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Filosofia politica

06.10.22

La politica è condizione di possibilità del sociale, noi viviamo nella paura che l’altro ci faccia fuori da un
momento all’altro. Nello stato di natura c’è un protratto stato di incertezza, il tempo è connesso alla
questione della guerra, è quella condizione in cui non si può avere requie nemmeno per un giorno in una
costanza di stati di incertezza. Vedremo stati di natura molto differenti, come quello in Locke. L’essere
umano per Hobbes nello stato di natura non è privo di criteri di razionalità. Hobbes ci spiega come sia
razionale quello di stringere un patto svantaggioso, deve convincerci quindi

Dopo aver insistito sulla guerra. l’ultima cosa che fa, nel capitolo tredici dedicato alla condizione naturale, è
parlare della giustizia.

Quando Hobbes scrive il contesto intorno a lui riteneva che la natura fosse ordinata e predisponesse gli
umani in una forma di organizzazione. È quella la giustizia. Ci sono i nobili, i cavalieri e gli schiavi ecc. La
natura è già organizzata, già giusta. Questa è la conseguenza dell’influenza della tradizione del
neoplatonismo e della neoscolastica. Dire che nella natura non ci sia giustizia come fa Hobbes è una
blasfemia. Infatti non è facile sostenere una condizione del genere per Hobbes, per farlo egli dice che non
c’è ne giustizia pubblica (penale, non c’è legge, non ci sono diritti naturali) né privata (non c’è il mio e il tuo,
non c’è un criterio per determina re cosa è mio e cosa è tuo).

Ultimo capoverso pagina 103

(C’è una finzione perché l’essere umano ha paura della morte e desidera quelle cose che sono necessarie
ad una vita piacevole: questa non è un istinto necessariamente antisociale)

Hobbes qui gioca su una crescita della tensione: L’essere umano avrebbe tutte le condizioni per vivere in
pace ma non lo fa. Hobbes non dice che è un animale quindi va comandato, istruito ecc. Dice invece che
l’essere umano può essere condotto a aderire alle leggi di natura. Le leggi di natura al tempo erano
qualcosa di autoevidente. Hobbes invece darà una definizione scioccante delle leggi di natura. Gli esseri
umani hanno tutte le caratteristiche per superare questa impasse ma non lo fanno. C’è un solo modo per
superare questa impasse.

Ma queste leggi di natura dove sono? A cosa sono ancorate?

Quattordicesimo capitolo: la prima e la seconda “legge naturale” e i “contratti”


In questo capitolo Hobbes svelerà quel meccanismo quasi magico attraverso cui ci convincerà che non si
può far altro che aderire all’autorità politica.

(Quando inizia la parte due, Hobbes ha già reso evidente che non si può che far parte dello stato. Abbiamo
già fatto il salto dallo stato di natura allo stato)

La paura di Hobbes è quella che si cominci a pensare che gli esseri umani possano darsi un ordine da soli.
Hobbes vuole dimostrare che c’è bisogno di un’autorità politica.

Pagina 105

1. Che cos’è un diritto naturale? Il capitolo 14 inizia con la definizione di diritto naturale secondo Hobbes.
È un incipit è uno scandalo: al tempo lo jus naturale ereditato dalla tradizione romana e della chiesa,
platonico aristotelica, era tutt’altro rispetto al diritto naturale qui descritto. Per Tommaso la legge di
natura è un ordinamento inscritto nella natura, che dà indicazioni sulla vita buona. Dà indicazioni sul
bene e il male. Hobbes inizia dicendo che il diritto naturale è la possibilità di ciascun individuo
(impianto individualistico) di utilizzare il proprio potere a suo arbitrio per la conservazione della sua
natura.

2. Che cos’è la libertà? Per Hobbes la libertà è l’assenza di impedimenti esterni (libertà negativa). Quando
possiamo fare quello che vogliamo senza che nessuno ce lo impedisca. Kant scriverà un paio di classici
per smentire questo concetto di Hobbes e dirà che se la libertà è questo siamo animali. Neanche per
Rousseau quella di Hobbes sarà la libertà. Il diritto naturale è per Hobbes fare tutto quello che è
necessario alla conservazione della mia vita.

3. Che cos’è la legge naturale? La legge naturale è due cose: un precetto o una regola generale. Un
precetto ha carattere particolare e immediatamente attuabile, la regola generale vale in certi contesti in
cui si producono determinate condizioni. La legge di natura è scoperta dalla ragione, non è dettata o
impartita o obbligata dalla ragione. C’è un’attività, davanti ad una situazione uno ragiona e scopre qual
è la legge. È un precetto o regola che ci obbliga ad una condotta. La legge di natura è ciò che ci
comanda, è ciò che impedisce ad un uomo di fare ciò che distruggerebbe la sua vita. Non posso fare
nulla che metta a rischio la mia vita.

Differenza tra diritto e legge: il diritto consiste nella libertà di fare o dell’astenersi dal fare. La legge
determina o obbliga una delle due cose. Il diritto è la libertà per come la pone Hobbes. Puoi fare tutto. La
legge obbliga delle condotte e impedisce di fare o non fare. Il diritto dice prego. La legge dice no. Uno dei
più grandi problemi di Hobbes è di ordine razionale: questo conflitto tra diritto e legge dobbiamo risolverlo
noi ogni volta e il rischio di un conflitto è incipiente. In mezzo c’è la libertà. La legge mi priva di libertà, il
diritto me la dà.

Nel quarto capoverso Hobbes dice che il diritto naturale, essendo la libertà di fare tutto, dev’essere
sacrificato.

 La legge di natura fondamentale è cercare e perseguire la pace. La pace è l’assenza di una


condizione di guerra. È quella condizione di perduranza di uno stato di quiete. Lo stato di guerra è
quella durata indefinita in cui io sto continuamente in ansia. Ricerca la pace significa ricerca delle
condizioni per stare tranquillo. Nello stato di natura è proprio quello che manca, uno stato che
perdura di tranquillità. La prima legge fondamentale di natura è quella che cerca uno stato di
quiete che perdura. Bisogna cercare la pace ma se non si è in grado di ottenerla, il dispositivo
diritto/legge naturale, ti rende lecito di fare di tutto per salvaguardare la tua vita → guerra

 Seconda legge di natura: essere e disposti a rinunciare al diritto naturale. Conflitto tra diritto e
legge. Questo diritto naturale è un po’ vorace. Consiste nell’avere diritto a tutto. La seconda legge
dice di rinunciare quando si ritenga necessario allo stato perdurante di benessere e alla tua difesa.
Rinuncia al diritto su tutto nella misura in cui tu lo ritieni necessario per il tuo benessere. Se gli altri
non rinunceranno al proprio diritto, è inutile tu lo faccia. Serve un’attività di intelligenza collettiva
tale che se io lo faccio, lo facciano anche tutti gli altri. È questo che assicura la pace. Devi rinunciare
nella misura in cui tutti rinunciano. Al tempo c’erano alcuni che non rinunciavano a nulla, a nessun
diritto, perché erano sopra per natura. (La regola aurea. Teoria dei giochi, intelligenza collettiva.)
Una regola vale solo se la rispettano tutti. Santi Romano aprì la questione sullo stato d’eccezione, in
cui non c’era più il diritto vigente, era una situazione hobbesiana in cui ognuno seguiva i diritti che
aveva in testa lui.
Che cosa significa abbandonare un diritto? Io impedisco l’esercizio delle libertà altrui. Abbandonare un
diritto su qualcosa significa che non faccio da impedimento. Posso fare quello che mi pare per diritto
naturale. Io rinuncio, se ci stanno la condizione ovvero se anche gli altri rinunciano.

Chi abbandona un diritto non concede un diritto a qualcun altro. Un diritto viene deposto o attraverso una
rinuncia o attraverso un trasferimento ad un altro. Io rinuncio quando non so chi beneficia di quel diritto
che ho ceduto. Il trasferimento avviene quando so chi ne beneficia.

Da dove nasce un obbligo? Dalla rinuncia ad un diritto. L’origine dei diritti e degli obblighi nello stato di
natura. Il diritto già c’è. Sta nel fatto di essere umani, abbiamo il diritto naturale di fare tutto. Non c’è niente
che ci impedisca di fare nulla. Si può piuttosto parlare dell’origine dei singolari e specifici diritti. Il diritto è
già sempre esistente e non ha luogo in quanto io rinuncio. Io posso rinunciare a un diritto e quella rinuncia
mi obbliga a non impedire all’altro di usufruire di un diritto già sempre presente. La fonte dei doveri è
l’auto-obbligazione. Io mi obbligo perché rinuncio. Se rinunci c’è l’obbligo. Il fondamento dell’obbligo è il
fatto che tu hai rinunciato. L’ossessione di Hobbes è che nello stato di natura ti devi fidare.

L’obbligo è un dovere ed è un atto volontario. C’è un dovere. Nello stato di natura ci sono diritti e doveri
perché io ho rinunciato e ho il dovere di non impedire agli altri di avere quel diritto (esempio: se io rinuncio
a bere l’acqua dalla bottiglietta, non posso impedire agli altri di avere il diritto di prenderla e berla loro)

Qual è la fonte della giustizia nello stato di natura? L’atto volontario con cui si rinuncia. Si rinuncia
volontariamente per il raggiungimento della pace. L’ingiustizia è il contravvenire a un dovere.

La ragione di Hobbes è di tipo strategico o prudenziale, si basa sul calcolo del mio vantaggio. Io ho stretto
un patto con loro e sottrarmi a questo patto è un’assurdità perché ho deciso io di stringerlo. Il dovere nasce
come controparte della cessione di un diritto. La giustizia nasce come contravvenzione(?) di un dovere. È
un’assurdità perché non ci sta un fondamento, un vincolo, esterno alla mia volontà di rinunciare. Se noi
rinunciamo è perché ci conviene, non lo facciamo per generosità, ne deriva un bene per noi stessi. L’unica
cosa alla quale l’uomo non può mai rinunciare è la vita.

Rinuncia→ fonte dell’obbligo→ fonte del dovere→ fonte della giustizia (rispettare il dovere) e
dell’ingiustizia (contravvenire a quel dovere).

Rinuncio in base ad un calcolo prudenziale, mi conviene rinunciare. Le rinunce dipendono dalle condizioni e
dalle circostanze. Quando cambiano le circostanze è una virtù rompere le rinunce e quindi le promesse, i
patti.

Che cos’è un contratto e che cos’è un patto? Il patto è il trasferimento reciproco di un diritto.

Differenza tra contratto e patto:

 Contratto: si contrae tra due persone che si impegnano reciprocamente.


 Patto: anche qui ci sono due contraenti ma solo uno dei due si impegna, solo uno rinuncia ai suoi diritti.
Il patto ha carattere sinagmatico, non c’è reciprocità. Io dico che mi impegno a non impedirti, l’altro
non si impegna: è un impego unilaterale. Con il sovrano sarà un patto. Il sovrano non si impegna, egli
può tutto.

Pagina 114

Lo scopo di un giuramento: nello stato di natura le promesse non sono obbliganti, i patti non servono a
niente. Gli obblighi riguardano aspetti prudenziali, lo faccio se mi conviene, non lo faccio se non mi
conviene. Non sono tenuto a rispettare la parola data, la mia ragione mi spingerà a fare un calcolo
prudenziale che mi porterà a fare ciò che più mi conviene a salvaguardare la mia vita.
Quindicesimo capitolo: le altre leggi di natura
Dalla legge di natura che ci obbliga ad assumere gli obblighi ne segue una terza.

La terza legge di natura: gli uomini devono rispettare i patti che hanno stretto. Hobbes dice che nello stato
di natura tutti i patti sono vani perché senza la spada i patti non sono altro che parole. I patti senza spada
sono parole. Le parole sono vane. Siamo in un mondo in cui non c’è criterio di giustizia, l’unica fonte della
giustizia è l’atto volontario con cui ci si auto-obbliga. Bisogna studiare le condizioni, capire ciò che più ti
conviene, e fare ciò che è meglio per salvaguardare la tua vita e arrecarti vantaggi.

La terza legge di natura è valida in certe situazioni, quando c’è la spada.

“Il giusto è ciò che non è ingiusto”. La giustizia equivale alle condizioni della propria sopravvivenza, per me
una cosa non è giusta nel momento in cui non ci sono le condizioni per salvaguardare la mia vita. Il giusto è
il mio utile, in base alle condizioni. Il corretto ragionamento vi conduce a ciò che è giusto, in base alle
circostanze. Dato che nello stato di natura cambiano continuamente le circostanze, serve un terzo che
stabilisca ciò che è giusto e ingiusto. Giustizia e ingiustizia dipendono da calcoli prudenziale nello stato di
natura. Ognuno deve determinare di volta in volta cosa gli conviene. Sulla base di questo ragionamento
Joseph Raffs (??) sosterrà che l’autorità serve anche per non farci pensare di continuo a cosa ci conviene
fare in ogni circostanza, ci alleggerisce di un peso, ci facilita la vita.

Non è la fiducia che mantiene i patti. La vera garanzia che i patti siano rispettati è la perduranza di una
situazione in cui ci si può fidare, la pace. Nello stato di natura questo stato te lo puoi scordare. Una
situazione di stabilità esiste solo dove c’è un’autorità che stabilisce che i patti vengano rispettati. Non siamo
sicuri che tutti rispettano i patti perché c’è la costante incertezza, può darsi che cambino tutte le condizioni
e che quindi non mi convenga più rispettare quei patti che ho stretto.

Hobbes cambia obiettivo, deve dimostrare che se queste sono le condizioni allora a tutti conviene che la
terza legge sia sostenuta da un potere coercitivo. La paura di Hobbes è che qualcuno dica che non gli
conviene questo potere ma piuttosto gli continua a convenire stringere e sciogliere i patti a suo piacimento.
Il folle sarà chi dice: “perché dovrebbe convenirmi questo patto che istituisce l’autorità?”

07.10.22
Il problema dello stolto.

Per Hobbes non è vero che nello stato di natura non si possono individuare condotte che consentono una
qualche forma di socialità. Le leggi di natura sono degli strumenti attraverso cui gli uomini si possono
procurare uno stato di pace. La terza legge è infondo la legge della giustizia. L’origine della giustizia è un
vincolo che imponiamo a noi stessi quando ci impegniamo a rinunciare ad un diritto e decidiamo di non
fungere da impedimento.

Finché c’è incertezza i patti non reggono. Il potere coercitivo soverchia il vantaggio dell’ingiustizia.
L’ingiustizia conviene in certe circostanze, il potere coercitivo non lo fa convenire perché predispone un
male maggiore. Il potere non serve, come per Tommaso, a farsi promulgatore di una legge che esiste già
per il bene comune, il potere minaccia svantaggi per Hobbes. Il potere pubblico crea condizioni per cui la
giustizia privata è più svantaggiosa della giustizia pubblica. A Hobbes interessano le condizioni generali in
cui certe condotte promettono più vantaggio di certe altre. Un potere coercitivo minaccia svantaggi: voglio
passare con il rosso perché sono in ritardo ma rischio una multa: rischio o non rischio? Bisogna valutare se
certe condotte sono o non sono vantaggiose.

Pagina 117

Hobbes dice che nello stato di natura non esiste la proprietà. Nello stato di natura non esistono criteri di
giustizia che possano individuare le condotte universalmente giuste, indipendentemente dalle circostanze.
Verranno autori che diranno che invece esistono criteri pubblici. Kant dirà che sta inscritto nella ragion
pratica.

Secondo paragrafo: Senza nessun preavviso entra lo stolto. È un problema. Lo stolto è uno che ragiona
poco e male. Ci sono due tipi di stolto, stoltezza, qual è la differenza? (?) Molti interpreti ritengono che lo
stolto sia Hobbes stesso.

Nello stato di natura godiamo del 100% di libertà: è la libertà del diritto naturale, possiamo fare tutto.

Nel momento in cui stringiamo patti e quindi rinunciamo a fare da impedimento, si riduce il nostro grado di
libertà: ne deriva una libertà relativa (la percentuale di libertà si abbassa, siamo un po’ meno liberi perché
abbiamo ceduto parte del nostro diritto naturale).

Lo stolto non sta dicendo nulla che scandalizza, sta ripetendo solo quello che è stato già detto.

Se l’ingiustizia mi procura maggior vantaggio, che mi importa degli altri? Non c’è nessuna frizione con
quanto è stato detto fino a questo momento. Lo stolto sta dicendo che la giustizia non esiste in certe
situazioni. La giustizia esiste e dipende da certe condizioni: lo stolto dice che se cambiano le condizioni io
posso comportarmi secondo ingiustizia se ciò mi arreca vantaggio. Lo stolto crede di essere esente dalle
condizioni di incertezza. Lo stolto è colui che non prende in considerazione la condizione e adotta come
ragione ciò che ragione non è.

Due proposizioni:

 Proposizione X→ Pacta sum servanda: giustizia


 Proposizione Y→ Il mio vantaggio richiede che non si rispetti il patto (elimina pacta sum servanda):
ingiustizia

C’è un conflitto tra queste due posizioni. Lo stolto dice che quando le circostanze lo consentono Y scalza X.
Per Hobbes è un errore perché in qualsiasi circostanza si dia, prevale Y. Bisogna rispettare sempre i patti
nonostante le circostanze. Il folle concorda con Hobbes quando dice che i patti vanno rispettati, ma dipende
dalle circostanze.

Hobbes per confutare lo stolto deve cambiare un po’ il problema. Il problema non sorge quando non c’è
sicurezza. La questione riguarda il caso in cui una delle parti ha già adempiuto. Hobbes sta dicendo che
quando uno ha già adempiuto io non mi posso sottrarre. Se io prometto qualcosa a qualcuno, Hobbes ci sta
dicendo che non mi posso sottrarre da quella promessa data. Suona strano. Sembra che Hobbes stia
dicendo che X scalza Y sempre. Le due condizioni sono: una parte ha già adempiuto al dovere promesso, c’è
un potere sovrano: in queste condizioni X sta su Y sempre.
10.10.22

“Lo stolto ha detto in cuor suo: non esiste una cosa come la giustizia, siccome è alla cura di ciascun uomo
che è affidata la conservazione e la soddisfazione di sé stesso, non ci può essere alcuna ragione per la quale
ognuno non possa fare quello che pensa conduca a quel risultato. Ne consegue che anche mantenere o non
mantenere i patti non è contro ragione quando ciò conduce al proprio beneficio”

Lo stolto qui sta dicendo che in certe condizioni non c’è giustizia. Che talvolta bisogna comportarsi secondo
ingiustizia (non mantenere i patti) se ciò conduce al proprio beneficio.

Abbiamo due proposizioni

1. Pacta sum servanda: giustizia


2. Talvolta il mio vantaggio richiede che si violi un patto: ingiustizia

Un dettame dice che bisogna mantenere sempre i patti, anche al cambiare delle condizioni. L’altro invece è
il dettame dell’interesse personale per cui al cambiare delle condizioni iniziali, ciò che inizialmente mi
conveniva potrebbe non convenirmi più. Di conseguenza è ragionevole compiere ingiustizia, bisogna
rompere il patto e inseguire il proprio vantaggio.

 M→ Massimizzazione dei vantaggi


 m→ Minimizzazione del rischio

L’agire strategico o prudenziale, secondo la letteratura del Novecento, è quell’agire che intende l’essere
umano come uno la cui ragione riesce ad individuare la condotta più vantaggiosa ai propri fini.

Quando violo un patto, una legge, ho la massimizzazione del vantaggio e la massimizzazione del rischio (c’è
il rischio che venga scoperto). Egli però ritiene che il rischio sia minimo, sottostima il rischio effettivo. Non
mantiene il patto, ma essendo nello stato di natura non ci sono i criteri per valutare l’ingiustizia

Lo stolto, in una condizione di minimizzazione dei rischi e una massimizzazione del vantaggio: lo stolto dice
che in questa circostanza il criterio di ingiustizia non vale più.

L’obiezione di Hobbes allo stolto a che livello si colloca:

al livello del conflitto tra giustizia e ingiustizia?

O nel ragionamento sulle condizioni?

Se riteniamo che il conflitto si colloca al livello dell’opposizione tra giustizia e ingiustizia, Hobbes sembra
essere lo stolto. C’è un’identificazione.

La giustizia è una regola generale o precetto che obbliga al mantenimento dei patti SEMPRE

L’ingiustizia è il non rispettarli se è mio vantaggio.

Se il conflitto sta qua non sappiamo quale dei due prevalga sull’altro.

Lo stolto dice che l’ingiustizia prevale, al mutare delle condizioni. Hobbes dice che la giustizia prevale
sempre.

In realtà il conflitto non si colloca a questo livello. Non si tratta di un conflitto tra due posizioni generali ma
sul modo in cui gli esseri umani coinvolti si ricostruiscono le condizioni.

Lo stolto dice che la legge di natura


Su quale dimensione si colloca il conflitto?

1. Dimensione assiologica o normativa: il conflitto tra giustizia e ingiustizia è normativo.


Normativo è il conflitto tra due regole generali.
Alcuni ritengono che il conflitto sia su questo livello. Secondo questi Hobbes sta dicendo allo stolto
che una regola (la terza legge di natura: bisogna sempre rispettare i patti) prevale sull’altra sempre.
Se l’obiezione di Hobbes allo stolto si colloca a questo livello, non regge.

2. Dimensione empirica: il conflitto tra massimizzazione dei vantaggi e minimizzazioni dei rischi.
Hobbes sta dicendo che è d’accordo con lo stolto sul conflitto tra giustizia e ingiustizia, Hobbes sta
dando ragione allo stolto: a volte l’ingiustizia prevale sulla giustizia perché cambiano le condizioni
MA cerca di considerare bene le condizioni. Secondo Hobbes lo stolto fa un errore nel calcolo delle
circostanze.
Se il conflitto si colloca a questo livello allora l’obiezione regge perché la giustizia è sempre
dipendente dalle circostanze. Hobbes dice che certe cose valgono in certe circostanze e in altre non
valgono.
Massimo vantaggio in condizioni che cambiano

La giustizia è dipendente dalla circostanza. Se la circostanza è tale che è vantaggioso che io rispetti un
patto, quel patto è giusto. Ma se la circostanza muta, la giustizia sparisce. Le condizioni sono criteri di
esistenza della giustizia. La giustizia non esiste in genere ma esiste dipendentemente dalle circostanze.

. Se il conflitto è normativo Hobbes sta dicendo che la giustizia deve prevalere sempre, bisogna
sempre rispettare i patti. Questo è un problema perché Hobbes si è contraddetto.
. Se il conflitto tra Hobbes e lo Stolto si colloca sul piano empirico allora l’obiezione regge.

Hobbes è d’accordo con lo stolto, a volte l’ingiustizia prevale sulla giustizia. La giustizia dipende o non
dipende dalle circostanze?

L’errore dello stolto è un altro

13.10.22

Individuare il modo migliore per rendere il patto razionalmente giustificabile. Assoluta e relativa
dipendenza della giustizia dalle circostanze.
Come ne esce hobbes? L’altra volta il dubbio era: se il conflitto riguardasse il piano normativo o quello
empirico, ovvero un bilanciamento delle ragioni. Questo bilanciamento è piu sostanziosa quando dipende
da una totale dipendenza dalle circostanze o quando dipende dall’assoluta dipendenza dalle circostanze.

Bilanciamento delle ragioni: massimizzazione dei vantaggi e minimizzazioni dei rischi

Collocarci a questo piano ci permette di vedere la sensatezza dell’obiezione di Hobbes allo stolto.

Pg.118 e 119: piega l’infrangere i patti nel senso che tende alla distruzione chi li viola. Secondo Hobbes
questo rischio può essere minimizzato secondo Hobbes. Nello strato di natura, di guerra nessuno può
sperare di salvarsi dalla distruzione. la condizione di guerra e una condizione di perdurante instabilità.
Hobbes insiste sul grado di prevedibilità e preventivabilità. In questa

Hpbbes sostiene che tu i rischi li prevedi male (errore nel calcolo dei rischi, ti sopravvaluti), tu sai
sicuramente che c’è il rischio della sfiducia nel momento in cui rompi un patto. C’è lo stolto silente e lo
stolto loquace. Quello loquace confessa che non ci si puo fidare di lui.

Ammesso che non sia un conflitto normativo, ma si colloca al livello delle Diverse computazione dei

A questo livello Hobbes afferma che c’è un rischio certo, c’è un rischio perché se non rispetti i patti gli altri
non si fideranno di te, la sfiducia acquisita, e poi la scarsa possibilità di determinare se veramente il tuo
vantaggio sia quello che tu a tutta prima reputi un vantaggio. Nel momento in cui violi un patto: sfiducia e
errore di calcolo.

Alcuni riterranno che L’uomo hobbesiano ha gia tutte le capacità morali, nella tradizione inglese si andra
contestando l’essere umano hobbesiano. Hume andrà offrendo una concezione in cui fa capolino lidea di
una reciprocità, la capacità di leggere l’altro. Alcuni interpreti sostengono che non è stato interoretato bene
lo stato di natura hobbesiano, secondo loro c’è piena socialità, nello stato di natura c’è piena giustizia.

Qua hobbes parla presuppone una capacità che non puo darsi per scontata: la capacità di vedere e leggere
l’altro e leggerne le aspettative, quell’elemento di empatia che ti fa apprendere prima che infondo
l’ingiustizia non conviene. C’è un unico modo per giustificare il patto. Questo patto potrebbe essere inteso
come un inspessimento della ragione pratica di una ragine al plurale, non individuale. Le leggi della natura
sono finalizzate a qualcosa che riguarda il presente: la creazione di una piattaforma di socialità stabile.

Distinzione tra giustizia e ingiustizia:

Foucault distingue Soggetto e condotte, distinzione tra azione e carattere

Hobbes dice che un conto è l’attribuzione del giusto a una persona, un’altra è l’attribuzione del giusto a
un’azione. Distinzione tra Giusto come carattere e giusto relativo alle azioni

Qua si va sulla giustizia commutativa e la giustizia distributiva: distinzione decisiva in tutta la modernità e
del 900.

Diverse leggi di natura.

Pagina 128: distinzione decisiva.

La regola aurea: sarà oggetto degli strali kantiani, non dà nessuna indicazione. Hobbes dice che tutte queste
leggi di natura possono essere sintetizzate nella regola aurea.

Punto di fuga nella modernità: foro interno e foro esterno

Riflssione sulla legge civile

Quella concezione di giustizia relativa all’essere umano e


Capitolo 17

Lo stato.

Il fine dello stato non è migliorare o realizzare programmi, ma dare termine alla condizione di guerra.

Grande attacco alle metafore della socialità naturale.

L’uomo è un animale sociale secondo Hobbes? No.

Il punto è che il desiderio mimetico, l’instabilità psicologica determinano situazioni di incertezza.

Di conseguenza trasferire tutto il loro potere ad un solo uomo o ad una sola assemblea di uomini. Noi
autorizziamo una persona di avere voce in capitolo su quello che si dirà.

“do autorizzazione… azioni” formula centrale.

Rinuncia quais totale al diritto sulle cose, ogni cittadino trasferisce le sue volontà al sovrano.

Distinzione del rapporto tra i diversi contraenti e il soggetto che riceve il trasferimento, cioè il beneficiario.
L’oggetto del contratto è il diritto di governare sé stessi. Rinunciamo al nostro diritto di governare noi stessi,
il beneficiario è qualcuno che non contrae con noi.

Generazione del grande leviatano. È un regime inter-pattizio di ogni uomo con ogni altro.

Sovrano e sudditi.

Questo patto introduce l’esercizio legittimo della forza.

Se saltano i naturali modi di coordinazione: se non sai se fidarti di qualcuno, calcolare ogni volta se
stringere un patto ci conviene o no, vivere in una costante incertezza che l’altro non rispetti il patto: la vita
in questa condizione diventa un’inquietudine costante.

Serve un’autorità che stabilisce delle punizioni nel momento in cui non si rispettano i patti. Non conviene
piu violare i patti, l’ingiustizia personale è inferiore alla giustizia pubblica.

12.13

Il patto è un problema di coordinazione di noi stessi con gli altri. Ci serve una stabilità delle condotte che
permetta il ragionevole conseguimento dei miei piani

Lo stato permette la stabilità interazionale. Vigila sul fatto che ciascuno rispetta i propri compiti. Istituzione
dello stato come risoluzione del problema di coordinazione.

Il sovrano decide cio che è giusto e ciò che è sbagliato.

Istituzione della proprietà è interamente del sovrano.

Funzione giusdizionale

Fare guerra agli altri stati


14.10.2022
Da pagina 145 a 151 vanno aggiunte al programma.

Capitolo 26: le leggi civili


Che tipo di concezione della legge abbiamo ereditato? Ieri abbiamo parlato dell’intreccio tra Foro interno e
foro esterno, condotta e carattere.

Lo stato di natura è impiantato sul foro interno: c’è una predisposizione a compiere la giustizia ma l’uomo si
auto-inganna. Il problema non è tanto quello di un conflitto normativo tra due principi ma di un
bilanciamento delle ragioni rispetto al quale l’uomo può commettere degli errori, tra massimizzazione dei
vantaggi e minimizzazione dei rischi.

È un patto impegnativo che ci porta a rinunciare tutti i nostri diritti, ciò che si ottiene in cambio è l’assenza
dello stato di guerra e si ottiene la pace che è il perdurare dello stato di stabilità.

Perché il sovrano dev’essere assoluto? (Assoluto nel senso che è svincolato da qualsiasi forma di autorità e
giudizio a lui superiore). Il massimo coordinamento delle azioni si ottiene quando la fonte ultima
dell’autorità è una e in qualsiasi campo della vita politica e civile si sia capaci di individuare la fonte, per cui
se abbiamo ragioni di prim’ordine per fare una certa cosa, queste entrano in contrasto tra di loro, le ragioni
di second’ordine dell’autorità subentrano a decidere per noi. Noi non abbiamo più il compito di decidere
cosa fare e cosa non fare, questa legge dev’essere chiarissima quindi, non dev’esserci nessun dubbio. Se il
problema è la coordinazione delle azioni, se lo Stato serve a garantire una piattaforma interazionale che
garantisca certezza, questa dev’essere indubitabilmente una. Non dev’esserci una situazione in cui c’è una
legge ma la interpretano i giuristi.

Il sovrano è ciò che determina la giustizia, non può essere ingiusto secondo Hobbes. Superato lo stato di
natura dove giusto e in giusto non hanno luogo, nello stato civile le condizioni sono stabili ma giusto e
ingiusto sono determinate dalle leggi positive, è lo stato che decreta ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.

Approfondisci contesto storico 600, Cromwell. Foucault: Passaggio dal potere pastorale della chiesa al
potere panottico della governalità, quando lo stato si è convinto che può entrare nella vita privata delle
persone (con Bentham).

La giustizia esiste nello stato di natura, il problema è che è una giustizia estremamente precaria e carica di
incertezza perché possiamo aderire e disdire i patti. La giustizia è riassunta nella terza legge universale e
dalla regola aurea. I rapporti di giustizia da dove nascono? La giustizia viene dal fatto che gli individui si
auto-obbligano nel rispetto ad un patto che consiste nella rinuncia volontaria ad un diritto e mi impegno a
non funzionare da impedimento.

Capitolo 26

Concezione del diritto di Hobbes.

Pagina 254: punizione e ricompense.

Che cos’è la punizione? È un concetto che abbiamo anche noi ma la chiamiamo sanzione. Las punizione è
un male inflitto dall’autorità pubblica

Gli eredi di Hobbes, i positivisti non saranno d’accordo con Hobbes su questo punto.
La punizione per Hobbes è un male esterno inflitto a.

Noi non ci impegniamo mai ad autorizzare qualcuno a danneggiarci. La fonte del diritto di punirci non viene
da un’autorizzazione dei contraenti. Il diritto di punirci non trae legittimità dal patto.

