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In seguito alla prima esperienza fuori dal “natio borgo selvaggio”, il viaggio a Roma
– la sede delle antiche memorie, delle antiche vestigia – che si rivela però una solenne
delusione perché nessun monumento ha destato la sua curiosità e la sua attenzione; l’unico
«piacere» è stato, come scrisse in una lettera alla sorella Paolina, il momento in cui ha
visitato la tomba di Torquato Tasso;
Inoltre, avendo trascorso la maggior parte della sua vita tra le mura domestiche, non era stato
in grado di relazionarsi con il mondo.
Leopardi si trova così in un momento di piena crisi esistenziale in cui, dal 1822 al 1828,
abbandona la poesia.
Sono gli anni in cui si assiste il passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico.
Le Operette rappresentano il culmine della sfiducia nella natura: diventa “matrigna” e non
più “madre”, istilla nell’uomo il desiderio di felicità per poi negargliela costantemente.
È un ciclo di creazione e distruzione che coinvolge tutti gli esseri viventi e non lascia vie di
scampo.
Nel 1824 comincia la stesura dei primi «dialoghi e novelle lucianee», che vengono pubblicati
nel 1827 con il titolo di Operette morali. È un macrotesto che raccoglie tanti microtesti.
Vengono pubblicate dopo varie vicissitudini e l’aggiunta di ulteriori testi.
− La prima edizione conteneva 20 prose, stampate a Milano presso l’editore Stella nel
1827. L’anno precedente erano già usciti sull’“Antologia” di Firenze e sul milanese
“Nuovo Ricoglitore” il Dialogo di Timandro e di Eleandro, il Dialogo di Cristoforo
Colombo e di Pietro Gutierrez, il Dialogo di Torquato Tasso e il suo Genio
Familiare.
− Nella seconda edizione, pubblicata a Firenze da Piatti nel 1834, i testi diventano 22
per l’aggiunta del Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere e il
Dialogo di Tristano e di un amico.
− Viene preparata un’ulteriore stampa a Napoli presso l’editore Starita nel 1835, ma
viene bloccata dalla censura e si ferma dopo la pubblicazione del primo volume che
contiene 13 testi.
− La volontà dell’autore viene realizzata compiutamente solo da Antonio Ranieri
nell’edizione del 1845, dove troviamo il testo definitivo composto da 24 operette
3.
DIALOGO DELLA MODA E DELLA MORTE
5.
DIALOGO DI UN FOLLETTO
E DI UNO GNOMO
Operetta composta tra il 2 e il 6 marzo 1824 e compare fin dalla prima edizione –1827 –
Nella prima stampa, il dialogo occupava la sesta posizione, mentre nell’edizione definitiva è
situato nella quinta, per l’eliminazione del Dialogo di un lettore di umanità e di Sallustio.
In questo testo un folletto e uno gnomo sbeffeggiano la credenza dell’uomo che il mondo sia
fatto a suo esclusivo uso e consumo. Il mondo, invece, potrebbe esistere e sopravviverebbe
ugualmente anche se gli esseri umani si estinguessero.
Questo dialogo sviluppa un ragionamento serrato che si articola in una serie di punti:
– La notizia della fine dell’uomo: lo gnomo racconta al folletto di essere stato incaricato da
suo padre di scoprire che fine abbiano fatto gli uomini, giacché è da tempo che non se ne
vede nessuno in giro. Il folletto, citando un verso di una tragicommedia del ‘700, gli spiega
che gli uomini sono tutti morti, si sono estinti.
– Le conseguenze dell’assenza degli uomini: il mondo procede anche in assenza del genere
umano. Senza i calendari, il computo dei giorni può essere effettuato grazie all’andamento
della luna. I giorni della settimana rimarranno senza nome, ma saranno ugualmente
fuggevoli. Qui il tema della caducità del tempo presente in altre delle operette.
– Le cause dell’estinzione umana: gli uomini, spiega il folletto, si sono estinti facendosi
guerre a vicenda, oziando, conducendo vite disordinate, nuocendo contro la natura e
rovinandosi l’esistenza. E spiega che anche nelle ere passate alcune specie di animali si sono
estinti e di loro rimangono solo tracce fossili.
– Discussione sulla finalità del mondo: lo gnomo concorda con il folletto sul fatto che tutte le
specie animali credano che il mondo sia stato creato per loro, anche gli stessi gnomi e folletti.
– La falsa presunzione degli uomini: più di tutte le altre specie però è l’uomo a ritenere che il
mondo sia stato creato per lui, e che sia dunque di sua proprietà, padroni addirittura di specie
da loro sconosciute.
– Conclusione: l’uomo pensa che anche l’universo sia sua proprietà; ma ora che l’uomo si è
estinto non si deve credere che i pianeti abbiano smesso di girare e che si siano vestiti a lutto
per lui. Tutto continua come prima anche senza l’essere umano.
6.
DIALOGO DI MALAMBRUNO
E DI FARFARELLO
9.
LA SCOMMESSA DI PROMETEO
11.
DIALOGO DI TORQUATO TASSO
E DEL SUO GENIO FAMILIARE
17.
ELOGIO AGLI UCCELLI