oggetto (spazio tempo


causa), mentre la realtà metafisica sta al di là della realtà fenomenica: non c’è spazio, tempo e
neanche nessi causali perché non ci sono oggetti, c’è volontà.
Tra i due “poli” c’è analogia, somiglianza ma anche dissomiglianza.
Nella realtà fenomenica la mia volontà sta nello spazio (in me), nel tempo ed è causa dei miei
comportamenti. Invece, la volontà come principio metafisico, queste caratteristiche non le ha.
CONCLUSIONE: volontà di volontà (come desiderio di vita). La volontà vuole se stessa in eterno,
quindi non è mai raggiunta. È come se S. vedesse ovunque manifestazione della realtà (quindi
sofferenza e dolore). Infatti usa il termine di volontà, e non altro, come esempio di forza.

CONCETTO DI FORZA.
S. evita il termine di forza per parlare della volontà, perché esso fa tutt’uno con il concetto
di causa. La volontà la conosco tramite me stesso. Io non la vedo direttamente, ma vedo le
manifestazioni di volontà delle persone. Ciò che io conosco direttamente è la mia volontà,
che è soggettiva. S. sceglie la volontà e non la forza perché ciò che muta dalla forza alla
volontà è il modo attraverso la quale io conosco la forza e la volontà. Nella forza c’è
esperienza esteriore, mentre nella volontà è interiore. In comune c’è la modo con cui
conosco la volontà, che è la Volontà. Anche negli animali agisce volontà, ma loro
rispondono a degli istinti.
Ci sono 2 tipi di volontà: volontà (è una delle manifestazioni, la più alta che sì da nel
principio dell’uomo) e Volontà (essenza della realtà come principio metafisico).
Domanda: perché tu vuoi questo e non qualcos’altro? Perché si vuole in generale? Noi
vogliamo per continuare volere anche in futuro, il più a lungo possibile.
La metafisica della volontà di S. si configura come ermeneutica* dell’esperienza nella sua
interezza. Ovunque nel mondo vi è volontà.
* la volontà serve come chiave di lettura che c’è tra scienza (classifica, prevede e coordina
fenomeni guardandoli dall’esterno) e metafisica (illumina i fenomeni dall’esterno e
pretende di spiegarli).
La metafisica è valida se riusciamo a esser convinti che la Volontà si manifesta in ogni
singolo.
METAFORA: la natura è come un libro aperto con tanti segni che non capisco. Lo
scienziato descrive i segni, mentre il filosofo trova una chiave di lettura che gli consente con
un codice (volontà) di interpretare la natura.
La metafisica secondo S. fonda una particolare analitica esistenziale (= si basa sulla sua
metafisica della volontà) che è un’analisi/studio delle condizioni di base dell’esistenza
dell’uomo.
S. tenta di riformulare il suo percorso partendo da un’intuizione della vita. Lui vede volontà
ovunque. Ciò vuol dire porsi già su un punto di vista metafisico, esser andati al di la
dell’apparenza. Per questo deve superare Kant, lui aveva posto un limite sulla conoscenza.
Se tutto è volontà anche noi siamo volontà. Le condizioni strutturali sono dettate dalla
volontà.
Il mio essere coincide con la mia esistenza. Ciò che io sono è volontà, l’esistenza è volontà.
Questo significa che ciò che noi siamo si muove all’interno delle coordinate di fondo
tracciate dalla metafisica. La volontà sta dappertutto. Se fosse vero non soffriremmo.

