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ROMANTICISMO

Nel 600’ il Romanticismo aveva un'espressione fiabesca, nel 700’ invece era espressione
dell’irrazionale; è l’800’ però il secolo del Romanticismo per eccellenza.
Il periodo storico del diciannovesimo secolo porta l’uomo a vivere un senso di vuoto, di
inquietudine; la vita viene concepita come drammatica tensione, struggimento, desiderio non
ben definito, irraggiungibile.
Rispetto a questo grande evento storico si creano due reazioni diverse →
❖ Il PRIMO ROMANTICISMO va dal 1800 fino alle guerre d’indipendenza. Questa
generazione si caratterizza per le sue TEMATICHE CIVILI, PATRIOTTICHE,
RISORGIMENTALI. L’intellettuale segue una tendenza realistico-oggettiva: egli cerca i
suoi modelli di riferimento nella realtà in cui vive, vuole trovare senso nella storia stessa
e rappresentare il reale calato nel suo tempo; solo così trova senso nella drammaticità
che tanto lo inquieta. Viene presentata una realtà oggettiva, in cui a prevalere è la
razionalità, e viene esaltata l’idea di nazione. Gli scrittori di questa generazione trovano
la massima espressione nel romanzo. Il massimo esponente è Alessandro Manzoni.
❖ Nel SECONDO ROMANTICISMO tutti quegli ideali civili patriottici che avevano
dominato la scena nel primo romanticismo entrano in crisi: si vive una realtà gretta, fatta
di interessi consumistici, e in una società caratterizzata dalla superficialità; c’è una
delusione storica rispetto alle aspettative che l’uomo aveva riversato nella ragione,
quindi aspira a NUOVI IDEALI. Si predilige una tendenza individualistico-fantastica, in
cui l’intellettuale fugge da tutto ciò che è ordinato e si dirige verso il mondo della
fantasia, dell’IMMAGINAZIONE, del SENTIMENTO, dell'IRRAZIONALE, per crearsi una
sorta di mondo ideale e vivere una vita felice ed autentica: il sentimento viene espresso
come passione, libertà assoluta e ribellione a tutte quelle che sono le convenzioni.
C’è una tendenza verso l’ESTENUANTE, lo STUCCHEVOLE, il MALINCONICO, e vive
continuamente quel perenne desiderio di raggiungere l’infinito.
L’intellettuale si rifugia nell’arte, nella natura, in epoche lontane, in luoghi esotici, nella
Grecia antica o nel Medioevo (tendenza al titanismo).
Nella NATURA ROMANTICA vediamo quindi il riflesso della vita interiore dell’uomo: la
natura romantica, a differenza dei secoli precedenti quando era del tutto idealizzata,
viene presentata cupa, minacciosa, misteriosa poiché in questo modo il poeta riesce a
proiettare tutti i suoi stati d’animo e la malinconia del tempo. Nelle opere predominano
infatti i notturni, paesaggi crepuscolari, luoghi malinconici, autunnali, primitivi, boschi. I
luoghi civilizzati non ci sono, il poeta favorisce luoghi selvaggi: essi rappresentano una
natura che permette di esprimere meglio la libertà assoluta che cerca lo scrittore.
Allo stesso tempo con la natura vengono rappresentati anche tutti gli aspetti
contraddittori → in questo periodo storico l’uomo vive un DUPLICE ATTEGGIAMENTO
DELL’ANIMO: da una parte si ha il vittimismo, la continua inquietudine, lo struggimento
interiore, e dall’altra si ha uno slancio vitalistico, il sentimento di esaltazione e felicità;
per dar voce invece allo stato d’animo di esaltazione vengono utilizzati paesaggi più
rasserenanti come i tramonti, le albe, le distese verdeggianti, oppure le notti illuminate
dalla luna.
Il poeta cerca la libertà anche nello scrivere; secondo lui non ci devono essere schemi
pre-istituiti nella poesia, ma è fondamentale l’uso di una PAROLA SCIOLTA, libera (c’è
un forte rifiuto della poetica classica).
L’eroe romantico individua il SUICIDIO come l’unico mezzo che possa permettere
all’uomo di fuggire dalla mediocrità dell’esistenza che si vive, di fuggire dal dolore e di
liberarsi dalle sofferenze, e di ricongiungersi con l’assoluto.
L’eroe romantico tende a racchiudere tutto il sentimento in una passione profonda ed
arriva alla fine a sfuggire al controllo della ragione e quindi l’AMORE è visto come una
sorta di potenza, spirito vitale. L’amore romantico NON ha un esito felice poiché è
sempre travagliato dal mondo circostante. E’ Eros e Thanatos, amore e morte.
Nel secondo romanticismo l’intellettuale trova la massima espressione nella poesia, in
quanto essa risulta essere il mezzo espressivo per eccellenza per comunicare
l'interiorità. Il poeta viene considerato POETA VATE, un profeta, ovvero una persona
con una sensibilità talmente acuta da riuscire a cogliere la verità che c’è dietro le cose.
Soltanto un’artista può assumere tale atteggiamento; l’arte diventa quindi una delle
esperienze privilegiate che permettono di entrare in contatto con la dimensione
dell’essere più profonda. Il massimo esponente del secondo romanticismo è Leopardi.

GIACOMO LEOPARDI (1798-1837)


Giacomo Leopardi nasce a Recanati da una famiglia della nobiltà terriera; cresce in un
ambiente rigido, autoritario, bigotto e conservatore. Ha una formazione classica (studia
latino, greco ed ebraico), conduce lavori filologici e scrive numerose opere poetiche.
Questi anni di studi, chiuso nella biblioteca del padre, lo portano a sviluppare problemi di
salute ( anni ricordati come “i sette anni di studio matto e disperatissimo”).
La MALATTIA è strumento di conoscenza → lui prende consapevolezza dell’infelicità e della
sofferenza dell’uomo, ma non assume un atteggiamento rinunciatario, accetta l’infelicità.
Si verifica poi quella che Leopardi stesso chiama la sua CONVERSIONE LETTERARIA:
abbandona gli interessi filologici e si entusiasma per i grandi poeti (Omero, Virgilio, Dante),
comincia a leggere gli scrittori moderni come Rousseau, Goethe, Foscolo e viene a contatto
con la cultura romantica. Comincia ad avvertire il bisogno di fuggire dall'atmosfera chiusa di
Recanati e di venire a contatto con esperienze intellettuali e sociali più vive del momento
(tendenza verso l’infinito).
Tenta una prima fuga, ma si rivela fallimentare e il senso di frustrazione causato da questo
fallimento, sommato ai problemi di salute, lo portano a uno stato di totale depressione.
Raggiunge così la PERCEZIONE DELLA NULLITA’ DELLE COSE, che diviene il nucleo del
suo pessimismo. Questa crisi segna il passaggio dal bello al vero ed è seguita da un periodo
di intense sperimentazioni letterarie.
Si reca poi finalmente a Roma, ma la fuga da Recanati si rivela una delusione, così torna a
Recanati un anno dopo e scrive le “Operette morali” che sono espressione del suo pensiero
filosofico. Negli anni a seguire soggiorna in diverse città italiane, tra cui Napoli dove muore.

IL PENSIERO (LO ZIBALDONE)


Tutta l'opera leopardiana si sviluppa nello ZIBALDONE → si tratta di una sorta di diario
intellettuale in cui il poeta annota pensieri, appunti, ricordi, osservazioni, conversazioni e
riflessioni che lui fa sulla sua vita e a proposito delle sue letture e conoscenze di filosofia, di
letteratura, di politica, su l'uomo, su le nazioni e su l'universo. I pensieri sono molto brevi.
La parola zibaldone significa "mescolanza confusa di cose diverse" ed è usata da Leopardi
in riferimento alla varietà degli argomenti, trattati senza un criterio organizzativo, annotati
giorno per giorno man mano che si affacciano alla sua mente.
Quest’opera permette di ricostruire l’evoluzione del PENSIERO LEOPARDIANO.
LA TEORIA DEL PIACERE ( dallo Zibaldone)
Al centro della sua riflessione egli pone un MOTIVO PESSIMISTICO: l'infelicità dell'uomo.
Egli identifica la felicità con il piacere, sensibile e materiale. Ma l'uomo non desidera un
piacere, bensì IL PIACERE: l’uomo aspira a un piacere che sia infinito, per estensione e per
durata. Ma man mano il piacere perde l’intensità. ESEMPIO → io immagino che avere un
cavallo mi procuri un piacere infinito; quando però il desiderio si concretizza, mi accorgo che
il piacere che ne deriva è inferiore a quello che avevo immaginato. Abituandosi all'idea di
possederlo, me ne stanco presto (l’infinito diventa finito). Quindi, il vero piacere si vive
nell’attesa di un bene prossimo a venire (ciò ricorda “il sabato del villaggio“ dove tutti si
preparano a vivere la festa). Pertanto, siccome nessun piacere goduto dall'uomo può
soddisfare questa esigenza, nasce in lui un senso di insoddisfazione perpetua. Secondo
Leopardi, ciò genera l'infelicità dell'uomo (il senso della nullità di tutte le cose).
Per Leopardi l'uomo è necessariamente infelice. La natura (in questa prima fase concepita
da Leopardi come MADRE BENIGNA e attenta al bene delle sue creature) offre all'uomo
come rimedio l'IMMAGINAZIONE e le ILLUSIONI che sono consolatorie, grazie alle quali
nasconde agli occhi dell’uomo le sue effettive condizioni. L’IMMAGINAZIONE permette di
abbandonare la realtà finita e andare verso l’INFINITO. Quindi, il compito che il poeta si
pone è di SUSCITARE IL PIACERE DELL’IMMAGINAZIONE.
Per questo gli uomini primitivi e gli antichi Greci e Romani, che erano più vicini alla natura, e
quindi capaci di illudersi e di immaginare, erano felici, perché ignoravano la loro reale
infelicità. Il PROGRESSO DELLA CIVILTÀ, opera della ragione, ha poi allontanato l'uomo da
quella condizione privilegiata: facendo scomparire le illusioni, ha messo crudamente davanti
gli occhi dell’uomo il «vero» e lo ha reso infelice; ha reso i moderni incapaci di azioni
eroiche, ha generato grettezza, egoismo e corruzione dei costumi. Leopardi attribuisce
dunque la colpa dell'infelicità presente all'uomo stesso, che si è allontanato dalla via
tracciata dalla natura benigna (l'Italia era decaduta dalla grandezza del passato).
La prima fase del pensiero leopardiano è tutta costruita sull'ANTITESI TRA NATURA E
RAGIONE, tra antichi e moderni. Questa fase del pensiero leopardiano è stata designata
con la formula “pessimismo storico”, poiché la condizione negativa del presente viene vista
come EFFETTO DI UN PROCESSO STORICO, di una decadenza e di un allontanamento
progressivo da una condizione di felicità e pienezza vitale. Scaturisce di qui la tematica civile
e patriottica che caratterizza le prime canzoni leopardiane e ne deriva anche un
atteggiamento titanico del poeta.
Questa concezione di una natura benigna e provvidenziale entra però ben presto in crisi.
Leopardi si rende conto che, più che al bene dei singoli individui, la natura mira alla
conservazione della specie, e per questo fine può sacrificare il bene del singolo e generare
sofferenza. Ne deduce che il MALE non è un semplice accidente, ma rientra nel piano
stesso della natura. Si rende conto inoltre del fatto che è la natura che ha messo nell'uomo
quel desiderio di felicità infinita, senza dargli i mezzi per soddisfarlo.
Il poeta arriva ad una soluzione definitiva rovesciando completamente la sua concezione
della natura (come emerge dalla lettura del Dialogo della Natura e di un Islandese).
In questa nuova prospettiva la natura viene vista come meccanismo cieco, indifferente e
crudele. È una concezione NON più finalistica (la natura che opera consapevolmente per un
fine, il bene delle sue creature) ma meccanicistica e materialistica (tutta la realtà non è che
materia regolata da leggi meccaniche). La causa dell'infelicità non è più dell'uomo stesso,
ma solo della natura. L'UOMO NON E’ CHE VITTIMA INNOCENTE DELLA NATURA.
A sua volta muta anche il SENSO DELL'INFELICITÀ UMANA: se prima era concepita come
assenza di piacere, ora l'infelicità è dovuta ai mali esterni, a cui nessuno può sfuggire:
malattie, elementi atmosferici, vecchiaia, morte.
Al pessimismo storico della prima fase subentra così un PESSIMISMO COSMICO:
L'INFELICITÀ non è più legata ad una condizione storica e relativa dell'uomo, ma è legata
ad una CONDIZIONE ASSOLUTA, diviene un dato eterno e immutabile di natura. Tutti gli
uomini sono dunque sempre necessariamente infelici.
Il suo è un PESSIMISMO RADICALE: tutto è male, la vita è solo dolore, tutto è nulla.
Ne deriva, in un primo momento, l'abbandono della poesia civile e del titanismo: se l'infelicità
è data dalla natura, la protesta e la lotta sono inutili e non resta che CONTEMPLAZIONE
DELLA VERITÀ. Subentra infatti in Leopardi un atteggiamento contemplativo, ironico e
distaccato. SUO IDEALE non è più l'eroe antico, ma il SAGGIO ANTICO, la cui caratteristica
è l'atarassia, il distacco dalla vita. È l'atteggiamento che caratterizza le Operette morali.
In momenti successivi torna l'atteggiamento di protesta, di sfida alla natura, di lotta titanica.
Sinché al termine della vita, nella Ginestra, sulla base della concezione pessimistica della
natura, Leopardi arriva a proporre un modello positivo di vita sociale e di progresso.

LA POETICA DEL « VAGO E INDEFINITO»


La «teoria del piacere» rappresenta anche il punto d'avvio della sua poetica. Dopo aver
affermato che nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, il poeta si rifugia
nell'immaginazione, la quale è in contrapposizione con la ragione e i limiti.
Ciò che stimola l'immaginazione è tutto ciò che è "vago e indefinito», lontano ed ignoto.
Nello Zibaldone Leopardi va ad evidenziare tutti gli aspetti della realtà sensibile che, per il
loro carattere indefinito, possiedono una forza suggestiva. Si viene a costruire una vera e
propria "teoria della visione": è piacevole la vista impedita da un ostacolo, una siepe, un
albero, una torre, una finestra. Contemporaneamente anche una "teoria del suono".
Leopardi elenca tutta una serie di suoni suggestivi perché vaghi: un canto che vada a poco a
poco allontanandosi o lo stormire del vento tra le fronde.
Per Leopardi, il BELLO POETICO consiste proprio in tutto ciò che è vago e indefinito, e si
manifesta essenzialmente in immagini del tipo di quelle elencate nella teoria della visione e
del suono. Sono poetiche le immagini, le situazioni, le parole che comunicano impressione
di lontananza, indeterminatezza, ma anche quelle che si allontanano dall’uso quotidiano. Un
esempio sono le parole arcaiche, peregrine, come ermo, donzelletta, ostello. Altre parole
intensamente poetiche sono ad esempio lontano, antico, ambientazioni notturne (la luna),
eterno, ricordo, memoria, rimembranza.
Queste parole, preziose e raffinate, sono però inserite all’interno di un linguaggio familiare.
Inoltre, la parola deve essere libera di spaziare senza dover rispettare delle norme precise e
leggi metriche precostituite.
Leopardi aggiunge poi una CONSIDERAZIONE IMPORTANTE: queste immagini sono
suggestive perché evocano sensazioni che ci hanno affascinati da fanciulli. IL RICORDO
diviene essenziale al sentimento poetico.
La poetica dell'indefinito e la poetica della «rimembranza» si fondono: la poesia non è che il
recupero dell’immaginazione dell’infanzia attraverso la memoria.
In effetti, Leopardi osserva che i maestri della poesia vaga e indefinita erano gli antichi: essi
erano immaginosi come fanciulli, mentre i moderni, per Leopardi, hanno perduto questa
capacità immaginosa e fanciullesca.
IL CLASSICISMO ROMANTICO E L’INFLUENZA ILLUMINISTA
La formazione letteraria di Leopardi fu rigorosamente classicistica e per questo nella
polemica tra classicisti e romantici prese posizione contro le tesi romantiche.
Le posizioni di Leopardi sono però molto originali rispetto a quelle dei classicisti →
Per Leopardi la poesia è soprattutto espressione di una spontaneità originaria, di un mondo
interiore immaginoso e fantastico; per questo egli si affianca ai romantici italiani nella loro
critica al classicismo accademico, al principio di imitazione, alle regole rigidamente imposte
dai generi letterari. Però rimprovera agli scrittori romantici l'artificiosità retorica, nella ricerca
dello strano, dell'orrido. Egli ritiene che gli autori antichi siano un esempio mirabile di poesia
fresca, spontanea, immaginosa. Leopardi ripropone dunque i classici come modelli, ma con
uno spirito romantico. Dai romantici riprende inoltre la tensione verso l’infinito, il titanismo,
l’enfasi sul sentimento, il conflitto illusione-realtà, l’amore per il vago e l’indefinito.
Si può parlare quindi di CLASSICISMO ROMANTICO.
In Leopardi possiamo riscontrare una TENDENZA ILLUMINISTA: è influenzato dal sensismo
(crede che la felicità si identifichi con il piacere sensibile e materiale), e dal materialismo
(crede che la realtà sia regolata da leggi meccaniche ed oggettive).

I CANTI
I Canti sono una raccolta di tutte le poesie, insieme ad alcuni lavori giovanili e ad altri testi
scritti. Il TITOLO “Canti” rimanda al carattere lirico di queste poesie e al tempo stesso indica
con un unico termine generi poetici diversi, alcuni ripresi dalla tradizione, come canzoni,
elegie, epistole in versi, altri invece caratterizzati da una forma più libera e originale nella
struttura metrica che non risponde ai codici prestabiliti. Sono chiamati “Canti“ anche per dare
importanza al canto, alla musica. La MUSICA agisce sull’immaginazione, sull’animo umano
attraverso il SUONO, un elemento primitivo, primordiale e naturale (Leopardi dedica 72
pensieri alla MUSICA nello Zibaldone).
I Canti rappresentano l’iter poetico, filosofico ed esistenziale dell’autore.
Sono suddivisi in: LE CANZONI, GLI IDILLI, I GRANDI IDILLI, IL CICLO DI ASPASIA e LA
GINESTRA.

LE CANZONI (da I Canti)


Le Canzoni sono componimenti di impianto classicistico, che riproducono lo schema metrico
e il linguaggio della tradizione.
Le prime cinque affrontano la TEMATICA CIVILE e in esse ritroviamo il PESSIMISMO
STORICO che caratterizza la visione leopardiana in questo periodo; sono canzoni
fortemente polemiche nei confronti dell'età presente incapace di azioni eroiche; a questa
polemica si contrappone un'esaltazione delle età antiche.
Nelle canzoni a seguire si delinea l'idea di un'umanità infelice per una condizione assoluta
(pessimismo cosmico), in un primo momento individuata negli dei e nel fato, e in un secondo
momento individuata in una natura maligna.

GLI IDILLI (da “I Canti”)


Gli Idilli sono sei componimenti con un carattere differente dalle Canzoni → con gli idilli,
Leopardi riprende un genere poetico tradizionale per reinterpretarlo in modo originale. La
parola idillio deriva dal greco e significa “bozzetto”; nella letteratura greca e latina, il termine
indicava un componimento breve paesaggistico, ambientato in un mondo pastorale
idealizzato.
Gli idilli di Leopardi mantengono la brevità, ma sono anche espressione di sentimenti e stati
d’animo; sono quindi scritti di carattere più intimo, nei quali L’AUTORE PROIETTA IL SUO
STATO D’ANIMO SU UNO SFONDO PAESAGGISTICO. Questa nuova tipologia di idillio
prende il nome di “idillio leopardiano”.
In questi componimenti, tutti in endecasillabi sciolti, Leopardi sperimenta anche un originale
linguaggio poetico, tutto giocato sul «vago e indefinito» e su una musicalità segreta ed
essenziale. Fanno parte degli Idilli “L’Infinito” e “Alla luna”.

IL "RISORGIMENTO" E I GRANDI IDILLI


Chiusa la stagione delle Canzoni e degli Idilli, comincia per Leopardi un silenzio poetico;
l'autore sprofonda in uno stato d'animo di aridità e di gelo; non scrive più poesia, ma si
dedica soltanto alla filosofia. Il frutto letterario più rilevante di questo periodo fu la prosa
filosofica, che raggiunse il risultato più elevato nelle Operette morali. E’ anche la fase che
corrisponde al passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico.
In seguito Leopardi trascorre un periodo felice a Pisa. Si verifica in lui una svolta
fondamentale umana e poetica: il lungo periodo di silenzio poetico si conclude e il poeta
assiste a un "risorgimento delle sue facoltà giovanili di sentire, commuoversi e immaginare".
Scrive, infatti, un componimento in ottonari, "Il risorgimento", che esprime questa sua
rinascita. Pochi giorni dopo nasce “A Silvia”, la prima canzone libera leopardiana.
Tornato a Recanati, il felice momento creativo di Leopardi non si interrompe e compone dei
componimenti noti come CANTI PISANO-RECANATESI, ma vengono tradizionalmente
indicati anche con la formula di GRANDI IDILLI poiché riprendono temi (in chiave più
universale), atteggiamenti, linguaggio degli Idilli.
Questi componimenti però non sono la semplice ripresa della poesia di dieci anni prima,
poiché si fondano su un pessimismo assoluto. I Grandi Idilli sono percorsi da immagini liete,
ma non sono mai separate dalla consapevolezza del vero, del dolore, del vuoto
dell'esistenza, della morte.
Un'altra fondamentale differenza tra i "Grandi Idilli" e gli idilli è l'assenza del titanismo.
Anche il linguaggio è diverso da quello dei primi idilli: il linguaggio è più misurato, sia quando
viene evocata la giovinezza e l'illusione, sia nel senso della disperazione quando viene
evocato il vero.
Anche la struttura metrica cambia → il poeta non usa più l'endecasillabo sciolto, ma usa una
strofa di endecasillabi e settenari che si succedono liberamente, senza alcuno schema fisso,
con un gioco libero di rime, assonanze, cesure all'interno del verso, enjambements. È quella
che viene comunemente denominata CANZONE LIBERA LEOPARDIANA.

CICLO DI ASPASIA (l'ultima stagione leopardiana)


Questo ciclo, composto da 5 componimenti, presenta una CONCEZIONE PESSIMISTICA e
polemica contro l’ottimismo progressista che esclude ogni miglioramento della condizione
umana: si ha un contatto diretto con le persone, le idee e i problemi del tempo.
La poesia è nuda e severa; viene utilizzato un linguaggio aspro, anti musicale con sintassi
complessa e spezzata.

LA GINESTRA
La Ginestra rappresenta il testamento spirituale e poetico di Leopardi: nel componimento
compare ancora il suo pessimismo, ma l’autore non nega la possibilità di un progresso civile;
crede che la consapevolezza della condizione umana può indurre gli uomini ad unirsi in
modo fraterno e solidale, e questo legame può far cessare le ingiustizie della società.
LETTERE E SCRITTI AUTOBIOGRAFICI
Leopardi scrisse molte lettere; tra le più significative vanno considerate quelle a Pietro
Giordani, un intellettuale di grande prestigio e figura fondamentale per l’autore.
Il giovanissimo Leopardi, che soffriva dell'isolamento a Recanati, all'interno di una società
che gli appariva gretta e ottusa e in una famiglia in cui mancava calore e affetto, trovò in
Giordani un sostituto della figura paterna, un confidente a cui confessare i propri tormenti
interiori, ma anche le proprie idee letterarie e i propri progetti, ricevendone consigli e
incoraggiamenti che lo aiutarono a sopportare la solitudine e la malinconia.
Un elevato numero di lettere è indirizzato ai familiari. In particolare, le lettere al padre
rivelano una difficoltà di rapporto: il padre di Leopardi era, infatti, lontano ideologicamente e
culturalmente dal figlio. Da queste lettere traspare il bisogno di affetto e di calore umano, ma
anche l'irreparabile distanza.
L’INFINITO (1819)
dai Canti, gli Idilli
L'infinito anticipa in forma poetica la teoria del piacere, da cui si sviluppa la poetica del vago
e indefinito. Le pagine dello Zibaldone sono indispensabili a chiarire il senso di questa
poesia. Leopardi sostiene che particolari sensazioni visive o uditive, per il loro carattere vago
e indefinito, inducono l'uomo a crearsi con l'immaginazione quell'infinito a cui aspira, e che è
irraggiungibile perché la realtà non offre che piaceri finiti e perciò deludenti.
L'infinito è la rappresentazione di uno di quei momenti privilegiati, in cui grazie
all'immaginazione l’uomo fugge dal reale e si immerge nell'infinito.
L’idillio inizia con l’io lirica su un colle, il monte Tabor.
La poesia si articola in due momenti, corrispondenti a DUE DISTINTE SENSAZIONI →
➢ nel primo momento, l'avvio è dato da una SENSAZIONE VISIVA, dall'impossibilità della
visione: LA SIEPE (simbolo del reale) impedendo allo sguardo del poeta di spingersi
fino all'estremo orizzonte. L'impedimento della vista, che esclude il reale, fa subentrare il
fantastico → il pensiero si costruisce l'idea di un infinito spaziale.
➢ nel secondo momento, l'immaginazione prende l'avvio da una SENSAZIONE UDITIVA:
LO STORMIRE DEL VENTO TRA LE PIANTE. La voce del vento viene paragonata
all'infinito silenzio creato dall'immaginazione, e suscita l'idea del perdersi delle fugaci,
effimere cose umane nel silenzio dell'oblio. Viene così in mente al poeta l'idea di un
infinito temporale (l'eterno), in contrasto con le epoche passate e ormai svanite e con
l'età presente, col suo carattere ugualmente effimero, destinato anch'esso a svanire
presto nel nulla.
Tra i due momenti vi è anche un PASSAGGIO PSICOLOGICO: l'io lirico prova inizialmente
come un senso di turbamento (sottolineato dalla presenza di vocali cupe come O e U) verso
l’infinito; ma nel secondo momento l'io si «annega» nell'immensità dell'infinito immaginato,
sino a perdere la sua identità; e questa sensazione di "naufragio" dell'io è «dolce». Lo
spegnersi della coscienza individuale dà quindi una sensazione di piacere, garantisce una
forma di felicità.
Il componimento si fonda su precise simmetrie: i due momenti occupano ciascuno sette
versi e mezzo. Il passaggio tra i due momenti avviene al verso 8, che è diviso in due da una
forte pausa al centro, segnata dal punto fermo, che serve a distinguere i due momenti.
Il cor non si spaura. // E come il vento.
Però vi sono anche chiari elementi che sottolineano la continuità fra i due momenti, che
evidenziano il fatto che viene descritto un processo unico e continuo dell’immaginazione.
Per esempio la congiunzione coordinativa E all'inizio del secondo periodo, o la presenza di
una sinalefe che collega in una sillaba sola la vocale finale di spaura con la e successiva.
All’inizio dell’idillio il poeta utilizza parole brevi e deittiche (questo, questa) per suscitare una
condizione di finitezza; a differenza degli ultimi versi, nei quali utilizza parole polisillabe.
Nel primo verso la parola in posizione incipitaria sempre suggerisce ATEMPORALITÀ.
C’è MUSICALITÀ nel testo data dalla collocazione delle parole → il ritmo della poesia
rallenta attraverso l’enjambement e nella seconda parte attraverso le parole polisillabe.
Anche l’utilizzo della vocale A tonica crea spazialità e senso di infinitezza.
Nel verso 4 sono presenti 2 gerundi in endiadi: sedendo e mirando (parola peregrina), i quali
sono anche una paronomasia (parole foneticamente simili che poi però hanno significato
diverso). Altre figure retoriche presenti sono l’ossimoro “naufragar m'è dolce” e diversi
polisindeti (ripetizione della lettera E).
PAROLE CHIAVE → “io” esprime soggettività, si ha un’esperienza soggettiva dell’autore; “mi
fingo” rimanda all’immaginazione, “s’annega” suggerisce la perdita di sé. “il naufragar m'è
dolce” → “m’è” esprime soggettività, l’io lirico è collocato al centro del verso come se fosse
realmente annegato.
ALLA LUNA (1820)
dai Canti, dagli Idilli
Alla luna è un idillio che Leopardi compone a Recanati.
Il testo originale si chiamava “La Ricordanza” poiché il poema è incentrato sul TEMA DEL
RICORDO che porta con sé consolazione. Il testo è diviso in due parti →
1. parte narrativa in cui si ha la descrizione di un paesaggio notturno lunare.
2. parte riflessiva in cui il poeta fa una riflessione poetica e filosofica.
La poesia parte con l’INVOCAZIONE ALLA LUNA, a cui il poeta confida le sue angosce.
Leopardi prova compiacimento, venerazione e meraviglia verso la luna; la luna NON può
però capire fino in fondo il tormento interiore del poeta.
Dopo un anno la luna resta sempre là e anche lo stato d’animo dell’autore non è cambiato;
rincontrando la luna, si rende conto che il dolore è ancora presente.
L’idillio è composto da 16 endecasillabi sciolti e presenta ARCAISMI e diverse figure
retoriche come l’enjambement, l’iperbato o la metafora.
Nel testo sono presenti svariati elementi che permettono di identificare la luna come
INTERLOCUTRICE come i vocativi (“o graziosa Luna” “o mia diletta luna”;) e i pronomi e le
voci verbali alla seconda persona singolare (“tuo volto”; “rimpianti” “pendevi” “fai” “rischiari”).
La luna viene personificata (il termine “volto” umanizza la luna): è graziosa, benevola e
diletta, e ascolta, comprende e conforta. Essa illumina il paesaggio NOTTURNO.
Nel testo sono riconoscibili i CAMPI SEMANTICI del dolore (angoscia, travaglio, pianto,
dolore, travagliosa, triste, affanno), del piacere (giova, grato), della visione (rimirarti, appaia)
e della rimembranza (rammento, ricordanza ,memoria, rimembrar).

