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Introduzione

Tutte le opere di Leopardi si basano su una serie di idee valutate e sviluppate.


Il pensiero di Leopardi è predominato da un pessimismo per l’infelicità dell’uomo. Il
poeta riconosce la felicità dell'uomo nell raggiungimento del piacere infinito, ma
non esiste piacere ce possa soddisfare questa esigenza, perciò nasce nel genere
umano un senso di insoddisfazione continua, un vuoto incolmabile e di nullità di
tutte le cose: questo non va visto in senso religioso e metafisico ma in senso
materiale.

L’uomo è dunque infelice per la sua costituzione, ma la natura benigna ha consolato


le sue creature attraverso l’immaginazione e l’illusione nelle loro misere condizioni.
Per questo motivo, gli uomini primitivi, molto legati alla natura, erano felici e
ignoravano la loro reale infelicità. Con il progredire della civiltà e utilizzando la
ragione, l’uomo si è allontanato da quella condizione vedendo la realtà più
lucidamente. È su questa antitesi, tra natura e ragione, antichi e moderni, che si
fonda il pensiero leopardiano. Gli antichi, ricchi di illusioni, erano in grado di
compiere azioni eroiche e magnanime, la loro vita era più attiva e intensa e questo
faceva dimenticare loro la nullità dell’esistenza; al contrario, il mondo moderno ha
ignorato l’illusione, e l’uomo è incapace di compiere azioni eroiche. Da questo
possiamo dedurre che la colpa dell’infelicità è dell’uomo che si è allontanato dalla
natura benigna.

Leopardi giudica male la sua età, dominata dalla pigrizia e dalla noia profonda:
questi sono i temi delle sue liriche e da qui scaturisce l’atteggiamento titanico, cioè il
poeta sfida da solo il fato maligno che ha condannato l’Italia ad una misera
condizione ; questo tema da forma al pessimismo storico: la condizione negativa del
presente viene vista come conseguenza di un processo storico.

Ma Leopardi, col passare del tempo, si rende conto che è sbagliato considerare la
natura benigna perché essa, più che a garantire il bene e la felicità dell’uomo,
mirava a conservare la specie e questo generava sofferenza.
Inoltre si rende conto che la natura ha attribuito all’uomo il desiderio della felicità
infinita ma non gli ha fornito gli strumenti utili per soddisfare questa felicità.
Il poeta, si ritrova così in una concezione dualistica e attribuisce la responsabilità del
male al fato.

Egli concepisce la natura non più come madre amorosa e provvidente, ma come un
meccanismo cieco perché indifferente per la sorte delle sue creature: la natura è
definita dall’autore malvagia, crudele e persecutoria.
L’infelicità è quindi causata dai mali esterni a cui nessuno può sfuggire: malattia,
elementi atmosferici, cataclismi, vecchiaia e morte.

Al pessimismo storico, si sovrappone un pessimismo cosmico, cioè l’infelicità è


attribuita ad una condizione assoluta di natura. Leopardi, consapevole di tutto
questo, si mostra ironico, distaccato e rassegnato; il suo ideale perciò non è più
l’eroe antico, ma il saggio antico, caratterizzato dall’atarassia, cioè dal distacco
imperturbabile dalla vita

Il pessimismo cosmico: la natura matrigna


Tra il 1822 e il 1830 la riflessione di Leopardi si fa ancor più sconsolata,
trasformandosi in pessimismo cosmico. Il precedente pensiero in cui la natura dava
illusione e vitalità, mentre la ragione portava infelicità, si rovescia in una denuncia
contro la natura stessa, indifferente all’uomo: da madre amorosa diventa
“matrigna” perché sottopone gli uomini e l’intero universo ad un ciclo di distruzione.
In questo sistema l’umanità non si rende conto delle ragioni del dolore, della vita,
dell’infelicità.
L’infelicità non è solo dovuta alla storia, ma è una condizione immutabile di ogni
essere vivente. La drammatica scoperta della natura matrigna trova sistemazione
nelle Operette morali.
Il pessimismo storico
La poetica leopardiana è possibile ripercorrerla leggendo lo Zibaldone dei pensieri,
nato da una commistione di scritti, attraverso cui ricostruiamo il pensiero in tre fasi.
La ricerca di Leopardi, che lo attanagliò per tutta la vita, fu la felicità dell’uomo. Egli
è convinto che la felicità derivi dal raggiungimento del piacere innato che l’uomo ha
dentro sé; un piacere infinito, spiega nello Zibaldone, che l’uomo non riesce mai a
colmare. Soltanto la natura, inizialmente madre benigna, permette alle sue creature
di accedere ad una condizione di momentanea felicità attraverso l’immaginazione e
le illusioni. Però nell’età della Restaurazione, tanto stigmatizzata dal poeta, gli
uomini a causa della fame di conoscenza, hanno distrutto il velo della fantasia con
l’impiego della ragione. Secondo Leopardi soltanto il mondo classico poté conoscere
la felicità, perché ignorava ogni altro aspetto esterno.
A tal proposito, Pietro Citati osserva: «la natura aveva scelto accuratamente per
l’uomo non tutto l’universo, ma una parte ristretta e mediana, quella dove era
fiorita la civiltà classica. Ma l’uomo ha troppo appetito. Il suo desiderio di
perfezionamento lo pone in rapporto con tutto il mondo». È esattamente ciò che
credeva Leopardi, condividendo la teoria di Vico, secondo il quale la vera poesia
nasce dalla fantasia e per cui i veri poeti sono i bambini o i popoli antichi. Si apriva
così una frattura tra antichi e moderni ̶ quest’ultimi aridi e vittime del servilismo ̶
ma il poeta ammetteva l’esistenza di un recupero della poesia antica. Come?
Attraverso il filtro della memoria, altro concetto chiave della poetica, che consentiva
di rivivere l’esperienza infantile mediante la poesia del sentimento. La poesia
leopardiana, quindi, deriva dai ricordi lontani nel tempo e nello spazio, come scrive
nelle pagine dello Zibaldone, ai quali fa da sfondo un paesaggio gentile, nostalgico e
arcadico.
Conversione filosofica e pessimismo cosmico
Intorno al 1819, però, in Leopardi si scatena una conversione filosofica, che lo porta
ad abbandonare il cattolicesimo familiare e ad avvicinarsi alla filosofia sensistica, di
matrice illuministica, e così decadono le ultime illusioni e speranze nell’animo del
poeta. Questa fase peggiora dopo il 1823, quando si complica il rapporto tra natura,
ragione e felicità, a causa di un accostamento al meccanicismo materialistico,
secondo cui la natura, non più madre benigna bensì matrigna, esegue delle leggi
meccaniche, necessarie per favorire il ciclo della vita, di nascita e distruzione,
noncurante delle esigenze degli uomini. Ed ecco che il pensiero leopardiano si
infittisce sempre di più, sfociando in un pessimismo cosmico o universale, in cui
l’unica alternativa è l’accettazione del vero e della realtà.

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