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G.W.

Leibniz

Se la filosofia di Spinoza è una dottrina dell’ordine necessario del mondo, la filosofia di Leibniz si può
descrivere come dottrina libera del mondo.

La differenza tra le II filosofie trova il suo fondamento nella differenza tra due concetti di ragione: per
Spinoza, la ragione è facoltà che stabilisce o riconosce le relazioni necessarie.

Per Leibniz: è la possibilità di stabilire relazioni.

Nasce nel giugno del 1646 a Lipsia, dove studia giurisprudenza, terminando tuttavia gli studi ad Altdorf
(Norimberga) nel 1666.

I suoi primi scritti sono tesi per il conseguimento di titoli accademici: una discussione De principio individui,
vari scritti giuridici e l’Ars combinatoria dove s’inizia ad intravedere la sua idea di un alfabeto dei pensieri
umani e di una logica organizzata matematicamente.

A Norimberga conosce il barone di Boineburd, eminente politico tedesco del tempo, che lo conduce a
Francoforte presentandolo all’elettore di Magonza; Leibniz scrive il Nova methodus discende docendaque
jurisprudentiae (1667) il più importante dei suoi scritti giuridici.

A Magonza ottiene la carica di consigliere dell’elettore e diversi altri incarichi; cominciava la sua attività
politica che occupò gran parte della sua vita e che obbedisce, nel suo insieme, ad un grande disegno: quello
di un’organizzazione politica universale in servizio della civiltà e della scienza.

La sua attività filosofica si volge a problemi di ordine teologico, logico ma soprattutto fisico. Intorno al 1670
inizia la corrispondenza con i maggiori scienziati del tempo; nel ’72 viene inviato a Parigi con una missione
diplomatica che doveva distogliere Luigi XIV dall’invasione dell’Olanda invogliandolo alla conquista
dell’Egitto; il progetto fallisce, ma Leibniz chiede di restare a Parigi. Vi rimase IV anni, i più decisivi per la
sua formazione scientifica. Nel 1676 scopre il calcolo integrale, in realtà già scoperto un decennio prima da
Newton, ma formulato da Leibniz in modo da renderlo più fecondo, rendendone possibile una più rapida
applicazione. Nel ’76 torna in Germania, accettando il posto di bibliotecario presso il duca di Hannover; nel
viaggio da Parigi ad Hannover conosce Spinoza, col quale intrattiene lunghe conversazioni. Leibniz trovò,
nel suo incontro con lui, la dottrina simmetricamente opposta alla sua, che sempre rimarrà il suo punto di
riferimento polemico. Vide in essa l’espressione tipica dell’ateismo, del naturalismo e di quella necessità che
nega la libertà umana e la provvidenza divina.

Rimase per tutta la vita al servizio dei duchi di Hannover. Lavorò al progetto di riunire la chiesa cattolica con
la protestante – poiché i duchi di Hannover, cattolici, si trovavano a governare un paese protestante-.

Il progetto fallì ma i tentativi intrapresi in questa direzione rivelarono l’aspetto fondamentale del suo
pensiero, tendere ad un ordine universale, nel quale trovino posto i diversi punti di vista (spontaneamente,
armoniosamente).

Questa tendenza la ritroviamo nei suoi tentativi di organizzare in Europa – sul modello di quelle esistenti a
Parigi e a Londra, di cui era membro- una specie di repubblica alla quale partecipassero, attraverso le
accademie nazionali, gli scienziati d’Europa. Fonda a Berlino nel 1700 quella che sarà poi l’Accademia
prussiana. Nel 1684 negli Acta eruditorium rendeva pubblica la scoperta del calcolo integrale. Proseguiva il
suo ideale di una scienza che contenesse i principi e i fondamenti delle altre, e determinasse i caratteri
fondamentali comuni a tutte le scienze e le regole della loro combinazione.
I risultati cui pervenne in questi tentativi li troviamo in diversi manoscritti intorno alla Mathesis universalis e
agli Initia Mathematica.

Gli scritti filosofici di Leibniz hanno quasi tutti caratteri occasionali (1686 Discorso di metafisica) Nuovo
sistema della natura e della comunicazione delle sostanze (1695) Principi della natura e della grazia fondati
sulla ragione (1714) La Monadologia (1714) scritta per il principe Eugenio di Savoia.

I nuovi saggi sull’intelletto umano (1705) critica a Locke e il saggio di Teodicea (1710).

Leibniz non scrisse mai un’esposizione compiuta e sistematica del suo pensiero; i suoi ultimi anni furono i
più infelici. Quando morirono le sue protettrici gli fu impedito di muoversi da Hannover, si cercò inoltre di
umiliarlo in tutti i modi. Morì nel 1716, neanche si conosce il luogo della sepoltura.

Sebbene non sia stato filosofo di professione, ha portato in tutte le disparate manifestazioni del suo
pensiero e della sua attività un’esigenza sistematica e universalistica, di natura filosofica. Quale che
fosse il problema considerato, esso era subito ricondotto a un principio generale e riconosciuto come
espressione di un sistema universale.

