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GOTTFRIED WILHEM LEIBNIZ

VITA
Nasce a Lipsia il 21 giugno 1646, anni in cui la Germania era ancora profondamente divisa. Si laurea in
filosofia a Jena e in giurisprudenza ad Altdorf. Nel 1672 soggiorna a Parigi come diplomatico (doveva
distrarre Luigi 14esimo dalla progettata invasione dell’Olanda, invogliandolo alla conquista dell’Egitto), non
è un accademico, infatti le sue opere sono per lo più opere brevi su singoli argomenti, non una grande opera
sistematica. Durante la sua permanenza in Francia studia la filosofia cartesiana, matematica e fisica (1676
inventa il calcolo infinitesimale, nel 1684 pubblica la sua ricerca. Era stato già scoperto anni prima da
Newton, ma Leibniz ci arriva autonomamente, rendendolo più fecondo e facile da applicare e ad oggi la
scoperta ancora si contende tra le due scuole, anche per motivi politici) e anche la logica, in particolar modo
Aristotele. Nel 1676 torna in Germania, diviene bibliotecario del duca di Hannover, stessa dinastia che poi
salirà al trono inglese. Tra il 1687 e il 1690 viaggia in Germania ed in Italia. Si impegna per pacificare le
diverse chiese, protestanti e cattoliche, ma anche per la diffusione della cultura. Fonda infatti, nel 1700, a
Berlino, l’Accademia delle scienze, sullo stampo delle Società di Parigi e di Londra. Muore ad Hannover il
14 novembre 1716.
OPERE
Scrive diverse opere tra cui: “Discorsi di Metafisica”, nel 1686, la “Monadologia”, dove espone la sua
filosofia e i “Saggi di teodicea”, nel 1710, in francese che contengono una serie di osservazioni religiose e
morali. Scrive anche i “Nuovi saggi sull’intelletto umano”, un’opera di teoria della conoscenza, scritti tra il
1703-1704, opera di critica al testo di Locke “Saggi sull’intelletto umano”.
FILOSOFIA
Leibniz è un autore razionalista (tutto ha una ragione/ordine), che crede fermamente nell’esistenza di un
ordine del mondo, che a differenza della Sostanza di Spinoza, non è necessario/determinato. È un ordine
libero/spontaneo, un ordine che ha uno spazio di libertà e di contingenza che era assolutamente escluso dal
pensiero di Spinoza. Secondo Leibniz Dio ha creato il mondo fornito di un ordine, ma avrebbe potuto creare
anche mondi diversi, con ordini diversi, per Leibniz Dio ha creato proprio questo mondo perché il nostro è il
migliore dei mondi possibili, dunque frutto di una scelta, poteva essere diverso, ma è dotato di un ordine
razionale. Questa concezione che tutto abbia un ordine, non necessario come per Spinoza, è posto al fondo di
tutti i suoi interessi. Leibniz si occupa di arte combinatoria, logica alla ricerca di una caratteristica universale
(una sorta di linguaggio simbolico universale che indica attraverso dei simboli alcuni concetti fondamentali
di base, combinando i quali avremmo potuto conoscere tutta quanta la realtà, idea molto logica/razionale del
mondo, quasi matematica). Accetta la filosofia moderna, in particolar modo quella cartesiana, ma non rifiuta
quella antica, ad esempio quella aristotelica: cerca di mettere insieme il meccanicismo moderno e il
finalismo (fenomeni hanno anche cause finali, criticato duramente da Spinoza e Cartesio, ma anche da
Galilei) classico-aristotelico. Cerca di unire dunque la philosophia perennis e la philosophia novis per
elaborare una concezione al cui fondo vi è la convinzione che tutto sia ordinato, che tutto abbia una ragione,
ragione che non sia qualcosa di necessario o determinante, come per Spinoza, ma che sia risulto di scelte. Per
questo concettualizza due tipi di verità:

 le verità di ragione, sono necessarie, non riguardano la realtà (come le relazioni fra idee di Hume),
sono proposizioni identiche in cui il soggetto è uguale al predicato, fondate sul principio di identità
(ogni cosa è ciò che è) e non contraddizione (una proposizione o è vera o è falsa). Non sono fondate
sull’esperienza, sono innate, grandi verità della logica, scienza, geometria. Riguardano solo un certo
ambito del mondo, quello delle pure possibilità/verità logiche;
 le verità di fatto, riguardano la realtà effettiva, sono contingenti, verità che riguardano la storia/la
vita di ognuno di noi, sono fondate sul principio di ragion sufficiente (nihil est sine ratio, non c’è
nulla che non abbia una ragione, alcune di queste ragioni possono essere a noi sconosciute), non c’è
nessuna necessità logica dietro proposizioni di questa natura. Non sono contraddittorie le
proposizioni contrarie alle proposizioni di fatto, non sono prive di logica. Se il mondo ha un ordine,
tutte le cose in esso devono detenere una ragione.