A SILVIA (1828)
dai Canti, dai Grandi Idilli
E’ il canto che inaugura l’inizio dei GRANDI IDILLI.
La lirica NON propone una vicenda d'amore tra i due giovani, ma propone una
RIFLESSIONE SULLA VITA e sulla GIOVINEZZA: ciò che unisce Silvia (nella realtà Teresa
Fattorini, figlia del cocchiere della famiglia Leopardi) e il poeta è LA STESSA CONDIZIONE
DI GIOVINEZZA NEGATA: Leopardi per i motivi di salute, i problemi familiari e gli anni di
studio, mentre Silvia a causa della sua morte prematura all’età di 21 anni.
I TEMI PRINCIPALI della poesia sono il RICORDO, la DISILLUSIONE (“all’apparir del vero”),
il CONTRASTO TRA L'ETÀ GIOVANILE con le sue illusioni e speranze, E L'ETÀ ADULTA,
caratterizzata da amarezza e delusione, e il tema della NATURA MALIGNA.
Tutta la lirica è caratterizzata da un’IMPRESSIONE DI VAGHEZZA →
All’inizio del componimento, L’IMMAGINE DI SILVIA è tratteggiata attraverso due soli
particolari: uno fisico (gli occhi ridenti e fuggitivi in cui splende la sua bellezza) e uno
psicologico (l'atteggiamento "lieto e pensoso" con cui la fanciulla si avvia a varcare la soglia
della giovinezza).
Ancor più vaga è la RAFFIGURAZIONE DEL MONDO ESTERNO che circonda le due
figure: il paesaggio primaverile è poverissimo di indicazioni concrete (forme, colori, profumi),
non vi sono descrizioni, pochi aggettivi. Il mondo esterno è privo di consistenza fisica,
materiale, sensuale. Questa vaghezza corrisponde alla poetica del «vago e indefinito».
Nella scrittura di questa poesia prende spunto da un DATO REALMENTE VISSUTO, il quale
viene però sottoposto ad una serie di "filtri".
❖ FILTRO FISICO: il mondo esterno è percepito da Leopardi attraverso LA FINESTRA
della sua casa, che gli impedisce il contatto immediato con la realtà.
L'io lirico nella poesia di Leopardi non è mai immerso nel mondo, ma sempre separato
da esso da una distanza → Leopardi percepisce sempre il mondo dal chiuso della
propria stanza, dal chiuso del proprio mondo interiore; la FINESTRA è come il confine
simbolico che mette in contatto i due mondi, l'immaginario e il reale. La sua funzione è
simile a quella della siepe dell'Infinito.
❖ FILTRO DELL’IMMAGINAZIONE: il dato fisico è percepito attraverso l'immaginazione,
che nel rapporto con il reale determina una sorta di «doppia visione», una generata dai
sensi, l’altra dall’immaginazione.
❖ FILTRO DELLA MEMORIA: per Leopardi il ricordo, come l’immaginazione, ha la
funzione di rendere indefinite e poetiche le cose. La rimembranza è essenziale e
principale nel sentimento poetico. Nel caso di A Silvia, la memoria richiama un
particolare del passato, il canto della fanciulla.
❖ FILTRO LETTERARIO il poeta richiama alla mente MEMORIE POETICHE: sulla figura
di Silvia che canta si sovrappone il ricordo virgiliano del canto di Circe, che giunge ai
Troiani di lontano nel silenzio notturno mentre veleggiano dinanzi alle coste italiche.
❖ FILTRO FILOSOFICO: A differenza degli anni della giovinezza, l’illusione recuperata
dalla memoria non può più essere vissuta ingenuamente, ma è sempre accompagnata
dalla consapevolezza del «vero». Il poeta ha preso coscienza filosofica del vero e della
visione pessimistica del mondo. (A Silvia si chiude con l'immagine di una mano che
indica la fredda morte e una tomba, alludendo anche al destino comune degli uomini).
Il lessico risponde alla poetica dell'indefinito: presenza di parole vaghe e parole arcaiche,
lontane dal banale uso comune.
Leopardi utilizza tempi verbali opposti: L’IMPERFETTO indica continuità nel passato, è il
tempo della memoria e dell'illusione; IL PRESENTE è invece il tempo del «vero», della
consapevolezza, della delusione.
Nel complesso la sintassi è fatta prevalentemente di periodi brevi, con poche subordinate
prevalentemente temporali. Questa scelta indica che nel componimento domina la
dimensione temporale del flusso di memoria. In alcune strofe ricorrono però anche
esclamazioni, interrogazioni e anafore, rendendo la sintassi più mossa.
La struttura metrica è libera e la lunghezza delle sei strofe è varia: endecasillabi e settenari
si alternano senza uno schema fisso, e anche le rime ricorrono liberamente. La fluidità
musicale è data anche dal fatto che moltissimi endecasillabi non presentano pause interne.
A SE STESSO (1835)
dai Canti, Ciclo di Aspasia
Il componimento chiude il "Ciclo di Aspasia" ed esprime la FINE dell’illusione d’amore con
Fanny (definito da Leopardi “l’inganno estremo”). Il poeta assume un contegno eroico e
esprime il suo DISPREZZO verso quella parte di sé che si è lasciata illudere, ma anche
verso la natura che ha come fine la sofferenza dell’uomo e rende tutto vano.
Questa poesia segna un distacco definitivo dalla fase giovanile delle illusioni, che appaiono
ormai ingannevoli.
La tensione eroica di Leopardi si traduce in una potente TENSIONE STILISTICA: colpisce
innanzitutto l'andamento spezzato del discorso poetico, dovuto alle proposizioni brevissime,
alle continue pause e ai numerosi enjambements.
Il lessico è spoglio e gli aggettivi sono rari; il discorso è essenziale, composto solamente da
verbi e sostantivi, collocati spesso all'inizio o alla fine del verso. Nel testo sono presenti
anche rime, assonanze e figure di ripetizione.

LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO (1836)


dai Canti,
La Ginestra è un ampio poemetto, diviso in 7 strofe.
Il poemetto si apre con un versetto del vangelo di Giovanni, che sottolinea la polemica di
Leopardi contro le idee spiritualistiche e ottimiste del suo tempo: gli uomini hanno preferito le
tenebre (le menzogne) alla luce (alla consapevolezza della condizione umana).
❖ PRIMA STROFA → il componimento descrive un PAESAGGIO DESERTICO E ARIDO
(vicino al Vesuvio), radicalmente antiidillico; lo suddivide in tre quadri:
➢ IL MONTE, simbolo della potenza distruttiva della natura.
➢ LE VIE INTORNO A ROMA, richiamano l'azione corrosiva del tempo e il perire
irrimediabile di tutte le cose
➢ LE CENERI E LA LAVA, immagine di morte.
Nel paesaggio è presente un fiore, LA GINESTRA, elemento opposto al paesaggio
desertico e arido → possiede caratteristiche tutte positive: abbellisce i deserti, è
contenta e gentile, consola la desolazione del deserto con il suo PROFUMO. La
ginestra assume quindi un VALORE SIMBOLICO: da un lato rappresenta la vita che
resiste alla potenza devastante della natura, dall'altro la pietà verso la sofferenza di tutti
gli esseri perseguitati dalla natura stessa.
C’è una identificazione tra il poeta e la ginestra: sono accomunati dall'atteggiamento
coraggioso e non rassegnato di sfida verso la natura nemica, ma anche dalla pietà nei
confronti delle vittime della natura. Ma anche accomunati dalla solitudine (il poeta è
emarginato dai suoi contemporanei per le sue posizioni anticonformiste, la ginestra è
l'unica pianta capace di sopravvivere nei terreni aridi).
❖ SECONDA STROFA (di argomento polemico) → Leopardi critica il ritorno di concezioni
spiritualistiche e religiose che si verifica nell'epoca presente. Il poeta rovescia tutte le
convinzioni del tempo, attribuisce il trionfo della visione religiosa alla vigliaccheria e al
fatto che l'età attuale non abbia il coraggio di guardare in volto la realtà.
❖ TERZA STROFA → qui il poeta definisce la vera nobiltà spirituale: guardare
coraggiosamente in faccia il destino comune e dire la verità sulla condizione infelice ed
effimera del genere umano, mostrandosi forti nel soffrire. Leopardi non si limita a fare
una critica, ma propone una sua alternativa alle idee che combatte: esclude la felicità,
ma afferma la possibilità di un PROGRESSO che assicuri una società più giusta.
Per Leopardi il PROGRESSO AUTENTICO (civile e morale) si fonda sul pessimismo,
sulla consapevolezza della tragica condizione dell'umanità. Se gli uomini avessero
coscienza della loro infelicità e miseria, e del fatto che la responsabile di ciò è la natura,
sarebbero indotti a coalizzarsi contro la loro nemica. Questo rinsalderebbe i legami
sociali e, invece di combattersi, gli uomini si unirebbero in solidarietà e fraternità.
Leopardi delinea esplicitamente anche il compito dell'intellettuale nella creazione di
questa società: diffondere la consapevolezza del «vero».
❖ QUARTA STROFA → il componimento descrive nuovamente il paesaggio della prima
strofa, il quale rappresenta la vera condizione dell'uomo. La descrizione paesaggistica si
allarga poi alla DESCRIZIONE DEL CIELO, che porta il poeta a meditare sulla nullità
della terra e la piccolezza dell'uomo nell'universo. Riprende qui la polemica contro le
posizioni religiose.
❖ QUINTA STROFA → riprende il motivo della potenza distruttiva della natura,
presentando una similitudine dell’uomo con le formiche. La natura non si cura dell'uomo
più di quanto l’uomo si curi delle formiche. Emerge anche l’idea di una natura al tempo
stesso madre e matrigna, attraverso la metafora dell'utero tonante.
❖ LA SESTA STROFA → affronta il contrasto tra l'insignificanza del tempo umano e
l'immobilità del tempo eterno della natura: mentre il tempo umano scorre, trasformando
incessantemente le cose, la natura maligna incombe immutata, ferma nella sua
minaccia (1800 anni sono passati dall'eruzione che distrusse Ercolano e Pompei, e la
cima del Vesuvio minaccia ancora distruzione sugli stessi luoghi).
❖ SETTIMA STROFA → in primo piano ritorna la ginestra. Il fiore acquista anche nuovi
significati: diventa un modello di comportamento eroico per l'uomo. Quando la lava
scenderà nuovamente per le pendici del vulcano, il fiore dovrà inevitabilmente accettare
il suo destino; ma questa sconfitta non cancella la sua dignità.

LE OPERETTE MORALI (1845, edizione definitiva)


Nel 1824, di ritorno da Roma, dopo essere uscito per la prima volta da Recanati ed essere
venuto a contatto con una più vasta società, ricevendone una delusione, Leopardi si dedica
alla composizione delle Operette morali.
Le Operette morali sono testi di argomento filosofico, che testimoniano il pensiero dell’autore
in chiave storica. Ma non si tratta di filosofia puramente teoretica: lo scrittore si prefigge un
FINE PRATICO: smuovere la sua povera patria e il suo secolo. Alla base della scrittura vi è
dunque un forte impegno morale e civile. Il diminutivo operette indica da un lato la breve
estensione di questi testi, dall'altro sottolinea l'impostazione lontana dalla serietà del trattato
filosofico, la scelta di un tono più lieve, che faccia leva sul COMICO e sull’IRONIA.
Nonostante questo, sono opere di profonda sostanza intellettuale per criticare i costumi, le
idee correnti e gli stereotipi mentali dell’epoca.
Leopardi sceglie per molte delle Operette forma del DIALOGO, e inserisce come
INTERLOCUTORE: creature immaginose, personificazioni di concetti astratti, personaggi
mitici o favolosi, personaggi storici, oppure personaggi storici mescolati con esseri bizzarri o
fantastici, ma può essere anche un alter ego dell'autore stesso.
Altre invece hanno forma più NARRATIVA, ma si hanno anche PROSE LIRICHE, raccolte di
aforismi paradossali o discorsi che si rifanno alla trattatistica classica.
Tutte le operette si concentrano intorno ai TEMI FONDAMENTALI DEL PESSIMISMO
LEOPARDIANO (l'infelicità inevitabile dell'uomo, l'impossibilità del piacere, la noia, il dolore, i
mali materiali che affliggono l'umanità), presentati in modo lucido, con distacco e con una
prosa elegante e leggera. Altri temi sono la grandezza dell’antico e la piccolezza del
presente.
DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE (1824)
dalle Operette Morali
La lettura della Storia di Jenni di Voltaire, dove si parla delle terribili condizioni degli Islandesi
a causa del gelo e di un vulcano, ispirò Leopardi ad assumere un ISLANDESE come
esempio dell'infelicità dell'uomo e dei mali che lo affliggono per colpa della natura: per
sfuggire dalle minacce del suo paese, l’Islandese si reca in Africa.
L'operetta segna una fondamentale svolta nel pensiero leopardiano: qui l'infelicità è fatta
dipendere non da cause psicologiche ma dai mali esterni, fisici, a cui l'uomo non è in grado
di sfuggire. La natura è vista come una nemica. Leopardi approda così a PESSIMISMO
COSMICO, che abbraccia tutti gli esseri e tutti i tempi. In questa nuova concezione il dolore,
la distruzione e la morte non rappresentano errori accidentali della natura, ma il mondo è un
ciclo eterno di «produzione e distruzione», e la distruzione è indispensabile alla
conservazione del mondo.
Sono presenti DUE DIVERSE CONCEZIONI DELLA NATURA → per l'Islandese è come
un'entità malvagia che perseguita le sue creature; la Natura stessa invece dice che fa il male
senza accorgersene, in obbedienza a leggi oggettive. In questa duplice immagine si
rispecchiano due diversi atteggiamenti dello scrittore: quello filosofico-scientifico, che
considera la natura come un puro meccanismo impersonale e inconsapevole, e quello
poetico, immaginoso e mitico, che vede la natura come una specie di divinità malefica.
Nell’operetta LA NATURA è presentata come una figura antropomorfica, una donna
dall'aspetto bello e terribile. Il testo è quasi totalmente un MONOLOGO DELL’ISLANDESE,
perché la natura interviene solamente all’inizio e alla fine.

POSITIVISMO
Il Positivismo nasce in Francia nella prima metà dell’800 → è l’espressione ideologica della
nuova organizzazione industriale della società borghese. In tutta Europa in questo periodo si
comincia a porre fiducia nella SCIENZA e nel PROGRESSO, soprattutto dal punto di vista
sociale. Ci sono tante scoperte, discipline, come la sociologia, e invenzioni.
Si comincia a parlare di SCIENZE POSITIVE (matematica, fisica, scienze), le quali saranno
fondamentali per acquisire una CONOSCENZA DELLA REALTÀ .
Con il termine POSITIVO si indica tutto ciò che si può sperimentare e che può essere
dimostrato → si sente il bisogno di osservare i fenomeni, di verificare la realtà così com'è,
perché si vuole arrivare a comprendere il “come” dei fenomeni e non più il “perché”.
Esso è caratterizzato dal RIFIUTO di ogni visione di tipo religioso, metafisico o idealistico.
La TEORIA DARWINIANA è centrale nel positivismo.
L’uomo domina la natura mediante la scienza.
Non c’è spazio per il sentimento → TUTTO È GOVERNATO DA LEGGI MATEMATICHE.
Il positivismo come ideologia e come metodo di conoscenza si traduce in letteratura in
NATURALISMO in Francia e VERISMO in Italia (come ideologia della borghesia).
Questo progresso in cui tanto si poneva fiducia non avverrà e porterà ad una forte
delusione; come conseguenza nascerà il DECADENTISMO.
NATURALISMO FRANCESE
Il NATURALISMO si sviluppa in Francia tra il 1870 e il 1890.
Émile Zola è considerato il MAESTRO DEL NATURALISMO.
Egli sente l’esigenza di trasformare il romanzo in uno strumento scientifico e di
rappresentare la realtà in tutte le sue forme → l’opera d’arte deve trasformarsi in scienza.
I princìpi che stanno alla base della narrativa zoliana si trovano nel volume “Il romanzo
sperimentale” (1880), primo scritto del positivismo.
Zola è dell’idea che l’uomo debba diventare padrone dei meccanismi psicologici per poi
poterli dirigere; in tal modo si arriva a migliorare le condizioni della società per portare
uguaglianza, benessere e raggiungere il progresso (la società è il futuro).
Il ROMANZIERE ha quindi un preciso IMPEGNO SOCIALE E POLITICO: aiutare le scienze
a regolare la società e fornire una nuova coscienza civile. Lo SCRITTORE deve dunque
scomparire dal libro, non deve includere le sue emozioni, sensazioni e non deve parlare in
prima persona. Il romanziere, con la tecnica dell’impersonalità, diventa SCIENZIATO:
assume il distacco dello scienziato, che si allontana dall’oggetto per osservarlo dall’esterno;
il romanziere si limita ad analizzare la realtà dall’esterno. Nella letteratura viene applicato il
METODO SCIENTIFICO SPERIMENTALE.
Si ha un ampliamento della materia narrabile nel romanzo, che va a rappresentare tante
forme della degradazione sociale che si nascondono → la scrittura deve rivelare la vera
natura umana (anche il negativo, come per esempio gli squilibri nella società del tempo ai
danni del proletariato). Non si dà più spazio all’entusiasmo e al sentimento personale perché
potrebbe falsificare la realtà → tutto deve essere degno di una RAPPRESENTAZIONE
VERITIERA E SCIENTIFICA.
Nel naturalismo si fa una particolare attenzione alle condizioni di vita del proletariato urbano.
Dal punto di vista delle tecniche narrative, nei romanzi del naturalismo francese, la voce
narrante riproduce il punto di vista dell’autore, cioè del borghese colto, che osserva le
vicende dall’esterno ed interviene con commenti e giudizi; il lettore avverte così un netto
distacco rispetto alla prospettiva dei personaggi.
Queste concezioni prendono parte nell’opera fondamentale di Zola, “I Rougon–Macquart”. Si
tratta di un ciclo di venti romanzi, in cui lo scrittore costruisce un quadro completo della
società francese del Secondo Impero attraverso le vicende dei membri di una famiglia. Per
dare un’intera visione della società, Zola raccoglie una massa di documenti e testimonianze
dirette: Zola riproduce anche gli aspetti più ripugnanti come l’alcolismo, la violenza, la
degradazione morale, l’esistenza ridotta a impulsi puramente animaleschi dalle condizioni
miserabili, dal duro lavoro, dalla fame → ciò suscita scandalo da parte dei moralisti.
Dietro il crudo realismo sociale si scorge un TEMPERAMENTO ROMANTICO, che si rivela
attraverso episodi lirici, elenchi e descrizioni esasperate di oggetti materiali di proporzioni
gigantesche o anche attraverso l’assunzione di determinati oggetti ad un valore simbolico,
che riassume in sé il senso di tutto il racconto.
Altro importante scrittore è Gustave Flaubert. La sua poetica si delinea sul rifiuto di ogni
sentimentalismo, l’ideale di una rigorosa impersonalità, di uno stile perfetto che, attraverso
l’uso della parola “giusta”, riesca a nascondere il giudizio dello scrittore.
Egli ha il SOGNO DI PERFEZIONE STILISTICA e di un’ANALISI rigorosamente
IMPERSONALE della realtà contemporanea.
È notevolmente noto per aver formulato la “teoria dell’impersonalità”, nella quale si focalizza
sull’aspetto interiore dei personaggi, e realizza anche “Madame Bovary”, un romanzo che
ottenne molto successo a livello internazionale.
LA SCAPIGLIATURA
Nel 1860 si iniziano ad affrontare i problemi del post-risorgimentali, in quanto il Risorgimento
ha tolto spazio alle classi popolari. A Milano, città già al tempo evoluta ed avanzata, prevale
la disuguaglianza tra le classi sociali e i contrasti cominciano ad essere sempre più forti.
Queste differenze sociali economiche sono evidenziate maggiormente nelle METROPOLI.
Dopo l’unità d’Italia si sperava che il Risorgimento politico potesse rappresentare una
rinascita sociale e quindi risanare le differenze sociali tra nord e sud molto marcate. Ma non
fu così e la situazione che si era creata generò forte DELUSIONE rispetto alle aspettative.
In questo periodo sta nascendo una nuova classe sociale → LA BORGHESIA, la quale
viene criticata in quanto classe finalizzata al profitto e al guadagno, tendente al capitalismo.
Si sviluppa tra gli anni ‘60 e ‘70 dell’Ottocento a Milano la volontà di denunciare la realtà e
nasce un movimento: LA SCAPIGLIATURA.
Il termine “Scapigliatura” venne proposto per la prima volta da Cletto Arrighi nel suo
romanzo “La Scapigliatura e il 6 febbraio”, a designare un gruppo di giovanissimi anarchici,
anticonformisti con principi democratici molto forti. Essi vivevano ai margini della società in
modo eccentrico ed erano accomunati da un IMPULSO DI RIFIUTO E RIVOLTA nei
confronti del positivismo (ideologia della borghesia), del progresso e della scienza. Ma sono
anche accomunati da un’insofferenza per le convenzioni della letteratura contemporanea
(RIFIUTANO il manzonismo e il tardo ROMANTICISMO SPERIMENTALE poiché era fatto di
enfasi e favoriva una visione realistica della società).
Gli scapigliati sono il vero pandemonio del secolo e serbatoio del disordine, sono oppositori
agli ordini stabiliti → si sentono traditi dal Risorgimento, si allontanano dalla società
contemporanea in quanto non si riconoscevano in essa e si ribellano cercando di restaurare
l’equilibrio tra le classi sociali.
Secondo Arrighi, essi avevano una mentalità più avanzata rispetto al loro secolo e li
definisce giovani indipendenti, travagliati, inquieti, che meritano di essere classificati in una
nuova classe. Essi costituiscono una prima manifestazione delle avanguardie del ‘900.
Con gli scapigliati compare per la prima volta nella cultura italiana dell’Ottocento il
CONFLITTO TRA ARTISTA E SOCIETA’ .
Il loro atteggiamento viene però definito “dualismo”, in quanto assumono un
ATTEGGIAMENTO AMBIVALENTE → da un lato il loro impulso originario è di repulsione ed
orrore; l’artista si aggrappa disperatamente ai valori del passato come la bellezza, l’arte, la
natura, l’autenticità del sentimento. Dall’altro lato però essi si rassegnano, delusi, a
rappresentare il vero.
L’oggetto della poesia dunque è il VERO, non il sentimento → nella poesia i temi civili e
patriottici vengono superati e prevale la RAPPRESENTAZIONE OGGETTIVA di una realtà
più profonda, cruda, portata fino al macabro; si indagano le zone più oscure dell’essere e si
esprime la miseria, l’emarginazione della società.
Gli scrittori si abbandonano all’irrazionale. Essi si allontanano dalle forme letterarie
tradizionali chiuse, ma tendono a sperimentare nuove soluzioni (SPERIMENTALISMO).
Questi scrittori presentano un limite → sono VELLEITARI, ovvero non riescono a
concretizzare un’aspirazione.
Inoltre, l’intellettuale si eclissa e sparisce dal testo, in quanto egli vive un periodo di disagio
storico rispetto al tempo in cui viveva → non si parla più di narratore onnisciente e non si ha
più il punto di vista dell’autore; ciò determina l’impossibilità di esprimere un ideale.
I principali modelli a cui gli scapigliati si ispirano sono Hoffmann e Baudelaire.
Tra i notevoli scapigliati ci sono: Cletto Arrighi, Carlo Dossi, Emilio Praga, Tarchetti, Arrigo
Boito, Giovanni Faldella.
GIOVANNI VERGA (1840-1922)
Verga nasce a Catania da una famiglia di proprietari terrieri.
Compie i primi studi presso la scuola privata di un letterato romantico, Antonino Abate, da
cui assorbe il fervente patriottismo e il gusto letterario romantico, che sono gli elementi
fondamentali della sua formazione, come testimonia il primo romanzo “Amore e patria”.
Negli anni successivi si iscrive alla Facoltà di Legge, ma interrompe gli studi per seguire gli
eventi legati all’impresa di Garibaldi e dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico.
I testi su cui si forma il suo gusto in questi anni sono quelli degli scrittori francesi moderni.
Trascorre alcuni anni a FIRENZE dove viene a contatto con la vera società letteraria italiana
e dove conosce Luigi Capuana, con cui stringe un duraturo rapporto d’amicizia.
Poi si reca a Milano che era allora il centro culturale più vivo della penisola e più aperto alle
sollecitazioni europee. Qui cresce in lui un forte disagio e disgusto nei confronti della realtà
milanese. A Milano entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura e pubblica TRE
ROMANZI ancora legati ad un clima romantico e alla tematica di amore e passione. I 3
romanzi in questione sono:“ Eva”, “Eros” e “Tigre reale”.
Sempre a Milano si dedica alla lettura di scritture di naturalisti francesi e si verifica la
definitiva CONVERSIONE AL VERISMO con la pubblicazione del racconto “Rosso Malpelo”.
Questo racconto narra la storia di un ragazzo che lavora in una miniera e che vive in un
ambiente disumano, narrata con un linguaggio semplice ed essenziale, tipico di una
narrazione popolare. Con questo racconto Verga inserisce la concezione materialistica della
realtà e l’impersonalità nelle sue opere.
Verga si dedica inoltre al progetto del “Ciclo dei vinti” → un CICLO NARRATIVO di cinque
romanzi, nel quale viene illustrata la lotta per la vita all’interno delle diverse classi sociali,
soprattutto nel sud; di questo ciclo fanno parte le novelle di “Vita dei campi” e “Mastro don
Gesualdo”. Scrive anche “I Malavoglia”, le “Novelle rusticane”.
In seguito torna a vivere definitivamente a Catania, dove scrive drammi teatrali, come “Dal
Tuo al mio” e “La lupa”. Questi due drammi testimoniano un cambiamento ed un
atteggiamento più razionale dell’autore dal punto di vista politico: le sue posizioni politiche si
fanno sempre più chiuse e conservatrici.
Allo scoppio della prima guerra mondiale è un interventista e nel dopoguerra si schiera sulle
posizioni dei nazionalisti. Muore nel 1922, pochi mesi prima della marcia su Roma e della
salita al potere del Fascismo.
IL VERISMO DI VERGA
Il naturalismo francese ebbe una grande influenza in Italia, soprattutto i romanzi di Zola, i
quali determinarono la corrente del VERISMO in Italia. Nonostante tale influenza, per molti
aspetti Verga si distacca molto dalla figura di Zola.
Verga ha una visione radicalmente pessimistica della realtà → quando arriva a Milano,
Verga entra in contatto con la mentalità della società borghese, del tutto differente dalla sua
mentalità “contadina” tipica del sud.
Ciò genera in lui una forte avversione nei confronti di quella realtà: la società umana per lui è
dominata dal meccanismo della “lotta per la vita”, un meccanismo crudele in cui il più forte
schiaccia il più debole (teoria darwiniana). Gli uomini sono mossi soltanto dall’interesse
economico e dall’egoismo → tipico atteggiamento di una società capitalistica.
Verga ritiene che NON esistano alternative alla realtà esistente, né nel futuro, né nel
passato, ed esclude ogni consolazione religiosa. L’uomo deve accettare la sua condizione.
L’atteggiamento dello scrittore si basa infatti sul RIFIUTO ESPLICITO E POLEMICO nei
confronti delle ideologie progressiste contemporanee, democratiche e socialiste, che egli
giudica fantasie infantili e odiosi inganni. Ritiene che il progresso sia tutto ciò che invade
l’uomo e lo travolge.
Alla base del nuovo metodo narrativo vi è LA POETICA DELL’IMPERSONALITA’ (diversa da
quella di Zola) → Verga ritiene che l’autore debba “eclissarsi” dall'opera, non intromettersi o
giudicare perché ogni intervento giudicante apparirà inutile e privo di senso poiché la realtà
non può essere modificata). Allo scrittore non resta che riprodurre la realtà così com’è, in
modo rigorosamente oggettivo (anche in Verga si parla di romanziere scienziato). Si
favorisce quindi un ROMANZO DI COSTUMI CONTEMPORANEI, abbandonando il
romanzo politico.
L’opera è dunque un vero e proprio SPACCATO DELLA REALTA’ e, a differenza del
naturalismo, NON deve trasformarsi in scienza.
Nel verismo di Verga si predilige la rappresentazione della realtà regionale degli umili
lavoratori soprattutto del sud, denunciando i mali della civiltà milanese.
Inoltre Verga teorizza la TEORIA DELL’OSTRICA → L'ostrica in genere sta aggrappata allo
scoglio. Se essa si stacca dallo scoglio, la marea la trascina via. Ciò simboleggia la visione
Verghiana della vita e del destino. Infatti, Verga crede che, se un individuo si distacca dalla
classe sociale di cui fa parte, abbandonano i suoi valori e le sue tradizioni e cerca di elevarsi
in cerca di benessere, sarà destinato a soffrire e a fallire e persino a perdere tutto ciò che
già possiede. Se le classi sociali del sud si allontanano dal riconoscimento sociale e dai
propri valori come la sacralità della famiglia, il lavoro e il senso dell’amore, rischiano di
andare verso l’infelicità e non verso il successo. Tale atteggiamento determina però la
PERDITA DELLA PROPRIA IDENTITA’ .
L’opera che testimonia un primo passaggio alla poetica verista di Verga è “Nedda”: si tratta
di un bozzetto siciliano in cui cambiano gli ambienti e le storie, e cominciano a prevalere la
durezza della vita e la miseria del tempo; in questa novella Verga rappresenta il VERO.

