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Capitolo 6:
vi sono 2 tipi di movimento:
- Vitali: esistono dalla nascita, come il sangue, respiro ecc
- Animale/volontario: parlare, ecc
L’immaginazione è il primo inizio del movimento volontario.
Capitolo 10:
Del potere, del pregio, della dignità, dell’onore e della disposizione:
Il Potere di un uomo sono i mezzi che ha al presente per ottenere qualche apparente bene futuro; esso è o
originario o strumentale.
Il potere naturale sono le facoltà corporee e mentali.
Poteri strumentali: mezzi e strumenti per acquisire più poteri.
Il potere più grande è quello che si compone dei poteri del maggior numero di uomini riuniti
consensualmente in una persona, naturale o civile. Il potere maggiore è dato dalle forze uniti di più
persone.
Capitolo 13:
Della condizione naturale dell’umanità per quanto concerne la sua felicità e la sua miseria:
Hobbes apre il capitolo asserendo che a parte qualche irrilevante differenza sul piano fisico e mentale, gli
uomini sono naturalmente tutti eguali; ovvero anche l’uomo più forte può essere soggiogato dal più debole
se furbescamente riesce a sottometterlo o si unisce ad altri contro di lui; allo stesso modo anche dal punto
di vista delle facoltà mentali gli uomini si equivalgono (pochissimi possiedono una conoscenza di tipo
scientifico). Un ulteriore prova dell’uguaglianza tra gli uomini è il fatto che ognuno di essi ha un’eccessiva
vanagloria della propria saggezza che considera superiore a quella degli altri uomini a meno che essi non
abbiano un’opinione simile o godano di buona reputazione. Da questa uguaglianza di capacità nasce
un’uguaglianza nella speranza di raggiungere i propri fini; essendo però i beni, in questa condizione
prepolitica descritta da Hobbes, limitati, gli uomini si trovano a competere per lo stesso fine, il cui
conseguimento non può altro che sancirsi con la distruzione o la sottomissione dell’altro. Oltre alla
compitazione, lo stato di natura è viziato dalla diffidenza: per paura di perdere ciò che hanno ottenuto, gli
uomini non hanno altra possibilità di attaccare d’anticipo; se infatti si assumesse un atteggiamento
difensivo anche l’uomo più ricco e dotato dei mezzi necessari per difendersi, potrebbe facilmente
soccombere. Ne risulta un esito paradossale: per salvaguardare la propria vita l’uomo deve assumere un
atteggiamento di dominio nei confronti del prossimo. Una terza componente che porta gli uomini a fare uso
della violenza è l’orgoglio o reputazione: premettendo che gli uomini non provano piacere nello stare in
compagnia (l’uomo quindi per Hobbes non è un animale socievole ma portato a vivere in solitudine alla
ricerca del proprio utile), se un uomo riuscisse ad assoggettarne altri dovrebbe sondare costantemente gli
umori dei suoi compagni, stroncando all’istante qualsiasi segno di disprezzo e di mancata stima nei suoi
confronti. Dunque ricapitolando sono tre le cause principali di contesa: 1) la rivalità; porta gli uomini ad
aggredire per trarne vantaggio, è il caso in cui si ricorre alla violenza per sottomettere altri uomini, donne,
bambini e bestiame; 2) la sicurezza; per difendere ciò che si è acquisito a seguito della prima aggressione; 3)
la reputazione; ogni comportamento, opinione o sorriso che viene interpretato dal conquistatore come
espressione di disistima e che quindi va punito. In assenza di un potere comune che tenga tutti gli uomini in
soggezione, ne deriva una condizione di guerra perpetua, ovvero che si ripresenta nel tempo. Tale
condizione impedisce agli uomini di dar sfogo alla loro creatività e al loro ingegno: in una stato di precarietà
come quello naturale non c’è società non c’è il giusto e l’ingiusto, non si conosce il mondo naturale, non si
sviluppano le arti ecc. Per coloro che diffidano di questa descrizione antropologica, Hobbes presenta un
esempio molto incalzante che dimostra come anche in una condizione di socialità l’uomo mantenga un
grado di diffidenza elevato verso i suoi simili: un uomo che si dirige verso un altro paese viaggia armato e
scortato, inoltre egli prima di andare a dormire, nonostante vi siano delle leggi e delle forze pubbliche a
tutela della sua incolumità e dei suoi beni, decide di sbarrare le porte delle sue abitazioni e chiudere i suoi
forzieri, dando prova della diffidenza che nutre anche per i suoi familiari. Hobbes ammette che questo suo
ricorso allo “stato di natura” è iperbolico, ma riconosce anche che tale descrizione del conflitto animalesco
tra gli uomini non è lontano da ciò che accade veramente in molti luoghi d’America e in Europa quando in
