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FILOSOFIA POLITICA B

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1 trattato: una critica dell’avversario intellettuale che Locke prende


a bersaglio ovvero la teoria della monarchia assolutista per
discendenza, nel 2 trattato si traggono le conseguenze positive al
potere assoluto dei re. Locke prende a bersaglio il libro di Filmer “il
potere naturale dei re” del 1680. La prima cosa che fa è prendere in
esame le tesi che erano l’idea del momento. Nel 1 capitolo
riassume i fondamenti dell’idea di Filmer in due punti essenziali,
l’unica forma di governo legittima è la monarchia assoluta e la
ragione è che nessun essere umano nasce libero. La teoria di
Filmer razionalizzava l’insieme di dottrine in un’unica linea che si
rappresentava chiara e limpida: come dio governa l’universo, ogni
re governa senza condizione i suoi sudditi per il loro bene come un
padre educa e nutre i propri gli. Il punto centrale della tesi è che
un padre che esercita male le proprie funzioni non cessa di essere
loro padre, allo stesso modo il re.

Il primo trattato è uno dei più grandi esempi del pensiero loso co
di un grande contropiede decostruttivo della ri essione loso ca
applicata da Locke a questa idea che appena si analizza da vicino
appare confusa. E’ un’argomentazione che spiega cosa c’è di
confuso. Il primo punto oscuro è il momento chiave del
conferimento ad Adamo da parte di dio, in primo luogo è un
conferimento di autorità che deve essere distinto dalla semplice
precedenza: non basta il fatto che sia il primo ma ci deve essere un
conferimento di autorità in un momento preciso. Il versetto che si
presta a questo è il 28 della genesi, dio li benedice e dice loro
“siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela,
dominate sui pesci del mare e uccelli del cielo e ogni essere
vivente che striscia sulla terra”. Si parla di questo dominio assoluto
della specie umana attraverso Adamo, Locke dice che prima di
tutto l’espressione “soggiogatela” non si può intendere come
essere proprietario degli animali, l’unica spiegazione è che essendo
padroni e dominando su tutto alla ne Adamo è padrone dei mezzi
di sussistenza della prole che verrà e attraverso questo è padrone
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della loro vita e può distruggerli a suo piacimento, ma non è facile
pensare che senza un discorso esplicito dio abbia voluto rendere
tutti schiavi di Adamo. Inoltre si parla al plurale, dio parla ad
Adamo ed Eva quindi anche lei è regina, ma di questo problema
non c’è traccia in Filmer. L’altro punto che si collega a questo sta
nel capitolo 3 della genesi al versetto 16 in cui dio si rivolge ad Eva
e le disse “moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, partorirai
con dolore… quindi si potrebbe dire che ha posto una gerarchia, la
donna è dominata dall’uomo, si potrebbe pensare cosi. Ma prima
di arrivare a questa conclusione bisogna esaminare l’atto
linguistico, non sembra che in quel versetto venga dato un ordine
ma che si descriva uno stato di cose, come andranno le cose.
Quindi non ha valore normativo, non si può stabilire che ci sia un
mandato univoco su Adamo a comandare su tutti gli esseri umani.
C’è poi il problema della rappresentazione temporale di questa
autorità come una catena: in ogni famiglia convivono diverse
generazioni, quindi il nonno comanda sul padre e limita la sua
autorità assoluta.

Il modello di successione: ci sono due modelli di diritto


successorio, uno che è quello che il primo nato maschio eredita
tutti i beni della famiglia e si cura del benessere degli altri, l’altro
modello è quello in cui tutti i gli ereditano dal padre in misura
eguale ma non si vede mai un modello di diritto successorio in cui
qualcuno eredita o qualcun altro no, o tutti o uno solo. Se non c’è
una terza possibilità come si fa a spiegare il fatto che nelle
generazioni ci siano alcuni privilegiati che diventano re e non uno
solo? La logica vorrebbe che per il potere attribuito ad Adamo solo
uno per generazione diventi re. Questa teoria del diritto divino dei
re non è legittima, poi ci sono le di coltà della successione, ovvero
chi deve ereditare il potere sovrano. E’ contro intuitivo pensare che
dio abbia voluto dare un’indicazione agli esseri umani e poi ci
abbia sottratto i mezzi per poter farla funzionare non spiegandoci
come risolvere i problemi successori, della catena del padre
sottoposto al nonno o che siano in più a governare invece che uno
solo. Il secondo trattato riguarda quale giusti cazione alternativa si
può pensare della legittimità del governo in 19 capitoli e si riannoda
al primo trattato riprendendolo nel suo prologo, nell’introduzione lo
si riassume. Locke eredita da Hobbes un lessico per parlare e
l’elemento centrale è il “contratto” che si basa sul consenso per
parlare della legittimità del potere politico. Un consenso implicito,
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non espresso. L’argomentazione di Locke segue lo schema del
contrattualismo, comincia dallo stato di natura e prosegue con
l’esposizione di quale tipo di patto trasforma lo stato di natura. Vi
sono delle caratteristiche diverse rispetto ad Hobbes soprattutto lo
stato di natura e il meccanismo del contratto, che cosa gli individui
contraenti cedono e cosa ottengono. Si vedrà la di erenza tra un
contrattualismo assolutistico (Hobbes) e un contrattualismo liberale
(Locke). Lo stato di natura è descritto nei paragra da 4 a 15: nel
primo ci sono le caratteristiche, per Locke prima di entrare nello
stato di natura l’individuo ha una perfetta libertà di regolare le
proprie azioni e disporre dei propri beni però entro i limiti della
legge di natura senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà
di un altro. Questi individui sono eguali tra di loro ed hanno eguale
potere autoritario, non esiste soggezione e subordinazione. Il
motivo di questo è diverso da quello che è in Hobbes,
l’eguaglianza della moltitudine di individui senza relazione tra loro è
motivata dalla eguale vulnerabilità che hanno, sono tutti esposti al
rischio della morte violenta. Anche il più forte può cadere vittima di
un’alleanza tra i più deboli. Questo li mette tutti nella stessa
posizione in Hobbes. L’eguaglianza immaginata da Locke ha una
base più teologica, legata al fatto di essere tutti creature dello
stesso dio create a immagine e somiglianza. Questa eguaglianza si
unisce una libertà che è indubbiamente maggiore di quella che
l’individuo avrà nello stato civile ma non è quella libertà senza limiti
che c’è in Hobbes. Esistono dei limiti naturali alla libertà anche
nello stato di natura secondo Locke (paragrafo 6) non si può fare
qualunque cosa, ad esempio l’individuo non può distruggere se
stesso ne qualunque altra creatura che gli appartenga tranne che
per motivi di auto conservazione. Questa libertà è più ampia di
quella che si avrà dopo ma non è illimitata, non c’è assenza di
legge e laddove in Hobbes si parlava di legge di natura come una
legge che impone agli individui di fare il possibile per auto
conservarsi, in Locke è un limite naturale quello di auto preservarsi.
L’altro punto è che questa legge naturale si coagula in diritti precisi,
e ha l’e etto di creare un diritto a far valere questi agglomerati
normativi (vita, libertà e proprietà) e da il titolo di farli rispettare. Ci
sono tanti attori sociali che pensano che la scena del mondo
globale dal punto di vista politico sia una scena di stato di natura,
con vari spezzoni che rivendicano un potere di coordinamento e in
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questo stato di cose c’è un buon titolo da parte di qualunque
attore a far valere quei diritti umani la dove vengono violati.

La forza del ragionamento di Locke: ciascuno agisce secondo il


proprio interesse, è uno stato di cose imperfetto che ci spinge a
fare un passo avanti. Nello stato di natura si ha una giustizia
imperfetta perchè carente di un punto di vista imparziale che la
applichi. Una delle conseguenze più importanti di questo scarto del
ragionamento lockiano è che, diversamente da Hobbes, si può
cadere in una situazione di ordine politico che è peggiore dello
stato di natura. Si può migliorare questo stato di cose, ma lo si può
anche peggiorare cadendo in forme di oppressione che fanno
quasi invidiare lo stato di natura precedente. Locke dice che i
monarchi assoluti non sono che uomini e se il governo civile deve
essere il rimedio dei mali del fatto che gli uomini sono giudici delle
proprie cause e fare ai sudditi ciò che si vuole, allora quanto
migliore può essere dello stato di natura? Molto meglio è lo stato di
natura in cui nessuno è costretto a sottomettersi alla volontà di un
altro. Lo stato di natura in Locke non è uno stato di guerra, anche
quando si è in uno stato civile non si perde il diritto alla guerra.
Colui che viola una normatività con la forza restaura un micro stato
di natura che autorizza gli altri alla resistenza. Nel capitolo 4,
paragrafo 22, c’è un dialogo implicito con Hobbes sul tema della
libertà negativa. Entrambi sono fautori di questa libertà, in Hobbes
c’è una versione estrema che oggi ritorna con il titolo di
neoliberale, un rapporto di proporzionalità inversa tra legge e
libertà, più c’è legge meno c’è libertà. Dentro questa visione,
qualunque impedimento alla mia volontà è una costrizione che
diminuisce la mia libertà. Locke nel paragrafo 22 prende posizione
contro questa versione fornendone un’altra in cui classi ca questa
estrema visione hobbesiana con un solo aggettivo, la libertà
naturale dell’uomo consiste nell’essere libero da ogni potere
superiore nella terra e non essere subordinato a nessuna volontà,
però la quali ca come libertà naturale dell’essere umano. La libertà
nella società consiste nell’avere leggi stabilite per consenso
comune. Mentre Hobbes parla di impedimento alla libertà come
qualcosa che la diminuisce, qui non si parla solo di impedimento
ma anche di incostante incerta arbitraria volontà che potrebbe non
essere espressa. Sia Hobbes che Locke hanno un’idea di libertà
negativa: io sono libero se non vengono toccati i miei diritti
fondamentali. Ma mentre Hobbes ha una visione estrema (più c’è la
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legge meno sono libero) Locke interpreta questo in funzione della
natura delle leggi, ci sono quelle che limitano la libertà e altre che la
ampliano. La libertà quindi non è quella che descrive Filmer, ma
secondo Locke consiste nell’avere una stabile norma: io posso
seguire la mia volontà senza mai essere soggetto all’incostante
incerta arbitraria imponderabile volontà di un altro uomo. Io sono
libero non solo quando c’è l’assenza di un’interferenza attuata ma
anche quando ci può essere l’anticipazione dell’interferenza, per
esempio: quando immagino che se intervengo nell’assemblea poi
avrò ripercussioni, anche se il soggetto non me lo dice
espressamente io so che avrò ripercussioni.

Hobbes: più legge meno libertà.

Locke: una legge stabilita dal comune consenso.

Altro punto diverso tra Locke e Hobbes. Il sovrano Hobbesiano


potrebbe anche essere comunista, uno che annulla le proprietà,
mentre nel quadro di Locke c’è un diritto naturale di proprietà che il
sovrano riconosce. Come può esserci un diritto naturale su un
singolo pezzo di terra? Se c’è una cosa di cui un singolo individuo
è proprietario è il proprio corpo, dunque un diritto naturale alla
proprietà può essere giusti cato in base alla distinzione di ciò che
esiste e non esiste in natura posto in essere da un esercizio di
energia lavorativa che emana dal corpo dell’individuo stesso. A
questo punto la proprietà indiscutibile del suo corpo si trasferisce
su quella cosa che l’individuo ha prodotto (es. frutto che pende da
un albero e si allunga una mano per prenderlo). Il lavoro del corpo e
l’opera delle mani sono propriamente di un individuo, ecco perchè
qualunque cosa un individuo rimuova dallo stato in cui la natura lo
ha prodotto mescola ad essa il proprio lavoro con ciò la rende una
sua proprietà. Questo è un punto di inizio di un discorso sulle
proprietà che avrà una grandissima in uenza in Marx e Rousseau.

Se il giusto diritto naturale alla proprietà nasce dal mio lavoro con
la natura, quando si veri ca questo diritto esattamente? La risposta
di Locke è: al primo contatto con l’oggetto.

La proprietà non può essere accumulata all’in nito, secondo


Locke, ma inerente al principio del diritto naturale c’è anche un
limite naturale. Il limite tra proprietà giusta e proprietà ingiusta è
tracciato prima che ci sia una qualsiasi legge che la determina dalla
di erenza tra la possibilità di utilizzo e lo spreco della proprietà
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stessa. Es. un individuo occupa una certa parte del pianeta terra e
ha un titolo ad avere proprietà delle cose che sono in quella sfera
ma l’importante è che possa essere utilizzato ma non in quantità
tale da essere inutilizzabile e dar luogo ad uno spreco. Qui si
inserisce un evento dinamico: un incremento di produttività dovuto
alla divisione del lavoro. Gli individui passano a una
specializzazione dei compiti. Questo ha un e etto di aumento del
valore della proprietà stessa.

