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Lez.

30\09\21

Thomas Hobbes - la concezione della libertà è estremamente organica, una parte integrante della sua
concezione filosofica generale.

Abbiamo a che fare con uno scritto peculiare e non ambizioso come le opere principali dell’autore.

Hobbes è un autore noto e discusso per le sue tesi originali, ardite, dibattute in filosofia politica; è anzitutto
un autore sistematico = persegue, si occupa di tutti i campi della filosofia, nell’ottica di una concezione
fortemente unitaria.

Liberà e Necessità è uno scritto di occasione, ma costituisce per Hobbes l’occasione di confrontarsi con un
problema assai importante: con la questione della liberà, con l’esigenza di precisare in che cosa consista la
sua generale concezione deterministica. Tale opera si colloca prima del pieno sviluppo del sistema filosofico
di Hobbes, in cui la generale concezione deterministica è una parte essenziale: Hobbes è (a differenza di
Descartes e di quelli successivi) un materialista = sostenitore della tesi per cui ogni cosa che esiste è
materiale, è corpo. La realtà è interamente fisica —> implicazione diretta è una tesi deterministica secondo
cui i nessi di determinazione causale pervadono l’intera realtà.

Uno degli aspetti più notevoli della concezione generale di Hobbes è il fatto che è elaborata, insieme
estremamente netta: l’intera realtà e di conseguenza l0intera filosofia va elaborata in tutti i suoi aspetti
alla luce di una fondamentale tesi materialistica. Quindi quando si diceva “ci troviamo di fronte ad una
concezione organica e sistematica” = presentare una trattazione di ciascuno degli ambiti della filosofia, che
sviluppi questa sua posizione di fondo materialistica.

L’espressione più evidente è data dalla trilogia divina “il cittadino” “il corpo” “l’essere umano” la prima e le
ultime due opere di Hobbes: 1642, 1655, 1658

(VANNO SAPUTE LE DATE DELLE OPERE. I nessi tra le date, il fatto che x venga prima di y…)

Hobbes presenta un sistema filosofico che ambisce a spiegare tutti gli aspetti della realtà secondo una
concezione materialistica.

Si comincia una trattazione di filosofia politica sul cittadino; in realtà già a quel punto è operante un
approccio materialistico secondo cui anche le questioni politiche e sociali vanno considerate in maniera
scientifica, alla stregua di questioni di fisica = cogliere i nessi causali delle questioni sociali che si
determinano.

Si arriva così a De Corpore e De Homine: il primo comprende una trattazione della logica e segue una
trattazione della fisica intesa come vera metafisica (non c’è distinzione tra i due per la banale idea che tutto
è corpo).

Il Leviatano è un’opera di filosofia politica, molto ambiziosa, ma che contiene anzitutto una esposizione
delle stesse tesi di logica, fisica, metafisica e antropologia che troviamo nelle altre opere (opere che in
parte sarebbero venute dopo) => carattere organico e sistematico della concezione di Hobbes.

Libertà e Necessità 1646 è la trattazione più estesa e articolata della posizione di Hobbes; anche per la sua
posizione cronologica è un’opera che contribuisce a definire l’insieme di tesi che vengono poi articolate in
maniera più ampia nelle opere successive.

È sempre importante tenere a mente come tale testo filosofico si articola, perché di solito la struttura
esprime gli obiettivi, una certa articolazione dell’argomentazione.
-una teoria filosofica è di solito costruttivamente polemica (contro tesi o avversari che respinge); in qualche
caso la polemica è esplicita.

Rispetto alle Meditazioni, esse non sono esplicitamente un’opera polemica: non si rivolgono conto la tesi di
qualcuno. Sono un’opera struttura secondo un certo processo di ragionamento.

In questo caso non ci troviamo nemmeno di fronte ad un trattato; siamo di fronte ad un terzo tipo di
struttura, dal frontespizio è esplicito che tutto quello che segue è rivolto a contestare l’opinione di tizio.

Non soltanto la polemica qui è esplicita, ma tutta l’esposizione risente dell’intento polemico, o meglio
sviluppa l’intento polemico.

Tutta le considerazioni sviluppate da Hobbes seguono un ordine che dapprima ci pu risultare poco chiaro
—> è un ordine meno immediato delle Meditazioni.

Il frontespizio dell’edizione del 54, “un trattato nel quale tutte le controverse…” il vescovo di London-derry
è J. Bramhall, ricordato perché ha polemizzato con Hobbes su questo argomento.

Questo dipese anche da contingenze esterne: entrambi si trovarono a Parigi nel ’44-’45 e discussero di
libertà e necessità.

In che termini? Nei seguenti: In che misura libertà sia compatibile con il determinismo (naturale) = una
concezione deterministica rappresenti un pericolo e vada quindi respinta anzitutto per questioni morali o
religiose. —> Questa è la posizione di Bramhall che respinge il Determinismo, cioè una concezione secondo
cui ogni evento e dunque anche le azioni umane, è determinato da una causa anteriore in maniera
necessaria.

Questa disputa e in modo particolare la 1° risposta di Hobbes (ci fu una seconda risposta a Bramhall) riveste
un ruolo considerevole in quanto primo scritto in cui il problema per noi centrale, tutt’ora classico (gran
parte delle discussione del XXI secolo su questa questione della libertà fanno riferimento anche al
problema della compatibilità tra liberà e determinismo) è il primo esempio diretto in cui vediamo
considerare anzitutto la questione della libertà-determinismo (naturale).

Descartes si era esposto sul determinismo teologico (pre-ordinazione da parte di Dio), ma non dice nulla
direttamente sul problema del determinismo naturale.

Perché Descartes colloca l’esercizio della libertà nell’azione della volontà, cioè in una delle facoltà di cui
l’essere umano è dotato in quanto essere pensante —> questo lo mette al sicuro dal problema del
determinismo, perché il determinismo come pervasività totale del nessi causali è una caratteristica di quella
che Descartes chiama “sostanza estesa”. In questo senso quindi il dualismo, la tesi dualistica di Descartes
secondo cui la realtà è costituita sia da sostanze estese sia da sostanze pensanti, gli dà un antidoto rispetto
alla questione della compatibilità tra libertà e determinismo naturale.

Se il determinismo vale come caratteristica dei corpi, delle sostanze estese —> allora non mi riguarda se io
discuto come opera la volontà, che è uno dei modi di funzionare della sostanza pensante e quindi
caratterizzata da spontaneità o capacità di autodeterminazione. Le due cose stanno insieme nel senso che
stanno su due piani diversi.

Tutto questo invece diventa un problema se io sostengo che l’intera realtà è fisica, che tutto è corpo - caso
di Hobbes.

Hobbes è anche uno di quelli che scrive obiezioni a Descartes, a cui quest’ultimo risponde: Hobbes è uno
dei primi critici della concezione dualistica di Descartes

(= concezione della realtà secondo la quale la realtà ha due dimensioni distinte o secondo cui nella realtà
convergono due elementi distinti irriducibili come sostanza pensante e sostanza estesa)
Egli sostiene una concezione monistica della realtà (= concezione della realtà secondo cui l’intera realtà è
riconducibile ad un unico tratto ontologico fondamentale, al fondo della realtà c’è una matrice comune):
tutto ci che è, è corporeo.

[Determinismo psicologico = l’esercizio della libertà o della volontà, è condizionato, cioè avvenga secondo
necessità in base alle indicazioni che arrivano da un’altra facoltà della mente, tipicamente l’intelletto.

La volontà consiste nella capacità di determinarsi diversamente da quello che si indica l’intelletto. -
Descartes. —> ci si riferisce al rapporto tra facoltà della mente.