mancanza di un potere centrale forte, il popolo si divide in fazioni contrapposte dando origine alla guerra
civile (che per Hobbes rappresenta, come scritto nell’Introduzione, la morte dello Stato). In una condizione
di tutti contro tutti, le nozioni di giusto ed ingiusto perdono di significato; infatti, non vi è un corpus di leggi
che sancisca quale comportamento debba essere condannato e quale lodato. L’unico diritto (non scritto)
vigente all’interno dello stato di natura è il diritto di tutti su tutto; ovvero ciascun individuo ha il diritto di
appropriarsi di ciò che desidera con il metodo e i mezzi che ritiene necessari, per poi adoperarsi affinché
possa mantenere il più a lungo possibile ciò che ha ottenuto. L’uomo per mezzo delle passioni e della
ragione, ha la possibilità di uscire da tale stato di guerra: le passioni che inducono l’uomo alla pace sono la
paura della morte, il desiderio di quelle cose che sono necessarie a una vita piacevole e la speranza di
ottenerle con la propria operosità ingegnosa; mentre la ragione suggerisce opportune clausole di pace,
ovvero quelle “leggi naturali”, che portano gli uomini ad un accordo.
Capitolo 14:
Della prima e seconda legge naturale e dei contratti:
la prima e la seconda “legge di natura” e i “contratti” Il diritto naturale (Jus Naturale) è espressione della
libertà individuale; è il diritto all’autoconservazione di sé a cui l’uomo provvede liberamente con i mezzi e i
poteri necessari al conseguimento di tale fine. Mentre la legge di natura (Lex Naturalis) è un precetto che
proviene dalla ragione e ha il carattere dell’obbligazione; essa, infatti, proibisce ad un uomo di fare ciò che
distruggerebbe la sua vita o che gli toglierebbe i mezzi per conservarla. Nello stato prepolitico in cui ogni
uomo è lupo per l’altro, il diritto naturale, non avendo alcun carattere normativo, permette al soggetto di
desiderare ciò che vuole, con la conseguenza però della competitività con gli altri uomini. Ecco sorgere la
necessità di un precetto “naturale” che obblighi l’individuo alla tutela e alla conservazione della vita: la
prima legge naturale di cui parla Hobbes è quella che prevede la ricerca della pace e nel caso in cui essa non
sia ottenibile, l’allearsi e cercare tutti gli aiuti possibili al fine di difendere il proprio diritto alla vita. La
seconda legge afferma invece che si è disposti ad abbandonare il proprio diritto su tutto alienando parte
della propria libertà se anche gli altri contraenti sono disposti a fare lo stesso. Abbandonare un diritto
significa limitare la propria libertà. Un diritto viene deposto o attraverso una semplice rinuncia ad esso, o
per trasferimento ad un altro: attraverso una semplice rinuncia, quando non ci si preoccupa di sapere su chi
ricade il beneficio della rinuncia; per trasferimento, quando si “elegge” la persona o le persone a cui vada
tale beneficio (è un beneficio poiché quella persona a cui io ho alienato parte della mia libertà avrà meno
ostacoli nel realizzare il suo diritto su tutto). Una volta che si è trasferito o abbandonato un proprio diritto è
dovere del beneficiario non vanificare quell’atto volontario, ostacolando il soggetto ricevente; se avviene
ciò si compie per Hobbes un atto ingiusto, il quale ha lo stesso grado di assurdità che ha un’affermazione
illogica (in cui il conseguente smentisce l’antecedente). I segni che sanciscono l’accordo tra le parti sono le
parole o le azioni o entrambe (parole-azioni). Ogni volta che si rinuncia ad un proprio diritto lo si fa per il
conseguimento di un bene superiore che può essere ad esempio la promessa di protezione. Non tutti i
diritti sono alienabili, infatti, non si può cedere il proprio diritto alla vita; nessun uomo si lascia ferire o
peggio uccidere senza resistere e questo vale tanto nello stato naturale che in quello civile. Hobbes
definisce “contratto”: il trasferimento reciproco di un diritto; tale accordo contrattuale si instaura ad
esempio tra gli individui che decidono di uscire dallo stato di natura alienando reciprocamente il loro diritto
su tutto, in modo tale da favorire la formazione di uno Stato. Il patto, invece, prevede che uno dei due
contraenti alieni un suo diritto in virtù di un bene superiore come la protezione; questo è il rapporto che si
instaura tra il sovrano e i sudditi, dove i sudditi trasferendo il loro diritti (eccetto quello alla vita) al sovrano
(l’unico che può ancora vantare il diritto su tutto), chiedono a quest’ultimo difesa e sicurezza. Un’altra
caratteristica del patto è che esso è basato sulla fiducia: ovvero uno dei contraenti cede la cosa oggetto del
