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SENECA

Lucio Anneo Seneca (ca 4 a.C. – 65 d.C.) nasce a Cordova in Spagna da una famiglia italica dell’ordine
equestre assai benestante. Suo padre, Seneca il Vecchio, fu retore e autore di opere letterarie. Si trasferì a
Roma nel 14, anno in cui morì Augusto e dopo cui l’impero venne governato dalla dinastia giulio-claudia.
La sua sorte è legata proprio a questa dinastia. Studia a Roma e si distingue presto per la sua brillante
oratoria. In seguito si dedicò agli studi filosofici, frequentando maestri legati alla scuola dei Sesti in cui si
praticava la meditazione e l’esame di coscienza. Nel 25 circa si trasferì in Egitto per cinque anni dopo una
crisi depressiva, con l’obbiettivo di curare la sua salute in quel clima caldo. Al ritorno, intraprese la sua
carriera politica e nel frattempo continuò ad esercitare l’arte oratoria nei salotti. Nel 37 pubblicò la sua prima
opera, la Consolatio ad Marciam, ma per il suo contenuto o per le prese di posizione in pubbliche orazioni o
per l’invidia dell’imperatore Caligola, Seneca venne condannato a morte nel 39 e si salvò probabilmente
grazie all’intervento dell’amante dell’imperatore. Nel 41 ci fu una congiura, l’impero passò nelle mani di
Claudio e durante questo periodo Seneca iniziò la scrittura del suo primo trattato filosofico: il De Ira.
Successivamente venne accusato dalla moglie di Claudio, Messalina, di aver commesso adulterio con una
sorella di Caligola e venne esiliato in Corsica dal 41 al 49. In quegli anni si dedicò al completamento del De
Ira e scrisse altre due Consolationes: ad Polybium, un liberto di Claudio, per consolarlo della morte del
fratello e vi è inoltre un forte elogio adulatorio all'imperatore; ad Helviam matrem, per consolare la madre
riguardo la sua lontananza. Queste due opere sono totalmente contraddittorie e con toni diversi: da un lato
c’è l’adulazione, dall’altro un forte spessore morale. Nel 49 Agrippina, la madre di Nerone, lo richiama
perché faccia da precettore al figlio; a svolgere una funzione di guida è pure il prefetto del pretorio Afranio
Burro. Nel 54 alla morte di Claudio, Seneca si trova di fatto a reggere le sorti dell’Impero con Agrippina,
nelle vesti di consigliere del nuovo imperatore Nerone, non ancora diciottenne. Dopo alcuni anni di buon
governo, la situazione a corte si fa insostenibile. Con il passare degli anni, infatti, Nerone comincia a essere
insofferente di ogni tutela, manifestando in modi sempre più chiari una personalità violenta e una crudeltà
senza limiti. Numerosi sono i segni della fine di un periodo: la morte di Afranio Burro avvenuta nel 62; il
ruolo sempre più importante svolto da Poppea (sposata da Nerone in quello stesso anno dopo l’uccisione di
Ottavia) e da Tigellino, il nuovo prefetto del pretorio. Infine il favore concesso dall’imperatore a personaggi
equivoci. Durante questi anni, dal 59 al 62, Seneca scrisse tre importanti scritti filosofici: De beneficiis, il
De tranquillitate animi e il De Otio. Accortosi di non poter più giocare alcun ruolo nella vita politica, si ritira
dall’attività pubblica per dedicarsi agli affetti famigliari e agli studi. Da un lato si dedica allo studi dei
fenomeni naturali, le Naturales quaestiones, e ricerca una gistificazione riguardo i mali che caratterizzano le
vicende umane, il De providentia. La resa dei conti ci fu nel 65, quando venne accusato di aver partecipato
alla congiura dei Pisoni, insieme ad altri uomini illustri e venne costretto al suicidio, che per gli stoici era
una scelta razionale di libertà. Si tagliò le vene e per velocizzare il dissanguamento si immerse in un bagno
caldo.
OPERE FILOSOFICHE
- I DIALOGHI: ovvero 12 libri composti su una gran varietà di temi. Il titolo, Dialoghi, è improprio in
quanto, al di là del De tranquillitate animi, i trattati non hanno struttura dialogica. Si tratta più
propriamente di conversazioni ideali con interlocutori che sono anche i dedicatari, il che consente a
Seneca un tono espositivo colloquiale. I temi trattati sono quelli che riguardano l’etica stoica.
