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LA FILOSOFIA POLITICA

Hobbes
L’analisi delle passioni e del comportamento, per Hobbes, è antecedente alla teoria politica e viene
condotta con metodo deduttivo. Se nello studio della natura occorre procedere per via ipotetica, nello
studio dell’uomo e della società i principi sono noti e la conoscenza è dimostrativa. ANALISI DEDUTTIVA
DELLE PASSIONI presentata più volte da Hobbes: Leviatano, De Homine, Elementi della legge naturale e
politica.

L’ANTROPOLOGIA
La spiegazione delle passioni muove dal “MOVIMENTO VITALE”, un principio elementare che ogni essere
tende a conservare e a espandere. Tutto ciò che favorisce l’incremento del movimento vitale provoca una
reazione di piacere, attraverso un meccanismo in cui non interviene la volontà. Invece, tutto ciò che lo
ostacola, provoca dolore. Dal piacere e dal dolore derivano l’amore o l’odio. “Buono” e “Cattivo” non sono
proprietà delle cose o delle azioni, ma reazioni delle singole persone, ovvero nozioni soggettive. Queste
nozioni non sono quindi comuni a tutti nello stato di natura: sarà il potere a determinare, mediante la
fissazione di leggi positive, ciò che è bene o male. Non esiste dunque una morale originaria. Da queste
reazioni, per Hobbes, derivano tutte le altre, attraverso una loro specificazione, lavorando con metodo
deduttivo. Hobbes propone una spiegazione delle singole passioni, derivandole da quelle principali e
differenziandole in base a criteri stabiliti. CONCLUSIONI: il comportamento umano è quindi studiabile
scientificamente ed è prevedibile, non può dunque essere modificato dalla volontà individuale. Per Hobbes
l’uomo non è libero di volere o non volere; come ogni evento, anche gli atti volontari dell’uomo sono
determinati da una serie di cause. DETERMINISMOdefinendo la libertà come ASSENZA DI COSTRIZIONI
ESTERNE.

NATURA E RAGIONE
L’uomo è mosso ad agire dal desiderio o dall’avversione: mira ad impadronirsi di ciò che è oggetto del suo
desiderio e tende a rifuggire da ciò che suscita la sua avversione. La tendenza naturale a soddisfare i propri
desideri mette ogni uomo in competizione con gli altri uomini: ognuno è in lotta perenne contro tutti gli
altri.Hobbes giunge alla teoria dell’assolutismo. Nello stato di natura l’uomo ha il diritto di fare tutto ciò
che rientra nelle sue possibilità per preservare la propria vita. Ma in uno stato di guerra tutti contro tutti la
vita non è garantita e non è possibile produrre nulla di duraturo. Non è dunque possibile lo sviluppo della
civiltà, perchè tutte le energie di ogni individuo sono impegnate nella lotta per la sopravvivenza e non è
possibile nessuna forma di collaborazione. “L’UOMO E’ LUPO PER L’ALTRO UOMO”homo homini lupus.
Nello stato di natura non esistono diritti (neanche quello di proprietà). La condizione dello stato di natura è
caratterizzata da un unico diritto: IL DIRITTO DI OGNUNO SU TUTTIcondizione di insicurezza e infelicità.
Per superare questa condizione occorre cercare la pace, ovvero la legge fondamentale della natura, da cui
derivano altre leggi. Definite “leggi di natura”, esse sono 3:

1- EVITARE IL CONFLITTO PERMANENTE CHE METTEREBBE A RISCHIO LA SOPRAVVIVENZA DI OGNUNO


2- RINUNCIARE AL PROPRIO DIRITTO SU TUTTO PER CERCARE LA PACE
3- MANTENIMENTO DEI PATTI

Hobbes contesta la teoria del giusnaturalismo (i diritti naturali sono inalienabili). La rinuncia che fonda il
patto sociale deve riguardare tutti i diritti, con una sola eccezione: la conservazione di sé.
IL PATTO SOCIALE
Lo stato è creato dagli uomini ma, una volta costruito non tollera nessuna opposizione. Hobbes intende
fondare il discorso relativo allo Stato, che nasce per necessità. Nel rinunciare al proprio diritto su tutto,
ciascuno vuole avere la sicurezza che la stessa rinuncia sia fatta da ogni altro. Questa garanzia è resa
possibile da un patto, e qualcuno deve avere il potere d’imporre il rispetto. Il patto prevede la rinuncia di
ognuno a ogni diritto e si basa sulla reciprocità fra i contraenti, ma non impegna il sovrano, che rimane al di
sopra di esso e non ne è vincolato. Hobbes teorizza e giustifica la monarchia assoluta, in quanto il re è
superiore alla legge. IL SOVRANO RAPPRESENTA LO STATO E I SUDDITI GLI DEVONO OBBEDIENZA
ASSOLUTA. CARATTERE TOTALITARIOIl patto non implica solo un rispetto del potere, ma anche
l’immedesimazione in esso. Si costituisce una volontà collettiva che comprende quella di ognuno, e ad essa
si sostituisce. OGNI INDIVIDUO DOVREBBE IDENTIFICARSI TOTALMENTE CON IL POTERE, CONSIDERARLO
COME L’ESPRESSIONE DELLA PROPRIA PERSONA. Lo Stato fa di una moltitudine un popolo, conferendo una
volontà comune a un insieme di individui.

LO STATO
Il potere dello stato deve essere privo di limitazioni, per essere efficace e garantire la sicurezza ai sudditi.
Nessuno può avere diritti che lo Stato sia tenuto a rispettare; quest’ultimo può disporre liberamente delle
forze e ricchezze di tutti. Infatti, costituendo lo Stato, gli uomini hanno accettato dei vincoli, rinunciando
alla propria libertà in tutti quegli ambiti in cui si riconosce che debba intervenire il sovrano, emanando
leggi. Hobbes esclude divisioni dei poteri, in quanto tutti i poteri devono fare capo a una persona, in modo
che non sorgano contrasti. Per lo stesso motivo, non può esistere, all’interno di uno Stato, un diritto privato
indipendente dal potere politico. Per Hobbes, LA SOCIETA’ NON HA, NELLA SUA CONCEZIONE, NESSUNO
SPAZIO DI ESISTENZA AUTONOMA. Il sovrano ha dei compiti da rispettare:

1- CONSERVARE INTEGRI I DIRITTI DI SOVRANITA’, in quanto l’unica alternativa sarebbe la guerra di


tutti contro tutti
2- ISTRUIRE IL POPOLOEDUCATO AD OBBEDIRE

La conservazione dello Stato è minacciata da molte infermità. La prima nei casi in cui uno Stato si
costituisca con poteri insufficienti. Lo Stato assoluto infatti non tollera poteri autonomi e privilegi al proprio
interno (HOBBES ERA CONTRO AL FEUDALESIMO). Tutti i sudditi sono uguali tra loro e la legge è
espressione unicamente dello Stato. La monarchia assoluta ha consentito il superamento delle istituzioni e
delle strutture medievali.

LA RELIGIONE
Hobbes distingue nettamente il credere dal sapere. La religione non può avere un fondamento razionale, in
quanto trova origine nell’uomo a causa della sua tendenza di cercare le cause degli eventi fino alla causa
prima. Ignorando le cause di ciò che accade, l’uomo guarda con ansietà al futuro e immagina cause
invisibili. Dunque la religione ha origine dal timore e dall’ignoranza delle cause, ma viene utilizzata a fini
politici (PUO’ PORTARE BENEFICI, SENTIMENTO DI OBBEDIENZA). Molti credevano che Hobbes fosse ateo,
ma non lo eraCAUSA: spiegazione del materialismo, che rendeva difficile conciliare la nozione di Dio con
l’affermazione dell’immortalità dell’anima. Secondo Hobbes, tutto è corpo e nell’universo non esistono
altro che corpi. Da ciò conseguirebbe la corporeità di Dio: un corpo però è soggetto a vari accidenti.
SOLUZIONE: l’uomo non può conoscere ne comprendere la natura di Dio: può dire che è, ma non come è.
Inoltre Hobbes sosteneva l’indivisibilità dei poteri: Hobbes polemizza contro ogni ipotesi di distinzione del
potere religioso dal potere civile (CHIESA ANGLICANA). Per Hobbes non è possibile nemmeno una divisione
all’interno della coscienza, per cui l’essere cristiano e l’essere cittadino devono implicarsi l’un l’altro.
RELIGIONE COME SUBORDINATA DELLO STATO.
Locke
Gli scritti poetici e religiosi di Locke sono strettamente legati all’attualità storica. Ne “I Due Trattati” egli
critica l’assolutismo e afferma una monarchia costituzionale (GLORIOSA RIVOLUZIONE). Il secondo
trattato e La Lettera costituiscono una definizione organica del liberalismo, destinata a costruire un punto di
riferimento essenziale per l’Illuminismo settecentesco e per il pensiero politico liberale dell’Ottocento.
Questa concezione si basa attorno a dei principi:

1- ESISTENZA DI DIRITTI NATURALI (GIUSNATURALISMO)conservazione della propria esistenza,


libertà, proprietà privata;
2- SOVRANITA’ POPOLARE, contro affermazione della sovranità per diritto divino;
3- COSTITUZIONE, intesa come patto che impegna anche i governanti;
4- DIVISIONE DEI POTERI, in modo da evitare sviluppi assolutistici.

I due trattati vengono presentati da Locke come una fondazione sul piano teorico del nuovo sistema
politico e una giustificazione della rivoluzione da poco conclusa. Dopo aver affermato e dimostrato che il
potere appartiene all’insieme dei cittadini, Locke si propone di delinearne la natura e l’origine. L’analisi di
Locke muove dalla fondazione, a partire dallo stato di natura come condizione anteriore allo stato civile.
Secondo Locke, lo stato di natura non è ancora politico, ma è già sociale: sono appunto già presenti leggi,
derivanti dalla natura stessa dell’uomo in quanto essere razionale. Le leggi di natura sono perciò dettate
dalla ragione. Locke considera propri dello stato di natura alcuni diritti fondamentali: LA CONSERVAZIONE
DELLA VITA, LA LIBERTA’ E LA PROPRIETA’ PRIVATA. Il potere politico ha il carattere di una convenzione
limitata ad assicurare il rispetto della legge di natura e finalizzato a impedire violazioni che condurrebbero a
uno stato di guerra. Locke non esclude l’esistenza di contrasti, afferma che non sono inevitabili e possono
essere regolati sulla base dello stesso diritto naturale. PROPRIETA’: La ragione dimostra che ognuno ha
diritto alla propria conservazione, dunque a usare ciò che è a tal fine necessario. Per Locke, la proprietà
privata è un diritto naturale, dipende strettamente dall’esercizio del lavoro per garantirsi la sopravvivenza.
(DEVE PRECEDERE IL PATTO CHE ISTITUISCE LA SOCIETA’ E TROVARE LA PROPRIA LEGITTIMAZIONE SOLO
NELLA RAGIONE). Infatti, chi modifica qualcosa con il proprio lavoro vi mette qualcosa di proprio stabilendo
una relazione con la propria persona. L’atto che legittima la proprietà è il lavoro dell’individuo, che toglie la
cosa dalla sua condizione naturale. Il diritto di proprietà presuppone l’abbondanza di risorse, in modo che
non si traduca in una privazione per altri, e l’utilizzazione delle stesse da parte del proprietario per
soddisfare i propri bisogni. Vi sono altre forme di proprietà che fondano la propria legittimazione sul patto
sociale (qui lo Stato può intervenire con regolamentazioni e limiti stabiliti per legge. LA TERRA POSSEDUTA
MA NON COLTIVATA, O QUELLA DELLA QUALE NON SI UTILIZZINO I FRUTTI, NON E’ PROPRIETA’
INALIENABILE. La proprietà privata si traduce in vantaggio pubblico, perché la terra coltivata non garantisce
soltanto il benessere del proprietario, ma aumenta la ricchezza comune. Il lavoro è per Locke l’origine della
ricchezza sociale e della proprietà comune. Il lavoro produce il valore della cosa. LIBERALISMO POLITICO E
LIBERISMO ECONOMICO TROVANO IN LOCKE LA LORO SALDATURA.

