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DECADENTISMO

Nasce ufficialmente in Francia con la pubblicazione da parte di Paul Verlaine di un’opera, in cui affermava di identificarsi con l’atmosfera di
stanchezza ed estenuazione spirituale a causa della caduta dell’impero romano. Il termine decadentismo indicava un determinato movimento
letterario sorto nell’ambiente parigino durante gli anni Ottanta che si espanderà successivamente anche in altri contesti, anche per il decadentismo,
come per il romanticismo, si ripropone il problema terminologico : può avere significato ristretto e specifico, indicando quindi esclusivamente il
contesto in cui è sorto, o può assumere un significato più ampio e indicare un’intera corrente culturale o un intero periodo storico. La base della
visione del mondo decadente è un irrazionalismo misticheggiante, che riprende ed esaspera posizioni già largamente presenti nella cultura
romantica. Rifiuto della visione positivistica, credendo che la scienza non possa garantire una conoscenza oggettiva della realtà, un progresso
indefinito e la sconfitta di tutti i mali che affliggono gli uomini. Il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza
del reale (inconoscibilità del reale). L’anima decadente è sempre protesa verso il mistero che è dietro la realtà visibile. Se per la visione comune le
cose possiedono una loro oggettività, per il decadente tutti gli aspetti dell’essere sono legati tra loro da analogie e corrispondenze che sfuggono alla
ragione e possono essere colte solo in un abbandono di empatia irrazionale (visione già formulata da Charles Baudelaire). La rete di corrispondenze
coinvolge anche l’uomo che si identifica tra io e mondo, tra soggetto e oggetto fondendosi in un’arcana unità al di sotto degli strati superficiali della
realtà, sul piano dell’inconscio. I decadenti si lasciano inghiottire da questo vortice tenebroso, distruggendo ogni legame razionale, convinti che solo
così si possa scoprire la vera realtà. Gli strumenti irrazionali del conoscere sono: il delirio, la follia, l’allucinazione, la malattia. Questi stati
consentono di vedere il mistero che si trova al di là delle cose. Vi sono poi altre forme di estasi. Se l’io e il mondo non sono distinti, l’io può
annullarsi e confondersi con il Tutto (panismo, presente in d’Annunzio). Un altro stato è costituito dalle epifanie: un particolare qualunque della
realtà apparentemente insignificante, si carica di significato che affascina come un messaggio proveniente da un’altra dimensione. Il decadente
ammira le epoche di decadenza (tarda latinità imperiale, grecità alessandrina, età bizantina), in cui l’esaurirsi delle forze si traduce in estrema
raffinatezza. Al culto della raffinatezza si aggiunge il vagheggiamento della lussuria, complicata da perversità e crudeltà. In queste fantasie perverse
si esprime la stanchezza per il gusto romantico, noioso, e la ricerca di nuovi stimoli. La nevrosi poi è uno stato che segna tutta la letteratura
decadente. Accanto alla malattia nervosa, la malattia in genere è un altro tema largamente trattato. Da un lato essa si pone come metafora di una
condizione storica: la letteratura è malata quasi come ad esprimere la malattia che corrode dalle fondamenta la civiltà; dall’altra diviene una
condizione privilegiata, segno di nobiltà e distinzione rispetto alla massa. Alla malattia umana si unisce la malattia delle cose: viene amato tutto ciò
che è corrotto, impuro. Malattia e corruzione affascinano il decadente anche perché sono immagini della morte, altro tema dominante, ossessivo.
Nascono di qui figure ricorrenti nella letteratura decadente:

 l’artista maledetto: profana tutti i valori e le convenzioni della società, sceglie deliberatamente il male e si compiace di una vita misera,
errabonda, condotta sino all’estremo limite dell’auto-annientamento attraverso il vizio della carne, dell’alcol e delle droghe.
 L’esteta: è l’uomo che vuole trasformare la sua vita in opera d’arte, sostituendo alle leggi morali quelle del bello. Ha terrore della vita
comune e si isola in una sdegnosa solitudine, circondata solo dalla bellezza dell’arte
 Inetto: escluso dalla vita che lo circonda a cui egli non sa partecipare per mancanza di energie vitali, per una sottile malattia che corrode
la sua volontà, può solo rifugiarsi nelle sue fantasie vagheggiando in sterminati sogni l’azione da cui è escluso; più che vivere osserva
viver.
 La donna fatale: dominatrice del maschio fragile e sottomesso, lussuriosa e perversa al cui fascino non si può sfuggire, risucchia le
energie vitali dell’uomo e lo porta alla follia, alla perdizione.

Lo strumento linguistico più utilizzato è quello metaforico. La metafora era una figura retorica largamente conosciuta e usata sin dalla poesia antica,
con la funzione di ornare l’espressione. Nel decadentismo presuppone invece una concezione irrazionalistica, è espressione di una visione simbolica
del mondo, dove ogni cosa allude ad un’altra (metafisica delle corrispondenze per Baudelaire), non è regolata da un semplice rapporto di
somiglianza tra due oggetti, ma istituisce legami impensati con la realtà; rimanda quindi ad una dimensione simbolica, ma il simbolo diviene allusivo,
misterioso, polisemico. Accanto alla metafora viene utilizzata la sinestesia: impressioni che colpiscono un senso evocane altre espressioni relative a
sensi diversi (Corrispondenze di Baudelaire. Anch’essa rimanda ad una rete simbolica che presuppone una segreta unità del tutto.