Milano fu il CENTRO DI DIFFUSIONE DEL VERISMO, ma i maggiori esponenti del verismo


italiano sono meridionali: Capuana (egli viene considerato teorico del verismo che evidenzia
le differenze del verismo italiano con il verismo naturalistico francese), De Roberto (egli
approfondisce l’indagine psicologica dei personaggi nell’opera “I viceré”), Matilde Serao (ella
fu la prima donna a fondare e dirigere un quotidiano; scrisse “scuola normale femminile”,
opera con la quale diede gran voce al grido femminista). Grazia Deledda invece muove le
tendenze veriste per descrivere la sua terra, la Sardegna.

TECNICHE NARRATIVE E LINGUE DI VERGA


Verga, applicando la poetica dell’impersonalità alle sue opere, dà origine ad una tecnica
narrativa originale ed innovatrice. Si possono identificare quattro novità:
1. ECLISSI DEL NARRATORE
Le vicende non sono più raccontate dal narratore onnisciente tradizionale, ma la voce
narrante si pone allo stesso livello dei personaggi, regredisce nella loro mentalità, nei
loro valori morali, nei loro stati d'animo. E’ come se a raccontare fosse uno di loro, che
però non compare direttamente nella vicenda e resta anonimo. Si parla di NARRATORE
REGREDITO. Pertanto si ha una visione oggettiva della realtà.
2. IL LETTORE SI TROVA A TU PER TU CON I FATTI
Nelle opere di Verga il punto di vista dello scrittore non si avverte mai e il lettore ha
davvero l’impressione di trovarsi faccia a faccia con il fatto nudo e schietto. Infatti non è
presente il “disse che”, ovvero colui che guida il lettore.
3. STRANIAMENTO (allontanamento)
Viene rappresentato come strano ciò che in realtà non lo è o viceversa.
4. DISCORSO INDIRETTO LIBERO
L’uso del discorso indiretto libero determina l’assenza di verbi dichiarativi come “disse“ o
congiunzioni “che“, la presenza di punti interrogativi ed esclamativi, la terza persona per
indicare chi parla e chi pensa.
Dal punto di vista linguistico, il linguaggio deve riprodurre la parlata dei personaggi.
Verga però NON SCEGLIE IL DIALETTO REGIONALE poiché esso rappresenta una
limitazione per la diffusione delle sue opere. Egli adotta invece la lingua genericamente
italiana con proverbi. Si usa una struttura sintattica irregolare, imprecisa, approssimativa e
libera. L’opera manca di formazione classica.

IL CICLO DEI VINTI


Il ciclo dei vinti è un ciclo di cinque romanzi, nei quali Verga pone al centro la VOLONTA’ DI
TRACCIARE UN QUADRO GENERALE DELLA SOCIETA’ ITALIANA MODERNA .
Elemento fondamentale e filo conduttore della sua rappresentazione è il principio della lotta
per la sopravvivenza, che lo scrittore ricava dalle teorie dello scienziato Charles Darwin sulla
selezione naturale degli essere viventi, applicandola alla società umana: tutta la società è
dominata da conflitti di interesse, ed il più forte trionfa, schiacciando i più deboli. Verga però
non intende soffermarsi sui vincitori di questa guerra universale e sceglie come oggetto della
sua narrazione “i vinti”, cioè coloro che vengono schiacciati in questo perenne conflitto e che
si sottomettono ai prepotenti.
Al ciclo viene premessa una PREFAZIONE che chiarisce gli intenti generali dello scrittore:
nel primo Romanzo, I Malavoglia, si analizzano le motivazioni dei comportamenti umani al
livello della LOTTA DEI BISOGNI MATERIALI che caratterizza l’ambiente popolare. Verga
nella prefazione prende come soggetto dell’opera i 20 uomini sconfitti nel tentativo di
migliorare la propria condizione; osserva i fatti narrati senza intervenire ed indaga le cause
materiali ed economiche alla base dell’agire umano.

I MALAVOGLIA (1831)
E’ il primo romanzo del “ciclo dei vinti”.
Il mondo dei Malavoglia viene presentato per la prima volta nella novella “Fantasticheria”,
tratta dalla raccolta “Vita dei campi” di cui fanno parte altre novelle come “Rosso malpelo”.
Con Fantasticheria Verga indaga, attraverso una rappresentazione del mondo dei poveri
pescatori, le cose che spingono questa gente a sopravvivere in quell’ambiente.
Verga racconta la storia di una famiglia di pescatori siciliani, i laboriosi ed onesti Toscano,
chiamati “Malavoglia” poiché nell’uso popolare i soprannomi sono spesso il contrario delle
qualità di chi li porta. Essi vivono nel paesino di Aci Trezza, nei pressi di Catania e
posseggono una casa e una barca (simbolo di provvidenza). Essi conducono una vita
relativamente felice e tranquilla.
Il vecchio padron ‘Ntoni (il capofamiglia), per superare delle difficoltà, compra dallo zio
Crocifisso un carico di lupini per rivenderli in un porto vicino. MA la barca naufraga nella
tempesta, suo figlio Bastianazzo muore e il carico va perduto. I Malavoglia, oltre ad essere
colpiti da questo grave lutto familiare, devono anche trovare il modo per pagare il loro debito
allo zio. Comincia di qui una lunga serie di disgrazie e la sventura disgrega il nucleo
familiare.
Il giovane Ntoni, figlio di Bastianazzo e nipote del vecchio padron Ntoni, stanco di quella vita,
si rende conto di non poter più restare, vuole evadere. Egli, opponendosi alle idee patriarcali
del nonno, decide così di abbandonare il suo “scoglio” e fuggire verso un mondo del tutto
nuovo: Napoli, dove la vita era di gran lunga migliore. Lui vuole rompere con la vita passata,
monotona, fatta di rassegnazioni, per evolversi e riscattarsi → VUOLE CAMBIARE GRADO
SOCIALE, ma il suo tentativo fu un fallimento. Il giovane Ntoni, tornato da Napoli, non riesce
più ad adattarsi alla vita dura del suo piccolo paese; comincia a frequentare cattive
compagnie, è coinvolto nel contrabbando e, sorpreso, finisce per dare una coltellata alla
guardia doganale. Ntoni sconta la sua pena in carcere, ma in prigione non si riscatta
definitivamente → quando ritorna al suo paese di sera (ha scelto il “buio”), NESSUNO LO
RICONOSCE PIÙ, se non il cane. È ormai estraneo a quella terra che aveva abbandonato.
HA PERSO LA SUA IDENTITÀ. Abbandonando la casa del nespolo con tutti i suoi valori
(come l’affetto, l’onore, l’unità familiare, l’onestà), Ntoni offende la propria famiglia.
Ntoni torna e ripercorre i luoghi della propria casa, guardando in giro le pareti come se le
vedesse per la prima volta. E’ in questo momento che comprende il valore che queste pareti
rappresentano → L’UNITA’ FAMILIARE.
Alla fine del romanzo, Ntoni ha un colloquio con il fratello Alessi che gli chiede di rimanere,
ma lui sente di dover partire nuovamente, non può restare → prende consapevolezza
dell’importanza dei valori, ma sente di dover abbandonare tutto poiché ha perso le sue radici
ed è da solo in mezzo al paese. Il romanzo si conclude con l’addio al mondo pre-moderno.
Il percorso di Ntoni viene portato a compimento da Mastro don Gesualdo (nella “Vita dei
campi”) che abbandona definitivamente l’atteggiamento immobilista della civiltà arcaica
rurale e diventa l’esponente più tipico della mentalità moderna.
I Malavoglia rappresentano un mondo rurale arcaico, dominato da una visione della vita
tradizionale, che si fonda sui valori di FAMIGLIA (l’unione della famiglia) e sulla SAGGEZZA.
L’ideale di vita di questa gente è il restare ancorati alla propria vita, “al proprio scoglio”,
assumendo lo stesso comportamento delle ostriche (TEORIA DELL’OSTRICA DI VERGA).
Solo gli uomini che, spinti dalla curiosità di indagare il mondo e dalla vaghezza dell’ignoto,
lasciano il paese e i loro valori, vanno incontro alla sconfitta; solo chi rimane legato alla sua
terra riscontrerà dei vantaggi e realizzerà i suoi sogni.
Questo mondo mondano all’improvviso viene, però, sconvolto dalle vicende del
Risorgimento italiano, che distruggono gli squilibri, e il piccolo villaggio siciliano viene
investito dalle rapide trasformazioni politiche e sociali → il primo cambiamento che annuncia
l’irruzione della modernità nelle arretrate comunità del sud consiste nell’introduzione del
servizio militare obbligatorio (dal momento in cui il giovane Ntoni parte per il servizio militare,
iniziano una serie di difficoltà economiche e di sventure che rompono l’equilibrio familiare).
Tutto ciò genera una certa diffidenza da parte di questa gente nei confronti del progresso.
Il personaggio in cui si incarnano le forze disgregatrici della modernità è il giovane Ntoni.
Egli, fuggendo dalla sua terra, entra in contatto con la realtà moderna a Napoli; per questo
non può più adattarsi ai ritmi di vita del paese. Il nonno, d’altro canto, rappresenta lo spirito
tradizionalista e l'attaccamento alla propria terra e ai propri valori. In conflitto sono anche le
figure del giovane Ntoni e l’ultimo figlio Alessi: Alessi, nonostante fosse attratto dall'ignoto,
rimane legato alla propria terra e ai suoi valori, e cerca di risolvere i suoi problemi economici;
alla fine riesce a realizzare tutti i suoi piccoli sogni e si sposa.
Nel romanzo c’è una contrapposizione tra lo spazio privato (la casa del nespolo, la famiglia, i
valori) e lo spazio esterno aperto (le strade, la città, l'ignoto, visto come nemico).
I luoghi nell’opera hanno una forte valenza simbolica →
➢ La casa di famiglia rappresenta il passato malinconico di Ntoni.
➢ L’esterno, il paese rappresentano la sua condizione di isolamento.
➢ Il mare resta l’unico elemento naturale che si lega ad Ntoni.
Verga usa la poetica dell’impersonalità → egli non presenta un paese idilliaco, utopico, ma
rappresenta la realtà così com’è, descrive l’umanità fuori dal tempo. C’è sempre un
interesse personale e si dà importanza ai valori e alle tradizioni. Si presenta inoltre, con
accezione pessimistica, la ricerca del progresso e la ricerca del riscatto sociale, le quali sono
viste come infelicità e sofferenza → per questo Verga denuncia la società moderna.
E’ presente un narratore popolare, regredito che descrive gli avvenimenti secondo il punto di
vista del popolo. Il punto di vista è frutto dei pensieri di ‘Ntoni → infatti il linguaggio si
avvicina al parlato popolare per la presenza di detti, proverbi, modi di dire, l’utilizzo del
passato remoto e non passato prossimo.

LA ROBA
dalle Novelle Rusticane (1883)
Della produzione letteraria di Verga notevoli sono le Novelle rusticane, una serie di racconti
che ripropongono personaggi ed ambienti della campagna siciliana, in una prospettiva più
amara e pessimistica, che porta in primo piano il dominio esclusivo dei moventi economici
nell’agire umano, e rivela come la fame e la miseria soffochino ogni sentimento
disinteressato. Di queste novelle fa parte “La roba”, la quale venne, però, pubblicata in un
primo momento sulla rivista “La rassegna settimanale”.
Al centro della novella si pone il TEMA DELLA DINAMICITA’ SOCIALE che travolge tutti gli
equilibri tradizionali attraverso la figura di un self-made man.
Il racconto è inserito in un preciso fenomeno dell’età moderna: l’ascesa della borghesia.
In quel momento storico all’interno società si manifestavano continui conflitti tra le classi,
lotte per la roba e per il pane. Con la “roba” si indicano i vigneti e gli uliveti.
Il protagonista è Mazzarò: egli lotta per la roba e, per il possesso di questi beni, sacrifica
tutta la sua vita. Egli è perfettamente integrato nella logica della LOTTA PER LA VITA .
Mazzarò è un eroe faustiano: è sempre improntato al raggiungimento di un sogno senza
limite, vuole superare gli obiettivi raggiunti.
E’ presente un NARRATORE REGREDITO → è il personaggio stesso che parla; infatti il
narratore è in sintonia con l’eroe e la sua logica. Per questo motivo si ha la CELEBRAZIONE
DELLE VIRTU’ EROICHE DEL PROTAGONISTA come l’intelligenza, l’energia infaticabile,
ma soprattutto la sua CAPACITA’ DI SACRIFICARE TUTTO ALLA ROBA. Mazzarò appare
quasi un santo martire dell’accumulo capitalistico che riesce a creare immense ricchezze, un
mondo di cose dalle proporzioni smisurate, epiche.
Per comprendere il significato della novella, si deve tener conto della CONCLUSIONE,
fondamentale poiché presenta un ROVESCIAMENTO DELLE PROSPETTIVE→ Nella sua
tensione ad accrescere le sue proprietà, Mazzarò non SI SCONTRA soltanto con la società,
ma CON LA NATURA STESSA. Egli compie un GESTO DISPERATO e folle: tenta di
uccidere le anatre e i tacchini per portare con sé nella morte “la roba”.
Questa conclusione può essere interpretata in due modi opposti, che attribuiscono al gesto
di Mazzarò un valore comico o tragico →
➢ Nella prospettiva del narratore “basso”, che celebra Mazzarò come un eroe, il gesto di
bastonare le anatre e i tacchini appare assurdo, poiché non risponde ad alcuna logica
economica.
➢ Nella prospettiva dell’autore, che considera il personaggio meschino e misero ma è
sensibile al suo dramma esistenziale, il gesto di Mazzarò acquista un valore tragico,
poiché costituisce l’elemento di sconfitta di un uomo che ha posto la sua ragione di vita
nell’accumulo infinito di roba.
IL MASTRO DON GESUALDO (1889)
E’ il secondo romanzo del ciclo dei vinti.
Le vicende narrate si svolgono nella cittadina di Vizzini, in provincia di Catania, negli anni
dell'Italia preunitaria, agitata dai primi moti rivoluzionari che interessano direttamente la
Sicilia. Rispetto ad Aci Trezza, qui SI PRESENTA UNA REALTA’ PIU’ AMPIA: il racconto si
sviluppa in un ambiente borghese e aristocratico, in cui si evidenziano maggiormente le
differenze sociali. Si ha un ampliamento della prospettiva del narratore.
Il protagonista di questo racconto è Gesualdo Motta, un ex muratore che, interessato ai
guadagni, diventa ricco proprietario grazie alla sua intelligenza, alla sua energia infaticabile
e all'accumulo della roba.
La “roba” è il fine primario della sua esistenza e ciò lo porta ad escludersi dal mondo dei
sentimenti e a rinunciare all’unica figura che gli dà amore e dolcezza, Diodata (data da dio)
per sposare Bianca Trao, in quanto questa donna poteva aprirgli le porte della società
aristocratica. Gesualdo resta però escluso dalla società nobiliare, che lo disprezza per le sue
origini; il disprezzo è testimoniato dalla formula con cui viene menzionato: “don”, appellativo
destinato ai signori, il quale viene accoppiato “mastro”, a indicare la sua provenienza umile.
La conseguenza della scelta di Gesualdo in favore della logica della roba è una totale
sconfitta umana → dalla sua lotta per la roba e dal suo percorso di elevazione sociale
Gesualdo HA RICAVATO ODIO, AMAREZZA, SOFFERENZE, provocate dalle delusioni
familiari, e LA CONDANNA ALLA SOLITUDINE anche in punto di morte, quando egli
assume conoscenza del totale fallimento delle sue aspirazioni, a differenza dI Mazzarò
nell’opera “La roba” che non si rende conto dell’inevitabile sconfitta di fronte alla morte, tanto
da voler portare con sé la roba nell’aldilà. Gesualdo viene presentato quindi come un
vincitore materialmente, ma un “vinto” sul piano umano.
Nel Mastro Don Gesualdo Verga resta fedele al principio dell’impersonalità e all’eclisse
dell’autore e al discorso indiretto libero, mediante cui sono riportati i pensieri del
protagonista.
DECADENTISMO
Con il termine DECADENTISMO si etichetta una corrente culturale di dimensioni europee,
che nasce in Francia e si sviluppa dal 1870 al 1920. In quegli anni le aspettative
positivistiche e la fiducia posta nel progresso (visto come l’unica possibilità di sconfiggere i
mali della società come l’analfabetismo o la differenza tra nord e sud), che avevano
caratterizzato i decenni precedenti, vengono disilluse: la scienza e il progresso non hanno
portato i risultati sperati e l’ideale tra il reale e l’ideale aumenta.
L’intellettuale decadente comincia a provare disagio rispetto ai suoi tempi (come era
accaduto nel romanticismo) e rispetto alla società borghese, ritenuta mediocre e volgare,
che aveva come unico obiettivo il profitto e il guadagno (a differenza l’artista rifiuta la
volgarità e il cattivo gusto, ma ricerca uno stile raffinato, aristocratico). ll conflitto tra artista e
società è quindi sempre più evidente e questa sfiducia nella ragione porta l’intellettuale e
provare un senso di distaccamento, di solitudine, di incomunicabilità, malinconia e di
disprezzo rispetto alla realtà contemporanea. Gli intellettuali usano il termine inglese
“spleen” per riferirsi alla solitudine, in quanto la milza è l’organo sede della malinconia.
La società è estremamente ostile all’intellettuale decadente, il quale non si sente più guida
all’interno del popolo → rifiutando la realtà esterna, l’intellettuale si esclude definitivamente
da essa e perde il suo ruolo sociale (la differenza con il poeta romantico è che quest’ultimo,
rispetto a quello decadente, condivide i valori della comunità a cui appartiene). Egli arriva a
chiudersi all’interno di un esilio volontario: fugge dalla realtà negativa e si rifugia in un ideale.
Il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del
reale, poiché l’essenza del reale è al di là delle cose, è misteriosa ed enigmatica, nascosta,
è tutto ciò che possono percepire i nostri sensi; per cui solo rinunciando ad un approccio
razionale si può tentare di attingere all’ignoto. Il mistero è dietro la realtà visibile e può
essere decifrato solo dal poeta, il quale viene considerato POETA VEGGENTE. L’artista
viene dunque considerato superiore agli altri.
Pertanto, nella poetica decadente, la parola è misteriosa, carica di significato, destinata a un
numero ristretto. LA PAROLA DIVENTA SIMBOLO. Ha una forza allusiva: crea suggestioni
musicali ed analogie, e riesce ad “indagare l’invisibile e udire l’inudito”. Il decadentismo,
infatti, viene definito anche con il termine SIMBOLISMO. La lingua viene definita dal poeta
francese Rimbaud LINGUA DELL’ANIMA PER L’ANIMA .
I decadenti inoltre si rifugiano nel CULTO DEL BELLO, in quanto lo considerano l’unica
forma di conoscenza. Questo culto dell’arte ha dato origine al fenomeno dell’ESTETISMO,
secondo il quale il poeta è visto come un esteta: colui che assume come principio regolatore
della vita il BELLO, tutto ciò che è artificioso, non è armonia e equilibrio; egli rifiuta i canoni
classici. Questa posizione viene teorizzata originariamente in Inghilterra e ripresa poi da
Huysmans, Oscar Wilde e D’Annunzio, secondo i quali la vita deve essere un’opera d’arte.
Si hanno inoltre trascendenze all’attivismo, al vitalismo, all’estetismo e al superomismo.
I poeti francesi Baudelaire, Rimbaud e Mallarmé vengono definiti POETI MALEDETTI: essi
rifiutano la morale borghese e svelano la realtà nascosta.

TECNICHE NARRATIVE
Per quanto riguarda le tecniche narrative, nelle opere gli artisti pongono l’attenzione su un
solo personaggio, collocato in un ambiente che è lo specchio della loro interiorità; c’è
l’esaltazione della propria individualità → LA SCOPERTA DELL’INCONSCIO è il dato
fondamentale della cultura decadente. I decadenti tendono a distruggere ogni legame
razionale, convinti che solo un abbandono totale all’inconscio possa garantire la scoperta di
una realtà più vera.

TECNICHE ESPRESSIVE
❖ MUSICALITÀ
❖ SINTASSI: non è regolare, ma vaga e ambigua.
❖ METAFORA: si carica di significato, esprime meraviglia e stupore.
❖ ANALOGIA: lo scrittore accosta parole lontanissime tra loro sul piano razionale, creando
delle corrispondenze.
❖ ALLEGORIA: una parola esprime un significato diverso da quello letterale.
❖ SINESTESIA: permette di mettere insieme campi sensoriali diversi

GABRIELE D’ANNUNZIO
La vita di D’Annunzio è sostanza della sua poesia, è importante, estetizzante e inimitabile.
Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia borghese. Per alcuni anni
esercita la professione di giornalista, collaborando a vari giornali con articoli di cronaca,
letteratura, arte e costume, tra cui “Mattino”. In ambito letterario acquista subito notorietà.
In questi anni, seguendo i princìpi dell’estetismo, costruisce intorno a sé il mito di vivere una
vita come un’opera d’arte; sceglie di vivere come se facesse un monumento a sé stesso.
Si crea la maschera dell’esteta → un individuo superiore che rifiuta i valori della mentalità
borghese e i princìpi della morale corrente, isolandosi dalla società e rifugiandosi in un
mondo di pura arte. Per D’Annunzio L’ARTE (la bellezza) è l’unica forma di conoscenza.
Con la figura dell’esteta, D’Annunzio propone una nuova immagine di intellettuale che si
pone fuori della società borghese (D’Annunzio considerato il più grande esteta).
Ben presto però si rende conto della debolezza di questa figura, in quanto presenta un limite
→ l’esteta non affronta la realtà, non ha la forza di opporsi realmente all’ascesa della
borghesia ed è destinato quindi ad un isolamento in cui il culto della bellezza si trasforma in
illusione e menzogna. Ciò è legato al VELLEITARISMO, l’atteggiamento di chi ha aspirazioni
o programmi ambiziosi, ma infondati, vaghi. L’estetismo entra in crisi.
D’Annunzio trova uno sbocco alternativo alla crisi dell’estetismo grazie alla lettura delle
teorie del filosofo Nietzsche, da cui ne riprende il rifiuto del conformismo borghese e dei
principi egualitari, l’esaltazione dello spirito dionisiaco, il rifiuto dell’etica del pietà e
dell’altruismo, l’esaltazione della volontà di potenza, dello spirito della lotta e
dell’affermazione di sé.
Elabora così il mito del superuomo → NON era più sufficiente la vocazione alla
bellezza/all’arte, ma era necessaria un'azione eroica, attivistica. Infatti, quando parliamo di
SUPERUOMO ci riferiamo ad un individuo eccezionale, realizzato, dotato di vitalismo, libertà
creativa e volontà di affermare sé stesso senza rispettare alcun ordine morale sociale;
destinato a dominare sulla massa (società borghese), considerata inferiore, mediocre,
guidata da ideali di profitto e guadagno.
La morte di dio è il presupposto per diventare SUPERUOMO, il quale è dotato di libertà
creativa → sono tramontati tutti i valori del poeta, considerato un uomo superiore, il creatore.

L’intellettuale assume una nuova immagine: quella di artista-superuomo: l’intellettuale


assume la funzione di VATE: l’artista fa da guida alle coscienze, guida la nazione verso un
destino glorioso di potenza e di dominio.
Inoltre, l’artista si prefigge una MISSIONE POLITICA → attraverso la sua attività artistica e
intellettuale deve aprire la strada al dominio di una nuova élite, ponendo fine al caos del
liberalismo borghese, della democrazia e dell’egualitarismo.
L’occasione per l’azione eroica gli venne offerta dalla Prima guerra mondiale; allo scoppio
del conflitto D’Annunzio decide di arruolarsi come volontario.

Nel corso della sua vita si possono riscontrare due personalità contrastanti; per questo
motivo i critici parlano di 1º e ultimo D’Annunzio.
Il 1º D'Annunzio si caratterizza dal SUPEROMISMO, il quale riassume notevolmente la
personalità di D’Annunzio che ha una percezione orgogliosa → lui vuole affermare la sua
superiorità rispetto alla massa.
In questo primo periodo la POESIA deve sovrabbondare di parole, deve esaltare le
esperienze eccezionali del superuomo, è rara, splendida, fatta di musicalità, sonora,
artificiosa.
La PAROLA diventa magniloquente, sontuosa, lussureggiante, con uno stile non essenziale
per esprimere al meglio la visione del superuomo.
E’ presente un forte patriottismo → la patria doveva dominare i popoli più deboli.
Il poeta viene definito POETA VEGGENTE, in quanto è l’unico che può cogliere la verità
rispetto alla massa mediocre che non può coglierla, l’intellettuale è superiore.
L’EROE DECADENTE D’ANNUNZIANO è raffinato, esteta, poeta vate, amante del bello,
lontano dalle masse.
In seguito si manifesta un FORTE CAMBIAMENTO nella personalità del poeta, il quale si
distacca dal concetto di superuomo → D’Annunzio diventa più intimo, un uomo autentico,
prende consapevolezza della solitudine e si rende conto del limite della finitezza dell’uomo
che esiste. Con l’ultimo D’Annunzio la parola cambia: diventa essenziale, incisiva ed ellittica.
Lo stile è nominale, fatto di frasi brevi e incisive, tipico delle tendenze del 1900.

E’ molto noto per aver compiuto gesta memorabili che costituiscono una LEGGENDA
BIOGRAFICA, come per esempio la Missione di Fiume, nella quale perde la vista di un
occhio → per questo motivo comincerà a scrivere in modo diverso, costretto con l’occhio a
stare fermo, ma non abbandonerà mai la scrittura.
Comincia a scrivere su CARTIGLI, ovvero degli scritti significativi costituiti da striscioline di
carta (taccuino di D’Annunzio) → la scrittura diventa essenziale, avendo poco spazio per
scrivere.
Inoltre, il poeta esercitò un profondo influsso non solo sulla cultura italiana, anche sulla
politica, poiché elaborò ideologie, atteggiamenti, slogan di propaganda che furono fatti propri
dal fascismo. Ma ispirò anche le forme di cultura di massa come il cinema.

D’Annunzio appartiene alla corrente del DECADENTISMO → cresce questa forte delusione
di fine secolo e crisi delle certezze del positivismo, post-risorgimentali, rispetto alle
aspettative disilluse dell’uomo che credeva in un’unificazione territoriale che avrebbe portato
uguaglianza, benessere e abbattuto le differenze tra Nord e Sud.
Tramontano gli IDEALI RISORGIMENTALI, i valori romantici come la gloria, l’amore per la
patria, l’eroismo (NO riscatto sociale).
L’intellettuale è in conflitto con il presente, per questo motivo decide di isolarsi, di compiere
un esilio volontario perché è in conflitto con il presente, si sente estraneo al mondo che lo
circonda e si chiude in sé stesso.
D’Annunzio arriva al decadentismo attraverso la sperimentazione come “dilettante di
sensazioni”. Il suo decadentismo è il frutto di scelte ben precise, meno istintivo.
Con l'opera “Vivere inimitabile” (vita mondana estetizzante, in decadenza) D’Annunzio viene
definito dal critico Benedetto Croce “dilettante di sensazioni” → D’Annunzio era molto aperto
ai suggerimenti che nascevano in Europa (soprattutto ai romanzi russi che danno
competenza all’analisi psicologica o ai simbolisti francesi) rispetto a Pascoli, e non riesce a
esprimere a pieno un’unica espressione di quelle tendenze.
A differenza di Pascoli, D’Annunzio si rifugia nel superuomo, la visione panica della natura.
Con PANISMO si intende la tendenza a fondersi, immedesimarsi con la natura, ad
abbandonarsi alla vita dei sensi e all’istinto nella natura stessa superando ogni limite
dell'uomo e diventare così natura. Il termine panismo viene dal DIO PAN, la divinità che
rappresenta la natura e le forze primordiali della vita. E’ un momento di estasi, di incanto che
può vivere solo il poeta-superuomo. Si esalta la violenta vitalità dionisiaca.
La POESIA è SOGGETTIVA, presenta l’interiorità.