La sanzione

Capitolo 27 capoverso 1,2,3,4

Differenza tra peccato e crimine.

Peccato è violare la legge

Crimine è un pecc

Nulla poena sine legge (nessuna pena senza legge). È crimine solo ciò che la legge prescrive o vieta. Non
posso punire senza legge. In certi regimi punisco anche senza che una legge lo prescriva.

L’ignoranza della legge non ammette ignoranza.

Capitolo 26

Tradizione forte che viene recuperata: quod principi a: cio che piace al principe è …

Questa teoria, la legge come comando, viene rinvenuta genealogicamente qui con Hobbes

Solo lo stato puo fare leggi

1. Parte una tradizione che per noi è di immediata comprensione, al tempo non era così: il legislatore
è il sovrano, chi fa le leggi è il sovrano. Schmitt qui dice che è personalismo: lo stato è una
macchina.
2. Il sovrano non è soggetto alle leggi civili: sovranità assoluta. il sovrano le fa le leggi, ma non si deve
sottomettere ad esse. È qualcosa che è ancora vero adesso. Oggi la sovranità risiede nel popolo e
nel complesso istituzionale che incarna, il massimo esercizio della sovranità si incarna nella
Costituzione. Noi possiamo votare qualcuno che cambi la costituzione. L’esercizio della sovranità
oggi è fortemente procedurale. Nel rispetto delle procedure indicate dalla costituzione, essa è
emendabile. È questo un problema fondamentale della filosofia politica. Chi si vincola può auto
svincolarsi. Il sovrano ha il potere di far abrogare le leggi, può liberarsi quando vuole. Nel medioevo
questo era impensabile perché c’erano molte fonti del diritto oltre quelle della sovranità.
Conflitto tra diritto sovranazionale e diritto nazionale.
3. Perché Hobbes dice questo? Perché è un problema per Hobbes? Al tempo di Hobbes la
consuetudine era legge, era una fonte del diritto. Hobbes vuole dimostrare che la consuetudine
non è per sé fonte di diritto. Le consuetudini erano pesantemente normative. Erano cose inscritte
nei costumi della gente.
4. La legge di natura e
Il sovrano non fa che rendere obbligatoria e certa la legge di natura. Hanno la stessa estenzione
legge naturale e leggi civili.
Le leggi civili limitano il diritto naturale e dicono come farlo.
5. Kk
6. 222 a 225 c’è una polemica tra Hobbes e i giuristi
Hobbes dice I giuristi rientrino nel proprio ruolo. L’opinione dei giudici era una fonte del diritto.
Hobbes dice che non è così. Le opinioni di chi che sia no hanno valore di vincolo come la legge
sovrana.
7. Hobbes se la prende con uno dei piu importanti giuristi del tempo. è vero che la legge dev’essere
interpretata ma non da voi giuristi, bensì dal sovrano.
Che cos’è il giudice? È la bocca della legge. I giudici ventriloquano la vplonta del sorano ma non
fanno la legge. La ragione che interpreta la legge è del sovrano non dei giuristi. Al tempo erano una
elitè importantissima i quali ritenevano di poter interpretare la legge. Li sta destituendo da un
potere che li aveva resi l’elitè più importanti del tempo.

Pagina 122

Distinzione tra giustizia commutativa e giustizia distributiva:

 Giustizia commutativa: è la giustizia dei contraenti, consiste nell’adempimento di un patto, nella


restituzione di quanto ricevuto o del suo equivalente, secondo un principio di reciprocità, e
riguarda tipicamente l'area della cooperazione volontaria tra gli individui.
 Giustizia distributiva: riguarda l’equità della ripartizione in una comunità politica dei beni materiali
e morali.

A questo punto Hobbes elenca delle altre leggi di natura che si vanno a sommare alle tre precedenti:

. Quarta legge di natura: la gratitudine.

La gratitudine dipende da una grazia antecedente, cioè da una libera donazione antecedente.

Un uomo che riceva un beneficio da un altro per pura grazia, si deve sforzare affinché il donatore non abbia
alcun ragionevole motivo di pentirsi della propria benevolenza.

. Quinta legge di natura: la compiacenza (o reciproca disponibilità).

Ognuno deve sforzarsi di adattarsi agli altri. Coloro che osservano questa legge possono essere chiamati
socievoli, quelli che le sono contrari insocievoli, riottosi, intrattabili.

. Sesta legge di natura: la facilità a perdonare.

Previa garanzia per il futuro, un uomo deve perdonare le offese passate di coloro che, pentendosi, lo
richiedono.

. Settima legge di natura: nella vendetta gli uomini tendano conto solo del bene futuro.

Nelle vendette gli uomini non debbono guardare alla grandezza del male, ma alla grandezza del bene che
ne deve nascere.

. Ottava legge di natura: contro gli oltraggi.


Oltraggio è manifestare odio o disprezzo per qualcuno con atti o parole.

. Nona legge di natura: contro la superbia.

Ognuno deve riconoscere l’altro come uguale a sé per natura.

. Decima legge di natura: contro l’arroganza.

Nell’entrata nello stato di pace, nessuno può richiedere di conservare un diritto che vorrebbe non fosse
concesso agli altri. Tutti godono degli stessi diritti, c’è un’uguaglianza.

. Undicesima legge di natura: l’equità.

Colui che fa da giudice tra uomo e uomo deve fare eguali ripartizioni tra loro. L’osservanza di questa legge,
dell’eguale distribuzione a ciascuno prende il nome di equità e di giustizia distributiva, la violazione della
medesima accettazione di persone (parzialità).

. Dodicesima legge di natura: uguale uso delle cose comuni.

Le cose che non possono essere divise debbono essere godute in comune.

. Tredicesima legge di natura: ricorso alla sorte.

Ci sono cose che non possono né essere divise, né essere godute in comune. Di queste se ne stabilisce il
diritto o il possesso facendo ricorso alla sorte. La sorte può essere: convenzionale o naturale.

Convenzionale è quella concordata dalle parti in lizza

Naturale è o la primogenitura o la priorità nell’acquisizione di possesso. Dunque, le cose che non possono
né essere godute in comune né essere divise, vanno o al primo possessore o al primogenito.

. Quattordicesima legge: primogenitura e priorità nell’acquisizione di possesso (vedi sopra)

. Quindicesima legge: i mediatori (di pace).

. Sedicesima legge: sottomissione all’arbitrato.

Coloro i quali abbiano una controversia sottomettano il loro diritto al giudizio di un arbitro.

. Diciassettesima legge: nessuno è giudice di sé stesso.


. Diciottesima legge: giudice non può essere nessuno che abbia una causa naturale di parzialità.

. Diciannovesima legge: la testimonianza.

Un’unica regola nella quale sono riassunte, all’incirca, tutte le leggi di natura è la cosiddetta regola aurea:
non fare a un altro ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso.

Il problema delle leggi di natura nello stato di natura è che esse obbligano soltanto in foro interno, cioè
nella coscienza. Esse vincolano a desiderare che abbiano effettuazione. Ma non obbligano sempre in foro
externo, cioè al porle in atto. Mantenere le proprie promesse quando gli altri non lo fanno infatti, piuttosto
che preservare la nostra natura come le leggi di natura vorrebbero, ci rende solo una preda degli altri
uomini e porta alla nostra rovina.

Ogni legge vincolante in foro interno può essere infranta non soltanto da un’azione contraria alla
medesima, ma anche da un’azione ad essa conforme dove l’uomo che la compie la ritenga contraria.
L’uomo che disprezza in foro interno la legge si dice disonesto.

Condotta e soggetto (azione e carattere), foro interno e foro esterno.

Hobbes sta dicendo che noi possiamo secondo un’antica tradizione portare l’essere umano ad essere giusto
nel suo carattere, portalo a desiderare di compiere sempre azioni giuste. Il rischio è che

Il problema è di tipo computazionale, l’essere umano può essere istruito a essere giusto e avere una
tendenza alla giustizia, ma l’uomo non sa fare i calcoli e illudendosi di star commettendo un’azione giusta
sta compiendo un’azione ingiusta. Se guardiamo al problema di giustizia non bisogna farne un problema
interno. Hobbes ci sta dicendo che la giustizia che garantisce la stabilità dei patti ha a che pace solo con il
foro esterno. C’è un rapporto chiastico tra lo stato di natura e lo stato civile. Nello stato di natura le leggi di
natura sono applicate solo in foro interno. Lo stato civile non fa altro che: trasportare la questione da un
problema di foro interno a un problema di foro esterno ovvero lo stato civile rende vincolanti le leggi di
natura in foro esterno, estro ietta le leggi di natura. Che rapporto c’è tra leggi di natura e leggi civili? Nei
contenuti sono identici. Il diritto positivo che il sovrano introdurrà con il suo potere è identico nel
contenuto. Il potere autoritario ci fa il favore di sgravarci dalla necessità di essere buoni, perché ci costringe
ad esserlo. Ci sgrava dal peso di dover calcolare ogni volta qual è il rapporto tra costi e benefici, rischio e
vantaggio. Si va trasformando la nozione di condotta ingiusta, non è qualcosa che riguarda il foro interno.
L’azione giusta non deve essere intesa più come l’azione che è considerata un dovere intero, è un dovere
esterno. Se commetto un reato non sono cattivo (ingiustizia in foro interno), ma sono un colpevole. Lo stato
deve formare un cittadino che desidera il bene o il cittadino che rispetta la legge, perché ha paura? Allo
stato interessa solo che la condotta sia conforme alla legge, non sia contraria alla legge.

Capitolo sedicesimo: “persone, autori” e cose impersonate


Persona: è colui le cui parole o azioni sono considerate o come sue o come rappresentanti delle parole o
azioni di un altro o di qualunque cosa vengano attribuite.

o Persona naturale: quando le parole o azioni sono considerate sue proprie


o Persona artificiale: quando le parole o azioni sono considerate come rappresentanti parole o azioni
di un altro.

Distinzione tra attore e autore:


L’attore è la persona artificiale le cui parole o azioni rappresentano le parole o azioni di chi le riconosce.

L’autore è colui che riconosce come proprie le parole o azioni di un altro, di un attore.

Una moltitudine di persone diviene una sola persona, quando gli uomini che la costituiscono vengono
rappresentati da un solo uomo o da una sola persona e ciò avviene nel consenso di ogni singolo
appartenente alla moltitudine. Infatti, è l’unità di colui che rappresenta che rende una la persona. Noi
siamo autori di una trasmissione di diritti. Trasferiamo i nostri diritti nelle mani di un'unica persona che ci
rappresenta.

Terza parte: lo stato


Capitolo diciassettesimo: cause, generazione e definizione di “stato”

17.10.2022
John Locke è considerato uno dei padri dell’empirismo e del liberalismo, è stato inoltre uno dei più
menzionati riguardo la convivenza delle religioni. Locke dà adito a interpretazioni opposte. Fa della legge di
natura il perno dello stato di natura, ma essa è fortemente limitata. Sono visioni inconciliabili. È considerato
il filosofo della gloriosa rivoluzione, della restaurazione morbida e parlamentare di un realismo regismo
Whig.
Elementi cardine della filosofia di Hobbes: natura umana come natura presa da due opposte tendenze, tra
passioni (scelgono la guerra) e corretto ragionamento (ricerca la pace). C’è un’eguaglianza naturale tra gli
esseri umani sia per quanto riguarda le caratteristiche fisiche che mentali, quella di Hobbes è una filosofia
atomistica. Hobbes pone l’individuo al centro della teoresi politica. L’individuo al centro della politica e della
società è una delle caratteristiche centrali del liberalismo. L’entità di base della politica è oggetto di contesa
dalle diverse correnti di pensiero. Secondo Hobbes è l’individuo per questo la sua filosofia si dice atomistica.
Nello stato di natura l’essere umano ricerca la conservazione della vita e utilizza il potere per raggiungere
questo fine. Il potere: qualsiasi sia il mezzo che gli consenta di preservare la vita (power after power). Potere
che consenta il fine ultimo, la conservazione della vita. In Hobbes non c’è la dipendenza della razionalità
umana dalla legge divina, questo in Locke non è chiaro.

Locke è considerato il padre del liberalismo moderno. D’altra parte, alcune interpretazioni lo vedono come
il rappresentante di una tradizione tardo medievale. Rappresentante di un liberalismo di ascendenza
medievale. Locke sarà colui che animerà la rivoluzione americana, la quale sarà una rivoluzione
costituzionale. Difenderà la costituzione inglese contro gli abusi del governo monarchico del tempo.
Abbiamo dunque due Locke: il Locke radicalmente innovativo (Locke liberalista) contro un Locke che rivive
e difende una tradizione. Qual è la differenza tra il liberalismo moderno (fondato su diritti individuali,
liberalità, libero arbitrio, diritto di proprietà) e il liberalismo di ascendenza medievale?

Secondo trattato sul governo: saggio concernente la vera origine, l’estensione e il fine del governo
civile.
Capitolo 1
Si spiega di cosa si è parlato nel primo trattato. Nel primo trattato Locke smentisce la teoria di Robert
Filmer, il quale sostanziava il potere autocratico della monarchia assoluta, monarchia ereditata da Adamo
ed Eva. Locke pensa una complessa smentita del patriarca di Filmer. Locke è molto usato dalle filosofe
femministe perché sostengono che si trovi nutrimento su alcune posizioni rispetto al contrattualismo alla
fondazione dello stato e dell’autorità.

Filmer sosteneva che il fondamento della autorità politica, sovrana, fosse da trovarsi nei rapporti privati
della famiglia. Il fatto che il capo famiglia, il pater familia, avesse autorità sui membri della casa.

Paragrafo 3: Per potere politico intendo il diritto di fare leggi che contemplino la pena di morte e di
conseguenza tutte le pene minori, in vista di una regolamentazione e conservazione della proprietà e il
diritto di impiegare la forza della comunità nell’esecuzione di tali leggi e nella difesa dello stato da attacchi
esterni. Tutto questo soltanto al fine del pubblico bene.

Il secondo trattato si apre con questo paragrafo che inizia con la definizione di potere politico e l’elenco dei
suoi obiettivi.

Noi oggi siamo abituati a distinguere proprietà e possesso. La proprietà è una relazione tra di noi che
consente a me di fare certe cose con i miei beni che gli altri non possono fare. Il possesso è diverso. Il
concetto di proprietà di Locke è ambiguo. Non si capisce se la proprietà di cui parla Locke è un concetto
innovativo o tradizionale.

2 Modi di intendere la proprietà:

1. Proprietà privata
2. Beni comuni

Gli inglesi credevano che le istituzioni dovessero integrarsi con il luogo. Mandarono delle truppe di
esploratori in Gana per vedere come si comportano lì rispetto al diritto. Abbiamo due concezioni della
proprietà completamente diverse:

1. Proprietà privata: la concezione della proprietà degli inglesi era simile a quella del diritto romano.
Res nullius: Se una cosa non appartiene a nessuno allora è mia. Gli inglesi vanno in esplorazione in
Gana e vedono che un bacino idrico, che si trova in mezzo a due popolazioni africane, non è di
nessuno, dunque ritengono sia lecito appropriarsene.
2. Beni comuni: dall’altra parte la concezione della proprietà delle popolazioni africane era più simile
alla concezione della proprietà medievale. Non sono l’acqua e la terra che appartengono a noi, ma
siamo noi che apparteniamo a loro. Quindi siamo noi che ci regoliamo e capiamo quanto possiamo
prenderne e quando, in base alle dinamiche dell’acqua e del terreno. Loro non avrebbero mai detto
questo “è nostro” ma bensì avrebbero detto gli apparteniamo. Non c’era la proprietà di certi beni
comuni, quel fiume era un bene comune ed era così amministrato.

Se dunque, come abbiamo visto, il concetto di proprietà è molteplice, cosa intende Locke quando utilizza
questo termine?

Inoltre, da questo paragrafo deduciamo che secondo Locke lo stato fa due cose: difende la proprietà con
mezzi coercitivi e difende la comunità da attacchi esterni. Lo stato opera fondamentalmente per
coercizione: c’è il diritto di morte e di comminare sanzioni.

Questa concezione dello stato la ritroviamo oggi solo nelle posizioni di destra liberista, la quale sostiene che
lo stato ha pochi e chiari compiti. Lo stato poliziotto. Qui c’è una prima concezione in tal senso. Lo stato
oggi è qualcosa di ben diverso. Raccoglie i soldi delle tasse, li ridistribuisce, sceglie come tassare e chi
tassare, se vuole promuove certi indirizzi di salute piuttosto che altri. Lo stato oggi fa tutto, satura le nostre
vite. Lo stato è diventato tentacolare, decide tutto sulla mia vita. Locke aveva questa concezione perché al
tempo lo stato faceva altro.

Capitolo 2: dello stato di natura

Hobbes non è criticato esplicitato da Locke, ma è un evidente convitato di pietra.

Differenze tra lo stato di natura hobbesiano e lo stato di natura di Locke: Innanzitutto, è differente
l’impostazione del discorso. Hobbes prima descrive in modo meccanicistico come funziona l’essere umano,
fa riferimento in particolare alle passioni che ci spingono a compiere delle azioni cieche e sorde, poi ci
spiega come si correggono e come si può condurre piuttosto un giusto ragionamento, poi spiega come vive
l’essere umano in una condizione in cui c’è il diritto naturale (libertà di fare tutto su tutti) e la legge di
natura (ciò che limita questa libertà senza limiti). Locke non procede in questo modo perché opera con
intenti diversi.

Per Locke lo stato di natura, seppur è uno stato di libertà, non è uno stato di licenza. Ciò significa che la
libertà di cui godiamo nello stato di natura non è illimitata, non è la libertà di fare tutto per la propria
conservazione. Locke sta dicendo a Hobbes: Legge di natura e diritto naturale non sono in conflitto. Non è
vero che il diritto naturale da licenza a tutto. Secondo Locke l’essere umano non ha la libertà di farsi del
male o fare del male agli altri. Questa non libertà su cosa si fonda? Sulla ragione. La ragione, se
correttamente utilizzata, ci impedisce di fare danno a noi e agli altri. Essa coincide con la legge di natura.

Distribuzione eguale delle qualità, queste qualità sono eguali perché ce le ha fornite il creatore.

20.10.2022

Il conflitto tra diritto naturale e legge naturale, per Locke, non è così significativo.

Discorso sul fondamento. Il fondamento è quella base che però deve poter godere di dimostrazione. Tutta
la grande tradizione della filosofia tedesca del Novecento sarà una filosofica della fondazione ultima.
Davanti ad una posizione filosofica bisogna individuare il fondamento, ovvero quel punto di partenza che si
irradia su tutto il resto della filosofia che non può avere il carattere di indimostrato. Su cosa si fonda la
posizione dei vari autori? Schmitt farà del fondamento il problema della politica. Dirà che il fondamento
non c’è. E dira che Hobbes è il filosofo del fondamento sfondato. È un fondamento che sa che non si regge
su nulla. Ma sa che allo stesso tempo non si può rinunciare ad esso. Il fondamento hobbesiano è pieno di
presupposti, il suo sforzo è di lavorare su un fondamento che abbia natura di dimostrabilità. Il fondamento
è la leva, tale che non può essere un indimostrato. Il fondamento hobbesiano ha natura empirica, si espone
a tutte le limitazioni dell’empiria. Una delle linee principali della nostra riflessione è proprio questo
fondamento antropologico, antropologico nel senso di individuazione delle caratteristiche dell’essere
umano che fondino una filosofia. Il fondamento di Hobbes è tale che la sua filosofia è una descrizione
minuziosa delle condizioni entro cui.

 Secondo Locke dato che siamo tutti uguali e indipendenti nessuno deve recar danno.
 Hobbes dice l’opposto, dato che siamo tutti uguali e indipendenti, tutti possono recare danno ad
ogni altro.
Il fondamento di Locke sembra non reggere. Egli afferma nel paragrafo 6 che: Dio ha fatto tutti gli esseri
viventi uguali e indipendenti, forniti delle stesse facoltà e della stessa natura. Di conseguenza nessuno deve
recare danno agli altri perché non si può presupporre alcuna subordinazione fra gli uomini tale da
autorizzarli distruggersi l’un l’altro. Ma dietro a Dio cosa c’è? Quando Locke scrive “Dio” pensava proprio a
dio o pensava a qualcos’altro? Di cosa è simbolo Dio?

3 elementi:

 “Siamo tutti uguali quindi…” qui non vediamo il perché dovremmo essere tutti uguali,
l’argomentazione non regge
 “Il creatore è onnipotente, ci ha fatti tutti uguali perché…”
 “Essendo forniti delle stesse facoltà e partecipando tutti di un eguale natura, non si può presuppore
una subordinazione tra noi, come se fossimo creati gli uni ad uso degli altri” Questo non è
esattamente quello che diceva prima perché qui l’elemento focale è l’uso. Il non poter fare
dell’essere umano un utilizzabile è un terzo tipo di fondazione, sarà la dignità umana.

Il punto determinante è che Locke ci annuncia qual è il suo problema determinante, che alligna nella legge
di natura nello stato di natura. Per Hobbes il problema nello stato di natura è il fatto che non c’è un potere
sovraordinato che faccia rispettare la legge di natura. Il problema che lo stato civile risolverà per Locke
invece è dato dal fatto che c’è una giustizia che si dà come un oggetto conoscibile. In Hobbes la giustizia c’è
ma non si può porre perché è dipendente dalle circostanze che possono variare anche da individuo a
individuo. Il problema di una giustizia è che o abbiamo un’universalità tale che mi fa dire questa è la
giustizia, o abbiamo una giustizia relativa alle circostanze. In Locke dev’esserci una giustizia generale tale da
non dipendere dalle circostanze, tutti sanno qual è la stessa giustizia, tutti si impegnano nel perseguirla. Su
cosa fonderà Locke questa giustizia?

 Per Hobbes la giustizia è relativa e dipende dalle circostanze.


 Per Locke la giustizia è assoluta e ognuno può stabilire cos’è giusto indipendentemente.

L’esistenza di una giustizia assoluta verrà postulata da Locke attraverso la dimostrazione della proprietà in
natura, dunque la dimostrazione che esiste il mio e il tuo in natura. Per Hobbes il mio e il tuo nello stato di
natura non esiste, tutto è mio. Per Locke il diritto di natura contempla l’esistenza di una proprietà, che non
deriva dall’instaurazione di un potere coercitivo.

Il problema che risolve lo stato civile, per Locke, non è di natura legislativa. Secondo Hobbes invece serve
un legislativo, il sovrano pone la legge, la fa applicare e la interpreta. In Locke non c’è un problema di
ordine legislativo/giudiziario ma di ordine esecutivo, la legge è già presente nello stato di natura. Ma c’è un
problema di applicazione della legge. In Locke c’è la chiara esistenza di un criterio. C’è un criterio accessibile
a chiunque voglia ragionare (per Hobbes non c’è un criterio universalmente vincolante che ci permette di
stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato sempre, perché per Hobbes la giustizia dipende dalle circostanze).
Hobbes dice che se ragionate come si deve capite che dovete rispettare i patti, ma allo stesso tempo egli è
contraddittorio perché nello stato di natura c’è un’erronea valutazione delle circostanze nel soggetto, c’è
un problema di ordine computazionale. Però per Locke c’è un criterio di natura oggettiva, secondo il quale
l’unica motivazione per cui qualcuno può fare del male a qualcun altro è di raddrizzare un torto o
prevenirlo.

L’aggettivo che qualifica l’essere umano secondo Locke è ragionevole. Concetto di ragionevolezza.

Nel Novecento c’è il conflitto tra ragionevole e razionale.

L’essere umano razionale ragiona secondo termini di razionalità strategico-prudenziale. L’essere umano di
Hobbes è razionale.
 L’ontogenesi della giustizia in Hobbes: rinuncia→ dovere → giustizia è rispettare il dovere,
ingiustizia è contravvenire al dovere.
 L’ontogenesi della giustizia in Locke: La giustizia nasce nel momento in cui c’è un danno, la giustizia
diventa riparativa. La fonte non è l’auto obbligazione ma è oggettiva, è un danno. La giustizia è
retributiva e riparativa in Locke. Retributiva perché tu mi hai fatto un danno e io te la faccio pagare.
Riparativa perché io richiedo la riparazione di quel danno. Nello stato di natura si può impartire un
torto solo a chi torto ha commesso. L’ossessione di Locke sono i beni. Inizia una concezione
proprietaria della vita.

Sorge il problema della commensurabilità della pena. Per Locke la ragionevolezza ci dona tante cose,
possiamo punire se riceviamo un torto in senso retributivo e riparativo. Si raggiunge un equilibrio in cui
realizzi che se fai qualcosa subisci un danno di pari entità.

Qual è l’elemento che determina l’instabilità nello stato di natura? E questo problema è condizione
necessaria o sufficiente per l’uscita dallo stato di natura? (Differenza tra necessaria e sufficiente: necessaria
vuol dire che serve, sufficiente vuol dire che basta quello).

Emergono due problemi:

1. L’uomo non può essere giudice della propria causa (necessario e non sufficiente)
2. La misura del danno (necessario e non sufficiente)

Sono la stessa cosa? Sono condizioni necessarie e sufficienti? Qual è la ragione per la quale dobbiamo
passare dallo stato di natura allo stato civile? Perché non è sufficiente il primo punto? Locke deve
aggiungere il secondo, insieme sono condizioni necessarie e sufficienti (giudice della propria causa più
misura del danno)

3. Non abbiamo un criterio per l’esecuzione della pena

L’esser giudice della propria causa non è un problema strutturale, il problema non è che manca un
giudice. Siccome manca un giudice, spinti da passioni, noi puniamo troppo. Il perno strutturale dello
stato civile è la giusta misura della riparazione, della punizione.

Dunque, i problemi dello stato di natura che determinano la necessità del passaggio allo stato civile
sono i seguenti:

Premessa: ogni uomo nello stato di natura ha il potere esecutivo della legge di natura. Il problema
sorge nel momento in cui un uomo deve punire qualcun altro che gli ha arrecato danno, l’amore di sé
infatti renderà gli uomini parziali nei confronti di sé stessi e dei loro amici e li porterà ad infliggere una
pena non equa ma esagerato. È qui che viene in soccorso, secondo Locke, il governo che saprà stabilire
le eque punizioni per i crimini commessi, affinché non ci sia ingiustizia.

Capitolo III. Dello stato di guerra

Un’altra differenza che distingue Locke da Hobbes è che per Locke lo stato di guerra è qualcosa di prodotto,
non naturale e originario. Non c’è una coincidenza tra stato di natura e stato di guerra. Si ha un passaggio
allo stato di guerra quando qualcuno tenta di conculcare la mia libertà.

Differenza tra stato di natura e stato di guerra. Contro-argomento a Hobbes. Secondo Locke lo stato di
natura non è uno stato di pace, ovvero di armonia come lo intendeva Rousseau, ma è una condizione in cui
la ragionevolezza funziona come criterio comune sicche non c’è bisogno di una condizione di applicazione
di regole e precetti come immagina Hobbes. C’è un criterio comune. Il problema dello stato di guerra sorge
nel momento in cui viene commesso un danno che riceve una riparazione eccessiva.
Problema dello stato di natura per come lo declina nei paragrafi 12- 13 e nel paragrafo 20.

Da come emerge nei paragrafi 12-13 e 20, nello stato di natura abbiamo 3 problemi:

1. Valutazione della misura


2. Parzialità
3. Stato di guerra

Nello stato di natura si può vivere? Si può vivere in uno stato di vita senza Stato? Lo stato di guerra fa
saltare i criteri. Fa saltare il criterio con cui si valuta il sistema di retribuzione e riparazione. Nello stato di
natura la stra valutazione della pena è un’opzione ampiamente possibile. Locke mette lo stato di guerra
dopo lo stato di natura. Dice che sono due cose differenti ma nello stato di natura ogni rischio potrà farlo
saltare per passare alla guerra. Lo stato civile ha la funzione di impedire lo stato di guerra.

Per Hobbes lo stato di guerra è l’incertezza perdurante. Per Locke invece il problema dello stato di guerra è
la valutazione del danno, l’individuo non si fa un giusto commisuratore di quello che è successo. Lo stato
civile non introduce la legge (come avveniva in Hobbes) ma diventa il giusto bilanciatore delle pene. La
legge non la fa lo stato, la legge già c’è: è la giusta misura del danno.

 Per Locke uscire dallo stato di guerra significa riuscire a godere di una condizione in cui io possa
essere sgravato dalle responsabilità di valutare il danno in maniera imparziale.
 Per Hobbes uscire dallo stato di guerra significa non dover stare sempre con il timore che qualcuno
mi possa far fuori, perché nello stato di natura tutti hanno il diritto a tutto su tutti.

Capitolo IV. Della schiavitù


La libertà è libertà dall’arbitrio altrui, l’arbitrio di chi decide e di chi impone limiti alla mia libertà. La
tradizione liberale è nata come libertà dall’arbitrio dello Stato.

Per Locke la libertà è libertà dall’arbitrio. Per Hobbes la libertà era assenza di impedimento. La legge di
natura secondo Locke comanda di essere ragionevole. Essere ragionevole obbliga alla reciprocità, che si
sappia leggere la misura delle proprie azioni. Se c’è uno stato, esso garantisce l’applicazione di un criterio
che appartiene alla legge di natura. Se lo stato si discosta da quella legge, quello è arbitrio. La legge è
inscritta nella natura. Per Hobbes la legge è la volontà del sovrano.

21.10.2022
Capitolo V. Della proprietà
Locke riconosce la comune proprietà del creato ma dice che da questa comune proprietà si arriva ad un
ineguale distribuzione dei beni. Locke dice quindi che la proprietà fa parte della legge di natura, che la
proprietà si trova in natura. Questo sarà l’attacco di Rousseau, che dirà che la proprietà è un furto, è
semplice ingiustizia.

Come giustifica Locke l’origine della proprietà? Ovvero dell’appropriazione di beni che erano stati dati da
Dio in comune a tutti gli uomini?

1. Comunanza dei beni


2. Appropriazione
3. Proprietà di sé (self ownership)
Due termini in opposizione: Comunanza dei beni e appropriazione. Tutto in origine appartiene a tutti, ma
poi ce ne appropriamo. Come giustificare quest’appropriazione? Bisogna partire da una proprietà più
originaria: la proprietà che ogni uomo ha della sua persona (self ownership). È una delle concezioni più note
e dibattute di Locke. Che c’entra la proprietà della propria persona con gli altri termini?

Locke si trova davanti ad un problema: se tutto appartiene a tutti, come mai nello stato di natura qualcuno
può dire questo è mio?

(27) Conflitto tra comunanza dei beni e appropriazione: viene risolto attraverso la proprietà di sé. Quello
che io faccio è mia proprietà. Questo problema della proprietà di ciò che faccio si lega al problema
dell’alienazione, io unisco il mio lavoro a quel bene: quel bene diventa mio. L’appropriazione avviene
tramite il lavoro, ovvero la trasmissione di qualcosa di mio (Kant: spiritello) con cui impasto qualcosa che
non è mio, e così diventa mio.

(28) L’uomo ha aggiunto qualcosa alle cose comuni. Perché io mi appropri di qualcosa nella comunanza dei
beni, devo avere l’approvazione e il consenso di tutti? Affinché tale proprietà sia legittima, c’è bisogno dello
Stato? C’è bisogno del patto perché la mia proprietà sia legittima? Locke afferma di no. È in opposizione con
Hobbes secondo il quale non c’è mio e tuo dove non c’è il patto. Secondo Locke non serve il consenso di
tutti per appropriarsi di qualcosa. È il lavoro che mi apparteneva e con cui ho tolto quei beni allo stato
comune in cui si trovavano che ha istituito la mia proprietà su di essi.

