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FICHTE 1762-1814

Vita
Fichte nacque a Rammenau, in Sassonia, nel 1762 da una famiglia poverissima. I suoi studi furono
finanziati da un nobiluomo locale, il barone von Miltitz, Fichte poté, dunque, iscriversi alla scuola
reale di Pforta. Successivamente studiò teologia a Jena e a Lipsia. Perdendo gli aiuti finanziari del
barone (che era deceduto) iniziò a lavorare come precettore in case private in Germania e a Zurigo,
qui conobbe sua moglie, Johanna. Ritornando a Lipsia, entrò per la prima volta in contatto con il
pensiero filosofico di Kant e si decise a portare avanti il suo studio. Divenne professore
all’Università di Jena. Qualche anno dopo un suo libro colpì talmente Kant, che quest’ultimo decise
di farlo pubblicare da un suo editore in forma anonima; molti erano convinti che il libro fosse opera
di Kant. Il suo nome, però, verrà svelato. In breve tempo, Fichte diventò il soggetto della “polemica
sull’ateismo”. L’università di Jena invitò Fichte a dare le dimissioni. Fichte decise, dunque, di
recarsi a Berlino, diventando professore e rettore di una delle più prestigiose università della
Germania. Morì nel 1814 a causa di una malattia contratta dalla moglie mentre curava i sodati feriti
negli ospedali.

Scritti
Fra le sue opere più importanti ricordiamo:
- Fondamento dell’intera dottrina della scienza “Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre”
- La missione dell’uomo
- Lezioni sulla missione del dotto

Idealismo romantico
La parola “idealismo” presenta diverse sfaccettature di significati. L’idealismo romantico indica la
grande corrente filosofica post-kantiana che si sviluppò in Germania. Fichte e Schelling, i fondatori
dell’idealismo, connotarono questa corrente attraverso tre attributi:
- trascendente: che tende a collegarlo con il punto di vista kantiano
- soggettivo: tende a contrapporlo al punto di vista di Spinoza (Sostanza intesa come oggetto)
- assoluto: l’io, o lo spirito, è il principio unico di tutto e che fuori di esso non c’è nulla

La dottrina della scienza


Kant aveva riconosciuto nell’io penso il principio supremo di tutta la conoscenza, ma l’aveva
limitato la sua attività ad un’intuizione sensibile. Fichte riconosce l’infinità dell’io, siccome esso è
l’unico principio materiale e formale del conoscere. L’io, oltre ad essere infinito, non è limitato in
alcun modo, poiché gode di assoluta libertà.

I principi della dottrina della scienza


Lo scopo del “Fondamento dell’intera dottrina della scienza” è quello di trovare un sapere che metta
in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza. Questo principio coincide con l’Io o
l’autocoscienza.
Come facciamo a dire che qualcosa esiste? Io posso dire avere conoscenza di un oggetto qualsiasi
solo in quanto ho nello stesso tempo coscienza di me stesso (= autocoscienza).
La deduzione assoluta o metafisica di Fichte fa derivare dall’Io sia il soggetto, sia l’oggetto del
conoscere.

L’Io non è posto da altri, ma si pone da sé. Infatti, la caratteristica dell’Io consiste
nell’autocreazione (libertà caratteristica strutturale dell’Io). L’io crea, produce qualcosa e ne è
implicitamente o esplicitamente consapevole (l’Io ha intuizione intellettuale di sé stesso).
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Per indicare che l’Io è, nel contempo, azione (Tat) e prodotto dell’azione (Handlung), ovvero che
l’Io è ciò che esso stesso si crea o produce (esse sequitur operari: noi siamo quel che ci facciamo),
utilizza il termine tedesco Tathandlung. In questo senso l’Io presenta la caratteristica
dell’assolutezza (esso ha tutto dentro di sé: tutto ciò che esiste, esiste solo nell’Io e per l’Io), in
quanto è assolutamente in-condizionato, cioè non dipende da altro.

I tre principi
I tre principi della dottrina della scienza sono:

1. Das ich setzt sich selbst (tesi), l’Io pone sé stesso: se l’io può agire, allora può anche porre se
stesso; quindi, la libertà assoluta del soggetto sta innanzitutto in quella spontaneità dell’Io che si
autopone, si determina e si dà un’identità (corrisponde al principio di identità).