D’ANNUNZIO LIRICO
Per il suo esordio letterario D’Annunzio sceglie di seguire il modello dei due scrittori che
stavano dominando il panorama letterario italiano: Carducci e Verga. E’ molto influenzato
anche dalla poesia greca, dai classici greci.
Le prime due raccolte liriche risalgono ai suoi 16 anni e sono “Primo Vere” e “Canto Novo”
che ottengono molto successo e interesse nei critici. Primo vere (dal latino “all’inizio della
primavera”) allude alla PRIMAVERA DELLA POESIA , la prima stagione dell’amore.
Motivo caratteristico di di queste due raccolte liriche è la SENSUALITÀ DEL PAESAGGIO
(D’Annunzio è partecipe con la natura, ha un rapporto fisico, istintivo).
La prima opera narrativa è la raccolta di novelle “Terra vergine”, nella quale D’Annunzio
presenta figure e paesaggi della sua terra d’origine.

IL PIACERE
“Il Piacere” è il primo romanzo scritto da D’Annunzio nel 1889. E’ la testimonianza più
esplicita del poeta che prende coscienza della debolezza dell’esteta e della sua ideologia (è
ispirato alla vita di piaceri estetici). Al centro del romanzo si pone la figura di un esteta,
Andrea Sperelli, un giovane e raffinato aristocratico che rappresenta un alter ego di
D’Annunzio stesso e riflette perciò la fragilità e l’insoddisfazione dell’autore (incarna l’eroe
decadente). Andrea Sperelli basa la sua intera esistenza sul principio fondamentale
dell’estetismo (che impone di “fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”), il quale lo
conduce ad instaurare un rapporto distaccato e ambiguo con tutto ciò che lo circonda fino a
diventare per lui una forza distruttrice che lo priva di ogni energia morale e creativa; Andrea
Sperelli è un uomo dalla volontà debolissima, privo di slancio morale, di autenticità, incapace
di agire spontaneamente. Tutto ciò lo porta alla fine alla solitudine e alla sconfitta nel
rapporto con l’universo femminile. Le donne hanno un ruolo fondamentale nel Piacere.
Il protagonista è infatti attratto da due donne opposte: Elena Muti, la donna fatale, che
incarna l’erotismo lussurioso ed è il grande amore (il grande piacere) di Andrea; e Maria
Ferres, la donna pura, rappresenta ai suoi occhi l’occasione di un riscatto e di un’elevazione
spirituale. In realtà Andrea mente a sé stesso e cerca di sedurla perché Elena continua a
respingerlo. Quando Maria si concede, il giovane la chiama per sbaglio con il nome dell’altra
donna, provocando la fine del rapporto e restando solo con il suo vuoto.
Il romanzo registra il fallimento del protagonista e del suo progetto di vita come opera d’arte.
La trama narrativa è ridotta al minimo e l’interesse di D’Annunzio si rivolge alla descrizione
minuziosa degli ambienti (aspetto ripreso dal realismo e verismo) e all’analisi dell’interiorità
dei personaggi (lo scrittore mira a creare un romanzo psicologico). Il racconto inoltre è
percorso da una fitta trama di allusioni simboliche, aspetto che si riprenderà nelle correnti
successive.
UN RITRATTO ALLO SPECCHIO: ANDREA SPERELLI ED ELENA MUTI
(dal Piacere, libro III, capitolo II)
Andrea ama Elena, ma improvvisamente lei tronca la relazione e scompare. Al suo ritorno,
Andrea scopre che, per evitare una crisi economica, Elena ha sposato un ricco inglese.
Andrea è disgustato nello scoprire che la loro passione tanto forte era stata impedita da una
per denaro. In questo brano Andrea analizza Elena e si accorge della falsità di alcuni suoi
atteggiamenti, ma è un ritratto “allo specchio”, perché trova nella falsità della donna la sua
falsità, quindi egli la comprende, perché anche lui è così.
Il capitolo si apre con un insieme di pensieri di Andrea, in un suo discorso interiore, sotto
forma di discorso indiretto libero. Nella sequenza successiva interviene il narratore che
pronuncia espliciti giudizi sul personaggio → D’Annunzio vuole prendere le distanze dal suo
eroe e dall’immagine di esteta, poiché prende consapevolezza della debolezza di questa
figura. Si ha una critica all’estetismo, l’immagine dell’esteta entra in crisi.

LE VERGINI DELLE ROCCE


“Le vergini delle rocce” è un romanzo che segna la svolta ideologica radicale di D’Annunzio,
appartiene ai romanzi del superuomo. Il protagonista è Claudio Cantelmo, un eroe forte e
sicuro, disgustato dalla realtà borghese contemporanea; egli vuole raggiungere una forma di
vita superiore e generare il superuomo. Il romanzo si conclude senza che egli riesca a
raggiungere il suo obiettivo. Nonostante le loro ambizioni attivistiche ed eroiche, gli eroi
dannunziani restano sempre deboli e sconfitti.

IL PROGRAMMA DEL SUPERUOMO


(da Le vergini delle rocce, libro I)
Il libro I presenta l’andamento di un’orazione, ovvero di un discorso da pronunciare davanti
ad un pubblico → si caratterizza da un tono solenne e profetico che rivela l’intenzione
dell’eroe di modificare la realtà attraverso la parola, e da un linguaggio aulico e prezioso,
con metafore e paragoni, esclamazioni e interrogazioni retoriche.
Questa orazione del protagonista-narratore mira a proporre un programma politico per il
nuovo intellettuale superuomo → Cantelmo è un esteta, ma allo stesso tempo un uomo
d’azione (l’artista ormai non deve più isolarsi dal mondo nel culto dell’arte, ma deve
trasformare la società. L’estetismo NON è negato, ma viene recuperato ed inserito in una
struttura ideologica nuova).
PROGRAMMA POLITICO → si fa una critica alla società borghese, caratterizzata dallo
spirito affaristico e dall’ossessione al denaro, alla democrazia e all’egualitarismo (gli ideali di
uguaglianza minacciano di appiattire l’umanità in una meccanica uniformità).
Si propone come modello una società gerarchica e autoritaria che instauri un dominio di
classe e che favorisca l’elevazione dell'élite privilegiata. Si favorisce una politica aggressiva
verso l’esterno per restituire a Roma la supremazia sul mondo (questo mito su Roma verrà
recuperato dal fascismo). Il compito dei poeti è di usare la parola poetica come un’arma.
Un progetto del genere ha radici concrete nella realtà sociale e culturale di fine Ottocento: in
questi anni, in Italia esplodevano conflitti sociali e gli ambienti più reazionari maturavano
l’idea di un colpo di Stato per eliminare le libertà politiche e civili ed imporre un governo
autoritario. Sono gli anni in cui le grandi potenze conducevano una politica imperialistica
aggressiva con l’obiettivo di conquistare e mantenere possedimenti coloniali. L’impresa
coloniale in Italia era sostenuta dal ceto medio, deluso dall’assetto politico dopo l’unità e
dall’arretratezza dell'economia nazionale che non conduceva opportunità di iniziativa
individuale. D’Annunzio si riferisce a questo pubblico.

LE LAUDI
La sua raccolta più importante, se non il suo capolavoro politico, sono le “LAUDI”, le quali
contengono le sue opere più mature.
Il progetto iniziale era formato da 7 libri, i quali rappresentavano le sette stelle delle Pleiadi
(costellazioni che gli agricoltori seguivano per la semina), ma ne scrive poi solo quattro:
“Maia”, “Elettra”, “Alcyone” e “Meope”.
Il poeta diventa un tutt’uno con la natura, superando i limiti umani.
Il FONDERSI CON LA NATURA porta a vivere l’ebbrezza con istinto, è una fonte
inesauribile di energia vitale. La natura è l’unica possibile divinità.
Maia è una narrazione del mondo dell’antica Grecia, un canto della vita come gioia.
Merope contiene dieci canzoni, la prima delle quali è “La canzone d’oltremare”, ispirata alla
guerra in Libia.
ALCYONE
(dalle Laudi)
Alcyone è il libro più riuscito, è una sorta di diario ideale, conosciuto anche come POEMA
DEL SOLE, dell’estate, in quanto vengono narrate sensazioni dell’estate a Versilia nel 1902
in compagnia della donna amata del poeta.
L’estate ha un ruolo fondamentale poiché è vista come la stagione che più di tutte consente
il raggiungimento della pienezza vitalistica. A differenza della poetica precedente in cui
D'Annunzio presentava un discorso profetico, polemico e celebrativo, il tema che qui
riprende è la VISIONE PANICA DELLA NATURA; e al posto degli impulsi verso l'azione
energica ed eroica, subentra un atteggiamento di contemplazione ed evasione.
In Alcyone D’Annunzio ricerca LA MUSICALITÀ per creare una melodia → è data dalle
assonanze, consonanze, rime al mezzo e crea immagini sonore forti ed evidenti. La parola
ha un valore fonico.
E’ la raccolta dannunziana più celebrata e viene considerata dalla critica del Novecento un
esempio di poesia “pura”, libera dall’ideologia superomistica e dalle finalità di propaganda.
In realtà l’ideologia superomistica è presente, in quanto l’esperienza panica non è che una
manifestazione del superomismo.

LA PIOGGIA NEL PINETO


(da Alcyone)
“La pioggia nel pineto” è una sua lirica celebre, tratta da Alcyone. E’ l’unica poesia che
scrive ed è una sorta di CANTO → presenta una struttura musicale: D’Annunzio mira a
trasformare la parola in musica, in linea con i princìpi fondamentali della poetica decadente.
A seconda di dove cade la pioggia crea un ritmo più o meno intenso (sulle foglie si
mescolano tanti suoni di cicale, rane, vegetazione).
Uno dei temi centrali di questa poesia è quello dell’amore del poeta per Eleonora Duse
(viene chiamata “Ermione”, un nome che ricorda un personaggio della mitologia greca).
Qui la donna amata accompagna il poeta durante una passeggiata estiva in campagna
finché un temporale non li sorprende, lasciandoli soli e intimi nel pineto, sotto l’acqua che
cade e che crea un’atmosfera surreale. Durante il temporale estivo ci si immerge
completamente nel paesaggio → il poeta chiede subito alla sua compagna di far silenzio per
contemplare i rumori della natura. E’ un mondo incontaminato, lontano dall’umanità.
Al termine della poesia i due protagonisti sono diventati una sola cosa con il bosco.
Al centro del discorso si pone il TEMA PANICO dell’identificazione dell’uomo con la vita
vegetale (tema al quale si collega anche la tematica della metamorfosi).
La metrica è libera, non soggetta a nessun schema tradizionale. La poesia è formata da
quattro strofe di versi liberi; le rime sono libere e vengono utilizzate diverse figure retoriche.

GIOVANNI PASCOLI
Nasce a San Mauro di Romagna nel 1855 da una famiglia della piccola borghesia rurale.
La serenità del nucleo familiare viene sconvolta da una TRAGEDIA, destinata a segnare
profondamente l’esistenza del poeta: il padre venne assassinato a fucilate, ma i responsabili
del delitto non furono mai individuati (al primo lutto ne seguirono molti altri, inclusa la morte
della madre). L’assassinio del padre crea ANGOSCIA, MISTERO, e porta il poeta alla
consapevolezza dell'ingiustizia del mondo.
Negli anni universitari subisce il fascino dell’ideologia socialista, si avvicina alle idee del
socialista Andrea Costa; aderisce a manifestazioni insieme a socialisti contro il governo,
come alla Prima Internazionale dei Lavoratori; per questo motivo viene arrestato e trascorre
alcuni mesi in carcere, ma alla fine viene assolto.
Questa traumatica esperienza determina il suo definitivo distacco dalla politica militante, e
una volta uscito segue un SOCIALISMO UTOPICO, patriottico, filantropico, basato sulla
bontà, sull’amore e sulla fratellanza fra gli uomini. Pascoli è contro LA LOTTA DI CLASSE,
pertanto egli non condivide i princìpi del socialismo scientifico di Karl Marx. Secondo il
poeta, per eliminare i conflitti era necessario che ogni classe conservi la propria fisionomia e
non cerchi di modificare la propria condizione. Il suo ideale si incarna nell’immagine del
mondo dei piccoli proprietari rurali poiché per lui rappresentano l’unica dimensione in cui
possono sopravvivere i valori fondamentali, come la famiglia, la solidarietà e la laboriosità.
Ha un rapporto malato con le sorelle Ida e Maria e vuole riformare idealmente quel “nido”
familiare che i lutti avevano distrutto negli anni dell’infanzia.
La chiusura nel nido familiare e l’attaccamento morboso alle sorelle rivelano la fragilità
psicologica del poeta che, con atteggiamento infantile, cercava nel nido familiare la
protezione da un mondo esterno che gli appariva minaccioso e pieno di pericoli.
Vive una forte INQUIETUDINE a causa di vari avvenimenti che lo portano ad avere paura
della realtà esterna, paura di una incombente catastrofe e della morte.
Si pone IN CONFLITTO CON IL PRESENTE, il mondo gli appare frantumato.
In Pascoli si riflette la crisi del Positivismo, poiché la sua visione è caratterizzata da una
profonda sfiducia nei confronti della scienza come strumento di interpretazione della realtà.
La sua attenzione viene rivolta sempre più verso l’ignoto, il mistero, l’inconoscibile.
Si attacca alle PICCOLE COSE che si caricano di valenze allusive e simboliche e
nascondono messaggi, esprimendo a pieno la sua inquietudine. La sua POESIA dunque
presenta oggetti caricati di una VALENZA SIMBOLICA molto forte. Da questa sua visione
del mondo scaturisce con perfetta coerenza la poetica pascoliana, che trova la sua
formazione più compiuta nel saggio “Il fanciullino”.
Pascoli regredisce nell’INFANZIA, dove non c’è violenza e può sognare e trasformare le
cose; è un momento in cui può fuggire dalla razionalità.
Si cala all’interno di un fanciullino che vede e sente le cose come Adamo, ovvero come colui
che vede le cose per la prima volta, senza essere ancora stato contaminato da pregiudizi,
non ha esperienza. Vede la realtà in modo intuitivo ed irrazionale e questo suo
atteggiamento gli permette di COGLIERE L’ESSENZA PIU’ INTIMA E SEGRETA DELLE
COSE; nulla è più consequenziale, razionale, non ci sono legami logici. La POESIA, infatti,
consente la conoscenza di una REALTA’ IMMAGINOSA.
Il poeta è colui che riesce a dar voce al fanciullino che è dentro di sé. → Pascoli non parla di
poeta veggente ma proprio di POETA FANCIULLINO.
A differenza di D’Annunzio, Pascoli arriva al decadentismo da solo, in un modo più
personale; il suo decadentismo è più intimo, istintivo, chiuso alle istanze europee.
Si condanna da solo alla solitudine, rifugiandosi nel mondo della campagna (nella natura),
nell'eden, nel NIDO dove trova pace, serenità e rassicurazione a tutte le inquietudini della
società e l'incombere di un dramma.
Fa una distinzione tra nido familiare e nido nazionale:
❖ NIDO FAMILIARE → rappresenta una dimensione piccola, intesa nei rapporti ambigui
stretti che si ha con la famiglia.
❖ NIDO NAZIONALE → è una dimensione più estesa che dà protezione, sicurezza al
lavoro, non fa allontanare l’uomo dalla propria patria.
Pascoli riconosce LA SUA VITA COME LA SOSTANZA PRIMA DELLA SUA POESIA, in
quanto la sua vita influenzò notevolmente la sua poetica.
Pascoli inoltre ritiene che la poesia debba essere “pura”, spontanea e disinteressata,
estranea a finalità pratiche, etiche o ideologiche, ma è anche convinto che essa induca
naturalmente alla bontà, all’amore e alla fratellanza, placando gli impulsi violenti dell’uomo.
STILE E LINGUAGGIO
L’ideale dell’armonia sociale e il rifiuto della lotta tra le classi si traduce, sul versante dello
stile, nella scelta di abbandonare il principio classicista secondo cui la poesia può trattare
solamente argomenti elevati per mezzo di un linguaggio aulico. Pascoli mescola
semplicemente tra loro codici linguistici diversi, abolendo così la “lotta” fra le classi di parole.
Inoltre, utilizza una nomenclatura precisa per dare un risvolto simbolico ad ogni oggetto.
La MUSICALITÀ è un aspetto importante della sua lirica; riesce a cogliere il significato più
profondo che c’è dietro la natura. Essa viene data da onomatopee, anafore e allitterazioni.
Lo STILE IMPRESSIONISTICO mette in risalto le percezioni sensoriali.
I componimenti sono brevi.
Dal punto di vista della metrica, la metrica pascoliana è apparentemente tradizionale:
impiega i versi e le strofe più usuali della poesia italiana, ma appaiono frantumati al loro
interno a causa dell’uso frequente delle pause segnate dalla punteggiatura e degli
enjambements. Il poeta conduce anche una sperimentazione sul piano ritmico, non c’è il
ritmo petrarchesco o quello di Foscolo.
A livello delle figure retoriche, Pascoli usa un linguaggio analogico e la sinestesia.
Un critico letterario, Gianfranco Contini, identifica TRE TIPI DI LINGUAGGIO →
➢ Il linguaggio grammaticale è quello della nonna, che viene utilizzato normalmente.
➢ Il linguaggio pre-grammaticale è quello delle onomatopee (fatto di suoni e musicalità);
nella poesia di Pascoli rientrano con precisione il mondo della botanica, il mondo
animale e lo studio degli uccelli, l’ornitologia.
➢ Il linguaggio post-grammaticale è il linguaggio tecnico italo-americano.
Questi tre linguaggi spesso sono fusi tra di loro.

LE TEMATICHE
I temi più ripresi da Pascoli sono senza dubbio il nido, la natura, l'infanzia, la morte,
l’inquietudine e l’ingiustizia.
La natura appare al poeta come una presenza confortatrice di fronte al male della realtà, ma
rimanda anche immagini angoscianti di morte e si configura come un universo minaccioso.
Nella produzione di Pascoli troviamo liriche popolate da ELEMENTI NATURALISTICI:
❖ GLI UCCELLI DELL’ARIA, ai quali si collega l‘immagine del nido familiare e
simboleggiano l‘evasione dalla realtà, dominata dal male, verso una condizione di
felicità. Nelle tradizioni contadine è affidata a questi esseri le previsioni sulla vita e sulla
morte.
Per Pascoli gli uccelli sono INTERMEDIARI fra l‘uomo e il mistero che lo circonda.
❖ I FIORI DEI CAMPI: sono legati al tema della morte o diventano il simbolo di una vita
chiusa, senza rapporto con il mondo esterno, dal quale possono giungere solo violenza
e morte.
Pascoli tratta, però, anche il TEMA DELL’EMIGRAZIONE (uno degli eventi di quegli anni)
che considera una violazione del nido; tale tematica è trattata da Pascoli nel poemetto ITALY
(poemetto in cui, per la prima volta, una parola inglese costituisce il titolo di un testo della
letteratura italiana). Pascoli crede che per risolvere il problema dell’emigrazione sia
necessaria la GUERRA.
Nell’opera “La grande proletaria si è mossa” si discutono i VANTAGGI DELLA GUERRA →
➔ Secondo Pascoli, la guerra avrebbe eliminato l’ideologia della lotta di classe, in quanto
si combatte tutti uniti per un ideale, e avrebbe determinato il sentimento di identità
nazionale che mancava all’epoca.
➔ L'impresa libica era necessaria. Se l'Italia conquistava la Libia, essa diventava un’altra
patria del cittadino italiano, il quale non si sentiva più straniero in una terra straniera
perché si andava a creare un altro nido nazione, risolvendo così il problema dello
sradicamento del proprio nido.
MYRICAE
Myricae fu la sua PRIMA E VERA RACCOLTA POETICA.
Il nome del titolo deriva dal latino ed indica le TAMERICI, ovvero piccoli arbusti sempreverdi
che sottolineano il tono della poesia, la quale è umile, profonda, simbolica, ed è legata alle
piccole cose.
Si tratta di componimenti molto brevi che apparentemente sembrano QUADRETTI DI VITA
CAMPESTRE, però i particolari su cui il poeta fissa la sua attenzione non sono dati oggettivi
descritti in modo realistico, ma segnali che si caricano di sensi misteriosi.
Nelle sue poesie descrive ogni cosa che ha a che fare con il mondo contadino per questo
motivo potrebbe assomigliare ad un'opera verista. MA in realtà c'è un rapporto soggettivo,
poiché il poeta parla di un'esperienza personale con ciò che si vede.
Pascoli decide di descrivere quadretti di vita campestre poiché egli nella campagna ci trova
rassicurazione e lo aiuta a fuggire dal tormento, dall'inquietudine e dal disagio dell’esistenza.
In quest'opera emergono motivi georgici, ovvero richiama le Georgiche di Virgilio.
Già a partire da Myricae, Pascoli affronta il dolore causato dalla tragedia familiare.

TEMPORALE (1894)
(da Myricae)
E’ un componimento pubblicato nella terza edizione di “Myricae“.
È una BALLATA MINIMA di settenari, con schema A BCBCCA.
Si compone di 7 versi settenari, in cui il primo è isolato.
A prima vista è un QUADRETTO IMPRESSIONISTICO, tracciato mediante una serie di
rapide sensazioni uditive e visive. La sensazione di apertura è fonica: il brontolio lontano del
tuono (allude all’inizio di un temporale). Il termine onomatopeico "bubbolio" non viene
impiegato dall’autore allo scopo di riprodurre la realtà in modo oggettivo, ma si carica di
valore evocativo e suggestivo. Il SUONO DELLA PAROLA, infatti, assume una VALENZA
SIMBOLICA e sembra alludere a qualcosa di vagamente minaccioso, inquietante.
Segue poi una serie di sensazioni visive, che si impongono come intense pennellate di
colore, creano anche qui UN'ATMOSFERA INQUIETANTE, assumono una valenza allusiva
ed evocano qualcosa di cupo, minaccioso e angoscioso.
Sullo sfondo nero del temporale spicca la NOTA BIANCA DEL “CASOLARE” a cui viene
accostata l’immagine dell’ “ala di gabbiano”; è un perfetto esempio di linguaggio analogico
(accosta due oggetti che apparentemente non hanno nulla in comune tra loro).
Pascoli usa un linguaggio allusivo e analogico ed annulla tutti i legami logico-sintattici,
accrescendo il valore suggestivo della parola.
La nota di bianco del casolare possiede un valore simbolico: il colore bianco allude alla
speranza, ad un riscatto. Il nero che invade l’atmosfera e il rosso dei lampi evocano invece
oscure angosce (i colori vengono messi in risalto).
L’immagine dell’ala del gabbiano può essere vista come una metafora di una liberazione da
affanni e sofferenze della vita.
Temporale è un componimento breve → nella poesia diventa essenziale ciò che si scrive; la
punteggiatura dunque è fitta e marcata.
NOVEMBRE (1891)
(da Myricae)
La poesia, in un primo momento, venne pubblicata sulla rivista “Vita Nuova”; in un secondo
momento, essa venne inclusa nella prima edizione di Myricae.
In apertura si ha UN QUADRETTO DI NATURA, colto attraverso alcune sensazioni visive ed
olfattive. Ma in realtà questo paesaggio si colloca in un’altra dimensione: la realtà è diversa
dall’apparenza, E’ TUTTO UN’IMPRESSIONE.
Il poeta pone l’accento sull’inganno delle apparenze e sull’inganno della natura → a
novembre il clima sembra primavera, ma è solo un’illusione; si ha l’impressione che sia
tornata l’estate, ma è tutto frutto dell’immaginazione (si conferma così subito come la poesia
di Pascoli non si fermi mai al dato oggettivo, ma rimandi sempre a un mistero che si cela
dietro la realtà visibile).
Il poeta rappresenta un particolare periodo dell’anno, l’estate di San Martino, i giorni vicino al
11 novembre (data in cui si celebra San Martino).
È una lirica di 3 ENDECASILLABI e 1 QUINARIO a rima alternata.
La lirica può essere divisa in 3 QUADRETTI, in cui ogni strofa coincide con un quadro →
1) Nella prima strofa viene rappresentata l’immagine di una primavera illusoria, in cui sono
la luce, la vita, il colore e il calore a dominare. Le parole qui ripropongono quel senso di
luminosità e di chiarezza e conferiscono un’atmosfera del tutto serena e pura.
2) Nella seconda strofa all’illusoria primavera subentra la stagione autunnale.
Anche questo quadro di natura NON è realistico; il poeta rende l’idea di ciò ponendo
all’inizio della strofa un “ma” → un’avversativa rivela l’inganno della natura.
Dietro il paesaggio si avverte la costante presenza della morte: alla morte alludono i
rami neri ed il cielo privo di uccelli, il terreno sterile; ma anche il silenzio e il rumore delle
foglie secche che cadono. Si ha un capovolgimento delle immagini iniziali.
3) Nel terzo quadro si ha un’accentuazione delle sensazioni di morte.
La sinestesia “cader fragile” allude all’incertezza della vita, mentre l’ossimoro “estate
fredda” accentua le immagini di morte. Il termine “fredda” è in opposizione simmetrica
con “gemmea” all’inizio della prima strofa; con questi due termini il poeta vuole ribadire
l’opposizione tra la vita e la morte.

I POEMETTI
Un’altra IMPORTANTE RACCOLTA POETICA sono I Poemetti, divisi in Primi poemetti e
Nuovi poemetti. Si tratta di componimenti più lunghi, i quali presentano un taglio narrativo,
divenendo spesso dei veri e propri racconti in versi. Cambia la struttura metrica: ai versi
brevi subentrano le terzine dantesche, raggruppate in capitoli di varia estensione.
Anche qui l’ambiente della campagna assume rilievo dominante , in quanto essa appare al
poeta come un rifugio rassicurante, in contrapposizione alla realtà contemporanea. Il mondo
rurale pascoliano viene però idealizzato, a differenza del verismo, ignora gli aspetti più crudi
della realtà popolare, come la miseria o il bisogno. Il poeta si sofferma sugli aspetti più
quotidiani, umili di quel mondo.
Al di fuori di questo ciclo sulla vita di campagna si collocano numerosi poemetti che
presentano temi più torbidi, densi di significati simbolici. Un esempio è Italy.
ITALY (1904)
(dai Primi Poemetti)
È un poemetto molto lungo, diviso in due canti.
Pascoli affronta un tema sociale, L’EMIGRAZIONE, descrivendo il ritorno temporaneo di una
famiglia di emigranti al paese natale. Erano stati costretti ad abbandonare il loro “nido” per
cercare lavoro in paesi stranieri, come conseguenza alla povertà.
Due fratelli emigranti, Ghita e Beppe, tornano dall’America al loro paese natale, l’Italia, con
la piccola Maria, detta Molly, figlia di un altro fratello e malata; ad accoglierli è la nonna.
Molly, bambina nata in terra straniera, in un primo tempo detesta l'Italia, MA poi instaura un
profondo legame affettivo con la nonna, che alla fine muore, mentre Molly guarisce.
Al centro del componimento si colloca sempre il mondo contadino, non si offre un mondo
idealizzato, semplice ed umile, MA vengono esaltati la miseria e lo squallore.
L’interesse del poeta poi si concentra sulla dura realtà dell’emigrazione: ne emergono lo
smarrimento di trovarsi in un paese straniero, la difficoltà di impararsi una lingua straniera, la
fatica di guadagnarsi da vivere; ma soprattutto il sogno degli emigranti di allontanarsi
dall’America e tornare in Italia per riprendersi il pezzo di patria che avevano perduto.
Nel poemetto inoltre SI SCONTRANO DUE GENERAZIONI, mondi diversi: il mondo
moderno e industriale della nuova patria (l’America) rappresentato dai giovani, e il mondo
arcaico della campagna lucchese rappresentato dalla nonna. Tra i due mondi si crea
INCOMUNICABILITA’, la quale viene sottolineata dall’incastro delle battute in inglese della
bambina con quelle della nonna.
Allo stesso tempo IL MONDO CONTADINO VIENE ESALTATO, soprattutto con la
trasformazione della piccola Molly: all’inizio rifiuta la realtà contadina, ma poi esce guarita da
quel soggiorno, accetta questa realtà e si inserisce in questo mondo.
Pascoli abbandona il gioco simbolico delle immagini e usa il taglio narrativo su cui viene
posta un’attenzione più realistica alla vita sociale.
Il poemetto presenta anche un originale esperimento linguistico → usa una sorta di impasto
linguistico, allontanandosi dal monolinguismo tradizionale. Riproduce fedelmente il gergo
italo-americano, trasmettendo in modo efficace non solo la dolorosa perdita di identità
culturale avvertita dagli emigranti, che non sanno più usare la loro lingua d’origine, ma
anche la nostalgia della patria che gli emigrati italiani si portano dentro.
A livello metrico, utilizza la TERZINA DANTESCA facendo rimare parole italiane con parole
straniere.
I CANTI DI CASTELVECCHIO
I Canti di Castelvecchio sono considerati una CONTINUAZIONE di “Myricae”.
Anche qui ritornano le immagini della vita di campagna, e ricompare una misura più breve,
lirica, anziché narrativa. Ricorre nuovamente il motivo della tragedia familiare e dei cari
morti. Inoltre il nuovo paesaggio di Castelvecchio viene spesso accostato a quello della
Romagna, dove il poeta aveva trascorso la sua infanzia, quasi ad istituire un legame tra il
nuovo “nido” costruito dal poeta e quello spazzato via dai numerosi lutti. Non mancano infine
anche in questa raccolta i temi più morbosi ed inquieti.