(29) Rousseau sosterrà qualcosa di sconvolgente sulla proprietà, il patto civile può tutto. L’ossessione di
Locke è trovare il limite prepolitico al politico. Ma perché Locke dice questo? Sta difendendo una società
senza Stato? Oppure in realtà vuole difendere l’idea di una costituzione che non può creare tutto ex novo?
Non c’è una rifondazione totale dal prepolitico al politico. Si implementano dei criteri. C’è qualcosa, io vi
aggiungo qualcos’altro e diventa mio. Il lavoro è l’aggiunta di qualcosa di mio a qualcosa che manipolo.
L’obiezione di Nozick: se lavo un pomodoro con l’oceano, posso dire che l’oceano è mio? Prendo due cose e
le lavoro, le manipolo, diventano mie?

(31) Locke introdurrà dei criteri limitativi. Alcuni diranno che Locke è una difensore della proprietà
capitalistica, appropriazione violenta e sfruttatrice. Locke afferma che la stessa legge di natura che ci dà le
cose, impone anche un limite alla proprietà di esse.

Condizioni limitative:

1. Ci sia appropri solo di ciò che sia necessario al sostentamento: con il proprio lavoro uno può
rendere di sua proprietà tanto quanto può usare a vantaggio della propria vita prima che si
deteriori. Quanto eccede questo limite, è più di quello che gli spetta e appartiene ad altri. Per
Hobbes questo non regge per due ragioni: scarsità dei beni e desiderio mimetico, i beni sono pochi
e vogliamo tutti le stesse cose. Locke invece va in senso opposto, dice che c’è tanta roba, goditi
quello che hai. I beni devono essere commisurati alle proprie necessità.
2. (27) (36) Si lascino beni sufficienti per gli altri.
3. Che questo passaggio avvenga sempre attraverso il lavoro individuale su questi beni, senza che si
verifichi spreco.

Le condizioni implicite, di possibilità, del ragionamento lockiano:

1. Abbondanza dei beni;


2. Che ciascuno si accontenti di avere quel tanto dei beni che sono ragionevolmente sufficienti al
godimento e al proprio sostentamento.

(33) Locke passa dalla lavorazione del bene, alla proprietà del pezzo di terra in cui questo bene si alloca.
(36) Problema dei possedimenti più ampi, la moneta.

(37) Locke insiste su una concezione del valore del lavoro (che è reale) rispetto al valore della moneta
(virtuale). Concezione che il lavoro aumenti la ricchezza comune.

(40) la 3 condizione limitativa si sostanzia con il riferimento a questo paragrafo. Condizione possibilitante
esplicita: i beni a nostra disposizione sono prodotti principalmente dal nostro lavoro. Implicitamente Locke
sta dicendo che stabilisce un rapporto necessario empiricamente tra lavoro (proprietà individuale) e
ricchezza. Siamo più ricchi perché c’è la proprietà individuale. Proprietà privata e ricchezza si sostengono
vicendevolmente perché il lavoro accresce il valore di un bene.

24.10.2022
Il fondamento del ragionamento di Locke: dalla proprietà di sé derivano tutti i diritti fondamentali (vita,
libertà e proprietà).

Polarità tra due interpretazioni di Locke: Liberalismo medievale e liberalismo moderno

Locke è per un governo limitato. Il limite è posto alla sovranità, la sovranità non ha mano libera su tutto
(diversamente da Hobbes, dove lo stato può tutto), ha dei limiti legati alla condizione dell’essere umano.
Questi limiti sono relativi a individui. La nozione di individuo fa ingresso nel capitolo sullo stato di natura in
Hobbes. L’eguaglianza di Locke è individuale, la proprietà di sé riguarda il proprio corpo e i prodotti del
proprio lavoro. Impianto individuale di limiti all’autorità che hanno origine in una situazione prestatale.
Nello stato di natura c’è una legge chiara (in Hobbes la legge non è chiara e non dà risposte univoche
perché è dipendente dalle circostanze) al punto che ciascuno di noi potrebbe fare da giudice in una
controversia, c’è una chiarità che permette l’applicazione di un criterio. Ma il problema è che c’è la
questione della misura del danno.

In Hobbes il potere politico è condizione di possibilità del perdurare della socialità. Condizioni di stabilità
del sociale, non sono condizioni che fanno esistere la socialità, la socialità esiste anche nello stato di natura.
Per Locke non c’è questo discorso, non c’è un rapporto di condizione e condizionato, la socialità è
prepolitica. Il potere politico si fonda su una questione giurisdizionale applicativo esecutiva, non legislativa.
La legge c’è già per Locke, per Hobbes non c’è, non è stabile. Ma se per Locke la socialità c’è, perché ci
serve lo Stato? Perché serve il contratto?

(87) Tre proprietà dell’individuo: vita, libertà e beni (proprietà). Vi è società politica solo nel caso in cui tutti
i membri hanno rinunciato a quel potere naturale e lo ha rimesso nelle mani della comunità. Lo stato di
guerra si può sempre presentare quando ci troviamo nella condizione di non riuscire ad appellarci alla
legge, dunque resta solo l’appello al cielo. Con la nascita della società politica non sono più io che devo
misurare l’entità del danno, la comunità diventa arbitra. Non c’è bisogno di uno. Il problema di Locke è la
definizione e la stabilizzazione delle punizioni rispetto alle colpe. La punizione per Locke è una forte spinta
motivazionale a che gli esseri umani seguano la legge, è questione di stabilità delle interazioni, io so cosa
devo fare quando subisco un torto perché c’è un giudice che applica una legge. Lo stato fissa le leggi,
stabilisce e stabilizza sanzioni, muove guerra e sigla paci per la conservazione della proprietà. Questa
concezione del potere avrà un grande impatto: lo stato poliziotto.

Lo stato di guerra è uno stato in cui io sono sollevato dalla mia ragionevolezza, mi muovo secondo il mio
arbitrio personale. Lo stato di natura/guerra è la libertà in Hobbes, io ho il diritto di uccidere anche il mio
aggressore, abbiamo entrambi diritti non compatibili, sono sullo stesso piano. Nello stato di guerra di Locke
l’individuo è esonerato dalla ragionevolezza, io ho un incremento del diritto perché posso non sentirmi
vincolato al rispetto della legge di natura (perché mi ha attaccato), l’altro non ha nessun incremento, ma
una diminuzione. Per Hobbes non c’è nessuna violazione di diritti, c’è la violazione di un dovere, di un’auto-
obbligazione.

Locke non abbraccia la tripartizione dei poteri. I poteri costitutivi del politico secondo Locke sono …,
esecutivo e il potere di fare guerra (non c’è il legislativo). In Hobbes il legislativo esprime una volontà, la
legge è la volontà del sovrano. In Locke il potere politico è la stabilizzazione di una serie di sanzioni che
consentono la tutela del privato a vantaggio di una commisurazione delle pene. Il potere politico non è
legislativo, ma ha la funzione di giudice. Il legislativo è inteso come stabilizzazione.

(91) Per quali motivi la monarchia assoluta (l’unico governo possibile per Hobbes) per Locke non è
compatibile con lo stato civile? Perché, essendo concentrato nelle mani di una sola persona, il potere non
si distingue in legislativo, esecutivo ecc. Per Locke questo è impensabile perché altrimenti il sovrano
rimarrebbe nello stato di natura (13). Per questo non può esserci uno solo che fa leggi, le applica e le
interpreta. Per Locke il sovrano non fa le leggi ma le rende più certe.

(94) Il problema dello stato di natura si verifica quando qualcuno compie un danno. Solo in quel caso
secondo Locke si passa allo stato di guerra, altrimenti viviamo in pace, non avremmo bisogno della legge
perché siamo individui ragionevoli. Noi il danno sapremmo misurarlo, l’unica ragione che Locke può fornirci
per il passaggio allo stato civile è che c’è sempre il rischio che per un eccesso passionale non ci sia
corrispondenza tra il danno e una punizione ricevuta. Nello stato civile invece c’è la garanzia di un’equa
punizione. A ciascuno è garantito che verrà giudicato con equità. Lo stato garantisce equità. È qualcosa di
diverso dalla sicurezza e dal godimento della vita. L’equità è una delle caratteristiche della giustizia
premoderna.

27.10.2022
Lettura manuale su Hobbes:

L’intento del manuale è quello di dimostrare che Hobbes traccia la dimensione concettuale della
democrazia contemporanea attraverso i concetti fondamentali di volontà e rappresentanza → eredità di
Rousseau. La possibilità dell’unità di un popolo sta nella sua obbedienza a una legge che è comunque voluta
da tutti → è con Hobbes che nasce il lessico della democrazia.

Però per realizzare questo c’è bisogno di una giustificazione del fondamento che giustifica il passaggio; il
manuale si concentra sul fatto che i cittadini devono essere messi in condizione di non avere dubbi. Insiste
sul come più che sul perché noi dovremmo accettare. Se insistiamo sulla domanda sul perché emerge il
problema del FONDAMENTO, che il manuale considera un atto di CREAZIONE delle condizioni della
possibilità di una volontà comune.

LOCKE:
Cos’è il contratto? È un dispositivo di giustificazione al meglio di un’ipotesi e al peggio di una finzione →
giustificazione di una finzione che non si dà in natura: quasi nessuno sostiene che il contratto si trovi in
natura, non esiste nell’intuizione di base dell’essere umano. Il contratto o è impossibile o non serve, ma poi
servirà come incaglio che è la leva di una dimostrazione concettuale. Qual è l’ossessione del pensiero
contrattualista? → Con il contratto si ha la creazione di qualcosa, è il sembiante di quello che viene
prodotto durante una grande produzione di pensiero: l’ossessione del contrattualismo è come si fa ordine.
L’ipotesi è che l’ordine abbia una condizione: il potere politico, un potere che sia istituente. La forza
istituente del politico è condizione di possibilità dell’ordine sociale. Parola chiave: EMERGENZA
DELL’ORDINE, che ha come condizione di possibilità l’istaurazione di un potere comune. Il potere istituisce
l’ordine. Da una parte stanno Hobbes e Rousseau e dall’altra Locke. Hobbes avanza il problema della
volontà comune creata con il potere politico istituente, ma per Locke ciò che costituisce la materia del
politico precede il politico.
La domanda diventa di GENESI, cosa viene prima? In primis c’è l’atto politico istituente massimo:
 Hobbes = patto con ciascuno e trasferimento diritti a qualcuno che sta fuori (prima del patto c’è il
nulla sociale),
 Locke = prima del politico c’è un ordine che ha iscritto in sé il proprio codice che manca non di
stabilità (come in Hobbes) ma della forza di auto imposizione.
Hobbes: il politico crea i propri contenuti e per prima cosa crea la volontà comune. Rousseau critica Hobbes
ma ne eredita la portata problematica. Locke: prima c’è l’ORDINE SPONTANEO, che non ha bisogno della
parola creatrice del sovrano. Quello che fa saltare la pratica è una mancanza di misura e di corretta
applicazione della misura. 2 grandi opzioni nella storia della filosofia politica: ordine spontaneo vs ordine
costituito. Spontaneo = iscritto nella capacità auto organizzativa degli attori vs potere imposto senza il quale
gli attori non hanno capacità di interagire, non puoi darti un ordine che non sia quello della volontà
comune.

Carattere ipotetico del contratto che è un dispositivo di giustificazione di una finzione, non c’è mai stato un
momento nella produzione di una volontà unitaria, non c’è mai stato un inizio. Non c’è mai stato un prima
ma dobbiamo immaginarlo per giustificare la nostra adesione al contratto. Nessuno ci ha posto nella
condizione di scegliere effettivamente ma dobbiamo immaginare ad un ipotetico prima che serve a
legittimare la necessità di un ordine. Se immagini un pre politico dominato da uno stato di guerra, è
naturale ritenere che un potere politico sia necessario al mantenimento di un ordine e della pace.

Capitolo VIII. Dell’origine delle società politiche

Parole chiave: ORIGINE, ORDINE, FONDAMENTO


(95) Poteri fondamentali dello stato: legislativo, esecutivo e poter fare la guerra. Legislativo in cosa consiste
a differenza di Hobbes? In Locke il sovrano non impone volontà unificatrice ma determina le giuste
punizioni ai reati. È tutto spinto sul potere applicativo del governo.
(96) Che vuol dire “poter agire come un solo corpo”? Agire solo in base alla volontà della maggioranza →
sarà un problema per Rousseau. Problema del “cosa fa della moltitudine un corpo solo”, come in Hobbes:
l’idea di un corpo solo è una finzione.
(99) Da dove viene l’ordine? Dal consenso di tutti gli uomini liberi.
(101) “Governo antecedente agli annali”: non c’è davvero un antecedente, il problema dell’origine è un
problema fittizio.
(106) Problema dell’intreccio di origine e fondamento dell’ordine: per Locke l’origine del potere politico è il
consenso degli esseri umani a costituire una società civile.
(112) Torna il problema della monarchia assoluta;
(113) Il governo deve essere un governo scelto? Per Locke si possono instaurare liberamente governi.
(116) “Non c’è patto che possa vincolare i propri figli”: problema che in Locke rimane irresoluto. L’adesione
al patto sta nel fatto che ci sono condizioni per l’amministrazione dei beni che riceviamo.
(119) Se il fondamento dell’ordine non ha origine perché ci troviamo sempre in un ordine politico, se il
fondamento dell’ordine politico è un’origine mai data, il problema del contrattualismo è: che cosa giustifica
la nostra adesione all’ordine politico? Che cosa giustifica la nostra obbedienza? Hobbes: si obbedisce
perché si è protetti → OBBEDIENZA E PROTEZIONE. Concezione democratica: obbedienza fondata su un
consenso; Locke: consenso quando siamo in condizioni di voler amministrare dei beni secondo le regole
determinate dallo stato civile.

Capitolo IX. Dei fini della società politica e del governo


(123) C’è una frizione fra il 123 e quello detto prima sull’uscita dallo stato di natura?
(124) Inefficienza ≠ insicurezza. Manca una legge stabilita ma in realtà manca la sua applicazione certa.
Le 3 ragioni e le frizioni sono fondamentali.
Il primo potere non c’è nella prima parte del trattato.
Legge di natura: sono limitato nella fruizione dei beni. Lo stato chiede di rinunciare alle cose di cui parla
Hobbes nello stato di natura (utilizzo della forza), MA nello stato di natura di Locke non c’è questo
problema; allora perché viene presentato quando si parla del contratto?
Ultime righe del par. 130: dove si giustifica la prosperità della società?

(4) differenza con il capitolo 9. La libertà non è quella di fare tutto per la propria conservazione, ma di fare
quello che vuoi con le tue cose senza l’arbitrio di nessuno.
(6) L’unica libertà incondizionata non è l’accesso a tutto; non possiamo distruggere noi stessi.
(7) Scenario diverso: nello stato di natura l’ordine spontaneo FUNZIONA. L’ordine prepolitico funziona. Il
problema è di EFFICIENZA VS INCERTEZZA ma non è l’incertezza hobbesiana che anima il meccanismo del
trasferimento dei poteri. Origine che non c’è (nel capitolo 9) → la scena si sposta sull’incertezza, sui malvagi
e noi rinunciamo alla libertà di proteggere. SCENARIO DIVERSO DALL’INIZIO, quando c’era efficienza
parziale di ordine prepolitico che funziona perché conosciamo la legge di ragione e siamo ragionevoli. Se il
bisogno dello stato di natura fosse quello di proteggerci poi quello lo trasferiamo allo stato MA non è quello
il bisogno dello stato di natura. Continuità fra recinsione e potere comune MA nei capitoli 6,7,9 l’ordine
prepolitico non funziona. Il problema è l’inefficienza o l’incertezza? Non applico bene una regola che
conosco o le regole sono inapplicabili? L’inapplicabilità è assoluta (come in Hobbes, perché cambiano le
condizioni e di volta in volta la regola per ciascuno può convenire o no, dipendenza della regola dalla
circostanza)?

Quindi abbiamo 2 Locke: ordine spontaneo prepolitico vs transizione di fase. Il Locke che individua regole di
fondo in grado di garantire una convivenza di pace secondo modalità iscritte nella ragione (quasi livello
della reciprocità) vs il Locke che sostiene la necessità di un passaggio radicale, in cui il prepolitico non esiste
perché non si può stare. Il prepolitico è ipotesi tecnica per avviare un ragionamento, irrealizzabile (come in
Hobbes) o c’è un prepolitico? Esite il prepolitico per Hobbes e Locke? Qual è il rapporto fra il prepolitico e il
politico? Rottura radicale (Hobbes) o continuità? In Locke ci sono entrambi: prima momento di adesione
spontanea all’ordine della ragione che anima il prepolitico e poi riconoscimento dell’impossibilità che si viva
in uno stato tanto incerto. Il potere politico instaura qualcosa di diverso nella sostanza? In Locke per certi
versi no (fondamento è protezione del bene ma gli elementi sono inefficienti quindi continuità) ma se non
pensiamo il prepolitico come funzionante c’è un salto. L’origine è creata con l’ordine o c’è un ordine?
Hobbes: senza ordine politico non c’è ordine. Locke è figlio di una tradizione che non ritiene il politico
dipendente dal prepolitico o il politico trascende lo stato di natura? Negli ultimi capitoli c’è una tradizione
moderna di potere politico che trascende il prepolitico. Senza politico siamo in guerra e la vita è destinata al
caos.
28.10.2022
Rousseau è un pensatore di svolta. È considerato da alcuni uno dei maggiori avversari della democrazia
liberale. Egli scrive il discorso sulle scienze e sulle arti (1750), il discorso sull’origine e i fondamenti della
disuguaglianza (1755), il contratto sociale (1762).

Al contrario di Locke e Hobbes, Rousseau non è un pensatore teoretico ma è un filosofo politico.

Il discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza: la prima intuizione di Rousseau è che il progresso
è la radice della disuguaglianza e del dominio.

Con Rousseau c’è una radicale presa di distanza dal fondamento del passaggio alla società civile. Per Locke
il fondamento dello stato civile, ovvero l’animo del meccanismo, è la proprietà che passa per la self
ownership. Lo stato civile, infatti, offre una più efficiente difesa della proprietà privata. Rousseau nel
discorso sostiene proprio che questo è l’inizio della fine. Rousseau è considerato il primo grande filosofo
della giustizia, dell’attacco alla disuguaglianza e il primo animatore della democrazia, dove democrazia è
sinonimo di uguaglianza.

Contratto sociale
LIBRO PRIMO

Capitolo primo

L’uomo è nato libero e ovunque è in catene. Quello che dice ricalca: gli uomini come sono e le leggi come
possono essere. Rousseau sta dicendo che l’idea di fondare l’ordine civile sull’ordine naturale è
un’impostura. La natura non prescrive un ordine. Lo stato di natura è un’impostura volto a legittimizzare
uno squilibrio. Rousseau insiste in modo deciso sul fatto che la natura non offre puntelli normativi. Se è
vero che Rousseau dice questo, quali sono questi puntelli normativi che la natura invece offre a Locke e
Hobbes? È vero che la natura è un modo per giustificare il potere in Hobbes e Locke? Secondo questi due
pensatori l’ordine imposto dallo stato civile è perfettamente integrato nella natura. Si entra in questo
ordine da esseri naturali che non rinunciano ad essere esseri naturali. Si aderisce allo stato civile per
adesione ad un modello di governo che risponde ad esigenze naturali. È principiato sulla natura. Questi
esseri umani hanno una natura tale da portare, se si ragiona bene, all’ordine naturale e civile. Per Rousseau
invece è inutile ragionare sulla natura, nella natura non si trova nulla che possa legittimare lo stato civile.
Perché? È l’ordine civile che modella gli esseri umani. La legge fa gli esseri umani. Il surplus di questa
prospettiva è che noi possiamo cambiare costantemente l’ordine politico, non c’è una derivazione di un
ordine politico da un ordine naturale. La natura non esiste. La politica è pura convenzione. Le leggi come
possono essere, non come devono essere, non ho nessun vincolo. Denuncia di una grande impostura

Capitolo terzo
Insiste sulla grande metamorfosi del fatto in diritto. Kant riconosce a Rousseau la capacità di un afflato
liberatorio, il diritto non si fonda sul fatto. Se la natura è fatta così o cosà chi se ne frega. La natura è una
grande illusione. L’insistenza è sulla separatezza tra fatto e dovere. Un conto è la forza, alla forza obbedisco
perché sono costretto, ma è un dovere obbedire? Hobbes e Locke ritengono di sì. È un dovere fondato sul
mio vantaggio, secondo loro. Secondo Rousseau no. L’origine dello stato civile è un’origine completamente
convenzionale, nessuna natura è in grado di dare indicazione su cosa sia un ordine politico, contrariamente
da ciò che ritenevano Hobbes e Locke. Secondo Rousseau l’autorità naturale è qualcosa di filosoficamente
inconsistente. Quando si parla di autorità naturale si sta giustificando un’autorità di fatto. L’origine
dell’ordine politico è sempre una costituzione che ha in sé inscritta la propria origine. Inizia qui il grande
tema del potere costituente. La scaturigine dell’ordine politico è un atto umano con cui ci si dà un ordine.

Teoria del bandito: se io ho la forza di minacciare voi, questo non può in nessun modo essere un diritto. Un
governo non è legittimo solo perché ha avuto la capacità di imporsi.

Rousseau prende le teorie precedenti, le scarnifica e in ciascuno di essi trova un momento di giustificazione
di un’inaccettabile forma di vessazione: non ci si può sottomettere perché un ordine politico dev’essere un
ordine politico di libertà. Non è un ordine politico un ordine in cui alieniamo tutti i nostri diritti, è un ordine
fondato sulla forza non sul diritto. La forza non si trasferisce in diritto. Quello non è diritto. È il governo della
schiavitù. Chi aderirebbe ad un patto in cui bisogna consegnare tutto per la conservazione della vita? È un
patto con un bandito, un mafioso. Rousseau attacca Hobbes. Per Rousseau il patto hobbesiano non è né
razionale, né giusto.

Capitolo quinto

Aggregato e associazione. Che differenza c’è? Hobbes parte dalla moltitudine che diventa uno, quando un
rappresentante rappresenta i rappresentati.

 Nell’aggregato i fini possono essere convergenti ma rimangono individuali. Esempi: Le persone che
stanno su uno stesso autobus vanno nella stessa direzione ma per motivi diversi, non c’è una
volontà comune.
 Nell’associazione il mio fine privano non è disgiungibile dal fine dell’altro, c’è un fine collettivo

L’idea di Rousseau è: la moltitudine non si trasforma in popolo per un atto di obbedienza. Senza volontà
comune non c’è popolo, c’è un aggregato di privati soggetto a schiavitù. I termini schiavitù e diritto non
stanno insieme.

Un popolo, secondo Rousseau, non è formato da individui privati che si mettono insieme per mezzo di un
contratto. Questo non è un popolo. C’è una distinzione tra un patto con cui un popolo si unisce e un patto
con cui un patto si sottomette.

Regime interpattizio: quando individui privati stringono patti gli uni con gli altri: per Rousseau questi sono
solo patti privati.

Tema del potere costituito che viene dopo il potere costituente. Il potere costituente è il motore primo con
cui un popolo si fa popolo. Da aggregato, vogliamo dare il potere della sommossa, ci facciamo corpo, ci
diamo una costituzione e avanziamo una protesta come corpo e ci diamo un potere costituente. C’è
bisogno di un potere costituente che legittimi un potere costituito.

Capitolo sesto. Del patto sociale


Presa in carico della tradizione contrattualista, ma solo in superficie.

“Trovare una forma di associazione…” questo è il perno del pensiero politico di Rousseau. Una forma di
potere politico in cui non si perda un’oncia di libertà. L’unico ordine politico è un ordine in cui obbedendo
all’ordine, obbedisco a me stesso. Il problema è che l’ordine politico deve garantire tutti i beni dell’ordine
politico ma che sia tale che obbedendo a tale ordine, io obbedisca a me stesso. Tutti rinunciano alla stessa
cosa, nessuno conserva nulla di più rispetto a quello che gli altri rinunciano. “Se dunque si esclude nel patto
ciò che…”

03.11.2022
Accusa di Rousseau a Locke e Hobbes: questa articolazione che avrebbe la funzione di giustificare l’ordine
politico, in realtà è un grande dispositivo che vuole legittimare il fatto che l’ordine esistente è giusto perché
innesta le radici nella natura. Secondo Rousseau non c’è passaggio dalla natura allo stato civile. C’è una
cesura tra stato di natura e stato civile. Anche i figli che sono dipendenti dal padre, se restano col padre è
una relazione di scelta, è una convenzione, e non una relazione naturale.

La parola chiave in Rousseau è l’autonomia. Quando si è in un ordine civile di diritto e ci si sottomette, ci si


sottomette a sé stessi, ad un ordine che equivale alla sottomissione a sé stessi. La critica di Rousseau a
Hobbes è che quella che lui suggerisce è una cessione ingiustificata e sconveniente della propria libertà.
Critica all’ingiustificato passaggio dallo stato di natura allo stato civile, alla fondamentale sconvenienza
dell’adesione ad un patto che ci vede rinunciatari a tutto per la sola protezione. Dalla forza non nasce
nessun diritto, quell’individuo che ci costringe a aderire alla sua volontà non può costruire nessuna civiltà, è
solo un bandito.

Ciascuno come parte indivisibile del tutto. Dialettica parte-tutto. Il problema di Rousseau è la questione
della coincidenza della volontà del tutto (corpo) e della volontà nostra (membro di un corpo).

Cosa trasforma il patto in un patto conveniente? Come convenire su un patto in cui noi siamo
indivisibilmente parte del tutto? E come fa questo tutto ad avere una perfetta coincidenza con la nostra
volontà? In quanto si aderisce ad un patto solo se conviene a noi stessi.

Capitolo settimo. Il sovrano

Anche Rousseau ha il problema del sovrano.

Inizia quella dialettica per cui noi siamo al contempo membri del copro sovrano, e il rapporto con i privati, e
membri dello Stato che ha un rapporto con il sovrano. Quando diciamo “privati intendiamo singoli individui
come portatori di uno spettro di diritti rispetto al pubblico, perimetra uno spazio di interesse riservato al
singolo individuo rispetto al pubblico. Nascono i concetti, nel 700, nazione, popolo. Doppia natura del
soggetto, membro del pubblico ma privati.

Oggi molti diritti sono collegati all’idea di vita privata (ovvero la famiglia, la sessualità, religione).

Problema di Rousseau: Ci sono dei privati che hanno interessi privati e c’è un pubblico che ha interessi
pubblici.

La dialettica si trasferisce dentro di noi: noi come membri del pubblico e no come membri privati.

Entra il grande tema, il problema decisivo già in ghobbes che risolve: il sovrano rimane nello stato di natura,
il sovrano non ha obblighi
In rousseau invece il sovrano è prodotto dalla legge, un so

La legge può porre un limite a se stessa, il corpo sovrano che pone la legge puo porsi dei limiti. Se la
collettività si da una legge non può cambiarla.

Locke fatica per trovare un limite al sovrano, i suoi limiti sono che la legge c’è già e si inscrive nel fatto che

24.30

Per Locke invece il sovrano non produce la legge, la legge già c’è, i compiti del sovrano sono altri.

Per rosseau senza un sovrano non c’è la legge perché nella natura non c’è la legge.

Non c’è nulla che vincoli un corpo sociale se non la propria volontà.

Il corpo politico esiste perché esercita una volontà che si costituisce. Corpo sociale e sovrano sono la stessa
cosa per Rousseau, sono inseparabili. La costituzione dipende solo da un atto volontario della collettività.

Per Locke ci sono dei diritti di base che non dipende da una volontà sovrana che si determina.

2 tendenze opposte: Per Rousseau la legge dello stato non deriva dalla natura ma da un atto di volontà
sovrana di un corpo che si costituisce come corpo, prima non c’è niente. Per Locke invece le leggi civili sono
inscritte nella natura.

Per Hobbes e Locke lo stato di natura è normativo, da indicazioni su come dev’essere lo stato civile. Lo stato
è una transizione di fase. Come l’acqua che si fa ghiaccio.

Rousseau rompe questo rapporto, la natura non è normativa, è pura libertà. Lo stato di natura non ci dice
niente sullo stato, chi dice che c’è vuole solo difendere i suoi diritti, i suoi interessi, che sbandiera come
naturali.

Il sovrano non ha nessun obbligo verso i sudditi, nel senso che è impossibile che il corpo voglia nuocere ai
suoi membri

Il sovrano è il momento di fusione tra essere e dover essere.

Noi siamo al contempo membri di un corpo e privati. Come conciliare questa doppia natura?

Insiste sul fatto che dev’esserci una conciliazione tra l’interesse del cittadino come privato e come pubblico,
ma dato che questi interessi possono divergere questo è il male sommo della comunità politica

Rousseau vuole che voi siate liberi, aderendo a voi come membri del corpo perché non c’è smembramento
possibile.

se la volontà del privato diverge da quella del generale, non basta che lei venga punita, lei deve essere
costretta ad aderire alla volontà generale non può esserci un elemento di conflittualità tra privato e
pubblico.

Per Rousseau abbiamo due tipi di libertà: libertà naturale e libertà civile. La libertà naturale è la
spontaneità. La libertà civile è l’adesione immediata alla legge. Doppio standard: due tipi di libertà. Ma
dove sta la natura?

La libertà è obbedienza alla legge, assenza di scarto tra la mia volontà e la volontà generale.

Capitolo 8
Lo stato civile cambia la natura, la derubrica a fatto del passato, se mai sia esistita. Non produce una
transizione di fase ma un passaggio di stato in cui ciò che c’era prima è passato. Lo stato di natura, quindi,
sia esso esistito o meno, non può servire per legittimare lo stato civile in cui ci troviamo. Lo stato civile ha la
sua origine solo in sé stesso.

Per Rousseau o stato di un corpo che si autodetermina è il destino di un essere umano.

La proprietà non è quella per cui io nello stato di natura mi approprio, ma nello stato c’è un salto. Lo stato
innova e introduce un elemento di assoluta originalità, lo stato è originario e non deriva da nulla. La legge, il
diritto che è la crea 53.24

Se vuoi veramente essere padrone di te devi obbedire alla legge. Le bestie hanno l’istinto, secondo
Rousseau, l’essere umano ha un momento che è la neotenia che rende incomparabile l’animale e l’umano.

L’essere umano è veramente libero e in grado di agire in modo costante nel tempo solo allorché si
sottomette ad una legge comune a tutti.

LIBRO II

Cap 1

Rousseau deve individuare il punto su cui tutti gli interessi si accordano.

Rousseau sta stigmatizzando la rappresentanza.

Solo la volontà può rappresentare la volontà. La riduzione a parte non funziona perché la parte vuole il
privilegio. Nessuno rappresenta la volontà generale, solo sé stessa. Se c’è un interesse di parte, quello è un
interesse di parte. L’interesse deve essere comune. Punto di intersezione di tutti gli interessi. Ci deve essere
solo la volontà generale a governare.

La volontà o è se stessa o non è nulla.

Cap 3

Perché non può sbagliare la volontà generale? Perché sta nelle cose che la volontà generale non può
sbagliare

(volontà generale: Il punto di interesse di tutte le volontà individuali). Se la volontà generale sbagliasse e
noi riuscissimo a determinare l’errore

Se qualcosa è sbagliato ci dev’essere il cosiddetto ufficio pubblico. Ma non c’è nulla di esterno alla volontà
generale che possa permettere di determinare se ciò che ha determinato la volontà generale è giusto o non
giusto.

Volontà di tutti e volontà generale. La seconda guarda soltanto all’interesse comune e non è una
sommatoria degli interessi particolari. Come si ottiene allora?

È il prodotto di una pratica procedurale

Modo di governo che sii avvicina alla descrizione di Rousseau: repubblica referendaria

Capitolo 7

Chi pone le leggi, se un

L’esercizio della sovranità coincide con l’esercizio di un voto che

La legge deve essere portata da qualcuno che venendo da fuori (30.)


La volontà del legislatore non è volontà generale. La volontà generale inizia nell’esito del voto. Il legislatore
viene da fuori e propone una legge.