-decadentismo e naturalismo

È necessario affrontare anche i legami tra naturalismo-positivismo. L’antitesi è evidente: intanto non bisogna pensare il decadentismo come
fenomeno postumo al naturalismo. Infatti molti aspetti del decadentismo non sono nuovi, ma accentuazione di motivi già presenti nel
romanticismo; inoltre sono fenomeni culturali paralleli e compresenti. Le due correnti poi nascono sul terreno delle stesse condizioni oggettive e si
sviluppano parallelamente, e le differenze si possono spiegare col fatto che esse siano espressione di gruppi intellettuali diversi che si collocano
diversamente nei confronti di un medesimo periodo storico. Gli scrittori naturalisti sono integrati nell’ordine borghese e ne accettano l’orizzonte
culturale costituito dal positivismo,dal materialismo, dalla fiducia nel progresso e nella scienza; non si oppongono ma credono di poterlo riformare,
migliorare. I decadenti invece sono quelli che patiscono le contraddizioni del sistema e i meccanismi di esclusione ed emarginazione, rifiutando
quindi l’ordine esistente con i loro atteggiamenti maledetti. L’atteggiamento anti-borghese si affievolisce man mano che la borghesia egemone si
allontana dalle posizioni positivistiche s si avvicina a quelle irrazionalistiche. Decadentismo e naturalismo sono due tendenze che spesso appaiono
mescolate tra di loro: aspetti decadenti sono ravvisabili in scrittori naturalisti e viceversa (in Zola ritroviamo un vitalismo panico, compiacimento per
atmosfere torbide e perverse). . di fatto nella concretezza del periodo storico, non esiste il decadentismo, il naturalismo, il romanticismo ecc:
esistono solo scrittori ed opere che affrontano certi temi con determinate soluzioni formali,

D’ANNUNZIO

1.La vita
Nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia borghese e studiò nel collegio Cicognini. A 16 anni pubblicò la sua prima opera, “Primo vere” che riscosse
un certo successo e attirò l’attenzione da parte di letterati di fama. Si trasferisce a Roma per frequentare l’università, abbandonando ben presto gli
studi per esercitare la professione di giornalista; a Napoli scrisse per il “Mattino”. Acquistò notorietà in ambito letterale, sia attraverso opere, sia a
causa di scandali che lo vedevano come protagonista. È il periodo in cui crea la sua maschera di esteta. La sua fase estetizzante però attraversò una
crisi durante la quale lo scrittore cerca nuove soluzioni formali, trovandole nel mito del super uomo ispirato alle teorie di Nietzsche. Per il momento,
all’azione, sostituisce il vagheggiamento fantastico. In realtà puntava a creare l’immagine di una vita eccezionale (il vivere inimitabile) sottratta alle
norme del vivere comune, ciò colpiva soprattutto la fantasia del pubblico borghese, ambiente in cui d’Annunzio conduceva la vita di un principe
rinascimentale, circondato da opere d’arte, stoffe preziose, cavalli di razza. A creargli un alone di mito contribuivano anche i suoi amori, in
particolare quello con l’attrice Eleonora Duse. Nonostante disprezzasse la vita comune in cerca di una vita eccezionale, era strettamente legato alle
esigenze del sistema economico del suo tempo: con le sue esibizioni e i suoi scandali amorosi, attirava l’attenzione del pubblico, riuscendo così a
vendere meglio la sua immagine e le sue opere, potendo così continuare a condurre una vita lussuriosa. Però comincio a non accontentarsi
dell’eccezionalità di un vivere puramente estetico: vagheggiava anche sogni di attivismo politico. Nel 1897 diventò deputato dell’estrema destra in
coerenza con il suo disprezzo per i principi democratici ed egualitari, sognando una restaurazione della grandezza di Roma. Nel 1900 passò allo
schieramento di sinistra, questa ambigua disponibilità è proprio delle posizioni irrazionalistiche, estetizzati e vitalistiche, attratte dalle
manifestazioni di energia vitale. L’occasione dell’azione eroica tanto attesa fu offerta dalla prima guerra mondiale. Al suo scoppio iniziò un’intensa
attività interventista spingendo l’Italia in guerra. Si arruolò volontario e combatté tramite gli aerei. Nel dopo guerra si fece interprete di rancori per
la vittoria mutilata, capeggiando una marcia di volontari su Fiume sfidando lo Stato italiano. Scacciato con le armi cercò di proporsi come duce ma fu
scalzato da Mussolini e nonostante fosse stato elogiato dai fascismo come padre della patria, venne confinato in una villa di Gardone che trasformò
in un mausoleo eretto a se stesso ( Vittoriale degli italiani) e vi morì nel 1938.

2.L’estetismo e la sua crisi


l’esordio letterario di d’Annunzio avviene sotto due grandi scrittori: Verga (a cui si rifà per la stesura di “terra vergine”. Il modello è “vita dei campi”,
in cui anche lui presenta figure e paesaggi della sua terra, l’Abruzzo. Però non vi è nulla della lucida indagine condotta da Verga sui meccanismi della
lotta per la vita nelle basse sfere. Questo mondo è essenzialmente idillico, non problematico, in una natura rigogliosa e sensuale esplodono
emozioni primordiali, ma anche di violenza sanguinaria) e a Carducci ( a cui si rifà per la stesura di “primo vere” e “canto novo”. In canto novo
d’Annunzio riprende il senso tutto “pagano” delle cose sane e forti. Questi temi sono porti al limite estremo e toccano una fusione tra io e natura
che fa presagire il futuro panismo supero mistico. Non mancano visioni cupe e mortuarie, sono presenti anche spunti “sociali” provenienti dal
verismo. Successivamente abbandona il vitalismo pagano e rivela l’influenza profonda dei poeti decadenti francesi e inglesi; insiste sui temi di
sensualità perversa con la presenza di una figura femminile fatale e distruttrice. Queste opere sono frutto della fase estetizzante, che si esprime
nella formula <<il verso è tutto>>. L’arte è il valore supremo e ad esse tutti gli altri valori sono subordinati. La vita si sottrae alle leggi del bene e del
male e si sottopone alla legge del bello, trasformandosi in un’opera d’arte. Il personaggio dell’esteta che si isola dalla realtà meschina della
borghesia contemporanea è una risposta ideologica ai processi sociali in atto nell’Italia post-unitaria, in cui la figura dell’artista venne declassata ed
emarginata. D’annunzio non si rassegna ad essere schiacciato da questi processi: vuole il successo e la fama; l’esteta è solo un risarcimento
immaginario di una condizione reale di degradazione dell’artista. Per questo non si accontenta di sognare, vuole vivere quel personaggio nella
realtà. Perciò si preoccupa di produrre libri di successo, che vendano bene, usando anche la pubblicità derivata dagli scandali di cui è protagonista.
Ben presto però si rende conto della debolezza di questa figura e della costruzione ideologica che essa presuppone: l’esteta non ha la forza di
opporsi realmente alla borghesia in ascesa. Avverte tutta la fragilità dell’esteta in un mondo lacerato da forze e conflitti brutali: il suo isolamento
sdegnoso non può divenire sterilità e impotenza. Il primo romanzo di D’annunzio “ Il piacere” (1889) ne è la testimonianza.