IL GELSOMINO NOTTURNO (1901)


(dai canti di Castelvecchio)
La poesia è un EPITALAMIO, un componimento in lode scritto per le nozze di un suo amico.
A una prima lettura la poesia appare costituita da una serie di sensazioni impressionistiche
che hanno lo scopo di creare un’atmosfera notturna.
Il componimento evoca in termini simbolici e allusivi la prima notte di nozze del suo amico,
nella quale aveva concepito un figlio. In questa prospettiva assume significato l’immagine
fondamentale del GELSOMINO, un fiore che si schiude al calar della sera per il processo di
fecondazione. Il gelsomino notturno, infatti, è SIMBOLO DELL’INIZIO DI UNA NUOVA VITA .
Pascoli avverte una forte attrazione nei confronti del rito amoroso, MA al tempo stesso ne è
turbato, poiché concepisce il rapporto sessuale come violenza inferta alla carne.
Il componimento dunque NON rappresenta un inno gioioso alla fecondazione, ma esprime
piuttosto il rimpianto di chi si sente escluso dall’esperienza sessuale. Il punto di
osservazione infatti si colloca all’esterno della casa in cui avviene il rapporto amoroso.
Il poeta vuole celebrare la fecondazione, ma sa che non può personalmente avere il suo
“nido”, non può essere il sereno e appagato padre di famiglia, poiché la tragedia familiare lo
porta a regredire nella condizione psicologica infantile, impedendogli di uscire. Infatti, invece
di instaurare un legame adulto col mondo esterno (e in primo luogo con una donna), egli
stringe un LEGAME OSCURO ED OSSESSIVO CON I MORTI e si rinchiude nella sua
solitudine; Pascoli vede l’uscire, il legarsi ad una donna come un tradimento a qualcosa di
così sacro ed inviolabile come il nido.
La sintassi è elementare, semplice → usa i VERSI NOVENARI, e sono presenti rime, un
gioco di accenti nella prima parte e una sinestesia nel verso 10 “l’odore di fragole rosse”.

Il primo Novecento →
Agli inizi del 900’, a causa del processo di trasformazione che caratterizza il bisogno di
rinnovamento artistico-culturale, mutano la poesia e la prosa, riprendendo spunti già
anticipati dal Decadentismo.
La lirica tende ad abbandonare gli schemi più rigi e rigorosi, basati sulla metrica e sulla rima,
per avvalersi del verso libero. La prosa tende a farsi soggettiva e predilige misure brevi.
A distruggerne completamente le forme sarà il Futurismo.

LE AVANGUARDIE STORICHE
Il termine «avanguardia» è tratto dal linguaggio militare e indica una colonna di soldati,
solitamente esploratori che vanno avanti per preparare la strada all'esercito.
Nel campo della letteratura si indicano con il nome di avanguardia quei gruppi di intellettuali,
che si pongono polemicamente e provocatoriamente in contrasto con la tradizione e con la
società del loro tempo, rifiutano in gruppo i modelli del passato e adottano linguaggi
assolutamente nuovi e rivoluzionari, compiacendosi di stupire e di scandalizzare il pubblico.
Di solito gli intellettuali d'avanguardia non operano individualmente, ma costituiscono dei
gruppi che, pur essendo talora agitati al loro interno da vivaci polemiche, si muovono lungo
linee comuni. Le avanguardie mirano a un rinnovamento totale della società, in questo
senso l’avanguardia presenta un evidente carattere militante.

Lo strumento principale attraverso i quali i movimenti d'avanguardia enunciano il loro


programma è il “MANIFESTO” che contiene in forma esaltata e volutamente
PROVOCATORIA i principi ai quali il gruppo si ispira.
I manifesti dei movimenti d’avanguardia non si limitano a fornire i precetti della nuova
poetica, ma sono essi stessi dei testi letterari nei quali viene spesso sperimentato un
linguaggio nuovo, solitamente declamatorio e agitato, ricco di affermazioni forti che
richiamano gli slogan pubblicitari.
Tra i temi principali troviamo la guerra, il giornalismo, la critica alla donna (la quale non
aveva riconoscimento)

Tra i movimenti d'avanguardia del primo Novecento, oltre al Futurismo, ricordiamo:


➢ IL CUBISMO: sorto a Parigi, investì esclusivamente il campo della pittura e costituì il
punto di partenza di tutta l'arte moderna.
➢ L’ESPRESSIONISMO: movimento artistico letterario nato in Germania che operò per far
emergere le contraddizioni e l'angoscia.
➢ IL DADAISMO: movimento, sorto a Zurigo, che sia nell'arte sia nella letteratura rifiutava
ogni forma di razionalità per affermare in modo provocatorio il non-senso, il gioco, la
combinazione casuale delle parole.
➢ IL SURREALISMO: movimento artistico e culturale sorto in Francia negli anni venti, che
sosteneva l’abolizione di ogni espressione razionale e l'utilizzo della psicoanalisi allo
scopo di liberare l'inconscio e di giungere cosí a un linguaggio capace di dar voce a
sogni, visioni, fantasie, allucinazioni.

IL FUTURISMO
Il Futurismo fa parte delle cosiddette avanguardie storiche che nel primo Novecento si
svilupparono nelle più importanti città europee come Parigi, Berlino, Zurigo, Mosca, Milano…
Nasce ufficialmente a Parigi il 20 febbraio 1909, quando Tommaso Marinetti pubblicò sul
giornale «Le Figaro», il PRIMO MANIFESTO FUTURISTA che contiene i fondamenti del
movimento.
A questo ne seguiranno, negli anni successivi, molti altri (circa cinquanta in tutto) che
investono i più svariati settori: dall'arte alla moda, dalla letteratura alla cucina, dalla politica al
cinema.
Il Futurismo vuole presentarsi infatti come ARTE TOTALE, cioè come un progetto che
coinvolge tutti gli aspetti della vita e della cultura.
Altro fondamentale principio a cui il movimento si ispira è la MODERNITÀ. Infatti, come
suggerisce il nome stesso, si propone di operare un rinnovamento totale all'insegna
dell'industrializzazione, della macchina, della velocità, del dinamismo in antitesi con ogni
forma di tradizionalismo.
La totale ADESIONE AL NUOVO implica altri due aspetti: il netto rifiuto della tradizione e
l'esaltazione della violenza, della guerra, del militarismo.

Nel Manifesto posizioni innovatrici e moderne convivono con la celebrazione di valori


tradizionali (patriottismo, nazionalismo) e con un pericoloso culto della violenza → questi
atteggiamenti possono spiegare l’avvicinamento al fascismo di alcuni esponenti del
Futurismo, fra cui lo stesso Marinetti che nel 1929 fu chiamato da Mussolini a far parte
dell'Accademia d'Italia.

Oltre che per mezzo dei Manifesti, i Futuristi propagandavano le loro idee anche durante le
famose “serate futuriste” nel corso delle quali venivano in modo provocatorio recitate opere
letterarie, eseguite musiche e rappresentati testi teatrali futuristi.
L'intenzione dei futuristi era evidentemente quella di sorprendere e scandalizzare il pubblico
che reagiva a sua volta in modo violento alle provocazioni degli autori.
La caratteristica era l'eccezionale brevità: duravano infatti solo pochi minuti e per questo
erano chiamati SINTESI.
Nel campo della letteratura il Futurismo si oppose alla tradizione letteraria italiana ispirata a
un ideale di ordine, armonia ed eleganza e incarnato dalle famose «tre corone»: Carducci,
Pascoli, D’Annunzio.

Il Futurismo, che ha avuto i suoi centri principali a Milano, Roma e Firenze, si è sviluppato in
un arco di tempo abbastanza lungo che va dal 1909 al 1944, anno della morte di Marinetti.
Si possono distinguere due momenti: una prima fase «eroica» che giunge fino alle soglie
della prima guerra mondiale, e una seconda contrassegnata da importanti iniziative,
soprattutto nell'ambito delle arti figurative.

Sul piano letterario ha svolto una funzione di rottura nei confronti della tradizione
accademica e ha aperto la via al rinnovamento della poesia novecentesca. Ma, se si
escludono i Manifesti, non ha lasciato opere significative.

Non bisogna infine dimenticare che il Futurismo ha inciso notevolmente su poeti come
Ungaretti, che lo hanno «attraversato» per poi muoversi in altre e più personali direzioni.

Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista infatti Marinetti proclama →


➢ la distruzione della sintassi: viene vista come una gabbia che impedisce la piena
adesione della letteratura alla realtà.
➢ l'abolizione dell'aggettivo e dell'avverbio, visti come inutili ornamenti che limitano la
visione dinamica del mondo propria del Futurismo.
➢ l’uso del verbo all'infinito che dà il senso della continuità della vita.
➢ l'abolizione della punteggiatura, la quale viene sostituita da segni matematici per
accentuare certi movimenti e indicare la loro direzione, mentre la pagina è vivacizzata
da spazi bianchi, linee, cerchi, caratteri tipografici diversi disposti con massima libertà e
originalità.
➢ l'uso delle parole in libertà e dell'immaginazione senza fili. Le parole devono essere
collocate a caso sulla pagina, cosí come nascono nella mente dello scrittore; inoltre lo
scrittore accosta le immagini piú diverse, non vincolate da alcun filo logico in modo da
creare effetti sorprendenti. Vengono cosí realizzate le tavole parolibere, testi nei quali si
mescolano parole, disegni, colori, caratteri tipografici differenti in modo da riprodurre la
coesistenza delle sensazioni, la vitalità e il dinamismo della materia.

La lirica del primo Novecento in Italia


La lirica del primo Novecento esprime una profonda esigenza di rinnovamento, in seguito
alla crisi della cultura positivistica e l'esaurirsi delle forme della letteratura tradizionale.
Pur ispirandosi alle soluzioni del Decadentismo, risente della nuova concezione di “poesia
pura”, che pone in primo piano la soggettività del poeta e la condizione dell’uomo
contemporaneo nel difficile rapporto con la realtà che lo circonda.
Anche le rime e le forme chiuse della metrica tradizionale vengono contestate oppure
abbandonate del tutto a favore del verso libero.
Queste caratteristiche accomunano tendenze e personalità assai diverse per altri aspetti: i
poeti “crepuscolari” e i “vociani”.
POESIA CREPUSCOLARE
La definizione di POESIA CREPUSCOLARE risale al critico Giuseppe Antonio Borghese, il
quale fece una recensione (1909) sul quotidiano “La Stampa”. Fu il primo a parlare di
“gloriosa poesia che si spegne”.
Questa poesia rappresenta il crepuscolo, il tramonto della più alta tradizione lirica, ancora
incarnata tra l’Otto e Novecento da Carducci, D’Annunzio e Pascoli.
La poesia crepuscolare si caratterizza per le atmosfere malinconiche, più grigie delle liriche
e per il forte attaccamento per amore alle piccole cose, considerate le uniche che ci danno
certezza rispetto a ciò che ci circonda. Si sottolineano l’incapacità dell’uomo di amare e la
noia esistenziale. I poeti si allontanano dai toni eroici e riprendono aspetti quotidiani della
realtà che fino a quel momento la poesia aveva rifiutato.
La poesia NON ha più messaggi eccezionali da proporre, ma si presenta come esperienza
minore. Interpreta la crisi dei valori poetici nel mondo borghese.
Il linguaggio è ripetitivo e semplice, vicino al parlato.
Uno dei poeti crepuscolari più noti è Gozzano.

GUIDO GOZZANO (1883 - 1916)


Trascorre la sua vita a Torino, in cui comincia il suo studio della poesia. La letteratura italiana
è il suo principale interesse; frequenta circoli letterari europei in modo da ampliare i suoi
orizzonti e partecipare a esperienze internazionali del decadentismo europeo.
Va in India per sperare di migliorare il suo stato di salute → “viaggio per fuggire da un altro
viaggio”. Muore molto giovane a causa della tubercolosi.

Guido Gozzano occupa un posto singolare tra i crepuscolari → ciò che lo rende unico è la
sua capacità di riuscire a svelare aspetti umani del mondo borghese e di cogliere l’umanità
intatta.
Attraverso un’ironia amara e dolente il poeta descrive la realtà del mondo medio, del piccolo
borghese. L’autore ricopre con ironia la presenza dolorosa della morte. E’ consapevole del
proprio male e del desiderio di vivere.
Trova ispirazione nelle piccole cose, nelle buone cose di cattivo gusto della vita provinciale e
dell’infanzia serena, pensata come un rifugio di pace.
Nella poesia gozzaniana abbiamo un rovesciamento della tematica dannunziana: tutto ciò
che è sublime e superumano in D’Annunzio, si trasforma in umile, modesto e umano.
Alla vita inimitabile di D’Annunzio contrappone la mediocrità della vita provinciale.
La poesia appare come un gioco, diviene unica e vera consolazione del poeta.
Gozzano apre la strada a una nuova visione della poesia → dichiara l’incertezza della
poesia stessa. Il poeta è disilluso di ogni cosa: è sentimentalmente esaurito, ironicamente
perplesso di fronte alla mutabilità della vita.
Il linguaggio poetico gioca su una serie di rami: cadute, ripetizioni, riprese, discorsi
colloquiali, verso spezzato da frequenti enjambements e punti di sospensione usati ai limiti
delle loro possibilità espressive.
La sua raccolta più importante è “Colloqui”, in cui l’autobiografia si mescola alla letteratura.
Presenta un forte senso di straniamento, forte sentimento di angoscia verso la morte, motivo
della malattia, l’impossibilità di sfuggire alla negatività del presente.
LA SIGNORINA FELICITA OVVERO LA FELICITÀ,
dai Colloqui (1911)
E’ un poemetto che fa parte della seconda sezione dei Colloqui, intitolata Alle soglie.
Gozzano canta le umili cose del buon tempo antico e i beni a lui negati con IRONIA e
RIMPIANTO STANCO.
La signorina Felicita ovvero la felicità è una donna buona e sincera, con le sue vesti da
contadina, di provincia, casalinga dai modi semplici; è di altri tempi → è di un mondo che in
realtà non esiste più: è la personificazione della sincerità della vita di provincia e rappresenta
l’unica possibilità di ritrovare i valori genuini e assaporare una vita autentica e felice.
Il poeta ricorda la storia d’amore che è nata con lei, ma mai portata a termine. Ha il ricordo di
alcuni momenti di serenità in un'estate trascorsa nel Canavese (in Villa Marena) in
compagnia della signorina Felicita, con la quale era solito fare delle passeggiate.
Questa vicenda prende avvio al crepuscolo del giorno di luglio in cui si festeggia Santa
Felicita. I primi ricordi sono sfocati poi un po’ più chiari e distinti, ma pur sempre sbiaditi.
Lo spazio geografico è vasto e sconfinato, ritratto in un’atmosfera impalpabile, ricca di sapori
di un mondo lontano.
Villa Marena (la casa di Felicita) viene collocata in dimensione passata, trasmette un senso
di nostalgia, di distacco. La casa è diventata una rovina; la sua descrizione ha una duplice
finalità → serve a soffermarsi sul passato, abbandono, decadenza (caratteristica dei
crepuscolari) e fa da sfondo per descrivere figure della personalità della donna di Felicita.
L’autore è consapevole della irrealizzabilità del sogno di evadere, di vivere un’esistenza
diversa. Il poeta è costretto a guardare la realtà con sorriso distaccato e ironico.
L’autore adotta un LINGUAGGIO COLLOQUIALE dai toni più narrativi che lirici.
I momenti di descrizione si alternano a quelli della parlata quotidiana, resi evidenti dal
discorso diretto.
La scena è movimentata → si ha un continuo uso di ripetizioni dello stesso termine a
chiusura del verso o ad apertura di quello successivo.
Sono presenti diversi enjambements e puntini di sospensione per spezzare il verso
Le assonanze danno alla rima una musicalità inedita.
L'ironia rende la rappresentazione quasi materiale, vera e non vera allo stesso tempo.

I VOCIANI
Sono scrittori che collaborano alla rivista fiorentina “LA VOCE”.
Non sono definiti in poetica, hanno personalità diverse tra di loro; ciò che li accomuna è il
rifiuto per la tradizione accademica: c’è maggiore libertà del verso e dell’io, poesia pura.
La loro poesia viene definita come “un’illuminazione della realtà interiore” (la poesia del
frammento), in quanto la poesia affronta la realtà interiore, la soggettività, ricercando i valori
spirituali e morali. L’uomo si sente estraneo nei confronti del mondo sconosciuto, per questo
affronta dei colloqui interiori con la propria anima. C'è la volontà di un impegno civile e
sociale, un’autonoma espressione dell’io.
E’ presente una contaminazione tra poesia e prosa; viene impiegato il verso libero.
Gli scrittori più importanti furono Dino Campana, Camillo Sbarbaro, Clemente Rebora.
PSICOANALISI E LETTERATURA
Il XX secolo si apre con l'avvento della PSICOANALISI DI FREUD che pubblica
"L'interpretazione dei sogni” (1899). La PSICOANALISI è una nuova disciplina per andare a
scoprire l’inconscio e indagare le profondità più ignote dell’uomo che impediscono a volte di
vivere serenamente.
Con la sua nascita c’è una rivoluzione del romanzo del primo 1900.
Le avanguardie storiche, i generi letterari, le poesie accolgono NUOVE TEMATICHE come il
sogno, il doppio, l’apparenza e si ha una RINNOVAZIONE DEL LINGUAGGIO utilizzato nei
testi, il quale comincia ad essere un riflesso della psiche.
Con la psicoanalisi si va a scavare nella realtà interiore dell’animo umano, si va ad indagare
su ciò che c’è oltre il visibile.
I confini tra la realtà che si vive e l’apparenza diventano incerti, confusi da decifrare. I
fenomeni esterni e l’oggettività delle cose non sono sufficienti in sé a rivelare realtà nascoste
e mai conosciute. La psicoanalisi fa uscire fuori l’assurdo dell’esistenza.
I personaggi sono una sorta di antieroe che vive con inadeguatezza la realtà.
La società è caratterizzata da una CONTINUA LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA: si
riprende la legge del più forte, il concetto di selezione naturale e la visione dell'uomo
dominatore che non si fa domande, accetta tutto e poi è capace di integrarsi nella società.
L’uomo più riflessivo che ha consapevolezza dei suoi pensieri si sente inadeguato rispetto
alla società → si parla di vera e propria CRISI DELL’UOMO MODERNO, che con fatica non
riesce ad adattarsi al mondo (Svevo e Pirandello riprendono questo aspetto).

DIFFERENZE ROMANZO 1800 E 1900


❖ Il ROMANZO DEL 1800 è caratterizzato da un’ipotesi iniziale di un’idea e poi l’autore dà
senso all’ipotesi proposta. La realtà è oggettiva. Il romanzo è “orizzontale”: segue uno
svolgimento di azione; gli eventi e gli oggetti acquistano un valore man mano che la
vicenda avanza.
❖ Nel ROMANZO DEL 1900 lo scrittore si lascia colpire da oggetti e avvenimenti che non
sono necessari per lo sviluppo di una vicenda; ci sono fatti insignificanti e apparizioni
improvvise che in un primo momento potrebbero significare nulla, ma che in realtà
nascondono qualcosa di più profondo. Sono dette EPIFANIE, ma vengono chiamate da
James Joyce le intermittenze del cuore. Sono come atti mancati, hanno un significato
profondo e sono piccoli e innocui errori in cui incorriamo ogni giorno.
Si ha una trama verticale, non lineare: la realtà non è oggettiva, ma si presenta una
realtà seconda che deve essere indagata. Diventa più importante il particolare del
generale e rivelare la realtà più profonda diventa il tema del romanzo.
Si comincia a parlare di ROMANZO PSICOANALITICO: si tratta di un romanzo non
naturalistico, in cui prevale la dimensione psicologica ed emerge la realtà dell’inconscio.
Lo scrittore fa un’analisi dei segreti più inconfessabili della coscienza umana servendosi
della psicoanalisi.
Ci sono nuove forme e tecniche narrative ed espressive usate dagli scrittori, tra cui:
➢ LA DISSOLUZIONE DEL TEMPO LINEARE → non c’è un prima o un dopo; il tempo è
interiore ed è gestito dal ricordo.
➢ IL FLUSSO DI COSCIENZA → non c’è una ricostruzione ordinaria degli eventi; essi non
sono organizzati in base a rapporti logici e sintattici, ma secondo un RITMO PSICHICO.
Tutto è regolato da un MONOLOGO INTERIORE.
ITALO SVEVO (1861-1928)
Aron Hector Schmitz nasce a Trieste da una famiglia borghese di origine ebraiche. È meglio
conosciuto con il suo pseudonimo letterario Italo Svevo, che scelse poiché Trieste era una
città dove convivevano civiltà italiana, tedesca e slava che consentivano una mescolanza di
popoli e culture differenti.
Non è un letterato di professione; si genera un’alternanza tra scrittore e dirigente d'azienda.
Non ha una formazione classica, ma fa un percorso di studi letterari, scientifici, filosofici,
umanistici; ciò gli permette di approfondire tutte le discipline nei suoi romanzi. Inoltre Svevo
è molto aperto in ambito europeo e questa sua apertura lo rende più disponibile ad
accogliere tutte le novità che provengono dall’europa.
Il poeta ha due anime: un’anima italiana ed una tedesca → egli si sente poco legato però
alla cultura italiana conservatrice poiché era lenta ad accogliere le istanze esterne straniere.
Infatti, predilige la cultura tedesca (studia letterari tedeschi come Goethe, Schiller, Heine).
DUE EVENTI FONDAMENTALI per la formazione intellettuale di Svevo sono la solida
amicizia che Svevo instaura con James Joyce e la terapia che segue con Freud, dal quale
scopre le teorie psicoanalitiche e decide di approfondirne la conoscenza poiché credeva di
poterne trarre ottimi spunti per la scrittura. Ma Svevo non apprezza la psicoanalisi come
terapia, bensì come strumento conoscitivo e come strumento narrativo.
Sul piano letterario gli autori che hanno maggior peso nella formazione di Svevo sono i
grandi romanzieri realisti francesi dell’800 come Flaubert. Da Madame Bovary di Flaubert
prende la maniera impietosa di rappresentare la miseria della coscienza piccolo borghese.
Un’importanza fondamentale per Svevo ha inoltre la coscienza dei romanzieri naturalisti e in
particolare di Zola o dei grandi umoristi inglesi come Dickens, soprattutto nell’elaborazione
dell’umorismo della Coscienza di Zeno.
I maestri di pensiero che lo influenzano sono → Schopenhauer (fin dagli anni giovanili ebbe
un peso determinante nella sua formazione il pensiero a sfondo irrazionalistico del filosofo, il
quale mostrava un atteggiamento di pessimismo radicale, indicando come unico rimedio al
dolore e all’infelicità umana la contemplazione e la rinuncia alla volontà di vivere), Nietzsche
(da cui trasse l’idea del soggetto come pluralità di stati in continua trasformazione) e Darwin
(da cui riprese la teoria evoluzionistica, fondata sulle nozioni di “selezione naturale” e di
“lotta per la vita”, che lo indusse a considerare il comportamento umano come prodotto di
leggi naturali immodificabili, non dipendenti dalla volontà; egli, però, seppe anche cogliere
come quei comportamenti avessero le loro radici nei rapporti sociali, e fossero quindi non
prodotto di natura, ma storico. In tal modo arrivava a mettere in luce la responsabilità
individuale dell’agire).
Subisce anche l’influenza del pensiero socialista marxista, dal quale trae la chiara
percezione dei conflitti di classe nella società moderna e la consapevolezza di come tutti i
fenomeni siano condizionati dalla realtà sociale, ma soprattutto la coscienza del borghese
tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Nei suoi romanzi infatti si concentra sull’analisi della
coscienza borghese.
Svevo fa una CRITICA AL SOCIALISMO e ai meccanismi economici e sociali della civiltà
europea moderna nel racconto “La Tribù” (1897). Questo racconto esce nella rivista
socialista “Critica sociale” e descrive l'esperienza del socialismo fatta da una tribù nomade
per organizzare la società. Il SOCIALISMO come soluzione sociale appare a Svevo una
corruzione utopica; è L'ESPRESSIONE DELL’INTERESSE INDIVIDUALE del protagonista.
Svevo si interessa dell'interiorità dell’uomo, ma non trascura da tutto ciò che è esterno
all’uomo: le condizioni della società, l’appartenenza di classe; infatti, i personaggi di Svevo
sono sempre configurati socialmente. Svevo insieme a Pirandello sono gli interpreti della
crisi della coscienza dell’uomo moderno.
L’uomo viene definito da Svevo INETTO per la sua incapacità di vivere; è inadatto alla vita,
insufficiente, inadeguato, inopportuno, alla fine è inevitabile il suicidio.
L’uomo non sa cogliere e godere dei momenti che la vita gli offre. È vittima di sé stesso ed è
sempre in una continua sconfitta; è intrappolato in una palude della sua interiorità che gli
impedisce di vivere. Questa è una CONDIZIONE UNIVERSALE, non individuale.
Inoltre, l’uomo inetto è dominato da riflessioni e viene definito “contemplatore”: riflettendo si
blocca nell’azione e non riesce ad affermarsi nella società. L’uomo deve combattere con
l'inconscio, il quale è incontrollabile.
Rifiuta i canoni imposti dalla società poiché è consapevole della sua vita e non vuole
sottostare ed essere ingabbiato dalle forme imposte dalla società. Per questo motivo viene
emarginato e si pone con fatica in rapporto con il mondo.
Gli INETTI di Svevo sono I VINTI DELLA VITA, ma a differenza dei vinti di Verga (che erano
sconfitti dal progresso e da forze esterne nel loro tentativo di integrarsi nella società e di
migliorare le loro condizioni), essi sono vinti da qualcosa che è dentro di loro, sono incapaci
di tradurre la loro volontà in atti pratici e si sentono estranei alla lotta per la vita. Sono
antieroi.
Nella società c’è una contrapposizione tra combattenti e vittime: i protagonisti sono gli
inadeguati, mentre gli antagonisti sono i “vincenti”, in quanto si integrano perfettamente nella
società. Questa visione viene ribaltata nell’opera “Una Vita”.
Il filo conduttore di tutti i romanzi di Svevo è proprio IL TEMA DELL’INETTITUDINE,
dell’incapacità di vivere —> questo tema si sviluppa fino ad arrivare nella “Coscienza di
Zeno” ad una condizione universale dell’inettitudine: la VITA stessa viene percepita come
una vera MALATTIA; l’uomo trova RIFUGIO nel SOGNO (suggerimento dato da Freud).
L’inetto viene rivalutato e si ha un’evoluzione all’interno dei personaggi.
Svevo, per indagare l’animo umano, utilizza L’UMORISMO .
Egli scrisse TRE ROMANZI che segnano il passaggio da romanzo del 1800 a romanzo del
1900: “Una Vita”; “Senilità” e “La coscienza di Zeno”. Questa trilogia narrativa presenta
gradualmente una TEMATICA AUTOBIOGRAFICA che esprime a pieno la CRISI
DELL’UOMO MODERNO. C’è una forte attenzione agli ambienti inseriti all’interno dei
romanzi e la descrizione attenta agli ambienti suggerisce un ROMANZO PSICOANALITICO.
Gli anni tra il 1899 e il 1919 rappresentano un periodo di silenzio per l’autore. In seguito
scriverà racconti e commedie e nel 1918 traduce “L’interpretazione dei sogni” di Freud.
Alla fine della trilogia l'autore vuole rappresentare la condizione di inettitudine dell’uomo
moderno. Nel 1928 scriverà “Il vecchione” che però non riesce a completare. Con questo
voleva individuare la condizione dell’uomo più anziano nella società moderna.