- LE CONSOLATIONES: sono un sottogenere “letterario” e tra le opere più famose di Seneca. In
tutto sono tre trattati filosofici tutti incentrati sul dolore dovuto alla perdita di un familiare o la
lontananza da questo.
Nella Consolatio ad Marciam, prima opera di Seneca, consola Marcia, figlia dello storico Cremuzio,
per la perdita del figlio Metilio ed è incentrata anche sul ricordo della persecuzione subita dal padre a
causa dell’imperatore Tiberio.
Nella Consolatio ad Polybium, scritta durante l’esilio in Corsica, consola il potente liberto di Claudio
per la morte del fratello ma questa consolatio nasconde interessi personali. Lo dimostrano le
adulazioni fatte al fine di ottenere una revoca della pena.
Nella Consolatio ad Helviam Matrem, scritta sempre durante l’esilio, consola la madre e la rassicura
sul fatto che la lontananza dalla patria non comporta la privazione dei beni essenziali.
- LE EPISTULAE MORALES AD LUCILIUM: rappresentano il capolavoro di Seneca e sono 124
lettere distribuite in numero disuguale in 20 libri. Sono state scritte negli anni del ritiro di Seneca
dall’attività pubblica. Alcune di queste lettere sono state veramente inviate a Lucilio, corrispondente
e discepolo di Seneca, altre forse mai spedite. In queste lettere è presente una continua riflessione
filosofico-morale sui temi che stanno più a cuore a Seneca. Vere e proprie meditazioni sul senso
delle cose e una ricetta per la felicità. Seneca si pone come colui che ha sperimentato i rimedi e dopo
averne verificato l’efficacia, li consiglia ai suoi allievi, e quindi all’umanità.

La filosofia per Seneca è lo strumento per il raggiungimento dell’autocontrollo e del dominio di sé che solo
il sapiens possiede. Seneca si presenta come il precursore dell’esistenzialismo moderno, affrontando
tematiche di grande attualità, come la noia, il tempo e la morte. Nella scrittura di Seneca l’etica deve
prevalere sull’estetica. Perciò ha elaborato uno stile fondato sulla sententia, sull’uso della paratassi e di un
linguaggio molto vicino al parlato.
OPERE POLITICHE E SCIENTIFICHE
- IL DE CLEMENTIA: scritto in due libri e composto fra il 55 e il 56. Fu composto per Nerone
appena divenuto imperatore. In questo sono illustrati i fondamenti teorici del programma politico.
Seneca gli indicava la strada della clemenza e dell’autocontrollo, contro quella della crudeltà. Quindi
una prospettiva di governo rispettoso dei propri sudditi e capace di coinvolgere il senato nella
gestione dell’impero.
- IL DE BENEFICIIS: scritto tra il 59 e il 62 e diviso in sette libri. Seneca li dedica ad Ebuzio Liberale
e tratta vari aspetti legati al beneficium, il dono, che rappresenta un elemento di coesione sociale, ma
anche dovere dei ceti più ricchi nei confronti di quelli più deboli. Una concezione “paternalistica” dei
rapporti sociali che ci rimanda ad altri filosofi come Cicerone.
- APOKOLOKYNTOSIS: è una satira violentissima che Seneca scrive subito dopo la morte
dell’imperatore Claudio nel 54, per vendicarsi degli otto anni trascorsi in Corsica. La definizione di
satura e la mescolanza di prosa e versi lo collocano nel genere della satira menippea. Il titolo, un
neologismo, significa “apoteosi di una zucca”, una sorta di parodia del processo di divinizzazione
imperiale. Claudio, dopo la morte, si presenta sull’Olimpo e chiede di essere divinizzato. La sua
proposta non è accolta, anzi egli viene mandato agli inferi. Ve lo accompagna Mercurio. Mercurio
però, lo fa passare per la Via Sacra, dove si sta svolgendo il suo stesso funerale. Solo allora si
accorge di essere morto davvero. Giunge agli inferi. Vi trova molta gente da lui fatta uccidere.
