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Le opere di Seneca

I dialoghi
Si tratta di dieci operette filosofiche scritte sotto forma di dialogo, non in quanto ci sia un vero e proprio
interlocutore, ma perché Seneca scrive utilizzando un linguaggio molto colloquiale e spesso ricorrendo alla
seconda persona singolare. Nove di queste opere hanno estensione di un libro mentre una di tre, rendendo
complessivamente i dialoghi di Seneca lunghi 12 libri. Derivano dal modello della diàtriba cinico-storica,
genere letterario cui invenzione si fa risalire a Bione di Boristene (400 AC), che tratta di temi etici legati alla
vita di tutti i giorni. La stesura dei dialoghi inizia nel 41 DC e finisce nel 63 DC circa, anche se tutte le date
delle sue opere sono molto approssimative e per nulla certe.
Lo stile di Seneca risulta essere molto semplice e chiaro, come del resto afferma debbano essere le parole di
un filosofo per farsi capire dal popolo. Esalta figure semplici come la ripetizione, l’antitesi e la conclusione ad
effetto (sentenza).

Le consolationes
Si tratta di tre dialoghi che prendono la forma di consolazioni, che seppur già esistente nella letteratura latina
repubblicana (Cicerone, De Consolatione in onore della morte della figlia Tullia), sono le prime vere e proprie
consolazioni definite come tali. I temi più ricorrenti sono la fragilità dell’uomo e dell’esistenza, la necessità di
ottenere un distacco dalle vicende per diventare “saggi”, capaci di accettare il proprio destino e di superare
i suoi ostacoli.
- Consolatio ad Marciam, è indirizzata alla figlia dello storico Cremuzio Cordo, resa disperata dalla
moglie di un figlio. Cremuzio era stato giustiziato in quanto non oppositore di Bruto e Cassio, allora
Seneca immagina che il suo nipote sia adesso con lui nei campi elisi, e che sia tra le sue braccia mentre
questo gli spiega le orbite dei pianeti, le stelle e le costellazioni.
- Ad Helvetiam Matre, scritta per la sua stessa madre durante il periodo del proprio esilio, Seneca
afferma come si possa esiliare il corpo, ma non la mente, infatti si sente sempre vicino a sua madre,
anche se effettivamente si trova in esilio in Corsica.
- Ad Polybium, scritta per il favorito di Giulio Claudio, che aveva appena perso un fratello.
Sostanzialmente chiede a Claudio di porre fine al suo esilio e di permettergli di tornare a Roma.

La trilogia ad Anneo Sereno


Nel primo di questi tre dialoghi (De constatia sapientis ➔ la fermezza del saggio) Seneca parla della figura
del saggio stoico, che non si lascia condizionare dalla sorte, ma rimane attaccato a ciò che è giusto e onesto.
Successivamente (vent’anni più tardi) dedicherà altri due dialoghi sempre all’amico Anneo Sereno, quando
sarà in procinto di ritirarsi a vita privata: il primo (De otio ➔ la vita contemplativa) riguardo all’ozio visto
come forma di spazio che ogni saggio deve ritagliarsi per la ricerca della verità, risultando migliore anche per
gli altri di conseguenza; nel secondo invece (De tranquillitate animi ➔ la tranquillità dell’animo) riflette
sull’importanza di un equilibrio tra ritiro privato e attività pubblica.

- A novato: per il fratello scrive due dialoghi, il primo composto da tre libri, di cui il terzo finito in esilio,
chiamato De ira, in cui parla dell’utilità sociale e politica del saggio, ovvero di colui che è riuscito a
mettere un freno alle proprie passioni. Nel secondo invece, il De vita beata, Seneca afferma come la
vera felicità sia solo quella del saggio, ovvero di colui che è in grado di stare lontano dalle felicità
apparenti come ad esempio la ricchezza e il lusso.
- De providentia, scritto dopo il ritiro dalla politica attiva, è una sorta di continuazione del De
constantia sapientis dedicata a Lucilio. Pone la questione del come mai Dio lascia che delle avversità
capitino alle persone buone e oneste? La risposta è per metterle alla prova, ciascuna di esse deve
essere in grado di superarle attraverso l’esercizio della virtù.
- De brevitate vitae; in realtà il tema della brevità della vita è presente in tutte le opere di Seneca, e
questa riflessione culmina in questo dialogo, scritto appena tornato dall’esilio in onore di un certo
paolino, forse Pompeo Paolino. In quest’opera afferma come la vita non sia breve di epr sé, ma siamo
noi a renderla tale sprecando moltissimo tempo con cose futili. Infatti nella sua concezione è più
importante come viviamo, che per quanto tempo, cosa che per altro non dipende dalla nostra
volontà. Il saggio sa privilegiare il presente e mettere da parte il passato e il futuro, in modo da
riuscire a sfruttare al meglio il tempo in cui si sta vivendo.