Il paradosso del legislatore, il paradosso della democrazia

Capitolo 6: sulla legge

Il legislatore è fuori dall’ordine costituzionale. Sulla legge si principia l’intera possibilità di un vivere
comune. La legge è il luogo di manifestazione della volontà sovrana ed è anche ciò che viene istituito dalla
volontà sovrana.

Insistenza sul fatto che la legge di natura non è quel precetto che si scopre con la sola ragione, essa non ci
dice nulla sulla legge dello stato. La volontà generale è ciò che residua dall’elisione di tutte le volontà
particolari e non può esprimersi su oggetti particolari. Non possiamo dire: ci si siede o no in prima fila. Ci
devono essere oggetti generali in grado di irradiarsi sugli oggetti particolari, i voti sugli oggetti particolari
non sono ammessi. Una legge che non abbia mai oggetti particolari ma il cui unico oggetti sia il popolo nel
suo intero. Tutto ciò che dev’essere deciso dev’essere astratto, dev’essere tale da non poter essere
attribuito al livello di produzione legislativa.

La legge deve essere quella cosa che istituisce una forma di vita collettiva, quella serie di norme astratte e
generale che indipendentemente dagli oggetti particolari, deve determinare la nostra forma di vita comune.
Ma quando facciamo questo atto dell’istituzione primigenia, non può esserci un momento in cui ci si
consulta ma ci si deve essere un momento in cui ci viene presentato un sistema legislativo astratto sul quale
noi solamente votiamo e da cui risulta l’elisione delle volontà particolari. Dunque l’unico modo per cui dar
corso ad una repubblica è quello in cui l’atto fondativo e primigenio, in cui ci si dà una legge fondamentale,
è determinata dall’ assenza di parola, dalla presenza di una parola esterna molto ben indirizzata, di un
legislatore fuori dall’ordine costituzionale e l’ordine costituzionale è come si si desse un contenuto che non
ha prodotto da sé, che diventa suo su atto di votazione e non di deliberazione parlata, nell’incontro tra un
sapere esterno e un atto di procedura pubblica interna che adattando un contenuto si dà delle leggi
formali.

Se non si determina una circostanza in cui noi riusciamo a produrre concretamente l’intersezione delle
volontà private, se non riusciamo a determinare un contesto in cui noi tutti convergiamo su un punto, non
c’è repubblica, quindi non c’è ordine giusto, non c’è contratto, non c’è corpo politico. C’è un paradosso: non
possa o parlarne perché se lo facciamo ci persuadiamo. Lui mi convince che un certo assetto è migliore di
un altro, perché ha certi interessi particolari. Non possiamo parlarne ma dobbiamo solo darcelo. L’atto
primigenio è fondativo e silente, cieco sui contenuti.

Immaginiamo che noi tutti sappiamo dove siamo nella nostra vita, i nostri talenti naturali e le nostre risorse,
dobbiamo darci una legge. Rousseau dice di chiamare a questo punto un legislatore da fuori e ci facciamo
illustrare qual è la sua idea. Questo produce la nostra forza istitutiva di produrre la volontà generale che è il
punto di intersezione di tutte le nostre volontà particolari. Rawls dice invece che noi non sappiamo chi
siamo e dove siamo, quando votiamo per la costituzione, noi non sappiamo chi siamo, ricchi, poveri, donne,
uomini, quando deliberiamo e come non sapessimo chi siamo. È l’idea del legislatore tradotta in un
linguaggio novecentesco. Privi degli interessi particolari, come voteremmo? È il pensatore dello stato
sociale, del welfare state. Rawls dice che niente è naturale e recuperare l’afflato del legislatore che viene da
fuori e tradurlo in un’immagine in cui noi siamo fuori da noi stessi e non sappiamo dove stiamo e vediamo
che votiamo. Voteremo quell’assetto costituzionale i cui chi è sfigato, sta un po’ meglio che in altri assetti
costituzionali.

Rousseau dice che serve un legislatore esterno che propone delle leggi. Gli individui zitti votano. Questa è la
volontà generale. Assoluta incapacità del discorso di produrre consenso, il consenso si ha solo attraverso
l’espressione della propria volontà e con la sommatoria da cui residua il punto di intersezione delle volontà
comuni.

Bisogna trovare un sistema i cui c’è coincidenza tra volontà particolare e volontà generale. Dovete darvi un
assetto in cui non ci sia scarto tra queste due volontà. L’unico modo è che prendete uno da fuori che vi dia
un quadro legislativo che vi possa muovervi ad esprimervi in modo consonante rispetto alla stessa cosa.

Il tutti e l’uno devono essere cuciti in modo tale da non provocare nessuno strappo.

Capitolo 7: Del legislatore


Rousseau ha il problema che chi pone le leggi, se essa è una parte, ritorna il problema della fazione
che avrà degli interessi privati diversi da quelli della volontà generale. L’esercizio della sovranità
coincide con l’esercizio di un voto che possa risultare nell’intersezione della volontà di tutti i privati
che diventano la volontà generale. La legge dev’essere portata da qualcuno che venendo da fuori,
non è schiavo degli interessi dei privati, propone una legge e i privati votano. Chi redige le leggi
non ha nessun diritto legislativo. Il legislatore non fa parte della volontà generale, è fuori
dall’assetto costituzionale. La volontà generale inizia dall’esito della votazione.
Il paradosso del legislatore. Il paradosso della democrazia.

04.11.2022
L’idea di contratto cede una parte della sua essenza con Rousseau e ne acquista un’altra. Cosa cede?
Perché Schmitt ripropone un ritorno ad Hobbes come unica possibilità di recupero di una politica che sia
politica. Rousseau dice addio alla natura, si congeda dalla natura, insiste sul fatto che la natura non sia
normativa. Il giusnaturalismo non comprende Rousseau, comprende Hobbes e Locke, ambedue hanno una
venerazione per la natura che è normativamente condizionante perché nello stato pre politico si trovano le
indicazioni per la costruzione di uno stato politico. Rapporto con ciò rispetto cui la natura si fonda. In
Rousseau la politica si fonda su se stessa, autonomia della politica. Trasferimento in una dimensione
totalmente altra dalla natura, non c’è nessun fondamento nella natura. Per Rousseau lo stato politico non
trova radicamento su qualcosa che è pre politico (dove per H. e L. il fondamento è prepolitico: le leggi della
natura indicano a chi ragione come si possa convivere in pace). In Rousseau il fondamento è la volontà di un
corpo che si fa corpo, avendo a disposizione se stesso come volontà produttiva in qualsiasi momento. Con
Rousseau abbiamo una rottura con la natura. Cambia il problema dell’origine e del fondamento.

scelta prudenziale dei soggetti che decidono di, per Locke data la condizione l’estrema incertezza di
applicare sanzioni che rispondano in modo equo alle pene, serve introdurre un potere esecutivo che si
assicuri che vengano puniti equamente i torti,

il meccanismo di giustificazione è comprendere quale sia la natura dell’essere umano, la condizione in cui il
politico non c’è ma c’è un ordine che non funziona (in Hobbes non funziona affatto, in Locke funziona a
volte si e a volte no: incertezza vs. inefficienza)
un corpo si fa corpo in momenti particolari, nel momento in cui determinano una convergenza di tutti i
privati su un elemento che fonda l’essenza della volontà generale

hobbes scrive qualcosa che non corrisponde alla realtà delle istituzioni politiche.

Cambia lo scenario con Schmitt. Tra la fine del 700 e l’inizio dell’800 si formano gli Stati, ovvero quelle
grandi macchine politico amministrative, che eliminano al loro interno qualsiasi potere rivale, che
raccolgono nelle loro mani i poteri di fare la legge, di applicare la legge. Di questi grandi autori si conserva
una grande spinta politico teorica: come si costituisce il popolo? Questo non era infondo il problema di
questi autori, forse un po più per Rousseau. Gli Stati hanno bisogno di taggimhere una omogeneità tale che
si pensi di vivere in una comunità di destino. Che operazione possiamo fare per determinare
un’omogeneità tale che convinca tutti di appartenere a questo corpo politico? Tra questi autori, Hobbes,
Locke e Rousseau, quello che veniva emergendo come istanza fondamentale per l’istituzione dello stato
attraverso l’atto politico sommo. Locke si discosta da questo progetto perché si avvicina all’idea di una
difesa di un corpo tentacolare, gli altri sono propensi all’idea di un’unità, il problema di come si passa dalla
moltitudine all’unità.

Ci sono gli apparati che hanno messo assieme quell’insieme di poteri che fino a Rousseau erano ridistribuiti
un una catena spezzata, con una presenza costante di poteri e contro poteri.

Il potere politico diventa qualcosa che satura la vita di ognuno di noi. Solo quando fate la doccia entrano in
ballo una dozzina di norme giuridiche. Ogni nostra azione è saturata dal diritto dello stato. Per noi è
impossibile vivere senza lo stato. Intuizione di h. l. e r. di costituire grandi corpi unitari che

È diventato piuttosto chiaro che il paradigma del contratto non regge, non c’è mai un momento in cui ci
raduniamo e firmiamo un contratto. I termini del contratto sono già stati stabiliti. Il contratto è un modo di
giustificare il perché dell’obbedienza politica a e della formazione del corpo politico. Si manifesta l’esigenza
di formare un corpo politico. Il contrattualismo da fine 700 decade. Quest’afflato rinascerà solo a fine 900
con John Rawls. Fino a quel momento dominerà il puro realismo. Peer Schmitt è un’ipotesi impercorribile
quello del contratto. Come costituire un corpo politico sapendo che il contratto non serve ma raccogliendo
l’eredita di questi autori che hanno avuto un’intuizione geniale: il passaggio da una moltitudine ad un corpo
politico. Schmitt si sbarazza sia del contratto che della natura. Nessuno più crede a quei puntelli. Si
rintracciano le origini della cultura che non ha fondamento nella natura. Se contratto e natura sono
inservibili che rimane? Emerge il problema dell’emergenza. Problema irresolubile degli Stati Moderni.
Schmitt individua un elemento. C’è una grande esigenza: dove nasce l’ordine? Senza ordine politico non c’è
condizione di socialità per Schmitt.

2.22

Schmitt è un autore che vive un centinaio di anni. Nasce nella Germania protestante da cattolico. È
appassionato agli studi di filologia e filosofia, ma dato che al tempo non c’erano demarcazioni nette nelle
facoltà, la giurisprudenza si innesta i un insieme di saperi necessari alla formazione del giurista, uomo di
cultura che fa conto su una formazione filologica e filosofica. 1910 diventa giurista costituzionalista di
professione, non tralascia gli studi di filologia e filosofia. Al termine della Prima guerra mondiale, la
Germania non ne esce bene e si forma la repubblica di Weimar, grande esperimento, primo grande
tentativo di repubblica social democratica. In quest’epoca, nl 1918 dopo la guerra la Germania esce in
frantumi, c’è il problema di frammentazione e di divisione della società, nella divisione tra ceti, c’era un
pluralismo ingestibile, c’erano movimenti estremi pronti ad utilizzare la forza, è una situazione che Hobbes
temeva fortissimo, c’erano colpi di stati dall’oggi al domani nelle regioni (land) della Germania, che sono
tendenzialmente autonome. L’elemento unificante della Germania è stata la lingua. Chi parla tedesco è
tedesco, tentativo di appropriarsi tutti i territori in cui ci stavano germanofoni. (bismarck). Inizio del
Novecento è popolato da differenze e gruppi che si formano in base a differenze ideologiche, socialismo,
comunismo, organizzazioni cattoliche. Torna il problema dell’unità. La preoccupazione schmittiana è la
preoccupazione hobbesiana in questo periodo. Senza la politica c’è lo stato di guerra. È una Germania
polarizzata tra una destra reazionaria, nazionalista, un’altra destra cattolica, un’altra destra legata ai
militari, (realizzare il socialismo in un paese che riesce a non contare su una struttura di socializzazione dei
mezzi di produzione). La costituzione della re. È la prima costituzione del Novecento ad essere una delle
costituzioni davvero del novecento perché incorporava la spinta social democratica, liberale, la difesa delle
classi disagiate. Un grande disegno che rispondeva all’esigenza di mettere insieme piu anime. Germania:
condizione di estrema difficoltà, con un progetto di costituzione fragile, con un sistema parlamentare nuovo
che conta sulla figura importante che è quella del cancelliere, il presidente del Reich che ha un ruolo
centrale nel sistema istituzionale.

La repubblica di Weimar è un esperimento interessante che si pone un problema

Una legge non può dare un limite a se stessa

Germania: Sperimentazione politica, poche risorse, polarizzazione nel tessuto sociale, corpo politico vicino
alla condizione estrema. Bisogna trovare il modo per tornare in piedi

Ideale social democratico

Al tempo Schmitt era uno dei più importanti giuristi che aderì al

Questo quadro ci aiuta a capire perché il problema schmittiano sia il problema hobbesiano: il problema
dell’ordine, problema della creazione di un corpo coeso

Teologia politica è un testo del 22. La proposta di Schmitt è scottante: il testo che più tocca la verità della
politica e mostra come, se si vuole vivere non si può che aderire ad un progetto molto oneroso.

È un testo ellittico, non risolve alcun problema dei problemi che solleva.

Schmitt

Inizio di Teologia politica

Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione. La prima parola è sovrano. Il problems della sovranità è il
problema di hpbbes, locke e rousseau.

Lo stato di eccezione non è un concetto che ha inventato s. è uno dei problemi

Arriva ai limiti e ai confini del pensiero politico, di quello che una comunità puo fare di se stessa

Figura tecnico giuridica che rientra nella costituzione di Weimar, articolo 48 che determina cos’è lo stato di
eccezione: quella condizione di estremo pericolo in cui una costituzione sospende se stessa in tutto o in
parte. La legge dice cio che si deve fare quando la legge stessa sospende se stessa. Il diritto vigente oggi è
sospeso, non vale più. L’art 48 condizioni in cui certi diritti fondamentali della costituzione andavano
sospesi. Cosa fare quando la situazione è così a rischio per cui il diritto vigente non riesce più a fornire le
risoluzioni che il diritto deve fornire, non guida più le nostre vite, c’è caos. Lo stato di eccezione deve
fermare questa situazione fermando il diritto. Una costituzione che regola una situazione in cui la
costituzione stesso non vale piu. Il diritto prova a regolare il suo vuoto, la sua mancanza.

Questo è un concetto che Schmitt farà proprio, ma è un concetto tecnico giuridico presente nell’articolo 48
della repubblica di Weimar. Secondo Schmitt non è una condizione di emergenza ma è il fondamento
dell’autorità politica.
Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione. Il soggetto è chi decide. Sovrano è predicativo del soggetto.
Chi decide sullo stato di eccezione è il sovrano.

07.11.2022

Il paradigma del contratto viene ripreso da Schmitt. Incipit di teologia politica (1922).

Due linee interpretative del pensiero di Schmitt:

 cosa vuole dirci Schmitt in questo testo, testo che crea dubbi e non li risolve.

Definizione della sovranità

Schmitt procede secondo una chiave hobbesiana che viene privato del concetto di contratto e di natura

Cos’è un concetto limite?

Schmitt inizia con una definizione, che fa capoverso a sé, Schmitt vuole scioccare ed è quello che fa. Schmitt
introduce un concetto che non fa parte del suo corredo concettuale.

Polarità tra limite estremo e normalità. Parole chiave: Caso limite, sovranità, eccezione, normalità

Cos’è lo stato di eccezione.

Pg75

termini: stato di eccezione, caso d’urgenza e caso di emergenza. Interpretazione eccezionalista.

C’è una tecnica giuridica (è un modo di utilizzare un diritto.. ), da questo concetto ne derivano altri due,
quello di normopoiesi (produzione di normalità) e quello di ingegneria politica (costruzione di istituzioni che
trasformino in modo radicale le istituzioni in una società, è quando per esempio si applica la logica del
mercato come la logica fondamentale per valutare l’attività delle istituzioni politiche e pubbliche). Una
tecnica giuridica può essere molto neutrale, il reato dello stalking è una tecnica giuridica perché è la
definizione di una categoria che non esiste in natura ma che determina alcuni tratti individuati i quali un
fenomeno può essere sussunto sotto una categoria, si danno certi tratti che permettono in virtù della
norma che permettono di individuare qualcuno come uno stalker. Il reato è una tecnica. Anche l’omicidio è
una tecnica. La norma giuridica definisce la realtà perché io con la realtà posso fare qualcosa. Lo stalker è la
definizione, attraverso una norma, di una figura che non esiste nella natura. Il diritto introduce una tecnica
descrittiva per cui a certi atti derivano delle conseguenze. Vengono stabiliti specifici tratti che determinano
e ridescrivono

Una tecnica giuridica è la descrizione di uno stato di realtà per cui ne sortiscano delle conseguenze punibili.
Ci sono certe norme che descrivono le azioni che vanno compiute perché la condotta cpossa essere
giuridicamente rilevante: si devono rispettare delle condizioni entro cui quelle azioni hanno validità, sono
azioni che vengono descritte e a cui ci si conforma affinché abbiamo una validità: sostenere un esame.

2 tipi di comportamenti: comportamenti che vengono proibiti e descritti perché nei momenti in cui si
verificano ne seguono delle sanzioni.

I comportamenti descritti perché siamo validi in certe circostanze. Se vogliamo fare qualcosa di
giuridicamente valido devo adattare il mio comportamento a quanto descritto dalla norma.

Norma primarie (o divieti) e norme secondarie (norme di competenza)


Normopoiesi: Produzione di normalità, la n. è quella cosa che facciamo spontaneamente, il modo in cui
viviamo, in cui ci viene da pensare spontaneamente (le donne si devono depilare, ai maschi non mettono le
gonne). La normalità è quell’insieme di quei concetti di fondo che organizzano le nostre intenzioni di base
senza che noi dobbiamo chiederci se quei concetti siano giusti o meno ma che sono sempre disposti ad
essere messi in questione. La normopoiesi è il modo in cui si costruisce un tessuto di condotta che
intessono le nostre interazioni quotidiane senza che ci chiediamo

L’ingegneria politica è il riassetto del tessuto istituzionale di uno Stato, di un pezzo di mondo, attraverso la
sostituzione di certi modelli istituzionali con altri. È ingegneria perché le istituzioni vengono costruite
artificialmente

Stato di eccezione: lo stato è una condizione di fatto, l’eccezione è quella condizione in cui la normalità
viene sospesa perché le norme del vivere civile vengono sospese in tutto o in parte.

Sovrano è chiunque sospenda a normalità in forza della sospensione delle norme che ne assicurano la
stabile reiterazione.

Lo schema astratto che è stato proposto come definizione della sovranità

Lo schema astratto della sovranità, che troviamo in Hobbes: il sovrano è colui il quale non ha nulla sopra di
sè è uno schema astratto, non ci dice nulla, non è quella la sovranità. Dire che il sovrano è un potere non
derivato e che non ha nulla sopra di sé, non sto dicendo nulla sulla sovranità dicendo questo. Non

Tanto il presupposto quanto il contenuto della competenza sono qui necessari mente illimitati. La parola
competenza significa che la costituzione potrà dire qual è l’organo cje dice qundo si verifoca uno stato di
eccezione, ma questa norma di competenza sarà sempre inadeguata perché l’eccezione non si lascia
normare, è una realtà chde la costituzione non imbriglia anche se trasferiscde una competenza.

Di che competenza sta parlando qui Schmitt?

Pg 123

Articolo 48 della Costituzione di Weimar: La costituzione trasferisce una competenza e la trasferisce al


Presidente del Reich. Qui la costituzione trasferisce una competenza ad un organo. Quando in un Land si
verifica uno strappo rispetto a 23.

Adesso le indicazion

Legge che avrà il compito di determinare quando si dàa lo stato di eccezione. Questo non verrà mai fatto e
Schmitt affermerà che la costituzione ha promesso qualcosa di impossibile perché lo stato di eccezione è
uno stato che la legge non può normare

Il sovrano individua il darsi i un dato di fatto, determina il fattuale e il normativo. Determina che ci troviamo
in uno stato di eccezione e determina ciò che va fatto. Questo la costituzione non può farlo ma può tutt’al
più determinare chi ha il compito di farlo.

Il sovrano sta fuori e sta dentro dice Schmitt, il sovrano è chi da fuori determina una condizione

Sta fuori perché l costituzione non da criteri di riconoscimento per individuare lo stato di emergenza,
dunque dato che la costituzione non prevede questi criteri, è li sovrano che li riconosce. Il sovrano è chi
dicd questo è lo stato di eccezione. Il punto è che la costituzione non potrà mai stabilire i criteri per
individuare uno stato di emergenza, l’imprevisto non può essere previsto, la costituzione non può
prevedere la sua sospensione. Il sovrano sta fuori perché a costituzione non offre criteri di riconoscimento
di una condizione che giustifichi lo stato di eccezione. (stato di eccezione
10.11.2022

Il primo capitolo si compone di quattro capitoli sul concetto di sovranità.

In che senso Schmitt lega la questione della sovranità al concetto dello stato di eccezione. Schmitt riporta i
3 grandi classici che abbiamo letto a schemi astratti: la sovranità non è non avere altra autorità sopra di sé
né non essere un potere derivato, questo è troppo poco. Le costituzioni tardo ottocentesche avevano
preteso di risolvere il problema della sovranità, perché quello di sovranità è un concetto impiantato nella
costituzione, per molti è un problema risolto. Schmitt sostiene che non è un problema risolto perché il
problema centrale della sovranità è la decisione sullo stato di eccezione. Schmitt dovrà recuperare tutta la
tradizione della sovranità, liberarla dallo schema astratto, dai concetti che non risolvono il problema della
sovranità, e innestarla in un nuovo campo teorico: decisionismo eccezionalista.

Pagina 35

Schmitt sta dicendo che i grandi classici della sovranità hanno colto il problema della sovranità, ma non
sono stati intesi fino in fondo. Bodin primo grande teorizzatore del concetto della sovranità. Schmitt sta
dicendo che Bodin ha colto quello che io vi rivelo in teologia politica. Bodin ha colto il segreto della
sovranità ma voi guardate solo allo schema astratto. Hobbes dipendenza del sovrano. Risoluzione di
Hobbes: non può essere pensabile nessun potere in concorrenza con il sovrano. La situazione di Hobbes è
una situazione in cui i poteri concorrenti erano molteplici, Hobbes immagina qualcosa che si realizzerà
molto dopo. Bodin ha una situazione in cui il potere sovrano è molto fiacco quindi si chiede quanto il potere
sovrano dipende da qualcun altro, da poteri locali. Schmitt ci sta dicendo che c’è una circostanza in cui
viene meno qualsiasi obbligo: nel caso dello stato di emergenza. Distinzione tra caso di emergenza e stato
di eccezione.

Il punto è qui il seguente: In che modo Schmitt discrimina tra i veri tratti della sovranità, quelli nascosti nel
testo di Bodin, e le formule astratte, che si trovano nei manuali ma non dicono nulla. Schmitt ci mette
davanti ad una rilettura dei tre grandi classici che abbiamo studiato: ha ragione o no? C’è un elemento che
non abbiamo visto nei testi di questi classici: la decisione.

1 argomento di Schmitt: la sovranità è tale perché non ha bisogno di autorizzazione quando opera sul
diritto. Bodin, rispetto a come viene letto dai classici, ha individuato il carattere dirimente della sovranità: la
capacità di agire sul diritto nel caso di emergenza. La modernità ha inizio con questa intuizione: la sovranità
non ha bisogno di autorizzazione, questo elemento agisce sul diritto.

Schmitt mette a tema il concetto di stato di eccezione riferendolo al tema della dittatura (s’intende la
dittatura riportata alle sue origini, non come potere dispotico ma in riferimento all’istituto che in casi di
emergenza vedeva uno dei due consoli operare senza aver bisogno ogni volta di chiedere l’autorizzazione
dell’altro console). Schmitt avanza una distinzione fondamentale: dittatura commissaria e dittatura sovrana:
 La prima è una sospensione del diritto che ha la funzione di ripristinare lo stesso diritto.
Commissaria nel senso che ha l’incarico di ripristinare le condizioni di funzionamento della
costituzione ma il quadro costituzionale non cambia.
 La seconda è una sospensione della costituzione che è scaturigine di una nuova costituzione.

La dittatura commissaria e sovrana non si distinguono in base alla diversità dei contenuti perché la
costituzione può rimanere la stessa, inalterata. Bisogna guardare piuttosto

La sovranità è un carattere di non autorizzazione rispetto all’intervento sulla legge. La sovranità è quella che
è in grado di dar vita ad una dittatura sovrana ma non perché cambia di fatto la Costituzione (spesso è così
ma non per forza) ma p

Schmitt da degli strumenti, dei concetti, per comprendere la situazione reale. La descrizione sul reale incide
sul reale. Schmitt sta dicendo: guardate che siamo in questa situazione. I concetti che offre Schmitt ha un
effetto di cattura del fenomeno che sta davanti a noi. Nessun concetto è neutrale rispetto al reale.

Pagine 36-37

Il problema è quello della transizione di fase tra dittatura commissaria e dittatura sovrana. Dov’è questa
transizione? Schmitt insiste sul fatto che la sovranità è la decisione sull’ordine pubblico. Decisione è tagliare
via. Dato che l’ordinamento giuridico non si spiega da sé, c’è sempre la questione del passaggio da
decisione a norma.

Schmitt sta dicendo che troverete cataloghi, discussioni in cui si determinano gli elementi necessari e
sufficienti della sovranità. Questi cataloghi però non sono tanto interessanti per i tratti distintivi che
individuano, ma perché la ricerca è su chi decide quando non c’è nessuna competenza, ovvero nessuna
autorizzazione tranne quella del diritto positivo. Ovvero su ciò da cui trae competenza una competenza
quando non c’è alcuna competenza e alcun documento che trasferiscano competenze. Il contratto è un
dispositivo di giustificazione della sovranità, ma dirà Schmitt che questo è un modello di giustificazione di
qualcosa che non ha giustificazione. Tutti, sta dicendo Schmitt, hanno immaginato un fuori del diritto, un
pre-Stato civile, prepolitico, stato di natura, ma questo pre-giuridico in realtà non esiste. Esisteva nelle
pagine fantasiose dei classici. Hobbes, Locke, Rousseau hanno un pre-politico perché avevano bisogno di
individuare l‘origine di una competenza, ovvero l’origine della sovranità. È un’origine che non è spiegata
facendo ricorso ad un documento di diritto positivo.

Quando non si sa chi deve decidere sul caso estremo, quando il diritto positivo non offre indicazioni, chi
decide? Nello stato di guerra hobbesiano chi decide? L’appello al cielo che cos’è?

Problema schmittiano: C’è una competenza (ovvero quelle norme che autorizzano a fare certe cose, una
indicazione su certe condotte legittime) che non riceve autorizzazione da…, Schmitt sostiene che questo è il
cuore del pensiero politico moderno. Si intende la competenza di decidere quando il diritto non spiega chi
deve decidere. Nelle nostre vite normali il diritto risolve tutto, ma quando lo strappo che si produce tra noi
è tale che il diritto non è in grado di risolvere chi decide: Schmitt sostiene che la sovranità è una
competenza che non necessita di autorizzazione.

Questione della decisione: Introduzione di un criterio valido per tutti. Chi decide che questo è il criterio
valido per tutti. Il contratto è una figura del pensiero, il prepolitico non esiste. È una fondazione filosofica il
contratto. Chi decide quale sia il criterio comune? Questo è il problema schmittiano. Hobbes era un grande
secondo Schmitt perché capisce che il problema della sovranità è il problema della decisione. Chi decide sul
caso in cui non si sa chi decide?

Pagina 37
Se fosse una questione di competenze non sarebbe un problema. Schmitt dice che sono tanti a parlare, ma
questi parlano guardando ad una situazione di normalità, così facendo sfugge loro il concetto più
importante del pensiero politico tout court. Infatti, sfugge loro in tal modo che tutto ciò che va fuori dalla
normalità viene identificato come disordine.

Ci sono misure estreme che pure trovano giustificazione nell’ordinamento costituzionale vigente (stato di
emergenza), ma c’è qualcosa che sfugge a questo meccanismo in cui non c’è nessuna competenza. La
sovranità è la sospensione dell’intero ordinamento vigente (stato di eccezione). Quando si verifica questo
caso (sospensione dell’intero ordinamento vigente) il diritto cessa e lo stato continua ad esserci.

Che significa che lo stato continua a sussistere quando l’ordinamento viene meno? Che rapporto c’è tra
diritto e Stato? Esiste un diritto senza Stato, e viceversa? Ma, se non coincidono, allora cos’è uno stato
senza diritto?

2 posizioni che si fronteggiano nel secondo capitolo:

 Obiezione Kelsen grande nemico di Schmitt grandissimo giurista: se non c’è costituzione, non c’è
diritto, non c’è stato. Non c’è parlamento senza costituzione ecc
 Schmitt invece distingue Stato e Costituzione, ordinamento positivo. Lo Stato non necessariamente
trova vita nella Costituzione ma bensì le dà vita, la anima.

Uno Stato continua senza diritto? Se pensate che siano la stessa cosa quando il diritto si sospende, non
sapete cosa fare.

Dimentichi della grande tradizione del pensiero politico moderno, hanno commesso un problema che sta
portando alla dissoluzione dello stato e della politica. Hanno dimenticato la distinzione tra Stato e
Costituzione. A loro sfugge la cosiddetta eccedenza del politico. Il problema di Schmitt è: la politica si risolve
interamente nel quadro dell’ordinamento giuridico.

Quando un’attività istituzionale è regolata da competenze, non è sovrana. Non è una questione di
sovranità.

Pagina 39

Lo stato di eccezione è diverso da uno stato di caos o di anarchia. Sospeso l’ordinamento giuridico, sussiste
qualche tipo di ordinamento. Un ordinamento che non è schiacciabile sull’ordinamento costituzionale.
Schmitt ci sta convincendo che Stato e Costituzione non sono la stessa cosa. Che fa un ordinamento
costituzionale? Quando si sono riuniti (1946-48) che hanno fatto i padri costituenti? Si sono domandati
quale fosse la nostra forma di vita e si sono incontrate tre grandi forze con tre grandi visioni di una
popolazione, hanno trovato un gergo comune e le hanno messo per iscritto. Il precipitato di una grande
riflessione di una comunità su sé stessa. La Costituzione risulta essere solo un residuo formale di una
sostanza etica che sta dietro. Se sospendiamo una costituzione, sospendiamo le regole specifiche ma non
quello che c’è dietro.

Cos’è la decisione per Schmitt? La decisione in senso eminente. Entscheidung. La decisione di cui parla
Schmitt non è quella individuale. Schmitt ci sta dicendo che c’è un perimetro costituzionale, c’è un diritto
costituzionale che stabilisce come funzionano certe cose, il giurista lavora in quel perimetro e spiega come
funzionano le cose al suo interno. Il diritto costituzionale spiega come si sta dentro questo perimetro.
Schmitt dice che il pensiero giuridico non si limita a spiegare ciò che sta dentro questo perimetro, come
funzionano le norme, come se il pensiero giuridico possa essere interamente ricondotto allo studio della
norma, ovvero di come la costituzione funziona. Ma quello che sta fuori questo perimetro, ovvero la
decisione, è eminentemente diritto. Credere che il diritto sia solo ciò che risiede nel perimetro della
costituzione è erroneo. Quello che sta fuori è diritto in senso eminente.
La decisione è qual è la nostra forma di vita. Che cosa ne va nella nostra normalità. Quali sono gli
orientamenti di fondo. Sovrano è chi decide qual è la nostra forma di vita. Quali sono i principi, i valori che
ingranano la nostra modalità del vivere, che cos’è la nostra vita. Cosa unisce tutti quanti. Secondo Schmitt
questa decisione su qual è la nostra forma di vita forma più alta di diritto. Il diritto è la capacitò di decidere
qual è la nostra forma di vita. La costituzione viene dopo, è un precipitato che raccoglie l’attività della
decisione eminente. Il principio ontogenetico è: decisione →normalità/forma di vita→ Stato→ Costituzione.
Prima viene la decisione su che cos’è normale. Questo è un ordinamento giuridico, cioè è diritto pure se
non c’è ancora una costituzione che lo esprima. Lo Stato è una forma collettiva di vivere comune che si da
una costituzione. La costituzione si da molto dopo. Kelsen dirà che tutto comincia con la Costituzione, prima
è tutto caos. Schmitt dice che se cominci dalla Costituzione non hai capito niente, torna ad Hobbes perché
dice che lui l’ha capito massimamente.