La dimensione della realtà in cui gli eventi sono condizionati l’uno l’altro in catene causali \ liberà che si
colloca ad un livello metafisico diverso, quello delle operazioni spontanee della sostanza pensante

Determinismo naturale = tutti gli eventi della realtà sono condizionati da eventi precedenti. Ciascun evento
che si verifica nella realtà è condizionato secondo necessità da un evento antecedente. Questo è un
problema perché se io considero le azioni come eventi della realtà —> mi chiedo se le azioni siano
condizionate da eventi precedenti. E quindi la libertà che io ritengo di possedere esiste ancora?]

Bramhall sostiene che il determinismo sia una concezione pericolosa; una posizione che mette in primo
piano le implicazioni, le conseguenze inevitabili del determinismo per la morale e la regione. Se vale la tesi
deterministica (naturale) —> l’intero ambito morale e religioso i giudizi sulla qualità delle azioni come
buone o cattive, le valutazioni morali, il giudizio divino, la condanna dei cattivi e il premio dei buoni…), tutto
quel sistema di nozioni nella fossi prassi quotidiana, viene messo in pericolo.

Questo continua ad essere un problema: anche chi discute di questi problemi oggi deve spiegare come si fa
a fare senza la volontà libera: se noi siamo intenzionati a sostenere la libertà libera come affrontiamo l’idea
del determinismo naturale? (esempio se mi fa uno sgambetto è per via di una necessità naturale? Se l’ha
fatto apposta, si costruiscono automaticamente giudizi, opinioni “pre-formate”)

Per Bramhall vi è un pericolo tale da rendere la posizione del determinismo immorale perché ci impedisce
di vivere come dovremmo, quindi considerando la possibilità di considerare azioni giusto o sbagliate, meriti
e quant’altro.

Valore e significato di questo scritto mostrato sia all’interno della posizione di Hobbes, sia nel definirsi di un
problema centrale nella storia della filosofia moderna (libertà vs.

Determinismo).

=> Determinismo e Libertà sono in un qualche senso compatibili - x Hobbes.

Troviamo il primo esempio di una concezione originale che mira a dare una spiegazione di tipo diverso a
tutto quello che noi abbiamo finora pensato sulla libertà, senza rinunciare alla tesi deterministica.

La struttura del testo: mentre in un trattato noi avremmo direttamente delle tesi che vengono spiegate…
nelle Meditazioni c’è un percorso di riflessione che esamina poco per volta una quesitone.

Qui abbiamo una struttura che potrebbe apparire paradossale: Hobbes presenta la propria tesi solo alla
fine.

Quello che viene prima è risposta alle tesi dell’avversario, e più in generale rispondendo Hobbes mette in
discussione i tratti fondamentali di una concezione di libertà che per noi è abbastanza naturale, una
concezione in cui non abbiamo difficoltà a riconoscerci. La caratteristica della posizione di Hobbes è da un
certo punto di vista il fatto di essere una posizione che ci chiede di ripensare il modo in cui intendiamo la
libertà. Si tratta di spiegare in quale senso noi ci possiamo riconoscere liberi, pur essendo elementi di un
universo materiale, completamente deterministico.
Questo ci richiede punto per punto di rivedere alcune nostre intuizioni sulla libertà e concepirle in maniera
diversa.

Concezione revisionistica = richiede una revisione della nostra concezione.

- Tentativo di ripensare libertà e deliberazione

Una prima questione è come intendere che cosa è volontario.

La strategia di Hobbes ha anzitutto l’aspirazione di mostrare in che noi possiamo considerare volontarie le
azioni.

Si tratta di capire dunque che cosa significa volontario.

Una prima distinzione che incontriamo riguarda a quale livello si pu parlare di volere. C’è una prima
formulazione dell’unico senso nel qualche secondo Hobbes possiamo considerarci liberi. Libertà è intanto
intesa come libertà di azione.

La volontà si pu avere e ne segue un’azione.

Parliamo di libertà di agire o di volere? La prima si riferisce alla capacità di fare qualche cosa che si voglia
fare. Libertà di volere = capacità di determinarsi liberamente a volere qualche cosa.

Di solito questi due livelli si confondono: si tratta di compiere l’azione che voglio compiere, ma come sono
arrivato a compierla? Tale è il problema.

1 ° caso di un atteggiamento che torna spesso: Hobbes punta a correggere a qualche livello la nostra
concezione comune che si esprime anche in un certo modo di parlare —> da qui espressioni come “non ha
senso dire che” perché quel modo di esprimersi dipende da assunti che si rivelano insostenibili (tratto
revisionistico di cui si parlava).

Si tratta di definire il termine volontario

—> riguarda l’azione e non la volontà (libertà di azione e non libertà di volere) —> (per Bramhall
volontario e spontaneo è la stessa cosa) ogni azione spontanea la rende volontaria in quanto
avvenuta per intenzione e non costrizione.

Abbiamo azioni spontanee che mancano per dell’elemento della volontà nel senso che non seguono da
una deliberazione.

Azione volontaria, per un’azione che segue da una deliberazione.

—> la deliberazione è propria anche degli animali: che cos’è la deliberazione?

La deliberazione è una qualche forma di riflessione, lo stato in cui un essere incline verso verso il compiere
un’azione o il non compierla, a seconda di quello che al momento ritiene che presenti le conseguenze per
lui migliori.

La deliberazione è questa oscillazione.

Noi dobbiamo concepire la caratteristica delle azioni di essere atti volontari in base al fatto che seguano
non da una volontà libera (non possiamo avere la volontà di volere qualche cosa, possiamo fare qualche
cosa che segua una volontà)

Fare qualcosa volontariamente è fare qualche cosa in seguito ad una deliberazione => in seguito ad un
movimento in cui oscilliamo tra il compiere o il non compiere quell’azione per ottenerne le conseguenze
migliori.
Queste azioni sono libere in quanto seguono da deliberazioni = da uno stato in cui entrambe le possibilità
sono presenti all’agente, vengono entrambe considerate. lez. 9

4\10\21

Quando Hobbes pensa ad una deliberazione pensa ad un processo in cui si alternano passioni diverse
contrastanti: in un momento il soggetto, l’agente è vicino a compiere l’azione, in un altro momento non è
vicino a compierla. È nella fase in cui sta ancora considerando qual è il bene maggiore. È in una fase in cui
oscilla tra passione e paura. Ci troviamo in un punto dei tanti in cui Hobbes propone la propria risposta
ad una delle considerazioni di Bramhall: quest’ultimo pone insieme il complesso di problemi derivanti dal
triplice livello di determinismo, sia naturale \ psicologico \ teologico. La risposta di Hobbes si concentra
su quello teologico, anticipando la tesi sul determinismo naturale.

Formulazione esplicita da parte di Hobbes di una tesi di determinismo naturale = ogni azione è determinata
da un concorso di cause sul quale converge la realtà presente del mondo, tutte le cose per come esistono
attualmente.

Dal momento che ogni cosa è causalmente determinata nel modo in cui è al fatto presente, le azioni
sono eventi come gli altri e pertanto completamente determinate. Se gli diamo una espressione
teologica, parliamo di decreto di Dio = le cose sono ordinate come il creatore ha voluto che fossero. - ci
non incide sulla sostanza della posizione.

Da questo formulazione così netta non segue per Hobbes quello che noi abbiamo chiamato determinismo
teologico: non segue che la prescienza divina elimina la libertà degli esseri umani.

Se il nostro problema è la prescienza (cioè il fatto che Dio sa qualcosa in anticipo, sa che cosa faremo) —>
anche qui, l’idea di determinismo teologico è formulata in modo inappropriato. La prescienza, come forma
di conoscenza, non pu essere causa di alcun che.

Se la prescienza è una forma di conoscenza —> non crea gli oggetti di cui è a conoscenza, ne dipende.