Il valore delle cose nasce dalla quantità del lavoro che è


cristallizzata negli oggetti non più naturali ma arti ciali.
L’infrastruttura che consente la vita all’interno dell’Italia è frutto del
lavoro. Questo dinamismo della divisione del lavoro, oltre
all’aumento del valore, sarebbe equilibrato se non intervenisse un
fattore: l’introduzione della moneta. Una grande innovazione che
rende più pratica la vita sociale ma porta con se un problema:
poiché la moneta non si deteriora salta quel con ne naturale tra
proprietà giusta e quella non giusta. La moneta agisce come
moltiplicatore degli esiti sociali. Locke è più ottimista rispetto a
Rousseau e Marx, oro e argento dice che consentono di
accumulare illimitatamente e senza far torto a nessuno, l’ingiustizia
è solo lasciare cose inutili agli altri individui.

Confronto diretto con Hobbes sull’incompatibilità della monarchia


assoluta con l’essere una forma del governo civile: gli altri dicevano
che la monarchia era la forma di potere legittimo, Locke invece
prende la posizione dicendo che è incompatibile con un governo
civile. Se l’essenza della società civile consiste nel fatto che mentre
nello stato di natura ciascuno è giudice della sua causa, nello stato
civile si ha un qualcuno in una posizione di imparzialità. Se questa
è la di erenza tra stato di natura e ordine politico allora la
monarchia assoluta è fuori dal quadro di una società civile perchè
non vi è nessuno che può, data l’assolutezza del sovrano, che
possa imparzialmente giudicare se il sovrano ha rispettato il suo
mandato o no. Non c’è alcun giudice.

La sovranità o è assoluta o non esiste: questo ragionamento


Hobbesiano sarà un problema quando dalla monarchia assoluta si
passa al nostro concetto di sovranità popolare. Se il popolo ha
limiti allora questo non è sovrano, ma è sovrano chi traccia quei
limiti alla sovranità popolare.

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OBBLIGO DI CONFORMARSI ALLA MAGGIORANZA: Dentro ogni
idea di coordinamento liberal democratico c’è il punto di qual è la
giusti cazione in base alla quale i meno devono conformarsi si più,
pur essendo più competenti. In Hobbes, che è un autore
assolutista, troviamo la teoria della maggioranza. Locke svolge un
argomento concettuale, ovvero costruire un ordinamento politico
signi ca fare di una moltitudine non costituita di essere umani un
corpo politico. Se un ordinamento politico è un corpo e non solo
un insieme di leggi scritte, allora è proprio di ogni corpo muoversi
in una direzione. È naturale, dunque, che si muova nella direzione
della forza prevalente al proprio interno. C’è il consenso della
maggioranza a questo status. Locke prende in esame due
obiezioni comuni, al tempo, alla posizione contrattualista: la prima
è che in questo contratto non c’è traccia di una nzione loso ca,
l’altra visione è quella della successione delle case regnanti, con
evidenza storica. Il punto è che il governo paterno, quello schema
di estensione del modello familiare al corpo politico in generale, è
qualcosa che poteva esistere nelle fasi più elementari della vita
sociale. Questa rappresentazione per cui il più anziano nella
famiglia più potente della comunità era anche il capo di tutti
funzionò perchè l’eguaglianza di un tenore di vita povero con nato
dava adito a poche controversie e non vi era bisogno di leggi per
risolverle. Così come i bisogni di dover difendersi dai vicini
spinsero ad una monarchia. La stessa accumulazione delle
ricchezze resa possibile dalla divisione del lavoro, posa il seme
nella mutazione della forma di governo. A quel punto l’interesse dei
principi divennero diversi da quelli del popolo e arrivò la necessità
di esaminare più attentamente l’origine dei diritti del governo. La
seconda obiezione è quella secondo cui poiché tutti gli uomini
nascono sotto un governo non c’è mai stata la libertà di
instaurarne uno nuovo. Locke osserva che è innegabile l’esistenza
di un grande numero di monarchie del suo tempo, allora come è
possibile che siano sorte queste monarchie se non ammettiamo il
diritto di un suddito di andarsene e di fondare su un altro territorio
un’altra monarchia insieme ad altri sudditi? Torna quindi a dire che
o c’è un unico erede di Adamo per ogni generazione umana e
quindi tutti gli altri sono impostori, oppure tutti gli uomini sono liberi
e dunque si aggregano secondo il consenso di una forma di
governo. Qui si trova un passaggio fondamentale nella storia del
pensiero politico: l’idea Lockiana del consenso tacito.

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Il consenso dei governanti non si vede perchè non è dato tutto
insieme. Come si distingue uno stato di consenso da uno stato di
oppressione? Locke ci dice che il consenso non si vede
esplicitamente perchè non è dato tutto insieme ma a poco a poco
dagli individui, man mano che raggiungono la maggiore età.
Dunque la gente non se ne accorge e non vedendolo, pensando
che non sia stato dato, conclude che gli uomini proprio in quanto
uomini sono naturalmente sudditi. Quindi non è consenso espresso
ma implicito. Ci vuole, però, un indicatore empirico che faccia
capire se c’è il consenso dei governanti o meno: Locke a erma
che ogni uomo che abbia uso o possesso di una parte dei domini
di un governo, da con questo il suo tacito consenso e per la durata
di tale uso è tenuto ad obbedire alle leggi di quel governo al pari di
tutti quelli che vi sono soggetti, sia che questo suo possesso sia di
terra o una proprietà appartenente a lui e ai suoi eredi, oppure che
si tratti dell’occupazione di un alloggio solo per una settimana o
solo il fatto di viaggiare liberamente per le strade di quel paese. Il
consenso si comunica con il fatto stesso di trovarsi dentro i territori
di quello stato.

Non c’è contratto che non abbia un oggetto e che non abbia una
motivazione. Il primo motivo per cui si fa un contratto: Locke dice
che nello stato di natura manca una legge stabilita e riconosciuta
per consenso comune per riconoscere ciò che è ingiusto. Il
secondo motivo è che non bisogna privare gli altri della propria
libertà ma poi concretamente non si vede la speci cazione della
legge che deve, però, essere fatta da qualcuno di imparziale.
Quindi si deve riconoscere un giudice imparziale. L’ultima ragione
per cui si fa un contratto è che se anche si eleggesse un arbitro
nello stato di natura chiedendogli di chiedere chi ha torto e ragione,
poi questo saggio anziano non avrebbe il potere o forza di dare la
dovuta esecuzione alla giusta decisione. Da questa ricostruzione
nasce la divisione dei poteri. Questa è un’altra grande innovazione
introdotta dal contrattualismo lockiano. Mentre in Hobbes la
divisione dei poteri rappresentava far perdere l’e ettiva forza di
ognuno di essi.

Nasce poi l’idea di cos’è lo stato di diritto in modo più compiuto:


per Locke è un ritenere il potere legislativo al ne di governare
secondo leggi sse stabilite promulgate e rese note al popolo e
non secondo decreti temporanei. Tutto questo non deve essere
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diretto ad altro ne che la pace, la sicurezza e il pubblico bene del
popolo. L’ultimo aspetto di questo stato di diritto è che le leggi non
possono togliere a un cittadino parte della sua proprietà senza il
suo consenso. E in ultimo il potere legislativo non può delegare il
proprio potere.

Potere federativo: la politica estera, Locke lo de nisce come ultimo


potere.

I tre poteri non sono su un piano di parità. C’è un primato del


legislativo che è il vero rappresentante della nazione e a cui tutti
devono restare subordinati. C’è poi una distinzione già trattata tra
potere costituente del corpo politico di cittadino che costituisce
questi 3 poteri (legislativo esecutivo e federativo) e potere
costitutivo.

Con il termine prerogativa Locke intende la discrezionalità di


operare ai margini della legge esistente. L’esecutore delle leggi
avendo il potere ha in virtù della comune legge di natura il diritto di
usarlo per il bene della società. Quando si veri ca un’emergenza e
non vi sono leggi precise che prescrivono cosa c’è da fare a quel
punto il governo deve avere un grado di discrezionalità di agire per
il bene comune no a quando il legislativo non può essere
convocato per provvedervi. La prerogativa per Locke ha due fonti
per la propria necessità: uno è il fatto che le leggi non posso
prevedere a quale situazioni saranno applicate, la seconda è che
vi possono essere casi in cui una stretta osservanza delle leggi
sarebbe nociva (es. dover demolire una casa senza il consenso del
proprietario per non far propagare l’incendio della casa vicina). Da
questi ragionamenti nasce la de nizione della prerogativa come il
poter agire per il bene della società anche contro la legge. Locke
ipotizza una divisione del lavoro facendo riferito al potere esecutivo
della storia inglese: il potere di collocare i parlamenti e ssarne
tempo e durata è una prerogativa del re, però sempre con la
responsabilità che ne farà uso per il bene della nazione secondo
quanto richiederanno le esigenze e la varietà delle circostanze. Ma
laddove sorgano controversie tra potere esecutivo e legislativo
quale istanza potrà dirimere queste controversie? Non vi è un
giudice possibile tra questi due poteri che possa dirimerle.

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Locke parla del tema della conquista, dell’occupazione straniera da
parte di potenze straniere. Qui si può vedere un normativismo
moderno dal punto di vista di cosa vuol dire conquista militare:
molti hanno confuso la forza delle armi con il consenso del popolo.
Locke da autore profondamente normativo dice che un
conquistatore può distruggere la forma di stato vigente ma senza il
consenso del popolo può esigerne un’altra. Il conquistatore che
vince la guerra non è in una posizione diversa da un rapinatore di
strada, se si ha la fortuna di potersi opporre al rapinatore la stessa
cosa avviene con il conquistatore e non si ha nessun obbligo verso
questo. Locke dice che la forza crea il diritto, non c’è distinzione
tra potere e autorità: far fare qualcosa a qualcuno con una
minaccia o perchè si crede che colui che ha un titolo ha ragione. Si
può distruggere ma non costruire senza il consenso dei cittadini.
Uno che vince sul campo con la forza militare n dove può
arrivare? Locke dice che è più facile elencare i diritti che NON
acquisisce attraverso la vittoria militare. Sui conquistati nell’ipotesi
che siano stati essi a scatenare una guerra ingiusta, il vincitore ha
un potere assoluto di vita e di morte però questo potere non si
estende ai loro possessi e non si estende alle vite di quelli che non
hanno partecipato attivamente alla guerra. Perchè non può
appropriarsi dei loro beni? Perchè i crimini dei padri non possono
ricadere sui gli, le appropriazioni dei beni della popolazione vinta
priverebbe i gli della loro eredità e questo diritto limitato ha un suo
corrispettivo nella situazione in cui si viene rapinati in punta di
spada da un bandito che intima di dargli ad esempio una borsa.
Una borsa con pochi spicci, io posso legittimamente ucciderlo.
Viceversa se do in consegna incautamente ad un mio compagno
di viaggio 100 sterline, quando ritorno quello si ri uta di restituirmi
la somma li non si ha il diritto di ucciderlo. La spiegazione è che il
primo usava la forza minacciando la mia vita e non potevo avere il
tempo di appellarmi alla legge per difenderla, nell’altro caso invece
io non ho la mia vita in pericolo. La stessa cosa si applica in grande
al rapporto di conquista: si ha diritto di vita e di morte su quelli che
hanno combattuto ma non si può toccare la proprietà di quelli che
neanche hanno combattuto. Un contro esempio a questa idea è la
pratica del bottino di guerra: Locke concede che questo sia
legittimo ma sempre entro certi limiti. E’ illecito appropriarsi del
bottino di guerra di un anno di raccolto ma non della terra stessa.
Un altro punto di contrasto con Hobbes è la questione delle
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promesse estratte con la forza: Hobbes nel suo quadro di
riferimento assolutistico la qualità del consenso non c’entra con il
fatto del consenso. La persona che aliena gli a etti più cari per
salvarsi da un naufragio lo fa liberamente, ogni scelta è libera.
Locke al contrario a ronta il tema del consenso e dice che le
promesse estratte con la forza non vincono, perchè su tutto ciò
che un altro mi prende con la forza io mantengo il diritto e lui è
obbligato a restituirmelo. L’usurpazione e la tirannide sono una
conquista interna, l’equivalente di quello che è la conquista
all’esterno, con la di erenza che un usurpatore non può mai avere
la forza del diritto dalla sua parte dato che l’usurpazione è entrare
in possesso di ciò su cui un altro ha diritto. La tirannide è lo
scon namento dalla giurisdizione. Contro ciò, Locke teorizza il
diritto dell’esistenza che si basa sul principio che dice che
chiunque delle autorità ecceda nel potere conferito dalla legge per
ordire contro i sudditi ciò che la legge non permette, questo titolare
di autorità cessa di essere un magistrato e in quanto ha infranto i
limiti della sua autorità gli si può opporre resistenza come a
chiunque altro violi un mio diritto. Il re non può compiere atti illegali
da solo, secondo Locke. Ci si può ribellare anche quando la
propria vita e libertà sono in pericolo, quando si n una situazione
di urgenza che può coinvolgere anche la propria religione. La
resistenza armata è un atto politico straordinario che richiede il
veri carsi di questa congiunzione di fattori. Il governo quando è
accusato di parzialità e abusi non fa un mea culpa, ma
normalmente nega. Il governo cercherà una scusa che lo pone al
riparo dalle obiezioni, di fronte a questo evento come si dovrà
ragionare? Qui Locke utilizza un’idea di senso comune che deve
intervenire. In base a questo standard di senso comune, se è
evidente che si ostenta un’intenzione e si agisce seguendone
un’altra, che si ricorra ad espedienti per eludere la legge per ni
contrari a quello per cui è stato conferito se il popolo reputa che i
ministri vengono scelti in conformità a questi ni, se il popolo
assiste a ripetute prove di arbitrario esercizio del potere come si
può impedire ad un uomo di vedere come stanno le cose
chiaramente e cercare un modo per mettersi in salvo? Un’altra
distinzione è quella tra società e governo. La dissoluzione nella
società non si vede mai se non con un’invasione da parte di una
forza straniera, diverso è il caso in cui è solo il governo ad essere
rovesciato dall’interno della società e questo governo come può
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dissolversi? Si dissolve quando viene alterato in legislativo, quando
viene meno seguono la morte dell’immagine governativa e questo
ha luogo se una o più persone si incaricano di fare leggi senza che
il popolo lo abbia scelto. Locke fa una casistica di forme di
alterazione del potere legislativo: la prima è quando il sovrano
sostituisce la sua arbitraria volontà alle leggi. La seconda forma si
ha quando il principe impedisce la corona al legislativo di riunirsi a
tempo debito o di agire liberamente in vista dei ni per cui è stato
costituito. La terza modalità di alterazione si ha quando il potere
arbitrario del principe cambia l’elettorato. Una quarta modalità è
quella di consegnare il popolo alla soggezione di un potere
straniero da parte del principe o del legislativo.