Il piacere = Andrea Sperelli è un doppio dell’autore in cui obietta la sua crisi e la sua insoddisfazione. Andrea è un giovane aristocratico, artista
proveniente da una famiglia di artisti, dalla volontà debolissima che lo svuota e lo insterilisce. La crisi trova il suo banco di prova nel rapporto con la
donna. Il protagonista è diviso tra due immagini femminili: Elena Muti, che incarna la donna fatale, e Maria Ferres, la donna pura che rappresenta
l’occasione di riscatto e di elevazione spirituale. L’esteta mente a se stesso: la donna angelo è solo oggetto di un gioco sottile e perverso, fungendo
da sostituto di Elena che continua a desiderare. Nei confronti di questo doppio D’annunzio mostra un atteggiamento critico, facendo pronunciare
alla voce narrante duri giudizi nei suoi confronti . il romanzo è percorso da un’evidente ambiguità, poiché Andrea non cessa di esercitare un sottile
fascino sullo scrittore . quindi il Piacere non rappresenta il definitivo distacco di D’annunzio dalla figura dell’esteta. L’impianto narrativo risente
ancora della lezione del realismo ottocentesco e del verismo. In quest’opera mira soprattutto a creare un romanzo psicologico in cui contano i
processi interiori del personaggio. Inoltre è presente una fitta trama di allusioni simboliche.

Successivamente ci sarà un periodo di incerte sperimentazioni. Subisce il fascino del romanzo russo, in particolare è evidente l’influsso di
Dostoievskij nell’”inncocente”. Qui esprime l’esigenza di rigenerazione e di purezza, attraverso il recupero del legame coniugale e della vita a
contatto con la campagna, ma si esplora anche una contorta psicologia omicida. È la fase che viene definita della bontà e comprende anche la
raccolta del “poema paradisiaco”, percorsa da un desiderio di recuperare l’innocenza dell’infanzia; in realtà l’opera presenta anche temi propri del
decadentismo francese

3.I romanzi del superuomo


D'Annunzio coglie alcuni aspetti del pensiero di Nietzsche, come il rifiuto del conformismo borghese, l'esaltazione dello spirito dionisiaco, ma in
particolare il mito del superuomo. lo scrittore da a questi motivi un'accentuata coloritura antiborghese. Egli si scaglia violentemente contro la realtà
borghese del nuovo stato unitario, in cui il trionfo dei principi democratici ed egualitari contaminano il senso della bellezza. il motivo di Nietzsche
del superuomo è interpretato da D'Annunzio nel senso del diritto di pochi di essere eccezionali ad affermare se stessi, spezzando le leggi comuni del
bene e del male. Il domino di questi essere privilegiati al di sopra della massa deve strappare la nazione alla sua mediocrità e la deve avviare verso il
destino Imperiale di dominio sul mondo come l'Antica Roma. Il nuovo personaggio creato da D'Annunzio, aggressivo, energico, non nega la figura
dell'esteta ma la ingloba a se, conferendone una diversa funzione. Il culto della bellezza è essenziale nel processo elevazione di pochi eletti: in tal
modo l'estetismo non sarà più rifiuto sdegnoso della realtà, ma strumento di dominio sulla realtà. Non si accontenta più di vagheggiare la bellezza,
ma si adopera per imporre attraverso essa il dominio di un élite, su mondo meschino e vile come quello borghese. Il mito del superuomo è sempre
un tentativo di reagire alle tendenze in atto nella società capitalistica moderna, ad emarginare l'intellettuale. È un tentativo che va in direzione
opposta rispetto a quella che proponeva il mito dell'esteta poiché affida all'artista-superuomo una funzione di vate, di guida anche politica. Mentre
la figura dell'esteta era in netta opposizione alla realtà dominante, la figura del superuomo offre soluzioni che possano sostanzialmente accordarsi
con le tendenze profonde della realtà dell'imperialismo. Non si piega ad accettare la sorte comune, ambisce a rovesciarla, e perché l'offerta non gli
viene data la società stessa, egli si autodelega tale ruolo.

Il trionfo della morte (1894) = non propone ancora compiutamente la realizzazione della nuova figura mitica, ma rappresenta una fase di
transizione. L'eroe, Giorgio Aurispa, è ancora un esteta molto simile ad Andrea. È travagliato da un'oscura malattia interiore, che lo svuota delle
energie vitali. Va alla ricerca di un nuovo senza della vita, alla ricerca di se stesso. L'autore cerca una nuova figura di intellettuale libera dal peso del
vittimismo e della sconfitta. Un breve rientro nella sua famiglia acuisce la crisi dell'eroe perché il conflitto con il padre , contribuisce a minare le sue
energie vitali: per questo è spinto a identificarsi con un'altra figura paterna, quella dello zio Demetrio. La ricerca porta Giorgio a tentare di riscoprire
le radici della sua stirpe: insieme con la donna amata, Ippolita Sanzio, si ritira in un villaggio abruzzese. Qui riscopre il volto primordiale della sua
gente: ma da quel mondo barbarico e primitivo il raffinato esteta è disgustato e respinto, quindi in quella direzione la sua ricerca fallisce. Fallisce
ugualmente la via del misticismo religioso. La soluzione gli si affaccia nel messaggio dionisiaco di Nietzsche, in un'immersione nella vita in tutta la
sua pienezza, ma l'eroe non è ancora in grado di realizzare il progetto; si oppongono le forza oscure della sua psiche, che prendono le sembianze
della donna amata, Ippolita. Le forze negative della morte prevalgono su di lui e al termine del romanzo si suicida portando la sua nemica con se.
Giorgio è un eroe decadente che a causa della sua malattia giunge alla morte. Il suicidio di Giorgio è come il sacrificio rituale che libera D'Annunzio
dal peso angoscioso delle problematiche negative fino a quel momento affrontate. Eliminato quel personaggio emblematico lo scrittore si sente
pronto ad affrontare un nuovo cammino, a percorrere la strada del superuomo.

