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Leopardi giudica male la sua età, dominata dalla pigrizia e dalla noia profonda:
questi sono i temi delle sue liriche e da qui scaturisce l’atteggiamento titanico, cioè il
poeta sfida da solo il fato maligno che ha condannato l’Italia ad una misera
condizione ; questo tema da forma al pessimismo storico: la condizione negativa del
presente viene vista come conseguenza di un processo storico.
Ma Leopardi, col passare del tempo, si rende conto che è sbagliato considerare la
natura benigna perché essa, più che a garantire il bene e la felicità dell’uomo,
mirava a conservare la specie e questo generava sofferenza.
Inoltre si rende conto che la natura ha attribuito all’uomo il desiderio della felicità
infinita ma non gli ha fornito gli strumenti utili per soddisfare questa felicità.
Il poeta, si ritrova così in una concezione dualistica e attribuisce la responsabilità del
male al fato.
Egli concepisce la natura non più come madre amorosa e provvidente, ma come un
meccanismo cieco perché indifferente per la sorte delle sue creature: la natura è
definita dall’autore malvagia, crudele e persecutoria.
L’infelicità è quindi causata dai mali esterni a cui nessuno può sfuggire: malattia,
elementi atmosferici, cataclismi, vecchiaia e morte.