Ergo la prescienza non implica già direttamente che ad esempio noi compiremo certe azioni perché Dio sa
già… no, quello che implica che noi compiamo certe azioni è la realtà delle cose del mondo e il concorso di
cause determinato dallo stato di cose del mondo quando noi compiamo quelle azioni, non da dio.

La conoscenza non viene prima, ma dopo l’esistenza del suo oggetto.

Tesi empiristica = noi possiamo avere conoscenza solo per via diretta, attraverso la percezione sensibile di
qualche cosa che è esistente e non di altro.

Ci manca di capire che tipo di concezione di libertà emerge in Hobbes, in che senso ne godiamo e di
conseguenza quali siano gli argomenti che egli presenta per rendere plausibile la sua posizione rispetto alle
nostre intuizioni ordinarie sull’agire, sulla libertà, il volere… Se noi ci limitassimo a dire che n questi 2
capoversi Hobbes annuncia una netta tesi deterministica (naturale), lì mi troverei con una risposta, ma
insieme con una questione da definire.

Hobbes cerca di spiegare la compatibilità tra determinismo e libertà = COMPATIBILISMO

Presentazione di una breve lista di problemi che renderebbero paradossale secondo

Bramhall (secondo la concezione tradizionale) una posizione come quella deterministica. Ciascuno di questi
punti ha implicito l’assunto “se noi consideriamo che le azioni non siano libere o siano pienamente
condizionate”

“se non si dà la libertà” tutte le considerazioni sarebbero vane

“se non si dà la libertà” lode e biasimo… sarebbero vani


Argomento classico perché il sostenitore di una concezione tradizionale di libertà obietta al sostenitore di
una qualche forma di determinismo (cioè di una concezione per cui anche le azioni, come tutti gli altri
eventi, sono condizionate dallo stato del mondo in quel momento), perché si dice “se le azioni sono
pienamente condizionate” —> allora non ha senso elogiare o biasimare un’azione, perché appunto che
cos’altro è se non il prodotto delle circostanze?

Lode e biasimo sono le nostre reazioni nei confronti da azioni da approvare o riprovevoli, azioni giuste che
non contrastano certe norme, azioni ingiuste che le contrastano, sono sanzionate con premio o punizione.

Vogliamo allora fare a meno di lode o di biasimo? - questa è la considerazione. Per Hobbes, per quanto
riguarda la lode o il biasimo non dipendono dalla necessità dell’azione lodata o biasimata: Che sia
necessaria o meno ad un certo punto nel corso degli eventi, non è rilevante.

Al fondo c’è un parallelo tentativo da parte di Hobbes anche di ridefinire che cos’è giusto o sbagliato.

=> se per lodare o biasimare un’azione, quello che è rilevante per noi è che essa abbia una qualità morale
(cioè che sia buona o cattiva) (io lodo un comportamento che trovo buono, biasimo un comportamento che
trovo cattivo)

Se quello che conta è che un’azione sia buona o cattiva, il fatto che sia necessaria semplicemente non è un
problema: è un’azione buona o cattiva.

Qualsiasi cosa è buona o cattiva perché dà piacere a qualcuno, è vantaggiosa o svantaggiosa: nulla è buono
in senso assoluto, è buono in quanto incontra i desideri e i bisogni di un soggetto.

La posizione di Hobbes del valore morale, è una concezione non realistica, ma volontaristica: buono o
cattivo non hanno una realtà indipendente, ma dipendono dalla conformità di azioni, eventi, al piacere di
un soggetto. Questo vale in generale. L’argomento principale è: se la lode e il biasimo sono le reazioni
appropriate ad azioni buone e cattive, che quelle azioni siano necessarie non è importante, basta che quelle
azioni ci appaiano buone o cattive.

La prima cosa da notare, qualsiasi evento pu essere, stando a questa formulazione, elogiato, biasimato…
perché l’unica cosa che ci manca è che si tratti di eventi che seguono una deliberazione.

Questo passo ci fa sospettare un eccesso in quella direzione.

Un’obiezione tradizionale contro le posizioni che servono a negare una concezione tradizionale della
libertà, un po’ come le obiezioni presentate da Bramhall a cui Hobbes da risposta o come l’obiezione
dell’impossibilità di elogiare e biasimare azioni, è quella che riguarda il pentimento: come sarebbe possibile
dare ragione del sentimento del pentimento e del rimorso se noi non concepissimo le azioni come libere?

Come faccio a pentirmi se devo riconoscere che l’azione per cui mi pento era necessitata da altro? —> che
siano azioni necessarie non cambia nulla: io posso seguendo Hobbes, a provare sincero pentimento, o
sincero sollievo se poi torno sulla retta via, perché non è rilevante che quello è stato necessario, ma è
rilevante solo che io sia dispiaciuto o compiaciuto di un’azione che vi ha poi posto rimedio.

Noi di solito intendiamo lode, biasimo, pentimento, assumendo implicitamente che questi valgano per le
azioni di cui siamo liberi: Hobbes invece propone una reinterpretazione = tutte quelle esperienze valgono,
ne parliamo sensatamente, semplicemente dobbiamo capire meglio perché si danno quelle esperienze.

Hobbes considera alcuni distinzioni concettuali rilevanti nel dibattito, a partire da quella

(di pag. 89) tra libero da costrizione e libero da necessitazione.


Distinzione importante nel senso che, essere costretti = incapaci di fare alcun che, incapaci di agire, di
esercitare la propria capacita causale. Incapaci di agire in una certa circostanza. - condizione episodica e
contingente

Libero da necessitazione = svincolati da legami di determinazione causale, nulla ci determina o contribuisce


a determinarci. - condizione inaggirabile

(dal testo) Non c’è costrizione nel senso che il soggetto non è legato, ma vi è una forza interna, la
tentazione, la passione che ci inclina verso un’opzione che ci sembra per noi migliore, più vantaggiosa.

Forza va inteso letteralmente, è una questione di dinamica nel senso fisico del termine (l’intera realtà è
corporea, fisica —> gli eventi sono il risultato dell’azione di forze).

Deliberazione = processo in cui si oscilla tra compiere o non compiere un’azione in quanto si è sottoposti a
motivi che conducono in un senso o nell’altro nell’attesa che si affermi la forza maggiore tra queste.

Di conseguenza, il soggetto sceglie ci che vuole.

Non è una situazione di indifferenza = se c’è una scelta, o se si arriva ad una azione è perché c’è una forza
più forte che si afferma sulle altre. C’è una opzione che si afferma in maniera determinante e necessaria
rispetto alle altre.

A quel punto la deliberazione si chiude, si interrompe il processo a deliberazione e si sceglie —> il soggetto
a quel punto delibera.

si usa il verbo “Elect” = si risolve per la cosa che vuole.

Non libertà di costrizione, ma necessità, anche dove non ci appaia.

Perché noi di solito intuitivamente ci attribuiamo libertà di scegliere nel senso dell’indifferenza? Perché
semplicemente non notiamo le cause. —> argomento epistemico, è un nostro difetto di conoscenza.

L’azione si dà, avviene alla conclusione della deliberazione —> la deliberazione si conclude quando si
afferma la forza maggiore, la forza più forte rispetto a quelle a cui siamo esposti.

Scegliere significa abbracciare, seguire la necessità a cui siamo sottoposti: scegliere di necessità non
significa non scegliere. Scegliamo secondo necessità.

Deliberiamo secondo necessità.

Dobbiamo eliminare dalla nostra concezione l’idea che scegliere escluda la necessità. - analogia naturale,
espressivo della posizione di Hobbes: che noi arriviamo a deliberare, ad una scelta è altrettanto naturale e
necessario come gli eventi naturali, come il fatto che il fuoco bruci.

La necessità = la completa determinazione di tutti gli eventi (a cui il soggetto è sottoposto) e dunque anche
delle nostre azioni, è il legame dell’intero concorso di cause determinato dallo stato delle cose del mondo
in un certo momento, in relazione alle azioni che ne seguono necessariamente.