I trattati
A causa della loro estensione molto maggiore a quella dei dialoghi non furono inclusi tra i trattati, si tratta
infatti di altre tre opere che vengono classificate come trattati filosofici:
- De clementia, scritto in onore di Nerone diciottenne (56 DC, una delle poche opere di cui abbiamo
una data certa), ci sono arrivati solo il primo libro e la prima parte del secondo, mancandoci la
conclusione di quest’ultimo e tutto il terzo libro. Seneca elogia la clemenza e la sapienza di cui Nerone
ha già dato prova nei suoi primi anni di regno e spera che questa sua condotta lo porti ad una piena
collaborazione con il senato, il che lo porterebbe ad essere un imperatore amato e ben voluto dal
popolo.
- De beneficis, composto di sette libri, quattro dei quali scritti prima del ritiro dalla vita politica di
Seneca, e altri tre dopo. Tratta dell’etica sociale e di come nella sua ideologia ci dovrebbe essere un
rapporto bilanciato ed equo tra patrono e sottomesso, il beneficio diventa collettivo e il “fare del
bene” diventa il fondamento della società.
- Naturales questiones, anche questa scritta in sette libri, Seneca dedica l’opera sempre a Lucilio.
Anche se il tema delle scienze naturali lo aveva interessato molto negli anni giovanili compone
quest’opera nei suoi ultimi anni di vita. Il tema centrale sono i fenomeni metereologici, come neve,
fiumi, pioggia, comete e terremoti, ma descritti con uno scopo, ovvero quello di liberare l’uomo dalla
paura degli stessi, spiegandone il funzionamento e i possibili metodi per utilizzarli a proprio
vantaggio. In tutta l’opera risalta la ricerca scientifica, dimostrandosi molto fiducioso in essa (un
giorno l’uomo conoscerà molte cose che oggi ignoriamo, cit).

Le lettere a Lucilio
Epistulae morales ad Lucilium. Quasi tutte composte nell’ultima parte della sua vita, si tratta di 124 lettere
raccolte in venti libri, anche se in realtà Aulo Gellio ne citerà un ventesimo, facendoci capire che parte di
questa raccolta sia andata distrutta. Il destinatario di queste lettere è Lucilio ed era un destinatario effettivo,
infatti le lettere furono davvero spedite, anche se non è da escludere una possibile rielaborazione prima della
pubblicazione. Inizialmente il tono è quello del maestro con un allievo (Lucilio è più giovane di Seneca), ma
con il tempo e i progressi di Lucilio, il tono e gli argomenti si fanno sempre più impegnativi, cosa che ci mostra
la crescente considerazione con cui Seneca vedeva Lucilio.
Le lettere trattano di tutti ti temi trattati nei dialoghi e li approfondisce, come la ricerca di una forza interiore,
la fugacità della vita, la difesa dai piaceri illusori, la preparazione ad un incontro finale con la morte.
Tema molto importante è anche il tempo, in rapporto ad anima e corpo. Poiché il tempo non è infinito per
ciascuno di noi, bisogna prestare molta più attenzione all’anima che al corpo, poiché di fronte alla morte
siamo tutti uguali, non ci sono distinzioni né tra ricchi e poveri né tra schiavi e padroni, il che riporta ad un
altro tema molto importante nella sua produzione, ovvero quella della parità tra gli uomini e della ricerca del
bene collettivo, poiché la nostra società è come una volta di pietre, ovvero cadrebbe se le pietre stesse non
si sostenessero a vicenda. L’anima è l’unica cosa che ci differenzia dagli animali e tra noi uomini, essendo il
corpo e i propri possedimenti di assolutamente secondario valore. L’unico modo per far si che l’anima si
riscatti e si elevi è attraverso la filosofia (ratio, ragione), che è in grado di farci raggiungere l’autosufficienza
(autarkeia), destandoci dal sonno profondo e facendo da arbitro tra il bene e il male. Ogni momento di vita
diventa pretesto per fare filosofia e cercare di raggiungere l’autosufficienza.