UNA VITA (1892)


In “Una Vita”, romanzo inizialmente intitolato “Un inetto”, viene analizzata la società
borghese di Trieste. Svevo in questo suo primo romanzo si sofferma sulla TEORIA
EVOLUZIONISTICA di Darwin e mostra la difficoltà e l’incapacità dell’uomo di inserirsi nella
società. Il protagonista è Alfonso Nitti, un giovane con ambizioni letterarie costretto, dopo la
morte del padre, a lavorare come impiegato di banca. Egli tenta una SCALATA SOCIALE
intrecciando una relazione con la figlia del proprio datore di lavoro ma, preso da
un’inspiegabile paura, rinuncia al matrimonio e finisce per cercare la morte come unica via di
scampo. Egli incarna la figura dell’INETTO, un individuo debole ed insicuro che non riesce
ad adattarsi alla vita perché non è in grado di conciliare i suoi sentimenti e le personali
aspirazioni con il mondo reale. Inizialmente c’è una visione negativa dell’inetto, ma poi viene
rivalutato; alla fine il vero vincitore è l’inetto che non si adegua alla società. Con quest’opera
ciò che Svevo vuole far capire è che chi si adatta al contesto e non riflette con la propria
mente, intraprende la strada della morte. “Il vincitore di oggi è il perdente di domani”.
Le vicende sono narrate in terza persona, ma dal punto di vista rigorosamente soggettivo di
Alfonso. Nella coscienza complessa del protagonista si intrecciano idee, fantasie e impulsi
incomprensibili. Il narratore interviene spesso con i suoi commenti per correggere i falsi
giudizi e smascherare gli autoinganni del protagonista e in questo modo si viene a creare
un’alternanza di punti di vista opposti.

L’opera “Senilità” (1898) presenta maggiori spunti autobiografici. Il titolo dell’opera allude alla
precoce vecchiaia psicologica del protagonista, Emilio Brentani. C’è un’analisi dell’ambiente
sociale che lascia spazio anche ai rapporti tra personaggi.

LA COSCIENZA DI ZENO (1923)


“La coscienza di Zeno” è il terzo romanzo della trilogia di Svevo che pubblicò solamente nel
1923, molti anni dopo Senilità. Questi anni erano stati cruciali per lo scrittore non solo per
l’avvento della Prima guerra mondiale, ma anche densi di trasformazioni radicali nelle
concezioni del mondo e nelle correnti letterarie e artistiche: si impongono nuove correnti
filosofiche che superano definitivamente il Positivismo, nascono le avanguardie letterarie ed
artistiche e si comincia a parlare di psicoanalisi con Sigmund Freud. Il romanzo risente
inevitabilmente di questa diversa atmosfera: mutano prospettive e soluzioni narrative, si
arricchisce di temi, ma sempre rimanendo fedele agli ideali dello scrittore.
Questo romanzo viene accolto con diffidenza nell’ambito italiano, ma ottiene successo in
Francia grazie all’intervento dell’amico Joyce.
Per gran parte la Coscienza di Zeno è costituita da un memoriale, o confessione
autobiografica, che il protagonista Zeno Cosini scrive su invito del suo psicanalista, il dottor
S., a scopo terapeutico, come preparazione alla cura vera e propria. La parte finale del
romanzo è una sorta di diario di Zeno, in cui egli spiega il motivo per cui ha deciso di
abbandonare la terapia. Il romanzo è dunque narrato dal protagonista stesso, dietro la
finzione narrativa dell’autobiografia e del diario.
Il racconto non presenta gli eventi nella loro successione cronologica oggettiva e lineare, ma
li colloca in un TEMPO TUTTO SOGGETTIVO, la narrazione va avanti e indietro nel tempo:
il passato riaffiora continuamente e si intreccia al presente; Svevo lo definisce “tempo misto”.
Viene presentata un’evoluzione della figura dell’inetto che arriva a riflettere che l’inettitudine
non è un’esperienza individuale ma un risvolto più ampio, universale.

IL FUMO
(Capitolo III, La Coscienza di Zeno)
Il protagonista di questo romanzo è Zeno Cosini → è un INETTO: è un uomo di
cinquantasette anni che non è mai riuscito a inserirsi nella società rispetto al modello
borghese imposto e per giustificare la sua inettitudine cerca continuamente un alibi: si
convince così di essere affetto da una malattia e individua la causa di questa malattia nel
FUMO, che avvelena il suo organismo. Dall’altra parte lui vorrebbe essere un uomo
normale, forte, padrone di sé e delle sue azioni, e produttivamente inserito nella società. Per
questo motivo si ostina nel proposito di smettere di fumare ma non riesce a liberarsi del vizio
perché liberarsi da esso significherebbe verificare se è davvero capace di diventare l’uomo
ideale.
Il vizio del fumo esprime nel susseguirsi di propositi e fallimenti la possibilità di comprendere
la MALATTIA DELLA VOLONTÀ: la malattia mette in luce l’incapacità dell’uomo di vivere e
di essere padrone di sé stesso e viene utilizzata come alibi per nascondersi dietro tale
atteggiamento.
Il FUMO non è soltanto una mania innocente ma rappresenta il sintomo di un vero e proprio
disturbo a livello psicologico (di una persona che non riesce a prendere una decisione).
Senza accorgersene, Zeno indica anche le CAUSE DEL SUO VIZIO quando racconta come
ha contratto l’abitudine di fumare: lui rubava al padre prima i soldi per le sigarette, poi i
mezzi sigari accesi da lui e lasciati in giro. Zeno è come se volesse appropriarsi della forza
del padre e di sostituirsi a lui. Per questo si obbliga a fumare nonostante il disgusto e il
malessere fisico. Per lui FUMARE rappresenta un modo per SENTIRSI UOMO e
ACQUISIRE LA SUA DIGNITA’ DI UOMO .
La rivalità con il padre e l’atteggiamento aggressivo nei confronti di quest’ultimo generano
SENSI DI COLPA, i quali vengono ricondotti da Zeno al fumo (la causa di tutti i suoi mali),
l’oggetto simbolico che fa comprendere cosa c’è nell'inconscio dell’uomo.
L’uomo ha due personalità che sono in lotta l’una contro l’altra, in cui una comanda e l’altra è
schiava. A comandare in questa lotta non è Zeno, ma l’immagine che lui ha del padre. Il
Padre è padrone e impone dei divieti.
Zeno, per rivendicare ed affermare la propria libertà dal padre, cerca di opporsi e non
fumare più, ma non ci riesce. Zeno vuole essere padrone e ottenere autonomia per non
accettare compromessi.
L’incapacità della scelta segna la condizione di inetto (l’inettitudine ritorna poiché chi si
adatta alla società borghese, ha accettato un compromesso). È un circolo vizioso dal quale
l’inetto non riesce a liberarsi.
L’autore non solo vuole deridere la malattia a scopo umoristico servendosi dell’ironia, ma
vuole anche mettere in luce i meccanismi profondi che dirigono i comportamenti e i pensieri
dell’uomo (di Zeno).
LA MORTE DEL PADRE
(Capitolo IV, La Coscienza di Zeno)
La figura paterna e il rapporto con il padre è essenziale per gli inetti di Svevo: il padre
rappresenta un’immagine solida, virile, sicura e gli inetti non possono coincidere con
un’immagine come quella paterna perché non riescono più a trasformarla in una
componente della propria personalità per ragioni non solo individuali ma anche storiche, in
quanto l'individuo borghese vive una crisi. Ciò porta difficoltà nel giovane nel momento in cui
diventa uomo e si deve liberare dal padre. LA FIGURA PATERNA perciò rappresenta
L’ANTAGONISTA, in quanto rappresenta il contrario dell’inettitudine.
(Gli uomini più incapaci sono quelli più legati alle mamme perché quando crescono, non
riescono a formare la propria famiglia, si sentono in condizione di dipendenza psicologica.)
All’interno del testo viene fatto un RITRATTO DEL PADRE (un’immagine terrificante, punitiva
e castratrice) e viene raccontata la famosa sequenza dello schiaffo del padre che scatena
sensi di colpa e mostra la tendenza alla menzogna e all’autoinganno di Zeno.
Zeno vuole inconsciamente essere inetto per riscattarsi, fuggire e contrapporsi al padre
borghese. Zeno vuole aggredire simbolicamente il padre. Nei confronti del padre è amore e
odio: con aggressività tenta di liberarsi dal padre ma fallisce.
Il padre viene colpito da una malattia che lo priva dei suoi poteri simbolici e della sua forza
fisica e si trasforma in un essere debole e indifeso. Dietro il dolore di Zeno, affiora
continuamente il desiderio che il padre muoia. Dentro di sé Zeno cerca di negare questi
pensieri per dimostrare a sé stesso la propria innocenza.
Zeno è il narratore e il protagonista della storia e si nasconde dietro un alibi e false
affermazioni per non far emergere la verità. La CONSEGUENZA è che egli ci offre una
prospettiva del tutto inattendibile, non si possono prendere per buone le sue affermazioni.
Ciò ci viene suggerito già all’inizio del romanzo, dalla prefazione del Dottor S. (Svevo) che ci
avverte delle verità e bugie: tutto ciò introduce nel racconto un elemento di ambiguità, di
dubbio e di indeterminatezza poiché non c’è nulla che confermi quello che viene detto.

LUIGI PIRANDELLO (1867-1936)


Nasce ad Agrigento da una famiglia di agiata condizione borghese (il padre dirigeva alcune
miniere di zolfo). Ha una formazione patriottica-risorgimentale legata alla famiglia; vive la
delusione post-risorgimentale in Italia con grande amarezza.
Compie i primi studi in Sicilia, poi si sposta a Roma dove si stabilisce e si dedica
interamente alla letteratura, collaborando anche con alcune riviste.
Un allagamento della miniera di zolfo del padre, sulla quale lo scrittore aveva investito,
provoca il DISSESTO ECONOMICO della famiglia (instabilità). Anche la sua esistenza,
come quella di Svevo ed altri scrittori, è segnata dall’esperienza del declassamento, cioè del
passaggio da una vita di agio borghese ad una condizione di piccolo borghese, con i suoi
disagi economici e le sue frustrazioni.
In seguito alla notizia del disastro economico, inoltre la moglie ha una crisi che la fa
sprofondare nella follia. La convivenza con la donna costituisce per Pirandello un
TORMENTO CONTINUO e influisce sulla sua concezione dell’ambiente familiare come
“trappola” che imprigiona e soffoca l’uomo.
Per mantenersi, Pirandello è costretto ad intensificare la sua produzione di novelle e
romanzi e lavora anche per l’industria cinematografica, scrivendo soggetti per film;
successivamente nasce in lui anche una conversione nel teatro e si reca in diversi paesi
europei all’interno di una compagnia teatrale: i drammi pirandelliani nel corso degli anni 20’ e
30’ sono conosciuti e rappresentati in tutto il mondo. Pirandello nel teatro gioca tanto sul
PARADOSSO E L’ASSURDO.
Durante gli anni della Prima guerra mondiale Pirandello si schiera a favore dell’intervento
dell’Italia, considerandolo come un’occasione per portare a compimento il processo
risorgimentale.
L’esperienza del Teatro d’Arte non si sarebbe potuta realizzare senza il finanziamento da
parte dello Stato ed è proprio questo il motivo che spinge Pirandello ad iscriversi al partito
fascista. La sua adesione al fascismo ebbe caratteri ambigui: in un primo momento lo
scrittore spera che il fascismo (un movimento che aveva affinità con il suo forte patriottismo)
possa garantire un ritorno all’ordine nella vita sociale dell’Italia postunitaria. Poi però si rende
conto della falsità del meccanismo sociale del regime e man mano accentua il suo distacco.
Tutti i drammi teatrali pirandelliani sono riuniti nel libro “Maschere Nude”.

La visione del mondo agli occhi di Pirandello


Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una CONCEZIONE VITALISTICA: tutta
la realtà è “vita”, un flusso continuo, è in continuo cambiamento. Noi uomini siamo una parte
indistinta nell’universale fluire della vita, ma tendiamo a fissarci in una FORMA, una
personalità che noi stessi ci diamo. In realtà questa personalità è un’ILLUSIONE e
scaturisce solo da una visione soggettiva che noi abbiamo del mondo. Anche gli altri,
vedendoci secondo la loro propria prospettiva, ci danno determinate “forme”. Noi crediamo
di essere “uno” per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda
della visione di chi ci guarda. Ad esempio, un individuo può crearsi di sé stesso un’immagine
gratificante di un onesto lavoratore, mentre gli altri magari lo definiscono uomo crudele.
La realtà è fatta di esaltazioni, apparenze, non c’è una realtà vera: il mondo è vuoto, ostile,
effimero ed è fondato sull’apparire e non sull’essere. In un mondo come questo l’uomo non
riesce ad esprimere sé stesso e a realizzare la sua identità; ciò causa in lui sofferenza,
angoscia, disperazione; l’uomo ha paura di essere travolto dalla tempesta della vita e ha
bisogno di inserirsi nella società, dato che fuori dalla società è impossibile vivere; tutto ciò
che gli rimane di fare è aggrapparsi ad una “forma”, METTERSI UNA MASCHERA. La
filosofia di Pirandello si basa quindi su un DUALISMO, una lotta tra la vita e la forma: la vita
muta perennemente, mentre la forma ingabbia l’uomo in una condizione soffocante, gli
impone un contesto sociale.
Sotto questa maschera però non c’è un volto definitivo, immutabile; bensì c’è un fluire
continuo di stati indistinti ed incoerenti in perenne trasformazione, per cui un istante più tardi
non siamo più quelli di prima.
Pirandello fu influenzato dalle teorie dello psicologo francese Alfred Binet sulle alterazioni
della personalità: era convinto che nell’uomo esistessero più persone, ignote a lui stesso.
Si comincia a parlare della teoria della frantumazione dell’io (l'io non è uno) → la
frantumazione dell’io riflette i cambiamenti culturali dell’epoca: nella civiltà novecentesca,
infatti, entra in crisi sia l’idea di una realtà oggettiva, univoca, stabile, ordinata, interpretabile
con la ragione; sia l’idea di un soggetto forte, unitario, coerente che rappresenti il punto di
riferimento sicuro di ogni rapporto con la realtà.
In questo periodo, inoltre, si affermano nella società alcune TENDENZE che favoriscono la
disgregazione dell’identità personale:
❖ l'instaurarsi del capitale monopolistico (capitalismo), che annulla l’iniziativa individuale.
Tutto è controllato e l’uomo non può esprimere la propria iniziativa e dare contributo.
❖ l’espandersi dell’industria e dell’uso delle macchine che meccanizzano l’esistenza
dell’uomo e riducono il singolo a insignificante rotella di un gigantesco meccanismo.
❖ il formarsi delle grandi metropoli moderne, in cui l’uomo smarrisce il legame personale
con gli altri e e diviene una particella isolata nella folla anonima.
L’INDIVIDUO NON CONTA PIÙ NIENTE → l’io si indebolisce, perde la sua identità e si
frantuma in una serie di stati incoerenti. La presa di coscienza di tutto questo genera nei
personaggi pirandelliani un senso di smarrimento e dolore; l’avvertire di non essere
“nessuno” e di non poter avere una propria identità provoca angoscia ed orrore e genera un
senso di solitudine, incomprensione e di estraneità dal mondo.
L’uomo non può colloquiare con gli altri, si sente sradicato; percepisce la forma/ la maschera
come una TRAPPOLA impostata dalla società (che domina i rapporti sociali) e da cui
l’individuo cerca, lottando disperatamente, di liberarsi. La società gli appare come un'enorme
"pupazzata", una costruzione apparente, artificiosa che isola l’uomo dalla stessa vita.
L’uomo con questa maschera non può esprimere sé stesso, poiché altrimenti sarebbe
emarginato dalla società, sprofonderebbe in una sorta di ISOLAMENTO LIMBARE.
Pirandello parla di “trappola famiglia” e “trappola economica” →
➢ TRAPPOLA FAMIGLIA: Pirandello coglie il carattere opprimente dell'ambiente familiare,
pieno di menzogne e ipocrisie.
➢ TRAPPOLA ECONOMICA: la società borghese è caratterizzata dalla condizione
sociale, dal lavoro e da leggi imposte, soprattutto a livello piccolo borghese; l’uomo vive
in una condizione di miseria, fa un lavoro monotono e frustrante, in cui viene sfruttato e
in cui è presente un’organizzazione gerarchica oppressiva.
Per Pirandello non esiste una via d’uscita da questa “trappola”. Il suo radicale pessimismo
non gli consente di concepire una possibilità di fuga dalla realtà, non riesce a proporre
utopie progressiste. Si pone così con un atteggiamento critico nei confronti della società
borghese. Ma egli non ricerca le cause storiche per cui la società è una trappola mortificante
poiché per lui la società borghese del suo tempo è la manifestazione di una condizione
universale e immodificabile.
L'unica VIA DI RELATIVA SALVEZZA che concede ai suoi eroi è la fuga nell‘IRRAZIONALE,
nell'immaginazione, nella finzione o nella follia l’uomo deve trovare un “altrove” fantastico. La
FOLLIA è fondamentale per fuggire dall’angoscia, rappresenta l’estremo rifugio dal dramma
dell’esistenza.
Il rifiuto della vita sociale dà luogo nell’opera pirandelliana alla figura emblematica del
“forestiere della vita”, ovvero colui che ha preso coscienza del meccanismo sociale e si
isola, osservando gli altri vivere imprigionati dalla trappola. L’umorismo in questo caso è
fondamentale. Pirandello definisce tutto ciò “filosofia del lontano”.
Pirandello inoltre riprende la teoria della relatività di Einstein, secondo la quale TUTTO È
RELATIVO, non esiste un sapere assoluto: l’uomo non può conoscere la realtà nella verità
assoluta poiché la realtà cambia a seconda dei punti di vista. Ognuno ha la sua verità che
nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose e la vita; ciò determina una
INCOMUNICABILITÀ tra gli uomini ed accresce il senso di solitudine dell’individuo.
L’ideologia pirandelliana è inoltre metastorica e va aldilà del contesto storico; secondo
Pirandello non possiamo conoscere un filo logico degli avvenimenti: nulla può essere
indagato in modo logico poiché tutto è determinato dall’uomo e dagli impulsi contraddittori
che l’uomo ha.
Lo strumento conoscitivo con il quale Pirandello evidenzia le difficoltà dell’uomo e indaga la
psiche umana e l'assurdità del vivere è LA PSICOANALISI. Pirandello rappresenta la crisi
dell’uomo moderno come Svevo, la crisi delle certezze positivistiche e la crisi della fiducia in
sia una conoscenza oggettiva della realtà mediante la scienza, il progresso, la ragione
(come riteneva di poter far il Positivismo), sia in una conoscenza soggettiva della realtà
(come sosteneva invece il Decadentismo). Pirandello si colloca così in pieno nel clima
novecentesco.
L’UMORISMO (1908)
Secondo Pirandello, lo scopo della letteratura e dell’arte è quello di analizzare e scomporre
la realtà con un atteggiamento distaccato e razionale, cogliendone l’imprevedibilità e la
totale mancanza di senso.
Nel saggio “L’umorismo” Pirandello fornisce la chiave di lettura per comprendere le sue
opere: quest’opera serve per analizzare una società in cui non c’è più nulla di armonico e
coerente e serve per dare un senso alla realtà → la quale è indecifrabile, sfuggente,
temporanea, non definita, caratterizzata dalla SOGGETTIVITÀ e prevede la disgregazione
dell’io (c’è una molteplicità della vita).
Pirandello afferma che l’unica forma d'arte in grado di scomporre la realtà per farne
emergere le ambiguità e le contraddizioni e in grado di smascherare, in modo illogico, le
maschere è l’ARTE UMORISTICA, che si fonda sulla RIFLESSIONE e sul SENTIMENTO
DEL CONTRARIO (che rappresenta l’illogico, l’irrazionale). L’arte umoristica non si ferma
però a rappresentare solo l’aspetto esteriore di questa realtà caotica, aperta, contraddittoria;
ma vuole cogliere anche tutte le contraddizioni che si celano dietro i comportamenti umani.
Per Pirandello l’umorismo rappresenta essenzialmente la manifestazione della realtà
moderna e fa venire alla luce il fondo oscuro della psiche.
Nel saggio Pirandello fa introduce una distinzione tra il comico e l’umoristico. L’umoristico è
un processo che suscita opinioni contrastanti, in quanto avviene una RIFLESSIONE: si
riesce a cogliere il ridicolo ma si individua anche il fondo dolente o viceversa. C’è una
fusione tra tragico e comico. La COMICITÀ, invece, rappresenta solo L’AVVENIMENTO DEL
CONTRARIO.
Il linguaggio è fatto di continue interrogazioni, sospensioni, esclamazioni, frasi interrotte e
mezze frasi. Tutto si gioca sul PARADOSSO e sull’IRONIA. Il linguaggio è associato ai
personaggi e alla visione del reale.
L’ESCLUSA (1901)
È il primo romanzo di Pirandello, il quale narra il viaggio nell’interiorità della protagonista: il
suo nome è Marta Ajala. È la storia, ambientata in Sicilia, di una donna accusata
ingiustamente di ADULTERIO, che viene cacciata di casa dal marito Rocco perché la
sorprende leggere una lettera di un notabile che la corteggia. Marta, in preda alla
disperazione per la sua innocenza, trova rifugio nella casa paterna, dove viene accolta con
amore dalla madre e dalla sorella ma non dal padre e dalla società. All’inizio Marta vive
situazioni di angoscia per accuse di cui lei non era colpevole; con il tempo poi cerca di
difendersi con coraggio, riprende a studiare e si trasferisce con la sorella e la madre a
Palermo. Marta riconquista lo status della società solamente una volta avendo compiuto
l’atto di cui era stata accusata. Il marito intanto si ammala e, riconoscendo l’innocenza di
Marta, la chiama. Quando però la donna incontra il marito gli confessa la relazione avvenuta
alla quale lei è stata costretta. Nonostante ciò il marito non sa rinunciare a lei e la accoglie
nuovamente in casa.
Dalla vicenda si può cogliere il paradosso e la follia. Lo spazio e il tempo non sono assoluti,
ma relativi: non c’è sequenzialità o narrazione specifica rispetto ad un tempo oggettivo. Lo
spazio e il tempo rendono viva e drammatica la vicenda, inquadrando la crisi dell’uomo
moderno. Nel romanzo si possono cogliere anche tracce dell’impostazione umoristica: da un
lato si ha la vicenda seria e drammatica di Marta, dall’altro si contrappone una folta valeria di
figure grottesche e ridicole.
IL FU MATTIA PASCAL (1904)
È il terzo romanzo di Pirandello, nel quale lo scrittore adotta nuove ed originali soluzioni
narrative. Viene pubblicato sulla rivista “La nuova antologia” e nello stesso anno anche in
volume.
Mattia Pascal è il PROTAGONISTA di questo romanzo: egli è un piccolo borghese; un uomo
timido, modesto che si allontana da casa dopo aver litigato con la moglie. Mattia lascia il
paese di nascosto per cercare fortuna in America ma due fatti intervengono a modificare
radicalmente la sua condizione: innanzitutto egli vince al Casinò di Montecarlo una grande
somma di denaro, poi casualmente legge sul giornale una notizia di cronaca: LA SUA
MORTE.
Mattia si trova così di colpo miracolosamente libero dalla “forma” in cui lo aveva cristallizzato
la società e si presentano davanti a lui infinite possibilità; ma commette UN ERRORE: uscito
dalla “forma” e dai ruoli imposti dalle istituzioni sociali, Mattia sceglie di crearsi una nuova
identità, con il nome di Adriano Meis. È troppo attaccato alla concezione comune dell’identità
individuale da capire che è proprio quella che mortifica l’infinita ricchezza e la mobilità della
vita. Assaporando la sua nuova libertà, Mattia-Adriano comincia a viaggiare per l’Italia e
l’Europa, ma ben presto prova un senso di vuoto, precarietà e solitudine.
Essere libero significa essere estraniato, “forestiere della vita”, ma egli soffre ad essere
escluso dalla vita degli altri; prova nostalgia per ciò che abitualmente circonda una persona:
una casa e degli affetti.
La nuova identità è una situazione fittizia, che non garantisce neanche i pochi vantaggi
dell’identità “normale” e non gli permette di stabilire legami con gli altri, di crearsi una
famiglia e di trovare un lavoro gratificante.
Mattia-Adriano, non resistendo più alla sua condizione di “forestiere della vita”, si trasferisce
a Roma, ma qui non può aderire alla vita poiché è impossibilitato a provare la sua identità (è
privo della forma: lo stato anagrafico, documento di identità civile). A questo punto tutto ciò
che gli resta da fare è liberarsi della falsa identità, inscenando il suicidio di Meis, e rientrare
così nella sua primitiva identità. Tornato alla sua identità originaria, Mattia decide di ritornare
nella vecchia “trappola” della famiglia, ma scopre che la moglie si è sposata con un altro.
Mattia Pascal viene emarginato dalla società e comprende che non c’è posto neanche per la
sua vera identità; a questo punto non gli resta che assumere quell’atteggiamento di
“foresterie della vita” e dedicarsi alla propria singolare esperienza. Si dedica allora alla
scrittura della storia dell’uomo che fu Mattia Pascal.
Mattia Pascal alla fine è talmente confuso da non sapere più chi è. Significativa in questo
senso è l’ultima frase da lui pronunciata alla fine del romanzo, che ne motiva anche il titolo
“Io sono il Fu Mattia Pascal”. Egli non è ancora pronto a rinunciare al suo nome, segno
esteriore della sua identità, ma pone davanti quel “fu”, ad indicare che la sua identità
originaria è “morta”.
Il Fu Mattia Pascal è un romanzo composto da 18 capitoli con una sorta di cornice iniziale, in
cui troviamo una voce narrante che dice di non sapere più quale sia il suo vero nome.
La narrazione è soggettiva e lontana dalla narrazione oggettiva del naturalismo. Le vicende
sono narrate in prima persona dal protagonista: il punto di vista cambia con l’identità del
narratore (prima è Mattia, poi diventa Adriano Meis e infine il Fu Mattia). All'interno del
linguaggio è presente il MONOLOGO INTERIORE, fatto di interrogazioni, riflessioni,
esclamazioni ed espressioni colloquiali.
TUTTO SI BASA SU UNA FORMA DI CASUALITÀ → tutto è legato al caso (il gioco
d’Azzardo è simbolo della casualità della vita contro la ragione umana).

I VECCHI E I GIOVANI(1909)
In questo romanzo Pirandello adotta un’impostazione narrativa più tradizionale. Nella sua
forma esteriore è un ROMANZO STORICO, incentrato sulla delusione post-risorgimentale:
vengono presentate le vicende politiche e sociali della Sicilia e dell’Italia tra il 1892 e il 1893,
tra la volta dei Fasci siciliani guidata dai socialisti e lo scandalo della Banca Romana, che
minacciava di travolgere la classe dirigente dello Stato unitario da poco formatosi.
Come suggerisce il titolo, l’intreccio si basa sul confronto tra due generazioni: “i vecchi” che
erano riusciti ad unificare l’Italia, ma vedono i loro ideali risorgimentali negati dalla
corruzione politica presente; e “i giovani”, i quali appaiono smarriti ed incerti sulla strada da
intraprendere. La storia presenta infatti molteplici punti di vista e non presenta gli eventi in
modo diretto nella loro oggettività.
Viene presentata una continua nostalgia di un’esistenza vera e naturale che non si riesce
più a raggiungere. Si prova solo pietà nei confronti dell’uomo moderno. Pirandello attribuisce
alla storia la situazione attuale della società italiana che impone dei ruoli.

Quaderni di Serafino Gubbio Operatore (1925)


Il protagonista registra la vita con la macchina da presa che diventa metafora dell’uomo
alienato (operaio) che contempla la vita dall’esterno. La narrazione è in prima persona e si fa
un’analisi della civiltà delle macchine.
UNO NESSUNO E CENTOMILA (1925-1926)
Nella scrittura del romanzo Pirandello prende spunto da un fatto quotidiano banale per
avviare un processo di riflessione → il romanzo narra che un giorno, mentre Vitangelo
Moscarda si guarda allo specchio, sua moglie gli fa notare che il suo naso pende a destra.
Vitangelo non si era mai reso conto della cosa e ne trae motivo per cominciare a riflettere sui
contrasti e i modi con i quali viene percepita la realtà. Dall'osservazione della moglie capisce
che non c’è una realtà onirica, ma un’infinità di varietà con la quale ognuno di noi può
apparire agli altri: ognuno di noi vede la realtà in modo diverso. Noi siamo diversi “come le
onde del mare” e ci modifichiamo continuamente; ognuno ha il proprio punto di vista:
sembriamo 1 e siamo 100.000, però veramente non siamo nessuno (è un continuo essere
diversi).
Vitangelo, spinto da queste riflessioni inquietanti, va contro la logica corrente e compie atti
assurdi e contraddittori attirando ostilità della moglie e dei soci: chiude la banca che gestisce
ed accetta il consiglio dato da un vescovo di cedere tutti i suoi beni per opera di carità.
Tutte le sue scelte rappresentano una vita fatta di solitudine e senza futuro: vive questi anni
rinunciando a una vita associata (rinuncia alla maschera, al suo ruolo imposto dalla società;
compie un viaggio di liberazione dalle forme nelle quali non si riconosce più. Prova angoscia
e delusione per non poter assumere un’identità autentica, vera, pura e reale.
La narrazione del romanzo è in prima persona.