2. So gewiss wird dem ich schlechtin entgegensetzt ein Nicht-Ich (antitesi), l’Io oppone a sé stesso
un non-Io: l’Io può porsi anche il non-io (può dire ciò che non è). Dato che il non-io (oggetto) è
posto dall’io allora è una sua produzione (corrisponde al principio di non contraddizione).

3. Ich setzte im ich dem teilbaren ich ein teilbares Nicht-Ich entgegen (sintesi), l’Io oppone nell’Io
all’io divisibile un non-io divisibile: avendo posto il non-io, l’Io si trova ad esistere sotto forma di
io divisibile (=molteplice e finito) limitato da una serie di non-io altrettanto divisibili (=molteplici e
finiti).

Puntualizzazioni
I tre principi sopra esposti delineano i capisaldi dell’intera dottrina di Fichte, perché stabiliscono:
- l’esistenza di un Io infinito, attività assolutamente libera e creatrice;
- l’esistenza di un io finito (perché limitato dal non-io), cioè di un soggetto empirico (uomo come
intelligenza o ragione);
- la realtà di un non-io, cioè dell’oggetto (mondo, natura), che si oppone all’io finito, ma è
ricompreso nell’Io infinito, dal quale è posto.

Dalla Dottrina della scienza emerge che il compito proprio dell’uomo è l’umanizzazione del mondo,
ossia il tentativo incessante di “spiritualizzare” le cose e noi stessi. L’uomo è uno sforzo infinito
verso la libertà, ovvero una lotta inesauribile contro il limite, e quindi contro la natura esterna (le
cose) e interna (gli istinti irrazionali e l’egoismo).

La “scelta” tra idealismo e dogmatismo


Fichte afferma che l’idealismo e il dogmatismo sono gli unici sistemi filosofici possibili e ne spiega
i motivi che spingono alla “scelta” dell’uno rispetto che l’altro.
-Idealismo: posizione filosofica che spiega la cosa o l’oggetto a partire dall’io o dal soggetto.
-Dogmatismo: posizione filosofica che spiega l’io o il soggetto a partire dalla cosa in sé o
dall’oggetto.

Il dogmatismo è una forma di realismo gnoseologico e di naturalismo metafisico, che finisce per
sfociare nel determinismo e nel fatalismo.

Per Fichte la scelta tra questi due sistemi dipende dal tipo di uomo che si è, ossia da un’opzione
etica di fondo, in quanto l’individuo che tende a trovare se stesso solo nelle cose e non si innalza al
sentimento della propria libertà assoluta sarà portato al dogmatismo e al naturalismo, mentre
l’individuo che possiede il senso profondo della propria libertà e indipendenza dalle cose sarà
portato all’idealismo.
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Fichte è portato alla scelta dell’idealismo in quanto vede l’Io come realtà originaria e assoluta che
può spiegare sia se stesso, sia le cose, sia il rapporto tra se stesso e le cose.

La morale
Per Fichte l’ambito della morale riguarda l’azione dell’Io sul non-io, che assume la forma di un
dovere volto a far trionfare, al di là di ogni ostacolo, lo spirito sulla materia.

In Kant il primato della ragion pratica risiedeva nel fatto che la morale ci dà, sotto forma di
“postulati”, quello che la scienza ci nega. In Fichte corrisponde invece al fatto che la conoscenza e
l’oggetto della conoscenza esistono solo in funzione dell’agire “Noi agiamo perché conosciamo, ma
conosciamo perché siamo destinati ad agire”. Pertanto, il criticismo etico di Kant diviene, in Fichte,
una forma di moralismo metafisico che vede nell’azione la ragione d’essere e lo scopo ultimo
dell’universo: noi esistiamo per agire e il mondo esiste solo come teatro della nostra azione.

Si è soliti indicare con l’espressione “idealismo etico” il pensiero del primo Fichte, in quanto fa
dell’Io il principio da cui tutto deve essere dedotto, concependo l’azione morale come la chiave di
interpretazione della realtà (moralismo).

Fichte definisce lo “sforzo” (Streben) come un “concetto importantissimo per la parte pratica della
dottrina della scienza” e lo fa coincidere con l’essenza stessa dell’uomo, inteso come compito
infinito di auto-liberazione dell’Io dai propri ostacoli. L’Io è infinito (sia pure tramite un processo
esso stesso infinito) poiché si rende tale, svincolandosi dagli oggetti che esso stesso pone. E pone
questi oggetti perché senza di essi non potrebbe realizzarsi come attività e libertà.