contratto e permette che l’altro adempia alla sua parte in un momento successivo; il rispetto di tale patto
viene chiamato mantenimento della promessa, mentre il suo mancato adempimento, violazione della
fiducia. Nel caso in cui il trasferimento di un diritto non è reciproco, ma solo uno delle due parti lo
trasferisce con la speranza di ottenere qualcosa in cambio, questo non è un contratto ma una donazione
libera o grazia. I segni che sanciscono un contratto sono espliciti o inferenziali: nel primo caso si
pronunciano formule al presente o al passato come: “io concedo” o “io ho ceduto”; se si utilizzano
espressioni riguardanti il futuro come: “io concederò” o “io darò”; ci troviamo di fronte a promesse. I segni
inferenziali si esplicano o con un silenzio assenso o con certe azioni. Nel contratto entrambi i contraenti
sono tenuti, anche nel caso di promessa futura, ad adempiere al trasferimento reciproco del diritto
(carattere obbligazionale del contratto), mentre in caso di donazione colui che dona un suo diritto non deve
aspettarsi niente in cambio. Se si stabilisce un patto, in cui nessuna delle parti è attualmente adempiente e
lo si fonda sulla fiducia reciproca, nella pura condizione naturale (che è una condizione di guerra di tutti
contro tutti) esso è nullo (visto che gli uomini sono naturalmente portati a perseguire il loro utile). Non è
invece nullo, se esiste un potere comune, posto al di sopra delle due parti, con un diritto e una forza
sufficienti per imporre l’adempimento. Gli accordi fatti “in coscienza” e fondati essenzialmente sullo
scambio reciproco della propria parola data, sono spesso soggetti, all’interno dello stato di natura, a non
essere rispettati; questo perché colui che per primo realizza la parola data, non ha alcuna certezza che
l’altro faccia lo stesso, essendo l’uomo antropologicamente guidato dalle sue passioni. Il problema non si
pone all’interno dello Stato civile dove il potere legittimamente istituito e riconosciuto, possiede la forza
coercitiva necessaria a rendere il patto tra i privati vincolante. Chi aliena un suo diritto, trasferisce al
destinatario anche i mezzi per goderne a pieno: pertanto nel caso dell’istituzione di un sovrano, gli individui
trasferendo il loro diritto su tutto a quell’unico uomo deputato al comando, essi si impegnano ad essere
collaborativi nei suoi confronti per ciò che concerne la nomina dei magistrati per l’amministrazione della
giustizia o l’imposizioni di tasse, per il mantenimento dell’esercito ecc.; tutti questi ed altri provvedimenti
fanno parte della legittima esercitazione del diritto da parte del sovrano. Con Dio si può venire a patti se
non con chi si dice essere tramite del volere divino. Ci si può liberare dai patti in due modi: o adempiendoli
o restituendo il diritto ricevuto (condono). I patti estorti col timore sono per Hobbes obbliganti nello stato
di natura: se devo compiere un servigio per avere salva la vita, non posso tirarmi indietro; in questo caso si
tratta di un contratto in cui chi adempie al servigio promesso ha salva la vita, mentre chi ha imposto con la
violenza tale azione ottiene quello che voleva. Un patto in cui io mi impegno a non difendermi dalla
violenza altrui è in qualsiasi condizione (naturale e civile) nullo; Hobbes ribadisce che il diritto alla vita è
inalienabile, infatti, è per avere salva la vita che gli uomini istituiscono un potere comune. Inoltre nello stato
di natura, nessuno può accusarsi (a meno che sia sicuro del perdono) poiché essendo ciascuno uomo
giudice di sé stesso, colui che si accusasse andrebbe contro i suoi interessi e si lancerebbe nelle braccia del
nemico; lo scenario cambia all’interno dello Stato civile, dove vi è la presenza di un giudice supremo
(ovvero il sovrano). All’interno dello Stato all’accusa segue la punizione; anche qui, essendo la punizione
una forma di violenza, mantiene il suo diritto a vender cara la vita (ovvero a resistere). Poiché le parole non
possiedono quel grado di forza sufficiente per rendere il patto vincolante, occorre far ricorso a due
espedienti: 1) il timore delle conseguenze derivanti dal mancato adempimento della parola data; 2) oppure
l’orgoglio che ne segue nel momento in cui ci si può vantare di essere un uomo di parola. Il timore ha due
fonti: una (ed è la più potente) è quella riguardante gli spiriti invisibili; l’altra è il potere della parte offesa
dal mancato adempimento del patto. Ciò che rende l’atto del giurare dei contraenti più stringente è quello
di ricorrere alla figura divina, ovvero di giurare in suo nome che si compierà quella o quell’altra azione.