LA SOCIETA’ CIVILE E LO STATO


Il fondamento del diritto è costituito dalla ragione dell’uomo e non dal patto che istituisce lo Stato. Locke
non considera lo stato come costitutivo della vita associata, ma ritiene che l’organizzazione sociale sia il
fondamento dello stato. Gli individui, forniti di diritti fondati sulla ragione, si associano liberamente,
stabilendo un insieme di relazioni sociali ed economiche che costituiscono la società civile. L’uomo è spinto
dalla sua stessa natura ad associarsi, prima nella famiglia, società civile e politica. La famiglia costituisce il
nucleo elementare della società ed è basata sull’aiuto reciproco. I rapporti che compongono la società civile
sono contratti volontari tra individui e che possono sussistere prima di un’organizzazione complessiva della
comunità e indipendentemente da essa. L’organizzazione statale giunge per garantire il pacifico
svolgimento della dinamica sociale già esistente. Lo stato non modifica la condizione naturale, ma ha il fine
di conservarla, e il suo fondamento è dunque la società civile. Locke sosteneva la divisione dei 3 poteri:
LEGISLATIVO, ESECUTIVO, FEDERAL (politica estera). Fra i poteri, il più importante è il potere legislativo,
esercitato dal parlamento, che trae la propria autorità dalla comunità che lo ha eletto e deve rispondere
solo ad essa. Esso è uno strumento per realizzare il godimento pacifico delle “proprietà”, termine nel quale
egli include, oltre ai beni, la libertà e la conservazione di sé. Esso deve sottostare a una serie di vincoli: non
possono essere emanate leggi arbitrarie, né tali da minacciare la sicurezza dei cittadini. Nessuna legge può
mettere in discussione il diritto di proprietà. Tra i diritti naturali cui tutela lo Stato vi è il diritto del popolo i
destituire i rappresentanti. La sovranità appartiene sempre al popolo, e parlamento e governo sono suoi
semplici rappresentanti. Se questi organismi non agiscono per il bene comune, il popolo può affidare il
potere ad altri, come era avvenuto in occasione della gloriosa rivoluzione.

LA TOLLERANZA
L’affermazione dell’indipendenza della sfera personale dal potere dello Stato costituisce il nucleo della
teorizzazione del liberalismo. Essa implica l’esistenza di diritti naturali che il potere non può in alcun modo
violare. Vi sono la libertà di coscienza in tema di religione e la libertà di culto. Locke aveva sostenuto che la
fede è un fatto di coscienza, indipendente dal potere pubblico. Lo Stato può legiferare su tale materia solo
quando la religione assume rilievo pubblico. Da un lato egli sostiene la libertà di pensiero e di culto come
diritti primari di ogni singolo cittadino; dall’altro afferma la distinzione tra le funzioni e l’ambito della Chiesa
e dello Stato, con una netta separazione di ruoli. La fede e le leggi dello Stato appartengono ad ambiti
completamente distinti, perché la prima richiede un’adesione interiore, basata sul sentimento, che nessuna
legge, pur giusta, può pretendere. La fede deve essere una scelta interiore, affidata alla conoscenza del
singolo. Lo Stato non può imporre la fede neppure con il pretesto di salvare l’anima dei cittadini, in quanto
solo se si crede veramente e non per imposizione si può meritare la grazia divina. La salvezza è una
questione individuale. Lo Stato costituisce un’associazione obbligatoria che deve garantire a ognuno gli
stessi diritti; la Chiesa è un’associazione obbligatoria che può darsi da sola le proprie leggi, purché non
contrastino con quelle dello Stato e non debbano essere imposte con la forza ai propri membri. I ruoli
dell’individuo in quanto cittadino e in quanto fedele sono distinti. L’appartenenza a una Chiesa non deve
essere motivo né di restrizione dei diritti, né di privilegio. In quanto credente, ognuno è padrone di sé e
della propria coscienza. La tolleranza ha dei limiti: vanno represse le religioni che professano dogmi contrari
alla società e quelle che riservano ai propri adepti il diritto di violare le leggi civili. Locke condanna i cattolici
e gli atei.

LA RAGIONEVOLEZZA DEL CRISTIANESIMO


Locke spogliò il cristianesimo dagli apparati dogmatici elaborati nel corso della storia dalle varie confessioni.
L’unico articolo di fede essenziale per la salvezza è credere che Cristo fosse il Messia. Il Vangelo è stato
predicato ai poveri dunque il suo carattere è pratico. La predicazione morale di Cristo è l’aspetto principale
del Vangelo e questa morale coincide con i dettami dell’etica della ragione. ANTICIPAZIONE DEISMO,
DICHIARAZIONE ANTIDOGMATISMO.