La missione sociale dell’uomo e del dotto


L’uomo ha la missione di vivere in società; egli deve vivere in società; se vive isolato, non è un
uomo intero e completo, anzi contraddice se stesso.

Il fine supremo ed ultimo della società è la completa unità e l’intimo consentimento di tutti i suoi
membri. Dunque, il fine supremo di ogni singolo uomo è il perfezionamento morale di tutto l’uomo.

La figura che deve educare e guidare gli uomini alla coscienza dei loro veri bisogni e istruirli sui
mezzi adatti per soddisfarli è il dotto, che corrisponde alla figura dell’intellettuale, ossia l’uomo
moralmente migliore del suo tempo.

Lo Stato-nazione e la celebrazione della missione civilizzatrice della Germania


La Battaglia di Jena e l’occupazione napoleonica della Prussia contribuiscono a far sì che la
filosofia di Fichte si evolva in senso nazionalistico, concretizzandosi nei celebri Discorsi alla
nazione tedesca; uno dei documenti intellettuali più rilevanti della storia della Germania moderna.

Il tema fondamentale dei Discorsi è l’educazione. Fichte ritiene infatti che il mondo moderno
richieda una nuova azione pedagogica.

Tuttavia, i Discorsi passano ben presto dal piano pedagogico a quello nazionalistico, in quanto
Fichte argomenta che soltanto il popolo tedesco risulta adatto a promuovere la “nuova educazione”
in virtù della loro lingua. Infatti, i tedeschi sono gli unici ad aver mantenuto la loro lingua, a
differenza, ad esempio, di quanto è avvenuto in Francia e in Italia, dove i mutamenti linguistici e la
formazione dei dialetti neolatini hanno provocato una scissione tra popolo, lingua e cultura. Per
questo i tedeschi sono l’incarnazione dell’Urvolk, cioè di un popolo “primitivo” rimasto integro e
puro, e sono i soli a potersi considerare un popolo, anzi il popolo per eccellenza.
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Di conseguenza, i tedeschi sono anche gli unici ad avere una patria, e a costituire un’unità organica
che, si identifica con la realtà profonda della nazione.

Fichte proclama che solo la Germania, sede della Riforma protestante di Lutero e patria di Leibniz e
di Kant, nonché epicentro della nuova arte romantica e della nuova filosofia idealistica, risulta la
nazione spiritualmente “eletta” a realizzare “l’umanità fra gli uomini”, divenendo, per gli altri
popoli, ciò che il vero filosofo è per il prossimo: “sale della terra” e forza trainante.

Quest’opera divenne un testo-chiave non solo del patriottismo, ma anche dello sciovinismo tedesco,
che trasformò la fichtiana “supremazia spirituale” in una supremazia di razza e di potenza, in un
processo che trovò il suo epilogo oggettivo nel nazismo.

SCHELLING 1775-1854

Vita
Schelling nacque a Leonberg, nei pressi di Stoccarda, nel 1775. All’età di 16 anni entrò nel
seminario teologico di Tubinga e qui strinse amicizia con Hölderlin e Hegel. In seguito, proseguì i
suoi studi a Lipsia e successivamente a Jena, dove ebbe l’opportunità di assistere alle lezione di
Fichte. Dove aver insegnato a Würzburg, si recò a Monaco, dove divenne segretario
dell’Accademia di Belle Arti e in seguito segretario della classe filosofica dell’Accademia delle
Scienze. Negli stessi anni ruppe la sua amicizia con Hegel, a causa delle sue pretese di andare oltre
l’idealismo. Nel 1841 fu chiamato a succedere a Hegel presso la cattedra di Berlino e in qualche
modo guidò quella reazione contro l’hegelismo che si andava profilando in Germania. Nel 1854
morì a Bad Ragaz, in Svizzera.

Gli scritti
La produzione filosofica di Schelling è stata abbondantissima durante gli anni della sua gioventù, in
seguito fu assai scarsa. La sua opera più sistematica è Sistema dell’idealismo trascendentale
(System des transzendentalen Idealismus), risalente al 1800.

I periodi del pensiero di Schelling


Lo sviluppo della filosofia di Schelling risulta estremamente complesso, gli studiosi tendono a
individuare in esso alcune fasi distinte:
1. l’iniziale momento “fichtiano”
2. la fase della “filosofia della natura”
3. il periodo dell’ “idealismo trascendentale”
4. lo stadio della “filosofia dell’identità”
5. il periodo “teosofico” e della “filosofia della libertà”
6. la fase della “filosofia positiva” e della “filosofia della religione”

L’Assoluto
Schelling accetta il fichtismo, ma constata che: la Sostanza di Spinoza è il principio dell’infinità
oggettiva, l’Io di Fichte è il principio dell’infinità soggettiva. Schelling vuole unire le due infinità
nel concetto di un Assoluto.