La sua filosofia non è che il tentativo di fondare e giustificare la possibilità di un tale sistema.

L’ordine contingente e la ragione problematica (p.220-22)

Tutte le manifestazioni della personalità di Leibniz si lasciano ricondurre ad un unico pensiero centrale:
quello di un ordine, non geometricamente determinato e quindi necessario, ma spontaneamente organizzato,
LIBERO!

L’ordine universale che Leibniz vuol riconoscere e far valere in tutti i campi non è necessario (come quello
che costituiva l’ideale di Spinoza) ma è suscettibile di organizzarsi e svilupparsi nel modo migliore –
secondo una regola che però non è necessitante-.

È come quello di Spinoza un ordine matematico o geometrico, il cui concetto Leibniz ha espresso con tutta
chiarezza nel discorso di Metafisica: nulla accade nel mondo che sia assolutamente irregolare. Supponiamo
che qualcuno disegni su un foglio una quantità x di punti, dico che è possibile trovare una linea geometrica la
cui nozione sia costante e uniforme secondo una regola determinata e tale che passi per tutti questi punti
proprio nell’ordine in cui la mano li ha tracciati; così, analogamente, possiamo dire che in qualunque modo
Dio avesse creato il mondo, il mondo sarebbe stato sempre regolare, fornito di un ordine generale.

Il concetto di ordine: un concetto di ordine così formulato esclude ogni rigidezza e necessità ed include
la possibilità della libertà cioè della scelta tra vari ordini possibili.

Scelta è diverso da arbitrio, per Leibniz; Dio, tra i vari ordini possibili, ha scelto il più perfetto cioè quello
che è il più semplice e il più ricco di fenomeni. La scelta è regolata dal principio del meglio, una regola
morale finalistica.

Un ordine che includa la possibilità di una scelta libera e che sia successibile di essere determinato dalla
scelta migliore è quello che Leibniz cercò di riconoscere e realizzare in tutti i campi del reale!

I suoi tentativi di creare un’organizzazione universale delle scienze, come quelli di armonizzare
protestantesimo e cattolicesimo, obbediscono all’esigenza di quest’ordine; ancora, la sua ricerca di una
scienza generale, di un calcolo che servisse a scoprire la verità in tutti i rami del sapere, muove dall’esigenza
di realizzare uno strumento che consenta di stabilire quell’ordine in ogni campo.
Vi è bisogno di filosofi naturali che non soltanto introducano la geometria nel campo delle scienze fisiche
(mancando questa di cause finali= ma rendano anche manifesta nelle scienze naturali un’organizzazione
civile.

La stessa realtà fisica è una grande repubblica organizzata da un principio di libertà; l’ordine, la ragione del
mondo, è liberta.

È dunque evidente per Leibniz che la categoria fondamentale per l’interpretazione della realtà non è la
necessità ma la possibilità; tutto ciò che esiste è una possibilità che si è realizzata in virtù di una regola non
necessitata. Non tutto ciò che è possibile si è realizzato o si realizza; dunque, il mondo dei possibili è più
vasto di quello del reale; Dio, tra l’infinità dei mondi possibili che poteva realizzare, ha realizzato questo, e
lo ha fatto con una scelta libera, secondo una regola che egli stesso si è posta.

L’intera filosofia di Leibniz tende a giustificare questi capisaldi; è il primo grande tentativo di definire la
ragione come ragione problematica e di riconoscere come norma della ragione l’obbligazione morale, non la
necessità geometrica; solo nell’ambito della ragione problematica e della categoria della possibilità si può
risolvere il contrasto messo in luce nella f. di Leibniz dalla critica moderna; Leibniz ha, da un lato,
contrapposto il principio di ragion sufficiente come principio dell’ordine reale libero al principio di identità
che regola l’ordine delle verità eterne (necessario) ha poi operato il tentativo di ricondurre lo stesso principio
di r. sufficiente al p. di identità, quasi contraddicendosi; quest’ultimo tentativo sembra negare l’aspirazione
fondamentale di Leibniz poiché mira a concludere che l’ordine contingente è si libero, ma è una
manifestazione incompiuta e provvisoria dell’ordine necessario. Leibniz sarebbe così ricondotto a Spinoza;
tuttavia, è bene dire, che quando Leibniz dice che nelle proposizioni identiche il predicato è immediatamente
inerente al soggetto – mentre nelle verità contingenti questa inerenza può essere dimostrata solo con
un’analisi continuata all’infinito, egli non intende dire null’altro se non che: l’analisi delle proposizioni
contingenti – concernenti l’ordine reale- può essere proseguita all’infinito senza raggiungere mai l’identità –
come le rette parallele s’incontrano all’infinito-; le verità contingenti sono dette identiche all’infinito –
possono essere indefinitamente analizzate senza dimostrarsi identiche mai-.