Le vergini delle rocce (1895) = il romanzo segna una svolta ideologica radicale. Questa volta non propone un personaggio debole, tormentato,
incerto ma un eroe forte e sicuro che va senza esitazioni verso la sua meta. L’opera è stata definita il manifesto politico del superuomo poiché
contiene l’esposizione più compiuta delle nuove teorie. L’eroe Claudio Cantelmo, sdegnoso della realtà borghese contemporanea, vuole portare a
compimento in sé “ l’deal tipo latino” e generare il superuomo, il futuro re di Roma che guiderà l’Italia a destini imperiali. Nonostante la sicurezza
del personaggio, è possibile cogliere una segreta perplessità e ambiguità. La decadenza, la morte non sono cancellate dall’interesse dell’autore
bensì rovesciate di segno, assumendo la funzione opposta: diventano lo stimolo all’affermazione della vita, all’azione eroica. Non potendole
superare quindi le rovescia. Ha raggiunto una maturità tale da non temere le forze disgregatrici. Tutto gli è permesso, può affrontare senza pericoli
le inquietudini grazie alla sua volontà. Proprio quelle forze negative possono alimentare i suoi grandi disegni. Per questo va a cercare una donna
con cui generare il futuro superuomo e la cerca tra le figlie del principe Montaga. Dietro i propositi vitalistici, eroici pare celare una segreta
attrazione per la decadenza, la morte. Il vitalismo esasperato, l'attivismo eroico sembrano solo essere tentativi per esorcizzare l'immagine della
morte che ossessiona e affascina inesorabilmente lo scrittore. L'eroe scende in questo inferno della decadenza spirituale e fisica e finisce per starne
prigioniero. Cio è rilevato dall'allusiva conclusione del romanzo. Cantelmo non riesce a scegliere tra le 3 principesse e romanzo si chiude sulla sua
perplessità. In realtà l'eroe sceglie la sua compagna: è Anatolia, che ha la maestà e la forza interiore di una regina. Ma questa non può seguire l'eroe
nel suo cammino di gloria perché legata al triste destino della famiglia, deve accudire madre, fratelli e padre. L'eroe soggiace quindi al fascino della
bellezza di Violante, inconfondibile incarnazione della donna fatale che è immagine non di fecondità creatrice ma di un Eros perverso. I protagonisti
dannunziani restano sempre deboli e sconfitti incapaci di tradurre le loro aspirazioni in azione.

Il fuoco (1900) = il romanzo si propone come manifesto letterario del superuomo: l'eroe, Stelio Effrena,medita una grande opera artistica, che sia
fusione di poesia, musica, danza e attraverso di essa vuole creare un nuovo teatro. Anche qui però forze oscure si oppongono all'eroe chiamato a
destini sovrumani; esse prendono corpo puntualmente in una donna, Foscarina Perdita, una grande attrice che incarna l'attrazione dannunziana per
il disfacimento e la morte, che con il suo amore nevrotiche e possessivo ostacola l'eroe nella sua opera. Al disfacimento e alla morte allude anche lo
scenario su cui si svolge la vicenda ,la città di Venezia, raffinatissima e decrepita. Il romanzo si conclude con il sacrificio di Foscarina che lascerà
libero Stelio in modo tale che possa seguire la sua via, ma anche qui non si assiste alla realizzazione del progetto dell'eroe.

5. Le Laudi
L'approdo all'ideologia superomistica coincide con la progettazione di vaste e ambiziose costruzioni letterarie al compito di diffondere il verbo del
vate. Così D'Annunzio disegna cicli di romanzi (della rosa, del Giglio, del melograno) che però spesso non porta a termine; nel campo della lirica
vuole affidare la somma della sua visione ha 7 libri di Laudi del cielo del mare della Terra e degli ero. Nel 1903 erano terminati i primi 3 ossia Maia,
Elettra, Alcyone (nomi delle pleiadi) ma anche questa costruzione rimane incompiuta, un quarto libro, Merope, viene poi inserito nel 1912.

6. Alcyone
Il terzo libro delle Laudi , Alcyone, comprendente 88 componimenti, è come il diario ideale di una vacanza estiva. Le liriche scritte in un arco di
tempo di 4 anni sono state successivamente ordinate in un disegno organico che segue la parabola della stagione, dal commiato piovoso della
primavera, al lento declino di settembre. La stagione estiva è vista come la più propizza a consentire la pienezza vitalistica: l'io del poeta si fonde col
fluire della vita del Tutto, si identifica con le varie presenze naturali, animali, vegetali. Sul piano formale si ha una ricerca di sottile musicalità. Per
tale motivo quest'opera è stata maggiormente celebrata dalla critica, poiché é vista come poesia pura libera dall'ideologia superomistica e dalle sue
finalità pratiche. Alcyone si inserisce perfettamente nel disegno geologico complessivo delle Laudi L'esperienza panica cantata dal poeta è una
manifestazione del superomismo: solo al superuomo, creatura d'eccezione, è concesso di transumare al contatto con la natura, la trasfigurazione
musicale della parola è resa possibile solo da una sensibilità privilegiata, più che umana. Spesso subentra anche la tensione retorica. Il peso
dell'ideologia superomistica non arriva a guastare interamente libro, che offre alcuni dei risultati più alti della poesia dannunziana. (Le stirpi canore,
la pioggia nel pineto)