Caligola lo vuole suo schiavo e lo ottiene consegnandolo nelle mani di un liberto, Menandro, che ne
farà il suo scrivano.
- LE NATURALES QUAESTIONES: sono un’opera scientifica, in sette libri. Fu composta dopo il
ritiro di Seneca dall’attività politica, forse nei suoi ultimi anni di vita. L’autore affronta temi di
carattere astronomico, meteorologico e geografico, come i fulmini, i tuoni, le acque, i venti, i
terremoti, le comete. Seneca intendeva escludere nella fenomenologia del mondo naturale ogni
intervento divino. Per lui gli eventi naturali hanno cause specifiche e una spiegazione razionale. In
un passo del secondo libro contesta la teoria etrusca della divinazione tramite l’osservazione dei
fulmini. Questa si basava sulla credenza secondo la quale sono gli dèi a creare le condizioni perché il
fulmine si sprigioni. Seneca invece sostiene la tesi che il fulmine si genera per cause naturali, perché
le nubi vengono a collisione. Le Naturales quaestiones furono composte utilizzando varie fonti, in
modo particolare Posidonio di Apamea, filosofo e scienziato vissuto nel II-I secolo a.C.
LE TRAGEDIE
Di Seneca ci sono pervenute otto tragedie, le uniche sopravvissute del teatro romano. Tutte le altre, dell’età
arcaica o delle epoche successive, ci sono giunte solo in brevi frammenti o sono andate perdute. Accanto
alle otto cothurnatae (tragedie di argomento mitologico) ci è pervenuta l’Octavia, l’unica praetexta (dramma
ambientato nel mondo romano) di tutta la letteratura latina giunta fino a noi. Ma l’opera, che pure è
pervenuta sotto il suo nome, è forse da attribuire ad un suo imitatore.
Le tragedie di Seneca sono tutte imperniate sulla rappresentazione del furor dilagante. Attraverso
l’esemplarità negativa dei suoi personaggi Seneca vuol rivolgere un monito morale: evitare le passioni
travolgenti. A livello stilistico le tragedie sono fondate sull’amplificatio: tinte forti, gusto espressionistico e
un compiacimento per il macabro.
SENECA COME FILOSOFO E PEDAGOGO
Seneca fu un grande filosofo, a lui si deve il compendio di diverse dottrine filosofiche di questo periodo in
una sintesi originale, basata anche sulle sue esperienze di vita e sulle aspettative spirituali e materiali di un
mondo in continuo cambiamento. Il suo è un pensiero eclettico, quindi trae ispirazione dal pensiero romano,
e sincretistico, e riuniva in sé più dottrine di diverse scuole filosofiche creando una vera e propria fusione.
Nasce una filosofia non priva di contraddizioni, ma asistematica. Il pensiero filosofico di Seneca è
influenzato dallo stoicismo, dall’epicureismo e dal platonismo. Dallo stoicismo si riprende l’idea che l’uomo
sia in grado di raggiungere la felicità e la libertà interiore se riesce a dominare le proprie passioni e la
propria ira (come dice nel De ira). La vera felicità non è data dagli agi o dalla ricchezza, ma dalla virtù.
L’uomo, quindi, per raggiungere quanto prima la propria felicità, deve praticare in ogni modo la virtù (questi
concetti sono ben espressi nel De vita beata). Il vero saggio, dunque, è colui che pratica l’autarkeia, cioè
colui che è indipendente e autosufficiente, poiché allontana da sé ciò che è inutile ed è volto solo alla ricerca
del bene che può essere meglio attuata durante i periodi di otium (questi concetti sono ben indicati nelle
Epistole a Lucilio). Tipico dell’influenza epicurea è, invece, il pensiero secondo il quale non bisogna temere
la morte e si deve vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Dal platonismo, invece, Seneca riprende il
concetto in base al quale l’uomo può raggiungere la conoscenza tramite la filosofia. È proprio la conoscenza,
infatti, che permette all’uomo di distinguersi dagli altri animali. La filosofia, dunque, si avvicina al potere:
Seneca ritiene che solo un sovrano guidato dalla filosofia possa essere un buon capo per lo stato (come viene
affermato nel De clementia). La sua filosofia è l’arte di vivere ma allo stesso tempo stile di vita: è arte di
vivere perché indica agli uomini la conoscenza dei valori grazie alle quali si può vivere bene e raggiungere
la felicità, è stile di vita perché il filosofo stesso, esibendo quotidianamente la propria virtù si pone come
modello di comportamento. Centrale nella sua filosofia è la parenesi, ovvero l’esorto, l’intento persuasivo.