L’impostazione teologica della sua dottrina deve condurre Leibniz a ritenere che in Dio questa possibilità si è
attuata, poiché a lui è dato comprendere l’identità analitica delle verità contingenti.

La ragione problematica non può essere che umana – non è divina-. Il suo vantaggio è quello di stabilire una
differenza tra la conoscenza divina e quella umana, saldamente fondata sulla filosofia di Leibniz.

Importante!

Ciò che esiste, dunque non è una necessaria manifestazione dell’essenza di Dio che, geometricamente, deriva
da questa essenza (SPINOZA) ma è il prodotto di una scelta libera di Dio, scelta razionale, la quale ha la sua
ragione nel fatto che è la scelta migliore fra quelle possibili.

Verità di ragione e verità di fatto (il principio di ragion sufficiente)

Vedi quaderno per PRS!

Nessun fatto potrebbe verificarsi o esistere senza che vi sia una ragion sufficiente a spiegare perché sia così e
non altrimenti, e per dimostrare che un enunciato non è illusorio, è necessario dedurlo da premesse vere e
sufficienti; ci son tuttavia II possibili limitazioni a questo enunciato:

Le premesse da cui vogliamo muovere per provare la verità di un fatto, sono anch’esse contingenti

La domanda del perché esiste proprio questo mondo?


L’esistenza di ogni cosa dipende dall’essere necessario di Dio. Per ciò che concerne le ragioni che hanno
portato Dio ha creare, esse sono conoscibili.

Dio inclina senza necessitare, ha scelto quelle ragioni piuttosto che altre seguendo una necessità che non
abolisce la contingenza, dunque la libertà: necessità morale.

Le altre ipotesi non erano possibili (di una verità di fatto è possibile anche il contrario) ma erano peggiori; il
nostro è il migliore dei mondi possibili. Leibniz ha una concezione dell’agire divino finalistica; Dio agisce in
vista di un fine, opera secondo una razionalità architettonica, egli è propenso alla simmetra, all’equilibrio. Il
fine intrinseco è proprio l’armonia. Il nostro mondo – il migliore dei mondi possibili- è al contempo il più
semplice nelle ipotesi e il più ricco nei feomeni (Dio può essere saggio e giusto, dimostrazione del fatto
elaborata senza attingere all’antropomorfismo).

Leibniz spiega che i parametri di armonia sono verità increate, che Dio trova come già date nel suo intelletto.
Ma allora verrebbe da chiedersi: com’è possibile conciliare l’assolutezza dei parametri dell’armonia con la
tesi che le ragioni inclinano Dio senza necessitarlo?

I parametri divengono normativi solo dopo che Dio si è auto-obbligato a seguire i dettami della saggezza.

Lo spazio della libertà è posto alla fine del processo, non all’inizio

L’esito di questa scelta ha una struttura logica ben precisa. Leibniz divide la scelta divina in III diversi
momenti logici, per dimostrare che essa consiste in una lotta tra possibili per esistere: tutti i possibili
semplici si presentano nell’intelletto divino come già predisposti ad esistere

 I possibili si combinano, creando insiemi che sono ancora più predisposti ad esistere
 Le combinazioni risultano incompossibili tra loro
 Si formano diversi sistemi completi di possibilità, diversi mondi possibili
 Il sistema più ricco e meglio ordinato prevale sugli altri.

La sostanza INDIVIDUALE

Il principio di ragion sufficiente conduce Leibniz alla formulazione del concetto di sostanza individuale,
centrale nella sua metafisica; una verità di ragione è tale che in essa, il soggetto e il predicato, sono identici;
dunque, non è possibile negare il predicato senza contraddirsi.

Ma nelle verità di fatto il predicato non è uguale al soggetto, dunque, può essere negato senza
contraddizione; il contrario di una verità di fatto non è contraddittorio, dunque non è impossibile. Il soggetto
di essa deve contenere la ragion sufficiente del suo predicato.

Un soggetto di questo genere è sempre REALE, ed è una SOSTANZA – si tratta di verità di fatto-.

Esso è una sostanza individuale, la cui natura è che la sua nozione è così compiuta che basta a comprendere e
a farne dedurre tutti i predicati dal soggetto a cui è stata attribuita.

Esempio: la nozione individuale di Alessandro magno include la ragion sufficiente di tutti i predicati che si
possono dire di lui con verità; che vinse Dario e Poro (es.) fino a conoscere a priori se egli è morto di morte
naturale o veleno. Ovviamente, l’uomo non può avere una nozione così compiuta della sostanza individuale,
perciò desume dall’esperienza gli attributi che le si riferiscono; Dio, però, la cui conoscenza è perfetta, è in
grado di scorgere nella nozione di qualsiasi sostanza individuale la ragion sufficiente di tutti i suoi predicati,
dunque i residui, nell’anima di Alessandro, di tutto quanto gli è accaduto e gli accadrà, ma anche di quanto
accade nell’universo.
Ciò non significa che una SI sia necessitata ad agire in un certo modo, cioè che Alessandro non poteva fare
altrimenti. Queste azioni potevano non accadere, il loro contrario non implica contraddizione; ma era certo
che sarebbero accadute data la natura delle sostanze individuali che le hanno compiute, in quanto tale natura
è la ragion sufficiente di esse.