Costrizione = impedimento ad agire. Situazione in cui la mia deliberazione non pu agire.

=> La negazione della libertà è la costrizione, condizione per cui un soggetto è impossibilitato ad agire.

=> Necessità non è l’opposto di libertà

Stiamo appunto cercando una soluzione che avvicini questi due termini.

Lez.10
5\10\21

Hobbes cerca di fornire una risposta diversa di alcuni degli elementi per noi costitutivi della nostra
concezione pre-teorica della libertà = quello che noi di solito intuitivamente pensiamo che sia contenuto
nella capacità di agire liberamente.

Formulazione di una tesi di completo determinismo naturale, sullo sfondo di questa idea, Hobbes cerca di
spiegare come liberà sia compatibile con questa tesi deterministica = per cui la necessità sia pervasiva,
pervade la realtà, le nostre azioni.

Come la libertà sia compatibile in un senso significativo => una libertà tale che ci consenta di parlare ancora
di lode e di biasimo = un significato, un’accezione della nozione di libertà che corrisponda o sia in grado di
svolgere la funzione che noi assegnamo alla nozione di libertà, cioè quella di consentirci di definire alcune
azioni come libere, in modo tale da poterle quindi considerare come possibile oggetto di approvazione\
disapprovazione…

La tesi è che in nessun caso necessità esclude che per noi si possa parlare di lode o di biasimo, o che si
possa in generale parlare di azioni libere e volontarie.

Benché necessari, le nostre azioni, comunque mantengono tutte le caratteristiche che ci sono sufficienti per
parlare di essi, come normalmente parliamo delle azioni: come buone o cattive, biasimevoli o meno…

Hobbes cerca di mostrare, cerca di fare una volta di più il gioco o di seguire la strategia che abbiamo visto:
anche se parte da una posizione del tutto tradizionale, è in grado di cogliere l’essenziale degli elementi
concettuali.

L’andamento generale dell’argomentazione di Hobbes punta a distinguere casi in cui noi non possiamo
agire come vogliamo e tutti gli altri casi standard in cui possiamo agire come vogliamo.

La tesi è che quando non vi è costrizione: quando siamo liberi di agire come vogliamo perché nessuna forza
esterna ci impedisce di farlo => allora noi agiamo volontariamente.

In questo caso agiamo per necessità invece che per costrizione.

Che cosa significa che quando agiamo come vogliamo, agiamo per necessità? - questione principale.

[pag. 89 il punto poco convincente è che la costrizione viene legata ad una speciale passione come il
terrore, secondo Hobbes in quel caso esprime un condizionamento che arriva dall’esterno e non ci lascia
iniziare un processo di deliberazione.]

Il motivo più forte è quello che si spinge all’azione - questo è quello che Hobbes è disposto a chiamare
azione libera.

Il caso in cui un essere umano è in grado di agire come vuole, non ha nessun impedimento, sono i casi in cui
si è liberi appunto da costruzione

1. Le azioni nel senso pieno del termine (azioni che noi compiamo quando siamo libere da costrizione)
sono azioni che sono tanto necessarie quanto quelle fatte per costrizione. Se soltanto in alcuni casi noi
siamo costretti, non siamo liberi da costrizione, in realtà noi non siamo comunque liberi da necessitazione.
In che senso nessuna azione è libera da necessitazione? Per la ragione che come abbiamo già visto, ogni
azione in quanto evento è determinata dal complesso concorso di cause dato dagli eventi che lo
precedono.

Soltanto quel punto è dato da una determinazione interna = cioè dal nostro modo di reagire o di subire
l’effetto delle cause, e questo nostro modo di reagire è comunque necessitato.
2. Emergono le passioni, esse non sono altro che modulazioni di una fondamentale forza che anima gli
esseri umani e qualsiasi altro essere e che si specifica nel reagire a oggetti con caratteristiche diverse.
A seconda che gli oggetti con cui entriamo in relazione abbiano caratteristiche per noi vantaggiose e
svantaggiose, gradevoli o sgradevoli, si attivano le nostre passioni = specificazione di quello slancio vitale
che Hobbes chiama Conatus.

Anche le passioni sono intese da Hobbes esattamente come movimenti, come processi meccanici.

Gli esseri umani stessi si muovono grazie al meccanismo delle loro passioni.

Queste passioni articolano lo sforzo vitale fondamentale.

Hobbes mostra che tutto il cospicuo numero di passioni è il modo in cui necessariamente reagiamo alla
presenza, al contatto, con oggetti di certe caratteristiche. La varietà delle passione è la modalità della
nostra interazione con la realtà.

Conatus come forza fondamentale attiva.

A partire da questo Hobbes costituisce una tassonomia delle passioni.

Tra quelli più ovvi e diretti, Amore e Odio: passioni potenti, sono letteralmente la traccia della necessità
dentro di noi. La causa ultima e diretta di ci che facciamo.

Le passioni sono articolazione, espressioni della nostra inevitabile e quindi necessaria forza che esige di
essere sviluppata nella nostra vita.

Passioni che appunto si specificano a seconda dell’oggetto che mi trovo davanti.

È talmente onnicomprensiva la ricostruzione delle dinamiche della vita umana a partire dalle passioni, che
anche i predicati morali buono o cattivo, vanno concepiti a partire da ci che noi desideriamo o respingiamo
(riferimento nel Leviatano).

Concezione volontaristica dei predicati morali = non c’è nulla che sia di per sé buono o cattivo, c’è qualcosa
che ogni singolo essere umano desidera e respinge e di conseguenza poi chiama buono o cattivo.

Buono e cattivo vale in senso puramente individuale.

A partire dalla passioni noi in generale definiamo i nostri punti di riferimento nella realtà.

Il Leviatano è composto da una serie di elenco di Passioni riconosciute come specificazioni del Conatus.

Se io bramo qualche cosa e sono convinto di poterla ottenere = speranza => tutti i moti dell’animo tendono
a tradursi in azione.

Ogni passione in qualche misura esige un’azione come suo effetto.

=> gli elementi essenziali interni agli esseri umani della catena di cause che conduce per necessità alle
nostre azioni.

Per necessità perché: noi esseri umani siamo dotati di certe caratteristiche e che siamo mossi
necessariamente dal nostro bisogno di mantenerci in vita + gli eventi esterni si sviluppano in un certo modo
secondo necessità + gli oggetti con cui entriamo a contatto hanno certe caratteristiche => ci determina la
necessità con la quale si determinano le azioni.

Amore, vendetta, concupiscenza sono alcuni degli esempi possibili di passioni che entrano nella nostra
deliberazione, determinandoci ad agire in un certo modo —> in questo senso non siamo mai libere da
necessitazione.
La tesi di Hobbes presenta è una variante esplicita del determinismo psicologico = il pronunciamento della
volontà è condizionato necessariamente dalle indicazioni di qualche altra facoltà mentale, tipicamente
l’intelletto.

La volontà non segue necessariamente l’ultimo dettame dell’intelletto = non significa che si possa parlare di
azioni volontari esclusivamente a fronte di una lunga ponderazione (cioè soltanto se io mi affanno a
considerare che le conseguenze di un’azione possibile x, sono migliori delle conseguenze di un’azione
possibile y).

= è la scelta di ci che nel momento in cui si conclude la nostra deliberazione noi consideriamo preferibile.

Non vi è alcuno spazio per la deliberazione per risolversi diversamente da quello che l’intelletto propone
(dove intelletto significa le caratteristiche noi in un certo istante di tempo attribuiamo alle opzioni in gioco).

Indipendentemente da una lunga ponderazione, se io semplicemente nell’istante T anche dopo averci


pensato per 3 secondi compio una certa azione, è perché io nell’istante T fattualmente sentivo che fosse
l’opzione a me preferibile.