La pioggia nel pineto


La pioggia nel pineto è una celebre poesia scritta dal poeta abruzzese Gabriele D'Annunzio nel 1902 presso la sua celebre abitazione in Versilia. La
lirica fa parte della raccolta di poesie nota come Alcyone: questa raccolta contiene le liriche composte dal poeta nel periodo di tempo compreso tra
il 1902 e il 1912. Nel testo poetico La pioggia nel pineto ciò che colpisce più di ogni altra cosa è l'utilizzo delle parole che rendono un'idea di
musicalità e di sonoro: per esempio vengono riprodotti i rumori che rendono meglio l'idea dello scròscio della pioggia, viene anche riprodotto
abilmente il canto delle cicale per esempio, il verso della rana nel momento stesso che ha smesso di piovere. Molto importante è anche la resa del
colore della vegetazione circostante attraverso l'utilizzo di parole molto vivide, precise e dettagliate che rendono l'idea di come sia la vegetazione
circostante. Molto ricorrente è per esempio l'uso del verde come colore per rendere l'idea delle piante che sono presenti nel luogo descritto.
Questa è una delle liriche più conosciute di Gabriele D'Annunzio e una delle più apprezzate. E’ rivolta alla donna amata, Ermione. La scena si svolge
in un bosco, nei pressi del litorale toscano, sotto la pioggia estiva. Il poeta passeggia con la sua donna, Ermione e la invita a stare in silenzio per
sentire la musica delle gocce che cadono sul fogliame degli alberi. Inebriati dalla pioggia e dalla melodia della natura, il poeta e la sua donna si
abbandonano al piacere delle sensazioni con un’adesione così totale che a poco a poco subiscono una metamorfosi fiabesca e si trasformano in
creature vegetali. La poesia La pioggia nel pineto è ricca di enjambement e similitudini. Le rime sono libere e sono presenti molte onomatopee. In La
pioggia nel pineto il poeta e la donna amata si trovano in una pineta della Versilia sotto la pioggia estiva e, vagando senza meta, si immedesimano
nella natura e nelle sue voci.

Nella lirica si intrecciano i temi della metamorfosi, dell'amore, della funzione musicale ed evocatrice della parola poetica.

 Le voci misteriose della natura. Il poeta invita Ermione a tacere e ad ascoltare la musica della pioggia. Egli è attento a cogliere le
sfumature più diverse e le varie modulazioni che le gocce di pioggia producono sulle piante del bosco. A questo concerto della pioggia
partecipano anche le cicale con il loro canto e le rane, il cui verso sordo e roco si spegne nell'ombra di un luogo lontano e indeterminato
(il chi sa dove, chi sa dove vuole creare un'impressione di lontananza favolosa).
 La metamorfosi. La sinfonia dei suoni conduce gradualmente l'uomo e la donna in una dimensione di sogno, entro la quale avvengono i
riti metamorfici. Dapprima si confondono con il bosco (piove su i nostri vòlti silvan,), poi Ermione è paragonata agli elementi della natura
(il volto come una foglia, le chiome come le ginestre), diventa quasi una ninfa del bosco (virente), infine si fondono entrambi con gli
elementi della natura, sentendosi parte viva e integrante di essa: il cuore è come una pèsca, gli occhi sono come sorgenti, i denti sono
mandorle acerbe. La lirica si chiude con la ripresa del tema della pioggia, quasi a prolungare quello stato di estasi cui sono pervenuti il
poeta e la sua compagna.
 Il panismo. La metamorfosi è uno dei temi di Alcyone e viene definita panismo (da Pan, dio greco della natura, una sorta di satiro certi
barba, corna e zampe di capro), cioè identificazione dell'uomo con la vita vegetale. Il panismo dannunziano tende ad umanizzare la
 natura, a coglierne il richiamo attraverso gli organi di senso; in essa l'individuo si espande gioiosamente con una identificazione prima
fisica e poi spirituale.
 L'amore. li poeta non esprime sentimenti profondi, l'amore è sentito come un'illusione e la vita appare fuggevole. La "favola bella" illuse
e continua ad illudere i due protagonisti, il loro "ieri" ed il loro "oggi" sono distinti anche se identici (t'illuse..., m'illude, m'illuse... t'illude),
l'or congiunti or disciolti indica che tra loro si alterna l'unione all'estraneità dei sentimenti.

PASCOLI

1. Vita
Giovanni Pascoli nacque nel 1855 da una famiglia della piccola borghesia rurale. Era il quarto di dieci figli, ma la vita sostanzialmente serena di
questo nucleo familiare venne sconvolta da una tragedia, destinata a segnare profondamente l'esistenza del poeta: il 10 agosto 1867 Ruggero
Pascoli, fu ucciso a fucilate, probabilmente da un rivale che aspirava a prendere il suo posto di amministratore. La morte del padre creò difficoltà
economiche alla famiglia, inoltre al primo lutto in un breve giro di anni ne seguirono altri: nel 1868 morirono la madre e la sorella maggiore,
successivamente altri due suoi fratelli. Sin dal 1862 era entrato con i fratelli nel collegio degli scolopi ad Urbino dove ricevette una rigorosa
formazione classica; a causa delle ristrettezze economiche della famiglia dovete lasciare il collegio ma, grazie alla generosità di uno dei suoi
professori, poté proseguire gli studi. Nel 1873 ottenne una borsa di studio presso l'Università di Bologna, dove frequento la facoltà di lettere. Negli
anni universitari, Pascoli subì il fascino dell' ideologia socialista, partecipò a manifestazioni contro il governo e fu persino arrestato e dovette
trascorrere alcuni mesi in carcere. L'esperienza però fu per lui traumatica e determinò il suo definitivo distacco dalla politica militante. Si laureò nel
1882 iniziando subito la carriera di insegnante liceale a Matera qui chiamò a vivere con sé le sue due sorelle, ricostruendo idealmente quel nido
familiare che lutti avevano distrutto.