DOLORE E NOIA.
Come si manifesta la volontà nell’esistenza dell’uomo? Le condizioni base per S. sono due:
- vita è dolore (come elemento non accessorio),
- vita è noia (in controparte).
L’esistenza è come un pendolo: oscilliamo sempre tra dolore e noia, perché siamo sempre
alla ricerca di qualcosa. Se noi siamo volontà, per forza la nostra vita è fatta così. Noi siamo
strumenti della volontà cosmica. Voglio per continuare a volere (è un principio metafisico
che non permette resistenza). Volere qualcosa significa sentire la mancanza di ciò che si
vuole, e quindi di soffrire. Io non posso cessare di volere, perché il volere è il mio essere.
Se io sono, io voglio. Noi non siamo padroni di noi stessi perché siamo posseduti da una
forza chiamata Volontà, che è maligna. Quando voglio e lo ottengo, subito un'altra volontà
si crea. La volontà è manifestazione nello spazio e nel tempo di quella volontà generale. In
realtà non sono io che voglio, ma la volontà che vuole altra volontà (psicanalisi).
Io voglio perché non posso non volere. Tutto soffre, perché tutto vuole. L’uomo soffre
perché è consapevole di volere. Vivere inconsapevoli di vivere, vuol dire non essere
consapevoli di soffrire (consapevolezza=sofferenza). Se è vero che tutto soffre, l’uomo è
quello che soffre di più.
Il filosofo guarda in faccia la realtà che è dolore e noia. Con il possesso di ciò che volevo,
viene meno l’interesse e subentra la noia.
S. è pessimista (più di Leopardi) e questo è un’aggravante per le sue teorie.
Per Platone e Aristotele, la molla che li convince a filosofeggiare è la curiosità (che è
disinteressata), mentre per S. è l’inquietudine (che ci spinge a fare più domande, non
distaccate, ma interessate).
Secondo S. la volontà si manifesta in tutto ciò che è reale. La volontà agisce ovunque.
La felicità esiste ovunque tra dolore e noia, ma è fugace e vive in spese del dolore. Quando
non c’è il dolore, non c’è neanche la felicità. Non è realtà positiva (gioia, godimento).
La paura della morte bisogna spingerla il più avanti possibile, non perché siamo attaccati
alla vita, perché abbiamo paura della morte, ci terrorizza. Dio da valore alla nostra esistenza.
Per S. invece non ha senso, per lui esiste solo la volontà di volere.
Il divertimento viene visto come distrazione, perché se non sappiamo cosa fare piomba la
noia. Il passatempo per la noia è passare il tempo con gli altri (principio di socievolezza).
La radice della noia è il sentimento verso i singoli oggetti di desiderio. Tutto è a portata di
mano (per un ricco ancora di più), questo genera noia assoluta. Bisogna cercare una fonte di
distrazione, poiché la noia è insopportabile quanto il dolore.
Vivere in isolamento totale (carcere), dove c’è una noia insopportabile, non consente a
questa persona di ottenere ciò che desidera (lo so già dall’inizio, perché mancano le
condizioni concrete).
Leopardi e Schopenauer, vivevano allo stesso tempo, e anche se non si conoscevano,
condividevano un pessimismo esistenziale.
S. è un pensatore rivoluzionario. Egli: cambia la nuova filosofia con la vecchia; non c’è
coerenza con quello che dice e quello che fa, perché lui pensa e filosofeggia come se fosse
in un granaio, ma decide di vivere in una reggia.
Essere è volontà, da cui consegue tutto. Si può sfuggire alla sofferenza? Se si, come?
Sfuggire alla sofferenza vuol dire sfuggire alla volontà e quindi all’essere. NON È
POSSIBILE. Per S. sì da la liberazione della sofferenza ma non s’implica la soppressione
della vita e della volontà (suicidio= io mi uccido perché lo voglio, quindi non sopprimo la
mia volontà).
Se sopprimo la vita, non vuol dire che non voglio vivere, ma voglio un’altra vita.
Alla fine del percorso, S. vuole distinguere volontà e vita (che inizialmente voleva unite).
Ciò che io desidero è continuare a vivere, ma suicidandomi, spero di vivere un’altra vita,
quella che mi piacerebbe vivere. Ma per S. non è possibile, perché non si danno alternative
al dolore/sofferenza, perché quello che ho vissuto lo dovevo vivere. L’infelicità è alla radice
d’ogni vita. All’interno della vita, immagino delle alternative (perché sto soffrendo) poiché
queste non mi farebbero soffrire. Quando mi accorgo che non ci sono più alternative, non
voglio più suicidarmi, perché comunque in tutte le vite si soffre.
Noi sogniamo sempre, ma quello ad occhi aperti è un incubo (realtà). Se la volontà è
l’essere, se voglio sopprimere la vita, sopprimo anche l’essere.
Lui trova esempi/situazioni limite in cui si riesce a liberare la volontà rimanendo in vita
(argomento contro il suicidio), per esempio situazioni di: godimento/contemplazione
estetica1 (l’arte vista da 2 prospettive, chi crea e chi le contempla**) e d’etica della
compassione .2
1La bellezza dell’arte è l’oggetto di una contemplazione estetica che sgancia l’uomo dal
vincolo della volontà. Quando contempla un oggetto bello, non lo vuole, lo lascia a distanza
(per un attimo). Una consegue l’altra, ma non sono assieme. Estasi= lasciare là,
contemplazione disinteressata.
2 Tutto soffre e fintanto che io non sento che tutto soffre, io sono necessariamente un
egoista. Tento di affermare la mia volontà, ciò significa esser un egoista. Se non sento la
sofferenza altrui non vuol dire che non soffro. Se io sono volontà, ogni mio atto è atto
d’affermazione della mia volontà, che significa scontrarmi con la volontà altrui a danno
degli altri. Egoismo= sento la mia volontà prima di quella degli altri; Compatire= essere
compartecipe della sofferenza altrui.
L’etica della compassione si basa sul sentimento della compassione. Ci abitua a non
volere. S. lo definisce come l’unica liberazione. Perché non si soffra devo sfuggire alla
volontà e non al volere. Imporre la nostra volontà, lo si fa a scapito degli altri. È una lotta
tutti contro tutti.
S. vuole spingersi all’astinenza completa e alla castità, ma lui non è in grado.
Volontà ed essere non fanno un tutt’uno. È possibile liberarsi dai vincoli della volontà.
Ciò vuol dire andare oltre i limiti dello spazio e del tempo. Non siamo più un oggetto a
cui vengono contrapposti i soggetti. Essere oltre il fenomeno e la volontà attingono al nulla
del fenomeno che non coincide con l’essere.

Potrebbero piacerti anche