ERMETISMO
Tra gli anni ‘20 e ‘30 si afferma questa espressione poetica, la quale è una manifestazione
del decadentismo (gli scrittori di questa fase hanno una sensibilità tipica del decadentismo)
ed è la poetica più rappresentativa del 1900.
Il termine ermetismo deriva da “Ermete”. La definizione venne coniata in senso dispregiativo
dalla critica tradizione, poiché Ermete (Mercurio) era il dio delle scienze occulte.
L’uomo comincia a provare una FORTE SOLITUDINE e una GRANDE DELUSIONE rispetto
ai valori della civiltà romantica e del positivismo, i quali non vengono più riconosciuti.
I poeti vivono in una realtà che non offre più certezze, non ci sono degli ideali e dei valori di
riferimento; hanno una visione della vita sfiduciata → questo senso di angoscia e
smarrimento, che l’uomo sente nella realtà che vive, porta con sé un FORTE DOLORE
ESISTENZIALE.
La letteratura diventa un'attività totalizzante: non avendo più valori da celebrare, gli
intellettuali fuggono dalla realtà e si isolano nella letteratura, restando indifferenti rispetto ai
problemi della politica-sociale del tempo, ma tenendo sempre conto del problema storico,
caratterizzato dall'umiliazione dell’uomo con il fascismo → sotto il controllo del regime
fascista, nell’ambito letterario c’era un grande controllo dell’opinione pubblica e gli
intellettuali non erano liberi di esprimersi, venne imposta una legge che sopprimeva la libertà
di stampa (alle redazioni venivano consegnate delle linee, ovvero dei fogli con scritte le
notizie da dire e le indicazioni sul modo in cui le notizie dovevano essere date).
La POESIA ERMETICA è ALLUSIVA → non ha scopi celebrativi ma vuole svelare il
MISTERO che c’è dietro le cose; i poeti ermetici però sono incapaci di cogliere pienamente
una verità assoluta. La poesia ermetica viene dunque definita neo-simbolista per
sottolineare l'indecifrabile del messaggio.
Gli ermetici vogliono dare il giusto senso alla parola, quindi propongono di assumere una
connotazione molto minimalista ed essenziale, riprendendo l'ideale di POESIA PURA ma
abbandonando lo scopo educativo e pratico.
Il linguaggio ermetico è caratterizzato da una pluralità di significati che rende difficile la
comprensione del testo → il lessico è semplice, essenziale; la parola viene presentata nella
sua purezza, “innocenza”. Ciò che risulta difficile è capire l’allegoria, il significato, la
percezione che il poeta vuole comunicare. Per questo la parola viene definita CRIPTICA ed
evocatrice. I poeti ermetici utilizzano un LINGUAGGIO OSCURO, lontano dal linguaggio
comune (Ungaretti diceva “maggiore è la distanza dal quotidiano, maggiore è la poesia”).
La sintassi viene frantumata → rifiuta le costruzioni complesse, allineandosi allo sforzo di
cogliere l’attimo. La strofa infatti è spesso costituita dalla sola frase principale e non è
frequente la presenza di subordinate. La punteggiatura è quasi del tutto assente. NON ci
sono articoli o nessi logici: tra le strofe sono presenti spazi bianchi, vuoti che sostituiscono la
punteggiatura e segnalano una pausa nel discorso (essi evocano dal silenzio). I versi sono
liberi e brevi per dare il massimo risalto alla parola. La scelta dei metri nobili (endecasillabi e
settenari) è voluta perché è una poesia fatta per pochi, non tutti possono comprendere
questo linguaggio analogico che va oltre la realtà.
Gli ermetici vengono chiamati “artigiani della parola”: essi curano la parola e creano
capolavori dotati di grande musicalità.
Il tema centrale che si evidenzia nella poesia ermetica è proprio il SENSO DI DELUSIONE
DELL’UOMO rispetto a tutti gli ideali e valori della tradizione. Altre tematiche ricorrenti nelle
opere sono però IL SILENZIO, L’ATTESA o L’ASSENZA.
Sono tanti i temi che accomunano gli ermetici a Pirandello; tra questi troviamo:
L’INCOMUNICABILITA’ e L’ALIENAZIONE → in entrambi si prende coscienza di essere
ridotti ad un semplice ingranaggio della moderna civiltà di massa (vengono ripresi il concetto
di patria, il concetto di industrializzazione, la frustrazione dell’operaio, il contrasto con la
realtà quotidiana che è deludente e tutti i nostri sogni).
La poetica ha una funzione salvifica → è portatrice di un messaggio volutamente occulto,
nascosto perché VUOLE ESPRIMERE L’INESPRIMIBILE: gli intellettuali, attraverso un
linguaggio allusivo, vogliono proiettare la poesia in una dimensione senza tempo, lontana
dal quotidiano, dal contesto della storia.
“L’allegria” è una delle prime raccolte poetiche di Ungaretti, nella quale la componente
autobiografica emerge in modo chiaro.

GIUSEPPE UNGARETTI (1888-1970)


Giuseppe Ungaretti è il poeta che ha innovato nel modo più radicale il linguaggio della
poesia, costituendo un punto di riferimento essenziale per la produzione letteraria
novecentesca. Viene considerato l’iniziatore dell’ERMETISMO.
Nasce ad Alessandria d’Egitto, dove i genitori, provenienti da Lucca, si erano trasferiti per
motivi di lavoro. L’Egitto in quegli anni era un ambiente internazionale: nei porti era normale
sentire le parlate più diverse. Questa internazionalità gli consente di formarsi in condizioni di
estrema apertura a tutte le correnti di pensiero europee. Nella città africana inizia infatti ad
occuparsi di letteratura, leggendo i maggiori scrittori moderni e contemporanei, da Leopardi
a Nietzsche. In seguito si trasferisce a Parigi, dove ha modo di approfondire la conoscenza
della poesia decadente e simbolista e di entrare in contatto con i più significativi esponenti
delle avanguardie artistiche novecentesche.
Il terzo tempo della biografia ungarettiana coincide con l’esperienza drammatica della prima
guerra mondiale alla quale partecipa come soldato dopo essere stato un acceso
interventista. Viene mandato a combattere sul Carso. Egli si sente, però, dopo poco tempo
dolorosamente segnato da questa esperienza, dalla quale nascono le sue prime e più
significative raccolte poetiche, “Il porto sepolto” (1916) e "Allegria di naufragi” (1919),
confluite nel 1931 nel volume “L’Allegria”. In esse il poeta, che risente dell’influenza del
Futurismo, opera una vera e propria “rivoluzione espressiva”; spezza il verso riducendolo a
pochissime sillabe, isola la parola all’interno della pagina bianca conferendone essenzialità,
elimina la punteggiatura.
Nel 1921 ADERISCE AL FASCISMO, convinto che la dittatura potesse rafforzare quella
solidarietà nazionale dalla quale si era sentito a lungo escluso e che la guerra aveva
cementato. In questo periodo in letteratura c’è un ritorno all’ordine: segue il ritorno a una
poesia più tradizionale. Comincia inoltre a collaborare come giornalista e saggista ai più
prestigiosi periodici italiani e ad alcune riviste di punta della cultura europea, tra cui “La
gazzetta del popolo” dove pubblica degli articoli di viaggio all’inizio degli anni Trenta.
Diventa uno dei più noti e autorevoli intellettuali italiani e trascorre un periodo felice che
viene però tormentato da alcuni lutti familiari e dallo scoppio della seconda guerra mondiale.
Dalle esperienze traumatiche di questo periodo è segnata la prima raccolta poetica del
dopoguerra, intitolata “Il dolore”. Per esprimere questo stato d’animo il poeta modula il suo
canto su toni nuovi: utilizza la parola gridata, il verso lungo, spezzato da frequenti puntini di
sospensione che rendono l’affanno e la disperazione. Pur essendo consapevole della
sofferenza e della violenza che la vita comporta, egli NON si chiude in un atteggiamento di
passiva autocommiserazione, ma si fa cantore del dolore universale non solo del proprio.
Nell’ultimo periodo continua a viaggiare per il mondo fedele alla sua concezione della vita
come vagabondaggio e riceve premi e riconoscimenti facendosi amare ed apprezzare per la
sua straordinaria vitalità. Inoltre, riunisce tutta la sua produzione nella raccolta “Vita d’un
uomo. Tutte le poesie”, sottolineando nel titolo lo stretto legame tra poesia ed esperienza
autobiografica.
La sua poetica può essere suddivisa in due fasi: La prima fase è segnata dalla sua
esperienza di guerra e nelle prime raccolte poetiche è presente un FORTE
SPERIMENTALISMO e una FORTE COMPONENTE AUTOBIOGRAFICA; mentre nella
seconda fase si ha il RECUPERO DI UNA DIMENSIONE RELIGIOSA e un TRAVAGLIO
INTERIORE che lo porta ad avvicinarsi al cattolicesimo.
Importante della sua poetica è LA CAPACITA’ DI SINTESI DELLA POESIA, l’essenzialità.
Questo aspetto viene conseguito da Ungaretti attraverso il mezzo espressivo della
ANALOGIA. Ungaretti afferma che tale procedimento va oltre la simbologia e le metafore
utilizzate dalla letteratura precedente. Egli sostiene che la poesia dell’800 aveva cercato di
conoscere il reale in modo analitico, istituendo collegamenti chiari, immediati e comprensibili
tra i concetti; si trattava di una conoscenza capace di rivelare però solo gli aspetti superficiali
della realtà, NON la sua essenza profonda. Ai vecchi procedimenti Ungaretti contrappone il
suo nuovo modo di fare poesia “rapido”, cioè sintetico, essenziale, che sa mettere in
contatto immagini lontane, le quali apparentemente non hanno alcun rapporto tra loro, ma
che in realtà nascondono una verità assoluta. In questo senso la parola ha il compito di
penetrare il mistero della realtà, assumendo il valore di un'improvvisa illuminazione.

L'Allegria
L’Allegria è una raccolta poetica di Ungaretti che nasce dalla fusione di due precedenti
volumi di versi: “Il porto sepolto” e "Allegria di naufragi”. Questa prima fase della produzione
ungarettiana è segnata da una FORTE COMPONENTE AUTOBIOGRAFICA. Le liriche del
Porto sepolto sono state tutte composte al fronte, nelle trincee del Carso, su cartoline in
franchigia, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di lettere ricevute. Inizialmente questi
scritti non erano destinati alla pubblicazione, ma si configuravano come un quotidiano e
necessario esame di coscienza. Le fonti di ispirazione di questi versi sono: LA MEMORIA E
LA GUERRA. La guerra costringe a vivere nel precario confine tra la vita e la morte.
Il volume “Allegria di naufragi” rappresenta un continuo dei versi del Porto sepolto, nel quale
vengono ripubblicati versi di quest’ultimo volume insieme con altri. La scelta del titolo
costituisce un’espressione ossimorica: “allegria” si riferisce all’esultanza d’un attimo che può
avere origine soltanto dal sentimento della presenza della morte da allontanare
definitivamente; “naufragi” sta invece a indicare proprio l’effetto distruttivo della morte e
come tutto sia travolto e soffocato dal tempo. Nell’edizione definitiva Ungaretti rimuove il
secondo termine per sottolineare maggiormente l’elemento positivo.

IL PORTO SEPOLTO (1916)


dalla raccolta L’Allegria
Si tratta della poesia che dà il titolo al primo volume di Ungaretti, scritto durante la prima
guerra mondiale, e che poi venne collocato nell’edizione finale “Allegria”.
Ungaretti descrive l’opera del poeta come una sorta di AVVENTURA, come una discesa, in
questo porto sepolto per cogliere l’essenza della poesia, il mistero che essa nasconde e che
non può essere mai completamente svelato. Il PORTO SEPOLTO diventa quindi il simbolo
di ciò che è nascosto nell’animo di ogni uomo e diventa il luogo da cui nasce la poesia, la
fonte di ispirazione per chi scrive.
Il POETA assume quindi un RUOLO FONDAMENTALE all’interno della società umana
perché è l’unico che può indagare i misteri che si trovano nell’anima (nel porto sepolto) e
può esprimerli con la poesia, le parole, tentando di dare sollievo alle sofferenze dell’uomo.
Il componimento è composto da DUE STROFE →
Nella prima strofa sono presenti tre verbi che indicano le diverse fasi del viaggio del poeta: il
poeta “arriva” nel porto sepolto (scende nelle profondità dell’anima), “torna alla luce” (torna
in superficie con le sue poesie) e le “disperde” (diffonde tra gli uomini).
La seconda strofa è una riflessione sull’opera del poeta stesso: il poeta ha trovato in fondo
all’animo umano il NULLA. Con questa parola però NON si indica il VUOTO ASSOLUTO,
ma una parte minima dell' “inesauribile segreto”, ossia del mistero profondo della vita.
Lo stile, la metrica e la sintassi sono ridotte all’essenziale per dare maggiore importanza alla
parola stessa, messa in evidenza attraverso l’utilizzo di versi molto brevi.

SAN MARTINO DEL CARSO (1916)


dalla raccolta L’Allegria
Il titolo della lirica, compresa nella raccolta Il porto sepolto, fa riferimento a una piccola
località in provincia di Gorizia, che venne distrutta durante la Prima guerra mondiale.
Questa poesia contiene IMMAGINI DI DESOLAZIONE E DI MORTE, legate alla GUERRA.
Gli effetti della distruzione si riflettono nella prima strofa nell’immagine di uno squallido
paesaggio di macerie e di rovine a San Martino del Carso. Nella seconda strofa il pensiero si
sposta sui molti compagni scomparsi, dei quali non è rimasto più nulla. La loro TOTALE
SCOMPARSA è un segno di una distruzione più dolorosa e profonda (c’è un parallelismo
con le rovine, le case distrutte, della prima strofa). A impedire che vengano del tutto
cancellati è la memoria di chi è sopravvissuto, un ricordo fatto di tante croci, che trasformano
il “cuore” in una specie di cimitero → viene fatta un’analogia tra il paese e il cuore, che
appare come il “paese più straziato”. Ciò che caratterizza la poesia è l’essenzialità ottenuta
dai versi brevi e dalle parole comuni scelte dal poeta.
SOLDATI (1918)
dalla raccolta L’Allegria
Questa poesia fu scritta nell’ultimo anno di guerra sul fronte francese, dove Ungaretti era
stato inviato insieme ad altri soldati italiani per aiutare la Francia a fronteggiare l’attacco
tedesco.
In questa poesia il TITOLO entra a far PARTE INTEGRANTE DEL TESTO, risultando un
elemento essenziale per la sua comprensione, senza di esso non si riuscirebbe a cogliere il
significato della poesia. Il titolo costituisce il punto di riferimento per comprendere
L’ANALOGIA che assimila la vita del soldato alla fragilità di una foglia d’autunno.
L’intera poesia è formata dal complemento di PARAGONE “come”, retto da un verbo
comune “Si sta”, il cui uso impersonale sottolinea una condizione di anonimato, di
FRATELLANZA dei soldati ed accentua il SENSO DI SOLITUDINE E ABBANDONO, ma
anche di DISPERAZIONE, che accomuna la vita dei soldati.
Il paragone rende la SENSAZIONE DI ANGOSCIA dovuta a qualcosa che potrebbe in ogni
momento accadere, un evento imprevedibile che esporrebbe l’uomo (il soldato) al pericolo di
MORTE. Il poeta va a trattare una vicenda esistenziale sospesa tra LA VITA e IL NULLA →
per le foglie è innegabile la caduta del ramo, mentre per i soldati l’evento della morte.
Il componimento è un EPIGRAMMA, ossia un piccolo componimento.
La lirica è caratterizzata dal periodo spezzato in quattro brevissimi versi, in cui la
punteggiatura è assente e si presenta un susseguirsi della “s”, che suggerisce il suono
dell’attesa della caduta delle foglie. L’intera poesia è retta da un solo verbo, manca un
secondo verbo riferito alle foglie. Inoltre il poeta inverte l’ordine delle parole “sugli alberi le
foglie” per comunicare l’anomalia della situazione dolorosa che si trovano a vivere i soldati.

MATTINA (1919)
dalla raccolta L’Allegria
La lirica, pubblicata per la prima volta nella raccolta “Allegria di naufragi” con il titolo “Cielo e
mare”, è un esempio di essenzialità lirica → la poesia è formata da due piccoli versi:
“M’illumino d’immenso”
Il poeta va alla ricerca dell’ASSOLUTO → nella brevissima sequenza, la presenza del poeta
(“M‘”) appare investita di una luce intensa (“illumino”), che si riflette attraverso l’intera
estensione dello spazio. Il dilatarsi della dimensione spaziale provoca una sensazione di
TOTALITA’ e PIENEZZA DI VITA che rappresenta uno stato di beatitudine e di grazia.
Ungaretti esprime la GIOIA INEFFABILE (inesprimibile, che non si può esprimere a parole)
del suo animo in contrapposizione con quello che si vive nel suo tempo → sentirsi parte
dell’universo lo porta a vivere in armonia, lo conduce alla SALVEZZA.
La MATTINA è l’istante preciso in cui avviene la fusione con l’assoluto. Tra il titolo e il testo
esiste un rapporto di corrispondenza analogica che riguarda gli indecifrabili legami fra il
tempo e l’eternità, il finito e l’infinito, il mortale e l’immortale.
L’autore, attraverso la sinestesia, accosta sensazioni diverse (la visione della luce, la
percezione del calore e l’intuizione dell'immensità).
La poesia è fatta di poche parole ma di una altissima potenza suggestiva; c’è l’eliminazione
del segno della punteggiatura (non è presente neanche il punto).

SALVATORE QUASIMODO (1901-1968)


Nasce a Modica, in Sicilia, dove trascorre l’infanzia e la giovinezza, trasferendosi in vari
paesi a causa dei frequenti spostamenti del padre. Comincia a scrivere e pubblicare le sue
prime poesie nella rivista fiorentina "Solaria", la quale poi viene censurata dal regime
fascista perché contraria all’ideologia fascista.
Quasimodo è uno degli esponenti più significativi dell’Ermetismo.
La poetica di Quasimodo inizialmente “sposa” i principi dell’Ermetismo, e si presenta quindi
oscura, sintetica, con un linguaggio ben lontano dalla lingua parlata. LA PAROLA assume un
VALORE ASSOLUTO, che tende all’astrazione. Ma assume anche un valore MAGICO ed
EVOCATIVO. Tutto rende gli effetti di indeterminatezza: sono frequenti le analogie, lo
stravolgimento dei rapporti logici e l’assenza di articoli e della punteggiatura.
Quasimodo è influenzato dal panismo dannunziano: esalta il legame con la natura (l’uomo si
trova in un armonia con la natura che dà luogo all’innocenza umana) e le sue opere
prediligono immagini della terra siciliana, che nel ricordo diventa un luogo mistico, immagini
del mare, della casa, della madre, dell’infanzia. La Sicilia, narrata e descritta in modo
realistico, è vista come un PARADISO TERRESTRE, irraggiungibile, una sorta di EDEN;
questa terra si caratterizza da un’innocenza umana, in quanto al tempo non era stata ancora
corrotta dalla società e dal male di vivere.
In questa sua prima produzione non ha un vero e proprio messaggio chiaro da offrire.
La ricerca ermetica di Salvatore si conclude col volume “Ed è subito sera”, nel 1942, nella
quale è contenuta la poesia omonima.
In una seconda fase Quasimodo si allontana dai canoni ermetici ed introduce nella sua
poetica spunti di riflessione sulla condizione dolorosa dell’essere umano e la tragicità
dell’esistenza, della SOLITUDINE che ogni essere umano, in qualsiasi momento storico,
prova. Utilizza la poesia come denuncia dei mali del suo tempo, dominati dalle atrocità della
guerra (si oppone al regime fascista e alla guerra, percepita con orrore).
Questa seconda fase non va però a rinnegare la prima, anzi, la completa: Quasimodo
comincia a scrivere in maniera più esplicita e argomentata, aprendosi verso un messaggio
più comunicativo e accessibile. Il verso si allunga e diventa più lineare, i temi si ampliano e
si arricchiscono di elementi tratti da una realtà più concreta.
Il poeta siciliano si concentra sul bene dell’uomo: secondo lui la posizione del poeta nella
società non può essere passiva, in quanto egli “modifica” il mondo. Tutto il suo lavoro mira a
scuotere l’uomo nel profondo ancor più di quanto possano fare la storia o la filosofia.

ED E’ SUBITO SERA
dalla raccolta Ed è subito sera
Nella sua essenziale brevità, questa lirica è un chiaro esempio della poesia ermetica: è
presente il significato profondo della parola, l’uso dell’analogia, la problematica interiore ed
esistenziale.
Il primo verso “Ognuno sta solo sul cuor della terra” esprime la solitudine dell’uomo, la quale
si trova al centro del mondo e delle cose. Nel secondo verso, il termine “trafitto” racchiude in
sé una profonda ambivalenza: il “raggio di sole” che colpisce l’uomo è simbolo della vita
stessa; ma “trafitto” implica soprattutto il significato di “ferito”, trasformando il raggio (la vita)
in un portatore di dolore e morte. L’ultimo verso “Ed è subito sera” separato dai due punti ma
direttamente unito dalla congiunzione “Ed”, racchiude proprio l’immagine dell”improvviso
sopraggiungere della “sera”, metafora della morte o della fine dei momenti felici.
La poesia nella sua brevità offre una riflessione sintetica sulla condizione umana: parla della
solitudine, della precarietà della vita, dello sfiorire delle illusioni, della morte e del rapporto
tra l’uomo e ciò che lo circonda.
GLI INTELLETTUALI DI FRONTE AL FASCISMO
La destra sin dai primi anni del ‘900 aveva ricevuto notevoli consensi tra artisti e intellettuali,
i quali successivamente all’avvento del fascismo furono riconosciuti nel programma di
Mussolini; Egli era consapevole dell’importanza che avevano i moderni mezzi di
comunicazione per la propaganda e per l’aumento del suo consenso.
Per ottenere un aumento del suo consenso e del consenso fascista, Mussolini attuò un
programma di repressione e di censura verso qualsiasi forma di pubblicazione.
Nel 1937 istituì, prima di tutto, IL MINCULPOP (ossia il Ministero della Cultura Popolare), il
quale aveva l’incarico di controllare ogni pubblicazione, sequestrando tutti quei documenti
ritenuti non idonei, pericolosi o contrari al regime e diffondendo i cosiddetti "ordini di
stampa". Inoltre, venne messo in atto un accurato programma che prevedeva una
propaganda attraverso i mezzi di comunicazione di massa (la radio e il cinema con l’Istituto
Luce, e l’organizzazione di manifestazioni celebrative).
Nel campo dell’istruzione, invece, venne attuata LA RIFORMA DI GENTILE, la quale
prevedeva la revisione e il controllo dei libri di testo e richiedeva il consenso “obbligatorio” al
fascismo da parte dei docenti universitari, a cui veniva imposto il giuramento di fedeltà al
regime.
I giovani vennero sin dai sei anni inquadrati in associazioni paramilitari fasciste → lo scopo
era di formare dei perfetti cittadini fascisti, sempre pronti a credere, obbedire e combattere.
I giovani erano strumento di propaganda e celebrazione del regime, dato che partecipavano
a sfilate, a giochi ginnici, vestivano sempre in uniforme e trascorrevano il tempo libero
all'Opera nazionale dopo il lavoro.
Vennero fondate anche le istituzioni culturali come l’Accademia d’Italia → aveva il compito di
promuovere il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle
arti, di conservare puro il carattere nazionale e di favorirne l’influsso oltre i confini dello
Stato”.
I due intellettuali che hanno maggiormente contribuito a caratterizzare il primo Novecento
furono Benedetto Croce e Giovanni Gentile, i quali lavorarono insieme, ma la loro
collaborazione terminò però a causa dell’adesione di Gentile al fascismo: redasse il
Manifesto degli intellettuali fascisti, con cui cercò di delineare le basi politiche e ideologiche
della nascente dittatura e giustificarne gli interventi violenti e illiberali. Al manifesto aderirono
numerosi intellettuali ed artisti, tra cui Luigi Pirandello e Giuseppe Ungaretti.
Mesi dopo arrivò la risposta di Benedetto Croce → egli fondò il Manifesto degli intellettuali
Antifascisti, al quale aderì Eugenio Montale. Per il ruolo che gli veniva unanimemente
riconosciuto, Benedetto Croce poté continuare a operare per tutto il ventennio senza essere
ostacolato dalla censura, a patto che non intervenisse direttamente nella vita del regime. Il
Manifesto fu l’ultimo atto ufficiale del tentativo fatto da parte del mondo culturale di opporsi
alla dittatura.
Due figure di spicco tra gli intellettuali che si opposero al regime fascista furono Antonio
Gramsci e Piero Gobetti (entrambi però furono messi a tacere) → Gramsci, in contrasto con
Croce, riteneva necessario conciliare l’impegno culturale con quello politico. Gobetti,
principale esponente dell’antifascismo liberale, cercò invece di conciliare il liberalismo
borghese con le richieste del socialismo.

LE RIVISTE
Durante il regime si crearono importanti riviste, nelle quali gli intellettuali del tempo
prendevano parte a numerosi dibattiti culturali. Tra le più importanti si ritrovano le riviste che
difendono l’autonomia totale dell’arte e dell’intellettuale dalla politica (La Ronda) e quelle che
si confrontano con i valori del regime, facendosi portavoce, proponendo una critica interna,
oppure opponendo una visione radicalmente diversa.

NEOREALISMO
Fine degli anni 30’ → in alcuni narratori comincia a manifestarsi un ATTEGGIAMENTO DI
FORTE INSOFFERENZA E DI CRITICA verso la chiusura intellettuale della società fascista
contemporanea. Si sviluppa UNA NUOVA CONCEZIONE, secondo la quale l’intellettuale
deve uscire dalla posizione di isolamento dalla realtà (assunta dagli ermetici) e proporre
nuovi contenuti attraverso un linguaggio più accessibile, semplice, popolare che possa
giungere ad un vasto pubblico. In particolare, dopo l’esperienza della Seconda guerra
mondiale, l’intellettuale avverte la necessità di farsi interprete dei problemi e dei bisogni reali
del popolo. Questa tendenza sfocia nel movimento del NEOREALISMO, che trova la
massima affermazione nel decennio 1945-1955.
Il nome del movimento deriva in parte dal verismo, in quanto vuole rappresentare la realtà in
modo realistico, sia negli aspetti positivi che in quelli negativi. A differenza dei veristi, gli
scrittori neorealisti si sentono investiti di una GRANDE RESPONSABILITÀ: contribuire,
attraverso l'impegno politico e sociale, alla ricostruzione materiale e spirituale della società
contemporanea.
In letteratura ogni scrittore neorealista aveva un modo diverso di scrittura personale, non si
parla di una vera propria scuola. Il fatto che anche gli scrittori fossero usciti da un'esperienza
come la guerra (che non aveva risparmiato nessuno) stabiliva un’immediata comunicazione
tra lo scrittore e il pubblico. Si era alla pari, ricchi di storia da raccontare; ognuno aveva la
sua storia, ognuno aveva vissuto delle vite drammatiche, avventurose.
Tra i TEMI più importanti troviamo la GUERRA che è una ESPERIENZA COMUNE a tutti gli
scrittori di questo movimento; poi troviamo LA RESISTENZA, LE LOTTE PARTIGIANE, LE
OCCUPAZIONI DEGLI ESERCITI STRANIERI, LA CADUTA DEL FASCISMO. Importante è
anche la povertà degli italiani alla fine del conflitto (la fame, la miseria, la condizione del sud;
altro filone importante legato a questa realtà del sud sarà il mondo operaio, contadino: si
vuole creare un'altra società dove ci siano tutti quei valori che ormai erano stati eliminati).
Tutti i caratteri del movimento vengono trattati nel saggio di Carlo Salinari “La Questione del
Realismo" (1960) →
➢ IMPEGNO: gli scrittori sono fortemente legati alla realtà contemporanea, soprattutto alla
storia politica e civile del nostro paese. MOSTRANO UN GRANDE IMPEGNO SOCIALE
E CIVILE rispetto al passato quando i problemi reali venivano messi da parte.
➢ NUOVE TECNICHE E CONTENUTI: i nuovi temi si oppongono a quelli del passato e
protagonisti delle opere sono i lavoratori, il proletariato, il mondo contadino e il mondo
provinciale; ma vengono presentati anche scioperi e bombardamenti.
➢ NUOVE ESPRESSIVITÀ
➢ REALISMO
L’AGNESE VA A MORIRE
Renata Viganò
E’ un romanzo neorealista, uno dei primi nel quale venne trattata la tematica della
RESISTENZA → al centro del romanzo l’autrice pone il ruolo della donna nella resistenza e
si evidenzia come la donna abbia partecipato attivamente alla rivolta partigiana e di come
esse presero consapevolezza del loro impegno civile, di avere un ruolo nella guerra → le
donne diedero dei contributi importanti alle lotte partigiane; si prendono come esempio le
donne staffette, le quali portavano armi agli uomini. Viganò decide di raccontare la guerra
attraverso gli occhi di questa donna.
(Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Renata Viganò partecipò attivamente alla
Resistenza e da questa esperienza trasse spunto per il romanzo che la rese famosa).
La protagonista è Agnese, una donna che vive una vita tranquilla ma ad un certo punto suo
marito, deportato in un campo dì concentramento, muore e la lascia sola. Si ritrova così a
vivere da sola con una gatta e comincia a riflettere su cose da uomini: comincia a
collaborare con i partigiani e partecipa attivamente nella lotta della Resistenza.
L’autrice dà voce non solo alla donna ma anche alla POPOLAZIONE DEGLI UMILI (operai,
analfabeti) che prima non erano stati presi in considerazione; sono tutti VITTIME DELLA
GUERRA: speravano che con una loro partecipazione attiva alla lotta contro le autorità
potessero avere la possibilità di ricostruire sé stessi. L’obiettivo della società era quello di
realizzare una realtà diversa che aveva come obiettivo la GIUSTIZIA, recuperare quei valori
che si erano nel tempo e “far finita con la guerra”.
Come tante opere del neorealismo si ha UN LINGUAGGIO COLLOQUIALE per trasmettere
la realtà del tempo. Viene utilizzata la tecnica del DISCORSO DIRETTO LIBERO così che i
pensieri possano emergere direttamente dai personaggi. C’è un narratore onnisciente che
prende il punto di vista della protagonista.