La chiusura gelosa nel nido familiare e l'attaccamento morboso alle sorelle, rivelano la fragilità della struttura psicologica del poeta, che, entro le
pareti del nido la protezione da un mondo esterno, quello degli adulti. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti. Questa serie di legami
inibisce anche il rapporto con l'altro per eccellenza, non vi sono relazioni amorose nelle esperienza del poeta, che conduce una vita forzatamente
Casta. C'è il lui lo struggente desiderio di un vero nido, in cui esercitare un authentica funzione di padre, ma il legame ossessivo con il nido infantile
spezzato, gli rende impossibile la realizzazione del sogno. La vita amorosa i suoi occhi ha un fascino torbido, è qualcosa di proibito di misterioso, da
contemplare da lontano. Le esigenze affettive del poeta sono interamente soddisfatte dal rapporto sublimato con le sorelle. Si può capire perché il
matrimonio di Ida, fu sentito da Pascoli come un tradimento della sacralità del nido virgole determinò in lui manifestazioni depressive punto questa
complessa situazione affettiva è una chiave necessaria per cogliere il carattere turbato, tormentato, morboso della sua poesia, carattere che si cela
dietro l'apparente innocenza e il candore fanciullesco della celebrazione delle piccole cose, delle realtà più semplici e umili. Dopo il matrimonio di
Ida, Pascoli prese in affitto una casa a Castelvecchio. Qui con la sorella Mariù trascorreva lunghi periodi lontano dalla vita cittadina che detestava. La
sua vita era quella appartata, tutto chiuso nella cerchia dei suoi studi della sua poesia e degli affetti familiari; una vita esteriormente Serena, ma chi
è in realtà è turbata nell'intimo da oscure angosce e paure, per la densa rsid incombenti cataclismi storici in particolare. Intanto nel 1895 aveva
ottenuto la cattedra di grammatica greca e Latina all'Università di Bologna, poi di letteratura latina all'Università di Messina dove insegnò sino al
1903. Passo successivamente a Pisa e infine si spostò a Bologna. Dopo la composizione di molte sue opere, decise di voler gareggiare con Carducci e
D'Annunzio nella funzione di poeta civile (vate). Al poeta schivo è chiuso si è Franco il letterato ufficiale che si assunse il compito di diffondere
ideologie e miti. Oltre che con le sue poesie, espletò questo suo compito con una serie di discorsi pubblici, tre quali rimasto famoso la grande
proletaria si è mossa, tenuta il 26 novembre 1911 per celebrare la guerra coloniale Libia. Morirà il 6 aprile 1912 a causa di un cancro allo stomaco .

2. La visione del mondo


La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica, e questo lo si può percepire attraverso le sue poesie, nelle quali animali e piante assumono
il proprio nome scientifico (albero, pino). Anche in lui, però, sorge quella crisi della scienza che caratterizza la cultura di fine secolo, segnata
dall’esaurirsi del positivismo e dall’affermarsi del decadentismo. Il privilegio della scienza viene rimpiazzato con il fascino per l’ignoto, il mistero,
l’inconoscibile, verso cui l’anima si protende ansiosa. La concezione pascoliana del mondo appare frantumata e disgregata, le sue componenti non si
ordinano mai in un disegno unitario e coerente. Non esistono dunque gerarchie d’ordine fra gli oggetti: il piccolo si mescola a ciò che è grande, il
minimo, che è apparentemente trascurabile, può essere ingigantito e viceversa. Gli oggetti materiali, che hanno un rilievo fortissimo nella poesia
pascoliana, sono filtrati attraverso la peculiare visione soggettiva del poeta, e in tal modo si caricano di valenza allusive e simboliche, che rimandano
sempre a qualcosa di ignoto e misterioso. Anche la nomenclatura ornitologica (studio degli uccelli) e botanica assume una differente valenza
rispetto all’impronta della scienza positivistica, permettendo di scoprire l’essenza segreta delle cose. Tramite l’interpretazione soggettiva del reale il
mondo viene guardato attraverso il velo del sogno e perde ogni consistenza oggettiva: le cose sfumano le une nelle altre, in un gioco di metamorfosi
tra apparenze labili e illusorie. Si instaurano così legami segreti tra le cose, che possono essere colti solo attraverso l’abbandono delle convinzioni
della visione corrente, logica e positiva. Si perde dunque l’interpretazione razionale del mondo lasciando spazio al senso profondo della realtà.

3. La poetica
Nel saggio “Il fanciullino”, pubblicato sul “Marzocco” nel 1897, traspare perfettamente la sua visione del mondo. L’essenza centrale dell’opera si
concilia con il suddetto fanciullino che è insito in ogni uomo, e che vede tutte le cose con ingenuo stupore e meraviglia come fosse la prima volta. In
tutto ciò la poesia pascoliana è lo strumento che ci fa sprofondare immediatamente nell’abisso della verità, saltando il processo del ragionamento
logico e della ricerca scientifica. Il fanciullino scopre dunque somiglianze e relazioni più ingegnose presenti nella realtà, scoprendo una rete di
simboli che sfugge alla percezione immediata plagiata dalle convenzioni sociali. Il poeta appare come un veggente dotato di una vista più acuta di
quella degli uomini comuni, colui che per un oscuro privilegio può spingere lo sguardo oltre le apparenze sensibili, tingere all’ignoto ed esplorare il
mistero. Emerge così la concezione della poesia “pura”, cioè estranea a finalità pratiche, etiche o ideologiche. E’ infatti una poesia assolutamente
spontanea e disinteressata che non si propone obiettivi civili, morali, pedagogici e propagandistici. Il fanciullino induce alla bontà, alla fratellanza e
all’amore, placano gli odi e gli impulsi violenti, e quel desiderio di accrescere i propri interessi che spinge gli uomini a sopraffarsi a vicenda. L’ideale
della fratellanza sociale si traduce, sul versante dello stile, nella scelta di dare spazio e dignità letteraria anche a quelle realtà umili che il classicismo
aristocratico aveva sempre ripudiato.