Per Schelling l’Assoluto è il principio infinito creatore della realtà, cioè Dio stesso.
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Tale principio non è riducibile né al soggetto (allo spirito) né all’oggetto (alla natura), ma è unità o
identità indifferenziata dei medesimi, ossia:
- spirito e natura
- soggetto e oggetto
- consapevolezza e inconsapevolezza
- libertà e necessità
- idealità e realtà

Schelling argomenta la sua tesi, sostenendo che un Assoluto puramente soggettivo (come l’Io di
Fichte) non riuscirebbe a spiegare la natura, mentre un Assoluto puramente oggettivo (come la
Sostanza unica di Spinoza) non potrebbe spiegare lo spirito. Di conseguenza la filosofia, intesa
come “scienza dell’Assoluto”, si dividerà in quei due grandi tronconi che sono:
- la filosofia della natura (Naturphilosophie): volta a mostrare come la natura si risolva (emerga)
nello spirito
- la filosofia trascendentale, o filosofia dello spirito (Transzendentalenphilosophie): volta a mostrare
come lo spirito si risolva (emerga) nella natura
Cercando di cogliere, in entrambe, quell’identità tra soggetto e oggetto che costituisce l’Assoluto
stesso.

La filosofia della natura


L’obiettivo della “filosofia della natura” di Schelling è mostrare, come detto precedentemente, come
la natura si risolva nello spirito e sia, in se stessa, spirito.

La concezione schellinghiana della natura segue una sorta di “terza via” tra il meccanicismo e il
finalismo tradizionali: si tratta infatti di una forma di organicismo (ogni parte ha senso solo in
relazione al tutto e alle altre parti) e di finalismo immanentistico (nell’universo esiste una finalità
“oggettiva e reale”, che non deriva da un intervento esterno, di tipo divino, ma che risulta
immanente alla natura stessa).

Secondo Schelling, alla base del grande organismo del mondo, concepito come “organismo che
organizza se stesso”, si trova uno spirito o un’entità spirituale inconscia che funge da “forza”
strutturante e vivificatrice dei fenomeni. Schelling denomina tale forza anche con l’antica
espressione “anima del mondo”, definendola come “ciò che sostiene la continuità del mondo
organico e inorganico e unisce tutta la natura in un solo organismo universale”, e dichiarando di
scorgere in essa una “ipotesi superiore” per la spiegazione del Tutto.

Per Schelling l’attrazione e la repulsione sono i due principi di base della natura. La natura,
concepita come attività spontanea e creatrice, agisce attraverso la lotta di forza opposte.
La polarità di attrazione e repulsione si concretizza in tre manifestazioni naturali:
- il magnetismo: esprime la coesione grazie alla quale le varie parti dell’universo gravitano le une
verso le altre
- l’elettricità: esprime quella polarità dialettica che fa del mondo la sede di un’opposizione di forze
di segno contrario
- il chimismo
A queste tre forza corrispondono, nel mondo organico, la sensibilità, l’irritabilità e la riproduzione.

Le “potenze” della natura costituiscono i tre livelli di sviluppo della realtà rappresentati,
rispettivamente:
- dal mondo inorganico
- dalla luce
- dal mondo organico
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L’idealismo trascendentale
Per Schelling la “filosofia trascendentale” (o filosofia dello spirito) è quel tipo di sapere -opposto
ma complementare alla filosofia della natura – che parte dal soggetto, dall’ideale e al formale, per
farne scaturire l’oggetto, il reale e il materiale (dedurre l’oggetto dal soggetto), mostrando in tal
modo “l’obbiettivarsi del subbiettivo”, cioè come lo spirito si risolva nella natura, ovvero il
progressivo farsi natura dell’intelligenza.

La filosofia teoretica
Per “intuizione intellettuale” Schelling intende una forma di autocoscienza mediante la quale l’Io
conosce se stesso (attività reale), ossia una forma di sapere in cui il soggetto e l’oggetto, l’intuente e
l’intuito coincidono, e per la quale l’Io, conoscendo se stesso, costruisce, nello stesso tempo, se
stesso (attività ideale). L’intuizione intellettuale finisce dunque per coincidere, analogamente a
quanto accadeva in Fichte, con la nozione della libera auto creatività dello spirito, nozione che per
l’idealismo fichtiano-schellinghiano sta alla base di tutta la filosofia.