La natura di quelle sostanze, a sua volta, ha la sua ragion d’essere nell’ordine generale dell’universo voluto
da Dio.

Sia la scelta da parte di Dio di quell’ordine universale che richiede sostanze come Alessandro o Cesare, sia le
loro rispettive azioni e scelte, sono libere; ma tanto la scelta di Dio che delle sostanze individuali hanno la
loro ragion sufficiente che le spiega e le rende intellegibili.

Dio avrebbe potuto sceglie un mondo diverso, Cesare non compiere quell’azione, ma la perfezione
dell’universo ne avrebbe sofferto. Così le cose dovevano svolgersi nel modo in cui si sono svolte.

La dottrina di Leibniz si questo punto poggia sulla diversità e sul contrasto tra la connessione necessaria che
ha luogo nelle verità di ragione – come quelle geometriche- e la connessione contingente stabilita dal
principio di RS e implica una necessità ex hypotesi, problematica!

Benché Dio scelga il migliore, ciò non impedisce al meno perfetto di restare possibile in sé, sebben non si
verifichi. Poiché è la sua imperfezione – e non la sua impossibilità- che ne impedisce il realizzarsi. Dunque,
nulla è necessario di cui sia possibile l’opposto. Questa dottrina, se giustifica la libertà di Dio, non giustifica
quella dell’uomo: nel saggio di Teodicea Leibniz ha dieso il suo concetto di libertà, negando che metta capo
alla necessità. L’ordine dell’universo esige che ogni sostanza abbia una natura determinata, e che questa sia
ragion sufficiente delle sue azioni; in realtà, per Leibniz, la sostanza individuale è la ragion sufficiente nella
sua realtà. Ma ciò che rende dubbia la libertà umana è la certezza e l’infallibilità della previsione divina.

Dunque, si domanda Leibniz, donde consegue che quest’uomo commetterà sicuramente questo peccato?
Risposta: altrimenti non sarebbe questo uomo! Così Dio prevede il tradimento di Giuda, perché vede
dall’eternità che vi darà un certo Giuda la cui idea contiene quell’azione futura libera. Rimane il problema
dei perché Dio abbia creato l’universo del cui ordine fa parte quella determinata sostanza, problema che deve
risolversi tenendo fermo che l’universo creato è sempre il migliore possibile.

Che fa Leibniz? Rinvia il problema sul terreno teologico, e ad uno dei suoi corrispondenti, lo Jaquelot, che lo
metteva alle strette su questo punto, rispose che le sue obiezioni andavano indirizzate ai teologi, poiché il
decreto di Dio non è la causa efficace e antecedente delle azioni più che secondo tutti loro. Tutti
risponderanno come me, aggiungeva, che la creazione delle sostanze e il concorso di Dio alla realtà
dell’azione umana, che sono gli effetti del suo decreto, non costituiscono una determinazione necessaria.

Leibniz a questo punto distingueva tra il P.V di Dio e quello degli uomini; dal I, la derivazione delle scelte e
delle azioni umane dalla sostanza individuale è certa, ma dal punto di vista degli uomini la certezza manca!
Le determinazioni di Dio in questo modo sono imprevedibili, nessuna anima sa di essere determinata a
peccare, se non quando pecca (l’uomo non possiede la nozione della propria sostanza individuale).

Per Dio, le azioni future di essa sono certe solo in virtù di un suo decreto – scelta- dunque non necessarie. La
garanzia della libertà umana sta proprio nella incomunicabilità dei due punti di vista!

La soluzione che Leibniz presenta non differisce dal tomismo, è nuova l’impostazione di essa sul principio di
ragion sufficiente, in virtù del quale la scelta che l’uomo fa di un’azione qualsiasi non è arbitraria perché ha
la sua ragione nella natura dell’uomo, ma non è determinata perché la ragione non è necessitante. La forza
della sua soluzione sta nell’energia con la quale ha contrapposto all’ordine geometrico quello morale, al
determinismo della ragione cartesiana e spinoziana la problematicità della ragion sufficiente.
La filosofia naturale e la dinamica, o forza e meccanismo

La natura non costituisce, per Leibniz, un’eccezione al carattere contingente e libero dell’ordine universale.
Questa convinzione lo ha spinto a modificare via via le dottrine fisiche che aveva esposto nel suo scritto
giovanile Hypotesis physica nova. In questo scritto ancora ammetteva la diversità stabilita da Cartesio tra
l’estensione e il movimento, e ammetteva altresì, con Gassendi, la costituzione atomica della materia; a
quest’ultima rinunciò quando giunse a formulare la legge di continuità, il principio secondo cui la natura non
fa mai salti.