Il passo avanti successivo è che il popolo può legittimamente


resistere al potere legislativo, come in ogni rapporto duciario,
quando viene meno la certezza che il governo stia operando per il
bene comune, un diritto preventivo alla ribellione. Il popolo può
provvedere a se stesso istituendo un nuovo emaciamento quando
per oppressione al nuovo ordinamento il vecchio è venuto meno,
signi ca solo dirgli che può aspettare soccorso quando è ormai
troppo tardi.

DIRITTO ALLA RESISTENZA è quel diritto del popolo ad andare


contro il governo nel momento in cui le ingiustizie compiute dal
governo colpiscono il popolo o anche solo una parte minacciando
tutto il resto. È un caso eccezionale perchè dato che il governo si
può difendere da ogni accusa possibile va stabilito uno standard
su cui giudicare il con itto. Il diritto alla resistenza quindi va
ancorato al senso comune. Scatta anche quando c’è un’alterazione
della normalità del governo, ovvero quando il sovrano sostituisce la
volontà alle leggi, quando il principe impedisce al legislativo di
svolgere la sua funzione, quando il re cambia arbitrariamente la
libertà elettiva, la consegna del popolo alla soggezione di uno
straniero. In sostanza il popolo ha diritto di andare il governo
quando questo agisce contro la maggior parte del popolo. Si può
resistere al governo anche con il solo sospetto di un’alterazione
alla normalità per avere il diritto di prevenire la tirannia. Il governo
può essere messo sotto accusa in particolare per due motivi:
l’usurpazione che sarebbe l’esercizio di un potere di cui altri hanno
diritto e la tirannide, ovvero l’esercizio di un potere che va oltre il
diritto.

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Gli indicatori che legittimano la resistenza del popolo declinata
come prevenzione di una deriva tirannica del governo si
riassumono in un concetto generale che il principe o il legislativo
agiscono contrariamente al loro mandato: quando uno dei due
tenta di violare la proprietà dei sudditi e di rendere una parte della
comunità padrone e arbitro dei beni del popolo. Se il legislativo
viola la proprietà dei sudditi il popolo ha diritto di provvedere con
l’istituzione di un nuovo legislativo. Secondo caso quando il potere
esecutivo agisce contro il mandato facendo uso della forza per
corrompere i rappresentanti e aggiudicarseli per i suoi scopi.
Oppure quando il potere esecutivo impegna in anticipo gli elettori e
se ne serve per far eleggere uomini che in anticipo hanno
promesso cosa voteranno e cosa delibereranno.

Legando la legittimità del governo alla valutazione che il popolo ne


da, essendo l’opinione pubblica in uenzabile, ogni governo è
condannato all’instabilità. Locke introduce una nota ottimistica: gli
uomini non abbandonano facilmente le proprie forme di governo. In
Locke inizia una transizione che quali ca il liberalismo britannico,
c’è il discorso dei costumi e dell’uso, è qualcosa che si vede più
dalle consuetudini che non da leggi e articoli scritti.

Secondo Hobbes qualunque pace è migliore della situazione di


guerra civile e il compito del sovrano è di mantenere la pace e
diversa la posizione di Locke per cui la pace serve a promuovere la
giustizia. Esistono, quindi, condizioni politiche per cui la guerra è
migliore della pace. “Se l’uomo onesto e senza colpa deve lasciare
senza atare tutto ciò che possiede a colui che sene impossesserà
con mano violenta, vorrei si considerasse che razza di pace ci
sarebbe al mondo se dovesse consistere in violenza e rapina e non
volge sulla giustizia” dice Locke. Alla ne del secondo trattato si
parla di chi potrà decidere se la giustizia è rispettata o no e la pace
ha valenza, il popolo sarà giudice, chi potrà giudicare se il suo
delegato agisce in conformità al mandato a datogli se non colui
che lo ha deputato e che conserva il potere di destituirlo quando
viene al suo mandato, quindi il popolo giudicherà attraverso un
appello al verdetto divino. E’ un normativismo molto radicale, è
a dato all’individuo essere giudice. E’ nato un normativismo mai
visto prima che poggia su quello che Hegel chiamerà 2il principio
della libertà soggettiva”.

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Montesquieu

Nasce nel 1689 vicino Bordeaux (anno in cui Locke pubblica i due
trattati) nell’ultima fase del regno di Luigi XIV che dura 75 anni.
Compie gli studi secondari in un collegio religioso studiando diritto
a Parigi e nel 1714 entra come consigliere nel parlamento locale di
Bordeaux e viene eletto due anni dopo all’accademia delle scienze
locale, eredita da uno zio la carica di presidente di sezione al
parlamento di Bordeaux e il nome di Montesquieu. Fa studi di
scienze naturali e scrive varie memorie. Nel 1721 pubblica la sua
prima opera “le lettere persiane” che ottiene un grande successo e
stabilisce subito la sua fama. Tra il 1722 e il 1725 si trasferisce a
Parigi dove conduce una vita mondana nella oritura del pre
illuminismo, pubblica delle piccole opere anonime e nel 25 ritorna a
Bordeaux e subito dopo torna di nuovo a Parigi e viene eletto
nell’accademia. Parte per un viaggio lungo in Germania, Austria,
Italia, Olanda, Inghilterra e Svizzera per osservare la vita di questi
paesi percepiti come stranieri. Nel 1731 ritorna nel castello dove è
nato e inizia la scrittura de “lo spirito delle leggi” che dura 17 anni
di scrittura e viene pubblicato nel 1748 in modo anonimo a
Ginevra, in svizzera. Il libro ha grande successo ma è più
commentato che non e ettivamente letto.

Le lettere persiane (1721) sono uno dei primi documenti che fa


nascere un’interrogazione sulla natura della società moderna.
Troviamo questa interrogazione per la parte psicologica e culturale.
E’ un romanzo epistolare scritto tra il 1711 e il 1720, data che
comprende il passaggio post Luigi XIV, in cui i personaggi si
scambiano impressioni per approfondire un auto ri essione sulla
forma di vita metropolitana parigina. La forma letteraria è quella di
un sovrano persiano, Usbek, che insieme a Rica viene in visita a
Parigi e scambia lettere con i membri del suo seguito e con le
persone che conosceva e rimaste in Persia raccontando le cose
che sta vedendo.

I punti importanti della descrizione antropologica della vita


moderna di cui i persiani di fede musulmana fanno esperienza: due
sono centrali.

La prima riguarda la relatività dei dogmi e delle certezze culturali.


Sono colpiti dalle abitudini culinarie e diverse della Francia,
nessuno di fa problemi a mangiare carne di maiale, e quindi Usbek
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scrive una ri essione che gli è sollecitata dalla diversità di queste
culture. “Da dove viene che il nostro legislatore ci privi della carne
di maiale e di tutte le carni che si chiamano impure?” I dogmi
religiosi e le valutazioni forti e impegnative sui valori sono qualcosa
di soggettivo, qualcosa che noi localmente proiettiamo sulle cose
non avendo niente di oggettivo.

La seconda osservazione è la “modernità psicologica”, quella del


mutamento in senso antropologico della persona umana, Usbek e
Rica sono ricevuti nei salotti parigini e li colpisce la compresenza di
uomini e donne in questa sfera semi-pubblica, quindi i rapporti tra
uomini e donne. Dunque Usbek e Rica sono colpiti dalla presenza
delle donne in questo ambito, cosa inesistente in Persia.
Comparano i rapporti uomini e donne e mentre nell’Harem i
rapporti sono di sottomissione e autorità.

“Lo spirito delle leggi” è un’enciclopedia del sapere politico e sulla


peculiarità delle leggi. Si possono isolare dei blocchi tematici
principali: il primo è la teoria dei 3 tipi di regime politico, il secondo
è la teoria della cause naturali che in uenzano costumi e cultura, il
terzo è la teoria delle cause sociali che in uenzano costumi e
cultura, il quarto blocco ha a che fare con il concetto dello spirito
generale della nazione e in ultimo un dogma della divisione dei 3
poteri.

Nel primo blocco riunisce la democrazia e l’aristocrazia in un unico


tipo che chiama repubblica. Due varianti della repubblica:
aristocratiche e democratiche. In ultimo il dispotismo. I tipi in cui
vale la pena ripartire la pluralità dei regimi sono repubblica,
monarchia e dispotismo. È importante anche come si gestisce il
potere e non solo quante mani lo gestiscono, la di erenza è nel
fatto che nel governo monarchico c’è un rispetto delle leggi mentre
nel dispotismo no, il sovrano governa secondo la propria volontà
personale. Montesquieu lega a tutto questo la considerazione della
stabilità e sorge la domanda di cosa spiega il fatto che alcuni
regimi durano nel tempo e altri no. Quali sono i fattori che possono
spiegare la stabilità dei vari tipi di regime? Montesquieu a ronta
questo tema guardando alla congruenza tra l’esigenza di
funzionamento di un regime politico in termini di disposizioni
culturali e a ettive che i suoi partecipanti devono avere perchè il
sistema funzioni, e la realtà delle cose. Accanto a ciascuno dei 3
grandi tipi Montesquieu si premura di speci care il sentimento
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politico per la stabilità di quel tipo di regime politico. Il sentimento
politico necessario è quello della virtù, sia per la repubblica che per
la monarchia. La virtù è l’amore della repubblica, ovvero amore
della cosa pubblica, ovvero la capacità e disponibilità ad anteporre
l’interesse generale dell’insieme del corpo politico all’interesse
particolare che può essere il proprio tornaconto personale o
l’interesse di una parte del corpo sociale, come ad esempio un
partito. Una repubblica non può stabilizzarsi nel tempo se nella
popolazione non c’è questa disposizione ad anteporre il bene
comune a quello particolare.