5. I temi della poesia pascoliana


Non è facile stabilire quanto Pascoli conoscesse direttamente della letteratura decadente e simbolista, ma quasi certamente quegli aspetti della sua
sensibilità e della sua visione scaturiscono da una sua esperienza originaria più che da semplici radici culturali. La figura pascoliana è completamente
opposta allo stereotipo del poeta maledetto, che rifiuta radicalmente la normalità borghese, compiacendosi di una vita misera e sregolata, condotta
sino all’estremo limite. Pascoli incarna infatti l’immagine del piccolo borghese appagato della sua mediocrità di vita, chiuso nella sfera limitata e
protettiva degli affetti domestici, degli studi, del lavoro di insegnante, nella pace raccolta del “nido” famigliare. Una parte quantitativamente
cospicua della poesia è destinata alla celebrazione del piccolo proprietario rurale, che si compiace dei suoi pochi e umili averi che comunque gli
garantiscono una certa dignità e libertà. Il messaggio dell’autore è un invito ad accontentarsi del poco, un’ideale interclassista e utopistico di una
società senza conflitti fra i ceti, in un clima di cooperazione e di concordia fraterna. I miti di fondo del Pascoli sono dunque: il fanciullino che è al
fondo di ognuno di noi, che rappresenta la nostra parte naturalmente ingenua e buona e può garantire la fraternità degli uomini; il nido famigliare
caldo e protettivo, in cui i componenti si possono stringere per trovare conforto e riparo dall’urto di una realtà esterna minacciosa e paurosa. Tema
ossessivamente ricorrente è quello della morte, elemento che ha caratterizzato profondamente l’esistenza di Pascoli. Egli assume le funzioni del
poeta vate, che allarga la sua predicazione a tematiche più vaste quali la gloria della patria, gli obbiettivi del suo riscatto nelle guerre coloniali, la
coesione nazionale dell’esercito. Esalta alcuni valori elementari come la proprietà, la famiglia, la devozione e la fedeltà ai morti, l’accontentarsi di
poco, la pietà per i sofferenti e gli emarginati. Nel Pascoli avviene successivamente una trasformazione: al di là del poeta pedagogo, cantore della
normalità piccolo borghese, si delinea un grandissimo poeta dell’irrazionale, capace di raggiungere nell’esplorazione di questa zona inedita e
affascinante della realtà, profondità inaudite. Stiamo parlando, dunque, del Pascoli decadente: che adula il mistero che è al di là delle cose più
usuali; che carica gli oggetti più comuni di sensi allusivi e simbolici; che proietta nella poesia le sue ossessioni profonde; che porta alla luce le zone
oscure e torbide della psiche e avverte la presenza di forze nascoste, che possono stravolgere gli impulsi razionali; che proietta nell’eroe antico le
sconfitte esistenziali, le delusioni dell’anima moderna e il senso di inadeguatezza della realtà rispetto alla visione onirica (propria dell’inetto); che
esalta la presenza della morte; che rifiuta le acquisizioni della moderna scienza; che disgrega l’ordine del reale dilatando smisuratamente il minimo
particolare. Le due figure del Pascoli sono strettamente collegate: la consapevolezza dei processi contemporanei dei conflitti imperialistici delle
potenze, che minacciano una prossima apocalisse bellica e il pericolo dell’instaurarsi dei regimi totalitari, suscitano nel poeta paure che lacerano la
coscienza della modernità e fanno affiorare i “mostri” nascosti nel profondo. Chiudersi entro i confini ristretti del “nido”, assume la funzionalità di
neutralizzare ciò che il poeta avverte oscuramente muoversi al fondo della sua anima. Pascoli sa inoltre analizzare tale buio, lasciandolo affiorare in
tutta la sua forza dirompente in alcuni dei suoi componimenti.

6. Le soluzioni formali

La sintassi

La sintassi di Pascoli si distacca da quella tradizionale italiana. Nei suoi testi prevale la coordinazione, la struttura sintattica si frantuma in serie
paratattiche di brevi frasi allineate senza rapporti gerarchici tra di loro, collegate spesso non da congiunzioni ma per asindeto; di frequente uso sono
le frasi ellittiche in cui manca il soggetto o il verbo, quindi conseguentemente assumono la forma dello stile nominale. La frantumazione pascoliana
rifiuta la rigorosa rete di rapporti logici, il prevalere della sensazione immediata, dell’intuizione, dei rapporti analogici, allusivi, suggestivi, che
indicano una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile. In tale sintassi si rispecchia perfettamente la visione fanciullesca del
mondo. Fra le caratteristiche più tipiche della sua letteratura è il relativismo: gli oggetti quotidiani e comuni appaiono in un’atmosfera visionaria o di
sogno, e, non essendovi più gerarchie, spariscono i punti di riferimento esterni e oggettivi.

Il lessico

A caratterizzare il lessico è la mescolanza di codici linguistici diversi, allinea fianco a fianco termini tratti da settori più disparati. Paradossalmente
non nascono scontri di registri: come le cose convivono senza gerarchie così avviene delle parole che le designano. In ciò si rispecchia il principio
formulato nel Fanciullino: il poeta come vuole abolire la lotta fra le classi sociali, così vuole abolire la lotta fra le classi di oggetti e di parole.
Troviamo quindi nei suoi testi: termini preziosi e aulici, provenienti dalla lingua dotta, o ricavati dai modelli antichi (es: epiteti e formule omeriche);
termini gergali e dialettali estrapolati dalla realtà campestre; una minuziosa terminologia botanica e ornitologica; termini dimessi e quotidiani del
parlato colloquiale; parole provenienti da lingue straniere; il gusto per i nomi propri e antichi.