Si deve ammettere, seguendo questo principio, che per passare dal piccolo al grande o viceversa, bisogna
passare attraverso infinit gradi intermedi, e dunque, il processo di divisione della materia non può fermarsi a
elementi indivisibili, come sarebbero gli atomi, ma deve procedere all’infinito.

Poi, cessò di vedere nell’estensione e nel movimento – gli elementi della fisica cartesiana- gli elementi
originari del mondo fisico e vide l’elemento originario del MONDO FISICO nella forza; quando accadde
ciò? Quando si convinse che il principio affermato da Cartesio – della immutabilità della quantità di
movimento- era falso, e che bisognava sostituirlo con il principio della conservazione della forza o azione
motrice; ciò che rimane costante nei corpi che si trovano in un sistema chiuso non è la quantità di movimento
ma la quantità di AZIONE MOTRICE che è pari al prodotto della massa per il quadrato della velocità;
l’azione motrice o forza viva rappresenta la possibilità di produrre un determinato effetto, come il
sollevamento di un peso, dunque implica attività, produttività, la quale è esclusa dal movimento che è la
semplice traslazione nello spazio.

Per Leibniz la forza è “Più reale” del movimento, che non è reale di per sé, come lo spazio e il tempo (enti di
ragione).

Il movimento rispetto ai fenomeni è una relazione, la forza è la loro realtà. Negli esseri corporei vi è qualcosa
che antecede l’estensione: la forza della natura, che non consiste in una facoltà ma anche in un conatus o
sforzo, che non dovrà essere impedito da un conatus contrario pena la non-espressione-massima del suo
effetto.

L’agire è il carattere fondamentale delle sostanze, l’estensione è la continuazione di una sostanza già data,
che tende e si oppone, resiste. Dunque, l’unico elemento reale del mondo naturale è la forza.

Per Leibniz tutto avviene meccanicamente nella natura, e per rendere ragione esatta e compiuta di qualsiasi
fenomeno particolare, come dell’elasticità, bastano le nozioni di figura o movimento; ma i principi della
meccanica e le leggi di movimento nascono da qualcosa che non si può concepire neanche con
l’immaginazione, sebbene lo spirito possa concepirlo; la forza è questo superiore principio metafisico che
fonda le leggi del meccanismo.

Leibniz distingue forza passiva – costituisce la massa di un corpo, ed è la resistenza che un corpo oppone alla
penetrazione e al movimento- e la forza attiva, la vera e propria forza, che è CONATUS o tendenza
all’azione; è avvicinata all’entelechia aristotelica.

Tuttavia l’interpretazione leibniziana del meccanismo annulla il meccanismo stesso, poiché l’ultimo risultato
delle indagini fische di leibniz è la risoluzione del mondo fisico in un principio che non ha nulla di corporeo;
l’elemento costitutivo del meccanismo, la forza, gli si rivela di natura spirituale. Dunque, il dualismo
cartesiano, viene negato, e l’universo interpretato in termini di sostanza spirituale. Tutto è spirito poiché tutto
è forza: il mondo della fisica si trasforma in mondo spirituale, in un ordine contingente e libero.
La monade, la monadologia

Leibniz doveva giungere a riconoscere che l’unico è l’elemnto ultimo che entra a comporre sia il mondo
dello spirito che quello dell’estensione.

Nel discorso di metafisica del 1686 Leibniz aveva individuato il concetto di sostanza individuale riferendosi
all’individualità umana. la sostanza individuale è lo stesso principio logico della ragion sufficiente elevato a
entità metafisica, ad elemento costitutivo di un ordine contingente e libero. In quello scritto Leibniz aveva
accennato all’esigenza che anche i corpi fisici avessero in sé una forma sostanziale che corrispondesse alla
sostanza individuale UMANA, ma non si era spinto oltre; verso il 1696 inizia ad introdurre il concetto di
MONADE. L’acquisizione del termine segna per Leibniz la possibilità di estendere al mondo fisico il
concetto dell’ordine contingente e di unificare mondo fisico e mondo spirituale in un ordine universale
libero. La monade è definita come sostanza semplice, senza parti, priva di estensione e figura, indivisibile.
Non si può disgregare ed è eterna: solo Dio può crearla o annullarla. Ogni monade è diversa dall’altra: non vi
sono due esseri perfettamente uguali in natura, cioè che non siano caratterizzati da una differenza interiore:
questo principio è l’identità degli indiscernibili. Due cose non possono differire solo localmente o
temporalmente, ma è necessario che interceda fra esse una differenza INTERNA. Due cubi uguali esistono
solo in matematica, non in realtà. Gli esseri reali si diversificano per le qualità interiori, e anche se la loro
diversità consistesse solo, ad esempio, nella loro diversa posizione, si trasformerebbe quest’ultima in una
diversità di qualità interne e non rimarrebbe una differenza estrinseca.

