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A NAPOLI
• A Firenze Leopardi stringe amicizia con Antonio Ranieri, insieme al quale nel 1833 si
trasferisce a Napoli, sperando che il clima mite possa giovare alla sua salute.
• Nel 1836, concepisce La ginestra, che può essere considerato il suo testamento poetico,
in cui il pessimismo ormai distaccato e ironico del poeta sembra aprirsi all'ideale della
solidarietà tra esseri umani. Leopardi muore il 14 giugno 1837
LO ZIBALDONE
Leopardi oltre ad opere propriamente letterarie scrisse testi, pubblici e privati, in cui
espone i principi della sua poetica e della sua visione del mondo e dell'uomo.
Queste opere permettono di ricostruire l'evoluzione del suo pensiero e della sua arte, nel
suo sviluppo diacronico e anche nelle sue apparenti contraddizioni.
La finalità morale
L'opera si propone lo scopo di mostrare agli uomini il «triste vero» della loro
condizione di inevitabile sofferenza, polemizzando nei confronti delle ottimistiche illusioni
proposte dalle teorie religiose e spiritualistiche dell'epoca.
Le tematiche
Al centro della riflessione affidata alle operette sono i grandi nodi tematici della
meditazione di Leopardi, della sua esplorazione della realtà universale e della
condizione umana, fondata sui presupposti filosofici del sensismo e del
meccanicismo.
Molti testi si collegano alla riflessione sull'infelicità umana e alla «teoria del piacere».
Altre operette insistono invece sulla satira contro l'antropocentrismo e sulla
corrosione dei falsi umanesimi. Una piena formulazione del materialismo leopardiano
trova poi compiuta espressione nel Dialogo della Natura e di un Islandese, espressione
matura del «pessimismo cosmico».
Dialogo della Natura e di un Islandese
→ Operette morali
Composto dal 21 al 30 maggio del 1824, e apparso nell'edizione del 1927, il Dialogo della
Natura e di un Islandese segna l'approdo di Leopardi alla fase del cosiddetto
«pessimismo cosmico», che influenzerà lo sviluppo successivo di tutta la sua produzione
letteraria. Abbandonata ogni speranza di felicità e spinto dal desiderio di ridurre al minimo la
propria sofferenza, un Islandese si allontana dalla società umana e, dopo lunghe
peregrinazioni, nei pressi dell'equatore si imbatte nella Natura, personificata in una
inquietante figura femminile. Dopo aver ascoltato il racconto delle vicissitudini dell'uomo e le
sue accuse appassionate, essa con tono freddo e distaccato risponde, e le sue parole
suonano terribili.
Leopardi e la Natura
Dopo una breve sequenza narrativa che inquadra l'incontro tra l'Islandese e la Natura, la
prima parte dell'operetta è occupata da un lungo monologo dell'Islandese (portavoce delle
teorie di Leopardi e simbolo dell'intero genere umano) che ricorda le tappe della propria
vana ricerca di un'esistenza libera dal dolore e si conclude con una violenta accusa
contro la Natura, ritenuta «nemica scoperta degli uomini» e causa prima dei loro mali.
Nella seconda parte, attraverso un'ampia similitudine l'Islandese sostiene che, dal
momento che la Natura ha dato la vita agli uomini, dovrebbe garantire loro un'esistenza
serena. Ma la Natura afferma la propria indifferenza alle sorti dell'uomo che, come le altre
creature, è parte di «un perpetuo circuito di produzione e distruzione» in cui la
sofferenza è necessaria alla conservazione del mondo.
Le domande finali dell'Islandese sul senso della vita umana restano senza risposta, e
nell'epilogo l'autore ipotizza con enigmatica ironia l'incerta sorte finale del personaggio.
Nella prima parte don Abbondio, curato di un paese nella zona di Lecco, viene minacciato
perché non celebri il matrimonio fra Renzo, un filatore di seta, e Lucia, una contadina, dagli
sgherri (i «bravi») di don Rodrigo, il signorotto locale, che si è incapricciato della ragazza.
Fallito il tentativo di padre Cristoforo, frate cappuccino e confessore di Lucia, di far recedere
don Rodrigo dal suo proposito, i due giovani, insieme alla madre di lei, Agnese, tentano un
matrimonio a sorpresa in casa del curato. Il tentativo fallisce, così come il tentativo di
rapimento di Lucia da parte dei bravi del prepotente signore.
Renzo, Lucia e Agnese, con l'aiuto di padre Cristoforo, fuggono a Monza.
Renzo si reca a Milano, dove dovrebbe trovare aiuto in un convento di francescani; Lucia e
Agnese vengono accolte nel convento monzese di Gertrude, monaca di illustre famiglia e di
grande potere; la storia di costei, della sua monacazione forzata e della sua corruzione da
parte di Egidio, concludono la sequenza.
Nella seconda parte sono narrate le avventure milanesi di Renzo che, coinvolto nei tumulti
popolari per il prezzo del pane, rincarato a causa della carestia, viene arrestato, ma riesce a
fuggire con l'aiuto della folla e trova rifugio in un paese vicino a Bergamo, presso suo cugino
Bortolo, anch'egli lavoratore della seta. Agnese, tornata al paese, apprende che padre
Cristoforo, per le pressioni del conte Attilio, cugino di don Rodrigo, è stato trasferito a Rimini.
Intanto don Rodrigo, scoperto il rifugio di Lucia, chiede aiuto a un potente signore della
zona, l'innominato, che gli promette di rapire la giovane e di consegnargliela.