Questo è l’ultimo step nella catena causale che necessariamente determina le nostre azioni.

Posto che l’esigenza di Hobbes è comprendere in che senso le azioni sono volontarie, questo è essenziale:
se Hobbes non sostenesse questa tesi, sarebbe in difficoltà a sostenere e riconoscere come volontarie
azioni che non seguono da una lunga ponderazione, invece la caratteristica che rende volontarie le azioni
per Hobbes è che seguano ad una deliberazione = vengano dopo un processo interno alla fine del quale,
indipendentemente dalla sua durata, noi raggiungiamo un punto, un’opinione sul fatto che sia bene
compiere quella azione.

Se io inevitabilmente come soggetto agente agisco in base a quello che ritengono preferibile per me,
tramite le passioni => allora è ovvio che la mia ultima opinione prima di agire su che cosa sia preferibile,
necessita la mia azione.

In questo senso dobbiamo sostenere che l’intelletto condizioni la mia volontà.

Con questo abbiamo percorso grossomodo i punti fondamentali della parte più sfuggente del testo di
Hobbes.

Da un certo punto in avanti Hobbes delinea la propria posizione in maniera diretta. A noi fa comodo
tenere presente la scaletta proposta (pag. 115), perché la sua risposta a quelle 7 questioni, o 7 tesi sono gli
elementi che egli ci fornisce per delineare la sua opinione in maniera diretta, non più rispondendo alle
obiezioni sollevate da qualcun altro.

1. Che cos’è la spontaneità

In che senso noi possiamo chiamare spontanee delle azioni: quando ad un essere umano gli viene in mente
di fare o non fare una certa azione, se egli non ha tempo di deliberare, compiere o non compiere, seguono
necessariamente il pensiero delle buone o cattive conseguenze che possono derivargli.

Se io semplicemente devo gire d’istinto, agir in base alle migliori conseguenze che mi appaino in quel
momento.

La questione non cambia se io ho tempo di deliberare.

Volontarie = seguono l’ultimo appetito = l’ultima passione, manifestazione positiva di desiderio o brama
per un certo oggetto.

Se c’è un unico appetito (non c’è una deliberazione perché non c’è un alternarsi di passioni diverse),
quell’appetito è già l’ultimo e vi segue l’azione conseguente. Il senso del valore polemico della tesi è :
se noi vogliamo parlare di spontaneità non è perché noi possiamo individuare una capacità di auto-
determinazione che si esprima nelle nostre azioni.

2. Che cos’è la deliberazione

Si mette in termini di maggior bene o minor male —> abbiamo visto che bene e male sono intesi come
oggetti che meglio soddisfano il nostro desiderio o più direttamente lo contrastano.

In questa ricostruzione, rifletter se compiere o meno un’azione = riflettere sulle sue conseguenze.

Se un’azione è un evento, quindi si inserisce nel corso degli eventi della realtà, che effetti avrà? -
conseguenze.

Non è una sorta di calcolo neutro, ma appunto è un alternarsi di disposizioni in un senso o nell’altro, di
inclinazioni in un senso o nell’altro, è un alternarsi di speranza o paura: non è mai una fredda
considerazione del meglio o del peggio, perché secondo Hobbes non ha senso.

Si alternano passioni —> l’alternanza delle passioni si ferma quando una prevale = nel senso che qualche
cosa, il suo oggetto viene riconosciuto come preferibile.

A questo punto noi dovremmo avere tutti gli elementi per capire che cosa si intende per deliberazione =
processo essenziale che fa sì che un’azione valga come azione, che un’azione sia in questo senso volontaria,
perché è l’evento prodotto da me come causa, ma in seguito ad una deliberazione.

3. A questo punto siamo in grado di dire anche che cosa si intende per volontà.

La volontà come tale non esiste, come facoltà o capacità separata.

Quello che noi chiamiamo volontà, non è altro che la conclusione della deliberazione o l’ultimo appetito =
nel susseguirsi più o meno lungo di passioni, nell’alternarsi di appetiti in un senso o nell’altro che si
avvicendano nell’oscillare che è la deliberazione; la volontà è il termine di questo processo.

Per questo Hobbes dice anche, questa è quella che chiamiamo l’ultima volontà = quello a cui la
deliberazione mi ha portato lì, ma non c’è nulla dietro la deliberazione, intesa come alternarsi di movimenti
non perfettamente compiuti, in un senso o nell’altro, nel senso che solo l’ultimo causa l’azione. Questo
ultimo è la volontà.

Certo che c’è una Libertà di agire e di volere = siamo in grado di compiere l’azione a cui la nostra
liberazione ci ha condotto.

Dire che posso volere se voglio non ha senso = quello spazio non c’è in questa ricostruzione. È come se
pensassimo ad una deliberazione che non conduce all’azione, ma questo in Hobbes è un non senso.

4. Che cos’è un agente libero

Le azioni sono compiute secondo una scelta

Un agente volontario è un agente libero che non ha ancora posto fine alla deliberazione = se la
deliberazione non è conclusa, si pu dare ancora un momento in cui egli si determini per una opzione
diversa.

Deliberazione si chiama così perché toglie la libertà = mi conduce a compiere l’azione X e quindi non ho più
possibilità di non compierla, o di compiere l’azione Y. L’agente libero è l’agente che non ha posto fine alla
deliberazione.

È un modo di intendere la caratteristica di un agente libero, che si aiuta a mostrare che quell’agente ancora
non ha compiuto un’azione = è libero in questo senso.
In realtà sappiamo che la nozione tradizionale di agente libero come di un agente che possa anche non
compiere un’azione per cui si danno tutte le condizioni necessarie sufficienti, quella nozione non ha alcun
senso: essendo noi agenti, parte della completa realtà del mondo per cui ad ogni istante di tempo, grazie al
corso degli eventi che determina il nesso causale che produrrà gli eventi immediatamente successivi, si
creano immediatamente le condizioni necessarie successive perché si verifichi un certo evento e noi non
possiamo mai sottrarcene, siamo elemento di questa catena causale, di questa concatenazione della
completa determinazione della realtà.

La priorità teorica non è di definire libero un agente, ma di riconoscere le azioni come volontario = per noi
essenziale per continuare a parlare di lode, di biasimo…

Che l’agente sia metafisicamente libero non è intanto l’obiettivo primario e soprattutto è

già stato escluso quando abbiamo riconosciuto che nessuno è mai libero da necessitazione. In questo senso
l’unico elemento di libertà avviene quando la deliberazione non è ancora conclusa; non è ancora arrivato
ad agire in un certo modo. Se noi intendiamo come libero l’agente che non è condizionato di fronte a
l’opzione se compiere l’azione o non compierla, questa è una nozione senza senso, secondo Hobbes,
perché non si danno mai quelle condizioni.

Nel senso che quando noi arriviamo a compiere un’azione è perché si danno le condizioni necessarie e
sufficienti perché si compia quell’azione.

5. Che cos’è la libertà

La libertà è l’assenza di impedimenti ad agire.

Definizione che non lascia spazio a profondità metafisiche, a nient’altro che non sia movimento di corpi.

Io ho certe caratteristiche e non posso fare determinate cose, esempio non posso volare, quello è un
impedimento.

Posso incontrare impedimenti che non sono dati dalle mie caratteristiche, sono le circostanze in cui mi
trovo.

Dove le circostanze non mi impediscono di agire io sono libero in quel senso. Quello che poi io posso fare è
determinato dalla mia deliberazione <— determinata dall’affermarsi della passione più forte <—
determinata dall’incontro con oggetti con certe caratteristiche a me favorevoli o sfavorevoli.