Rousseau
Rousseau si colloca nel momento di massimo sviluppo e insieme di superamento dell’Illuminismo: egli
afferma i diritti del sentimento, della sensibilità, delle passioni, accanto i diritti della ragione stessa. Il
rapporto di Rousseau con l’Illuminismo non può essere considerato soltanto di avversione. Il suo successo è
legato alla sua partecipazione alla vita sociale del tempo, al suo modo affascinante di scrivere e di parlare,
alla creazione di scenari intellettuali e pedagogici che influenzarono notevolmente la cultura. Pur
rimanendo inserito per molti aspetti all’Illuminismo, egli prelude il romanticismo.
I DISCORSI E LA CRITICA ALL’ILLUMINISMO

(CONTRO IL MITO DEL PROGRESSO)

Il discorso sulle scienze e sulle artiRousseau propone una critica negativa delle artiche deve però
costituire il punto d’avvio di un nuovo sviluppo. La tesi di Rousseau è che sussista una stretta correlazione
tra sviluppo delle arti e decadenza morale. Le arti e le scienze nascono solo come un modo per soddisfare le
esigenze dei vizi umani; ma esse alimentano gli stessi vizi e contribuiscono a creare falsi bisogni. Ne
scaturisce un processo inarrestabile di incremento dei vizi e del sapere. L’analisi si sviluppa secondo due
direzioni: l’esame dell’origine storica delle arti e la considerazione del loro rapporto con i vizi attuali. La
morale stessa nasce dalla pretesa degli uomini di stabilire da sé i principi del bene e del male.
Relativamente alla seconda direzione, Rousseau sottolinea che anche attualmente le arti hanno bisogno di
vizi per perpetuarsi. La conclusione contrappone conoscenza e morale, sottolineando che la prima non
sarebbe necessaria se l’uomo potesse seguire la natura e il proprio sentimento, se cioè lo sviluppo stesso
della civiltà non ostacolasse il naturale comportamento morale degli uomini.

(L’ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA)

Nel Discorso sull’origine della disuguaglianza Rousseau ripercorre le tappe dello sviluppo dell’uomo, dallo
stato di natura alla civiltà. La prima forma di unione è la famiglia, prodotta dall’affetto. Le famiglie si
uniscono fino a costruire gruppi più numerosi, tenuti insieme da sentimenti reciproci: non si tratta di uno
stato originario ma di uno stato intermedio. Esse risultano già organizzate socialmente ma vivono in
armonia e in equilibrio con la natura, senza volerla dominare e modificare. La “condizione del buon
selvaggio” suona come una critica alla superiorità dell’uomo occidentale proclamata dall’Illuminismo e
all’esaltazione della scienza e della tecnica per il dominio sulla natura. La condizione dell’uomo “primitivo”
è quella più consona alla natura umana. Il legame tra gli uomini sussiste ed è importante, ma non è una
dipendenza, perché ognuno è in grado di provvedere ai propri bisogni. Il punto di rottura di questo stato
naturale è da collocare nella nascita di attività economiche che implicano la suddivisione del lavoro, da cui
derivano la perdita dell’indipendenza individuale, la nascita della stratificazione sociale e soprattutto
l’istituzione della proprietà privata. La condanna della proprietà privata è la causa prima della
disuguaglianza tra uomini. L’istituzione della proprietà privata non è considerata da Rousseau come
originaria e non è un diritto naturale. Essa deriva dalla divisione del lavoro e dal propagarsi di mezzi
produttivi che hanno consentito l’accumulo di beni. La proprietà privata nasce con l’agricoltura.
L’estensione della proprietà all’inizio è proporzionata al lavoro, ma ben presto viene accumulata e si creano
differenze sociali. Esse costituiscono una nuova realtà oggettiva alla quale l’uomo deve adattarsi. I diritti
naturali richiederebbero una suddivisione ugualitaria delle risorse e, secondo Rousseau, non vengono
garantiti ma soffocati dal diritto positivo. I più forti, dopo aver usurpato i beni comuni, sacralizzano con un
patto la situazione esistente, cioè i loro privilegi, facendo credere agli altri di garantire la sicurezza e la
giustizia. Questo patto è all’origine della concezione liberale. Il diritto e lo Stato vengono istituiti dai
privilegiati per garantirsi contro il tentativo da parte dei più di ristabilire il diritto naturale. Da questo patto
ha inizio la concezione della proprietà privata come diritto naturale.