Nella quarta parte, dopo le notizie sulla carestia e sulla guerra, il racconto prosegue con la
fuga di Agnese, don Abbondio e
Perpetua, che si rifugiano nel castello dell'innominato per evitare le violenze dell'esercito dei
lanzichenecchi e, al ritorno, trovano le loro case devastate.
La lunga digressione sulla peste portata dagli eserciti stranieri precede la ripresa della
narrazione che segue Renzo, guarito dalla peste, mentre torna a Milano per cercarvi Lucia;
la ritrova convalescente nel lazzaretto, dove giace morente anche don Rodrigo e dove padre
Cristoforo, rientrato a Milano, assiste gli appestati, sebbene stremato anch'egli dalla
malattia, di cui morirà poco tempo dopo. Compiutasi la riunificazione dei due giovani e dopo
che il frate ha sciolto Lucia dal suo voto, Renzo, sotto un diluvio purificatore che annuncia la
fine dell'epidemia, precede Lucia al paese per preparare il matrimonio che, caduto ogni
ostacolo, sarà celebrato nel novembre del 1630 dallo stesso don Abbondio.
La famigliola infine si trasferirà nel Bergamasco, dove, in società con il cugino, Renzo
diventerà un piccolo imprenditore tessile e condurrà una vita tranquilla, allietata dalla nascita
di numerosi figliuoli e dal ricordo degli scampati pericoli. Il romanzo si conclude con la
morale di tutta la storia, secondo la quale i «guai» sono inevitabili, ma «la fiducia in Dio li
raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore».
Tecniche narrative
Dal punto di vista delle tecniche narrative, Manzoni crea in questo modo due narratori: il
primo (che potremmo chiamare narratore seicentesco) coincide con l'Anonimo, il
secondo (narratore ottocentesco) si avvicina all'autore.
Il Ciclo dei Vinti di Giovanni Verga comprende una serie di romanzi in cui lo scrittore siciliano
si proponeva di dimostrare che la vita è dramma e sofferenza per tutti, senza distinzione di
grado sociale o di benessere economico. Il ciclo, intitolato I vinti, però, non fu mai portato a
termine.
Il nome del ciclo immaginato da Verga all’inizio è Marea: il titolo alludeva all’«onda
immensa» del progresso che travolge tutti i ceti sociali, da quelli più umili a quelli più elevati.
Il primo, I Malavoglia (1881), narra la storia di un’umile famiglia di pescatori siciliani, ridotta
in rovina in seguito al naufragio di una barca (la “Provvidenza”) carica di lupini, nella quale il
capofamiglia, padron ‘Ntoni, ha investito tutto il suo denaro.
Il secondo, Mastro don Gesualdo (1889), analizza l’esistenza di un manovale, che riesce a
migliorare le proprie condizioni economiche ma non quelle sociali e si trova infine privato
degli affetti familiari e muore in solitudine.
Dopo la presentazione dei vari membri della famiglia Malavoglia, il romanzo ha inizio con la
partenza del giovane 'Ntoni per il servizio militare. Questo evento dà avvio alla narrazione, in
quanto rappresenta simbolicamente l'inizio della disgregazione del nucleo familiare dei
Malavoglia.
Fedele al principio della regressione, Verga immerge fin dall'inizio il lettore all'interno
dell'ambiente rappresentato, senza alcun tipo di mediazione. La voce di un narratore
popolare anonimo - che rispecchia nella mentalità e nelle scelte espressive gli abitanti di Aci
Trezza - presenta i protagonisti del romanzo così come sono noti da sempre alla gente del
paese: una famiglia unita, modesta ma laboriosa, guidata da padron 'Ntoni.
Intorno a loro si muove il 'coro' del paese, con i suoi personaggi per lo più gretti e ostili.
Dopo l'inizio del romanzo, in cui Andrea Sperelli rievoca la relazione con Elena Muti e il
successivo distacco, il secondo capitolo presenta il protagonista e descrive la sua
educazione. Andrea Sperelli incarna la figura dell'esteta decadente, «tutto impregnato di
arte» e dedito al culto della bellezza, libero da ogni preoccupazione di natura morale.
L'educazione di un dandy
Il brano descrive sommariamente l'educazione di Andrea Sperelli, protagonista del
romanzo. Unico erede di una prestigiosa famiglia, Sperelli viene presentato come
«campione» di una dinastia di artisti e letterati lla «razza intellettuale»).
Nello sviluppo della sua personalità, fondamentale è il ruolo del padre, che lo porta con sé
sa famiglia, Sperelli viene presentato in giro per l'Europa e fa in modo che la sua formazione
sia il risultato di nozioni teoriche ed esperienze pratiche.
Grazie a una eccezionale sensibilità e a una grande curiosità intellettuale, il ragazzo si
mostra aperto a tutte le forme di conoscenza, ma il cinismo del padre trascura volutamente
le implicazioni etiche legate alla sua crescita.
Libero da preoccupazioni morali, Andrea si abitua così a una vita di menzogne che, nel
prosieguo del romanzo, lo porterà al fallimento.
La preziosità stilistica
La raffinatezza del protagonista trova un preciso corrispettivo nella preziosità dello stile,
elevato e letterario nella sintassi e nel lessico. Come in tutta la prosa dannunziana, è
frequente il ricorso a termini rari e ricercati, che spesso utilizzano i significati etimologici
delle parole per conferire al testo una patina arcaizzante.
l'attesa dell'amante
La pioggia nel pineto
Alcyone