Hobbes alla fine del capitolo afferma che se il patto è legittimo, anche senza giuramento, esso è vincolante
agli occhi di Dio.
Capitolo 15:
Delle altre leggi naturali:
le altre leggi di natura 3) la terza legge di natura prevede che gli uomini debbano mantenere fede ai patti
che hanno fatto. Malgrado nello stato di natura gli uomini siano giudici di loro stessi e delle loro azioni
(relativizzazione del giusto e dell’ingiusto), per Hobbes è ingiusto colui che infrange un patto mentre giusto
colui che adempie a ciò che ha promesso. In assenza di una coercitività, legittimata dal consenso popolare,
nessuno è fino in fondo vincolato al mantenimento del patto se non in “foro interno” (ovvero in coscienza)
della prima legge di natura: ossia il cercare la pace; se infatti tutti non mantenessero fede ai loro patti, si
cadrebbe in una condizione di guerra e di violenza che metterebbe a rischio la conservazione della vita a cui
tutti gli uomini tendono e che la prima legge di natura esorta a raggiungere con il conseguimento della
pace. È ingiusto colui che ricerca il proprio utile? Un’azione potrebbe essere considerata ingiusta ma non
contraria alla ragione individuale che ricerca il proprio vantaggio; dunque che rapporto c’è tra ragione e
giustizia? Per Hobbes la giustizia non è contraria alla ragione; infatti chi considera ragionevoli quelle azioni
che permettono agli individui di perseguire i loro fini nel non rispetto della libertà altrui o quelli che ancor
peggio dopo aver stipulato un patto ed aver ottenuto dall’altro contraente il diritto previsto, decidono di
sciogliere tale accordo con il massimo del beneficio, compiono per Hobbes un’azione ingiusta ed
irragionevole. Essi possono farsi scudo con il loro potere per avere salva la vita ma in una condizione come
quella naturale non si è mai troppo forti o potenti tanto da essere sicuri della propria incolumità. Il principio
che regge lo stringere alleanze prevede che le parti mantengano fede ai loro previ accordi in modo tale da
avere una maggiore possibilità di conservare il proprio, diritto alla vita. Per Hobbes coloro che infrangono i
patti non possono essere ammessi in una società come quella civile che si fonda sulla pace e la difesa.
Addirittura il filosofo inglese arriva ad asserire che la felicità del cielo si guadagna non infrangendo i patti
stabiliti. Il diritto di ribellione viene considerato da Hobbes contrario alla ragione; se infatti il potere sovrano
fosse soverchiato per mezzo di una ribellione ciò darebbe adito ad altri di acquisire la sovranità in questa
maniera e così via fino ad arrivare ad uno stato guerra (il riferimento polemico di Hobbes qui è molto
probabilmente il pensiero del “secondo” Beza). I nomi giusto ed ingiusto assumono un significato diverso a
seconda se sono attribuiti agli uomini o alle azioni: nel primo caso si parla di conformità o non conformità
dell’uomo ai costumi della ragione; nel secondo di conformità o meno tra le singole azioni. L’ingiustizia dei
costumi è la predisposizione o attitudine, senza che si sia ancora compiuta un’azione ingiusta verso
qualcuno, a far torto agli altri. Per contro l’ingiustizia presuppone uno specifico individuo oggetto del torto
e precisamente colui con il quale era stato fatto il patto. La giustizia delle azioni è divisa dagli scrittori,
afferma Hobbes, in commutativa e distributiva. La prima (quella commutativa) è intesa dal filosofo inglese
come la giustizia dei contraenti ovvero l’adempimento del patto nel comprare e vendere. La giustizia
distributiva è la giustizia dell’arbitro il quale definisce, essendo una figura terza disinteressata rispetto
all’oggetto della contesa, ciò che è giusto; egli nello sciogliere le contese ha il compito di distribuire a
ciascuno il suo in maniera equa. 4) La quarta legge di natura è quella riguardante la gratitudine: un uomo
che ottiene un beneficio per grazia (ovvero tramite donazione volontaria) deve impegnarsi, in modo tale da