Il secondo tipo di regime è la monarchia: secondo Montesquieu


non è indispensabile la virtù ai ni della stabilizzazione di un regime
politico, al contrario della repubblica. Il sentimento politico
essenziale per una monarchia è il senso dell’onore. Si basa molto
sulla distinzione sociale, su quei simboli di status che distinguono e
caratterizzano i ranghi sociali: ciascuno ha il suo proprio posto. Per
la monarchia è fondamentale che esistano questi ranghi (duchi,
principi, re, baroni) e che ci sia il gusto di tutto questo. Ovvero che
la popolazione invece di vivere questa rigida strati cazione di
rango con fastidio, come qualcosa di moralmente intollerabile..

I regimi dispotici hanno un sentimento politico fondamentale per la


stabilizzazione: la paura. Se si fa sparire la paura di un despota
dentro il regime si ha già minato la fase del despotismo. Esiste una
correlazione tra alcuni aspetti dell’ambiente naturale in cui è
immerso il regime politico e il regime politico stesso? La prima
causa naturale della diversità del regime politico è la dimensione
della società stessa, la popolazione. È proprio della repubblica
avere un piccolo territorio altrimenti questa non può sussistere,
quella virtù può orire solo se ci si conosce e si ha ducia gli uni
degli altri.

Se la popolazione raccoglie un territorio molto ampio con molte


genti allora è l’impero la forma naturale, il despotismo. Dietro
l’apparente arti cialità dei tipi traspare il concreto delle esperienze
storiche come le città stato, le polis, le città stato contemporanee.
Un altro fattore naturale che incide è il clima e il suolo. Esistono
luoghi in cui il clima leva le forze agli uomini, in questi casi la
schiavitù è più tollerabile. Un suolo arido o fertile, montagnoso o
pianeggiante incoraggia forme di agricoltura e pastorizia in modo
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diverso. In ultimo c’è lo spirito generale di una nazione: qui nasce
l’idea di un’identità nazionale e collettiva.

Quinto blocco: In ogni stato vi sono 3 generi di poteri. In forza del


primo il principe fa le leggi per un certo tempo o per sempre, in
forza del secondo potere stabilisce la pace, in forza del terzo
punisce i delitti. La libertà politica di un cittadino consiste nella
tranquillità di spirito che proviene dall’opinione che ciascuno ha
della propria sicurezza. A nché si abbia questa libertà bisogna che
il governo sia tale che un cittadino non possa temere un altro
cittadino. Da questo ne viene che quando nello stesso corpo di
magistratura o nella stessa persona il potere legislativo è unito al
potere esecutivo non vi è libertà, poiché si può temere che lo
stesso monarca o senato facciano leggi tiranniche per eseguirle
tirannicamente. Non vi è libertà nemmeno se il potere giudiziario
non è separato da quello esecutivo e legislativo. Se fossero uniti il
giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. Questa divisione
è anche una divisione di poteri sociali in cui il concetto chiave è
quello di “equilibrio”. Divisione dei poteri signi ca divisione sulla
carta ma anche equilibrio.

Montesquieu insiste sulla necessità che ci sia un’attenta


regolazione del governo esecutivo e le nanze dello stato. Un
governo non può appropriarsi dei beni dello stato. È il primo ad
inventare l’idea del disporre con legge di quanto il governo può
disporre per fare ciò che vuole.

Rousseau nasce nel 1712 e muore nel 1778. Con Rousseau si


esplora una terza sfaccettatura del paradigma contrattualista
iniziato con Hobbes con sui si è visto un versante assolutistico,
con Locke una versione liberale mentre con Rousseau c’è una
versione iperdemocratica del contrattualismo in cui la sovranità
appartiene non solo ai governanti ma rimane al popolo. L’altro
aspetto di Rousseau è che entra in un dialogo con gli altri due
attori contrattualismi molto articolato in cui si vede in sintonia con
uno dei due contro l’altro. Tanti temi di Hobbes ritrovano in
Rousseau soprattutto un’ispirazione per cui i diritti sono creazioni
della legge, la legge è creazione umana quindi è il diritto positivo
che crea i diritti. Rousseau è anche un personaggio che dialoga
con Montesquieu sul tema della società moderna. Nasce a
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Ginevra, in svizzera, in una famiglia di piccola borghesia. La madre
morì nel parto quindi crebbe senza madre, questo ha determinato
qualcosa riguardo la sua instabilità e vulnerabilità emotiva. Non
compie studi regolari (Hobbes e Locke andavano ad Oxford)
trascorre la giovinezza tra normali lavori e vagando tra Svizzera,
Italia e Francia. Il primo lavoro più stabile lo trova verso i 32 anni
quando diventa segretario dell’ambasciatore di Francia.

Tre grandi opere che sono 3 facce diverse sul discorso dell’origine
della disuguaglianza: il contratto sociale, l’emilio e la nuova Eloisa.
Vengono pubblicati a Ginevra dove vengono mandati al rogo in
quanto opere temerarie e scandalose. Diventa, quindi, un
perseguitato politico. Nel 76 da inizio alla sua ultima opera “le
fantasticherie del passeggiatore solitario” che lascerà poi
incompleta.

Il contratto sociale: L’originalità del suo pensiero sta nel voler


prendere le distanze da entrambi i paradigmi che si sono
contrapposti sull’asse di quello olistico e individualistico.

Rousseau cerca di prendere le distanze da queste posizioni e


fornire una teoria del sorgere della società che la vede come una
società inconsapevole. La società è una cosa che capita agli esseri
umani. Rousseau sempli ca il catalogo di inclinazioni
dell’antropologia hobbesiana e lo riduce a ciò che è importante ai
ni del mostrare come sorge una società. Il primo istinto è quello
che chiama “amore di se”, è qualcosa di equivalente all’istinto di
sopravvivenza (fondamentale in Hobbes) e all’istinto di “pietà,
compassione” la naturale repulsione del vedere la so erenza del
proprio simile. Accanto a queste caratteristiche ce ne sono alcune
tipicamente solo umane: una è la capacità di ri essività, di
scegliere che azione fare non solo in base all’istinto ma anche al
ragionamento, l’altra è quella che chiama “perfettibilità” o capacità
di apprendimento. Con questo equipaggiamento istintuale e di
competenze presociale come si spiega che alla ne ci si ritrova
nell’ordine sociale? Rousseau dice che si deve pensare che
nell’ambiente naturale per l’inclinazione dell’asse terrestre ci
troviamo di fronte a delle s de di sopravvivenza che sollecitano il
nostro istinto di sopravvivenza e l’essere umano primitivo ha la
capacità di ssare l’utilizzo casuale di strumenti che si trova ad
avere a disposizione (es. un ramo caduto che funge da bastone
che gli consente di far cadere dei frutti che sono troppo in alto). Lo
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stesso individuo poi dimentica dell’uso di questo ramo
riscoprendolo successivamente no a quando la capacità di
apprendimento non si stabilizza. Lo stesso avviene col fuoco e con
tutti i vari strumenti. Questo stato primitivo presociale è il contrario
dello stato di natura hobbesiano, è uno stato paci co. Rousseau va
contro Hobbes obiettando che la guerra di tutti contro tutti che
motiva il sacri cio della libertà illimitata a favore del sovrano in
realtà presuppone delle motivazioni che sono già sociali, quindi è
uno stato di cose già sociale, è un pseudo stato di natura, perchè
presuppone quelle passioni o desideri di vendetta i quali vanno
tutti aldilà del bisogno sico (es. io posso non avere fame se il mio
vicino mi prende la parte dell’animale cacciato che spettava a me
ma mi o endo ugualmente del signi cato dell’atto). Per far
accadere questo bisogna che io mi possa considerare come mi
vedono gli altri e risentirmi del fatto che gli altri mi vedano diminuito
nella loro stima. Hobbes pensa che sia naturale uno stato in cui gli
individui hanno gli altri già in un orizzonte mentale. Invece secondo
Rousseau la socialità nasce per casualità e non per volontà: come
un individuo trova per caso un bastone nel momento in cui non
può raggiungere un frutto, con la stessa casualità ominidi presociali
scoprono il vantaggio della cooperazione. La cooperazione sociale
quindi si stabilisce per caso e per stabilizzazione di uno schema di
comportamento emerso senza il volere di nessuno, diventa una
cosa abituale, è il primo nucleo della vita sociale. È sbagliato
pensare all’interazione sociale solamente come uno strumento,
perchè è uno strumento che cambia l’utilizzatore: non lascia
inalterati gli essere umani che ricorrono a questo e muta
antropologicamente la struttura di questo essere facendogli
sorgere un secondo istinto che Rousseau chiama “amor proprio”,
ovvero l’amore della propria immagine e la preoccupazione per la
considerazione sociale di cui noi godiamo. Questo non ha nulla di
naturale perchè richiede di vedersi con gli occhi degli altri. Questo
amor proprio mette in moto tutte le dinamiche che Hobbes
attribuisce allo stato di natura, consente agli individui di compararsi
con gli altri, si inizia a scoprire che c’è quello più forte e quello
meno forte e così via… e gli individui si preoccupano del proprio
punteggio su ciascuna di queste scale. Si è gia dentro i primi stati
della vita sociale in cui la divisione del lavoro è molto rudimentale,
tutti fanno un po’ tutto, e questa divisione conserva ancora un
legame con i talenti naturali. Tra i cacciatori quello più forte e abile
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avrà più spoglie di animali e carne da mangiare. C’è un legame tra
quello che ho nella mia capanna e quella del mio vicino a seconda
della capacità di resistenza di ognuno. Comincia poi a venire meno
quella pace propria del primo stato di natura e si inizia a pro lare
quello stato di con ittualità che Hobbes erroneamente attribuiva al
vero stato di natura, perchè qui nasce la con ittualità tra essere
umani già socializzati. Rousseau, al contrario di Locke, dice che il
primo che pensò di recintare un terreno e dire “questo è mio” fu
l’inizio di un contesto già sociale e profondamente con ittuale. Lì si
scatena il primo dei con itti, quello tra il più forte e il primo
occupante.

Fino a questo punto le diseguaglianze conservano un legame con i


talenti naturali e la divisione del lavoro, ma col passare del tempo
questo legame si perde soprattutto col meccanismo dell’eredità: il
glio e il nipote del proprietario di terra con più grandi
appezzamenti erediterà quella terra senza aver fatto nulla. Si crea
una forma di diseguaglianza interamente sociale che è uno dei
principali motivi dell’e etto corruttorio sulla società. Si parla di
e etto corruttorio perchè ogni società ha bisogno di socializzare le
generazioni seguenti, di riprodurre degli schemi di comportamento
della divisione del lavoro. Vanno, quindi, educati a questo e
motivati a svolgere queste funzioni. Ogni società del passato,
soprattutto la società civile del XVIII secolo non ha trovato di
meglio per motivare le nuove generazioni a riprodurre ruoli della
divisione del lavoro che ricompensare l’eccellenza nell’apprendere
queste funzioni con delle ricompense che sono problematiche,
distruttive. Denaro, potere e prestigio. Sono ricompense
problematiche perchè sono beni divisivi, acquistano e conservano
il loro valore nella maniera in cui sono disegualmente distribuiti.
Creano un meccanismo competitivo tra gli esseri umani al di fuori
dello stato di natura. In ogni competizione c’è un incentivo
negativo per i competitori posto su due cose: uno è l’incentivo ad
apparire altro da come si è, a mentire agli altri e ingannarli,
presentarsi sotto un’altra veste e sembrare più intelligenti o diversi.
La competizione è ineludibile, non si può più fare a meno di avere
queste qualità, non ci si può sottrarre alla competizione. L’altro
aspetto negativo è che in ogni competizione c’è un vantaggio
nell’essere veloci, nel precedere gli altri. Questa necessità di
precedere gli altri fa si che ci sia un vantaggio per l’individuo
nell’adottare le soluzioni vincenti e scoraggiare la ricerca perdente
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di una via autonoma, unica alla soluzione di un problema. La natura
competitiva della forma sociale avvantaggia chi non si perde per
strada a cercare sentieri che non si sa dove portino, ma premia
coloro che sono veloci nell’adottare ed eseguire ricette già
consolidate. Questo tema sulla modernizzazione che produce
omologazione, al contrario di Montesquieu, vede che più va avanti
il meccanismo più ci si omologa.

Rousseau vinse un posto nella storia come prima critica cosi


profonda alla società civile moderna.

Questo discorso fa da sfondo all’opera del contratto sociale.

Una forma di vita sociale e non competitiva, secondo Rousseau, è


possibile in certe situazioni di equilibrio, è possibile avere gli altri
nel mio orizzonte mentale senza preoccuparsi di salire e scendere
nella loro considerazione, quindi senza competizione.