Ed ecco perché la scelta dialogica, il continuo intrecciarsi di tesi e antitesi, di argomentazioni e confutazioni,
con l’obbiettivo non di imporre le proprie idee o di dimostrare di avere ragione, ma di giovare ai propri
interlocutori. Inoltre attraverso questo confronto Seneca ritiene che anche il filosofo può imparare dagli altri.
La volontà di giovare agli altri trova fondamento psicologico nel sentimento della fratellanza e trova
fondamento teorico nel concetto di uguaglianza naturale e morale tra gli uomini. Su questi fondamenti si
basa il concetto di humanitas, uno dei valori romani più importanti. Nella visione di Seneca, l’humanitas è
profondo rispetto per la dignità umana e tra i valori espressi c’è quello della solidarietà, ovvero l’impegno di
alcune persone nei confronti di altre, anche dal punto di vista sociale e politico. Sulla solidarietà si basa la
coesione sociale in cui deve esserci reciprocità, ovvero lo scambio di “benefici”.
CONCETTO DI INTERIORITÀ
Secondo Seneca la saggezza la si può raggiungere attraverso la meditazione e il continuo colloquio con se
stessi. Quindi è necessario rifugiarsi nelle profondità del nostro animus, cioè della coscienza, per scrutare
meglio i conflitti che affliggono ogni uomo. La vera libertà è quella interiore. La conseguenza del possedere
se stessi, dell’essere padrone di se stessi, è l’autocontrollo. Quindi interiorità come rifugio e interiorità come
autopossesso. E sceglie il latino come lingua per esprimere il proprio pensiero, piuttosto del greco. Il rischio
è quello di rinchiudersi in se stesso e di escludere il resto del mondo, ma lui evita ciò. Con l’indagine della
propria interiorità, Seneca si rivolge anche a quella altrui. La propria coscienza è il banco di prova. Il suo
rimedio per l’animo umano gravato da sofferenze e malattie che provocano l’infelicità è proprio la sua
filosofia. Seneca va alla ricerca delle cause di queste malattie che individua nella prevalenza del corpo
sull’anima, della passionalità sulla razionalità. Ma la vera felicità si ottiene quando l’essere umano è in
armonia con se stesso e con la natura. Quindi il rimedio è porre un freno alle passioni, che impediscono
l’esercizio della virtù. Le passioni sono degli impulsi smodati, irrazionali come l’ira di affermare il proprio
dominio sugli altri oppure la brama di ricchezze. Proprio nel De Ira, Seneca si concentra sulla più grave
delle passioni. Ma le passioni da combattere non sono quelle finalizzate ad ottenere un bene materiale ma
quei turbamenti dell’animo che ci provocano il disgusto di vivere. Seneca rappresenta al meglio i sentimenti
di angoscia esistenziale: taedium vitae, nausea, fluctuatio ecc. che nell’attualità li conosciamo grazie a
filosofi e letterati come Petrarca, Leopardi, Baudlaire.