non far pentire il donatore del suo gesto, a ripagare tale vantaggio. 5) La quinta è quella della compiacenza:
“ognuno deve sforzarsi di adattarsi agli altri”; ovvero per un pacifico quieto vivere gli uomini devono far
collimare i loro interessi e passioni con quelle degli altri venendo a compromessi. Gli insocievoli non
possono far parte di tale associazione politica poiché mal disposti a cercare la pace. 6) La sesta riguarda il
perdono: si devono perdonare gli uomini pentiti delle loro azioni disonorevoli commesse nel passato solo se
si ha la previa garanzia che non commetteranno gli stessi errori in futuro. Con il perdono si accorda la pace;
il non concedere perdono a coloro che danno garanzie è segno di avversione alla pace. 7) La settima
concerne la vendetta: gli uomini non devono rispondere al male con il male; la punizione deve essere
correttiva altrimenti si cade nella crudeltà 8) Nessuno deve manifestare con parole o azioni odio nei
confronti di qualcun altro; l’infrazione di questa legge è generalmente chiamata oltraggio. 9) Hobbes dopo
aver critico la teoria aristotelica delle disuguaglianze naturali (ovvero ci sono uomini nati per il governo
poiché più saggi ed altri inclini a servire poiché più forti fisicamente), ribadisce che nello stato di natura tutti
gli uomini sono eguali. Solo all’interno dell’istituzione statale, per mezzo delle leggi civili, nascono le
disuguaglianze. La nona legge di natura prevede che ciascuno tratti l’altro come uguale a sé per natura.
L’infrazione di questo precetto è la superbia. 10) Nessuno può accampare diritti esclusivi che precludano la
fruizione di un bene da parte degli altri. 11) Il giudice nominato per dirimere la contesa tra i privati deve
essere equo e dare a ciascuno ciò che merita 12) I beni non divisibili devono essere accessibili a tutti; in
caso contrario un bene deve essere diviso proporzionalmente tra gli aventi diritto. 13) Non tutti i beni
possono essere divisi o goduti in comune, in tal caso occorre far ricorso alla sorte la quale si divide a sua
volta in convenzionale e naturale. 14) Quella naturale è o la primogenitura o la priorità nell’acquisizione del
possesso; in tal caso questi beni indivisibili e non comuni devono essere aggiudicati al primo possessore.
15) Ai mediatori di pace devono essere concessi salvacondotti. 16) Le parti che fanno ricorso ad un arbitro
devono sottostare al suo giudizio. 17) Se tutti gli uomini fossero giudici di sé stessi, ognuno farebbe valere le
proprie ragioni e si arriverebbe ad una condizione inevitabile di conflitto; pertanto la diciassettesima legge
di natura prevede: nessuno è giudice di sé stesso 18) In nessuna causa deve essere chiamato un giudice che
oggettivamente tragga profitto nella vittoria di una delle due parti piuttosto che dell’altra. Nel caso si arrivi
ad una equipollenza di argomenti, il giudice ha il diritto di ascoltare dei testimoni in merito. I precetti
elencati si prefiggono la pace e la conservazione della vita, e di contro avversano la guerra e la violenza. Essi
possono essere ridotti, secondo Hobbes, nella formula evangelica: “non fare a un altro ciò che non vorresti
fosse fatto a te”; tale affermazione permette a chiunque, anche ai meno istruiti, di cogliere il senso delle
leggi di natura le quali sono eterne, immutabili e facili da osservare (basta infatti sforzarsi di applicarle).
Queste leggi naturali sono morali: al contrario dei moralisti classici i quali pur riconoscendo una serie di
virtù non ne riconoscono la bontà che consiste nel garantire una vita pacifica. Queste leggi naturali, anche
dette teoremi o dettami della ragione, non sono delle vere e proprie leggi dal momento che non vi è la
presenza di un potere coercitivo comune riconosciuto. Tuttavia se riconduciamo tali dettami della ragione
ai teoremi speculari presenti nella dottrina cristiana, è possibile chiamare propriamente “leggi” questi
precetti.