Il compito del contratto sociale di Rousseau è quello di porre


rimedio al fatto ingiusto sviluppato sul terreno e sostituirlo con uno
arti cialmente costruito in maniera accurata, senza vizi intrinseci
del patto naturale ma un patto giusto. Il vero proposito dell’opera è
contenuto in 4 libri: nel primo annuncia lo scopo di questa ricerca.
Si comincia ad entrare nel vivo del programma con il primo capitolo
e con la frase “l’uomo è nato libero ma ovunque è in catene”,
anche chi si crede padrone degli altri non è meno schiavo. La
prima cosa è spiegare come costruire un ordine sociale e politico
diverso, arti ciale. Questo diritto di fondare un patto sociale non
proviene dalla natura, dalla natura si forma solo un’associazione
spontanea, ma è basato su una convenzione e si tratta di sapere
quali sono queste convenzioni per capire quale è una convenzione
giusta. Nel capitolo 2 del primo libro si trova il tema
dell’uguaglianza, ricostruito in chiave evolutiva, in cui Rousseau
inizia dicendo che l’unica società naturale la famiglia. La sua
naturalità ha un limite: appena cessa il bisogno siologico dei gli
di essere accuditi dai genitori, se continuano a vivere insieme ai
genitori è per convenzione, non c’è più nulla di naturale. In questo
capitolo si trova l’argomentazione a favore dell’eguaglianza
all’interno dei valori politici. Per gli antichi i capi erano come i
pastori del gregge, superiori alla massa degli uomini che
governano. Rousseau, immediatamente dopo, insiste sul fatto
dell’inconsistenza dell’espressione del “diritto del più forte”: in
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primo luogo il più forte non sarà mai il più forte se non trasforma la
sua forza in un diritto. Cedere alla forza è un atto di necessità e non
di volontà.

DIRITTO DEL PIU FORTE: Il più forte non sarebbe mai abbastanza
forte per essere sempre il padrone, se non trasformasse la sua
forza in diritto e l’obbedienza in dovere. Cedere alla forza non è un
atto di volontà ma a limite di prudenza. La forza sarebbe però un
diritto instabile, no a quando non è sostituita da una maggiore,
cosicché i sottomessi possano, e anzi debbano non obbedire, o
meglio cercare di essere i più forti. Tutto ciò non fa della forza un
diritto, ma semplicemente una forza: noi dobbiamo obbedire ai
poteri legittimi. Un potere è legittimo se emana da una convenzione
giusta.

Si potrebbe volontariamente cedere la propria libertà, però se un


individuo può ridursi in schiavitù volontariamente, perchè non
potrebbe fare la stessa cosa un insieme di individui in cambio della
tranquillità? Un insieme di individui potrebbe farlo. Rousseau vuole
mostrare in due modi come dovrebbe essere una convenzione
giusta: il primo assolutizza la libertà, ovvero rinunciare alla propria
libertà politica e quindi rinunciare ai diritti dell’umanità, una simile
rinuncia è incompatibile con la natura dell’essere umano. Il
secondo, invece, prende in considerazione che un individuo possa
sottoscrivere un contratto e rinunciare al diritto di voto, un essere
umano può alienare se stesso ma non i suoi gli. Perché un
governo arbitrario fondato sulla servitù volontaria fosse legittimo
servirebbe che ogni generazione lo accetti.

Cos’è, quindi, una convenzione giusta? È una convenzione in cui


l’individuo non si aliena della propria libertà. Rinunciare alla libertà
signi ca snaturare la natura umana, non essere più uomini. Un
uomo potrebbe alienare se stesso ma non i propri gli. Ad ogni
generazione bisognerebbe sottoporre il governo alla valutazione
del consenso, cioè chiedere alla nuova generazione se vuole
essere alienata della libertà o meno. Una convenzione giusta è quel
tipo di associazione che deve avere le caratteristiche di cui
parlavano anche Hobbes e Locke, ma non come dicevano loro di
rinunciare ad una parte di libertà. Rousseau dice che non vuole
rinunciare alla libertà, quindi è giusta quella convenzione mediante
la quale ciascuno obbedisce soltanto a se stesso, l’individuo
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rimane libero come nello stato di natura attraverso l’alienazione
totale dell’individuo a favore della comunità.

Nel capitolo 5 del primo libro ci si avvicina al punto della creazione


della convenzione giusta (patto sociale). Un popolo è già tale prima
di darsi un re, ma in virtù di quale atto è diventato un popolo?

Rousseau ha l’idea di un popolo come qualcosa che ha uno spirito


generale e nello stesso tempo la facoltà di operare politicamente.
Sarebbe bene esaminare l’atto secondo cui un popolo è un popolo:
l’atto di costituzione, essendo anteriore al fatto di scegliere un re,
costituisce il vero fondamento della società. Rousseau guarda il
processo che dalla moltitudine sparsa si passa a costituire un
popolo. Questo succede perché si forma una volontà che, però, ha
un’agenda. Rousseau dice che la nalità con cui gli individui nello
stato di natura si dispongono ad unirsi in un patto arti ciale, ad una
convenzione giusta, la nalità è quella di trovare una forma di
associazione che con tutta la forza comune difenda e protegga le
persone e i beni di ogni associato mediante la quale forza,
ciascuno unendosi a tutti obbedisca soltanto a se stesso e resti
non meno libero di prima. In cosa consiste questa convenzione?
Consiste nell’alienazione totale di ogni associato di tutti i suoi diritti
a favore della comunità. La soluzione di questo sta nel fatto della
perfetta reciprocità di tutte le parti contraenti, poiché ciascuno si
da tutto intero alla comunità la condizione è uguale per tutti, quindi
nessuno ha interesse a renderla onerosa per gli altri. La formula del
patto sarà così: ciascun individuo mette in comune la propria
persona e ogni proprio potere sotto la suprema direzione della
volontà generale, e il popolo in quanto corpo politico riceve
ciascun membro come parte indivisibile del tutto. Si protegge
come un corpo protegge le sue parti. E dall’unione di questi
individui viene fuori un corpo politico dotato di una volontà unitaria,
viene fuori la persona pubblica. La sovranità rimane al popolo (al
contrario di Hobbes che rimane al sovrano) e il governo è un
esecutore della volontà degli individui. L’esecutivo è solo l’istanza
che mette in pratica la volontà del popolo sovrano e viene espressa
in modo più speci co attraverso il legislativo. La sovranità
appartiene al popolo che fa il quadro generale, ovvero la
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costituzione, poi se c’è da fare una legge che stabilisce una
determinata cosa la fa un legislatore che risponde al popolo e che
è proiezione della sua volontà.

Nasce da qui l’idea di un primato legislativo: delle 3 branche del


potere politico, il legislativo è il più vicino al popolo.

Si è formato un corpo politico chiamato “stato”, considerato come


qualcosa che viene incontro al singolo individuo. Oppure si chiama
“potenza” considerato dal rapporto con stati esterni. Qui Rousseau
si è contrapposto a Hobbes e Locke ma rimangono delle
somiglianze: un corpo sovrano non può obbligare se stesso, non è
vincolato dalle leggi che emana. Si comincia a delineare la
personalità dell’ordinamento politico di Rousseau come quello di
una democrazia senza vincoli costituzionali e senza diritti esterni, i
diritti sono istituiti. Rousseau è un democratico, vuole aggiungere
qualcosa al tema Lockiano del consenso. Vuole aggiungere l’idea
che i diritti e le norme non solo non possono vincolarci se noi non
acconsentiamo, ma deve esserci qualcosa di più: ci vuole qualcosa
oltre il consenso, ovvero l’espressione della volontà.

Il secondo libro parla di come il potere del popolo sia indivisibile.


Rousseau si preoccupa del fatto di pensare a dei limiti di principio
all’espressione della volontà generale. La funzione dei diritti va
presa in carico: al posto dei diritti, a fare le loro veci, Rousseau ci
mette 3 cose. La prima è la distinzione tra volontà generale che è il
punto del creare l’ordine politico, e la volontà di tutti. Ciascuno
mette la propria persona sotto la direzione della volontà generale.
Questa distinzione è la prima delle garanzie e sta in questo: la
volontà generale è sempre retta e tende all’utilità pubblica ma non
ne consegue che le deliberazioni del popolo abbiano sempre la
stessa rettitudine. Gli individui formano una volontà che prende ad
oggetto il bene comune, che non è solo bene creduto comune ma
lo è veramente. Dunque la dimensione maggioritaria della volontà
generale non la rende automaticamente volontà generale, ci vuole
quest’altra condizione mirata al bene comune. A rendere generale
la volontà non è tanto il numero dei voti quanto l’interesse comune
che li unisce. La prima garanzia è tenere a mente questa
distinzione. La seconda è la garanzia del fatto che la volontà
generale si occupa solo di delibere che toccano tutti in modo
uguale, che non fanno di erenze tra singoli destinatari. La legge ad
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esempio può dire che ci saranno principi e duchi ma non chi lo
diventerà.

Questa cosa dei limiti Rousseau la usa per dire come è possibile
evitare che si passi ad una oppressione, come evitare che la
volontà generale degeneri in oppressione.

La terza condizione: bisogna guardare le condizioni sociali in cui


avviene la deliberazione. Nessun cittadino deve essere tanto ricco
da poter comprare un altro cittadino. Esempio: quando il governo
Blair istituì una commissione parlamentare sull’equità elettorale era
guidata dalla domanda “ no a che punto sono equi i risultati se le
capacità di spesa dei partiti sono di erenti? Se sono di erenti in
modo sproporzionato?” La commissione disse che questi risultati
non potevano considerarsi equi e qui si vede l’applicazione del
ragionamento Rousseauniano per cui la commissione decise che
ogni partito doveva avere un limite di spesa (20 mln) però poi
risultò un criterio grossolano perchè se un manager della
campagna elettorale è intelligente nota che in alcune contee
servono pochi soldi perchè esprimerebbero il consenso, allora
destina ad altre zone più problematiche tutte le risorse. Quindi la
commissione ha modi cato la prima legge dicendo che ogni
singola area ha ssato dei valori di quantità di sterline da destinare
per la campagna elettorale in ogni singola area, cosi anche negli
USA con l’amministrazione Bush del 2005. Gli usa hanno detto
che: se l’avversario politico che entra in campo è un grande
imprenditore potendo accedere ad un numero illimitato di ricchezze
si può allora aumentare il tetto del limite di spesa dell'altro
candidato in modo che la situazione sia più o meno paritaria.

Nel secondo libro c’è un altro punto fondamentale, la gura del


legislatore. A un certo punto c’è una moltitudine che decide di
costituirsi in popolo, di darsi leggi fondamentali. Rousseau
introduce il legislatore dicendo che “ci vorrebbero dei per dare
leggi agli uomini” nel senso che la materia essendo complicata
richiede saggezza. C’è un asse di ragionamento che riguarda il
bene comune. Il legislatore è qualcuno che non può usare la forza
ne la minaccia della forza per convincere il suo pubblico ad
adottare le leggi, ma anche solo il ragionamento deve spesso
ricorrere a persuadere senza convincere. Deve aggiungere forza
emotiva al suo messaggio che deve, però, avere un contenuto
altrimenti il legislatore non può compiere la sua opera. Il legislatore
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può servirsi della religione per trascinare con l’autorità divina coloro
che la prudenza umana non riuscirebbe a scuotere. Se dietro non
ci fosse una sapienza vera, riuscirebbe solo a radunare un branco
di sciocchi senza mai riuscire a formare un impero. Rousseau dice
che il legislatore deve operare come un architetto, prima di
innalzare un grande edi cio osserva il suolo per vedere se può
reggerne il peso, così il saggio legislatore non comincia col dire
quale sia il miglior sistema elettorale ma prima esamina se il popolo
al quale destina le leggi è capace di sopportarle.

Nel terzo libro c’è un’analisi delle forme di governo. Rousseau non
è entusiasta della monarchia. Il governo sotto il quale senza arti ci
la popolazione aumenta e si moltiplica è senza dubbio il migliore.
Quello sotto il quale invece il popolo diminuisce è il peggior tipo di
governo. Un altro tema importante è quello della morte del corpo
politico: la cosa più importante è che mentre altri autori, soprattutto
Hobbes, lo hanno visto come un evento catastro co, Rousseau
introduce l’idea che come nel corpo umano si comincia a morire
dalla nascita a causa dell’invecchiamento di alcune cellule, così il
corpo politico porta in se le cause della sua distruzione n dal
momento in cui viene costituito. La prima forza disgregatrice è
l’attrito, l’erosione. Qualunque cosa cessa il suo movimento a
causa dell’attrito. Allo stesso modo nel corpo politico la prima forza
disgregatrice è l’attrito politico interno, ovvero quello determinato
dalle volontà particolari che erodono la volontà generale. Il
funzionare di un corpo politico è come un ingranaggio che si
inceppa per la sabbia inserita negli ingranaggi, la sabbia
rappresenta gli interessi particolari. Meno si comunica e meno c’è il
rischio di distorsione. Rousseau è fautore di una repubblica senza
comunicazione. La seconda forza è la tendenza del governo a
sviluppare una dinamica loro indipendente dal sovrano. Ciascuno
ha un suo interessa da difendere. La dissoluzione avviene quando i
membri del governo usano separatamente il potere che
dovrebbero usare solamente come corpo politico oppure quando il
principe agisce solo secondo i propri interessi.