Il sovrano è colui che riesce a dare forma alla forma di vita. Il sovrano è un demiurgo, c’è una materia, una
sostanza che non è autoevidente, e c’è qualcuno che gli dà forma e colui che gli da una forma convincente è
il sovrano.

Questa capacità di formare una forma di vita si concretizza in situazione di crisi, quando la comunità è in
pericolo, quando la sua forma di vita è minacciata. Quando la comunità è in pericolo c’è qualcuno senza
competenze, perché la Costituzione non è in grado di individuarlo, che è in grado di dire: questa è la nostra
forma di vita, rimaniamo uniti su questo altrimenti siamo finiti, costui è il sovrano. Momenti al limite in cui
ci convincono. Capacità di indicare e formare una forma di vita, di plasmare quello che siamo.

Il sovrano è sempre esterno allo Stato.

Quando si verifica il passaggio da dittatura commissaria a dittatura sovrana qualcosa di irrecuperabile è


successo, qualcosa che sposta tutto. Sotto il naso vi è cambiata la forma di vita e non ve ne siete accorti.

Il caso di eccezione è quello in cui si deve creare attraverso una decisione una normalità in cui possa
funzionare un ordinamento giuridico. È quel caso di grande crisi in cui una decisione stabilisce una nuova
normalità perché funzioni la costituzione.

“Ogni norma richiede una strutturazione normale dei rapporti di vita”. Perché le norme funzionano ci
dev’essere una normalità, sennò non funzionano, sono parole vane.

Anti normativismo. Situazione media e omogenea: situazione di vita in cui le cose vanno nel modo in cui
devono andare, le cose come vanno nella vita, le norme regolano le cose come vanno nella vita, ma
affinché le norme funzionino ci dev’essere una vita che funzioni. Il diritto è decisione perché determina la
vita che funziona.

La decisione è quella che determina come si vive ed è dentro il diritto, perché il diritto non si esaurisce nella
Costituzione. La decisione è diritto perché dà forma di vita ad una collettività. L’ordine è quello che

Cambia che cos’è la politica. La politica è formare un popolo, dire cosa conta nella vita, ciò per cui si muore
si vive.

Sovranità è colui che decide. La decisione è la capacità di dire che cosa appartiene e cosa no alla forma di
vita. Esempio: Abbiamo bisogno di omogeneità etica, abbiamo bisogno di un modello di famiglia. La politica
dice no emigranti, no famiglia non tradizionale.
11.10.202

Cos’è lo stato di eccezione pagina 78

La sovranità si esplica nella decisione. Il che della decisione è la decisione su una forma di vita. Lo stato di
eccezione è un ordinamento, è l’ossatura di una popolazione, dunque è diritto.

Perché lo stato di eccezione è diritto? Il diritto positivo è solo un aspetto del diritto, l’aspetto formalizzato,
prima c’è altro. Il diritto è una sostanza etica che viene prima del diritto positivo. C’è una distinzione tra
diritto e diritto positivo. È una distinzione che per alcuni è impensabile, il diritto positivo è tutto.

Per Schmitt il diritto, che viene prima ed è oltre il diritto positivo, è condizione di possibilità della normalità.
Nel 22’ Schmitt pensa che le comunità hanno delle tradizioni storiche, delle abitudini, che costituiscono la
forma di vita normale, è una normalità che funziona quando funziona il diritto positivo, è positivizzata sotto
la forma scritta della costituzione. In alcuni specifici momenti della comunità storica si danno delle crisi in
cui la forza originaria del diritto non positivo, la decisione, riesce a ricompattare la comunità sotto una
forma di vita. È la forza di un sovrano che è sempre in grado di ricompattare la comunità intorno ad una
forma di vita. Più avanti Schmitt cambierà idea.

Abbiamo due termini: decisione e norma. L’eccezione è interamente raccolta nella decisione. Ma cos’è
dunque l’eccezione? L’eccezione è la condizione in cui secondo il sovrano quella crisi determina l’eccezione.
L’eccezione schmittiano è quella in cui la crisi, da situazione cui porre rimedio, diventa il pretesto per la
costruzione di un nuovo ordine, di una nuova normalità. C’è un elemento massimo di volontà, volontà di
una persona che è in grado di dire: la crisi è così significativa che la Costituzione non è più sufficiente a
risolverla. Dunque la Costituzione viene abolita. L’eccezione è molto più dell’emergenza perché
l’emergenza può essere risolta attraverso gli strumenti che il diritto offre, l’eccezione no. L’eccezione in
Schmitt è quella condizione in cui un sovrano impone, con un atto decidente, la fine del diritto.

Qual è il criterio di comprova del fatto che uno stato di eccezione si dà? Il criterio di convalida dello stato di
eccezione è la sua efficacia, cioè quando l’eccezione si impone. È un criterio interno, è la sua forza di
affermarsi come tale. Il sovrano ci deve convincere che la vita è cambiata. Qui inizia una storia nuova.
(1933) Il sovrano deve quindi individuare il momento giusto, cogliere le occasioni.

Situazione concreta: Quando il diritto non riesce a farsi rispettare.

Il terremoto di Messina e Reggio Calabria: non si riesce a rispettare la legge, è il puro caos, ha lasciato dei
segni indelebili in queste popolazioni, un centro completamente raso al suolo. Santi Romano ragiona su
questi temi: se non si rispetta il diritto, che si fa? In questo caso specifico il re dichiarò lo stato di assedio e
mandò i militari, come se fosse uno stato di guerra. Quando una popolazione non si rispecchia più nei valori
costituzionali, che succede? (Costantino Mortati) Il concetto di costituzione materiale. Queste sono tutte
concezioni che non riducono il diritto al diritto positivo, costituzionale.

Pagina 80

Lo stato di eccezione è l’instaurazione di un ordine alternativo all’ordine costituzionale. È la fonte del


diritto, il diritto non è forza ma la capacità di imporre un ordine, di far funzionare una comunità. Se si
impone un ordine esterno alla costituzione, in una situazione di crisi, che faccia funzionare la comunità,
quello è diritto e la costituzione cessa di avere validità.

C’è una consustanzialità tra decisione e stato di eccezione. Lo stato di eccezione è la decisione e la
decisione è lo stato di eccezione al livello della loro materializzazione concreta. A livello concettuale vanno
distinti.
La comprova del fatto che uno stato di eccezione si dia: la decisione è tale se crea le condizioni della propria
efficacia, condizioni che non preesistono alla decisione.

Pagina 40

Il sovrano è un grammatico sociale in grado di riscrivere per intero le regole con cui si intesse la vita
ordinaria e soppianta una normalità con un ordine che aspira a crearne una nuova (pagina 81 cos’è lo stato
di eccezione). Il sovrano, l’acme della politica, è in grado di individuare i tratti essenziali di una comunità e
far valere una forma di vita come ciò su cui si compatta la popolazione e di lì si trae il diritto positivo.

Sovrano è chi ha il monopolio della decisione. Schmitt dirà che il pensiero classico, in particolare quello di
Hobbes e Locke, aveva individuato questo tratto distintivo della politica.

Kelsen veniva da una scuola neokantiana (neokantiano movimento preminente della fine dell’Ottocento).

La prospettiva di Kelsen

Kelsen pensa che ciò che sta fuori dalla Costituzione (secondo Schmitt: la decisione, la normalità e lo Stato)
non è materia di studio della scienza del diritto. La scienza del diritto prende avvio dal pensare la
Costituzione.

Kelsen ritiene che la realtà (neokantismo, criticismo di Kant, si sviluppa l’emotivismo) sia formata da due
mondi: il mondo della natura e il mondo del pensiero che tra di loro non hanno nessun rapporto, sono
separati ma coesistenti.

 Il mondo della natura obbedisce alle leggi causali (un sasso che cade, meccanicismo) e non ha nulla
di normativo.
 Il mondo del pensiero, di cui fa parte il diritto. Il diritto non appartiene dunque al mondo della
natura, ma è un prodotto di significazione, ovvero di attribuzione di un significato. Il diritto entra
nel mondo come ‘pensato’ perché si ha tramite la sussunzione di alcuni elementi della natura nel
mondo del diritto. Come succede? Si prende un pezzo di natura e gli si dà un significato. Come
avviene questo? Per Kelsen esiste una formula:
se F (condizione) allora S (condizionato), dove F sta per fattispecie.
Una fattispecie è la descrizione generale di un caso, comportamento. Esempio: se una persona
guida in stato di ubriachezza e uccide qualcuno. La sanzione, in termini giuridici, è il significato
attribuito ad una fattispecie, la quale rientra nel mondo della natura. Quella fattispecie, quel pezzo
di mondo della natura, quando legato ad una sanzione entra nel mondo del diritto. Ciò significa che
nel mondo del diritto può entrare qualsiasi cosa. Il diritto può legare ad una sanzione tutto quello
che vuole. Dunque, se qualcuno guida in stato di ebbrezza e uccide qualcuno (fattispecie), verrà
punito con il carcere (sanzione, attribuisce significato alla descrizione delle fattispecie). Si può
decidere tutto dal punto di vista della scienza del diritto. Per Schmitt questa è la fine del diritto
perché questo strumento è l’unico modo in cui il diritto, oggetto del pensiero (perché c’è un’attività
di significazione di un caso attraverso la sanzione)
Per Kelsen la sanzione è il condizionato: è la sanzione che permette ad un pezzo di natura di avere
validità giuridica. Il diritto è un oggetto del pensiero che non si trova in nessun modo nella natura
dove esistono solo rapporti di casualità (esempio: se accendi il fuoco sotto l’acqua dopo un po’
bollirà). Quando parliamo di diritto il rapporto è inverso perché è la sanzione che consente ad un
pezzo di natura di avere validità giuridica (esempio: se oggi decido che non bisogna pagare le tasse,
non pagare le tasse non è più reato).

Ci sono norme primarie (del diritto penale, diritto civile) e norme secondarie…
Per Kelsen il diritto, quindi, è quel prodotto del pensiero, attraverso il quale vengono significati certi
comportamenti come giuridicamente rilevanti, e vengono significati determinando quali sono gli svantaggi
quando non si verificano i comportamenti descritti nella fattispecie. Il diritto, dunque, trova unicamente
sostegno in un atto di pensiero. Kelsen divide quindi essere (natura) e dover essere (diritto).

Pagina 40

“…si ponga da sé” Perché è valida la fattispecie? Da dove trae la sua validità giuridica? Kelsen dice che una
norma è valida perché un’altra norma la rende valida, e così via, diventa una catena di rimandi che arriva
alla Costituzione. Perché è valida la costituzione? La Costituzione è valida perché noi la rendiamo, con un
atto di pensiero, valida. Il diritto è tutto un atto di significazione, le norme sono tra di loro collegati in modo
che le une convalidano le altre. Il punto più alto è la costituzione. L’unico modo per cui questo diritto viene
pensato come valido è un atto di pensiero che viene detta ‘norma fondamentale’, che non è giustificata da
nessun’altra norma, con cui il pensiero dice: devi obbedire la Costituzione. Quella norma fondamentale è
l’inizio del diritto. È ciò attraverso cui il pensiero da vita a questa catena di norme che non si fonda su nulla.
Il diritto continua ad avere nulla a che fare con il mondo della natura. Le norme sono valide come dover
essere, seppur nessuno le segue continuano ad essere norme.

La costituzione ad un certo punto si pone da sé, non c’è un prima della costituzione che le dia validità, la
norma fondamentale si auto-pone, essa non trova fondamento in niente.

14.10.2022

Schmitt è erede del pensiero di Hobbes sostenendo che la riflessione moderna sulla sovranità è innanzitutto
riflessione su chi decide. La concezione della sovranità che propone non è transtorica ma è eminentemente
storica e appartiene al pensiero moderno e che però nel contemporaneo ha subito un processo di
degenerazione che ha fatto dimenticare del messaggio consegnato dai pensatori moderni.

Capitolo 1: momento definitorio

La sovranità è la capacità di determinare uno stato di eccezione ovvero individuare dove c’è uno stato di
eccezione, ovvero crea le condizioni di uno stato di eccezione. Lo stato di eccezione non è uno stato di crisi
o caos ma è l’ordine imposto dal sovrano che è in grado di determinare la sospensione dell’ordine esistente
per portare un ordine nuovo che riscrive il codice della normalità. Questo accade in condizioni in cui si
arriva all’acme della costituzione, laddove la costituzione pretende di normare quello che è fuori di sé
stessa e questo potere tracima fino a portare all’atto decidente con cui il sovrano manifesta sé stesso
attraverso la manifestazione dello stato di eccezione. È una capacità ordinante che ha la scaturigine in sé
stessa e che ha la comprova solo nella sua efficacia.

Una giurisprudenza che si occupa solo dell’ordinario non è una giurisprudenza. Laddove quel tipo di
giurisprudenza miope vede disordine, lì c’è la rappresentazione massima della sovranità. Questo tipo di
giurisprudenza si rifiuta di considerare il cuore della politica: la manifestazione della sovranità che ha in se
stessa una capacità ordinante che va oltre il diritto positivo. Quel tipo di giurisprudenza miope insiste sul
fatto che solo la normalità può essere oggetto di interesse scientifico. L’eccezione non ha spazio nello
schema conoscitivo della giurisprudenza della normalità.
Schmitt prende di petto l’idea che non sia una questione giuridica. L’intuizione di ansciuz che Schmitt ha in
odio è la seguente: Quando il diritto ha da essere sospeso e non vale più, là la teoria del diritto (la
giurisprudenza) viene meno. Schmitt odia questa definizione perché diritto non è solo diritto positivo ma è
l’attività ordinante del sovrano, è inscritto nella capacità del sovrano di plasmare una nuova normalità,
viene prima del diritto positivo. C’è un diritto e un ordinamento che viene prima del diritto positivo per
Schmitt.

Pagina 41

Schmitt indica una filosofia della vita concreta, ovvero il pensiero della vita concreta. Una filosofia della vita
concreta è una filosofia che sa vedere dov’è vita, la filosofia che individua i filamenti vitali di una comunità e
che sa che il cuore della vita della comunità è l’eccezione.

Il tema della ripetizione (il caso che ripete se stesso) è un tema molto importante in filosofia. Fa riferimento
a Kierkegaard (era già un tema humiano). Schmitt qui è un po’ svilente nei confronti della ripetizione.
Schmitt sostiene che il caso normale ovvero la vita che si ripete ha bisogno di un fondamento. Questo
fondamento non lo si ritrova in sé stesso. L’ordine, per Schmitt, non è naturale. Ennesima eredità del
pensiero politico moderno. L’ordine non è naturale, nella natura non c’è il caso che è capace di sussistere
da sé. L’ordine non si autoproduce o auto spiega. Chi guarda solo all’ordine guarda ad un oggetto che ha
bisogno di spiegazione. L’ordine ha sempre un’origine e questa origine è l’eccezione, la decisione.

Nel quadro schematico della ripetizione, del caso normale che ripete sé stesso, non si trova ciò che il caso
normale permette. Per Schmitt l’eccezione è la capacità plasmante di una sola attività decidente per cui si
da vita ad un ordine nuovo.

Capitolo 2
Schmitt dice che la teoria dovrebbe essere una risposta alle situazioni che mutano di fatto, ma c’è una
tendenza incancrenita di fare della teoria una schematicità rigida.

Critica di Schmitt a concezioni del tempo: normativismo e positivismo:

 Positivismo: già menzionato a proposito di Hobbes, è l’idea che il diritto sia un fatto di umana
fattura, un prodotto della creazione umana che non ha nulla a che fare con altri prodotti della
creazione umana o della natura, come per esempio la morale. Il positivismo è una concezione che
vede il diritto come positivo, ovvero posto dall’essere umano, e in quanto posto non ha una
relazione necessaria con la morale. Per Kelsen il diritto non ha un rapporto necessario con la
morale. Perché? Da una parte abbiamo il diritto che è una tecnica di organizzazione della forza, che
opera secondo una formula trascendentale per cui se si dà una condizione segue un condizionato.
Questa condizione (la fattispecie, il reato) può, nella formula trascendentale della norma, può avere
qualsiasi contenuto e non ha da essere morale. Che poi talvolta coincida con la morale e con la
giustizia è una questione storica. che il diritto sia giusto e ingiusto è materia della sociologia, della
filosofia ma non della giurisprudenza. Diritto è norma cioè la capacità di associare una sanzione a
una fattispecie, qualunque essa sia. Per questo motivo non c’è una condizione necessaria tra diritto
e morale.
 Normativismo: è imparentato con il positivismo, sono connessi. Il normativismo dice che al cuore
della vita del diritto sta la norma (Kant: la norma è la legge morale).
Kelsen è un normativista perché per lui il diritto (se F allora S) è quella tecnica di ascrizione di un significato
(una norma) per cui a una fattispecie è collegata una conseguenza spiacevole, una sanzione.

Differenza della sanzione in Kelsen e la sanzione in Hobbes:

 Per Hobbes la sanzione è deterrente, determina uno stato di svantaggio, di educazione


comportamentale.
 Per Kelsen la sanzione non ha un valore di deterrenza (cioè non ha il potere di distogliere dal
compiere un’azione illecita), essa è uno schematismo a priori attraverso cui si significano dei
comportamenti. La sanzione è attribuzione di un significato che non si misura in base alla sua
capacità di deterrenza. La sanzione è un’attribuzione di significato a una fattispecie che ha valore di
dover essere. Se F (omicidio) allora S (ergastolo). F è la condizione, S è il condizionato. S, il
condizionato, è l’attribuzione di un significato. Seppure questa sanzione non spaventi a nessuno e
nessuno la rispetta, questa continua ad avere significato perché questa norma porta pezzi di natura
dentro il mondo del diritto con un atto del pensiero. Un conto è la funzione pragmatica di una certa
cosa, un’altra la sua natura concettuale. La natura concettuale della sanzione è tale che siamo
nell’ambito del dover essere, qualcosa la cui validità non dipende da ciò che esiste. La sanzione è
una canna da pesca che porta pezzi di natura nel mondo del diritto attraverso un atto del pensiero.
Il diritto non esiste in natura (eredità di Rousseau), il diritto è un atto del pensiero.

Schmitt sta tracciando un percorso: è successo qualcosa soprattutto dal diciassettesimo secolo ad oggi,
qualcosa è in corso. Nel corso di tre secoli il concetto di sovranità viene sempre più depotenziato. Schmitt
dice che non è la forza, il potere supremo, ad essere caratteristico della sovranità. Prendere quel concetto
di sovranità come potere supremo e non derivato rischia di farci cadere nel paralogismo secondo cui la
sovranità sia questo potere supremo ma sovranità, quale concetto giuridico, non ha a che fare con la forza.
Il sovrano non è il più forte.

In termini di teoria del diritto, quando si mette a tema cos’è la sovranità, essa non ha a che fare con la
forza, non è questione di potenza. Se fosse questione di forza, la sovranità cambierebbe di volta in volta a
seconda di chi è più potente. Il moderno concetto di sovranità ha avuto bisogno di mettere a tema cosa
fosse questa sovranità non basata sulla forza, ma il pensiero moderno cancella il tema della sovranità. Le
moderne costituzioni sostengono che la sovranità risiede in loro, una sovranità che è una modalità di
risoluzione del problema di sovranità. Per Kelsen la sovranità è un concetto spurio, è un concetto inutile.
Cancellare il problema della sovranità è il più grande errore del pensiero contemporaneo secondo Schmitt.
Ne emerge una visione conservatrice ed antiparlamentare di Schmitt della politica come capacità di
determinare quello che conta nella vita di una comunità politica. La sovranità significa utilizzare risorse
materiali e simboliche in grado di perimetrare la forma di vita, tenerla compatta. La politica non è né ciò
che succede in parlamento, la politica compatta, irradia il proprio potere decidente, la comunità prende
forma, questa è la politica. Schmitt dirà che questa è la politica moderna in cui non c’è più Dio e la chiesa.
Abbiamo comunque bisogno di una trascendenza e questa sarà un politico che sa formare una forma di vita
e la sa governare.

Kelsen

Esistenza di due mondi: quello del pensiero e quello della realtà naturale. Distinzione kantiana tra mondo
della realtà del pensiero e mondo della realtà dei fatti. La ‘purezza’ è un concetto kelseniano e ancor prima
kantiano. La dottrina pura del diritto. Puro significa che elimino dallo studio del diritto tutti gli elementi che
non sono giuridici. L’avvio del diritto è la norma fondamentale, come atto di pensiero: devi obbedire alla
costituzione. La norma fondamentale è quell’attitudine che da avvio al diritto. Fuori dalla costituzione non
possiamo porci un problema giuridico, è dalla costituzione che possiamo porci il problema del diritto. Per
Kelsen lo stato non è che l’ordinamento giuridico, tutto è raccolto nella costituzione. Non c’è uno stato
fuori dal diritto. La costituzione autorizza, si innerva nel tessuto dello stato determinando chi fa cosa. La
questione della sovranità non è una questione giuridica.

Che cos’è lo stato di eccezione, pagina 87

Non è la costituzione che risponde al problema: chi fa la legge?

L’obiettivo di Schmitt è quello di un personalismo politico fortissimo: se tu spersonalizzi la politica e rendi lo


Stato un ordinamento giuridico, non vedi che la politica è soprattutto UNA persona che sia in grado di
mettere le mani sul collettivo e renderlo collettivo. Senza quella persona e quell’attività ordinante tu non
vedi cos’è il diritto, vedi solo il diritto della normalità, il diritto positivo. Per Schmitt la politica è quella
persona che è in grado, attraverso il suo atto decidente sullo stato di eccezione, di plasmare una comunità.
Schmitt vuole riportare in auge il personalismo e il decisionismo hobbesiano sostenendo che fa parte della
teoria del diritto vedere quel momento prepositivo in cui una persona prende una decisione, una decisione
su che cos’è la nostra vita collettiva. Senza questa decisione l’ordine non si dà in maniera spontanea.

Per Kelsen il concetto di sovranità non serve alla teoria del diritto.

Nota 7 La norma fondamentale (grundnorm) non è una norma derivata, concreta perché altrimenti sarebbe
posta da qualcuno. Tale norma è giuridicamente vincolante ma in un senso logico. Che cos’è questa norma
fondamentale? In che senso è ipotetica e presupposta?

Se il diritto nel mondo non c’è, non è qualcosa che troviamo né nella natura né nei comportamenti umani
cioè nei fatti. Il diritto esiste quando con un atto del pensiero noi diamo il via all’esistenza di questa
macchina epistemica per cui questa cosa che c’è fa un salto dal mondo della realtà, al mondo dell’idealità e
diventa diritto. Il diritto non c’è nel mondo (per Schmitt c’è), è un atto di pensiero per cui se qualcuno ci
minaccia e ci dice che da oggi le cose si fanno così e così, queste sono cose che succedono nel mondo. Per
rendere giuridico questo ordine serve un atto intellettivo con cui si dice: dobbiamo adeguarci alla
costituzione, che sarebbe quell’atto originario di imposizione della forza. È un salto logico, il diritto diventa
una tecnica descrittiva che si basa su un atto originario di pensiero (bisogna seguire quello che dice la
costituzione) e da lì prende il via il diritto come macchina normativa di autorizzazioni e competenze. Il
diritto è quindi qualcosa che abita nel mondo dell’idealità, per Kelsen il diritto è quell’atto descrittivo, quel
salto logico con cui un ordine che funziona noi lo leggiamo in termini giuridici.

Noi abbiamo la conoscenza, ovvero una filigrana che ci permette di dare senso ad un pezzo di realtà.
Quando quel pezzo di realtà non ci serve più la filigrana o ce ne serve un'altra. Per Schmitt invece Kelsen
non vede che a fondamento non c’è un atto che obbedisce alle leggi causali del mondo ma la capacità
sovrana di dare ordine. Accusa Kelsen di non sapere cosa sia l’ordine. Kelsen non si occupa dell’origine
dell’ordine.

17.11.2022

Capitolo 1: La sovranità è il monopolio della decisione che consiste nel dare una forma di vita ad una
comunità. L’eccezione è un ordine che consta nella capacità di dar forma alla forma.

Ontogenesi del diritto: eccezione/decisione→ Ordine dell’eccezione (l’eccezione è l’ordine che consta nella
capacità di dar forma alla forma di vita) /normalità (forma di vita) → Ordine costituzionale del diritto
positivo
Capitolo 2 al capitolo 3: La questione fondamentale è che dall’Ottocento viene producendosi una tendenza
degenerativa che consiste nella svalutazione del sovrano come concetto, come pratica e come persona.
Schmitt vuole individuare quella tendenza degenerativa con cui la sovranità viene drenata ed espulsa dalla
cornice del pensiero politico giuridico della modernità. Secondo costoro la sovranità non serve più. Kelsen è
la forma più cristallina dell’esclusione del concetto di sovranità dalla teoria dello stato e del diritto pubblico.
Non serve più la sovranità perché il diritto è immediatamente riconducibile ad un sistema di significazione,
è fondato su una base che è ipotetica (carattere ipotetico e dipendente da una situazione di fatto, ovvero
dalla norma fondamentale che consiste in un’attitudine del prendere a considerare un dato ordine come
ordine giuridicamente valido). Per Kelsen il diritto positivo sta interamente nel mondo del pensiero, non è
dato in natura.

Pagina 90 riga 7 teologia politica

La norma fondamentale non è una norma in senso proprio. Essa è obbligante ma l’obbligo è di natura
ipotetica, non deriva da nessun’altra norma, questa dà vita ad una serie di altre norme.

Abbiamo costantemente a che fare con norme che obbligano a livello epistemico, che a loro volta creano
obblighi a livello pratico. Norme che ad un certo punto, se la nostra attitudine verso questo ordinamento
muta, si fanno produttrici di altri tipi di norme. Per esempio: noi usciamo con qualcuno e abbiamo attitudini
che segnano una certa intimità. Ad un certo punto, dopo essersi visti spesso, si diranno: siamo una coppia.
È questa una norma che non ha natura obbligante ma è una norma verso cui abbiamo un’attitudine
epistemica: trasformiamo la nostra visione in modo tale che quando vi mettete in quella trappola siete
costretti a seguire una serie di norme, consuetudini, che rispondono ad una condizione mutata. Quando vi
riconoscete come coppia, quelle norme cominciano ad avere valore e diventano vincolanti. Un’attitudine
epistemica verso un ordine che muta perché detto in un certo modo. Un ordine è un ordine rivoluzionario,
illegale ingiusto finché non muta l’attitudine di coloro che devono utilizzare le norme e dicono: devi
obbedire al diritto. Questo è il diritto per Kelsen: il fatto che ad un certo punto si adotta una norma
fondamentale dalla quale deriveranno tutte le altre.

 Per Kelsen lo Stato dipende solo da sé stesso (tema già roussoniano), la costituzione è lo Stato
perché produce i suoi organi e li regola.
 Per Schmitt lo Stato non è coincidente con l’ordinamento giuridico. La decisione è fuori dalla
costituzione, è parte di un diritto che è prepositivo. La decisione è comunque giuridicamente
sostanziosa perché la decisione è un ordine, se non ordina non è decisione. Per Schmitt il diritto è
l’ordine, ciò che dà forma. Per Schmitt la decisione è giuridica perché è ordinante. Il fatto che il
diritto diventi diritto positivo aggiunge solo chiarezza, metodo. La decisio ne va valutata solo in base
alla sua efficacia ovvero alla sua capacità di dare un ordine.

Come per Hobbes, Locke e Rousseau per Schmitt il problema dell’origine e dell’ordine è fondamentale. Per
Kelsen il problema dell’origine è estraneo alla scienza del diritto, la scienza del diritto non può porsi il
problema dell’origine perché inizia con l’ipotesi che taglia via il problema dell’origine. Il diritto nasce con
l’ipotesi che sia valido, quell’ipotesi è il fondamento dell’ordine.

Lineamenti di dottrina pura del diritto, Kelsen (1934):

Perché una norma è valida? Perché un’altra norma di ordine superiore la rende valida. Qual è il
fondamento della validità della costituzione? Essa pone le sue basi su una costituzione più antica. Il tutto
inizia con un atto di forza di un usurpatore che impone un ordine. Quando arriviamo all’atto
dell’usurpatore, la scienza giuridica non ci dice più nulla.

Brocardo (proverbio latino spesso utilizzata in ambito giuridico): la legge viene fatta dall’autorità non dalla
verità. Schmitt gli attribuisce un significato del suo Hobbes. Ovvero: la verità è quella cosa che studia Kelsen
ovvero come funziona l’ordinamento. Ma questo non ti dice nulla sull’ordinamento, quello che conta se
vuoi capire il diritto è la decisione del sovrano. È una decisione ingiustificata e ingiustificabile perché la sua
efficacia è la sua comprova, prima della decisione originaria non c’è nulla. Non c’è una giustificazione
possibile per questo è già sempre ingiustificata. I filosofi politici del Novecento hanno cercato la
giustificazione dell’autorità. Ancora oggi i normativisti si confrontano con Schmitt perché secondo loro una
giustificazione dell’atto di fondativo del potere è possibile. Hobbes, Locke, Rousseau cercano la
giustificazione. Schmitt invece sostiene che nessuna giustificazione è possibile. Il nostro ordine non ha
giustificazione.

Nel Novecento la filosofia politica si rende conto che la liberal democrazia non si poteva giustificare se non
con criteri interni a sé stessa (rispetto diritti umani, rispetto delle disuguaglianze). Se valuti un ordinamento
in base a dei criteri che sono interni a sé stesso è normale che lo riterrai giusto, serve un criterio esterno
per valutare oggettivamente. Per Schmitt non c’è giustificazione, se vuoi render conto di un sistema politico
devi giungere alla decisione fondativa che è giustificata solo da sé stessa dalla sua efficacia.

Come si ricostruisce un ordinamento giuridico: Kelsen (positivismo giuridico) colloca la sovranità all’interno
dell’ordinamento stesso. Così facendo la validità di un ordinamento è ridotta ad una mera ipotesi teorica.

La questione è la seguente:

secondo Schmitt, Kelsen e gli altri credono di poter dare conto di un ordinamento giuridico utilizzando i suoi
stessi criteri. È una giustificazione dall’interno. Ma dall’interno non si è in grado di renderne conto. Per dare
pieno conto di cos’è un ordine giuridico funzionante devi vedere chi è che decide. Si può capire cosa sia un
ordinamento, quali siano i suoi rapporti interni, solo guardando a chi decide.

Pagine 87 a 93 di cos’è lo stato di eccezione: linea guida per capire il capitolo 2

Capitolo 2 Pagina 46 teologia politica

Rispetto alle due grandi opzioni di Schmitt (decisionismo) e Kelsen (normativismo, positivismo giuridico), c’è
una terza via, quella istituzionalista. Quando ad un certo punto si dà una pratica, la cui forza emergente
chiede e impone un linguaggio ai praticanti, quella non è una decisione. La forza della pratica offre un
linguaggio normativamente articolato immanente. Nella concretezza non c’è una decisione, non
riconosciamo questo stato per dare un linguaggio a questa serie di azioni condotte. Questo è un salto
descrittivo che è già immanentemente racchiuso nella pratica. La decisione sta nella pratica, dunque non è
una decisione. Qualsiasi ordine ha quel carattere nomico immanente che richiede a chi la pratica l’atto di
circospezione, di riconoscimento delle modalità che meglio danno conto di quello che si fa. È la forza della
pratica che fa emergere una sua dicibilità linguistica. Non c’è mai una vera decisione, è quasi un espediente
linguistico. Nei fatti c’è una continuità di eventi che l’individuazione della decisione è impossibile, possiamo
stabilirla ex post.

