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Per Hobbes anche l'anima umana è materiale, dato che i suoi atti (sensazioni, idee, sentimenti,

etc.) sono movimenti, prodotti dai corpi esterni, quindi in definitiva si può dire che il corpo è
l'unica realtà, cioè l'unica sostanza che esiste realmente in se stessa e che il movimento è l'unico
principio di spiegazione di tutti i fenomeni naturali, giacchè ad esso si riducono i concetti di
causa, di forza e di azione.

Ora possono esistere due tipi di corpo, quelli naturali di cui si occupa la filosofia naturale, quelli
artificiali, cioè le società umane, di cui si occupa la filosofia civile; la filosofia civile è a sua volta
divisa in due parti, l'etica che tratta delle emozioni, dei bisogni e dei costumi dell'uomo, la politica
che tratta dei doveri civili.
Esiste, inoltre, una cosiddetta filosofia prima, che ha lo scopo di chiarire gli attributi fondamentali
di tutti i corpi (come lo spazio, il tempo, etc.).

Morale e politica

In Hobbes se le valutazioni teoriche sono puramente convenzionali, le valutazioni morali sono


puramente soggettive, cioè relative all'individuo singolo e alle situazioni in cui l'individuo viene a
trovarsi e quindi non esiste nessuna norma che valga a distinguere assolutamente il bene dal
male.
In generale, si chiama bene ciò che si desidera e male ciò che si odia e poiché il raggiungimento di
ciò che si desidera procura piacere, il piacere rafforza e aumenta il movimento della vita.

Quando nella mente dell'uomo si alternano desideri diversi e opposti e si presentano le conseguenze
buone e cattive di un'azione possibile, si è in uno stato chiamato di deliberazione; questo stato
termina con l'atto della volontà, che decide di agire o di non agire.
La volontà quindi conclude in modo temporaneo i dubbi e le oscillazioni dell'uomo, che comunque
sono destinate a tornare, quindi per l'uomo non si può parlare mai di un sommo bene o di un fine
ultimo.

Nella vita umana così intesa non c'è posto per la libertà, infatti per Hobbes la definizione di libertà
si riduce alla definizione di libertà di azione, ovvero in una condizione in cui la volontà non è
impedita nelle sue manifestazioni esteriori, ma nega la libertà del volere, cioè la volontà non è
causata dalla volontà stessa ma da qualcosa di diverso che non dipende da essa. Quindi si può
dire che la volontà è causata necessariamente da altre cose e che anche le azioni umane sono
necessitate.

Hobbes ha voluto voluto costruire la sua teoria politica in modo analogo alla geometria, ossia
fondata su pochi principi dai quali l'intera costruzione viene necessariamente dedotta (geometrismo
politico). La sua teoria politica si basa su due presupposti di tradizione giusnaturalistica: in primo
luogo la convinzione che la politica possa essere trattata come una scienza; in secondo luogo la
tendenza a trascurare la storia nello studio della politica.

Hobbes discende tutta la sua scienza politica da due “postulati certissimi intorno alla natura
umana”, cioè la bramosia naturale per la quale ognuno pretende di godere da solo dei beni
comuni e la ragione naturale per la quale ognuno rifugge dalla morte violenta come dal peggiore
dei mali naturali. Inoltre con il primo postulato Hobbes nega che l'uomo sia per natura un “animale
politico” o meglio nega il fatto che gli uomini sono portati per natura alla benevolenza e alla
concordia e quindi ogni associazione spontanea nasce o dal bisogno reciproco o dal timore
reciproco.
Le cause di questo timore reciproco sono principalmente due: in primo luogo l'uguaglianza
naturale tra tutti gli uomini, intesa come comune vulnerabilità, cioè chiunque può dare la morte a
un altro uomo; in secondo luogo la volontà naturale di godere dei beni messi a disposizione dalla
natura che unita all'insufficienza di tali beni porta gli uomini a danneggiarsi a vicenda.
É questa situazione che porta Hobbes a dire che lo stato di natura sia un incessante stato di guerra
di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes).
Da queste premesse consegue che nello stato naturale nulla possa essere detto giusto o ingiusto,
perchè le nozioni di giustizia nascono solo dove c'è legge, cioè dove c'è un potere comune, ma nello
stato di natura tale situazione non esiste, quindi vige il diritto di tutti su tutto, compresa la vita
degli altri (ius omnium in omnia) e, pertanto ogni uomo risulta necessariamente un “lupo” per ogni
altro uomo (homo homini lupus).