Schelling distingue tre “epoche” o fasi di sviluppo dell’Io:


1.la prima epoca: va dalla sensazione all’intuizione produttiva (dall’Io che sente all’Io che si
avverte come senziente)
2.la seconda epoca: va dall’intuizione produttiva alla riflessione (da un Io ancora immerso negli
oggetti a un Io che si eleva all’intelligenza di sé)
3.la terza epoca: dalla riflessione alla volontà (astraendo dagli oggetti l’Io si pone come volontà)
Alle prime due “epoche” corrisponde l’attività teorica dell’Io, indagata dalla filosofia teorica,
mentre all’ultima “epoca” corrisponde l’attività pratica, indagata dalla filosofia pratica.

Schelling si sforza inoltre di mostrare come l’articolazione di questi momenti dell’Io coincida, nella
prima e nella seconda epoca, con la formazione
-del tempo (senso interno dell’Io)
-dello spazio (senso esterno dell’Io)
-delle categorie di relazione, qualità, quantità e modalità

L’espressione “produzione inconscia” indica in Schelling l’attività irriflessa (corrispondente all’


“immaginazione produttiva” di Fichte), tramite la quale l’Io (il soggetto) genera inconsciamente i
propri oggetti e li pensa come cosa in sé.

La filosofia pratica e i periodi della storia


L’attività pratica dell’Io, e quindi la filosofia pratica, inizia con la terza epoca, nella quale lo spirito
si pone come volontà. Quest’ultima si concretizza:
- nella morale, che accentua soprattutto la libertà e la spontaneità dell’agire
- nel diritto, che accentua soprattutto il momento della legalità e della necessità.

Nel mondo umano nasce dunque un’antitesi tra libertà e necessità. Una prima composizione
dell’antitesi è rappresentata dalla storia (considerata la sintesi tra libertà e necessità).

Schelling sostiene l’esistenza di un disegno che si va attuando gradualmente nel tempo.

La storia nel suo complesso va intesa come “una rivelazione dell’Assoluto”. Tale rivelazione
avviene tramite la libera azione degli individui, ed è distinta da tre periodi:
1. il primo periodo: in cui la forza superiore appare sotto forma di destino
2. il secondo periodo: il destino si rivela come natura e “legalità meccanica”. Tale periodo ha inizio
con l’espansione della repubblica romana
3. il terzo periodo: il destino si rivela come provvidenza
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La pace (che Kant aveva sognato) per Schelling costituisce, dal punto di vista politico, il fine ultimo
della storia.

La teoria dell’arte
Secondo Schelling l’arte costituisce l’ “organo” della filosofia, ossia l’attività privilegiata grazie alla
quale si può cogliere l’Assoluto nella sua unità (o identità) di spirito e natura. Infatti, la creazione
artistica, che si presenta come sintesi di un momento inconsapevole o spontaneo (l’ispirazione) e di
un momento consapevole e riflesso (l’elaborazione cosciente dell’ispirazione), manifesta nella sua
struttura la forza inconscia-conscia che agisce nel mondo come un artista cosmico, del quale
l’artista umano è immagine. La bellezza dell’opera d’arte è: “l’infinito rappresentato in modo
finito”.

Ispirazione Esecuzione
-Poesie -Kunst
-inconscio -conscia
-spirito -natura
-necessità -libertà

La filosofia negativa
L’espressione “filosofia negativa” (circoscritto/contenuto solo nella ragione) indica in Schelling un
pensiero che si limita a studiare l’essenza o la possibilità logica delle cose (il quid sit), mentre la
“filosofia positiva” (si apre ad un dato esterno alla ragione, diverso dal concetto di Comte) è un
pensiero che concerne la loro esistenza o realtà effettiva (il quod sit).
Nell’ultima fase della sua riflessione Schelling cerca appunto di sviluppare una filosofia che ha il
compito di costatare e di interpretare speculativamente la rivelazione che Dio fa di sé nel mondo.
Da ciò il programma di un “filosofia della mitologia” (che ha per oggetto la manifestazione di Dio
nella natura) e di una “filosofia della rivelazione” (che ha per oggetto la manifestazione di Dio nella
sua assoluta personalità e libertà.

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