Dio è libero, a differenza di Spinoza, il cui Dio è causa immanente del mondo, come un triangolo produce le
verità della sua natura, concezione deterministica. Il Dio di Leibniz non produce il mondo in maniera così
meccanica, sceglie il mondo da creare, la sua natura buona e giusta lo spinge a creare il migliore dei mondi
possibili. Anche nella ragione di Dio vi è una ragione sufficiente. Dio sceglie di creare questo mondo e non
un altro, in quanto il migliore. Questa ragione però “inclina” la scelta di Dio, ma non la determina/non la
necessita. Il principio di ragion sufficiente implica la causa finale/principio di causalità, allontanata dalla
filosofia da Cartesio, Spinoza (ritendeva le cause finali un asylum ignorantiae/l’asilo dell’ignoranza, non so
spiegare una cosa, dico che avvengono in vista di un fine) e Galilei, dunque secondo Leibniz, le cose
avvengono anche in vista di un certo fine.
Inoltre secondo Leibniz ognuno di noi, ogni cosa è una sostanza individuale, in quanto sostanze individuali
ognuno di noi agisce in un certo modo ed ha in sé le ragioni della sua azioni/il soggetto contiene la ragion
sufficiente del suo predicato. Ad esempio se io conosco la sostanza individuale di Alessandro Magno, so,
conoscendo le sue virtù/formazione/dinastia, che nella sua sostanza ci sono le ragioni di ciò che
effettivamente compii. Le ragioni sufficienti degli eventi della vita di ogni sostanza devono essere in noi
stessi, queste ragioni non ci necessitano, ci lasciano libere, dunque siamo liberi. Il soggetto è un ente
reale/esistente, che ha in sé il principio di ragion sufficiente. Inoltre ci dice anche che se qualcuno conoscesse
così perfettamente la nozione della nostra sostanza individuale, potrebbe già dedurre tutto ciò che faremo in
futuro, dunque tutto ciò che faremo in futuro sarebbe nient’altro che lo sviluppo della nostra sostanza, quindi
non siamo realmente liberi. Ma ciò sarebbe possibile solo per un intelletto infinito come quello divino, non
come quello finito umano. Infatti l’uomo deve guardare l’esperienza/la storia per riuscire a capire quali sono
le qualità e le azioni che compie una sostanza. Per questo motivo, Leibniz ad un certo punto tenterà di
modellare le verità di fatto su quelle di ragione e a perdere quello spazio di libertà degli individui.
Leibniz che in un primo momento fa sua la concezione atomistica della natura, pian piano si convince che in
realtà non è così: stabilisce una legge, “legge della continuità della natura”, la natura non fa salti, c’è un
continuum/natura non facit saltus, dal piccolo al grande c’è un’infinità di gradi in ogni cosa. Come mai
avviene questa rottura? Leibniz arriva alla convinzione per cui in natura, sul piano materiale, non esista nulla
di indivisibile, cosa che invece presuppone l’atomismo. Secondo il filosofo, invece, in natura tutto è
divisibile, come abbiamo già visto nella storia della scienza: si pensava che l’atomo fosse indivisibile, ma si
è scoperta una costruzione più complessa fatta di elettroni, protoni e neutroni, poi si sono scoperte le
particelle subatomiche. Secondo Leibniz non si può arrivare a nulla di indivisibile dal punto di vista
materiale, arriva a pensare che al fondo di tutte le cose esista qualcosa di indivisibile, ma di non
materiale/immateriale, qualcosa di spirituale. Arriva alla concezione per cui il fondo della realtà è costituito
da forze, qualcosa che agisce, un’azione motrice, CONCEZIONE SPIRITUALISTICA. C’è la materia che
segue le leggi del meccanicismo (Galileo/Cartesio), ma al di fuori di questo livello meccanico e corporeo
della natura, vi è qualcosa di più reale. Tutto ciò che esiste è manifestazione corporea di sostanze di tipo
spirituale, di forze. La vera realtà dei corpi è la forza viva, una visione energetistica/dinamica dell’universo.
Leibniz non nega il carattere scientifico/ conoscitivo della fisica meccanicistica, ma che queste leggi
comprendono un livello superficiale/più esterno della natura. Al di sotto di queste, vi è un mondo di forze
che costituisce la vera sostanza delle cose, un mondo di forze incorporee. Per Leibniz tutto è vita, tutto è
forze/energia. Il mondo incorporeo è una sorta di inerzia di questa energia, un momento in cui questa energia
è meno forte.