TEMI DEL TEMPO E DELLA MORTE
Tra le cause alla base di una vita infelice per Seneca c’è lo scarso valore attribuito al tempo, che viene inteso
come spazio di vita concesso ad ogni uomo. Per Seneca il tempo è un patrimonio prezioso di cui spesso
l’uomo non ne è consapevole e lo spreca con comportamenti insignificanti o procrastinando l’oggi ad un
domani incerto. Bisogna oltre che essere padroni di se stessi, cioè liberi e responsabili, anche essere padroni
del proprio tempo, cioè vivere intensamente ogni momento del presente, ad abbracciare ogni ora del proprio
tempo (carpe diem oraziano). In questo modo il tempo acquista significato e non importa la sua durata ma la
qualità , ovvero come lo si vive quel tempo a disposizione. Il “come” dipende da noi, da quanto siamo
responsabili, mentre il “quanto” non dipende da noi ma dalla fortuna. Ciò che è certo è che ogni istante che
passa ci avvicina sempre più alla morte: Cotidie morimur, ovvero “ogni giorno moriamo” e dobbiamo
prenderne atto per vive con più serenità. Da qui, il tema della morte ci porta a riflettere sulla sua reale
essenza. Seneca parla della morte in numerose sue opere, ma il suo pensiero viene ben espresso soprattutto
nella Consolatio ad Marciam. Riprendendo la concezione epicurea della morte, il filosofo afferma che essa
libera l’uomo da tutti i dolori e sofferenze. Inoltre non può essere né un bene né un male perché è un nulla e,
in quanto tale, riduce al nulla ogni cosa. Seneca, inoltre, si dice convinto che ci sia una vita migliore che
attende l’anima dopo la morte. La vita sulla terra, dunque, è solo un’anticipazione di ciò che avverrà dopo la
morte. Non bisogna, quindi, aver paura della morte, in quanto essa viene vista come un’altra nascita che
porta ad una vita migliore di quella già vissuta.
POLITICA
Le teorie politiche di Seneca le troviamo in diverse opere. Tutte queste accompagnano ogni fase della sua
vita e ne dimostrano la poliedricità delle sue riflessioni, che variano in base sia alle sue vicende biografiche
sia al contesto storico. L’accettazione del regime monarchico la considera come una necessità storica che
non può essere evitata. Ma nei suoi scritti possiamo notare le sue preoccupazioni e il suo pessimismo nei
confronti della forma di governo realizzata da Augusto e poi dalle dinastie che sono andate al potere in
seguito. La concentrazione del potere in un unico sovrano rischiava di portare ad una svolta assolutistica.
Importante è l’azione di Seneca che si pone come guida politica e morale dell’imperatore al fine di
“umanizzare” i suoi comportamenti. Nel De Clementia, in cui sono illustrati i fondamenti del suo
programma di governo, lui fa un appello all’autolimitazione del potere. La via che Seneca indica a Nerone è
quella della mitezza, della moderazione del comportamento del superiore nei confronti dell’inferiore.
Questo mito della clemenza fu però irrealizzabile e nell’impossibilità di influire direttamente sulle scelte
politiche, il saggio ha davanti a se due vie percorribili: il suicidio, che era un atto razionale non di sconfitta
ma di vittoria nei confronti della violenza del potere, oppure un gesto di ribellione; o l’otium contemplativo
in cui si rifugia per allontanarsi dalla vita pubblica. Ma la soluzione adottata da Seneca non fu né l’una né
l’altra: egli optò per una terza via dopo il suo ritiro a vita privata. Fra vita attiva e vita contemplativa, lui
scegli la terza vita di un otium operoso, un alternativa al negotium che veniva esercitato a corte ma allo
stesso tempo proseguì il suo impegno come intellettuale continuando a scrivere. La condizione di isolamento
in cui si trova dal 62 al 65 è quella che gli permette di proiettarsi in una dimensione sovraspaziale e
sovratemporale. Il suo impegno che lo porta a migliorare se stesso e al migliorare gli altri, acquista una
prospettiva cosmopolita. Seneca, così come gli stoici in generale, sosteneva il cosmopolitismo, un
cosmopolitismo esteso a tutta la società umana, affermando la fratellanza di tutti gli uomini e la loro
dipendenza da una legge comune naturale.
CRITICA DEGLI ANTICHI E AMMIRAZIONE DEI CRISTIANI
Su Seneca vennero espressi diversi giudizi contrastanti tra loro sia antichi sia contemporanei: da Caligola
che definì la sua oratoria “sabbia senza calce” ai giovani, tra i quali ricosse molto successo. Il suo stile
anticlassicista venne fortemente criticato, così come il messaggio che trasmetteva. Rilevante è la simpatia
manifestata dai cristiani nei suoi confronti che nella sua ricerca interiore, nella sua humanitas, trovavano con
lui una profonda connessione ideale e spiritale. A partire proprio dai cristiani, ottenne il suo successo
durante il Medioevo, attraverso la lettura delle sue opere filosofiche e sull’immagine riguardo la sua eroica
morte tramandata da Tacito.

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