Per formare un giusto corpo politico bisogna passare per una


forma democratica transitoria: il primo è un auto investimento del
corpo liberante che si auto nomina parlamento e indice l’elezioni, o
si nomina un governo provvisorio. Il popolo può destituire i suoi
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commissari quando vuole, incorpora il diritto di resistenza che
sottopone il potere costituito costantemente al potere costituente.

C’è un rimedio per evitare l’attrito che porta alla morte del corpo
politico? L’antidoto che Rousseau ha ragionato riguarda le elezioni
periodiche del parlamento. Se il principe interferisse in queste
elezioni diventerebbe violatore delle leggi e nemico dello stato.
Un’altra novità è l’idea che il rimedio all’attrito fra le istituzioni può
trovare rimedio se si automatizza ad ogni generazione a intervalli
regolari (20 anni) la convocazione automatica di assemblee di tutto
il popolo con all’ordine del giorno sempre due punti ssi non
soggetti all’arbitrarietà: il primo, se il sovrano acconsente a
conservare la presente forma di governo. Il secondo, se il popolo
acconsente a lasciare l’amministrazione a coloro che ne sono
incaricati.

Il discorso del contratto si conclude con il libro quarto che ha il


tema della “censura” e del suo utilizzo da parte dei governi.
Censura non signi ca screening preventivo di quello che viene
scritto a ne di purgare gli scritti, ma vuol dire “espressione
pubblica di disapprovazione”. Si può emettere un provvedimento
disciplinare di censura verso la cattiva condotta di qualcuno. Sono
esternazioni di biasimo nei confronti di determinati comportamenti.
È uno strumento del governo che, secondo Rousseau, ha molta
e cacia e può orientare quel sentimento politico che non va
semplicemente preso come dato ma anche modi cato dall’azione
di governo, ra orzare le disposizioni che aiutino il loro
funzionamento e arginare quelle che vanno in senso contrario
come l’evasione scale. Rousseau indicizza questo discorso
dicendo che non può andare totalmente contropelo alla sensibilità
morale della popolazione, può indirizzarla se in qualche modo ne
segue l’ispirazione principale semplicemente correggendola.

Rawls (21 febbraio 1921) nasce in una famiglia di media borghesia.


Era ossessionato dalla giustizia.

Considerava la gius zia come qualcosa di esistenzialmente pressante oltre


che accademicamente interessante, ma anche esistenzialmente pressante
sopra u o il modo in cui la società può ovviare a quella che ha chiamato
la lo eria naturale. Ciascuno viene dal mondo con un biglie o della
lo eria gene co in cui sono scri dei vantaggi e degli svantaggi. La
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società sta qui anche per ovviare all'arbitrio di questa casualità naturale, o
almeno per far sì che questa non si ri e a anche sugli asse sociali.
Rawls riassume 4 compi della loso a poli ca norma va: il primo è
quello di me ere a fuoco delle ques oni controverse e stabilire se
nonostante le apparenze sia possibile scoprire so o la super cie le basi di
un accordo loso co e morale. Il secondo compito si rivolge ai ci adini
che sono inseri dentro una società con una propria cos tuzione,
sopra u o se è una democrazia. Una società non ha dei ni par colari
come invece ce l’ha un’associazione, però ques ni devono essere
speci ca per diventare vita poli ca concreta. Un altro ruolo è legato alla
gura di Hegel e a un suo termine predile o, quello di “riconciliazione”,
vuol dire comprendere da dove si viene e le ragioni per cui si hanno
determinate propensioni. L’ul mo compito è quello dove ritorna l’idea di
utopia, l’idea di un’utopia realis ca e esplorare un’utopia cosi signi ca
assolvere il compito della loso ca poli ca di esplorare il limite estremo
del poli camente pra cabile, che oggi non esiste.
“Teoria della giustizia”: Rawls vede il valore apicale come
fondamentale e il suo cuore batte per la giustizia. Apre questo
testo con l’a ermazione “La giustizia è la prima virtù delle
istituzioni sociali, cosi come la verità lo è dei sistemi di pensiero.”

Il rapporto consiste in questo: di una teoria si può dire tutto ma se


si dice che non è vera, che non rappresenta le cose, allora deve
essere immediatamente modi cata. La giustizia gioca lo stesso
ruolo nella società, il primato della giustizia consiste in questo:
bisogna ngere che le istituzioni siano giuste per tenerle, ma di una
teoria non si può. La giustizia è la virtù centrale delle istituzioni e il
merito del primo libro di Rawls è quello di aver dato una risposta
alla domanda centrale della loso a politica “cosa vuol dire per una
società essere giusta?”.

La loso a poli ca viene usata come ragionamento per pensare la


gius zia, la libertà, l'eguaglianza, il potere ecc…
Rawls crea un contropiede loso co prendendo un immagine calcis ca,
un contropiede tra i più riusci della storia in cui sconvolgono due
egemonie di pensiero prevalen : il primo è la prevalenza del cosidde o
realismo poli co, l'idea che seppure c'è loso a poli ca in quanto dis nta
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il suo compito è ri e ere sulle implicazioni di come le is tuzioni
funzionano (principe di Machiavelli, anche se non è riducibile a questo
po di impostazione). Rawls si domanda che cosa è una società giusta.
Viene presa e rimessa sul tavolo come una domanda vera a cui
rispondere. L'impostazione del realismo poli co è vedere la poli ca come
il perseguimento e cace dei propri ni, interessi, valori. Si deve scegliere
da dove prendere ques valori che poi si vuole spingere con strumen
adegua e col massimo successo.

L’altra prevalenza che la teoria della giustizia capovolge è quella


dell’utilitarismo. Cioè quando nella misura in cui si prende sul serio
la domanda di cosa vuol dire realizzare ni giusti, la risposta è quei
ni che maggiormente promuovono il benessere. Questa è la
risposta ampiamente prevalente nel contesto in cui opera Rawls.
L’idea deontologica per cui la giustezza della giustizia consiste nel
realizzare intenzioni giuste non si è più rivista nche non ritorna
nell’opera di Rawls. Rawls riprende la risposta di Kant. Una
risposta deontologica alla domanda “cos’è la società giusta?” Si
risponde che giusta è la società che risponde a quell’equivalente
dell’intenzione dell’individuo che sono principi giusti.

Cosa sono i principi giusti? In primis si parla di posizione originaria,


termine che Rawls usa al posto del vecchio stato di natura. Lo
stato di natura così concertistico sparisce, al posto di questo c’è
uno stato mentale in cui si immagina di ragionare controllando
alcune variabili e porsi il problema di cosa sono i principi giusti. I
principi giusti a cui ispirare una società sono quelli che sarebbero
adottati da decisori che in rappresentanza degli individui deliberino
a quali principi ispirare una giusta società.

La prima caratteristica di questa posizione originaria è il fatto che


gli attori lì presenti hanno il compito di basare la struttura di base
della società su dei principi attivi. I rappresentanti non si
interessano agli a ari degli altri, ma semplicemente ignorano o
tollero gli interessi altrui senza essere disposti a sacri care i propri.
L’altro presupposto è che vi sia una situazione di moderata scarsità
in cui identi care i principi della società da costruire: c’è una
scarsità sociale che scoraggia una condizione di giustizia. La
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società giusta è un tipo di decisione presa da gente abilitata a dare
una risposta, il problema che queste persone si pongono prima di
andare a speci care quali sono le istituzioni e come funzionano. I
decisori comparano principi di giustizia e li comparano secondo il
metodo dell’equilibrio ri essivo: vedere cosa viene fuori da un certo
principio e se questo si conforma o no al senso di giustizia. Quello
che i decisori fanno è soppesare principi candidati di vario genere
con le conseguenze che comportano. Dentro la posizione originaria
i partecipanti accettano ciò che Rawls chiama “pluralismo”. Cioè il
risultato che viene fuori dalla posizione originaria deve essere un
risultato che emerge dal fatto che i decisori vogliono valori diversi,
e questo è il carattere distintivo della giustizia.

La deliberazione deve avere e etto dietro un velo di ignoranza: i


decisori non sanno, una volta che partirà la società da loro
disegnata, che ruolo avranno in modo che non possano favorire
questi interessi. Il principio è giusto quando è scelto dietro il velo
dell’ignoranza con decisori che agiscono da un punto di vista
razionale ciò che è più conveniente per l’individuo.

La nalità è aggiornare il contratto sociale concependo un


esperimento mentale che delinei a quali condizioni i principi
selezionati come ispiratori per la costituzione, sono da considerare
principi giusti.

La teoria della giustizia serve a dire che i principali competitori


sono: da un lato la visione kantiana della giustizia che Rawls
propone, e dall’altro le diverse versioni dell’utilitarismo. I decisori
soppeserebbero meriti e demeriti di una visione conseguenzialista,
e una visione deontologica a cui Rawls da il nome di “giustizia
come equità”. Questa giustizia consiste in due principi legati in una
priorità lessicale: il primo a erma che ci deve essere quanta più
libertà compatibilmente con eguali libertà per tutti.

Il secondo principio riguarda le diseguaglianze economiche e


sociali, quello che Rawls vede più giusto è il fatto che restino le
diseguaglianze economiche ma a favore dei meno agiati. Tutti
devono avere le stesse opportunità.

Ciò che distingue un’idea di giustizia moderna nelle società


moderne è l’indisponibilità di un orizzonte di valori condiviso. I
problemi della giustizia in un quadro moderno si pongono senza
poter disporre di una scala di valori condivisi per risolvere le
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controversie. Questo è il punto comune presente nella posizione
originaria della “teoria della giustizia" e pluralismo politico. La
diversità è data da un aggettivo che c’è nel pluralismo politico ma
non nella teoria della giustizia.

Da un lato ci sono le dottrine morali comprensive, per Rawls, che


sono quelle che contengono una visione intera dell’umano, di ciò
che ha valore per la vita umana e dall’altro lato quello che lui
chiama concezioni politiche più ristrette che hanno a che fare con i
giusti termini della convivenza tra esseri umani.

Una società moderna è caratterizzata anche da un pluralismo di


dottrine incompatibili ma ragionevoli. Il pluralismo è presentato
come il frutto della libertà, si hanno pensieri diversi perchè non c’è
nessuno che costringe a pensarla in modo uguale. La concezione
della giustizia a cui si fa riferimento come base normativa della
società, deve essere politica.

“Liberalismo politico” in cui la parola politico signi ca che la teoria


della giustizia è indipendente rispetto alla varietà di concezioni più
ampie. Una concezione della società giusta che possa andar bene
tanto all’utilitarista quanto al non utilitarista.