Nel Discorso di Metafisica del 1686, dopo aver parlato di sostanze individuali, in un testo che si chiama
Monadologia inizia ad usare la parola MONADE, dal greco monos/unico. Sostiene che alla base di tutto vi
sono le monadi, unità spirituali, non hanno estensione, non hanno figura e sono indivisibili, sono entità
eterne (Dio le crea e Dio le distrugge, non si disgregano). Ogni monade è diversa dall’altra, non possono
esistere due monadi uguali. Leibniz insiste su un principio che chiama dell’identità degli indiscernibili. Se
due cose sono indiscernibili, cioè indistinguibili, sono una sola cosa, non due distinte. Due cubi uguali
esistono solo in matematica, non nella realtà, in quanto nella realtà dovrebbero occupare anche lo stesso
spazio, dunque ci deve essere una differenza per far sì che esistano due cose differenti. L’universo è
costituito da una molteplicità di sostanza, diversamente da Spinoza. Non si tratta però di diverse forze, ma di
un’unica forza scaturita da questo fondo metafisico della realtà, dunque la forza è l’espressione delle monadi.
Queste monadi sono costituite da un’attività rappresentativa, rappresentano l’universo, è come se avesse una
vita mentale fatta di percezioni, cioè rappresentazioni dell’universo, e appetizioni, cioè tendenze a passare da
una percezione ad un'altra). Gli elementi di fondo dell’universo, organici e inorganici, dunque anche enti
inconsapevoli, hanno un’attività rappresentativa. Come è possibile che ci siano percezioni anche da parte di
enti che non sanno di percepire? Leibniz distingue percezioni, di cui se ne può essere anche inconsapevoli, e
appercezioni, di cui se ne è consapevoli. La consapevolezza delle percezioni si chiama appercezione. In
realtà possiamo capire che vi è attività rappresentativa senza consapevolezza, in quanto anche nella nostra
mente ci sono delle piccole percezioni di cui noi non ci rendiamo conto (anticipa il concetto di inconscio di
Freud), che sarebbero poi il modello di quello che poi avviene nella monade. Diverse monadi, diverse attività
rappresentative: Leibniz arriva ad una gerarchia di perfezione. Dio è la monade superiore, che ha un’attività
di rappresentazione perfetta e totale. È una monade perfetta, onnisciente e creante. Il fondo della realtà non è
fisico, ma spirituale, cioè la forza interna alle monadi si manifesta tramite la materia. Materia=momento di
passività, imperfezione delle monadi che si realizza come materia. (Vecchio pregiudizio antico e classico
della filosofia per cui la materia è imperfetta)
Come si arriva dalle monadi alla materia? Nelle monadi è presente un elemento che Leibniz chiama materia
prima, che è una sorta di forza di inerzia/resistenza. Poi vi è la materia seconda che è l’aggregazione di più
monadi (punti metafisici/atomi di sostanza), che nel caso di animali e uomini, dunque enti aventi un’anima,
l’aggregato di monadi è tenuto insieme da una monade superiore o dominante, che può essere etentificata
con l’anima. PROBLEMA= anima e corpo, aggravato nel caso delle monadi da un’ulteriore stranezza. Le
monadi non hanno né porte né finestre, totalmente indipendenti, non comunicano tra loro, come un computer
non in rete, che sviluppa il suo programma. 1° problema: i nostri corpi sono aggregati di monadi, particelle
spirituali e anche la nostra anima è una monade, quindi come fa l’anima a comandare il nostro corpo? Le
monadi non hanno relazioni fra loro. Secondo Leibniz i corpi agiscono secondo leggi meccaniche, mentre
l’anima secondo leggi finalistiche/ di pensiero, anche in Cartesio questo ragionamento. Secondo Leibniz il
problema del rapporto tra anima e corpo, lo si risolve risolvendo in generale il rapporto tra tutte le monadi.
IPOTESI DELL’INFLUENZA RECIPROCA/FILOSOFIA VOLGARE: le monadi si influenzano tra loro,
non è possibile, va contro la tesi dell’incomunicabilità delle monadi. OROLOGI CHE SI INFLUENZANO
TRA LORO, MAGARI ATTRAVERSO UNA CINGHIA, soluzione cartesiana, Leibniz la esclude
IPOTESI DELL’ASSISTENZA O DELL’OCCASIONALISMO, in occasione di una certa modificazione del
corpo, arriva l’aiuto di Dio che produce una certa modificazione nell’anima, Leibniz nega anche questa tesi.