Per Schmitt il problema della concezione di Kelsen (stato coincidente al suo ordinamento giuridico,
sovranità coincidente con la costituzione, il diritto come un insieme di competenze e di norme) è

C’è una parte di persone per cui la questione fondamentale della filosofia politica sia la giustificazione
dell’ordine. Cercano di rispondere alla domanda: perché obbedire? Hanno trovato criteri tra i più vasti.
Perché io aderisco alla costituzione? Perché un’intera comunità aderisce? Come si permette allo stato di
esercitare coazione sull’individuo? Schmitt invece sosterrà che l’ordine non è fino in fondo giustificabile.
Parla di un’origine ingiustificata. Richard Rorty dirà che la liberal democrazia non si giustifica, si giustifica
con dei criteri interni a sé stessa. Questo ha a che fare con il tema dell’oggettività del vero. L’ordine è
giustificabile? Schmitt trova un’origine in un atto personale di decisione. Successivamente Schmitt si
ricrederà.
Pagina 46

“L’unità dal punto di vista conoscitivo provoca una concezione monistica” Schmitt qui riassume il pensiero
kelseniano dicendo che è un monismo perché dall’atto del pensiero deriva un diritto che è unico. Per Kelsen
c’è un diritto: quello della norma che ha origine da un atto del pensiero.

Come si fa a riportare tutti gli elementi che danno corpo all’ordinamento di un paese ad un unico punto?

L’idea kelseniana che tutto l’ordinamento sia riducibile ad una unità, un sistema unitario che scorre su
norme prodotto da altre norme, è un esercizio formalistico. Kelsen non capisce nulla di diritto, di come
funziona, secondo Schmitt. Se tu vuoi fare un esercizio di purismo per cui ti interessano solo i rapporti tra le
norme, non capisci cos’è il diritto che è differentemente inteso a seconda della persona che decide. Schmitt
sta dicendo che Il diritto non è solo il modo in cui funzionano le norme, è il modo in cui le fai funzionare.
Per Schmitt bisogna spiegare la realtà dei fenomeni materiali. Kelsen risolvere il concetto di sovranità
semplicemente negandolo. Per Schmitt per capire veramente cos’è un ordinamento giuridico, come
funziona, devi studiare chi sta alla sommità, devi considerare il concetto di sovranità.

No pag 48 a 55

La decisione prescinde dai suoi contenuti.

In realtà le norme non risolvono nulla dice Schmitt. Il problema è che quando ci sono casi molto
problematici, c’è una decisione. Cioè il fatto che tu ritieni che una norma si applichi a quel caso, ma senza
una vera prova, non c’è mai una prova ultima e definitiva. Il diritto è un a forma eterna del pensiero per
Kelsen. Per Schmitt non può essere così perché se il diritto è la capacità di dar forma ad una forma di vita, il
diritto sarà incarnato in una forma di vita. la forma generale della norma non è il modo in cui una norma si
dà.

Schmitt prende partico contro Locke, dice che è la legge nella sua forma che determina la forma dello Stato,
della legge. Ma la legge a chi dà l’autorità? Il problema di Schmitt è sempre chi decide.

C’è Hobbes, rappresentate del tipo decisionistico. Ogni volta che c’è di mezzo una decisione (sia quella che
da scaturigine all’ordine, che qualsiasi altra decisione minore) quello che conta è la persona che decide. C’è
bisogno di formare i giudici e i giuristi. Perché la decisione non è risolta dal testo della norma che ti dice
solo il come operare, ma è il chi ad essere condizione del come. Determinare chi ha il potere significa
determinare chi ha la decisione ultima.

Questo è un decisionismo eccezionalista e personalista perché la decisone non è la decisione in generale


ma è la decisione di una persona. Il positivismo nostrano deriva dalla colonizzazione del pensiero
matematico, scientifico. Per Schmitt la politica è altro, non si può avere un sistema che ti spieghi come
funziona la politica, devi starci dentro, le decisioni dipendono da chi prende quelle decisioni. Hobbes aveva
ragione perché aveva visto che il potere che riesce ad affermarsi e creare ordine perché ci è riuscita quella
persona. La politica è un chi che riesce a leggere la situazione prima degli altri.

19.11.2022

Teologia politica non richiama una sacralizzazione del potere, Schmitt non vuole instaurare un richiamo al
divino come elemento validativo della politica. La politica non vive se non di un’eccedenza, ovvero di
qualcosa che la trascenda. Questa cosa che lo trascende è la capacità ordinante decidente del sovrano.

Capitolo 3
Schmitt cerca di rispondere alla seguente domanda: In che modo è venuta meno la sovranità?

Incipit: Schmitt dice che i concetti della moderna teoria dello stato prima erano concetti teologici, come tali
sono stati utilizzati e portati fuori dal loro contenuto teologico e laicizzati. Tesi forte che rimanda al cuore
della proposta schmittiana: una volta la politica aveva un’eccedenza, una trascendenza fortissima che era
Dio e il sapere attorno a Dio. Teologia non è parte del dogma ma è scienza del divino, sapere umano
prodotto intorno a quello che attiene al divino.

Quelli della moderna dottrina dello stato sono concetti teologici secolarizzati, per due motivi:

 In base al loro sviluppo storico perché sono passati dalla teologia alla dottrina dello Stato. Hobbes
quando ha pensato al sovrano in realtà aveva in mente un modello che era Dio. Non che il sovrano
era Dio. Qui Schmitt colloca Hobbes e la dottrina moderna dello stato in uno spazio secolare: Dio ha
smesso di svolgere la propria funzione, quindi c’è bisogno di un sostituto, al posto di dio si è
pensato ad un legislatore onnipotente.
 Nella loro struttura sistematica perché i concetti della moderna dottrina dello stato non possono
essere compresi singolarmente ma solo se li si inquadra nella loro struttura sistematica

Prendiamo un concetto a caso, quello di costituzione, come si analizza? Innanzitutto questo concetto, come
tutti i concetti della moderna teoria dello stato, vengono dalla teologica. La teologia ha una struttura
sistematica, quindi anche la dottrina dello Stato come la teologia avrà una dottrina sistematica. Per capire
un singolo concetto de capire la struttura sistematica. Un concetto non è comprensibile se non nella sua
struttura sistematica che è trasferita dalla teologia alla moderna dottrina dello Stato.

Schmitt dice questa cosa per un motivo, perché questa premessa di metodologia? Schmitt dirà che per
capire uno solo dei concetti della moderna dottrina dello stato devi capirne la struttura sistematica. Ma
cosa si intende per struttura sistematica? Non si parla della sistematicità delle scienze esatte. La natura
sistematica di cui si parla è quella della forma di vita. questo sistematismo non riguarda i rapporti interni tra
i concetti ma riguarda il modo in cui si ingrana nella forma di vita. una struttura sistematica significa il modo
in cui si ingrana in una forma di vita. Schmitt parla di sociologia dei concetti giuridici.

Schmitt crea un’analogia tra miracolo e stato di eccezione. Così come il miracolo interviene ed interrompe i
nessi causali che ci sono nelle leggi di natura, così lo stato di eccezione sospendono le leggi dello stato. Dio
sospende la legge di natura, il sovrano sospende le leggi positive. Lo stato di eccezione è come il miracolo in
quanto sospende la legge che va avanti da sé. Senza queta analogia non riusciamo a capire la storia subita
da certi concetti.

Per stato di diritto s’intende un assetto istituzionale in cui è il diritto che ha la dominanza, è quello stato in
cui non sarebbe stato senza diritto. Lo stato è innanzitutto quella struttura di norme. In Inghilterra lo stato
di diritto è la rule of law: quello che domina è la legge. Al cuore dello stato di diritto c’è il diritto che funge
da costitutore e da controllore dei poteri, della distribuzione delle competenze ecc. l’attitudine che ha
Schmitt nei confronti dello staro di diritto è negativa perché ritiene che lo stato di diritto sia ciò che residua
dalla esclusione della sovranità. Dal Seicento in poi con dei movimenti culturali degenerativi (deismo,
illuminismo), da Hobbes lo hanno cacciato via progressivamente, la dottrina dello stato ha via via cacciato
fuori l’eccezione e la sovranità.

Il diritto funziona come un sistema, un sistema che incorpora in sé la causalità naturale e da politico vi
spiega come si fa un diritto naturale. Secondo Kelsen Il diritto è qualcosa che ha natura trascendentale, non
dipende da concrezioni storiche, esso si incarna in una formula (se f allora s). questa formula trasferisce
pezzi del mondo naturale, li sussume sotto qualcosa che sta nel mondo del pensiero che è il diritto. Come?
Attraverso un processo di significazione gale per cui associando una sanzione ad una condotta, la porto nel
mondo del diritto dicendo che se si verifica deve succedere questo. Qualcosa entra a far parte del diritto
solo se fatto in corrispondenza ad una norma superiore, la quale sarà in corrispondenza ad un’altra norma,
fino a giungere alla Costituzione. Scienziato del diritto: studia la funzione di un sistema e come questo
sistema può essere messo in un contesto che è davvero liberal democratico. Scollamento tra diritto e il
mo0do in cui il diritto può essere messo a funzionare. Per Schmitt è una follia che ci sia qualcosa che
funzioni per una sua logica interna e che questa cosa funzioni in diversi contesti. Per Schmitt non c’è una
logica universale del diritto perché il diritto e il modo in cui funziona è sempre il riflesso della forma di vita.
Schmitt è l’opposto di Kelsen. Egli ritiene che la democrazia parlamentare sia una forma di vita è sempre più
degradata.

Agamben dice, in accordo con Schmitt, che la pandemia e il modo in cui è stata gestita è funzionale alla
riscrittura del codice genetico del sociale perché c’è un progetto politico di cambiamento della società. La
pandemia e il modo in cui è stata gestita è funzionale non alla risoluzione della pandemia ma
all’implementazione di una nuova forma di vita.

Pagina 162 cos’è lo stato di eccezione Common good constitutionalism, adrian vermule

Riproposizione di un paradigma schmittiano: l’idea che la sostituzione dev’essere il puntello di una forma di
vita che tiene tutti insieme. I diritti di libertà degli individui vengono sempre al secondo posto e ci
dev’essere una forte capacità dell’esecutivo di dire cosa conta nelle vite delle persone.

Schmitt vuole dire come mai non c’è il tipo di governo auspicato da Vermule. Secondo Schmitt siamo
arrivati ad uno stato di diritto che è una condizione da poveracci, ci dev’essere una condizione invece la
politica è nutrita dalla sua eccedenza, ovvero qualcuno che sa decidere cosa conta nella vita della comunità
e se questo viene minacciato da alternative, viene tagliato via. Il governo politico è una capacità fortissima
di indirizzo, la politica è un governo che compatta una forma di vita senza la quale non c’è (eredità
hobbesiana), è il politico che da forma al suo rappresentato. Ci sono modi non reazionari per favorire la
riduzione del pluralismo. Schmitt ci dice bene come combattere il pluralismo.

21.11.2022

Teologia politica non sta ad indicare che c’è un’eccedenza rispetto ad una cornice giuridico politica che ha
atteso ad espellere prima dio e poi la sovranità. Schmitt critica il Passaggio da una concezione della politica
fondata su un potere di ispirazione divina in cui c’era la presenza forte di Dio, ad una progressiva
laicizzazione del potere politico che ha coinciso con la concezione della costituzione come fonte e sede
unica della sovranità, al punto che la sovranità è un concetto ridondante.

Pagina 66

La sociologia dei concetti giuridici è una metodologia d’indagine che Schmitt propugna nel capitolo 3 di
Teologia politica. Una sociologia dei concetti giuridici vuole vedere come si incardinano nella struttura
sistematica del sapere giuridico che corrisponde a quella forma di vita. È necessario per capire un concetto
indagare la struttura sistematica del sapere giuridico che corrisponde ad un determinato sviluppo della
forma di vita. C’è un concetto giuridico che per essere compreso dev’essere ricondotto nel suo sistema, il
quale è a sua vola la superficie emergente di una forma di vita. quindi per capire un concetto giuridico
bisogna

1. Conoscerne il contenuto
2. La posizione all’interno del sistema giuridico
3. Il rapporto sistematico con la forma di vita, in quanto i concetti giuridici sono l’elemento affiorante
di un’intera forma di vita, ovvero dell’intero modo di strutturazione del normale di una comunità.
Aver come punto di riferimento una piattaforma materialista o averne una di impianto
idealista/spiritualista non permette di individuarne il nesso che c’è tra questi elementi non scindibili.
Schmitt sta sdicendo che a lui non interessa vedere il rifletto dei processi materiali sul mondo delle idee
perché lo ritiene riduzionista.

Pagina 68

Come opera la sociologia dei concetti giuridici e qual è la peculiarità di questo approccio?

“La sua peculiarità sta nel fatto che, superando la concettualità giuridica orientata ai più immediati interessi
pratici della vita giuridica…” la sociologia dei concetti giuridici supera la semplice scienza del diritto che
guarda solo al concetto ed è orientata a interessi pratici più immediati della vita giuridica.

“…rintraccia la struttura ultima, praticamente sistematica, e questa struttura concettuale viene poi
comparata all’elaborazione concettuale della struttura sociale di una determinata epoca.” La sociologia dei
concetti giuridici compara la struttura sistematica della conoscenza giuridica e dei concetti giuridici alla
struttura sistematica dei concetti di un’intera epoca.

Alla sociologia dei concetti giuridici non interessa se i concetti che possediamo sono la conseguenza di una
serie di fenomeni sociali materiali o viceversa. Due modi d’intendere il rapporto tra le pratiche e le idee
intorno alle pratiche:

Passaggio dal matrimonio combinato al nucleo dell’amore romantico, si è diffusa un’idea la quale è
maturata legata ad altre idee (libertà dell’essere umano che determina il suo futuro), queste idee hanno
trovato concrezione anche nell’amore romantico in cui l’amore dev’essere elettivo e non ascrittivo. Un’idea
nasce, si diffonde e come essa si incarna cambiando le pratiche sociali

Oppure può cambiare una struttura sociale, in virtù del fatto che per esempio certi assetti sono venuti
meno e in cui lo stato ha avuto un ruolo sempre più prominente nella sua regolazione della società. Questo
cambiamento sociale ha prodotto di riflesso l’affermazione di un’idea

È l’idea che determina il cambiamento sociale o viceversa?

Marx direbbe che l’amore romantico è stato un riflesso del cambiamento della struttura economica: dalla
struttura del signore alla struttura capitalistica (l’idea è solo un riflesso di).

Chi ha invece una visione di storia dei concetti di tradizione hegeliana direbbe che la forza delle idee e dei
concetti è capace di irradiarsi su un modo di vivere il mondo.

Schmitt ci sta dicendo che a lui non interessa determinare se il matrimonio sia il riflesso del mutamento
della struttura sociale o se sia l’affermarsi di un concetto che ha avuto la capacità di plasmare le relazioni
tra le persone. A Schmitt non interessa determinare se la materialità dei concetti giuridici plasma un’idea o
viceversa. Qual è il surplus della sociologia dei concetti giuridici? Per capire un’epoca, per fare una sintesi
del presente, per esempio, a che cosa guardereste? La risposta di Schmitt

Va contro max weber (dimostra come un’etica protestante sia stata l’esito di una struttura di economia di
matrice calvinista) e Hans Kelsen, Schmitt rivendica una originalità metodologica per cui per capire
un’epoca devi individuare il nesso tra la superficie istituzionale e politica e la struttura dio fondo metafisica.
I concetti giuridici sono la via d’ingresso alla struttura metafisica di un’epoca. Per comprendere lo spirito di
un’epoca bisogna individuare il nesso tra struttura politica istituzionale e metafisica di fondo. Egli ritiene
che la struttura politica sia la via d’ingresso sia la via più affidabile alla metafisica di fondo di una comunità.
Per capire come funziona la nostra forma di vita bisogna partire dallo studio delle istituzioni politico-
giuridiche.
Schmitt adesso vuole spiegare come si si passata da un’epoca che faceva spazio all’idea della sovranità,
ovvero che riempiva i vuoti di eccedenza con l’eccedenza, fino ad un’epoca 9n cui si pensa di poterne fare a
meno. In realtà il populismo è la manifestazione di un vuoto, questa eccedenza si manifesta per negativa in
un vuoto, ovvero nella rincorsa a qualcosa che si sostituisca all’idea di dio e di sovranità. Così facendo, non
riconoscendo il bisogno dell’eccedenza, promuoviamo

Un assetto istituzionale ha bisogno di un compattatore e qualcosa che immetta risorse simboliche senza le
quali le comunità non stanno insieme. Schmitt insisterà sull’idea che un ordine sia interamente immanente
a se stesso e destinato ad essere la spinta sul fianco che porrà fine a quell’ordine. L’ordine ha bisogno di
una trascendenza. La politica prima ne era certa e poi se n’è dimenticata chiudendosi in una cieca
immanenza secondo cui tutto ciò che conta per una comunità politica è quella di avere una costituzione, le
procedure che determinano il suo funzionamento.

Sunto capitolo tre:

1. Teologia politica ha necessità di trascendenza


2. Teologia politica significa che c’è sempre un’eccedenza, anche laddove sembra non esserci. Quando
una comunità politica si rende conto del bisogno di un’eccedenza, quindi del bisogno di un surplus
di trascendenza, recupera i suoi destini. L’ordine non si mantiene in piedi da sé, ha bisogno di
qualcosa che viene da fuori.

Parabola degenerativa per cui le comunità politiche occidentali hanno fatto fuori l’eccedenza

Schmitt sostiene che l’immanenza è una destinazione alla dissoluzione. L’immanenza è miopia. L’unica
garanzia di un ordine politico presente a sé stesso sia lo spazio per l’eccedenza, per un elemento
trascendente che produca la compattezza di una comunità politica.

Per comprendere la struttura profonda di una società bisogna individuare il nesso tra la sua superficie
giuridico politica e il suo sfondo di concetti. Schmitt dice questo perché il suo obiettivo in questo libro è
un forte invito a che ci si renda conto ce l’ordine politico necessita di un eccedenza che risponde
sempre ad un sovrano personale. Vi spiego qauli sono le condizioni di sussisyenza di una comunità
politica: lo spazio aperto ad una sovranità personale. In questo capitolo tre vuole mostrare il percorso
degenerativo che va da un’epoca consapevole di questo bisogno, ad un’epoca che ha obliterato questo
bisogno. Lo fa per dire che il bisogno però rimane.

Per capire che cos’ un concetto giuridico bisogna avere l’idea di una forma di vita. L’idea dell’esistenza
di forma di vita, di una serie di pratiche che accomunano tutti i membri di una data comunità, non è
una banalità. Nel contemporaneo quali sono i filosofi che credono all’esistenza delle forme di vita? Dire
di credere all’esistenza delle forme di vita oggi è prendere un impegno. Dire che si capisce che cos’è
una democrazia solo se si capisce che cos’è una forma di vita. Secondo Croce è inutile parlare di forma
di vita perché esistono solo molteplicità, le bolle, le schiume. Per studiare una comunità devi avere
un’idea di sfondo comune e un’idea di assetto istituzionale che sistematicamente riflette in parallelismo
questo sfondo comune. (Minuto 11) Schmitt non crede all’ordine spontaneo, alle forze delle pratiche si
auto strutturano, egli crede che una comunità esista perché qualcosa da loro energia propulsiva. Alcune
comunità sapevano mantenere dentro di loro quest’eccedenza, ovvero l’idea che serve un decisore.

Immanentisti vs. trascendentisti

È vero che c’è o un ordine tenuto insieme da una forza che la eccede, altrimenti è destinata al collasso?
24.11.2022

Terzo capitolo di teologia politica

Teologia politica:

Avanza la teoria secondo la quale bisogna un’eccedenza, la politica non è in grado di auto fondarsi e ha
bisogno di un motore esterno che si irradi sulla politica e che la alimenti costantemente, una forza che
ne è anche l’origine. Questa origine, per Schmitt (nel 1922)

Il fatto che ci sia un potere auto fondato, ingiustificato è lo stato di eccezione, ovvero il momento
decidente, il momento in cui la costituzione trova in sé stessa un limite, il limite di non poter governare
ciò che la sospende e dunque la manifestazione decidente di un legislatore che interviene con un atto
che viene paragonato ad un miracolo (il miracolo è l’intervento di Dio che sospende le leggi naturali,
così come il sovrano interviene sulle leggi del diritto positivo).

Il terzo capitolo analizza il processo storico con cui si è arrivati al fatto che esiste uno stato
costituzionale si diritto che non abbia bisogno di fondamenti esterni, mentre nel secondo capitolo
spiegava l’esito di questa tendenza degenerativa. Nel terzo spiega come e perché è successo, lo fa
attraverso la determinazione di una metodologia che è la sociologia dei concetti giuridici secondo cui
c’è un parallelismo tra l’apparato istituzionale (la superficie) e la metafisica di fondo (l’insieme dei
concetti che ingranano la forma di vita). Questa forma di vita va letta attraverso la filigrana dei concetti
istituzionali e viceversa. L’uno senza l’altro non sta. Questa è una risposta anche a Kelsen che vede il
diritto come un sistema chiuso, non capisce che il diritto va letto nella metafisica di sfondo (insieme
concetti che costituiscono la griglia di intellegibilità di una determinata comunità)

Pagina 69

Schmitt sta tentando di mostrare il fatto che tutti i concetti politici (sovranità) sono trasposizione della
teologia e sono la manifestazione di un bisogno. Caduta la repubblica cristiana, in cui dio era al vertice
del sistema politico, è la chiara esigenza nella prima modernità che a sostegno del sistema politico ci sia
un’eccedenza che non può più essere Dio ma che sarà un sovrano. Il sovrano è messo al posto di Dio e
Schmitt ne dà un’evidenza. Schmitt insiste sul fatto che all’inizio della modernità c’è una chiara
esigenza, non solo di introdurre l’eccedenza, ma di individuarne anche una sostituibilità personale.
Come dio è un dio personale, un dio che si è fatto uomo, così il sovrano è una persona, un io dotato di
una sua personalità. Poi fa un riferimento a Cartesio. Insiste sul parallelismo tra la prima modernità e il
fatto che dio è sparito dall’assetto istituzionale. La sparizione di Dio spiega la personalità del sovrano. (Il
leviatano riempie un vuoto?) l’assenza di un dio motiva il bisogno che la prima modernità ha di trovare
un sostituto personale. Secondo Schmitt si è creato un vuoto e questi grandi autori (Hobbes, Locke,
Rousseau) non hanno fatto altro che cercare un sostituto, che non sia una macchina ma che sia un io, e
un io solo. Secondo Schmitt, Hobbes sente l’esigenza di mettere a perno del sistema una persona, una
persona che sfonda nel mitologico, un io psicologico con una volontà particolare. Il sovrano è posto
come atto primo: ovvero l’ordine politico non è in grado di giustificarsi e viene rimandata la
giustificazione a qualcosa di originario e inoriginato, qualcosa che non ha bisogno di chiedersi da dove
viene e che al contempo spiega ciò da cui tutto viene).

Si afferma la dominanza delle scienze (autofondate) e Schmitt dice che queste scienze infiltrano nel
pensiero politico giuridico. Dall’illuminismo in poi viene negato il sovrano. Non c’è più bisogno di un
soggetto psicologico che dia avvio alla macchina e che la guidi, la macchina va da sé. Rousseau
introduce la volontà generale attraverso l’elisione dà vita ad un unianimismo immediato che potesse
dar vita a qualcosa che costituisse una volontà che davvero è di tutti, in cui non c’è il dissenso. Schmitt
sta dicendo che Rousseau vive di una duplice esigenza: eredita il bisogno di una volontà eccedente, che
sia un’origine inoriginata, ma al contempo contribuisce al processo di spersonalizzazione perché la
volontà generale è il risultato di una procedura attraverso la quale si elidono le volontà particolari.

Da Hobbes: Volontà che coincide con un io psicologico, la volontà nel tempo di un centinaio di anni
diventa una questione meccanica di produzione di questa volontà che non ha niente di personale, ha
un ché di artificiale. Rousseau è il primo a rompere con l’idea che la legge sia personale, le volontà
individuali sono volontà private dice Rousseau.

Il popolo vuole sempre la cosa giusta perché si è individuato un meccanismo procedurale ma non
perché si è individuata la cosa giusta. Per Schmitt non c’è un modo per individuare la cosa giusta, la
giustizia si incarna nei suoi effetti, è una legge efficace. Via via la filosofi apolitica dimentica il vuoto, lo
elide e dimentica la necessità che questo vuoto sia riempito da una persona e riporta l’idea di una
macchina che procede da sé, senza un motore esterno. Ma per Schmitt questo bisogno rimane sempre,
è un’esigenza che non va mai via. C’è bisogno di UNA voce. Il giurista positivista oggi pensa che il
sistema sia in grado di autoalimentarsi e autoprodursi e non si pone più il problema del suo fuori, si
accontentano dell’immanenza. Per Schmitt l’eccezione è la chiave unica per comprendere la normalità
secondo Schmitt. Per Schmitt si è prodotto un cortocircuito interno in una sistematica (insieme di
concetti) che costoro intendono autosufficienti, autopoietici (si producono da sé).

Emerge un certo terrore di Schmitt di un ordine che non sia tenuto d qualcosa di fuori, la sfiducia di un
ordine senza tenuta esterno, che è anarchia (=assenza di norma, in particolare della norma
fondamentale della decisione). Ordine anarchico per Schmitt è un ossimoro.

Nel 1800 Dio viene fatto fuori e viene introdotto un nuovo concetto di legittimità. Vengono esclusi tutti i
residui trascendenti. Due scenari possibili:

 O emerge il positivismo, cioè l’idea che l’ordine, il diritto, sia opera di una volontà immanente, di
essere umani, ricorsi ad un fattualismo che non si pone il problema si chi lo fondi, Kelsen dirà che
non è compito della filosofia del diritto dire perché l’ordine è arrivato dov’è, la questione
dell’origine non importa)
 O si fa riferimento al potere costituente, l’origine si fa derivare dall’attività di un popolo che si dà
una propria costituzione.

Introduce uno dei suoi riferimenti principali: Donoso Cortes, è colui che ha visto la radicalità di una crisi,
l’ordine politico si regge solo se qualcuno sa decidere, secondo Schmitt Cortes è l’ultimo di questa
tradizione e si accorge che quell’epoca del sovrano personale è finita. Se l’epoca non è più in grado di
riconoscere questa necessità, bisogna che un sovrano si autoimponga con la dittatura dice Schmitt.
secondo Schmitt (cattolico conservatore) l’ordine massimamente funzionante è quello assicurato dalla
chiesa cattolica, in un’epoca (modernità) in cui è finito quell’ordine perfetto con la divisione dei culti,
quello era l’ordine perfetto. Nella modernità possiamo avere solo dei surrogati che però riconoscono la
necessità di un’eccedenza. È così che è successo nei secoli 17 e 18. Nel 19 si è persa la consapevolezza
di questo bisogno.

Il giurista è il più acuto lettore di una forma di vita, il sapere più importante è quello giuridico secondo
Schmitt, quello che sa leggere una forma di vita e che sa rendere conto dei concetti che tengono
insieme la normalità e del modo in cui quei concetti affondano le loro radici nella forma di vita.
Purtroppo, la consapevolezza giuridica è stata soppiantata dalle scienze naturali. Le scienze naturali non
prevedono iol momento della propria eccedenza ma prevede solo legge interna e crede che le leggi
dell’universo siano le leggi fondamentali e non si pone il problema di ciò che viene prima. Questa
concezione ha soppiantato quell’intuizione secondo la quale non c’è società senza il suo fuori.
Capitolo uno: cos’è lo stato di eccezione (non uno stato di caos ma una manifestazione di un sovrano
decidente che riesce a sospendere un ordine che è l’introduzione di una nuova normalità capace
d’introdurre un nuovo ordine positivo.

Questo, dice Schmitt, è una mia intuizione della teologia politica. Questo testo si chiama “teologia
politica” mostra la necessità urgente che si torni ad avere consapevole l’idea del bisogno di una
eccedenza trascendente di un sovrano personale. La politica ha sempre bisogno di un sovrano
personale. Se nel capitolo 1 dice che oggi il sovrano personale si manifesta attraverso l’art.48: è il
momento in cui il sovrano personale si immette nella realtà dell’ordinamento giuridico della normalità,
è il momento in cui fa ingresso l’eccedenza. L’art. 48 c’è il superamento della soglia, il trascendimento
dell’immanenza, quello in cui il sovrano decide e la cui decisione si misura solo in base alla sua efficacia,
cioè alla capacità di introdurre un nuovo ordine.

Capitolo due: spiega qual è la prospettiva opposta degenerata, di Kelsen, dove sembra che il diritto
positivo sia uguale allo stato e sia in grado di spiegare sé stesso. Kelsen è il culmine di una tendenza per
cui il sistema politico giuridico non ha bisogno di nulla fuori, si spiega da sé e se non lo facesse sarebbe
una scienza del giudizio impura. La scienza del diritto va spiegata solo attraverso le formule.

Capitolo tre: Spiega come si arriva a quella degenerazione tipica della modernità e si pone come erede
del pensiero politico moderno e dice che non c’è possibilità di portare in vita del nostro stato se non si
torna ad avere la consapevolezza di avere bisogno di un’eccedenza, quest’eccedenza è un potere
personale. C’è un forte personalismo, serve una persona che sa leggere un’epoca.

Capitolo 4: rivendica il rapporto diretto tra Schmitt e il pensiero moderno individuando dei tramiti
ovvero il fatto che sono rimaste delle menti acute che sentono il bisogno di una eccedenza, Schmitt se
ne fa erede e mostra come questi grandi pensatori cattolici reazionari, in un periodo in cui ne andava
delle sorti dell’Europa perché si era inverata la Rivoluzione francese, questi faranno resistenze
all’instaurarsi di quell’ordine politico che Schmitt avversava. Sono tre:

Schmitt in questo capitolo sintetizza alcune idee fondamentali rispetto cui Schmitt sostiene che sono
idee sue riprese però da questi pensatori. Queste idee sono l’esito

Il parlamento non serve a niente perché:

1. Divide, il parlamento faziona, mette tra di loro a confronto le parti, le parti vanno organate e messe
insieme dal potere plasmante del decisore secondo Schmitt
2. Questi parlano, perdono tempo rispetto alla decisione. Schmitt guarda ad un problema reale: è vero
che il parlamento rischia di essere un luogo in cui questi parlano e basta? Pensiero anti-
deliberativo, antiparlamentare, decisionista secondo cui il confronto tra le parti è solo una perdita
di tempo. Dietro c’è l’idea che il consenso non sia qualcosa che bada prodotto attraverso uno
scambio (Kelsen pensava che nel parlamento si arrivasse ad un compromesso attraverso lo scambio
tra le parti, il parlamento serve per giungere ad una decisione politica che non preesiste il discorso)
per Schmitt il consenso deve preesistere il parlamento. Se il consenso precede l’attività
parlamentare, il Parlamento è inutile.

La sovranità dove risiede oggi? Nell’esecutivo o nel legislativo?

Nel quarto capitolo Schmitt trasmette l’idea di una politica che deve realizzare un esecutivo forte che
dia un’idea.

Ricerca Newman

Dittatura qui significa capacità sull’impronta di prendere una decisione che si imprime.
Bonald: C’è bisogno di qualcuno che, al di là del dialogo, irrompa con la sua forza decidente.