La monade, nella sua individualità irreducibile, implica la massima universalità. Ogni monade costituisce un
punto di vista sul mondo, è tutto IL MONDO da un determinato punto vi sita.

Questo carattere di universalità (chiarito nel discorso di metafisica) per ciò che concerne la sostanza
individuale umana, è esteso alle altre monadi; nessuna monade comunica direttamente con le altre; sono
letteralmente “senza finestre”. I mutamenti naturali delle monadi derivano solo da un principio interno, ed
ogni mutamento avviene per gradi, dunque nella monade qualcosa cambia, qualcosa rimane. Vi è una
pluralità di stati o rapporti in essa, sebbene non vi siano parti! Ognuno di questi “stati” che rappresenta una
molteplicità come unità, è una percezione, distinta da APPERCEZIONE O COSCIENZA che è propria
dell’anima razionale.

Il principio INTERNO che opera il passaggio da una percezione all’altra è l’appetizione.

Lebniz spiega che la modificazione di una monade segue due aspetti: Status (lo stato momentaneo) e
Tendentia (la tendenza verso nuovi stati) l’appetizione, transizione ad una nuova percezione, anche se non
sempre realizza la percezione a cui dente; ha una “stabilità dinamica”.

I gradi di perfezione delle monadi sono determinati dai gradi delle loro percezioni.

Differenza Dio – Monadi CREATE (anche Dio è una monade): le monadi create rappresentano il mondo solo
da un determinato punto di vista, Dio lo rappresenta da tutti i possibili; inoltre, le monadi create sono per
natura finite. Le monadi create non si rappresentano la totalità dell’universo con lo stesso grado di chiarezza.
Le percezioni delle monadi create sono sempre “confuse”; le monadi PURE E SEMPLICI sono quelle che
posseggono solo percezioni confuse di questo genere. Le monadi fornite di memoria costituiscono le anime
degli animali e quelle fornite di ragione gli spiriti umani.

Leibniz ammette, contro Cartesio, che gli animali hanno un’anima, sebbene non identica a quella degli
uomini MA capace di stabilire tra le percezioni una concatenazione che imita la ragione.
V lezione del Discorso sul metodo

Cartesio argomenta sulla natura degli animali; rispetto agli esseri umani gli animali sono res extensa, pura
estensione: realtà corporea priva di sensibilità. L’uomo è res cogitans, cioè pensiero. La prova di questa
distinzione radicale la si riscontra nel fatto linguistico; i suoni emessi dagli animali sono definiti come
“movimenti naturali”; è vero che vi sono molti organi comuni a uomini e ad animali, ma questi ultimi non
comunicano, sono privi di linguaggio; sono assimilabili alle macchine. Analogia con l’orologio: può
misurare le ore e contare il tempo più esattamente di noi, nonostante la nostra intelligenza. Dunque, se
l’animale è solo una macchina, si può operare legittimamente sul suo corpo, senza scrupoli di sorta.
Trasferitosi poi a Stoccolma, su invito della regina Cristina di Svezia, comprese che le cose non stavano così;
nelle sue passeggiate solitarie s’imbatté in un cane randagio che lo seguiva fedelmente. Iniziò a mettere in
discussione la radicalità della sua teoria, Cartesio chiamò il cane Monsieur Grat e iniziò a pensare che anche
gli animali erano dotati di sentimenti e provavano sensazioni di piacere e dolore.

Anche la materia è costituita di monadi; non è veramente né sostanza corporea né sostanza spirituale, ma
aggregato di sostanze spirituali; è infinitamente divisibile. I suoi elementi ultimi non hanno niente di
corporeo, sono atomi di sostanza o punti metafisici, così come si potrebbero chiamare le monadi. Ciascuna
porzione di materia può essere concepita come un giardino di piante; ciascun ramo della pianta è ancora un
giardino dello stesso genere. Leibniz chiama MATERIA II la materia intesa come aggregato di monadi,
materia I la potenza passiva – forma di inerzia- che è nella monade e che costituisce la monade insieme alla
potenza attiva o entelechia. Nelle monadi superiori, spiriti o anime umane, la potenza passiva o materia
prima è l’insieme delle percezioni confuse, le quali costituiscono ciò che vi è di finito, imperfetto, nelle
monadi spirituali create.

Da un punto di vista rigorosamente metafisico, considerando come azione ciò che avviene alla sostanza
spotaneamente, ogni sostanza non fa che agire, poiché tutto le proviene da sé dopo ce da Dio ed essa non
subisce l’azione di nessun’altra sostanza; tuttavia, considerando come azione un esercizio di perfezione e
come passione il contrario, non vi è azione nelle sostanze se non quando la loro percezione si sviluppa e
diviene più distina, e non vi è passione se non quando diviene più confusa. Le percezioni confuse
corrispondono nelle monadi spirituali a ciò che l’inerzia è nelle monadi corporee, cioè a quella che è definita
materia I.