L’Apokolokyntosis
È un opera a sé stante (non raccolta in categorie come di dialoghi o le lettere), ispirato alla satira menippea,
ideato dal filosofo greco Menippo e introdotto nella cultura romana da Varrone. È un’opera scritta nel 54 DC
dopo la morte dell’imperatore Claudio per raccontare apertamente le sue crudeltà e descriverlo per quello
che era, ovvero un tiranno. Nella satira Menippea si alternano parti in prosa a parti in poesie, e al tono serio
quello satirico, cosa che invece Seneca non fa, in quanto il suo unico obiettivo è quello di infangare la
memoria dell’imperatore, avvicinandosi molto alla satira di Lucilio.
In quest’opera utilizza una scrittura leggera e facile, il che è incredibile data l’estrema complessità del genere.
Il titolo è una distorsione delle parole apothèosis (santificazione) e kolokynte (trasformato in una zucca), il
che rende Claudio “lo zuccone” in senso dispregiativo; infatti, quello stesso Claudio che era stato lodato anni
prima nella Conosolatio ad Polybium ora viene raffigurato come crudele, imbecille e balbuziente.
L’opera si apre con un narratore che dichiara di aver sentito l’intera vicenda da Livio Gemino, sovrintendente
alla via Appia: Mercurio aveva chiesto di fermare l’agonia di Claudio, al che era stato accontentato e Claudio
esalò l’ultimo respiro. Una volta andato in paradiso (mentre in terra si festeggia la sua morte) viene
fronteggiato da Ercole che lo crede un altro mostro contro cui esso dovesse compiere la sua tredicesima
fatica, ma poi riconosce in lui delle sembianze umane. Vi è poi un salto in avanti e si vedono gli dei in concilio
che stanno discutendo della possibile beatificazione di Claudio, cosa che forse sarebbe stata anche approvata
se non fosse intervenuto il suo predecessore Augusto, il quale lo descrive per quello che era, un tiranno. Da
candidato alla divinità Claudio diventa un imputato, così che viene mandato agli inferi per essere giustiziato,
dove però incontra un grandissimo numero di persone da lui fatte uccidere; viene accusato di aver ucciso 35
senatori, 221 cavalieri e moltissimi altri uomini, ed essendo stato un giudice scorretto in vita, non gli viene
concessa la possibilità di difendersi e viene direttamente condannato.
La sua condanna è giocare a dadi con un bossolo bucato, il che può avere due significati:
- La totale casualità della pena rispecchia come effettivamente Claudio giudicasse durante i processi
da lui presieduti, ovvero completamente a caso.
- Il gioco dei dadi era tipico delle feste carnevalesche dei saturnali, rendendo così l’immagine di Claudio
come quella del “imperatore della burla”.

Le tragedie
Con la sua firma ci sono giunte nove coturnate e una pretesta (entrambe tragedie latine, ma le prime hanno
argomenti greci mentre la seconda romani), anche se però quest’ultima è sicuramente falsa, in quanto
l’analisi stilistica e metrica non corrispondono alle sue opere certificate. Vi è un dubbio sull’autenticità anche
dell’Hercules Oetaeus. Delle sue tragedie non si conosce né l’ordine cronologico in cui sono state scritte né
la destinazione cui erano state pensate, se per il teatro o per la sola lettura privata.
Le sue tragedie sono caratterizzate da un sintassi relativamente semplice, come del resto la scrittura, e da un
elevata presenza di monologhi, infatti non vi sono tanti contrasti tra personaggi, ma piuttosto contrasti
interni ai personaggi stessi, i quali effettivamente spiegano le loro motivazioni proprio all’interno di questi
numerosissimi monologhi. Nelle sue tragedie Seneca approfondisce tutti i temi filosofici che vengono fuori
nelle lettere e nei dialoghi, per essere più precisi ci mostra come possa finire un’anima corrotta e cattiva
lasciata a sé stessa, come ad esempio quella di Medea o quella di Atreo. Non vi è tragedia senza orrori o
crimini sanguinari, senza corruzione degli animi da parte del male.
Agamemnon (Agamennone)
Dopo che Agamennone è tornato a casa a seguito della guerra di Troia, porta con sé Cassandra come
concubina, che ispirata da Apollo predice la morte sua e del re. Clitennestra, gelosa moglie del re, insieme al
complice Egisto uccide Agamennone e fa condannare a morte Cassandra, che all’ultimo predice la morte dei
due traditori; dei due figli di Agamennone, Oreste riesce a fuggire mentre Elettra viene imprigionata dalla sua
stessa madre.