VIA DEL CORNO (Vasco Pratolini)


da Cronache di poveri amanti
Vasco Pratolini rappresenta la storia contemporanea in un modo realistico e mimetico.
“Cronache di poveri amanti” è un romanzo tipicamente neorealista, di ambiente proletario
che poi si politicizza anche perché è un proletario anfascista. L’autore si interessa al popolo
minuto e raffigura uno spaccato di vita popolare di Firenze. C’è una grande adesione e
partecipazione morale da parte dello scrittore che non si distacca da ciò che narra e
simpatizza per gli eroi umili che vengono rappresentati.

IL NEOREALISMO E IL CINEMA
Il CINEMA diventa un mezzo per dibattere problemi umani e sociali della realtà
contemporanea. Il neorealismo ha dato esiti importanti nel campo del cinema: si comincia a
parlare dei CINEGIORNALI e DOCUMENTARI che esaltano lo sforzo bellico degli alleati,
dando così al pubblico italiano l’immagine di una società “democratica” e “libera”. Il cinema
pone attenzione alla situazione politica attuale, alle sconfitte belliche e alla resistenza.
Diventa non solo un mezzo di espressione artistica ma un linguaggio che deve coinvolgere
sul piano intellettuale oltre che emotivo.
Con il film “Roma città aperta” Rosselini narra i fatti accaduti nei nove mesi dell'occupazione
nazista di Roma. Il film mostra una città distrutta e ogni percorso dei personaggi è un
itinerario fra rovine reali e rovine simboliche. La vera NOVITÀ DEL FILM è costituita proprio
da questo connubio fra realtà e metafora: il regista vede in queste rovine le rovine di
un'intera civiltà. Nei film che vanno dal 1945 al 1948 i protagonisti, che la guerra ha fatto
regredire a una vita primitiva, compiono esperienze di confine, si trovano spesso al limite tra
vita civile e vita animale. Agli eroi tradizionali, fittizi e artificiosi questo cinema sostituisce
UOMINI COMUNI, operai, contadini, impiegati, disoccupati, che trovano la loro verità nel
rapporto con l'ambiente sociale, in una partecipazione collettiva.
LA CIOCIARA (1957)
Alberto Moravia
Il romanzo La ciociara rappresenta, attraverso la vicenda drammatica di due protagoniste
femminili, la violenza della guerra, distruttrice di vita e responsabile di mutamenti forzati e
dolorosi della psicologia e interiorità degli individui (dal romanzo nel 1960 fu tratto il film
omonimo, diretto da Vittorio De Sica.
Il romanzo narra la storia di Cesira, una bottegaia romana rimasta vedova, e di sua figlia
Rosetta. Cesira è una contadina della Ciociaria; è una donna onesta che riesce, però, a
trarre considerevoli profitti dal mercato nero. Ha cresciuto sua figlia educandola al rispetto
degli altri. Non appena a Roma comincia a scarseggiare il cibo e si fa più concreta la
minaccia dei bombardamenti, la ciociara decide di raggiungere i monti della sua terra natale,
nei pressi di Fondi. Qui la madre e la figlia adolescente vivono mesi di sacrifici, di ansie, di
speranza e illusione, come tutti coloro che aspettano la pace e la liberazione. Mentre si
riposano in una chiesa deserta, Cesira e Rosetta sono sorprese da un gruppo di soldati
marocchini aggregati ai reparti alleati. Entrambe vengono aggredite e Rosetta subisce
violenza. Lo stupro è un trauma durissimo per la giovane: ella muta la dolcezza dei suoi
atteggiamenti acquistando un carattere che la madre non riconosce più. Tuttavia, durante il
viaggio di ritorno verso Roma, ormai liberata, Rosetta si lascia andare a un pianto che
sembra riscattare tutto il suo dolore e la miseria della violenza subita.

LA VIOLENZA DELLA GUERRA


capitolo IX, dalla Ciociara
Il brano mette in scena il drammatico episodio della violenza sofferta da Cesira e Rosetta, le
quali apprendono, dall'esperienza della guerra e dal pericolo della morte sempre
incombente, ma soprattutto dal sacrificio personale dall'aggressione subita, tutta la brutalità
del mondo travagliato dall'irrazionalità di un apocalittico sconvolgimento. La chiesa dove
trovano rifugio momentaneo dovrebbe essere, nella loro ottica, il luogo dell'innocenza e della
pietà, in cui è possibile alimentare la SPERANZA del recupero di un’atmosfera affettiva. MA
a distanziare Cesira da questo recupero nostalgico dei luoghi natali è la coscienza di trovarsi
di fronte a un paesaggio distrutto, sconvolto, definito dallo scrittore “un guscio vuoto”. Lo
scrittore raffigura l’attacco del soldato a Cesira come una sorta di agguato felino (il soldato
rappresentato con occhi neri, viso scuro, denti neri). Narra il tentativo di violenza alla madre,
lasciando quasi pietosamente nell'ombra lo stupro alla figlia. II tema dell'innocenza violata di
Rosetta viene evidenziato dalla metafora della preda.

GUERRA E GIORNALISMO
Durante la seconda guerra mondiale il CINEMA diventa un importante MEZZO DI
PROPAGANDA. In Italia negli anni ‘20 si assiste alla “fascistizzazione” dell’industria
cinematografica → una politica di intervento e di controllo diretto da parte del regime fascista
che promuove la realizzazione di opere autocelebrative. Con la nascita dell’istituto Nazionale
Luce si trasmettono in Italia e all’estero tutti gli eventi più significativi della storia del
fascismo. Importante è anche il ruolo della RADIO → negli anni ‘30, sia in Germania sia in
Italia, diventa l'organo di informazione quotidiana più importante.
Alla fine del secondo conflitto mondiale l’Istituto nazionale Luce vive una profonda crisi e
questa si ripercuote in tutto il cinema italiano. Tuttavia lo stato italiano interviene a sostenere
economicamente LA PRODUZIONE DEI DOCUMENTARI che in assenza della televisione
sono un elemento di legame tra il paese e il pubblico. Così, tra il luglio 1945 e l'ottobre 1946,
nelle sale italiane ricompare un cinegiornale con il marchio dell'Istituto, che ha assunto la
denominazione di Istituto Nazionale Luce Nuova.
Alla fine del lungo conflitto mondiale l'Italia repubblicana accetta il programma di
rifondazione, il "Piano Marshall", che prevede anche una campagna propagandistica, al fine
di innalzare il livello di speranza e la capacità di programmazione del futuro.
Un ruolo importante nel raccontare la guerra fu quello dei giornalisti/reporter di guerra che si
servivano dei reportage. Storicamente la figura del reporter di guerra nasce durante la
guerra di Crimea nel 1854 con le cronache dal fronte di William Russell → era un giornalista
irlandese che inventò le corrispondenze di guerra: la guerra per la prima volta venne
raccontata nella sua crudeltà e nella sua devastazione. Sono immagini molto lontane dalle
cronache celebrative che avvenivano per le campagne militari. A quel tempo gli articoli di
Russel contribuirono alla caduta del governo inglese e diedero voce all’indignazione
dell’opinione pubblica. Questi articoli portarono una schiacciante evidenza: l’informazione
era una delle più importanti armi a disposizione degli governi perché permetteva a creare e
pilotare il consenso delle masse.
Per questo motivo IL GIORNALISMO DI GUERRA poi si è dovuto confrontare con la
censura che è stata pressante soprattutto durante il periodo fascista → le notizie erano
selezionate per evitare che potessero suscitare e muovere le coscienze delle masse.
Solo dopo il ventennio fascista (con la riconquista della libertà di stampa, con un processo di
ricostruzione di un sistema più democratico dei mass media e con l’avvento delle nuove
tecnologie e della rete) il giornalismo di guerra ha tentato di proporre una lettura di
informazione libera con immagini, racconti e testimonianze.
A Ernest Hemingway si deve LA FUSIONE TRA CRONACA (giornalismo fatto di cose viste
sul campo e di personaggi ritratti sul campo) E IL RACCONTO → egli sottolinea la
possibilità che l'autorità si possa trasformare in un'opera letteraria. Egli era un giornalista e
scrittore che ricalca il modello di Jack London che vuole testimoniare il proprio tempo. Anche
la figura del giornalista cambia → è una figura vivificata perché esprime con grande
passione una riflessione politica e sociale e il GIORNALE acquisisce una NUOVA
ESTETICA: diventa una struttura di comunicazione e di riflessioni politico sociale.
Con Giuseppe Prezzolini la separazione tra giornalista e scrittore si fa sempre più sottile. I
due campi del giornalismo e della letteratura si fondono → la letteratura deve confrontarsi
sempre con l’attualità e la cronaca dei fatti si unisce con la capacità da parte dello scrittore di
raccontare. Il giornalismo non è solo informazione ma anche divulgazione e indagine e
trattazione, soprattutto quando si parla di argomenti di spessore come l’evento bellico.
Con Curzio Malaparte il reportage diventa un genere letterario: si tratta di un ARCHIVIO DI
VIOLENZA E DI SCANDALI DELLA GUERRA. L’autore descrive le cose che vede, ma
soprattutto le impressioni (come egli vede le cose). Dà una visione personale della guerra.

LA PELLE (Curzio Malaparte)


La Pelle è un romanzo che suscitò molte polemiche poiché evidenzia con grande eroismo
una Napoli smembrata moralmente e fisicamente dalla guerra nell'inverno del 1943 al marzo
del 1944. L’autore rappresenta la lotta alla sopravvivenza con lucidità, senza lasciarsi
trasportare da sentimentalismi. Si presenta uno scenario raccapricciante di un'Italia
sconvolta e devastata. Malaparte venne visto come voce scomodante del partito fascista.
Verrà arrestato più volte e verrà poi liberato dagli americani e dedica il suo romanzo ad un
generale americano che lo ha salvato.
LA BANDIERA
capitolo X, da “La pelle”
Si presenta una scena di violenza e terrore → c’è crudezza nel modo in cui vengono descritti
i corpi di alcuni uomini che vennero schiacciati da un carro armato e risultano essere come
un tappeto di pelle umana.

IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO (Italo Calvino)


E’ un romanzo nel quale Calvino va a trattare il tema della RESISTENZA PARTIGIANA.
Da un lato il romanzo si inserisce nel clima neorealista sia per il suo tema, ossia la guerra
partigiana, sia per il suo essere: Calvino vuole fissare per i posteri in modo più realistico
possibile un evento storico importante. Tuttavia il romanzo presenta anche caratteristiche
innovative, che lo allontanano dal resto della letteratura neorealista. La caratteristica più
importante è quella del PUNTO DI VISTA scelto per raccontare questo momento storico: la
guerra e la Resistenza sono viste dallo sguardo di un bambino, Pin (il protagonista di questo
brano). In questo punto di vista Calvino si identifica, dal momento che lo scrittore ha sì
vissuto la Resistenza, ma non da protagonista.
Lo sguardo di Pin è particolare perché egli non è un bambino come tutti gli altri, ma è un
bambino orfano che vive in mezzo ai grandi. Il bisogno di affetto lo spinge a cercare la
compagnia degli adulti. Gli adulti gli appaiono incomprensibili e contraddittori (essi dicono
qualcosa e poi smentiscono quello che hanno detto); ma, pur di essere trattato alla pari, si
sforza di seguire i loro discorsi. Un giorno all’interno dell’osteria dei grandi appare uno
sconosciuto e i grandi chiedono a Pin di rubare una pistola di un marinaio tedesco (ci
troviamo nell’epoca dell’occupazione tedesca in Italia). Pin non capisce bene, ma la notte
ruba la pistola perché pensa che così potrà essere considerato uno di loro. Il giorno dopo la
porta all’osteria, ma i grandi sembrano aver cambiato idea, sembrano non dare più
importanza alla pistola. Così Pin, infuriato, scappa via e nasconde la pistola in un posto
segreto, che solo lui conosce, lungo un sentiero dove fanno i nidi i ragni. Al ritorno in paese
si imbatte nella polizia tedesca che gli stava dando la caccia; viene quindi interrogato e
spedito in prigione. Durante l’interrogatorio il bambino cerca di mettere in difficoltà l’ufficiale e
non rivela la verità sul furto perché non vuole tradire i compagni dell’osteria in quanto sono
gli unici amici che lui ha. Dopo però lui subisce un'altra delusione: tra i tedeschi Pin
riconosce il Francese che lo aveva spinto a rubare l’arma e che lo aveva spinto a non
parlare di tutto ciò; il Francese lo aveva tradito ed era passato dalla parte dei fascisti. Da
questo momento in poi Pin viene in contatto con i partigiani e si unisce, senza capirne le
ragioni, alla loro lotta.
Un’altra caratteristica originale di questo romanzo è che i partigiani non sono sempre
presentati come degli eroi: la storia della resistenza attraverso lo sguardo di questo bambino
perde quell’aspetto mitico ed eroico che si è sempre cercato di evidenziare sui libri; il
bambino riesce a cogliere anche l’aspetto contraddittorio dei partigiani. (Sia da parte dei
fascisti sia da parte dei partigiani si aveva la tendenza a raccontare le vicende in maniera
oggettiva perché si voleva dare come una sorta di presa visione della realtà; in questo modo
però non si teneva conto di tante cose che potevano essere legate ad uno aspetto
dell’individuo.)
Può essere considerato anche un romanzo di crescita, la guerra come sfondo esalta dolore
e paura già presenti nel protagonista. Pin indaga, paragona, analizza gesti e desideri altrui
per scoprire che tipo di persona vuole diventare. Si va a raccontare quindi anche la ricerca di
sé stesso da parte del bambino.
IL PARTIGIANO JOHNNY (pubblicato postumo 1968)
Beppe Fenoglio
Il partigiano Johnny NON viene classificato come un romanzo poiché si presenta sia come
romanzo di formazione sia come cronaca storica degli anni della guerra. Viene definito un
“libro grosso”: è molto esteso, dovrebbe coprire l’intero arco della guerra, infatti venne
sottoposto a più stesure. Il libro si fonda sull’esperienza autobiografica di Fenoglio sulla
RESISTENZA durante la Seconda guerra mondiale.
Il libro ruota intorno la figura del giovane Johnny → egli rappresenta l’eroe della Resistenza,
simbolo vivente dell'antifascismo, la vera incarnazione del partigiano assoluto, che vive la
sua avventura senza illusioni. La sua figura è ricalcata da vicino su quella di Fenoglio stesso
e le sue vicende ripercorrono la biografia dello scrittore.
Dopo l’armistizio di Badoglio nel 1943 Johnny riesce a tornare a casa e viene nascosto dai
genitori in una villetta sulle colline delle Langhe, nei pressi di Alba, per evitare di essere
ripreso dai fascisti che avevano formato la repubblica di Salò e che stavano richiamando tutti
i giovani alle armi, per partecipare alla guerra. Per ingannare il tempo Johnny si intrattiene
leggendo, ma sembra impazzire: anche la letteratura che era la sua passione non gli basta
più. L’isolamento fa crescere dentro di sé il senso di libertà, la voglia di riportare giustizia alla
sua città e il desiderio di contribuire attivamente alla salvezza del proprio paese. Ciò lo porta
a scappare e a dirigersi verso Alba, dove decide di unirsi ai partigiani. La vicenda si
conclude con un violento scontro a Valdivilla nel febbraio del 1945.
La Resistenza che Fenoglio narra è un’avventura umana universale; gli uomini combattono
per un aspetto collettivo: tutti sono uniti nella lotta per la libertà → non si rassegnano al loro
destino, ma si oppongono in modo eroico perché sono spinti e motivati dai grandi ideali. Il
loro è un pessimismo “resistente”, non rassegnato: anche se siamo tutti destinati alla morte,
sul piano esistenziale siamo già vinti, quindi dobbiamo andare incontro al nostro destino (la
condizione ideale dell’uomo di tutti i tempi è quella di combattere per la propria dignità e per
la propria libertà).
La guerra però NON è il fine della narrazione, ma il mezzo della narrazione: viene
presentata come lo scontro dell'uomo con la violenza, con la sofferenza e con la morte; la
guerra toglie ogni dignità umana all'individuo. Johnny infatti non viene visto come un eroe
dal suo autore, non vi è niente di epico nelle sue gesta: egli viene presentato soltanto come
un uomo alla ricerca di una ragione, di una verità.
Gli studiosi individuano il brano come un racconto di stile epico: NON c’è un tono celebrativo
ma una amara ironia e si mantiene una visione oggettiva: prevale una narrazione secca
degli eventi, non dando importanza ai pensieri e all’opinione del personaggio. Lo scrittore
usa anche un linguaggio quotidiano e uno stile aulico ed evocativo. Inoltre c’è una forte
mescolanza dell’inglese e dell’italiano.

Il Paradiso, Dante
La Commedia
Il Paradiso è un nuovo regno della Commedia; è la città celeste, il regno dello spirito.
È costituito da NOVE CIELI, rotanti intorno alla terra (si segue la dottrina tolemaica secondo
la quale si trova al centro dell’universo) con un movimento che aumenta l’intensità sempre di
più dal primo all’ultimo. Gli angeli si trovano nell’empireo e man mano scendono e
incontrano Dante. L’empireo (il decimo ed ultimo cielo a partire dalla terra) è un cielo
immobile, immateriale e infinito, sede di dee e dei Beati.
Il Paradiso appare a Dante come un mare di luce → Dante fa un viaggio alla ricerca della
luce, di Dio e man mano incontra anime differenti tra loro: alcune appaiono fiammeggianti,
altre che danzano e ballano. Qui Dante arriva a contemplare il sommo bene.
La materia nel Paradiso è INEFFABILE → inesprimibile a parole, ciò che non può essere
concepito attraverso la parola. C’è un allontanamento dal tangibile, ossia ciò che può essere
concepito attraverso i sensi. Il compito di Dante è di rendere l’ineffabile: è impossibile
raccontare per chi scende dal Paradiso ciò che lui ha visto e vissuto.

Dante, nel procedere verso l’alto e giungendo al Paradiso, perde le certezze del mondo
tangibile → il salire non è un salire fisico, MA un desiderio (a Beatrice basta guardare in alto
con desiderio per raggiungere il luogo desiderato).
Abbandonando tutte le certezze, parla del REGNO DELLO SPIRITO.
Il regno dello spirito è di difficile comprensione perché non ci sono termini di paragone con la
vita terrena. Non è un luogo fisico, ma fatto di luce, di stelle.
Per umanizzare la materia sovrumana (ciò che non può essere compreso dal nostro
pensiero), Dante utilizza la LUCE e la MUSICA e mantiene sempre una LUCIDITA’
RAZIONALE; ciò gli permette di non abbandonarsi mai a un totale misticismo.
La POESIA è l’unica che può esprimere L’INESPRIMIBILE e rendere il mondo dello spirito
COMPRENSIBILE E CONCEPIBILE per i mortali.

Le novità
A livello metrico viene impostata la TERZINA DANTESCA → versi endecasillabi con rima
incatenata. La struttura della terzina è costituita da trentatré sillabe (il numero 3 allude alla
trinità, alla perfezione). Può essere rappresentata attraverso una figura spirale, ripropone lo
stesso viaggio che il pellegrino fa nell’ottica della purificazione per raggiungere la salvezza.
Dal punto di vista stilistico, è presente uno svariato numero di SIMILITUDINI → si ha la
ripresa della similitudine che stava decadendo all’interno della poesia medievale).
Un’altra novità è la LINGUA: non c’è un testo autografo, ovvero non esiste un testo originale
(abbiamo solo testimoni). Ma si può risalire alla lingua di Dante solo attraverso alla RIMA.
E’ inoltre il PLURILINGUISMO poiché si usano diversi livelli della lingua: la presenza di
latinismi è molto ricorrente (esempio: il termine labor, in italiano lavoro, indica la fatica), ci
sono anche modelli linguistici intrecciati tra loro che furono attestati per la prima volta da
Dante, ma che resistono anche nei nostri giorni (esempio: fertile deriva dal latino ed indica
portare o l’aggettivo mesto che significa essere triste, addolorato).
La Commedia è il testo che ha permesso di introdurre i latinismi nella lingua comune.

CANTO I
I primi versi costituiscono il Proemio, il quale è costituito da:
➢ PROTASI → c’è un’invocazione alla musa
➢ APOTASI → parte destinata all’argomento
Si sviluppa in 12 terzine ed inizia con la perifrasi di Dio (c’è un giro di parole per arrivare ad
un concetto) → Dio viene menzionato nel primo verso, in quanto è colui che muove tutto
l’universo. Dante invoca Apollo (Dio della poesia) per chiedergli aiuto; spera di ricevere da
parte sua la corona di alloro (simbolo della gloria).
IL CANTO SESTO
È un canto politico → si ha L’EVOLUZIONE DEL TEMA POLITICO.
Nel corso della Commedia il tema politico si accresce, c’è una sorta di climax: si parte dalla
visione di Firenze divisa al tempo nell’inferno, per poi passare al purgatorio dove si ha
ancora una volta la denuncia di due fazioni (guelfi e ghibellini) che hanno portato alla
decadenza civile dell’Italia.
Nel paradiso viene affrontato il tema dell’ISTITUZIONE IMPERIALE e del RUOLO
PROVVIDENZIALE nel mondo per mostrare come le due fazioni dell’epoca (guelfi e
ghibellini) cercarono di appropriarsi del comando dell’impero.
Il protagonista di questo canto è Giustiniano → l’imperatore dell’impero romano d'Oriente
(dal 527 al 565 a.c), noto per aver istituito le leggi giuste. L’opera finale di Giustiniano fu il
Corpus Juris Civilis (opera scritta per diretta ispirazione divina), basata sull’importanza della
giustizia e delle leggi (secondo Giustiniano l’unità giuridica era la chiave per arrivare ad unità
politica) e necessaria per effettuare l’UNIVERSALIA’ DELL’IMPERO. Per la sua opera a
Giustiniano viene riconosciuta la RESTAURAZIONE DELLA TRIPLICE UNITA’ DELL’ITALIA
IMPERIALE: a livello bellico-territoriale per le varie conquiste, a livello religioso poiché l’unità
religiosa è il presupposto per l’unità politica (inizialmente Giustiniano era un monofisita,
credeva solo nella natura divina di Cristo; quando entra in contatto con la chiesa e con il
Papa comprende anche la natura umana di Dio) e a livello legislativo, in quanto con l’unità
giuridica si può procedere all’unità politica.
Giustiniano viene considerato il simbolo stesso dell’impero e l’ideale di imperatore che deve
portare nell’impero stabilità, giustizia, ordine, pace (ciò è anche la base dell’azione spirituale
della chiesa, ovvero condurre gli uomini verso la felicità).
Siamo nel secondo cielo o CIELO DI MERCURIO.
Mercurio è un pianeta piccolo (“è una piccola stella, verso 112) in cui scendono gli spiriti che
in vita erano attivi ed operanti soltanto per conseguire gloria terrena, onore e fama. Queste
anime si muovono silenziosamente; sono luce che si muove nel profondo della luce.
Gli spiriti vengono paragonati a dei pesci che convergono nella peschiera con la pastura (si
allude all’importanza dell’ACQUA, elemento utilizzato per la comprensione della materia
divina, ineffabile). Con questa SIMILITUDINE si allude al fatto che, nonostante il pianeta sia
piccolo, le anime convergono in tantissime su un unico punto.
Il discorso di Giustiniano occupa l’intero canto e può essere diviso in quattro parti → il
discorso inizia già nel canto precedente e termina nelle prime terzine del settimo canto. Nel
settimo canto, ad un certo punto del suo discorso, Giustiniano canta un inno di lode a Dio e
si dilegua danzando insieme alle anime mercuriali nell’Empirio per dirigersi verso Dio.
Questa danza era una componente necessaria nelle cerimonie e spettacoli sacri.
Attraverso l’aquila si ripercorrono le vicende dell’impero romano. L’AQUILA (“uccel di Dio”,
“sacre penne”) rappresenta il simbolo dell’insegna dell’autorità imperiale, simbolo dell’impero
romano e simbolo della giustizia. L’aquila ha il compito di guidare gli uomini verso la
salvezza e spianare le vie alla chiesa.
Dante parla anche di come Costantino va da occidente verso oriente (“contro il corso del
sole") nello spostamento della capitale a Costantinopoli e riprende la teoria dei due soli,
secondo la quale sia il papa che l’imperatore ricevono il potere da Dio e sono entrambi
importanti per il raggiungimento della felicità.
Dante sottolinea anche la decadenza di tutte le istituzioni politiche del suo tempo perché
sono queste la causa del disordine della giustizia nella quale si trova l’Italia. Polemizza
contro i guelfi e i ghibellini, considerati la causa dei mali del mondo.
In questo cielo Giustiniano cita anche l’anima di Romeo Villanova, un esempio di politico
devoto, corretto e fedele che venne respinto ed esiliato per ostilità dei suoi concittadini.
Anche lui si trova nel cielo di Mercurio.

CANTO 33
Dopo la guida di Virgilio, simbolo della razionalità, e di Beatrice, simbolo della teologia, ora a
guidare Dante è San Bernardo di Chiaravalle, che rappresenta il momento mistico, il
momento che mette in condizione l'uomo di guardare la divinità.
Ci troviamo nell’Empireo.
Il canto si apre con LA PREGHIERA ALLA VERGINE → San Bernardo prepara Dante
all’incontro con Dio, pregando la Vergine. Egli rappresenta la guida ultima che permette che
questo viaggio si concluda.
La Vergine rappresenta il tramite fondamentale tra l’uomo e Dio.
Dante penetra con lo sguardo nella luce di queste anime che sono disperse nella luce → è
come se Dante si fondesse nella perfetta armonia universale della luce di Dio.
In un primo momento c’è la lode alla Vergine. Questa preghiera è detta LODE
OSSIMORICA: in questa preghiera Dante sforza di risolvere tutti quegli aspetti oppressivi del
limite umano attraverso L’OSSIMORO → Maria è sia vergine che madre. Maria è figlia del
suo figlio, perché creatura di Dio e madre di Cristo, di Dio. È umile ed alta.
C’è un ossimoro anche di Cristo: esso non è solo creatore, ma anche creatura.
Nella poesia di Dante l’ossimoro non è un artificio retorico che serve per sorprendere il
lettore, ma diviene il mezzo più efficace per illustrare la verità di fede, la materia ineffabile
che non sarebbe mai comprensibile. La rappresentazione ossimorica di Maria dimostra
come la logica umana non sia più sufficiente.
Inoltre, sono presenti DUE METAFORE (similitudini senza nessi connettivi) che disegnano la
Vergine attraverso il chiasmo: meridiana pace e fontana vivace.
Comincia poi, in un secondo momento, la supplica alla Vergine → l’invocazione di Dante per
ottenere la grazia della visione di Dio.
Questo brano è denso di simboli e metafore che sono connotate con il tratto semantico del
caldo → il caldo si collega con l’immagine della fecondità. C’è una rappresentazione
dell’amore come fuoco.
San Bernardo conclude la preghiera invitando Maria a posare lo sguardo su Beatrice perché
Beatrice, insieme a tutti gli altri beati del Paradiso, giunge come mediatrice affinché a Dante
sia data la più alta grazia → LA CONTEMPLAZIONE DELLA LUCE DI DIO.

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