Se qualche cosa significa libertà, una condizione, una caratteristica di circostanze in cui un agente possa
produrre materialmente gli effetti a cui conduce la sua deliberazione. <=> analogia con eventi naturali,
appunto perché la stessa necessità con cui si producono le nostre azioni è la stessa con cui si producono
eventi naturali.

Libertà, più come proprietà delle circostanze che del soggetto (anche perché non ha senso di parlare di
agente libero). Alo stesso modo l’acqua non è libera, ma in determinate circostanze si pu muovere
liberamente.

Colui che è legato mani e piedi non pu produrre l’effetto di muovere i piedi, perché l’impedimento non è in
lui, ma sono le circostanze che non gli permettono di muoversi.

Quando generale in cui vediamo che al centro del ripensamento di cosa significhi libertà sta un processo
naturale, la deliberazione, in cui la libertà non è una caratteristica dei soggetti + in cui la volontà come
facoltà non esiste => abbiamo in maniera più dettagliata il comporsi di una concezione deterministica
meccanicistica che si propone come alternativa totale alla concezione tradizionale: si pu parlare ancora di
libertà in questi termini.
Tutto ci che è caratteristico di come siamo fatti, non rappresenta un ostacolo alla libertà, ma è
semplicemente un elemento della natura, le caratteristiche della nostra capacità di essere causa in qualche
forma.

lez. 11 7\10\21

6. Azione libera pu essere pensata come un nuovo inizio?

Perché è un elemento tradizionale della concezione standard di libertà il fatto che un’azione libera non sia
anello di una catena già determinata, ma una svolta agli eventi in qualche forma. Hobbes non potrà
sostenere questo.

Un’azione è un evento come gli altri e ciascun evento non è spontaneo nel senso che non si verifica per una
sorta di determinazione diretta e immediata, ma perché c’è un evento precedente che l’ha determinato.

Si riprende e si precisa alla luce di quanto detto, la prima distinzione incontrata in questo scritto: la libertà
di agire c’è, la libertà di volere invece è semplicemente un non senso

(non si vuole qualcosa perché si vuole)

La deliberazione che ha come esito la volontà è un processo necessario in cui si afferma la forza maggiore,
che più energicamente ci determina in una direzione.

L’idea di un’azione spontanea come nuovo inizio non è condivisibile.

7. Causa libera come causa necessaria

Secondo Hobbes non è possibile che sia diano le condizioni necessarie perché si produca un evento e
quell’evento non si produca.

La definizione classica di causa è questa: causa è qualche cosa posto il quale ne segue qualcosa d’altro
come suo effetto. - definizione classica.

Non c’è quindi una differenza tra cause sufficienti e cause necessarie.

Noi potremmo dire che un agente si trova in una condizione in cui ci sono gli elementi sufficienti per
determinare un evento, ma comunque non è necessitato ad agire determinando quell’evento - questo per
Hobbes non ha senso, perché se si danno delle cause sufficienti, quelle sono anche necessarie.

Quindi la causa libera come causa sufficiente è una causa necessaria.

Tentativo di rendere comprensibile l’esperienza che gli esseri umani fanno correntemente: se noi siamo
disposti a riflettere senza pregiudizi, abbandonando i pregiudizi e consideriamo punto per punto questi
diversi aspetti della questione, dovremmo riconoscere che la soluzione che ci propone corrisponde a quello
che riscontriamo. (come se Hobbes dicesse: sono ben consapevole di richiedere uno sforzo di adattamento
alle tesi che vi propongo, anche se contro-intuitive, eppure ritengo che siano corrispondenti alla esperienza
di ciascuno, possano trovare conferma nella riflessione autonoma di ciascuno).

Questo peculiare scritto è il 1° prodotto di un dibattito abbastanza specifico, limitato alla questione della
libertà della necessità.

È uno scritto che svolge la funzione di una sorta di preparazione, di un elemento importante della
costruzione teorica, della posizione filosofica delle opere principali di Hobbes.

Tutto il discorso seguito, il ragionamento che Hobbes sviluppa, lo ritroviamo depositato in una forma più
contratta e più compatta nelle opere come il Leviatano e il De corpore. Le enunciazioni più secche delle
opere principali acquisiscono complessità in questa opera da noi analizzata —> esposizione più dettagliata,
senza la quale ci perderemmo il fatto che Hobbes si concentra a sviluppar euna alternativa drastica ad una
concezione tradizionale che cerca di smontare pezzo per pezzo.

I passi delle opere mature, ci servono per conferma, per completamento di quanto letto fino ad ora.

> Leviatano: tutto questo alternarsi è quello che chiamiamo deliberazione.

> Deliberazione è la privazione della libertà in quanto la libertà dell’agente consiste nella situazione in cui
egli non è ancora arrivato a compiere l’azione.

> Per Hobbes una delle conseguenze considerevoli della sua concezione è che tutto questo discorso, come
la teoria della deliberazione, l’alternarsi degli appetiti, si applica allo stesso modo agli esseri umani e agli
altri animali; contestando non solo un’idea intuitiva per noi, ma anche una precisa posizione teorica (in
Descartes per esempio nella lettere a Melain, “gli animali privi di ragione non dispongo della capacità di
autodeterminarsi” - è una caratteristica della loro natura)

Se io seguo Hobbes ed escludo che si dia una concezione positiva di autodeterminazione elimino quella
differenza tra essere razionali e non razionali.

Tutti sono necessitati allo stesso modo: attraverso un processo di alternanza di passioni e di appetiti. Se gli
animali deliberano hanno anche una volontà.

> Tesi che in qualche forma richiede una generale concezione meccanicistica nella quale la realtà è
materiale, ridotta a corpi che si muovono e in cui appunto quindi valga una forma di universale
meccanicismo.

- De corpore, opera di fisica e di metafisica

Deliberazione come processo naturale = fisico, che si svolge in tutti gli esseri animati, ovvero negli esseri
dotati della capacità di muoversi.

Piacerà o nuocerà = che sia vantaggiosa o meno

Qualsiasi essere in grado di provare desiderio, beh quello che è un soggetto di deliberazione:
che agisce e compie azioni. Questo conclude la nostra parte su Hobbes.

Punti presentati all’interno del medesimo ambito filosofico in cui si muoveva anche

Descartes, ma qui troviamo un modello teorico diverso.

Modello teorico che continua ad essere presente nel dibattito su che cosa sia la libertà del volere o
dell’arbitrio: COMPATIBILISMO = una qualsiasi tesi che voglia sostenere che determinismo e libertà siano
compatibili.

Tesi che né sono disposte a negare che valga il principio deterministico (tesi per cui gli eventi nella realtà
sono causalmente determinati l’uno dall’altro), ma non sono nemmeno disposte a rinunciare alla tesi per
cui in un qualche senso gli agenti sono liberi. Descartes dava una riposta che consentisse di risolvere tutti e
3 i problemi: che il determinismo non impediva una libertà indeterministica

Il determinismo teologico non è un problema

Il determinismo psicologico meno che mai perché la volontà è dipendente da quello che

indica l’intelletto.

In Hobbes: non si pone la questione di sottrarsi al determinismo naturale, ma si occupa di capire come la
libertà ne sia parte, sia un elemento interno al determinismo naturale. SPINOZA, la struttura dell’Etica
l’Etica fu pubblicata postuma nel 1677 (ci indica che questa è una delle tante opere che si inseriscono in un
ambito di dibattito aperto, guidato anzitutto dalle tesi di Descartes e da altri problemi, nello stesso dibattito
in cui era avvenuto anche Hobbes) strutturata in 5 parti che hanno questi titoli:

L’opera intende parlare di tutto, coprire tutti gli ambiti tradizionali della filosofia.

1- trattato di metafisica
2- di teoria della conoscenza
3- Di psicologia
4 e 5- trattato di morale

=> opera ambiziosa, in cui si parla dell’intera realtà, di come è fatta e di che cosa questo significhi per il
ruolo che noi ricopriamo in essa. Vuole dare un’immagine veritiera dell’intera realtà.