De Maistre, Bonald, Donoso Cortes: Coloro che prendono posizione contro il pensiero della Rivoluzione
francese, grandi studiosi del pensiero tradizionale, medievale. Decisione che non trova altro che se
stesso come fondamento. Il punto è che l’ordine che c’è, siccome c’è, è buono. Come ci giustifica? Non
è un fattualismo. Su quale base Schmitt sostiene che l’ordine che è c’è è buono per il solo fatto che c’è.
Perché se c’è vuol dire che ha dato un ordine. C’è l’idea che il comando è veramente comando quando
si irradia come capacità ordinante. L’esercizio di potere non è forza, è ciò che garantisce stabilità e per
ciò stesso è un potere ordinante, sotteso a tutta la vita di una società. Decidere per Schmitt significa
prendere la decisione che ordina (su che cos’è una comunità politica), sennò non è decisione. A
decisione è tale se funziona. Schmitt erede dell’antropologia di Hobbes: dirà che questi pensatori
controrivoluzionari sanno che l’essere umano è cattivo.

“Ogni idea politica prende una certa posizione nei confronti della natura.” Secondo Schmitt non c’è
filosofia politica senza antropologia. Ogni visione politica è anche una visione antropologica. Schmitt si
riconosce nella squadra hobbesiana. Proprio nei momenti in cui si va depersonalizzando la filosofia
politica, questi non prendono in questione la domanda della filosofia politica: ma l’essere umano è
buono o cattivo? Per Hobbes è cattivo, per Locke è socievole e va avanti con la sua socievolezza. I
grandi controrivoluzionari, per Schmitt, riconoscono il fatto che l’essere umano è un essere cattivo.

Pagina 78 riga 5

Cattivo significa che per preservarsi arreca danni senza problemi.

Donoso cortes va un po’ più in là, è un cattolico tridentino (ovvero quello uscito dal concilio di Trento)
non insiste molto sull’assoluta peccabilità dell’essere umano, il cattolicesimo tridentino torna a
Tommaso e sostiene che l’essere umano ha una natura e la Grazia non elimina la natura dell’essere
umano ma la perfeziona, per natura l’essere umano non è cattivo. Il cattolicesimo non è radicale
mentre Cortes dice che l’uomo non può altro che peccare. Sembra questa essere un’eresia luterana,
protestante.

Schmitt sta dicendo che i controrivoluzionari ritengono che l’uomo sia cattivo (e hanno ragione),
Donoso Cortes è andato un pochino più in là insistendo sulla peccabilità assoluta dell’essere umano.

Donoso Cortes è andato più in là sfiorando posizioni da eresiarca peccabilità assoluta dell’essere
umano. Il punto per Cortes è quello di dimostrare che senza un ordine garantito da un’entità esterna,
eccedente, gli esseri umani non sono in grado di stabilire relazioni, sono solo in grado di peccare.
Questa per Schmitt è una questione di politica, non dogmatica.

Ogni filosofia politica è un’antropologia. Ogni pensiero politico deve fare una scelta: se credere nelle
naturali capacità relazionali dell’essere umano, oppure credere che l’uomo ha bisogno di un ordine
politico, di una decisione, per relazionarsi.

Secondo Donoso l’idea che la politica sia necessaria per la costituzione di un ordine senza il quale non
c’è relazionalità. Ritorno a Hobbes: Politica come condizione di possibilità del sociale.

Se fino al capitolo 3 l’avversario di Schmitt è stato il positivismo giuridico. Nel capitolo 4 il suo
avversario è il liberalismo. Schmitt se la prende con il liberalismo. Il liberalismo dirà Schmitt, non è
teoria oolitica, rischia per questo di essere una tecnica quasi manipolatoria.

Critica al Parlamento. Questi parlano ma per non decidere, fanno solo finta di decidere ma rimandano
all’infinito. Se uno rimanda all’infinito qual è il pericolo? Che decida qualcun altro. Se tu continui a
rimandare la decisione, qualcun altro deciderà per te. L’idea che la cecità nei confronti dell’eccedenza
fa si che ci siano altre eccedenze, tutti elementi che sanno decidere mentre noi rimandiamo l’elemento
della decisione. Polemica contro i parlamentari che vogliono costituirsi al potere sovrano, ma lo fanno
pensando di poter discuter indefinitamente e quindi vengono eliminando l’elemento centrale della
fattura di un ordine, ovvero la decisione.

Per Schmitt non c’è veramente una politica, manca. Il suo è un appello ad una nuova politica.

Pagina 81 ultimo capoverso

Schmitt va contro il pensiero sistematico che alla fine occulta le questioni davvero rilevanti.
L’antisistematismo di Schmitt: l’idea che tutto torni da sé non è accoglibile. Non tutto torna. C’è bisogno
di un decisore affinché tutto torni. Per Schmitt la filosofia è piena di buchi.

Pagina 83

La dittatura è l’opposto della discussione.

Il nemico massimo di Schmitt e Donoso sono i liberali e i positivisti che credono che sia un sistema che
va avanti per procedure. Per Kelsen la decisione dev’essere presa all’interno di certi organi che sono
organizzati, questa è una visione antipolitica per Schmitt. è la stessa polemica conto la tecnocrazia. La
tecnica è una politica commissariata, che finge di non fare politica quando lo fa. Cento anni fa Schmitt
dice la stessa cosa richiamo di una collettività di riprendere in mano del proprio destino quando.. una
decisione. Ovvero la capacità di dire “questo no”.

Pagina 85

Questi hanno in mente il fatto che la politica sia decisione personale. Il problema della decisione si
mostra all’acme della crisi, quando ne va dell’anarchia. Senza decisione c’è anarchia. Gli anarchici
credono che senza legge ci sia un modo di costruire una collettività. Proprio davanti ad una simile
vertigine anche glia anarchici capiscono che questa è la grande opzione. Una politica senza decisione è
una politica dell’anarchia. La grande scommessa è: l’anarchia funziona? Questa è la nostra situazione
oggi dice Schmitt, siamo in anarchia. Davanti al fatto che le decisioni sono prese da altri, al fatto che la
società è così divisa, che non c’è un’opinione che si possa conciliare con un’altra, che facciamo? Schmitt
sostiene: torniamo alla prima modernità. Manca chi sa leggere il destino collettivo, chi sappia mettere
insieme le divisioni, che da un indirizzo alla collettività politica. La decisione significa un consenso
previa, prima della discussione politica. Quando si parla si è già d’accordo.

Lo sfondo importante è: che cos’è la politica?

Cioè la capacità di leggere una forma di vita, di dire ciò che conta e ciò che dev’essere eliminato da
questa forma di vita. E di compattare una comunità e di mostrare a questa comunità che c’è un destino
comune, il quale è la ragion d’essere di tutti noi membri della comunità.

Decisione = omogeneità = destino = appartenenza del membro alla collettività.

25.11.2022

COS’È LO STATO DI ECCEZIONE

Questione dell’emergenza. L’ipotesi è quella della fondatezza o infondatezza dell’ordine politico. La


natura è uno dei grandi modi di affrontare la questione della fondatezza e giustificabilità del potere
politico. Hobbes stesso scrive con l’ottica di giustificare il potere esistente, da obbedire purché svolga la
sua funzione ordinante. Ciò che esiste non è solo il fatto, il fatto non è autogiustificantesi, nessuno
questo lo crede.
Se nei due grandi classici la natura è un dispositivo di giustificazione, in Rousseau la giustificazione
comincia ad essere un po’ autoriferita.

Tutto ruota intorno a sé ci sia un fuori dell’ordine politico e se questo fuori svolga questa prestazione di
sostegno. Prima la natura serviva come dispositivo di giustificazione dell’azione, si pretendeva di
trovare continuità tra fatto e diritto (ciò che la natura dispone come legge naturale viene incorporato
nel sistema politico giuridico): per Hobbes e Locke le leggi naturali sono consustanziali alle leggi
positive.

L’intuizione di Schmitt è che questo grande sforzo rispondeva al bisogno di sostituire un vuoto e al
contempo l’insostituibilità del vuoto, perché è sempre un lavoro alla soglia, perché c’è chiara la
necessità di sostituire il vuoto ma c’è sempre un atteggiamento ibrido. C’è l’esigenza di sostituire la
personalità di Dio ma un blocco nei confronti di una sostituzione piena e via via si perde il senso di una
necessità della sostituzione piena di un io psicologico. Il bisogno di una decisione, nel fatto che la
sovranità stia nella decisione ovvero nella capacità di imprimere un ordine attraverso la decisione
fondativa, fondante.

Cos’è lo stato di eccezione è un libro contro teologia politica.

Pagina 9

Coloro che avanzano questa posizione si richiamano allo Schmitt del 1922 per indicare un

Quanto la percezione di tratti illiberali dipende dall’esposizione all’illiberalità? In questa transizione noi
siamo esposti a delle transizioni che dall’interno noi non siamo in grado di valutare. L’autoinganno è
quel meccanismo per cui noi crediamo di credere certe cose, è il falso convincimento riguardo certe
credenze. La nostra forma di vita sta subendo una metamorfosi ma siamo incapaci di avvedercene per
una sorta di autoinganno.

Quelle persone che denunciano la regressione in corso perché sostengono che siamo nello stato di
eccezione. Ma questo è davvero uno stato di eccezione come lo intendeva Schmitt?

Lo stato di eccezione è un grande campo sperimentale in cui si trasformano tutte le regole del nostro
vivere comune senza che noi ce se ne avveda. Lo stato di eccezione è una tecnica di governo (eco
humboltiano)

Lo stato di eccezione è una tecnica di governo più redditizia e meno costosa perché:

 È più redditizia perché opera sul lungo corso, perché riesce a instaurarsi nelle modalità di
esperire la vita, si modella il modo in cui si esperisce il mondo.
 È meno costosa perché non ha bisogno di eserciti, fondi ecc.

L’idea è che negli ultimi 20 anni si sia entrati in uno stato di eccezione permanente. L’ipotesi che avanza
il libro è che l’impalcatura concettuale che va sotto l’etichetta di stato di eccezione, non comprende
quello che accade, non è una buona linea interpretativa, non spiega. Il libro vuole spiegare perché non
spiega. Perché l’ipotesi stato di eccezione non è una buona ipotesi. È per questo che Schmitt cambiò
idea.

Perché Schmitt dovette cambiare idea?

Le tesi di questi autori riflettono l’idea originaria di Schmitt (1922)? E se hanno ragione, siamo in uno
stato di eccezione permanente?

Schmitt non ci spiega come funziona lo stato di eccezione, ci spiega solo che cos’è.

Le due tesi:
1. Schmitt ha abbracciato l’idea dello stato di eccezione per 3-4 anni, poi cambia idea.
2. Cambia idea fornendo davvero una teoria efficace su come si plasma la normalità.

Schmitt avanza il concetto di stato di eccezione ma non si sa perché, dopo poco abbandona questa idea.
L’accusa del libro contro questi autori è che essi prendono un’idea che già Schmitt riteneva fiacca, e la
rendono una chiave interpretativa del mondo che favorisce così lo stato di eccezione. Il libro fornisce
un’interpretazione opposta di ciò che lo stesso Schmitt intendeva con ‘stato di eccezione’.

Schmitt cambia la propria posizione e dice che l’eccezione va evitata facendo si che tutti siano saldi attorno
a dei valori comuni scritti nella costituzione. (Proposta di costituzionalizzare il diritto d’aborto in Francia, la
strada è costituzionalizzare questi diritti?). avanza una tesi molto più forte e pericolosa della tesi dello stato
di eccezione.

3 elementi fondamentali delle costituzioni nate dopo la Seconda guerra mondiale:

1. Pluralismo di visioni del mondo e questo pluralismo viene utilizzato come risorsa
2. Difesa e inculcabilità dei diritti
3. Equilibrio di poteri

Questi tre elementi non permettono una difesa dei nostri stati

La questione che ha sollevato il ritorno del terrorismo, il conflitto che emergeva riguardava min 9

Alan derscioijz esperimento mentale della ticking bomb

Bisogna introdurre delle regole per preservare i nostri diritti individuali?

È qui che si capisce ciò che intende Schmitt dicendo che il diritto positivo si capisce solo alla luce della
forma di vita. C’è un diritto più forte che è quello del sovrano decidente, è funzionale alla protezione di una
forma di vita ed è volto all’intervento tale da.

Stato di emergenza: non abbiamo gli strumenti costituzionalmente previsti per far fronte ad una data
condizione. L’emergenza è imprevedibile, imprevista e ingestibile con gli strumenti che abbiamo.

Distinzione tra legge e misura

Ci sono circostanze rispetto alle quali i vincoli costituzionali cadono? Questo è anche il dibattito Locke-
Hobbes:

 Per Locke ci sono dei vincoli che sono intoccabili, non esistono circostanze in cui vita libertà e
proprietà possono cadere.
 Per Hobbes c’è una costante remissione al sovrano che è colui che sa, con la sua volontà,
determinare di volta in volta i limiti.

Esistono delle circostanze che per loro natura non sono costituzionalizzabili e verificate le quali la
costituzione cessa di avere valore? Esiste l’eccedenza, il fuori?

Tema della limitazione minima possibile al potere esecutivo in condizioni di emergenza. Ma chi lo decide
quando c’è l’emergenza? La costituzione non può perché non può prevedere l’imprevedibile. La condizione
non determina le condizioni con cui determina lo stato di emergenza, chi può farlo? Il problema
fondamentale è: rispetto ad una legge positiva che governa in tempi di normalità, si danno condizioni che
pongono la costituzione davanti al suo punto cieco: impossibilità di determinare condotte legalmente
stabilite per la corretta risposta a quella condizione. Abbiamo un quadro costituzionale ma questo quadro
costituzionale non regola le condotte in quelle circostanze. Ma se la costituzione non le regola e non può
neanche determinare quando queste circostanze si verificano, allora chi determina che queste circostanze
si sono inverate?
28.11.2022

Trasformazione dei criteri attraverso cui una comunità giudica le proprie pratiche. Incapacità di mappare
un’involuzione democratica dovuta ad una condizione di una grave crisi che richiede una risposta
immediata di tipo politico.

Quest’ottica appena delineata non regge.

Questione della compressione dei diritti individuali a motivo della necessità di una risposta rapida da parte
del governo. Il costituzionalismo moderno vede un equilibrio di poteri, tripartiti, e in condizioni di
emergenza c’è uno squilibrio transitorio di poteri attraverso il trasferimento di poteri maggiori all’esecutivo.

L’emergenza è una condizione in anticipabile, imprevedibile, di immediata urgenza, che chiede una risposta
politica rapida. Si distingua dallo stato di eccezione.

Pagina 31

Dittatura romana. Nel 1921 Schmitt rilancia il tema della dittatura perché la costituzione che incardina la
repubblica di Weimar (laboratorio di democrazia che nasce dopo la Prima guerra mondiale, è il primo
laboratorio di una costituzione social democratica, repubblicana, che al suo interno ospita l’art.48 con cui si
determina uno spazio cieco: cosa succede quando la legge deve sospendere sé stessa? Nel 1922 Schmitt da
un’interpretazione radicale di quest’articolo: è il moment della sospensione sovrana della legge in cui la
costituzione viene sospesa e viene introdotto un altro ordine. Nel 1921 Schmitt scrive la dittatura, egli
ricostruisce il tema della dittatura da Roma in poi.

La dittatura romana era un istituto pubblico disciplinato che aveva funzioni specifiche, non tantissime (circa
76 autorizzate). C’era una forte limitazione: non parliamo di un dittatore sovrano ma di una dittatura
commissaria. Con Silla c’è una prima transizione da una dittatura commissaria ad una dittatura sovrana.
Non è più chiaro chi determina l’esistenza di una crisi. Nella dittatura commissaria era chiaro che chi
determina l’esistenza delle crisi non avrebbe potuto essere chi la gestisce → Silla invece è colui che la
determina e che si auto incarica di gestirla.

Tratti che distinguono una dittatura commissaria da una dittatura sovrana:

 Chi? Chi riconosce l’esistenza della crisi, chi decide


 Quando? Temporalità della crisi. La dittatura commissaria dura 6 mesi poi deve cambiare dittatore.
Nella dittatura sovrana non c’è un preciso limite temporale ma dalla discrezione del dittatore, cioè
quando finisce la crisi.

Tutti i grandi autori della modernità sono innamorati di questo ordimento giuridico: la dittatura. Lo
considerano come extrema ratio rispetto al possibile rischio di un disfacimento dello stato.

Come mai il pensiero premoderno non si poneva il problema della sospensione dell’ordine? Il pensiero
premoderno aveva l’idea di un ordine distribuito, multicentrico, non si poteva avere l’idea di una
sospensione dell’ordine, ovvero di una sospensione delle leggi divine. Il problema dell’emergenza è un
problema che nasce con la modernità. Tutti o quasi i grandi pensatori della modernità si porranno il
problema dell’emergenza.

Pagina 35

Domanda che ha attraversato il pensiero politico moderno riguardo l’emergenza:


L’emergenza è qualcosa che rientra nel perimetro costituzionale oppure è qualcosa che cade fuori? Schmitt
polemizza con tutti coloro che si chiedono come sia possibile che l’emergenza è qualcosa che rientra nel
perimetro costituzionale.

Machiavelli si pone la questione della dittatura e dice che la dittatura è un istituto costituzionale

Qual è lo scostamento che rispetto alla visione di Machiavelli e Montesquieu, segna la concezione di
Rousseau? Per Rousseau, così come per Machiavelli e Montesquieu, i momenti di grave crisi la dittatura
ottiene una risposta immediata alle necessità. In più c’è in Rousseau l’idea che l’esecutivo possa risolvere il
problema di un legislativo lento. Non si da solo nel momento in cui si producono condizioni inattese o
imprevedibili ma anche in condizioni in cui il legislativo non svolge la sua funzione. Per Rousseau il potere
legislativo, attraverso cui si esprime la volontà sovrana, è il cuore del contratto.

Cos’è un decreto-legge?

Nel grande lavoro preparatorio della costituzione italiana (1946-48) si decise di non ospitare nessuna
norma eh regolasse lo stato di emergenza ma di adottare lo strumento specifico del decreto-legge, che
avrebbe dovuto utilizzarsi per necessità ed urgenza in casi rarissimi. Oggi invece è una modalità ricorrente
di fare legge.

Per Locke c’è una continuità tra tempi ordinari e tempi straordinari. Distingue due diritti. La fonte
normativa del diritto ordinario e la fonte normativa di un esecutivo forte che è in grado di porre limiti a
queste nettezze. Questo potere di sospendere le leggi ordinarie non viene da fuori, è in continuità con
l’esercizio ordinario delle regole ordinarie.

Se il potere di determinare l’emergenza viene considerato come esterno al perimetro costituzionale è un


conto ed è più facile lo scivolamento da emergenza ad eccezione. Se invece il potere di emergenza è
pensato lungo un continuum, si può immaginare questo potere come inscritto nei limiti posti dalla
costituzione. Il cuore dell’autorità si colloca fuori (come vogliono Hobbes e Schmitt) o dentro (come Locke e
Rousseau)?

Emergenza vs. eccezione. In che senso e attraverso quali strumenti si può determinare questo
scivolamento?

Caratteristiche dello stato di eccezione:

1. L’eccezione condivide con l’emergenza il fatto che è una tecnica di gestione dell’imprevisto,
2. Non condivide con l’emergenza, la normopoiesi ovvero la produzione di normalità

Schmitt vede l’eccezione come qualcosa che produce la normalità. Per croce Schmitt non ritiene che
l’eccezione produca la verità in verità. Che significa produrre normalità? Quei modi di fondo di regolare le
nostre interazioni che nella spontaneità del nostro agire, nella quotidianità, non creano strappi.

L’ordinamento giuridico sono delle proposizioni che indicano alle persone come ci si comporta. È il
precipitato di una forma di vita. L’ordinamento giuridico è ingranato nella forma di vita, bisogna solo
descriverlo con delle leggi positive secondo Schmitt.

3. Ingegneria politica: una volta introdotta una nuova normalità, il complesso istituzionale che ne
deriva è quello che serve per rendere possibile e duratura l’instaurarsi di questa nuova normalità.

Pagina 45 espansione fuori controllo

Nel capitolo precedente: Perché la teoria dell’emergenza è importante nel pensiero moderno.

Perché l’emergenza è diventata una delle caratteristiche preminenti della politica degli ultimi tempi?
Perché per Schmitt, rispetto a tutto quello sinora, è distorsivo il modo di articolazione di questo problema?

C’è una continuità, di trasformazione possibile dall’emergenza all’eccezione oppure no?

E →E

e →X E

Cosa implica il fatto che ci sia una continuità?

2 interpretazioni di Schmitt

Lo Schmitt della sbornia eccezionalista del 1922, di teologia politica: Per Schmitt non è possibili una
continuità perché l’eccezione è l’assoluta eccedenza, il sovrano decide sullo stato di eccezione, sa
individuare le condizioni di efficacia della propria decisione, non ha bisogno di condizioni. L’eccezione è la
somma origine ingiustificata e ingiustificabile. L’emergenza è una situazione in cui la costituzione ti dice
quando, come e chi. Per Schmitt non c’è continuità tra emergenza e continuità, se pensi ci sia una
continuità hai smontato l’eccezione. L’eccezione non è nei limiti della costituzione, è qualcosa di
qualitativamente diverso dall’emergenza.

Croce e Salvatore sostengono qualcosa di diverso. Interpretano Schmitt in modo diverso. La gestione
dell’emergenza sta dentro il perimetro costituzionale per Locke.

Se l’Ottocento e il Novecento (ovvero il momento di elaborazione degli Stati che conosciamo) è stato il
contesto di una riacquisizione di ciò che stava fuori, all’interno del perimetro costituzionale attraverso
produzione di fattispecie che regolassero le emergenze → con l’11 settembre 2001, non si tratta più di
regolare l’emergenza ma di normalizzarla. C’è stato un abuso del ricorso all’emergenza.

Il sovrano è chi decide che c’è un’emergenza. L’emergenza non è la condizione perché sennò il sovrano
sarebbe il condizionato. È il sovrano che decide che questa è la condizione dello stato di eccezione.

01.12.2022

Continuità o discontinuità tra emergenza ed eccezione. Per Schmitt è possibile una transizione?

È vero che per Schmitt non è possibile questa transizione perché sono diversi nella sostanza, oppure è
possibile un’interpretazione diversa di Schmitt?

Eccezionalismo, non fa parte del governo ordinario di uno stato: Montesquieu, machiavelli, Rousseau

Sussumibilità del caso emergenziale sotto il perimetro costituzionale, oppure di una totale inconducibilità
del momento eccezionale, decisionale, dentro questo perimetro (teologia politica: transizione di fase da un
governo fondato sulle costituzioni del secondo dopoguerra a una progressione delle tendenze illiberali per
cui numerose crisi vengono giocate nella direzione perché interiorizzino una predisposizione al comando
attraverso la restrizione dei diritti e delle libertà costituzionalmente garantite)

La guerra fredda ha dato il via ad una risposta difensiva dell’esecutivo, ha riacceso una tendenza illiberale
secondo la quale è il potere esecutivo che deve avere mano libera, creando uno squilibrio tra gli altri poteri.
Se c’è da difendere la vita della comunità allora l’esecutivo è l’organo dello stato che può intervenire. Dal
11 settembre però c’è stata un’espansione perché le crisi hanno riguardato ogni aspetto della vita pubblica
e politica.

Pagina 48
Gross, costituzionalista, insiste sul fatto che l’utilizzo strategico dell’emergenza sia teso a costruire una
nuova normalità. Dall’emergenza si passa all’eccezione. C’è continuità. Quando è che si passa da emergenza
ad eccezione? Se vogliamo individuare il passaggio da emergenza a eccezione non possiamo affidarci alla
presenza o meno di cambiamenti costituzionali perché questo passaggio può verificarsi senza cambiamenti
costituzionali. La trasformazione non trova tra i suoi criteri di riconoscimento un cambiamento nei suoi
assetti istituzionali. Il tratto sociologicamente pertinente che permette di distinguere il passaggio è
l’instaurazione di modi nuovi di interazione o di non interazione. Una serie di condotte che segnano la
differenza rispetto ad un modo routinizzato di vita. è qualcosa che fino a ieri non eravamo abituati, lo stato
di emergenza (di eccezione se c’è continuità) ci fa abituare a questo. Il tratto dirimente che caratterizza il
passaggio è l’introduzione di nuovi modi di fare le cose.

Se è vero che le forme del diritto positivo possono rimanere intatte e invariate, allora non può essere il
discrimine. Il discrimine, il criterio di riconoscimento è l’ingranarsi di una nuova forma di vita. È una
trasformazione profonda della normalità.

Nello stato di emergenza non c’è nessuna transizione delle forme di vita, è una situazione di crisi a cui si
risponde con alcuni strumenti istituzionali (crisi economica, crisi naturale). È una situazione nella quale si
può intervenire più rapidamente rispetto alle normali procedure previste dalle norme. Le emergenze
capitano.

Il problema è che alcune emergenze vengono utilizzate con un altro fine, che non è la risoluzione
dell’emergenza ma è l’instaurazione di una nuova normalità. Se questo è vero il tratto di individuazione di
questa transizione sarà la trasformazione profonda della normalità.

Domande che bisogna farsi:

è possibile una transizione? Esiste l’eccezione intesa dai critici?

Per molti autori e autrici eccezionalisti il passaggio da emergenza ad eccezione si dà e che ci stanno sotto il
naso cambiando il modo di vita.

In certe circostanze il diritto ci dà il diritto di far prevalere certi interessi rispetto ad altri.

La tesi degli studiosi dell’emergenza (continuità) è che l’emergenza diventa un asso piglia tutto.

La determinazione di zone in cui la giustificazione è di secondo livello

Ingiustificabilità dell’eccezione nella concezione schmittiana, l’eccezione non deve giustificarsi.

Primi due capitoli: griglia concettuale e introduzione della grande ipotesi: le emergenze si allarghino a tal
punto da diventare strumento di intervento politico sulla realtà. Croce non è d’accordo con questa
posizione, c’è una presa di distanza.

Tentativo di smentire questa ipotesi. Prima attraverso una chiarificazione della distinzione tra emergenza
ed eccezione e poi si passa a Schmitt.

Tre criteri distintivi:

condividono il fatto che sia emergenza che eccezione sono tecnica giuridiche

normopoiesi e ingegneria politica

la tesi eccezionalista, secondo Croce e Salvatore, non regge per due motivi:

1. la legislazione emergenziale è molto costosa e foriera di rischi imprevedibili


2. Rischia di avviare momenti della comunità di riflessione su se stessa
Secondo c e s Schmitt aveva la stessa idea.

Da questo momento in poi gli autori reinterpretano Schmitt, egli era uno che diceva che o stato di
eccezione va limitato al massimo. Teologia politica è il luogo in cui Schmitt è più equivoco. Ma Schmitt
pensa proprio quei due punti prima elencati. Dal 28 in poi Schmitt avanza una contro teoria in cui recede su
tutto io che ha detto in teologia politica.

Pagina 67

Schmitt nasce nel 1888. Comincia a lavorare come giurista negli anni 10’, un giurista conservatore. 1921 la
dittatura. 1922 teologia politica, segna uno scarto dal passato. Come mai è successo che Schmitt si è
affascinato dalla teoria dell’eccezione?

Capitolo: come per miracolo

Questione del soggetto della sovranità, come va letta la prima frase di teologia politica.

Lo stato di eccezione si invera quando la decisione del sovrano si impone per la sua effettività.

min 15

La decisione è efficace, già crea le sue condizioni di riconoscimento

Decisione (la decisone è sullo stato di eccezione, la decisione è l’operazione e lo stato di eccezione è il suo
contenuto) → stato di eccezione→ introduzione di una nuova normalità →diritto positivo

Diverse esegesi, interpretazioni del pensiero di Schmitt:

 Decisionismo eccezionalista (1922): c’è un’identità tra lo Schmitt del decisionismo 1922 e lo
Schmitt tout court. Il cuore di Schmitt è il 1922, è l’acme della produzione schmittiana, questo 1922
viene proiettato su tutta la sua produzione successiva
 Concretismo/ ordine concreto: anni 10’, 1922, 1927, 1934, 1950
Anni 10’: Aveva in mente certi temi
1922: Sbrocca, dice cose che non stanno né in cielo né in terra
1. Ritrattazione che ha come massimo
2. È questo lo Schmitt più importante

Il 1922 diventa un momento che necessita di una giustificazione, nel 1922 Schmitt dice cose diverse. Perché
le dice?

L’ipotesi è: Questa normalità trasformata non è quella della forma di vita ma si parla degli organi dello
stato. Schmitt non aveva in mente alla trasformazione della normalità ma al modo in cui rispondono gli
apparati istituzionali. Questa lettura della decisione come riscrizione del codice della socialità non può
essere attribuita a Schmitt.

L’interpretazione classica ci porta ad un esito: in teologia politica Schmitt non spiega nulla. Non ci spiega
come si creerebbe una nuova normalità.

Differenza tra interpretazione classica e interpretazione concretista che relativizza l’importanza di Teologia
politica.

Kelsen diceva che per conoscere il diritto bisogna ascoltare la norma fondamentale. Schmitt sostituisce la
norma fondamentale con il sovrano. È sapere qual è un ordinamento giuridico valido devi sapere indicare il
sovrano. Non è una tesi esistenzialista, Schmitt non guarda alla trasformazione della forma di vita.
Schmitt sta dicendo che:

 Tesi giusfilosofica: per conoscere qual è un ordinamento giuridico valido non devi guardare alla
norma fondamentale ma bisogna guardare a chi è il sovrano, così riconosci la catena di comando,
non bisogna guardare al diritto positivo.
 Tesi politico filosofica. Gli ordinamenti non si fondano su sé stessi ma si fondano sul potere
decidente, su uno che è capace di innestare una catena di comando

Schmitt non ci spiega però perché e come la decisione si innesta sulla forma di vita, teologia politica non ha
un compito esistenzialista. Teologia politica si sgonfia.

Nuova ontogenesi:

Decisione→ stato di eccezione →ordine normale forma di vita →diritto positivo

In questa lettura più modesta la decisione del sovrano che introduce lo stato di eccezione, non produce
direttamente una nuova forma di vita ma è una nuova catena di comando. Questa nuova catena di
comando avrà degli effetti sulla vita ma la decisione non è normopoietica. Decisione e stato di eccezione
non portano a nuova normalità ma un nuovo ordine di comando tra gli organi dello stato.

1 ora e 1 min

1h e 4 cosa si intende per cambiamento nella catena di comando

Filosofia politica

02.12.2020

Nuova ontogenesi: la decisione non interviene sulla forma di vita ma sulla catena di comando. In che modo
la decisione interviene sulla forma di vita? C’è comunque un intervento sulla forma di vita perché
comunque la decisione ha delle ripercussioni sulla costituzione di una nuova normalità?

La lettura eccezionalista sa che infondo teologia politica è un po’ fumosa. Essi guardano anche all’opera “il
concetto di politico”, dove viene avanzato un concetto di politica molto forte. La lettura eccezionalista cerca
di compensare il limite di Teologia politica e si interroga sulla seguente domanda: il sovrano su cosa prende
la decisione? È una decisione su che?

Nel 1927-28 Schmitt scrive un’opera di filosofia politica e prende posizione su un tema, creando un
concetto che avrà un’influenza abbastanza decisiva in tutto il 900’ rappresentando uno dei poli più dibattuti
e contestati della filosofia politica realista: “il politico”. Perché “il politico” e non “la politica”?

Il 27 Schmitt fa la lezione

Nel 28 esce la prima stesura del libro

Nel 32 c’è la stesura definitiva che è inserito nelle categorie del politico (che è una raccolta di scritti di
Schmitt, non è fatta da Schmitt).