PER TENERE IN ORARIO GLI OROLOGI, CONTINUO AIUTO DELL’OROLOGIAIO
DOTTRINA DELL’ARMONIA PRESTABILITA: secondo Leibniz esiste un rapporto tra anima e corpo e in
generale tra le diverse monadi, pur non essendoci comunicazione tra loro, in virtù di una teoria che lui
chiama teoria dell’armonia prestabilita. Per Leibniz Dio ha creato, sin dall’origine della creazione, tutte le
monadi in modo che esse procedano con un accordo preventivo, le monadi sono state programmate per
corrispondere. Leibniz definisce Dio un bravo orologiaio, capace di creare orologi che segnano sempre lo
stesso orario, in quanto ben prodotti, sin da quando sono stati creati, dall’atto di creazione. BRAVO
OROLOGIAIO COSTRUISCE GLI OROLOGI IN MODO TALE CHE SEGNINO SEMPRE LA STESSA
ORA, soluzione leibniziana. Leibniz è all’origine del pensiero logico-matematico che porta all’intelligenza
artificiale.
COME DICE NEI NUOVI SAGGO SULL’INTELLETTO UMANO: L’anima è un automa immateriale,
Leibniz sostiene un innatismo totale per cui la monade è tutta innata a se stessa (INNATISMO TOTALE), in
quanto non può ricevere nulla dall’esterno. In ogni monade non è innato il concetto attuale di tutte le cose,
ma una sorta di disposizione/la capacità di acquisire questo concetto, una sorta di virtualità. È come se nella
mia mente ci fosse già virtualmente ciò di cui poi farò esperienza in futuro. Le idee sono innate come
virtualità (INNATISMO VIRTAUALE, verità innate nella nostra mente in maniera potenziale), come se
avessimo un programma di un computer che deve ancora sviluppare una certa fase, parte del suo lavoro.
Quello che ancora non deve essere processato dal computer è però già presente nel codice del programma.
(Idea informatica) Nella prefazione: la nostra mente è un blocco di marmo, in cui ci sono delle venature
interne, dunque la forma è già presente nel marmo. Dunque, diversamente da Locke, il sapere non deriva
dall’esperienza, cioè una parte importante del sapere già è innato nella nostra mente. L’anima è innata a sé
stessa, nel nostro intelletto non c’è nulla che non sia già stato nei sensi, tranne l’intelletto stesso: NIHIL EST
IN INTELLECTU, QUOD NON FUERIT IN SENSU, EXCIPE: NISI IPSE INTELLECTUS. L’anima
dispone di categorie proprie che i sensi non potrebbero fornirle, come per le strutture logiche di Kant.
LA QUESTIONE DEL MALE
Nei Saggi di Teodicea, con teodicea indica la giustificazione di Dio per i mali esistenti al mondo.
TEODICEA: teos+dike, giustizia divina
Esiste il male fisico, la sofferenza dei corpi, il male morale, che coincide con il peccato e la colpa, e il male
metafisico, le cose non sono perfette e hanno difetti fondamentali. Leibniz riflette sul male, se Dio non
esistesse il male non sarebbe un problema, non ci sarebbe un Dio da giustificare che viene definito buono e
giusto. Il male metafisico si comprende: non tutte le cose sono perfette. Il male fisico è una conseguenza del
male metafisico e del male morale, in quanto punizione. Il male morale, inteso come ingiustizia, diviene un
problema: perché Dio permette agli uomini di sbagliare e agire in maniera immorale? Secondo Leibniz Dio
agisce secondo la regola del meglio, Dio ha creato il migliore dei mondi possibili. Tante cose sono possibili,
ma non tutte assieme, anche Dio non può violare questa regola, è soggetto al principio di non contraddizione.
Mentre Cartesio anche le verità matematiche sono create da Dio, che avrebbe potuto crearle diversamente, in
Leibniz Dio è soggetto alle leggi della logica. Deve accettare anche le imperfezioni: crea un mondo in cui vi
è il maggior quantitativo di bene possibile e il minor quantitativo di male possibile. Ma non può creare
l’ottimo, perché tutto è possibile, ma non possibile insieme. Tutti saremmo contenti in un mondo privo di
male, ma ciò comporterebbe un mondo privo di libertà. Non possiamo essere allo stesso tempo liberi e buoni.
Non è possibile che stiano insieme due cose contraddittorie, è come se anche Dio scendesse a compromessi.
Dunque siamo liberi o no per Leibniz? Per Leibniz siamo liberi, Dio fa sì che l’ordine del mondo, pur voluto
da Dio stesso, sia garantito dalla libertà monadi, nonostante la prescienza e l’onnipotenza di Dio. Dio vuole
con una volontà antecedente un mondo ottimo, soltanto bene, poi con una volontà conseguente considera la
necessità logica, ricerca il mondo migliore. Dio vuole il bene in se, ma l’ottimo non è possibile, dunque crea
il meglio.

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