Opera profondamente diversa rispetto a quella di Hobbes e di Descartes, benché Spinoza non fosse
semplicemente un avversario di Descartes, è contemporaneamente uno dei punti principali di avvio per
Spinoza stesso.

Queste 5 parti ci presentano un trattato articolato e ambizioso, sono parti tra loro strettamente collegate in
un percorso unitario che ha anche un preciso ordine.

Non è pensabile per Spinoza, per la struttura dell’Etica, leggere la 4° parte e poi vedere se ritornare all 2°…
l’argomentazione, la teoria è unica.

Una teoria che ha il preciso scopo di conduci alla piena conoscenza = beatitudine.

Perché un’opera così sistematica si chiama niente meno che Etica?

Perché l’obiettivo anzitutto non è meramente teorico, è l’acquisizione degli strumenti concettuali che ci
servono per partecipare alla beatitudine, alla riuscita della nostra vita di esseri relazionali.

Il contrasto con le Meditazioni: quello che troviamo è l’opposto di esercizi spirituali da compiere
personalmente, un itinerario personale di scoperta; qua troviamo un’opera senza mediazioni, che ci
presenta i suoi contenuti in maniera oggettiva.

Quello che troviamo è una trattazione dimostrativa condotta con metodo geometrico: noi troviamo una
trattazione non continua, ma continua; non per articolata come noi diamo abituati.

Si sviluppa per assiomi e definizioni in base a cui vengono dimostrati proposizioni o teoremi da cui seguono
Scoli o corollari.

Trattazione che non ha alcuna dimensione retorica, ma presenta in maniera più diretta quella che Spinoza
ritiene essere la struttura oggettiva di ci che è vero.

Io apro l’opera e trovo parte I, Dio —> 8 definizioni —> 7 assiomi.

11\09\21 lez.
12

Proposizioni: una delle caratteristiche più originali, anche più evidenti, è la struttura argomentata che segue
quello che allora si chiamava “Ordine geometrico” inteso in un senso specifico: un metodo secondo il quale
la trattazione viene struttura grossomodo com’era negli elementi di Euclide, nell’archetipo fondamentale
della geometria classica, e che quindi struttura l’argomentazione in un ordine preciso in cui si individuano e
si susseguono definizioni - assiomi - proposizioni (teoremi) - corollari o scoli che ne fanno emergere
conseguenze importanti.
Per Spinoza questa non è una scelta meramente espositiva: se io autore decido di presentare la mia teoria
in modo organico (tutte e 5 le parti insieme) insisto già sul fatto che la loro connessione è cruciale, a partire
da un punto di vista teorico e non solo in termini di esposizione.

Secondariamente, se io autore decido di articolare la mia esposizione secondo il metodo geometrico è


perché quella è la modalità argomentativi che meglio rispecchia la struttura logica della realtà.

Le posizioni teoriche si capiscono bene per contrasto: tipicamente tali teorie non saranno corrispondenti e
sul loro contrasto capir meglio dell’una o dell’altra tesi.

Non c’è un contrasto più istruttivo che quello tra le Meditazioni di Descartes, che chiede al lettore di
partecipare al discorso \ Spinoza, la cui opera presenta quella che ritiene essere la verità sulla realtà intera,
strutturata nel metodo più opportuno, quello geometrico: paradigma di logicità, nitore, pulizia ed evidenza.

Una delle tesi principali la troviamo nella 1° parte che contiene la Metafisica di Spinoza: la posizione di
Spinoza sulle caratteristiche e l’articolazione profonda della realtà.

Una parte curiosamente intitolata “Dio”

Certamente questa è una parte fondamentale perché rappresenta per Spinoza la premessa, l’inizio
indispensabile a qualsiasi altro discorso vogliamo articolare.

Devo comprendere co’è la realtà nel suo complesso per studiare gli elementi rilevanti e in che cosa consiste
la vita buona.

La 1° parte è quella più originale e anche la più contestata: sono queste tesi che portarono ad una
condanna geniale delle tesi di Spinoza come pericolosa e atea. Il determinismo di Hobbes era un
problema con implicazioni morale e religiose; un atteggiamento analogo è quello nei conforti di
Spinoza e della prima parte sopratutto. Il titolo “De Deo” ci potrebbe rimandare all’idea che la
metafisica diventi una teologia tradizionale —> cioè che conta della realtà è Dio, inteso in un senso
cristiano. In realtà avviene l’opposto (e per questo venne condannato a Spinoza, sia da parte cristiana,
ma anche da parte ebraica).

Una teoria metafisica che si presenta sotto tale titolo, viene recepita come un modello di ateismo.

=> queste tesi vengono recepite in questo modo perché non compatibili con una concezione tradizionale di
dio e del suo rapporto con la realtà.

Che cosa urta? Dio viene identificato con la natura.

Ogni realtà deriva necessariamente da Dio e si comporta in maniera necessaria

Viene negata qualsiasi forma di provvidenza

Viene negato che dio abbia una natura personale

3\4 tesi che esprimono la grande distanza di Spinoza dalla concezione tradizionale di Dio.

Fa di questa concezione il centro della spiegazione della realtà.

Questione della libertà come questione centrale, già dal fatto che emerge nella 7° delle otto definizioni che
aprono la prima parte dell’Etica.

Il loro significato e potenziale teorico (delle definizioni) emerge poco per volta: è difficile capirne in modo
immediato le implicazioni.

Se qualche cosa è libero è tale per la sola necessità della sua essenza.
Quello che ora ci interessa è l’assioma 3° => (cogliere i nessi tra le verità) è il modo di Spinoza di enunciare
la sua tesi deterministica, enunciare che data una causa segue un effetto, secondo necessità.

CONCEZIONE LOGICA DELLA CAUSALITÀ = l’effetto è conseguenza in senso logico, implicazione diretta della
causa. Per questo data una causa non pu non seguirne l’effetto appropriato.

Spinoza per sottolineare la forza di questa tesi usa tale esempio: se da un evento non seguissero
necessariamente le sue conseguenze, avremmo una contraddizione, non diversa da quella che dato un
triangolo non seguissero le proprietà del triangolo. Non c’è nessuna distinzione tra la necessità naturale
(avviene che un effetto segue una certa causa) e la necessità logica (da certe premesse, seguono certe
conclusioni). Il nesso causale è particolarmente stringente: è tanto saldo, accompagnato dalla
medesima inevitabilità da quella che caratterizza l’implicazione tra triangolo e le caratteristiche del
triangolo.

Già emergeva qualcosa del genere dalla 1° definizione dell’Etica, che menzionava già il termine di causa, in
un senso paradossale: si parlava di causa di sé, Causa Sui.

Che cosa qualche cosa che è causa di sé? È ci la cui essenza implichi l’esistenza, ossia non possa essere
concepito che come esistente.

Da quella causa segue, con necessità logica, l’esistenza di ci che essa causa, che è esso stesso.

Duplice valore: iniziare ad introdurre una certa concezione di causalità che diventa essenziale per
lo svilupparsi della metafisica della 1° parte + iniziare a caratterizzare Dio.

Spinoza definisce alcuni dei termini fondamentali di cui si serve, inizia così a dipanare la rete concettuale
che gli serve a spiegare la struttura della realtà.

Definizione di SOSTANZA = ci che è metafisicamente indipendente, ed è questa una definizione che


riprende la concezione tradizionale, strada maestra aperta da Aristotele.

Ci che è sostanza ha una sussistenza propria indipendente e non dipende da altro.

Queste tre definizioni compongono il modo in cui si articola la realtà per Spinoza. Da questa definizione di
sostanza Spinoza arriva a sostenere tesi più serie: se la sostanza è ci che esiste indipendentemente —>
allora è una e una soltanto.