Schmitt dice:

 il politico non è un ambito, non è una sfera della vita (l’estetica, l’economia lo sono: ambiti in cui
vale una certa logica, hanno una filigrana interna> per l’estetica sarà bello e brutto, per l’economia
sarà vantaggioso e vantaggioso, per la morale sarà buono e cattivo o giusto e ingiusto) la società è
composta di sfere, di ambiti che segnano un perimetro in cui vale un certo criterio. Ma il politico
non è un ambito. Cos’è allora? Il politico è un gradiente e una soglia. Il politico è il momento in cui
si supera una certa soglia in cui succede qualcosa. Il politico non è ambito, però ha un criterio
interno oppositivo che è amico e nemico.
 Il nemico esistenziale o pubblico è colui che minaccia la nostra esistenza, la nostra forma di vita, in
modo tale da indurre i membri della comunità alla disponibilità a uccidere ed essere uccisi. Il
politico è un criterio, una soglia, un gradiente, superato il quale sorge in noi la disponibilità a
uccidere ed essere uccisi. Quando qualcuno o qualcosa mette a repentaglio l’esistenza della
comunità i membri della comunità sono disposti ad uccidere ed essere uccisi.

Gli Stati moderni, per Schmitt. Sono nati come monopolio sullo jus bellis (il diritto di fare guerra). Lo Stato è
l’entità che decide chi è il nemico. In virtù di questo monopolio simbolico, lo Stato è Stato.

“Il concetto di Stato presuppone quello di politico...” Incipit del concetto di politico (pagina 101). Questa
frase destò sconcerti. Perché? Il grande progetto della modernità, da Hobbes in poi, è stato quello di dire
che senza Stato non c’è politico, lo Stato è l’origine della politica, la politica è dentro lo Stato. Questo è
stato poi codificato nelle costituzioni di fine 800’ inizio 900’. Schmitt se ne esce con l’opposto: il concetto di
Stato presuppone quello del politico, dice che lo Stato esiste solo nella misura in cui ha il monopolio sul
politico.

Pagina 108

Distinzione amico e nemico. Il politico è il criterio autonomo rispetto a qualunque altro criterio. Il politico
non è una sfera ma ha il suo criterio: amico e nemico. Il nemico è l’altro, lo straniero. Nemico non è il
concorrente, ne l’avversario, ma è solo l’insieme di uomini che combatte almeno virtualmente, cioè in base
ad una possibilità reale, e che si contrappone ad un altro raggruppamento umano.

Politico è condizione di esistenza dello Stato. Lo Stato è monopolio sul politico. Il politico è un criterio di
individuabilità di una minaccia, presente la quale si è disposti ad uccidere ed essere uccisi.

È su questo punto che si distinguono le due letture: eccezionalismo e concretismo.

Secondo la lettura eccezionalista:

Su che prende la decisione il sovrano del 1922? Nelle emergenze il sovrano indica il nemico. Tra 1922 al 32
(data di uscita di il concetto di politico) Schmitt non fa altro che precisare la concezione eccezionalista: il
sovrano è colui che decide sullo stato di eccezione e nello stato di eccezione il sovrano decide chi è il
nemico. C’è una continuità e omogeneità tra i testi. Quindi in uno stato di eccezione si individua il nemico.

Quindi secondo la lettura eccezionalista: in Teologia Politica Schmitt dice che il sovrano è colui che decide
sullo stato di eccezione, ovvero colui che sospende un ordine e ne introduce uno nuovo (la decisione
interviene nella creazione di una nuova normalità che si sostituisce alla forma di vita precedente). Ciò che
però non è chiaro in questo testo è come ciò avvenga. In che modo il sovrano lo fa? Nel 1932, in il concetto
di politico, si capisce. Il sovrano individua chi è il nemico, rispetto al quale la comunità si compatta e diventa
molto omogenea, una comunità di amici che fanno subito guerra al nemico.

Nel 2001: la società americana si ricompatta contro il nemico pubblico: Al Queda. Poi l’Isis. Poi il covid. Poi
le catastrofi. La tesi eccezionalista dice quindi che lo stato di eccezione serve a compattare una forma di vita
in virtù dell’individuazione di un pericolo che mette in crisi l’esistenza della comunità. Ma questo è un
paradigma di politica che davvero Schmitt voleva avanzare?

Schmitt intendeva davvero utilizzare questo criterio del politico come sostanziazione dell’attività di
decisione di Teologia politica? No. Perché l’eccezionalismo non è un paradigma che spiega il presente?
Pagina 101 cos’è lo stato di eccezione

Il concetto di politico spiega:

1. Su cosa decide il sovrano


2. Quando e perché la decisione è effettiva, cioè decide efficacemente sul nemico e quindi compatta
la comunità

Il sovrano di Teologia politica diventa un semantico sociale che produce attraverso una operazione di
produzione simbolica, riesce a ricompattare l’identità di una comunità. L’attività di produzione del nemico è
un’attività che porta in essere un’identità. Senza l’individuazione del nemico non ci sarebbe neanche
l’amico. L’amico è il condizionato della condizione nemico.

Ribaltamento di questa lettura nell’esegesi concretista: Non c’è parentela neanche di semantiche tra le due
opere (del 22 e del 32). Lo Stato di eccezione nel concetto di politico non compare. Il “politico” invece non
compare mai in Teologia politica. Se leggete Dottrina della costituzione si troverà che l’impianto di
quest’opera decisiva non c’è nessun rimando all’impianto del 22’ e l’atmosfera teorica è notevolmente
diversa. Si passa poi alla tesi del concetto di politico. Interpretazione di Croce e Salvatore che è molto
diversa soprattutto nell’ottica di quello che Schmitt dice dev’essere il compito dello stato.

Le due interpretazioni:

Eccezionalista: il politico è quella risorsa simbolica su cui lo Stato ha il monopolio, in virtù del quale riesce a
decidere qual è il nemico pubblico e quindi a compattare la comunità e a irradiare dalla sua forza, la forma
di vita. La decisione residua nell’individuazione del nemico rispetto al quale siamo disposti a fare la guerra.

Il politico è un processo ubiquo, cioè esso è potenzialmente presente in qualsiasi contesto. Schmitt tra il ‘22
e il ‘28 passa da una visione hobbesiana del sociale, ad una visione più simile a quella di un Aristotele o un
Hegel. La visione hobbesiana del sociale: senza Stato non si da sociale. Ciò significa che non ci sono le
pratiche di interazione sociale, non ci sono i gruppi, non c’è la possibilità di consolidare pratiche perché
tutto muta a seconda delle circostanze, delle convenienze. Questa era la visione di Teologia politica: il
politico è condizione di esistenza del sociale. Le pratiche sociali sono possibili solo quando c’è una normalità
e la normalità è garantita dal sovrano.

Schmitt comincerà a credere che la società funzioni indipendentemente dal politico, la società è formata da
gruppi all’interno dei quali si sviluppano delle pratiche indipendentemente dal potere politico che non è più
condizione di socialità.

L’esistenza di pratiche reiterate stabili che diano indicazioni anche di condotta agli esseri umani, è possibile
solo perché esiste un potere politico che ne assicura la stabilità, oppure è un primum da cui lo Stato trae
risorse?

Schmitt dopo aver scritto Teologia politica si comincia ad avvicinare ad autori e opere che mettono al primo
posto le pratiche sociali, smette di considerare che il sociale esiste solo perché esiste lo Stato, il potere
politico

Nel 27-28 a fondamento della vita sociale, ci sono le pratiche sociali, che godono di un certo grado di
indipendenza.

Se la società è composta di gruppi, qual è il rischio?

Si determina quel processo di polemogenesi per cui i gruppi determinano al loro interno chi è il nemico e lo
stato, quindi, perde il monopolio sulla determinazione di chi è il nemico. Ciò significa che quando un
gruppo, supera quella soglia diventa un’unità politica, diventa il nuovo Stato. Per questo è importante
sostenere che il politico non è un ambito ma è un processo che si può innestare in qualsiasi gruppo. Il fatto
che il gruppo ritiene possibile determinare da se chi è il nemico. Ma se questo è vero, il nemico numero uno
dello Stato per Schmitt nel concetto di politico che nome ha? Il nemico numero uno è il pluralismo. Dire
questo è diverso dall’affermare che il problema sia l’emergenze e la compattazione della società. Da questo
momento in poi l’ossessione di Schmitt sarà come evitare il pluralismo.

Il tentativo di presentarsi come un’unità politica autonoma dallo Stato attraverso la determinazione di
un’ostilità. Le emergenze sono da evitare perché rischiano di favorire il pluralismo, le distinzioni ecc. Lo
stato deve pacificare e fare in modo che i modelli di vita siano il più possibile di un numero ristretto. È
l’opposto di teologia politica. In Teologia politica il sovrano non fa altro che eccitare le crisi. Dal concetto di
politico in poi, sparisce il riferimento ad una sovranità che avrebbe il compito di decidere sullo stato di
eccezione. Sparisce il concetto di stato di eccezione. Schmitt vede che non funziona, non garantisce stabilità
ma quella metamorfosi pericolosa. Bisogna eliminare chi porta troppa conflittualità sociale.

Nel 22 l’utilizzo dell’emergenza fosse ciò che garantisse l’esistenza di una comunità funzionante.

Poi si accorge che lo stato di emergenza non funziona da compattatore della società ma lo divide ancora di
più. Capisce che il problema della politica è l’esistenza di opinioni che creano contrasto sociale, sopratutto il
proliferare di modelli. Rispetto a questo schmitt si accorge che lo stato di eccezione non funziona.

Dal 27-28 va dritto verso quella che sarebbe la soluzione a questo nuovo problema: la costituzione deve
avere nel suo cuore una serie di modelli comportamentali che diano compattazione a quella che è la vita
normale.

Schmitt cambia idea:

22: problema è la gestione delle emergenze.

27-28: il problema è compattare la società su modelli ridottissimi che possano ridurre al minimo la
proliferazione di elementi di pluralismo. Bisogna ridurre lo stato di emergenza al minimo
05.12.2022

Schmitt avanza una teoria utile per l’interpretazione del saggio Teologia politica. nel concetto di politico
Schmitt avanza l’idea di politico come gradiente. Il campo ha un proprio criterio ma non è un ambito della
vita sociale, ciò significa che è un gradiente ciò significa che può verificarsi in qualsiasi ambito. Il criterio di
riconoscimento del superamento di una soglia si ha quando si è disposti ad uccidere ed essere uccisi. La
virtualità della guerra come disponibilità alla messa in campo della vita. lo stato di guerra è messo a tema
da Hobbes: la guerra è un perdurato stato di incertezza, è uno stato esistenziale ma non di fatto. Anche per
Locke inerisce all’impossibilità di seguire un criterio comune.

In qualsiasi opposizione si può superare la soglia del politico. Diventa politica nel momento in cui quella
contrapposizione implica l’uccisione e la morte. L’intensità massima di un’opposizione. Qualsiasi
opposizione può diventare politica quando comporta il rischio della morte. Per questo si parla di nemico
pubblico e di minaccia esistenziale.

Duplice interpretazione del politico in Schmitt:

1. Tesi eccezionalista. Continuità tra teologia politica e il concetto di politico: decisione si esprime sul
nemico pubblico, la decisione sospende l’ordine attraverso l’identificazione della minaccia
esistenziale;
2. Tesi concretista. Il concetto di politico smentisce la tesi di Teologia politica: In teologia politica
l’azione somma della sovranità è la decisione (elemento forte di decisionismo eccezionalista), nel
concetto di politico si dice piuttosto che il problema fondamentale non è creare momento di
sospensione dell’ordine con cui si propugna un ordine nuovo, l’esercizio del potere politico deve
dedicarsi alla riduzione di pluralismo. Il potere politico si esercita sulla produzione di omogeneità
etica (e presto anche etnica).

Nello stato di guerra non c’è soggetto che possa mediare rispetto al nostro conflitto, rimane solo la forza.
Questa è un’eredità del pensiero di Hobbes e Locke.

Il concetto di politico ha uno scopo di carattere epistemico: fornire il criterio di riconoscimento di qual è la
definizione di politico. Min 19

Il pluralismo è incompatibile con il mestiere dello Stato, cioè garantire legami sociali. Il pluralismo erode i
legami sociali. O c’è lo Stato o c’è il pluralismo. Lo stato deve evitare in tutti i modi che i conflitti tra i gruppi
si intensifichi al è punto tale da diventare politico. Bisogna neutralizzare il conflitto, in una società non deve
esistere tensione. Lo stato deve neutralizzare tutti i conflitti che minacciano il superamento della soglia,
ovvero i conflitti che minacciano di divenire politici. Da una visione in cui la società si compone di gruppi,
dal 27’ in poi Schmitt sostiene che lo Stato deve neutralizzare il conflitto.

Politica agonale: politica che riprende la tradizione dei classici e mette in luce la necessità la forza
propulsiva del conflitto e della tensione oppositiva tra gruppi.

Hobbes individua gli individui come unità di base dello stato di natura. Quest’inizio comporta l’idea che gli
individui siano uguali, abbiano le stesse capacità fisiche e cognitive. Individui atomisticamente inquadrati
come separati. Il mondo sociale pre politico è formato da individui che hanno legami sociali precarissimi.
Schmitt, dopo Teologia politica, dirà che la società è formata da gruppi che non dipendono dal politico (il
politico non è condizione del sociale), si allontana dalla posizione di Hobbes per avvicinarsi ad autori come
Tommaso, Lutero e Hegel.

Che si eviti che la gente muoia, è lo stesso fine a cui sia lo Stato di Hobbes sia quello di Schmitt tendono.

Continuità pacifica delle relazioni sociali

Distinzione tra due posizioni:

concetto di politico che complementa teologia politica: come alimenta

come e perché lo stato dovesse min 40-47

Schmitt non sosteneva questo decisionismo eccezionalista in Teologia politica, e poi più avanti ha sostenuto
che non regge in generale e che non è su questo che si regge la politica.

Un passo indietro pagina 119

Viene proposta una visione più sostanziata della posizione schmittiana: una visione che ridimensiona
ancora di più le pretese di Teologia politica. Né lo stato di eccezione né il concetto di teologia politici sono
una creazione di Schmitt. Secondo Croce e Salvatore lo stato di eccezione non è la quintessenza del politico
ma una fattispecie giuridica da limitare e normare il più possibile.

12.12.2022

Pagina 119

Ma lo stato di eccezione costituisce una tecnica di governo o un momento di fragilità del potere politico?
Probabilmente anche Schmitt vedeva nello stato di eccezione un rischio e non un’opportunità
dell’esecutivo.

Pagina 123

Min 10 A Schmitt viene chiesta di continuo l’interpretazione dell’articolo 48 della Repubblica di Weimar.

Il comma 5 a cosa aspirava? Individuare i limiti allo stato di eccezione. Il comma 5 cerca di fare qualcosa che
Schmitt dice che il diritto non può fare: Il diritto legiferi su qualcosa che è al di fuori di esso. Il diritto può
legiferare sulle competenze, ma non può determinare lo stato di eccezione. Il diritto non offre alcun
supporto in termini della possibilità di determinare quando davvero si da lo stato di eccezione. Schmitt in
teologia politica sostiene che il soggetto della sovranità emerge nel momento in cui si da la decisione sullo
stato dell’eccezione. Il comma 5 tentava di disinnescare questa dinamica pericolosa.

In questi testi Schmitt avanza un’ipotesi di stato di eccezione opposta rispetto a teologia politica. c’è un
radicale cambio di posizione.

Nel 21, ne La dittatura, Schmitt presenta un’omogeneità con il testo teologia politica. Non insiste sugli
elementi limitativi. Nel 21 si parla di una dittatura commissaria non sovrana. Nel 21 Schmitt commentando
l’art 48 sostiene:
il presidente del reich non emana atti legislativi o costituzionali.

Egli può però adottare misure eccezionali, non di leggi.

Le leggi hanno un carattere di generalità, università e ambiscono all’atemporalità

Le misure invece sono ad hoc, specifiche e temporanee

Conferenza del ’24:

un testo, specialmente quelli di legge, non si offre a un’auto interpretazione. Non è possibile
un’interpretazione univoca di un testo. Negli stati uniti si parla di originalismo: interpretazione della
Costituzione

una delle posizioni più note della destra degli Stati Uniti è stata l’originalismo: se c’è un dubbio
nell’interpretazione della costituzione si deve tornare all’intenzione dei padri fondatori. È possibile leggere
un testo che parla di noi a noi oggi, alla luce della presunta intenzione di chi l’ha scritto?

Una costituzione non può essere tanto dettagliata da non fornire interpretazioni alternative. Stessa cosa
succede per l’articolo 48. Schmitt sostiene che questo articolo è stato scritto in maniera volutamente
confusa. Schmitt fornisce un’interpretazione testuale del comma 2: il presidente del reich a sua discrezione
può sospendere i diritti. Il comma 2 è confuso ma da grandi poteri al presidente della repubblica.

Nel ’24 il testo schmittiano si affatica per trovare qualche limite. Schmitt si sforza di trovare qualche limite.
Schmitt dirà che c’è una lacuna (una legge che ha un buco). La mancanza della legge annunciata nel comma
5 è un problema. Schmitt sostiene che il limite del trovare limiti è che non c’è la legge annunciata nel
comma 5.

Come Schmitt cerca di individuare limiti.

Il presidente del reich non ha la competenza di modificare la costituzione. Se si modifica la costituzione lo si


fa secondo quanto regolato dalla costituzione. Egli può limitarsi a sospendere gli articoli menzionati nel
comma 2.

Pagina130 min 44

Cosa intende Schmitt dicendo

L’articolo 48 può sospendere l’intera costituzione.

Non solo l’art 48 ha come obiettivo la salvaguardia della costituzione, ma è anche uno strumento per
mettere in campo

1 limite generale: il testo della costituzione e l’operato del governo sono confusionari. Offre al presidente
del reich manca la leggeg promessa nel comma 5 ed è una lacuna così significativa che

Data la scarsa chiarezza e la mancanza della legge promessa dal comma 5, pur non essendo possibile
operare na modifica della Costituzione, comunque politicamente se ne puo fare un uso estensivo che
minaccia l’ordine costituzionale. Schmitt sta avvertendo sui rischi di una lacuna: qualcuno potrebbe
utilizzare strategicamente questa lacuna.

Schmitt cerca i limiti del comma 5

3 limiti particolari

1: l’art 48 non può stravolgere la costituzione, essa non può essere derogata in nome e in forza dell’art 48
2: l’art 48 nella sua capacità si sospendere parti dell’ordinamento non può comprendere minare che
intacchino dell’attività del minimum istituzionale (abolire il parlamento, modificare la costituzione). C’è un
minimum da tener preservato che non può essere intaccato dalle misure prese in merito all’art. 48. Non è
vero che sovrano è chi decide sullo stato di eccezione. Chi decide sullo stato di eccezione è il presidente del
reich. Presidente del reich è qui soggetto.

I testi successivi a teologia politica vengono utilizzati dai decisionisti per mostrare come Schmitt

Schmitt sta dicendo: La costituzione è la traduzione di un ordinamento concreto della realtà. Se la


costituzione ha da reggere è perché è un progetto di comunità, è qualcosa che permette alla comunità di
essere quello che è. I momenti di estrema crisi non sono più fondativi, questi vanno limitati e va limitato il
fatto che sono utilizzati in modo sovversivo. Allora qual è il senso profondo dell’art 48? Può un articolo della
costituzione fornire uno strumento per la sua auto abolizione? La costituzione non riesce a prevedere tutti i
propri limiti perché non può prevedere il futuro.

3: differenza tra misura/ provvedimento e legge.

Decisioni giudiziarie: quelle del tribunale

Leggi emanate dal parlamento

15.12.2022

Schmitt voleva individuare dei limiti rispetto ad un testo rischioso (articolo 48) secondo lui riguardo ad uno
straripamento dei poteri dell’esecutivo.

Il punto del decisionismo eccezionalista era una teoria del potere politico che va verso un’espansione
desiderabile del potere del decisore.

Schmitt però due anni dopo teologia politica cerca di individuare i limiti dell’esecutivo, cosa che emerge
nella sua interpretazione dell’art. 48

Nel cap 4. Di Teologia politica Schmitt esprime la sua opinione contraria al parlamentarismo.

Schmitt non si oppone all’estensione dello stato di emergenza a temi che non riguardino la sicurezza
pubblica, diventa molto espansiva come tecniche di governo. Ma insiste sulla necessità che lo strumento a
disposizione del presidente nello stato di eccezione rimanga la misura e non la legge. Mentre la
giurisprudenza tendeva a dare alle misure un valore di legge, che è un salto importante.

Come si individuo, agli inizi degli anni’30, il timore di Schmitt che lo stato di ecc diventi non solo una tecnica
di gestione di problemi ingenti, a che oltre a questo diventi una forma diversa di governo(?)? Il fatto che
insista con nettezza sull’idea per cui il presidente neppure durante uno stato di eccezione non è un
legislatore. Non può fare leggi ma può emanare delle misure che hanno dei limiti connaturati: hanno un
oggetto specifico e hanno dei limiti temporali.

Min 10

La preoccupazione di Schmitt in legalità e legittimità è che la possibilità di un nuovo sovrano viene


presentato come un pericolo. È una deriva molto pericolosa.
Secondo lo Schmitt del ‘22 una comunità non può esistere se non c’è un decisore che determina una forma
di vita. c’è bisogno di un decisore che abbia l’autorità do decidere sullo stato di eccezione. C’è bisogno di
qualcuno che esautori la costituzione.

Poi si accorge che lo stato di eccezione non garantisce la sussistenza di una comunità politica ma la sfalda.
Si accorge che il decisore non è sufficiente a garantire la sussistenza di una comunità politica. questo si
innesta direttamente sulla prima parte del corso. Se Schmitt fino a tutto il ’24 era un erede del pensiero
classico (Hobbes, Locke e Rousseau) per cui condizione di esistenza della socialità è l’istituzione della
politica. è un tratto distintivo della tradizione moderna. Sicuramente per Rousseau e Hobbes,
probabilmente anche per Locke. Schmitt ad un certo punto però smette di credere questo, ovvero che
condizione di esistenza della socialità e quindi necessario supporto della società politica sia l’istituzione del
politico. Perché Schmitt incontra il potere istituzionalista e si converte a questo pensiero. Si accorge che lo
stato di eccezione non funziona in quanto non garantisce la sussistenza di una comunità politica

Seppur il potere politico è in grado di utilizzare questo stato di eccezione, esso non è uno strumento
intelligente, non è in grado di produrre e utilizzare risorse per i fini della sussistenza.

L’idea di Schmitt a quest’altezza è: come di difende la costituzione? Perché Schmitt adesso, rispetto al 22,
crede che la costituzione sia sempre un precipitato, ma di che? Essa è sempre il tratto emergente di un
progetto politico di comunità, ma perché il sociale ha in sé una forza organizzativa che rischia di essere
stravolta dal potere legale delle misure eccezionali.

Il pensiero politico moderno individua nello stato di natura un meccanismo giustificativo della necessità del
potere politico, dell’ordine istituente del potere politico. Nel pensiero medievale non era presente questa
idea, c’era il politico ma non era istituente. Il pensiero poitico moderno nasce nell’idea che senza i potre
politico non c’è società e socialità. Nel 22’ schmitt eredita questo pensiero perché senza un decisore capace
di individuare il giusto ordine nella catena di comando, non c’è possibilità di socialità perché ci sarebbe il
caos. La comunità politica è principiata nella capacità di qualcuno di dire: questo è ciò che conta come
ordine. Schmitt però si rende conto che questa è una forma di pensiero un po’ astratta che immagina un
momento originario. Il pensiero moderno si inventa un’origine, tutti si chiederanno se questo momento se
lo sono inventato loro o esiste veramente. È un pensiero dell’origine, capire come tutto ha scaturigine
nell’istituzione del politico. Altre correnti del tempo tendono a dire che questa è una idea astratta e volta
solo alla giustificazione del politico.

Schmitt verso la fine degli anni 20 comincerà a pensare che bisogna allontanarsi da quest’idea del pensiero
moderno.

Qual è la condizione di possibilità di socialità? È vero che il politico è condizione necessaria


nell’instaurazione della socialità?

Anche lo Schmitt dagli anni 30 in poi sosterrà una dipendenza della socialità dal politico ma adesso il
politico non fa più l’istitutore, ma il guardiano della normalità. Una normalità che preesiste al sovrano.

Tendenza schmittiana del 22 di risalire all’origine. Risalire al momento in cui non c’era nulla.

Pagina 144. È chiaro che anche per Schmitt la normalità abbia a che fare con il sedimento di pratiche. La
normalità non si crea politicamente. Ciò non significa che non si governi. Schmitt si accorge che la
tradizione politica moderna su questo ha sbagliato.

PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE DEL 33’ pagina 30.

Schmitt dice che ci sono in qualsiasi tipo si sistema giuridico tre elementi:
 Norme (personale
 Decisioni impersonale
 Istituzioni sovrapersonale

I questi tre elementi il problema dei pensieri degenerati è che insistono solo su un elemento. Per spiegare
un sistema giuridico bisogna prendere in considerazione tutti e tre gli elementi. Il limite della decisione è
che la decisione non sappia leggere il momento dell’intervento. I dubbi riguardano la reale capacità di un
decisore di min 49

Ciò che il pensiero moderno negava era l’idea che ci sia qualcosa di sovrapersonale che non dipenda
dall’istituzione politica della società, né che sia creata attraverso norme. Che una società possa riscrivere il
prorpio codice genomico

Questo elemento è particolarmente interessante perché attraverso la rielaborazione del concetto è come
se Schmitt dichiarasse finita la forza propulsiva del pensiero politico moderno, cioè l’idea che condizione di
esistenza della socialità sia la politica. L’istituzionalismo è un pensiero che interessa Schmitt per un motivo

Due intuizioni dell’istituzionalismo:

1. Il soggetto non è l’unità di base del sociale (rottura con il pensiero moderno che sull’individuo
edifica il suo impianto, a partire da Hobbes). Qual è quindi la base del sociale? Per Schmitt l’unità
minima del sociale non è l’individuo, ma l’associazione. Associazione significa individualità che sono
sempre intrecciati all’interno di forme associative, di gruppi, di entità sociali, di istituzioni sovra
soggettive
2. Queste forme associative sovra soggettive hanno una loro forza nomica interna, ovvero la loro
capacità di produrre normatività. Il soggetto, all’interno di queste forme associative, risponde ad
una normatività da cui dipende.
Organizzare un pranzo, a metà del pasto uno si alza e se ne va. Tutti penserebbero che sia successo
qualcosa. Si aderiscono a certe forme convenzionali in modo spontaneo.
Quand si assiste al passaggio da due che si frequentano a due che si sposano, si passa attraverso
una serie di stati. Cambiare di stato significa entrare in un regime normativo che non dipende dal
soggetto. Il concetto di stare insieme non lo determino io, quando si supera uno stato quello che
conta è la sussunzione sotto un regime normativo che è quello dell’esser coppia.
Il soggetto è la somma delle sue transizioni all’interno di contesti normativi di cui facciamo parte.
L’univerità, gli amici, cinema. Il soggetto non è altro che l’insieme delle sezioni normative dìche
attraversa. La nostra storia è la storia dei contesti che abitiamo. L’idea che esiste un soggetto è
un’idea astrattiva. L’istituzione, ovvero le pratica, è il contesto in cui i soggetti formano min 14-16
Il prius è la capacità dei soggetti di
Se rovesciamo i due punti, la normatività originaria è la capacità degli individui di intessere
pratiche. Cambia radicalmente la prospettiva.
C’è il soggetto individuale solo nel momento in cui è individuabile.
Per quanto noi ci sforziamo di individuarlo nei suoi contorni, rimarrà sempre un’entità evanescente
nei suoi contorni. Min 21 noi ci individuiamo sempre in base ad una serie di elementi
Determinare cosa sia un evento è possibile solo quando ho una cosmologia, ovvero vedo la
connessione tra tutti gli eventi di cui è composto.
Ci sono flussi di normatività, contesti in cui ci individuiamo come membri, e il soggetto non è altro
che la risultante dell’appartenenza a diversi contesti normativi. Il soggetto è un membro di una
forma associativa che si adegua ad una certa normatività a seconda del contesto in cui sta.
Esistono prima le istituzioni, le partiche sociali, che nascono in un momento originario in cui
qualcuno pone un obiettivo. Il momento dell’origine può essere individuato facilmente
David boom
L’origine è il frutto di una astrazione rispetto ad una seri di altri legami da cui si prescinde. Indicare
un motivo è impossibile e non è possibile individuare tutti i motivi. Il momento dell’origine è un
momento di delimitazione perché il soggetto si recupera del tutto solo quando si vede come parte
di una sostanza. Il momento dell’origine può essere individuato sempre in forma astrattiva e
dunque riduttiva.
Schmitt è un po’ affascinato da questa idea. Non c’è un momento fondativo della comunità politica
ma questa è la risultante di un’accumulazione di pratiche. Ma come questo diventa pericoloso per
Schmitt? min 41
L’esposizione del soggetto ad una pluralità di modelli genera una
Perché sussista una comunità ci siano forme limitate di associazione con modelli limitati che diano
chiara indicazione al soggetto su ciò che è. Lo stato ha il compito di limite al massimo le forme
associative e i modelli. Dunque, Schmitt più o meno crede a questa cosa. Il rischio è che il soggetto
diventa evanescente ma poiché il soggetto dev’essere formato, il potere politico deve limitare i
modelli di condotta. Schmitt insiste sulla limitazione del pluralismo. La normatività dev’essere
ridotta, schemi incorporati dalla costituzione che sceglie la sua normalità. La normalità dunque
preesiste il politico, ontologicamente è i prius. Ma da sola la normalità non si forma perché i
modelli tendono alla moltiplicazione, quindi, serve un sovrano che non sia l’istitutore ma il
guardiano di questi modelli, di queste pratiche. Min 46
Questa transizione schmittiana determina l’abbandono della tradizione politica moderna la quale
ha immaginato che tutto questo sia possibile solo perché c’è una cornice politica che la garantisce.
Queste forme di mettere in atto una pratica cambiano nel tempo, questo cambiamento a cui è
costantemente esposta la pratica va limitato individuando il tratto distintivo di una determinata
pratica e rendendolo preminente. Per Schmitt devono esserci dei modelli di condotta contenuti
nella costituzione che non permettano il profilarsi di alternative. Se c’è una persona che si sente né
maschio ne femmina non può identificarsi se non come malato. Così si limita fortemente la
prospettiva alternativa. La comunità esiste solo se i modelli vengono limitati altrimenti ognuno
inizia a fare quello che gli pare. Oggi si ripropongono posizioni conservatrici di questo tipo: bisogna
limitare il pluralismo.
Min 1h
Al tempo il problema erano associazioni economiche e corporative proponevano modelli alternativi
rispetto alla proprietà capitalistica. Le organizzazioni sindacali penetrarono così tanto nei diversi
settori da arrivare a toccare la burocrazia.
Pagina 123 categorie del politico.
L’autore francese Douguit è il primo ad aver detto che la tradizione politica moderna è finita.
Schmitt dice che questi hanno avuto un’intuizione: la società è un insieme di associazioni. Ma poi
dicono che nessuna associazione sarà un’associazione sovrana. Schmitt invece ritiene ci debba
essere un’associazione ultima e dirimente: lo Stato. Ma il problema è che dato che la realtà è un
insieme di forme associative→ il soggetto non sa più che fare e non sa quale sia il modello
determinante.
Il problema dentro una simile prospettiva è che non ci sia un’unità che sia in grado di determinare
cosa conta al massimo grado.
Min 1.07
Conflitto tra Hobbes e Schmitt. Per Schmitt se io ti proibisco di identificarti con un genere diverso al
tuo, tu devi non avere l’esigenza di farlo. Neanche in foro interno tu devi sentirti di un genere
diverso al tuo. Per non avere l’esigenza di fare una certa cosa bisogna rendere veramente difficile il
raggiungimento di quella cosa, quella cosa diventa indesiderabile. Lea alternative al modello
diventano proprio impensabili.

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