Gli aspetti fonici

L’autore si differenzia anche sul piano fonico. Sono in prevalenza le riproduzioni onomatopeiche, di versi di uccelli o suoni di campane, che si
caricano di più intenso valore simbolico assumendo come un senso oracolare. Tali onomatopee indicano l’esigenza di aderire immediatamente
all’oggetto, di penetrare nella sua essenza segreta evitando le mediazioni logiche del pensiero e della parola codificata. Al di sotto delle vere e
proprie onomatopee si scorge il valore fonosimbolico: i suoni tendono ad assumere un significato di per se stessi senza rimandare al significato della
parola. Tra questi suoni si crea una trama sotterranea di echi e rimandi, che viene a costituire la vera architettura del testo e che dunque rimpiazza
le strutture logico-sintattiche. Con stesso fine sono utilizzate le assonanze e le allitterazioni.

La metrica

La metrica è apparentemente tradizionale. Ritroviamo infatti l’utilizzo di endecasillabi, decasillabi, novenari, settenari ecc., rime baciate, alternate,
incatenate e così via. In realtà tali caratteristiche sono piegate dal poeta in direzioni personalissime, con il gioco degli accenti Pascoli sperimenta
cadenze ritmiche e inedite. Anche il verso è di regola frantumato, interrotto da numerose pause, da incisi, parentesi e puntini di sospensione- Tale
frantumazione è accentuata dal frequente uso degli enjambements, che spezzano i sintagmi strettamente uniti, come soggetto-verbo, aggettivo-
sostantivo.

Le figure retoriche

Caratteristico delle figure retoriche è il linguaggio analogico. Fra le più utilizzate troviamo la metafora, la sostituzione del termine proprio con uno
figurato, che ha con il primo un rapporto di somiglianza. Nel Pascoli tale rapporto non è però facilmente riconoscibile. Egli infatti accosta in modo
impensato e sorprendente due realtà tra loro differenti, eliminando per di più tutti i passaggi logici intermedi, costringendo così ad un volo
vertiginoso dell’immaginazione. Altra figura retorica caratteristica è la sinestesia, che possiede un’intensa carica allusiva e suggestiva, fondendo
insieme diversi ordini di sensazioni. Il carattere allusivo del Pascoli punta sempre più a una maggiore indefinitezza, arrivando quasi al limite
dell’enigmatico e del cifrato.

Myricae

Questa raccolta è dedicata al padre e sono brevi avvenimenti campagnoli legati all’impressionismo artistico. Sono brevi e richiamano i piccoli
idilliPer Pascoli le opere sono raccolte in cui convergono i risultati delle proprie tendenze e tre sono le linee essenziali della sua ricerca poetica: le
liriche agresti in Myricae e poi nei Canti, le costruzioni distese nei Poemetti e le ampie strutture classiciste nei Poemi conviviali. La prima edizione
del 1891 comprende 22 componimenti, quella del 1892 72 componimenti, 1894 116 componimenti, 1897 152 componimenti e 1900 156
componimenti suddivisi in 15 sezioni. Il titolo è tratto da un verso delle Bucoliche di Virgilio, Myricae vuol dire “tamerici”, umili arbusti diffusi sulle
spiagge, così da indicare che sono vicini alla terra. I testi costituiscono il diario di una giornata in campagna. Dal punto di vista stilistico vi è
un’accurata descrizione, richiamo all’impressionismo, la lingua è duttile, di profonda sensibilità sonora, è un intreccio tra la lingua reale e la lingua
pre-grammaticale, infantile, una lingua capace di suscitare qualcosa, ricca di allitterazione ed onomatopea(riproduzione di suoni, o ricreare
attraverso neologismi i suoni della natura). Frequente è anche la paratassi, costruzione di un periodo caratterizzato dall’accostamento di frasi dello
stesso ordine. Il nucleo centrale è il passaggio dall’alba della vita al tramonto della morte. La natura è vista come un nido materno, mentre l’uomo è
malvagio ed è anche capace di attribuire la sua malvagità alla natura (critica a Leopardi e a Il sabato del villaggio). Questo pensiero è presente in Il
giorno dei morti dove i protagonisti sono i defunti parenti di Pascoli che nel cimitero hanno ricostruito il nido, infatti, la natura è importante per
Pascoli perché crea un legame tra vivi e morti. Tratterà spesso della morte del padre e della distruzione del nido familiare. Presente è la vista del
fanciullino, intuitiva, e il simbolismo con i paesaggi naturali o ritratti che nascondono dei significati. Tecnica è il correlativo oggettivo dare una
rappresentazione di un oggetto per dimostrare la sofferenze dell’animo umano, oggetto come sentimento. (Novembre, l’assiuolo, X Agosto,
Lavandare)

Canti di Castelvecchio

Composti nel 1903 nello stesso anno di Alcyone di D’Annunzio, rappresenta una raccolta che inaugura il Novecento in Italia. È l’opera che continua
Myricae, ma rappresenta anche una maturazione del pensiero pascoliano. I temi sono sempre gli stessi: la natura, le stagioni, ciclo vita e morte.
L’autunno è la stagione con cui definisce le myricae in quanto simbolo di morte. L’opera è dedicata alla madre e immagina dialoghi con lei, però
questa continua presenza della morte porta l’opera a diventare patetica che annoia il pubblico. La percezione della vita con gli occhi del fanciullino
si fa più acuta, ogni elemento della realtà allude ad un mondo segreto, fatto di desideri e timori. Questo approfondimento è dovuto anche a varie
letture come un manuale di psicologia e opere fantastiche. Sul piano metrico utilizza strutture più ampie. Sul piano linguistico alterna un registro
alto ad uno basso, un lessico aulico a quello pre-grammaticale. Inserisce anche un glossario esplicativo per il lessico tecnico e gergale. (Gelsomino
notturno)

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