Le percezioni confuse indicano la nostra imperfezione, le nostre affezioni, la nostra dipendenza dall’insieme
delle cose esterne, la materia. La perfezione, la forza, la libertà e l’azione dell’anima consistono nei nostri
pensieri distinti.

Le percezioni confuse sono ricondotte a quelle piccole percezioni di cui Leibniz si era servito per giustificare
la presenza innata nello spirito di verità di cui esso non è cosciente; il corpo degli uomini e degli animali è,
per Leibniz, materia II, aggregato di monadi, tenuto insieme e dominato da una monade superiore, l’anima
vera e propria (MONADE DOMINANTE).

Nonostante il fatto che tra il corpo – aggregato monadi- e anima – monade dominante- non ci sia diversità
sostanziale o metafisica perché tra l’una e le altre c’è solo una differenza nei gradi di distinzione delle
rispettive percezioni, il corpo e l’anima seguono leggi indipendenti.

I corpi agiscono tra loro secondo leggi meccaniche, le anime secondo le leggi della finalità; non c’è modo di
concepire l’azione dell’anima sul corpo o viceversa, non c’è modo di spiegare come da leggi meccaniche
nascano percezioni o come dalle percezioni nascano leggi meccaniche (es. un cambiamento di velocità).

L’anima e il corpo seguono ognuno la sua legge separatamente. Nasce il problema di intendere l’accordo
dell’anima con il corpo: L’armonia prestabilita.
Con l’idea dell’armonia prestabilita il sistema della monadologia si completa. In questo problema viene a
risolversi quello più generale della comunicazione reciproca fra le monadi che costituiscono l’universo: tutte
le monadi sono chiuse in sé, impossibilitate a comunicare le une con le altre, ma ciascuna è legata all’altra,
poiché ognuna è un aspetto del mondo, una rappresentazione delle altre. Le monadi sono come tante vedute
di una medesima città, e come tali si accordano insieme a costituire la veduta complessiva dell’universo,
espressa compiutamente in Dio, monade suprema. Più precisamente, ogni monade rappresenta il corpo che le
si riferisce particolarmente e di cui costituisce l’entelechia, e siccome tale corpo – aggregato di monadi-
esprime tutto l’universo, così l’anima, rappresentandosi il corpo che le appartiene, si rappresenta insieme
tutto l’universo.

Il problema della comunicazione fra monadi si configura nella forma che aveva assunto nella filosofia
cartesiana, comerapporto anima-corpo.

III soluzioni al problema:

se si paragonano anima-corpo a II orologi, il primo modo di spiegare il loro accordo è ammettere l’influenza
reicproca dell’uno sull’altro; questa è la dottrina della filosofia volgare che urta contro l’incomunicabilità
delle monadi.

II maniera di spiegare l’accordo, dell’assistenza; è propria del sistema delle cause occasionali. Due orologi,
anche “malfunzionanti” possono essere tenuti in armonia da un abile operaio che provveda ad essi. Questo
sistema introduce un Deus ex machina in un fatto naturale e ordinario nel quale Dio non deve intervenire se
non allo stesso modo in cui concorre negli altri fatti naturali.

III maniera supporre che i due orologi sono stati costruiti con tanta arte e perfezione da essere sempre
d’accordo per il futuro. Questa è la dottrina dell’armonia prestabilità: per essa l’anima e il corpo seguono
ciascuna le sue leggi, ma l’accordo è stato stabilito preventivamente da Dio nell’atto di stabilire queste leggi.
Il corpo segue le leggi meccaniche, l’anima la propria interna spontaneità. Essi sono ad ogni istante in
ARMONIA, un ARMONIA PRESTABILITA DA DIO AL MOMENTO DELLA CREAZIONE.

La dottrina dell’armonia prestabilita è la conclusione ultima della filosofia di Leibniz, sebbene non sia
il suo pensiero centrale; per tale dottrina, il corpo organico (ovvero degli animali o dell’uomo) è una specie
di automa naturale, o macchina divina, le cui manifestazioni non sono influenzate dagli atti spirituali.

È solo per l’armonia prestabilita che il CORPO dell’animale sente dolore quando colpito.

La vita dell’anima si sviluppa dal suo interno, spontaneamente; è come “un sogno ben congegnato nel quale
le percezioni si seguono in virtù di una legge inscritta nella natura della Monade, stabilita da Dio con l’atto
della creazione”.

Leibniz giunge fino a dire che anche l’anima è “un automa immateriale”; egli deve perciò sostenere un
innatismo totale: la monade è innata a sé stessa, poiché nulla può ricevere dall’esterno.

Le verità di ragione, i principi logici su cui essa si fonda: INNATI / verità di fatto, sensazioni: NASCONO
DAL FONDO DELLA MONADE, costituito da piccole percezioni che divengono via via, e solo in parte,
distinte.