Questa oltre ad essere una tesi impegnativa, rappresenta un modello evidente di quello che noi
chiameremo oggi MONISMO = concezione metafisica che riconduce l’intera realtà ad un’unica sostanza, ad
un unico fondamento.

[distanza da Descartes: la sua concezione metafisica prevedeva sostanze pensanti e sostanze estese. ]

Se noi intendiamo per sostanza ci che ha una sua esistenza di per sè, ne segue che possa esistere una sola
sostanza e che quella sostanza sia infinita.

Se noi ammettessimo una pluralità di sostanze —> dovremmo pensare ad un qualche rapporto di
condizionamento tra di loro —> quindi a qualche rapporto di condizionamento che eliminerebbe la
caratteristica definitoria di una sostanza, di essere metafisicamente indipendente.

Quindi per Spinoza è cruciale ritenere che, ogni sostanza è necessariamente infinita.

La sostanza è causa di sé, indivisibile, infinita, con infinite proprietà (in nome della sua strutturale infinità)

Dio, sostanza di infiniti attribuiti, esiste necessariamente.

Oltre a Dio non c’è altra sostanza, perché necessariamente infinito.


Tutto ci che esiste allora è in Dio e senza Dio non si pu concepire alcun che. => Se la sostanza è ci
che esiste indipendentemente, ma ci ci porta a ritenere che esista un’unica sostanza infinita,
quell’unica sostanza infinita è l’intera realtà.

Tutte le caratteristiche che conosciamo nella realtà sono proprietà di quell’unica sostanza, questo è quello
che Spinoza intende.

ATTRIBUTO = le proprietà, le caratteristiche, ci che pu essere conosciuto di una sostanza.

Gli attributi sono infiniti (secondo la proposizione 11), ma in realtà la nostra mente finita ne conosce solo 2:
pensiero ed estensione.

Mentale e corporeo non sono divise, sono elementi di un’unica sostanza, ci che noi possiamo
conoscere della realtà, anche se quest’ultima ha infiniti attributi [mente e corpo per Descartes sono
divisi]

MODO = le modificazioni.

Gli enti che noi conosciamo con le nostre capacità conoscitive, con cui abbiamo a che fare con la realtà, non
hanno realtà indipendenti, ma sono modificazioni di quell’unica sostanza.

Queste tre definizioni compongono il modo in cui si articola la realtà per Spinoza. Questo è soltanto l’inizio
della 1 parte dell’Etica che già basta a stupirci: se noi sosteniamo che pensiero ed estensione sono tra gli
infiniti attribuiti di Dio —> Dio ha per caratteristica il pensiero

—> Dio è esteso, ha anche la corporeità (tesi impegnativa)

=> generale concezione metafisica in cui si parla di Dio, ma l’unica caratterizzazione di questa sostanza, cioè
di dio non è usuale: non si parla di dio come un creatore, ma di dio come l’unica sostanza che si identifica
con l’intera realtà o come dice Spinoza, con la natura.

Prima applicazione logica di quella concezione di causalità: dalla semplice essenza di Dio, in quanto
essenza infinita —> logicamente non possono che conseguire infinite conseguenze, in una infinita
molteplicità di maniere. I corollari che ne seguono:

l’unica sostanza è anche ci che è causa di sé —> Dio è causa prima.

Si delinea una particolare concezione deterministica in cui l’intera realtà che corrisponde a Dio, è
strutturata secondo necessità: come operazione necessaria della causa prima. Iniziamo a vedere che
l’intero universo è causalmente determinato in base alla necessità che segue dall’essenza di Dio, come
unica sostanza.

Non c’è altro che pu costringere Dio => Dio è libero

Di fatti abbiamo la dimostrazione della proposizione: (nella 16 prop.) dalla necessità dell’esistenza di Dio
conseguono logicamente come effetti, infinite cose + (nella 15 prop.) ogni cosa è in dio, in quanto Dio è
unica sostanza => non c’è nulla al di fuori di lui da cui sia determinato o costretto.

Non c’è un’altra causa che lo induca ad agire => Dio è libero. È una causa libera che opera secondo
necessità, secondo la necessità della propria essenza.

Prop. 17 - solo Dio è causa libera => nient’altro pu essere libero, nient’altro esiste indipendentemente.

La libertà di cui Dio gode, è una libertà che consiste nell’opera secondo la necessità della propria natura.
=> concezione di libertà di un particolare tipo di determinista che non è affatto disposto a sostenere che la
libertà non esiste: essa esiste, è una qualità metafisica ben precisa che per è caratterizzata o consiste in
una modalità causale, che è quella di causale secondo la propria natura.

La proporzione viene giustificata in quanto segue dalle precedenti + presenza di corollari a supporto di
quanto enunciato.

Questo ci fa vedere un aspetto essenziale = non ci interessa solo la libertà di Dio, ma quella della volontà
umana. Qua non siamo ancora arrivati a parlarne.

Capiamo già che su queste premesse, sviluppate dopo, non ci possiamo aspettare una tesi del libero
arbitrio perché sappiamo già che anche l’operare umano, le facoltà umane, vanno inserite in questa
concezione metafisica generale => Gli Esseri umani sono MODI.

Scolio, considerazione più a margine, più estesa in cui Spinoza in punti delicati si dilunga a spiegare la tesi
appena raggiunta.

Lo scolio 17 è importante: si arriva a toccare un nervo delicato della teologia tradizionale. Dio è
tradizionalmente da intendersi come un creatore personale onnisciente che crea liberamente secondo un
proprio progetto, che formula senza la più piena libertà, arriva a creare qualcosa di diverso da sé —> (Per
Spinoza) Dio genera degli effetti che sono semplicemente necessari, in quanto seguono dall’essenza divina.

Altri attribuiscono a Dio la libertà, ma la intendono in tutta un’altra maniera: come la capacità di Dio
eventualmente anche di produrre qualcosa di diverso da quello che ha prodotto.

Ci lo si spiega partendo da verità matematiche: dato un triangolo ne segue che la somma dei suoi angoli
interni è 180° => Dio non è in grado di modificare quella verità fondamentale, impedire che siano vere le
verità matematiche.

==> da un lato Dio opera liberamente + Dio opera liberamente in una maniera diversa da come viene
intesa: non opera liberamente nel senso che produce altri effetti, ma opera liberamente perché non è
costretto da alcun che.

Spinoza insiste poi sull’esigenza di riconoscere a Dio come principale caratteristica la potenza assoluta
incondizionata.

Da un lato la concezione che Spinoza rifiuta è quella che sostiene che la potenza di Dio è limitata se fosse
per l’appunto ristretta ad un’unica possibilità: quella di creare infiniti effetti secondo necessità \ Spinoza
sostiene che la piena potenza di Dio (capacità generatrice di avere infiniti effetti) è sì limitata se
attribuiamo a Dio una sorta di libero arbitrio: la capacità di non generare qualche cosa. Nella prop. 11 e 14
Dio come sostanza ha infiniti effetti.

Se noi gli attribuissimo la facoltà di scegliere genero x o y, non sarebbero infiniti, ma finiti, poiché ne
escluderebbe qualcuno: quelli che non sceglie.

Per Spinoza è essenziale che concepiamo Dio e la realtà come unica sostanza che opera in termini
deterministici, escludendo qualsiasi finalismo.

Escludendo che l’ordine della realtà abbia una struttura finalistica, sia orientata da qualche parte.

Fine = obiettivo possibile individuato da una volontà che ha orientato gli eventi verso la realizzazione di
quell’obiettivo.

Metafisica deterministica \ monistica \ anti-finalistica.


Per Spinoza non vi è alcun orientamento nell’attività di Dio <— perché non vi sono alternative: Dio opera
secondo la necessità della propria essenza.

In questo senso è l’unica causa libera.

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