La condizione di guerra universale che caratterizza la vita degli uomini nello stato di natura non può
stabilizzarsi in modo totale, perchè porterebbe all'annientamento del genere umano, però si possono
vedere, dice Hobbes, esempi parziali in alcune società primitive. Ciò che comunque, non porta alla
totale distruzione è la ragione umana. Infatti essa riesce a indicare una via d'uscita a questa
situazione di guerra totale, proibendo a ciascun individuo di fare ciò che provoca la distruzione
della vita e di omettere ciò che serve a conservarla meglio. Questo principio è il fondamento della
legge naturale dell'uomo.

Visto che le norme della legge naturale derivano dalla ragione, secondo il filosofo inglese, esse
impongono una “disciplina” che impone all'uomo di sottrarsi alla situazione istintuale che lo
porterebbe alla sua autodistruzione. La prima di queste regole per l'autoconservazione è quella che
bisogna cercare la pace (pax est quaerenda), cioè che bisogna cercare la pace finche è c'è una
minima speranza per ottenerla; la seconda norma della legge naturale è che bisogna rinunciare al
diritto su tutto (ius in omnia est retinendum), quindi l'uomo deve rinunciare al sui diritto illimitato
che ha nello stato di natura; la terza di queste norme è che bisogna stare ai patti (pacta servanda
sunt), perchè solo mediante un patto rispettato da tutti l'uomo può rinunciare al suo diritto su tutto.

Queste norme, benchè dettate dalla ragione naturale presente in ogni uomo, non sono comandi
assoluti, perchè nello stato di natura non c'è alcuna garanzia che esse vengano effettivamente
rispettate da tutti; quindi l'unica via che può garantire il rispetto di queste norme è l'istituzione dello
Stato, con il passaggio dallo stato di natura allo stato civile. La nascita dello Stato avviene, per la
precisione, mediante la stipulazione di un contratto con il quale gli uomini rinunciano al loro
diritto illimitato per trasferirlo a un solo individuo (inteso sia come persona che come
assemblea).

Chi rappresenta lo Stato è il sovrano o ,come dice Hobbes, il Leviatano (che può essere come detto
sopra sia un individuo che un'assemblea), il quale ha potere assoluto, garantisce il patto e
riunisce in se stesso ogni forza o potere, mentre tutti gli altri sono sudditi, quindi possiamo vedere
che la teoria hobbesiana dello Stato è ritenuta una della basi filosofiche dell'assolutismo politico.

Ciò lo possiamo vedere in vari caratteri della sua teoria politica che sono fondamentali per
l'assolutismo; in primo istanza, Hobbes insiste sulla irreversibilità e unilateralità del patto
fondante, cioè una volta costituito lo Stato, i cittadini non possono dissolverlo perchè il diritto dello
Stato nasce da un patto tra sudditi e non da un patto tra i sudditi e lo Stato; in secondo luogo,
secondo Hobbes il potere sovrano è indivisibile, nel senso che non può essere diviso in poteri
diversi che si limitino a vicenda; terzo carattere è che, secondo il filosofo inglese, il giudizio sul
bene e sul male appartiene allo Stato, e non ai cittadini, e questo concetto fonda l'assolutezza del
potere sovrano, infatti solo il sovrano è sciolto da qualsiasi vincolo, compresa la volontà dei
cittadini; in quarta istanza, fa parte della sovranità il diritto di esigere obbedienza anche per
ordini ritenuti ingiusti o peccaminosi; in quinto luogo viene negata la legittimità del
tirannicidio; infine il tratto più significativo della teoria politica hobbesiana, che lo Stato non è
sottomesso alle leggi dello Stato stesso.

Tutto questo non significa che Hobbes non pone limiti all'azione dello Stato, infatti il sovrano non
può obbligare nessuno a violare il proprio diritto alla sua vita o quella dei propri cari e non
può obbligare nessuno ad autoaccusarsi, per il resto i sudditi sono liberi relativamente a quanto
non prescritto dalle leggi promulgate dallo Stato.

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