La MONADE esce dalle mani di Dio compiuta, determinata, sebbene non necessariamente, in tutti i suoi
pensieri e azioni; Leibniz chiama le monadi in ultima istanza FULGURAZIONI CONTINUE DELLA
DIVINITA’, limitate dalla ricettività della creatura, alla quale è essenziale l’essere limitata.
La filosofia di Leibniz concludendosi nel sistema dell’armonia prestabilita diviene speculazione teologica; in
tale speculazione accoglie i temi tradizionali della teologia: le prove dell’esistenza di Dio, la trattazione dei
problemi relativi alla libertà, alla predeterminazione, il problema del male.

Leibniz elabora anzitutto una delle prove tradizionali dell’esistenza di Dio, a posteriori; è la III esposta da
D’aquino nella Summa Theologica, quella desunta dal rapporto tra il possibile e il necessario. Leibniz
formula questa prova ricorrendo al p. di ragion sufficiente; Dio è la prima ragione delle cose, giacché le cose
limitate, come sono quelle che vediamo e sperimentiamo, sono contingenti e non hanno insé nulla che renda
necessaria la loro esistenza.

Bisogna cercare la ragione dell’esistenza nel mondo, nella sostanza che porta in sé la ragione della sua
esistenza, che è dunque necessaria ed eterna. Se un mondo solo esiste fra innumerevoli mondi ugualmente
possibili (tutti con una pretesa all’esistenza) la ragion sufficiente di esso non può essere che un
INTELLETTO che ha le idee di tutti i mondi possibili affiancate ad una volontà che ne sceglie uno: intelletto
e volontà di Dio. Dio è ragion sufficiente del mondo che esiste e ragion sufficiente dei mondi possibili,
poiché anche le possibilità devono fondarsi su qualcosa di reale o attuale: si fondano sull’esistenza
dell’essere necessario, la cui essenza implica l’esistenza. Dio è fonte di ogni realtà e di ogni possibilità; realtà
e possibilità non dipendono dalla volontà divina ma solo dall’intelletto divino di cui sono oggetto interno,
dalla volontà dipendono solo le verità di fatto che concernono le esistenze reali.

In II luogo Leibniz ha elaborato l’argomento ontologico di S. Anselmo, utilizzando il suo concetto del
possibile.

Alla forma cartesiana dell’argomento ontologico, Leibniz oppone che è possibile dedurre l’esistenza dal
concetto di un essere che possegga tutte le perfezioni, solo dopo che si è dimostrato che il concetto di questo
essere è possibile (privo di contraddizioni interne). Sicché, in realtà, quell’argomento non può concludere
dalla perfezione di Dio alla sua esistenza, ma deve concludere dalla possibilità di Dio alla sua esistenza;
questa è la forma vera dell’argomento, secondo Leibniz. In Dio possibilità e realtà coincidono; posto che sia
riconosciuto possibile, dev’essere riconosciuto esistente. Non c’è dubbio che possa e debba essere
riconosciuto possibile, data la totale assenza di limitazioni intrinseche che lo caratterizzano.

I problemi della teodicea sono considerati da Leibniz alla luce di quella regola del meglio pensata come
FONDAMENTALE (per l’azione divina) dunque per l’ordine del mondo.

Leibniz distingue in Dio una volotnà antecedente che vuole il bene in sé / conseguente che vuole il meglio.
Come effetto della volontà conseguente Dio vuole anche ciò che in sé non è né bene e ne male, e perfino il
male fisico come mezzo per raggiungere il meglio, e permette il peccato allo stesso fine; dunque Dio ha
scelto il migliore dei mondi possibili che comprende una minima percentuale di MALE; la il peccato fa parte
dell’ordine del mondo, dunque egli lo permette, ma non è responsabile di esso (Dio non vuole positivamente
il peccato; la volontà permissima di Dio rispetto al peccato è conseguenza della sua volontà, della sua scelta
del meglio). TEODICEA.

Lebniz non ritiene che la predestinazione divina annulli la libertà umana.

Creato da un atto libero della divinità, l’ordine dell’universo è conservato e svolto dalla libertà delle monadi
e soprattutto delle monadi spirituali nelle quali meglio si riflette la sostanza divina; il p. di ragion sufficiente
sul quale è fondato l’ordine del mondo, conduce Leibniz a vedere quest’ordine orientato secondo il meglio,
che è il fine della volontà divina e di quella umana.

La predeterminazione divina, agendo per il tramite della volontà che tende al meglio, non è
NECESSITANTE ma abbiamo visto INCLUNANTE. La scelta del meglio da parte delle creature rimane
libera! Responsabile!
La teologia non è tutta la filosofia di leibjiz; il principio ispiratore della sua filosofia (di tutta la sua opera) è
la libertà dell’ordine universale.

Leibniz cercò di realizzare nella sua filosofia la giustificazione dell’atteggiamento che egli assunse
costantemente di fronte a problemi di ogni genere. L’atteggiamento di chi vuol fondare nel mondo umano e
riconoscere in tutto l’universo, un insieme di attività che liberamente si incontrano, si limitano e finiscono
per trovare la loro pacifica coordinazione.

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