Hercules furens (la pazzia di Ercole)


Mentre Ercole è impegnato negli inferi per compiere la sua dodicesima fatica, Lico usurpa il trono di Tebe e
cerca di convincere la moglie di Ercole a sposarlo, lei lo respinge e quando il marito torna dagli inferi con
Teseo uccide il traditore. Successivamente, per volere di Giunone, Ercole è colto da una furia omicida e uccide
moglie e figli; tornato in se vorrebbe suicidarsi, ma suo padre e Teseo lo trattengono.

Medea (Medea)
Si tratta della storia della maga che tradendo i suoi ha aiutato gli argonauti a rubare il vello d’oro e fuggire
dalla Colchide. La maga apprende che Giasone (di cui lei è innamorata) si sta per sposare con Creusa, figlia
del re di Corinto, Creonte, il che non le lascia altra scelta che l’esilio. Ottiene il permesso di restare un altro
giorno a Tebe e lo utilizza per dare fondo a tutte le sue arti magiche, invocando prima la morte di Creonte e
Creusa, uccidendo poi tutti i figli avuti da Giasone per poi fuggire su un carro volante trainato da draghi alati.

Oedipus (Edipo)
Mentre la peste miete vittime a Tebe, il re Edipo viene informato dall’oracolo di Apollo che il motivo è che
all’interno della città vi è qualcuno che si macchiato di parricidio. Allora viene evocata dall’indovino Tiresia
l’ombra di Laio, padre di Edipo, che dice che il parricida era Edipo stesso. Edipo capisce che il padre aveva
ragione, gli aveva usurpato il trono e poi sposato sua moglie (madre di Edipo). Dalla disperazione Edipo si
acceca e sua madre Giocasta si suicida.

Phaedra (Fedra)
Mentre Teseo si trova negli inferi nel tentativo di rapire Persefone, sua moglie Fedra inizia a nutrire una
malata passione per il figliastro Ippolito. Questa si dichiara ma viene rifiutata diverse volte, al che si vendica
dicendo a Teseo che il figlio le aveva usato violenze, non lasciando al marito altra scelta se non quella di
condannare a morte il figlio stesso. Presa dai sensi di colpa Fedra si uccide confessando tutto a Teseo.

Phoenissae (la fenice)


Si colloca cronologicamente come contemporaneo dell’opera Edipo, infatti vediamo come il re e sua figlia
Antigone siano diretti al monte Citerone dove il re vuole togliersi la vita. La figlia lo convince a desistere ma
non a tornare a Tebe con lui, dove i suoi fratelli (Eteocle e Polinice) stanno combattendo per il potere. Nella
seconda parte dell’opera vediamo come Giocasta, aiutata sempre da Antigone, riesce a scongiurare la guerra
ma non a riportare la pace tra i due fratelli.

Thyestes (Tieste)
L’ombra di Tantalo sale dagli inferi e istiga Atreo a vendicarsi di suo fratello Tieste, che gli ha rubato la moglie
e sottratti un oggetto sacro (ariete) cui è legato il suo potere. Atreo invita Tieste a Micene affermando di
volere la pace, ma quando arriva gli uccide i figli, per poi venire da lui maledetto una volta che Tieste lo
scopre, poiché preso dai sensi di colpa Atreo confessa le sue colpe al fratello.
Troades (le troiane)
Ecuba, vedova di Priamo, e le altre prigioniere troiane piangono la loro sorte, che si aggrava quando i greci
decidono di sacrificare agli dèi parte dei prigionieri per lasciarli partire da Troia; vengono scelti la figlia di
Priamo e quello di Ettore, Polissena e Astianatte; la prima viene immolata davanti alla madre sulla tomba di
Achille mentre il secondo viene scaraventato giù da una rupe nonostante le suppliche della madre
Andromaca.

Hercules oetaeus (Ercole sull’età)


Ercole invia alla moglie Deianira la giovane Iole, ma la moglie gelosa va arrivare al marito un drappo
avvelenato che consuma le carni dell’eroe, che sale sul monte Eta, dove si da fuoco davanti agli occhi della
madre dopo aver ordinato al figlio di sposare Iole. Ercole viene assunto in cielo successivamente dagli dèi.

Octavia (Ottavia)
Dopo che Nerone ha rifiutato Ottavia, sua sorellastra sposata per volere della madre Agrippina, e fissata la
data delle nozze con Poppea, il popolo che amava Ottavia cerca invano di farlo desistere. Ottavia viene
deportata per essere uccisa sull’isola di Pandataria e Agrippina predice la morte del figlio dell’imperatore.

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