Dietro il pluralismo ragionevole c’è il giudizio sul carattere


irrealistico dell’aspettativa di unanimità sulla base di scelta
razionale. L’idea che non c’è un punto di vista fuori dalla pluralità
delle diverse concezioni di Rawls. Questo fa di lui un autore che
accoglie questo punto di vista ma non rinuncia ad una posizione
normativa. Rawls prende le distanze da un liberalismo scettico
come quello di Voltaire, dicendo che per fondare una società
ordinata non si può chiedere alle persone di giurare lo scetticismo.
Il pluralismo ragionevole comprende sia lo scettico che l’anti
scettico (Kant). Non si può costruire un edi cio che sia una società
giusta su una concezione comprensiva di questo tipo. Lo scopo
del liberalismo politico è quello di costruire un’idea di società ben
ordinata che sia neutrale rispetto alle varie concezioni comprensive
presenti in una società democratica. Il liberalismo politico non parla
di verità ma solo della propria concezione politica della giustizia e
questo ha due conseguenze: innanzitutto si mette in chiaro il punto
di vista limitato della concezione politica rispetto ad esempio
all’utilitarismo o all’aristotelismo, de nisce i valori politici e non tutti
i valori, e nello stesso tempo assicura una base pubblica di
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giusti cazione, ovvero perchè è legittimo l’atto legislativo compiuto
da una certa autorità. In secondo luogo si mette in luce il fatto che
gli ideali della concezione politica della giustizia si basano sui
principi della ragione pratica. Rawls ripercorre le tappe che hanno
portato a questa posizione di liberalismo politico e ai tempi di
Socrate la ri essione loso co politica nasce con quella morale e
già questa ri essione sulla giustizia si identi ca con l’esercizio della
sola ragione e il centro di questo era l’idea del sommo bene come
perseguimento della vera felicità. Questa idea rispondeva a un
problema per il quale la religione civica non aveva risposta ma con
l’esercizio della sola ragione si poteva arrivare a cosa vuol dire
avere una società giusta. Nell’età moderna lo stesso interrogativo
viene posto in un contesto segnato da 3 grandi novità storiche: il
primo è la riforma che rompe l’unità religiosa del mondo medievale
europeo e istaura un pluralismo religioso alla base di tutti quelli che
verranno dopo, un altro fatto è la formazione di stati nazionali
assolutisti e centralizzati (monarchie assolute) e l’ultimo è la nascita
della scienza moderna. Ma la cosa più importante è la riforma
protestante perchè comporta la nascita di religioni concorrenti
voltate alla conversione di tutti gli esseri umani ad un’unica verità.
Dalla situazione della guerra civile comincia con Locke e Hobbes
un’interrogazione su un problema che non riguarda più il sommo
bene, ma comincia a nascere il problema di come si convive
insieme tra persone che sottoscrivono religioni dotate di un credo
con ittuale l’una con l’altra. Come è possibile che permanga nel
tempo una società giusta e stabile? Grazie a degli elementi
costitutivi che sono in primis l’idea di una concezione politica della
giustizia in corrispondenza con una comprensione della giustizia,
l’idea della società come equo sistema di cooperazione, l’idea di
posizione originaria, la concezione politica della persona, l’idea di
essere ben ordinati per una società.

Concezione politica della giustizia: è una concezione neutrale


rispetto a queste due grandi opzioni e consente ai cittadini di avere
un punto di vista comune. Da un lato c’è la parte di coloro che
vedono come fondamentali le libertà negative, dall’altra c’è il
partito associato a Rousseau che privilegiano le eguali libertà
politiche e i valori della vita pubblica. La concezione della giustizia
cerca di arrivare ad un arbitrato proponendo due principi di
giustizia che servono per la realizzazione dei criteri di uguaglianza.

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Ciò che fa di una concezione della giustizia una concezione politica
della giustizia, non è solo il fatto che è neutrale rispetto a queste
due opzioni ma anche per altre cose: il fatto che questa
concezione non si occupa di tutto ma della struttura di base dove
la struttura di base della società è il complesso delle principali
istituzioni politiche di una società. In secondo luogo la concezione
politica è frutto di un ragionamento loso co, quindi è autonoma,
per cui la posizione originaria è ancora valida che ha la funzione di
facilitare il compito perchè non presuppone una grande virtù da
parte di chi si interroga su cosa sia giusto. È uno strumento che
consente di costruire questa concezione come una concezione
autonoma dalle verità rilevate. L’altra questione è che costruisce
questa idea di struttura di base in base a un linguaggio fatto di
termini dotati di signi cato, un linguaggio controllato.

Idea di società come equo sistema di cooperazione: si deve


distinguere la cooperazione dall’attività coordinata socialmente
perchè la cooperazione è guidata da regole e procedure che sono
pubblicamente riconosciute, che chi coopera considera buone
regolatrici della propria condotta. La cooperazione non può ridursi
al vantaggio razionale di ogni singolo partecipante, ci vuole un’idea
di giustizia interna.

La cooperazione sociale include equi termini di cooperazione, ma


chi li stabilisce questi termini? La teoria della giustizia come equità
riprende la dottrina del contratto sociale e risponde così: equi
termini di cooperazione sono il frutto di un accordo tra persone
impegnate nella cooperazione stessa e viste come libere ed eguali.

La funzione della posizione originaria in “liberalismo politico”: è un


arti cio espositivo, uno strumento didattico, che serve a
permettere di emulare la prestazione che individui perfettamente
dotati di un senso di giustizia, imparziali, farebbero. La posizione
originaria in questo caso è illustrativa, ci spiega come
opererebbero attori che hanno i loro interessi di parte ma non
sanno quali sono e che parte giocheranno. Questo fa sì che ci
siano 3 punti di vista riguardo gli equi termini di cooperazione e i
principi della struttura di base della società: il primo è quello delle
parti contraenti in posizione originaria, cosa farebbero attori che
non sanno quali sono i propri interessi. Poi c’è il punto di vista dei
cittadini, di una società ben ordinata, che approvano quella scelta.
E in ne il punto di vista che Rawls chiama “vostro e mio”, suo e
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degli autori che leggono il suo testo senza essere parte della
società ma essendo valutatori loso ci.

…..1 paragrafo cosa spiega

L’altro mattone costitutivo centrale è l’idea politica della persona.


La ragione guida deve guidare l’animo umano in Platone, mentre in
Hobbes è il contrario, i pensieri spiegano al grosso di un esercito
come interrompere le linee avversarie. La ri essione di Rawls del
linguaggio comune è che è inutile costruire un edi cio normativo su
cos’è una società giusta, distinzione di potere ecc… che poggia su
delle fondamenta così fragili, perchè se qualcuno contesta
l’antropologia platonica o hobbesiana crolla tutto. Quindi bisogna
trovare qualcosa di neutrale.

Concezione politica della persona e del cittadino: ci sono due


facoltà morali imputabili alla persona umana che sono più generali
delle disposizione etiche di Platone ecc… due capacità basiche
che sono lì qualunque sia l’orientamento politico e morale. Queste
sono: la capacità di concepire il bene e cambiare questa
concezione, e in secondo luogo il fatto che non sia lecito spingersi
oltre un certo limite per realizzare la concezione del bene che uno
ha, non bisogna intaccare gli altri. Queste persone in quanto
cittadini sono liberi, in quanto fonti autenticanti di indicazioni
valide. Ci si riconosce reciprocamente in una società l’autonomia di
porre e criticare rivendicazioni altrui. Essere liberi ed essere
partecipanti di una società , essere una persona libera vuol dire
essere riconosciuta come una fonte autenticante di validità. In
questa concezione politica i cittadini hanno un senso del limite, una
concezione del bene, e si riconoscono lo stato di fonti autenticante
di validità. Questa è la concezione politica della persona che va
bene per tutti.

La società ben ordinata è una società nella quale ognuno accetta e


sa che tutti gli altri accettano gli stessi principi di giustizia. È una
società in cui si converge su una concezione politica della giustizia
pur avendo una pluralità legittimissima di concezione del bene.
Una seconda condizione è che l’opinione pubblica sa che la sua
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struttura di base della società soddisfa questi principi, e i suoi
cittadini hanno un senso e cace della giustizia per cui
obbediscono alle istituzioni di base della società che considerano
giuste. C’è una credenza della giustezza di queste istituzioni.

Rawls ritorna sul punto del pluralismo ragionevole: le dottrine


ragionevoli sono un fatto della cultura pubblica di una democrazia,
non c’è democrazia se non c’è pluralità. E Rawls insiste sulla
distinzione tra pluralismo e pluralismo ragionevole.

Pluralismo ragionevole: è il frutto della libertà. In condizioni di


libertà ci si deve attendere pluralità. Vede l’uniformità come
qualcosa di sospetto, sospetto che ci sia una forza oppressiva
dall’alto che spinge la gente per paura o per desiderio di una
ricompensa, ad aderire. Questo di erenzia le culture politiche. Se
non c’è il pluralismo è meglio, ma se c’è si deve tollerare. Ci vuole
oppressione per non avere pluralismo.

Invece una concezione politica della giustizia è diversa in quanto è


quel denominatore comune inizialmente individuato attraverso
ri essione loso ca e poi validato da un consenso per intersezione
tra i cittadini. Se si è svolto bene il lavoro di derivazione loso ca di
un’idea di giustizia, alla ne ci sarà un consenso per intersezione
tra i cittadini con concezione del bene diversa ma che si
riconoscono in quella. C’è un’idea di concezione politica come
neutrale rispetto a questa pluralità, e l’unica diversità sta in questa
derivazione loso ca. Rawls ra na il concetto di società
puntualizzando che la società non è una comunità, un aggregato
umano dove si condivide un’idea del bene, e non è neanche
un’associazione con dei ni sociali che gli individui accettano o
meno. Si può dare, quindi, una prima de nizione di liberalismo
politico. È una dottrina loso ca che risponde in un certo modo alla
domanda fondamentale che chiunque si pone sulla giustizia,
ovvero che a nché la società possa essere un sistema equo di
cooperazione sembrano essere su cienti 3 condizioni: la struttura
di base della società deve essere regalata da una concezione
politica della giustizia. In secondo luogo che questa concezione
non sia una trovata, ma un punto focale per il consenso di
intersezione di cittadini veri che sottoscrivono dottrine ragionevoli.
In ultimo, quando sono in gioco elementi costituzionali essenziali o
problemi di giustizia fondamentale, la discussione pubblica sia
condotta nei termini della concezione politica della giustizia.
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Quando si discute di elementi essenziali, la discussione è ancorata
ad un metro comune. Ciò che contraddistingue una società ben
ordinata è il fatto che la discussione sia condotta nei termini della
concezione politica della giustizia.

Gli altri capitoli mettono a fuoco alcuni dei presupposti della


risposta che abbiamo visto con liberalismo politico: il primo punto
scottante è la storia del ragionevole, cioè come si fa a dire qual è la
concezione del bene ragionevole e quale no.

Cos’è la capacità di scegliere con giudizio nell’ambito etico:


Aristotele dice ciò che farebbe un personaggio prudente e
giudizioso. Rawls prende la stessa strada. Cos’è un attore politico
ragionevole? Le persone ragionevoli si distinguono per due qualità:
la prima è una capacità pratica in chiave cooperativa, ovvero
persone che tra eguali sono disposte a proporre principi e criteri
che fanno da equi termini di cooperazione e a rispettarli una volta
sicuri che anche gli altri faranno lo stesso. Sono disposti a essere
partecipanti in uno schema cooperativo, a fare la propria parte.
L’altra è una qualità che ha a che fare con le credenze. Questo
di erenzia gli attori ragionevoli da quelli razionali. Gli attori razionali
usano come metro dell’azione il valutare il loro vantaggio.

L’attore razionale ha un piano coerente i cui ni contribuiscano alla


scala gerarchica. Quello che manca agli attori razionali è quella
forma particolare di sensibilità morale che sottende il desiderio di
impegnarsi in un’equa considerazione. All’attore non interessa di
lacerare questa equa considerazione, non ha il senso del limite
dovuto alla ragionevolezza. Secondo Rawls, si può essere razionali
senza essere ragionevoli. Uno stato che agisce nell’interesse
razionale mettendo a rischio la sicurezza internazionale è un attore
razionale ma non ragionevole. Il ragionevole, inoltre, non è
derivabile dal razionale. Il secondo punto di distacco da “teoria
della giustizia” è questo, lì manca il concetto del ragionevole.

Il ragionevole e il razionale sono quindi complementari, non si può


costruire l’edi cio della società politica su uno solo di questi. Il
ragionevole è pubblico in un senso in cui, invece, il razionale non lo
è. Si deve sapere quali siano i termini di cooperazione. Il
ragionevole equivale al riconoscere gli oneri del giudizio, ovvero
credere a determinate cose e non solo riuscirsi a rapportare con gli
altri in un determinato modo.

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———— PRIMA MEZZ ORA 10 MARZO

Un altro fattore di di erenza che spiega il pluralismo, un quarto


fattore, è la circostanza che tutti questi pesi che si attribuiscono a
valutazioni e concetti del valutare le cose, è determinata
dall’esperienza di ciascuno, e ogni esperienza è ancorata a diversi
contesti storici. Altri due fattori hanno a che fare con considerazioni
più pratiche e morali, la prima è che esistono considerazioni
deontologiche che urtano contro considerazioni …….

Questi fattori ci spiegano la probabilità che se si pone una


domanda più complessa, il risultato naturale è la diversità di
opinioni. Per un attore politico essere ragionevole vuol dire anche
riconoscere l’operatività e l’esistenza di questi oneri del giudizio.
Ragionevolezza vuol dire riconoscere gli e etti di questi oneri del
giudizio, il contrario è irragionevolezza.

Il potere politico che formula e mette in pratica le leggi, e costringe


gli individui, deve essere legittimo. Deve rispondere a un criterio
che lo distingue dalla pura arbitrarietà del potere che obbliga gli
individui.