IL CONTRATTO SOCIALE


Rousseau è considerato il primo teorico della democrazia. Nel Contratto Sociale prospetta la costruzione di
una società solidale che consenta la conservazione dei principi che guidano l’uomo nello stato di natura.
L’uomo nasce libero e diventa schiavo nella società. Il nuovo contratto sociale deve invece garantire la
conservazione della libertà e dei diritti naturali. La libertà è parte della natura umana, tanto che non solo
essa non può esserle sottratta da un sovrano, ma non può essere alienata neppure dall’individuo stesso. Un
tale atto sarebbe illegittimo. Rousseau sosteneva che la natura sociale dell’uomo è il principale risultato del
patto. Solo attraverso il patto si determina una SOCIETA’ e un POPOLO. Uomo
naturalepattosocietàpopolodiritto e Stato. Il popolo è una realtà che si costituisce in seguito al
patto, MA E’ ANTERIORE ALLO STATO E AL POTERE. La conseguenza più importante di questa impostazione
è che il popolo stesso è il depositario del potere. Per Rousseau la sovranità popolare rimane il fondamento
ultimo dello Stato

(LA VOLONTA’ GENERALE E LA NOZIONE DI POPOLO)


L’associazione crea una nuova realtà collettiva: questa è il “popolo”, entità unitaria dotata di una propria
individualità e volontà, e non semplice aggregazione di individui. Con il costruirsi della volontà generale
sorge una realtà collettiva che ha una propria identità. Essa è formata materialmente dagli individui che la
compongono, ma è distinta da ogni individuo particolare. Alla volontà generale è associata la nozione di
“popolo”. Il patto stabilisce un modo comune di sentire e di volere. La volontà generale è per tutti un
obbligo in quanto ci si può dire cittadini solo se si è soggetti ad essa, ma allo stesso tempo, è l’unica fonte di
libertà poiché proprio con il passaggio da stato di natura a quello associato l’uomo acquista insieme una
personalità giuridica e morale. Rousseau distingue tra VOLONTA’ GENERALE e VOLONTA’ DI TUTTI. La
volontà generale riguarda le associazioni parziali all’interno della società. Per Rousseau il patto sociale
esprime, nella volontà generale, un sentire comune dei cittadini e quindi l’associazione crea una comune
visione della vita. Essa forma la moralità dei singoli. Al rapporto fra patto sociale e diritto, Rousseau
aggiunge quello tra volontà generale e etica.

(I PRINCIPI DELLO STATO)


La sovranità appartiene in permanenza al popolo, e nessun rappresentante può esprimerla. Può essere
eseguita dai rappresentanti, ma mai stabilita da loro. Il popolo deve sempre esercitare direttamente il
potere legislativo. Può delegare il potere esecutivo per motivi pratici, ma resta sempre il depositario.
Rousseau si contrappone alla divisione dei poteri. Egli sostiene che la formazione dello Stato muta la natura
stessa dei cittadini. L’unione teorizzata da Rousseau genera prima un popolo e poi uno Stato. Lo Stato è
infatti espressione istituzionale del popolo. Lo Stato è dunque un’individualità collettiva. Rousseau sostiene
che lo stato non deve essere di grandi dimensioni per la necessità di una sovranità popolare diretta in
ambito legislativo. (MODELLO: Ginevraunione di piccoli stati, che consente la partecipazione diretta dei
cittadini). L’impegno politico diretto ha anche una valenza morale in quanto sollecita gli individui a
conoscere e a fare propri i problemi della collettività. Uno Stato basato su competizione tra individui può
generare solo egoismo; uno Stato fondato sulla nozione di popolo, stabilisce un fondamento etico che
forma la personalità di ogni individuo. Statofunzione pedagogica.

LA NATURA COME PARADIGMA: L’EMILIO


L’Emilio è un trattato pedagogico che ha avuto molta importanza. Vengono affermati i principi
dell’educazione naturale, autonomia, specificità dell’infanzia, dell’educazione attraverso l’esperienza,
dell’apprendimento come ricerca e scoperta personale. Al tempo stesso è l’esposizione di una precisa
posizione filosofica. Lo Stato del Contratto Sociale è uno STATO EDUCATORE, ha il compito di formare i
cittadini. L’Emilio delinea invece un progetto di uomo in cui sono esaltate l’autosufficienza e la libertà. Il
punto di unione tra esaltazione dell’individualità consapevole e il riconoscimento di un’identità comune è
costituito dal concetto di natura. Una volta che l’uomo sia uscito dallo stato di natura, non è più possibile
rinunciare alla sua formazione come essere sociale perché la società ha ormai costruito un uomo diverso.
Lo stato di natura è piuttosto un modello, costituito da un insieme di caratteristiche che occorre assumere
come punto di riferimento nella formazione dell’uomo e dello Stato: esse possono essere individuate e
perseguitate anche senza tornare alla vita dei boschi.
(LA NATURA COME CRITERIO EDUCATIVO PREVALENTE)
L’educazione è considerata da Rousseau come formazione dell’uomo in generale. La natura in questo caso
viene intesa in una nuova accezione, cioè come l’insieme delle disposizioni che l’uomo possiede dalla
nascita e che ne guidano lo sviluppo. Lo sviluppo naturale rappresenta un modello positivo, in quanto è la
natura stessa che detta le fasi dello sviluppo. Il rapporto con le cose inizialmente è immediato e fondato
soltanto sulle reazioni organiche di piacere o dolore, poi sull’accordo tra noi e le cose, infine sulla
corrispondenza delle cose con fini razionali. L’uomo realizzerebbe se stesso se potesse seguire le proprie
disposizioni naturali, ma nella condizione artificiale della civiltà ciò non è possibile. L’uomo sociale e civile
sono in contrapposizione. 3 distinti modelli di uomo:

1- UOMO NATURALE inadatto a una vita associata;


2- UOMO CIVILE un tassello di una realtà generale in cui non si riconosce;
3- CITTADINO conserva o ha recuperato quel senso di sé e dell’individualità caratteristico dello stato
naturale, ma si sente anche uno con il proprio popolo. (QUESTO E’ IL MODELLO A CUI L’UOMO
DEVE TENDERE, CHE RAPPRESENTA LA NATURALITA’ NELLA VITA ASSOCIATA).

In questa prospettiva, l’educazione non ha l’intento di formare individui in funzione di un ruolo che
dovranno rivestire nella società, soprattutto perché si produrrebbe un UOMO PARZIALE, in perenne
conflitto con la propria naturalità. Si tratta invece di formare ’n'individualità completa e autosufficiente, che
non dipenda dagli altri, ma che sia in grado di stabilire con gli altri un’intesa profonda ed effettiva.
DIFFERENZA TRA STATO DI NATURA E SOCIETA’: DIVISIONE DEL LAVORO. Anche in questo caso la natura
funge da criterio e non da fine: occorre riproporre in un contesto civilizzato la formazione dell’uomo, e non
di un individuo adatto solo a svolgere determinati compiti sociali. Egli ritiene fondamentale l’armonia con
se stessi e con la natura. L’indipendenza e la felicità dell’uomo dipendono dalla possibilità di soddisfare da
sé i propri bisogni; la civiltà è negativa perché crea bisogni innaturali. L’uomo può affermare la propria
libertà recuperando la naturalità nel contesto civile, conoscendo se stessi e limitando i propri bisogni a
quelli che siamo in grado di soddisfare da soli. La libertà riguarda prima di tutto l’individuo, la formazione
della personalità. Spesso però l’educazione è l’ostacolo maggiore, e l’Emilio rappresenta un progetto di
educazione alla libertà. La libertà per Rousseau è un valore fondamentale anche nella società, è intesa
come una completa indipendenza dagli altri. Solo l’uomo libero può essere un buon cittadino , perché il
rapporto con gli altri dipende da un sentimento comune. Emilio deve imparare un mestiere per dare il
proprio contributo alla società prima ancora che ricavarne un guadagno. LAVOROOgnuno restituisce alla
società ciò che ha ricevuto in termini di sicurezza

(LA RELIGIONE NATURALE: IL VICARIO SAVOIARDO)


Emilio condannato dal parlamento di Parigi, dalla Chiesa cattolica e dal concistoro ginevrino a causa di una
parte specifica dell’opera: LA PROFESSIONE DI FEDE DEL VICARIO SAVOIARDO.

Emilio, 16 anni, si presenta la problematica religiosa, Rousseau racconta all’allievo la propria esperienza (tra
cui l’incontro con il vicario).

Esordio del vicario, fa riferimento a una religiosità sentita col cuore. L’appello al cuore e al sentimento
anticipa motivi romantici e allontana Rousseau dall’Illuminismo. ARGOMENTAZIONI PROPOSTE DAL
VICARIO: DEISMO.

- Dio come causa prima, per spiegare l’origine dell’universo


- Dio come causa intelligente, per spiegare l’accordo tra le parti e le razionalità del tutto secondo la
metafora dell’universo come meccanismo perfetto che presuppone un artefice.

Questi sono argomenti per dare ragione del sentimento interiore che sorge dalla contemplazione
dell’ordine della natura.

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