La formula che Rawls da al potere usato in modo legittimo, parla


attraverso ciò che non dice soprattutto. Risponde su due fronti:
l’autorità è legittima quando agisce in accordo con la volontà della
maggioranza, le autorità sono legittime quando sono in accordo
con testi sacri. Il consenso deve venire dai cittadini in quanto liberi
ed eguali, in contrapposizione ad accettare i principi costituzionali
non sulla base dei principi ma di altro. Una costituzione va
accettata nei suoi elementi essenziali perchè è giusta, non perchè
salva dalla rovina del con itto.

È irrealistico pensare che tutti gli individui si trovino d’accordo con


tutti gli atti democratici. Il consenso validante è un consenso su
tutti gli elementi principali della costituzione, ma non sul resto.

Il costituzionalismo dualista è la novità portata da Rawls. Questo si


trova nel principio liberale di legittimità. Dualismo nel senso che
separa 2 piani: il livello delle leggi, decreti, sentenze in cui non ci si
può aspettare il consenso e il livello degli elementi essenziali,
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fondanti della costituzione dove invece sì ci si deve aspettare il
consenso. Quindi dualista è riferito al principio liberale di legittimità.
Il consenso per intersezione: Rawls si di erenzia con questo
termine per distinguersi dall’idea di un consenso totalmente
uniforme, è un consenso per cittadini che abbracciano concezioni
del bene completamente diverse. Una matrice cattolica, una
marxista e una liberal democratica. I cittadini arrivano a questo
consenso nel senso che non hanno tutti la stessa concezione di
partenza. Questo consenso sugli elementi essenziali della
costituzione è trasversale rispetto alle diverse culture politiche. Il
consenso che ci si può attendere sulle strutture fondamentali di un
impianto costituzionale è un consenso che proviene da diverse
matrici culturali e si interseca. Il suo punto di contrasto è quello che
Rawls chiama “modus vivendi”, una tregua. Rawls fa un caso di 3
forme di liberalismo meta sico: immaginiamo che ci sia una
popolazione in cui una componente abbraccia l’idea lockiana,
secondo cui dio ha cerato gli uomini uguali senza dare a nessuno
l’autorità di forza un altro uomo a credere a qualcosa. Neanche un
principe può imporre le sue idee riguardo la salvezze. Un’altra è la
concezione kantiana per cui ogni essere umano ha una dignità che
poggia sulla capacità di decidere autonomamente. Una terza
concezione è quell’idea secondo cui gli antichi dei che popolavano
l’olimpo si sono trasformati in potenze dando modo di seguire culti
diversi, ognuno ha i suoi dei e non c’è composizione ma c’è lotta.
L’olimpo è fatto di valori, irriducibilmente plurale (pluralismo
meta sico). In questa società si può arrivare ad identi care una
concezione politica della giustizia, e dunque ciò su cui verte il
consenso per intersezione è una concezione politica della giustizia
che non è una politica ma è una piattaforma per l’azione che ha già
un contenuto morale. La giustizia come equità è il punto di incrocio
di queste 3 concezioni morali. Non è una politica ciò su cui c’è il
consenso, ma è la base di ogni politica. Viene abbracciato il punto
focale del senso di intersezione come principio, perchè è giusto e
non perchè conviene. Questo consenso su una concezione
trasversale rispetto alle più ricche concezioni di giustizie presenti
nella visione lockiana o kantiana, questo consenso sul nucleo
trasversale comune non è soggetto a modi carsi: i cittadini hanno
la loro idea di giustizia che convergono ai ni di vivere in una
società giusta e stabile. I due parametri di misura sono la
profondità e l’ampiezza: si potrebbe avere costituzioni che
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disciplinano una cosa e lasciano aperte altre parti. La speci cità
del consenso è quanto è speci ca e dettagliata la concezione della
giustizia che diventa oggetto del consenso.

Il consenso per intersezione de nisce il nucleo comune dalle


diverse idee del bene di giustizia che le persone hanno, e traccia
una linea rispetto all’utilizzo del potere coercitivo che se c’è società
politica indubbiamente opera. Questa idea ci dice che non c’è
utilizzo del potere coercitivo che sia legittimo se non quello che è
giusti cato da cose che sono nell’aria di intersezione. Il consenso
per intersezione mostra, quindi, n dove arriva la legittimità. Rawls,
inoltre, dice che il processo che porta alla materializzazione per il
consenso di intersezione non è istantaneo, è qualcosa che si
sedimenta. Si deve partire dal fatto del con itto, dall’assenza di un
qualunque accordo e il primo passaggio dopo la con ittualità
politica è quella modalità imperfetta del “modus vivendi”, quella
tregua che chiude le ostilità. Le parti in con itto si dispongono ad
accettare un compromesso. I cittadini imparano a tollerare
ciascuno la religione dell’altro. In qualunque luogo dove c’è un
con itto si può arrivare a una forma di tolleranza in cui si formano
delle istituzioni, e laddove queste istituzioni fanno il loro compito di
non privilegiare una parte su un’altra e di infondere ducia nel fatto
che la tolleranza possa stabilizzarsi come modo di vita, i cittadini
possono godere di una pace che vedono assicurati e spingersi ad
accettare i principi di queste istituzioni come più importanti delle
loro stesse convinzioni, che imparino ad aggiustare le convinzioni
di fondo per il bene comune. Quando succede questo emerge una
forma intermedia tra modus vivendi e consenso per intersezione: il
consenso costituzionale. La di erenza è che nel modus vivendi i
cittadini evitano il con itto.

Un sistema basato sul modus vivendi è instabile per due aspetti:


perchè poggia sul calcolo del vantaggio, può essere alterato dal
guadagnarsi un’invulnerabilità di tipo politico, se si è dentro un
modus vivendi si perde interesse nel con itto. La disponibilità alla
ragionevolezza si altera, viene meno, se la motivazione è quella del
modus vivendi. L’instabilità quindi viene da questo. Se invece la
base di un ordinamento è un consenso per intersezione, e non un
modus vivendi, si aderisce a quel patto per ragioni di principio,
perchè è giusto e non perchè conviene. Questi sono i due poli dello
stare insieme politicamente. In mezzo, come punto di passaggio,
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se le istituzioni funzionano bene non privilegiando nessuno allora
c’è un possibile passaggio a un consenso costituzionale. È un
consenso in cui si è già modi cata la motivazione non più per
convenienza ma per principio. Questo consenso è un gradino
intermedio di avvicinamento e già si è modi cata la disposizione.
Ma qual è la di erenza col consenso di intersezione? È nelle
dimensioni di estensione e speci cità del consenso. Si condividono
alcuni principi ma non tutte le conseguenze di questi. Consenso
costituzionale vuol dire che uno ha una convergenza sul principio e
un disaccordo ragionevole sulle implicazioni del principio.

Nel quadro del liberalismo politico il bene è il male: quanto meno ci


si preoccupa del bene, tanto meglio si sta, perchè si ha un’idea di
giustizia condivisa che da luogo a elementi costituzionali essenziali.
Questa è un’idea errata che mostra l’incomprensione di quella
doppia base di ogni impianto di società giusta. Per prima cosa si
deve spiegare il rapporto tra due fonti normative, in secondo luogo
si deve dire se esistono delle idee trasversali condivise (si,
esistono). Il rapporto tra bene e giusto si sintetizza nella formula
della priorità del giusto, “la giustizia traccia il con ne e il bene
indica il punto”. Il bene indica il punto, dice perchè si deve fare una
cosa e perchè si costruisce struttura politica. La giustizia traccia il
con ne oltre il quale non ci si può spingere per perseguire il bene a
cui si punta. Rawls cerca di ancorarsi a un quadro deontologico, la
giustizia viene prima del bene e è indipendente, è ciò che modera il
suo perseguimento, però contrariamente a Kant sostiene la priorità
del giusto ma dice che si hanno anche delle idee del bene
condivise, presupposte e inserite in qualche modo dentro l’idea di
società giusta. Queste idee del bene sono 5.

REGISTRAZIONE 23 MARZO

I valori politici sono valori di tutti e richiedibili a tutti. Alcune


costituzioni li esprimono, come ad esempio la costituzione
americana. Il contrario della ragione pubblica non è la ragione
privata, ma è la ragione non pubblica. Le ragioni non pubbliche
sono quelle forme di ragionamento che partono da presupposti
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parziali, come ad esempio le chiese o i partiti che operano dentro
lo spazio della ragione pubblica ma hanno anche ragioni non
pubbliche, dibattono al proprio interno delle ragioni che
condividono solamente loro. Quando si applica la ragione
pubblica? Si applica nel foto pubblico, dove ci sono istituzioni di
natura legislativa, esecutiva o giudiziaria che assumono decisioni
piccole o grandi che sono vincolanti per tutti i partecipanti. È una
ragione in un formato più ristretto. Lo spazio pubblico di una
società è diviso in due grandi ambiti che per Rawls sono: il foro
pubblico (insieme delle istituzioni di una società dove si prendono
decisioni, li deve operare la ragione pubblica) e una società civile
dove è operativa una cultura variegata, l’insieme delle concezioni
del bene e delle opinioni si in uenzano secondo forme di ragione
non pubblica. Quando si entra nel foro pubblico per prendere
queste decisioni si deve operare con la ragione pubblica. Questo
rappresenta un impoverimento delle risorse di pensiero e
espressive. La ragione pubblica di cui si è partecipi nelle sfere in
cui si opera, non deve essere vissuta come uno spogliarsi
dell’identità ma può diventare naturale. Si aprono due possibilità: la
concezione ristretta (nessuno può invocare una cosa che non è
parte della ragione pubblica), e la concezione ampia della ragione
pubblica in cui è consentito fare appello a ragioni non pubbliche in
qualunque momento purché alla ne, quando c’è la decisione che
fa scattare un obbligo, la motivazione sia di ragione pubblica. La
ragione pubblica ha come incarnazione costituzionale in una
società liberal democratica ben governata. Questo esemplare è
nella corte suprema o costituzionale, che hanno come funzione
quella di dare il giudizio sulla costituzionalità delle leggi. Queste
sono le incarnazioni della ragione pubblica. Rawls riassume la sua
visione della costituzione ben ordinata di un ordinamento liberal
democratico: in un orizzonte in cui metà dell’umanità pensa che la
democrazia sia la fonte di governo legittima, la domanda è come?
Esistono tante forme diverse di democrazia. Rawls spiega la corte
suprema come paradigma della ragione pubblica: comincia
riassumendo i principi fondamentali della costituzione. Questi
principi sono 5: il primo viene dai trattati di Locke ed è la
distinzione tra potere di istituire un nuovo regime (che appartiene
al popolo) e il potere ordinario, non costituzionale, esercitato nella
politica quotidiana che appartiene ai pubblici funzionari. Il potere
costituente del popolo regola il potere ordinario e entra in gioco
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solo quando il regime si è dissolto. Il potere più alto è quello del
popolo. Mentre il potere costituito dei funzionari è limitato dal
quadro tracciato dal potere costituente, il potere costituente è per
alcuni loso illimitato ma in Locke non lo è. Esistono leggi e diritti
naturali che il popolo non può infrangere. Il secondo principio è la
distinzione tra legge suprema e legge ordinaria, che deve essere in
accordo con la costituzione per valere. Il terzo principio dice che
una costituzione democratica è un’espressione conforme a principi
dell’ideale politico di un popolo per governarsi in un certo modo, la
ragione pubblica deve articolare questo ideale. La costituzione da
questo punto di vista è l’espressione dell’ideale politico di un
popolo di governarsi in un certo modo, ripudiando la guerra,
riconoscendo i diritti inviolabili della persona e altri principi
fondamentali. Il popolo e l’elettorato hanno entrambi una volontà. Il
quinto principio che è fondamentale per capire le di erenze tra le
diverse visioni della democrazia, dice che nel governo
costituzionale il potere ultimo non può essere lasciato al legislativo
o a una corte suprema, ma è detenuto dai 3 rami del governo che
hanno tra loro una relazione e sono responsabili singolarmente
davanti al popolo. Rawls vuole evitare l’esito di una supremazia
parlamentare. Dall’altro lato anche la supremazia dei giudici è un
problema perchè pone l’attività legislativa sotto una barriera che
non può essere sorpassata. La risposta di Rawls a chi decide in
un’ultima istanza è quella di togliere l’ultima istanza. La
costituzione può cambiare con i dovuti meccanismi previsti. La
forma repubblicana non può essere oggetto di revisione
costituzionale.
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